Ahora que te vas

di Ivy001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6 Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7 Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8 Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9 Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10 Capitolo ***
Capitolo 11: *** 11 Capitolo ***
Capitolo 12: *** 12 Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13 Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14 Capitolo ***
Capitolo 15: *** 15 Capitolo ***
Capitolo 16: *** 16 Capitolo ***
Capitolo 17: *** 17 Capitolo ***
Capitolo 18: *** 18 Capitolo ***
Capitolo 19: *** 19 Capitolo ***
Capitolo 20: *** 20 Capitolo ***
Capitolo 21: *** 21 Capitolo ***
Capitolo 22: *** 22 Capitolo ***
Capitolo 23: *** 23 Capitolo ***
Capitolo 24: *** 24 Capitolo ***
Capitolo 25: *** 25 Capitolo ***
Capitolo 26: *** 26 Capitolo ***
Capitolo 27: *** 27 Capitolo ***
Capitolo 28: *** 28 Capitolo ***
Capitolo 29: *** 29 Capitolo ***
Capitolo 30: *** 30 Capitolo ***
Capitolo 31: *** 31 Capitolo ***
Capitolo 32: *** 32 Capitolo ***
Capitolo 33: *** 33 Capitolo ***
Capitolo 34: *** 34 Capitolo ***
Capitolo 35: *** 35 Capitolo ***
Capitolo 36: *** 36 Capitolo ***
Capitolo 37: *** 37 Capitolo ***
Capitolo 38: *** 38 Capitolo ***
Capitolo 39: *** THE END ***



Capitolo 1
*** 1 Capitolo ***


“Sebastìan, Ginevra…dove siete? Quando la finirete di giocare a nascondino ogni volta che bisogna fare i compiti?” – è una voce maschile a richiamare all’appello due bambini, precisamente gemelli, con tono rassegnato ad un comportamento ormai solito.

“Allora, Bogotà? Li hai trovati?” – lo raggiunge una donna dai capelli castani e corti.

“No, Tokyo. Approfittano della mia bontà, perché con Nairobi non fanno mai così” – si lamenta il saldatore, constatando la realtà dei fatti.

“Perché tua moglie sa come gestirli. Era o non era la tua boss? Come vedi sa comandare anche i vostri figli” – ridacchia Selene, dando una tenera pacca sulla spalla all’amico.

“Nessuno resiste con lei. E’ impossibile” – commenta lui, arrossendo. Poi riprende – “Però non vorrei subire io stesso la ramanzina di Nairobi quando rientrerà a casa, dobbiamo trovare un modo per rimetterli in riga. Hai suggerimenti?”

“Mmm, non saprei!” – riflette la Oliveira, camminando avanti e  indietro nella stanza dei gemelli, scrutandone ogni angolo.

“Papà” – sopraggiunge una terza persona che ha con sé uno dei due bambini.

“Alba, sei degna figlia di tua madre” – si complimenta Tokyo, notando che la primogenita della coppia ha scoperto il nascondiglio di uno dei suoi due fratellini.

“Sebastìan, adesso voglio sapere dove si trova tua sorella. Avanti, dimmelo! O mi arrabbio sul serio, stavolta” – Bogotà mostra un lato molto severo, seppure poco credibile agli occhi dei figli presenti, che conoscono il loro paparino amorevole.

“Non lo so, papi” – il bambino è, in realtà, molto scosso. Mantiene lo sguardo basso, mentre alcune lacrime gli rigano il volto.

“Ehi, ma cosa ti prende? Stai tremando come una foglia!” – la zia Tokyo si preoccupa e istintivamente abbraccia il nipotino.

“Se non mi dici dove è Ginevra entro tre secondi…” – Bogotà sta perdendo la pazienza. Neppure le lacrime del figlio gli appaiono credibili e, se vuole ottenere gli stessi risultati di Nairobi, deve cominciare a comportarsi da duro.

“Papà, io non lo so. Te lo giuro….l’ho vista salire su una macchina e poi…è sparita” – racconta il piccino, strofinandosi gli occhi inumiditi dal pianto.

“Che cosa? – esclama, scioccato, il saldatore, incrociando subito lo sguardo pietrificato della compagna di Banda.

Senza proferire altre parole, Bogotà lascia la stanza, correndo spedito verso il giardino.

Dietro di sé c’è Alba, che lo segue terrorizzata.

“Gin! Ginny dove sei?” – urla l’uomo, setacciando ogni angolo del quartiere.

Il vicinato lo guarda alla finestra e chiede spiegazioni, ma basta poco per intuire che la piccola è sparita nel nulla.

Senza vergogna alcuna, suona ad ogni campanello delle ville vicino la sua, domandando e ricevndo aiuto da parte di qualcuno.

Il trambusto che si crea è inevitabile, seppure il professore a suo tempo fu chiaro con i Dalì: “Non dovete farvi notare, può bastare un piccolo movimento sbagliato per provocare un casino tale da smuovere nuovamente le ricerche su di noi.”

Però in un momento così tragico, a Bogotà importa poco di ciò che può accadergli in prima persona.

***************************************

E’ ora di cena e a tavola è seduto solo Sebastìan, con il suo piatto di pasta.

Cerca di non pensare a quanto accaduto eppure quello che ha visto lo opprime.

E’ difficile dimenticare come, da una stupidata organizzata con sua sorella gemella, per evitare i compiti scolastici, si sia poi trovato di fronte a qualcosa di tragico.

Da quel momento in poi, la sua voce non emette più suoni e il silenzio diventa il suo migliore amico.

Nel frattempo, Tokyo contatta e informa i vari membri della squadra, tentando di rintracciare Sergio Marquina, trasferitosi, a differenza di molti del gruppo, in Tailandia.

“Come faccio a mantenere la calma, Denver! E’ impossibile. E per di più Nairobi a breve tornerà a casa e non sa ancora nulla!”

Il panico che viene vissuto dagli adulti, prende inconsapevolmente anche i minori. Alba,infatti, è seduta sul divano a fissare il vuoto mentre vede la stabilità e la serenità, che i suoi genitori non le hanno fatto mai mancare, frantumarsi. I suoi soli undici anni sono pochi per permetterle di controllare le emozioni che le riempiono la testa.

La tv è accesa e trasmette il notiziario. Le peggiori notizie vengono comunicate dal giornalista e Alba sente che da lì a poche ore, tra le news di cronaca, comparirà anche quella di sua sorella.

Un rumore proveniente dalla cucina fa sobbalzare sia la undicenne che la Oliveira. La donna chiude immediatamente la telefonata e raggiunge Sebastìan.

Il piccolo ha gettato il piatto a terra, sparpagliando sul pavimento i resti del cibo mai toccato. Lui è seduto sulla sedia con lo sguardo terrorizzato, le mani tremanti, e gli occhi arrossati.

“Piccolino, va tutto bene!” – lo prende in braccio Tokyo, stringendolo forte a sé.

La maggiore dei tre figli di Bogotà, seppure a fatica, ripulisce come meglio può, seppure la rabbia che cova nel cuore la spingerebbe volentieri a distruggere tutti i piatti della credenza, uno dopo l’altro.

“Ho finito, zia! Ho pulito la cucina” – comunica a Selene, qualche minuto dopo.

“Brava tesoro, vieni qui” – le risponde la Oliveira, seduta sul divano con Sebastìan addormentato tra le sue braccia.

“Andrà tutto bene, Ginevra tornerà a casa. te lo giuro” – cerca di rassicurarla, seppure fatica lei stessa a credere alle parole dette.

“Non sappiamo neppure dove sia”

“Dimentichi che abbiamo rapinato la Zecca, poi la Banca. Siamo qui per raccontarlo. Abbiamo fatto qualcosa di impossibile… e una volta che il Professore saprà cosa accaduto, si mobiliterà. Scopriremo cosa accaduto e agiremo di conseguenza!”

Proprio di fronte a tali affermazioni, così forti e convincenti, Alba si lascia andare ad un pianto liberatorio, trattenuto per ore.

Ed è in quel preciso istante che Agata Jimenez torna a casa, in tutta tranquillità, convinta di poter godere della serata con i suoi tre figli e il marito.

Ignora che la felicità che con forza aveva guadagnato, sta per dirle di nuovo addio.

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Capitolo 2
*** 2 Capitolo ***


I secondi che precedono l’arrivo di Nairobi in salone, sono vissuti da Tokyo con estrema ansia; questo perché conosce bene la Jimenez e sa che la questione “figli” è stato, da sempre, il suo tallone d’Achille.

“Cosa le diciamo?” – sussurra l’undicenne alla zia, riconoscendo la voce della mamma che, dall’ingresso, chiama la famiglia.

In quel momento, la Oliveira adagia il piccolo Sebastìan addormentato tra le braccia esili di Alba, e si prepara psicologicamente all’incontro con l’amica.

La gitana, dal canto suo, immagina di trovare il marito seduto sulla poltrona, con la tv accesa sul solito canale sportivo, mentre i bambini giocano sul tappeto.

Però la scena a cui assiste, non appena raggiunge il salotto,  è totalmente diversa.

È stupita di vedere Selene ancora lì, dato l’orario di cena. Però sorvola, considerando quell’occasione come l’unica per poter scambiare quattro chiacchiere tra donne.

“Ehi, come è andata la visita?” – domanda la Oliveira, chiedendo del controllo medico della sua migliore amica.

“Pff!” – sbuffa Nairobi – “Due ore d’attesa per dirmi che è tutto ok e che per fortuna non sono incinta!” – commenta, dopo essersi preoccupata di un ritardo del ciclo.

“Per fortuna?” – ripete, stupita, Tokyo, abituata ad ascoltare i discorsi della gitana su quanto è bello lo stato di gravidanza.

“Già, ammetto che tre piccole pesti mi bastano” – ridacchia Agata, volgendo lo sguardo ad Alba, per scherzare della questione.

Però è l’espressione di sua figlia a insospettirla, costringendola a cambiare tono.

“Che succede, amore mio?”

“Ehm…” – l’undicenne è scossa e di fronte alle domande della madre inizia a sudare freddo – “Io… mamma… ecco…” – spaventata dalla reazione del suo stesso corpo, la bambina lamenta improvvisamente delle forti palpitazioni e dolori al petto.

“Sei pallida come un lenzuolo. Non ti senti bene?” – si allarma la Jimenez,  controllando la temperatura corporea della bambina, ponendo una sua mano sulla fronte di lei.

“Nairo… ecco…c’è una cosa che dovrei dirti…” – intanto la compagna di Rio cerca di rivelarle l’accaduto.

“Non ora Tokyo, piuttosto…prendi Sebastìan e portalo a letto, così faccio stendere Alba sul divano” – con fare rapido e deciso, come è solita organizzare la sua vita, la donna di Bogotà sistema al meglio la sua primogenita, alzandole le gambe, temendo un improvviso calo di pressione e uno svenimento.

Terrorizzata da quanto sta accadendo, e quello che da lì a pochi minuti sarebbe potuto succedere alla sua compagna di squadra, Selene si dirige verso la stanza dei gemelli, coricando il piccolino come ordinatole. Lo libera degli abiti e lo veste con un comodo pigiama blu; con dolcezza gli rimbocca le coperte e lo bacia teneramente sul capo. Solo allora l’occhio le cade sul letto vuoto di Ginevra e il senso di colpa si trasforma in lacrime che gli solcano il viso.

“se solo fossimo stati attenti, cazzo!” – rimprovera se stessa per la distrazione, poi aggiunge, decisa – “Smuoveremo mari e monti per riportarti qui…!”

Pronuncia quelle parole fissando, determinata, la foto incorniciata alla parete che ritrae il primo compleanno dei piccolini di casa. Guardandola, molti flash le tornano alla mente, legati all’arrivo dei gemelli nelle vite di tutti. Quello che fa crollare emotivamente Tokyo è un flash, rimasto indelebile tra i suoi ricordi, vissuto in un pomeriggio invernale di quasi otto anni prima.

 

“Incinta? Dici sul serio?”

“Si, Tokyo e sono preoccupata! Se questa gravidanza dovesse andare male come l’altra?”

“Non spaventarti amica mia, il piccolo verrà alla luce sano come un pesce. La vita ti ha dato un’altra possibilità per allargare la famiglia!”

“Ehm…in realtà le possibilità sono due!” – confessa la Jimenez, emozionata.

“Cosa? In che senso?”

“Sono due gemelli e nasceranno a dicembre”

Tra lo stupore e l’euforia del momento, Tokyo le manifesta la sua commozione - “Nairobi, penso che con il loro arrivo regalerai a tutti noi e a Bogotà in primis, il più bel Natale degli ultimi anni”

“Il loro arrivo cancellerà i mesi di tristezza e dispiacere dovuti alla perdita del nostro secondo bambino”

“Il tempo cura le ferite e offre gioie come questa, che non ti saresti aspettata”

“Hai ragione, amica mia! E sai, ho deciso già che avranno anche loro i nomi di due città!”

“Così come hai fatto con Alba?”

“Esatto, e ho pensato al nome Sebastìan ,come la città basca di San Sebastìan..”

“E per una bambina?” – domanda curiosa Tokyo.

“Se ti dicessi che si trova in Svizzera?”

 

Quel flashback ricorda alla Oliveira quanto il tempo sia volato e quanto Nairobi avesse temuto per quella gravidanza, giunta a distanza di un anno da un aborto.

Sapere che la peggiore paura della sua migliore amica, ovvero quella di perdere l’ennesimo figlio, stava per realizzarsi, affligge Selene che, approfittando del momento di solitudine, piange e sfoga  la sua sofferenza.

Ed è proprio allora, in quell’attimo di fragilità, che la voce di Nairobi la pietrifica.

La gitana è alle sue spalle e le chiede – “Perché piangi? Si può sapere che cazzo sta succedendo?”

Con il cuore in mille pezzi, Tokyo si volta verso di lei mostrandole la tragedia che è appena accaduta.

Le indica il letto vuoto e a fatica pronunciare  parole che mai nessuno nella vita, neppure l’essere più crudele al mondo, meriterebbe di ascoltare.

“Ginevra è scomparsa da ore!”

“Che?” – esclama Nairobi, cadendo vertiginosamente vittima di uno stato di shock.

“Li abbiamo persi di vista due minuti, te lo giuro. Sono usciti di casa e si sono nascosti. Poi lei è… ecco… insomma… la troveremo, te lo giuro”

La gitana fissa il viso di Selene cercando di metabolizzare quanto appena udito. Le gambe le tremano, le sente indebolirsi improvvisamente, mentre avverte una fitta dolorante paragonabile a quella provata in seguito allo sparo subito nella Banca di Spagna anni addietro.

Gli occhi si coprono di un velo di tristezza tale da impedire persino alle lacrime di scendere.

Senza aggiungere nulla, né emettere un grido di rabbia, né un pianto di liberazione, Nairobi lascia la stanza di Sebastìan e corre via.

Tokyo la segue in tutta casa, cercando di esserle d’aiuto, di farle da spalla su cui sfogarsi. Eppure Agata in quei minuti non mostra lucidità. Cammina, confusamente, tra i corridoi, scruta ogni dannato angolo di quell’abitazione che, mai come in quel momento, le pare odiosamente enorme.

“Fermati, ti prego. Non è qui, abbiamo controllo ovunque”

Niente da fare! La Jimenez non ascolta, ha spento le sue emozioni e vaga senza controllo, preda di un secondo “proiettile” che ha colpito il suo cuore e che viaggia ora senza meta, distruggendo le sue più solide emozioni.

Tokyo singhiozza mentre la osserva agitarsi, con le mani nei capelli, mentre parla a se stessa come una folle – “Ginevra, vieni fuori. Non farmi arrabbiare”

Comincia solo allora ad urlare a gran voce il nome di sua figlia, convinta di averla a pochi passi da sé.

Alba, ripresasi dall’attacco di panico proprio grazie alle precedenti cure materne, raggiunge la zia all’ingresso, lì dove Nairobi manifesta ogni forma di delirio possibile.

Solo allora le due consanguinee si trovano faccia a faccia, guardandosi e specchiandosi l’una negli occhi dell’altra.

L’undicenne è spaventata dalla persona che ha di fronte e che sembra aver cancellato ogni espressione solita della gitana.

“Mammina, per favore, ascoltaci…non è qui! Non sappiamo dove sia…ma non è qui….”
La reazione di Nairobi non tarda ad arrivare.

Alza gli occhi al cielo, respirando profondamente, come a voler trattenere dei sentimenti così forti e intensi che le impediscono di ragionare. Poi inizia a ridere, una risata nervosa, a tratti inquietante, mentre le lacrime le scavano il viso.

“Alora vado a cercarla” – dopo quei minuti interminabili di silenzio e di irrazionalità, la Jimenez si dirige verso la porta d’uscita.

Le basta percorrere pochi metri per imbattersi in Bogotà, seguito a sua volta da Rio.

Moglie e marito si osservano, nessuno dei due ha la forza di proferire parola. L’ex saldatore fissa la sua compagna, trattenendo il pianto nel rivedere in lei l’esatta copia di Ginevra: gli stessi occhi grandi scuri, i capelli nero corvino, la carnagione olivastra… una somiglianza evidente anche con Axel. Ed è proprio questa similarità tra fratello e sorella ad essere da sempre la gioia e la condanna per Agata Jimenez. E’ sempre stata felice di poter ritrovare in Ginny alcuni tratti del suo primo figlio, ormai ventenne, lontano chissà dove. Però nei momenti di nostalgia, guardarla in volto le ricordava il dolore dalla distanza da Axel e la sua impossibilità di riabbracciarlo.

Bogotà avanza verso di lei a braccia aperte, pronto a stringerla a sé. Avverte proprio il bisogno di sentirla vicina, di respirare il suo profumo, di ricevere dalle sue labbra il calore familiare, specialmente di condividere un momento così difficile insieme.

Purtroppo Bogotá non ottiene dalla moglie la risposta attesa. La donna carica di rabbia, di dolore, di frustrazione, lo schiva, ignorando il contatto fisico, riprendendo il cammino da sola.

Così l’uomo, assieme a Tokyo e Rio, osserva la gitana allontanarsi, sentendosi impotente e sconfitto da una vita bastarda che non dà pace a nessuno, tantomeno ad una mamma, da sempre roccia inscalfibile, costretta a portare alla luce le sue più profonde fragilità…fragilità correlate al legame speciale con i suoi figli.

E così Agata percorre in solitudine l’intero quartiere, illuminata dalle luci dei lampioni di quel quartiere, nella città australiana di Melbourne, che le ha donato stabilità e gioia per quasi dodici anni e che improvvisamente si è trasformato nel suo più grande incubo.

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Capitolo 3
*** 3 Capitolo ***


E’ tarda ora e di Nairobi nessuna traccia. Ad attendere il suo rientro a casa c’è Tokyo, in preda all’ansia, che cammina avanti e indietro, parlando a se stessa pur di calmarsi.

Alba, addormentatasi a fatica, è sdraiata sul divano. La dolce zia le ha adagiato sul corpo una coperta e nel mentre ha preparato una camomilla.

Peccato che quella bevanda non riesca a placare l’agitazione, ormai alle stelle.

Il pianto improvviso di un bambino allerta la donna, che sa benissimo a chi appartiene quel vagito.

“Santiago, mi amor! Eccomi, sono qui” – il piccoletto di circa tre anni è l’unico figlio avuto dalla Oliveira e il suo compagno. Dopo aver congedato la babysitter, Tokyo l’ha portato nella villa degli amici, tenendolo con sé nell’attesa del rientro degli altri.

Anche lei, ormai mamma, avverte quanto il legame con il proprio sangue sia un vincolo infrangibile e quanto possa far male saperlo lontano da se.

In quei minuti, durante i  quali la donna culla Santiago,  il chiavistello della porta la pone in allerta.

Speranzosa, avanza rapida verso l’ingresso, con il bebè in braccio.

Di fronte a se ci sono Rio e Bogotá. Quest’ultimo è visibilmente abbattuto; il suo volto porta i segni di una disperazione e di un dolore difficili da spiegare.

“Allora? Avete trovato Nairobi?” – chiede Tokyo.

Cortés scuote il capo, amareggiato.

“E vi siete arresi così? Siete impazziti? Non vorrete mica che sparisca anche lei?” – li rimprovera la donna, fortemente in pena per la migliore amica.

La sua reazione infastidisce Bogotá, che, però, si contiene per l’ennesima volta. Ignora la predica di Selene e raggiunge Alba in salotto.

Osserva l’undicenne dormire e, di fronte agli amici che l’hanno seguito, prende tra le sue braccia la figlia maggiore e la stringe al suo petto. In quel preciso istante, avrebbe voluto sfogare la sofferenza in un pianto liberatorio. Eppure le lacrime faticano a scivolargli sul viso, sono paralizzate anch’esse come lo stesso cuore di quel povero padre di famiglia.

Pentita per il poco tatto utilizzato poco prima, Tokyo cerca di confortarlo in merito alla faccenda di Ginevra.

“La troveremo, ho già contattato chi di dovere” – prende parola la Oliveira.

Quell’affermazione spiazza i due uomini che, confusi, la guardano. Poi è Rio a domandare, ipotizzando qualcosa – “Non dirmi che hai intenzione di riunire la Banda…per la terza volta?”

Tokyo, decisa che quella è la soluzione migliore, annuisce e spiega le sue ragioni – “Sapete come sono fatta e nessuno meglio del Professore può aiutarci. Qui siamo bloccati, sotto copertura, con false identità…non possiamo neppure contattare la Polizia senza destare sospetti, abbiamo bisogno di lui e del suo genio! ”

“Si , amore, però avresti prima potuto consultarci, non ti pare? Non puoi sempre fare di testa tua e …” – il tono di rimprovero da parte di Rio, spiazza Tokyo stessa convinta, invece, di aver agito coscienziosamente, probabilmente per la prima volta nella vita.

Determinata sulle proprie idee, comincia a discutere con il compagno.

E dopo averli ascoltati litigare fin troppo, Bogotà prende parola - “Hai ragione, qui da soli siamo impotenti. Spero di non causare problemi ai Dalì, invitandoli tutti in casa mia. Può essere un grandissimo rischio per tutti, e per questo motivo ho intenzione di convocare una squadra speciale ”

“Cioè?” – chiede, confuso Rio.

“Nessuno sa chi sono, hanno la fedina pulita… sono gli aiuti di cui abbiamo bisogno” – sostiene senza precisare nulla a riguardo.

Così dicendo, congeda gli amici ringraziandoli. Seppure a fatica, data la resistenza della Oliveira risoluta a rimanere lì fino al rientro di Nairobi, la coppia lascia la villa.

Quella sarà una notte lunga e complicata, nessuno dormirà sogni tranquilli, ne sono certi.

Bogotà, cosciente di mettere a rischio altre vite, oltre quelle dei Dalì, sente di non aver altre possibilità: la sua Ginevra deve tornare, sana e salva… ed è necessario arruolare gente!

Giunto nella stanza di Alba, adagia la bambina sul letto, rimboccandole le coperte.

Le prende il pc, utilizzato dalla undicenne per svolgere dei compiti per la scuola, e dirigendosi nella camera matrimoniale, accende il computer e scrive una serie di e-mail.

**************************

Sono le due di notte quando Nairobi rincasa. Il silenzio che si avverte tra quelle mura è per lei un rumore assordante… il buio che riempie l’ingresso, contrasta con la fioca luce della sua stanza.

A passo lento, la donna percorre pochi metri, barcollando proprio com’è solita camminare una persona ubriaca, priva di lucidità. Ed è così che Agata si sente…svuotata di ogni emozione, privata della sua vitalità, dominata dal rimorso e dai sensi di colpa.

Non le è servito a nulla correre lungo l’intero viale, percorrere chilometri a piedi, attraversare zone della città mai viste, al solo scopo di metabolizzare l’accaduto. In cuor suo non ammette che Ginevra, la sua dolce e piccola Gin, sia sparita nel nulla.

E così, mentre in quelle dannate ore convinceva se stessa di vivere un brutto sogno, che a breve si risveglierà circondata dalle braccia di suo marito e dalle coccole dei suoi figli, la realtà dei fatti si mostra violenta ai suoi occhi.

La cameretta dei gemelli ne è la prova: c’è Sebastìan che dorme, però il lettino con la trapunta di Frozen, quella tanto voluta da Ginevra per Natale, è perfettamente in ordine. Le foto della piccola diventano, in un battibaleno, delle coltellate al cuore e il suono della sua dolce voce riecheggia nelle pareti.

Mammina, mi leggi la favola della buona notte” – Agata sobbalza e, senza esitare, si guarda attorno , come a voler cercare la bambina.

Corre in tutta casa, continuando a chiamarla, ormai preda di una vera e propria follia.

Si immobilizza, nel corridoio, di fronte alla fotografia del suo matrimonio.

Tutta la sua serenità cominciò quel giorno.

E ogni cosa sembra essere finita oggi!

La voce di Bogotà, alle sue spalle, la distoglie dai suoi pensieri.

“Sei tornata, grazie a Dio!”

Nairobi non sembra intenzionata a voltarsi ed incrociare lo sguardo di lui, e ciò spinge l’armeno ad avanzare nella sua direzione..

“Parliamo, per favore?” – la prega lui, sfiorandole un braccio.

Quel gesto manifesta premura e attenzione. Bogotá sente l’esigenza di averla con sé, di sentirla vicino, in un momento tanto difficile.  E vederla ritrarsi, è l’ennesima batosta.

“Quanto vuoi farmi pesare questo fatto? Pensi che io non mi senta in colpa? Per me è uno strazio, ti prego non allontanarti. Non fa bene al nostro rapporto tutta questa tensione! Andiamo a letto, per favore!”

I secondi che passano sembrano un’eternità, durante i quali la Jimenez non mostra un segnale di compassione verso il marito. Addirittura lo fredda, comunicandogli - “Io dormo nella stanza degli ospiti stanotte!”- riprende il passo ,diretta verso la stanza in questione; chiude la porta con forza e si isola, schiava di un dolore sempre più asfissiante ed invasivo, che le ha schiavizzato la mente.

All’ex saldatore, rimasto impassibile davanti alla freddezza della gitana, non rimane che costatare quanto il suo matrimonio possa rischiare lo sfracello dopo la vicenda di Ginevra.

Così, dopo dodici anni di condivisione di un letto nel quale ha vissuto tante notti di puro amore, si corica, amareggiato. Ed è allora che il PC, rimasto acceso, segnala l’arrivo di un’e-mail.

Caro papà, ho contattato alcuni dei miei fratelli, conta pure su di noi” – legge ad alta voce l’uomo, appurando che Julian, il suo primogenito ha confermato la sua presenza.

Non riuscendo più a chiudere occhio, Bogotá trascorre le ore seguenti di fronte allo schermo del computer, intrattenendosi con i suoi figli. E sono proprio loro, i sette eredi del saldatore, la soluzione giusta:  la famiglia è l’unica medicina per quel dolore. E riabbracciarli, a distanza di tanto tempo, non può che alleviare le ferite che hanno marchiato il suo debole cuore.

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Capitolo 4
*** 4 Capitolo ***


NOTA DELL'AUTRICE:

Ciao a tutti/e. Spero che la fanfiction vi stia piacendo. Ringrazio chi di voi la segue e l'apprezza. Ammetto che una recensione per rendermi cosciente che la storia piace o meno, mi farebbe molto piacere. Però sono contenta comunque che c'è gente che la legge ugualmente. Quindi non mi resta che augurarvi buona lettura con questo nuovo capitolo.

xoxo Ivy 

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E’ mattino e il cinguettio degli uccellini risveglia Nairobi, la quale non solo apre gli occhi a un nuovo giorno, ma è chiamata ad affrontare, da lì in poi, l’assenza di sua figlia minore.

Stiracchiandosi, una volta in piedi, appura di trovarsi nella camera degli ospiti: ciò è la prova lampante che quanto accaduto la sera prima è reale e non frutto di un brutto sogno.

Nessuno correrà a salutarla per darle il buongiorno come di rito. Nessuno si getterà sul lettone per farsi spazio tra mamma e papà. Nessuno supplicherà Nairobi per un pezzo di pane e marmellata in più… nulla di tutto ciò accadrà, e Agata questo lo sa bene.

Alquanto stanca, viste le poche ore di sonno, si dirige verso la cameretta di Alba.

Nota che il letto è in perfette condizioni. Si reca allora da Sebastìan e la situazione è analoga.

Il panico non tarda a farsi sentire.

“Bambini dove siete?” – grida, mentre gira dentro casa con fare nervoso.

Raggiunge la cucina, accorgendosi che anche lì tutto è pulito e lucido come uno specchio.

“Che cazzo succede?” – esclama, incredula.

Terrorizzata, inizia a chiamare il marito.

“Bogotà!” – insiste più volte ed è allora che, finalmente, riceve risposta.

L’uomo è in veranda, con un sigaro tra le dita, mentre invia e-mail con il PC di Alba.

“Che cosa stai facendo qui fuori?  I bambini dove sono?”

“Buongiorno anche a te” – commenta lui, fissando lo schermo del computer con estrema serietà – “Sono da Tokyo. Lei ha voluto che andassero a fare colazione e ho acconsentito”

“Ah beh certo…io non conto nulla adesso? Non potevi informarmi prima?”

“E quando avrei dovuto? Mi hai praticamente sbattuto la porta in faccia e ti sei chiusa in camera senza voler vedere nessuno. Se fossi entrato per informarti, mi avresti rimproverato di non rispettare la tua privacy…” – replica il saldatore.

Nairobi non risponde a quello che è un vero e proprio attacco, cosciente che forse Bogotà non ha tutti i torti.

Così lascia stare la questione e torna dentro casa, intenta a fare una doccia veloce e uscire.

“Dove pensi di andare?” – domanda lui, mezz’ora dopo, guardandola indossare un giubbotto di pelle rossa.

“A cercare mia figlia! Non me ne sto sulla veranda a smanettare con il PC… io!” -  precisa lei.

“Adesso basta!” – a quel punto l’uomo non sopporta più di essere un oggetto contro cui scagliare frustrazioni – “Odiami quanto vuoi, trattami come se fossi uno straccio… ho capito che ti fa stare meglio agire in questo modo…ma non permetterti di insinuare che io non cerchi Ginevra!! Questo no, cazzo!”

“A me sembra che tu sia talmente rilassato da fumare un sigaro in piena tranquillità…”

Bogotà sa che da lì a pochi secondi la discussione sarebbe diventata una lite molto forte.

Si contiene, di nuovo. Poi decide di informare la donna di quanto sta per accadere.

“I Dalì verranno qui!”

“Cosa?” – quella confessione spiazza Nairobi che, pietrificata, ricorda i momenti vissuti all’interno della Banca di Spagna, durante i quali ha rischiato di morire – “Non possiamo permettere che si espongano l’ennesima volta , mandando a puttane la loro libertà!”

“Lo so, è stata Tokyo a contattare il Professore!”

“Adesso mi sentirà!” – arrabbiata, la Jimenez afferra le chiavi dell’auto e si dirige verso la porta d’uscita secondaria, che la collega direttamente al garage, dove è parcheggiato il mezzo.

Prima che la donna sale a bordo, Bogotà la segue e le dice – “Io ho voluto che partecipassero i miei sette figli”

E’ tale rivelazione a paralizzare totalmente Nairobi. La gitana fissa il marito, incredula. Comprende solo allora di avergli gettato addosso tanto fango e sputato veleno ingiustamente. Lui non solo si era messo al lavoro per reclutare aiuti, ma ha scelto tra questi i suoi eredi… il sangue del suo sangue , consapevole che è certamente pericoloso per dei giovani alle prime armi.

“Come pensi che possano cavarsela? Sono dei ragazzini”

“Non più. Lo erano dodici anni fa, quando raccontai a te e Denver della loro identità! Hanno coraggio da vendere, tutti! E saranno qui in serata”

“Di già?”

“Sì, hanno preso i biglietti aerei per raggiungere Perth il prima possibile. Non hanno esitato quando gli ho raccontato l’accaduto…sono l’aiuto di cui necessitiamo!”
Il capofamiglia conclude così il suo discorso, tornando in casa pronto ad allestire le camere per i suoi figlioli.

Spiazzata e al contempo preoccupata per quello che potrebbe accadere, Nairobi scende dal mezzo e abbandona l’idea di ricercare Ginevra senza alcun piano o tracce importanti su cui indagare.

A passo lento raggiunge il consorte, notandolo alle prese con un letto e delle lenzuola pulite.

“Cazzo!” – esclama poi, dopo essersi accorto di averle sistemate al contrario.

L’armeno sta per cedere al pianto…Nairobi ne è certa… e quando lo vede accasciarsi a terra, con le mani sul volto, capisce la sua sofferenza e se ne colpevolizza.

Lo raggiunge, creando imbarazzo in lui.

“Non eri andata…?”
“Ho cambiato idea! Ti aiuto qui” – così dicendo, mantenendo sempre e comunque un tono distaccato, la Jimenez prepara la camera in un battibaleno.

La mattinata trascorre tra silenzi e assensi.

Dopo aver informato la scuola di una brutta influenza di Ginevra, unica scusa plausibile per giustificarne la non presenza, Bogotà si pone davanti alla tv.

Il notiziario è diventato qualcosa d’inguardabile, viste le tante notizie di cronaca.

Stanco di quel bombardamento emotivo, opta per cambiare canale. Però è Nairobi a ordinargli di non farlo, perché qualcosa ha attirato la sua attenzione.

“Alza il volume” – dice e l’uomo non esita a farlo.

La piccola Beth è sparita nel nulla da una settimana. I genitori sono terrorizzati. Non sanno cosa pensare. La madre teme che sia un rapimento per chiedere un riscatto. Intanto, altre sparizioni pongono in allerta l’area di Perth. Che ci sia un maniaco in giro? La polizia indaga. Vi terremo aggiornati

L’idea di Ginevra tra le mani di un folle esaltato, rapitore di bambini, terrorizza i due coniugi che guardandosi , turbati, si convincono che l’idea di Tokyo sia stata quella giusta.

“Ti prego devi venire qui assolutamente!” – scrive Agata a Sergio, poco dopo.

E la risposta del Professore non tarda ad arrivare – “Saremo lì domani! I Dalì stanno tornando…vedrai che andrà tutto bene, non temere e non perdere la lucidità. Sarebbe solo peggio…anzi! Non devi permettere che il tuo matrimonio risenta di questa faccenda. Chiaro?”

Le parole di Marquina toccano Nairobi nel profondo. Con l’aria alquanto amareggiata, la gitana posa lo sguardo sul marito, alle prese con il suo sigaro.

“Non avevi smesso di fumare?” – chiede.

“In momenti di grande tensione non posso non farlo! mi sfogo così” – commenta il saldatore.

In quel momento la Jimenez percepisce in lui la stessa sua fragilità.

“Avrei dovuto rimanere a casa ieri!”  - dice, cambiando discorso all’improvviso.

“Che dici?” – domanda l’uomo, confuso.

“Sì, ho dato la colpa a te sapendo che sarebbe potuto accadere anche se a casa ci fossi stata solo io!”

“No, tu sei più attenta. Con te non sarebbero scappati in giardino per nascondersi…”

“Adesso che Ginevra è chissà dove e chissà con chi, e adesso che la tua idea di riunire la famiglia è ciò che serve, penso che possa essere utile anche a me chiamare qualcuno d’importante”

“Sei sicura? Ti senti pronta a questo?” – Bogotá ha inteso immediatamente le intenzioni di lei.

La gitana annuisce.

Afferra il cellulare regalatole dai complici del professore, divenuti ormai amici, i loro protettori.

Compone un numero e attende qualche secondo.

Il telefonino squilla quattro volte…attimi paragonabili a un’eterna attesa.

Poi una voce risponde.

“Pronto?”

“Axel,  sono la mamma! Ho bisogno di un favore”

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Capitolo 5
*** 5 Capitolo ***


Nairobi e Bogotá hanno intenzione di riunire la loro grande famiglia allargata, ben coscienti dei rischi. Non hanno, però, altre scelte. È la soluzione al problema più grande d’affrontare, quello riguardo il segreto da mantenere sulle loro reali identità.

Ottenuta anche la conferma di Axel, possono ritenersi soddisfatti. Rivedere il suo primogenito, probabilmente, sarà la boccata l’aria di cui Agata ha bisogno.

Il piano prevede la collaborazione degli otto ragazzi, sconosciuti alle autorità mondiali, in quanto nessuno più di loro può agire di nascosto e indagare la scomparsa di Ginny senza destare sospetti.

“Sei felice che Axel venga qui?” – chiede Bogotà alla moglie, una volta sistemata casa.

“Felice non lo sarò mai, se non avrò i miei figli qui… tutti!” – precisa mantenendo un tono molto distaccato. Lasciando il marito sul pianerottolo, si avvia verso l’automobile.

Costretto dalle circostanze ad ingoiare l’ennesimo boccone amaro, il saldatore dei Dalì accetta l’ennesima sconfitta.  Quella che sembrava una pace, un riavvicinamento, non lo è affatto.

Segue la donna fino al mezzo, sul quale sale qualche secondo dopo. Entrambi si dirigono, così, verso la villetta dei Cortés-Oliveira.

Quando Tokyo apre loro la porta d’ingresso, resta piacevolmente sorpresa di vederli assieme. E così, approfittando di una distrazione di Nairobi, sussurra all’orecchio di Bogotá - “Avete chiarito, allora?”

L’uomo sospira profondamente, non approfondendo la questione. Le dice solo - “La situazione è stabile!”

Una volta pronti a rincasare, con i propri bambini, il saldatore annuncia agli amici la decisione presa, quella di convocare qualcuno di speciale per le ricerche di Ginevra.

“Volevamo dirvi che il Professore sarà qui domani e lo stesso vale per un team d’eccezione che spero siate felici di conoscere”

“Chi sarebbero?” – domanda Selene, confusa.

“I nostri figli!” – sono queste le parole chiarificatrici di Bogotá. Poche ma incisive, che colpiscono tutti, inclusi i figli che si guardano tra di loro confusi.

“Non capisco, papà!” – prende parola Alba.

“I vostri fratelli e le vostre sorelle verranno a Perth per aiutarci a riportare Ginny a casa!” – spiega il genitore, abbassandosi all’altezza dei bambini, guardandoli negli occhi.

Con tenerezza, li avvicina a sé e li abbraccia. Il loro profumo e la loro sola presenza sono ossigeno puro…e pensare che non si comportò mai da padre con gli altri sette figli, senza sapere quanto di bello avesse perduto! E sono stati proprio i suoi ultimi tre bambini ad insegnargli a diventare un papà e a godere delle gioie nell’esserlo.

Dopo quella scena tanto dolce e commovente, la famigliola si congeda.

Salgono a bordo della loro auto percorrendo quei pochi kilometri che li separano dalla loro villa.

C’è silenzio, fin troppo, durante quei minuti di tragitto, allora Bogotá, non sopportando quell’assenza di caos che, da sempre, invece, era solito udire e rimproverare ai suoi figli, accende la radio.

La musica a medio volume sembra riempire degli spazi in cui una voce mancante pesa sul cuore di tutti.

Casualmente viene tramessa una canzone in particolare. Una canzone che fa accapponare la pelle dei due adulti.

https://www.youtube.com/watch?v=ByfFurjQDb0

E quando Nairobi non sopporta più i tanti ricordi ad essa collegati, spegne l’apparecchio.

“La canzone preferita di Ginevra!” – commenta Alba, trattenendo il pianto, volgendo lo sguardo al finestrino per distrarsi da pensieri troppo forti da tollerare e sopportare alla sua giovane età.

Sebastìan, al contrario, è paralizzato dal suo dolore. Non ha aperto più bocca dalla sera precedente, e non manifesta reazioni di alcun tipo, neppure udendo la musica che la sua gemella era solita canticchiare con la sua voce angelica.

Bogotá con la coda dell’occhio scorge lo stato emotivo della consorte: le mani le tremano e lei cerca di controllarle, invano.

Con tenerezza, adagia la sua, staccandola dal cambio marcia, su quella di lei. Però quel gesto viene del tutto evitato.

Nairobi respinge la premura del marito, alimentando la tensione tra loro.

Accortasi di essere giunti a destinazione, è proprio la gitana la prima a scendere dal veicolo.

Aspetta i bambini e, prendendoli entrambi sotto la sua ala protettrice, entra in casa…non prima di aver osservato Bogotá, rimasto in automobile, solo con se stesso.

“Cazzo!” – esclama l’uomo, sfogando la sua rabbia, con dei colpi al volante.

Stanco di una situazione che gli appare surreale, riaccende il mezzo e sfreccia via.

Non ha una meta, non uno scopo preciso…sente che allontanarsi di casa è la cosa migliore per non esplodere.

“Papà dove è andato?” – domanda Alba, notando dalla finestra la fuga del genitore.

Nairobi non sembra dar peso al fatto e si limita solo a dire - “Avrà dimenticato qualcosa da zia Tokyo!”

Raggiunta la cucina, per distrarre la propria mente e quella dei figli, la Jimenez chiede loro di aiutarla a preparare dei biscotti. Sa che è difficile, visto lo stato d’animo che la attanaglia da ormai ventiquattro ore.  Eppure non vuole che tali circostanze complicate siano assorbite dai bambini, i quali, a loro volta, inevitabilmente, ne risentono.

Specialmente Sebastìan, chiusosi in se stesso, non si pronuncia in merito alla proposta della mamma: infatti, si siede al tavolo e guarda, impassibile, la donna cucinare assieme ad Alba.

E molti flashback gli balzano alla mente. Quante volte, assieme a Ginevra, si sono divertiti a impasticciare. Nairobi accendeva la radio e ballavano come matti e cantavano a squarciagola.

Agata è consapevole di non poter replicare quei momenti di allegria. L’allegria ha lasciato quelle mura quando Ginny è sparita. Non è giusto né normale ci sia gioia laddove si respira solo tanto dolore.

“Amore mio, assaggiane uno!” – dice la Jimenez al piccolo, porgendogli il vassoio, una volta sfornati i biscotti.

Il bambino, tanto simile a Bogotá nelle espressioni e nei colori della pelle e dei capelli, scuote il capo.

“Dai, sono buoni. Li abbiamo preparati come piacciono a te” – insiste la gitana.

Se c’è una cosa che Sebastìan non sopporta è la costrizione. Alla sua adorata mammina ha sempre ceduto, stavolta non lo fa.

Si arrabbia e lo mostra colpendo con forza il vassoio, lasciando che tutto cada a terra.

Proprio come la sera precedente, il gemello di Ginevra perde il controllo, scaraventando qualcosa sul pavimento.

Dispiaciuto e arrabbiato allo stesso tempo, corre nella sua camera, ignorando la madre e la sorella che, seguendolo, si preoccupano.

Bussano alla porta, tentano di farlo ragionare…eppure Sebastìan non risponde.

Sono i suoi singhiozzi, la prova di un pianto liberatorio.

“Sorellina mia, mi manchi dove sei?” – piange, strofinandosi gli occhi. Accucciato a terra, con le spalle alla parete, sfoga in solitudine la sua tristezza.

Prende un pezzo di carta e scrive una frase, per rassicurare le due persone che da almeno dieci minuti sono di fronte alla sua cameretta e gli parlano insistentemente. Dopo aver piegato il biglietto, lo infila sotto la porta, permettendo ad Alba di afferrarlo.

“Voglio stare da solo. Mammina, non ti arrabbiare, ti prego”  - legge l’undicenne, mostrando il foglio alla madre.

E così, accettando il volere del bambino, le due tornano in cucina. Nairobi sente le sue certezze frantumarsi ogni ora che passa… tra queste certezze, teme che perfino l’arrivo dei Dalì o dei ragazzi di Bogotà e di Axel, non possano cambiare le cose.

Vivere un trauma tanto forte e intenso, muta le persone… e tale mutamento può causare la fine di molte cose… soprattutto delle relazioni umane!  

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Capitolo 6
*** 6 Capitolo ***


La giornata trascorre in apatia, tra delle mura diventate una vera e propria prigione che alimenta l’agonia di chi vi abita.

Sebastìan non abbandona la sua stanza, tanto che Nairobi si vede costretta a lasciargli la cena a pochi passi dalla cameretta, adagiando un vassoio su un piccolo mobile di legno lì accanto.

Alba,invece, indossa le grandi cuffie regalatele al compleanno dagli adorati zii, Tokyo e Rio, e si isola nel suo mondo fatto di musica o cinema. Ama guardare film e serie tv, grazie ai quali è in grado di sognare di trovarsi in  una realtà diversa da quella che sta purtroppo vivendo.

Dal canto suo, Agata, rimasta in cucina a lavare le stoviglie, anche quelle già pulite, trova sfogo alla sua frustrazione nella pulizia e nel riordino di vecchi libri sulle mensole del salone. È proprio quando sistema raccoglitori vari, si imbatte, senza volerlo, in un album dalla copertina bianco perla, sulla quale si possono rilevare e palpare i calchi di due fedi nuziali.

La gitana, nostalgica, lo apre vogliosa di assaporare, tramite i ricordi, dei momenti di felicità pura…una felicità guadagnata dopo difficoltà che credeva insormontabili.

La prima fotografia mostra, in un solo scatto, l’amore che lega la donna a Bogotá, uomo che inizialmente non apprezzava, se non sul piano professionale.

Non ti toccherei nemmeno con un palo” – quella frase rivolse anni addietro all’attuale marito, dandogli un amaro due di picche, riecheggia nelle sue orecchie, ricordandole quanto fosse stata scontrosa con un uomo che perse la testa per lei dopo solo qualche ora di conoscenza.

La dolcezza del saldatore, all’apparenza un casanova senza scrupoli, la conquistò e la cambiò totalmente. Abbassò quelle mura difensive che si era costruita dopo aver sofferto molto e si aprì all’amore vero.

Ricordi quando ti ho detto che non ti avrei toccato neanche con un palo? Beh…ci sto pensando” – anche quel momento si fece vivido alla mente della gitana, accendendo in lei un timido sorriso.

Sfiorò la fotografia, come a voler assorbire la gioia di quel giorno, impresso nella sua memoria. Delle nozze organizzate in maniera bislacca, come sono soliti fare tutto nella vita i Dalì. E Nairobi sapeva bene, quando accettò la proposta del saldatore, che il matrimonio avrebbe avuto dei limiti: niente chiesa addobbata di fiori e di un lungo tappeto rosso, niente ristorante con feste e numerosi invitati, nessun parente … beh di questo la Jimenez non soffrì sicuramente, visti i rapporti inesistenti sia con la madre che con il padre.

Mentre scorre le pagine dell’album fotografico, con le lacrime agli occhi, la gitana non può non sentire il desiderio di tornare a quei momenti speciali, quando Tokyo fu la sua testimone e Rio quello di Bogotá. Alba aveva due anni all’epoca e indossava un vestitino bianco di tulle, con un cerchietto di fiori tra i capelli, già molto lunghi e voluminosi, corposi come quelli della sua mamma.

Innamorata di quell’immagine scattata alla damigella, mano nella mano con Selene, la Jimenez nota una forte somiglianza tra la figlia e Bogotà. Hanno la stessa carnagione, lo stesso colore di capelli, persino lo stesso sguardo.

“Il mio angioletto” – commenta ad alta voce, riferendosi ad Alba seduta sulle gambe di Tokyo, durante la cerimonia.

Continua la visione dell’album ed ecco che torna a bloccarsi…stavolta davanti all’immagine di un bacio che segnò un SI per la vita, un bacio che aveva il sapore del tanto desiderato happy ending.

Il giorno più importante della sua vita, Nairobi lo trascorse in condivisione con i suoi testimoni nonché migliori amici e due persone, ormai di fiducia, considerate protettrici delle identità dei quattro Dalì giunti a Perth: Carmen e Adam Johnson,  lei spagnola, lui australiano. Sono stati proprio i due, conoscenze di Sergio Marquina, a dare ai Dalì residenti a Perth la giusta protezione, oltre che delle false identità… per l’ennesima volta!

“Da oggi in poi, qui in Australia sarete i signori Sanchez!” – fu quello che venne comunicato alla coppia, subito dopo la celebrazione. Anche la loro prole avrebbe portato quel cognome.

La gitana , fissa con lo sguardo sull’album, non si accorge che Bogotá è rincasato.

L’uomo, a passo lento, percorre i pochi metri che lo separano proprio dal salotto dove la donna, seduta sul divano, rispolvera vecchi ricordi.

L’ex saldatore spia la moglie, osservandola commuoversi. È spiazzato nel guardarla sfogliare l’album del loro matrimonio, e fingendo di non aver notato quel dettaglio, manifesta la sua presenza lusingandola - “Sei bellissima”

Non resiste nel dirlo, vedendola talmente splendida nella sua fragilità.

Quel complimento fa sobbalzare Nairobi che, si volta verso di lui e chiude subito l’album di foto, nascondendolo sotto il cuscino del sofà.

“Sei tornato?! Cosa hai fatto fino a quest’ora?” – il tono di rimprovero, sminuisce l’apprezzamento sincero dell’uomo alla sua compagna.

“Avevo bisogno di stare da solo! Però guardandoti lì, preda delle tue emozioni, mi sono accorto che non mi fa stare bene la solitudine…” – lento avanza verso la consorte e le si siede vicino.

“Se hai fame, c’è del pane e del prosciutto…” – commenta lei, alzandosi in piedi.

Fa per andarsene, ma stavolta è Bogotà a impedirle di farlo.

“Aspetta, ti prego” – la prende per mano, trattenendola.

“Cosa vuoi? Ho sonno, lasciami andare a dormire. Domani arriverà la squadra e dobbiamo essere in forze! Starmene a casa qui a non fare un cazzo mi fa solo più male…almeno tra 24 ore daremo il via alle ricerche. Abbiamo aspettato anche troppo…” – così dicendo, allenta la stretta del marito e si dirige nella stanza degli ospiti, la stessa nella quale ha pernottato la sera precedente.

“Per quanto tempo pensi che dormirai in un letto che non è il nostro?” – replica il saldatore, costatando i fatti.

“Buonanotte!” – Nairobi non ha voglia neppure di replicare. Chiude la porta e si libera immediatamente della maglia che ha indosso.

Non immagina che il marito avrebbe invaso la sua privacy proprio in quell’istante.

“Nairo…ascolta” – dice, piombando nella camera.

“Ma che cazzo…?!”  - esclama la gitana, arrabbiandosi.

“Scusami, volevo solo chiarire che…”
“Ti ho detto che ho sonno. Voglio dormire, puoi uscire per favore? Prima che mi incazzi sul serio. Mi conosci, sai come divento quando mi arrabbio. Adesso esci…” – gli indica la porta.

E quando è a pochi passi dall’uscita, il capofamiglia scuote il capo, fortemente deluso dalla consorte – “Se non mi ami più, basta dirlo!”

“Che?!”

“Perché cazzo guardi le fotografie del nostro matrimonio se invece non provi più nulla?”

“Cosa stai dicendo? Non capisco” – finge lei, appurando che l’album che lei ha nascosto con premura per non essere scoperta nel momento di fragilità, è stato invece scoperto.

“Ti ho vista prima! E conosco quell’album alla perfezione. Lo guardo spesso anche io, sai? Mi ricordami di quando eravamo felici! Perché non vuoi più avermi vicino?”

“Basta!” – replica lei, non sopportando parole che le appaiono assurde. Certo che lei ama Bogotà, anche se il suo comportamento dice il contrario.

“Basta lo dico io! Se mi ami davvero, se tieni a me, stanotte non dormi qui dentro. Dormi accanto alla persona a cui hai detto SI sull’altare. Io ho bisogno di averti accanto, di sentire che ci sei. Affrontare un momento così difficile da solo è un suicidio. Sai che è così. Siamo marito e moglie e i problemi li affronteremo uniti. Sbaglio o sei stata proprio tu ad insegnarmelo? Mi hai detto più volte che io fuggivo dalle responsabilità e dalle difficoltà…bene, eccomi! Io ci sono, li sto affrontando…sei tu quella che scappa…” – lo sfogo di Bogotà paralizza Agata che, rimane in silenzio, con gli occhi bassi.

“Se mi vuoi ancora, sai dove trovarmi!” – conclude lui, chiudendosi la porta alle spalle.

E Nairobi, sola di fronte ad una stanza vuota, si accascia a terra e scoppia a piangere.

Bogotá, invece, torna in salotto e tira fuori dai cuscini del divano l’album nascosto da Nairobi. Si getta a fondo nei ricordi, speranzoso che solo quelli possano placare il suo animo.

È tarda notte quando il saldatore si corica, costatando che il letto è vuoto.

Sua moglie ha deciso ormai…e ha deciso di fare a meno della sua presenza!

Affranto, si libera della camicia, indossa i pantaloni del pigiama e una canottiera nera, si sdraia nella sua postazione abituale, spegne la bajour sul comodino e chiude gli occhi.

Difficile dormire, pensa tra se e se eppure senza rendersene conto, cade tra le braccia di Morfeo, esausto fisicamente, psicologicamente ma soprattutto emotivamente.

***************************************************

E’ quasi l’alba e Nairobi viene svegliata di soprassalto da un incubo.

Due occhi agghiaccianti e una voce inquietante  la fanno tremare

“Hei meticcia, ti avrei detto che ti avrei uccisa”

Sudata e tremante, sobbalza dal letto, pronunciando il nome di un essere mostruoso che la torturò, voglioso di toglierle la vita.

“Gandia”  - anche solo menzionarlo sembra risvegliare nel suo corpo l’ansia vissuta.

E così istintivamente, i suoi piedi e la sua testa la conducono in un’altra camera da letto.

Entra, senza far rumore, proprio nella sua stanza matrimoniale dove il marito dorme.

Avrebbe potuto chiamarlo o chiedere conforto tra le sue braccia. Eppure avverte, nuovamente, un freno.

Così, trova un’altra soluzione. Raggiunge Alba e si stende accanto a lei.

“Mammina, che succede?” – domanda l’undicenne, svegliata di soprassalto dalla figura materna.

“Shhh torna a dormire!” – le sussurra, accarezzandole il viso con dolcezza.

E la bambina approfitta del momento, accoccolandosi al petto della donna.

L’abbraccio che la Jimenez cercava per tranquillizzarsi le è servito a chiudere gli occhi di nuovo e cedere al sonno.

*******************************

E’ tarda mattinata quando la Jimenez si sveglia, di soprassalto, rendendosi conto di essere sola nel letto.

“Cazzo!” – esclama, controllando poi la sveglia sul comodino – “Ma è tardissimo!”

Trova un biglietto sul cuscino di Alba e lo legge ad alta voce.

“Dormi pure, mammina! Noi siamo con zia Tokyo”  - a comunicazione serve a tranquillizzarla circa l’assenza della figlia.

Così, il più rapidamente possibile, indossa le sue babbucce e corre in bagno per una doccia.

Questo giorno è speciale: avrebbe riabbracciato i Dalì e conosciuto finalmente i sette figli di Bogotà…ma soprattutto, rivedrà il suo adorato Axel.

Veloce come la luce, raggiunge la cucina mentre sistema una pinza tra i capelli.

C’è del caffè caldo già pronto e una tavola ben imbandita di cibo e bevande.

Si siede e sgranocchia i biscotti preparati la sera prima. All’improvviso viene attirata da alcune voci in giardino.

Sbircia dalla finestra e le basta poco per riconoscere che a parlare con Bogotà sono persone fin troppo familiari.

Gli occhi di lei si illuminano e, senza esitazione, corre fuori casa diretta proprio verso un gruppetto di gente.

“Professore” – grida di gioia, andandogli incontro.

Sergio Marquina, sempre uguale nel look e nel portamento, tranne per alcuni capelli brizzolati, l’accoglie in un abbraccio. Sempre rigido come quando Nairobi lo conobbe la prima volta, l’intellettuale fratello di Berlino si emoziona nel rivederla.

E ovviamente, come stabilito, non c’è solo lui… Agata in un battibaleno si trova accerchiata da Lisbona, Denver, Stoccolma, Helsinki, Palermo…

“Siete venuti tutti!” – piangendo, li abbraccia uno ad uno, ringraziandoli di cuore per aver messo a rischio, per l’ennesima volta, la loro libertà.

“Scherzi, vero? Sai che siamo venuti qui perché ci mancavi da morire” – ridacchia Denver, sdrammatizzando. Probabilmente la sua presenza sarà fondamentale per smorzare la tensione ogni volta che si toccherà l’apice.

Tokyo e Rio, assieme ai Johnson, raggiungono il gruppo poco dopo.

Una volta entrati tutti in casa, i Dalì si trovano di nuovo di fronte a una missione e mai come in quella circostanza, sentono di dover dare il massimo.

“Ginevra tornerà qui, state tranquilli. È una promessa” – così Sergio conforta gli amici.

“Hai qualche idea su chi potrebbe essere stato? Magari se qui vive qualcuno della polizia che vuole catturarci!” – chiede il saldatore al Professore.

“Dubito, però bisogna scovare delle tracce. Innanzitutto la prima cosa da fare è chiedere quanto più possibile all’ultima persona che ha avuto contatti con Ginevra…” – sostiene il Marquina.

“Sebastìan!” – afferma Bogotà, ricordando che i gemelli erano assieme al momento della scomparsa.

“Deve raccontarci ciò che sa! E’ un modo per cominciare altrimenti rischiamo di perdere ancora del tempo prezioso” – aggiunge Lisbona, intromessasi nella conversazione tra i tre.

Nairobi, presente ma di poche parole, sente in cuor suo che nulla sarà facile come previsto. Il suo bambino si è chiuso in se stesso, non parla…come possono costringerlo a rivelare dettagli utili alle ricerche?

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Capitolo 7
*** 7 Capitolo ***


I Dalì sono finalmente, di nuovo, tutti assieme. Quante volte ciascuno di loro sognò una bella rimpatriata, resa impossibile dalle regole del Professore: non uscire dai confini del continente che li ospita, tutelare la propria identità, non mettere più a rischio la copertura, come già successe con Rio in passato.

“Amici miei, mi siete mancati da morire!” – confessa Denver, seduto su una poltrona in salotto, dove sono radunati gli uomini.

“A chi lo dici. Noi fortunatamente abbiamo vissuto con Nairobi e Bogotà, o sarebbe stato un dramma. Tokyo, specialmente, dopo il casino combinato ai Caraibi, quando mi catturarono, ha pensato bene di trasferirsi nella stessa città della sua migliore amica per averla accanto 24ore su 24” – spiega Cortés – “Pensate che onore poter essere i testimoni di queste due meravigliose persone” – aggiunge, ricevendo una pacca sulla spalla proprio dal padrone di casa, lusingato dalle belle parole.

“Peccato che non abbiamo assistito al matrimonio! La mia Nairo mi raccontava sempre, quando eravamo in Argentina, di desiderare delle nozze uniche” – Helsinki si commuove, ricordando l’assenza da un giorno tanto speciale per quella che considera sua sorella minore.

Palermo, rimasto in piedi, si siede accanto al serbo e gli sorride in modo particolare. Quel dettaglio è subito colto dal saldatore che commenta, piacevolmente sorpreso - “Cazzo, voi due state insieme ?”

“Ho penato tanto, e alla fine si è innamorato!” – Helsinki dà la conferma, ridacchiando.

“Smettiamola di parlare di argomenti così, sapete che odio le smancerie in pubblico…” - si imbarazza l’ex leader della Banda, ed evita di approfondire la questione.

Tra una chiacchiera e l’altra, il padrone di casa, intenzionato a rendere partecipi i suoi compagni di un momento unico a cui non hanno partecipato, mostra loro il famoso album nuziale porgendolo proprio a Helsinki, il quale si emoziona subito guardando la sposa – “Nairobi è un incanto. Era bellissima con quell’abito” – nessuno ha mai conosciuto quel lato tenerone del serbo, probabilmente solo la Jimenez!

“Già, è stato un momento indimenticabile” – commenta Bogotà, incupendosi subito dopo.

“Che succede? Come mai quella faccia?” – a prendere parola è il Professore, rimasto in silenzio fino ad allora. Lui, infatti, sospetta la crisi tra i due e precisa – “Avevo scritto ad Agata di non permettere che la situazione potesse destabilizzare la vostra relazione…”

“Lo so, però non capisco perché, lei sta facendo esattamente questo! Sta mandando a puttane tutto quanto”  - si confida Bogotà, lasciando emergere le sue debolezze e i suoi dubbi.

“Non demordere. Nairobi è una donna orgogliosa. Non ama mostrare fragilità… tu non cedere. Se percepisce che da parte tua non esiste più nulla, sarà la prima a chiudere. Questo va impedito…” – il consiglio viene da Helsinki, che, dopo aver vissuto con la Jimenez per due anni, ha imparato a conoscerla bene – “Sei suo marito, non permettere che lei si autodistrugga e distrugga la vostra storia!”

In quel momento, voci femminili che avanzano verso di loro, pongono fine alla conversazione. Tokyo e Stoccolma raggiungono i compagni con un vassoio di dolci e una caffettiera fumante.

“Ecco uomini, assaggiate. La nostra Nairo è anche una buona cuoca! Assaggiate questi biscotti, sono squisiti” – sostiene Monica, sedendosi sulle gambe del marito.

“Ehi vi ricordate quando preparò la paella e io brontolai che era una porcheria…” – dice Denver, rammentando i vecchi tempi. La sua risata contagia i presenti. La Gaztambide invece gli dice – “Che scemo che sei! Non apprezzi nulla”

“Apprezzo te, mi amor” – aggiunge lui, baciandola sulle labbra.

Assieme alle due ex Dalì è giunta anche Alba, con delle tazze da caffè vuote nelle quali versare la bevanda. La bambina ascolta con piacere le battute e l’allegria del gruppo, tornando a respirare aria pulita e serenità. Ha lo sguardo rilassato e non mostra disagio alcuno ad avere gente sconosciuta in casa. Bogotà la guarda fiero e tira un sospiro di sollievo, costatando che almeno un pezzo della sua famiglia ha abbandonato lo stato apatico. Infatti, l’undicenne seppure timida e riservata, non ha avuto difficoltà ad aprirsi, specialmente con Monica, nota per la sua dolcezza.

“Tua figlia ti somiglia molto, sai?” – sussurra Palermo al saldatore, complimentandosi poi per l’educazione della piccola e per la sua bellezza, gonfiando d’orgoglio ancor di più il suo papà.

******************************

La gitana è ancora in cucina assieme a Lisbona, rimasta con lei sapendola triste e sconfortata. Per evitare di toccare il tasto dolente dell’amica, la Murillo affronta un argomento che crede sia fonte di gioia…purtroppo sbagliandosi alla grande.

“Bogotá ,poco fa, mi ha raccontato che anche Axel si unirà alla Banda! Sarai contenta di riabbracciarlo, vero?”

La Jimenez annuisce, non aggiungendo altro. La mente è talmente assorta tra pensieri più disparati, da non dar peso a una questione che invece non solo le sta a cuore ma che la rende segretamente felice.

Raquel è spiazzata da quella reazione, così spenta, così atipica. La Nairobi che conosceva, una combattente, una vera Leader, la forza della natura della banda dei Dalì, pronta a reagire di fronte alle avversità, ha lasciato spazio ad una donna svuotata di ogni emozione, priva di luce e di voglia di fare.

Le ragioni di tale mutamento sono comprensibili e, proprio per questo, la Murillo accetta senza repliche la freddezza dell’amica nei suoi riguardi.

Tra le due cade il silenzio. Un silenzio pesante che taglia l’aria, creando una strana tensione. E Lisbona, vogliosa solo di dare una mano e aiutare la compagna in difficoltà, le pone una domanda che, probabilmente, se avesse saputo, non avrebbe mai posto.

“Come va con Bogotà? Vi trovate bene qui in Australia?”

Ecco… senza volerlo ha toccato una questione alquanto scomoda: la relazione con il marito.

Nairobi vorrebbe rispondere che tutto procede alla grande, che vivono sereni e contenti. In fondo era così che procedeva prima della sparizione di Ginevra.

Fino a due giorni prima, tra loro c’era la solita sintonia, il solito smisurato amore che non nascondevano davanti ai bambini, scambiandosi tenerezze e coccole.

Tale questione tocca corde profonde del suo povero cuore devastato, in quanto tutto ciò è venuto a mancare e sa benissimo di essere la sola responsabile.

Proprio perché cosciente di ciò e preda di un forte senso di colpa, sbadatamente, la gitana si distrae e rovescia, in parte, la caffettiera sul tavolo, preda di un momento di nervosismo che difficilmente passa.

“Cazzo, me ne andasse una nel verso giusto” – esclama, furiosa.

Per contenersi, nasconde il viso tra le mani; questo mentre l’ex ispettrice di polizia si appresta a pulire rapidamente il danno.

“Tranquilla, ci penso io”  - mai come allora, Raquel aveva visto Agata in quello stato.

Certo, le due non si erano mai conosciute fino in fondo. Probabilmente fu la mancanza di una vera amicizia a non dar modo a Nairobi di sfogarsi come avrebbe potuto e dovuto.

“So che non siamo molto amiche, però vorrei che tu sapessi che ci siamo tutti, per qualunque cosa abbiate bisogno! Non devi arrenderti, una roccia come te non l’ha mai fatto, non devi cedere adesso” – la consola. poi aggiunge -  “ Se hai bisogno di parlare, ci sono”

In quel momento, la gitana approfitta della poca confidenza con la ex ispettrice e irrazionalmente la abbraccia.

Quel gesto nasconde un forte dolore e Raquel lo percepisce sulla pelle, con tale intensità da avvertire il cuore schiacciato da qualcosa di talmente grande da non poter essere spiegato a parole, ma solamente sentito nell’anima.

Poi un’esternazione di Agata, emersa senza volere alcuno, fa sussultare Lisbona.

“Non ce la faccio più, sto impazzendo!”

“Allora tira fuori ciò che provi, non tenere nulla dentro. Non frenare le tue emozioni. Cosa senti che ti pressa e che ti impedisce di respirare? Dillo, liberatene… è la medicina giusta al tuo malessere!”

Ed è proprio in quell’istante che Nairobi pronuncia delle parole dure e pesanti, che pietrificano Lisbona.

“Sono morta dentro! Ecco cosa succede… ho perduto parte di me stessa quando ho perduto Ginevra"

Come si può consolare una madre con banali discorsi? Pensa Raquel, riconoscendosi impotente di fronte a tanta sofferenza. Può solo limitarsi a dirle - “Abbi fede, risolveremo tutto”

In quel momento la figura di un bambino compare sull’uscio della cucina e viene immediatamente notata dalla Jimenez.

“Sebastìan! Amore mio, sei uscito dalla tua camera finalmente!” – esclama la donna, sciogliendo l’abbraccio con Raquel, dirigendosi verso suo figlio.

Si inginocchia di fronte a lui, specchiandosi nei suoi grandi occhi scuri. Lo accarezza dolcemente e gli apre le braccia in attesa di accoglierlo a sé.

Il gemello di Ginevra, dopo aver udito il vociare di gente in casa, ha pensato di raccogliere il coraggio e confrontarsi con coloro chiamati a riportargli la sua amata sorellina.

Rimasto in silenzio, si limita ad osservare la sconosciuta, ovvero Lisbona.

“Ciao, tesoro! Sono Lisbona, sono una dei Dalì. Piacere di conoscerti” – la Murillo si presenta, con fare materno, sorridendo al bambino.

Sebastìan, però, in risposta, si accoccola al petto materno.

Raquel ricorda ad Agata che il bambino può aiutare a smuovere le ricerche di Ginny, e così, tra le braccia della sua mamma, il figlio di Bogotà e Nairobi viene condotto dai Dalì, in salone.

“Vi presento Sebastìan” – dice la gitana, una volta raggiunto il gruppo.

“Sei tu Seba! Il tuo papà mi ha parlato tanto di te, sai?” – lo saluta Helsinki, porgendogli una mano.

Il bambino si ritrae accucciandosi alla madre.

“Ti va di raccontare a questi amici cosa è accaduto quando hai visto Ginevra salire su quell’auto?” – lo prega Nairobi, addolcendo il tono di voce.

È necessario agire il prima possibile, e Sebastìan deve assolutamente sbloccare quello che appare a un vero e proprio mutismo selettivo.

Lui scuote il capo, non intenzionato ad aprire bocca.

A quel punto, il Professore avanza verso di lui.

“Ti va di vedere un gioco?” – tira fuori dal taschino un pezzo di cartoncino rosso.

“E’ stranissimo quest’uomo! Mi domando come mai ha quella roba nella giacca” – puntualizza Tokyo, ridacchiando e creando ilarità nei compagni a lei vicini, Denver e Rio.

“Ecco, guarda! Adesso farò una magia. Questo pezzo di carta diventerà un cigno. Ti va di vederlo?”

L’idea incuriosisce Sebastìan che finalmente sembra cedere e volge lo sguardo sul Marquina.

Così, il professore con il suo talento innato per gli origami, riesce a conquistarlo – “Se vuoi ti insegno”

Il bambino, entusiasta, accenna un sorriso e quella reazione colpisce piacevolmente tutti.

In primis, i suoi genitori non contengono la commozione.

Bogotà istintivamente guarda la moglie, cercando i suoi occhi.  E finalmente Nairobi ricambia lo sguardo.

“Sai che il tuo aiuto è importantissimo per trovare la tua sorellina?” – chiede Sergio al gemello di Ginevra, mentre si cimenta nella realizzazione di un aeroplano.

Il bambino non risponde, si limita a fissare gli origami creati dalle mani di quello che per lui è un mago.

“Se mi aiuti ne creiamo uno insieme per Ginny, così quando tornerà lo troverà sul suo lettino. Che ne dici?”

I Dalì, in piedi ad ascoltare e sperare in una reazione positiva, si sciolgono quando Sebastìan, dopo attimi di tentennamento, alza il capo e annuisce.

“Quindi è un SI?” – insiste il Prof, intenzionato a farlo parlare a tutti i costi.

“Si” - Seba trova la forza e il coraggio di rispondere. Si avvicina al professore per abbracciarlo, in segno di gratitudine – “Fai una magia, signor Mago. Porta qui mia sorella”

Riascoltare la voce del suo bambino e la richiesta che lui pone a Sergio, fanno crollare emotivamente Nairobi che, non contenendo il pianto, si allontana.

Non vuole essere compatita né vuole spaventare suo figlio, così si nasconde in veranda.

Accovacciata a terra, accanto ad una casetta per bambini, comprata da Bogotá mesi prima per i gemelli, sfoga le sue emozioni.

E mentre le lacrime le scivolano sulle gote, senza sosta, per l’ennesima volta, si accorge di qualcosa proprio accanto alla “Casetta” colorata.

“Questo cos’è?” – si chiede, asciugandosi le guance bagnate con il dorso della mano, mentre con l’altra afferra il bigliettino.

Cara Ginny, il mio papà ci porterà al parco domani, veniamo a prenderti davanti casa. Non mancare, mi raccomando” – legge ad alta voce.

“Cazzo!” – esclama Agata, alzandosi in piedi.

Si dirige, spedita, verso i Dalì i quali sono alle prese con Sebastìan.

“Hai detto che Ginny ti ha confessato che aveva un appuntamento?”

“Si, non so con chi… non me l’ha detto” – precisa il piccolo.

A quel punto, interviene la Jimenez - “Forse chi l’ha invitata è la persona che ha scritto questo biglietto” – mostra il foglio che ha tra le mani, porgendolo al Professore.

L’uomo lo esamina e commenta - “La grafia non è quella di un minore. Il che è strano, perché sarebbe potuto essere un semplice invito di una o di un compagno di scuola!”

“Dove l’hai trovato?” – sussurra Bogotà alla moglie.

“In veranda! Cazzo, Bogotà…e se avessimo la prova sotto gli occhi e non ce ne rendiamo conto?”

“Calma, appena arriveranno i nostri figli, setacciamo tutta casa! Bisogna agire,basta perdere altro tempo prezioso!”

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Capitolo 8
*** 8 Capitolo ***


Nelle ore seguenti, i Dalì si confrontano su come agire. Il Professore sa bene che uscire insieme può smuovere le acque, agitando una situazione che hanno faticato a rendere stabile con gli anni.

Per tale motivo, divide il gruppo: una parte di questo setaccia l’abitazione, raccogliendo quanto di più utile su Ginevra, le amicizie  e la sua routine.

Lui, invece, si occupa di ascoltare le testimonianze della famiglia della bambina scomparsa.

“Stiamo andando, vi daremo notizie appena possibile” – Monica avverte i compagni di Banda, accingendosi ad uscire dalla villa.

“Dove vanno?” – domanda l’undicenne, confusa, al Marquina.

A quel punto, Sergio spiega - “Sebastìan, ci ha dato un’informazione importante. Ha detto che Ginny aveva un appuntamento con qualcuno. Questo fa presumere che abbia accettato, sia salita su quell’auto perché conosceva la persona che l’ha invitata al parco. Adesso, Stoccolma e Denver, così come Tokyo e Rio, si recheranno in tutti i giardinetti della zona, chissà…magari rileveranno dettagli incisivi”  

Nairobi e Bogotá, rimasti i soli Dalì nel salotto assieme al Professore, attendono di essere “interrogati” dal loro boss.

“Vorrei mi raccontaste, voi in primis, come andò la faccenda…” – afferma l’uomo, che ha tra le mani penna e quaderno, precisando poi  – “… e dopo vorrei trovare il modo giusto per lasciare che sia Sebastìan a farlo”

Il tic agli occhiali, che l’adulto ripete spesso, affascina i bambini presenti che, non prestano attenzione alle sue parole, piuttosto al suo modo di fare così particolare, qualcosa di mai visto prima.

Infatti, è Alba a sussurrare al fratellino - “E’ un poco strano, non pensi anche tu, Seba?”

“E’ un mago, ecco perché lo è!” - risponde l’altro, avvicinandosi all’orecchio della sorella maggiore.

Quando prende parola Bogotá nel riferire la sua versione dei fatti, Nairobi chiede silenzio ai due figli presenti.

Così l’ex saldatore dei Dalì, schiarendosi la voce, racconta - “Quel giorno Nairobi portò i nostri figli a scuola. Poi raccomandò me di andare a prenderli alla fine delle lezioni perché aveva un impegno. Arrivammo a casa e trovai Tokyo all’esterno della villa; mia moglie le chiese di aiutarmi con i bambini, sapendo bene che, se si trattava di compiti per la scuola, erano molto disobbedienti!” – rivela il saldatore, volgendo gli occhi su Seba che, dispiaciuto, china il capo subito dopo – “ Così io e Selene ci siamo adoperati per il pranzo, la sistemazione della casa, e per avviare la fase più complicata… quella dello studio. Ricordo che mi allontanai perché Ginevra mi chiese di prepararle la merenda. Tokyo era con Alba in quel momento. Allora io scesi in cucina, presi del pane e della Nutella, e una volta tutto pronto, salii al primo piano, entrando nella camera dei gemelli…” – in quel preciso istante, il capofamiglia sentì un tonfo al cuore. Rivivere, a parole, quanto accaduto lo mette duramente di fronte alla realtà dei fatti e gli rammenta quanto sia stato sciocco da parte sua lasciarsi “manipolare” dai gemelli.

“Tranquillo, amico. Nessuno è qui per giudicare…cosa è accaduto dopo?” – il Professore gli è vicino e affettuosamente, anche troppo per un uomo rigido come lui, posa una mano sulla spalla del compagno di squadra.

Agata invece osserva la scena con un nodo alla gola. Ricordare fa male, ma venire a conoscenza di come le cose sono andate, annienta definitivamente.

Dopo un respiro profondo e alcuni attimi di silenzio, Bogotà riprende – “Trovai la stanza vuota, allora pensai subito che stessero giocando a nascondino. È capitato più volte, perciò non gli ho dato il giusto peso. Ho cercato nelle varie camere, in veranda, dentro la casetta di plastica che gli ho regalato qualche tempo fa. Nulla. Erano scomparsi. Così sono uscito in giardino…”

“E non hai notato nulla di preoccupante?” – si intromette la Jimenez. In fondo, è lì, a pochi passi dal cancello, che Ginevra è stata vista da Sebastìan.

La domanda della donna è lecita, e la risposta del marito è tutt’altro che esplicativa – “Non mi sono accorto di niente!”

Gli occhi sgranati della gitana lasciano intendere la delusione di fronte a tali parole.

I coniugi, se non ci fossero stati i figli, avrebbero certamente discusso in merito. Però per il bene dei bambini evitano bisticci e ulteriori tensioni.

“Continua pure, Bogotá” – lo invita Sergio, facendo cenno ad Agata di calmarsi perché il suo volto e la sua tensione emotiva sono ben evidenti e percepibili.

“Si, dicevo che ho controllato tutta casa, senza nessun risultato. A quel punto ho pensato che li nascondesse Tokyo. L’ho raggiunta ed era ancora assieme ad Alba!”

“Confermo, io e zia stavamo studiando. Mi aiutava con degli esercizi di matematica” – interviene l’undicenne.

“Deduco che Selene abbia negato, giustamente. E poi cosa è successo?” – aggiunge il Prof.

“Abbiamo cominciato a cercare di nuovo, sotto i letti, negli armadi… era fin troppo strano che nessuno dei due saltasse fuori e venisse scoperto” – spiega Bogotá – “ Le ricerche hanno coinvolto anche Alba. E’ stata lei ad arrivare poco dopo con Sebastìan.. lì è iniziata la nostra disgrazia”

Quelle parole fanno tremare tutti i presenti, bambini inclusi.

Solo udendo tali dichiarazioni, Nairobi viene al corrente dell’accaduto e di come sono stati vissuti quei minuti di panico dal consorte.

Ma quel punto tocca a lei parlare. Il suo intervento è breve, essendo lei assente nel momento dei fatti.

“Ero da un ginecologo quel pomeriggio. Sapendo dell’impegno, ho chiesto a Tokyo di dare una mano a Bogotá. Chi avrebbe mai pensato che una bambina potesse sparire nel nulla sotto la vigilanza di due adulti!”

“Non mi hai mai detto che andavi dal ginecologo” – il saldatore non è a conoscenza di un dettaglio che la donna gli ha tenuto nascosto, così gli sembra più che lecito farle tale domanda.

“Nulla d’importante” – e la consorte svaluta il fatto.

“Come nulla di importante, mamma?” – è Alba a parlare, in quanto la sola, assieme alla Oliveira, messa al corrente della visita medica della madre, e dell’esito della stessa.

“Ehm… ok, credevo di essere incinta. Ma tutto ok, tranquillo!” – confessa.

“Cosa?” – quella scoperta lascia Bogotá di sasso.

“Amici miei, vi consiglierei di fare attenzione quando, insomma, mi avete capito!” – Sergio puntualizza, imbarazzato, riferendosi ad attenzioni durante i rapporti intimi,  per poi zittirsi ricordando la presenza di minori.

“Beh dubito che il rischio si ripresenti da qui in futuro!” – commenta la Jimenez, che torna al suo discorso, ignorando il peso dello sguardo del compagno su di sé.

Il capofamiglia continua a fissarla, incredulo di fronte alla persona che ama e che non riconosce più.

Con poche parole, Nairobi termina la sua testimonianza.  Sedutasi accanto al consorte, ascolta le domande che Sergio pone ad Alba la quale risponde in modo attinente al racconto paterno.

Mentre la bambina parla, i due coniugi non si rivolgono parola. C’è fin troppa tensione nell’aria e Bogotá sente di esplodere da un momento all’altro.

“Esco un attimo per fumare” – comunica, alzandosi bruscamente dal divano, diretto alla veranda.

Sente l’esigenza di scaricare il nervosismo, ormai alle stelle.

Bogotá del passato avrebbe già mollato la presa, ricostruendosi una vita nuova altrove. Ad oggi, qualcosa lo tiene fermo con i piedi per terra. E sa bene cosa è questo “qualcosa”: l’amore per la sua Nairobi. Lui continua ad amarla, nonostante lei lo tratti come uno straccio, anche se la vede così diversa rispetto a quando l’ha conosciuta. Infatti ha atteggiamenti ambivalenti nei suoi riguardi: vorrebbe lasciarsi andare, poi si frena…lo guarda, poi lo schiva… gli parla commossa, poi gli risponde con distacco e freddezza… l’esatto comportamento di chi è ad un bivio ed è combattuto ma non trova il coraggio per scegliere e mettere da parte l’orgoglio.

Approfittando dell’assenza di Bogotá, Sergio con una scusa allontana i bambini e si isola con Nairobi.

“Perché lo tratti così?E’ tuo marito!”

“Non mi va di parlarne! Siamo qui per un’altra cosa, ricordi?”

“Agata… ti avevo detto di non fare...”

“Si, lo so!” – lo zittisce, poi continua – “ Tutti mi dicono cosa è giusto fare e cosa no. Credete che sia facile?”

“Ovviamente no, dico soltanto che…”
“La verità vuoi sapere qual è? Bene…io mi scaglio contro di lui perché lo amo troppo, in realtà”

“Non capisco” – esclama,confuso, il professore non cogliendo il senso del discorso.

“Lui è l’altra metà di me ed io è con me stessa che sono arrabbiata!… sfogarmi con lui è come farlo con la mia persona, come se mi guardassi allo specchio e mi accusassi di tutto…e non riesco a frenare la rabbia quando mi è accanto. Vorrei baciarlo, ma anche prenderlo a schiaffi. Vorrei abbracciarlo ma anche spingerlo lontano…non so gestire ciò che provo. Stanotte ho sentito il bisogno di averlo vicino, di essere stretta tra le sue braccia… e invece? Niente, mi sono tirata indietro…”
“Devi affrontare il problema con lui, non allontanarlo come stai facendo. Potrebbe stancarsi, prima o poi…”
“Se si stancherà, vorrà dire che non mi ama come dice!” – con quelle parole, il discorso viene chiuso dal rientro dei bambini in salone.

Sebastìan si siede sulla “sedia dell’interrogatorio”, come la definisce lui e attende il suo turno.

“Sono pronto, signor mago!” – dice il piccolo, richiamando l’attenzione di Marquina.

“C’è una priorità adesso!” – commenta Nairobi, invitando l’amico a tornare alla missione.

Dispiaciuto nel vedere la Jimenez tanto diversa, Sergio riprende laddove si era interrotto.

Di fronte al gemellino di Ginevra, si appresta ad ascoltare la versione dei fatti della persona che probabilmente è l’unica fonte di dati utili alle ricerche.

“Dimmi pure!”

Agitato e tremante, Sebastìan dà il via al suo racconto – “Ginny mi ha proposto di nasconderci, quando papà ha detto che avrebbe portato la merenda. Mi ricordo che era contenta e sembrava quasi che non aspettasse altro che allontanare nostro padre per uscire di casa”

“Sul serio?” – domanda, preoccupata, Nairobi.

“Si, lei continuava a parlare di un appuntamento importante a cui non poteva mancare...e io faccio sempre quello che fa lei. Mi disse di non rivelarlo, non l’ho fatto. E anche quel giorno ha proposto di nasconderci e io l’ho fatto. Siamo corsi in giardino, io non riuscivo a starle dietro. Lei è velocissima, io sono un po' grassottello…lei invece è magrissima!” – spiega, riferendosi a qualche chilo in più che ogni bambino a quell’età ha e con la crescita tende a smaltire – “Io sono stato distratto da un pallone, un Super Santos stranamente lasciato nel nostro giardino. Allora ho sentito il rumore di un auto che frenava bruscamente.

Ho corso, incuriosito, uscendo dal cancello, e proprio qu quel mezzo stava salendo Ginevra …” – raccontare l’accaduto riporta Sebastìan ad un pessimo stato emotivo che si manifesta con delle lacrime sulle gote – “E’ colpa mia se l’hanno portata via”

Bogotá, tornato in salone, ha udito la storia, tenendosi in disparte.

Istintivamente si avvicina al figlio e lo abbraccia.

“Piccolo mio, tu non hai responsabilità! Nessuna”

Nairobi, pietrificata dalla scena, fissa il marito il quale ha assunto lo stesso comportamento che avrebbe messo in atto lei, se lui non l’avesse preceduta. Quanto di se stessa ritrova nel suo uomo! E’ incredibile.

“Tuo padre ha ragione!” – dice poi la donna, attirando gli sguardi su dei parenti – “Sono convinta che quel pallone è stato messo lì appositamente per distrarti. Tu non lo sapevi...”
“Dovevo dirle di No, di restare a casa. Invece..”
“Invece nulla, tesoro. Sappiamo com’è fatta tua sorella. Fin troppo simile a me, alquanto comandante sotto tanti aspetti. Trattava te come io tratto tuo padre, o meglio, come lo trattavo” – Agata si riferisce all’atteggiamento da Leader a cui il marito da sempre si è sottomesso, e che l’ha fatto innamorare di lei perdutamente.

“Sono un debole!”

“No, sei più forte di tutti noi. E se te lo dico è perché è così. La pazienza è una virtù di pochi e tu ne hai fin troppa!” – aggiunge la Jimenez.

Dolcemente lo bacia sulla fronte, mentre il piccolo si avvinghia a lei, stringendola forte.

Bogotá, emozionato, riconosce in quella tenerezza la sua donna.

Stavolta non è lui a cercare gli occhi della gitana. È proprio la coniuge a farlo.

E per l’ennesima volta Nairobi alterna un atteggiamento schivo a uno complice.

Però tale ambiguità non fa che destabilizzare il saldatore, il quale, per quella volta, seppure combattuto nel farlo, schiva lo sguardo di Nairobi. Non può illudersi quando lei si mostra buona, per poi soffrire quando la donna sfoga su di lui la frustrazione.

*******************************************

“Professore, siamo tornati” – Denver e Monica, rientrati nel primo pomeriggio, raccontano di non aver rilevato nulla d’importante. Lo stesso fanno Tokyo e Rio, incaricati di setacciare altre zone della città.

“Sono convinto che l’appuntamento al parco era una scusa, un modo per allontanare Ginevra da casa!” – sostiene Sergio.

“Cazzo, e adesso?” – esclama Bogotá, in panico.

“Calma, Lisbona, Palermo e Helsinki hanno raccolto le cose di Ginevra e mi hanno consegnato un diario”

“Un diario?” – ripete Nairobi, sorpresa di un dettaglio di cui è all’oscuro. Da quando in qua, la bambina ne custodisce uno?

“Si chiama “segreto” proprio perché nessuno deve trovarlo, amica mia” – commenta Tokyo.

A quel punto, la gitana lo strappa dalle mani del Marquina, esigendo di leggerlo lei in primis.

Non vuole sorprese, né duri colpi, delle scoperte che potrebbero annientarla del tutto…si isola nella sua stanza, concentrandosi su pagine che potrebbero racchiudere il vero essere della sua bambina… e in quei minuti, leggendo le sue parole, il cuore accelera i battiti.

 

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Capitolo 9
*** 9 Capitolo ***


“E’ questa la strada giusta? Ne sei proprio sicuro?” – domanda una giovane ventenne, dai capelli castani, alla persona alla guida di una Monovolume a sette posti.

“Dubiti delle mie doti orientative, sorella?” – precisa l’autista, scherzosamente, conscio anche lui di non essere abile a seguire le indicazioni del navigatore.

“GoogleMaps non sbaglia mai!”  – aggiunge l’unico maschio dai capelli biondi, mentre mostra al passeggero sedutogli accanto l’esatta posizione indicata dallo smartphone.

“Solo in Islanda non sbaglia, caro fratello!” – ridacchia un moretto, nel sedile posteriore. Poi scherzando gli scompiglia la capigliatura perfetta.

Dopo aver girato e rigirato nel quartiere, meta del loro viaggio, il gruppetto può finalmente ascoltare, dalla voce registrata del navigatore – “Sei arrivato a destinazione!”

“Finalmente!” – esclama una ragazza dai lunghi capelli chiari, intrecciati con estrema perfezione.

Parcheggiatisi proprio dinanzi ad una villa , i sette passeggeri scendono dal mezzo e si dispongono, uno di fianco all’altro, decidendo come muoversi da lì in poi.

“Andrò avanti io che sono il maggiore. Statemi dietro” – precisa il più grande, un ragazzo dai capelli neri, venezuelano, di ventisette anni.

Percorrono pochi metri per ritrovarsi davanti ad un enorme portone d’ingresso sul quale è leggibile un’insegna con il cognome dei proprietari.

“Famiglia Sanchez!” – legge una delle due ragazze– “Siamo nel posto giusto, papà ha detto di aver dovuto cambiare cognome per motivi di sicurezza”

“Bene, siete tutti pronti a riabbracciare il nostro vecchio?” – chiede il capogruppo, entusiasta più degli altri di prendere parte ad una missione importante e di poter scoprire quella famiglia mai vissuta come avrebbe voluto.

In quei momenti, i sette avvertono una certa ansia, oltra al magone dovuto a ciò che dovranno affrontare.

Un respiro profondo, poi bussano con decisione alla porta e si aprono a una nuova strada di vita.

*********************************

Nairobi è chiusa in camera da ormai due ore e i Dalì sono preoccupati da quanto possa aver letto su quel diario.

Le donne della squadra tentano più volte di ricevere segnali dall’amica, recandosi nella sua stanza ma senza successo.

Agata è immersa nel mondo segreto di sua figlia, conscia che da quel momento in poi tutto potrebbe cambiare.

Con delicatezza, la gitana sfoglia pagina dopo pagina, sapendo di toccare chiavi profonde del cuore della sua bambina.

Molte di quelle parole, scritte ovviamente con un linguaggio tipico di una minore di soli sette anni, sono ben comprensibili e arrivano dirette alla donna che se ne sorprende.

Con gli occhi lucidi scopre che a consigliare Ginny sull’uso di un diario è stata un’insegnante il cui nome non è mai citato, e che la piccola definisce  “ maestra Honey”.

E’ questo il nomignolo che l’intera classe dà alla docente per la sua carineria nei confronti di ciascuno studente che chiama, appunto, “tesoro”.

Nairobi legge gran parte del diario, non rilevandovi dettagli importanti circa la sparizione. Però conosce una parte della bambina che mai avrebbe immaginato.

E rimane totalmente paralizzata di fronte a uno sfogo della piccola datato esattamente qualche giorno prima della sua sparizione.

Mamma mi dice sempre che assomiglio a mio fratello maggiore. Si chiama Axel, io non so chi sia, non l’ho mai visto. Però non mi piace questa cosa, io sono Ginevra, non sono Axel.

Sono stanca che mamma mi ripete “Sei come lui, hai gli stessi occhi, gli stessi capelli”. Uffa. Lei mi guarda e non vede me, lei vede lui!”

Di fronte a tale affermazione, la gitana interrompe la lettura avvertendo un tonfo al cuore.

Davvero sua figlia ha da sempre sofferto la somiglianza con Axel?

E pensare che lei credeva potesse essere un fattore positivo: in fondo, quella somiglianza avrebbe accentuato il legame di sangue tra fratelli.

Pensandoci, però, Agata capisce che per Ginevra quel rapporto familiare non esiste; per lei Axel è solo un nome a cui associa costantemente le parole di Nairobi.

Dispiaciuta di quanto letto, la donna non continua e, controllando che quelle sono le ultime righe compilate del diario, decide di chiuderlo.

Lo ripone in un cassetto della scrivania e, con un nodo allo stomaco, lascia la stanza per raggiungere i Dalì.

Sapere di aver avuto libero accesso alla privacy di sua figlia minore, senza alcun risultato utile, è un cruccio enorme, che si aggiunge ad uno ancor più opprimente appena scoperto.

Mentre cammina lungo il corridoio, raggiungendo la scala che la conduce al piano terra, lì dove ha lasciato il gruppo alle prese con l’organizzazione di un piano di salvezza per Ginny, Nairobi viene distratta da un vociare non familiare proveniente dall’ingresso.

Le basta poco per capire di chi si tratta.

“Eccoti, Nairo!” – le corre incontro Tokyo, vedendola di nuovo tra loro, mentre scende a passo lento le ultime scale, intenta a scrutare in silenzio, nel mentre, i sette volti stranieri.

“Sono i figli di Bogotá!” – le dice la Oliveira all’orecchio, invitandola ad unirsi alla famigliola appena riunitasi. Alba e Sebastìan sono accanto al Professore e a Stoccolma, fortemente intimiditi dalla gente sconosciuta.

Il saldatore, invece, piangendo dall’ emozione, stringe a sé i suoi ragazzi, ormai tutti adulti e chiama a sé i bambini per le presentazioni.

Nairobi, rimasta in disparte, guarda i piccoli e fa cenno loro di avanzare verso i fratelli. Sorpresa dalla resistenza posta, interviene e sblocca anche la sua di esitazione.

Li prende per mano e raggiunge la numerosa prole del marito.

“Ragazzi, vi presento Alba e Sebastìan” – dice Bogotà. Poi volge lo sguardo sulla compagna e con poche parole mostra a tutti il suo amore – “E lei è Nairobi, la donna della mia vita”

Di fronte a tale esternazione, i presenti rimangono sorpresi. I Dalì inclusi.

Agata, imbarazzata di fronte a quelle parole, arrossisce e sente il cuore accelerare il battito. Questo non le accade da qualche giorno ormai.

Accenna un timido sorriso e prende parola – “E’ un piacere conoscervi tutti, spero vi troverete bene qui!”

“Assolutamente”

“Certo, anzi grazie per l’ospitalità”

“Speriamo di potervi aiutare”
“Riporteremo Ginevra a casa”

Ognuno dei sette si sente lieto e coinvolto da una squadra epica come quella fondata dal Professore.

Radunatisi tutti in salotto, mai così pieno di gente come quel giorno, Sergio spiega le regole del team.

“Abbiamo sorvolato sulla regola circa le relazioni personali, però…è bene che ognuno di voi abbia un nome in codice!”

“E’ proprio necessario? I miei figli non devono essere coinvolti assolutamente…non voglio che la polizia associ anche loro a noi e diventino ricercati a vita” – precisa Bogotá.

“Papà, tranquillo! Ne abbiamo parlato durante il viaggio e siamo tutti d’accordo” –precisa la figlia dai capelli scuri.

“Si, Hanna ha ragione! Siamo pronti a diventare dei Dalì in piena regola. Abbiamo già scelto quali identità assumere” – aggiunge il figlio maggiore, Emilio.

Uno per uno, si esprime in merito.

“Io sono Emilio e mi chiamerò Yerevan, come la capitale dell’Armenia, in tuo onore, papà” – spiega il primogenito, ricevendo l’immediato abbraccio commosso del genitore, originario di quella nazione.

Poi tocca agli altri pronunciarsi.

Julian, si presenta come Quito, riconoscendo la scelta per la vicinanza di quello Stato alla Colombia, di cui è rappresentante Bogotá.

“Io da greco quale sono ho scelto Mykonos” – precisa Yaris, fiero delle sue origini.

 Le uniche due ragazze dei sette si presentano con nomi di città a cui riconoscono arte.

“Varsavia e Vienna? Bella scelta” – si complimenta Sergio, con Ivana e Hanna la cui bellezza viene notata dai più giovani dei Dalì.

“Direi che stai sbavando troppo per i miei gusti” – commenta Tokyo guardando il compagno, offesa, e sostenuta da Monica che tira una sberla a Denver, anche lui rimasto incantato soprattutto dalla biondissima Ivana.

“Noi amiamo solo voi, siete le nostre sole regine, giusto Rio? Stavamo solo familiarizzando con i visi delle nostre nuove colleghe e…” – cerca di discolparsi a modo suo Daniel Ramos, cercando di sdrammatizzare la gelosia delle due donne.

A quel punto conclusero le presentazioni gli ultimi maschietti del gruppo.

“Il mio nome da oggi in poi sarà Copenaghen! Mi rispecchia come città” – spiega Eric, il giovane islandese, tra i più precisi dei fratelli.

“E io sono Londra, lì c’è classe, c’è storia, c’è perfino la regina…” – sostiene Drazen facendo quasi pubblicità alla capitale inglese generando una discussione simpatica tra i vari Dalì, ciascuno a sostegno della propria  città rappresentativa.

Ad interrompere la conversazione, che crea un clima piacevole tra i presenti, è il Professore, il quale entusiasta dei nuovi membri li accoglie nel gruppo.

“Benvenuti in famiglia, ragazzi!”

Nairobi, rimasta in disparte ad osservare la riunione e l’euforia che le new entry portano con il loro arrivo, non si pronuncia sulla storia del diario. L’arrivo dei sette figli di suo marito hanno infatti distratto i Dalì dalla questione relativa al quaderno segreto di Ginny.

“E’ bello vedere che i bambini si siano sciolti con quei ragazzi” – afferma Tokyo, avvicinandosi all’amica gitana.

“Si, sono contenta, spero che non vivano male l’arrivo di Axel”

“Perché dovrebbero? È un fratello anche lui” – aggiunge Selene, stupita di sentire tali affermazioni.

“Ginevra soffriva tanto del paragone che facevo tra lei e Axel”
“Dici sul serio?”

“Già, e ora come ora non so se farlo venire qui possa servire. Probabilmente ricordarlo ai bambini ogni qualvolta ne sentivo l’esigenza, è stato solo un modo per risollevare il mio cuore più che il loro” – commenta, dispiaciuta, la donna.

“Non fartene una colpa, Nairo! Sei una mamma e per una mamma ogni figlio è sacro. Non potevi di certo far finta che Axel non esistesse. Sono sicura che lo adoreranno”

“Lo spero davvero tanto perché sarebbe l’ennesima batosta e non penso di poterlo sopportare”

 

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Capitolo 10
*** 10 Capitolo ***


Basta poco alla squadra dei Dalì per entrare in sintonia con i figli di Bogotá.

Nairobi, supportata psicologicamente da Tokyo, osserva la scena che ha di fronte: un gruppo di gente che, fino a tre giorni prima, non avrebbe pensato di poter ospitare in casa sua. Tra questi, ci sono i fratellastri e le sorellastre dei suoi bambini, di cui sa poco o nulla, se non che nacquero da relazioni brevi tra suo marito e sette donne differenti.

Ma Agata in fondo è al corrente che il saldatore non ha mai vissuto storie stabili prima delle loro nozze.

Oggi proprio quell’immensa prole, radunata in salone, intenta a scambiare idee e conoscersi con i membri della Banda, è la salvezza per una famiglia disperata.

È emozionante per la Jimenez vedere Alba familiarizzare con le sorelle maggiori e Sebastìan fare lo stesso con i cinque maschietti con cui condivide metà sangue.

“Sono l’immagine della felicità, non trovi anche tu?” –domanda Selene all’amica, guadando la nipote di undici anni, seduta sul divano assieme ad Ivana e Hanna.

“Già, io non avrei mai pensato che potessero affezionarsi a persone praticamente estranee, e in così poco tempo” – risponde la gitana, sospirando, osservando anche Sebastìan alle prese con i fratelli maggiori. Julian l’ha caricato sulle spalle, regalandogli  momenti di spensieratezza che un bambino di quell’età dovrebbe vivere quotidianamente

Il silenzio di Nairobi viene interrotto da Tokyo che le chiede - “Stai ancora pensando ad Axel?”

La risposta di Agata tarda ad arrivare per via dell’improvviso avvicinarsi di Alba alle due donne.

“Guardate che bella treccia mi ha appena fatto Ivana” – dice la bambina, mostrando l’acconciatura di cui è super felice.

“Sei stupenda, tesoro” – risponde Agata.

“Una principessa!” – aggiunge la Oliveira, dandole un dolce bacio sulla guancia.

Richiamata da Hanna, l’undicenne torna a sedersi e lascia le due Dalì di nuovo da sole, in disparte rispetto al gruppo.

A quel punto, Tokyo ripropone la domanda.

“E’ per Axel che stai così?”

“Sto pensando a Ginevra…” – precisa Nairobi, confessando poi – “Su quel diario non c’è un cazzo di indizio che possa condurci a lei. A parte una certa “Maestra Honey” che non capisco chi possa essere”

“Bisogna indagare sulla questione scuola! Potrebbe aver avuto inizio tutto da lì”

“Né io né Bogotà possiamo recarci nell’istituto e chiedere informazioni, soprattutto perché sono due giorni che mia figlia è assente dalle lezioni e non vorrei che la nostra visita inattesa destasse sospetti”

“Meglio parlarne con il Professore” – sostiene, convinta, la compagna di Rio.

Mentre le due si confidano, Bogotà circondato da tutti i suoi figli si sente l’uomo più raggiante del pianeta. La sua gioia toccherebbe l’apice se solo anche Ginevra fosse al suo fianco.

Saperla chissà dove, lo incupisce immediatamente. Ad accorgersi di come il volto tanto allegro di minuti prima, abbia lasciato posto al dispiacere, è Emilio il suo primogenito.

“Papà, non voglio vederti così abbattuto! Devi farlo per Alba, per Sebastìan, per noi sette che siamo giunti fino a Perth per salvare nostra sorella minore”

“Lo so, figliolo! E ve ne sono grato”

“Allora reagisci”

“Se fosse facile, lo farei”

In quell’istante, il giovane ormai chiamatosi Yerevan gli pone una domanda lecita.

“Ho notato freddezza tra te e tua moglie. Va tutto bene con lei?”

Il silenzio del saldatore è un forte campanellino d’allarme e il venezuelano, ormai ventisettenne, sente di poter rimproverare il padre senza freni.

“Cazzo, papà! Pensavo fosse la donna giusta stavolta”

“Lo è infatti”

“E come mai la stai lasciando andar via in questa maniera?”

“Non sto facendo…” – poi si zittisce comprendendo che il figlio si sta comportando da padre con lui – “Che fai? Ribalti i ruoli adesso?”

“Voglio che tu sia sereno. Non permettere che quei bambini vivano l’assenza di un genitore perché ti assicuro che non è piacevole” – confessa, ricordando i momenti in cui da minore sentiva sua madre lamentarsi di averlo messo al mondo senza la presenza di una figura maschile pronta ad aiutarla.

“Tua madre non mi perdonerà mai di averla mollata su due piedi” – aggiunge Bogotà, rammaricato.

“Credo che nessuna delle donne che hai avuto, intendo tutte le mamme dei miei fratelli e delle mie sorelle, ti perdoneranno mai. E’ proprio perché saperti sposato da più di dieci anni mi ha fatto ben sperare, che ti dico di non mollare e di evitare la fine che nessuno desidera”

Le parole tanto sagge di Emilio spiazzano l’adulto che, con tenerezza gli scompiglia i capelli, tirandolo poi a sé per abbracciarlo.

“Sono fiero di ciò che sei diventato, ragazzo mio!” – si complimenta il genitore.

La chiacchierata s’interrompe con l’arrivo di Ivana e Hanna che tengono per mano la sorella minore.

“Papà guarda come sono belli i miei capelli” – dice Alba mostrando la treccia, entusiasta, come se avesse ricevuto il più bel regalo di Natale del mondo.

In realtà per lei la conoscenza dei suoi parenti più prossimi è stato davvero un regalo di Natale. 

“Sei bellissima” – dice Bogotà all’undicenne, invitandola a sedersi sulle sue gambe.

A quel punto, un’osservazione di Yaris, accende una domanda in Alba stessa.

“Caspita, notavo che Nairobi è molto più giovane di te. Sei un macho vero, papà”

“A proposito, papino, mi racconti di come vi siete innamorati tu e la mamma?” – ecco l’interrogativo che la bambina solleva e che spiazza il saldatore dei Dalì.

Gli sguardi curiosi di tutti e nove i figli, sedutigli intorno, lo costringe ad esporsi.

“Ehm…ecco…”

“L’hai sicuramente fatta cadere ai tuoi piedi!” – commenta Erik, sapendo la fama da playboy del genitore.

Invece la risposta lo sorprende – “E’ stata lei a farmi innamorare perdutamente”

“Ah si? E come?” – a quel punto anche Ivana è curiosa di scoprire il lato dolce del padre.

“Avete presenti le Amazzoni? Lei è una di loro” – sostiene Bogotà, arrossendo.

“Ehi Nairobi, scusa, puoi venire qui?” – è la voce di Julian a richiamare Agata che, confusa, avanza verso il gruppetto che sembra radunato come le tribù indiane attorno ad un capo.

“Cosa succede?” – chiede lei.

“Papà ci stava raccontando di come vi siete innamorati” – spiega Sebastìan, sorridendo, convinto che la sua mammina avrebbe gioito nel sentire tale racconto.

Invece la Jimenez resta in silenzio.

Sposta gli occhi su Bogotá anch’egli rosso di vergogna.

“Ehm...io devo andare dal Professore, scusatemi ragazzi, fatevelo spiegare da vostro padre. Lui è un esperto in faccende amorose!” – con quelle parole, la gitana fredda tutti.

Cade il silenzio e ormai i sette nuovi Dalì capiscono che tra Bogotá e Nairobi c’è una fortissima tensione.

“Forse è meglio tornare al piano. Ricordate che va salvata Ginny”  - con quella  frase finale, l’argomento viene bruscamente chiuso – “Ve lo racconterò quando sarà il momento giusto” – ciò crea un immenso ed evidente dispiacere in Alba.

“Ehi piccolina, vedrai che si risolverà tutto. Adesso che ci siamo noi qui, troveremo un modo per fargli far pace” – la convince Hanna, dandole un dolce abbraccio.

Agata, dopo l’imbarazzo creatosi con i sette figli del marito, si avvicina a Sergio e si concentra solo ed esclusivamente sulla cosa più importante di tutto: Ginevra.

“Prof, io ho letto il diario”

“Bene, cosa hai trovato?” – quella comunicazione riattiva Marquina che spera in buone notizie. Mai come allora gli è parso di brancolare tanto nel buio. Non sa proprio che pesci prendere…non si tratta di rapine e piani da organizzare per tirare fuori oro, soldi o persone…bisogna salvare una bambina da non si sa chi, scomparsa per non si conosce quale motivo, situata in chissà quale posto…un mistero che non si può risolvere in quattro e quattr’otto.

Agata racconta a Sergio ciò che potrebbe essere utile sapere.

“Hai detto che la chiama Maestra Honey?” – pensa l’uomo, sistemandosi gli occhiali con il suo solito tic.

“Esatto. Ti viene in mente qualcosa?”

“Mmm direi di no”

Una quarta persona si unisce ai tre e precisa - “Mi ricordo di un film. C’era una maestra che si chiamava la signorina Honey”

“Cosa c’entra adesso il film?” – commenta Tokyo, inarcando un sopracciglio, perplessa, volgendo lo sguardo su uno dei nuovi arrivati.

“Non so, forse tutto forse niente” – aggiunge il moretto messicano – “Però ricordo che nella storia, la signorina Honey dovette fuggire di casa per sfuggire ai maltrattamenti della zia e che la preside, quella pazza che odiava i bambini, uccise suo padre”

“Ma che cazzo dice?” – sussurra Selene all’orecchio della Jimenez, anch’essa alquanto confusa dall’intervento, inutile e alquanto fuori contesto, di Julian.

“Io penso che andrebbe ricercata questa insegnante dolce come il miele” – propone il giovane Quito.

Sergio, spiazzato da osservazioni poco utili e non attinenti all’argomento, decide di discuterne con tutti i presenti. Così chiede silenzio e richiama l’attenzione sulla sua persona.

“Nairobi ha detto di non aver trovato nulla sul diario, purtroppo!”

“Cazzo” – esclama Palermo, dopo aver rilevato proprio lui quel quaderno, ed era positivo in merito a quanto potesse essere fondamentale.

“Beh…eccetto la parte relativa all’insegnante misteriosa” – interviene di nuovo Quito.

“E sarebbe?” – si pronuncia, confuso, Yaris.

“Non ricordo ci fossero docenti con quel cognome” – riflette il capofamiglia.

“E’ un nickname” – puntualizza Ivana.

“Io ho un’idea che potrebbe esserci utile per entrare nel contesto “scuola”!” – propone Hanna – “Io sono una violinista, andrò in quell’istituto proponendomi come docente di musica per dei corsi straordinari. Indagherò dall’interno”

“Mi pare eccellente” – si complimenta il Professore.

“E noi altri?” – domanda Erik.

“Ginevra non ha amicizie importanti su cui si può indagare?”- interviene Emilio.

“Si, la sua migliore amica si chiama Laura” – spiega Nairobi – “Conosciamo la sua famiglia, sono gente per bene”

“Mai fidarsi. Intanto faremo delle ricerche su di loro, giusto fratelli?” – Yerevan sprona i consanguinei a darsi una mossa.

Stabilita il primo passo da compiere, che vede protagonista, al momento, solo Vienna, Rio propone ai Dalì il pernottamento in casa sua.

“Se qui rimarranno gli eredi di Bogotá, voi altri verrete a stare da me e Tokyo”

“Anche i Johnson hanno camere extra” – aggiunge la Jimenez, ricordando il supporto degli amici.

E così, dopo il pranzo abbondante, com’è solito organizzare Bogotá con il suo barbecue, ognuno viene condotto al proprio luogo di ristoro.

“Ragazze questa è la camera più luminosa ed è la vostra” – comunica Nairobi alle due uniche femmine del gruppetto.

Il saldatore conduce, invece, gli altri cinque in tre stanze al secondo piano.

“Uno di voi avrà la singola!”

“Io che sono il maggiore” – si fa avanti Emilio, senza dar modo agli altri di pronunciarsi.

“Però non è giusto”
“Sei sempre il solito”

“Il bello di essere il più grande” – ridacchia il venezuelano.

“Pochi bisticci, siete adulti ormai. Potete sistemarvi, riposare, insomma… dovremmo attendere gli ordini del Professore. Fate come se foste a casa vostra”

Così dicendo, Bogotà si congeda e torna nella sua di camera.

Sorpresa sorpresa..

“Come mai sei qui?” – chiede riconoscendo Nairobi seduta sul letto con le braccia incrociate al petto e l’aria di chi ha voglia di discutere, per l’ennesima volta.

 “Devo dirti che prima la situazione d’imbarazzo non mi è piaciuta affatto. Evita di aprire certi discorsi..”

“Cosa? Adesso mi accusi di parlare con i miei figli di te?”

“No, voglio solo che non mi mettiate in situazioni come quella di prima… volevano creare disagio, beh ci sono riusciti”
“Si può sapere da quando in qua parlare del nostro amore ti crea disagio?” – a quel punto Bogotá perde le staffe. La sua pazienza ha un limite e non si trattiene più.

Accorcia la distanza tra se e la donna, e lo fa in modo molto audace.

Il che costringe Agata ad indietreggiare fino a trovarsi bloccata con le spalle alla parete.

Il marito è davanti a lei, con l’aria di chi non ha voglia di scherzare.

“Non mi piace diventare oggetto di scherno”

“Cosa cazzo dici? Scherno? Mi avevano solo domandato come ci fossimo innamorati”

Nairobi sente gli occhi di lui fissarle le labbra.

Lo conosce bene e sa che presto potrebbe baciarla…e non vive bene quella sensazione.

Per evitare che ciò accada, lo allontana a parole, attuando l’atteggiamento di chi schiva la gente o la provoca per tenerla a debita distanza.

“Ah si? Allora dimmi…come ti sei innamorato di me? Per il mio corpo? Sbaglio o dicevi che il mio sedere ti faceva arrapare?”

“Arrapare?” – ripete, scioccato, il saldatore – “Hai davvero questa scarsa considerazione di me?”

Indietreggia, esausto di un comportamento ingiusto nei suoi riguardi.

 “Penso che sia inutile continuare di questo passo…tu non mi ami più…” – le dice  - “Sappi solo che così facendo non abbiamo perduto solo Ginevra, ma anche la nostra relazione. Dovresti seguire il cuore e non le paure. Il mio cuore vuole offrirti tanto, tu invece mi scansi ogni volta che ne hai modo. Ed io non voglio essere più il sacco da colpire per liberarti dalla frustrazione. Ho sopportato, però ora basta. Io non insisterò più, sta a te decidere se mandare a puttane tutto o reagire!” – conclude il discorso, con un nodo alla gola, segnale del suo malessere interiore. Si appresta a lasciare la camera, mentre proprio in quei frangenti, nella mente di Nairobi partono mille pensieri e mille ricordi.

Stavolta il cuore domina la testa e le rammenta di quanto fu bello scoprire l’amore per Bogotá, quanto fu bello baciarlo la prima volta, quanto fu bello sposarlo, diventare sua moglie, trascorrere notti insieme tra momenti intimi di pura passione e attimi di dolcezza e coccole, quanto fu bello dare alla luce Alba, e regalargli poi altra gioia con l’arrivo dei gemelli.

Tutti questi flash balzano rapidi e violenti e sembrano non fermarsi.

Ed è allora che Agata mette in standby la ragione. Si dirige alla porta dalla quale Bogotá è prossimo ad uscire.

Lo frena, interponendosi tra l’uomo e l’uscio.

“Cosa vuoi ancora?” – borbotta il capofamiglia.

Non ha tempo di aggiungere altro. Nairobi si avventa sulle sue labbra e lo fa come se quello fosse un istinto naturale di cui non può più fare a meno per sopravvivere.

Le loro mani si intrecciano, i corpi iniziano ad accaldarsi e i cuori ad accelerare il battito.

Avrebbero potuto frenarsi, discutere lucidamente su quanto sta accadendo. Invece no.

Lui desidera lei.

Lei desidera lui.

È un gioco di passione quello che segue.

Mentre continuano a baciarsi, si liberano degli indumenti.

Nairobi spinge il marito sul letto e si pone a carponi sul corpo di quell’omone grande e grosso e dal cuore tenerissimo.

Nel giro di pochi minuti i due si denudano totalmente, e consumano la passione carnale tra pulite e profumate lenzuola bianche.

L’uomo accarezza ogni parte del corpo della sua donna, godendo di un momento tanto voluto. E ogni pezzo di carne che sfiora lo manda in estasi.

Perdersi in lei, inebriarsi del suo profumo, sono la sola medicina ad una sofferenza che cova da giorni e che sapeva bene che solo Nairobi avrebbe potuto alleviare.

I loro corpi si uniscono e si muovono al ritmo dell’amore, il sentimento che ricorda loro che avrebbero potuto perdersi per sempre.

Ma chissà se quando la passione si estinguerà tra loro tornerà la serenità o se dopo un intenso momento intimo le circostanze e il dolore gli rammenteranno delle tensioni non effettivamente superate?

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Capitolo 11
*** 11 Capitolo ***


Alba, sola nella sua stanza, si osserva allo specchio, ammirando quella bellissima acconciatura che Ivana ha realizzato con estrema dolcezza, mentre le raccontava di se e della vita trascorsa in Ucraina.

L’undicenne non ha mai pensato di poter trovare immediata sintonia con una persona effettivamente sconosciuta. Invece ciò è accaduto, a dimostrazione del potere e della forza dei legami di sangue. Probabilmente, però, il “colpo di fulmine” tra le due sorelle è scattato non per la parentela, ma per la somiglianza caratteriale.

 

Mi è sempre stato detto di avere un caratteraccio quando avevo su per giù la tua età. Beh, è vero! Mia madre mi rimproverava ogni due per tre. Però sapevo farmi rispettare. Con il tempo e la crescita sono diventata più razionale e meno casinista  - le ha rivelato Ivana, o meglio Varsavia, mentre chiacchieravano al momento della presentazione.

 

Anche Alba si ritiene una bambina dura e forte come la roccia, inscalfibile. Almeno è ciò che credeva fino alla sparizione di Ginevra, circostanza di vita che l’ha messa di fronte alle fragilità proprie della sua età. Fragilità che ha scoperto esistere anche negli adulti e di cui soffre anche lei, in segreto.

Avrebbe messo la mano sul fuoco circa la storia d’amore della sua mamma e del suo papà: dopotutto li vedeva ogni giorno scambiarsi effusioni, essere l’uno la seconda metà dell’altra. E improvvisamente tutto è cambiato, e l’ha resa consapevole che nulla nella vita può essere dato come certo e definitivo.

Il flash di poche ore prima le piomba insistente nella mente, facendosi strada violentemente tra i tanti pensieri. Non potrà mai dimenticare lo sguardo di Bogotá di fronte alla domanda che lei gli pose sull’innamoramento. E tantomeno potrà scordare la freddezza e l’imbarazzo di Nairobi quando venne chiamata in causa, spinta ad esporsi.

Gli occhi di Alba si inumidiscono al solo ricordo, velandosi di immensa tristezza.

“Non tornerà più nulla come prima” – commenta ad alta voce. Volge un ultimo sguardo su di se, riflessa allo specchio, e scioglie la treccia, lasciando i lunghi capelli castani ricaderle sulle spalle e coprirle in parte il viso.

Con un nodo alla gola, la bambina si dirige nella camera del fratellino, vogliosa di distrarsi.

Sebastian è alle prese con le macchine a giocattolo. Allora Alba, senza disturbarlo, lo spia dalla porta socchiusa. Accenna un timido sorriso, mentre lo sente imitare la voce del Professore o degli altri Dalì, inscenando un’ipotetica fuga dalla polizia a bordo dei suoi veicoli di plastica.

“Sbrighiamoci, abbiamo poco tempo”

“Si, facciamo in fretta o ci prenderanno”

Continua a dire il piccoletto, muovendo le automobiline una dietro l’altra.

Fortuna che Sebastìan ha sbloccato il suo mutismo, pensa Alba, cosciente che, semmai ciò non fosse accaduto, la situazione sarebbe sprofondata nel baratro più totale.

“Ehi, cosa ci fai qui?” – le domanda qualcuno comparso alle sue spalle improvvisamente.

Lei si volta riconoscendo la voce.

“Ivana!” – esclama.

“No, ti correggo…” – precisa la vent’enne, fiera della nuova identità – “Sono Varsavia!”

“Ok, Varsavia! Però a me piace chiamarti Ivana”
“Allora, solo per te rimango Ivana!” – le sorride dolcemente la bionda, mostrandosi talmente dolce e premurosa, da regalare alla sorellastra quella dose di affetto tipicamente materno di cui proprio Alba necessita ora più che mai.

La ragazza le accarezza i capelli notando l’assenza della treccia, però sorvola non volendo mettere, magari, in imbarazzo la parente che li ha volutamente sciolti.

“Ti va di chiacchierare un po' io e te?” – le chiede Varsavia, avendo intuito il malessere dell’undicenne.

“Certo! Vieni, andiamo in veranda!” – risponde la minore, prendendola per mano, trascinandola fino al luogo preciso.

Siedono sul divanetto da esterno che dà a quel posto un tocco di eleganza.

“Questa villa è fin troppo lussuosa per me che sono sempre stata abituata ad avere poco!” – sostiene Ivana, ammirando con quanta precisione è curato anche il terrazzo.

Poi le due si accomodano e si lasciano andare ai ricordi.

Varsavia chiede ad Alba si raccontarsi, così da sperare che quel momento possa condurla ad uno sfogo e alla liberazione di un sentire nascosto.

Alba apre il suo cuoricino, narrando di momenti dove tra le mura di casa regnava soltanto la felicità, momenti dove Ginevra era presente e fortemente centrale.

“Che rapporto hai con lei?”

“Speciale! Proprio come faccio con Sebastìan, la proteggo sempre da tutti”
“Sei una bravissima sorella maggiore” – la lusinga Ivana, asciugandole il viso da una lacrima che, senza volere di Alba, è scivolata sulla guancia.

“Adesso che non è qui con noi, io sento un forte buco qui” – dice la bambina, indicandosi il lato sinistro del petto, lì dove sa, imparandolo a scuola, che è posizionato il cuore.

La ragazza avrebbe tanto da dirle per trasmetterle conforto e vicinanza, però ogni parola appare come vana. Quindi si limita ad un abbraccio.

A quel punto è proprio l’undicenne a ricordare un vecchio video trovato sul PC tempo addietro per puro caso.

“Voglio farti vedere una cosa, aspetta!” – preda di una forte nostalgia, la bambina afferra il computer, riposto da due giorni proprio su un tavolino in veranda e lo accende.

Cerca, attenta, qualcosa sotto lo sguardo curioso di Varsavia.

“Eccolo!!” – esclama, una volta trovato il filmato in questione.

Dopo che Alba clicca il Play, davanti agli occhi di Ivana si mostra un momento speciale, girato con uno smartphone, da Rio, sette anni prima.

 

7 anni prima…

 

E’ luglio e l’arrivo dei gemelli è previsto verso la prima metà di dicembre.

Tokyo decide di organizzare un party dopo aver scoperto della moda americana del “Gender Reveal”. All’insaputa di tutti, consulta la ginecologa di Nairobi, grazie all’aiuto di Carmen Johnson, venendo così a conoscenza del sesso dei piccini in arrivo prima, addirittura, del resto della famiglia.

“Sicura che nessuno riuscirà a scoprirti?” – le domanda, all’epoca, la tutrice dei Dalì.

Le due sono appena tornate a casa con delle buste per la spesa stracolme.

“Ehi ma avete svaligiato il supermercato?” – chiede Rio, svegliatosi di soprassalto dal suo solito pisolino pomeridiano, a causa del vociare chiassoso delle donne.

“Bene, proprio l’uomo che ci serviva!” – afferma, sorridente, Selene affidando la roba pesante al compagno.

“Che?!” – esclama lui, costretto a sobbarcarsi mansioni di cui non sa neppure lo scopo – “Da quando in qua sono diventato il maggiordomo?”

“Da sempre, mi amor!” – lo prende in giro la Oliveira, dandogli un bacio a stampo come ringraziamento del servizio – “Portali in cucina e disponi la roba come si deve!”

“Potrei sapere, di garbo, cosa ti sta passando per la mente?” – Rio è confuso e mentre esegue gli ordini della compagna, esige spiegazioni.

Ovviamente Tokyo tace, impedendo anche a Carmen Johnson di aprire bocca in merito.

“E’ una sorpresa. A proposito…hai il gonfiatore elettrico da qualche parte?” -  domanda la donna, tirando fuori dalla borsa due palloncini sgonfi uno di colore bianco, l’altro nero.

Quell’interrogativo spiazza ancor di più Anibal che, inarcando il sopracciglio, alquanto perplesso, si chiede a cosa possa mai servirle. Ovviamente evita di farle altre domande, visto che Selene non ha intenzione alcuna di svelare il fatto.

Così, le indica dove trovare l’aggeggio e, dopo la sistemazione della spesa, torna in camera per riprendere il suo sonnellino.

“Nairobi e Bogotá sono invitati a cena da noi stasera! E anche i Johnson”  - comunica la Oliveira a Rio, quando l’uomo nel tardo pomeriggio raggiunge la donna in cucina.

“Sul serio? Ecco spiegato perché di tanta roba!” – commenta, rubando al volo da un vassoio dei biscotti colorati.

“Cosa sono questi? Perché rosa e blu?” – indica la copertura di glassa del cookie.

“Anziché farmi l’interrogatorio, raggiungi Adam in soggiorno. Lui è alle prese con i palloncini!”

“I palloncini? Ma che giorno è oggi? il compleanno di qualcuno e non lo ricordo?” – Cortés consulta il calendario, cercando di capire di più. Ma tutto inutile; non gli rimane che accettare di non sapere cosa sta per accadere.

Le ore seguenti i due uomini sistemano quanto più possibile, su ordine delle rispettive compagne e, una volta tutto pronto, Tokyo e Carmen si distendono sul divano organizzandosi sul da fare.

E quando, alle 19 in punto, suonano alla porta gli invitati, è proprio Selene a correre all’ingresso per accoglierli.

Bogotá ha in mano una torta gelato confezionata che porge subito alla padrona di casa.

“Cazzo” – esclama  non appena nota che in soggiorno c’è un vero e proprio banchetto.

Nairobi, a bocca aperta, non riesce a rimproverarlo per l’espressione scurrile perché è troppo spiazzata dall’abbondanza di cibo.

“Alba, tesorino, ti va di venire con me? Devo dirti una cosa!” – approfittando di distrazioni della coppia di amici, la Oliveira si allontana con la bambina, all’epoca di quattro anni.

Conoscendo bene le possibili gelosie che possono sorgere tra minori, con l’arrivo di un fratellino o una sorellina, specialmente gelosie duplicate essendo i new entries dei gemelli, la ribelle dei Dalì cerca di rendere sua nipote partecipe dell’evento.

“Dovrai essere tu a portare mamma e papà nel salone principale. E quando sarà il momento, sarai proprio tu a bucare i palloni. Va bene?”

“Si!” – esulta di gioia la piccina.

Così la serata, rimasta impressa nei ricordi di tutti i presenti per essere stata ricca di cibo, di allegria, di serenità, e di sorprese, scorre veloce.

“E’ il momento giusto” – sussurra Tokyo ad Alba.

La bambina esegue subito la missione datale dalla adorata zia. Così si avvicina a Nairobi e le chiede di seguirla.

Agata non esita, pensando che sua figlia dovesse rispondere a bisogni fisiologici.

E non appena si trova nella sala addobbata, nota due enormi palloni leggendo chiaramente su di essi “Boy or Girl”.

“Non ci credo” – si commuove, comprendendo quanto sta per accadere e il perché di una vera e propria sorpresa.

Bogotá, condotto dal resto del gruppo proprio in quel punto preciso della villa, rimane a bocca aperta.

“Siete dei pazzi” – esclama il saldatore, avvicinandosi alla moglie, a due passi da quello che a breve Alba farà esplodere.

Mai nessuno ha mai organizzato qualcosa di tanto speciale per loro…eccetto il giorno delle nozze!

“Vi vogliamo bene, amici!” – risponde Selene, commuovendosi di gioia.

“Sei un genio, mi amor”- dice Rio a Tokyo, cingendole la vita e appoggiando il mento sulla spalla di lei. Ora sì che tutto è chiaro anche per lui.

“Volevo la versione spagnola di questi buffi palloni, purtroppo qui in Australia hanno quella inglese…perciò Boy or Girl! Si capisce ugualmente, giusto?” – aggiunge la padrona di casa, sorridente.

Dopo una serie di lacrime versate e l’euforia del momento, la bambina si posiziona tra i genitori.

“Sei curioso di saperlo?” – domanda la gitana al marito, stringendosi forte al suo petto.

Lui le bacia il capo con dolcezza, però non trova parole per risponderle, troppo preso dalla felicità.

“10… 9…8…7….6” – i Johnson insieme ai Cortés-Oliveira iniziano il conto alla rovescia.

Udendo l’euforia degli amici, Nairobi e il suo adorato consorte si scambiano un puro e dolce bacio, sotto lo sguardo estasiato di Alba.

La loro primogenita ha soli quattro anni e non sa cosa significhi la parola “amore”, ma le basta vedere la sua mamma e il suo papà e gli sguardi che si scambiano per capirlo.

“3…2…1”

Boom!

Alba fa esplodere sia il pallone alla sua destra che quello alla sua sinistra, liberando in aria coriandoli rosa e blu.

Rio, alle prese con la registrazione del momento, grida euforico, creando il caos.

Ed è proprio quel caos che adesso, proiettato sul PC, Alba sta mostrando ad Ivana.

 

“Siete una famiglia bellissima. E papà e Nairobi si amano alla follia” – commenta la ragazza, asciugandosi il viso bagnato di lacrime.

“Non si amano più come quel giorno” – precisa, amareggiata, l’undicenne.

“Invece sì, è solo la situazione di Ginevra ad averli allontanati. Però, proprio come fece Tokyo con quel party a sorpresa, dobbiamo trovare un modo per fargli far pace, per regalare loro la gioia di cui necessitano”

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Capitolo 12
*** 12 Capitolo ***


“Allora finisce tutto così?” – domanda Bogotá a Nairobi, guardandola rivestirsi, nel suo ormai abituale silenzio.

“Guardami quando ti parlo, per favore” – l’uomo, ancora a letto, coperto solo da leggere lenzuola bianche, sfiora il braccio della moglie, invitandola a voltarsi verso di lui.

Quel tocco così delicato lascia una scossa elettrica sul corpo di Nairobi, ricordandole di quando suo marito le raccontò, subito dopo la fuga dalla Banca, che quando la conobbe percepì la stessa scarica lungo la schiena.

Una sensazione, quella che avverte, che sembra farla star bene.

E Agata sa di essere stata bene tra le braccia di Bogotá. Ha goduto al massimo quel momento di passione e si è sentita amata, esattamente come sempre. Nulla è cambiato da parte di suo marito che la ama con la medesima intensità.

Respirando profondamente, la gitana ricambia lo sguardo del saldatore.

“Non è significato niente per te?” – insiste lui.

La Jimenez avrebbe così tanto da dire, eppure il turbamento che avverte non molla la presa. Il suo silenzio spiazza totalmente Bogotá che, a quel punto, prende una drastica decisione.

“Io posso aiutarti, tu lo sai bene. E’ l’amore la sola medicina di cui hai bisogno, di cui abbiamo bisogno. Però proprio perché io ti amo follemente, ti lascio libera. Prenditi il tempo che ti serve. Inutile che io insista a convincerti a provare per me cose che forse non provi più. Sappi che per qualsiasi cosa, ci sono. Vorrei ritrovassi te stessa, e se per ottenere ciò devo mettermi da parte, lo farò”

L’amore profondo di Bogotá è comprovato da un gesto tanto nobile che sa bene gli costerà caro. È difficile dover rinunciare a chi si desidera, però non ha altra scelta. Continuare sulla strada del litigio non porta soluzioni.

Dopo la sfuriata di qualche ora prima, dove lui mise la sua compagna alle strette, mostrandole quanto la sua pazienza fosse esauritasi, il saldatore dei Dalì comprende che, in nome di quel sentimento forte che prova, e del suo stesso cuore che sente di dover tutelare da ulteriori batoste, è bene mettere in standby la loro relazione.

Avvolgendosi il lenzuolo attorno alla vita, afferra al volo i suoi indumenti e si chiude nel bagno privato, collocato esattamente all’interno della stanza.

Nairobi rimasta sola e senza parole, cede allo sconforto.

E’ stata lei a creare quel pandemonio e adesso dovrà pagarne le conseguenze.

A malincuore, prende anch’essa gli abiti di ricambio e si avvia verso la toilette in fondo al corridoio. Sola con se stessa, s’immerge nella vasca da bagno tentando di metabolizzare quanto accaduto, inclusa la decisione presa da Bogotá. Probabilmente è quella la parte di tutta la storia che le fa più male, ma di cui è palesemente responsabile.

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Emilio è nella stanza singola per gli ospiti. Disteso sul letto, è attanagliato da vari pensieri.

Mascherare le sue emozioni è sempre stato il suo “migliore difetto”. È così che definisce tale copertura…un “dif-regio”.

Ricorda bene cosa scatenò in lui risentire Bogotá dopo ben dodici anni di lontananza, un vero e proprio tonfo al cuore, sapendo di doverlo rivedere e di doversi mostrare come la persona più serena del mondo nel farlo.

Durante il viaggio intrapreso con i suoi sei fratelli, il venezuelano ha ascoltato le posizioni di ognuno di loro, eleggendosi capobranco, venendo a conoscenza di quanto i suoi consanguinei, a differenza sua, fossero entusiasti di ritrovare il genitore.

Ora, dopo aver mandato l’ennesimo messaggio a sua madre, Yerevan la congeda e congeda così anche i suoi dilemmi interiori.

A risvegliare le sensazioni più nascoste è proprio la mamma. Quella donna non smette mai di tempestarlo di chiamate e sms pur di avere notizie sulla sua condizione emotiva.

Chi più di quel suo genitore lo conosce così intimamente e fu proprio lei a criticare Bogotá di fronte alla richiesta che l’ex pose ad Emilio, prevedendo un dolore per suo figlio.

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Sparisce per più di dieci anni, e pretende che tu scatti in piedi alla prima occasione per raggiungere l’Australia? E’ folle

Ma’, calmati. Lo so che sei in pena per me, ma io sto bene

Ti conosco tesoro. Leggere l’email di tuo padre ti ha riaperto vecchie ferite, lo so. Sei sangue del mio sangue. Anche se ti ostini a mascherare ciò che senti, io lo percepisco”

“Sono adulto e ho imparato a gestire le mie emozioni!” – sono queste le parole con cui Yerevan a alla donna di voler partire e raggiungere Perth.

E prima di lasciare casa e salire sul taxi, non manca da parte della donna un commentino rancoroso verso l’ex – “Per uno come lui, la relazione con questa nuova “vittima” è durata anche troppo. Al primo problema, stai certo che la mollerà”

Piantala con questo risentimento, dai!” – risponde il giovane, dandole un bacio sulla guancia, per sfrecciare poi diretto verso il suo destino.

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Un rumore proveniente dal giardino, udibile per via della finestra spalancata, Emilio costata che la Banda dei Dalì è di nuovo nei pressi della villa, pronta a rientrare e riprendere la missione.

Ricomponendosi, cancellando i brutti pensieri dalla testa, si osserva allo specchio, per dei secondi, indossando ancora una volta la maschera da bravo primogenito, fiero e deciso, difensore della sua famiglia, e soprattutto roccia inscalfibile.

Percorre il corridoio a passo svelto, scende una rampa di scale, ritrovandosi al primo piano.

Bussa alla prima delle due stanze occupate dai fratelli maschi, ed entrandovi li trovai alle prese con la lotta con i cuscini.

“Che cazzo fate? Vi sembra questo il momento per mettervi a giocare?”

“E’ colpa sua!” – esclama Yaris indicando Julian.

E l’altro, ridacchiando, alza le mani come a dire “Io non c’entro nulla”

“Su, forza! Mettete in ordine visto che non è casa vostra, e scendiamo giù in salotto. Il Professore ci aspetta”

“Che dici?” – esclama, confuso, il messicano, ormai per tutti Quito – “Papà è stato chiaro, questa E’ casa nostra!”

“Non significa che dobbiamo distruggerla! Forza, muovetevi. Io vado a richiamare gli altri” – così dicendo, Yerevan si reca nella camera accanto.

Apre la porta e davanti ai suoi occhi si palesa una condizione totalmente opposta a quella veduta in precedenza: Erik e Drazen, i più calmi del gruppo, sono alle prese con delle ricerche su internet.

“Cosa fate?” – domanda.

“Appuntiamo tutti i nomi degli insegnanti della scuola di Ginevra! Vogliamo trovare questa Maestra Honey quanto prima!” – spiega il biondino.

La determinazione dei due è fonte d’orgoglio per il maggiore, ma avverte anche un pizzico d’invidia. Quanto vorrebbe avere la loro instancabile voglia di fare e sfamare il cervello di quante più informazioni possibili!

Dopo aver comunicato anche a Copenaghen e Londra dell’arrivo dei Dalì, Emilio si reca dall’ultima parte di famiglia rimanente. Educatamente, bussa ed entra nella camera delle sorelle per avvertirle..

“Hanna, andiamo! Dov’è Ivana?” – le chiede come prima cosa, notando l’assenza della ucraina.

“Con Alba! Quella bambina non è molto serena” – precisa Vienna.

“E’ normale. Non capita tutti i giorni che una sorellina sparisca nel nulla”

“Non solo per quello… lei teme la rottura di papà e Nairobi!”

In tale frangente, tornano alla mente di Emilio le parole di sua madre.  

Per uno come lui, la relazione con questa nuova “vittima” è durata anche troppo. Al primo problema, stai certo che la mollerà”

Scuote il capo, come a voler cancellare le parole di una donna paragonabile quasi a una veggente.

“Dubito che accada! Si amano troppo” – si limita a dire, volendo essere il più positivo ed ottimista possibile. Poi segue la sorella fino al salone, lì dove sono radunati tutti… anzi, quasi tutti.

La mancanza di Agata e Bogotà è evidente.

“Che fine hanno fatto quei due?” – si chiede, preoccupata, Tokyo.

“Spero stiano chiarendo definitivamente” – commenta Rio all’orecchio della compagna.

A distogliere la coppia dall’ansia per i loro migliori amici è  Sergio che prende parola ponendo una domanda a Hanna.

“Vienna, sei pronta a recarti a scuola?”

“Si, professore. Ho già un’idea su come presentarmi per fare buona impressione” – spiega lei.

“Noi abbiamo svolto alcune ricerche sul personale scolastico di questo istituto!” – interviene Erik, indicando anche Drazen, da sempre noti per essere dei secchioni in piena regola – “Possiamo fare una carrellata di nomi per verificare se Sebastìan conosce qualcuno noto per la sua dolcezza mielosa!”

“Assolutamente!” – afferma, fiero, Marquina. Si rivolge al piccoletto chiamandolo ad avvicinarsi – “Seba vieni qui, abbiamo bisogno di te, sei sempre importantissimo”

Il piccino, seduto su un divano accanto a Mykonos, scatta in piedi e raggiunge il suo mago preferito, pronto ad ascoltare la lista di nomi e a dare il suo contributo.

E mentre il gruppo si consulta e ascolta il bambino, compare Bogotá dal fondo della sala.

Avanza verso i compagni con passo lento.

Senza pronunciarsi, si siede sul divano, tra due dei suoi figli.  Yerevan è uno dei due in questione e percepisce la stranezza e l’inquietudine paterna.

A quel punto gli sussurra – “Come ti senti? Hai una faccia!”

“Ho l’aria di chi ha appena messo in pausa una storia d’amore di dodici anni” – confessa senza remore.
“Che?”- esclama, sbalordito, il ventisettenne.

Il saldatore non aggiunge altro, si limita a fissare Sebastian che parla con Sergio pur di concentrare la sua attenzione esclusivamente su un obiettivo: le ricerche di Ginevra.

Al diavolo il resto, è bene rimpostare le sue priorità. E quella che primeggia su tutte le altre è il ritrovamento della sua adorata bambina.

“Affrettiamo i tempi, Professore” – prende parola poco dopo – “Voglio Ginevra a casa quanto prima!”

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Capitolo 13
*** 13 Capitolo ***


Nairobi è immersa nella vasca da bagno, e con occhi socchiusi, tenta di rilassarsi.

Sa bene quanto è difficile farlo. Sono tre giorni che non vive in pace con se stessa, tre giorni di astio con suo marito, tre giorni di tensione emotiva…tre dannati giorni senza Ginevra.

E pensare che fu proprio in quell’idromassaggio che i gemelli vennero concepiti! E Agata lo ricorda come fosse ieri.

Per di più, la gitana si è sempre ritenuta soddisfatta della sua storia d’amore con Bogotá, specialmente quando Carmen Johnson lamentava l’assenza di desiderio con Adam, ricordando a Nairobi che la passione in una coppia di novelli sposi è solamente inziale. Via via tende ad affievolirsi fino a diventare solo un lontano ricordo. E invece la Jimenez ha dimostrato l’esatto opposto. Con suo marito il desiderio non si è mai spento, rimasto intatto come il primo giorno, anche a distanza di dodici anni dal primo bacio.

Non può dimenticare le premure del saldatore che in occasione del secondo anniversario, chiese a Tokyo di prelevare Alba e lasciarlo solo in casa con la moglie. Si adoperò, con la dolcezza che lo contraddistingue da sempre, per regalarle una serata speciale tutta per loro.

***********************

Non sbirciare, mi raccomando” – le sussurra, dopo averla bendata. Prendendola per mano, mira a condurla in camera da letto, lì dove, su suggerimento di Rio, crea una suggestiva atmosfera. Candele e petali di rose…l’immagine perfetta per un incontro romantico. In realtà il primo step è nel bagno degli ospiti, dove fu montata, da pochi giorni, la vasca idromassaggio. Sistema anche lì delle candele profumate e dei calici di champagne.

C’è della musica!” – nota Nairobi per via del rumore di sottofondo.

La canzone che Bogotá sceglie, fa sorridere la gitana che, divertita dice – “Chissà perché ma sembra un genere fin troppo da Rio!

https://www.youtube.com/watch?v=8IUpxMR_LVI

Ehm… confesso che sono stato aiutato” – ammette Bogotá, imbarazzato – “Se non ti piace, cambio senza problemi

La donna scuote il capo e inizia a muovere i fianchi a tempo di musica, sotto lo sguardo estasiato del marito.

Ok, basta così” – non resistendo alla tentazione di baciarla, le toglie la benda dagli occhi mettendola di fronte a quello che aveva organizzato.

Wow” – esclama lei, piacevolmente colpita. Si volta verso il compagno ed è lei a fiondarsi sulle sue labbra.

Fermatisi per riprendere fiato, i due optano per un massaggio in acqua. Senza esitare, si liberano degli abiti e con indosso solo l’intimo, s’immergono nella vasca allietati da due calici di spumante.

Cazzo, questo si che è il paradiso” – commenta il saldatore, placando così anche i bollenti spiriti.

Ma l’intenzione di Nairobi non è certamente quella di rilassarsi e calmare la passione.

La gitana si pone a carponi sul compagno, avvinghiandosi letteralmente al corpo di lui.

Se volevi sorprendermi, ci sei riuscito amore mio” – dice lei, sorseggiando l’ultima goccia di drink.

Con tenerezza, lei accarezza ogni angolo del suo volto, con lo sguardo follemente innamorato, ricambiato da quello di Bogotá.

Mordicchiandosi il labbro, la Jimenez decide di fare la mossa decisiva.

Si libera del reggiseno, gettandolo sul pavimento, godendo dell’imbarazzo dell’uomo.

Sei bellissima, lo sai vero?”-  la lusinga, non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso.

Nonostante le mille cicatrici?” – precisa lei, indicando l’esatto punto dove fu sparata e successivamente operata dai Dalì.

Quelle cicatrici ti rappresentano e ti hanno resa la guerriera che sei!” – aggiunge, adagiando il capo sul seno scoperto di Nairobi.

Ti amo” – dice la gitana, felice come mai prima nella vita, e sempre più convinta di un sentimento che può sfidare qualsiasi cosa, un sentimento che in un modo o in un altro vince su tutto.

Tra confessioni amorose, baci e carezze, i coniugi si concedono l’uno all’altra, assaporandosi a vicenda e regalandosi attimi di smisurato amore, coccolati dall’acqua massaggiatrice e dalla playlist musicale, non proprio romantica, di Rio.

***********************

Quei ricordi di una forte attrazione fisica e di una notte magica, riaffiorano nella mente di Nairobi che non trova pace interiore.  

“Cazzo, inutile mettere la storia in standby, se ogni cosa mi ricorda lui”

Afferra l’accappatoio e lo indossa al volo.

Di fronte allo specchio, stabile alla parete, guarda il suo corpo, scrutandosi nei dettagli: occhiaie sotto gli occhi, sguardo cupo, poca cura verso la sua persona…lei non è mai stata tanto disattenta. Anzi, adorava curarsi come meglio poteva e oggi fatica a riconoscersi.

Indossa l’intimo pulito, mentre fissa le cicatrici che hanno martoriato il suo corpo.

“Sono un rottame” – commenta, sfiorando ciascuna di esse.

I suoi figli, e persino il saldatore, non perdevano occasione per complimentarsi con Nairobi, ricordandole di avere “una pelle di ferro”, che non si piega di fronte a niente, neppure alle avversità della vita. E lei scherzosamente gli rispondeva che essere meticcia aveva tanti pro.

“Forse questa cicatrice che mi lacera il cuore, la porterò dentro per sempre!” – dice ad alta voce, riferendosi all’ennesima sofferenza che il destino ha stabilito per lei con la sparizione della piccola Ginny.

Improvvisamente c’è un unico spiraglio di razionalità e di luce che la sprona a non abbattersi…ed è esattamente la voce della sua piccolina scomparsa che le disse quando trovò una vecchia fotografia della gitana con indosso un abito corto di colore blu – “Mamma sei stupenda. Voglio diventare come te”.

Così, intenzionata a tornare a guardarsi come un tempo, corre verso la sua stanza, quella dove alloggia da ormai due notti.

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Mentre i Dalì organizzano il da farsi, Bogotá si estranea, sedendosi sul divanetto in veranda, per consumare uno dei suoi sigari.

Helsinki è tra i primi a notare l’isolamento del saldatore e gli siede accanto pronto a raccomandargli di badare allo stato emotivo di Nairobi.

“Non lasciarla da sola per favore” – sono le prime parole che pronuncia.

“Che dici? Non capisco!” – è stranito il padrone di casa.

“Mi riferisco a tua moglie”

Bogotá, infastidito dalla questione, non risponde, concentrandosi soltanto sul fumo.

Il serbo capisce al volo di aver toccato un argomento delicato e, considerando Nairobi una sorella minore, non può non intervenire.

Con fare brusco, strappa il sigaro dalle mani del compagno di squadra e lo posiziona nel posacenere adagiato sul tavolino.

“Che cazzo fai?” – gli tuona contro il saldatore.

“Agisco per il tuo bene”

“Senti, Helsi non ho voglia di discutere. Ne ho piene le palle ok?”

“E’ questo che vuoi insegnare ai tuoi figli? A tirarsi indietro? Loro sono venuti fin qui, si sono buttati il passato alle spalle, un passato che sai bene quanto possa averli feriti. Essere cresciuti senza di te accanto, non sarà stata una passeggiata. E tu invece…”

“Lo so che non sono stato un padre modello! Non mi serve che sia tu a ribadirlo”

 “Voglio farti aprire gli occhi! Presta attenzione a Nairobi”

E sentendo quelle parole come un attacco, Bogotá risponde con una risata quasi beffarda.

“Perché ridi adesso?” – domanda, confuso, Helsinki.

“Non sai un cazzo, amico mio. Ho prestato attenzione a Nairobi, eccome se l’ho fatto. E indovina?...puntualmente lei mi allontanava. Sono stanco, le ho dato i suoi spazi”

“In che senso le hai dato i suoi spazi? Non mi dirai che vi siete lasciati?”

“Ci siamo presi una pausa. Niente sermoni, amico! Lasciami in pace, voglio fumare e allentare la tensione! Ne ho bisogno…” – così dicendo, accende un altro sigaro e s’isola dal resto del mondo.

Nessuno dei due Dalì si è accorto che, dall’uscio della porta scorrevole, c’è Emilio. Il ventisettenne ha ascoltato, casualmente, il discorso tra i due, rimanendone provato.

Ciò che sta accadendo lo preoccupa realmente: se i suoi fratelli minori venissero a sapere il fatto, non osa immaginare quale potrebbe essere la loro reazione.

Solo al pensiero, gli si stringe lo stomaco.

Anche lui da bambino ha sofferto la lontananza dei genitori. Seppure vedere il padre due sole volte ogni anno lo rallegrava, il cuore ne soffriva tanto. E Alba e Sebastìan non meritano di patire per le medesime circostanze.

“Non meritano tanto dolore! Già soffrono per la sorellina! Non è giusto, cazzo!” – pensa il ventisettenne, mentre cammina nei corridoi del primo piano, senza una precisa meta.

La seduta con il Professore si è sciolta da qualche minuto e ogni Dalì è alle prese con mansioni affidategli in merito alla ricerca di Ginevra. Yerevan, invece, si è dileguato dal gruppo, appena udito lo sfogo del padre con Helsinki.

Preda dei suoi pensieri, si reca in una delle camere degli ospiti. Si chiude la porta alle spalle ed è allora che una voce lo fa sobbalzare.

“Che ci fai qui?”

Di fronte al ragazzo c’è Nairobi, con indosso un abito di colore blu conservato da anni e che le ricorda quando, da giovane rapinatrice dei Dalì era prossima alla conquista della Zecca, e che indossò per un’uscita segreta con Tokyo, Rio e Denver.

La bellezza della donna è disarmante e Emilio, arrossendo, chiede perdono per l’intrusione non voluta e fa per uscire.

“Aspetta!” – lo trattiene Agata - “Sembri sconvolto. Che succede?” – gli domanda, preoccupata.

“Nulla, ho saputo di te e papà!”  - confessa liberamente Emilio.

E quell’esternazione lascia la gitana  in silenzio, con lo sguardo fisso sul figliastro, visibilmente inquieto.

“Tu come mai ti sei vestita così?” – chiede lui, cambiando discorso.

“Ehm… diciamo che ho voluto fare un esperimento. Anzi, direi una sfida con le mie insicurezze. Ho voluto rivedermi come la Nairobi di anni fa”

“E funziona? Ti sei rivista?”

La Jimenez, si volta verso lo specchio alla parete e si guarda per qualche secondo.

Respira profondamente, poi fa spallucce, non convinta di aver ottenuto la sicurezza che avrebbe voluto recuperare.

“Sei bellissima, lo sai vero?” – lo stesso tono di voce di Bogotá, lo stesso modo di esprimersi… fa sorridere la donna. Così la gitana si volta verso il venezuelano e gli dice - “Grazie, questo non è un bel momento per me purtroppo”

“Immagino! Se vuoi sfogarti, sappi che ci sono”  - si fa avanti Yerevan.

Chi l’avrebbe mai detto!

Allora i due, sedutisi sul letto, a modi confessione, liberano i loro pensieri più segreti, sfogandosi e alleggerendo i propri cuori.

Probabilmente entrambi hanno trovato la medicina umana di cui necessitavano da un po'.

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Capitolo 14
*** 14 Capitolo ***


Nairobi racconta il suo passato ad Emilio, spiegandogli quanto abbia duramente lottato per ottenere la rivincita su una vita beffarda e crudele: un’infanzia traumatica, dopo la fuga di suo padre, l’adolescenza in un quartiere malfamato assieme alla madre e al compagno di lei, l’innamoramento per il padre di Axel, la gravidanza inattesa e l’arrivo del suo bambino, la perdita di lui a soli tre anni, la droga, la galera…

Il giovane Yerevan comprende solo allora quanto quello di Ginevra sia solo l’ennesimo trauma che quella povera donna sta patendo.

“Perché non mi parli anche dei bei momenti? Sai che ricordare le belle cose, spesso serve a risollevare il proprio stato d’animo?” – dice Emilio, tentando il tutto e per tutto pur di vederla sorridere.

E quell’osservazione più che sensata, porta la mente di Nairobi ad uno dei tanti episodi felici vissuti nella sua vita.

“Quando conobbi tuo padre, ero alquanto scettica e ammetto che non amavo le sue avance”

“Quindi mi stai dicendo che conoscerlo è stato uno dei momenti belli?” – le sorride lui, cercando di sdrammatizzare.

“Così come lo è stato sposarlo, avere dei figli da lui…”

“Hai detto che non ti piacevano le sue avance… immagino per il lato da casanova che aveva!” – commenta Emilio, ben consapevole della fama di suo padre.

“Però, alla fine, ha saputo conquistarmi, e ti assicuro che, una volta scoperto il suo lato più dolce me ne sono follemente innamorata. Non vedevo più quello che sembrava un rozzo omaccione, ma l’uomo che mi avrebbe regalato la felicità che cercavo da tempo!” – confessa, e al ricordo del fatidico momento in cui tutto le è apparso con più chiarezza, il cuore le sussulta, proprio come allora.

E di fronte ad una dichiarazione così esplicita, seppure velata da un immenso dolore, il ventisettenne riconosce - “Te lo leggo negli occhi che lo ami tanto! Allora spiegami una cosa…perché ti sei allontanata? In fondo, sai bene anche tu che la sola medicina al questo malessere interiore che vivi, è lui”

“Se ti dicessi che sono masochista?” – le parole della gitana arrivano dirette e violente al cuore del venezuelano.

“Non farti altro male, oltre quello che già la vita ti ha dato ingiustamente” – di fronte al deperimento mentale e fisico di Agata, Emilio non può non darle consigli appellandosi ai racconti del passato di lei, ascoltati con attenzione poco prima.

Un sorriso forzato si disegna sul viso della Jimenez, consapevole della verità ma fortemente combattuta nell’accettarla, per via dei suoi dilemmi interiori.

“Parlo sul serio” – insiste Yerevan, adagiando la sua mano su quella della donna, che mantiene lo sguardo basso.

La vicinanza a quel giovane ventisettenne sembra donare ad Agata degli attimi di apertura con il mondo esterno e averlo accanto diventa di vitale importanza per il suo stato emotivo, messo a dura prova da quanto accaduto.  Si sente alleggerita di un peso emotivo che la stava distruggendo.

“Non avrei mai pensato di poter trovare una complicità tale con qualcuno conosciuto da meno di 24ore”- aggiunge lei, piacevolmente colpita.

“Se hai bisogno di qualcuno che ti ascolti, sai che abito sotto il tuo tetto ormai” – le porge la mano pronto ad uscire con lei per raggiungere il gruppo.

Così, la gitana si alza e prima di lasciare la camera, torna a guardarsi allo specchio.

 “Sei bellissima, non dimenticarlo mai!” – le ripete Emilio, costatando quanto sia vero quello appena detto. Non sono solo parole pronunciate allo scopo di accrescere l’autostima della gitana, ma è palesemente un dato di fatto: Nairobi è davvero una donna bellissima, come poche e merita di sentirselo dire sempre.

“Sei un tesoro”- risponde lei, accennando, finalmente un sorriso.

Il ragazzo arrossisce potendo ammirare il volto rilassato della matrigna e mentre la donna continua a fissare se stessa riflessa allo specchio, cercando di tranquillizzarsi, lui fa lo stesso, non riuscendo a smettere di guardarla.

“C’è tanto da imparare da una leonessa come te!” – si complimenta poi, una volta lasciata la stanza.

“Sei il degno erede di Bogotà, ho rivisto molto di lui in te, forse per questo c’è molta complicità tra di noi!” – commenta la gitana.

“Allora, se con lui non riesci a sfogarti, se in me rivedi mio padre, sfrutta questa cosa a tuo vantaggio. Fingi che io sia tuo marito, arrabbiati con me, piangi, ridi, prendimi anche a schiaffi se ti fa stare meglio” – i consigli del ventisettenne sono sinceri e sentiti profondamente; ha preso davvero a cuore la faccenda, probabilmente più di quanto avrebbe mai immaginato.

Agata apprezza tanto il gesto di quel ragazzo, fino a poche ore prima, sconosciuto. Per ringraziarlo di quelle premure e attenzioni, gli si avvicina e lo abbraccia.

Emilio è noto per essere grande e muscoloso, proprio come lo era suo padre a quell’età. Probabilmente alto quasi quanto Nairobi, i due sembrano davvero una coppia di coetanei in un attimo di dolcezza smisurata. Imbarazzato dal gesto, Yerevan lascia che le braccia esili di lei si avvolgano al suo collo, però la sua posizione è di ghiaccio.

Lui, immobile, di fronte ad un affettuoso e materno abbraccio, sente accrescere dentro se il desiderio di rimediare alla faccenda brutta che tutti vivono.  Anche se, probabilmente, ciò che avverte adesso ha poco a che vedere con la salvezza di un matrimonio.

Esita a ricambiare la stretta, rimanendo impassibile, mentre Nairobi continua a sussurrargli parole di ringraziamento.

A quel punto, nella mente del giovane una vocina gli sussurra “Stringila a te”, “Non lasciarla andare via”, “Ha bisogno di qualcuno che le dia calore”.

Ma appena è prossimo a lasciarsi andare, con le mani ormai prossime a toccarle la pelle, accade qualcosa che lo frena giusto in tempo.

“Mammina, Emilio, cosa fate qui da soli?”-  domanda Sebastìan vedendo i due nel corridoio.

“Tesoro mio, stavamo venendo in salone” – risponde Nairobi, asciugandosi il viso dalle lacrime.

“Non piangere più, ti prego” – l’attenzione del piccolo si focalizza immediatamente sul dettaglio del volto materno, perciò la supplica di smettere, esausto di vedere la depressione dei genitori.

“Non lo farà più, fratellino! Fino a quando ci sarò io qui, ti prometto che la tua mamma sorriderà” – si intromette Yerevan, prendendolo in braccio, proponendogli di giocare all’aereo.

Mentre i due consanguinei si divertono a correre e volare tra risate e allegria, la Jimenez li osserva e pensa a quanto sia stato essenziale incontrare Emilio e potergli raccontare di se.

A passo lento percorre i pochi metri rimasti prima di riunirsi alla squadra.

“Ehi, va tutto bene?” – le domanda immediatamente Tokyo vedendola arrivare, preoccupata di quel ritardo.

“Si, ora sto meglio” – la tranquillizza la gitana – “Tutto merito di Yerevan. È un ragazzo d’oro” – spiega.

Mentre la gitana ricopre il figliastro di complimenti, Denver cambia argomento perché nota un dettaglio che la stessa Selene aveva ignorato.

“Sbaglio o quest’ abito blu lo indossasti quella famosa sera…?”

“Già, Denver ha ragione! Me lo ricordo anch’io, hai steso una decina di ragazzi alla festa…” – si intromette Rio.

“E’ uno schianto, vero? Anche se sono trascorsi 14 anni, sei una figa da paura!” – aggiunge la Oliveira, appoggiando i due Dalì che vogliono in quel modo regalare alla loro compagna un momento di spensieratezza tra vecchi ricordi.

Bogotá, rientrato dalla veranda, proprio in quei minuti, seguito da Helsinki, scruta la moglie alle prese con dei racconti passati.

“Wow, Nairo! Ma sei meravigliosa” – anche il serbo ha solo belle parole per la gitana.

È il saldatore a non proferire parola, seppure non indifferente al fascino di lei.

Tra marito e moglie c’è il gelo totale e i silenzi reciproci sono percepiti dai presenti che comprendono quanto la situazione sia ormai fuori controllo.

“Amico, devi sapere che tua moglie aveva una fila interminabile di uomini che volevano essere suoi per una notte” – ridacchia Denver, sperando di aizzare il fuoco e alimentare la gelosia del saldatore, così da verificare se era rimasto un briciolo di speranza per la coppia.

“Papà, non credi che sia uno schianto?” –  anche Emilio, raggiunto il gruppo, interviene per dare una scossa al genitore e smuovere le acque tra lui e la consorte.

“Meno pagliacciate e piuttosto diamoci una mossa con le ricerche!” – Bogotá non ha nulla da dire se non occuparsi della faccenda che più gli interessa.

Si allontana alla ricerca di Hanna con la quale vuole parlare del ruolo che avrà nella scuola dei gemelli, ed ignora Nairobi destabilizzandola nuovamente. Solo allora, la Jimenez si accorge di quanto il suo matrimonio sia ormai finito. Non si tratta più di una pausa di riflessione… dietro quella idea di “pausa di riflessione”, c’è la sensazione sempre più forte di una rottura totale, una rottura insanabile.

**********************************************

La prima notte dei figli di Bogotá in quella casa è movimentata.

Alba e Sebastìan non danno tregua ai fratelli e alle sorelle maggiori.

“Voglio dormire con voi” – insiste l’undicenne con le due femmine della famiglia.

E il piccoletto pretende di condividere il letto con Emilio.

Il caos nel corridoio insospettisce Nairobi che, indossando la sua vestaglia di seta nera, e le babbucce, raggiunge la fonte di quel casino.

A pochi passi dalla stanza dove la donna ormai pernotta, ci sono tutti e nove i figli di Bogotà.

Appena si accorge dei capricci dei suoi bambini, la gitana , come da sempre è solita fare, interviene a modi comandante. Finalmente sente, in parte, di essersi liberata dal suo blackout emotivo, durato tre giorni che apparivano un’eternità.

Fischia per attirare l’attenzione e zittire il gruppetto. Poi a passo rapido li raggiunge e dice - “Al mio 3, ciascuno nella sua stanza. Sapete che mi arrabbio e se mi arrabbio poi…” – precisa, alzando una mano in aria, pronta per il breve conto alla rovescia. La ramanzina è diretta ai minori ma viene ben colta anche dai grandi che, senza aggiungere altro, si chiudono ciascuno nella propria camera.

Yerevan, che ha assistito alla scena divertito, è sollevato di vedere una Nairobi diversa da quella di qualche ora prima, abbattuta, spenta, e demoralizzata.

Così, coricatosi a letto, il ventisettenne spegne la lampada sul comodino, prossimo a cadere tra le braccia di Morfeo, lieto di aver contribuito a sbloccare la situazione di instabilità della Jimenez.

E a proposito di Agata…

Qualcuno bussa alla porta e il venezuelano resta sorpreso di vedere che ad averlo raggiunto è proprio la gitana.

“Scusami, volevo solo ringraziarti, parlare con te mi fa bene al cuore, sarei lieta se continuassimo a farlo!”

“Volentieri” – sono le sole parole che lui le rivolge, alquanto colpito dal ruolo determinante che Nairobi gli ha riconosciuto.

Dopo parole brevi e intense, la gitana va via, lasciando Yerevan solo con se stesso e con un inaspettato e bizzarro batticuore.

Cerca di sorvolare, stranito da tale sensazione, pensando sia dovuto alla forte emozione per aver aiutato una donna in difficoltà.

Chiude gli occhi e la prima immagine che la sua mente gli presenta è proprio quella di Nairobi allo specchio, con indosso l’ormai noto abitino blu.

Non solo questo…

Emilio dorme e sogna…sogna le sue mani avvolgere i fianchi di una donna, poi scendere giù fino a raggiungere il fondoschiena.

Mani che si immergono in una folta capigliatura scura.

Mani che accarezzano delle braccia esili.

Poi finalmente la figura si palesa…e un grido prende il ragazzo che si sveglia di soprassalto, sudato ed agitato.

“Che cazzo mi succede” – parla a se stesso.

Possibile che tra tante donne che avrebbe potuto sognare, ha sognato proprio la sua matrigna?

Non c’è nulla di rassicurante in tutto ciò, probabilmente interferire troppo in una relazione instabile, al solo scopo di aiutare, può essere più un male che un bene.

 

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Capitolo 15
*** 15 Capitolo ***


Sono le tredici in punto quando la campanella segna la fine della giornata scolastica.

“Ricordate che lunedì ci sarà la prova di matematica. Vi voglio in gran forma, studiate per bene in questo fine settimana, mi raccomando” – ricorda l’insegnante agli studenti, una classe numerosa di ben ventidue bambini di sette anni, euforici per l’inizio del weekend.

Salutandoli uno ad uno,  la docente torna a sedersi alla cattedra, decisa a trattenersi una mezz’ora in più rispetto all’uscita solita per la correzione di alcuni esercizi svolti dagli allievi.

Nota, però, che in aula è rimasto qualcuno.

“Ginny, tesoro, hai bisogno di qualcosa?” – le domanda, visto che la bambina tarda a lasciare la scuola.

“Volevo solo dirle, maestra, che alla fine ho seguito il suo consiglio” – racconta la piccola, sistemandosi lo zaino sulle spalle.

La donna, confusa, non capisce. E la sua espressione stranita viene percepita da Ginevra che le spiega subito dopo – “Mi riferisco al diario!”

“Ah, certo! Il diario segreto…e dimmi, ti sta aiutando averne uno su cui annotare tutto?”

“Certo. Ho scritto tanto..” – comunica la bambina, entusiasta.

“Sono contenta, scommetto che migliorerai anche nella scrittura”

“Posso chiederle una cosa?”

“Dimmi pure”

“Sono libera di scrivere tutto, giusto? Proprio…tutto tutto?”

“Quello che ti fa stare bene. Usalo come se fosse un’amichetta a cui confidi ogni tuo segreto. Quest’amichetta non ti giudicherà mai, ma ti ascolterà ogni qualvolta tu avrai bisogno di sfogarti!” – ribadisce l’adulta, dopo aver raccontato, durante la ricreazione, giorni addietro, della bellezza di un diario così.

Fu la passione con cui raccontò di quando lei stessa ne scrisse uno, ad intrigare Ginevra e a convincerla a prendere un quaderno e a utilizzarlo come scrigno segreto.

“Puoi scrivere cosa fai durante le giornate…puoi raccontare di te…insomma, pensa che quella che hai davanti, non è una pagina di carta, ma una persona che ti vuole conoscere e che può custodire segreti senza spifferarli a nessuno!”

Quell’idea piace molto a Ginny che, elettrizzata, ringrazia la maestra per l’ennesimo suggerimento.

In quell’istante, la conversazione tra le due viene interrotta dall’arrivo del bidello, il simpatico signor Lucas, entrato nell’aula con l’intenzione di lucidare i pavimenti.

Il tizio, i cui baffi lunghi e neri hanno da sempre divertito i bambini di quella scuola, sobbalza notando la presenza della docente e della studentessa.

“E voi cosa fate ancora qui? Sapete che oggi è venerdì, vero?”

“Stavamo andando via!” – si scusa la maestra, cambiando i programmi. A quel punto, avrebbe sistemato le sue faccende scolastiche durante il pomeriggio, tra le mura domestiche.

“Buon fine settimana, signorina Jones” – aggiunge l’uomo, apprestandosi a pulire l’intera stanza.

“Lucas, non dimenticare che i miei alunni mi chiamano maestra Honey!” – precisa la donna, sorridendo.

“Hanno ragione, è la dolcezza in persona” – si complimenta il tizio.

Dopo rapidi saluti, l’adulta, assieme a Ginevra, esce dall’istituto.

“Possibile che sei la solita ritardataria?” – brontola Sebastìan, rimasto davanti l’uscio della scuola ad attendere la gemella.

“I migliori si fanno sempre attendere, non lo sapevi fratellino?”-  risponde lei, con  tanto di linguaccia.

Il bambino alza gli occhi al cielo, arresosi di fronte alla quotidiana modestia della sorella.

“A lunedì, maestra!” – dice la piccola, rivolgendosi all’insegnante che, di fianco a lei, è alle prese con una telefonata.

“A lunedì, bambini!” – risponde rapidamente, e con un cenno di mano li saluta, dedicandosi poi alla persona che l’ha contattata.

I gemelli, mano nella mano, percorrono il viale e raggiungono i parcheggi delle auto.

Tra quelle che sostano lì a quell’ora, molte appartengono a genitori in attesa dell’uscita da scuola dei propri figli. E adesso, il solo mezzo ancora presente è quello su cui i gemelli salgono a bordo.

 “Come mai tanto ritardo?” – domanda Bogotá ai piccoli, sedutisi nei sedili posteriori. “Scommettiamo che Ginevra è la responsabile?” – la punzecchia Alba, seduta, invece, alla postazione accanto a quella di guida.

“Ho dovuto parlare con la mia maestra!” – si giustifica la moretta, giocando con le treccine realizzate da Nairobi con cura quella mattina.

“Ah si? Come mai? Qualche compito non è andato bene?” – chiede il saldatore, accendendo il motore del veicolo, pronto a raggiungere casa quanto prima, visto il brontolio allo stomaco per la fame.

“Nulla d’importante, cose mie” – risponde la piccola, cambiando subito argomento – “Lunedì abbiamo la verifica di matematica”

“Ok, quindi oggi pomeriggio lo trascorriamo tra i libri” – afferma Bogotá, deciso.

Eppure si sa, con lui non funziona mai e infatti anche i bambini, ridacchiando, lo prendono in giro – “Con te, papi, al massimo facciamo un pomeriggio di pacchia!” – a parlare è il maschietto, che con quella battutina fa ridere tutti, incluso suo padre.

Anche il saldatore, infatti, è cosciente di essere poco autorevole con i suoi figli quando si parla di compiti da fare. E così arreso all’evidenza precisa – “Allora sarà vostra madre a tenervi legati alla sedia, oggi! Fossi in voi, mi preoccuperei”

Percorrono i pochi chilometri che li separano dalla villetta, tra prese in giro, risate e leggerezza. La radio trasmette musica spagnola, dando il via al momento nostalgia per una famiglia che, seppure costruitasi in Australia, soffre la lontananza dalla terra natia.

Con il volume in modalità fiesta, i quattro si dilettano a cantare a squarciagola, fino a quando Alba chiede al padre – “Quando potremo andare in Spagna?”

Domanda di cui sa bene la risposta e che vede Bogotá stesso dispiacersi nel ribadirle – “Non si può, non ancora. Quando diventerai adulta, avrai la tua libertà, potrai recarti dove vorrai. In fondo, nessuno sa della vostra identità. Perciò, come vi abbiamo detto tante volte, solo allora potrete girare il mondo”

“Io non voglio andare in Spagna” – precisa Ginny, quasi disprezzando quel posto.

“Scherzi? È casa nostra” – risponde Alba.

“Casa mia è Perth!” – la reazione della bambina spiazza anche il capofamiglia.

“Tesoro, lì potrai scoprire le tue radici!”
“Axel vive a Madrid, lo ha detto la mamma!” – la puntualizzazione di Sebastìan, desideroso di conoscere suo fratello, irrita Ginevra che però non replica, ma borbotta a bassa voce – “Appunto per questa ragione non voglio recarmi lì. Io quello non lo voglio vedere…mai nella vita”

Giunta a casa, i tre vengono accolti da Tokyo che è seduta in soggiorno a chiacchierare con Agata.

E una volta congedata la tenera zia, i piccoli si sistemano a tavola pronti per il pranzo.

Ma prima di servire il pasto, la Jimenez con il cuore in gola, emozionata come non le capita da tempo, comunica ai presenti – “Ho ricevuto una lettera da Axel!”

C’è euforia tra i presenti e soprattutto tanta curiosità di sapere cosa il ragazzo, ormai ventunenne, ha scritto loro.

L’unica, totalmente indifferente alla notizia, è Ginevra, rimasta seduta al suo posto, con l’aria di chi avrebbe voglia di chiudersi in camera ed evitare di ascoltare i soliti paragoni con un fratello lontano e che non ha la minima intenzione di conoscere.

Approfittando dell’attimo di distrazione dei genitori così come di Alba e Sebastìan, la bambina si allontana. Va in camera, apre un cassetto e afferra il suo diario segreto.

È quello il giorno che scrive della sua difficoltà e del disagio emotivo che nutre ogni qualvolta ci si dimentica di lei in quanto Ginevra, e scatta automaticamente il confronto con Axel, figlio che Nairobi ha visto strapparle dalle braccia e della cui lontananza soffre ancora oggi.

Ma c’è un particolare che Agata, nella lettura integrale del diario, non ha potuto costatare.

Quel dì, Ginny ha scritto - “Mamma mi dice sempre che assomiglio a mio fratello maggiore. Si chiama Axel, io non so chi sia, non l’ho mai visto. Però non mi piace questa cosa, io sono Ginevra, non sono Axel. Sono stanca che mamma mi ripete “Sei come lui, hai gli stessi occhi, gli stessi capelli”. Uffa. Lei mi guarda e non vede me, lei vede lui!...” – eppure il discorso della bambina non si è concluso così… - “ Oggi è arrivata una lettera, probabilmente ci dirà che verrà qui! Ho paura che sia davvero così, non sopporterei di vederlo di persona. Forse sarebbe meglio se sparissi per un po'…chissà, magari solo così qualcuno si accorgerebbe che io esisto come Ginevra” – queste ultime righe, sono state scritte e successivamente cancellate.

Se solo la gemella di Sebastìan avesse mantenuto intatto lo sfogo emotivo riportato su carta!! E invece ai Dalì resta niente, solo tanti FORSE, tante incertezze e indizi senza fondo, apparentemente studiati a tavolino per incasinare le loro idee.

**************************************

E’ mattino quando la casa della “famiglia Sanchez” viene risvegliata dal suono del campanello.

Ad aprire la porta è Alba, già sveglia e pimpante come al solito.

“Chi sei?” – domanda, trovando di fronte a se un giovane più che ventenne.

Le basta poco per capirlo – “Axel?”

“Ciao” – saluta lui, accennando un sorriso fin troppo simile a quello di Nairobi.

Rimasta di sasso, l’undicenne è folgorata dalla somiglianza tra la persona appena entrata nella villa, sua madre e perfino Ginevra.

“Siete fatti con lo stampino” – commenta, indicandogli una fotografia alla parete.

E mentre, euforica, corre su per le scale per avvisare i genitori del lieto arrivo, Axel fissa l’immagine alla parete, quella di tutti e cinque insieme, scattata mesi prima e incorniciata a dovere. Foto di famiglia che rappresenta l’emblema della felicità.

Axel non conosce bene Agata Jimenez, se non tramite qualche stampa di giornale o internet, per via delle due rapine passate alla storia.

Eppure in quella donna rivede se stesso e in un battibaleno gli sembra che accettare quella missione sia stata la decisione più giusta e più sensata mai presa in tutta la sua giovane vita.

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Capitolo 16
*** 16 Capitolo ***


Alba mette la famiglia al corrente dell’arrivo del fratellastro, gridando euforicamente nei corridoi, bussando a tutte le porte delle varie camere. La prima ad essere svegliata bruscamente dai casini dell’undicenne è Nairobi.

“Cosa succede?” – si chiede la donna, stiracchiandosi.

Indossa la vestaglia e, con i capelli ancora in disordine, esce dalla stanza e, brontolando, rimprovera la bambina - “Cos’è questo baccano?”

E la risposta della minore, le fa esplodere il cuore.

“C’è Axel”

Un tonfo al cuore.

Agata trema.

Non ha parole…sente solo di dover correre il più veloce possibile per appurare quanto detto da sua figlia.

Quando raggiunge il salone, dove Axel è in attesa, la gitana non riesce a crederci…il suo adorato figlio, la luce dei suoi occhi, l’amore della sua vita, il cucciolo che partorì con dolore e che con la medesima sofferenza le fu strappato dalle braccia, è adesso a pochi passi!

Con lo stomaco sottosopra e il battito cardiaco accelerato, la gitana avanza verso di lui, che è di spalle, intento ad osservare l’immensità e la ricchezza di quella villa.

“Figliolo” – trova la forza per sussurrare quella parola che sembra quasi magica.

Ed è allora che anche Axel la sente…la voce di sua madre, di cui aveva dimenticato il suono e, udendola, avverte una strana sensazione, piacevole ma a tratti anche estraniante.

“Mamma”- risponde poi, voltandosi lentamente, trovandosi così faccia a faccia con la persona che l’ha messo al mondo.

Il resto della famiglia raggiunge i due in tutta fretta, rimanendo impressionata dalla somiglianza tra loro. Non intenzionati a disturbare quell’incontro tanto atteso, i sette giovani si pongono in disparte ad osservare la scena.

Bogotá, giunge per ultimo nel salone, mano nella mano con i suoi due bambini.

“E’ lui?” – chiede Sebastìan all’orecchio di Alba.

L’undicenne annuisce, elettrizzata dall’evento unico e raro.

Il saldatore, invece, non si pronuncia e, come i suoi figli, si mette da parte, dando modo , ad Agata e al giovane Jimenez, di rincontrarsi e mettere da parte il dolore del passato. Impossibile per il capofamiglia non percepire la forte emozione che ora vive sua moglie.

In fondo sa quanto lei desiderasse quell’incontro e quanto avesse lottato per riavere con sé Axel.

Dimenticandosi momentaneamente dei dissapori di coppia, Bogotá si lascia andare all’emozione.

“Papà, ma stai piangendo?” – domanda Alba al genitore che è di fianco a lei.

“No, avrò un ciglio nell’occhio” – mente, non volendosi mostrare come un piagnucolone.

Ma è Ivana a fare una considerazione sul padre – “La verità è che sei sensibile!”  - e sorridendogli si accoccola al suo petto, ricevendo dall’uomo una dolce e tenera carezza.

Nel frattempo, Nairobi e Axel si osservano senza emettere un singolo suono, come se il silenzio fosse indispensabile per entrambi affinché si scrutassero e si studiassero a vicenda.  Ma è il ventunenne a rompere finalmente il ghiaccio. Ritrovando se stesso negli occhi dell’adulta, le corre incontro e si getta tra le sue braccia: mai come allora, sente di trovarsi nel posto giusto e con la persona giusta.

“Piccolo mio” – sussurra la gitana, riempiendolo di baci, cosa che avrebbe fatto volentieri anche dodici anni prima, quando Alicia Sierra glielo mostrò all’esterno della Banca.

“Ti giuro che quel giorno mi sarei infischiata di tutto e tutti e sarei corsa fuori, da te, per stringerti e non lasciarti più” – confessa, commuovendosi.

“Se avessi saputo che mi utilizzarono per farti del male, avrei evitato” – aggiunge lui.

“Ora sono qui, sana e salva e ho modo di averti nella mia vita. Sappi che non ho alcuna intenzione di mollarti” – gli sorride, mentre le lacrime sembrano interminabili.

Solo in tale momento, Agata si accorge di avere dietro di sé l’intera famiglia e, felice come una Pasqua, è lei a fare le presentazioni.

“Vorrei conoscessi qualcuno di speciale” – dice al figlio, ed indica i sette ragazzi, invitandoli ad unirsi a loro.

“Ehi, benvenuto fratello! A sentire Nairobi che dice che non ti molla più, credo che per te sono cominciai i guai seri” – scherza Julian, stringendo la mano del nuovo arrivato.

Quella battuta fa ridere Axel che riconosce nel gruppetto di coetanei un senso di accoglienza, mai provato prima, neppure con persone con cui ha trascorso gran parte della sua vita.

Uno ad uno i neo Dalì accolgono il ragazzo. È solo Bogotá, volutamente isolatosi, a non essersi ancora esposto. E di questo Agata se ne accorge, costatando che il marito tiene vicini a sé perfino Alba e Sebastìan.

Spiazzata da quel comportamento, la Jimenez si avvicina e, non rivolgendogli parola, prende i bambini per mano conducendoli esattamente dal fratellastro.

Basta poco e i minori, ormai abituatisi a gente straniera che arriva e che entra in famiglia, si sentono a loro agio. Con la loro allegria e dolcezza permettono ad Axel si provare la stessa sensazione.

“Seguici, ti mostriamo casa” – dice Sebastìan, mentre il resto dei giovani si divide. Chi prepara la colazione, chi si chiude in bagno per una doccia veloce, chi sistema la propria stanza, e chi, come i piccoli, fa da cicerone.

In un battibaleno, gli unici rimasti nel salone sono esattamente i coniugi.

“Avresti potuto almeno avvicinarti e presentarti” – commenta lei.

“Avrò modo di farlo. Ho voluto che si sentisse a suo agio prima con i miei ragazzi!”

“Credi che lui possa avere problemi con te?” – la domanda viene posta con tono decisamente brusco.

“Non dico questo, è che ho preferito farmi da parte” – ripete il saldatore.

Marito e moglie si fissano per alcuni secondi, ma senza esprimere altro. E’ Agata per prima ad allontanarsi, sbuffando.

“Non voglio rovinare un giorno tanto importante” – borbotta ad alta voce mentre sale le scale che la conducono diretta al primo piano, nella camera dove alloggia, pronta a prepararsi per affrontare la situazione che sta vivendo e che, da adesso, affronta con uno spirito diverso.

In cucina, invece, si trova Emilio, il quale, dopo la nottata in dormiveglia, ha bisogno di abbondanti dosi di caffè che servono a dargli la carica per la nuova giornata.

Mentre sorseggia il suo Espresso, Yerevan tenta di rimuovere dai ricordi dei flash che continuano a balzargli alla mente. Sono degli scatti che hanno come protagonista il corpo di una donna che lui conosce solo da 24 ore e a cui sente di volere già molto bene… forse, anche troppo.

“Cosa cazzo mi prende?!” – dice a se stesso, rimproverandosi di comportamenti poco ragionevoli, da cui, lui in primis, è totalmente spiazzato.

A distrarlo per un breve attimo è la comparsa di Bogotá, sull’uscio della porta.

Non sembra avere l’aria serena, dopo l’arrivo di Axel in famiglia.

Con in mano il giornale del mattino, raccolto proprio allora davanti casa, il saldatore siede a capotavola, afferra la caffettiera e versa la bevanda, ancora fumante, in una tazzina.  

Emilio fissa suo padre, concentrato sulla lettura del quotidiano, immerso nel suo silenzio e inconsciamente avverte nei suoi confronti un certo senso di colpa: ha sognato sua moglie, dopotutto…

Ma come può dirgli una cosa simile? Soprattutto sapendo la crisi tra loro.

E pensare che nella vita ha sempre seguito una morale, inculcatagli da sua madre: non essere come Bogotà! Non essere un uomo che cede all’ormone, bensì uno che usa il cuore, che non sfrutta la fiducia e i sentimenti di una donna! Queste sono solo alcune delle raccomandazioni materne udite costantemente da Emilio.

Adesso, però, Yerevan avverte un grosso peso sul cuore che si chiama tradimento: tradimento mentale, sia verso sua madre e i suoi insegnamenti, sia verso suo padre, perché è sua moglie che il venezuelano sogna di notte, sia verso se stesso, divenuto ,non volendo, l’esatta persona che, a suo tempo, stabilì di non voler essere.

Teso come una corda di violino, il ventisettenne osserva, con la coda dell’occhio, il genitore intento a fissare pagine di giornale, mentre cerca di scacciare dalla mente i cattivi pensieri. Difficile farlo, soprattutto se c’è un assurdo caos proveniente dal primo piano, ad opera dei suoi fratelli.

 “Ora che ti sei sistemato, che conosci la casa, che sai qual è la tua stanza, possiamo passare alla fase due” – sostiene, entusiasta, Yaris, dopo aver condotto il coetaneo in giro per la villa.

“Cioè?”  - domanda Axel.

“Bisogna battezzarti come nostro fratello a tutti gli effetti” – aggiunge Julian.

“Mi sto preoccupando” – interviene Erik, temendo che i due più scalmanati della famiglia potessero proporre cose imbarazzanti o, peggio, pericolose.

“Volete un patto fatto con il sangue?” – ridacchia il figlio di Nairobi, stando al gioco.

“Pensiamo che tu, per sentirti “di casa”, debba rinunciare a qualcosa e sostituire questo qualcosa con altro” – sostiene il giovanotto greco.

“EH?” – esclamano  in coro Alba e Sebastìan.

Interviene subito Drazen, intuendo il tutto – “Tranquillo, amico! Niente sangue, ma questi due scemi vogliono che tu diventi Dalì come noi”

“Un Dalì?” – ripete, confuso, il ventunenne.

“Ebbene sì, e per farlo c’è un requisito da rispettare”  - aggiunge Quito.

**************************

Sono passate da poco le dieci quando la Banda raggiunge la villa della famiglia allargata.

“Hanna, sei pronta per la tua missione?” – chiede il Professore a Vienna, ricordandole di fare attenzione e di servirsi di una microspia per spiare chi incontrerà.

“Vedrai ce non la noterà nessuno” – precisa Stoccolma, sistemando la cimice sulla giacca azzurra della ragazza, ben nascosta da un bottone.

“Sicura di non volere che ti accompagniamo?” – le ripropone Emilio per la centesima volta, preoccupato per la sorella.

Nairobi sorride di fronte al lato protettore di Yerevan e così gli si avvicina e, con una mano sulla sua spalla, gli sussurra all’orecchio di stare tranquillo.

Agata è ignara che la sua vicinanza non fa bene al venezuelano come lei spera. Anzi, alimenta solo pensieri che lui cerca di scacciare da ore ormai.

E mentre la Banda congeda Hanna che lascia casa, arriva in salotto Axel, scortato da Yaris e Julian. Dietro i tre, ci sono Erik e Drazen, arresisi alle manie protagoniste dei consanguinei più scalmanati del gruppo.

Tra l’incredulità dei presenti, è Agata a fare le presentazioni ufficiali.

Fiera del suo adorato figlio, lo vanta e lo mostra come un trofeo, un trofeo che le spettava di diritto da troppo tempo e che finalmente ha vinto.

Il gitano viene abbracciato, stritolato dalle braccia di Helsinki, sbaciucchiato da Tokyo in lacrime, accolto teneramente da tutti.

“E’ un onore averti nella squadra” – dice Sergio, accennando un sorriso compiaciuto.

“L’onore è il mio” – aggiunge il ragazzo, sancendo l’amicizia con una stretta di mano.

Il momento di conoscenza raggiunge l’apice con la presa di parola di Bogotá.

Il saldatore, finalmente , si avvicina al ventunenne e dopo averlo osservato attentamente, occhi negli occhi, dice – “Io sono Bogotá… per me non è un onore averti nel team…”

Quella frase spiazza il gruppo, e pone Nairobi in allerta.

Incredula da quanto sentito, sta per scagliarsi contro il marito.

Ed è l’uomo stesso ad impedirlo, precisando – “Per me, invece, è un onore averti in famiglia…. figliolo”

I Dalì tirano un sospiro di sollievo e perfino la Jimenez si rilassa quando li vede abbracciarsi.

“Adesso sì che ci siamo tutti” – conclude il saldatore, visibilmente commosso.

“Un attimo” – interviene Yaris, alzando la mano, come si è soliti fare a scuola per prendere parola.

“Piantala” – lo rimprovera Ivana, dopo aver udito dalla sua stanza tutti i discorsi dei fratelli con Axel.

“Che succede, Mykonos?” – domanda Denver, incuriosito.

“Anche Axel è un Dalì ormai… e cosa rende un Dalì un vero rapinatore?”

Segue il silenzio e gli sguardi confusi della banda.

È Sebastìan a gridarlo – “Il nome di città”

“Promossooo” – gli fa un applauso Julian, generando allegria.

“Hai ragione, sei libero di scegliere se prendere o meno un’altra identità” – precisa Marquina.

Axel, stranito da quella proposta, apprezza l’idea che non gli dispiace affatto.

Così, senza esitare, comunica – “Non ho bisogno di pensarci troppo! Ho già scelto un nome”

“E quale?” – chiede, interessata, la gitana.

Un po' di suspance…poi il ventunenne rivela - “Avana!”

“Avana?” – resta spiazzata Nairobi  - “Come mai? Ha qualche significato speciale?”

“Si, su quell’isola dei Caraibi sono cresciuto ed è la terra che mi rappresenta!”

“Bene, vada per Avana, allora! Benvenuto tra i Dalì” – conclude il Professore.

A quel punto tutto è pronto e Hanna, uscita di casa da pochi minuti, è diretta verso la scuola dei gemelli, con il cuore in gola e l’ansia alle stelle.

Adesso sì che la partita ha davvero inizio…

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Capitolo 17
*** 17 Capitolo ***


È suonata la campanella e le lezioni sono cominciate da appena dieci minuti quando, alla porta dell’ufficio della presidenza, bussa qualcuno.

“Avanti” – risponde una donna sulla cinquantina, con i capelli corti e neri, gli occhiali da vista adagiati sulla punta del naso e lo sguardo fisso su innumerevoli documenti.

“Mrs. Williams, c’è qualcuno che vorrebbe parlarle” – spiega il bidello Lucas, trattenendosi sull’uscio della porta.

“I genitori di qualche studente? Dovrebbero sapere che il ricevimento non è previsto prima delle dieci” – commenta la dirigente, ribadendo le regole imposte da lei stessa alle famiglie.

“In realtà è una giovane ragazza e ha una proposta da farle” – aggiunge l’uomo.

Incuriosita, la  donna da il consenso e ,adagiando cartelle varie e fogli da compilare su una cattedra accanto, si pone all’ascolto della persona appena entrata nella aula.

“Buongiorno, mi chiamo Hanna Virtanen, grazie per la sua disponibilità” – mostrandosi quanto più sciolta e garbata possibile, la finlandese consegna, in primis, il curriculum alla dirigente scolastica.

“Vorrebbe essere assunta qui, deduco” – accerta l’adulta scrutando un profilo degno d’onore della fanciulla.

“Lei viene da Turku e ha appena ventitre anni. Mi complimento per le esperienze che ha vissuto e per le capacità che possiede” – Mrs Williams è piacevolmente colpita dalla preparazione di una così giovane ragazza.

E Vienna di questo è soddisfatta  ed è ben di essere giunta rapidamente al traguardo, visti gli apprezzamenti ricevuti.

Ma si sbaglia, e le sue certezze crollano quando la signora precisa – “Però al momento abbiamo raggiunto i numeri di docenti disponibili. Anche se la mia è una struttura privata, non sono previste assunzioni su concorso, abbiamo selezionato con cura il personale e non necessitiamo di ulteriori professionisti”

“Ha insegnanti di musica?”

“Certo, il signor Turman lavora qui da oltre vent’anni” – spiega la preside.

“Con tutto il rispetto signora Williams, ma non le sembra che dei bambini per essere coinvolti abbiamo bisogno di novità?” – le parole di Vienna, nota per non contenersi specialmente nel dire cose scomode, spiazzano l’adulta.

“Insinua che ci sono persone anziane qui?”  - la donna si pone subito sulla difensiva.

“Assolutamente no, intendo dire che io ho studiato e sono una violinista professionista. Avrei tanto da dare dai bambini, aiutarli ad apprezzare la musica vista da un lato diverso da quello dell’ “Imparare a memoria” ciò che viene spiegato! Mi dia un’opportunità, non se ne pentirà”

Dopo qualche secondo di silenzio, Mrs Williams esprime la sua opinione, non cambiando idea in merito – “Al momento non è un’urgenza per la scuola. Semmai avrò bisogno di lei, la contatterò”

Senza dar modo alla ventitreenne di insistere, la dirigente la invita ad uscire dalla stanza.

“Cazzo” – pensa tra se e se Hanna, che sente come un macigno il fallimento della missione.

Raggiunto l’esterno della struttura, la giovane, appartandosi, si appresta a raccontare tutto ai Dalì.

“Abbiamo visto tramite la microspia” – commenta Erik - “Che si fa adesso?”

“Calma e sangue freddo! Sbaglio o c’è un tipo anziano che lavora lì?” – fa notare Denver.
“Esatto” – risponde Hanna.

“Bisogna semplicemente farlo licenziare”  - spiega Ramos.

“Ma cosa dici?” – il tono di rimprovero di Monica mostra il suo diniego – “Perché mai dovremmo recare danno a terze persone?”

“Amore, sei sempre troppo buona e dolce. Non abbiamo altre chance, giusto prof?” – a quel punto Daniel si rivolge a Sergio.

“C’è sempre un’altra opzione da considerare, Denver, quella di mettere la preside di fronte alla fama di Hanna. Dovrà capire che perdere un diamante prezioso come una violinista di grande talento equivarrebbe ad una grossa perdita per la scuola che, invece, ne potrebbe aumentare di prestigio” – riflette Marquina, camminando avanti e indietro, nel salone.

“Tornare lì ed insistere non è il caso” – sostiene la finlandese. Così, carica di dubbi, chiede –“ Come faccio a renderli consapevoli del mio talento?”

E a fronte del silenzio dell’intera  Banda, è Axel a prendere parola.

“Aspetta, ho un’idea” - tira fuori un computer, da un borsone dei tanti che ha portato con se fino a Perth, lasciato casualmente sul divano.

“Io posso fare in modo che i tuoi video, il tuo nome, le tue esperienze, arrivino alla scuola, o meglio, alla visione della preside! Mi basta sapere solo l’indirizzo email della dirigente”

Tutti sorpresi dal talento tecnologico del gitano, si complimentano.

“E pensare che il genio della rete dovevo essere io” – ridacchia Rio, cedendo il plauso al nuovo Dalì.

“Chi ti ha insegnato queste cose? In che modo farai quanto hai detto?” – il professore è scioccato mentre lo osserva smanettare al PC.

“Questi sono i segreti del mestiere” – risponde Axel, concentratissimo sul compito assunto.

E, se a casa qualcosa si smuove, all’esterno della scuola dei gemelli Vienna chiede supporto e aiuto su come agire.

“Allora? Cosa devo fare? Datemi segnali. Non posso restare qui in eterno”

“Ti consiglio di non allontanarti troppo. Potrebbero contattarti quanto prima”-  Axel è certo e quando schiaccia il tasto Invio, sa che le sue previsioni non sbagliano.

“Caspita, un giorno dovrai insegnarmi” – Ivana è rimasta impressionata dal giovanotto dai capelli nero corvino che si mostra un genio,  superiore perfino, al professore.

“A te, forse, potrei raccontarlo” – risponde il ventunenne, volgendo lo sguardo sulla bionda, di cui gradisce i complimenti. E, guardandola meglio, adesso gradisce proprio averla di fianco.

“Caspita, non ti avevo messa bene a fuoco prima” – commenta, toccandosi, imbarazzato , la nuca. La bellezza di quella ragazza è qualcosa di paradisiaco.

“Come?” – chiede lei, non avendo afferrato il senso.

“No, nulla! Piuttosto, concentriamoci su Vienna!” – tornano così a centralizzare l’attenzione della “inviata” del gruppo.

Nei minuti che seguono, Hanna si siede su una panca di fronte la scuola, studiando ogni movimento di gente che entra e esce, mentre gli amici l’ascoltano commentare, di tanto in tanto, e visualizzano quello che la microspia mette a fuoco.

Se in un primo momento tutto sembra essere piatto e inutile, ecco che accade qualcosa, inaspettatamente, che colpisce la finlandese: trattasi della figura di una donna con la coda alta, i capelli chiari, e gli occhiali da vista, che ha con se una borsa da lavoro, e varie cartelle alla mano.

“L’ennesima docente” – dice la giovane ai Dalì, rispondendo a Tokyo che ha appena domandando chi fosse la persona appena giunta.

Eppure qualcosa spiazza la finlandese circa quella donna sconosciuta, ovvero l’appellativo con cui un bambino, di passaggio con la sua mamma, si rivolge alla tipa.

“Maestra Honey, ciao”

Ecco… è questo che sciocca la figlia di Bogotá.

“Mio Dio” – esclama la ventiduenne, alzandosi dalla panca per avvicinarsi quanto possibile all’ingresso dell’istituto per visualizzare la famosa Maestra Honey.

“Che succede adesso Hanna?” – domanda il professore, guardandola muoversi confusamente ed agitarsi.

“Ho scoperto chi è la maestra che cercavamo!” – comunica, felice che, dopo un’iniziale sconfitta, ha ottenuto un minimo successo.

“Descrivila bene, così possiamo ricordarla” – interviene Nairobi, seduta sul divano, di fianco ad Emilio e Alba.

E la sua posizione e vicinanza con Yerevan viene notata da Tokyo, rimasta ad osservare i due tutto il tempo, piuttosto sospettosa.

La faccenda della maestra Honey colpisce Mykonos che solleva un quesito importante- “Possibile che Seba non sappia chi sia? Sbaglio o siete nella stessa classe?”

“Mi dispiace non potervi aiutare. Io non conosco questa maestra Honey” – si scusa il piccolo, accolto subito tra le braccia di zia Tokyo.

“Quindi, non tutti gli alunni la chiamano con quell’appellativo, mi pare di aver capito” – riflette Lisbona ad alta voce.

“E’ che Seba non presta molta attenzione a queste cose, e sicuramente solo alcuni si rivolgeranno a quella donna con quel nomignolo affettuoso” – precisa Bogotà, consapevole che il suo bambino non è attento a particolari come quello.

“Esatto, per me le maestre sono tutte uguali. Mi danno i compiti, mi rimproverano per gli errori, parlano, parlano, parlano e mettono voti” – spiega, elencando con le dita della mano, le caratteristiche che riconosce alle insegnanti. E nel farlo,si mostra esattamente come i classici alunni che odiano la scuola e non vorrebbero mai metterci piede.

“Mi domando da chi lui possa aver ereditato “l’amore” per lo studio!” – l’osservazione di Erik, tra i più secchioni dei sette nuovi Dalì.

“Sicuramente non da te” – la battutina di Julian, fa ridere i presenti e distoglie per qualche istante dalla preoccupazione inerente la donna misteriosa.

“Ebbene? Cosa devo fare? Attendo che esca di scuola?” – Vienna torna a ricercare il supporto della squadra.

“No, veniamo noi lì”- Nairobi è decisa ad agire e sceglie di farlo raggiungendo la figliastra.

“Bisogna essere prudenti, Agata” – la trattiene Sergio, temendo possa agire in maniera sconsiderata.

“Non andrò da sola!”- lo tranquillizza la gitana.

A quel punto tutti pensano che la Jimenez sarebbe uscita, scortata dal marito. Chi più di lui può accompagnarla nelle ricerche sul campo.

E invece…

“Yerevan verrà con me!” – senza averlo interpellato, Nairo prende per mano il venezuelano e si avvia alla porta.

Inseguita da altri Dalì che provano a farla ragionare sul da farsi, Bogotá resta in silenzio, seduto al suo posto.

Ma ad essere rimasto accanto all’uomo c’è qualcuno.

“Che succede tra te e mia madre?” – chiede Axel, sospettoso.

Il saldatore fa spallucce, nascondendogli la crisi.

“Inutile che menti o che fingi che non sia accaduto nulla! C’è freddezza tra voi, non vi guardate mai e i vostri occhi sono spenti!”

“Cazzo, che osservatore che sei” – commenta l’adulto, mantenendo lo sguardo basso.

“Adesso che sono qui con voi, farò di tutto per dare una mano…che voi siate d’accordo o meno, non potete distruggere il vostro matrimonio”

“Siamo messi malissimo, figliolo! La cosa peggiorava sempre più e ho messo un punto!”
“In che senso?”

Il brusio di persone che rientrano nel salone interrompe la conversazione.

È la Oliveira a prendere Bogotá in disparte, con fare molto nervoso, e a separare i due uomini che conversavano.

“Cosa cazzo state facendo tu e Nairobi?”

“Cosa intendi dire?”

“Che state mandando a puttane tutto”

Il saldatore evita di rispondere e cerca di andare via, per evitare il discorso e possibili liti con la compagna di squadra.

“Fermo lì” – è Selene a bloccarlo, facendogli notare un dettaglio di cui si è accorta.

“Ti sei reso conto che Agata ha portato con sé Emilio e non te?”

“Si, e allora?”

“E allora? Ho visto come lui la guarda, come arrossisce e non ho dubbi Bogotá!”

“Senti Tokyo, piantala con questi giri di parole. Se devi dire qualcosa, dillo, o me ne torno in salone”

“Svegliati o rischierai di perderla per sempre!”

Quell’affermazione colpisce diretto il cuore dell’uomo che, inarcando il sopracciglio, perplesso, ascolta le parole conclusive.

“A me è sembrato che Yerevan la guardasse come la guardavi tu dodici anni fa… spero di sbagliarmi, però, se così fosse, e soprattutto, se lei alla fine cedesse… avresti dei seri problemi”

Con quella confidenza, la Oliveira lascia da solo l’amico, perché chiamata da Rio. Non immagina minimamente quale dilemma ha appena scatenato nella mente di Bogotá.

“Dove vai adesso?” – Sergio richiama all’ordine il saldatore, guardandolo apprestarsi ad abbandonare la villa.

“Cavolo, ma sono tutti impazziti!” – esclama, in panico, Marquina, seguendolo per riportarlo sulla diretta via.

“Penso sia colpa mia!” – sussurra Tokyo a Rio – “Ho agito, come al solito, istintivamente” Probabilmente rivelargli i suoi sospetti è stata la cosa peggiore che potesse mai fare.

 

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Capitolo 18
*** 18 Capitolo ***


“Bene, bambini! Avete svolto delle prove di matematica brillanti” – comunica la maestra Honey alla classe.

Poi è una biondina in prima fila ad alzare la mano per richiedere la parola.

“Dimmi, Betta!”

La piccola, proveniente da una famiglia di banchieri, iscritta appositamente in quella scuola illustre e per pochi, mostra la sua estrema educazione, laddove alcuni dei suoi compagni hanno mancanze di questo tipo.

“Ginevra e Sebastìan sono assenti da tre giorni ormai, signorina. Volevo chiedere se ci sono notizie”

Gli occhi della docente si posano sul banco vuoto dei due gemelli, in terza fila.

Poi torna a guardare la piccola, rivoltasi con evidente preoccupazione circa la situazione dei due che sono tra i suoi più cari amici.

“Presto torneranno, stai tranquilla” – si limita a dire la donna, sorridendole per rassicurarla – “Hanno l’influenza. Il loro papà ci ha informati e appena entrambi si sentiranno meglio, rientreranno”

“E’ strano” – commenta la minore.

“Perché? Può capitare” – risponde l’adulta.

“Io e Ginny ci sentiamo quasi sempre! Ma sono tre giorni che sembra essere scomparsa nel nulla” – riflette, mostrando la sua tensione.

Eppure la sua osservazione non ottiene risposta ed è il suono improvviso della campanella a chiudere la faccenda.

Tutti gli alunni si alzano dalle loro sedie, salutano la maestra e lasciano l’aula.

È Betta l’ultima ad andare via e quando è prossima ad uscire dalla stanza, viene trattenuta proprio dalla maestra Honey.  

“Devi essere sinceramente legata a Ginevra, vero?”
“Molto, è la mia migliore amica e mi manca tanto non vederla né parlare con lei”

“Sei andata a casa sua?”

“No, i miei sono sempre troppo occupati per accompagnarmi da qualche parte” – si incupisce la bambina, sofferente alle poche attenzioni della famiglia nei suoi confronti, una figlia unica destinata a rimanere tale per sempre.

“Se vuoi vedere Ginny, ti porto io da lei, va bene?” – le propone l’adulta, spiazzando Betta che, senza esitare, accetta.

“Dammi due minuti che faccio una telefonata e a breve avremo l’auto che ci condurrà da lei”

********************************************

Nairobi ed Emilio, nel frattempo, sono prossimi a raggiungere, Hanna, ancora seduta sulla stessa panca, da ormai più di un’ora.

Durante il tragitto, Agata ha esposto al figliastro i suoi dubbi sulla donna in questione, cercando di ricordare di lei, durante riunioni varie a cui partecipò come genitore dei gemelli.

E mentre parlava, parlava, parlava, in quei minuti di viaggio, Yerevan non si è pronunciato in merito. È rimasto in silenzio a rimuginare su pensieri che si dissociavano totalmente con le circostanze che erano chiamati ad affrontare e vivere.

“Siamo arrivati” – comunica la Jimenez al ventisettenne, riportandolo con i piedi per terra.

“Ehi, tutto bene?” – chiede lei, sorpresa della sua scarsa partecipazione – “Scusami, magari avresti preferito rimanere a casa. Io ti ho trascinato qui…”

“No, no, figurati! Sono contento che mi hai considerato e hai ritenuto giusto che fossi al tuo fianco..” si lascia andare il giovane, nascondendo l’imbarazzo.

Ma Nairobi più lo guarda più nutre per lui un affetto smisurato, paragonabile, paradossalmente, a quello che sente per i suoi stessi figli. Non le è mai accaduto qualcosa del genere, con nessuno!

E questo, Emilio lo avverte e gli pesa enormemente sul cuore.

“Adesso andiamo da Hanna, e smascheriamo questa maestra Honey” – così dicendo, i due si avviano alla postazione, dove Vienna è seduta.

“Che ci fate qui?” –domanda la ragazza, vedendoli avanzare.

“Ho bisogno di vedere in faccia quella donna!” – risponde la gitana, determinata ad agire ed indagare esponendosi anche più del dovuto.

“Sbaglio o avevamo deciso che né tu né papà dovevate mettere a rischio la vostra identità?” -  replica la violinista, infastidita dalle interferenze di persone che evidentemente non si fidano del suo agire – “Vi avevo detto che c’avrei pensato io”

“Calmati, sorellina! Siamo qui per altro, non per criticare il tuo operato” – interviene Yerevan, abbracciandola con la solita dolcezza che è solito regalare alle due sole sorelle adulte appartenenti alla famiglia allargata. Quello basta a chetare la finlandese.

E mentre i due figli di Bogotá si coccolano, Nairobi siede sulla panca, e accavallando la gamba e incrociando le braccia al petto, si appresta a studiare l’esatto punto dal quale, da lì a qualche minuto, sarebbe uscita la maestra misteriosa.

A proposito di Bogotá, il saldatore agitatosi dopo aver ascoltato i turbamenti di Tokyo s’incammina verso la scuola, seguito da qualcuno di inatteso.

“Fermati, ti prego! Dove pensi di andare!”

“Axel, torna in casa. Sbaglio o non dovevi lavorare con il computer?” – replica l’uomo, accelerando il passo.

Il gitano, infatti, accortosi dell’uscita del patrigno, ha messo in sospeso quanto era impegnato a sistemare, e raccomandando i Dalì di non varcare i cancelli per precauzione, è corso incontro al marito di sua madre.

“Ci vuole un’eternità ad andare fin lì senza un’auto” – sostiene il moro.

“La mia l’ha presa Nairobi…insieme a Emilio…ha preferito avere uno sconosciuto vicino”

“Aspetta! Cosa stai cercando di dirmi?” – a quel punto, Axel approfittando della sua agilità fisica raggiunge l’adulto e gli si pone davanti come barriera.

Lo costringe a fermarsi – “Sei esausto, hai il fiatone, sei agitatissimo. Non ti conviene rincasare? A breve avremo notizie. Ricorda che Hanna ha il microchip e possiamo sapere tutto quanto”

Bogotá sospira e non risponde, si limita ad ignorare quanto udito e riprende il passo.

“Se vuoi davvero rischiare il tutto e per tutto, puoi prendere l’automobile del Professore, no?”

Cazzo, certo! Pensa il saldatore – “Che idiota!” – rivolge quel “complimento”  a se stesso per aver percorso un tratto lungo di strada sapendo che invece aveva il mezzo a portata di mano.

“Però, riflettici su! Che senso ha andare davanti la scuola di Ginevra? Serve solo ad alimentare possibili sospetti su un gruppo di cinque persone che fa la spia”

“Cinque?”

“Certo, cinque! Non crederai che io ti lasci da solo in questo stato?” – gli dà una pacca sulla spalla, mostrandosi volenteroso addirittura a guidare il veicolo, se proprio Bogotá non avesse ceduto ai suoi consigli.

“Sei un bravo ragazzo”

“Me l’hai già detto” – ridacchia il giovane Jimenez, desideroso di regalare al patrigno attimi di pace, e magari anche qualche risata.

“Allora? Torniamo a casa?”

“Posso chiederti un favore?” – domanda Bogotà, deviando l’argomento centrale.

“Certo”

“E’ importante. Riguarda Emilio, mio figlio maggiore”

“Che succede?”

L’adulto sospira di nuovo, profondamente, poi dice – “Vorrei scoprissi cosa prova per Nairobi”

“Hai detto “Cosa prova..”!? Mi stai dicendo che potrebbe essere interessato alla mamma?” – Axel a bocca aperta, incredulo, e spiazzato, reagisce sdrammatizzando – “Ok, mia madre è una donna molto bella e affascinante, però io mi butterei più su coetanee!”

“Ti prego, è un fatto preoccupante, non ci si può ridere sopra! Se fosse come temo, la situazione si complicherebbe e io sarei costretto ad agire di conseguenza”

“Cosa intendi dire?” – in quel momento, colta l’estrema serietà del saldatore, il gitano smette di giocare o banalizzare le teorie dell’uomo.

“Vorrei mi facessi questo piacere” – ribadisce l’adulto.

“Ok, farò del mio meglio”

Con una stretta di mano, i due si promettono a vicenda di tutelare la loro grande bella famiglia.

“Che si fa ora?” – il ventunenne torna sulla faccenda della scuola, di cui parlarono pochi minuti prima – “Aspettiamo che tornino tutti alla villa?”

Calmatosi e assicuratosi dell’aiuto del figliastro, Bogotá annuisce.

Come padre e figlio, percorrono gli ultimi metri che li separano dalla loro meta, facendosi spalla l’un l’altro.

“Eccovi di ritorno” – va loro incontro Tokyo.

Poi si rivolge all’amico della Banda – “Perdonami, non era mia intenzione metterti in testa strane idee!”

“Non ti preoccupare, è tutto passato” – con quelle brevi parole, Bogotá liquida l’amica e si dedica ad altro.

Avvicinandosi al computer, collegato al microchip di Hanna, si focalizza su quello che la telecamera mostra e sulle voci poco comprensibili dei tre Dalì ancora posizionati davanti l’edificio scolastico.

Ed è proprio lì che finalmente qualcosa sembra smuoversi.

La figura di una donna, che ha per mano una bambina, diventa oggetto focale del trio.

“E’ lei” – esclama Vienna, indicando la persona in questione.

Nairobi cerca di metterla a fuoco e, in quel momento, le sembra un viso familiare.

“L’insegnante di matematica, ecco chi è” – giunge in pochi secondi alla soluzione del dilemma.

Cerca di raggiungere la famosa signora Honey ma le basta vedere la tipa salire a bordo di un’auto, assieme alla piccolina di cui è certa di conoscere l’identità, per sospettare e temere il peggio.

“ Quella è Betta! Dove la sta portando?” – preda di un miscuglio di emozioni, si dirige verso il mezzo, pronta ad affrontare tutto, senza paure e infischiandosi di regole imposte dal Professore.

Però, una volta prossima alla verità, qualcosa la immobilizza.

Anzi…qualcuno!

“Non ci credo” – impallidisce quando scorge l’autista dell’automobile sul quale la docente è salita assieme alla studentessa.

“Che succede?” – chiede Hanna, raggiungendo, assieme ad Emilio, la matrigna visibilmente scioccata.

“Dobbiamo seguirli. Sto temendo seriamente che la maestra Honey sia legata a una persona del passato che mi fa fatto tanto male” – e con quelle parole, Agata sembra sprofondare nei vecchi ricordi e in ferite che le pulsano ancora sulla pelle.

 

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Capitolo 19
*** 19 Capitolo ***


SALVE A TUTTI. DOPO UN PO’ DI GIORNI RIECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO.

PRIMA DI AUGURARVI BUONA LETTURA, CI TENEVO A CONDIVIDERE CON VOI UN VIDEO/TRAILER CHE HO REALIZZATO (PERDONATE MA E’ UN ESPERIMENTO, QUINDI NON SARA’ PERFETTO) PER QUESTA FANFICTION.

https://www.youtube.com/watch?v=aL8gHG7O8Pg

PERCIO’ NON MI RESTA CHE AUGURARVI BUONA LETTURA, E STAVOLTA ANCHE BUONA VISIONE! J

xoxo

 

E’ da poco terminato il pranzo, quando una ragazzina dai capelli neri come la pece e la carnagione olivastra, si sistema sul divano, di fronte ad una tv accesa, esattamente di fianco ad una donna, all’incirca di quarant’anni.

“Hai pulito tutto?” – chiede la grande.

“Sì, lucido come uno specchio” – precisa l’altra osservandosi le mani consumate dall’ormai routinario lavaggio di piatti e pavimenti.

Intenta a rattoppare, con ago e filo, una vecchia maglia, l’adulta, soddisfatta, ha incaricato la minore delle mansioni domestiche, per l’ennesima volta e ha giustificato quello sfruttamento con tali parole - “Sappi che la mia intenzione è solo quella di educarti al meglio così da essere una perfetta moglie!”

Udire tali parole, spiazzano la ragazzina che, risponde – “Dovrei sposarmi?”

“Beh, mi pare ovvio. Cosa credi?! Che rimarrai sotto il mio tetto tutta la vita? Non farai la mantenuta, tesoruccio. Dovrai sposarti, occuparti di tuo marito e della vostra casa. Io ho smesso di darti il pane gratuitamente, Agata!” – le parole dure che la quarantenne usa dimostrano quanto quella povera moretta, di appena tredici anni, sia diventata un enorme peso gravoso sulle sue spalle.

“Mamma, come puoi dirmi queste cose? Non mi vuoi bene?” – con le lacrime agli occhi, la ragazzina, non trova spiegazione al comportamento della persona che l’ha messa al mondo.

E la risposta della madre non tarda ad arrivare.

“Non dire sciocchezze! Perché mai avrei stabilito per te un buon matrimonio se non volessi il tuo bene? Tesoro, è ora di crescere!”

“Ma io non voglio sposarmi, vado ancora a scuola!” – ribadisce Agata.
“Appena compirai diciotto anni, e chiuderai la tua carriera scolastica, celebreremo le nozze. Niente No e niente Ma. Sei grande abbastanza per capire il tuo ruolo nel nostro mondo!” – a quel punto la donna opta per temprare la corazza di sua figlia preparandola psicologicamente ad accettare il suo destino. Così continua – “Quando dico che sei diventata grande è perché hai avuto il primo ciclo, un mese fa”

“Ti riferisci a quando ho perso sangue da…?” – chiede la tredicenne, indicandosi il basso ventre, spaventata dal ricordo di un’esperienza che la scosse, di cui non fu mai informata da nessuno e che le creò anche malessere fisico - “Non mi accadrà più, vero?”

Di fronte tale domanda, la signora esplode in una rumorosa risata, quasi beffarda, che umilia la giovane sedutale di fianco.

“Ma cosa insegnano in quella specie di scuola? Dovrebbero informarvi su questo, e non a ribellarvi contro il sistema” – sostiene la donna, alzando gli occhi al cielo.

Così, non avendo scelta, rende cosciente Agata delle esperienze che il suo corpo avrebbe vissuto da lì in poi.

“Quella è stata la prima di tante altre, figliola!” – le comunica, turbando la ragazzina che, esclama, incredula - “Dio mio, io non voglio”

E’ la madre a rivelarle il destino di ogni donna, soprattutto di una zingara come lei.

“E’ qualcosa che accade a tutte … e non mi riferisco solo al ciclo!”

“Anche al matrimonio?”

“Esattamente. E’ la regola che vige da noi, da quando ho memoria. Così fecero per me i tuoi nonni, così ora tocca a te! Appena arriva la prima mestruazione, puoi dire addio alla tua infanzia, ed entrerai nella vita dei grandi. Questo mi raccontò mia madre, quando anch’io alla tua stessa età, mi trovai davanti ad un matrimonio combinato!”

“Tu, però, puoi salvarmi. Vero? Puoi risparmiarmi una vita così! Sei mia madre!”

“Proprio perché sono tua madre, so che devo fare la cosa più giusta. Ho trovato un pretendente perfetto! Mi è costato caro, lo ammetto. Ma ne varrà la pena”

A quanto pare, la zingara adulta, con a carico una figlia da crescere da sola, ha optato per la salvezza di Agata da una vita pessima, costretta in un barrio orrendo e sporco, con delinquenti in ogni dove.

“Andrai via da questo postaccio. Sai quanto è dura campare e io non riesco con quei miseri spicci racimolati qui e lì. Non posso mantenerti più. La famiglia che ho scelto per te è benestante, nonostante tutto”

“Io voglio stare con te, non m’importa del denaro, mamma!”

“Ora parli così; un giorno piacerà anche a te circondarti di soldi e fare la bella vita”

In quell’istante, nella mente di Agata si accede una lampadina e le sembra di aver trovato l’escamotage perfetto per salvarsi da un matrimonio non voluto.

“Io sono brava a falsificare la tua firma, e anche quella degli zii e dei cugini. Potrei tentare con altro”

“Cosa vuoi dire?” – le chiede, confusa, la madre.

“Imparerò a falsificare denaro. Potremmo diventare ricche. Ricchissime”

La donna, spiazzata da tale idea, resta in silenzio. Sa benissimo quanto sia assurdo pensare di arricchirsi con soldi finti, per di più falsificati da una ragazzina.  Eppure non le dispiacerebbe riempirsi le tasche di bigliettoni e lasciare quell’orrido quartiere in cerca di fortuna.

“Provare non costa nulla” – commenta l’adulta, cedendo alla proposta di sua figlia.

Ed è allora che Agata precisa – “Io ti rendo ricca, tu mi rendi libera. Che ne dici? Ci stai?” – le porge la mano, speranzosa in un ok immediato.

Però la zingara esita, sospettosa che l’accordo non sia chissà quanto vantaggioso.

“Cosa invento con quella famiglia per annullare il vostro vincolo?”

“Ci penseremo quando sarà il momento. Ora ho tredici anni e fino ai diciotto perfezionerò al massimo la mia abilità. Le banconote da 50 euro saranno il nostro salvacondotto”

Ciò che accade dopo quel patto madre-figlia ha dell’incredibile.

La ragazzina imparerà realmente a falsificare denaro. E alla vigilia del suo quindicesimo compleanno, sperimenterà un pagamento con soldi finti.

“Allora? Ha funzionato?” – le domanda, agitatissima, sua madre, accogliendola rientrare in casa, in tarda serata.

E dopo istanti di suspense, cattivo segno per la gitana adulta, l’adolescente le conferma di avere delle doti speciali e che nulla è andato storto.

L’euforia è incontenibile e sarà la loro rovina.

“Signora Jimenez, sono Jorge Gonzales. In giro circola una voce allettante sul suo conto, mi piacerebbe scambiare quattro chiacchiere con lei”

Un uomo, sconosciuto, si presenta alla porta di casa delle due e allaccia con la capofamiglia un rapporto che persisterà fino a quando Agata, messa al corrente da pettegolezzi di quartiere, si trova costretta a chiedere spiegazioni.

“Gli hai rivelato i nostri piani? Come hai potuto”

“E’ il mio compagno. Abbiamo una storia ormai! Non può non sapere nulla”

“Io non voglio casini, mamma!”

“Non ne avremo. Lui ci darà una mano!”

“E come? Sfrutterà come meglio può le mie capacità da falsificatrice e appena possibile, ci metterà alle strette”

“Mi credi così stupida? Sbaglio o tra noi c’era un patto? Vuoi ancora la  libertà?”

L’espressione dell’adulta ha tutti i tipici tratti di un ricatto.

“Minacci di farmi sposare se non sostengo la tua storia d’amore, giusto?”

La donna non risponde, eppure è chiara l’intenzione.

Da quel momento in poi qualcosa nel loro legame si sgretolerà. Un legame che, in realtà, è sempre stato unilaterale: era Agata ad amare sua madre; sua madre non teneva a lei come avrebbe dovuto fare.

E così Agata continua il suo lavoro segreto con le banconote, costantemente  soggetta ai cambi d’umore e d’idea di sua madre, la quale continua a ricattarla con la questione “Nozze”.

“Non posso vivere così” – la ragazza, ormai sedicenne, sfoga con un’amica il suo malessere durante una lezione di matematica.

Quella è l’amica il cui fratello diventerà speciale per la figlia della signora Jimenez e sarà lui che conquisterà presto il suo cuore.

“Ti stai frequentando con Juan? È un morto di fame!” – la accusa sua madre, messa al corrente della realtà dei fatti dal suo compagno.

“Chi ti dice queste cose?”

L’adulta non rivela nomi ma continua – “Non è la persona che devi avere accanto. E poi, tu un uomo già ce l’hai!”

“Non più, mi pare!” – e Agata si riferisce all’accordo che la libera dal matrimonio combinato. La sua determinazione e gli artigli tirati fuori al momento giusto, spiazzano totalmente la mamma, che rimpiange i piagnistei e le paure da ciclo della ragazzina di qualche anno prima.

“Sei diventata cazzuta in un battibaleno. L’influenza di quel Juan non mi piace”

Agata non ha intenzione di rinunciare a qualcosa di bello che sta vivendo e scoprendo.

Sarà Juan il suo primo amore. Sarà Juan a cui darà il suo primo bacio e a cui cederà la sua verginità. E proprio quella notte magica, Agata rientrerà a casa in tarda ora ricevendo una punizione esemplare non da sua madre, bensì da Jorge.

“Tu non sei mio padre, non puoi chiudermi qui in camera!”

“Non rischieremo di perdere soldi e ricchezza per colpa dei tuoi colpi di testa” - su consenso della compagna, l’uomo decide della sorte della sedicenne.

Un appuntamento organizzato con Juan…una fuga studiata nei dettagli… va in fumo! E in fumo vanno anche i sogni di libertà di una giovane zingara innamorata.

Chiusa in se stessa, rancorosa verso due persone adulte che si comportano da prepotenti, la Jimenez decide di sottostare per salvezza. Appena possibile lascerà casa per sempre.

Questo è il suo piano.

Stanca di vivere soffocata dalle oppressioni di chi la tiene in bilico tra castigo e libertà, la ragazza ormai prossima alla maggiore età, scappa.

Senza meta, senza nessuno accanto, commette la mossa sbagliata.

“Appena tornerà, perché stai sicuro che lo farà, beh… si sposerà con il pretendente che scelsi per lei. Basta fare la buona. Mia figlia deve sottomettersi, deve capire chi comanda davvero” – le parole forti e arrabbiate di sua madre suonano come una vendetta personale: ai suoi occhi, Agata è fuggita e fuggendo ha portato via la sua abilità da falsificatrice.

E niente falsificatrice, niente denaro.

Agata viene acciuffata da alcuni scagnozzi di Jorge, noto per avere amicizie poco affidabili in tutta Madrid.

Ricondotta al suo nido, la maggiorenne non ha più scelta. Sposerà un ragazzo subito dopo il rientro a casa, un ragazzo di cui a stento conosce il nome.

“Questa è la punizione che meriti. Ad un uccello che vuole volare, l’unico modo per impedirgli di farlo è tarpargli le ali per sempre!” – ridacchia Jorge quando, con aria soddisfatta, l’accompagna all’altare.

Un matrimonio destinato a finire presto.

“Incinta? Sei incinta?” – esclama entusiasta la madre, in attesa di ricevere questa notizia da tempo ormai. La gravidanza mette un freno, a suo avviso, al temperamento esuberante della ragazza.

Così, a soli 23 anni, Agata scopre di aspettare un bambino. Ma non solo. Il tradimento di suo marito metterà la parola fine ad una relazione mai consolidatasi, se non sul piano meramente sessuale.

“Se c’è una cosa che io odio è il tradimento. Così fece tuo padre con me, così ha fatto quel verme del tuo sposo. Sai che ti dico? Ora abbiamo i soldi per campare da sole il piccolo Axel! Vivrete sotto il mio tetto e con me e il tuo patrigno il piccolo non avrà problemi.  Mai!”

Ciò che accade da lì in poi è storia, una storia che Nairobi sa bene, che ricorda come fosse accaduto ieri, che pesa gravemente sul suo cuore.

E tutti quei flashback di un passato fatto di turbolenti rapporti con la madre, con il patrigno, con un ruolo da moglie che non voleva, con un bebè strappatole per mera ingiustizia, ripiombano nella sua memoria proprio adesso, ora che ha di fronte a sé un automobile e un conducente difficile da dimenticare.

Molto di quello accaduto sembra trovare spiegazione oggi!

“Chi era quel tipo, Nairo?” – chiede Hanna, mentre, saliti in auto, si accingono a seguire il veicolo.

“Il suo nome è Jorge… Jorge Gonzales, il mio patrigno!” – confessa, faticando a pronunciare quel nome.

“Il tuo…cosa?” – esclama, spiazzato, Yerevan.

“Sai qualcosa sul suo conto? Non lo vedevi da molto, giusto?” – domanda Vienna.

“Sono andati in galera sia lui che mia madre, poco dopo la mia cattura per spaccio”

“Pensi siano qui per vendicarsi?”

“Non lo so! Sta di fatto che loro mi odiano per aver preso decisioni sbagliate, per avergli ingarbugliato la vita. Temo seriamente che abbiamo perduto lucidità da quando hanno assaporato l’euforia del denaro finto”

“Ok, però cosa c’entra Ginevra in questa faccenda?” –la finlandese non sa spiegarsi il nesso tra presunti criminali e un’innocente bambina.

“Ginny è esattamente come me e se conosco mia madre, se è coinvolta anche lei in tutta la storia, vorrà vendicarsi su mia figlia facendo con lei ciò che non è riuscita a fare con me…”

Parole agghiaccianti che tagliano l’aria e che mostrano l’ennesima, forse la più grande, fragilità della Jimenez.

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Capitolo 20
*** 20 Capitolo ***


Seduta di fianco alla postazione di guida, Nairobi racconta, con fatica, un pezzo di storia che fa male, una ferita aperta che, a distanza di anni, sanguina ancora.

"Chi sa di questa faccenda?" – chiede Emilio, fortemente scosso da quanto udito.

"Ehm...fratellino, io ho il microchip ancora attivo...adesso lo avranno scoperto tutti i Dalì" – commenta Hanna.
"Cazzo!" – esclama Nairobi, volgendo lo sguardo su Vienna e ordinandole di spegnerlo.

Dall'altro lato, il Professore cerca di comunicare alla finlandese che il danno è stato ormai fatto, non si può tornare indietro. Axel era presente quando Agata rivelò dettagli agghiaccianti del suo passato, un passato che lo vede protagonista di situazioni più grandi di lui.

"Inutile tentare di disattivare i collegamenti con noi! Piuttosto, inviateci la posizione tramite GoogleMaps!" – interviene Bogotá, agitato dopo aver ascoltato e ripercorso i momenti duri di sua moglie.

"Vuoi andare lì? Non possiamo" – Sergio ha chiaro che nessuno dovrà fare alcuna mossa per creare caos. Però il saldatore non vuole sentire ragioni.

"Nairobi è a due passi da Ginevra, ormai ne sono certo anch'io. E tu vuoi che io rimanga in casa a girarmi i pollici senza spaccare la faccia a qualcuno e riprendermi mia figlia? Ti sbagli!"

"Sarebbe una cazzata agire sconsideratamente" – puntualizza Denver.

"La cazzata è restare fermi, mentre tre membri della mia famiglia, sono alla ricerca di uno stronzo che potrebbe aver rapito la mia bambina.."

"Nairobi, Yerevan e Vienna non faranno nessuna mossa. È l'ordine che ho appena dato loro" – Sergio prende nuovamente parola, dopo aver chiuso i collegamenti con Hanna.

"Non volete capire?" – con le mani tra i capelli, Bogotá non sa spiegarsi la codardia dei Dalì – "Cosa fareste se ci fossero i vostri figli al posto della mia? Rimarreste inermi, sapendo che c'è una pista da seguire più plausibile di qualunque altra?"

E tale riflessione, fa zittire i presenti. Le donne addirittura tremano al solo pensiero di veder sparire nel nulla i loro tesori.

"Che cosa ha risposto Nairo?" – Tokyo, preoccupata per la migliore amica, si rivolge a Marquina sperando di ricevere una notizia positiva. Eppure conoscendo la gitana, Selene è convinta che non si fermerà sapendo sua figlia probabilmente nelle mani del patrigno.

Fortunatamente l'espressione del Prof sembra rassicurarla – "Ha promesso di non agire e attendere istruzioni da parte mia!"
"Cosa?" – esclama Bogotá, perplesso – "Lei che avrebbe smosso mari e monti, stavolta rimane calma?"

"Bogotá, per favore. Agitarti così non fa bene a nessuno" – aggiunge Helsinki, adagiando una mano sulla spalla del compagno di squadra – "Fidati di tua moglie. Lei forse ha capito che è la cosa giusta da fare"

"La cosa giusta un corno! Dannazione ma cosa le prende? Da quando in qua accetta condizioni come questa?"

"Yerevan ha un buon ascendente su Nairobi. Sicuramente sarà stato lui ad averla convinta!" – cerca di spiegare Erik, ingenuamente, non intenzionato a ferire il genitore. Purtroppo accade proprio questo e il ragazzo viene zittito dalla risata nervosa del padre.

"Perché ora ridi, papà?" – gli domanda, confuso, Drazen.

"Sono esterrefatto, ormai ai suoi occhi Emilio ha preso il mio posto" – trattenendo la rabbia, il saldatore decide di allontanarsi per evitare parole di cui si sarebbe pentito.

"Bisogna tenerlo d'occhio. Non vorrei commettesse follie" – precisa Sergio, chiedendo una mano a tutto il gruppo.

"Adesso, però, è bene pensare anche ad Axel. Poverino è rimasto scioccato ed è corso via! Dove potrà mai essere?" – si preoccupa la Oliveira.

Infatti, dopo aver ascoltato la gitana raccontare di un vero inferno vissuto anni addietro, il giovane Jimenez si è isolato, sfogando, in un pianto incessante, quel malessere nascosto alla perfezione per troppo tempo, ed ora riemerso a causa di rivelazioni di un passato di cui non era al corrente.

"Ehi" – una voce improvvisa, lo fa sobbalzare e lo costringe a placarsi ed asciugarsi il viso.

"No, non smettere! Piangere fa bene, sai?" – Ivana, raggiunto il fratellastro, nascostosi in giardino, dietro un albero di pesco, si siede di fianco a lui.

"I bambini lo fanno. E io non lo sono più da un pezzo"
"Cosa dici? Anche i grandi e i più forti piangono. E tu sei uno di quelli" – sostiene la bionda ucraina.

E lo sguardo dolce di lei, e la sua vicinanza fisica e morale, solleva Axel dall'amarezza che nutre. La presenza di una persona tanto genuina ed empatica è quanto gli serve.

Con spontaneità e senza malizia, la bionda Varsavia lo invita ad accoccolarsi al suo petto e Axel, seppure imbarazzato, lo fa e si lascia coccolare dalla voce premurosa e dalle carezze genuine di una sorellastra che ha sempre più gli atteggiamenti di una madre.

"Nairobi non ha avuto tempo e modo di raccontarti nulla di tutto ciò, ma sono certa che appena Ginevra rientrerà a casa, ti aprirà il suo cuore"

"Io non ce l'ho con mia madre!" - confessa Axel, poi prosegue – "Ma con la vita che sembra si diverta a destabilizzarmi"

Ivana respira profondamente, preparandosi ad un discorso importante che mette a nudo parte del suo più intimo Io.

"Ho sempre pensato la stessa cosa. Credevo che la mia vita fosse uno schifo assoluto, che il destino mi riservasse soltanto ingiustizie e dolore: mio padre era sempre assente, mia madre ha cambiato ben tre mariti ed io ho vissuto sotto il suo stesso tetto condividendo casa con tre uomini susseguitisi uno dietro l'altro, nel giro di dieci lunghi anni; uomini che si spacciavano per "papà". Io in cuore mio sapevo che di padre ne avevo uno solo e soffrivo sapendo che per lui ero un optional. Ho sofferto gli anni dell'adolescenza in lotta contro me stessa, contro la vita che conducevo, contro le sfortune amorose di mia madre, ma soprattutto contro il mio corpo"

"Cazzo" – commenta Axel, intuendo qualcosa di negativo in tali parole.

"Già! Sfogavo l'odio sul cibo, lo rigettavo appena possibile. Rifiutavo di mangiare... furono anni complicati!"

"Ma adesso...come stai?" – le chiede il gitano, del tutto sconvolto, riuscendo finalmente a distogliere l'attenzione dai propri dilemmi.

"Ho iniziato ad amarmi, ed è la cosa più bella che potesse accadermi" – spiega, mentre alcune lacrime le scivolano lente lungo le gote.

"Mi dispiace per quanto hai patito e soprattutto per averti costretta a rivelarmi cose private"
"Non farlo, non potevi saperlo! Poi è stata volontà mia parlarne; nessuno dei miei fratelli sa fin dove mi sono spinta. Tantomeno papà. È meglio che rimanga un segreto...per ora! Anche per me arriverà il momento di parlare e raccontare, proprio com'è stato oggi per Nairobi. Sappi solo che, se ti ho detto tutto ciò, è perché capisco quanto tu possa essere abbattuto dall'ennesima esperienza di vita dolorosa. Però è bene che sapere che il passato ci forgia e ci rende quello che siamo oggi. In fondo, adesso sei qui con noi, con Nairobi e con la tua famiglia allargata. Sei amato e stimato. Dovresti buttarti il passato alle spalle e puntare solo a costruire il tuo futuro"

Parole sagge quelle di una giovanissima ventenne che permettono ad Axel di razionalizzare l'accaduto.

"Grazie di cuore, Varsavia! Sei una persona speciale"

"Ivana! Ho accettato il nomignolo per comodità e per la missione, però io rimango Ivana. Soprattutto per la mia famiglia" – gli sorride.

E dopo aver placato la rabbia e le lacrime, nella mente del gitano balza un pensiero, rapido come un fulmine.

"Mia madre sarà scioccata. Potrebbe fare qualsiasi pazzia!" – scatta in piedi, e la nuova amica lo segue a ruota.

"Ho sentito il Professore dire che è tutto ok; Nairobi ha promesso di trattenere l'istinto" – spiega la ragazza, cercando di calmarlo.

"Davvero?" – esclama, spiazzato il gitano – "Scommetto che non è propriamente da lei questo frenarsi!"

"Ehm... in effetti anche mio padre ne è rimasto spiazzato. Però penso sia merito di Emilio, lui sì che sa come convincerla"

E in quell'istante , Axel sente riecheggiargli nelle orecchie alcune parole di Bogotá e la circostanza sembra convincerlo che quelle ipotesi sul possibile rapporto di Nairobi con Yerevan siano fin troppo reali.

*********************************************

Nel frattempo...

"Grazie, Emilio" – dice la Jimenez al primogenito di suo marito, mentre, la loro auto, a debita distanza, da quella della maestra Honey, continua il pedinamento.

"Per cosa?"

"Per essere quello che sei"

Affermazione che Nairobi sente profondamente ed esprime portando a galla un ricordo che invade la sua memoria in un battibaleno. Un ricordo che si fa strada con forza e riesce a risvegliare qualcosa dentro di se.

"Come ti senti?"

"Bene, amore mio! Parlarti di Axel e del mio passato ha fatto bene al mio cuore"

"Sappi che io ci sarò sempre per te, perché ti amo!"

"Ti amo anch'io Bogotá" – lo bacia Nairobi, poi gli sussurra all'orecchio - "Grazie"

"Per cosa?"

"Per essere quello che sei"- e così i due, a bordo di una nave, sono pronti per dare inizio alla loro nuova vita. Agata si accoccola al petto del compagno e si addormenta cullata dalle sue braccia e dalle onde del mare.

Quel flash pietrifica la donna che, posando lo sguardo su Emilio, sembra rivedere Bogotá e la cosa la terrorizza.

"Che succede? Non ti senti bene?" – Hanna si è accorta per prima del biancore sul volto della matrigna.

"Cazzo, cazzo, cazzo" – esclama lei, avvertendo una fitta dolorosa al petto. Probabilmente ha appena preso coscienza che il suo affetto per Yerevan è dovuto alla mancanza di suo marito, mancanza che sente ora più che mai pesargli come un macigno.

E' solo suo marito, in un momento così complicato, la sola persona che potrebbe capirla...proprio l'uomo a cui rivelò, dodici anni prima, dettagli importanti di quel dannato passato.

Beh...in realtà è sempre stato così! Come Bogotá, non l'ha mai capita nessuno.

"Sto bene, adesso si che ho tutto chiaro nella mia mente...e nel mio cuore" – sostiene la gitana, trovando lucidità tra i suoi pensieri.

Confusi, i due fratelli non aggiungono altro. Si limitano a constatare che l'auto che stanno inseguendo si è appena fermata davanti ad una villetta isolata.

Parcheggiatisi a debita distanza, i tre osservano la maestra Honey scendere dal mezzo, tenendo la mano di Betta.

"Maledetti, cosa vogliono da quella bambina?" – esclama, furiosa, Nairobi, tornando a concentrare l'attenzione sul dramma della sua attuale vita.

"Calma, forse è lì per motivi di scuola" – ipotizza Hanna.

"Dubito!" – commenta Agata ed è allora che anche l'autista scende mostrandosi interamente.

"E' lui? Sei sicura?" – chiede Emilio alla Jimenez, constatando che il tizio è anziano – "Avrà settant'anni. Come può aver orchestrato una rapina?" – riflette Emilio.

"Quello è Jorge Gonzales, non ho dubbi. Ha la stessa andatura, lo stesso colore di pelle, lo stesso stile di vestirsi, è lui"

"Allora è bene prendere la targa dell'automobile" – dice Vienna, fotografando in lontananza il veicolo e la cifra identificativa.

"Avviciniamoci" – propone la Jimenez.

"Se ci beccano? Non conviene. Hai detto che non avresti agito in modo sconsiderato" – sostiene Yerevan – "Me l'avevi promesso!"

"Già! Però tradirei me stessa. E scommetto che Bogotá non me lo perdonerebbe" – così dicendo, lascia il veicolo.

Seguita dai due complici che le coprono le spalle, rassegnati alla cocciutaggine della gitana, Agata spia cosa avviene a pochi passi dalla villa.

E finalmente ha la prova che cerca.

"Dio mio" – esclama.

Le gambe le cedono e il cuore rallenta il suo battito.

"Mamma?!" – è l'unica parola che pronuncia, prima di perdere i sensi.

La signora Carmen Jimenez dai capelli nero corvino, raccolti in una treccia lunga, dove si scorge qualche ciocca bianca, segno dell'età avanzata, con gli occhi grandi e scuri fissi su un libro, è seduta su una panca da giardino.

Accortasi dell'arrivo del consorte, lo accoglie con un dolce bacio a stampo, invitandolo, poi, a prendere posto di fianco.

"Allora? Come procede qui?" – domanda Jorge alla coniuge.
"Tutto alla grande. Stiamo agendo bene, vero?"

"Non averne mai dubbi, moglie mia" – le sorride l'uomo, prendendole la mano.

Accoccolati i due mostrano quanto sia rimasto intatto il loro sentimento, a distanza di ben trent'anni.

E quanto a Nairobi... viene caricata in auto dai figliastri ed è prossima a rincasare.

Ad accoglierla ci sono i Dalì sconvolti e Axel! Il ventunenne adesso è sempre più convinto, proprio come Bogotá, di un presunto tradimento della madre con Emilio.

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Capitolo 21
*** 21 Capitolo ***


“Mamma, mi racconti la fiaba della buonanotte?”

“Certo, mi amor! Quale preferisci?” – la gitana siede sul letto di sua figlia minore e si accinge a narrare una delle tante storie che ha imparato a memoria nel corso degli anni e che vedono come protagonista una bellissima zingarella di cinque anni alle prese con il suo sogno di diventare cantante.

Rimboccate le coperte alla bambina, la donna inizia – “C’era una volta una bellissima gitana di nome Ginevra…”

Neanche due secondi ed ecco entrare nella stanza un maschietto con gli occhiali da vista e i capelli arruffati. Il piccolo si strofina gli occhi e avanza nella loro direzione.

“Seba, tutto bene tesoro?”

“Si, mammina!” – risponde, sbadigliando subito dopo. Poi si accomoda sulle gambe della madre e si accoccola al suo petto.

“Noto con piacere che hai fatto il bagno, tuo padre ha imparato a convincerti a farlo?” - sorride, felice di appurare che quella mansione faticosa, vista la cocciutaggine dei gemelli, non spetta più unicamente a lei.

“Non è bravo come te” – sussurra all’orecchio dell’adulta che ride di gusto.

“Ehi, voi, che bisbigliate? Vi divertite a prendermi in giro, vero?” – a prendere parola è il capofamiglia, appoggiato alla porta, per udire i discorsi madre-figli.

“Bogotá, sai che amo farlo” – ridacchia la moglie, facendogli l’occhiolino – “E comunque… ben fatto, papino” – aggiunge, riprendendo poi la conversazione con Ginevra.

Osservando Nairobi assieme ai gemelli, che si perdono nei suoi racconti e nella dolcezza delle sue carezze e dei suoi baci, il saldatore si dirige nella camera da letto per riposare, non prima, però, di aver controllato che anche Alba fosse già tra le braccia di Morfeo.

“Tesoro, sei ancora sveglia? Sai che è tardi, domani c’è la scuola e se tua madre si arrabbia se scopre che….” – precisa Bogotá, zittendosi una volta accortosi che la bambina sta sfogliando un raccoglitore fin troppo familiare.

“Dove l’hai trovato?” – gli domanda il padre, inginocchiandosi davanti alla piccola di nove anni, accovacciata sul tappeto.

“E’ della mamma!”- spiega Alba – “Questo è Axel, vero?”

L’uomo annuisce, emozionato, guardando dei ritagli di giornale che riportavano cronache e gossip dei media sulla rapina alla Banca di Spagna.

“Già”

Scrutando con attenzione la foto strappata ad una rivista, la bambina si accorge di un dettaglio di non poco conto.

 “Quest’orsetto è…?” – poi si alza in piedi e afferra il peluche sul suo letto – “…è lo stesso?”

Bogotá conferma, ricordando il momento tragico patito per colpa di un giocattolo, diventato un vero e proprio cavallo di Troia. Un giocattolo utilizzato dalla polizia per colpire il cuore ferito di una mamma che desiderava solo riabbracciare un figlio strappatole via.

“Era di Axel?”

“Adesso è vostro” – risponde l’uomo, deviando la domanda.

“E’ la sola cosa che abbiamo di lui” – si commuove la bambina, legata ad un’idea di un fratello maggiore mai visto e che sognerebbe di incontrare.

Come fece Nairobi dieci anni prima, la giovane zingara stringe a se il peluche e si immerge in un profumo che sa non esistere più, ma che richiama al suo cuore sentimenti di amore incondizionato.

Bogotá le sorride e le accarezza delicatamente la folta chioma scura. Poi la invita a sedersi sulle sue gambe, avvolgendola tra le sue braccia.

E in quell’attimo di tenerezza, gli occhi del saldatore si posano su una foto specifica, che giace tra le altre, sul pavimento, e che inevitabilmente attira la sua attenzione.

Un fotomontaggio, per la precisione.

Lo afferra e esamina, spiazzato, quello che Agata ha costruito e che, a quanto pare, conserva gelosamente in un raccoglitore, ritrovato a distanza di anni.

“Ma…questa è Ginny”  - esclama la bambina, riconoscendo, nell’immagine che suo padre ha tra le mani, l’accostamento di due volti, estremamente somiglianti.

“Non pensavo fossero così simili” – nota Alba – “E’ una bella cosa, vero?”

“Ehm…certo, certo” – risponde Bogotà, seppure piuttosto preoccupato dall’idea bizzarra della moglie.

Sente in cuor suo che Nairobi potrebbe avere una sorta di fissazione psicologica legata alla somiglianza tra fratello e sorella.

Così, con un senso di amarezza che schiaccia il suo sonno, Bogotá, congeda la bambina, e si reca nella sua camera.

I minuti seguenti, che trascorre solo con se stesso, fisso su un pensiero turbolento, gli permettono di analizzare a modo proprio le circostanze.

Sono passate le 23 da pochi minuti quando la Jimenez raggiunge il marito a letto.

“Ginevra stasera non voleva proprio cedere” – dice, liberandosi della camicetta di seta bianca, pronta ad indossare la vestaglia.

Ed è la totale assenza di Bogotá, preso dalle preoccupazioni che gli attanagliano la mente, a insospettirla.

“Cosa hai?” – domanda, studiando il viso di lui che, invece, non lascia trapelare niente di buono.

“Cazzo, Bogotá! Mi stai agitando, si può sapere che succede?”  - non ricevendo risposta, decide di agire nel modo più diretto che conosce, utile quando vuole qualcosa dal consorte.

Sedutasi a cavalcioni sul suo uomo, mostra le sue chiare intenzioni.

“Mi degni della tua attenzione o devo spogliarmi?” – lo provoca, seppure bruscamente anziché con malizia.

Non ottenendo la reazione sperata, la gitana si avvicina al collo di lui, baciandolo voracemente.

Ed è il contatto di quelle labbra calde che Bogotá ama follemente, a farlo destare.

“Aspetta” – la frena, prendendo parola.

“Finalmente ti sei deciso ad aprire bocca! Sapevo che servivano le maniere forti per svegliarti. Insomma…cosa hai? Sei evidentemente preoccupato. Raccontami tutto”

Sistemandosi di fianco al coniuge, Nairobi è pronta all’ascolto.

Però mai avrebbe pensato di udire questo – “Perché continui a pensare ad Axel quando guardi Ginevra?”

“Cosa? Che intendi dire?”

“Ho trovato questa, per puro caso” – da un cassetto del comodino di fianco al letto, tira fuori il fotomontaggio.

Vedere quell’immagine tocca Nairobi nel profondo e la sua espressione rilassata e felice, si incupisce.

“E’ difficile dimenticare il sangue del tuo sangue. Dovresti saperlo bene, sei padre e sapere che sette dei tuoi figli sono chissà dove, e tu sei qui, costretto a non uscire dai confini stabiliti, fa male…e a me non correre ai Caraibi per trovare Axel mi uccide”

Una lacrima cade veloce rigandole una guancia, però la fortissima Jimenez la nasconde immediatamente, intenzionata a non volersi mostrare debole e, così, dopo un respiro profondo, rivela che la somiglianza tra due dei suoi quattro figli è la medicina di cui necessitava da tanto, troppo tempo.

“Sono felice che Ginny assomigli ad Axel, lei è la tua fotocopia. Quindi era più che normale che ci fossero tratti in comune con il fratellastro” – spiega Bogotà.

“Fratello” – lo corregge lei – “Sono fratelli. Questo dispregiativo non mi piace”

“Hai ragione! Però quello che volevo dire è che… non è un bene se Ginevra scopre che tu non la consideri per ciò che è ma solo per il ricordo associato ad Axel” – risponde il saldatore, sfiorandole quella gota che poco prima si è inumidita di lacrime amare.

“Ma non è così! Io amo tutti i miei figli. Ok, è vero..guardo Ginevra e rivedo Axel. È più forte di me. Non posso fare altrimenti. È una lotta contro un sentimento che mi tiene legata al mio primo figlio! Però, ciò non vuole dire nulla!”

“Però Ginny non è Axel, tesoro”
“Lo so…” – l’aria abbattuta con cui pronuncia quel “lo so”, pietrifica Bogotá.

“Purtroppo….vero? è questo che volevi dire?”

Il silenzio di Nairobi dura qualche secondo. Presa dai suoi pensieri non ha ascoltato quanto pronunciato dal marito e commenta con altro - “Parlo spesso di Axel ai bambini, ma non nel modo giusto”

“Quale sarebbe il modo giusto?” – chiede, confuso, il marito.

“Dovranno sentirlo come parte della famiglia, come presenza che presto si unirà a noi”

“Nairo… sai bene che è impossibile”

“Invece sì! Ho chiesto ai Johnson di rintracciarlo. Loro hanno un suo contatto. Così… gli ho scritto”

“Cosa? Davvero? E quando pensavi di dirmelo?” – sobbalza Bogotà, entusiasta.

“Spero sia l’inizio di una conoscenza che lo porterà da me, da noi, una volta per sempre”

Entrambi emozionati, i due trascorrono i minuti seguenti a parlare dell’argomento, fino ad addormentarsi stretti l’uno all’altra, esausti dopo ore di chiacchiere, sognando un futuro roseo e felice, con una famiglia unita e completa, assieme ad Axel.

Ignorano quello che accadrà da lì a due anni.

Quella notte, Ginevra udì la chiacchierata, svegliatasi per bere un sorso d’acqua e trovatasi ad origliare i genitori intenti a discutere sulla fotografia.

E le parole materne della madre riguardanti lei e il fratellastro, le distrugge il cuore.

“Non mi vuole bene, vuole bene solo ad Axel!” – singhiozzando corre in camera e, nascosta sotto le coperte, sfoga in un pianto il suo malessere.

È da quel momento in poi che la situazione prenderà una piega sbagliata… è da quel momento che i problemi cominciano a sorgere…è da quel momento che la felicità di avere un fratello maggiore che vorrebbe incontrare, diventa invece l’incubo che spera di non vivere mai nella vita!

********************************************

“Carol, come mai hai portato quella bambina qui?” – chiede Carmen Jimenez alla maestra Honey, approfittando dell’assenza di Betta.

Le due sono in cucina, intente a preparare la merenda alle due bambine.

“Tranquilla, non hai nulla da temere” – spiega la Jones, versando del succo all’arancia in due bicchieri.

“Invece temo, eccome se temo. Potrebbe raccontare che Ginny si trova in una casa non sua” – si allarma l’anziana zingara.

La preoccupazione della settantenne fa sorridere l’insegnante - “Betta sa che la sua migliore amica è con i nonni, perché i suoi genitori e Sebastìan sono dovuti urgentemente partire. Le ho raccontato che voi badate a lei che non è nel pieno delle forze, e che vi conosco perché siamo vicini di casa. Questo ti basta per rasserenare le tue ansie?”

L’anziana scuotendo il capo di fronte alle assurdità raccontate ad un’ingenua bambina pur di coprire una storia segreta riguardante Ginevra, commenta – “Bisogna essere prudenti, mia cara e  forse noi stiamo superando i limiti dell’accettabile”
“Sei tu che ti agiti inutilmente! Smettila, piuttosto… sistema qualche biscotto sul vassoio. Poi portalo su, in camera! Ti aspetto lì” – così diceno, la miss Jones si allontana.

“Ecco la vostra merenda, bambine” – comunica loro, una volta raggiunte. E’ piacevolmente colpita dal fatto che stessero chiacchierando del nonnulla.  

“Posso rimanere qui con voi?” – domanda l’adulta, volendo controllare che nulla di scomodo venisse tirato in ballo.

“Certo” – risponde Betta, entusiasta, sorseggiando la sua bevanda fresca.

“Sono contenta che tu stia bene. Mi sono preoccupata tanto” - dice poi, e proprio allora fa una proposta inattesa – “Posso venire a farti visita più spesso?”

In quel momento Ginevra e la maestra Honey si scambiano una strana occhiata complice che la figlia dei banchieri interpreta a modo proprio.

“Come non detto, scusami! Qui, in fondo, è casa dei tuoi nonni. Io non posso autoinvitarmi!”

“Ehm… no, no, tranquilla. I nonni sarebbero felicissimi. Solo che non sono ancora in forze, magari più in avanti!” – mente la bambina, riferendosi alla presunta febbre.

Carmen giunta sull’uscio della porta cede il vassoio con i biscotti alla signorina Honey; poi osserva sua nipote e rivede in lei la sua Agata.

“Vi porto altro?” – domanda, intromettendosi.

“No, nonnina grazie”

Sentirsi chiamare Nonnina, stringe il cuore di Carmen che, trattenendo l’emozione, va via e si chiude nella sua stanza.

Si avvicina ad un cassetto, serrato con una chiave custodita come ciondolo della sua collana.

Sbloccata la serratura, tira fuori un diario.

Come la maestra Honey suggerì a Ginny di scrivere, allo stesso modo nonna Carmen sfoga in tale maniera i suoi intimi dilemmi.

Ma è tra quelle pagine che è custodita una fotografia a cui è profondamente legata.

La sfiora con delicatezza, come se accarezzasse i soggetti ritratti.

Poi, preda di un forte senso di colpa, commenta ad alta voce - “ Sono stata una pessima madre, una pessima nonna, una pessima persona… però recupererò, e lo farò…con Ginevra. Ho perduto Axel, mio nipote, ho perduto Agata, mia figlia…non perderò anche quest’ultimo tentativo per essere migliore”

Adagiando la foto al suo petto, socchiude gli occhi e inizia a muoversi lentamente, come se danzasse.

Minuti che concede alla sua passione più grande, il ballo, e alla pace con se stessa.

E’ l’arrivo inaspettato di Jorge alla porta ad interrompere il tutto e riportarla alla triste realtà.

Sistemata, rapidamente, la fotografia all’interno del diario, chiude a chiave il cassetto e raggiunge il marito.

“Cosa stavi facendo?”
“Nulla, tesoro, nulla”

“Sicura? Sono sicuro che ti sei di nuovo sfogata con quell’immagine. Vero?”

Ormai suo marito la conosce alla perfezione. E Carmen non può negare con lui. Conferma annuendo con il capo – “Quello scatto ritrae me, Agata e Axel. Non potrò mai dimenticare che dopo quel giorno, loro andarono via e non li vidi mai più”

Con una morsa allo stomaco, e il cuore afflitto, Jorge prende parola – “Il bastardo sono io che ho combinato solo guai e ho recato male a un bambino innocente”
“Basta colpevolizzarti. Io ero la nonna, spettava a me intervenire. Non lo feci. Sbagliai, però ora posso redimermi. Ginevra è la mia seconda opportunità”

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Capitolo 22
*** 22 Capitolo ***


Carmen Jimenez osserva dalla finestra della sua stanza l’uscita di Betta dalla villa,  assieme a Caroline Jones, la ormai nota maestra Honey.

Dover fingere tranquillità davanti agli occhi di quella bambina le è costato molto; avrebbe voluto dire tanto ma la situazione l’ha costretta a tacere.

È il motore acceso dell’automobile di Jorge, presa in prestito dalla Jones,  a staccare gli occhi della gitana dalla scena in giardino.

A passo lento raggiunge la cucina ma il suo cammino s’interrompe prima, precisamente davanti la porta socchiusa della camera di Ginevra.

La vocina della bambina canticchia qualcosa e ciò la incuriosisce.

La Jimenez la spia, dalla leggera apertura dell’uscio, e sente il cuore sussultare quando riconosce la melodia.

 

A la nanita nana, nanita ella, nanita ella
Mi niña tiene sueño, bendito sea, bendito sea
A la nanita nana, nanita ella, nanita ella
Mi niña tiene sueño, bendito sea, bendito sea

 

https://www.youtube.com/watch?v=CO4Zno9L8n0

 

“Chi ti ha insegnato questa ninnananna?” – domanda l’adulta, trattenendo i singhiozzi.

“Mia madre me la cantava sempre!” – risponde Ginny, con un velo di nostalgia.

Carmen chiude gli occhi per qualche secondo, cercando di nascondere un intenso dolore.

Poi li riapre e vede sua nipote a pochi metri dal suo viso.

“Nonna…” – le dice, intenzionata a farle una richiesta.

“Dimmi, mi amor”

“La canteresti per me?”

“Io?”

“Si, sei stata tu ad insegnarla alla mia mamma, vero?”

La gitana adulta annuisce, e piacevolmente colpita dalla proposta, accetta.

Si siede sul letto della piccola e invita la nipote a fare lo stesso.

Le prende entrambe le mani e le intreccia alle sue.

Occhi negli occhi, quegli occhi identici, tratto distintivo di famiglia, così grandi e profondi, talmente penetranti da stregare chiunque li incroci, intona il ritornello di un’antica canzone, a sua volta apprese dalla madre.

E Ginevra, cullandosi mentre, felice, ascolta la ninnananna, segue a ruota sua nonna.

Le loro doti canore s’intrecciano, le voci si uniscono in un flusso vibrante che placa ogni dramma interiore e che emana con forza un desiderio d’amore disperato, quello cercato da Ginny in una consanguinea ormai entratale nel cuore e quello voluto da un’anziana zingara pentita che, dopo anni di galera, continua a vivere la sua penitenza di vita.

Un attimo tanto speciale che coinvolge perfino Jorge, seduto in giardino a fumare.

“La canzone di Axel” – commenta il Gonzales, ricordando delle volte che Nairobi la canticchiava al piccolo per farlo calmare.

E un violento flash gli balza alla mente: un volto paffuto e dolce, quello di Axel, di soli tre anni, a cui versò del liquore… non una volta, tante volte! Difficile dimenticare le grida di strazio di Agata quando scoprì che proprio lui, il suo patrigno, recava male al bambino causandogli dolori lancinanti alla pancia.

Amareggiato da quanto accaduto, rincasa diretto verso le due zingare.

Quando le raggiunge, le trova abbracciate l’una all’altra.

“Siete bravissime. Vi ho ascoltate e mi avete emozionato” – dice, attirando l’attenzione su di sé. Poi prende posto di fianco alla bambina e, teneramente, le accarezza i capelli.

“Sei uguale a tuo fratello!” – in quell’istante di nostalgia e di profondo senso di colpa, Jorge dice qualcosa di catastrofico.

Lo sguardo allegro e dolce di Ginevra, si irrigidisce. Aggrottando la fronte, la piccola si alza bruscamente distanziandosi dai due.

Carmen lancia un’occhiata di rimprovero al marito, cosciente di quanto quella somiglianza ferisse la nipotina.

Solo allora, il Gonzales si accorge dell’errore e cerca di riparare – “Non volevo tesoro, tu sei speciale e nessuno lo è come te”

“Hai detto che sono uguale a quello”

Il labbro tremante della piccola dei Dalì anticipa un pianto isterico.

E lei non ama mostrarsi in quello stato.

Così, ignorando i nonni che tentano di calmarla, la bambina pretende di essere lasciata da sola.

“Mi amor, hai capito male” – interviene Carmen.

Inutile calmarla come vorrebbero. A quel punto sono costretti a uscire dalla stanza.

“Ma come ti salta in mente di dire che è identica ad Axel!” – la Jimenez richiama il marito, dandogli un colpetto sul braccio.

“Quella canzone sappiamo entrambi che è di Axel, e lei la stava cantando…ho ricollegato le due cose. Quei due sono talmente simili che…”

“Basta, Jorge! Non dirlo più”

La loro discussione termina quando torna a casa Carol Jones.

“Qui tutto ok?” – chiede l’insegnante, mentre si libera delle scarpe ed indossa delle ciabatte.

“No,Ginevra si è arrabbiata!” – comunica Carmen, ancora alterata con il consorte.

“E come mai? Cosa le avete detto?” – la maestra Honey si allarma immediatamente e si dirige verso la stanza della piccola.

Mentre percorre quei pochi metri che la separano dalla bambina, ascolta impassibile il resoconto della settantenne.

E quando le viene rivelato il dettaglio che ha scaturito il finimondo, si immobilizza.

Resta ferma, pietrificata, a pochi passi dalla meta.

“Ho sbagliato, non avrei dovuto. Ora non so come rimediare” – interviene l’uomo.

“Quello è il suo punto debole, non dovevate ricordarglielo, non giova a nessuno di noi farlo. Lei potrebbe sempre decidere di andarsene se continuate a ricordarle il fratello. E non possiamo permetterlo”
“Come ne veniamo fuori?” – chiede il Gonzales.

“Provo a parlarle io! Deve capire che siamo i soli di cui può fidarsi, i soli che la amano come merita!”

Così dicendo riprende il passo, lasciando i due anziani indietro.

********************************************

Nel frattempo, i tre Dalì hanno raggiunto la villa.

Hanna entra in casa per prima. Ad accoglierla c’è l’agitazione dei restanti compagni.

“Calma, calma, parlate uno per volta, perché così non vi capisco” – precisa la giovane, circondata dai parenti e dagli amici che vogliono notizie.

“Dove sono Nairobi ed Emilio?” – domanda, sospettoso, Axel, notando la loro assenza.

“La situazione è stata alquanto difficile da gestire e Nairobi ha perso i sensi” – spiega, dispiaciuta, la finlandese.

“Cosa? Perché cazzo non l’hai detto prima?” – la sgrida Bogotá, correndo fuori in direzione dell’automobile.

È lì dentro che Yerevan consola Agata.

“Andrà tutto bene, adesso abbiamo la certezza che i tuoi sono qui a Perth” – dice il giovane.

“Lo so, e rivederli mi ha distrutta! Mi ha lasciata senza forze…” – spiega la Jimenez.

Emilio la osserva in tutta la sua fragilità e in quell’istante sente di doverle fare da spalla.

E quando la donna solleva lo sguardo, mostrando i suoi occhi colmi di lacrime, specchio di un’anima distrutta, il ventisettenne agisce senza più freni.

Non dà modo ad Agata di pronunciarsi né di tirarsi indietro.

Le si avvicina e non esita a baciarla.

Un contatto di labbra breve, e senza significato per Nairobi, la quale reagisce quando metabolizza il fatto, dando uno schiaffo al figliastro.

Incredula di quel gesto, e delusa da un comportamento sconsiderato, scende dal mezzo, pronta per rientrare in casa.

Peccato che qualcosa la frena. O meglio, qualcuno.

Qualcuno che ha visto la scena tra lei ed Emilio

“Bogotà!” – esclama, notando il pallore sul volto dell’uomo. Ha lo sguardo spento, frutto di un miscuglio di emozioni che lottano per prevalere.

Rabbia, odio, amarezza, tristezza, e voglia di mandare tutto a puttane.

“Da quanto sei qui?” – domanda, preoccupata che potesse aver visto.

“Il tempo giusto per avere la prova che cercavo”

“Quale prova? Amore, non è come pensi” – avanza verso di lui, cercando di dargli spiegazioni.

Ed è il saldatore ad indietreggiare.

“Adesso mi chiami “amore”? Solo ora ti ricordi che esisto?” – preda di una sofferenza acuta, l’uomo pronuncia parole dure e cariche di rancore – “Ti sei innamorata di mio figlio. Ammettilo”
“Cosa? E’ una sciocchezza. Non è così. Io amo solo te, ho sempre e solo amato te”

“E perché vi siete baciati?”

“E’ colpa mia, papà” – s’intromette Yerevan, comparso alle spalle di Nairobi.

I due uomini si trovano faccia a faccia, per la prima volta mostrando sentimenti non tipici del rapporto tra consanguinei.

“Vattene, non voglio vederti mai più” – è la sola espressione pronunciata da Bogotà al suo erede.

Di fronte al figlio accasciatosi a terra, disperato, per la rottura di un legame di sangue che credeva indissolubile, il saldatore rincasa ignorando le sue suppliche di perdono.

“Amico, che faccia! Cosa è accaduto?” – a chiederglielo è Denver che lo vede salire le scale e dirigersi verso la camera matrimoniale.

Non riceve alcuna risposta. Ma basta il rumore di una porta chiusa con forza a far intendere il peggio.

E lo shock dipinto sul volto del saldatore è un brutto segno che solo Axel, messo al corrente dei dubbi del patrigno, riesce a cogliere interamente.

Raggiunge, perciò, sua madre, ancora in giardino assieme a Yerevan e, nascondendosi per bene, origlia la lite tra i due.

“Come hai potuto farlo? Perché?”

“Non avrei dovuto, mi dispiace. È che mi sono innamorato di te, che colpa ne ho! Non si decide chi amare”- confessa il giovane.

“Innamorato? Ma sei pazzo? Sei il mio figliastro!”
“Farò la cosa giusta, per il bene di tutti! Mio padre mi ha detto di andar via, ed è ciò che farò. Spero possiate chiarire, perché non posso vivere sapendo di avergli distrutto la vita”

Conclude la conversazione con Agata, dicendole, a modo suo, addio. Poi entra in casa, ignorando le mille domande dei Dalì, e raggiunge la stanza dove ha la sua roba ancora sistemata nelle valigie.

Axel, invece, affronta sua madre rimasta da sola con il suo senso di colpa.

“Cosa avete combinato voi due? State insieme?”

“No, tesoro come puoi pensarlo! Io amo solo Bogotà”

“Allora come mai ho sentito che lui ti ha baciata?”

“Non io!” – si giustifica la donna.

“Questo non cambia le cose”
“Lo so, sono stata una stronza. Ho recato dolore a tutti. però io non posso vivere senza di lui, ti prego…aiutami” – affranta, la gitana implora suo figlio, tra le lacrime che le scorgano e scivolano violente lungo le sue gote.

E il gitano non riesce ad essere impassibile di fronte a tanta sofferenza.

Sua madre ha bisogno di lui, ora più che mai.

“Io ci sono, ci sarò sempre. Non ho esitato a venire fin qui quando mi hai chiesto una mano per le ricerche di Ginny, e non esiterò neanche adesso” – si avvicina all’adulta e l’abbraccia.

Un gesto, quello, che serve alla Jimenez come l’aria ed è ciò di cui necessita adesso che sembra essersi creata un vuoto attorno.

Il suo adorato Axel, quel figlio perduto e poi ritrovato, quel figlio che ricollegava costantemente a Ginevra, adesso è lì esclusivamente per lei… non poteva chiedere di meglio.

Il gitano è cosciente che è necessario che la coppia si ricongiunga il prima possibile, soprattutto perché la situazione di Ginevra va affrontata senza intoppi sentimentali di mezzo.

E tutti ignorano che, in questo momento, Ginny è nelle mani di chi potrebbe allontanarla per sempre dalla sua vera famiglia.

Infatti, proprio in quella casa, di proprietà dei Gonzales, la maestra Honey consola la sua alunna.

“Tesoro, i nonni mi hanno detto cosa è successo! Perdonali, non volevano offenderti” – le dice, sedendosi di fianco alla piccola.

“Io non sono Axel e non voglio esserlo. Mi chiamo Ginevra” – puntualizza, come a voler ricordare un dato di fatto che però sembra che chi le è accanto non vuole accettare.
“Lo so, cara! Ti prometto che non accadrà più” – poi la prende in braccio e la stringe a se, sussurrandole – “Ora sono qui, la tua mamma è qui, e non permetterò a nessuno di ferirti…ancora!”

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Capitolo 23
*** 23 Capitolo ***


I Dalì, ignari del motivo della litigata tra Nairobi e Bogotá, decidono di incentrare la loro attenzione sul racconto di Hanna, la quale si appresta a comunicare alla banda tutti i dettagli dell’inseguimento di miss Honey.

“Ho qui una foto, è bene che Sebastìan la veda per confermare o meno che sia l’auto su cui è salita Ginny” – spiega la finlandese, tirando fuori dalla sua borsa il cellulare.

Il bambino, momentaneamente assente, viene fatto chiamare da uno dei suoi fratelli.

E’ Julian, incaricato dal Professore, a convocare il piccoletto di casa.

“Seba, abbiamo bisogno di te!” – gli comunica, raggiungendolo nella cameretta dove il gemello di Ginevra è alle prese con i compiti scolastici.

Non ha mai amato dover passare le ore sui libri, eppure, in momenti tanto difficili, rimpiange i rimproveri materni e le sue punizioni per le disobbedienze in tema di studio.  

“Cosa fai?” – domanda il maggiore, curioso, buttando l’occhio sul quaderno del parente.

“Inglese” – spiega il più piccolo, indicandogli la traccia del tema da scrivere.

“Credevo che voi seguiste una scuola bilingue” – commenta Quito.

“No! Perché lo pensavi?”

“Beh, siete spagnoli” – riflette ad alta voce il maggiore, alleggerendo, con quelle bizzarre domande, la situazione stressante respirata in casa.

L’osservazione di Julian fa ridere il suo fratellino che lo mette alla prova – “Tu parli inglese?”

“Ehm…non proprio, io vengo dal Messico”

“E allora?! Io sono australiano, però parlo anche lo spagnolo” – la constatazione di Sebastìan è logica e veritiera ed spiazza il giovane, che superficialmente non ha mai creduto potesse essergli utile comunicare in un altro idioma.

E il piccolo Seba nota l’imbarazzo del consanguineo e così gli propone – “Appena Ginny sarà qui, ti prometto che io e lei ti daremo una mano ad imparare l’inglese”

“Davvero?”- il viso di Quito s’illumina udendo tali parole.

Presi da quei discorsi, fuori contesto rispetto all’argomento centrale,divenuto focale da giorni tra quelle mura, si dimenticano che il Professore dieci minuti prima aveva incaricato Julian di chiamare Sebastìan per verificare la fotografia di Hanna.

E infatti, Erik bussa alla porta e rimprovera i due del ritardo – “Insomma, stiamo aspettando voi. Scendete in salone o no?”

“Uffa, proprio adesso che stavamo parlando di una cosa seria?!” – precisa Julian, creando ilarità e scatenando la risata buffa e coinvolgente del bambino.

S’incamminano, seguendo Copenaghen, verso la sala che ospita tutti i Dalì.

Però uno strano rumore proveniente dal corridoio attira l’attenzione proprio del figlio messicano di Bogotá.

“Ehm…scusatemi devo scappare in bagno, arrivo subito!” – dice, congedandosi momentaneamente. La sua è un’evidente scusa che Erik coglie al volo, ma sulla quale sorvola.

Mentre gli altri due scendono le scale, chiacchierando di quello che a breve sta per accadere, Quito si accinge ad origliare tutte le porte delle stanze di quel piano, fino a riconoscere che uno strano lamento proviene dalla camera matrimoniale di suo padre.

Preoccupato dallo stato emotivo del genitore, non varca l’uscio ma, rimasto immobile di fronte ad esso, interviene  - “Papà, va tutto bene? Che succede?”

“Torna dagli altri, Julian!” – risponde il saldatore, dopo qualche secondo di esitazione. La sua voce manifesta il suo stato depressivo, e il tono distaccato, non tipico dell’uomo, specialmente nei confronti della sua prole, spiazza il messicano il quale insiste - “Ti ho visto entrare in casa poco fa, ed eri fuori di te. Ti prego, raccontami. Posso esserti d’aiuto!”

“Mi passerà, tu piuttosto va’ dai Dalì. È bene trovare tua sorella Ginevra quanto prima”

“Sai che in fatto di testardaggine sono esattamente come te, non me andrò fino a quando non aprirai questa porta” – persevera il ragazzo.

“Cazzo, non dovete essere come me. Chiaro? Non è un bene per nessuno di voi” – si altera Bogotà. Quello sfogo ha delle fondamenta, che però sono sconosciute a suo figlio.

“Non capisco, cosa vuoi dire? Credevo fosse un orgoglio saperci tanto simili a te” – commenta, perplesso, Julian.

“Lo era. Mi sono accorto, purtroppo, che rischiamo di avere idee e gusti identici…su tutto…questo non deve accadere più”

Quell’affermazione confonde il messicano – “Io voglio essere come te. Anche se ti ho vissuto poco, anche se ho trascorso la mia infanzia e parte della mia adolescenza soltanto con mia madre, non ho smesso di sognare di diventare un uomo forte e deciso come te”

Di fronte a tale esternazione, Bogotá sussurra profondamente e, all’improvviso, apre la porta.

Faccia a faccia i due si confrontano. Basta un solo sguardo e il venticinquenne ha la prova decisiva dello stato di malessere del padre.

Così, agitato, il messicano gli chiede - “Che cosa è accaduto per ridurti così?” – impossibile non preoccuparsi quando si ha davanti agli occhi un uomo spento emotivamente, un corpo che cammina, che non manifesta sentimenti di alcun tipo.

La voce di Bogotá è rauca e viene emessa a fatica – “Non pretendere di essere come me. Io sono stato un pezzo di merda, per anni. Ho avuto tante donne, tanti figli, tanto denaro, e anche tante sfortune!”

“Però hai poi trovato l’amore, hai costruito una famiglia vera” – precisa il venticinquenne, ignaro di aver toccato un argomento fin troppo delicato, una ferita ancora sanguinante.

“Mi sbagliavo di grosso. Nulla è per sempre. Neppure l’amore”

“Eh? Cosa dici?” – Julian lo guarda, stranito, ad occhi sgranati.

“Adesso vai dagli altri”
“E tu?”

“Ho bisogno di tempo”

“Dobbiamo trovare Ginny, ricordi? Torna in te, papà. E’ tua figlia la priorità, metti da parte i tuoi drammi!” – Quito è intenzionato a riportarlo con i piedi per terra, risvegliandolo da un evidente stato di depressione  – “ Siamo vicini alla verità, e adesso Sebastìan sta per offrirci un dettaglio essenziale. Ti prego, scendi in salone con me!” – gli porge la mano in attesa che venga afferrata.

Bogotá sente sulla sua pelle il peso di ogni singola parola appena pronunciata da suo figlio. Sa benissimo che Ginevra ha la precedenza su tutto, eppure al momento sembra faticare addirittura ad uscire da quella maledetta camera ed affrontare la realtà.

“Devi reagire, qualsiasi cosa sia accaduta. Hai noi qui per te, siamo i tuoi figli, non ti lasceremo solo”

Già…i suoi figli, la sua prole, i suoi eredi…quel pezzo di cuore per cui lui venderebbe l’anima, nonostante il passato, nonostante la poca vicinanza.

E invece, il pensiero vola diretto ad Emilio in auto con Nairobi.

Il flash del bacio tra i due non gli dà pace. E istintivamente chiede - “Posso farti una domanda?”
“Certo”

“Tu tradiresti mai la mia fiducia?”

Quesito altrettanto bizzarro, così come il comportamento del saldatore, agli occhi di Julian, che, spiazzato, non comprende il senso di quell’interrogativo e si limita a rispondere con una verità assoluta - “Ovviamente no! Perché me lo chiedi? È indubbio”

È la risposta che Bogotá che pietrifica il messicano – “Non è sempre così scontato che un figlio sia fedele a suo padre, sai?”

Seguono attimi di silenzio che sembrano durare un’eternità.

È chiaro che l’adulto è furioso con qualcuno; Quito se n’è accorto - “Ti riferisci a qualcuno in particolare? Non riesco a stare dietro ai tuoi ragionamenti, papà! Dimmi chiaramente cosa ti è successo. Riguarda uno di noi?”

In quel preciso istante, una porta delle stanze degli ospiti, precisamente quella in fondo al corridoio, si apre e ne fuoriesce l’ultima persona che il saldatore ha intenzione di affrontare.

“Ehi, ma dove vai?” – lo chiama Julian, notando Yerevan con una valigia.

E così il venticinquenne in un battibaleno si trova di fronte un padre che si richiude nuovamente nella stanza, e un fratello la cui partenza inspiegabile alimenta i suoi sospetti.

“Ehi, fratello ma che cosa cazzo fai?” – anche Drazen, nota subito il venezuelano con il trolley, prossimo a raggiungere il portone.

Nel giro di alcuni secondi, Emilio è circondato da tutta la Banda presente.

Alle mille domande poste, il ventisettenne non risponde.

Si limita ad ignorare e a cercare di farsi strada tra i compagni che ostacolano la sua uscita di scena.

“In bocca al lupo per tutto” – dice il ragazzo, riferendosi al Professore, l’unico rimasto in disparte, silenzioso come suo solito.

“Non puoi lasciarci” – singhiozza Sebastìan, sentitosi tradito da quell’improvviso cambio di rotta del fratello maggiore.

“Piccolo, sono certo che ve la caverete anche senza di me. E appena Ginevra tornerà a casa, verrò a salutarvi” – saluta tutti con un cenno di mano, affranto dal doverli lasciare, seppure promettendo di riunirsi presto. Promessa che sa benissimo di non rispettare, dati gli attriti creatisi con Bogotá e Nairobi.

Prima di lasciare la villa, però, qualcuno si aggrappa ad una gamba del venezuelano.

“Seba, ti prego! Non renderla ancora più difficile, lasciami andare via!”
“Voglio sapere perché ci abbandoni” – singhiozza il piccolo, sotto lo sguardo ferito e impassibile di Alba.

“Non vi abbandono!”

“Sì invece” – interviene Yaris, scagliandogli contro la sua delusione – “Ti stai comportando come papà; arrivi, resti per un po', e infine ci dici addio. Credevo fossi diverso”

Amareggiato dall’atteggiamento di un fratello che ama immensamente, Mykonos si allontana e nella foga prende con sé anche i due più piccini, per evitargli altro dolore.

Udire quel paragone fa sussultare Yerevan che ormai ha l’assoluta certezza di essere diventato ciò che non voleva diventare. Ha assorbito il modello negativo del padre e ha recato male a chi più tiene alla sua persona.

“Ci vuoi dire come mai hai preso questa decisione?” – interviene Tokyo.

“E’ giusto così! Vi consiglio di aiutare papà e Nairobi a chiarire. Solo così potranno collaborare alle ricerche di Ginevra”

“Dovrebbe essere la loro priorità, invece nostro padre è chiuso in camera da ore e Nairobi è con Axel in giardino” – commenta, infastidito, Julian.

“Sai benissimo che è la loro priorità; io sono stato l’impiccio che ha impedito che si concentrassero sulla bambina. Adesso andrò via, in questo modo tutto sarà più semplice. Addio” – conclude in quel modo quell’avventura, un’avventura di brevissima durata, che l’ha visto piangere di gioia, riabbracciando la sua famiglia, scoprire persone meravigliose, e soprattutto… arrivare a Perth gli ha permesso di conoscere una donna che per la prima volta gli ha dato attenzioni che mai nessuno gli aveva concesso, attenzioni che lo hanno illuso e hanno toccato intimamente il suo cuore.

Con il magone, lascia la villa, pronto a raggiungere, in taxi, l’aeroporto.

Non ha più senso rimanere.  E con i Dalì alle sue spalle, alcuni dei tanti in lacrime, Emilio saluta quel briciolo di serenità che aveva creduto di poter vivere per il resto della vita.

E così, la Banda dopo aver scoperto, tramite Sebastìan, che l’auto fotografata è esattamente quella su cui è salita Ginevra, cade nuovamente nello sconforto.

“Che si fa adesso?” – domanda Lisbona a Sergio.

“La conferma di Seba ci aiuterà a risvegliare Nairobi e Bogotà dai loro drammi. Siamo vicini ormai. E adesso sappiamo anche dove si trova la bambina!”

 

***********************************************

Carmen è in sala da pranzo, intenta a sistemare i piatti nella credenza, quando l’improvviso arrivo di Jorge la fa sussultare.

“Mi amor, non posso crederci” – esclama, agitato, il Gonzales.

“Calmati, per favore. Siediti e raccontami” – dice la donna, invitandolo a prendere posto al tavolo.

Nel mentre, gli versa metà della camomilla che ha appena preparato.

“Sai bene che io controllo spesso le telecamere di sicurezza che abbiamo posizionato fuori dalla villetta”

“Certo, non capisco come mai lo fai. Sarà noioisissimo”
“Ebbene, stavolta direi che non è stato affatto noioso! Non sai chi ho visto…”
“Chi?”

“Agata!”

“Cosa?” – esclama la zingara e in un battibaleno la tazza con la bevanda bollente cade sul pavimento, frantumandosi.

“Non può essere”
“Ebbene sì! Era con due ragazzini, non so chi possano essere”

“Sei sicuro fosse lei?”

“E’ identica a te. Non ho dubbi. Eccola, guarda con i tuoi occhi!”

Carmen Jimenez a distanza di circa vent’anni ha la possibilità di vedere sua figlia, tramite immagini registrate, proiettate adesso tramite un computer.

“Come mai è venuta sin qui, mi chiedo” – riflette l’uomo ad alta voce.

La settantenne non emette suono, fissa lo schermo senza battere ciglio.

È la frase di suo marito a restituirle la parola.

“Mi amor, dobbiamo dirlo a Carol!”

“No!” – esclama lei, senza esitazione.

“Perché? Non dirmi che adesso sei contro di lei”
“Non sono contro nessuno, però è bene per quella donna non sapere che mia figlia si aggirava da queste parti. È assodato che ormai la mia Agata sospetta di questo luogo. Se è giunta fin qui, sa che noi abitiamo a Perth e ha fatto dei collegamenti”

“Cosa dobbiamo fare allora?”
“Bisogna restituirle Ginevra!”

“Come? Non dirai sul serio?” – Jorge è allibito da tali parole.

“Non abbiamo altra scelta. La recita è durata anche troppo, è giunto il momento di rimettere tutto al proprio posto”

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Capitolo 24
*** 24 Capitolo ***


Nairobi, avvolta dalle esili braccia di suo figlio, rincasa, cercando di mostrarsi quanto più forte possibile. Difficile farlo sapendo che Ginevra è probabilmente assieme alle persone che la gitana odia di più al mondo, difficile farlo sapendo di aver distrutto definitivamente la relazione con Bogotá, difficile farlo sapendo che anche Emilio, costruitosi una storia d’amore degna di Oscar nella sua testa, deve lasciare la missione per ordine di suo padre.

Quando i due Jimenez raggiungono la Banda, notano una strana tensione nell’aria.

E quando Agata chiede spiegazioni a Tokyo, l’amica le dice - “Abbiamo avuto conferma. Eravate sulla pista giusta. L’auto su cui è salita Ginny è quella del tuo patrigno, Nairo”

Il corpo di Axel s’irrigidisce sentendo tirare in ballo quell’uomo.

“Dobbiamo portarla via da quell’inferno. Potrebbero farle del male, magari somministrarle alcool, droghe per stordirla, magari hanno intenzione di usarla come merce di scambio con la polizia, cazzo dobbiamo agire” – e il panico del gitano non tarda a mostrarsi.

“Manteniamo la calma, per favore” – interviene Sergio – “Abbiamo valutato bene la faccenda e pensavamo di indirizzarci su qualcuno in particolare..”

“Chi?” – domanda Agata.

“Betta” – risponde Sebastìan.

“Una bambina? No! Assolutamente no!”

“Pensaci, è l’unica che può agire per noi dall’interno” – la fa riflettere Lisbona.

“Ok, ma se dovessero scoprirla e farle del male? Non me lo perdonerei”

“Faremo in modo che nulla di tutto ciò accada. Fidati” – ribadisce il Professore.

“Vi giuro che se le succede qualcosa, io sono disposta anche a costituirmi…”
“Non dire stronzate” – aggiunge Denver – “Manderesti a puttane tutta la tua felicità, sai che fine farebbero i tuoi figli?”

È chiaro il riferimento che Daniel Ramos fa in quell’istante.

Sì, Nairobi sa bene cosa potrebbe accadere se si fosse costituita come penitenza per il male procurato ad innocenti…lei sa bene che ciò ricadrebbe su Bogotà, che verrebbe automaticamente catturato e sbattuto in galera…e i  bambini?...loro vivrebbero esattamente come ha vissuto Axel, senza genitori, in case famiglia, affidati ai servizi sociali.

La Jimenez rabbrividisce al solo pensiero e scende a compromessi con il Marquina – “Betta deve essere protetta ventiquattro ore su ventiquattro. Nessuno, dico nessuno, dovrà torcerle un solo capello”

Soddisfatti di averla convinta, i Dalì le promettono quanto detto.

“Non metterò in pericolo nessun altro. Già voi siete a rischio, non devono essercene altri!” – aggiunge la gitana, con voce tremante, prossima a cedere al pianto.
“Adesso è me che devi ascoltare!” – a quel punto interviene dal fondo della stanza colui che anni addietro fu salvato dai Dalì – “Tu non hai esitato a metterti nella tana del lupo quando mi catturarono, dodici anni fa. Tutti avete rischiato, per una mia cazzata. Stavolta non c'è nessuna cazzata di mezzo, stavolta si tratta di una bambina…e i bambini, dannazione, i bambini…no, non si toccano. Quindi fanculo i sensi di colpa, non devono esistere. Noi siamo responsabili per le decisioni che prendiamo. E se abbiamo accettato, lo facciamo non sotto costrizione, non perché ti dobbiamo un favore! Cazzo, Nairobi, si tratta di Ginevra! Io l’ho vista nascere quella bambina… è per me una figlia, e i figli sono sacri. Nessuno tocca un figlio di uno dei Dalì!”

Le parole di Rio sono l’esatto pensiero di ogni membro presente che annuendo, spalleggia Cortès.

“Siete la famiglia migliore del mondo” – si commuove Nairobi e finalmente, dopo giorni di apatia e totale perdita di lucidità, riesce a ringraziare gli amici, come meritano davvero.

Accolta dagli abbracci di tutti, inclusi i figli di Bogotá, Agata sente di aver ripreso a vivere. Il cuore è tornato a batterle, nonostante il dolore che ancora preme e le toglie il fiato.

“Adesso devi risolvere con tuo marito, però! Noi potremmo anche essere la famiglia migliore del mondo, ma lui è il tuo cuore. E sai bene che senza cuore non si può vivere” – le sussurra Silene all’orecchio, invitandola a raggiungere il consorte chiuso da ore in camera.

“Ho fatto una cazzata, non mi perdonerà mai”

“Immagino già, ho visto la sua faccia e quella di Emilio, per di più lui ha lasciato la villa con la valigia, beh…ho fatto due più due… però, l’importante è aver capito i tuoi sentimenti e cosa desideri dalla vita”

“Come sei diventata saggia, Silene Oliveira! Mi domando cosa ti sia accaduto” – sorride Nairobi, seppure in lacrime per la forte emozione.

Emozione che contagia anche Tokyo – “Ho avuto una brava insegnante”

Mentre le due donne vivono un momento loro, di tenerezza, Axel s’isola, sedendosi sulle scale che conducono al primo piano della villa.

“Ehi, ancora brutti pensieri?”

“Ivana, sei diventata il mio angelo custode?”

“Eh che viviamo sotto lo stesso tetto, inevitabilmente mi accorgo del tuo malessere, sai?”

La biondina osserva il parente acquisito in silenzio, studiando le sue espressioni.

“Sei un’ottima osservatrice, allora” – si complimenta, seppure mantenendo lo sguardo fisso a terra, torturandosi le dita delle mani in segno di nervosismo.

“Cosa ti agita?”

“Quell’uomo!”
“Quale? Il patrigno di tua madre?”
“Esatto, se facesse del male a Ginevra?”
La preoccupazione da fratello maggiore, nei confronti di una bambina che, seppure consanguinea, non ha mai conosciuto, colpisce piacevolmente Varsavia che, gli propone.

“Ti va di conoscere Ginny insieme a me?”

“Eh?” – esclama lui, confuso.

“Seguimi” – prendendolo per mano, la ragazza lo conduce fino alla cameretta dei gemelli.

“Questo è il suo letto, vedi? C’è la coperta di Frozen!” – spiega l’ucraina.

“Immaginavo, in fondo Sebastìan è più un tipetto da macchinine e supereroi”

“Ecco, guarda cosa c’è qui!” – dice Ivana, mostrando ad Axel il diario della bambina.

“Un diario segreto!”

“Esatto, Nairobi l’ha letto, ma non ha precisato granché sul contenuto. Io però mi sono incuriosita e l’ho cercato”
“Secondo te questo quaderno può dirci tanto di una persona?” – domanda, perplesso, il gitano.

“Provare non costa nulla!”

Sedutisi sul morbido tappeto rosso, posto al centro della stanza, i due si aprono al mondo segreto di Ginevra.

Ma Axel probabilmente mai avrebbe immaginato di trovarsi coinvolto tra quelle pagine.

******************************************

Nairobi, su consiglio di Tokyo, raggiunge la porta della sua camera da letto.

Sa bene che Bogotá è lì dentro.

La tensione alle stelle le fa vibrare il corpo.

Persino la ferita, cucitale e ricucitale dodici anni prima, pulsa con forza, come a volerle ricordare di un dolore talmente invasivo da impedirle di respirare.

Con il cuore in gola e un’indescrivibile morsa allo stomaco, la gitana dà un paio di colpetti all’uscio.

Non riceve alcuna risposta.

Così riprova.

Nulla. Bogotá sembra non interessato ad ascoltare nessun altro.

Che buffo pensare che proprio dove si trova oggi,dodici anni prima stava vivendo attimi di gioia sognati da tutta una vita. E così, in quell’istante, si mostra chiaro e dettagliato, l’episodio della sua prima notte di nozze.

 

“Che cosa fai? Guarda che sono pesante!”

“Ti prendo in braccio! Non si fa così con le spose?” – precisa Bogotà, afferrando la sua novella moglie, con ancora indosso un appariscente ed elegantissimo abito bianco.

Con estrema attenzione, spaventato di poterle fare male viste le recenti ferite da battaglia, procuratele dai loro nemici, il saldatore oltrepassa l’uscio della camera da letto, con la sua donna tra le braccia.

“Mai nessuno mi aveva trattata come fai tu, sai?”- sussurra Nairobi al suo orecchio, dandogli, subito dopo, un bacio tenero sulla guancia.

“E tu sei la sola donna che ha saputo rapire il mio cuore!”

“Ne avrò cura come tu fai con il mio ogni giorno”

Scambiatisi dolci parole, baci delicati e fin troppo casti per lo standard di Agata, è proprio la gitana a mettere piede per terra e dimenticarsi il pudore.

“Questa prima notte di nozze sarà indimenticabile” – lo provoca, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Spinge il marito sul letto, mostrando il suo lato più nascosto.

Un lato che Bogotá sospettava Nairobi avesse, ma di cui non ebbe mai prova fino a quel momento.

Guarda la sua boss preferita, quella che gli disse “Non ti toccherei neanche con un palo”, liberarsi del vestito di pizzo bianco. La donna canticchia qualcosa mentre, lentamente, si denuda. Man mano che indumenti cadono sul pavimento, il saldatore sente il cuore accelerare bruscamente. E più la studia in ogni dettaglio, più se ne innamora …si innamora della sua pelle, delle sue labbra, dei suoi capelli, di ogni parte del suo corpo. E quella notte nessuno poté mai dimenticarla.

Perché quella fu la prima di tante notti che regalarono alla coppia dei tasselli di felicità a quel puzzle creato da entrambi...un puzzle di famiglia.

 

“Bogotá, sono io. Posso parlarti?” – a quel punto, decide di prendere parola, ormai presa dai ricordi e dal dispiacere per il male recato all’uomo a cui aveva promesso amore incondizionato.

Eppure la Jimenez conosce il marito…nonostante ciò non demorde.

Insiste, piange, grida la sua rabbia, si abbatte e si rialza… fa tutto ciò senza vergogna alcuna, senza timore di mostrarsi fragile, vogliosa soltanto di potersi specchiare di nuovo negli occhi del solo uomo che le ha restituito la voglia di amare.

“Vorrei che mi dicessi ciò che senti, in faccia. Vorrei mi gridassi quanto ti faccio schifo, perché lo so che è così... so di averti fatto molto male, e non ti chiedo di perdonarmi, non me lo merito. Chiedo di saperti insieme a me nelle ricerche di Ginevra. Adesso abbiamo la conferma che mia madre e il mio patrigno sono coinvolti. Non possiamo lasciarla nelle loro mani, ti supplico”
E’ quella comunicazione che sembra finalmente smuovere le acque.

Il chiavistello viene girato; niente più serratura…la porta si spalanca.

Di fronte a Nairobi c’è un uomo il cui volto racconta una sofferenza difficile da spiegare a parole. Un uomo preso in giro dal destino e devastato da sentimenti contrastanti che lo spingono a detestare chi l’ha tradito, e al contempo a detestare se stesso per aver resto possibile tutto ciò.

“Amore mio” – lei avanza verso l’uomo che, al contrario, indietreggia.

“Cerchiamo Ginevra!” – senza proferire altre parole, il saldatore dei Dalì schiva la moglie e raggiunge il gruppo per gli aggiornamenti sul caso di sua figlia.

Udire quella notizia riaccende la speranza di un padre che per giorni si è sentito escluso, si è sentito di troppo, si è sentito messo costantemente da parte, un padre che ha ospitato figli che non vedeva da anni con la speranza di accoglierli sotto la sua ala protettrice, un padre costretto ad assistere ad un bacio tra due delle persone che più ama.

“Eccoti, finalmente! Come stai?” – domanda Julian, andando incontro al genitore.

“Tranquillo, figliolo! Adesso voglio sapere cosa dobbiamo fare…qual è la prossima mossa Professore?”

Tokyo nota l’assenza di Nairobi intuendo che il suo consiglio è servito a poco. E quando la vede comparire dal fondo del salone, ha conferma che la crisi è troppo profonda per essere superata con due parole di scuse.

Abbracciando a sé la gitana, Silene le offre la sua amicizia e la sua presenza: tutto pur di rivedere quella che è diventata sua sorella tornare a sorridere.

Chi invece non sorride è Axel, che ha appena chiuso il diario di Ginevra dopo una scioccante rivelazione.

“Mi odia!” – commenta, amareggiato.
“No, non dire così! Abbiamo frainteso, forse”
“No, no! Ginevra mi detesta. Ma, in fondo, come darle torto. Sarebbe lo stesso per chiunque se la propria mamma facesse costanti paragoni”

Lo shock sul viso del ragazzo testimonia l’amarezza che prova per una situazione che gli risulta fin troppo pesante da sopportare.

“Nairobi è stata legata al tuo ricordo troppo a lungo”
“E Ginny ne ha risentito! Bisogna intervenire prima che sia troppo tardi”

“Dovremmo ascoltare il piano del professore, probabilmente la maestra è coinvolta”

“E’ sicuro al cento per cento. E a questo punto, mi domando…cosa vuole quella donna da mia sorella? Cosa la lega ai miei nonni?”

“Probabilmente loro minacciano l’insegnante per costringerla ad agire in questo modo…forse l’hanno costretta a rapire la piccola!” – ipotizza l’ucraina.

“Dobbiamo agire, voglio abbracciare mia sorella e farmi amare da lei. Basta abbattersi…d’ora in avanti il mio obiettivo è riportare Ginny qui e dimostrarle quanto la nostra somiglianza può essere un bene, e non un male!”

“Così si parla” -  esclama, fiera, Ivana, notando una insolita determinazione nel parente.

L’atteggiamento mostrato dimostra esattamente quanto di Nairobi è stato ereditato da quel giovane gitano.

La sua tenacia sono la piena conferma.

 

************************

Nel frattempo…

“Carmen, cosa dici? Non possiamo riportare Ginevra a casa! Sarebbe da folli”
“Invece non lo è. Io con questa miss Jones non voglio più avere a che fare! Ci ha soltanto usati per i suoi sporchi comodi”
“Mi amor, non urlare o ti sentirà”

“Me ne frego. Che capisca pure quanto la disprezzo. Sono stata zitta e buona fin troppo. Ora basta, ne va della vita della mia nipotina”

“Cosa vorresti fare?” – chiede, preoccupato, Jorge.

“Approfittare della mattinata scolastica di Caroline per prendere Ginny e lasciarla ai genitori”

“Non mi sembra un’idea fattibile” – precisa l’uomo.

“Non m’interessa. Ho deciso. Faremo così!”                      
Ma il destino, si sa, ci mette sempre lo zampino…e ad ascoltare i due anziani è proprio la diretta interessata.

Donna calcolatrice, ha premeditato tutto e sospettava già dal principio di un probabile tradimento. Per tale ragione ha nascosto delle telecamere nella cucina e in altre sale.

“Bene, bene…e bravi i vecchietti! Così vorrebbero fregarmi? Si sbagliano di grosso”

Chiusa nella sua stanza, con un pc di fronte a sé, collegato alle varie spie disposte in casa, la Jones ascolta e guarda la conversazione segreta.

“Non mi lasciate altra scelta”

Consulta il sito aereo a lei conveniente e prenota due voli.

“Nessuno mi separerà da mia figlia…nessuno”

Afferra due borsoni e li riempie di abiti.

In dieci minuti li carica sull’auto di Jorge, parcheggiata nel garage.

Il tutto le riesce facile, grazie ad un sottoscala adiacente al vecchio bagno al piano terra.

Prossima a mettere in atto il piano di fuga, Caroline Jones si avvicina a Ginevra, sdraiata sul lettino a leggere uno dei libri regalatele dalla nonna, e le fa una proposta incredibile.

“Ti va se lasciamo Perth per qualche giorno?”

Nessuno avrebbe mai sospettato di lei, nessuno avrebbe mai pensato che da lì a poche ore le due sarebbero volate via da Perth.

Nessuno…

Questo pensa la signora Honey.

E invece, stavolta, il suo folle genio sbaglia mossa.

In quel preciso aeroporto è presente qualcun altro, deciso a lasciare l’Australia.

 “Mamma, si sto bene. Torno a casa”

“Cosa succede Emilio? Scommetto che tuo padre non ti ha accolto come meriti, vero?”

“No, anzi. Tutto il contrario. È solo che qui sento di aver finito la missione” –  il ventisettenne cela la verità, perché sarebbe sconvolgente raccontare alla madre di essersi preso una sbandata per la matrigna.
“Cosa vuoi dire?”
“Beh ecco….” – Yerevan, a telefono, spiega le ragioni della sua ripartenza, inventando storie che hanno poco di credibile.

È ormai vicino al gate d’imbarco quando, casualmente, riconosce una coppia appena arrivata nella sua stessa area.

“Ci sentiamo dopo, devo chiudere” – così dicendo saluta l’apprensivo genitore e scruta, da lontano, le persone sospette.

“Cazzo” – esclama poi.

Impossibile non riconoscere precisamente di chi si tratta.

“Puttana, dove la sta portando!” -  preda del panico, Emilio compone il primo numero in agenda.

“Ehi, finalmente ti fai sentire! Dimmi che hai cambiato idea e che hai intenzione di restare, ti prego” – dopo alcuni squilli, la voce della sorella finlandese dà segni di vita.

“Hanna, ascolta, è molto importante. Devi dire a papà e Nairobi di venire in aeroporto quanto prima”
“Perché? Cosa stai dicendo? Non capisco!”

C’è caos dall’altro lato della cornetta, segno che i Dalì sono tutti sull’attenti.

“Ho appena visto la maestra Honey! E non è da sola… Ginevra è con lei. Ora non ho più dubbi… la sta portando via”

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Capitolo 25
*** 25 Capitolo ***


Panico, caos, ansia, disordine, confusione.

Si respira di tutto in casa “Sanchez”.

A percepire la tensione sono Alba e Sebastìan che, seduti sul divano, osservano i Dalì mobilitarsi, muoversi continuamente di camera in camera, con in mano computer, radio…

Nairobi è la prima a dirigersi verso l’uscita quando ascolta Hanna comunicare al gruppo la notizia ricevuta da Emilio.

Lei, nonostante la poca fiducia verso quel ragazzo che l’ha baciata, mandando  a puttane il suo matrimonio, crede fortemente nelle sue parole. Non esita un solo istante.

“Dove vai? Non puoi andare fin lì! E’ rischioso…” – la trattiene Tokyo, afferrandola per un braccio.

“Io vado a riprendermi mia figlia! Cazzo, sapete cosa significa questo per me? Sono giorni che è lontana, che ho temuto fosse stata rapita dalla polizia o da qualche maniaco! E adesso che è si trova a pochi kilometri da qui, credete davvero che me ne stia in casa a girarmi i pollici?” – decisa ad intervenire in prima persona, la Jimenez si rivolge al marito – “Andiamo insieme?”

Ma il saldatore è in silenzio e sembra non darle sostegno in una decisione che, al contrario, sarebbe dovuta essere condivisa da ambo i genitori.

“Aspetta, Nairo! Non è bene che qualcuno vi veda lì” – interviene il Professore – “Se la maestra vi riconoscesse, potrebbe, a questo punto, smascherarvi”

“Se Emilio stesse bleffando?” – aggiunge Bogotá, intromettendosi con aria alquanto seccata. Solo nominare il primogenito, lo irrita terribilmente e gli riporta alla mente una scena disgustosa tra il ventisettenne e Agata.

“Cosa cazzo stai dicendo? Non lo farebbe, papà” – aggiunge Drazen, spiazzato dalla considerazione paterna.

“Ehm…. fratello, lascia stare” – Julian, a sostegno del padre, zittisce il consanguineo.

Sono poche le possibilità allora: devono agire i soli sconosciuti, sia alla nota maestrina che alla stessa Ginevra. I soli Non Ricercati del gruppo.

“Andiamo noi” – la voce di Axel attira l’attenzione. Il ventunenne è posizionato di fianco a Ivana, vicino la porta d’ingresso del salone e ha chiare intenzioni di agire in prima persona.

“Voi chi?” – chiede la gitana.

“Io e Varsavia!” – spiega il ragazzo, prendendo la mano della sorella che gli è accanto.

E quel gesto, tanto dolce e amorevole, confonde i Dalì che si guardano tra loro cercando, ciascuno, risposta nello sguardo degli altri.

“Ma, tesoro, non è sicuro che voi…”

“Mamma, per favore. Direi che è bene che nessuno sappia né di me né di Ivana, per poter spiare meglio la situazione” – puntualizza Avana.

“Emilio mi tiene aggiornata, man mano! Ha detto di affrettarsi...” spiega Hanna, sostenendo la proposta dei due candidati alla missione.

“Io qui, ferma, muoio” – commenta Nairobi, tesa come una corda di violino.

“Tu devi pensare a Ginevra! Fallo per lei, ok? Resisti” – con quelle parole, il giovane gitano abbraccia la madre e le sussurra – “Riporterò la mia sorellina a casa”

Ivana, nel frattempo, si è avvicinata a Bogotà.

“Papà, per favore, metti da parte il rancore. Qualsiasi cosa sia successa, che non vuoi raccontare, fidati di noi”
“Io di voi mi fido!” – afferma certo il saldatore, accarezzando con dolcezza i morbidi capelli biondi della ragazza – “E’ di tuo fratello maggiore che mi fido meno”

Pronunciando quell’affermazione, gli occhi dell’uomo si posano sulla moglie.

“Perché dovrebbe raccontare frottole?”

“Nulla, lascia stare! Qualsiasi cosa, usate i cellulari” – conclude, per darle poi un bacio sulla fronte.

Cedute le chiavi dell’auto di famiglia, i due salutano i rispettivi figli ricordandogli per l’ennesima volta prudenza.

E con il cuore in gola, e la rabbia verso una situazione di merda che li costringe ad essere chiusi tra quattro mura, impedendogli di riprendersi ciò che gli appartiene, i coniugi cercano di distrarsi con le mosse successive, indicate dal Professore.

“Rio! C’è bisogno di te adesso” – lo chiama Sergio, dopo le raccomandazioni ad Avana e Varsavia.

“Come si muoviamo?”-  domanda Denver.

E così Cortés scatta immediatamente e si posiziona di fronte ad un paio di computer di proprietà del Marquina.

“Fratello, guarda cosa combino ai sistemi informatici dell’aeroporto di Perth” – ridacchia Anibal. Le dita del compagno di Tokyo si muovono rapide sulla tastiera.

Concentrato al massimo, mentre gli amici cercano di intuire qualcosa, di fronte ad un genio di quella portata, Rio riesce nella missione. E lo fa in pochi minuti.

“Ecco fatto” – comunica, esultando.

“Cosa avresti fatto? Non mi è chiaro” – commenta Tokyo, perplessa.

È Sergio a spiegarlo – “Ha appena creato dei disagi tecnologici che costeranno ai passeggeri di tutti i voli da Perth una perdita di tempo notevole”

“Cazzo, sei un genio” – solo allora Denver capisce il ruolo dell’amico.

“Quindi ci saranno dei ritardi nei voli, giusto?”

“Giusto, Stoccolma!”

“Ho una domanda, però!” – riflette Helsinki  – “Come faceva la maestra ad avere passaporto di bambina? Deve aver prenotato biglietti… come ha fatto?”

Dilemma a cui nessuno aveva pensato, neppure una mente tanto meticolosa come quella del capobanda.

E’ Nairobi a balzare in piedi, udendo tali considerazioni.

“Cazzo!” – esclama, correndo nella camera dove, in uno dei cassetti dell’armadio, sono di regola custoditi dei documenti importanti.

Rovista, gettando all’aria anche carte e fogli di vecchi giornali, conservati in ricordo delle rapine svolte.

“Allora? L’hai trovato?” – domanda Lisbona, raggiungendo l’amica.

Agata scuote il capo, ma non demorde.

Si sposta nella stanza dei gemelli e setaccia ogni angolo.

Nulla.

Nessun passaporto.

Niente di niente.

“Per caso quella donna è stata qui?” – chiede,  allora Nairobi a Bogotá.

L’uomo alzando gli occhi al cielo, infastidito da allusioni e apparenti rimproveri, scuote il capo.

“Mi credi scemo fino a questo punto” – commenta poi.

La Jimenez finge di non sentirlo, troppo presa dal panico per litigare con il consorte.

Così si sposta sui figli ed interroga loro.

“No, mamma! Qui non è mai venuto nessuno” – afferma, convintissima, Alba.

“E come si spiega che il documento si è volatilizzato?” – l’umore della donna, decisamente sottoterra, lascia spazio ad un nervosismo ingiustificato.

“Non lo so!”

“Non avrete mica giocato con delle carte che vi ho detto di non toccare?”

I piccoli si guardano l’un l’altro, ed è il maschietto a confessare qualcosa – “Ginny una volta ha rovistato lì dentro!”

A quel punto, la soluzione è sotto il naso di tutti. Eppure, in un primo momento, nessuno sembra carpire l’azione della bambina nascondesse la motivazione della sparizione del passaporto….e della sua stessa scomparsa.

“Lì dentro, dove?” – anche il saldatore si pone in allerta.

“Nel comodino della vostra camera da letto” – continua Seba.

Marito e moglie, inconsapevolmente, si guardano l’un l’altra, condividendo la medesima ansia.

“Hai visto cosa ha preso?” – chiede il capofamiglia, inginocchiandosi di fronte al figlio.

“A questo punto, direi, il passaporto” – precisa Alba.

“Cosa cazzo doveva fare con il passaporto?” – è il dilemma che Agata non riesce a spiegarsi.

E la risposta, forte e lacerante, viene proprio da Bogotá.

“Scappare”  

*****************************************************

Invece, in aeroporto, scoppia la catastrofe operata da Rio.

Voli ritardati, sistemi informartici completamente in tilt.

“Cos’è questo casino!” – brontola Caroline Jones notando i passeggeri lamentarsi di qualcosa accaduto a cui non c’è immediata soluzione. Sospettosa, chiede spiegazioni, avvicinandosi ad un uomo con due valigie.

“Resta qui, tesoro. Torno subito” – raccomanda a Ginevra. E così la piccola, seduta in attesa, stringe tra le mani un documento importante.

Il suo passaporto.

La carta della libertà, come l’ha sempre chiamato la maestra Honey.

Fissa quel pezzo di carta e ricorda di quando, di nascosto, entrò nella stanza dei genitori, e lo portò via.

Un colpo degno di una figlia di rapinatori.

Un colpo messo a segno in un millesimo di secondo, scoperto solo, casualmente, da Sebastìan.

La mente della piccina vaga e dilaga, fino a quando una voce la fa sussultare.

“Ciao, dove vai di bello?” – le domanda una persona sconosciuta.

Un ragazzo moro dalla carnagione altrettanto scura, si siede accanto a lei.

E la piccola si ritrae – “La mia mamma mi ha sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti”

“Anche la mia diceva sempre questo! E diceva anche “Non accettare caramelle da chi non conosci!”!” - ridacchia il tipo, imitando la voce materna

La sua imitazione fa sorridere Ginny.

“Non temere, non ho intenzioni cattive”

“Chi me lo garantisce?” – chiede la figlia di Bogotà, mostrandosi cazzuta al pari di sua madre.

“Io sono Emilio, molto piacere” – le porge la mano, mostrandosi quanto più solare possibile.

Lo sguardo di quel tipo tranquillizza Ginevra che, seppure restia, abbassa le difese.

“Anche la mia”

“Anche la tua, cosa?”

“La mia mamma…anche la mia mamma dice sempre quella storia delle caramelle”

“Bene. E’ saggia e ha ragione”

“Io le ho disobbedito, però”

Emilio, o meglio Yerevan, finge stupore – “Come mai?”

“Beh…”

La parola di Ginevra viene zittita dalla maestra che, da qualche metro più avanti, nota la presenza dello straniero e richiama la bambina.

“Devo andare” – lo saluta afferrando la sua piccola valigia rosa.

A quel punto, il venezuelano, sospettoso, cerca conferma ai suoi pensieri.

“E’ quella la tua mamma?”

Domanda geniale.. e infatti Ginny non risponde immediatamente con un NO secco.

Esita alcuni secondi, poi annuisce.

Fa cenno con la mano, in segno di saluto, e raggiunge Caroline Jones.

“Cazzo, questa faccenda non mi piace” – riflette ad alta voce.

Fissa le due muoversi confusamente nell’aeroporto e cerca di seguirle il più possibile.

Quando le sospettate entrano in un bagno per donne, Emilio riceve la telefonata di Ivana.

 “Siamo in aeroporto. Dove sei?”

 “A pochi passi da Ginny” – spiega lui, precisando la sua posizione.

“Bene, tienila d’occhio! Stiamo arrivando”

“Credo sarà un’impresa difficile” – commenta il primogenito di Bogotá.

“Perché?”

“Non collaborerà mai. Vorrei sbagliarmi, ma… a me sembra intenzionata a rimanere con la sua rapinatrice. E questo non è un buon segno. Forse ci siamo sbagliati su tutto, forse non è stata portata via di forza, forse è volutamente scappata!! E se così fosse, sarebbero inutili piani ed escamotage. Ginevra l’avremmo perduta per sempre!”

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Capitolo 26
*** 26 Capitolo ***


Bogotá, isolatosi in giardino, stanco di ascoltare la confusione dei Dalì, fuma silenzioso il suo sigaro, mostrando chiari ed evidenti segnali di tensione.

“Amico mio, sai che i tic potrebbero essere contagiosi?” – la voce di Palermo attira l’attenzione del saldatore, il quale, confuso, fa intendere di non aver capito le sue parole.

“Mi riferisco alla gamba che ti trema” – puntualizza Berrote, indicando l’arto di Bogotá, che continua a muoversi nervosamente senza che l’uomo se ne rende conto.

“Sono agitato, ok? Sarò libero di avere tutti i tic di questo cazzo di mondo, no?”

“Certo” – risponde Martìn, alzando le mani in segno di resa. Sa bene che il suo compagno di squadra non è in vena di parlare di cose irrilevanti.

“Volevo solo rompere il ghiaccio”

“E io voglio restare da solo!” – ribadisce Bogotá.

Ma Palermo non demorde.

“A rischio di beccarmi uno dei tuoi micidiali pugni, voglio insistere…insomma, amico mio, chiuderti in te stesso non migliora la situazione”

Il saldatore espira nuovamente il fumo del suo sigaro, volgendo lo sguardo altrove, infastidito  - “Se sei venuto qui per rompermi con delle ramanzine di merda, meglio che torni dentro casa”

“Sei serio? Dai, fratello, voglio darti una mano. Mi dispiace vederti così. Non sei più tu!”

“Beh…quando toglieranno una figlia anche a te, e quando la persona che ami non ti vuole più, allora capirai…”

Le parole dell’omone grande e grosso della Banda, spiazzano Palermo che si ammutolisce.

“Se si tratta di Nairobi, nonostante in passato abbiamo avuto diverbi, sono stato uno stronzo, e lo riconosco, ora ho scoperto la bella persona che è! Cioè…in fondo l’ho sempre saputo. Però ero una testa di cazzo... ecco, con questo volevo dire che, se hai litigato con lei, non affliggerti. Vi amate alla follia, e insieme risolverete i problemi”
Udendo le ultime affermazioni, il saldatore emette una beffarda risata.

“Devo cominciare a pensare al discorso che faceva sempre Berlino” – riflette ad alta voce.
“Cioè?” – chiede Berrote.

“Quello sulle donne!”

Martìn lo fissa, stranito, e ascolta le considerazioni folli dell’amico – “Berlino diceva che le donne una volta diventate madri si dimenticano di te! Già… probabilmente aveva ragione”

“Che cazzo dici?”

“Nairobi dopo la nascita dei gemelli mi ha dato poche attenzioni. Forse perché sono più vecchio di lei, forse perché non la soddisfo più”

“Mi fai paura, Bogotà! Perché dici queste stronzate?”

Eppure le domande di Palermo non trovano risposta. Il saldatore continua il suo monologo, infischiandosi di chi c’è attorno, lamentando un dolore che come un pugnale affonda la sua lama in profondità e lento risale su.

Una sofferenza che lo stesso Martin coglie dallo sguardo e dal tono di voce dell’amico.

Impotente di fronte a tanto strazio, l’argentino non può far altro che ascoltare e ciò che ode non è affatto rassicurante.

“Mio figlio è bello, prestante, intelligente, e premuroso. E lei ha bisogno di qualcuno che mantenga accesa la scintilla. Forse hanno anche scopato alle mie spalle, io non devo essere stato bravo la scorsa notte, lei si è consolata così…”
“Bogotà, porca puttana! Dici sul serio?” – a quel punto, Palermo intuisce il malessere dell’amico – “Ti ha tradito? E con chi?”

Gli basta poco per capirlo. Martin ricorda che qualcuno andato via inaspettatamente c’è stato.
“Cazzo…. Emilio?!”

Il nome del primogenito risveglia Bogotá dallo stato di sconforto nel quale è momentaneamente caduto. Si accorge, solo allora, di aver riferito troppo.

“Torno dentro”

“Aspetta, dove vai? Voglio aiutarti”

“Dimentica quello che hai ascoltato” – ignorando le invadenze dell’argentino, il saldatore si incammina verso l’ingresso di casa.

“So cosa significa soffrire per amore, credimi. Però, se c’è una cosa che ho imparato, è non lasciarti divorare dal dolore”
“Quando riavrò con me Ginevra, prenderò le mie decisioni. Adesso voglio soltanto essere lasciato in pace”

Entra nella villa, lasciando il compagno di squadra con un senso di profonda e intensa apatia.

E pensare che nessuno dei due si è accorto della presenza di una terza persona, poco distante, rimasta pietrificata di fronte ad agghiaccianti confessioni.

***************************************

“Eccovi, finalmente!”

“Dove è Ginny?” – domanda Axel ad Emilio.

“Quella donna l’ha allontanata. Dieci minuti fa sono entrate in quel bagno laggiù! Ancora non escono!”

“Forse sospetta di te?” – ipotizza il gitano.

“Non so, io ho avuto modo di scambiare due parole con Ginevra! Non le ho rivelato neppure di essere suo fratello”
“Bene, meglio così! Non deve sospettarlo” – precisa Ivana.

“La faccenda è sempre più sospetta! Nostra sorella è legatissima a quella sconosciuta!”

“Bisogna agire quanto prima” – aggiunge il giovane Jimenez – “Potrebbe minacciarla a dire determinate cose”

“Aspettatemi qui” – ordina Varsavia, decisa a prendere in mano le redini della situazione. Lo fa, raggiungendo l’esatto luogo nel quale si erano serrate le due fuggitive.

Con estrema noncuranza, la ventenne entra nella Toilette, constatando che molte donne in coda hanno evidentemente causato la permanenza della signorina Honey e di Ginevra in quel posto poco piacevole.

Ivana riconosce subito Ginny e si emoziona nel guardarla. Cerca in ogni modo di non destare sospetti, e studia in silenzio le espressioni e le mosse della famosa insegnante.

“Possiamo tornare a casa? io ho sonno” – la bambina si stropiccia gli occhi, e supplica la tutrice di andare via.

“Dobbiamo partire, mi amor. L’hai capito questo, sì?”

“Non possiamo portare anche i nonni insieme a noi?” – domanda ingenua e dolce da parte della piccina.

Caroline Jones si guarda attorno, ignorando di avere alle spalle una minaccia alla sua fuga.

E così le dice – “Loro ci raggiungeranno presto”

“Io vorrei salutare almeno mio fratello Seba, e mia sorella Alba. Mi mancano tanto e sono giorni che non li vedo”

A quel punto, l’adulta si vede costretta ad usare l’arma del rimprovero.

“Sei stata tu a volere questa cosa, Ginevra! Ricordi? Adesso ti stai tirando indietro?”
Se c’è una cosa che la maestra Honey sa fare è schiacciare chi ha davanti a sé con il fardello del senso di colpa.

“E’ vero, hai ragione” – con quelle parole, abbassando lo sguardo, Ginny accetta la sconfitta. La sua insegnante ha ragione, e non le resta che stare a quanto deciso.

“Vedrai che ci divertiremo noi due insieme. Non abbiamo bisogno di nessuno” – dopo il tono severo, la donna si mostra dolce e tenera.

Una tattica, quella della dolcezza, servitale, tempo addietro, per il suo interesse personale.

Ivana, nel frattempo, cerca di capire le intenzioni della teacher. Sente di dover giocare la sua mossa quanto prima!  Prima che sia troppo tardi.

Le basta scorgere una lacrima sulla guancia di sua sorella per darle la scossa decisiva e trasformarsi da ragazza educata e di buone maniere, in una leonessa pronta a sbranare chiunque si avvicina ai suoi cuccioli.

“Maledetta” – è il primo pensiero della ragazza, che trattiene la rabbia stringendo con forza i pugni, al punto di conficcare le unghie nella sua stessa carne.

Pochi istanti dopo, la maestra Honey entra nella toilette ricordando alla bambina di rimanere ferma al suo posto, accanto ad uno dei vari lavabi.

“Non uscire da qui senza di me” – le ribadisce più volte.

Finalmente l’occasione che Varsavia aspettava.

“E’ il momento di conoscerci, sorellina del mio cuore” – pensa la ventenne. Poi si posiziona di fianco alla bambina, fingendo di aspettare il turno per utilizzare la toilette.

Con la coda dell’occhio, Ginevra scruta la sconosciuta, percependo in lei strane vibrazioni.

“Sei in coda?” – domanda la maggiore per rompere il ghiaccio.

“Ehm…no, sto aspettando la mia…” – Ginny era prossima a dire “maestra”, poi la voce insistente di Caroline Jones le rimbomba nella testa, e si sente costretta a dire – “la mia mamma”

“La tua mamma?” – ripete, sbalordita, Ivana.

La situazione è grave, pensa l’ucraina.

E udire il rumore dello scarico, significa il ritorno della Honey sulla scena.

Così Varsavia ha poche carte da giocare.

Nel panico più totale opta per la soluzione più drastica.

“Ginny, io ti conosco”

“Cosa?”- si ritrae, terrorizzata, la piccola.

“Mi chiamo Ivana e sono tua sorella maggiore! Sono qui per salvarti…”

Gli occhi lucidi della ventenne sono la prova per Ginevra della verità.

“Hai lo stesso neo di papà” – precisa poi la piccola, indicando il segno sul viso della bionda.

“Vieni via con me, ti prego” – le porge la mano, in attesa di scappare.

Eppure la minore è poco convinta, anzi si direbbe che non ha alcuna intenzione di farlo.

“Non voglio” – risponde, correndo via e disobbedendo agli ordini dell’insegnante.

**************************

“Ehi, ma quella è Ginny” – esclama Emilio, riconoscendo la sorellina correre via.

E’ Axel stavolta a non esitare. Si getta tra la folla di persone che occupano l’aeroporto e segue la bambina.

Anche Varsavia, a passo veloce, si ricongiunge a Yerevan.

“Che è successo?” - le chiede lui, cercando spiegazioni.

“Ho parlato” – confessa, dispiaciuta, l’ucraina.

“Cazzo, Ivana! Non dovevi. Sarà difficile riportarla con noi. Quella donna l’ha plagiata per bene, sono sicurissimo che Ginny vuole andare via da Perth perché la maestra l’ha convinta che è la cosa giusta da fare”

“Forse se vedesse Alba e Seba cambierebbe idea” .- riflette la giovane.

“In che senso?”

“Prima ho sentito che chiedeva alla Honey di vedere i fratellini!”

“Bene, cosa aspettiamo? Chiama papà, che qualcuno portasse qui Alba e Sebastìan. Bisogna giocarsi il tutto per tutto, adesso!”

***********************************************

I minuti seguenti sono cruciali.

Ginny è seguita da Axel e avverte la sua presenza alle spalle, corrergli dietro.

Non conosce l’identità di quella persona eppure il presentimento che possa essere qualcuno legato alla sua famiglia inizia a farla temere.

In lacrime, non trova una via di fuga e nel giro di qualche secondo viene raggiunta dal gitano.

“Cosa vuoi da me? Non ho paura di te” – si pone sulla difensiva, tirando fuori le unghie.

“Aiutarti” – dice il moro, scrutando la evidente somiglianza con quella spaventata e, al contempo, grintosa bambina.

“Voglio la mia mamma!”

“Nairobi o la maestra Honey?” – la domanda di Axel è voluta e insospettisce ancor di più Ginevra.

In silenzio fissa i dettagli di quello sconosciuto e giunge immediatamente alla soluzione.

Con il cuore accelerato e gli occhi stracolmi di lacrime, indietreggia – “So chi sei… e da te non voglio niente”

 

 

 

 


 

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Capitolo 27
*** 27 Capitolo ***


“Non voglio niente da te, hai capito?” – continua a gridare la bambina, preda di una rabbia ingestibile.

Il corpo, così esile e delicato, trema mentre gli occhi le si riempiono di lacrime.

“Voglio aiutarti” – insiste Axel, avvicinandosi a Ginevra.

Ma la minore indietreggia, minacciando di urlare e chiamare la sicurezza.

“Ascoltami, ti prego”
“NO”

“Mamma e Bogotá soffrono come cani”

“E allora?” – replica la gemella di Sebastìan, celando il dispiacere per quella situazione. Pronuncia poi parole che spiazzano Axel – “Loro non hanno mai capito il mio di dolore”

“Hai sette anni eppure sembri ragionare come un’adulta rancorosa…”

Ginevra si pone sulla difensiva, assumendo l’atteggiamento di chi, nel giro di mesi addietro, ha saputo per bene condizionare i suoi pensieri e dominare la sua testa.

“Cosa vuoi da me? Compari dal nulla, mi insegui, mi rimproveri… io a te non devo spiegare niente. E poi…dovresti essere contento. Adesso mamma è tutta tua. Tanto a me non vuole bene”

Un tono duro, di chi ha accumulato tanto, rischiando di implodere.
“Non è così. Lei sta vivendo davvero male la tua assenza. Sei sua figlia!”

Ignorando le parole del gitano, la piccola cerca di allontanarsi e trovare una via di fuga.

Potrebbe emettere un suono di terrore, e attirare l’attenzione sulla gente di passaggio, che non esiterebbe a salvarle la vita da quello che apparentemente potrebbe essere un maniaco. Ed è prossima a farlo, date le circostanze. Sarebbe disposta a tutto pur di liberarsi dell’accerchiamento e delle pressioni di un fratello che non è intenzionata a conoscere.

“Ti giuro che, se torni a casa, io sparirò per sempre” – dice il giovane Jimenez, mettendo da parte la propria felicità, pur di vedere sua madre sorridere ancora.

Sa benissimo che allontanarsi, non è la soluzione risolutiva, però evidentemente ha poche scelte.

“Non ti credo! Lo dici solo per portarmi via dalla mia maestra”

“La tua maestra è una donna senza scrupoli. Come ha fatto a convincerti che i tuoi genitori non ti amano? Come ha fatto, spiegami!!”

Ginevra si zittisce. Fissa gli occhi di Axel, così simili ai suoi, aggrottando le sopracciglia in uno sguardo cupo e cruccio - “Non ti permettere di offendere una persona tanto speciale per me!”

“Speciale? Ma ti ha fatto il lavaggio del cervello. Ti supplico, Ginny, cerca di capire…”
“Mi chiamo Ginevra!” – s’irrita la bambina, mettendolo a tacere.

Non accetta affatto che qualcuno che non conosce e che non ama, utilizzi quel nomignolo affettuoso nei suoi confronti.

Axel, a quel punto, si sente demoralizzato. Non vorrebbe appellarsi alla stessa tecnica adoperata da Caroline Jones, eppure è costretto a farlo.

Intuendo la sensibilità di sua sorella, la mette al corrente della crisi matrimoniale tra il saldatore e Agata.

“Se non tornerai a casa, nostra madre e Bogotá, si lasceranno per sempre”

Un fulmine a ciel sereno per la piccola Ginny che, spiazzata, mostra in volto la sua incredulità.

“Cosa stai dicendo? Loro si vogliono bene”

“La tua sparizione ha cambiato tutto. E ad oggi il loro matrimonio è incerto”
Forse non avrebbe dovuto agire sul senso di colpa, ma Axel si è visto di fronte ad una situazione ingestibile e quella è parsa l’unica carta vincente da giocare.

“Non ci credo” – ripete più volte la gemella di Sebastìan, scuotendo il capo come a volersi autoconvincere di una verità differente da quella appena udita.

“Abbiamo riunito i Dalì al completo. Siamo giunti noi figli da ogni parte del mondo, pur di riportarti a casa! Ti credevamo in pericolo, abbiamo temuto il peggio. Tutto questo, mentre la famiglia amorevole che ricordavi, si frantumasse sotto i nostri occhi!”

“Io però sto bene con la maestra Jones” – ribadisce lei, celando il dispiacere di fronte alla constatazione di un matrimonio in crisi di cui è pienamente responsabile.

“Intendi dire la maestra Honey?” – precisa Axel.

La minore lo guarda, perplessa. Poi ricorda del diario segreto e precisa – “A quanto pare avete letto qualcosa di privato”

“Non potevamo non farlo, sapendoti chissà dove, con chissà chi”

Ginevra abbassa lo sguardo, pensierosa.

“Torna a casa, per favore” – Axel le porge la mano, in attesa di poterla stringere e poter gridare vittoria di fronte a un’insegnante che, nel frattempo, nervosa e furiosa, gira confusamente in aeroporto.

“Maledizione! Dove cazzo sarà finita!” – brontola Caroline. A quel punto i suoi piani cambiano. Afferra il cellulare e compone un numero.

“Ho bisogno di voi, dovete raggiungermi immediatamente”

Quello che accade in quei secondi è essenziale per la svolta della vicenda di Ginny.

Il gitano continua a pregarla di rincasare, inginocchiandosi addirittura di fronte alla bambina.

Ma la piccola è restia, fin troppo.

Pensa e ripensa ai suoi genitori in crisi, ad una fuga escogitata da mesi, ad un egoismo che l’ha condotta a livelli estremi, non tipici per la sua età.

Qualcuno le ha inculcato un sentimento che mai avrebbe potuto provare se non sollecitata dall’esterno: il rancore, la rabbia, l’odio… e il suo cuore innocente non avrebbe mai voluto provare emozioni tanto distruttive.

E’ allora che la mente vaga, mentre i ricordi si fanno strada con forza.

Flashback di giorni addietro, mentre canta e balla con sua madre, di quei giochi e degli scherzi con Alba e Sebastìan, delle coccole di suo padre…. e improvvisamente l’immagine di Caroline Jones e di Carmen e Jorge Gonzales sembrano schiacciare e prendere il sopravvento.

La loro presenza si fa sentire come un pugno nello stomaco, costringendola a non cedere alle pressioni di Axel.

“Non posso, mi dispiace” – con le lacrime agli occhi, Ginevra grida la parola “Honey” e attira su di sé l’attenzione dei passanti e di alcune guardie di sicurezza.

“Va tutto bene qui?”

“Ho perso la mia mamma” – spiega la minore, sotto lo sguardo esterrefatto di suo fratello maggiore.

“Vieni con noi, ti aiuteremo a cercarla” – spiega l’uomo di mezza età in divisa, prendendola per mano.

A passo rapido, la bambina si allontana, non prima di aver osservato per l’ultima volta quel parente che, ancora piegato a terra, nasconde il viso tra le mani e lascia che sia il pianto a dominarlo.

Ginevra è a pochi passi dalla Jones, quando si accorge di due figure familiari aggirarsi in aeroporto.

“Non può essere” – esclama ad alta voce, pietrificandosi.

“Che succede, piccola?” – le domanda il tizio della scorta.

Alba e Seba sono giunti sin lì e Ginny conosce bene le ragioni.

Quanto le sono mancati i suoi fratelli. Forse vederli e saperli in pena per lei è ciò di cui necessitava sin dal principio.

Senza controllo né manipolazioni, lascia libero il suo cuore e corre verso di loro.

Li chiama a gran voce, avvertendo la leggerezza invaderle il petto.

“Ginny” – urla per primo il gemello.

Alba è accanto a Drazen quando nota Seba lasciarle la mano.

Si voltano tutti nella direzione specifica e restano di sasso di fronte ad una scena straziante.

I gemelli si riabbracciano, uniti da un legame non semplice da spiegare, ma talmente forte da rendere la vita dell’uno semplice grazie alla sola presenza dell’altra.

“Mi sei mancata”

“Anche tu”

La primogenita di Nairobi e Bogotá, li raggiunge alcuni secondi dopo e, con il cuore a mille, e le guance bagnate dal pianto, accoglie sua sorella a sé e le sussurra – “Non lasciarci mai più, perché fa malissimo”

Anche Ivana ed Emilio riconoscendo i parenti, avanzano e tirano un sospiro di sollievo.

“Tutto è bene quel che finisce bene” – commenta Erik, giunto assieme a Drazen in aeroporto come accompagnatore dei fratellini minori.

“Adesso tornerai a casa con noi, vero?” – singhiozza Sebastìan, speranzoso.

Ginevra stavolta ha pochi dubbi. Nonostante il bene che nutre per la Miss Honey, si è accorta che non supererà mai quello che sente per i suoi fratelli.

Così, davanti all’ennesima richiesta di rientro, Ginny annuisce.

Sa di aver abbandonato in quell’aeroporto una persona speciale, da cui è scappata minuti addietro, cosciente di ferirla. E per tale motivo, fa una richiesta particolare - “Vorrei prima salutare la maestra”

I giovani Dalì, invece, non credono sia una buona idea.

“E’ meglio farlo in un secondo momento” - puntualizza Yerevan, una volta prossimi a salire in auto.

“Fidati di loro, sono i nostri fratelloni” – aggiunge Alba, sorridendo al venezuelano.

“Promettetemi che domani andremo a salutarla, non voglio che soffra” - continua Ginevra.

Ivana interviene, conscia che in fondo Ginevra vuol bene alla rapinatrice. Così, con estrema dolcezza le risponde – “Sei una bambina dal cuore d’oro. Tranquilla, quando tutto sarà sistemato, ti porteremo da chi si è preso cura di te in questi giorni”

“Anche dai nonni?”

“Chi? Dai nonni?” – ripete, confuso, Seba.

“Si, sono dolcissimi. Dovete conoscerli” – solo pensare a loro, riempie il cuore di Ginevra di gioia. Mai avrebbe pensato che Carmen e Jorge sono stati, per mesi, pedine nelle mani di chi crede sia una persona speciale.

Pedine che, appena scoperta la sua assenza da casa, temendo il peggio, si sono presentate davanti la villa di Bogotá e Nairobi.

“E voi chi siete?” – domanda Tokyo, trovando sull’uscio due persone sconosciute.

“Salve, sappiamo chi è lei. Sappiamo che tutti i Dalì sono qui, abbiamo bisogno di parlare con Agata!”

“Ehm… non capisco cosa state dicendo….” – finge Silene, preoccupata che la copertura della Banda sia stata svelata.

“Non temere, sono Carmen Jimenez…la mamma di quella che voi chiamate Nairobi! Vengo fin qui per Ginevra. Vogliamo aiutarvi a salvarla”

“Da Caroline Jones? Sì, sappiamo di lei!” – domanda la Oliveira, facendo loro intuire di non essere impreparati sul da farsi.

“No” – risponde l’anziana, lanciando uno sguardo complice nel consorte.

L’uomo le dà l’ok… a malincuore, dà il consenso per rivelare dettagli rilevanti.

“Perché dite No? Inutile che coprite la sua identità, sappiamo chi è” – controbatte Tokyo.

“Vogliamo aiutarvi a salvare Ginny sì, ma non da Caroline Jones…”

“E da chi allora?” – chiede, sospettosa, la compagna di Rio.

“Da Teresa Perez”

*******************************

Tutti saliti in auto, attendono l’arrivo di Axel. Solo il giovane gitano è rimasto indietro e non si appresta a raggiungere il gruppo.

“Che fine avrà fatto? Inizio a preoccuparmi” – sostiene Varsavia.

“Io torno lì” – dice Emilio, agitato, lasciando il veicolo.

In quel preciso istante, un sms sul cellulare di Ivana pone tutti in allerta.

Il ragazzo è con me. Ho capito che c’eravate di mezzo voi, maledetti. Non la passerete liscia. O mi restituite la bambina, o non vedrete mai più il vostro amato fratello. Vi dò 2 ore di tempo…. Teresa Perez

L’ucraina legge il messaggio con voce tremante, mentre gli occhi le si inumidiscono.

“Porca puttana!” – impreca Drazen, con le mani tra i capelli.

“Chi cazzo è questa Teresa Perez?” – chiede, sconvolto, Erik.

“E se avessimo fatto un buco nell’acqua? Se dietro Caroline Jones ci fosse qualcun altro?”- ipotizza Emilio.

Al momento tanti dubbi e poche certezze… e un altro tragico problema in vista…

“Axel, che piacere rivederti!”

“Chi sei tu?” – il gitano, caricato con la forza su un auto, minacciato con una pistola da due tipi inquietanti, si accorge della persona seduta alla guida del veicolo.

Una donna.

La sconosciuta si libera di una parrucca bionda e degli occhiali da vista che indossò fino a pochi istanti prima.

“Tu non mi conosci, però io sì. Piacere, mio caro! Io sono Teresa Perez” – gli porge la mano, ridacchiando, come solo una persona instabile può pensare di fare di fronte ad un sequestro di persona.

Adesso sì che ha inizio il gioco vero e proprio!

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Capitolo 28
*** 28 Capitolo ***


Nairobi si è isolata dal gruppo, per fumare. Non vuole pensare a cosa sta succedendo adesso che i figli di Bogotá, insieme ad Axel, sono in aeroporto, per di più con Alba e Sebastìan.

È terrorizzata dal pensiero che i suoi bambini siano a rischio… e, nonostante Stoccolma e Lisbona siano state le prime a rassicurarla che nulla ai piccoli sarebbe accaduto, grazie alla presenza dei fratelli maggiori, la Jimenez non sembra darsi pace.

E mentre consuma la sigaretta, offertale da Denver pochi minuti prima, Agata viene raggiunta da un caro amico. Un amico che tiene a lei come fosse sua sorella.

“Hai ricominciato a fumare?” 

La Jimenez riconosce la voce e annuisce.

Di fianco a lei si posiziona Helsinki.

Il serbo, appoggiandosi al balcone che affaccia sul retro della villa, cerca le parole giuste per parlare al cuore ferito della sua compagna di squadra.

“Avevi promesso che mai più…”

“Lo so, lo so. E’ che in momenti come questi, ne sento l’esigenza”

“Nairo, devi pensare a tua salute. Ti abbiamo operata ad un polmone, ricordi?”

La donna rammenta, eccome se rammenta, quella drammatica esperienza di vita e ringrazia quotidianamente per il miracolo ricevuto.

Ravvedendosi, spegne la sigaretta, per poi rivolgere all’amico lo sguardo di chi ha ceduto al rimprovero e ha eseguito l’ordine impostole.

“Io voglio solo tuo bene! Non arrabbiarti”
“Sei la mia ragione, ogni volta! E te ne sono grata. Solo che sono tesa come mai prima nella vita. I miei quattro figli sono di fronte ad un pericolo più grande di loro e io sono la responsabile di tutto”

“Non dire cazzate” – aggiunge il serbo – “Tu sei loro madre. Hai dato loro la vita”

“Probabilmente non sono degna di essere chiamata mamma” – le parole di Nairobi arrivano forti a Helsinki, come un pugno allo stomaco.

“Sei una grande donna, una grande madre, non mettere mai in dubbio questo”

“E una pessima moglie…” – aggiunge la gitana, abbassando lo sguardo.

“Posso fare a te una domanda scomoda?” – timidamente, l’uomo pone un quesito all’amica, desideroso di sapere, per poter dare una mano, a modo suo.

Agata non risponde, si limita ad attendere di udire la curiosa richiesta.

“Prima, ero in giardino, ho sentito Bogotà parlare con Palermo. Tu…ecco…insomma….tu hai… tradito lui?”

Argomento che tocca profondamente la donna, la quale è cosciente di non aver mai anche solo pensato di poter tradire suo marito.

“Non l’avrei mai fatto”

“Bene, questo mi rasserena Nairobi” -  Helsinki tira un sospiro di sollievo.

Poi è la precisazione della gitana ad agitarlo.

“Però… sono stata baciata… lui ha visto la scena…e….”

“Cazzo” – esclama il serbo – “Si tratta di Emilio, giusto?”

“Quindi è di questo che parlavano mio marito e Palermo, di me ed Emilio?!” – quasi disturbata dalle confidenze del consorte con l’uomo del Boom Boom Ciao, Agata cambia tono di voce.

“Non ti alterare, per favore. Voglio solo aiutarti” – e il serbo ovviamente tenta di placare subito quella tensione.

“Questa situazione diventa ogni giorno sempre più insostenibile. Non oso immaginare se dovesse accadere qualcosa di peggio, cosa dovrei fare…” – puntualizza la gitana, generalizzando la discussione.

Neanche a dirlo… i due vengono raggiunti da una Tokyo con il cuore a mille.

“Che succede?” - domanda la Jimenez all’amica, guardando lo shock sul volto di lei.

“C’è qualcuno per te”

“Per me?”

“Si, Nairo” – Silene evita di specificare le identità, non volendo la chiusura di Agata di fronte ad un possibile confronto costruttivo.

Così, seguita dai suoi due migliori amici, la zingara raggiunge l’ingresso della villa.

Mette a fuoco due figure, difficili da non riconoscere e, non appena incrocia gli occhi neri di sua madre, grandi e profondi, esattamente come i suoi, la Jimenez si pietrifica.

“Ciao, Agata” – la saluta Carmen, con un filo di voce, mentre cerca di trattenere l’emozione nel rivedere sua figlia.

Jorge, di fianco alla consorte, la osserva in silenzio, fortemente in colpa per il male recatole anni addietro.

“Come vi permettete di venire fino a qui?” – la reazione di Nairobi non tarda ad arrivare.

Il rancore e la rabbia covati per anni e messi a tacere per questioni di serenità interiore, riesplodono con immediatezza.

“Fuori da casa mia, maledetti” – ordina, volgendo lo sguardo ai Dalì in cerca di supporto.

Supporto che, purtroppo, viene meno.

“Noi siamo qui per aiutare, vogliamo denunciare la sparizione di Ginevra, raccontarvi ciò che sappiamo…” – spiega la settantenne.
“Zitta! Tu mia figlia non la devi neanche nominare hai capito?” – tuona Nairobi, dirigendosi verso le scale, pronta ad evitare il confronto.

La discussione si protrae per alcuni minuti, durante i quali Bogotá, rincasato dall’ingresso secondario, intuisce che qualcosa non va.

Si unisce al gruppo chiedendo spiegazioni a Rio.

E proprio Anibal gli sussurra all’orecchio – “La mamma di Nairo è qui e dice di sapere cose su Ginny”

A quel punto, il viso del saldatore s’illumina.

Vive un miscuglio di emozioni legate alla figura di una persona che non conosce e che ha recato, però, tanto male a sua moglie. Eppure avverte la necessità di capirne di più.

“Cosa volete voi due?” – e così interviene.

“Dare una mano! Dovete sapere cosa sta accadendo e quali sono le intenzioni di Teresa”

“Chi cazzo è  Teresa adesso? Volete depistarci?” – si infervora la gitana.

“No, tutto il contrario” – aggiunge Jorge – “Dimenticate Caroline Jones”

“Ma per favore…” – Agata alza gli occhi al cielo, lamentandosi di essere costretta a dover sentire parole fuoriuscire dalla bocca dell’uomo che per placare il pianto di un bambino di tre anni gli dava del liquore all’anice.

“Fossi in te, tacerei, signor Gonzales” – precisa lei, lanciandogli uno sguardo carico di disprezzo.

“Mi odi, lo so, hai ragione. Ho sbagliato, erano gli anni in cui vivevo solo di denaro e lavori sporchi. Però sono cambiato, mi sono affezionato a Ginny e per me è una nipote”

La risata nervosa di Nairobi riecheggia nella stanza, lì dove tutti i Dalì, in assoluto silenzio, ascoltano la discussione tra parenti.

Tokyo percepisce sulla sua pelle il dolore della migliore amica e si sente impotente, non potendo agire per risollevarla da qualcosa che sta lentamente riaffiorando e che le sta offuscando la ragione – “ Dobbiamo intervenire!” – chiede a Rio, il quale, al contrario, le consiglia di non intromettersi in faccende di famiglia.

“Da voi non voglio nulla, ripeto, nulla” – intanto Agata continua a restare ferma sulla sua posizione.

Finalmente prende parola il Professore, stimolato anche da Lisbona, certo di riuscire a placare i comportamenti della sua compagna di squadra.

“Nairo..ascoltami…so che sei arrabbiata…però potrebbero rivelarci davvero dettagli utili…”

“Prof, non ci credo! Mi stai dicendo che vuoi credere a due farabutti?” – chiede, spiazzata, la Jimenez.

“Agata, per l’amor del cielo, non immagini minimamente quanto ci sia costato venire fin qui, con il rischio di essere scoperti” – riprende Carmen.

“Da chi? Dalla maestrina?” – domanda, perplesso, Helsinki.

“Non è una semplice maestrina” – precisa Jorge.

“Io non mi fido” – sostiene Denver, schierandosi definitivamente dalla parte di Nairobi.

“Grazie, ecco un amico che mi sostiene finalmente” – la gitana lo ringrazia con lo sguardo.

“Io vorrei ascoltarli, invece. Poi prenderemo le giuste misure” – comunica Sergio, avvertendo il peso degli occhi di Nairobi, delusi e frustrati da tali decisioni.

“Fate come volete, io non voglio neanche respirare la stessa aria di questi due pagliacci” – così dicendo si allontana, sbattendo con forza la porta.

Ed è la Oliveira a volerla seguire prontamente.

“Aspetta, vado io” – incredula, Tokyo sente la voce di Bogotá e si trattiene. Guardarli isolarsi, fa ben sperare - “Chissà che non sia la volta buona” – pensa Silene, incrociando le dita.

Poi Marquina fa accomodare i due sul divano e si pone in ascolto.

“Allora, diteci tutto. Parlavate di una certa Teresa. Di chi si tratta?”

“La realtà non è quella che voi conoscete, le cose non sono così come appaiono… e dietro a tutto questo c’è una mente che trama, da tempo, ormai. Una mente che sa bene come muovere i fili…”

“Cazzo, ho la pelle d’oca. Ma si parla di Psyco?” – l’esternazione di Denver sdrammatizza i toni.

Eppure la serietà dipinta sul viso di Carmen parla chiaro: ciò che sta rivelando è qualcosa di estremamente serio e delicato. E il prof capisce, dal suo volto cupo, quanto le costa parlare, e che ciò che racconterà da lì ai prossimi minuti potrà essere decisiva per la situazione che stanno vivendo.

***************************************** 

Il saldatore segue Nairobi fino alla cucina dove la osserva, in silenzio, senza farsi notare.

La gitana prende da bere.

Apre una birra e la posiziona sul tavolo.

Nel farlo, le mani cominciano a tremarle.

Cerca di placare il nervosismo, respirando profondamente.

Alza il capo e sbuffa.

Tenta di bloccare le lacrime ma queste scivolano violente sulle sue guance, inumidendole il viso. Su quel volto, il pianto è qualcosa di fin troppo abituale… specialmente negli ultimi giorni.

“Cazzo, cazzo, cazzo” – improvvisamente esplode, battendo con forza un pugno sul tavolo.

E a quel gesto, la birra cade a terra, frantumando anche la bottiglietta.

E’ solo allora che Bogotá sente di dover intervenire.

“Aspetta, fermati, ci penso io” – le dice, invitandola a sedersi.

Agata, spiazzata di trovare lì suo marito, si limita ad eseguire quando ordinatole.

Prende posto e guarda, impassibile, il consorte sistemare il casino creatosi.

Solo qualche minuto dopo, anche l’uomo segue la moglie e si avvicina a lei con due bicchieri e un’altra Estrella.

“Faccio pena!” – commenta Nairobi, sorseggiando la bevanda.

Bogotá non replica.

“Queste persone sono tornate per distruggermi definitivamente”

“Ne sei convinta?”

“Gente così non cambia! Ferendo mio figlio, hanno ferito me. Mia madre mi ha sempre usata per i suoi comodi. Mi ha organizzato la vita, rovinandola come meglio ha potuto…”

“Altrimenti a quest’ora saresti sposata con il tuo primo amore, vero?” – chiede Bogotà, con estrema freddezza. Tra le righe si legge chiaramente che il saldatore intende dire “Se avessi sposato il primo amore, non avresti sposato me. Non ci saremmo mai innamorati. E a te sta bene così”. Questa interpretazione di Bogotà non viene invece letta da Nairobi, troppo presa dai pensieri cattivi su Carmen e Jorge.

E infatti, senza cattiveria alcuna, risponde con fermezza alla constatazione del consorte – “Mai dire mai! Magari ci saremmo lasciati due giorni dopo, però sarei stata io a volerlo. Non lei, per me”

Cade il silenzio per alcuni minuti.

È l’uomo, sempre, a riprendere parola - “Io ascolterei quello che hanno da dire”
“Parli sul serio?” – esclama, spiazzata, la donna.

“Abbiamo troppo da perdere…non possiamo permetterci di sorvolare su nulla!” – aggiunge l’altro, consumando la birra lentamente.

Agata si zittisce, riflettendo su quanto udito.

Lei dentro di se, è cosciente di quanto sarebbe utile raccogliere notizie, però al contempo, non vuole inganni né doppi giochi.

“Se dovessero denunciarci alla polizia?” – ipotizza la Jimenez.

“Non gli conviene, e lo sai anche tu! Hanno troppi lavori sporchi alle spalle. Per di più, sono minacciati da questa presunta Teresa”

“Possibile che adesso sbuchi dal nulla una Teresa, e guarda caso proprio quando noi abbiamo scoperto che miss Honey si chiama Caroline Jones?”

Il saldatore fa spallucce, poi, terminata la bibita, si alza dalla sua postazione.

“Metti da parte il rancore, per il bene di Ginevra… io ci sto provando…”

Ecco, nuovamente, Nairobi tornare a colpevolizzarsi vedendo Bogotà in quello stato emotivo deprimente.
“Mi dispiace, amore! Io non avrei mai dovuto allontanarmi”

L’appellativo “amore” alimenta l’amarezza del capofamiglia – “Prima risolviamo la faccenda, prima Ginny tornerà a casa, e prima metteremo in chiaro tutto”

Con tali parole, zittisce la moglie, dirigendosi verso la sala dove tutti i Dalì sono alle prese con rivelazioni shock.

Prima di raggiungerli, Bogotá viene spinto dal cuore a chiedere a Nairobi qualcosa che lo turba enormemente – “Dimmi solo se te ne sei innamorata!”

“Cosa? Che cazzo dici? Tra me ed Emilio non è successo nulla! Perché ti ostini a crederlo?”

“Sono quattro giorni che non ti riconosco più…dimmi tu, a cosa dovrei credere!” – conclude e si congeda.

Tokyo lo nota riunirsi alla Banda e spera che qualcosa possa essere accaduto tra lui e la Jimenez.

Eppure lo sguardo del saldatore dice poco e nulla.

A quel punto è Silene a recarsi in cucina.

La sua migliore amica è intenta ad asciugarsi il viso con un tovagliolino di stoffa.

“Ehi, tesoro, vieni qui” – le dice, abbracciandola.

Stavolta niente domande, niente consigli, niente ramanzine…solo la sua vicinanza!

E quando la gitana si tranquillizza, prende la Oliveira per mano e le dice - “Basta fragilità! Voglio riprendere in mano la mia vita! E come prima cosa, devo affrontare chi mi ha recato più male di tutti…mia madre!” – mano nella mano le due si dirigono verso la sala principale.

Vedere seduti sul divano Carmen e Jorge Gonzales è un tonfo al cuore e un immediato tuffo nel passato per Nairobi.

“Respira, stai calma, andrà tutto bene… sii forte” – le sussurra Tokyo.

“Grazie, sei la sorella che ho sempre sognato” – la maggiore le sorride e segue il suo consiglio.

Forza e coraggio, e soprattutto, mantenere la calma!

In tale istante, il Professore prende parola.

“Nairo, abbiamo ascoltato queste persone. Vorremmo ascoltassi anche tu cosa hanno da dirti. È importante”

“Ok” – cede Agata, sedendosi di fronte alla madre.

Alza lo sguardo, mostrandosi tenace come sempre – “Sono pronta. Ditemi, chi è questa Teresa Perez? E soprattutto, cosa vuole da mia figlia!”

Basta poco per creare lo scompiglio più totale.

Una serie di parole che ti cambiano la vita, te la stravolgono e ti rendono consapevole che le tue certezze non sono mai state certezze.

“Teresa Perez è … tua sorella, la figlia di tuo padre!”

“Che cosa?!”

Ennesimo colpo al cuore.

Ennesima sconfitta subita per una donna che sente  il destino accanirsi contro i suoi sentimenti e giocarci costantemente.

Battito accelerato.

Mancanza di respiro.

Perdita di coscienza.

Attacco di panico.

Poi il buio.

Agata perde i sensi.

È bello sapere di aver sconnesso con la realtà per dei minuti. Tutto si spegne e ti porta in luoghi distanti…

Chissà se, una volta riaperti gli occhi, Agata Jimenez riuscirà a concretizzare quanto appena udito?

Ha davvero una sorella? Carmen avrà davvero raccontato il vero?

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Capitolo 29
*** 29 Capitolo ***


“Io vado a cercarlo. Voi avvertite tutti i Dalì!” – la decisione improvvisa di Emilio, spiazza i suoi fratelli.

“Cosa vorresti fare da solo? E’ pericoloso!” – lo trattiene Erik.

“Sono il maggiore, perciò fate come vi dico. Portate i bambini a casa…subito!” – ordina Yerevan. Scende in tutta rapidità dall’automobile e corre, con il cuore in gola, verso l’ingresso dell’aeroporto, disposto a setacciare ogni minimo angolo pur di trovare e salvare Axel.

“Dobbiamo seguirlo, non può mica agire senza aiuto!?” – esclama, Drazen con le mani tra i capelli.

“Io avverto papà” – dice Ivana, tirando fuori il cellulare. Le mani le tremano e il telefonino cade sotto il sedile della vettura.

La tensione che si respira e i volti impalliditi dei giovani figli di Bogotá, viene colta e assorbita anche dai bambini. I tre, spaventati a morte, reagiscono ciascuno a proprio modo.

Alba respira a fatica, impaurendo immediatamente Ivana e gli altri.

Sebastìan si copre le orecchie e abbassa lo sguardo, non volendo né guardare né ascoltare altro.

Invece Ginevra fissa, impassibile, delle persone che considera sconosciute a tutti gli effetti, anche se in realtà sono suoi fratelli… già, proprio fratelli, così come lo sono Alba e Seba.

“Dobbiamo rincasare! Ha ragione Emilio, dobbiamo portare in salvo loro tre” – a quel punto anche la bionda ucraina comprende che i bambini hanno già visto e assorbito troppo di quella brutta storia. E notare il malessere della primogenita di Nairobi e del saldatore è il campanello d’allarme.

“Ho scritto un messaggio a Julian, così avverte gli altri. Prima ci mobilitiamo, meglio è” – comunica Erik.

“Hai detto che Axel è stato rapito tramite un banale sms?” – il tono di voce di Drazen è quello di un chiaro rimprovero.

“Sms o vocale, me ne frega poco, devono sapere!” – precisa Copenaghen. 

“Non mi pare il caso di discutere di questo. Piuttosto, bisogna correre il più possibile. Prima raggiungiamo la villa, meglio è”  - Varsavia da moderatrice, invita il fratello ad accendere il motore e accelerare verso la villa.

E’ così che il veicolo si allontana dai parcheggi, tra il terrore di cosa può essere accaduto e cosa potrà succedere da lì in poi… tutto questo mentre Ginevra inizia a metabolizzare che, a breve, avrebbe affrontato una situazione complicata, una situazione creata e voluta esclusivamente da se stessa….trovarsi a due passi dai genitori.

Qualcosa però sembra agitarla.

“Axel sta bene, vero?” – chiede ad Ivana, mostrandosi preoccupata per le sorti del consanguineo.

E la bionda, nascondendo l’ansia che la sta divorando, la rincuora – “Lo salveremo, vedrai!”

“Poi mi porterete a salutare Miss Honey, giusto? Appena tutto si calmerà!” – ribadisce la bambina, intenzionata a non rompere il rapporto con una persona entratale nel cuore.

 

*********************************************

Nairobi è distesa sul divano, priva di sensi da un paio di minuti.

Ha scoperto una parte di vita che ignorava e che probabilmente la condurrà alla verità sulla faccenda legata a Ginny. E’ la dolce voce di Tokyo a risvegliarla.

“Amica mia…” – la chiama Silene.

“Ecco, sta riaprendo gli occhi” – comunica Stoccolma, pronta con dell’acqua e zucchero da offrire all’amica.

Quando Agata mette a fuoco le persone attorno a sé riconosce nell’immediato le due compagne di squadra.

Qualcuno alla sua destra le tiene la mano e lei riconosce quel contatto.

“Bogotá” – sussurra la gitana, con un filo di voce, colpita piacevolmente dalla sua vicinanza fisica.

Il saldatore, infatti, spaventato dalla reazione della moglie, è rimasto lì senza distogliere gli occhi da lei un solo istante.

E’ come se saperla tanto inerme, schiacciata da emozioni indomabili, lo avesse spronato a mettere da parte il rancore.

Adesso è ancora al suo fianco, avvertendo sulla sua pelle lo shock provato da Nairobi sapendo di avere una sorella…una sorella coinvolta, a detta di Carmen e Jorge, nella sparizione di Ginevra. La stessa Teresa che, i Dalì non sanno ancora, ha sequestrato Axel!

Lentamente, dopo aver sorseggiato dal bicchiere offertole da Monica, la Jimenez focalizza lo sguardo sulle due persone, causa del suo malessere.

Turbata dalla notizia ricevuta, capisce che, se vuole saperne di più, deve necessariamente ascoltare e, nel farlo, mantenere la più assoluta calma.

“Sono tutt’orecchi!”

“Sicura? Vuoi prima riprenderti?” – le sussurra il marito.

Agata accenna un timido sorriso, incrocia gli occhi di lui e per la prima volta dopo giorni né li schiva né li percepisce come freddi e distanti.

Poi ringraziandolo, fa una precisazione…volgendo poi lo sguardo sulla coppia di anziani - “Ho patito di peggio. Sapere di avere una sorella, non è di certo la cosa che mi aspettavo, però… ho vissuto cose più sconvolgenti di questa!”

Sistemandosi comodamente sul divano, si appresta ad ascoltare nei dettagli tutto ciò che serve per mettere la parola fine alla faccenda che le sta devastando la vita da quasi una settimana.

Stavolta ha accanto Bogotá e non ha intenzione di scacciarlo e, finalmente, neppure suo marito vuole distanziarsi. Uniti per un comune scopo, si aprono alla verità.

“Inizierò dal principio!” – precisa la gitana anziana. Dopo un profondo respiro, e un sorso d’acqua fresca, è pronta a raccontare quanto già rivelato ai Dalì poco prima.

Stavolta la fatica sarà duplicata, sapendo di dover parlare direttamente al cuore di sua figlia.

“Dimenticati di Caroline Jones…” – precisa la zingara.

“Sono cento volte che lo dici! Perché dovrei dimenticarmi di chi ha rapito mia figlia?”

“Semplicemente perché non è chi dice di essere!”

“Beh…questo era chiaro!” – commenta Bogotá, riferendosi al fatto che l’insegnante non mostra affatto i tratti di una normale e comune maestra.

“Non è chi dice di essere perché dietro quel volto angelico, dietro quegli occhiali da vista da persona tanto intellettuale e acculturata, dietro quei capelli biondi che ammorbidiscono i suoi lineamenti, si nasconde un’altra persona!”

“Teresa Perez?” – chiede Nairobi, ormai sospettosa che l’identità della Honey sia stata falsata.

E riceve immediatamente la risposta della madre – “Esatto, Caroline Jones è Teresa Perez! E Teresa Perez è la figlia che tuo padre ha avuto da una relazione successiva al nostro matrimonio!”

“Cosa vuole questa donna da me e dalla mia famiglia?”

“La situazione risale a ben dieci anni fa. Noi, come sai bene, siamo stati in galera dopo essere stati scoperti a trafficare denaro falso. Anni infernali, durante i quali abbiamo cambiato il modo di concepire la vita. E una volta ritrovatici fuori da quella galera maledetta, ci siamo ripromessi di vivere in serenità. Niente più soldi sporchi, né traffici illegali, nulla di tutto ciò. Per di più, io sapevo che tu avevi partecipato a due rapine passate alla storia per la loro spettacolarità… insomma, chi l’avrebbe mai detto? Dei rapinatori diventano dei Robin Hood! Però non volevo destabilizzare la tua vita, né metterti nei casini sapendoti nascosta chissà dove…”

“Come mi avete trovata? Come avete fatto a sapere che abitavo in Australia?”

“Quella mattina, quando siamo stati rilasciati, una donna ci ha offerto alloggio, sicurezza…era Teresa. Si presentò dicendomi “Sono figlia di tuo marito, quello stronzo è morto e non ho altri parenti”. Io dopo un iniziale shock, ho accettato la sua presenza nella mia nuova vita. Dopotutto Teresa ci donò un’abitazione fuori Madrid, una stabilità economica. Diceva di essere una tuttofare. Ignoravamo che fosse una criminale. Aveva scagnozzi ovunque. Fu Jorge a scoprire i suoi loschi lavori. Le cadde la maschera finalmente. La vedemmo per ciò che era in realtà. Cercammo di allontanarci per non finire nei casini, di nuovo.  A quel punto, lei ci accusò di averla abbandonata nonostante i suoi aiuti. Minacciò di eliminarci se non avessimo collaborato con lei nelle sue attività. Allora, ci trovammo costretti a sottostare. Stavolta non eravamo noi i Boss, ma una donna la cui mente era ed è tuttora molto instabile. Una mattina si presentò a casa e disse “So dove si trova Agata. Ha tanti soldi, una bella famiglia. Ci trasferiamo a Perth”. Non so come abbia fatto a trovarvi, non voglio immaginare quanti alleati abbia qui in Australia. So soltanto che scovò la vostra abitazione solo ventiquattr’ore dopo il nostro arrivo”
“Cazzo, questa persona è una folle, addirittura più di Sierra” – commenta, sbalordito, Bogotá.

La Jimenez è visibilmente sconcertata da quanto appena udito. Eppure, un dubbio le resta fisso in mente – “Cosa cerca da me, come mai voleva portare via Ginevra?”

“Ecco, questo è tasto dolente della faccenda” – sostiene Jorge, intervenendo per dare modo a Carmen di placare il tremolio del suo corpo. Dover raccontare di Teresa Perez la agita sempre oltremisura.

“Desideravamo tantissimo vederti, sapere com’eri diventata, come vivevi. Però preferimmo non scombussolarti. Rimanemmo in disparte. Fu Teresa che ci comunicò di aver trovato il modo per farci conoscere una dei tuoi bambini. Ricordo come fosse oggi lo sguardo di lei, così strano, così inquietante, mentre continuava a ripetere follie su follie”

“Cioè? Che tipo di follie?” – chiede Nairobi, stringendo istintivamente la mano del marito, sedutole di fianco.

“Tipo… “Ginevra capirà chi la ama davvero”; “Ginevra sarà apprezzata per quello che è”; “Ginevra non dovrà più vivere all’ombra del fratello che tanto le somiglia”, continuava a convincersi che era un bene per Ginny vivere insieme a lei, non con te…”

“E’ stata lei a farle il lavaggio del cervello! Le ha fatto credere che io, sua madre, non la amassi. Maledetta!” – Agata perde la pazienza, alterandosi al solo pensiero della sorellastra che istiga la bambina contro chi le vuole bene.

“Calmati, ti prego. Ascoltiamo cos’altro hanno da raccontare” – la trattiene Bogotá, invitandola a sedersi nuovamente.

“Figliola, è proprio come dici tu! Teresa ha agito da maestrina dolce e premurosa approfittando di una situazione che la piccola stava vivendo e che ingenuamente ha confessato”

“Ha mai pensato che io non le avrei permesso di portamela via?” – precisa Nairobi.

“Certo che sì. Ha elaborato ogni manovra. Ha immaginato anche che avresti chiamato i Dalì. “Mossa scontata” diceva Teresa. E quando ti abbiamo riconosciuta nelle registrazioni delle telecamere della nostra villetta, si è organizzata per benino”

“Cazzo, c’erano le telecamere! Perché non c’ho pensato” – esclama, ricordando quel particolare momento.

Dopo essersi espresso poco, Bogotà interviene -  “Spiegami la questione del diario…e anche quella del biglietto. Voleva depistarci?”

“Non siamo al corrente di ogni sua tattica. Sta di fatto che è una donna che ha vissuto di assenza d’amore, prima per un padre assente, poi per delle persone che non l’hanno mai amata, e solo quando si è accorta che esisteva una bambina che invece ha cominciato ad adorarla, cosa mai accadutale nella vita, ha deciso di fare suo quel briciolo di felicità. Temo che portarla via dalla famiglia, per tenerla sempre al suo fianco, sia solo un frammento della sua follia. Non rinuncerà mai alla sola persona che le vuole bene. Mai!”

“Sappiamo che è in aeroporto adesso” – comunica Jorge.

“Sì, siamo al corrente. Abbiamo mandato i nostri a salvarla” – risponde Bogotà.

“Fate attenzione, non conviene strappargliela via bruscamente. Non sappiamo che reazione potrebbe avere”

“E secondo te cosa dovrei fare? Lasciarle mia figlia così da non farla arrabbiare?” – replica, infastidita, Nairobi – “Io non sono una madre sconsiderata come lo sei stata tu” – le tuona contro.

Una frecciata dolorosa che colpisce in pieno petto l’anziana gitana.

Le rughe su quel volto sono i segni degli anni passati, anni faticosi, anni dolorosi. Eppure ci sono tagli, nascosti nell’anima, segni anche questi di sofferenza, che non può mostrare allo stesso modo. Tagli scaturiti dalla separazione dalla sua sola figlia…una figlia che ha passato la vita ad odiarla!

“Non mi perdonerai mai, lo so! Però sappi solo che quando Ginevra tornerà con te, io mi farò da parte e non mi vedrai mai più. Non ti voglio destabilizzare per l’ennesima volta” – le comunica Carmen, amareggiata e cosciente delle sue responsabilità.

Cade il silenzio.

In un momento tanto angosciante, improvvisamente, si crea il caos: Julian legge il messaggio inviatogli dal fratello ed esplode richiamando l’attenzione su di sé,

“Cazzo!” – esclama.

“Cosa succede?” – domanda il Professore al ragazzo.

“Penso che i signori Gonzales abbiamo fatto una giusta precisazione” – commenta, impallidendo, Quito.

“Che intendi dire?” – domanda Denver. E infastidito da tutte quelle esitazioni, strappa il cellulare delle mani del giovanotto.

E il suo volto si pietrifica sullo schermo.

“Insomma… volete parlare o no, cazzo?” – Bogotá s’infuria e agisce così come fece Ramos pochi attimi prima. Afferrato il telefonino, ha davanti ai suoi occhi la notizia più sconcertante che potesse mai immaginare.

Il panico si dipinge in un battibaleno sul suo volto.

Rigido e con una forte morsa allo stomaco, punta gli occhi su Nairobi.

“Che c’è?” – domanda lei, in cerca di spiegazioni. Si è accorta dalla strana reazione del marito che l’sms letto la riguarda, in qualche modo.

Anche Carmen e Jorge temono il peggio.

“E’ Teresa?” – chiede, timorosa, la settantenne.

“I Gonzales avevano ragione a dire che non è ideale strapparle ciò che le ama d’improvviso!” – la risposta giunge proprio da Bogotà.

“Perché?” – interviene Lisbona, confusa.

“Beh, Nairo, ti prego, non ti agitare però… a detta di Julian… Teresa Perez adesso ha con se Axel!” – confessa il saldatore, cercando di mantenere la calma.

Calma inesistente di fronte all’ennesima sconcertante notizia.

“Cosa?” – esclama Agata, faticando a comprendere le sue parole. Nella sua mente viaggiano suoni disparati, privi di senso, che le rendono impossibile concretizzare l’accaduto.

Poi le gambe vogliono nuovamente cederle, costringendola, perciò, a sedersi sul divano. Comincia a sudare freddo, mentre il corpo reagisce con scariche elettriche alquanto forti, ovvero segnali evidenti della tensione alle stelle.

“Vuole proporti uno scambio!”

Pochi istanti dopo vibra il cellulare del Professore, un dispositivo acquistato solo per urgenze, di cui solo i Dalì hanno il contatto.

Fortemente scosso dall’accaduto, Sergio risponde e senza aprire bocca, si limita ad udire la voce dall’altro capo della cornetta.

“Salve, sono Teresa Perez. Saprete sicuramente di me, ormai….” – Marquina attiva l’altoparlante così da rendere udibile alla Banda quanto detto dalla sequestratrice.

“Ho qui con me Axel, bello come un fiore. Scommetto che Carmen e Jorge sono lì con voi, traditori…con voi sistemerò la faccenda dopo! Mi rivolgo a te, cara sorellina, saprai anche questo dettaglio, immagino. Ebbene sì, siamo sorelle…ci assomigliamo lo sai? E papà non smetteva di ricordarmi quanto gli ricordassi te” – la donna parla mostrando disgusto al ricordare del paragone con Nairobi, poi aggiunge – “Voglio che mi riportiate Ginevra, in cambio vi darò Axel”
“Puttana!” – esclama la Jimenez, perdendo la pazienza – “Lascia in pace me e i miei figli!”

Strappa il cellulare dalle mani del Professore e rivolge alla parente frasi forti e rabbiose – “Non osare sfidarmi. Non mi conosci, non sai di cosa sono capace se mi toccano i figli” – insiste la Jimenez.

“Uh, che paura, sto tremando!” – ridacchia Teresa, umiliando Agata più che può – “Piuttosto che fare la paladina della salvezza, ti do’ 2 ore, anzi 1.45 minuti. Al parco che Ginny conosce bene avverrà lo scambio. Pensaci, cara sorellina, adesso sì che darai prova a Ginny di chi ami e chi no! A dopo, mi amor” – con una malefica risatina, chiude la chiamata.

“Come facciamo? La piccola non è con noi!” – riflette Stoccolma, in lacrime.

“Semmai Ginevra fosse qui, io non permetterei mai lo scambio!” – precisa la gitana – “Come ci muoviamo professore?” - con inaspettata lucidità, la donna si rivolge al Boss della squadra per agire immediatamente.

“Eh… bisogna organizzarsi per l’incontro..” – riflette Sergio ad alta voce, piuttosto spiazzato da una circostanza inattesa.

“Ehi io sento il rumore dell’auto, è arrivato qualcuno” – comunica Rio, sbirciando dalla finestra – “Sono i ragazzi!” – esclama riconoscendo Drazen scendere dal posto di guida.

Bogotà, fortemente dispiaciuto per il malessere di sua moglie, la prende per mano, voglioso di mostrarle la sua vicinanza e la trascina con sé all’ingresso della villa.

Ed è in quel preciso momento che, dopo un dolore tanto profondo e giorni di agonia totale, vedono scendere dal mezzo la loro adorata figlia.

Spiazzati, sconvolti, emozionati, le corrono incontro.

E’ Nairobi la prima a cedere al pianto

“Mi amor, mi sei mancata da morire” – le dice, stringendo il corpo esile della bambina al suo petto. Si inebria di quel profumo che è aria pura. Assapora il momento del rincontro, accarezzando i suoi morbidi capelli nero corvino, ricordandosi delle serate trascorse ad intrecciare quella corposa chioma scura.

Ginevra non avrebbe mai pensato che potesse provare un senso di serenità al solo tocco con il corpo materno.

E quell’immenso calore che solo una mamma sa donare a sua figlia, le scalda il cuore.

Preda di un momento di profonda ed evidente fragilità, Ginny si accoccola alla gitana e respira la sua presenza.

Chi l’avrebbe mai detto?! Se fino a qualche ora prima, preferiva fuggire, ora si è appena resa conto che non esiste posto più bello delle braccia della sua mammina.

Proprio quella mammina che ha avvertito come una persona distante, non amorevole, e pronta a paragonarla ad Axel.

Che tale reazione sia solo legata al rivedersi dopo giorni?

Bogotà, qualche metro indietro, attende con trepidazione di poter stringere la piccola a sé.

“Papà” – esclama la minore, chiamandolo per avvicinarsi.

Stavolta non c’è esitazione. Tra le sue possenti braccia, il saldatore accoglie la moglie e la sua piccina.

Alba e Sebastìan seguono a ruota il padre, dando vita ad un quadro di famiglia indimenticabile e commovente.

Sotto lo sguardo dei Dalì al completo, emozionati e in lacrime, i cinque sembrano aver ritrovato la loro completezza...

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Capitolo 30
*** 30 Capitolo ***


Dopo circa venti minuti di tragitto in auto, Axel viene condotto dai rapitori in una cascina, distante, qualche chilometro, dal centro città.

Una volta sceso dal veicolo, nota attorno a sé solo un’ampia zona verde, e poche tracce di vita umana.

“Dove mi hai portato?” – chiede, mantenendo la calma. Intenzionato a nascondere la paura che sta provando, Axel si mostra quanto più razionale possibile. Non vuole assolutamente che Teresa e i suoi scagnozzi possano avvantaggiarsi del suo stato emotivo debole.

“In un luogo ben nascosto. Qui nessun Dalì potrà trovarti” – ridacchia la donna, mostrandosi a pieno volto, al ragazzo.

“Non ti conosco, chi sei? Cosa vuoi da me?” – domanda il gitano, studiando il viso di lei in cerca di risposte.

A quel punto la Perez ordina ai suoi uomini di sistemare “l’ospite” su una sedia e legarlo ad essa con delle corde.

“Perdona le maniere dei miei tirapiedi, però è necessario che tu non fugga… altrimenti avrei potuto anche offrirti del caffè” – afferma, allegramente, la Boss, ironizzando su una situazione non affatto normale.

Come si può pensare ad una bevanda da sorseggiare insieme, in una casa dispersa nel mondo, con un ragazzino rapito per subdoli scopi?

“Tu sei pazza” – commenta Axel, ricevendo immediatamente una sberla.

“Non mi piace che mi si parli in questi modi, è bene che impari l’educazione. Che razza di famiglia adottiva hai avuto? Le buone maniere non hanno saputo insegnartele?  Non sai neppure come trattare tua zia?!”

Di fronte a tale parola, il figlio di Nairobi ne rimane sconcertato.

“Mia zia?” – ripete, a tratti divertito dal sentire tali follie.

“Vuoi un altro scappellotto?”  - Teresa alza già la mano pronta ad usarla e colpire il nipote.

Però stavolta decide di indebolirlo servendosi della verità.

“Questa forza e questo coraggio mi danno quasi fastidio. So che Agata è esattamente come lui, perciò farò in modo di annientare la sua tenacia” – pensa tra se e se la criminale.

Così, accomodandosi sul divano, di fronte alla sedia a cui è costretto Axel, la Perez inizia il suo racconto.

Un racconto di vita che perfino Carmen e Jorge non conoscono nei minimi dettagli.

Un racconto che motiva molto della personalità di questa donna.

“Io e tua madre siamo sorelle. Sì, credici o no, è così. Purtroppo per me”

“E come sareste sorelle? Lei è sempre stata figlia unica” – precisa il ventunenne.

“Lo pensava. Nostro padre era uno stronzo. Abbandonò prima Carmen Jimenez con una bambina piccola da crescere, poi tentò di comportarsi alla stessa maniera con mia madre. Però non sapeva di giocare con il fuoco. Se ne è accorto presto ed è dovuto sottostare alle regole…questo prima che cercasse di separarsi anche da noi!” – commenta Teresa, sorvolando su un dettaglio che Axel, però, intuisce e che lo pietrifica.

“Morto quell’uomo, mia madre si ammalò. Presi le redini del suo “impero”. Ho sofferto come un cane la presenza di un padre che mi ha sempre paragonata alla sua primogenita”

Quella faccenda suona familiare all’orecchio del gitano che non può non pensare immediatamente a sua sorella minore e all’insicurezza nutrita da una bambina di soli sette anni, di fronte a costanti e pesanti paragoni.

Ovviamente Axel ignora che Teresa Perez sia Caroline Jones, ed è la donna a renderlo palese, sconcertandolo – “Come Ginny, io ho vissuto le medesime emozioni. Per questo siamo così simili, per questo siamo destinate, per questo lei DEVE vivere insieme a me! Agata non è degna di esserle madre. Motivi più che logici per portarla via da Perth, non pensi?”

“Aspetta, aspetta, aspetta…cosa sai tu di Ginevra? Perché dici che lei…?” – a quel punto il collegamento tra le due identità è automatico.

“Cazzo!” – esclama poi – “Tu sei..?”

La donna, ridacchiando, commenta – “Ti ci è voluto così tanto tempo per arrivare alla soluzione? Ti facevo più sveglio, nipote”

“Perché hai usato un’identità diversa. Dopotutto mamma non sa che siete parenti”

“Io ovunque mi sposto, creo una nuova me. Sono stata tante persone, con tanti camuffamenti, tanti falsi documenti, e ho girato a lungo. Ho raccolto, grazie a vari contatti, le informazioni che mi servivano. Ho volutamente rintracciato, a Perth, la famigliola felice ed ero intenzionata a inserirmi nella vita della mia fortunata sorella maggiore” – la voce di Teresa è carica di rancore e astio quando pronuncia la parola che la unisce a Nairobi. Usa con disprezzo il termine “sorella”.

Poi, approfittando del crollo emotivo che Axel sta lentamente mostrando, la Perez insiste e continua il suo racconto.

“Ho saputo che i gemelli frequentavano una scuola privata. Non è stato complicato spacciarmi per un’insegnante di grande fama. Quando si ha potere e tanto denaro, si può fare tutto, sai?”

“E’ lì che hai conosciuto Ginny” – commenta il ragazzo, decisamente scosso.

“Mi ha colpito sin da subito. Capivo dal suo sguardo che c’era qualcosa che la turbava. Così durante la mensa, mi sono avvicinata a lei, sono stata premurosa come mai prima nella vita. Stranamente, Ginevra ha reso tutto molto semplice. Ha aperto il suo cuore senza forzature. Ed è nell’istante in cui mi ha confessato “Mamma non mi vuole bene, dice sempre che somiglio a mio fratello maggiore”… ecco, proprio allora, è scattato in me il confronto immediato. Ho sentito quel filo che ci univa. Ho pensato “E’ lei la figlia perfetta. È lei la mia degna erede”. A quel punto, ho mosso le mie pedine. Ho offerto il mio sostegno. Ho dato dei consigli, sono entrata nella sua testa, così come mia madre fece con me anni addietro, insegnandomi come diventare fredda e dura come una roccia. Non fa bene lasciarsi andare alle emozioni. Bisogna spegnerle perché se ti dominano, sei perduta. Le ho detto di sfogarsi con un diario…ovviamente, come avrai capito, a me serviva per altri scopi”

“Quali? Fare in modo che mia madre lo trovasse per soffrire fino allo sfinimento?”

“Beh…anche!” -  riflette la donna, poi prosegue – “Le ho rivelato di conoscere i suoi nonni, le sue radici gitane. Ginevra non ha esitato. Tre mesi prima della sua fuga da casa, ho fatto in modo che, durante la mensa, incontrasse Carmen e Jorge”

“E Seba non ha notato l’assenza della sua gemella?” – domanda, stranito, Axel.

“Durante il pranzo, i bambini si accorpano nell’aula più grande della scuola, si dividono in gruppetti. Sebastìan si è seduto di fianco ai maschietti e non ha notato che Ginny era venuta via con me. Ho studiato tutto, anche questa mossa” – spiega, fiera delle sue tattiche di gioco.

Gioco…perché pare proprio che Teresa Perez giocasse, peccato che lo facesse con la vita e i sentimenti degli esseri umani.

“Sta di fatto che tua sorella si è sentita amata più che dai suoi genitori. E così, quando mi ha detto che avrebbe preferito vivere in questo modo, ho colto al balzo l’occasione. Le ho consigliato di seguire il cuore…per la prima volta le ho detto di riaccendere le emozioni e spegnere la ragione”

“Hai usato una sorta di psicologia inversa? Come diamine hai fatto?”

“Ragazzino, ho esperienza alle spalle che non immagini. Non a caso sono diventata un genio del crimine. Non a caso nessuno mi ha mai catturata. I Dalì da me possono solo che imparare, anziché fuggire come polli e nascondersi dalla vita sociale”

Dopo aver lusingato la sua stessa personalità malata, Teresa conclude la storia – “Lei è voluta fuggire da casa. Abbiamo orchestrato tutto. Il biglietto lo scrissi io personalmente. Lei l’ha posizionato in veranda, sapendo che qualcuno l’avrebbe visto. E anche il diario… non era custodito come di solito si fa, per celare i segreti. Doveva essere trovato. Tutto doveva condurre a Caroline Jones. Ho previsto ogni dettaglio, nipotino! Così come l’arrivo a scuola di Hanna…”
Quando sente tirare in ballo quella faccenda, una parte del piano del Prof, Axel impallidisce.

“Ehm…” – riesce solo a emettere un suono senza senso.

E la Boss ride di gusto sapendo di aver fatto scacco matto – “Credevate fossi tanto imbecille? Io in primis ho espressamente ordinato alla Preside di non assumere gente nuova. Sapevo che avreste tentato di intromettervi nel contesto scolastico dei gemelli”

“Cazzo” – esclama il giovane Jimenez.

In tale istante, Teresa scruta il volto del nipote notando in lui una forte demoralizzazione.

Infatti il ventunenne teme per la sua incolumità: come avrebbero mai potuto salvarlo, sapendo che quella pazza poteva prevedere tutto?

“Tranquillo, mio caro” – precisa la criminale, intuendo l’ansia del ragazzino – “Tra meno di un’ora abbiamo un appuntamento importante ad un parco poco distante da qui. Rivedrai i tuoi cari parenti. Spero per loro che abbiano deciso di agire con coscienza, o temo che la tua dolce mammina soffrirà doppiamente senza te e senza Ginevra”

“Che cosa ti spinge a farlo? Perché odi così tanto mia madre? Lei non sapeva della tua esistenza!”

Axel, di fronte a tanto astio nei confronti della gitana che gli ha dato la vita, tira fuori le unghie e la grinta pur di difenderla. Seppure terrorizzato, continua a tenere sotto controllo il panico.

La donna, respirando profondamente come a voler trattenere qualcosa di grande che cova dentro, precisa – “Mio padre mi ha sempre considerata la figlia di serie B. Agata era bellissima, Agata era quella che più assomigliava a lui, Agata era perfetta in tutto. Mentre Teresa era sempre seconda. L’ho sentito una notte, mentre litigava con mia madre, dire che sono stata un errore… questo ferisce, sai?”

In tale istante, la Perez si volta per non crollare definitivamente.

Axel invece nota perfino una lacrima scenderle lungo la guancia.

“Non puoi colpevolizzare lei, per l’errore di vostro padre…” – il gitano cerca di farla ragionare.

Teresa risponde ignorando l’argomento Nairobi, ma centrandosi su Ginevra.

“Ginny è la sola persona che mi ha voluta bene e si è fidata di me dal primo istante. Non mi tradirà mai. Per lei sono la prima scelta, ne sono convinta. E vedrai che ne avrò la prova a breve, e la mia cara sorella constaterà con i suoi stessi occhi che il sangue del suo sangue non la ama!”

Inutili altri interventi di Axel… la Boss non lo ascolta più. La verità non è servita a far abbassare la cresta a quel ragazzino…portarlo lì in campagna, dopo averlo visto mentre parlava con la bambina in aeroporto, sperando potesse intimorirsi non ha sortito gli effetti sperati.

Però, può ritenersi soddisfatta. Ha scoperto quanto di Nairobi c’è in Axel. È fin troppo uguale a lei e questo può tornarle utile per raggiungere la vittoria finale!

Adesso ne ha la certezza assoluta! Axel è come Agata, ma Ginny è la sua esatta fotocopia. Ora sì che può cambiare la sua vita: avrà la figlia che merita, l’erede perfetta, e potrà dare un violento colpo a colei che, a suo dire, è sempre stata considerata la migliore.

Teresa ignora, al contrario, tutto il dolore patito da Agata Jimenez.

Egoista, accentratrice, labile mentalmente, interessata solo a se stessa, la Perez non ha la benché minima idea di quanto anche le altre persone possano aver sofferto nella vita.

“Stavolta il punto della vittoria è il mio!” – parla da sola, ad alta voce, chiusa in una stanzina con appese al muro delle foto.

Con un pennarello segna una X sul viso di Agata, ritagliato da un vecchio giornale che parlava della rapina alla Zecca.

Dopo una fragorosa risata, riceve una telefonata attesa e risponde schiarendosi la voce – “E allora? Hai preso la giusta decisione?”

Dall’altro capo della cornetta risponde Sergio Marquina – “Teresa, sono il Professore”

La voce del Prof spiazza la Boss che immaginava il confronto con la sorella maggiore.

“E Nairobi?” – domanda allora, stranita di sentire qualcuno che non sia la diretta interessata allo scambio.

“Al momento sta godendo del ritorno a casa di sua figlia!” – replica il capo della Banda.

“Maledetti, dovete restituirmela” – cambia tono la Perez, ricomponendosi subito dopo.

La sua bipolarità è fin troppo evidente ed anche molto pericolosa.

“Se non vuoi finire in galera, è bene che rilasci Axel” – la minaccia lui.

“Senti chi parla. Ti ricordo che tu e i tuoi amichetti con le maschere carnevalesche siete ricercati da anni. Potrei rovinarvi per sempre. Invece, come vedi, sono clemente. Avete ancora 45 minuti di tempo”

“Noi abbiamo qualcuno che può denunciare i tuoi sporchi lavori, Teresa”

“Ah sì? E chi sarebbero? I Gonzales? Non farmi ridere, sanno poco e nulla. Poi sono ex detenuti, chi crederebbe alle loro testimonianze” – la criminale si burla delle idee di Marquina.

La voce di Ginevra di sottofondo attiva qualcosa nella sorella della gitana che, immediatamente, sobbalza e cambia voce – “Mi amor, sono io, la maestra che ti ama tanto. Dì a questi signori che vuoi stare con me”

“Non ascoltarla, Ginny!” – replica Nairobi.

“Vedi che tua madre ti dà solo degli ordini? Non ti vuole rendere mai felice”

Ecco la tattica che ha sempre giovato a Teresa Perez quando si trattava di mettere la bambina contro i suoi genitori.

E stavolta è il Prof a chiudere conversazione – “Ci troviamo al parco, basta giochetti!”

“Bene, così mi piaci Professore!”

Dopo aver concluso la chiamata, il destino sta per compiersi.

Ognuno fermo sulla propria posizione, renderà il tutto più pericoloso e complicato.

Eppure c’è un dettaglio da non sottovalutare: l’arguzia del Professore che si è messo in moto, mediante Rio, per contattare qualcuno di utile alla loro finale vittoria.

 “Allora? L’hai trovata?” – chiede, trepidante, ad Anibal.
“Si, e Lisbona sta per telefonarla!” – comunica, soddisfatto, Cortes.

“Bene…è la nostra sola ancòra di salvezza! Teresa Perez ha i minuti contati…”

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Capitolo 31
*** 31 Capitolo ***


E’ quasi mezzanotte quando i Dalì si mettono in contatto con una persona speciale, utile al piano realizzato dalla geniale mente del Professore, in collaborazione con l’ingegnosa dote informatica di Rio.

“Come avete fatto a trovarla in così poco tempo?” – chiede, sbalordita, Hanna, seduta di fianco alla postazione del PC per osservare le mosse dei due uomini.

“Segreto professionale, mia cara Vienna” – risponde Anibal, stiracchiandosi, esausto dalle tante ore seduto di fronte al computer.

Raquel, nel frattempo, è alle prese con un’importantissima telefonata, e utilizza la sua dialettica e le sue abilità da ex ispettrice per portare a casa la vittoria.

I restanti Dalì sono in fibrillazione per ciò che da lì a qualche minuto sarebbe potuto accadere.

E mentre Denver e Monica si distraggono, telefonando Cincinnati, ormai adolescente, rimasto in Indonesia per badare alla sorellina minore, Palermo e Helsinki s’isolano in giardino per concentrarsi sulle prossime mosse.

Il serbo è emozionato per la sua Nairobi, ritrovando nei suoi occhi la luce che da sempre la contraddistingueva.

“Adesso che Ginny è a casa, sento di esserlo anche io” – commenta l’omone, spiazzando il compagno argentino.

“Cosa intendi dire? Ti ricordo che bisogna salvare Axel, la missione non è ancora terminata” – precisa Palermo.

“Lo salveremo, fosse l’ultima cosa che io faccio in questa vita” – aggiunge, determinato, Helsinki.

“Perché hai detto di sentirti a casa anche tu?” – domanda, Berrote, pensieroso.

“Perché sono in famiglia. E’ difficile vivere senza i Dalì, e ora che li ho rivisti tutti, ho trovato mia serenità”

“Non eri sereno con me?” – Martin si pone immediatamente sulla difensiva, spiazzato da tali considerazioni.

“Certo che sì, tu sei mio amore di tutta vita. Io mai trovato persona come te….” – risponde il serbo, certo, al cento per cento, della sua prima vera relazione amorosa.

“Allora non capisco; non vorrai mica trasferiti qui?”

Helsinki abbassa lo sguardo, non pronunciandosi. Il suo cuore gli dice “Sì, è quello che vuoi davvero”, però la sua mente e la sua ragione sanno benissimo che, invece, non è possibile farlo.

“Il Professore ci ha mandati in parti del mondo diverse per tutelarci”

“Lo so bene, Palermo. Però, Tokyo e Rio abitano qui”

“Sappiamo il motivo” – precisa l’argentino – “L’ultima volta che quei due hanno vissuto da soli, ci hanno messo nei casini. Vivere con Nairobi e Bogotá li avrebbe aiutati a non causare possibili danni”

“Mi prometti che, verremo spesso a trovare nostri amici?” – lo prega Helsinki, cosciente di andare contro il Piano Resistenza.

E di fronte agli occhi azzurro cielo del serbo, Martin non può non accettare.

“Promesso!”

Il tempo, intanto, scorre ed è sempre più pericoloso per Axel rischiare che nessuno accetti lo scambio e non si presenti all’incontro con Teresa Perez.

Nairobi e Bogotá pensano e ripensano a come agire, avendo adesso Ginevra a casa.

“Non ho nessuna intenzione di cedere la mia bambina a quella folle criminale” – replica Agata per la centesima volta.

“Ovviamente non lo faremo. È stata dura riaverla qui con noi, non permetterò a nessuno di strapparcela via” – aggiunge il saldatore.

I due, rimasti soli nella camera dei gemelli, tornano finalmente a parlarsi pacificamente.

La questione riguardante Emilio sembra essere stata occultata, dal momento in cui la bambina scomparsa ha rimesso piede nella sua casa. O probabilmente, Bogotá ha solo messo in standby quel dolore, concentrandosi sulla delicata questione di Axel, e soprattutto sul sentirsi sollevato di poter riabbracciare la sua piccina.

Il saldatore, seduto sul letto di Sebastián, proprio di fronte alla Jimenez che ha preso posto su quello di Ginny, fissa il pavimento, con aria preoccupata.

“A cosa stai pensando?” – domanda Nairobi, riconoscendo in quello sguardo il suo stesso turbamento.

“Spero che il Prof riesca in questa impresa! Altrimenti non ho la benché minima idea di come potremmo sottrarre Axel a tua sorella”

“Non è e non sarà mai mia sorella; quella persona meriterebbe l’ergastolo” – commenta la gitana, giocando nervosamente con i numerosi anelli che le decorano le mani.

La fede è quello che Nairobi conserva con premura e che non tocca mai, resta immobile, fisso, nel suo anulare sinistro, a simboleggiare l’amore intangibile tra loro.

Avvertendo su di sé lo sguardo del consorte, accenna un sorriso timido e compiaciuto. Poi gli dice - “Mi stai guardando e mi sto agitando, che strano vero? Mi sembra di ricordare qualcosa di simile!” – le sue parole così sincere, senza filtri, imbarazzano anche un omone tanto grande e grosso come Bogotá.

Sì, lui la guarda…la guarda e il cuore torna a battergli con una forza tale da sembrar volergli esplodere dal petto.

Stranito da quella sensazione, una sensazione che rammenta ancora ed è la stessa provata quando conobbe Nairobi, ben dodici anni prima, il saldatore respira profondamente come a voler calmare tale tensione.

Ma i sentimenti hanno preso il sopravvento, e si lascia andare totalmente utilizzando una frase lo riporta indietro nel tempo, ad esattamente dodici anni prima.

“Come si fa a non guardare qualcosa di tanto bello”

 

12 ANNI PRIMA….

 

“Piacere, io sono Nairobi! Benvenuti nella Banda dei Dalì” -  si presenta la gitana, vedendo salire sull’auto guidata da Helsinki due nuovi tipi.

Il primo è silenzioso, con un paio di baffi strani e i capelli leggermente lunghi; l’altro, invece, ha tutta l’aria del Macho, ma di un Macho con qualche chiletto in più e l’età avanzata.

Ma si sa, ad Agata i tipi con la pancetta sono sempre piaciuti! Non a caso è innamorata di Helsinki, diventato un peluche ai suoi occhi.

“Io mi chiamo….” – il saldatore è prossimo a rivelare la sua identità, ed è la Jimenez a frenarlo.

“Prima regola del Piano…nessun nome! E’ un’idea bizzarra del prof, però bisogna rispettarla”

“Ah, bene! Io ho un’idea sul tuo di nome…” – commenta Bogotà.

“Si? Sono curiosa!” – risponde Nairobi, intuendo, dal tono di voce e dalle attenzioni dell’uomo, una tattica di approccio.

“Per una donna del tuo livello, penserei a qualcosa di molto caliente”

Tentativo 1… fallimento totale…. Nairo coglie in Bogotá solo il desiderio sessuale di chi, a suo dire, non scopa da anni.

“Ehm…ok, lasciamo perdere! Piuttosto…siamo arrivati!” – comunica la zingara, alzando gli occhi al cielo di fronte a quel flirt di pessima qualità.

Il saldatore, imbarazzato per un’evidente gaffe, si zittisce.

Una volta giunti a destinazione può guardare quella appariscente e fighissima donna in tutto il suo splendore.

“Cazzo” – esclama, trovandosi di fronte ad un corpo mozzafiato.

Dopotutto, conoscerla in un’automobile, seduta nel sedile anteriore, coperta da una pelliccia rossa, non rendeva giustizia a cosa effettivamente era Agata Jimenez.

Raggiunto il Monastero, sedutisi nei classici banchi di scuola, i Dalì si apprestano ad ascoltare il Piano di Sergio.

“Allora… è bene ricordare le regole perché c’è gente nuova…” – precisa Marquina.

A quel punto, il saldatore, membro senza nessun nome in codice, punta lo sguardo sulla gitana e diventa schiavo di pensieri che da quel momento in poi lo avrebbero accompagnato costantemente.

“Allora…il nostro saldatore, che nome ha scelto?” – chiede Agata, al termine della prima lezione.

“Ti interessa tanto saperlo?” – domanda Tokyo, mentre versa della sangria nel bicchiere dell’amica.

Sedute ad una tavola imbandita, sole tra donne, si distraggono in chiacchiere, mentre gli uomini si occupano del pranzo.

“No, lo dico soltanto perché dovrò lavorare con lui!” – precisa la Jimenez.

“E’ un bel tipo. Potresti farci un pensierino, Nairo” – aggiunge Stoccolma.

E la gitana, inarcando il sopracciglio, contrariata, replica – “State scherzando, spero! Quello mi vuole solo portare a letto, si vede da come mi guarda il culo!”

La sua costatazione fa ridere le amiche che si arrendono all’evidenza: Nairobi non è affatto intenzionata a darla vinta ad un uomo che, per di più, non vanta una grande fama.

“Non cambierai mai!” – scuote il capo Monica, ridacchiando.

“Io voglio un uomo dolce e premuroso. Questo qui so già che mi porta a letto e mi molla il giorno dopo”

E invece ciò che Agata ignora è che in realtà quel playboy, come lo definisce lei, non è ciò che appare.

“Bogotá!” – lo chiama Sergio, il secondo giorno di preparazione.

“Ehi, amico, sei con noi? Sembri distratto” – interviene Palermo, notando il compagno di squadra assorto tra i suoi pensieri.

“Eh?” – finalmente sembra tornare con i piedi per terra – “Parlavi con me?”

“No! Parlava con mia sorella!” – commenta Agata, con sarcasmo, incrociando le braccia al petto.

“Scusate, ero sovrappensiero” – nel dirlo, l’uomo posa subito gli occhi sulla gitana, interessato più a ricevere il suo perdono che quello degli altri.

“Volevo informarti che domattina comincerete l’allenamento nella cisterna che conosci già” – spiega Sergio.

“Perfetto, capo” – risponde il saldatore.

“Nairobi e Denver saranno in squadra con te!” – precisa Marquina.

“Ah!” – commenta il saldatore, già teso come una corda di violino alla sola idea di dover trascorrere ore e ore di fianco ad una donna che lo intriga ogni giorno sempre di più.

Accettando il destino scelto per lui, beccatosi anche la ramanzina inattesa, si allontana dal gruppo. Raggiunge il giardino, lì dove Berlino si sposò tanto tempo prima con Tatiana, e accende un sigaro.

 “Sembri strano, che ti succede amico?” – la voce di Palermo, che per la prima volta dopo anni, sembra interessarsi a qualcuno che non sia se stesso, interrompe la solitudine che il saldatore stava cercando.

“Nulla, a te non capita di distrarti?” – replica il presunto casanova, infastidito, guardando altrove.

“Mi capita, certo…ma con gli occhi fissi su una donna direi di no!”
Tali parole spiazzano l’uomo grande e grosso che sposta lentamente lo sguardo sul compagno di squadra – “Come?”

“Che ti fa sangue Nairobi l’ho capito dal primo secondo che l’hai vista!”

“Fare sangue? Martin, cioè… - si corregge – “Palermo, da quando in qua usi queste espressioni?”

“Da quando ho capito che è l’espressione giusta che si addice al momento”

Berrote sorseggia la sua birra e, dopo aver reso palese a Bogotá che era fin troppo evidente l’interesse per Nairobi, rientra nel Monastero.

Non prima, però, di avergli detto – “Cazzo, amico! Tieni a freno l’ormone, siamo qui per lavorare… poi, semmai ci riuscirai, potrai anche fare altro! Per adesso c’è una sola priorità”

Disturbato da un evidente pregiudizio nei suoi confronti, Bogotá ignora tali parole e si autorimprovera. Stavolta lo fa ad alta voce, certo di non essere udito da nessuno.

“Cazzo, forse devo piantarla di guardarla! Ma come cazzo si fa a non guardarla! E’ di una bellezza disarmante!”

 

 

E invece ad oggi, ben 12 anni dopo, è Nairobi a renderlo cosciente che quel giorno, fu proprio lei ad udire chiaramente le sue affermazioni.

“Come si fa a non guardarla!!” – ripete Agata, sorridendo timidamente.

Lenta, alza lo sguardo e incrocia gli occhi di suo marito.

“Io ti ho sentito quella volta, sai?”

“Quando?”

“Quando hai parlato con Palermo di me, all’esterno del Monastero. Era solo il secondo giorno che mi conoscevi…”

“Cazzo! Pensavo di essere solo…” – arrossisce il saldatore – “Scusami, ti sarò sembrato uno in astinenza”

“Ti ho scoperto pian pianino. Ho capito quanto sei dolce e premuroso. Non c’è nulla di un classico playboy in te. Perfino il primo bacio che mi hai dato, aveva ben poco del Casanova!”

L’uomo ridacchia, vergognandosi di nuovo.

Subito dopo segue il silenzio. I due si fissano e si studiano, lasciando riemergere un sentimento che, volutamente, hanno imprigionato e bloccato per giorni.

Ed è la gitana a fare il primo passo.

Alzandosi dal letto di Ginevra su cui era seduta, prende posto di fianco al saldatore.

Bogotà la guarda intensamente, quando sinuosamente sposta i capelli all’indietro, scoprendosi il viso.

Poi la vede intrecciare una mano alla sua e, con l’altra, accarezzargli una guancia. E lì, si scioglie definitivamente.

“Ho il cuore che mi sta esplodendo, non riesco più a controllarlo. Mi chiede urgentemente di fare una cosa…” – dice lei.

“Ehm…e qual è questa cosa?” – domanda l’uomo, deglutendo rumorosamente. Il viso si colora di un acceso rosso…sente le gote in fiamme.

“Cazzo, neanche fossimo due adolescenti!” – aggiunge poi, intimidito dalla sua stessa reazione.

“Se ti avessi conosciuto da adolescente, probabilmente buona parte della mia vita sarebbe stata diversa, sarebbe stata migliore!”

“Non te lo assicuro. Sai bene che testa di cazzo ero!”
“Credi che non lo sia stata anche io?!” – la zingara gli sorride. Poi, in piena naturalezza, porta la mano del marito sul suo petto.

“Senti come batte?”

E Bogotà, a quel punto, segue sua moglie permettendole di ascoltare anche il ritmo del suo cuore.

Uno di fronte all’altra, intenti ad ascoltarsi, finalmente, come facevano un tempo, riconoscendosi nei rispettivi sguardi, Nairobi e Bogotá avvicinano le loro labbra e rivivono l’emozione della prima volta.

Stavolta niente ascensore, niente caccia a Gandia, niente fucili e paure per il futuro…stavolta sono solo loro due, liberi di lasciarsi andare, senza alcuna barriera e decisi a sostenersi ed esserci sempre l’uno per l’altra.

“Ti amo” – sussurra lui, commuovendosi nel dirlo.

“Ti amo anche io” – risponde Agata, accogliendo il marito al suo petto.

La scena emoziona anche i loro tre bambini che origliano dalla porta – “Finalmente hanno fatto pace” – esclama di gioia Alba.

“Era ora!” – si pronuncia Seba.

Ginny continua a fissarli, senza distogliere lo sguardo e intuisce quanto di grande esiste che lega la sua mamma e il suo papà.

“Sono bellissimi insieme!” – commenta poi.

Soddisfatti e sereni, i tre piccoli di casa corrono dai restanti Dalì, decisi a lasciare in pace i loro genitori, per godere la ritrovata complicità.

Si uniscono alla Banda giusto in tempo per scoprire l’esito della telefonata di Raquel.

“Allora? Ci sei riuscita?” – domanda, agitato, il prof alla compagna.

Il gruppo è radunato nell’ormai solito salotto, ed è davvero prossimo il momento dell’incontro con la rapitrice.

Entusiasta, Lisbona comunica - “Tenetevi pronti, amici miei! Si va tutti al parco stabilito da Teresa Perez! Non temete, a breve quella donna si troverà di fronte qualcuno di inaspettato e sarà per lei il colpo di grazia!”  

 

 

 

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Capitolo 32
*** 32 Capitolo ***


I Dalì si apprestano ad andare al parco, luogo dell’appuntamento, organizzati secondo le indicazioni del Professore.

“Mi raccomando, Palermo e Helsinki! Avete un compito molto importante da portare a termine” – precisa il capo della squadra, congedando i due che sono i primi a lasciare la villetta.

Su decisione di Sergio, il serbo e l’argentino hanno una "missione nella missione"…ovvero, prelevare la persona utile ai fini del Piano e portarla al parco, nel momento opportuno.

E con il cuore in gola, i due uomini si apprestano ad agire secondo quanto stabilito.

L’agitazione si sente forte tra gli adulti, ma i ragazzi e, soprattutto, i bambini avvertono il peso di una situazione tanto angosciante e rischiosa. E la prima ad avvertire una morsa allo stomaco è Ginevra, ignara che la rapitrice di Axel sia la sua adorata maestra Honey.

Mentre guarda il gruppo muoversi in casa sua, impassibile di fronte a un movimento a cui non è abituata tra quelle mura, la bambina si accuccia sul divano, stringendo forte uno dei cuscini al petto, usandolo come fosse la sua personale copertina di Linus.

“Tesoro, vedrai che andrà tutto bene” – accanto alla piccola, prende posto la zia Tokyo, avvicinatasi premurosamente alla nipote.

Con dolcezza le sposta un ciuffo di capelli dal viso, e sorridendole le dice – “Mi sono mancati tanto questi occhioni grandi e neri, sai?” – non ricevendo risposta, Silene aggiunge – “Santiago chiedeva sempre di te!”

“Davvero?” – esclama, piacevolmente sorpresa, Ginevra, mutando espressione in un battibaleno. Sapere di essere il centro dell’attenzione per quel batuffolo dai capelli ricci e castani, che tanto adora, che considera un fratellino minore, la rende cosciente che, forse, a differenza di quanto le ribadiva Caroline Jones, qualcuno le vuole davvero bene.

“Certo, mi amor! Lui ti adora. Come gioca con te, non gioca con nessun altro” – la Oliveira riesce a toccare corde intime e profonde della bambina, ricordandole il posto che occupa nel cuore dei suoi cari. Così, continua – “ E Santi non è l’unico che ti adora! I tuoi genitori hanno chiamato tutti i Dalì, e i tuoi fratelli maggiori, al completo, pur di riportarti a casa. Ti amano così tanto da rischiare perfino di essere scoperti dopo ben dodici anni di fuga da ricercati”

“Mi vogliono bene sul serio? O si sentivano in colpa?” – la domanda di Ginevra, di soli sette anni, spiazza totalmente Tokyo che, in un primo momento, non sa cosa rispondere.

Come si può avere un’idea del genere a quell’età?

Poi riflette sul ruolo di Teresa Perez e sul lavaggio del cervello causato proprio da quella criminale.

“Maledetta” – pensa tra se e se.

Poi riprende il discorso, non rispondendo in modo diretto alla domanda della nipotina – “Ascoltami, tesoro! Voglio raccontarti di me e di come un figlio è diventato la cosa primaria nella mia vita. Io ero convinta che mai sarei diventata madre, perché non ero in grado di amare me stessa, tantomeno di prendermi cura di un bebè. Poi arrivò, inaspettatamente, Santiago. Sono stati tempi duri, complicati, ma giorno dopo giorno ho cominciato a sentirlo dentro di me, sentirlo muovere e scalciare, e più passava il tempo, più mi innamoravo di lui. Quando è nato, il colpo di fulmine è stato inevitabile. Le prime settimane, fortunatamente, avevo il sostegno di Nairobi. Lei era sempre al mio fianco, per darmi una mano, nonostante avesse tre figli piccoli a cui badare. Vi portava sempre con sé, non riusciva a staccarsi…” – ricorda, nostalgica, Silene – “ Abbiamo trascorso notti intere sul divano di casa mia. Ai miei occhi, tua madre era instancabile. Mi domandavo come facesse a crescere tre bambini e contemporaneamente aiutare me con un neonato! La risposta me l’ha data lei, quando le chiesi dove trovasse tanta forza! E sai cosa mi ha risposto?”

Ginevra fa spallucce.

“Mi disse che valeva la pena stancarsi per ricevere in cambio l’amore dei propri bambini. Lei vi ha desiderati così tanto, da non riuscire più a stare lontana da voi. Siete la sua priorità. Essere una mamma a tempo pieno era ciò che Nairobi desiderava da tutta una vita. Per voi lei è ingrassata, ha visto il suo corpo cambiare, sformarsi, vi ha messi alla luce, vi ha allattati, ha trascorso notti insonni tra poppate e pannolini, e poi la gioia di vedervi crescere, di insegnarvi a camminare e parlare…insomma, siete l’essenza della sua vita!”

La piccola s’immerge totalmente in quelle parole, percependo tramite i racconti, l’amore di una madre verso la sua prole.

“Ecco perché non devi mai, ripeto, MAI, pensare che sia per un senso di colpa. Lei ti ama più di qualsiasi altra cosa al mondo. Tu sei un pezzo del suo cuore. E prova ad immaginare di vivere con un cuore a metà! Secondo te, cosa succede in quel caso?”

“Si muore!”

“Esatto, mi amor! Si muore, il cuore non batte più come dovrebbe, fino a smettere definitivamente. E lei si è sentita morire senza quel pezzo di cuore che rappresenti tu, mia dolce Ginny!”

Il discorso di Tokyo sembra funzionare e cancella dalla mente di Ginevra i cattivi pensieri.

Solo un dubbio persiste e Ginny lo rende subito palese.

“Allora, come mai la maestra Honey mi diceva quelle cose? Mi ripeteva che la mamma e il papà mi avevano dato la vita per sbaglio e che si sentivano forzati a crescermi!”

La Oliveira la guarda, amareggiata, manifestando con il suo silenzio, tutto il disprezzo verso quella donna.

“Non credere agli estranei”

“Ma lei non è un’estranea…lei mi vuole bene come me ne vuole la mamma! Mi ha promesso perfino un cagnolino!”

“Non metto in dubbio questo. Ma di Nairobi ce n’è una sola, e solo lei può amarti come meriti. La tua insegnante tiene a te, si è affezionata. Però, ricorda, mai nessuno può sostituirsi a tua madre…nessuno!”

La chiacchiera tra zia e nipote s’interrompe con l’arrivo improvviso di Rio.

“Siamo pronti per partire” – comunica.

Tokyo si alza dal divano e sposta gli occhi sulla bambina.

“Fai la brava, mi raccomando” – le dice, invitandola ad abbracciarla – “E, vedrai, appena tutto questo terminerà, il cagnolino lo prenderemo sicuramente!”

E Ginny, accennando un timido sorriso, si mette in piedi e si stringe alle gambe della donna, salutandola a modo suo.

A quel punto, accompagna la coppia verso l’uscita, e nota tutti i Dalì salire su vetture diverse.

Nairobi e Bogotà sono gli ultimi a lasciare la villa. Scendono le scale mano nella mano, lasciando trapelare che il sentimento è tornato forte come un tempo.

Dietro di loro ci sono Alba e Sebastian. Ed è quest’ultimo che, piangendo, supplica -“Mammina, non puoi lasciarci qui. Vogliamo venire con voi!”

“Tesoro, torneremo presto!” – ripete la gitana, rassicurando il figlio.

Alba, silenziosa e in disparte, non mostra i suoi reali sentimenti. Avrebbe bisogno di gridare alla Banda che metterli da parte, equivaleva ad abbandonarli. E lei non vuole sentirsi di nuovo sola di fronte ai problemi, lei vuole affrontarli assieme agli adulti.

Si sente una Dalì, e come tale, non può e non merita di restare a casa a dormire mentre c’è chi rischia la propria incolumità.

Assorta nei suoi pensieri, nascondendo le sue lacrime, l’undicenne avverte una mano stringere la sua. Quel gesto, così premuroso, la distoglie dalla cruda realtà. Sposta lo sguardo e scorge la figura di Ginevra, al suo fianco.

“Sorellona, stai tranquilla! Ci vogliono bene, non ci lascerebbero mai da soli!”

“E’ pericoloso, e se non dovessimo vederli più?” – commenta Alba.

“Sono fortissimi, hanno vinto tante volte. Io ho fiducia in loro. Mamma non potrebbe mai vivere senza noi tre!” – forte del discorso fattole prima da Tokyo, Ginny offre adesso la sua spalla alla maggiore.

Strette l’una all’altra, vengono chiamate dai loro genitori.

Nairobi e Bogotà li invitano ad unirsi ad un grande abbraccio di famiglia.

“Tornate presto, vi prego” – sono le sole parole che singhiozza Alba.

“Mi amor, non permetto a nessuno di tenermi lontana da voi! Promesso” – confessa Agata.

Poi il suono di un clacson richiama la coppia, rimasta ancora dentro le mura della villa.

“Buona fortuna” – dice infine Seba.

Dopo averli baciati, la gitana li osserva un’ultima volta, uno ad uno, e con il cuore in gola, sale a bordo dell’auto che la condurrà di fronte ad un ostacolo della vita inimmaginabile…sua sorella!

I piccoli guardano, inermi, le varie auto sfrecciare via e, preoccupati di ciò che da lì in poi sarebbe potuto accadere, chiudono la porta e si recano in cucina.

Che strano quel silenzio. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, ad una settimana prima.

Ma c’è una voce nuova lì con loro.

“Vogliamo andare a nanna?” – chiede Carmen Jimenez, che ha ricevuto l’ordine di occuparsi dei nipoti, assieme a Jorge.

Ginevra è felice di avere con sé l’adorata nonna, eppure sente una forte mancanza nel suo cuore. Così, istintivamente, le domanda – “Se chiamassimo la maestra Honey? Sarebbe felice di farci visita!”

I due Gonzales si osservano, agitati. Difficile spiegare a una bambina di sette anni che la donna di cui si fidava e che ha seguito cecamente è in realtà l’artefice di tutta quella brutta storia?

“Direi che è ora di andare a dormire. Quando domattina vi sveglierete, sarà tutto finito” – è Jorge a prendere parola, cercando di gestire la situazione, resasi ancora più complicata dalle richieste dell’ignara Ginny.

“Signora Carmen” – la chiama Alba, alzando la mano, educatamente.

E l’appellativo “signora”, spiazza la settantenne che avrebbe preferito la parola Nonna. Però cosciente dell’inesistente relazione con i nipoti, accetta, dispiaciuta, tali parole.

“Dimmi, tesoro” -  le risponde.

“Vorrei ci raccontassi della mamma da bambina!”

Incuriositi da storie di cui conoscono ben poco, i tre figli di Nairobi e Bogotá vengono accontentati.

Se quello è un modo per distrarli da ciò che sta, contemporaneamente, accadendo a qualche km di distanza, Carmen non può che acconsentire.

Sistematisi nella camera di Agata e di suo marito, indossati i pigiami e coricatisi nel grande lettone in cui amavano intrufolarsi di notte per disturbare il sonno dei loro genitori, Alba, Sebastian e Ginevra si apprestano ad ascoltare il passato della loro mamma.

“Ecco, da dove posso cominciare!”

“Dall’inizio…tanto non credo che riusciremo a dormire” – puntualizza il maschietto, con gli occhi spalancati, e ben attento ad udire l’intera narrazione.

Sorridendo di fronte al buffo sguardo del nipotino, l’anziana gitana racconta della sua figliola dai capelli nero corvino, gli occhi scuri e grandi,  super testarda e dai tanti sogni nel cassetto che, solo ad oggi, hanno trovato piena realizzazione.

Nel frattempo, i Dalì giungono nel famoso luogo dell’incontro.

“Ci siamo, il posto è questo” – comunica il Prof, tramite walkietalkie ad altre due vetture.

“Io non vedo nessuno” – prende parola Denver, alla guida del mezzo che segue quello di Sergio.

“Spero per quella donna che non sia un tranello” – commenta Nairobi, domando la sua pazienza, essendo giunta ormai al limite della sopportazione.

“Palermo e Helsinki, saranno qui a momenti. Spero arrivino dopo Teresa, altrimenti potrebbe insospettirsi” – precisa Marquina.

“Ehi, guardate, io intravedo qualcosa in lontananza” – parla Drazen, riferendosi alle luci di alcune torce.

“Sono loro…siete pronti? O la va o la spacca!”- esclama Tokyo, decisa a mettere la parola fine a quella brutta storia.

Appurato che il gruppo che avanzava verso di loro è quello di Teresa Perez, i Dalì si apprestano a scendere dalle rispettive automobili e, compatti, a dirigersi verso il nemico.

“Guarda guarda, come supponevo…la mia cara sorella ha portato con se i cagnolini da guardia!” – ridacchia la rapitrice, accennando un sorrisetto beffardo, alla vista della Banda riunita che si muove nella sua direzione.

Axel, con le mani legate e stretto tra due scagnozzi, teme per l’incolumità dei suoi amici e parenti. Eppure non ha modo di liberarsi, per rendere il tutto più semplice.

“Non vedo Ginevra, questo è un brutto segno…” – sostiene la Perez, alquanto infastidita.

Passo dopo passo, i due gruppi contrastanti si avvicinano fino a trovarsi l’uno di fronte all’altro.

Il Professore, affiancato da Nairobi, dà spazio alla gitana in quanto coinvolta in prima persona.

“Finalmente ci si conosce, sorellina! Sognavo da sempre questo momento!” – Teresa, ironica, ridacchia, prendendosi gioco della parente, godendo nel vederla soffrire.  “Facciamola finita! Restituiscimi mio figlio! Adesso” – Agata si mantiene fredda e distante, seppure la rabbia le ribolle dentro.

“Povera stupida zingarella. I patti erano altri, dove tieni nascosta Ginny?”

“Non sceglierò mai tra i miei figli! Non cederò uno al posto dell’altra, chiaro?”

“Ah, beh… ecco, ma vedi… sei costretta a farlo. Non hai molte opzioni. Quindi te lo ripeto un’ultima volta… dov’è Ginevra?” – la sua voce si fa oscura e inquietante, dà ordine ai suoi scagnozzi di avvicinare Axel e mostrarlo ad Agata.

“Niente Ginevra, niente Axel” – minaccia, tirando fuori dalla sua giacca una pistola.

Puntandola verso il ventunenne, si sente invincibile, sente di avere la vittoria nelle sue mani.

E a Nairobi invece cedono le gambe alla vista di una scena straziante.

“Quando cazzo arrivano Palermo e Helsinki!” – il Professore si guarda attorno, speranzoso. Eppure quel suo ambiguo comportamento, attira l’attenzione di Teresa stessa che, rivolgendosi a lui, dice – “Aspettiamo qualcuno?”

“Lascia andare Axel” – ordina Sergio, mentre nella sua testa frullano idee alla velocità della luce.

“Che noia! Sempre le stesse cose, siete monotoni! Ok, allora, se volete che sia ripetitiva anche io…” – punta l’arma sul giovane Jimenez, senza freni – “Datemi Ginny, e libererò questo meticcio!”

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Capitolo 33
*** 33 Capitolo ***


La scena che tutti i Dalì hanno di fronte è familiare e li riporta indietro nel tempo, quando dodici anni prima, ad essere minacciata con una pistola, a rischio morte, era Nairobi, vittima della follia di Cesar Gandia.

La stessa Agata rabbrividisce guardando suo figlio in pericolo di vita, e i ricordi le pulsano su quelle ferite che, esteticamente restano cicatrizzate, ma che nell’anima bruciano intensamente.

La gitana percepisce il terrore negli occhi di Axel e si sente impotente di fronte ad un’arma che potrebbe sputare fuori una pallottola da un momento all’altro.

Si sente sola davanti alla follia di una criminale; eppure non lo è. E quella solitudine che cerca di divorarla, svanisce non appena prende parola Bogotà.

“Ci credi impreparati? Non lo siamo!” – s’infuria l’uomo, tirando fuori dalla sua tasca, una Revolver. Gli amici lo seguono a ruota, non esitando un solo istante.

La loro presenza risveglia la Jimenez dal suo incubo più grande.

A quel punto, Teresa, ridacchiando, controbatte - “E voi mi pensate talmente cretina da venire fin qui, con pochi tirapiedi? Al posto vostro, mi allerterei! Dopotutto, avete lasciato soli soletti i vostri mocciosi, scommetto assieme a quei due rimbambiti dei Gonzales!” – così dicendo lascia intuire che adesso, ad essere in pericolo, sono anche i tre bambini e i due anziani, rimasti in casa da soli.

“Non faresti mai del male a Ginevra!” – commenta il Professore, certo di quanto detto.

“Ovviamente! Sarò anche una criminale, però vige un codice di tutela verso i minori. I bambini sono intoccabili” – precisa la Boss, aggiungendo subito dopo – “…sempre se, questi minori, non si mettono tra i piedi ad intralciare i miei affari.”

Sentendo tali parole, i Dalì al completo impallidiscono. Solo un demonio può avere idee tanto estreme nei confronti d’innocenti, specialmente se di sette e undici anni.

Stoccolma sente le mani tremarle per via del panico, e ciò le rende difficoltoso impugnare l’arma. Immediatamente l’occhio le cade su Nairobi e avverte la sofferenza di quella madre. Empatica com’ è, immagina subito la sua di reazione se, al posto di Alba, Seba e Ginny, ci fossero stati i suoi due figli.  

Denver, di fianco a Monica, intuisce subito la sua preoccupazione e la prega di abbassare la pistola, mantenendosi dietro le sue spalle per sicurezza.

“Qualcuno deve tornare a casa!” – sussurra poi Rio alla compagna di squadra, posizionata alla sua destra, ovvero Lisbona.

“Non sappiamo se sta bleffando” – risponde Raquel, studiando il volto e le espressioni della rapitrice.

“Ma non possiamo neanche rischiare che qualche suo scagnozzo faccia del male ai bambini!” – replica Tokyo, nera di rabbia.

L’idea che balza alla mente della ex ispettrice è di avvisare i Gonzales e anche i Johnson. Solo i complici di Sergio Marquina avrebbero potuto intervenire, in caso di necessità.

Senza dare nell’occhio, indietreggia, nascondendosi dietro i corpi degli amici. Tira fuori il cellulare e scrive un rapido sms inviandolo a Helsinki.

E’ convinta di non essere stata notata da nessuno, e invece è proprio uno dei tirapiedi di Teresa Perez a comunicare alla donna dello strano comportamento della Dalì.

Fa segno allo scagnozzo di agire come dovrebbe, e l’omone, infatti, si allontana, spiazzando i presenti.

Nel frattempo, Nairobi e Bogotà, preoccupati per i propri figli, decidono di fingere e di stare al gioco della Boss.

“Non troveranno nulla! Ci siamo attrezzati bene, immaginavamo che la tua follia ti avrebbe condotta ad intrufolarti in casa nostra per vendicarti di uno scambio che, ripeto, non avverrà MAI!” – Agata mostra la sua forza e la sua grinta, lasciandosi travolgere da un sentimento di forte astio nei confronti della sorella a cui non deve nulla e che non considera tale.

“Beh, io avrò la certezza delle tue parole, a breve! Non appena i miei uomini saranno lì, mi confermeranno o meno. Sappi solo che le bugie non mi piacciono”

“Ah sì? Sbaglio o la tua vita è una menzogna costante? Celi la tua identità da anni, ormai” – la punzecchia la Jimenez, desiderosa di schiacciarla psicologicamente, come Teresa fa adesso con lei e come ha fatto da mesi con Ginny.

“Io ho dovuto nascondermi per proteggermi dalla Polizia. O credete che siete i soli ricercati in questo mondo? Scendete dal piedistallo, cari Dalì. Paragonati a me e a quello che sono stata in grado di fare in vent’anni di lavori sporchi, non valete che zero” – Teresa sminuisce le rapine della Banda, pavoneggiandosi di quanto invece le sue azioni losche e i suoi traffici siano stati fenomenali.

E dopo aver elencato per bene tutte le attività svolte, torna al nocciolo della questione – “Ginevra, con me, diventerà un Capo eccezionale. Ha la dote da Leader nel DNA!”

“Certamente ereditata da Nairobi” – puntualizza Denver.

Ennesimo paragone che non va giù alla criminale.

“E’ a me che quella bambina assomiglia, fatevene una ragione. Tu, cara sorellina, hai fatto di tutto pur di metterla costantemente a confronto con il bel moretto che ho qui con me, e sai che fa male sentirsi sempre seconda a qualcuno?” – è tramite quelle parole che la sedicente maestra manifesta il rancore per un genitore e per una sorellastra che le hanno reso difficile accettarsi.

“Io amo i miei figli, tutti e quattro, allo stesso modo”

“A detta di Ginevra, non è così!” – Teresa interviene a zittire Agata in un battibaleno.

“Sei tu, con il tuo lavaggio del cervello ad averla convinta di questo!” – replica la gitana.

Una risata beffarda è la reazione della Boss, che in tale preciso istante, sposta l’arma da Axel a Nairobi.

Adesso è la donna il suo bersaglio.

“Cosa vuoi fare? Mi vuoi sparare? Eccomi, spara. Poi non avrai più vita, perché questi Dalì incompetenti, come li definisci tu, ti trucideranno di colpi! A te la scelta!” – la Jimenez, si posiziona, a braccia aperte, davanti Bogotá, come a fare da scudo umano al marito e all’intera Banda.

“Che cazzo fai?” – si allarma Rio.

“Nairo, smettila! Non provocarla” – le grida Tokyo.

“Può essere pericoloso” – singhiozza Stoccolma.

Gli occhi di Agata divampano. Tali fiamme, Teresa le percepisce e sono identiche a quelle che sente ardere dentro di se.

“Fossi in te, non azzarderei. Non sai di cosa sono capace”

“Invece inizio a sospettarlo!” – sostiene la maggiore delle due.

“Che stupida che sei! E tu saresti la grande falsaria, dalle capacità e dallo spirito battagliero? Ma non farmi ridere!” – Teresa cerca di umiliare la gitana, schernendola e sminuendo il coraggio mostrato, quello di lasciarsi uccidere per salvare chi ama.

“Cesar Gandia ha fallito miseramente con te. Peccato, eppure speravo che almeno lui ti eliminasse”

“Come?” – ripete, confusa, Nairobi, tremante al solo ricordo del folle che cercò più volte di toglierle la vita.

“Vuoi sapere la verità? Quando Alicia Sierra cercò un modo per colpirvi e farvi tanto male, mirò a te, al tuo essere mamma! E sai chi la aiutò in questo?”

“Non ci credo” – commenta la Jimenez, intuendo subito la risposta – “Tu?”

“Avevo una voglia matta di brindare sulla tua tomba. E stavo per riuscirci, se non fosse stato per l’intervento di questi quattro idioti, e per l’incapacità di Gandia!”

“Maledetta!” – Agata stringe i pugni con forza, abbassando lo sguardo per controllare la rabbia che è prossima ad esplodere. Il corpo le trema e ciò preoccupa i compagni di squadra. Il primo è Bogotá, che, fregandosene dell’arma di Teresa, si pone da barriera davanti sua moglie.

“Pagherai per il male che hai fatto” – dice il saldatore, digrignando i denti. Cova una rabbia animale dentro di se che ha voglia di uscire, ma che l’uomo domina come meglio può.

La Perez osserva la Banda avanzare e posizionarsi a difesa di Nairobi.

Questo la manda in bestia – “Perché amano tutti te? Perché?”

In tale istante, lo scagnozzo che Teresa istruì pochi minuti prima, compare alle spalle di Lisbona e la strattona, allontanandola dal gruppo.

“Raquel” – grida Sergio, spostando la sua attenzione sulla compagna e sulla sua difesa.

“Un solo passo e uccido questa figlia di puttana” – dice il tipo.

“Lasciala stare, è con me che ce l’hai!” – Agata riprende parola dopo aver metabolizzato l’odio di sua sorella, odio che l’ha spinta a tramare per la sua morte.

“E’ un conto in sospeso tra parenti” – ribadisce di nuovo.

“No, cara mia! Non hai rispettato l’accordo, niente Ginny, niente Axel…niente famiglia!”

Il cellulare nella tasca della Murillo vibra in quel momento e lo scagnozzo della finta maestra, lo tira fuori nonostante le resistenze della donna.

Legge sullo schermo – “Tutto ok, sono al sicuro. Noi ci siamo quasi…abbiamo la carta vincente!”

Mostrando il messaggio alla Boss, il tirapiedi lascia andare Lisbona che viene subito accolta tra le braccia del Professore.

“Carta vincente? Davvero credete di poter vincere contro di me? Io vi conosco bene, ho studiato tutte le vostre mosse in questi anni. Sappiate solo che sono stata brava a tacere perché avrei potuto parlare con chi di dovere e farvi catturare in un battibaleno”

“Stai fingendo, è impossibile che tu conoscessi i nostri piani!” – interviene Tokyo.

“Non avete ancora capito che sono una camuffatrice in piena regola? Se volete, vi rischiaro la memoria. A partire da caro prof… in Tailandia, ti ho venduto una sorta di talismano, un’idiozia che rubai anni addietro. Essendo un uomo tanto intellettuale, avresti acquistato solo merce di valore, non potevo perciò usare altri strumenti!”

“C’era un microchip all’interno?” – domanda, sospettoso, il Marquina.

“Chiaramente!”
“Quindi non hai degli scagnozzi ovunque? Hai soltanto utilizzato una spia!” – commenta Rio.

“Beh, diciamo che ho potuto ascoltare molto, anche rumori notturni di cui avrei fatto volentieri a meno” – precisa, imbarazzando la coppia lì presente.

“Poi ovviamente ho raggiunto la mia sorellina in Argentina. Quante volte ti ho beccata assieme a quell’omone grande e grosso. Avrei potuto agire, però pensai che studiarti per poterti schiacciare al momento giusto mi avrebbe dato maggiore soddisfazione!”

“Santo cielo, sei un demonio” – esclama, rabbrividendo, Stoccolma.

“E tu riccioli d’oro, tanto dolce e carina, sei la prima puttana qui. Ti sei fatta mettere incinta dal tuo capo, per giunta sposato, e ora fai lezioni di morale a me?”

Denver scatta subito, sentendo le accuse a sua moglie.

Eppure è Monica stessa a frenarlo – “Ci vuole solo provocare” – sussurra lei, cercando di sorvolare sulle accuse lanciatele con cattiveria gratuita.

“Quando Rio fu catturato, fu perché venne rilevato il telefonino. Indovinate chi vi ha venduto i cellulari?” – con un sorriso malizioso, Teresa conferma il suo totale coinvolgimento in ogni ultima sventura vissuta dai Dalì – “Ho fatto in modo che la squadra si ricongiungesse per annientarvi uno ad uno. Peccato, quando ero prossima a vedere mia sorella morta, si è salvata. Dopo aver conosciuto Ginevra ho pensato “Cazzo, far sparire nel nulla una bambina, richiamerà i Dalì per la terza volta! Potrei essere io quella che finalmente li farà sparire dalla faccia della terra!” e così eccomi qui! Sono partita per l’Australia, sapendo tramite fonti certe del trasferimento di Nairobi. Volevo approfittare del suo essere sola e senza scorte, per affrontarla. E invece non era sola. Aveva qui altri tre membri della Banda. Ho aspettato, ho continuato ad inserirmi nella sua vita. Ti ho perfino detto che il tuo secondo bambino era morto per un aborto!”

“Cosa? Non può essere” – Agata sente le gambe cederle e cerca di mettere in ordine pezzi di un passato che potessero ricollegarsi proprio alla Perez.

“Il nome Vanessa Bright, non ti dice nulla?” – domanda la Boss, sistemando l’arma nella tasca. Ormai non le serve sparare al cuore di sua sorella, perché la sta annientando con le parole.

“E’ la dottoressa che mi diede delle pillole per…!” – quel preciso istante diventa chiarificatore per Nairobi e non riesce più a trattenersi.

“Figlia di puttana!! Sei stata tu…tu hai ucciso il mio bambino! Mi hai causato l’aborto!” – grida con tutta la forza che le resta, schiacciata dalle sue emozioni, distrutta psicologicamente.

“Te l’ho detto che mi sarei vendicata! Non sei e non sarai mai superiore a me! Né come figlia, né come donna, né come Leader, né…come rapinatrice!”

“Come madre sì, però” – interviene Silene, singhiozzando di fronte ad una notizia che ha pietrificato la Jimenez, spegnendole cuore e mente.

“Ginny avrà la madre che merita! Quindi, anche come mamma sarò superiore a lei” – replica la Perez.

Poco le importa dei Dalì che le puntano la pistola contro, avanza verso di loro e con sorriso beffardo comunica – “La polizia sarà qui e vi catturerà tutti quanti! Li ho messi in allerta del vostro ritrovo a Perth. Avete i minuti contati!” – poi fa segno ai tirapiedi di seguirla.

“Lasciate il ragazzo” – ordina poi, tra l’incredulità dello stesso giovane.

Axel corre immediatamente da sua madre, eppure neanche ricontrare il proprio sangue dà ad Agata la forza per tirarsi su.
“Cazzo!” – esclama Denver – “Prof, che facciamo? Dobbiamo scappare!”

Sergio, fisso con lo sguardo su Agata, inginocchiata a terra, avvolta tra le braccia di Bogotà, e sostenuta dalle altre due donne della Banda che le corrono incontro, prende le redini della situazione – “Qual è il tuo vero piano, Teresa? Perché ci hai voluti tutti qui per poi rilasciare il ragazzo senza nulla in cambio?”

La follia della Boss criminale non ha ovviamente un fine logico: si muove, agisce, inventa e disfa tutto in maniera confusa.

“Mandarvi in galera è il risultato maggiore che potessi ottenere. Per di più, ho colpito dove avrei voluto colpire…al cuore di mia sorella, così come anni addietro fu colpito il mio! Quanto a Ginevra, non mi arrenderò mai. Quella bambina è la mia copia, e come me, non merita di vivere all’ombra di un fratello maggiore che neppure conosce. Sarà la figlia che ho sempre voluto, e io la madre di cui necessita” – con tali parole, la Perez si incammina a passo svelto verso un vecchio camper parcheggiato poco distante dalle automobili dei Dalì.

I lamenti di Nairobi toccano il cuore di tutti i suoi amici che non sanno come calmarla.

“Starà fingendo di nuovo?” – domanda Lisbona al compagno.

“Non lo so, da lei ci si può aspettare di tutto”

“Però noi abbiamo ancora una carta da giocare!” – precisa la donna.

Sergio annuisce e urla a Teresa qualcosa che mira a scuotere la criminale – “Se ti dicessi il nome Anastasia… penseresti ancora che Ginny sia la figlia mai avuta? O hai dimenticato di averne già una?”

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Capitolo 34
*** 34 Capitolo ***


“Fossi in te mi informerei meglio Professorino dei miei stivali” – replica Teresa, sentendo Sergio tirare in ballo Anastasia – “Dovresti fuggire ora che sei in tempo. Altrimenti sconterai il resto della tua vita in galera” – ribadisce la Boss ai Dalì, ricordando loro che la polizia è prossima ad acciuffarli.

“Come fai a rimanere impassibile di fronte al nome di tua figlia, cazzo” – esclama Bogotá, notando che l’argomento centrale è stato declassato dalla criminale.

In realtà, la donna non è affatto indifferente al ricordo della figlia, e quello stesso ricordo l’ha colpita con irruenza e violenza, con la stessa rapidità di una pallottola che le affonda nel cuore, riducendolo in poltiglia. 

Trattiene il respiro per alcuni secondi, poi si mostra la solita fredda e agghiacciante donna di sempre.

“Salutatemi il carcere!” – conclude, prima di incamminarsi verso il suo mezzo.

Da lontano le sirene sono ben udibili; segnale che le pattuglie sono sempre più vicine.

La Banda, preoccupata, opta per la fuga. A quanto pare la Perez non ha mentito quando ha sostenuto di aver avvertito chi di dovere.

“Che facciamo, Professore? Dobbiamo andarcene?” – domanda, agitato, Denver.

“Abbiamo recuperato Axel! E’ ciò che volevamo, scappiamo subito” – aggiunge Rio.

Eppure la freddezza di Teresa riguardo all’argomento Anastasia ha spiazzato Sergio, intenzionato quindi ad abbattere i muri di quella criminale, lasciandola in preda al dolore che riemerge.

“Helsinki e Palermo saranno qui a momenti. Voi andatevene, io rimango!”

“Cosa?”
“Sei impazzito?”

“Non ti lasciamo da solo con questi folli”

Il gruppo, stranito dalla decisione del Marquina, ha chiara la missione: non bisogna separarsi più, qualsiasi cosa accada. Uniti sono più forti.

E’ Nairobi stessa, alzandosi da terra, a prendere parola – “Non voglio rischiare più nulla per colpa di questa maledetta!”

Lo sussurra all’orecchio del Prof, lasciando intendere che non vale la pena colpire Teresa perché, a pagarne le conseguenze, potrebbero essere solo i Dalì.

“Sono sicuro che il confronto con chi sai tu, potrebbe esserci utile” – insiste Sergio.

L’uomo e la gitana si guardano in silenzio, riuscendo a capirsi al volo.

E Lisbona e Bogotà fissano i rispettivi compagni, confusi.

Solo allora, Agata annuisce con il capo e si posiziona di fianco al marito, stringendogli la mano.

“Tutto bene?” – le domanda, preoccupato.

“Ho il cuore fracassato, ma con te accanto posso superare ogni cosa. Non commetterò lo stesso errore di giorni fa, non mi allontanerò per patire in solitudine il mio dolore” – sussurra lei, ricevendo un rapido bacio sul capo dal consorte.

Il capo della Banda, intanto, si rivolge nuovamente alla Perez, seguendola passo passo - “So di Anastasia, so di te e di quel poliziotto! So tutto”

Allora, e soltanto allora, la Perez s’immobilizza, esattamente a pochi metri dal camper sul quale è prossima a salire con i suoi scagnozzi.

Stringe i pugni, controllando un’emotività sempre più instabile. E proprio quell’instabilità la costringe a ricordare qualcosa che, per anni, ha tentato di cancellare dalla memoria. Anzi, piuttosto che qualcosa sarebbe meglio dire… qualcuno! Un qualcuno divenuto la causa del sanguinamento di ferite profonde che non si potranno mai ricucire.

 

Teresa aveva vent’anni quando s’innamorò di un giovane madrileno di cui sapeva poco e nulla. Lei lo definiva un colpo di fulmine, scattato casualmente durante una serata in un pub. In quel periodo era solita frequentare luoghi di svago, per concedersi una pausa dal “lavoro” ereditato da sua madre. Quest’ultima, Anabel Perez, per tutti “la Bella del Barrio”, era venuta a mancare qualche mese prima per un tumore che non le diede più respiro e la stessa Teresa diventò una vera e propria matriarca nella gestione di loschi affari criminali.

Fu esattamente durante una notte di alcool e balli sfrenati che il destino segnò la sua vita.

“Mi chiamo Antonio Garcia, piacere di conoscerti” – si presentò al suo tavolo, un giovane dai capelli chiari e gli occhi verdi. Non il tipico spagnolo, senza evidenti interessi sessuali, e decisamente dal cuore più tenero di quanto si potesse pensare.

“Teresa, per gli amici Tere!” – con una stretta di mano i due danno inizio ad una frequentazione, sempre più assidua, che li porterà ad innamorarsi.

O almeno, l’innamoramento era reale, però unilaterale.

“Incinta? Sono incinta! Com’è possibile, pensavo fossimo stati attenti” – fu la notte di Natale di quello stesso anno, a distanza di sei mesi di conoscenza, che la Boss scoprì la sua gravidanza. Il momento più emozionante e contemporaneamente più sconvolgente mai vissuto.

Dirlo ad Antonio o non dirlo?! Indipendentemente da ciò, la ragazza sapeva benissimo che quella era una sua decisione e di nessun altro: tenere il bambino o eliminare il problema, era un dilemma che andava affrontato quanto prima.

Raccolto il coraggio, Teresa diede appuntamento al suo compagno, al solito Pub.

Studiò ben benino le parole da utilizzare per dare la notizia bomba. Preparò un discorso saggio su quanto fosse inopportuno diventare genitori senza che se ne avvertisse il desiderio.

Eppure, qualcosa accadde che la salvò letteralmente dalla galera. Il ritardo di alcuni preziosi minuti, per via del traffico stradale, le permisero di scampare il pericolo rappresentato da una pattuglia di poliziotti, pronti ad arrestarla, radunati insieme ad Antonio, fuori dal pub.

Preoccupata per il fidanzato, la ventenne ignorava che, effettivamente, Garcia fosse uno di quelli. E quando, con le sue orecchie, sentì il biondino raccontare ai colleghi che il suo fu un piano ben studiato per incastrare la figlia di una grande Boss criminale, Teresa vide vacillare l’ultimo vessillo di felicità.

Si era illusa che potesse esistere al mondo qualcuno che l’amasse davvero. Dopo un passato doloroso, che l’ha vista patire per la mancanza d’affetto di un padre che prediligeva la figlia maggiore, dalla quale si era separato dopo aver tradito la sua prima moglie, con Anabel Perez…dopo aver sofferto per colpa di una madre che amava più i suoi loschi affari di sua figlia…dopo aver pensato che un uomo potesse nutrire nei suoi confronti un sentimento forte e profondo, si accorse che il destino si divertiva a giocare con le sue emozioni ed era pronto a sputarle in faccia la triste realtà, ogni qualvolta Teresa respirava un briciolo di serenità.  

 

E mentre il Professore continua a infierire sulle ferite interiori della Perez, sottolineando che Anastasia non può essere dimenticata perché sangue del suo sangue, la sorella di Nairobi continua ad essere bombardata dai ricordi più dolorosi di quegli anni.

 

Arrabbiata con il mondo intero, decise di abortire. Eppure fu un sogno a bloccare tale idea. L’immagine di sua madre che le ordinò di tenere il bambino, o meglio, la bambina dato che sarebbe stata una femmina, così come voleva la dinastia e il loro matriarcato, perché è a lei che avrebbe ceduto l’eredità del Clan criminale.

Mesi dopo, come previsto, Tere diede alla luce una femminuccia. Difficile dimenticare il dolore fisico, seppure mai forte quanto quello psicologico che per mesi la dominò, e che lei sfogò con azioni mafiose estreme.

La piccola fu chiamata Anastasia, un nome imperiale, visto che sarebbe stata destinata a grandi cose, tra cui il controllo di un Clan tra i più ricercati e potenti, un clan tutto al femminile.

Inizialmente, Teresa, con la neonata, si mostrò fredda e distaccata. La affidò alle cure di donne, vincolate alla Boss per dei debiti di cui si liberarono servendo da Balie alla bambina. Finalmente accadde qualcosa che toccò il cuore della giovane e inesperta mamma. Una notte Ana non respirava normalmente, pallida e tremante, era come in apnea. Ciò spaventò a morte la Perez che riuscì a salvarla giusto in tempo e appellandosi esclusivamente ad un istinto materno che credeva inesistente.

Fu quel preciso istante, quando tornò ad ascoltare il pianto della piccina, che tirò un sospiro di sollievo e scoprì che qualcuno che aveva bisogno di lei esisteva….ed era sua figlia!

 

“Hai la benché minima idea di cosa significa amare? A mio avviso, un mostro come te non sa farlo” – Nairobi prende parola, faticando a rivolgersi a sua sorella e a guardarla in faccia. Eppure lo fa, non nascondendo rabbia e disprezzo.

“Io quella figlia non la volevo, non sarebbe dovuta neanche nascere” – replica la donna, volgendo lo sguardo altrove, mentendo sul suo legame intimo e fondamentale con l’unica persona al mondo che avrebbe potuto amarla come merita.

E Agata, schifata da quanto udito e convinta della crudeltà della sorellastra, le sputa addosso il suo odio – “Che pena mi fai! Potremo anche avere gli stessi capelli o lo stesso naso, però resta poco altro! Non sono stata la madre che avrei potuto essere per Axel, avrò sbagliato a paragonare i miei figli! Però sto recuperando. Tu invece sei e rimarrai una merda per tutta la vita!”

I Dalì sono informati su ogni dettaglio della vita di Tere, e del suo rapporto con Anastasia e Nairobi non riesce a zittirsi, tanto da spiattellarle in faccia quanto sa – “Una madre non eliminerebbe mai sua figlia! MAI”

La Perez capisce, soltanto adesso, che il Prof e la sua Banda conoscono una parte del suo passato più fangosa e deplorevole, che la tormenta da quasi cinque anni.

Ebbene sì, Tere ha commesso tanti crimini, ma il più tragico è stato pagato dal sangue del suo sangue.

 

Antonio Garcia scoprì dell’esistenza di Ana, quando la bambina aveva tre anni e forte della sua carica istituzionale riuscì a strapparla dalle braccia di sua madre. Teresa, infatti, fu costretta dalle circostanze e da un ricatto vero e proprio impostole dall’ex, a scegliere tra Anastasia e la galera.

Se la piccola fosse rimasta al suo fianco, la polizia l’avrebbe sbattuta in gattabuia senza darle più alcuna libertà. Nel secondo caso, se Ana fosse stata affidata al genitore di sesso maschile, l’uomo stesso avrebbe garantito alla Boss un buon avvocato e una pena ridotta.

Ma Teresa non si abbassò ad alcuna minaccia. Non aveva intenzione di credere alle parole di quell’uomo che anni prima la tradì alla prima occasione.

E, seppure a malincuore, non avrebbe mai detto addio alla sua libertà. Neppure se questa libertà aveva un costo da pagare che consisteva nella perdita della sua amata bambina, nel rinunciare al suo DNA.

Prima di comunicare l’esito della sua decisione al Garcia, la ventitreenne si organizzò in anticipo. Nel cuore della notte si presentò in una chiesa di Madrid, cedendo la minore ad una suora.

“Mi raccomando, dovrà vivere con suo padre! Nessun orfanotrofio, nessuna casa famiglia… nessuna adozione!” – precisò.

E così fu.

Teresa divenne fredda come il ghiaccio, decisa a dedicarsi solo al suo “lavoro”, mettendo un definitivo STOP ad emozioni e sentimenti.

Promise a se stessa che si sarebbe vendicata al momento opportuno.

L’apice della sua follia arrivò quando, scoperto che Antonio Garcia si trovava in Brasile, lì dove la Perez sostò per qualche mese, per traffici di droga, la donna decise di farsi giustizia, riprendendosi ciò che di diritto le spettava: sua figlia!

Ignara che la sedicenne Anastasia era in auto con il genitore, la Perez ordinò ad alcuni uomini di provocare un incidente mortale.

Da brava ed ingegnosa mente diabolica, studiosa di ogni dettaglio prima di ogni azione, stavolta non ragionò sulla possibilità che viaggiassero in due su quel maledetto mezzo.

E accadde il disastro che ad oggi grava sulla sua coscienza. Teresa era sul luogo del dramma quando giunsero i soccorsi. Vide due corpi uscire dall’automobile distrutta, e uno di questi era fin troppo riconoscibile. Quella scena le trucidò l’animo. Venne appurato che il conducente, Antonio Garcia, era in pessime condizioni, però il cuore batteva ancora. Era l’adolescente seduta al lato passeggero ad aver riportato maggiori traumi. 24ore di agonia che si conclusero con un “Abbiamo tentato l’impossibile. La ragazzina non ce l’ha fatta” – pronunciato, a malincuore, dal direttore dell’ospedale ai giornali nazionali.

Una sofferenza dietro l’altra che resero Teresa Perez l’automa che oggi, tutti, riconoscono. Un automa che vivrà da lì in poi di continui spostamenti, di camuffamenti, e di emozioni represse. Da allora, Tere non vivrà, ma sopravvivrà al dolore.

“Non si vive alla morte di un figlio. È impossibile” – continuò a ripetere a se stessa i giorni successivi al funerale di Anastasia. Un funerale che commosse la Spagna, essendo quella ragazza la figlia di uno dei poliziotti più in vista e più rispettati della nazione. Colui che riuscì in molte imprese, a cui mancò solo una: sbattere in galera la madre di sua figlia, la donna che tentò di eliminarlo e che, nel farlo, punì ingiustamente un’innocente.

La Boss accettò passivamente la sofferenza e concentrò la sua mente su un piano che sembrò essere più soddisfacente di tanti altri: vendicarsi di Nairobi.

La pena, troppo forte per permetterle di respirare come ogni normale essere umano, mise in stand by i ricordi riguardanti Ana, dandole modo di incentrarsi su un obiettivo, appunto Agata Jimenez.

Nel cuore, però, ciò che nutriva verso la gitana era paradossalmente inferiore rispetto al rancore provato nei confronti di Antonio Garcia.

Mossa dalla convinzione di non meritare l’affetto di nessuno, di essere detestata da chiunque, decise di scoprire cosa, al contrario, rendeva amabile sua sorella maggiore.

“Cosa vedono di tanto speciale in lei e in quei Dalì?” – si chiese, subito dopo aver saputo della fama raggiunta dalla Banda del Professore.

Quei tipi con la tuta rossa e la maschera del pittore spagnolo rischiavano di rubarle la scena e andavano fermati.

La sua attenzione, quindi, si spostò sulla guerra contro altri “criminali” a lei avversari.

Solo una volta abbattuto l’avversario, Tere avrebbe puntato il fucile contro il nemico numero uno: Antonio Garcia.

Dopotutto, era ciò che meditò per anni. Punire chi le recò male.

Suo padre, beh…era già morto, una morte avvolta nel mistero! Per molti, causata da Anabel.

Nairobi, seconda vittima del piano… sorellastra da sempre considerata superiore a lei!

Ed infine lui… il poliziotto che le ha devastato la vita e che l’ha resa una ricercata nel mondo.  Se non fosse stato per Garcia, i servizi segreti non avrebbero scoperto la sua identità e avrebbe potuto continuare a lavorare illegalmente in Spagna.

Costruitasi il suo Piano di vendetta, la Boss spagnola arrivò a Perth, portando con sé la prima moglie di suo padre, precisamente Carmen Jimenez, cosciente che quella gitana era il punto debole di Agata. Lì scoprì che, a differenza sua, Nairobi era felice ed aveva una bella famigliola numerosa. Decise di inserirsi nella struttura scolastica privata, frequentata dai tre bambini, a tutti gli effetti suoi nipoti, cercando di studiare un modo per entrare nella loro routine e di conseguenza in quella della consanguinea. Ma Ginny colpì il suo cuore ferito e divenne il secondo colpo di fulmine di cui Tere necessitava. Stavolta non era Ana il suo centro nel mondo, ma Ginevra. Quella bambina di sette anni era l’IO ritrovato, una creatura bellissima, dai capelli neri come i suoi, con cui condivideva una parte di DNA. Tutto sembrò essere perfetto…tutto sembrò trovare un senso.

Ginny sarebbe diventata la sua Ana.

Il resto fu storia!

 

Teresa trema mentre gli occhi s’inumidiscono, lasciando emergere una profonda agonia,

una sofferenza che sconta giorno dopo giorno, e che non l’abbandona da cinque anni.

“Non ho progettato la morte di mia figlia!” – commenta poi, correggendo le accuse di sua sorella.

“Però è morta!” – replica la gitana, mossa dal solo desiderio di distruggere emotivamente la parente che ha appena fatto lo stesso con il suo di cuore, godendo raccontandole di averle provocato l’aborto – “Come hai potuto, dopo la perdita di Anastasia, uccidere anche il mio di bambino?” – chiede Nairobi, piangendo di rabbia.

Ormai è quella sensazione di ira a dominarla; niente tristezza per una vita crudele, ma un sentimento forte che non ama provare perché la rende al pari della criminale che ha davanti a sé, ma che in un momento così difficile, dove nel giro di una settimana, tutto è vacillato, e ogni certezza si è sgretolata sotto i suoi piedi, Agata avverte la necessità di sfogare.

E mentre le due consanguinee si scontrano verbalmente, il rumore di un’auto, fermatasi a pochi passi dal camper verso cui era diretta la Perez, le costringe a zittirsi.

“La polizia?”- esclama preoccupato Denver.

“No!” – a rispondere è la Jimenez, per poi rivolgersi di nuovo a Teresa, con un sorrisetto compiaciuto. Finalmente la palla passa nelle mani dei buoni, così, soddisfatta, le dice  – “Maledetta! Guarda in faccia il tuo passato, è proprio lì. Stavolta non hai altra scelta che pagare per il male che hai recato.”

Teresa riconosce subito la persona che, zoppicando, è scortata da due uomini, e che avanza nella sua direzione.

E così, mentre il passato riaffiora con prepotenza, e la coscienza torna a pesare con violenza, come un macigno enorme da cui non può più liberarsi, la donna si ritrova faccia a faccia con lo scacco matto del Professore.

“Tu?” – sbalordita, non avrebbe mai sospettato che Sergio potesse rischiare così tanto pur di vincere quella guerra.

“Ciao Tere, e così ci si rivede!”

“Antonio Garcia?!…avete chiamato un poliziotto? Siete dei folli! Come si può pensare, da ricercati quali siete, di chiedere aiuto proprio a lui? Sappiate che  non avrà pietà e finirete in galera tutti quanti! Avete appena firmato un patto con la vostra fine”

 

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Capitolo 35
*** 35 Capitolo ***


35 CAPITOLO: AHORA QUE TE VAS

 

Carmen e Jorge Gonzales sono nella villetta di Nairobi e Bogotà quando giungono in loro aiuto i Johnson, da sempre tutori dei Dalì a Perth.

“Chi dannazione siete voi due? E cosa volete?” – l’uomo scatta in piedi, dal divano sul quale era seduto, non appena vede entrare la coppia, per di più con un mazzo di chiavi privato.

“Ehi, amico, calmo. Siamo stati chiamati dal Professore. Dobbiamo portarvi lontano da qui” – precisa Adam, alzando le mani in segno di resa, di fronte alla reazione poco pacifica dell’anziano.

“Dovremmo credervi? Chi ci garantisce che non siete alleati di quella folle e che non ci farete del male, portando via i bambini?” – anche la Jimenez non è fiduciosa.

“Signora, abbiamo anche lo stesso nome, io mi chiamo Carmen. Abitavo a Madrid, prima di trasferirmi, in Australia, per amore. Ho conosciuto Agata ben dodici anni fa, quando giunsero con una nave fin qui. Il Prof ci incaricò di vigilare su di lei, di Bogotà, di Tokyo e Rio. E così abbiamo fatto. Ecco la prova della nostra amicizia!” - così dicendo, Carmen Johnson mostra alcuni scatti dal suo cellulare.

“Come hai tutte queste foto?”

“Siamo amiche. Conservo immagini dei gemelli, e anche di Alba, da neonati… foto del matrimonio, foto di vari compleanni. Perciò… si fidi! E vada a prendere i suoi nipoti, del resto ci occuperemo io e Adam”

“Del resto?” – domanda, stranito, Jorge.

“Abbiamo poco tempo. Teresa potrebbe aver mandato chiunque in questa casa, perfino la polizia. Per tale ragione, bisogna scappare quanto prima” – comunica la donna, intenta, nel mentre, a caricare quanta più roba possibile in borsoni e trolley vari, nascosti in un posto della casa specifico, adibito proprio per le urgenze di quel tipo.

Sergio fu chiaro con i Johnson quando, ore prima, li telefonò, dando l’ordine di mettere in salvo chi rimasto nella villa.

Se c’è una cosa che la Perez ha organizzato per bene è incastrare i Dalì e mandarli in galera. Di questo il Marquina è certo al cento per cento. Quindi è fondamentale lasciare Perth in vista di una nuova destinazione.

“Dove andiamo, nonnina?” – chiede Ginevra a Carmen Jimenez, una volta saliti tutti su un SUV da sette posti.

C’è anche Santiago, il piccino di Tokyo e Rio, addormentato nel seggiolino, posto di fianco a Carmen Johnson.

“A casa nostra, per il momento” – risponde Adam, alla guida del veicolo, allacciandosi la cintura di sicurezza.

I piccoli si rilassano, protetti da persone che conoscono e amano, però non immaginano di dover salutare una casa e una città divenuta parte del loro cuore, e salutando quella casa e quella città dicono addio anche alle certezze di sempre.

*********************************************************

“Scacco matto, figlia di puttana!” – il sorrisetto beffardo di Nairobi disegna sul suo viso un senso di soddisfazione immenso, forte di aver colpito la sorellastra con l’arma vincente.

Teresa, dal canto suo, fissa l’ex poliziotto, digrignando i denti, furiosa come non mai con i nemici, ma soprattutto con un passato che non ha intenzione di darle pace.

“Abbiamo un conto in sospeso noi due, cara la mia Teresa, o preferisci essere chiamata maestra Honey?”

La Perez scuote il capo. Poi fa un cenno, alzando la mano in aria e due uomini, vestiti di nero, si pongono come suo scudo.

“Credi che due tirapiedi possano difenderti? A me le armi servono a poco. Saranno le parole a distruggerti… perché ho tanto da dirti, tanto dolore da sputarti in faccia. Mi hai distrutto la vita, portandoti via quello che avevo di più prezioso, mia figlia. Ad oggi non mi stupisco delle tue azioni, hai agito da criminale quale sei. È questo che sei, lo ripeto, una criminale. Una folle pronta a tutto, pronta perfino ad eliminare gli innocenti. Non eri e non sei degna di essere la madre di Anastasia. Quella ragazza era un tesoro, aveva un cuore d’oro” – le affermazioni dell’uomo sono pugnalate violente che Teresa Perez riceve senza battere ciglio, cosciente di meritare tanto disprezzo.

“La sola cosa su cui non ho potuto intervenire è stata la somiglianza fisica… era una gitana in piena regola! Però, ora che vedo tua sorella, ti assicuro che noto una certa parentela tra loro, più che con te”

E di fronte all’ennesimo confronto con Nairobi, l’ennesima sconfitta, la sedicente maestra esplode – “Non dire stronzate. Ana l’ho partorita io, è sangue del mio sangue, carne della mia carne, non ha nulla a che vedere con Agata”

“Puoi dire ciò che vuoi, sta di fatto che io avrei evitato in ogni modo di farvi incontrare. Piuttosto, l’avrei lasciata alle cure di tua sorella…certo che in quella famiglia avrebbe trovato tanto amore”

Udire tali parole, alimenta la furia della ex miss Honey, che con l’ennesimo cenno agli scagnozzi, dà ordine di allontanarsi. Un miscuglio di pensieri e di emozioni attraversano la sua persona. E così, preda di tale confusione, sceglie di agire da sola.

“A che gioco stai giocando? Prima chiami a te i tuoi uomini, adesso te ne disfi”

“Sta zitto, bastardo” – tuona la Perez, con occhi fiammanti, e l’aria di chi non ha voglia di perdere altro tempo.

Antonio Garcia, fisso con lo sguardo sulla criminale, cerca di studiarne ipotetiche mosse.

Eppure, oltre la ceca rabbia, ben evidente su quel volto e fortemente dominante su un corpo in fibrillazione, il poliziotto non scorge altri segnali che potessero essergli d’aiuto nel prevenire delle mosse pericolose.

Bogotà, nel frattempo, nervoso dalla circostanza che sta vivendo, ha timore per le sorti dei figli. Spinto dall’istinto paterno, sussurra a Eric, posto di fianco, di andare via.

“Ma papà, cosa stai dicendo? Non vi abbandoneremo qui”

“E invece sì, cazzo!” – sbotta il saldatore, lanciando un’occhiata a Palermo e Helsinki, arrivati da poco con il Garcia.

Difficile per il serbo capire cosa Bogotà e l’argentino si stanno comunicando con strani sguardi, eppure gli basta sentire la mano del compagno stringere la sua per fidarsi.

“Ragazzi, dobbiamo raggiungere la villa. I bambini sono lì, e Teresa può aver mandato gli scagnozzi a prendere Ginevra”

Davanti a un timore tanto grande, i giovani della Banda si allertano.

“Andate, e proteggete i vostri fratellini, mi raccomando” – dice Bogotà, dando una pacca sulle spalle ai maschi e un bacio al volo alle due femmine.

Il tutto accade senza che la Perez si renda conto, troppo presa dai pensieri e dalla prossima azione da compiere contro il nemico.

“Cazzo, la sirena della polizia si fa vicina! Dobbiamo andarcene, Professore. Siamo rimasti in pochi, ci acciufferanno in un battibaleno.” – a parlare è Rio, terrorizzato all’idea di essere catturato per la seconda volta.

“Adesso che i miei figli sono andati via con Palermo e Helsinki, siamo in numero inferiore, è vero! Ma non è ancora detta l’ultima parola” – prende parola Bogotà.

La mente di Sergio,intanto, studia la situazione e cerca soluzioni per venirne a capo. E ciò ha come sottofondo il continuo battibecco tra la Boss e il polizotto.

“Tu non conoscevi Anastasia, non sapevi nulla di lei, cosa le piaceva, cosa sognava per il futuro…Voglio che tu sappia quanto lei soffrisse la tua mancanza. Mi diceva spesso di volerti conoscere, di sapere se almeno eri felice… hai mai trovato qualcuno che pensasse con premura a una madre che invece l’ha abbandonata? Dubito! In fondo ti circondi solo di pezzi di merda! Però, tutto sommato, mi fai pena. Che vita infernale ti aspetta. Alla morte di una figlia non si sopravvive, e tu hai smesso di vivere quando il suo cuore ha smesso di battere”

L’astio dell’uomo, mostrato con voce rotta, tocca con violenza inaudita Teresa Perez, che continua a rimanere in silenzio, mentre tra i suoi ricordi si fa strada il viso di sua figlia.

“Se io ho fatto ciò che ho fatto, la colpa è anche tua. Non credere di essere un santo, agente Garcia. Sbaglio o sei stato tu ad illudermi, a portarmi a letto, a mettermi incinta, e a minacciarmi per scegliere tra la galera o una bambina che non sarebbe mai nata se tu non mi avessi truffata!”

“Io ho pagato per questo. E la mia gamba lo dimostra! Forse non hai chiaro il mio ruolo, però. Io sono la legge che va rispettata, e tu sei una boss che andava fermata! Piuttosto che giudicare me, pensa alla tua coscienza. Fossi in te, dopo quanto accaduto con Ana, mi sarei consegnata alla polizia. Tu invece cosa fai? Ti ostini a dare la caccia a una donna che, al contrario, avrà anche rubato oro e denaro, ma non ha mai ucciso nessuno. Una donna che ha saputo andare avanti, e che, diversamente dalla grande e potente Teresa Perez, si è ricostruita una vita. Ha dei figli, un marito che la ama, amici che darebbero la vita per lei. Agata ha tutto ciò che avresti voluto tu…e che il tuo cuore di ghiaccio ti hanno impedito di avere. Ecco perché la odi. Non mentire a te stessa, le ragioni sono queste. E strapparle Ginevra sarebbe stata la soddisfazione più grande! Ti starai chiedendo come so di quella bambina, beh…sono stato informato. Non posso permettere che tu strappi via una figlia a un genitore…per la seconda volta!”

Stringendo i pugni, con il battito accelerato, e la rabbia pronta ad esplodere, la Perez prende la pistola.

“Vuoi uccidermi? Dopo aver eliminato Ana, avrai la tua rivincita su di me. Mi avrai cancellato dalla faccia della terra, senza sapere che mi stai facendo un favore. Io senza la mia Anastasia non vivo più. Perciò, spara pure…spara questo zoppo, inutile, poliziotto che desidera ricongiungersi alla sua dolce figlia!”

Il Professore, spiazzato dalla richiesta di Antonio Garcia, cerca di intervenire per farlo ragionare. In fondo non era nei piani che l’alleato si autoeliminasse.

“Io sono stanca di tutti voi. Ho cercato l’amore disperatamente in quella bambina, in Ginny. In lei ho rivisto me stessa. Volevo soltanto averla con me, lei era quella figlia a cui ho dovuto rinunciare. Quella figlia che mi avrebbe amata come desideravo”

“Dimenticando che Ginevra una madre ce l’ha già” – commenta Bogotà.

Teresa evita di rispondere, infastidita.

“La realtà fa male, vero? Sappi che ne hai recato tanto, a molti. E io ti sto ripagando con la stessa moneta. Occhio per occhio…”

Davanti al coraggio di quel padre, rimasto solo e senza prole, Sergio Marquina intuisce in lui il desiderio che lo spinge ad agire in tale maniera. E solo allora, si accorge che il complice tenta il tutto per tutto pur di salvare loro.

Infatti, senza esitazione, Garcia fa segno ai Dalì di andare via quanto prima.

“Avanti, sparami! Fallo e vedrai che il rimorso ti mangerà per il resto dei tuoi giorni. Fallo….ORA!” – grida l’uomo.

Quel FALLO ORA pronunciato con forza è indirizzato al Professore, invitato a scappare adesso che ne ha la possibilità.

“Andiamocene” – dice allora alla Banda, prendendo per mano Raquel.

“Cosa? Ma lo lasciamo da solo nelle mani di questa folle? È pericoloso” – si preoccupa Stoccolma.

“Sento che ha un piano, vedrete che è così” – li convince.

Mentre Antonio continua a punzecchiare la Perez, i Dalì si dileguano, raggiungendo i loro mezzi poco distanti.

Non c’è scagnozzo che li trattiene, né la stessa Boss.

Hanno di fronte a loro la strada per la salvezza.

“Come mai hai ordinato ai tuoi uomini di lasciarti sola? Dimmelo, stai tentando di morire?”

“Stai zitto!!!” – ripete più volte la Perez.

“Fino a che punto sei disposta a spingerti pur di vincere? Eh?”

“Adesso basta!” – dice, caricando il grilletto, pronta a lanciare un proiettile verso il nemico numero uno.

E Teresa sa bene chi è il nemico numero uno.

E non si tratta di Nairobi.

Probabilmente neanche di Antonio Garcia.

“Forza, che aspetti!? Spara…spara ho detto!” – il poliziotto alza le braccia e si pone di fronte al suo cecchino.

Nel frattempo, i Dalì salgono a bordo dei loro mezzi, eppure, seppure sani e salvi, non si sentono del tutto sollevati.

“Possiamo dirci vittoriosi?!” – chiede Tokyo, speranzosa, per spostare poi lo sguardo su Nairobi.

La gitana, infatti, è scura in volto.

“Amica mia, il peggio è passato. Hai con te Ginny e anche Axel. A breve saremo via da qui e ci lasceremo la brutta vicenda alle spalle” – la conforta.

“Non credo di farcela. Ho scoperto troppo del mio passato, nel giro di poco tempo, e il mio cuore non regge. Sapere che il bambino che aspettavo, l’ha eliminato proprio mia sorella, mi ha messa definitivamente fuori gioco”

“Però tu sei forte, sei una roccia. Andrai avanti, come sempre” – aggiunge la Oliveira, accarezzandole il viso.

“E poi non sei da sola! Ricordalo” – aggiunge Bogotà, dandole un tenero bacio sulle labbra.

Proprio allora, in quel preciso istante, quando i motori delle auto si accendono, e si è pronti a fuggire, i Dalì si pietrificano udendo in lontananza alcuni colpi di pistola.

“Cazzo!” – esclama il prof, sbandando nella guida.

“No, cazzo! E adesso? L’ha ucciso!” – si agita Raquel.

“Maledetta!” – esclama Nairobi, decisa ad affrontare di petto la parente. Tutta la rabbia che nutre nei suoi confronti la spinge ad agire precipitosamente, seguendo l’esempio di Tokyo e della sua impulsività.

Scende dal veicolo, ignorando i richiami della banda e si dirige, rapida, verso il posto da cui ha udito lo sparo. Adesso è la testa che comanda il suo corpo; il cuore è spento, e a dominarla è la foga di un momento di mancata lucidità.

E’ Bogotà, assieme a Denver, a raggiungerla.

E quando sono a pochi passi dalla gitana, notano che si è immobilizzata di fronte a una scena inimmaginabile.

Sull’erba di quel parco, giacciono due corpi. Due cadaveri.

Il saldatore, istintivamente, abbraccia la moglie – “Tesoro, andiamo via! La polizia sarà qui a momenti! E’ l’attimo giusto per scappare”

Solo allora, Denver riceve un messaggio da Sergio.

“Il Prof ha detto di tornare nelle auto. Ha una comunicazione per noi”

Seppure a fatica, i tre si incamminano nella giusta direzione.

Davanti ai loro occhi c’è il Marquina, con il solito atteggiamento rigido e riflessivo.

“Dalla tua faccia si direbbe che sono pessime notizie. Però mai tragiche come quella che abbiamo appena appurato…” – afferma Ramos.

“Antonio mi ha inviato un sms prima dello sparo” – così dicendo, il capo della Banda mostra loro l’oggetto in questione.

È il saldatore a leggerlo ad alta voce – “La mia vita mi pesava come un macigno e non sopportavo più un’esistenza così. Teresa mi sparerà e se non lo farà, sarò io a farlo! Addio e grazie per avermi dato l’opportunità di liberarmi di un dolore tanto grande…”

“Si è ucciso?” – chiede, ancora sotto shock, Nairobi.

“O l’ha ucciso lei” – ipotizza Denver.

“Ne dubito. Se lei lo avesse ucciso, sarebbe venuta a cercarci. E invece..” – precisa il prof.

“Quindi abbiamo vinto anche questa battaglia, giusto?” – l’entusiasmo di Dani Ramos è fuoriluogo rispetto alla morte di due persone, di cui una fin troppo buona.

Ed è Sergio a placare la sua gioia, invitandolo a tacere. La Jimenez manifesta l’opposto stato d’animo.

“Come ti senti, amore mio?” – le sussurra Bogotà.

“Con il cuore a pezzi, e l’animo sollevato!”

E dopo un bacio tra i due, con un ultimo sguardo rivolto a quel parco isolato, la Banda sfreccia via.

Quel luogo, che a breve verrà messo sottosopra dagli investigatori, dai Ris, dalla Polizia, è il posto in cui Nairobi dice addio al suo passato e ad una parte rilevante di esso.

“Dove andiamo adesso?” – chiede Rio, tramite radio, agli amici nell’altro veicolo.

A rispondere è Lisbona – “Ci aspettano al porto di Fremantle, da lì ci imbarcheremo”

“Dovremo lasciare Perth, mi ero affezionata a questa città” – confessa Tokyo, dispiaciuta.

“Lasciamo passare alcuni anni, poi tornerete qui” – la rassicura quello che la donna considera il suo angelo custode.

“Prof, tu sai qualcosa che ci sfugge?” – domanda Stoccolma, intendo in tali parole qualche segreto.

“Saprete a tempo debito. Adesso preparatevi a salutare l’Australia. Si naviga, di nuovo, tutti insieme, alla vista dell’ignoto!”

 

 

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Capitolo 36
*** 36 Capitolo ***


“Come mai siamo venuti fino a qui?” – chiede, confuso, Sebastiàn agli adulti.

I bambini, infatti, sono spaesati e Santiago, svegliatosi bruscamente a causa di un incubo, piange e cerca i genitori, stretto tra le esili braccia di Alba, la maggiore tra loro , attenta come fosse una mammina. Un istinto materno, il suo, ereditato, evidentemente, da Nairobi e ora messo in mostra in veste di cugina premurosa.

Le piace comportarsi da mamma chioccia, abituata al modo che Agata ha di amare i suoi figli e proteggerli dal mondo.

“Anche se siamo insieme agli adulti, sappiate che vi proteggerò sempre e comunque!” – disse Alba ai fratellini durante il tragitto che li conduceva precisamente al porto dove si trovano adesso.

Alla domanda posta da Seba è Carmen Johnson a rispondere, cercando la maniera adeguata per informarli sulla imminente partenza - “Tesoro, questa nave, su cui salirete non appena arriveranno tutti, vi porterà in un posto nuovo, bello, dove potrete vivere per un po' di tempo”

“Dobbiamo andare via da Perth?” – esclama Sebastiàn, a occhi sgranati.

“Io non voglio andarmene! Questa è casa nostra” – interviene, decisa, Alba – “Io ho le mie amiche qui. Ho il mio corso di danza, la mia scuola, la mia camera…”

“E io ho la scuola di calcio!” – aggiunge, ancora, il maschietto.

“Lo so, però… è necessario lasciare l’Australia quanto prima! E sicuramente anche in un altro posto, costruirete nuove amicizie e imparerete tante cose nuove” – anche Adam prende parola e lo fa per convincerli che, in fondo, si può conoscere gente e scoprire passioni anche altrove.

A quel punto, Ginevra, rimasta in silenzio per tutto il tempo, guarda i nonni e, con il magone, sapendo che partire implica allontanarsi da tutto e, specialmente, da tutti, domanda ai Johnson – “Dovrò dire addio anche a loro?” – e li indica.

I Gonzales sono consapevoli che purtroppo è ciò che accadrà: perderanno la nipotina tanto adorata, e, con lei, anche Alba e Seba, e ovviamente non avranno più occasione per recuperare il rapporto con Agata.

“Io voglio che vengano con me, altrimenti rimarrò qui e vivrò con loro” – la proposta di Ginny sembra quasi un ultimatum. O Carmen e Jorge partono con i Dalì, o è la bambina a non avere la minima intenzione di salire a bordo.

E i due anziani sono piacevolmente colpiti dall’affetto che quella baby gitana nutre nei loro riguardi. Eppure sanno che, in un momento tanto rischioso per l’intera banda dei Dalì, è prioritaria la fuga, e quella fuga non li tiene in conto.

Messi da parte i suoi desideri, la settantenne Jimenez, interviene per distogliere Ginny da tale idea - “Potrai scriverci delle lettere, mi amor. Io le leggerò e ti risponderò. Rimarremo sempre in contatto. Non devi temere, non perderai né me né nonno Jorge”

Con tutta la fatica possibile ed inimmaginabile, Carmen trattiene le lacrime, e si mostra serena dell’addio ai nipoti.

Ginevra, invece, intuisce subito che la scelta di rimanere a Perth non è decisione di sua nonna, ma delle circostanze e soprattutto di sua madre. Percepisce, guardando la gitana negli occhi, quanto soffre. Così, accarezzandole il volto, le chiede - “E’ mamma che non vuole? Perché non ti vuole bene quanto te ne voglio io?”

E di fronte a tale interrogativo, l’anziana apre il suo cuore – “Le ho fatto tanto male, e quando è una madre a fartene, difficilmente lo si dimentica. Perciò, è meglio per il bene di tutti, che io rimanga qui con Jorge. Ma, te lo ripeto, mi amor… ti scriverò ogni giorno”

La bambina annuisce, dispiaciuta, abbassando poi il capo. A quanto pare, da sola non può cambiare decisioni già prese dai grandi.

“Credo sia giunto il momento di andare” – dice Adam, notando alcune auto giungere nella loro direzione – “Arriva qualcuno dei nostri”

Quell’improvviso sopraggiungere di alcuni Dalì, affretta i saluti, rendendo ancora più doloroso dirsi addio.

“Prima che andiate, vorrei che ciascuno di voi avesse un mio ricordo” – precisa la Jimenez, richiamando a sé tutti e tre i bambini, il sangue del suo sangue, la sua più grande fonte di orgoglio.

La prima a cui si rivolge è la maggiore.

“Questo bracciale mi piacerebbe fosse il simbolo di una relazione che avrei voluto instaurare anche con te, mia bellissima Alba. Ti guardo e noto in te una dolcezza e una premura che solo la mia Agata ha. Che buffa la vita, adesso che vi ho conosciuti e che avrei potuto vivervi e amarvi come meritate, siamo costretti a separarci. Ho sentito, poco fa, che segui un corso di danza. Quindi, come me, ami ballare. Scommetto che ci saremmo divertite un mondo, io e te, con il flamenco”

“Potremmo sempre farlo, se parti con noi” – anche la primogenita di Nairobi e Bogotà, adesso, come Ginevra, sogna di non dividersi da un pezzo di famiglia che vorrebbe scoprire.

La speranza dipinta sui volti dei bambini rende ancora più complicato, per nonna Jimenez, doversene separare.

“Sapete bene che non è possibile, però, anche se saremo lontani, mi avrete vicina ogni giorno!”

“Uffa, però” – commenta, cupo, Sebastian – “Non possiamo lasciare Perth e lasciare voi, adesso che vi abbiamo conosciuti e che iniziavamo a volervi bene”

Ed è a lui che la gitana si rivolge in quell’istante.

“Vorrei conservassi questo, tesoro mio” – gli cede un portachiavi, alla vista alquanto vecchio, ma fortemente simbolico – “Quando entrerai nella vostra nuova casa, mi piacerebbe pensassi a me. E questo che stringi ora tra le mani, che era di tua madre, oggi è tuo!”

“E’ un…un fiore?” – chiede, confuso, il piccino.

“Il simbolo della comunità gitana, mi amor! Sii sempre fiero delle tue radici.”

Incuriosito dal significato e dalla storia di un gruppo a cui appartiene per sangue materno, Sebastiàn fissa il suo regalo e lo ammira come ammirerebbe un pallone di calcio, il suo sport preferito.

A quel punto la settantenne si volta verso Ginny.

“A te non posso non regalare questa collana. La tua forza, la tua intelligenza, e la tua dolcezza, ti rendono una bambina unica e speciale” – sorridendole, con una tenera carezza sul viso, si priva di una collana e la cede alla nipote.

“Questo ciondolo custodiva il mio legame con Agata. Adesso custodisce il mio con te”

Tra le lacrime, versate a fiumi, e tanti abbracci, nonna e nipoti vivono il loro primo momento come famiglia. E Jorge, commosso, attira l’attenzione dei Johnson.

Carmen prova tenerezza per quell’uomo, visibilmente poco in forma, le cui rughe sono il segno tangibile di un passato fatto di errori, di dolore e di azioni indicibili. E, adesso, è il viso bagnato dal pianto a redimerlo e mostrare il suo reale pentimento, nonché la voglia di ricominciare.

È proprio la donna, rivolgendosi ad Adam, a suggerire – “Forse se anche loro partissero, potrebbero recuperare gli errori commessi, e vivere gli ultimi anni circondati dall’amore. Quei bambini hanno bisogno dei nonni, e i nonni sono il cuore di una famiglia. Sono convinta che Alba, Sebastiàn e Ginevra vivrebbero meglio il distacco da Perth”

“Non è me che devi convincere me, tesoro. Nairobi temo non accetterà mai sua madre”

Nel frattempo, il gruppetto viene raggiunto da parte della Banda appena giunta.

Helsinki e Palermo, seguiti dai figli di Bogotà, salutano i presenti, ringraziandoli del lavoro svolto.

Tra questi c’è anche Axel, subito notato sia dai Gonzales che da Ginevra.

Ed è alla sua sorellina che il ragazzo dona un sorriso carico di tenerezza.

Alba, posizionata di fianco alla sorellina minore, la prende per mano.

“Fidati di lui” – le sussurra all’orecchio.

Facendosi forza della presenza di chi le vuole bene, la bambina alza la testa e incontra gli occhi di Axel, e dopo un’iniziale titubanza risponde a quel sorriso con uno, più timido.

Un inizio che fa ben sperare nella costruzione di un rapporto fratello-sorella.

“Avete novità degli altri?” – domanda Adam ai due storici Dalì.

“Il professore ha dato comunicazioni. Stanno arrivando, è questione di minuti” – comunica Palermo – “Iniziamo a caricare la roba sulla nave, ok?” – dice il serbo, indicando ai sei ragazzi il da farsi.

Ai piccoli non rimane che guardare la triste realtà.

Valigie, ricordi, oggetti vari, tutto viene condotto sul mezzo con cui diranno addio alla loro vita, alla loro identità.

Si tengono per mano mentre, con la coda dell’occhio, scorgono la disperazione dei due anziani alle loro spalle.

“Dobbiamo convincere la mamma” – decide Alba, non più intenzionata a rinunciare all’affetto del suo stesso sangue.

“Sono d’accordo!” – esclamano in coro i gemelli.

E mentre complottano, a modo loro, il da farsi, gli adulti si occupano dei lavori pesanti.

“Fatto! Possiamo iniziare a salire!” – dopo qualche minuto è Drazen a riferire che è tutto pronto.

“Perfetto, forza bambini. Venite, vi aiutiamo noi” – dice Berrote, porgendo la mano ai figli di Nairobi e Bogotà.

Spiazzato dalla loro resistenza, si guarda, stranito, con il compagno, postogli di fianco.

“Pensaci tu, magari sei più dolce di me” – gli sussurra, occupandosi dei saluti ai Johnson.

Così Mirko, con il suo atteggiamento da zio coccolone, si piega sulle ginocchia, all’esatta altezza dei minori e, premurosamente, si informa sul loro stato d’animo.

“Non abbiate paura. Vivremo tutti insieme, e ci conosceremo. Vi insegnerò tanti giochi e tante canzoni serbe!”

Eppure neanche la proposta di “stare tutti insieme” rende felici i minori.

Quindi Helsinki indaga, domandando, preoccupato - “Cosa succede? Perché non volete salire sulla nave?”

“Possiamo aspettare mamma e papà? Abbiamo una richiesta da fargli” – a prendere parola è proprio Ginevra, su accordo con i fratelli. Nessuno più di lei ha il carattere per imporsi sui grandi. E lo zio Helsi accetta, seppure sospettoso che l’idea dei bambini riguardi i signori Gonzales, dai quali non si separano neppure fisicamente.  

“Allora? Che ti hanno detto?” – gli domanda Palermo, guardandolo avanzare nella sua direzione, senza aver concluso nulla.

E il serbo rivela i suoi dubbi – “Temo che a Nairobi non farà piacere, però ci troveremo di fronte a una resistenza in versione baby”

“Eh?” – esclama, confuso, Martìn.

Ma in quel preciso momento il clacson di un’automobile, seguita da un’altra, li avverte dell’arrivo della rimanente Banda.

Scesi in tutta fretta dai mezzi, i Dalì raggiungono il resto della famiglia.

Agata si getta, senza esitazione, sui suoi bambini che si avvinghiano a lei.

Bogotà abbraccia uno ad uno i suoi ragazzi ormai divenuti uomini e donne fortissimi.

Tokyo e Rio possono riempire di baci il loro Santiago che trova calma e serenità tra le braccia materne.

“Andiamo via, sbrighiamoci. È rischioso perdere altro tempo, la polizia è giunta fino alla villa!” – comunica Sergio agli amici, invitando le donne a muoversi per prime.

“Fortuna che non troverà più nulla! Ci siamo mossi con anticipo” – precisa Carmen Johnson.

Salutati i loro alleati australiani, Stoccolma, Hanna, Ivana, Lisbona, Tokyo, una sostenuta all’altra, salgono a bordo della nave.

“Nairo, tocca a te! Cosa aspetti?” – è proprio Silene a richiamare l’amica.

“Arrivo” – risponde, dando priorità alla voce dei suoi figli che, la supplicano di esaudire un loro desiderio.

“Vorremmo i nonni con noi! Ti prego, non dirci di no” – la richiesta viene proprio dalla voce di Ginny, bambina che Agata ha rischiato di perdere per sempre a causa della follia di una pazza e delle sue stesse fissazioni psicologiche.

Gli occhi dei suoi tre tesori la pregano disperatamente, le chiedono di perdonare, di dare a Carmen e Jorge una seconda chance.

“Noi non vogliamo perderli!” – interviene anche Seba.

“Sono parte della famiglia” – aggiunge Alba.

Nairobi, in silenzio, avverte la vicinanza di Bogotà, che prendendola per mano, offrendosi da spalla per ogni decisione che prenderà, dice - “Se non te la senti, non sei costretta a farlo. Agisci seguendo il tuo cuore”

Sono i Gonzales, rimasti in disparte, a notare la gitana avvicinarsi, improvvisamente e con l’aria sofferta.

“Ci sei venuta a dire addio?” – domanda Jorge, mentre avvolge la moglie tra le sue braccia, pronto a sostenerla da saluti dolorosi.

“Mi amor, perdonami” – con occhi colmi di lacrime, Carmen Jimenez mostra i segni di un pentimento che ha scontato, e che sconta ancora oggi.

Spiazzando tutti, dopo un lungo e profondo respiro, come a voler buttare fuori la sua frustrazione, la falsaria comunica qualcosa di sconvolgente – “Voglio che veniate con noi! I miei figli hanno bisogno di voi…”

“Cosa? Dici sul serio?” – esclama, sconvolta, Carmen, con il cuore a mille.

Cerca di avvicinarsi a lei per abbracciarla, però è quest’ultima a tirarsi indietro – “Non ho parlato di perdono. Diciamo che devo ai miei bambini un po' di felicità”  

L’euforia e i pianti si susseguono tra i Gonzales e i nipotini.

E mentre la Jimenez osserva la scena di gioia, sale a bordo, retta dalla mano di suo marito, ricevendo l’approvazione di molti amici che si complimentano per la sua forza e per il coraggio di aver messo da parte il proprio orgoglio e la propria sofferenza, per il bnene dei bambini.

“So quanto sia duro per te, mamma! Lo sarà anche per me, però non voglio precludermi nulla, magari imparerò a perdonarli, con il tempo. Questa è la seconda opportunità che meritano” – anche Axel pare aver messo da parte ogni forma di rancore.

Sapere di rischiare la vita, prigioniero di Teresa Perez, l’ha aiutato a comprendere quanto le cose possano cambiare nel giro di minuti, di secondi, di attimi che non torneranno più.

“A questo punto, vale la pena vivere il presente, non lasciando che il passato possa interferire ancora e ancora, recando solo ed esclusivamente dolore. E tu sei stata brava nel prendere la giusta decisione, sono fiero di averti come madre”

Emozionata dalle parole del suo primogenito, la Jimenez lo stringe a sé, scoppiando in un lungo pianto, accettando, così, delle presenze poco gradite al suo cuore ma che forse l’aiuteranno a mettere un punto ai cattivi ricordi.

Bogotà, di fianco alla moglie, ascolta il discorso di Axel e ripensa al suo ruolo di padre. Sbagliò tanto nella vita, con i suoi sette figli, eppure loro non hanno esitato a correre in suo soccorso alla prima occasione.

E il primo pensiero vola al maggiore, Yerevan, un ventisettenne invaghitosi, senza volerlo, della donna sbagliata.

“Dovrei fare la stessa cosa con Emilio! Meriterebbe la seconda opportunità...” – sostiene, con un filo di voce.

Sentire quel nome fa trabalzare la Jimenez, ancora in colpa per quanto accaduto con quel ragazzo.

“Stavo pensando a lui; mi ha dato una seconda chance come genitore, ed io…cazzo, io ho più di cinquant’anni. Dovrei comportarmi da adulto che riconosce l’errore del figlio e lo perdona…invece, ho ragionato da adolescente a cui hanno rubato la fidanzata”

“Ti sei sentito tradito, è normale reagire così! Però è anche vero che quel ragazzo ha sofferto dell’assenza di amore, e merita di riceverne. Soprattutto da te che sei il suo modello di vita!” – aggiunge la gitana, accoccolandosi al petto del marito, tentando di intervenire, spezzando una lancia a favore del figliastro.

Prima che la nave gettasse l’ancora, il saldatore chiede ai Dalì un ultimo favore.

Scende rapidamente, raggiungendo i Johnson, prossimi ad andare via.

“Aspettate!” – grida, correndogli incontro.

“Cosa succede?” - domanda preoccupato Adam, appena salito su una delle automobili lasciate nei parcheggi dai Dalì.

“Vorrei mi faceste un piacere” – e così spiega alla coppia di amici le sue intenzioni, con parole brevi e concise.

Sotto lo sguardo confuso e sospettoso dei compagni di banda, Bogotà risale a bordo della nave.

“Ora possiamo andare!” – comunica, sedendosi di fianco a Nairobi.

Scruta la situazione notando le singole coppie appartarsi per godere di minuti di relax e di intimità. Poco distante dalla postazione che occupa assieme a sua moglie, guarda, fiero la sua numerosa prole e, dando un dolce bacio sul collo della gitana, confessa – “Non potevo sognare un futuro più roseo di questo. E se accadrà quanto spero, avrò realizzato ogni mio sogno”

“Ti riferisci ad Emilio? Cosa hai detto ai Johnson?”

“Rivoglio mio figlio con me, e loro faranno da tramite”

La partenza è immediata e la grande squadra del professore si allontana, in mare, pronta ad una nuova avventura, una nuova copertura, una nuova speranza di salvezza.

 

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Capitolo 37
*** 37 Capitolo ***


Sono trascorse ore da quando la nave dei Dalì ha preso il largo.

Nessuno di loro sa cosa li attenderà da adesso in poi, convinti soltanto che la vita da fuggitivi continuerà in eterno.

Il professore, però, ha nelle mani il loro futuro, una carta vincente che concederà la libertà a tutti.

“Ricordate quando vi ho detto che tra qualche anno, sareste potuti tornare a Perth?”

“Si, e saperlo mi rincuora, visto che i bambini sono nati e cresciuti lì, è quella casa loro” – risponde Rio, riferendosi alla sua famiglia e a quella di Bogotà e Nairobi.

“Antonio Garcia è stato un poliziotto di fama notevole, e mi ha garantito la nostra assoluta salvezza. Però, ha precisato che ci saremmo dovuti allontanare, almeno per un po'. Al momento giusto, la polizia troverà documenti importanti e diventeremo, da ricercati quali siamo da quasi quindici anni, ad alleati dei servizi segreti australiani”

“Che?” – esclama, spiazzato, il saldatore, distogliendo l’attenzione da Sebastian che, assonnato, si è accoccolato al suo petto.

“A tempo debito capirete”

“Credo che sia questo il momento, professore” – interviene Tokyo, vogliosa di saperne di più – “Basta con i segreti, parlate chiaro una volta per tutte. Allora…? Cosa è che dobbiamo sapere?”

Di fronte alla solita mania di Silene di essere al corrente di ogni dettaglio, Sergio decide di spiegarsi - “Teresa Perez era una ricercata da anni e sulla sua cattura vari potenti mondiali si contendevano la vittoria”

“Più ricercata di noi Dalì?” – chiede Rio, spiazzato nello scoprire che esisteva qualcuno maggiormente a rischio rispetto alla Banda.

“Lei era un capo dei loschi affari, di traffici illegali, di denaro sporco, di droga, di cose di cui è meglio non parlare in presenza di minori…” – è ciò che precisa il Marquina, seguito dall’ennesimo tic agli occhiali.

“E quindi, il punto della questione qual è? Mi sto perdendo!” – Helsinki, preso dall’insegnamento di una canzone serba ad Alba e Ginny, non segue il discorso ed interviene senza capire nulla di quanto detto.

“Ecco, concludo…” – puntualizza il capo dei Dalì, quasi a volersi scusare del tergiversare – “Abbiamo aiutato Perth, e lo stato australiano, a catturare la donna più pericolosa del mondo”

“Cazzo! Peccato che abbiamo dato loro un cadavere...” – commenta Denver.

“Non preoccuparti. La presenza di Antonio Garcia e la sua morte lasciano intendere un confronto tra loro, conclusosi nel peggiore dei modi. E anche se un cadavere, quella è Teresa Perez, quindi hanno catturato chi era nei loro obiettivi”

“Ok, e noi, se il discorso è questo, cosa c’entriamo? Cioè, la polizia potrebbe dedurre che è stato Garcia a catturare la Perez. Non noi. Cosa ci scagiona dalla cattiva fama?” – la riflessione di Monica sorge spontanea.

“Giusto, ottima osservazione Stoccolma!” – puntualizza il Prof, aggiungendo – “I documenti di cui vi ho accennato servono proprio a questo!”

“Quindi, ci stai dicendo che abbiamo in mano la libertà?” – l’idea di poter vivere come un tempo, prima di diventare una criminale agli occhi delle istituzioni, accende la speranza di Nairobi, che, alzandosi in piedi, non trattiene la gioia.

“Esattamente” – risponde Sergio, accennando un timido sorriso.

“Ma qui bisogna brindare, cazzo!” – Denver, euforico, non si contiene e si allontana correndo, attirando su di sé gli occhi dei presenti che, nel mentre si abbracciano e si commuovono per l’immensa felicità.

I figli di Bogotà partecipano a quella allegria, sentendosi vicini anche ai Gonzales che intervengono con un applauso per festeggiarli.

“Ecco qui, amici miei! Brindiamo alla nostra libertà!” – Daniel Ramos si unisce nuovamente al gruppo, con in mano una bottiglia di spumante.

“Servono dei bicchieri!” – puntualizza la Gaztambide, adoperandosi nell’immediato, seguita da Hanna ed Ivana.

“E anche un po' di musica” – aggiunge Rio, motivando i presenti a ballare e divertirsi.

“Ci penso io” – alza la mano Axel.

“Sicuro che senza rete internet possa funzionare?” – domanda Raquel al ragazzo, estasiata nel vederlo all’opera.

“Tranquilla, cara Lisbona! Ho una playlist memorizzata” – e così dicendo, il gitano dà il via alla festa.

Tra musica, champagne e allegria, i Dalì abbracciano un imminente futuro, un futuro dai colori brillanti, un futuro di sogni realizzati e di meritata felicità.

********************************

“Ehi, si sono addormentati?” – chiede Bogotà a Nairobi, raggiungendola nella cabina dove sono sistemati alcuni letti e dei sacchi su cui i Dalì avrebbero potuto riposare.

Agata, rimboccando la coperta ad Alba, dà conferma al marito.

“Menomale, pensavo che con tutto quel trambusto, guardando gli zii Denver e Rio ubriachi persi, non avrebbero preso sonno. Invece…”

“Invece sono crollati, tutti e tre. Tu piuttosto? Sarai esausto, è stata una giornata infernale” – precisa la Jimenez, avanzando verso di lui. Si avvinghia al suo collo, giocando con i suoi capelli.

Bogotà le avvolge i fianchi, quasi frenato dal toccarla.

“Che ti prende? Vuoi che sia di nuovo io, come dodici anni fa, a darti il permesso di scendere più giù?” – Nairobi ridacchia, ricordando quel momento, quando trascinò la mano di Bogotà sul suo sedere, permettendogli di godere di qualcosa che lui avrebbe sognato di fare dal primo momento che la vide.

“Credo di conoscere bene il tuo corpo, adesso” – si imbarazza, mostrandosi ancora più innamorato del periodo della loro conoscenza. E con delicatezza, la sua mano si adagia, non sul fondoschiena, ma sul viso della donna.

L’accarezza con una tenerezza tale da far tremare il cuore di Nairobi e ricordarle la forza dei sentimenti che nutre per quell’omone grande e grosso e super sensibile, quei sentimenti che nessuno potrà mai distruggere.

“Mi sei mancato da morire” – gli sussurra – “Perdonami per quanto accaduto”

“Basta, dimentica le scuse e gli ultimi giorni che abbiamo vissuto. Adesso siamo noi due, con i bambini e tutti i nostri figli, non possiamo desiderare di meglio”

“Sicuro che non desideri qualcosa di meglio, in questo momento?” – lo stuzzica la gitana, affondando le sue dita nella folta barba del marito, fissandogli le labbra in attesa di ricevere un bacio da toglierle il fiato.

E Bogotà afferra subito il doppio senso, arrossendo, riconoscendo una forte nostalgia patita per l’assenza di quel modo di fare passionale di sua moglie.

“Sarà la prima cosa che faremo appena avremo una casa tutta nostra…e prega Dio che non avremo i Dalì sotto il nostro stesso tetto!” – ridacchia poi – “Perché ci supplicheranno di smetterla”

La battuta bollente del saldatore spiazza Agata che, però, sorride maliziosa.

Da un attimo di riferimenti agli attimi intimi che li attendono, si passa invece a parole di immensa dolcezza. Ed è la gitana a pronunciarle - “Ti amo” - facendole seguire da un bacio che, se non fosse stato per la circostanza limitata, sarebbe sfociato in altro.

“Anche io, ti amo da impazzire! E ti sposerei cento, mille volte, per ricordarti quanto sei importante per me”

Un discorso talmente romantico, a tratti erotico, che mostra tutti i lati amorosi di una coppia che ha costruito una relazione su basi stabili, vogliosa di un futuro roseo e di una famiglia numerosa e forte, una coppia che, però, con la sparizione di Ginny, con il crollo di ogni certezza, ha perduto la propria stabilità, ritrovandosi solo ad oggi più innamorata che mai.

Mentre Bogotà e Nairobi continuano a coccolarsi e regalarsi amore reciproco, è il sonno disturbato di Ginevra a riportarli alla realtà.

La bambina comincia a muoversi e a urlare parole senza senso.

“Amore, stai calma! Ci siamo noi qui” – le dice la Jimenez, sedendosi di fianco alla piccola.

E il saldatore fa lo stesso, prendendole una mano.

A quel punto è un nome che spiega lo strano sogno.

“Maestra Honey! Hai sentito anche tu? È la causa del suo incubo” – fa notare Agata, avendo udito l’appellativo della sorellastra, ormai morta, ormai parentesi di vita chiuso per sempre.

O meglio, è ciò che si sperava fino a quell’istante.

Improvvisamente, la piccola si sveglia, sudata e con gli occhi spaventati.

La sua fortuna è trovare vicino i genitori che non esitano a stringerla e tranquillizzarla.

“Tesoro, è stato solo un brutto sogno. Va tutto bene” – Bogotà le dà un bacio sulla fronte.

Le danno dell’acqua, l’abbracciano, le mostrano la loro presenza. Questo aiuta Ginevra a superare lo spavento.

“Ho sognato che la maestra Honey mi portava lontano”

“Tu non le volevi bene?” – domanda la gitana, spiazzata che sua figlia, infatti, avesse un incubo con protagonista una persona di cui si fidava.

“Dopo che ho saputo che ha rapito Axel l’ho immaginata diversa. Ho sognato che aveva una pistola… e poi…” – inizia a piangere, accoccolandosi al petto della mamma.

“Sappi che non accadrà niente. La maestra Honey non la vedrai mai più” – e dopo essersi distesa di fianco a sua figlia, Nairobi le canta una ninnananna, così da aiutarla a riaddormentarsi.

E proprio quando sente il respiro di sua figlia, ormai caduta tra le braccia di Morfeo, la falsaria commenta con suo marito circa la morte di Teresa Perez.

“Chissà cosa sarà davvero accaduto tra quei due!”

“Sarà un mistero che non potremmo mai risolvere!”

“L’importante è che sia tutto finito, per sempre” – conclude Nairo, prima di chiudere gli occhi e seguire le orme dei suoi bambini, cedendo al sonno.

Il tutto mentre i festeggiamenti dei Dalì continuarono fino all’ultima goccia dell’ultima bottiglia di champagne custodite nel frigobar.

********************************

Ma cosa è davvero accaduto tra Antonio Garcia e Teresa Perez nei minuti che precedettero la loro morte?

 

FLASHBACK

 

“Come mai hai ordinato ai tuoi uomini di lasciarti sola? Dimmelo, stai tentando di morire?”

“Stai zitto!!!” – ripete più volte la Perez.

“Fino a che punto sei disposta a spingerti pur di vincere? Eh?”

“Adesso basta!” – dice, caricando il grilletto, pronta a lanciare un proiettile verso il nemico numero uno.

“Forza, che aspetti!? Spara…spara ho detto!” – il poliziotto alza le braccia e si pone di fronte al suo cecchino.

Teresa non ha notato l’assenza dei Dalì, fuggiti in quel preciso momento, corsi verso la libertà, verso il the end di una storia da cui credevano di non uscire vittoriosi.

“Ti ho detto di spararmi, sono stanco di questa vita!” – insiste Garcia.

Ma nella testa di Teresa si affollano tanti pensieri, e una scarsa lucidità.

Presa l’arma, cambia direzione di quella pistola, puntandola verso se stessa.

“Cosa cazzo stai facendo?” – Antonio, l’aveva provocata, eppure mai avrebbe scommesso sul fatto che quella pazza si sarebbe autoeliminata. Per di più, non era tra i suoi obiettivi di vita vederla morta; piuttosto mirava a catturarla per farle scontare un ergastolo, come meritava.

“Quello che avrei dovuto fare tempo fa”

Sotto lo sguardo esterrefatto dell’ex poliziotto, si consuma un suicidio che mette un punto a un passato doloroso, e lascia volare via l’anima di una donna che paga così il conto con il dolore, con la sua coscienza, con la gente a cui ha recato male, e con sua figlia, alla cui ha dato la vita, per poi strappargliela ingiustamente.

Scioccato dall’immagine di una Boss così forte e di ghiaccio, piegata alla sofferenza e giunta ad uccidersi, Antonio, con mano tremante, invia un messaggio al Professore, e toglie la pistola dalle mani di quello che è ormai un cadavere.

“Cosa faccio ancora in questo mondo se non ho più ragioni per vivere?”

Né una figlia da vendicare, né una criminale da acciuffare… per di più una gamba inutile, un lavoro inesistente. Gli resta la fama e il successo accumulati negli anni… certo di lasciare un segno nella storia di molti, e felice di aver aiutato i Dalì, punta l’arma contro il suo cuore e saluta il mondo.

Un colpo…

Due colpi…

Corpi a terra, trovati poco dopo dalla polizia che leggono chiaramente l’SMS che Garcia scrisse a Sergio, un contatto numerico di cui ignorano l’esistenza. Un contatto di cui Marquina si è disfatto immediatamente, sapendo la possibile rintracciabilità.

“Grazie di cuore, Antonio!” – è la frase che il Professore rivolge all’amico che ormai sa essere nell’aldilà, quando legge il suo ultimo messaggio.

****************************************

 

Ai Dalì viene concessa una nuova chance di vita, per merito di chi ha perso molto negli anni ma si è guadagnato un posto d’oro in cielo, un posto accanto a sua figlia Anastasia, e un posto nel cuore di gente che lo custodiranno per sempre nei ricordi grazie al sacrificio ultimo che ha garantito loro la libertà.

 

 

 

IL PROSSIMO CAPITOLO SARA’ L’ULTIMO, SONO GIUNTA ORMAI ALLA CHIUSURA DI QUESTA STORIA A CUI MI SONO AFFEZIONATA, FORSE PIU’ DI TANTE ALTRE CHE HO SCRITTO NEGLI ANNI.

BUONA LETTURA, E AL PROSSIMO CAPITOLO 😉 PER I SALUTI FINALI.

BESITOS A TODOS.

 

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Capitolo 38
*** 38 Capitolo ***


La traversata in mare è lunga e permette ai Dalì di approfondire la conoscenza dei Gonzales, risultati essenziali per la vittoria contro Teresa Perez.

Alle prime luci del giorno, dopo una nottata di feste e alcool, la Banda si concede qualche ora di ristoro.

Ed è proprio quando i grandi si addormentano, che, al contrario, i bambini si risvegliano e cercano attenzioni.

Carmen Gonzales decide di rendersi utile distraendo i nipotini con dei passi di danza che pratica, per i suoi settant’anni e vari acciacchi fisici, con strabiliante disinvoltura.

Alba, amante del ballo, passione di famiglia Jimenez, osserva la nonna, estasiata da qualcosa di nuovo e di affascinante.

“Si chiama flamenco!” – spiega loro l’anziana gitana, mostrando alcuni movimenti.

In tale istante, Jorge intona, servendosi solo della sua voce, una melodia che accompagna, a ritmo di mani, il dimenarsi della moglie.

Nella cabina, dove dormono i Dalì, Ivana e Hanna si svegliano per prime e optano per raggiungere la zingara e allietarsi guardando la sua danza. Sono incuriosite e partecipano subito al momento di svago.

Quei suoni sono ben noti al mondo intero, data la fama del Flamenco. Ovviamente questo vale, soprattutto, per gli spagnoli. Infatti, anche le altre donne non rinunciano ad una bella lezione e ad apprendere quanto possibile di quel ballo affascinante e tipicamente latino.

Così Lisbona e Stoccolma si uniscono al gruppetto, pronte ad imparare.

Tokyo, invece, svegliata dal pianto di Santiago, nota immediatamente Nairobi seduta sul letto, di fianco al marito, con lo sguardo piuttosto spento.

“Ehi, che ti prende? Non ti senti bene?”

Agata scuote il capo, voltando, dal lato opposto, il viso, per non mostrare alcune lacrime che insistentemente continuano a bagnarle le guance.

“Amica mia, credevo fossi felice. Guarda che siamo quasi arrivati alla meta. Manca pochissimo ormai”

“Certo che sono contenta!”

“Come mai piangi, allora?” – Silene ha dei sospetti, conosce fin troppo bene quella che considera una sorella, e ritiene che ad essere responsabile di quel malumore sia proprio la presenza di Carmen Gonzales – “E’ per tua madre?”

“Quella musica, quella danza…cazzo, mi ha riportata indietro negli anni” – sbotta la gitana, riferendosi al chiasso udito.

“Vieni, andiamo in un posto appartato, così mi racconti”

Tokyo invita Nairobi porgendole una mano, e le due si siedono a pochi passi dalla postazione del capitano.

Sole con la loro intimità, possono finalmente parlare.

“Sfogati, liberati del peso che ti sta opprimendo! Ti conosco come le mie tasche, e so che stai nascondendo, dietro un falso sorriso, la tua frustrazione!”

“Quella donna era tra le migliori ballerine del mio quartiere, sai? Incantava tutti quando si dimenava a ritmo di musica flamenca. Io ho imparato ciò che so, solo guardandola”

“Scommetto che sei bravissima!”

“Non ballo più da anni ormai. Ho smesso di farlo quando ho volutamente rimosso ogni legame con una famiglia che non mi ha mai amata!”

Guardandola tanto fragile, la Oliveira le ricorda quanto sia stata in gamba ad accettare la richiesta dei bambini.

“Hai un cuore enorme, amica mia! Hai dato priorità ai tuoi figli, concedendo loro la possibilità di conoscere la loro nonna, nonostante ti faccia più male di quanto pensassi”

“Da un lato, vorrei tanto dimenticare e voltare pagina, eppure, dannazione…faccio fatica! Sentire la sua voce, e quella di Jorge, tocca corde profonde che mi riportano indietro nel tempo” – confessa Nairobi, amareggiata.

Tokyo comprende a pieno il sentimento contrastante di Agata, avendo vissuto anch’essa una situazione difficile con un genitore che amava ma che era pronta a “venderla” alla polizia - “Ricordi il momento in cui ho scoperto della morte di mia madre? Finsi totale indifferenza”

“Certo che sì! Poi, però sei esplosa riconoscendo un dolore che credevi non esistesse. E questo perché, in fondo, quella era la donna che ti ha dato la vita, che ti ha cresciuta, e a cui volevi bene”

“Esattamente. Guarda la tua situazione da questo punto di vista. Cosa sentiresti sapendola perduta per sempre?”

“Il discorso non è lo stesso, Toky” – replica Nairobi, cosciente che Carmen Jimenez, a differenza della signora Oliveira, non agì da criminale verso sua figlia.

“Lo so, dico soltanto di tentare… immagina la scena. Chiudi gli occhi. Pensa che qualcuno ti telefoni o ti riferisca della morte di lei. Cosa sente il tuo cuore di fronte a ciò? Troveresti risposte importanti, che magari, ora, credi impossibili! Io ho finto di fregarmene, ma è durato poco… non potevo negare chi fosse mia madre e quanto amore nutrissi nei suoi riguardi, nonostante tutto! Sono sicura che per te è lo stesso!”

La gitana non replica, però decide di seguire il consiglio dalla compagna di banda. E lo fa  decisa a confermare la propria tesi, ovvero che semmai la Gonzales fosse morta, a lei interesserebbe poco, se non addirittura nulla.

Appena serra gli occhi, la prima immagine che focalizza è se stessa, con delle valigie, e con Axel, di soli due anni, nel passeggino. La scena dell’addio ad un genitore che nascose e coprì i misfatti del marito contro un bambino innocente.

“Cosa vedi?” – le chiede Tokyo, in veste di psicoterapeuta.

“Qualcosa che fa male. Malissimo, direi” – commenta Agata, mentre scene simili scorrono nella sua testa e si presentano come fulmini a ciel sereno per ricordarle di un passato sofferto.

“Basta, non me la sento di continuare. Vedo solo cose che non dovrei vedere. Le avevo cancellate per la mia salute mentale ed emotiva” – la Jimenez apre gli occhi proprio allora, scuotendo la testa frastornata dai ricordi.

“Cerca di fare chiarezza con i tuoi reali sentimenti, amica mia. È l’unica soluzione per superare questo tuo disagio” – le dice Silene, mostrandosi per una volta più matura di Nairobi, offrendole dei suggerimenti e una spalla a cui appoggiarsi in ogni momento.

La loro chiacchierata intima viene interrotta dall’arrivo di Stoccolma e Lisbona.

“Che fate qui, ragazze? Venite, che ci si diverte” – dice la Gaztambide.

Raquel appoggia la compagna di squadra. Così, tutte e quattro, sottobraccio, si avvicinano al gruppetto femminile, radunato attorno alla gitana che danza il flamenco.

E appena Carmen nota sua figlia, emozionata, le sorride, invitandola ad unirsi a lei.

Agata, combattuta nel darle soddisfazione o porre resistenza, lancia uno sguardo alle figlie, che invece sono desiderose di guardarla ballare.

In pochi secondi, la falsaria si avvicina e comincia a dimenare fianchi, mani e piedi, mostrandosi addirittura più brava di sua madre.

Un’esibizione che incanta tutti.

Sebastiàn, intento a giocare in disparte con delle macchine telecomandate, si avvicina incuriosito e non appena riconosce sua madre e sua nonna danzare, getta via i giocattoli e corre verso la cabina dove Bogotà e company stanno dormendo profondamente.

“Papi, vieni a vedere come è bella la mamma che sta ballando!” – grida, svegliando bruscamente tutti.

Nairobi, nel giro di qualche minuto, diventa l’attrattiva della nave.

Nessuno riesce a distogliere gli occhi dall’arte pura.

E mentre le due Jimenez seguono una i passi dell’altra, è la falsaria a lasciare che la sua mente visualizzi le immagini suggeritele prima da Tokyo.

Tutto ciò che credeva di non provare verso quella donna, affiora con prepotenza.

Lei sta vivendo un momento con una madre, una persona che le ha recato male, ma che le ha donato anche attimi di gioia. E i flash di quando trascorrevano le ore a danzare, le regalano serenità. Flash che aveva inconsciamente archiviato.

Immagini continuano a susseguirsi, e la voce di Jorge e il suo “fare musica” da sottofondo, danno a Nairobi la prova che lei è in grado di chiarire con il passato.

Avrebbe impiegato tempo, lo sa…però ad oggi sente di potercela fare! Può superare il rancore, ed è decisa a farlo quanto prima!

Sotto lo sguardo scioccato e piacevolmente colpito dei presenti, al termine dell’esibizione, madre e figlia si guardano occhi negli occhi per alcuni secondi. Poi è la più giovane delle due ad abbracciare l’altra.

Un istinto che Carmen sa bene essere frutto della complicità trovata durante la danza. Conosce la caparbietà di sua figlia che, giustamente, non avrebbe lasciato passare il dolore in un battibaleno. Però quello è un buon passo in avanti per sperare in una riconciliazione.

“Grazie per questo gesto” – le dice la settantenne, approfittando del casino degli applausi dei Dalì per esternare la sua riconoscenza.

Nairobi non risponde con parole e accenna un timido sorriso. Con il cuore leggero, come non le capitava da tempo, ormai, la falsaria si allontana dal gruppo, isolandosi. Presa da un’ingestibile emozione, piange, sentendosi fortissima, nonostante le lacrime.

Su quella nave vuole lasciarsi tutto alle spalle, compreso il rancore cumulato negli anni, così da ricominciare da capo la sua vita.

Per dare inizio a qualcosa di nuovo, sente di dover vivere, per una seconda volta, quegli unici attimi felici che ha già vissuto. È da lì che ha intenzione di ripartire. E quei momenti di gioia immensa hanno a che fare con l’amore.

“Devo ripartire dal SI che ho promesso all’uomo che amo” – pensa tra sé e sé.

Improvvisamente, come uno scherzo del destino, è proprio Bogotà a raggiungerla, cingendole i fianchi e adagiando il mento sulla sua spalla.

“Amore mio, sei stata fantastica poco fa. Sappi che da oggi in poi voglio vederti ballare il flamenco ogni giorno” – le sussurra, dandole un dolce bacio sul collo.

“Da adesso in avanti vivremo il nostro meritato happy ending”

“Sei tu il mio happy ending!”

Quell’affermazione fa arrossire Agata, che avanza, solo allora, la sua proposta - “Posso chiederti una cosa?”

“Tutto quello che desideri” – risponde il saldatore con la solita smisurata dolcezza.

“Mi sposeresti per la seconda volta?”

Una proposta al femminile che spiazza l’uomo, il quale, commosso, la risponde con un bacio lungo e caldo, come caldi sono i raggi del sole che si posano su di loro e gli ricordano che l’alba è prossima e con essa è prossima la nuova vita che li attende.

**************************************

“Siamo arrivati, Dalì” – comunica il professore alla sua Banda.

Di fronte ai loro occhi c’è la terra che li accoglierà, una realtà, quella della Thailandia, che ospitò Sergio e Raquel per anni e che i due dovettero abbandonare in seguito alla seconda rapina, per ragioni di sicurezza.

Adesso quella diventa la casa di tutti.

“Chi sono quelli?” – chiede Ginevra a Tokyo, notando delle persone ferme a riva, che sembrano attenderli.

“La famiglia!” – risponde Silene alla bambina.

Ebbene sì. Il resto della Banda non presente alla missione di salvezza a Perth, ha soggiornato per giorni in quel luogo, in attesa di ricongiungersi con i parenti.

Impossibile non notare la presenza di due adulti, appartenenti alla Banda.

“Manila, Marsiglia! Che gioia rivedervi” – esclama, entusiasta, Nairobi.

“Finalmente!” – esclama Stoccolma, riferendosi ai figli a cui corre incontro. I suoi più grandi tesori, da cui si è dovuta allontanare giorni prima, sono una gioia per gli occhi.

“Siamo stati lontani poco tempo, però mi è sembrata un’eternità!”  - singhiozza emozionata, mentre avvolge i due, tra le sue esili braccia.

Le presentazioni sono immediate ed è Sergio a identificare la gente in questione.

“Ora sì che siamo al completo! Giovani membri, voglio che conosciate i pezzi ultimi di questa grande famiglia che è quella dei Dalì! Partendo da loro …” – i primi che avanzano, su richiamo di Marquina, sono la prole Ramos.

“Cincinnati? Sei davvero tu?” – esclama, sconvolto Bogotà, riconoscendo in un adolescente quel bambino di soli due anni che al monastero giocava con lui, vestito e truccato come un vero membro della Banda.

Lo abbraccia senza esitare, dandogli una pacca sulla spalla.

“E questa principessa?” – domanda Nairobi, notando una bambina all’incirca di sei anni dai capelli ricci e biondi.

“Lei è Kiev!” – risponde Denver, fiero della figlia avuta dalla relazione con la moglie.

“Non è difficile immaginare che sia tua figlia. Vi somigliate tanto” – sostiene Rio, notando nella solarità della minore il tipico tratto caratteriale dell’amico.

Infatti, Kiev non impiega molto a prendere confidenza con persone sconosciute.

Tutto l’opposto di un altro bambino, nascosto dietro le gambe di Manila.

“Lui è Tristan” – spiega Raquel, indicando suo figlio.

“Ecco l’esatta fotocopia del Professore” – commenta Palermo – “Però noto in lui qualche somiglianza con Andrès!”

“Sempre il solito nostalgico!” – afferma Helsinki, a tratti ingelosito dal ricordo di Berlino e dell’amore del suo fidanzato verso il fratello del prof.

“Gordo, io amo solo te! Lo sai già!” – e così dicendo, Martìn riceve subito il perdono del serbo.

È Manila ad intervenire ricordando la fatica di quella settimana, durante la quale ha dovuto conquistare la fiducia di Tristan, e gestire Cincinnati e i suoi colpi di testa, i pianti di Kiev.

Poi, però, precisa – “Fortuna che Paula è stata al mio fianco. Senza di lei, sarebbe stato complicato”

Paula, figlia della Murillo, ormai vent’enne è oggetto di commenti di alcuni figli di Bogotà che non riescono a non farle complimenti.

E mamma Raquel, udendo le battutine, interviene ricordando loro - “Ehi, ragazzini! Placate l’ormone, vi ricordo che siete in mia presenza”

“Perdon, ispettrice” – esclamano in coro Drazen e Yaris, i diretti interessati dalla ramanzina.

Tutto ciò accade mentre Marsiglia, in compagnia del suo labrador bianco, attira l’attenzione dei bambini, interessati più al cane che alla sua conoscenza.

“Hai trovato l’amore, amico?!” – lo prende in giro Denver, sapendo del legame del “muto” con il famoso cane rimastogli fedele fino alla morte.

“Ne ho trovati tanti!” – risponde l’uomo, non reagendo allo scherzo, ma mostrandosi molto più sciolto di anni prima – “Questo è solo uno dei molti che ho in casa”

“Mamma, ne prendiamo uno anche noi?” – chiede Alba alla falsaria, riferendosi al cucciolo.

“Ti piace?” – domanda Marsiglia alla bambina, iniziando un discorso sull’importanza di avere un animale domestico e sull’amore che i cani regalano gratuitamente agli uomini.

Mentre ascoltano la conversazione, Sergio torna all’argomento centrale in seguito alla domanda posta, curiosamente, da Tokyo.

“Come mai questo nome, professore? Perché hai scelto Tristan?”

“Già, io avrei giurato che avresti dato ad un tuo erede il nome di una città!” - riflette Rio, sorpreso.

“E lo è! Cari i miei Dalì, devo darvi lezioni di geografia durante la permanenza qui” – sostiene il capo della banda, spiegando che quello è l’appellativo di un arcipelago dell’Oceano Atlantico.

“Per carità, basta studio, prof! Adesso che siamo liberi, concediamoci solo spensieratezza. E direi di iniziare con un bel bagno in mare, chi è con me?” – propone Ramos, non intenzionato a dover imparare altre nozioni.

Tra risate e ritrovata complicità di gruppo, la famiglia dà inizio alla vita che li attenderà.

Di fronte a tanta gioia, Bogotà e Nairobi decidono di comunicare alla Banda la lieta notizia.

“Abbiamo deciso di rinnovare le promesse di matrimonio, quindi…ci sposeremo, di nuovo, assieme a voi, con i bambini che faranno i paggetti e le damigelle. Insomma, delle nozze da favola” – rivela Agata, emozionata come fosse la sua prima volta.

In quel modo rende partecipe perfino Carmen e Jorge che possono sentirsi parte di una grande festa e vivere di un momento speciale a cui, anni addietro, non parteciparono.

“Io mi occupo degli addobbi” - dice Stoccolma.

“Io della musica” – aggiunge Rio.

“No, ti prego, amico mio! Valuta bene le canzoni, ti supplico” – commenta Bogotà, riferendosi ai pessimi gusti di Anibal.

“Io invece sarò l’addetta al rinfresco” – afferma, fiera, Raquel, invitando sua figlia a darle una mano.

E così, di fronte a un’intera squadra, pronta a mettersi per l’ennesima volta in moto, ma per una vicenda finalmente felice, Nairobi e Bogotà si apprestano a pronunciare un SI per l’eternità.

IL PROSSIMO SARA' IL "THE END" CHE SPERO VI PIACERA'!
INTANTO RINGRAZIO CHI HA SEGUITO LA MIA STORIA, CHI HA RECENSITO E ANCHE CHI HA SOLO LETTO.
UN GRAZIE SPECIALE ALLE MIE DUE AMICHE, SEMPRE PRESENTI, CHE MI HANNO SOSTENUTA SEMPRE... CHICAS DE MI CORAZON, QUESTA FANFICTION E' STATA POSSIBILE ANCHE GRAZIE A VOI! VI VOGLIO BENE
A PRESTO
BESITOS A TODOS
IVY

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Capitolo 39
*** THE END ***


Un mese dopo l’arrivo in Thailandia, è tutto pronto per la cerimonia.

Quel dì a svegliare Nairobi dal suo sonno sono i bambini, euforici e chiassosi più del solito.

Le donne dei Dalì, invece, si occupano di capelli e make-up, attente ad ogni dettaglio, e aiutano la gitana ad indossare un abito color crema, delicato e raffinato, cucitole per l’occorrenza da mani esperte di sarte del luogo. Perfino Carmen Jimenez partecipò nella realizzazione del vestito, riconoscendo nei gusti di sua figlia molte somiglianze con i suoi.

Bella e radiosa, Agata Jimenez percorre, a piedi nudi, sulla sabbia di quella immensa spiaggia, lì dove giunsero con la nave ben trenta giorni prima, i metri che la separano dal saldatore.

E Bogotà, fermo, immobile, fiancheggiato da una lunga schiera di figli, osserva l’immagine della felicità: la sfilata dei piccoli, Alba, seguita dai gemelli, da Kiev e Tristan, mano nella mano.

Infine, eccola lì…la sua Nairobi.

Difficile dimenticare quando le sussurrò, tanto tempo prima, di immaginarla vestita di bianco che lo raggiungeva all’altare.

Sembra ieri quando ciò accadde. Ora la storia si ripete, affiancati da gente che si ama partecipe di quella gioia.

La Jimenez non è sola quando cammina incontro al suo compagno.

Carmen e Jorge, le persone che non avrebbe mai pensato di poter tollerare nella vita, l’accompagnano, in veste di genitori, come normalmente si è soliti fare alle cerimonie religiose, con la concessione della propria figlia nelle mani del suo futuro sposo. Una sensazione che la settant’enne ha vissuto quando concesse Agata al marito, il papà di Axel.

Una sensazione che non aveva affatto la stessa magia e le stesse sensazioni di questa.

Con il battito accelerato, la falsaria si unisce a Bogotà, realizzando insieme a lui il sogno di tutta una vita.

In presenza delle persone che amano, pronunciano le promesse espresse anni addietro, quelle di esserci sempre l’uno per l’altra, di non allontanarsi più, di viversi giorno dopo giorno.

Eppure, l’affermazione pronunciata dalla coppia che spiazza i presenti è che si sarebbero impegnati ad accogliere anche altri nuovi membri in famiglia.  

“Scusate, intendete dire…altri figli? – Denver è spiazzato e commenta – “Amico mio, direi che ne hai abbastanza, no?”

“Nairo, ci stai dicendo che sei incinta?” – Tokyo, incredula, è pronta a gettarsi al collo della gitana per congratularsi.

Però sono gli sposi stessi a porre un freno all’euforia generale.

“No, calma, calma. Non intendevamo questo che state pensando!” – dice la donna, ridendo di fronte a chi pare la voglia sempre in dolce attesa.

“Direi che undici eredi sono più che sufficienti” – spiega il saldatore, includendo Axel tra i suoi figli di sangue.

“Undici? Ma siamo in dieci, papino” – riflette Seba.

A quel punto, Agata invita la persona, isolata e poco notata, ad avanzare.

Nessuno si accorge di costui fino a quel preciso istante.

E sono le sorelle, Ivana e Hanna, a esclamare, a gran voce, il suo nome – “Emilio!”

In fondo il saldatore promise a se stesso di mettere da parte il rancore e di recupere la relazione con il primogenito.

E così fece.

Accolto con entusiasmo dall’intero gruppo, il ventisettenne si riunisce alla famiglia, abbracciando suo padre in primis e la Jimenez subito dopo.

“Bentornato in famiglia, tesoro” – conclude Bogotà, commosso.

Tra applausi e lacrime di gioia, la coppia viene festeggiata come merita, convinta che mai più niente possa distruggere tale felicità.

La sola cosa che, a detta dei giovani Dalì, è ignorata dagli adulti è la nascita di due coppie amorose tra i membri young della squdra.

“Dite che conviene rivelarlo? Ci uccidono se lo scoprono” – sussurra Paula ai tre, appartati con lei, fuori dalla grande villa che ospita la festa nuziale.

“Penso che stiamo esagerando, in fondo non facciamo niente di male” – risponde Ivana.

“Parla per te, sorellina! Se Raquel scopre di me e sua figlia, come minimo mi spara” – Julian si pronuncia con una battuta che fa sorridere la vent’enne che gli è accanto e che gli prende la mano.

“Calma e sangue freddo, famiglia! Sono certo che capiranno” – interviene Axel, guardando Varsavia.

“Non potevamo non innamorarci, giusto?” – le domanda, regalandole un sorriso che l’ucraina tanto adora.

Se c’è una cosa che quei quattro giovani fanciulli non hanno tenuto in considerazione, è l’arguzia notevole del Professore.

Impossibile non captare la chimica tra le due coppie.

E a farlo presente qualcuno giunto in tale istante.

“Ehi, voi quattro che fate qui?” – la voce di Marsiglia, con a spasso il suo labrador, fa sobbalzare i ragazzi.

“Ehm, Marsiglia, da quanto sei qui?” -  domanda, imbarazzato, Julian.

“Sono uscito per fare una passeggiata con Bernardo”

“Sei ancora convinto di voler dare quel cane a mamma e Bogotà?” – chiede Axel, trovando un modo per cambiare discorso sull’argomento “Cosa ci fate voi qui”.

“Ovviamente sì. Alba, Ginevra e Sebastiàn amano Bernardo, e Bernardo ama loro. Perciò vivrà bene con loro” – afferma, convinto, l’ex sicario.

Poi, però, cogliendo una certa tensione nell’aria, suggerisce loro di rientrare perché a breve avrebbero mangiato la torta.

E quando i giovani sono prossimi alla porta d’ingresso, sollevati dal non aver alimentato sospetti, è proprio l’uomo, ridacchiando sotto i baffi, a commentare – “Sappiate che abbiamo vissuto l’amore prima di voi, e abbiamo capito che vi siete fidanzati!”

“Eh?” – esclamano in coro, imbarazzati.

“Basta segreti, credete che il Prof non abbia sospetti? I vostri genitori sanno tutto. Non abbiate timore, vi vogliono bene, non potrebbero mai arrabbiarsi!” – conclude, preparando i giovani al confronto con i grandi.

Così, una volta raggiunta la sala dei festeggiamenti, sentendo gli occhi puntati addosso, è Axel, da bravo figlio della Puta Ama, a prendere parola – “Vorremmo dirvi una cosa importante”

E quel gesto basta ai Dalì per capire il messaggio, ed apprezzare il coraggio nell’affrontarli.

“Tranquilli, ragazzi! Vi diamo la nostra benedizione” – e chi si espone in primis è Raquel, guardando soprattutto Julian e dicendogli – “Però mi raccomando a non far piangere la mia Paula” – afferma sorridente e felice per sua figlia.

Ovviamente anche Nairobi e Bogotà hanno qualcosa da dire ai rispettivi figli.

“Certo, mai avrei pensato che da fratellastro e sorellastra quale siete, vi sareste innamorati. Però è pur sempre amore. E se voi siete felici, lo siamo anche noi”

Con un abbraccio, la sposa accetta la relazione, per spostare lo sguardo sul saldatore, alquanto spiazzato dal fatto.

“Era inevitabile che ciò accadesse, mi amor” – puntualizza, cercando di avere una reazione dal consorte, rimasto stranamente in silenzio.

“Perché dici questo?”  - e infatti, dopo l’osservazione di Nairobi, Bogotà torna in se, e apre bocca.

“Axel e Ivana sono esattamente come me e te. Mi piace l’idea che il legame che ci unisce supera ogni limite. Non solo io e te ci siamo innamorati, ma si sono innamorati anche i nostri rispettivi figli. Non dubitare che tra le nostre due famiglie ci sia un filo che non si spezzerà mai, perché loro sono l’esempio perfetto di tutto ciò”

“Hai ragione! Siate felici, figlioli!” – ed è proprio lo sposo a proporre il brindisi.

“A cosa brindiamo?” – domanda Nairobi al saldatore.

C’è tanto per cui vale la pena brindare: si brinda alla libertà, ai piani estremi di salvataggio del Professore, alle idee a volte pericolose di Palermo, alla leadership di Lisbona e a quella di Nairobi, alla tenerezza di Stoccolma e alla sua pazienza nel sopportare Denver, ai colpi di testa di quest’ultimo, all’impulsività di Tokyo e Rio e al loro amore, alla forza di Helsinki, alla squadra dei giovani Dalì, a Bogotà e alla sua tenacia…ai bambini, nello specifico a Ginevra, vittima di una brutta storia, conclusasi nel migliore dei modi, una piccola di soli sette anni divenuta la catena che ha unito i Dalì per la terza volta, e per sempre!

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Ciò che accadrà da lì in poi, nel giro di ben cinque anni, segna il finale perfetto per una Banda, divenuta famiglia, che torna alla libertà di un tempo.

Cinque lunghi anni durante i quali alcuni dei figli di Bogotà tornano nelle loro città, cominciano carriere lavorative e vivono le loro esperienze di crescita. Figli che non esiteranno a tornare, ogni qualvolta ne avranno voglia.

Cinque anni di amore e amicizia, divenuti giorno dopo giorno, sempre più forti.

Cinque anni in Thailandia che culminano con l’arrivo di un’importante comunicazione.

Quella che il prof attendeva dal giorno della fuga da Perth.

“Da oggi potrete tornare in Australia” – comunica, riferendosi nello specifico alle coppie che hanno vissuto lì – “Abbiamo ottenuto il via libera per riprendere le nostre vite di sempre!”

Seppure quella è una decisione sofferta, Nairobi e Bogotà, così come Tokyo e Rio, decidono di rimettere piede nella città che li ha ospitati per ben dodici anni.

Perfino i Gonzales optano per seguire i parenti in Oceania, non intenzionati a separarsi mai più. Dopotutto, Carmen ha faticato sodo per riconquistare la fiducia di Agata e ora che l’ha ottenuta, non vuole perderla di nuovo.

“Bentornati a casa!” – comunica Bogotà ai figli, quando aprono la porta della loro ben amata villa Sanchez.

Adam e Carmen Johnson si impegnarono nel tenerla in debita cura e pulizia. E quando i Dalì vi rimettono piede, si trovando davanti agli occhi la stessa identica situazione lasciata ben cinque anni prima.

“Merito di mia moglie che ricordava per filo e per segno come era disposto tutto” – precisa l’australiano, lusingando la madrilena consorte.

Ma le sorprese non finiscono qui.

All’indomani del loro arrivo a Perth, il saldatore e la sua famiglia ricevono la visita inaspettata di Axel e Ivana.

I due convivono, a Madrid, da tempo e hanno una notizia importante da comunicare ai genitori.

“La famiglia si allarga” – rivela l’ucraina, mostrando un leggero rigonfiamento al ventre.

Una notizia che spiazza tutti, e sciocca Agata che dovrà riuscire ad immaginarsi in veste di nonna a neanche cinquant’anni. Però una vita che nasce è sempre fonte di gioia.

Da lì a qualche mese, un bebè si aggiunge alla Banda, e ovviamente, come vale per ogni membro, anche alla neonata viene dato il nome di una città.

“Benvenuta al mondo, Milagro! Sei un vero e proprio miracolo, piccola mia!” – è così che la gitana accoglie la sua nipotina, conoscendola per la prima volta.

“Sei tu il nostro happy ending” – afferma, commossa, dandole un dolce bacio sulla fronte.

Oggi che è madre, moglie, e perfino nonna, sente rimbombare, nella sua testa, le parole che pronunciò quando chiese al professore di renderla madre.

Sogno di diventare madre, di avere tanti figli, e un cane... e tutto ciò che serve

Lo sognava disperatamente, ed è esattamente quanto si è avverato.

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2 mesi dopo…

“Fermi così, guardate tutti la fotocamera! Al mio tre. Uno, due ...”  - dice il fotografo, pronto ad incorniciare la foto-ricordo di famiglia: Bogotà, posto dietro a Nairobi, con in braccio un cucciolo di labrador ricevuto in regalo da Marsiglia, in seguito alla prematura scomparsa di Bernardo; di fianco a lui ci sono i Gonzales, che, seppure con qualche acciacco fisico, sono sempre presenti nella loro quotidianità;  la matriarca, Agata Jimenez, è seduta al centro della scena, ed è lei che rappresenta il cuore della bella e numerosa famiglia; di fianco alla gitana, ecco sistemati gli undici eredi, tutti adulti e realizzati; in primissimo piano la neonata, Milagro, avvolta tra le braccia dei tre baby zii…una neonata che è simbolo di speranza, il miracolo di come nella vita, se si crede fortemente nella felicità, questa arriva nel momento opportuno.

“Gridate cheese!”

Poi scatta il flash e la fotocamera immortala e blocca nel tempo, incorniciata e disposta alla parete, la vera immagine della felicità.

 

THE END

 

 

PER LETI E MARI, DEDICO A VOI QUESTA FANFICTION, ALLA VOSTRA PRESENZA CHE CI TENGO A RIBADIRE ESSERE STATA ESSENZIALE PER LA MIA FANTASIA E LA MIA PENNA.

CONOSCERVI GRAZIE A QUESTO SITO E’ STATO UN GRANDE REGALO.

VI VOGLIO BENE.

 

ALLA PROSSIMA STORIA, BESITOS A TODOS

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