Fotografie di una musa inconsapevole

di Gaia Bessie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caffé corretto al sale grosso ***
Capitolo 2: *** La porta sul futuro ***
Capitolo 3: *** Gli scatti rubati ***
Capitolo 4: *** Sfortuna verde brillante ***
Capitolo 5: *** La sesta carta ***
Capitolo 6: *** Solamente per farti dormire ***
Capitolo 7: *** Abbracciare il vuoto ***
Capitolo 8: *** No, non te lo meriti ***
Capitolo 9: *** Mele cotte ***
Capitolo 10: *** Le cose che non sei ***
Capitolo 11: *** Piccole cortesie ***
Capitolo 12: *** Hangover ***
Capitolo 13: *** Io non so amare ***
Capitolo 14: *** Castelli di sabbia ***
Capitolo 15: *** Di cosa hai paura ***
Capitolo 16: *** Un caffé liscio, per favore ***
Capitolo 17: *** La nona carta ***
Capitolo 18: *** Sciroppo al lampone ***
Capitolo 19: *** Peccati capitali ***
Capitolo 20: *** La musa inconsapevole ***
Capitolo 21: *** Polvere da sparo ***
Capitolo 22: *** La saponetta ***
Capitolo 23: *** Il caffé non corretto ***
Capitolo 24: *** Mot d'esprit ***
Capitolo 25: *** Un fondo di caffé corretto ***
Capitolo 26: *** Mostra di una musa inconsapevole ***
Capitolo 27: *** Perché ***
Capitolo 28: *** Quel decaffeinato troppo amaro ***
Capitolo 29: *** Il blue Monday ***
Capitolo 30: *** Lo scheletro sul fondo ***
Capitolo 31: *** Sì, lo voglio ***



Capitolo 1
*** Caffé corretto al sale grosso ***


Fotografie di una musa inconsapevole
 
I. Caffè corretto al sale grosso

 
[Dispetto]
 
Gli ha scattato una foto e nemmeno se n’è reso conto – lui, divisa macchiata di caffè e capelli color tramonto, sì. Ed è iniziato il calvario.
Un giorno gli porta una bustina di pepe al posto dello zucchero di canna, poi dice d’aver finito i tovaglioli e, nel lunedì più lunedì della storia dei lunedì, gli dice: mi dispiace, non ricordo come si faccia il cappuccino.
Tobio sospira, di fronte a quel ragazzino in vena di dispetti che sorride di sfuggita, nemmeno fosse in posa, in un angolo di una fotografia sfocata e fatta per sbaglio.
«Puoi sempre farmi un caffè corretto» sospira, massaggiandosi le tempie con la mano sinistra. «Decidi tu con che cosa».
Il ragazzino inclina la testa, visibilmente perplesso. «Un caffè corretto» sillaba, come se non ne capisse il senso. «Ma ora?».
Tobio sbuffa, con aria esasperata. «Hai ragione» commenta, calmo. «Sono pur sempre le sette del mattino: me ne porteresti due?».
Lo fa ridere, il suono di un bambino che gioca a pallone, e se ne va un po’ camminando e un po’ saltellando – gli porta due caffè corretti al sale grosso e, allora, Tobio Kageyama semplicemente non ne può più: tossisce sambuca, polvere di caffè e sale grosso, mentre gli punta la macchina fotografica in volto come fosse una pistola.
Scatta.
 
[216 parole]

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Capitolo 2
*** La porta sul futuro ***


II. La porta sul futuro
 
[Chiudere]
 
Un giorno, sparge fotografie sul tavolino come i raggi di una ruota e, allora, si domanda se basti catturar l’attimo per comprendere la legge che lo governa: e, sebbene si aspettasse di veder la sesta carta uscire dal mazzo della strega, sono gli amanti a bucargli la mente in un sussurro.
C’è una vecchia che legge le carte, a Il bar sotto il mare, e Tobio le ha scattato una foto per una sbirciata al suo futuro – ma che futuro vuoi avere, ha domandato la signora, se stai qui seduto tutto il giorno e non fai mai niente: t’aspetti uno sconvolgimento della fortuna e lo capisco, ma si ottiene ciò che si crea e ciò che si distrugge, d’incausato non esiste niente.
E ancora: non capisci niente, non la devi chiudere quella porta – e Tobio s’alza, infuriato, ma le parole per contraddirla si perdono in una vallata di rabbia cieca.
La vecchia ride, alzandosi per pagare: a volte si sbagliano anche le carte, lo sai? Non vedo come gli amanti ti possano aiutare, in questo modo.
«Cosa posso portarti?» la voce del cameriere lo scuote, irritandolo inverosimilmente. «Oggi mi ricordo come si fa il cappuccino, sai?».
Lui alza un sopracciglio, dubbioso.
«Un caffè corretto» risponde, secco. «Anzi, fammene due».
Sente il rumore di una porta che si chiude, ma non è uscito nessuno.
 
[223 parole]

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Capitolo 3
*** Gli scatti rubati ***


III. Gli scatti rubati
 
[Cotone]
 
Un giorno, poi, le nuvole s’addensano in un miscuglio inutilmente cotonoso e piove a dirotto su tutta la città – è il giorno in cui Tobio è ancora più irritante del solito e il barista con i capelli color tramonto gli dice che hanno finito la sambuca ma che, se vuole, può sempre usare la vodka o il gin o il vino rosso.
Kageyama sbuffa, si domanda se non lo stia prendendo in giro o sia semplicemente un po’ tocco, e gli scatta una foto a sorpresa, senza sapere che sorpresa non ve n’è mai – Hinata sente sempre i suoi occhi addosso, a scavargli la schiena, sciogliendolo in bioccoli di cotone e pioggia sporca.
«Me le fai vedere?» gli domanda, mentre fuori il mondo si spacca in tempesta e lui s’è appena ferito il dito per affettare una fetta di lime, che Tobio spera ardentemente non fosse destinata al proprio caffè.
Alza un sopracciglio, con aria ostile.
«Cosa?» borbotta, acido. «Cosa dovrei farti vedere?».
«Le fotografie che mi scatti» risponde il ragazzo, con una scrollata di spalle. «Magari, sei bravo per davvero».
«Certo che lo sono» ribatte Tobio, ma le foto già sviluppate non le sfila dalla propria borsa. «Ma non sono immagini che sapresti capire».
Lui rimane fermo, in posa, con il cotone tra le mani e una goccia di sangue che gli lacrima lungo il palmo, sporcandogli la linea dell’amore (che vuol dire che amerà troppo o non amerà affatto): Tobio vorrebbe scattargli una fotografia, ma gli trema l’anima e allora viene tutto sfocato.
 
[255 parole]

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Capitolo 4
*** Sfortuna verde brillante ***


IV. Sfortuna verde brillante
 
[Quadrifoglio]
 
Gli dice che porta sfortuna, Tobio risponde con uno sbuffo esasperato: è il giorno in cui Hinata rompe tre tazze di fila e, ancora una volta, asserisce d’essersi dimenticato com’è che si prepari un cappuccino.
E potrà cercare di convincerlo che la sfortuna non esiste, ma è una pallida costruzione sociale che serve solamente a giustificare i propri fallimenti – potrà farlo: ne otterrà sempre e solo un’espressione confusa e una risatina isterica.
 
Gli dice che porta sfortuna, perché ogni volta che entra al Bar sotto al mare, lui rompe qualcosa o si dimentica che il sale è nel contenitore azzurro e lo zucchero in quello rosso e non viceversa.
Tobio sbuffa, sbuffa sempre – non c’è verso di convincerlo che la sfortuna altro non è che una scusa per quella sua assurda distrazione.
 
Gli dice che porta sfortuna, tutti i giorni, dal lunedì alla domenica: finché, un giorno, Tobio non sbuffa più – gli lancia in mano un quadrifoglio e gli dice: dimmi se adesso ti perseguita ancora, la sfortuna.
 
[168 parole]


 

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Capitolo 5
*** La sesta carta ***


V. La sesta carta
 
[Amanti]
 
Scopre che si chiama Monique, la signora delle carte, e ha vissuto in Francia fino ai propri trent’anni – poi un giorno s’è innamorata e ha preso un aereo e, nella sua Parigi, non c’è tornata mai più: dice di non pentirsene mai, ma se avesse letto le carte avrebbe pescato gli amanti rovesciati. Si sarebbe evitata un divorzio burrascoso, in Giappone ci sarebbe venuta comunque.
Tobio non commenta e non domanda – incancellabile, nella sua memoria, il fatto che lui ha pescato dal mazzo la medesima carta di Monique.
«Vuoi sapere, non è vero che lo vuoi?» domanda la donna, scuotendo i capelli strinati di tintura fatta male. «Lo vedo, cosa ti stai domandando».
«Solo perché tu credi in queste idiozie, non vuol dire che debba farlo anche io» risponde, con un’insita vena di superiorità che gli scola nella voce come acqua stagnante. «Ora mi dirai che troverò l’amore e sarò felice, immagino».
Lei ride, indica una foto sparsa sul tavolo come un ventaglio. «Troverai?» domanda, quieta. «L’hai già trovato, non ci credi?».
In una posa piena d’inconsapevolezza, Shoujou Hinata sorride alla macchinetta del caffè mentre confonde il sale con lo zucchero e nemmeno se ne rende conto – giorni fa gli ha scattato l’ennesima fotografia e nemmeno se n’è reso conto.
 
[210 parole]

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Capitolo 6
*** Solamente per farti dormire ***


VI. Solamente per farti dormire
 
[Cuscino]
 
Poi non dorme per giorni e duri solchi gli si scavano sotto lo sguardo.
Ordina sempre più caffè – lui glieli porta sempre, non dice mai di no: ma, verso il quinto, una stupida aria di preoccupazione gli scava lo sguardo.
 
Continua a non dormire e nemmeno saprebbe dire il perché – qualcosa gli svuota i sogni e, allora, è la veglia l’unica in grado di fornirgli le immagini che cerca.
Hinata non gli parla per un giorno: continua a chiacchierare con un ragazzo dai capelli rossi come i suoi, coperto di tatuaggi al tavolo vicino alla finestra.
Tobio non dice niente – potrebbe?
 
«Non mi parli più: perché?».
Tobio sospira – non dice nulla, come potrebbe? – e scuote il capo, rimestando pensieroso il contenuto del proprio doppio espresso.
«Hai trovato altre compagnie» commenta, infine, acido. «Perché non vai a lamentarti con loro?».
Hinata china il capo, stringendo il vassoio tra le mani.
«Mi volevo tatuare un cuscino sul petto» commenta, sottovoce. «Al è un tatuatore, gli stavo chiedendo informazioni».
Tobio alza un sopracciglio, il ragazzo glielo dice sottovoce.
Solamente per farti dormire1.
 
[179 parole]



 
1Gaia Di Fusco, Forse neanche un bacio

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Capitolo 7
*** Abbracciare il vuoto ***


VII. Abbracciare il vuoto
 
[Abbracciare]
 
«Ti posso abbracciare?».
 
Lo domanda una mattina di un sabato che s’è trascinato fino alle undici e mezza in mutismo e malumore, cose che Tobio non aveva mai fotografato in lui – gli ha scattato un’istantanea di nascosto, quando l’ha visto sospirare stremato su una tazza di tè alle erbe, ma non ha detto niente.
Ma, adesso che Hinata lo guarda e ha gli occhi lucidi (stanchezza, vuol pensare, sicuramente è la stanchezza) e lui non sa come fare a relazionarti con quelle braccia aperte – vuote, vuote, vuote.
Non dice di sì, non riesce nemmeno a dire no.
Così gli dà il proprio silenzioso consenso – lo sente stringerlo forte e, dietro quei capelli color tramonto che gli pungono il petto, Tobio Kageyama deve domandarsi perché.
Perché era come abbracciare il vuoto, nel mondo prima di lui.
 
[135 parole]

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Capitolo 8
*** No, non te lo meriti ***


VIII. No, non te lo meriti
 
[Risposta]
 
Gli pone la domanda e chiede risposta – che Tobio non gli dà mai: significherebbe metter via la pelle per riscoprirsi cambiato: così lo lascia solo con i suoi pensieri e, di dargli quel no che Hinata richiede, non riesce a darglielo mai.
 
«Mi puoi dire che non t’interessa?» gli sibila, il ragazzo, un giorno. «Io almeno un no me lo merito, sai?».
«No» risponde Tobio, calmo. «Non te lo meriti».
 
Gli dice che non può tenerlo in una zona grigia dove la risposta non arriva mai – e Tobio cede, dicendogli che non esiste alcuna zona grigia e un no strappato di bocca è pur sempre un no.
Hinata china il capo, ride forse istericamente, non dice niente.
Il giorno dopo non lo vede, e nemmeno quello dopo ancora – vorrebbe avere un modo per contattarlo e avere una risposta, ma in qualche modo se la sente già cucita sulla pelle: no.
 
[150 parole]

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Capitolo 9
*** Mele cotte ***


IX. Mele cotte
 
[Mela]
 
Gli chiede una fetta di torta di mele, lui continua a portargliela di carote.
Gli chiede un pezzo di strudel, lui continua a portargli la crostata di albicocche.
Tobio sbuffa, ma non si lamenta mai – teme che, se lo facesse, Hinata potrebbe rinfacciargli quel no che gli ha spezzato il cuore.
 
Gli porta una fetta di torta di carote, ma lui non si lamenta.
Gli porta la crostata di albicocche, ma lui non si lamenta.
Hinata sbuffa e continua a provocarlo – vorrebbe che almeno gli desse la possibilità di dirgli quanto quel no (secco, amaro) lo abbia ferito.
 
Gli tira una mela sul tavolo.
«Le mele cotte fanno davvero schifo» borbotta, andandosene.
Tobio si rigira il frutto tra le mani – gli viene da piangere e nemmeno sa il perché.
 
[129 parole]

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Capitolo 10
*** Le cose che non sei ***


X. Le cose che non sei
 
[Gridare]
 
Finché poi, un giorno, Hinata semplicemente non si mette a gridare – da spaccare i timpani, quel suono, con Tobio che lo guarda a occhi spalancati e semplicemente non crede più: non nei caffè corretti al sale grosso, nelle istantanee di una mancanza e, sul finire, nemmeno in sé stesso.
E quel grido che non ha senso e non ha scopo, lo mette in difficoltà come poche altre cose: così guarda Hinata, a disagio, domandandosi cosa dovrebbe fare per farlo semplicemente smettere.
«Puoi semplicemente dirmelo?» strilla, costringendolo a guardarlo.
«Cosa?» domanda Tobio, laconicamente. «Cosa dovrei dirti più di quello che ci siamo detti?».
«Che non sai mentire e questo lo sai anche tu» sibila Hinata, scuotendo il capo. «Dimmi di sì, per favore».
Tobio spalanca gli occhi, ma non riesce a dire una parola.
 
[133 parole]


 

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Capitolo 11
*** Piccole cortesie ***


XI. Piccole cortesie
 
[Gentilezza]
 
Cambia tattica, diventa più gentile.
Gli porta due bustine di zucchero, qualche tovagliolo in più insieme a una micidiale brioche al cioccolato che macchierebbe anche le anime, perfino una fetta di limone di fianco al caffè corretto delle sette e mezza.
Tobio finge di non capire ma, la verità, è che tra il capire troppo e il non capire affatto ha scelto la prima. E ha compreso, certo che l’ha fatto, che la gentilezza di Hinata altro non è che il ponte per scucirgli quel sì che lui non sa come pronunciare.
Vorrebbe, si dice, è che non gli vengono le parole.
«Ti porto dell’altro?» domanda Hinata, in un trillo divertito, mentre gli porge una ciambella al lampone e il quarto caffè della giornata.
Tobio lo guarda.
«Sì» dice, frettolosamente. «».
Lo fa ridere e va bene così.
 
[138 parole]

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Capitolo 12
*** Hangover ***


XII. Hangover
 
[Memoria]
 
Della sera dopo, non ha memoria.
Forse ha esagerato con i caffè corretti, forse avrebbe dovuto insospettirsi quando Hinata ha cominciato a portargli un cocktail dopo l’altro: un gin tonic, un cuba libre, un cosmopolitan e poi un miscuglio di roba talmente amara da ricordargli il caffè al sale grosso di chissà quanto tempo prima.
Non gli ha domandato se avesse intenzione di farlo ubriacare – era chiaro ed evidente che l’implicito desiderio del barista fosse quello.
Ne ricorda la risata scompigliata che avrebbe voluto fotografare, in posa sotto le luci del bancone – ma Hinata è stato un flash in una notte buia e poi l’alcol si è mangiato tutto il resto.
 
E vorrebbe ricordare, lo vorrebbe per davvero.
Ma la mattina si sveglia in un letto dalle lenzuola scompigliate e nemmeno sa come vi è finito dentro.
 
[137 parole]


 

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Capitolo 13
*** Io non so amare ***


XIII. Io non so amare
 
[Spiaggia]
 
Gli dice mi porti al mare?
E Tobio, che detesta il mare come ogni altra cosa, risponde sempre di no.
Nella spiaggia senza fine che ha in testa, se che non reggerebbe una giornata tête-à-tête con Hinata, non la reggerebbe mai.
 
Gli dice mi puoi amare?
Ma Tobio, che pensa di non essere capace, comprende sempre e solo un “mi porti al mare” e lui lo odia, il mare, lo odia per davvero.
Shoujou non lo corregge mai – nella spiaggia senza fine che ha in testa, è tutto assolato e dorato e manca solamente Kageyama come punto di buio in quella desolazione luminosa.
Ma lui dice di no, dice sempre di no a ogni domanda che gli pone: e forse la verità è che non sa amare e glielo dice così.
 
«Mi porti al mare?».
«Sì».
«Davvero?» – Shoujou s’illumina come il mare alle sette di mattina.
«No».
 
[147 parole]

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Capitolo 14
*** Castelli di sabbia ***


XIV. Castelli di sabbia
 
[Discussione]
 
Alla fine, dopo ore di discussione, al mare ce lo porta davvero – il primo giorno libero disponibile, Tobio prende e gli dice: andiamo al mare, okay?
Okay.
Hinata però non accantona – discutere con Kageyama è quel che meglio gli riesce e, allora, continua a farlo: continua a dirgli che è ingiusto, il suo dire sempre no al posto di mille splendidi sì che vorrebbe, lui lo sa, li vorrebbe per davvero.
E poi.
«Facciamo un castello di sabbia?» domanda, pieno di speranze.
Tobio, che ha già i piedi in acqua, sospira: se c’è una cosa che detesta di Hinata, in quel mare magnum di cose che non tollera di lui, è la sua odiosa ingenuità – e il fatto che sappia svelare i sì nascosti dietro i suoi no, a volte.
Altre volte.
«No».
È no e basta.
 
[137 parole]

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Capitolo 15
*** Di cosa hai paura ***


XV. Di cosa hai paura
 
[Paura]
 
E qualche volta si deve domandare se non sia che Tobio ha paura – di dire di sì – e allora non riesce a dire altro che non sia una stupida e inutile negazione.
Glielo domanda, glielo domanda dolcemente: di cosa hai paura?
Tobio giocherella con la macchina fotografica, scattandogli per sbaglio o per volontà l’ennesima istantanea di una mancanza che appartiene solamente a lui.
«Io non ho paura» borbotta, contrariato. «Forse sei tu che non sai accettare i rifiuti, lo sai?».
Hinata sospira e torna a mettergli il sale nel caffè e il limone nel cappuccino, facendolo imbestialire – non glielo dice mai più, ma è chiaro nei suoi occhi.
Di cosa hai paura?
 
[112 parole]

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Capitolo 16
*** Un caffé liscio, per favore ***


XVI. Un caffè liscio, per favore
 
[Scale]


Un giorno compare con un occhio nero – a Hinata dice che è caduto dalle scale, ma il ragazzo non ci crede nemmeno per un secondo e continua a chiedergli, con sempre maggiore insistenza, cosa gli sia successo.
Le scale, risponde Tobio ogni singola e inutile volta. Le scale.
È il giorno in cui Shoujou quasi piange per l’ennesimo cappuccino venuto male e Monique spalanca la bocca in un grido muto davanti alle proprie carte, mentre Tobio Kageyama sorseggia un caffè corretto alla Sambuca e guarda fuori dal locale.
È il giorno in cui Atsumu Miya si presenta al Bar sotto al mare, con la macchina fotografica sotto braccio e un sorriso tronfio sul volto.
Ordina un caffè liscio – Hinata nota, con orrore, che ha le nocche tutte spaccate.
 
[128 parole]

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Capitolo 17
*** La nona carta ***


XVII. La nona carta
 
[Nove]
 
Alle nove di mattina, Atsumu Miya chiede un caffè liscio e rifiuta con gentilezza lo zucchero, ma comunque prende in mano il cucchiaino e mescola: nove volte in senso orario, nove volte in senso antiorario.
È il momento in cui lo raggiunge Monique e gli propone di tagliare il mazzo e pescare una carta – forse è una coincidenza ma pesca la nona, e Monique ride con il suo incisivo mancante, e gli domanda se non si senta anche lui un po’ eremita.
Alle nove e cinquantanove, si alza, saluta e con la macchina fotografica in mano s’allontana per passare dal proprio studio.
Ma non oggi – oggi Hinata glielo deve domandare, alle nove e cinquantotto, spezzando quella catena perfetta di azioni.
«Ma soffri di disturbo ossessivo compulsivo?» gli domanda, gli occhi tondi come scodelle. «O qualcosa di simile?».
Atsumu Miya scuote il capo biondo e ride, divertito – gli restituisce la tazzina vuota e il cucchiaino sporco, strillando un saluto fin troppo allegro.
Prudenza, gli hanno detto le carte di Monique (la nona, solo la nona). Prudenza.
 
[175 parole]

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Capitolo 18
*** Sciroppo al lampone ***


XVIII. Sciroppo al lampone
 
[Lampone]
 
Inizia a fargli richieste strane – un giorno si siede, si gira il cappello in capo e angelicamente gli domanda un cappuccino con sciroppo di lampone.
Hinata esegue, meravigliato, e nemmeno ci prova a dirgli che, davvero, lui i cappuccini non li sa fare: Atsumu Miya prende la tazzina e ringrazia, gli dice – se vuoi, ti faccio una foto: è bello vedere qualcuno che fa le cose con così tanta passione.
Tobio sbuffa, seduto al proprio tavolino, con le foto appena sviluppate aperte come i raggi della ruota – Monique gli indica Atsumu con il capo e poi l’Eremita, ridendo leggermente (prudenza, ragazzo prudenza).
Così, il giorno dopo, Hinata glielo domanda.
«Cosa ti porto oggi?».
«Caffè corretto con sciroppo al lampone, grazie».
 
[120 parole]

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Capitolo 19
*** Peccati capitali ***


XIX. Peccati capitali
 
[Gola]
 
Atsumu Miya è molesto – quando si rende conto che lui e Tobio sono colleghi, inizia a sedersi al suo stesso tavolo (a volte si fa portare un caffè al lampone, altre volte una fetta di torta) e comincia ad ammorbarlo con pareri non richiesti.
Tobio sbuffa e non risponde mai: la manifesta superiorità con cui il biondo si circonda lo innervosisce, almeno quanto il pensiero di quel cappuccino rosa che continua a sorbire ogni mattina, come se non facesse schifo.
«E tu, che peccato sei?» gli domanda una mattina, con aria divertita, mentre sbriciola una ciambella al cioccolato. «Io sono piuttosto convinto che, il mio, sia la gola».
Tobio sospira – Hinata continua a fissarli, con aria perplessa, senza accorgersi d’aver fatto strabordare una tazza di caffè, sotto la macchinetta.
Lo sta fissando: non lui, Atsumu Miya, che inclina la testa e ride a squarciagola senza attendere la sua risposta.
«Invidia» commenta Tobio, con calma glaciale. «Credo sia quello».
 
[158 parole]

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Capitolo 20
*** La musa inconsapevole ***


XX. La musa inconsapevole
 
[Cesto]
 
Hinata non parla più.
Non c’è supplica, preghiera o ninnolo che gli faccia cambiare idea – ha scoperto il perché dell’occhio nero di Kageyama e non si sa bene da chi.
 
Atsumu si presenta con un cesto di lamponi, fiori e buone intenzioni – prudenza, gli ricorda Monique – ma non serve a scucirgli nemmeno una parola.
 
Tobio non tenta: un giorno s’avvicina al bancone e domanda un caffè corretto (è lunedì: fammene pure due) e spinge verso di lui una fotografia rovesciata.
Hinata la prende e la osserva – sapeva d’esser musa inconsapevole, non immaginava d’esser bravo per davvero – e sorride.
«Quindi mi fotografavi per davvero» commenta, porgendogli una bustina di sale al posto dello zucchero. «Pensavo d’essermelo immaginato».
«Quindi non sei muto» risponde Tobio, calmo. «Penso che il tuo amico, lì, lo abbia pensato».
Un cesto di lamponi e fiori (e buone intenzioni) giace abbandonato sul retro, lo sguardo di Hinata sa di acciaio.
«Non è mio amico».
 
[156 parole]

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Capitolo 21
*** Polvere da sparo ***


XXI. Polvere da sparo
 
[Fiammiferi]
 
Monique gli dice d’esser prudente anche lui – Hinata Shoujou è polvere da sparo mescolata alla sabbia: basterebbe una scatola di fiammiferi per farli saltare tutti in aria. E Tobio lo vede, con quell’aria imbronciata mentre armeggia con la macchina per il caffè, che vuole scoppiare, vuole scoppiare per davvero.
Lo capisce, anche, il giorno in cui lo vede domandare ad Atsumu Miya perché, senza specificare cosa – ma il biondo ha ancora il sapore di quel pugno in mano e non ne scolorisce la traccia. Perché.
Atsumu non risponde, non risponde mai: gli porge una scatola e va via.
Sono fiammiferi – a Hinata va a fuoco il viso e Tobio non riesce a comprenderne il perché.
 
[115 parole]

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Capitolo 22
*** La saponetta ***


XXII. La saponetta
 
[Sapone]
 
«Cazzo!».
Il giorno in cui gli versa una tazza di cappuccino (senza lampone, te ne prego) sulla mano, è l’ennesimo lunedì così lunedì che nemmeno gli altri lunedì saprebbero crederci.
«Non dire parolacce» lo rimprovera freddamente Hinata, guardando con stupore la striatura rossa sulla pelle di Kayegama. «O ti faccio lavare la bocca con il sapone da Monique».
«Se tu stessi attento» sibila Tobio, sfiorandosi con cautela la mano. «Non ne avrei bisogno, di dire parolacce».
 
Martedì Hinata è ancora più distratto del solito e gli mette lo sciroppo al lampone nel caffè, sordo a ogni supplica, e poi gli mette in mano lo scontrino, sfiorando distrattamente quell’ustione ancora orribilmente rossa.
«Cazzo!».
Hinata ride, gli mette in mano una saponetta color lillà – Tobio alza gli occhi al cielo, ma gli scappa l’ombra di un sorriso.
 
[135 parole]

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Capitolo 23
*** Il caffé non corretto ***


XXIII. Il caffè non corretto
 
[Appuntamento]
 
Gli chiede di andare a prendere un caffè insieme e, ad un caffè, ci sono già: Hinata non fa in tempo a darsi dello stupido (stupido, stupido) che Tobio ride. Un po’ una via di mezzo tra uno sbuffo e una risata ma ride, ride per davvero.
Gli fa cenno di sedersi – nella sedia vuota di fronte a lui, il luogo proibito: Shoujou ci si lascia cadere sopra, con quell’eccessiva energia che infiltra ogni movimento, e sorride.
«Che ti porto?» domanda, per abitudine.
Ma Tobio scuote il capo.
«No, tu oggi non porti niente» fa un cenno al collega di Hinata, con la mano. «Cosa prendi?».
«Un caffé» risponde il rosso, pensieroso. «Ma senza alcol, grazie».
 
[116 parole]

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Capitolo 24
*** Mot d'esprit ***


XXIV. Mot d’esprit
 
[Proverbio]
 
Monique gli porta un mazzo di carte – scopre così che Hinata non sa giocare a poker, ma solamente a briscola e, quando prende il mazzo di arcani minori, gli domanda se non abbia voglia di fare una partita: sempre sfortunato nel gioco, ammette. E in amore?
 
Gli dicono che deve tornare a lavorare – scopre così che Hinata è il figlio del proprietario del Bar sotto al mare, quindi non fa turni ma lavora ad oltranza e, quando gli porta un decaffeinato (troppa caffeina fa male!), gli domanda se non sia mai stanco: inizio presto, commenta. Perché così mi sembra d’esser già a metà giornata.
 
Quando si fa sera, il cielo è colorato da bioccoli di cotone tinti di sole – Hinata sorride, mentre saluta Monique e Tobio, pulendo il bancone.
«A domani!» esclama, allegro. «Ricordati di portare un ombrello!».
Lo fa ridere – pioggia a catinelle, il giorno dopo: Tobio ha imparato a credergli e, allora, l’acqua scivola su un ombrello nero come l’ala di un corvo.
 
[165 parole]

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Capitolo 25
*** Un fondo di caffé corretto ***


XXV. Un fondo di caffè corretto
 
[Fondo]
 
Inizia a lasciare il fondo della tazza di caffè a raffreddarsi con un goccio di Sambuca – e non importa che siano solamente le sette e mezza di mattina e che Hinata lo guardi con aria costernata, mentre gli rabbocca la tazza con caffè misto alcol.
Tobio non glielo dice. Che c’è qualcosa che lo turba, che gli toglie il sonno e lo costringe a giocare con la macchina fotografica (cerca di catturare le proprie ombre, non ci riesce mai).
Shoujou non glielo domanda. Se in fondo non glielo voglia dire, recuperando sonno e voglia di lavorare (è un fondo che potrebbe misurare con i propri passi, ma non lo fa mai).
Ha la risposta il giorno in cui Kageyama si presenta con un foglio e glielo lascia sul bancone, con una penna accanto.
Una liberatoria – si ricorda d’esser musa inconsapevole e, in quel fondino di caffè corretto a sambuca, ci potrebbe annegare.
 
[152 parole]

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Capitolo 26
*** Mostra di una musa inconsapevole ***


XXVI. Mostra di una musa inconsapevole
 
[Fulmine]
 
Tra Shoujou e la fotografia è un colpo di fulmine – quando Tobio gli lancia addosso un biglietto per la sua prima mostra, Hinata quasi non ci crede: la locandina è banale, uno scorcio di un paesaggio urbano (e s’intravede il Bar sotto al mare, ma lui non comprende), non suggerisce niente, non dà indizi.
Ma lui ci va: si mette perfino una camicia stirata male e una cravatta che non sa allacciare così che deve passare dal bar e chiedere a Monique di sistemargliela.
Quando mette piedi e occhi dentro quella sala un po’ spartana, non ci crede: fotografie di una musa inconsapevole, è il titolo della mostra.
E la musa (ormai consapevole) è lui: sorride in mille istantanee e, quando Tobio lo guarda sorride, a disagio.
 
[127 parole]

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Capitolo 27
*** Perché ***


XXVII. Perché
 
[Petali]
 
Poi la neve inizia a cadere come petali biancastri su un terreno che è tutto buche, così che il bianco non basta ad addolcirne i contorni sbiaditi.
Shoujou ama la neve, la ama per davvero: sente il rumore del flash mentre fa gli angeli di neve e, allora, sorride: Tobio non gli ha mai dato una spiegazione, per quella mostra – ha detto che era giusto così e Hinata ha lasciato correre.
Dentro di sé, però, c’era un tepore dolcissimo tra quella neve che cominciava a cadere – quando finisce il turbo, Tobio Kageyama lo aspetta fuori dal Bar sotto al mare: la macchina fotografica in mano e qualche speranza che gli turbina nel cuore.
Quel giorno, Hinata non gli domanda alcun perché che non sarebbe spiegarsi – gli lascia un petalo sulle labbra, al sapore di bacio, che fa spalancare gli occhi a Tobio e domandar perché.
 
[145 parole]

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Capitolo 28
*** Quel decaffeinato troppo amaro ***


XXVIII. Quel decaffeinato troppo amaro
 
[Amaro]
 
Inizia a mettere lo zucchero nel caffè, non lo aveva mai fatto prima di quel momento – ma, quando Hinata gli porta la tazzina e il cucchiaino, Kageyama glielo domanda: mi porteresti anche una bustina di zucchero, per favore? Meglio di canna, se ne hai, sennò va bene anche quello normale.
Shoujou lo guarda, perplesso, ma gli porta comunque quanto ha richiesto – lo guarda, circospetto, mentre Tobio rovescia lo zucchero nella tazzina e beve il caffè tutto in un unico sorso, senza nemmeno nascondere una smorfia piena di disgusto.
È che lui è amaro come quel caffè che non ha mai zuccherato ma, quando Hinata alza un sopracciglio, non glielo dice mai.
Il giorno dopo, gli chiede di nuovo la bustina di zucchero e ne scioglie mezza nel proprio doppio espresso, sospirando come il condannato di fronte al boia. Più amaro, non abbastanza: Shoujou che lo guarda e gli domanda silenziosamente perché – Tobio scuote il capo, non dice una parola.
È che lui è amaro come i suoi caffè sbavati sulle sette di mattina e Hinata mette sempre due cucchiaini di zucchero nel proprio decaffeinato (caffeina a lui? Chi è che lo farebbe mai) e perfino qualche scaglietta di cioccolato al latte.
Non lo comprende subito: nemmeno quando Tobio domanda due bustine di zucchero per usarne un quarto (ed ancora non è abbastanza amaro) e non ha il coraggio d’approcciarsi a quel caffè zuccherato.
Ma, al terzo giorno, Shoujou comprende – si siede di fronte a lui con il proprio deca (e va bene l’amore, ma la caffeina mai) e non ha con sé le due bustine di zucchero.
Sospira, il condannato davanti al boia, e beve sorsettini di quel liquido amaro, amarissimo – Tobio ride, silenziosamente, e gli porge le due bustine di zucchero di quella mattina, ancora intonse, con uno sguardo indecifrabile.
 
[301 parole]

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Capitolo 29
*** Il blue Monday ***


XXIX. Il blue Monday
 
[Blu]
 
Quando piove, è palese che Hinata si stia domandando dove sia finita l’estate – Tobio si bagna in un temporale e, sotto sotto, nemmeno gli dispiace quell’acqua che lava via i pensieri in uno scroscio disperato.
E glielo domanda: te lo posso fare amare, il rumore dell’acqua che cade e ti dice che non sei più tu?
Shoujou scuote il capo, perplesso mentre mette a lavare le tazzine da caffè, e glielo domanda: perché non dovrei essere più io?
È che magari un giorno ti svegli e ti senti un po’ blu. Sì, esatto, blu – non sai cos’è un blue Monday, non è vero? – e non stai come stingerti: è un colore che ti rimane addosso come l’odore di caffè e non sai come mandarlo via.
Lo fa sorridere – di capire non capisce e, allora, Tobio ci rinuncia ed esce a bagnarsi di pioggia che lo tinge in delicati tocchi di blu.
È che Hinata è rosso, sicuramente, e tramonta e sorge con regolarità, mentre il blu è strisciata di disperazione che c’è e non c’è. C’è.
Lo fa ridere il giorno in cui gli porta una fetta di torta ai mirtilli, dove ha rovesciato degli zuccherini celesti: e forse non sarà blu, ma qualcosa dentro di sé l’ha fatto comprendere.
«Attento ai denti» commenta Hinata, quando lui prende la forchetta da dolce in mano.
Tobio alza un sopracciglio, inizia a disfare la torta a forchettate: vi trova un anello (forse troppo piccolo) e si deve domandare perché – perché Shoujou ride, in un angolo, e non gli risponde mai.
 
[258 parole]

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Capitolo 30
*** Lo scheletro sul fondo ***


XXX. Lo scheletro sul fondo
 
[Scavare]
 
Hai toccato il fondo, si dice Tobio allo specchio: ora puoi cominciare a scavare – sia mai che non ne riemergano scheletri che non stavano nell’armadio, promesse infrante e chissà cos’altro deve aver avuto da nascondere nel corso della propria vita.
Hai toccato il fondo, ma scavando hai solamente rinvenuto un anellino troppo piccolo e una promessa stranamente intonsa: Hinata glielo dice, con aria immensamente seria, che diceva per davvero.
Ma tu non hai detto niente, vorrebbe replicare Tobio, mi hai lasciato un anello in una torta e non hai dato spiegazioni.
«Certo che te le ho date» replica il rosso, lasciandogli davanti una tazza di cioccolata calda e una bustina di olio d’oliva. «Sei tu che non hai guardato bene e, per questo, non mi hai risposto».
Kageyama lo guarda, perplesso, e si domanda che risposta dovrebbe dargli: una parola che sa della terra smossa dal fondo che ha scavato, che ha il rumore delle ossa di uno scheletro fuori dall’armadio e di promesse ricomposte. E chissà che altro.
Così, prende una fotografia troppo sfocata e un pennarello – l’ennesima istantanea di una musa inconsapevole – e gliela porge, facendolo sorridere.
Ha detto di sì.
 
[193 parole]

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Capitolo 31
*** Sì, lo voglio ***


XXXI. Sì, lo voglio
 
[Arcobaleno]
 
Si sposano in un giorno che piove a dirotto – poco male, sostiene Hinata, si dice che porti fortuna, no?
Alle spose, risponde Tobio con aria esasperata, alle spose porta fortuna: noi che fortuna dobbiamo reclamare, se ci piove addosso il primo giorno insieme?
Lo fa ridere, non gli spiega il perché: ha la cravatta allacciata male e niente in testa, quando finalmente comincia a spiovere e gli dice – lo vedi, che siamo fortunati, alla fine?
La pioggia sbiadisce su un arcobaleno che squarcia il cielo con i propri colori, rubandogli un sorriso e quel, sì, lo voglio, che fa male al petto.
Lo vuole, deve ammettere con sé stesso, lo vuole per davvero.
 
[113 parole]

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