Capitolo
2
Qualche
ora prima, alla locanda Eden, qualcuno aveva preparato un infuso alle erbe dopo
aver atteso che l’acqua andasse in ebollizione. Egli si chiamava Jun: era un
giovane dai capelli blu molto scuro al momenti sciatti, poiché si era svegliato
da poco, e gli occhi dorati.
Tempo
cinque minuti e il comproprietario della locanda era salito al piano di sopra
recando un vassoio con sopra il profumato infuso dentro una tazza bianca in
ceramica.
Scostando
leggermente la porta di legno di frassino era entrato nella camera dove, accanto
alla finestra con delle tendine color verde oliva, vi era un semplice letto
matrimoniale con una giovane dai voluminosi capelli biondi e con ancora indosso
la vestaglia da notte, mentre tra le sue braccia dormiva beata una piccola bimba
con in testa un ciuffetto di capelli scuri.
Era
passato circa un annetto dalla sua nascita che aveva allietato la loro vita
coniugale, anche se non mancavano certo i momenti in cui le stavano dietro un
po’ di più senza mai riposare, come quando aveva contratto una febbre alta che
li aveva tenuti in allerta per cinque giorni, ma fortunatamente era guarita
grazie alle cure di un bravissimo cerusico.
«Hiyori,
io devo aprire la locanda: prenditi il tuo tempo per bere e per sistemarti: vi
aspetto sotto», sussurrò per non disturbare.
«Jun,
aspetta! Stai dimenticando una cosa importantissima!» esclamò, dopo averlo visto
deporre il vassoio nel comodino vuoto accanto a lei.
La
donna aveva chiuso le palpebre e stretto le labbra, sporgendole in avanti e in
attesa. Jun decise all’istante di accontentare la sua graziosa principessa
soltanto perché sapeva per esperienza che altrimenti gli avrebbe tenuto il
broncio per tutto il giorno, il loro bacio fu veloce ma passionale abbastanza
per farla felice.
«Mary,
adesso noi due ci facciamo belle, ok?» Hiyori si rivolse alla loro bimba
sollevandola delicatamente e sfregando con dolcezza il naso contro il suo,
piccolissimo.
Midori
scelse senza alcun indugio di occupare il posto più appartato della locanda,
senza incrociare lo sguardo di nessuno, con l’intento di rimanere inizialmente
per i fatti propri. Sperò di non essere sembrato troppo rigido mentre
raggiungeva quella sedia dietro una pianta in vaso dall’aspetto ben curato.
Quasi saltò quando comparve il locandiere per porgergli una pergamena con il
menù trascritto sopra con l’inchiostro.
«Grazie
m-mille!» esclamò per cortesia.
«Va
tutto bene?» domandò Jun, vedendolo così intimidito. «È bello vedere volti nuovi
ogni tanto. Da dove provieni?» continuò per rompere il ghiaccio ed essere
accogliente come richiedeva il suo ruolo.
Forse
incoraggiato dal suo sorriso, Midori replicò con più serenità: «Dai Monti
Shiranui. Sono in viaggio su richiesta del mio maestro, per questo sono giunto
fin qui, ma si tratta di una missione segreta quindi… non ne parlerò», si limitò
a replicare, grattandosi la nuca.
«Va
bene, non insisto. Aspetti qualcuno, per caso? Molti scelgono la nostra locanda
per darsi appuntamento».
«No.
A-avete altri avventori, pare», riferì cambiando discorso, poiché aveva appena
visto la porta principale aprirsi con lo scampanellio della campanella posta
sopra, come si era mossa anche con lui.
Dall’ingresso
della locanda entrarono due persone, precisamente due giovani, e la prima cosa
che attirò lo sguardo di Midori fu lo spadone che uno di loro portava al fianco.
Non credeva che avrebbe avuto la possibilità di vedere già un cavaliere
importante, pensando che avrebbe dovuto viaggiare ancora prima che succedesse.
Lo sfiorò la possibilità di chiedergli se per caso potesse accompagnarlo nel
luogo in cui era diretto, tipo fargli da scorta, ma magari era già impegnato e
questo lo frenò subito dall’alzarsi in piedi e andare a domandarglielo. Chi era
lui per avere pretese del genere? Solo un maghetto principiante da quattro
soldi, e poi quelli erano pure muscolosi in confronto a lui,
gracilino.
Chiaki
era andato dritto e sicuro verso il tavolo centrale, con quattro posti, di cui
due erano già occupati, perciò chiese se per caso gli dispiaceva se si univano a
loro a bere in allegria.
Si
trattava di un tizio biondo con una benda nell’occhio sinistro e l’altro occhio
con l’iride azzurrissima, mentre il suo vicino era un ragazzino dai capelli rosa
e un’acconciatura circolare ai lati delle orecchie. Corrispondeva esattamente
alla descrizione che avevano riguardo agli informatori.
Fu
quello più grande a rispondere seraficamente: «D’accordo. Accomodatevi
pure».
«Mio
caro Shinobu, ti dispiace andarci da solo? Non sono il benvenuto in luoghi del
genere», disse Kanata, accucciandosi dietro una cassa di legno nel retro della
locanda Eden. Da qualche metro avevano visto Chiaki e il suo assistente nel
momento esatto in cui vi si erano introdotti, per poi sgattaiolare furtivamente
dove si trovava un’uscita secondaria della struttura.
«Solo
perché la gente non capisce! Per fortuna non hanno tutti dei pregiudizi contro
le sirene, ma sarebbe bello se le cose cambiassero», si dispiacque il ragazzo
ranocchio, calando contrito il capo.
«Già.
Non immagini quanto ti sia grato per essere dalla mia parte, Shinobu: sei sempre
un alleato così prezioso», gli sollevò il morale la creatura marina, attualmente
nella sua forma umana.
«Basta
mettermi in imbarazzo! Adesso entro anch’io», asserì lui, guardando il cielo e
stringendo i pugni.
«Vi
aspetto qui», mormorò l’altro con totale fiducia accompagnata da un sorriso
sincero.
«Sì,
esatto, quella volta ho steso un orso combattendo a mani nude! Ahah», confermò
Chiaki dopo che Tori – il nome del ragazzino, che lo fissava meravigliato con
gli occhi sgranati e la cannuccia tra le labbra – gli aveva domandato se questa
vicenda su di lui fosse accaduta veramente.
Erano
passati pochi minuti da quando erano stati serviti con due tazze di latte per
quest’ultimo e Tetora, e due boccali di vino rosso per Chiaki e il misterioso
giovane con la benda che non si era ancora presentato. Non aveva per nulla
toccato il suo boccale, solo ci aveva girato un dito intorno più volte,
riflettendo su chissà che.
«Cosa
spinge un cavaliere così valoroso come lei da queste parti?» domandò allora il
biondo con tono apatico, fingendo disinteresse.
«Sono
stato convocato da Re Leo e mi è stata affidata una missione, ma prima di
decidere come muovermi ho pensato che qui, tre giorni fa, dovrebbe essere
passato un individuo alquanto sospetto. Sapete dirmi qualcosa a riguardo?
Pensateci: recava con sé qualcosa che non ha mai tirato fuori?» chiese,
arrivando al sodo con il motivo per il quale si trovavano
lì.
«Costui
ha i capelli castani: purtroppo è l’unica informazione che abbiamo ottenuto da
una donna che lavora a palazzo», aggiunse Tetora, leccandosi le labbra sporche
del buon latte.
Il
tipo ben informato, appoggiando il mento nella mano, il volto reclinato,
l’occhio sano stranamente assottigliato e quasi tagliente, tirò un
sospiro.
«Ti
dirò quello che so, ma prima vorrei precisare una cosa: sono stato gentile
perché inizialmente non ti avevo riconosciuto. C’è una diceria sull’eroico
cavaliere Chiaki, su Red Chevalier, che non mi piace: tempo fa hai salvato una
sirena».
All’ultima
parola cadde un silenzio intimidatorio. Qualcuno dei presenti
sussultò.
Chiaki
mantenne comunque il suo entusiasmo.
«Sì,
è vero. L’ho fatto, signori e signore. Ed è una delle cose che rifarei perché
non c’è nulla di male», fu la sua pura e semplice replica.
«Le
sirene sono pericolose!» sbottò l’altro.
«Eichi-sama!»
esclamò Tori, che sapeva il motivo di quel comportamento, ma non aveva il
permesso di rivelarlo dallo stesso.
«Ne
hai conosciuta qualcuna per affermare ciò?» domandò Chiaki senza ancora farsi
turbare dalle loro parole. Era abituato alle provocazioni, di qualunque natura
esse fossero. Aveva impiegato anni per allenare l’autocontrollo, mentre prima
sicuramente si sarebbe arrabbiato. Arrabbiarsi, però, recava solo rancore e odio
e lui non voleva affatto cedere a quei sentimenti così
negativi.
«Non
personalmente, ma-».
«Kanata
è gentile. Ha un cuore grande quanto gli abissi dai quali proviene. Non farebbe
del male a nessuno».
Aveva
dato questa risposta con un tono meno squillante, più intenerito. Eppure Eichi
non riusciva a concepire un tale affetto: non poteva. Aveva perso qualcuno di
importante.
«Ti
avrà abbindolato, allora! È un mostro come tutti quelli della sua specie!»
enfatizzò, balzando in piedi e battendo i pugni sul tavolo nello stesso
momento.
«Vuoi
attaccare briga, per caso? Io sono sempre pronto a difendere il padrone con i
miei artigli. Se padron Chiaki afferma che le sirene sono buone, io gli credo!»
ringhiò Tetora, venendo però trattenuto per una spalla dall’altro, che sorrise
per rassicurarlo che non c’era bisogno di aggredire
nessuno.
E
poi la sua forma animale avrebbe sicuramente scatenato il panico generale.
Meglio non utilizzarla.
A
giungere in suo soccorso per quanto riguardava il tranquillizzare i presenti,
Hiyori, con i capelli legati in una coda alta e il vestito da locandiera a balze
sotto il grembiule, si mise al fianco di Eichi. Era una delle poche persone al
mondo a poterlo fare dato che si conoscevano da anni, anche non sempre
sopportava il suo carattere.
«Calma,
calma, calma. Non c’è bisogno di scaldarsi, miei cari! Eichi, non provocare i
nuovi clienti, per piacere. Ho perso il conto di tutte le volte in cui te l’ho
detto. Torna a sedere, su, da bravo!»
«Me
ne vado», ribatté invece, riportando almeno il suo tono all’apatia dimostrata
precedentemente. Si rivolse al ragazzino che era insieme a lui: «Tori, dagli
l’informazione che desiderano, così se ne potranno andare anche
loro».
Udirono
che il ladro della statuetta – erano certi fosse lui poiché non avevano altre
piste – si chiamava Madara, si era fermato a bere lì appunto tre giorni prima, e
animato dall’alcol in circolo aveva riferito allegramente il suo piano. La sua
intenzione era di imbarcarsi verso l’isola più vicina, poi da lì avrebbe preso
un’altra nave e infine un cavallo che lo avrebbe condotto fino al castello di Re
Rei, nel Regno confinante.
«A
quest’ora potrebbe essere arrivato a destinazione, o quasi, non pensate anche
voi?» affermò Tetora.
«Temo
proprio che sia così», rispose Hiyori, che si era fermata ad ascoltare, seduta
nella sedia prima occupata da Eichi.
«Dobbiamo
imbarcarci nella prima nave disponibile verso la medesima isola, dunque»,
dedusse Chiaki.
«E-ehm,
scusatemi se mi intrometto», si inserì una voce bassa, timida.
Anche
Midori aveva preso il giusto coraggio per avvicinarsi al gruppetto riunito nel
tavolo centrale.
«Io,
forse, ho una suggerimento più rapido per il vostro caso».
Persino
Shinobu, che nel frattempo si era fatto servire da Jun una specialità della
locanda, senza ancora farsi avanti con Chiaki per svelare il fatto che Kanata lo attendesse fuori, rimase stupito e quasi impietosito da quel tipo che sembrava
stesse per svenire da un momento all’altro.
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