Speak Now

di CedroContento
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Terza Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Speak Now
 
 
“Il Duca avrebbe desiderato, anche se non l’ha detto ufficialmente, che sua Maestà prendesse in sposa sua figlia. Ma non se n’è fatto niente.”
“Per forza, era strabica e piena di lentiggini” esclamò Caspian.
 
(Le Cronache di Narnia – Il viaggio del veliero, Cap.2)
 
 
 
Prima Parte
 
Lo sguardo di Ella vagava oltre la finestra aperta della sua stanza, lontano, sul mare, fino all’orizzonte, dove immaginava di poter scorgere le coste della lontana Terebinthia. 
“Non mi va di venirci,” borbottò, parlando più a sé stessa che alla sua matrigna, impegnata a rovistare nel suo guardaroba alla ricerca di un bel vestito per l’occasione
“Non hai molta scelta, tesoro mio. Sarebbe proprio il colmo se la primogenita del Duca non presenziasse ad un evento del genere. Per non parlare delle chiacchiere che alimenteresti comportandoti così,” rispose la Duchessa di Galma. “Un paio d’ore, non di più. Promesso,” aggiunse, avvicinandosi ad Ella per scostarle con dolcezza un ricciolo ramato dal viso.
La seconda moglie del Duca era sempre stata un’ottima madre per lei. Non aveva mai mancato di farla sentire amata, nonostante Ella fosse l’unica tra i suoi figli - quattro maschi- a non avere il suo stesso sangue nelle vene. Qualche volta, segretamente, Ella si permetteva di considerarsi la sua preferita, ma non avrebbe mai osato chiedere se fosse davvero così. 
“Sarà impossibile evitarlo,” sospirò la ragazza. “Scommetto che anche il semplice fatto che io mi trovi nella stessa stanza con lui farà sbellicare tutti dal ridere”.
Si sforzò di ricacciare le lacrime che premevano per uscire. Credeva di aver superato il dolore per quella vecchia umiliazione, credeva di essere riuscita ad elaborare il rancore che sentiva ribollire dentro, a relegarlo nel passato. Eppure, tutto ora tornava a tormentarla, dopo più di dieci anni.
 
C’era stato un tempo in cui suo padre, il Duca di Galma, aveva sperato che re Caspian potesse interessarsi a Ella, la sua - all’epoca - adorata primogenita, quella nata dal suo primo matrimonio, durato appena pochi mesi, prima che la moglie morisse di parto; quella che poi era diventata uno dei suoi più grandi fallimenti. Il Duca sognava che il neo eletto sovrano, ancora in cerca di una consorte, prendesse in considerazione l’idea di sposare sua figlia, facendone la regina di Narnia. Non aveva potuto che farsi contagiare e credere a quel sogno anche Ella, fino a che non era successo quel che era successo.
Ella ricordava, come se fosse stato appena il giorno prima, l’eccitazione che aveva provato nel vedere le vele scarlatte del Veliero dell’alba fare rotta in direzione del porto di Galma.
Ricordava la gioia, mista ad imbarazzo, del momento in cui era stata prestata al Re, e lui era così giovane e bello, e le aveva rivolto quel galante cenno di saluto.
Ricordava la settimana di banchetti e giostre, durante le quali il Re aveva mostrato il proprio valore e la propria abilità, disarcionando i più capaci cavalieri dell’isola, e non solo.
Poi le notti insonni, passate a sognarlo ad occhi aperti, a fantasticare su come si sarebbero innamorati e sposati e avrebbero vissuto per sempre felici e contenti.
Poi i sogni si erano frantumati contro quella manciata di parole, trasformandosi in incubi, che la consumavano durante notti lunghe, interminabili.
Ricordava le giornate passate ad odiare la propria immagine riflessa, quel viso tanto inadeguato e sgraziato, solo perché re Caspian l’aveva rifiutata - senza troppo garbo, questa volta - definendola, testualmente, ‘strabica e piena di lentiggini’.
 
Ed è buffo, davvero, come la distratta osservazione di un Re, giunta ad orecchie poco discrete, possa cambiare il futuro di una persona. Dopo l’indiscrezione riguardo il commento del re di Narnia, Ella era diventata una storiella divertente in tutto il regno. Ma ancora peggio dello scherno, che tutto sommato si limitava solo a ferire la sua dignità di giovane donna, era il fatto che nessun buon partito l’aveva più veramente presa in considerazione. Per quanto suo padre cercasse di sistemarla con un buon matrimonio, nessuno voleva saperne di lei, non c’era nemmeno bisogno di vederla o parlarle. Chi avrebbe mai voluto sposare una barzelletta vivente, se, per di più poi, il commento sul suo aspetto era del tutto vero?
Con gli anni, una delusione e un rifiuto dopo l’altro, Ella si era rassegnata - e così anche suo padre - all’idea di rimanere sola. Boicottava sempre più eventi mondani, rifugiandosi invece nello studio, dove eccelleva, e almeno ricavava qualche soddisfazione in quell’esistenza il cui futuro appariva sempre più inutile, più vuoto, più buio.
 
Con il tempo Ella aveva realizzato di poter avere anche altri sogni oltre a quello di sposarsi, dei sogni ancora più grandi, grandi come lo erano il mondo e il cielo, che non aspettavano altro che essere scoperti e compresi. Più si applicava, più si rendeva conto di essere molto più intelligente degli studiosi - uomini, per la maggioranza - che aveva attorno, e più quella consapevolezza cresceva in lei più si sentiva fiera, forte ed indipendente.
Ma c’erano ancora notti meschine in cui, scioccamente, Ella fantasticava che lui sarebbe tornato a prenderla, notti in cui sognava che si trattasse solo di un enorme malinteso, notti in cui immaginava Caspian tornare e pregarla di diventare la sua principessa. Caspian però non tornò mai, e negli ultimi dieci anni anche Ella aveva fatto di tutto per evitarlo.
Ma il Duca non poteva evitare in eterno di tenere una festa - una di quelle che piacevano a lui, di quelle di cui si parlava per mesi - ne andava della sua popolarità, e men che meno poteva sognarsi di evitare di invitare ad un evento del genere il re di Narnia in persona. Quale occasione migliore del suo compleanno poteva esserci per inaugurare un ritorno ai vecchi, gloriosi, tempi? 
 
“Chi ci ha perso è stato lui,” disse la duchessa di Galma - evitava sempre di nominare direttamente il Re davanti alla figlia adottiva. Ella sapeva che lo pensava sinceramente, non lo diceva solo per rincuorarla; questo però non rendeva quanto sosteneva per forza vero.
Ella sospirò per scacciare il magone, sistemandosi i grandi occhiali tondi che avevano corretto il suo strabismo convergente. Le lentiggini invece erano ancora lì, forse erano anche aumentate. 
“Sei bellissima,” le disse la Duchessa, con affetto. 
“Beh, grazie, se nemmeno mia madre lo pensasse di me sarebbe veramente triste!” 
“Cosa abbiamo detto di quel tono sarcastico?!” la riproverò la donna, senza riuscire a trattenere un sorriso, suo malgrado. 
“Non voglio venirci,” ribadì Ella, mettendo il broncio e tornando a guardare fuori, dove il mare placido di quel bel sabato pomeriggio sembrava farsi beffe del suo stato d’animo. 
“Non hai scelta”.

 
 
 
Il Veliero dell’alba aveva fatto il suo fiero ingresso nel porto dell’isola il giorno prima della festa. 
Il ballo, tutto sommato, si rivelò non essere così tragico come Ella aveva immaginato. Aveva fatto in modo di rimanere in disparte, nascosta nell’ombra, per tutto il rituale di convenevoli. Come aveva sperato, Caspian non la guardò o la considerò minimamente; forse in realtà nemmeno si ricordava più di lei, dopo tutti quegli anni. 
Ella stava già adocchiando l’uscita, quando sua madre le si avvicinò tutta allegra: “Ella, cara, ottime notizie! Il nipote del duca di Muil, lord Liberlin, ha chiesto a tuo padre di te. Ti cerca per danzare, è una grande occasione!” disse, trattenendosi a stento dal saltellare e sistemandole il vestito - che in realtà non ne aveva alcun bisogno. 
“E quale sarebbe?” chiese Ella, sentendo già puzza di bruciato. 
Non le sfuggì l’esitazione della matrigna: “Ehm, quel ragazzo magrolino lì,” disse la Duchessa, indicando discretamente un tizio allampanato con i capelli nerissimi, che gli ricadevano continuamente davanti agli occhi ed era costretto a scostare in continuazione con un movimento nervoso della testa, che sembrava proprio un tic. 
“Stai scherzando spero!” esclamò Ella, sgranando gli occhi. “Non se ne parla nemmeno, io con quel tipo strano non ci ballo!”
“Quindi mi vorresti dire che proprio tu ti metti a giudicare un libro dalla copertina, è così?” 
Ella, punta sul vivo, le rivolse un’occhiataccia; quello era proprio un colpo basso, proprio un gran bel colpo basso. 
“Uno solo. E poi me ne torno in camera per il resto della mia vita,” concesse Ella.
Stizzita, si allontanò tra la folla, senza dare alla matrigna il tempo di ribattere alcunché, ma era certa che se si fosse girata a guardarla l’avrebbe colta intenta a seguire speranzosa gli sviluppi della vicenda. 
Ballare con il nipote del Duca in ogni caso si rivelò davvero il disastro totale preannunciato: il ragazzo non era di molte parole ed era veramente impacciato come era sembrato in apparenza. Perdeva continuamente il ritmo a causa del movimento reiterato della testa e aveva pestato i piedi a Ella ormai, più o meno, un migliaio di volte. 
“Sapete, lord Liberlin-”
La testa del ragazzo scattò di lato così violentemente che Ella temette di vederla staccarsi dal collo e rotolare in mezzo alla pista da ballo. 
“Eugene, vi prego, chiamatemi Eugene.”
“Ehm… d’accordo, lord Eugene, io comincio a sentirmi davvero stanca. Mi ritirerei volentieri nelle mie stanze, col vostro permesso, ovviamente”. 
“Oh, ma che peccato! Vi prego, concedetemi giusto un ultimo ballo.”
Ella stava già pensando a che scusa poteva accampare per rifiutare quella semplice richiesta, quando una voce, che ebbe il potere di farla sbiancare, arrivò alle sue spalle.
“Se questo dev’essere davvero l’ultimo ballo di lady Ella, se non vi spiace, lord Liberlin, ve la ruberei volentieri, visto che non ho ancora avuto il piacere”. 
“Altezza!” si irrigidì, ansioso ed impacciato, il giovane lord. “Se insistete, a malincuore, ve la cedo.”
“Sì, insisto,” annuì re Caspian, senza badare troppo al nipote del Duca, ma guardando con una certa curiosità e divertimento Ella, che da bianca stava diventando paonazza.
“Voi due lo sapete che sono proprio qui, vero? E, pensate un po’, sono anche in grado di parlare per dirvi che non ho più nessuna voglia o intenzione di ballare con nessuno”. 
“E come ho detto, Ella: insisto,” fece re Caspian, afferrandola con gentilezza, ma anche una certa decisione, per la vita e cominciando a condurre. 
“Mi ricordo di voi,” disse il Re dopo non molto che danzavano.
Caspian aveva sondato con insistenza il suo viso, e continuava a farlo. Ella dal canto suo si premurava di guardare qualsiasi altra cosa nella stanza; tutto, ma non lui.
“Buon per voi,” rispose Ella, “Altezza,” aggiunse con falso riguardo.
Le labbra di Caspian si incresparono in un lieve sorriso, suggerendole che il tono sarcastico non gli era sfuggito. Non ne fece parola. 
“Volevo giusto parlarvi. Anche se, ho avuto la sensazione che mi steste evitando,” continuò lui.
Ella riusciva a percepire con netta precisione ogni punto in cui lui la stava toccando, e quel tocco bruciava tanto che avrebbe giurato di sentire del vero e proprio dolore fisico. Le costava fatica non sottrarsi, avrebbe voluto strapparsele di dosso quelle mani.  
“Davvero, vi sembra? Comunque, non vi disturbate, non dobbiamo parlare per forza. Vedete, il castello è pieno di belle dame che non vedono l’ora di scambiare due parole con voi, parlate con loro. Non dovreste perdere il vostro tempo con me,” disse tutto d’un fiato, sbriciandolo con la coda dell’occhio e notando quanto fosse ancora bello.
Si chiese distrattamente perché non avesse ancora preso moglie (1) . L’istante dopo averlo fatto odiò sé stessa per essere stata sfiorata da quei stupidi pensieri; non doveva interessarle, come a lui non interessava, e non era mai interessato, di lei.
“Non ritengo di star sprecando il mio tempo,” disse Caspian, facendosi serio tutto d’un tratto. “So che sapete ciò che ho detto la prima volta che sono stato qui, e mi sembra di capire che ce l’avete ancora con me per questo. Ne avete tutte le ragioni, Ella.” 
Ella si limitò a scrollare le spalle, fingendosi indifferente, cercando di convincere sé stessa di esserlo, ma ciò che aveva da dire Caspian le interessava, eccome.
Fortunatamente per lei, nonostante non lo stesse affatto incoraggiando, il Re continuò: “Non intendevo offendervi, ero poco più che un ragazzino, ho detto una cosa stupida.”
“Offendermi…” sbottò Ella, incapace di trattenersi. “Davvero credete che io sia offesa perché non avete trovato di vostro gusto il mio aspetto?!”
“Beh, è proprio quello che sembra, e sto cercando di scusarmi con voi,” disse il Re, ostentando per la prima volta un minimo di insicurezza. “Come vi ho detto, ne avete ogni ragione, è stato un commento indelicato da parte mia. E, per quel che vale, non penso più una cosa del genere. Siete bellissima stasera”.
Ella, incapace di ascoltare oltre quelle assurdità, si arrestò bruscamente, liberandosi con un violento strattone, una volta per tutte, da quel contatto indesiderato.
Non poteva credere alle proprie orecchie. Come poteva venire in mente a Caspian di parlarle in quel modo, dopo quello che le aveva fatto passare? Come poteva minimizzare così le conseguenze del suo commento da poco più che ragazzino
Le bastò uno sguardo agli occhi dell’ormai definitivamente confuso Re per mettere a posto tutte le tessere: “Voi non lo sapete”.
Quella consapevolezza la colpì come una secchiata d’acqua gelida. Caspian non sapeva nulla di quello che avevano scatenato le sue parole. Ella aveva vissuto gli ultimi dieci anni da emarginata a causa di una persona per cui valeva così poco che non sapeva nemmeno di averle rovinato la vita con un’uscita infelice.
Ella si rese conto di trovarsi ferma, con un attacco di panico incipiente, davanti al Re, in mezzo alla sala da ballo, e di aver alzato la voce. Se già prima gli invitati avevano discretamente seguito quanto accadeva, ora più nessuno si premurava più di dissimulare l’interesse per quel piccolo dramma. Era riuscita a dar loro lo spettacolo che tanto desideravano.
Avvertendo le lacrime pizzicarle gli occhi, girò sui tacchi, per lasciare la stanza di corsa, prima che potessero anche vederla piangere.

 
  1. Come forse avrete sospettato, farò finta che la figlia di Ramandu (la moglie di Caspian) non esista (su) .
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Seconda Parte
 
“Ella…” sussurrò, da un punto indefinito, la voce della Duchessa. “Ella, svegliati.”
Percepì il peso leggero del corpo della madre seduta sul letto accanto a lei, il suo profumo familiare sapeva di conforto.
Qualcosa nella testa di Ella le suggeriva di ignorare quanto diceva e indugiare il più possibile nel dormiveglia. Riluttante, aprì gli occhi e meccanicamente le sue mani cercarono a tentoni gli occhiali da vista. Li trovò, ma non li appoggiò sul naso, li strinse tra le dita chiuse a pugno. Non era pronta a rimettere a fuoco la realtà. 
Più tornava cosciente, più il ricordo e la consapevolezza di ciò che era successo la sera prima le ripiombavano addosso; le sembrò di sentirle abbattersi su di lei come onde enormi di un mare in tempesta. 
 
“Che ore sono?” mugugnò, ancora mezza addormentata, nascondendo la testa sotto il cuscino. 
Aveva passato gran parte della notte insonne, a rimuginare su quanto era accaduto. Era riuscita a servire su un piatto d’argento dei nuovi pettegolezzi a chi se li aspettava e, almeno una volta tanto, non aveva deluso le aspettative di nessuno.
Cercò di raddrizzarsi e solo allora si rese conto che una marea di stoffa la impediva nei movimenti; si ricordò che non si era nemmeno premurata di togliere il vestito da sera, prima di rifugiarsi tra le coperte, la notte prima. 
 
La Duchessa aveva spalancato le finestre e l’aria e la luce, frizzanti della tarda mattinata, si riversavano nella stanza. 
“Le dieci, è tardi!” fece, sempre più insistente sua madre.
Ella registrò nel suo tono una certa irrequietezza.
“Tardi?” chiese, sbadigliando. “Ma cosa stai dicendo, tardi per cosa?” 
“Ieri sera Sua Altezza ha parlato con tuo padre,” azzardò, finalmente, la Duchessa.
Ella scostò di scatto le lenzuola, ormai completamente sveglia. E anche alquanto allarmata.
Fece un cenno nervoso con la testa, dando ad intendere alla madre che era meglio si decidesse a vuotare immediatamente il sacco.
Lei non si fece pregare: “Re Caspian vuole che tu vada con lui a Cair Paravel, passerai un periodo ospite a corte!” annunciò, tutto d’un fiato. “Non è fantastico?!” 
“No, che non lo è! Io non ci voglio andare a Cair Paravel!” balzò su Ella. 
“Ma non capisci? Questo potrebbe sistemare le cose! Se sua Altezza in persona ti invita a corte non sarai più un’emarginata, qualcuno potrebbe mostrare più interesse nei tuoi confronti, la smetteranno di prenderti in giro, è la tua grande opportunità di riscatto! Tesoro mio, non poteva esserci soluzione migliore!”
“Io sto bene da sola, non ho bisogno di- di-… tutte queste cose.” 
“Non essere sciocca,” fece la Duchessa, e un tono severo prese il posto di quello più attento di poco prima. “Ti metterò io stessa sulla nave con il Re, dovesse essere l’ultima cosa che faccio,” minacciò. “Non sarò costretta a vedere un giorno di più le occhiate che ti rivolge tuo padre!”
La Duchessa serrò le labbra e sottrasse a Ella lo sguardo, colpevole, dopo aver pronunciato quelle parole, pentita di essersi lasciata andare rivelando i suoi pensieri; un evento raro per lei.
 
Anche Ella perse tutto il suo slancio. Abbattuta passò le dita sugli intricati ricami floreali del sul suo stupendo vestito, senza vederli realmente.
Sapeva a quali occhiate si riferiva la matrigna, quelle che ogni volta sembravano urlarle in faccia che per il padre lei era un bel problema, non solo una delusione enorme.
Pareva che il Duca non fosse proprio in grado di celare quel sentimento, che aveva finito per prendere il posto dell’adorazione che le riservava un tempo, quando era ancora la sua piccola bambina esuberante. 
 
“Vorrei solo che potessi vedere ciò che vedo io quando ti guardo,” riprese la matrigna. “E checché ne pensi, Ella, sei meravigliosa. Ti stai buttando via,” disse, tornando vicina e stringendola in un abbraccio.
Ella sentì le lacrime salire agli occhi per l’amore che percepì in quel contatto; era così grata di avere qualcuno che la amasse tanto.
Sospirò pesantemente per non sciogliersi definitivamente in un pianto. 
“Te lo eri preparato tutto questo discorso,” borbottò, sentendosi più che mai sconfitta da tutto e tutti, dalla vita stessa. 
“Sì, ci ho pensato su tutta la notte,” ammise la Duchessa.
Ella percepì le sue labbra piegarsi in sorriso triste.
Annuì contro la sua spalla: “È uscito bene,” concesse, ricambiando la stretta. 
“Grazie,” disse la Duchessa, scostandosi quanto bastava per guardarla in viso e asciugarle le guance umide. 
“Non andrò,” ribadì Ella, senza più alcuna convinzione.
La madre in risposta annuì, si alzò e, sorda alle sue proteste, cominciò a trafficare tra le sue cose per scegliere cosa dovesse finire in valigia.  
“Non andrò. Mi hai sentita almeno?!”
 

Ogni ragazza prima o poi sogna di essere prelevata da un bellissimo Re, di essere portata nel suo meraviglioso palazzo, solcando il mare, a bordo di una nave già leggendaria per aver raggiunto i confini del mondo.
Ogni ragazza che non soffra terribilmente il mal di mare, e quello era il caso di Ella. 
 
Fortunatamente, per raggiungere le coste continentali di Narnia non sarebbe servita più di una giornata di navigazione, e Ella era decisa a passare quel tempo rifugiata nella cabina che le era stata riservata, con un bel secchio come unico compagno di traversata.
Con un po’ di fortuna sarebbe riuscita ad evitare di rendersi ridicola, ancora, anche se questo comportava stare seduta da sola, abbracciata al suo fedele alleato, a riempirsi le dita di schegge sul legno ruvido. 
 
“Oh, ma volete prendermi in giro!” esclamò, quando dopo un rapido bussare, senza attendere l’autorizzazione, Caspian si infilò nei suoi alloggi. 
“Vi disturbo?” chiese il Re, gettando un’occhiata divertita la secchio.
“Sì,” fu la secca risposta. 
“Non era mia intenzione,” disse lui, senza ombra di rammarico. “Ma ho pensato che almeno qui, in mezzo al mare, non potrete scappare mentre cerco di parlarvi.”
“Una vera fortuna. Come posso aiutarvi?” articolò con attenzione Ella, concentrata a tenere a bada la nausea, ma assicurandosi di mettere nelle sue parole il giusto fastidio per quell’intrusione inopportuna. 
“Ella, sono venuto a dirvi che mi dispiace per quello che è successo. Intendo per tutto. Non avevo idea”.
“Buono a sape-” Ella avvertì una forte ondata di nausea risalire in gola dal suo povero stomaco aggrovigliato.
 
Svelta si aggrappò ai bordi del fidato secchiello, mentre il Re si dirigeva a passo deciso ad aprire la finestra, per lasciare entrare una sferzata d’aria fresca, che effettivamente aiutò Ella a riprendersi. 
“Non avete mangiato, vero? È un errore, avreste dovuto fare una colazione leggera,” puntualizzò, alquanto inutilmente, Caspian. 
Ella trovò la forza di alzare la testa dal secchio, spinta unicamente dal desiderio di ucciderlo con lo sguardo: “Ditemi quello che dovete e lasciatemi sola”.
Ci mancava solo che Caspian la vedesse veramente vomitare, non lo avrebbe mai sopportato, considerando che già farsi vedere in quelle condizioni, debole, la disturbava immensamente.  
 
“Bene,” disse lui, incrociando le mani dietro la schiena, assumendo una posizione di composta regalità. “Ho insistito perché veniste a corte con me perché sono del tutto intenzionato a sistemare la situazione. Vi terrò al mio fianco e nessuno oserà più ridere di voi,” annunciò Caspian, alzando il mento, risoluto e evidentemente molto compiaciuto da quella brillante trovata. 
“Non vi sarete messo in testa di trovarmi un marito, eh?” fece Ella, scettica. 
“Se trovate qualcuno all’altezza e di vostro gradimento, perché no?”
 
Ella scosse la testa, senza riuscire a trovare qualcosa di sensato da controbattere a quel mare di sciocchezze.
L’unica cosa che sapeva realmente era che stava malissimo, e che non aveva bisogno della compassione di Caspian; la sua carità le era intollerabile. 
 
“Sapete, da ragazzina, non avevo altro desiderio che sposarmi con un bel principe un giorno,” disse, azzardandosi a togliersi dal grembo il secchio, per darsi un minimo di contegno.
“Credevo che in qualche modo così mi sarei sentita realizzata, che avrei vissuto per sempre felice e contenta,” sorrise amaramente ripensando all’ingenuità di quelle convinzioni.
“Ma c’è una cosa che ho capito crescendo, dopo il nostro primo incontro, ovvero che per essere completi in realtà non occorre sposarsi, non occorre trovare un bel principe. Qualche volta, penso che vorrei poter tornare indietro e dire questo a me stessa, mi avrebbe risparmiato tante lacrime inutili.”
 
Si alzò e sostenne fieramente lo sguardo di Caspian, voleva fosse chiaro che lui non era più in grado di metterla in soggezione in alcun modo; nessuno avrebbe mai più potuto farla sentire piccola, nemmeno un Re.
“Non potete più ‘sistemare le cose’, è troppo tardi per voi e il vostro stupido veliero per venire a salvarmi.”
 
La regale di compostezza di Caspian vacillò, abbassò il mento e se in qualche modo fino a quel momento aveva torreggiato su Ella, ora sembrava aver riacquistato un’altezza normale.
Erano alla pari.
“Fatemi fare almeno un tentativo, ho una certa esperienza con le imprese disperate”. 
Gli occhi di Ella diventarono due fessure all’istante.
“No, io…mi sono espresso male. Non intendevo dire che-”. 
“Adesso, vorrei che mi lasciaste sola, Vostra Grazia,” disse, piccata. 
 
Caspian annuì, consapevole fosse meglio non aggiungere altro. Ella evitò accuratamente di guardarlo e lui si diresse verso la porta.
Sostenuta, seguì i suoi movimenti con la coda dell’occhio. Lo vide indugiare all’ultimo, forse sul punto di aggiungere qualcosa, ma dovette ripensarci.
Uscì, e lei poté ricominciare a respirare.
 
 
Cair Paravel era veramente un posto da sogno. In dieci anni di regno, Caspian era riuscito a riportare il castello all’antico splendore dei tempi antichi.
Ogni superficie del palazzo sembrava rifulgere di luce propria: gli intarsi dorati alle pareti, i pavimenti in marmo lucidi come specchi, i lampadari di cristallo che emanavano brilluccichii cangianti e i giardini costellati di fiori dal profumo inebriante.
Perfino le stelle nel cielo sembravano più brillanti in quella parte di Narnia. 
 
I posti che Ella preferiva in assoluto, neanche a dirlo, erano l’immensa biblioteca e il moderno osservatorio astronomico, che erano stati curati dal dottor Cornelius, quando questi era ancora in vita.
Ella si disse che se proprio doveva passare lì il proprio tempo tanto valeva approfittarne, considerato che nel suo castello poteva sognarsi volumi tanto rari e delle attrezzature così all’avanguardia. 
 
Ciò che le mancava realmente era il tempo che avrebbe desiderato dedicare allo studio; su insistenza di Caspian doveva prendere parte agli eventi e alle serate mondane, e quando il Re era a Cair Paravel ne venivano organizzati veramente un’infinità. 
 
Come promesso, Caspian le dedicava un mucchio di attenzioni: passava interi pomeriggi assieme a lei, danzava con lei alle feste, le riservava il posto d’onore al suo fianco ad ogni banchetto.
Era arrivato addirittura a tessere le lodi di quanto fosse fiorita la sua bellezza, con grande disappunto di Ella, che si chiedeva costantemente se non si stessero tutti solo prendendo gioco di lei, il Re per primo.
Una parte nel suo profondo le ricordava che tutto non era altro che una ridicola farsa, una stupida recita a beneficio delle apparenze. 
 
Ma il fatto sorprendente era che era stata quasi tentata di rispondere sì, quando un pomeriggio, Caspian le aveva chiesto se si stesse divertendo; perché, nonostante tutte le riserve, effettivamente era così.
Rinsavendo Ella aveva preferito puntualizzare che se non avesse già sperimentato sulla propria pelle quanto potessero essere crudeli tutte quelle belle persone sarebbe stato diverso.
Il Re aveva scosso la testa, tra lo sconfortato e il divertito, ed Ella si era sforzata di trattenere un sorriso.
 
Se non lo avesse conosciuto, avrebbe pensato che il Re sembrasse veramente apprezzare il tempo che passava con lei, o aveva doti attoriali molto convincenti.
Il suo incrollabile buonumore tante volte era fastidiosamente contagioso, e quando lui le sorrideva lei sorprendeva sé stessa a sorridergli di rimando. 
 
 
“Ella, ti cercavo,” si annunciò Caspian una sera, a circa tre settimane dall’arrivo di Ella a corte.
Era nel vecchio studio del dottor Cornelius, impegnata ad osservare alcune carte geografiche.
Alzò rapidamente la testa, dando ad intendere che aveva preso nota del suo ingresso, ma non voleva distrarsi. 
 
“Mi vergogno di confessare che non ci sono più venuto così spesso dopo la morte di Cornelius. Sai, me lo ricordi qualche volta,” continuò tranquillamente Caspian. 
Ella si morse la lingua per non dirgli che trovava strepitoso ricordargli un anziano mezzo nano; ma dal modo in cui Caspian tante volte parlava del suo vecchio precettore si poteva capire senza troppa fatica quanto gli fosse affezionato, così tacque, cercando di vedere il lato positivo di quella confidenza. 
 
“Questa l’hai trovata nella Camera degli Strumenti, se non sbaglio. È prodigiosa, vero?” disse il Re, avvicinandosi a Ella e alla cartina che stava esaminando con una lente, tanto che il suo braccio sfiorò quello di lei.
“Si può distinguere fino al più piccolo dettaglio, anche il più insignificante. Vedi l’insegna di questa bottega?” (1)
“Quello che non riesco a capire è come sia possibile che sia così minuziosamente precisa in alcuni punti, mentre in altri sia praticamente bianca. Non riesco a venirne a capo.”
“Raffigura solo ciò che ho visto con i miei occhi. Per quanto riguarda il renderla più completa possibile, ci sto lavorando”.
“Ovviamente. Se non l’hai visto tu non vale nemmeno la pena che compaia sulle mappe. Nulla esiste finché non si presenta al tuo cospetto, non è così?” disse Ella alzando il viso su di lui, sfidandolo con lo sguardo.
“Un giorno mi spiegherai perché sei sempre così acida con me. Anzi, mi correggo: con tutti,” ribatté lui senza tirarsi indietro. Sembrò anzi farsi più vicino, non le era mai stato così vicino.
 
Ella si rese conto di avere gli occhi impunemente fissi in quelli di lui, e avrebbe tanto desiderato sapere cosa gli stesse passando per la testa, mentre la sondava così profondamente da toglierle il fiato.
Aveva solo immaginato di vedere il suo sguardo indugiare sulle sue labbra, spinta forse dalla voglia che fosse realmente così? 
Probabilmente sì, doveva controllarsi: “Mi cercavi per un motivo particolare?” chiese, riportando la distanza interpersonale tra loro ad un livello più appropriato. 
“A dire il vero, sì. Lord Argion mi ha chiesto se sei disponibile, testuale. Pare voglia chiedere la tua mano al Duca, a tuo padre,” disse Caspian con apparente noncuranza, come se stesse commentando il meteo. 
“Cosa?! Davvero?” sgranò gli occhi Ella, e per poco non le scivolarono gli occhiali dal naso. 
 
Aveva parlato diverse volte con Lord Argion, ma non avevano mai passato del tempo soli. Era un uomo poco più grande di lei, pacato, discretamente intelligente, e si dava il caso fosse anche bello. Ella non aveva sospettato fosse interessato e lei in quel senso, non avrebbe mai osato sperare in tanta fortuna; solo un mese prima si sarebbe da subito premurata di smascherare il prima possibile il tranello. 
 
“Sei contenta?” indagò Caspian in tono piatto, vagando distratto per la stanza. 
“Sorpresa, più che contenta,” ammise Ella, sedendosi, sopraffatta dalla piega che avevano preso così improvvisamente gli eventi. 
“E se ti dicessi che gli ho detto che non lo sei? Disponibile, intendo,” disse Caspian, che, chissà da quanto, si era fermato e da lontano la esaminava.  
“Ti chiederei perché diamine ti saresti permesso di rispondere una cosa simile al posto mio!” esclamò Ella, balzando di nuovo in piedi, più disturbata dal fatto che Caspian ritenesse di poter prendere decisioni di quel tipo per suo conto, più che preoccupata di aver perso l’occasione - rara ed irripetibile - di quel matrimonio. 
“Temo-…” Caspian si fermò, cercando le parole. “Mi sono reso conto di sentirmi riluttante a cederti a chiunque,” disse alla fine, perdendo ogni compostezza. 
“Ti sto dicendo che mi sono innamorato di te,” aggiunse, visto che Ella lo guardava inebetita, incapace di muovere un singolo muscolo, o di proferire parola; un comportamento insolito per lei. 
 
“Non ne hai diritto,” rispose piano, dopo un tempo che sembrò infinito. “Non puoi. Tu-, tu sei l’uomo che ha distrutto i miei sogni. Mi hai umiliata e gettata nel dimenticatoio per dieci anni, come se non valessi nulla. Non sono disposta, non lo sarò mai, a perdonarti per questo, e figuriamoci a gettarmi ai tuoi piedi adesso. Non è così che funziona!” quasi urlò ciò che sentiva dentro, e che pure non era più certa corrispondesse al vero. 
 
“E non mi sono forse scusato un miliardo di volte per questo?! Cosa vuoi che faccia ancora?” ribatté con altrettanto fervore Caspian.
 
La guardava come se lo avesse appena preso a schiaffi, ed Ella non riuscì del tutto a spiegarsi come mai il proprio cuore le si fosse serrato nel petto, tanto da far male.
Solo un mese prima avrebbe dato di tutto per poter avere quella rivalsa. Aveva fantasticato, qualche volta, di rendere a Caspian pan per focaccia, era inutile negarlo; o in alternativa aveva sognato ad occhi aperti che lui tornasse strisciando da lei.
Ed ora eccolo lì. Ma sembrava tutto così sbagliato.
 
“Sono stanco di scusarmi, Ella, non ho più nessuna intenzione di farlo. Di sicuro non mi scuserò se ti trovo perfetta, non mi scuserò se provo quello che provo. E non mi scuserò se ho costantemente voglia di baciarti, perfino ora.”
 
Per la prima volta Ella fu certa non fingesse. Per la prima volta vide in lui dei sentimenti veri, inequivocabili e autentici, nulla di nascosto dietro ai suoi modi solitamente impeccabili. 
Ma Caspian non aveva merito di provare quelle cose per lei, il fatto che quei sentimenti fossero per lei era un errore, non li voleva, non sapeva più che farsene. 
 
“Non hai idea di come mi sia sentita sola in questi anni per colpa tua.” 
“Vieni a dare tu a me lezioni sulla solitudine?” sbottò Caspian. “Non hai idea di cosa sia la vera solitudine.” Scosse la testa: “Sei sempre così presa a compatirti da essere cieca a tutto. Per una volta, Ella, metti da parte quel tuo dannato orgoglio”.
“Non posso,” le era costato anni di fatica cucirselo addosso. 
“Bene, se è così penoso per te rimanere qui, con me, darò disposizioni perché tu possa partire domani stesso. In ogni caso considero la faccenda risolta,” disse, recuperando un fare più pragmatico. “A Lord Argion puoi rispondere quello che vuoi anche da Galma.” 
“Finalmente dici una cosa sensata,” disse Ella, serrando i denti. 
 
E come era accaduto settimane prima, a bordo del Veliero dell’alba, Caspian prese la porta.
Questa volta non esitò prima di andarsene, e il respiro per Ella non tornò quando lui uscì; tutta l’aria la lasciò con lui. 
 


1. La mappa a cui faccio riferimento è quella che Caspian ricevette in dono dal mago Coriakin (quello degli Inettopodi o Monopodi, per intenderci). La mappa in questione, come detto, è custodita “ancora oggi” nella Camera degli Strumenti, a Cair Paravel. (Le Cronache di Narnia- Il viaggio del Veliero, Cap. 11) (su)
 
 
Angolino dell’autrice:
 
Bentrovati, Narniani!
 
Non volevo interrompere il momento tra Caspian e Ella con una nota, quindi faccio ora una precisazione per quanto riguarda una frase nell’ultima parte del capitolo di Caspian, quella riguardo la solitudine: credo che gli avvenimenti nel suo passato gli diano ogni diritto di dire che nessuno meglio di lui possa dire cosa significhi essere soli. Se ricordate, Caspian è orfano, viene separato dalla propria tata, deve lasciare il suo precettore per fuggire e si ritrova completamente perso e senza alcun avere nel bosco; dimenticavo, tutto questo dopo che il suo stesso zio ha cercato di assassinarlo.
Ella invece, per quanto si sia sentita persa, non è mai stata sola fino a quel punto (basti pensare alla sua matrigna), questo però non lo sa e di conseguenza non lo può capire; pecca di ingenuità, se volete.
 
Come avrete intuito, nonostante io avessi in programma di dividere la storia solo in due parti, sarà invece divisa in tre capitoli (e poi basta, giuro XD), pare io non abbia proprio il dono della sintesi!
 
Ringrazio infinitamente chi mi ha letta e seguita fin qui, per tutte le meravigliose recensioni che mi avete lasciato, per chi ha listato. Grazie <3 *.*
E anche a te, Vale 😉
 
Al prossimo aggiornamento!
 
Cedro

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Capitolo 3
*** Terza Parte ***



 
A Cida, per il tuo sostegno e lo stupendo banner.
Terza Parte
 
Le stelle di Narnia brillavano in tutto il loro splendore sopra la testa di Ella, in quella tarda e limpida notte. Si rallegrò tra sé e sé per il fatto che non ci fosse nemmeno una minuscola nuvola in cielo, mentre era intenta a trafficare con le lenti di un vecchio telescopio che le sarebbe servito per osservare il raro allineamento fra ben tre pianeti.
La congiunzione avrebbe raggiunto il suo picco di lì a poco: Tarva, simbolo di Vittoria, Alambil, Signora della Pace e Segim, Signore dell’Inganno (1) ; un evento raro, che si ripeteva appena ogni cinquecento anni.
La presenza di Segim, collocato esattamente fra Tarva e Alambil, per molti non rappresentava esattamente un buon presagio, ma Ella non credeva a queste sciocchezze.
Quello fu il primo segnale d’avviso che ignorò.

La congiunzione era il motivo per cui Ella si era svegliata nel cuore della notte. Non che farlo le fosse costato troppo, il sonno l’abbandonava sul presto già da diversi giorni.
Era una vera fortuna trovarsi a Cair Paravel con un intero osservatorio astronomico ben attrezzato a sua completa disposizione.
Era vero, essere lì era una vera fortuna, e da quando si era fidanzata ufficialmente era anche una vera tortura.

La porticina della torre cigolò alle sue spalle, impedendo giusto per tempo ai suoi pensieri di tornare per l’ennesima volta a concentrarsi su di lui.
Ma quando si voltò, sulla soglia, stava immobile proprio Caspian, l’oggetto di quei pensieri assillanti, altrimenti detto: l’ultima persona che si sarebbe augurata di incontrare lì.

Dal loro incontro nello studio, Ella e Caspian non si erano più rivolti parola, o fosse anche solo un’occhiata. Era stato lui, in realtà, a non averla nemmeno più guardata in faccia, quando lei aveva accettato la proposta di lord Argion. Ella aveva solo fatto altrettanto, se non altro per una totale mancanza di spina dorsale.

“Scusa, non ho pensato che molto probabilmente ti avrei trovata qui,” disse lui, colto alla sprovvista quanto Ella.
“È che stasera c’è l’allineamento-”
“Di Tarva, Alambil e Segim. Sì, lo so,” mormorò, sforzandosi palesemente di non guardarla più del necessario. “Me ne vado.”
“Aspetta!” Ella si morse le labbra per essersi lasciata sfuggire quella parola, chiedendosi come diamine le fosse venuto in mente di fermarlo, quando non avrebbe dovuto augurarsi altro che la lasciasse finalmente sola e in pace.
Si mosse a disagio, cercando il modo migliore per rimediare a quell’uscita infelice: “Non voglio sentirmi in colpa per averti impedito di assistere alla congiunzione. Visto che ormai sei qui rimani, se ti va. O meglio, il castello alla fine è il tuo, puoi fare quello che vuoi,” borbottò, spostando la sua attenzione al fissaggio di una rotella, che non aveva alcun bisogno di essere sistemata.

Per un tempo che le sembrò lunghissimo, Caspian non si mosse.
Con la coda dell’occhio lo vide azzardare, ancora in parte indeciso, qualche passo verso di lei, con gli occhi rivolti al cielo.
“L’ultima volta che Tarva e Alambil si sono allineati, Cornelius mi raccontò tutta la verità su Narnia. Mi confessò anche di essere un nano,” raccontò, perdendosi nei ricordi. “Non eravamo qui - Cair Paravel a quel tempo era un mucchio di macerie - eravamo nel palazzo di mio zio Miraz.”
Ella avvertì nel tono di Caspian una nostalgia quasi dolorosa, certamente legata alla memoria di Cornelius, più che al palazzo in cui era cresciuto o allo zio che aveva cercato di assassinarlo.
“Non so perché te lo sto raccontando,” aggiunse, forse fraintendendo il silenzio di lei.

Ella avrebbe voluto riuscire a concentrarsi su altro, ma dopo tutti quei giorni passati ad evitare di guardarlo, a differenza di quelli di lui, sembrava che i suoi occhi fossero decisi a recuperare tutto il tempo perso. Non fu capace di farne a meno, alla fine anche Caspian non poté mancare di accorgersene. Non si sottrasse più.
“Hai accettato la proposta di lord Argion,” disse, con inaspettata schiettezza. Suonò come un’accusa.
“Sì,” rispose Ella, con un filo di voce.
Caspian annuì: “È stato più fortunato di me,” commentò amaramente.

Non avrebbe saputo dire come mai all’improvviso Caspian si trovasse così vicino a lei. Non sapeva se fosse stata lei ad annullare la distanza tra loro o se fosse stato lui a coprire quella manciata di passi.
“Brilli come una stella, Ella, vorrei solo essermene accorto prima,” le sussurrò, scostandole un ricciolo ribelle dal naso.
La mano di Caspian si fermò sulla sua guancia e Ella si riscoprì a voler premere il viso sul suo palmo, godere del delicato contatto con la sua pelle.
“Non dirlo, ti prego,” disse, senza alcuna convinzione.
“Vorrei solo sapere cosa devo fare per averti. Deve esserci qualcosa”.

Odiò la magia che sentiva nell’aria. Maledisse quel momento così perfetto, sotto le stelle, che sembrava splendessero solo per loro. Maledisse quella dichiarazione, la più dolce che si potesse desiderare, e che una piccola parte di lei, segretamente, aveva atteso da sempre.
Sopra ogni cosa odiò la sua testarda dignità, che le impediva di dire sì e solo sì.
Scosse la testa per scacciare tutto: “Non puoi fare più-”
Caspian fermò quelle parole con le sue labbra e, pur sapendo fosse sbagliato, a quel bacio Ella si abbandonò.

Lui partì il giorno dopo stesso.

Senza Caspian, Cair Paravel sembrava deserta; Ella non era certa si trattasse solo di una sua impressione. Tutto procedeva più lentamente, la sequela di feste ed eventi si era arrestata bruscamente con l’improvvisa partenza del Re.
Dove fosse diretto, salpando così in fretta e furia, nessuno lo sapeva.

Nemmeno l’arrivo della famiglia intera di Ella bastò a riempire gli spazi.
La presenza di sua madre - felice come non mai - comunque mise il turbo ai preparativi del matrimonio.
La matrigna di Ella era sempre stata una donna energica e incrollabile, ma in quei giorni scoppiava particolarmente dalla gioia, e l’entusiasmo e il buon umore finirono per essere contagiosi, perfino per Ella. Il fatto che fosse riuscita a renderla tanto fiera le scaldava il cuore. Era sollevata di non sentirsi più un peso ed un fallimento totale; una sensazione che non le apparteneva da così tanti anni che aveva dimenticato di averla mai provata.
Perfino suo padre le sorrideva. Aveva sofferto così a lungo per la sua freddezza, aveva così a lungo agognato quel momento. C’era un tempo in cui avrebbe dato di tutto perché lui la guardasse con tanto orgoglio. Si riscoprì ad accogliere quell’orgoglio con totale indifferenza; qualcosa tra loro si era rotto, dieci anni prima, e non poteva più essere aggiustato.


Lord Argion aveva espresso il suo desiderio di sposarsi a Cair Paravel, al cospetto del Re di Narnia, e possibilmente con la sua benedizione.
Non a tutti era concesso di sposarsi a palazzo, ma la famiglia del futuro marito di Ella, primogenito di un Granduca, era molto antica ed importante. Era un grande privilegio, Ella avrebbe dovuto sentirsi un’eletta.
Stava vivendo i giorni che aveva sempre sognato, ma non riusciva a sentirsi leggera, non riusciva a sentirsi fortunata, o anche solo a scacciare il vuoto.
Passava le giornate in compagnia di lord Argion, organizzando le loro nozze, e le notti a cercare di ricordare il sapore di un bacio rubato.

“Ella! Svegliati, pigrona!”
Le porte delle sue stanze si spalancarono violentemente, scosse da quell’uragano che era la sua matrigna.
“Non è possibile che tu riesca a dormire fino a tardi anche il giorno del tuo matrimonio. Io non ho chiuso occhio. O cielo, spero proprio di non avere gli occhi gonfi!”
Le tende scattarono di lato, facendo entrare prepotentemente la luce del sole; Ella nascose la testa sotto il cuscino.
“Ho delle ottime notizie, il Veliero dell’Alba ha attraccato questa notte! Il Re ci sarà al tuo matrimonio, sono così sollevata!” escalmò.
Da sotto il suo cuscino, gli occhi di Ella di spalancarono. Quelle non erano affatto buone notizie, era un vero disastro. D’un tratto, trovò estremamente complicato riuscire a muovere un singolo muscolo, anche quelli che servivano per respirare.

“Ella,” il tono improvvisamente attento di sua madre la indusse, quasi automaticamente, a scoprire il volto. “Sei così strana in questi giorni. All’inizio ho pensato fossi semplicemente tesa e non ho detto nulla, ma...” cominciò, sedendosi accanto a lei. “Tesoro, te lo devo chiedere prima che sia troppo tardi: è veramente quello che vuoi? Lo ami?” le chiese, carezzandole la chioma arruffata.
La mano di Ella si aggrappò a quella di sua madre, la sua ancora di salvezza, la sua roccia.

Se c’era una persona che era in grado di metterla a nudo, far crollare ogni maschera, era proprio quella che in quel momento le stava vicina. Non poté più nascondersi, anche perché sentiva le lacrime premere per uscire. Così, come da bambina finiva col confessarle ogni marachella, raccontò a sua madre tutta la verità.

Percorse la navata a passo lento, chiedendosi perché la marcia nuziale suonasse triste quanto una marcia funebre.
La chiesa era riccamente addobbata, i fiori color pastello spargevano nell’aria il loro profumo dolce e delicato, gli occhi degli invitati - distinti ed eleganti - erano tutti concentrati su di lei.

Caspian, adducendo alla stanchezza del viaggio, aveva declinato l’offerta di celebrare lui stesso il rito, come qualche volta era prassi. Se ne stava al suo posto d’onore, rigido, l’espressione dura fissa sul pavimento. Ella pensò che aveva proprio l’aria di uno che avrebbe potuto mettersi ad urlare da un momento all’altro. O magari poteva finire lei col farlo.
Sua madre doveva pensare lo stesso di tutta quella situazione. Ella si sentì terribilmente in colpa per averle rovinato la felicità di quel giorno. Era tesa, lo specchio di ciò che dentro provava Ella stessa. Dall’altare, la vide lanciare continuamente delle occhiate preoccupate ad entrambi. Forse sarebbe stata lei quella che avrebbe messo fine a quella assurdità, gridando ai presenti che era tutto sbagliato.

Una vocina, nel profondo di Ella, cominciò a chiederle se stesse davvero facendo la cosa giusta.
Quella mattina, sua madre le aveva chiesto se quel matrimonio era veramente ciò che voleva, e Ella non conosceva la risposta alla domanda. Cosa l’aveva portata lì, il rancore? Una ripicca?

Guardò l’uomo dolcissimo e così perfetto che stava trascinando giù con sé. Lord Argion le sorrise interrogativo, Ella non fu in grado di rassicurarlo sorridendo a sua volta. Con il tempo, lo avrebbe reso terribilmente infelice, in un momento ne fu assolutamente consapevole.

Distratta com’era perse il filo della cerimonia. Sussultò nell’improvviso silenzio che seguì alla frase: “Se qualcuno ha qualcosa in contrario a questa unione, parli ora o taccia per sempre”.
Con il fiato sospeso, gli occhi di Ella scattarono verso quelli di sua madre, poi verso Caspian.

La testa del Re non era più rivolta al pavimento. Alto e fiero lui sostenne il suo sguardo, sfidandola. In quello scambio silenzioso, Ella capì che non avrebbe mai osato farle questo, stava lasciando a lei la scelta.
Ricordava quando gli aveva detto che non aveva bisogno di essere salvata, e la maledetta vocina parlò ancora, ricordandole anche che forse non era del tutto vero. Aveva bisogno di essere salvata, ma dalla sua dignità, quella che le impediva di amare, quella che le impediva di lasciarsi amare. E forse quella che lei chiamava dignità, alla fine, non era altro che orgoglio.
Ora, lei ed il suo stupido orgoglio, se ne stavano in piedi davanti all’uomo sbagliato.

Non toccava certo a sua madre salvarla, non toccava a Caspian, toccava a lei.

Toccava a lei parlare, adesso.

 

  1. Tarva e Alambil sono veramente due corpi celesti nominati ne “Le Cronache di Narnia - Il Principe Caspian”, Cap.4; il loro allineamento, è specificato, avviene ogni 200 anni, quindi non dovrebbe verificarsi ora, mi sono presa la libertà di metterlo comunque. Quella di Segim invece è una mia aggiunta, il nome è effettivamente il nome di una stella. (su)


Angolino dell’autrice:

Eccoci, popolo di Narnia, alla fine di questa mini-long!

Comincio con il dire che non sono troppo convinta di questo capitolo, avrei voluto sviluppare il tutto un po’ meglio (per fare un esempio: Ella e il padre; anche se di fatto non è una cosa troppo citata nei capitoli precedenti, quindi magari potrebbe andare bene anche così, boh). Il problema è stato che ogni volta che cercavo di lavorare alla scena iniziale, davanti alla pagina bianca il mio cervello andava in stand-by, e quindi alla fine vogkuo considerare un grande risultato essere riuscita a portare a termine questo progetto anche così.

Nella mia idea iniziale la figura della matrigna non avrebbe dovuto essere tanto presente, ma di fatto è un personaggio a cui mi sono affezionata molto, che ha preso vita propria e ha deciso da sola di diventare importante. Ah già, non posso dimenticare di dire che ovviamente questa è tutta colpa di Cida! Cara, grazie ancora infinitamente per il meraviglioso aesthetic (quello che avete visto all’inizio del capitolo), non poteva esserci regalo di Natale più azzeccato e più gradito, questo capitolo non potevo che dedicarlo a te. Grazie infinite! <3

Spero che questa conclusione vi sia piaciuta, o per lo meno che non vi abbia delusi troppo *guarda Jake Dromeosauro con apprensione*

Grazie a tutti voi per aver letto fin qui, per aver recensito, e in particolare ai miei compagni di merende Leila, Cida, Jake, e Nao.

Adesso basta, lascio a voi la parola.

Anzi, no...

La testa non voleva proprio saperne di smetterla di girare. Ma era lucida, finalmente era lucida. Sentiva freddo, sudava freddo, e al contempo fastidiose vampate di calore risalivano a ondate dalla nuca alla fronte. Si sentiva debole, ma non poteva fermarsi. Era di fondamentale importanza che lo trovasse.

Miracolosamente, lo individuò quasi subito in quella distesa infinita di uomini in armatura, pronti alla battaglia.
“Caspian!” urlò, facendosi strada a forza tra la calca.
La lasciarono passare, una donna in vestaglia era abbastanza fuori luogo in mezzo ad uno scintillante esercito, abbastanza da essere notata subito, per quanto esile.
Non sapeva bene come lui aveva fatto a sentirla, ma il Re girò su sé stesso più volte, finché non la vide.

“Ella, ma cosa fai in piedi? Scotti,” disse prendendole il volto tra le mani, mentre un’espressione preoccupata gli si dipingeva in faccia. Odiava quando le riservava quell’espressione.
Ella scosse la testa: “Non importa. Caspian, devi fermare tutto questo. È uno sbaglio, un terribile sbaglio”.
“Vieni, andiamo nella mia tenda,” disse il Re, in tono che non ammetteva repliche.
La avvolse rapido nel suo mantello scarlatto e la caricò sulle braccia. Solo in quel momento, Ella si rese conto di essere anche scalza; i piedi erano gelidi e le dolevano dopo l’avanzata nella neve. Nemmeno quello aveva importanza, tutto sommato.


“Caspian, devi ascoltarmi. È sbagliato, è tutto sbagliato. La strega a cui dai la caccia non c’entra nulla,” cercò di spiegare Ella, una volta che Caspian l’ebbe adagiata e sistemata per bene sulla sua branda.
In risposta però il Re non fece che voltarle le spalle, fingendosi indaffarato a prepararle qualcosa di caldo.

Ella pregò che le sue suppliche non suonassero troppo vaneggianti. L’accondiscendenza nei modi di Caspian le suggeriva che lui pensava proprio quello, mentre le porgeva una tazza di liquido fumante.
“Bevi, è una tisana, ti scalderà”.
Obbediente, Ella prese un sorso bollente dell’intruglio di erbe. Effettivamente sentire il liquido caldo, che scendeva benefico per la gola, fu piacevole. Aveva un retrogusto strano, ma dopotutto familiare.

“Aslan mi è apparso in sogno... Meglio, non so se era davvero un sogno. So che suonerà folle, ma: le fate, dobbiamo cercare le fate nelle foreste ad ovest. Caspian, è lì che troveremo la risposta. Lei è innocente,” spiegò Ella, cercando di rimanere calma, nell’estremo tentativo di essere creduta.
Caspian le accarezzò dolcemente una guancia e la incoraggiò a bere ancora. “Lo so già,” ammise.
Nessuna accondiscendenza, era vero. Ella glielo lesse negli occhi, aveva imparato a leggere ogni cosa in quegli occhi.
Quello che non capiva, però, era perché il sentimento che vedeva ora stava lì. Colpa.
“Lo sai? Ma, allora… L’esercito, perché?” chiese sempre più confusa, avvertendo che la testa cominciava a girarle, di nuovo.
 
Sentì gli occhi farsi pesanti. Batté diverse volte le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la vista sempre più sfocata. Non funzionò, sentiva di sprofondare inesorabilmente nel buio della sua mente, la sua mente traditrice, che ancora una volta si svuotava di ogni pensiero coerente. 
“Cosa hai messo nella tisana?” chiese con un filo di voce, capendo, finalmente. 
“Hai bisogno di riposare,” fu la risposta che arrivò a mo’ di giustificazione. Sempre la stessa. La sua mente non era l’unica a tradirla. 
 
Avvertì Caspian chinarsi su di lei, stringerla e premere delicatamente le proprie labbra sulle sue.
Le labbra dell’uomo che amava furono l’ultima cosa che avvertì consciamente.
Non avrebbe saputo dire se quel ‘perdonami’, invece, lo aveva solo immaginato.


 
 

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