La nostra stagione di etienne86 (/viewuser.php?uid=111670)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1
Luglio 1789
Scese le scale, piano, e volse lo sguardo al cielo.
Era bianco come il latte, senza sole, senza nubi. Una leggera pioggerellina insisteva a scendere sulle strade di Parigi e rendeva l'aria satura di umidità, senza tuttavia ripulirle.
Fece cenno al cocchiere che l’aspettava fuori dalla casa del dottor Lasonne. Una carrozza anonima, questa volta, senza lo stemma di famiglia, l’aveva attesa in un cortile lì vicino, per non dare nell'occhio. Ed anche Oscar si coprì il capo col cappuccio del mantello, istintivamente, anche se tra qualche istante sarebbe stata al riparo. Entrò nell'abitacolo e si lasciò cadere sul sedile. Il vetturino stava aspettando che gli indicasse la prossima destinazione, ma si sentiva paralizzata da un sordo dolore.
Non pensava alla sua malattia, alla morte certa che l’attendeva se non si fosse presa cura di se...nella sua testa rimbombavano le parole del medico...
Possibile che non ve ne abbia parlato? Che si sia tenuto tutto per se?
Pensò che aveva fatto molto di più, aveva recitato alla perfezione quando le erano venuti dei sospetti, l'aveva ingannata! Maledizione! E sferrò un pugno contro il cuoio del sedile.
Dopo un attimo sentì qualcuno aprire velocemente la portiera della carrozza ed entrare per poi sedersi di fronte a lei. Con un gesto altrettanto repentino estrasse il piccolo pugnale che portava legato alla cintola, in assenza della spada di ordinanza, ma non attaccò.
"Chi siete? Cosa volete?" urlò, mentre cercava di capire se il cocchiere fosse ancora al suo posto o fosse stato eliminato.
Ma dall'esterno non arrivava alcun rumore, solo l'impercettibile picchiettio della pioggia sulla capotte, e dopo un attimo di esitazione lo sconosciuto abbassò il copricapo e le si rivolse con fare canzonatorio.
"Calma comandante, riponete l'arma. Sono io, soldato De Soisson"
Nel buio dell'abitacolo riconobbe solo la piega beffarda del suo sorriso, mentre il resto del volto rimase nella penombra.
"Maledizione, Alain ! Ti sembra il modo di avvicinarti, questo?" e abbassò il pugnale.
"Mi è andata bene che non avevate i riflessi pronti, vero comandante?"
Si appoggiò allo schienale alle sue spalle, rilassando il corpo e sospirando. Non aveva la forza di sostenere la solita schermaglia con lui, voleva restare sola.
"Cosa vuoi Alain? Perchè mi hai seguito fin qui?"
Diventò improvvisamente serio, non sogghignò più e a sua volta si distese. Il suo volto scomparve nella penombra e quando parlò la sua voce assunse un tono così diverso da non sembrare neppure la sua.
"Me lo ha chiesto lui...di venirvi appresso..."
"Lui?"
"Si, lui...Andre!"
Forse si aspettava che lei ribattesse qualcosa, ma in realtà nessuno parlò per qualche istante.
"E' preoccupato per voi...siete così pallida e magra in questo ultimo periodo...Beh, questo veramente non lo può più vedere, come ormai sapete..."
Strinse i pugni nel buio. Quanto sapeva di quello che era successo poco prima dal dottore?
"Ma si è accorto comunque che non state bene...sostiene che il vostro timbro di voce non sia più lo stesso...che il vostro incedere non sia più così vigoroso...E ha saputo da sua nonna che avete commissionato il vostro ritratto, non ne avete mai voluto uno finora..." si interruppe in una risatina amara "Quanto deve conoscervi bene per capire il vostro stato di salute da tutti questi stupidi dettagli? Si rivolge completamente a voi, come un fiore ai raggi del sole!"
Si appoggiò sulle ginocchia e le si fece vicino, cercando i suoi occhi nell’oscurità.
"Mentre voi non vi eravate accorta che ormai vede solo sprazzi di luce, immagini annebbiate…a meno che non siate ad un palmo dal suo viso!"
Un'osservazione rivolta a lei, per provocarla. Forse, in un altro momento, si sarebbe avventata su di lui, l'avrebbe afferrato per il bavero e gli avrebbe urlato in faccia di stare al suo posto ma in quel frangente...piegò il capo di fronte alla verità.
Come se non fosse successo niente, l'uomo diede un colpo alla portiera e gridò al vetturino di portarli a Palazzo Jarjayes.
"Pensi di scortarmi a casa, Alain?"
"Vi devo parlare, comandante" tagliò corto l'uomo. Poi distese le gambe ed abbassò il copricapo sugli occhi, col chiaro intento di sonnecchiare fino a destinazione.
“Lei lo sa, vero?”
Gliel’aveva buttata fuori così, interrompendo uno di quei lunghi momenti di silenzio durante la loro ronda per le strade di Parigi.
Era un passo avanti a lui, non aveva ricevuto risposta.
“Intendo dire…prima di averti sentito nell’armeria…prima che le chiedessi di non sposarsi” insistette.
Questa volta si fermò e si voltò verso Andrè, come a pretendere una replica.
“Si…è come dici…”
Alain sollevò le sopracciglia e sorrise, come invito a continuare.
“Non è come pensi, Alain…è stato orribile! Nel momento sbagliato...nel modo peggiore…”
Alain non sapeva cosa rispondere, stranamente. La loro vita appariva ai suoi occhi come una strampalata commedia, che ti appassiona e diverte ma che, lo capisci da te, riporta situazioni che non potrebbero mai avvenire nella vita reale.
E invece gli era capitato davvero un comandante donna, e non una donna che sembra un uomo, ma una vera femmina, con lunghi capelli biondi e mani affusolate, aristocratica per giunta! E cosa ancora più assurda, aveva scoperto che il suo nuovo amico, quel giovane così apparentemente perbene che si ubriacava tutte le sere nelle bettole della città, era un popolano, servitore della “dama guerriera” e perdutamente innamorato di lei. Se questa fosse stata la trama di uno dei tanti piece teatrali che si vedevano in giro, avrebbe riso per l’assurdità della situazione.
“Eppure…per quanto sappia che le cose…non dovevano andare così…adesso sto meglio, Alain” aveva ripreso Andrè, alzando finalmente il capo e puntando lo sguardo in quello del compagno.
“Tu non puoi capire cosa significhi nascondere i propri ardori, anche quando sei a un passo da lei tutti i giorni, tutto il giorno. Quale sia il prezzo del silenzio, quando la vedi innamorarsi di un altro e fare innamorare a sua volta un altro uomo. E sapere di essere fuori dai giochi semplicemente perché lei è nobile e tu no. Adesso lei lo sa, e non mi importa più se non mi vuole tra i suoi soldati, se evita i miei sguardi. Puoi non crederci, ma sono più libero adesso di quanto lo sia mai stato nei vent’anni in cui le ho fatto da attendente”.
Alain lo aveva ascoltato in silenzio, e in silenzio aveva considerato che forse dapprincipio Oscar non lo aveva voluto, ma adesso non c’era occasione in cui non gli ordinasse di stare al suo fianco…e se Andrè non avesse avuto la vista così guasta si sarebbe accorto, come si era accorto lui, che il comandante non solo non evitava i suoi sguardi, ma li ricambiava con la stessa intensità. E sempre tra se e se, lisciandosi pigramente il mento, rifletteva sul fatto che alla fine Oscar non si era sposata, come lui le aveva chiesto, sottraendosi all’ordine del proprio padre, e aveva rifiutato anche solo l’idea di offrirsi a possibili pretendenti, sebbene ormai un po’ attempata per accasarsi.
Aveva taciuto e dopo aver condiviso con Andrè una fiaschetta di liquore, avevano continuato il loro servizio di guardia.
Ma non aveva mai smesso di osservarli da lontano, muto spettatore del loro rapporto unico e così insolito, ai suoi occhi. Perché si era affezionato ad entrambi, e voleva la loro felicità; capiva che era lì, a portata di mano, e loro continuavano a sprecare tempo prezioso, girandoci attorno. Perché nel suo mondo di felicità ne era entrata davvero poca, e la sventura si era portata via sua sorella Diane e sua madre, tutta la sua famiglia, lasciando solo vuoto e rimpianti.
Così quando tempo dopo Andrè gli aveva chiesto di seguire Oscar, non essendo più in grado di farlo, aveva accettato subito nel suo cuore, fingendo di rifiutare nella realtà. E avendo sentito il comandante ordinare una carrozza per quella sera, aveva scoperto la destinazione e si era fatto trovare là.
Con un gesto lento e misurato Alain si appoggiò al sedile e si calò il berretto della divisa sugli occhi. Voleva farle credere di essersi appisolato, mentre il suo intento era quello di prendere tempo…e pensare.
Sorrise tra se riflettendo su quanto gli capitasse spesso, da quando li aveva conosciuti. Lui, così abituato a farsi scivolare addosso le cose e restare sempre centrato sulla realtà, e sulla sopravvivenza, si vedeva quotidianamente proiettato in un mondo di sentimenti a lui totalmente estraneo.
Purtroppo i timori di Andrè erano motivati, il comandante era gravemente malato. E mentre lui, nascosto dietro ad una porta, sbarrava gli occhi di fronte alle parole del dottore, con gli stessi occhi poteva osservare Oscar ricomporsi senza nemmeno un tremito della voce, infilarsi lentamente i guanti senza la minima incertezza nelle dita. Aveva ancora una volta ammirato il coraggio e la fermezza con cui si poneva di fronte agli eventi, anche quando la toccavano così intimamente.
E poi…era bastato un accenno ad Andrè per gettarla nell’angoscia. Quando aveva saputo delle sue reali condizioni, la sua impassibilità era crollata come un castello di carte. Era la conferma di un sospetto che nutriva ormai da tempo, cioè che Oscar, per quanto incredibile potesse sembrare, ricambiasse i sentimenti di Andrè.
Per questo adesso si trovava su quella carrozza, diretto a palazzo Jarjayes. Non era quello che Andrè gli aveva chiesto, ma non voleva più sbagliare. Il suicidio di sua sorella gli aveva insegnato che i sentimenti non erano faccende da prendere alla leggera, motivo di battute e allusioni...
Non erano nemmeno un terreno sul quale si muoveva agilmente, ma questa volta voleva almeno tentare.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Lo osservava mentre divorava avidamente il pasticcio di carne fredda che Marron aveva servito loro in cucina.
Era rimasta colpita nel vedere Oscar tornare a casa con un soldato che non fosse suo nipote, ma non aveva fatto domande.
Mentre si versava il vino, Alain lanciò un'occhiata fugace al piatto che lei non aveva toccato. Glielo allungò.
"Se vuoi favorire...non ho fame."
"Che bella sensazione dev'essere, comandante!" le rispose con la bocca piena.
Aveva capito che non avrebbe affrontato l'argomento per cui l’aveva seguita fin lì finchè non fosse stato completamente sazio, quindi attese pazientemente.
"Che cenetta appetitosa! Mi sa che dovevo cominciare prima ad accompagnarvi a casa..."
"Puoi restare a dormire, se vuoi, così avrai anche una ricca colazione…"
Alzò gli occhi, come a soppesare quella sua proposta.
"Uhm...mentre mangio potremmo fare un po' di conversazione, non vi pare?Raccontatemi qualcosa, mentre aspettate..."
"Qualcosa?" ripetè sospettosa "Vuoi sapere perchè sono andata dal medico? Questi non sono..."
"No, questo già lo so!" la interruppe, pulendosi la bocca con la manica della divisa. Gli indicò il tovagliolo accanto al piatto.
"Il dottore non è solito chiudere l'uscio di casa, per vostra sfortuna..."
Spalancò gli occhi, sorpresa. Cominciava a sentirsi come un topo in trappola.
"Ma non preoccupatevi! Ho avuto la buona creanza di voltarmi mentre vi visitava! Grandier mi avrebbe cavato gli occhi... e forse voi pure, a giudicare da come mi fissate!"
Non era quello a spaventarla, e certamente Alain l'aveva capito: era tutt'altro che stupido.
Abbassò lo sguardo, a volte temeva potesse leggerle dentro.
"Quindi, se sai già tutto, di cosa dovrei parlarti?"
"Parlatemi di Grandier. Spiegatemi com'è possibile che un giovane educato e pulito come lui abbia lasciato un luogo come questo per unirsi al corpo militare più reietto dell'esercito?"
"Davvero non lo sai, Alain?"
"Vorrei che me lo spiegaste voi..."
Sospirò.
"Andrè è stato il mio attendente per quasi vent'anni. Quando ho lasciato il comando della Guardia Reale ha deciso di arruolarsi...per continuare a stare accanto a me, nonostante lo avessi lasciato libero di fare la vita che più gli aggradava. Tu invece, come lo hai conosciuto?"
Con un sorso svuotò il bicchiere.
“Compagno di bevute! E prima di arruolarsi, Andrè beveva parecchio. Sempre solo,
e triste, anche quando era ubriaco fradicio.”
Le puntò addosso il suo sguardo insolente.
“O gli lasciavate troppo tempo libero…o lo facevate davvero soffrire molto…”
Pensò di aver sopportato abbastanza le sue stoccate.
“Cosa vuoi da me, Alain?”
“Voglio che siate voi a dirgli la verità, sulle vostre condizioni…e sulle sue. Non obbligatemi a mettermi in mezzo”
“Hai appena detto che l’ho fatto soffrire tanto…come pensi potrebbe reagire di fronte alla gravità della mia malattia? Sapendo che potrei morire…molto presto?”
Allentò il nodo del suo immancabile fazzoletto rosso e stirò le gambe.
“Francamente non lo so, comandante. Ma so che non c’è libertà senza verità, e me lo avete insegnato voi! Andrè, in questo momento, non è un uomo felice. Combatte con tutte le sue forze per continuare a vivere un amore che ormai si è ridotto, per lui, alla sola vicinanza con la vostra persona, alla sola possibilità di vedervi…e sa che tutto questo durerà ancora per poco. Non intende rinunciarvi, ed è il solo motivo per cui non vi ha parlato del suo problema. Credo che l’unica sua aspirazione, ora, sia …riuscire a morire per voi. Prima di perdere completamente la vista!”
Le sue parole le arrivarono come un vento gelido attraverso una porta spalancata…non avrebbe voluto sentirle, ma sapeva che erano vere. Ricordò la notte in cui si era offerto alla spada di suo padre, chiedendo di morire per lei…prima di lei.
Sì, Alain non si sbagliava.
“Voglio che non rinunciate a curarvi, a vivere. E ignorare le parole del medico, come immagino intendiate fare, equivale a gettare l’arma in un duello. Morirete voi…morirà anche lui…a che scopo?”
“Alain, tu hai idea di cosa si stia per scatenare in Francia? Il Re e la sua corte non intendono scendere a patti col Terzo Stato, richiamano a Parigi le guarnigioni dell’esercito! Scoppierà una guerra tra il popolo e l’esercito francese…una guerra civile!”
“Certo che me ne rendo conto, comandante. E vi posso dire con certezza che non c’è un solo soldato della Compagnia B che imbraccerà il fucile contro i parigini in nome di Sua maestà! Ma – e abbassò la voce, continuando a fissarla- la cosa non riguarda né voi né Andrè”
“Perché sono una nobile? Perché lui è legato ad un’aristocratica?” gli urlò, rabbiosa.
“No-le rispose con estrema calma- perché voi siete già…qualcosa oltre tutto questo”
Lo fissò, interdetta.
“Non lottiamo forse per stabilire giustizia ed uguaglianza tra i cittadini di questa nazione? E allora ditemi se sono in errore quando affermo che voi rappresentate già quello che vogliamo ottenere, quello a cui aspiriamo! Siete una donna che fa un lavoro da uomo, e lo fa bene, meglio di chiunque abbia mai conosciuto, lo fa con responsabilità, avendo a cuore la vita di ciascuno dei suoi uomini. Nessuno avrebbe fatto quello che avete fatto voi, quando Gerard ha venduto il suo fucile o quando siamo stati incarcerati e condannati per diserzione. Non ci avete mai trattato come un nobile fa con un popolano, e noi siamo dei miserabili, vi abbiamo attaccato e sbeffeggiato…eppure mai una punizione, mai un’umiliazione da parte vostra.”
Fece una pausa, e questa volta Oscar non lo interruppe.
“Riguardo ad Andrè…è un popolano istruito come un nobile, ammesso a corte, a diretto contatto con la più elevata nobiltà francese, che ha con voi un rapporto paritario, unico! E’ cresciuto al vostro fianco, diventando un uomo buono e intelligente, un amico leale. Nessuno dei miei compagni, che pure mi conoscono da sempre, ha pensato di portarmi la paga e preoccuparsi per la mia prolungata assenza, quando Diane è morta” continuò, chinando il capo.
“Non si è mai vendicato di quelli che l’hanno pestato vigliaccamente…scommetto che non lo ha fatto neppure con chi lo ha accecato all’occhio sinistro!”
Oscar annuì.
“Si innamora di una nobile e vive questo sentimento nonostante le leggi attuali lo vietino, nonostante il suo rifiuto…con un’intensità che non ho mai visto, in nessun altro” Ridacchiò da solo.
“Il massimo del mio coinvolgimento per una donna non va oltre la settimana!”
Anche Oscar sorrise, di fronte a quella confessione.
“Comandante, io sono certo che Andrè darebbe la sua vita per voi, ma credo che fareste altrettanto per lui”
E si fermò attendendo una sua risposta.
“Alain, sarei disposta a sacrificare la mia vita per ognuno dei miei uomini. Penso sia il dovere di un comandante”
“Vi credo. E penso siate l’unico ufficiale dell’intero esercito francese ad interpretare così il proprio ruolo. So che sareste disposta a morire per ognuno di noi. Ma credo anche che ci sia un solo soldato della Compagnia senza il quale voi non potreste vivere”
Non si aspettava un’appassionata confessione d’amore, ma doveva essere sicuro dei suoi sentimenti. Puntò gli occhi nei suoi, che lo fissavano imperturbabile.
“Se mi dovessi sbagliare, basterà una sola vostra parola, e smetterò di parlarvene”
Ma Oscar tacque e lui notò come un’ombra calare sul suo viso.
Poi lei sussurrò “Non c’è più tempo…per noi…”
A udire quelle parole Alain si infiammò e fu lei, allora, a vederlo stravolto, come quella sera, in cui parlava loro, accasciato accanto al cadavere di Diane, rifiutando di accettare la sua morte, di darle una degna sepoltura.
“No, non lo dite…non lo dite” e si alzò di scatto, poggiando le braccia sul tavolo.
“C’è sempre una possibilità, finchè c’è vita! Gliel’avrei gridato come ora faccio con voi, se Diane me ne avesse parlato, se non avesse avuto vergogna del suo dolore!”
Si ricompose e tornò a sedersi.
“E’ così difficile trovare l’amore e poterlo vivere, in questo nostro tempo maledetto.
Quante persone avete incontrato che abbiano potuto godere di questa felicità? Non è forse un bene prezioso e raro? Non è forse un obbligo dare una possibilità ad un amore condiviso per rispetto di tutti quelli infelici ed impossibili? Il popolo non lotta forse per potersela guadagnare un po’ di felicità? E allora voi perchè la considerate un lusso e non un diritto? Bisognerebbe tentare di essere felici...non fosse altro per dare l'esempio!”*
Oscar pensò per un attimo allo strazio di Fersen e Maria Antonietta, alle lacrime di Rosalie e al dolore composto di Girodel, al gesto estremo di giovani poco più che bambine, come Diane e Charlotte de Polignac. Rivide se stessa, il viso nascosto contro la porta delle scuderie, la consapevolezza, in quel momento, della felicità completa che un amore ricambiato e vissuto può regalare e che le veniva negata.
“C’è tanta avidità e sete di potere anche tra chi cavalca la rabbia popolare” riprese Alain, alzandosi “ma è per un mondo di persone come voi due che io combatto e sono disposto a morire. Siete la primizia della società in cui vorrei vivere, un domani, dopo aver spazzato via le ingiustizie di quella attuale. Siete voi quello che intendo vedere nella nuova Francia che nascerà da tutto questo. E siete la famiglia che voglio difendere e proteggere…a tutti i costi”
Poi abbassò la voce, divenne quasi dolce.
“Non c'è bisogno di morire per dimostrare il proprio valore”
Oscar lo guardò commossa e turbata.
Alain la fissò intensamente, per qualche secondo, poi riprese col suo tono leggero.
“E’ ora di andare a dormire, comandante !”
“Non tornare a Parigi col buio, Marron ti indicherà dove puoi riposare per stanotte”
gli rispose Oscar, alzandosi a sua volta.
Lo vide dirigersi verso le stanze degli ospiti, alle spalle della sua balia, imitandone la buffa andatura, strappandole un sorriso.
Al suo risveglio, seppe che aveva lasciato il palazzo alle prime luci dell’alba.
*frase di Jacques Prevert
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo di transizione, dove Andrè compare fugacemente, necessario ad introdurre la svolta nella storia
Capitolo 3
La mattina fece colazione da sola nelle cucine.
Le parole di Alain sembravano volteggiare ancora sospese tra quelle mura dove le aveva ascoltate poche ore prima.
Aveva dormito tutta la notte e si sentiva riposata; dopotutto, l’incontro con Alain aveva spazzato via l’inutile sconforto, riportando una strana calma nel suo cuore.
Sentiva Marron lamentarsi del fatto che “quello zotico in divisa”, con il quale lei era rientrata la sera precedente, si fosse preso delle libertà, apostrofando la giovane sguattera mentre consumava la sua colazione e facendola fuggire, rossa di vergogna, senza aver terminato le sue mansioni. La interruppe per chiederle di avvisare suo padre che aveva necessità di parlare con lui, quel giorno, al suo rientro per pranzo.
Si vestì con degli abiti semplici, mise in un sacco alcune forme di pane appena sfornato e della frutta ed insieme a Caesar si diresse verso Parigi. Prima di raggiungere la caserma deviò per rue de Bretagne, nella zona del mercato, per salutare Rosalie, che a quell’ora era già al lavoro, ma con suo grande stupore trovò la strada deserta. E non solo mancavano le bancarelle degli ambulanti, anche tutte le botteghe erano chiuse, con gli usci sprangati. Non si udiva alcun rumore, in quella via dove solitamente ferveva l’attività già dalle prime ore del mattino…solo i latrati dei cani, lasciati di guardia dietro ai portoni chiusi.
Sentì una stretta al cuore: questo significava che a Parigi non circolava più nessuna merce, che la fame avrebbe esasperato ancor di più i suoi abitanti. Pensò alle difficoltà in cui poteva trovarsi Rosalie, insieme al marito, senza lavoro e senza cibo. Voleva confrontarsi con Bernard e intendeva farlo insieme ad Alain: lasciò il quartiere del mercato e in pochi minuti varcò l’entrata della caserma.
Il piazzale era deserto, già afoso a quell’ora. Lasciò il cibo che aveva portato con sé nel suo ufficio e si diresse verso la camerata dei suoi soldati. Nel corridoio antistante incrociò due dei suoi uomini: Andrè, con lo sguardo fisso verso qualcosa al di là del vetro e Alain, appoggiato al muro, proprio accanto all’ingresso del dormitorio, col solito stecchino tra i denti.
Entrambi si voltarono verso di lei, ma Andrè non la riconobbe subito, senza divisa.
“Buongiorno, Alain…cercavo proprio te”
“Comandante” le rispose, portandosi la mano alla fronte.
“Va a preparare il tuo cavallo, usciamo in perlustrazione per le strade della città. Lascia la giacca ed il cappello della divisa qui in caserma…e anche il fucile”
“Solo voi due?” intervenne Andrè. C’era una nota di delusione in quell’interrogativo.
Oscar si voltò verso di lui, mentre Alain si allontanava. Si avvicinò, lo prese per un braccio.
“Si, Andrè…non voglio dare nell’occhio. Come stanno i ragazzi, è tutto tranquillo?” chiese spostando lo sguardo sulla porta lì accanto. Voleva in realtà chiedergli come stesse lui, se fosse preoccupato, se la vista quel giorno fosse peggiorata…ma non riusciva ad essere così trasparente. Era come se fossero sugli argini opposti di un fiume, senza più un ponte ad unirli. Riuscì solo a sorridergli, ma lo sguardo di Andrè non ricambiò quel saluto e rimase fisso e inespressivo. I suoi occhi non mentivano mai.
“Beh, li conosci…sono tutti preoccupati, ma proprio per questo più sbruffoni del solito”
Oscar entrò decisa nel dormitorio e subito creò scompiglio, come la prima volta che aveva varcato quella porta. Ma adesso nessuno la temeva o rideva di lei, anzi, tutti lasciarono quello che stavano facendo, quelli mezzi nudi si coprirono in fretta e in pochi istanti le si fecero attorno. Sentì che Andrè era entrato dietro di lei e aspettava, come gli altri, le sue parole.
Erano sorpresi di vederla in abiti civili, qualcuno fece una battuta, affermando che il blu della divisa le donava di più, ma in breve tempo tutti tacquero.
“Buongiorno soldati! Devo andare a Parigi, Alain verrà con me, vi racconterà lui com’è la situazione. Io mi auguro che non arrivi l’ordine di sparare sulla folla, ma non vi nascondo che questa possa essere il nostro compito, per mantenere l’ordine in città. Voglio dirvi una cosa, adesso che ne ho la possibilità. Voi siete dei soldati, dovete obbedire a chi vi comanda. Ma non dimenticate che servite il vostro paese ed è vostro dovere agire per il meglio della Francia, di tutta la Francia, non solo del Re! Non mettete mai a tacere la vostra coscienza, e abbiate cura della vostra vita e di quella di chi vi sta di fronte”. Tacque un attimo, scorrendo con gli occhi sul volto di ciascuno. Quando incrociò lo sguardo di Andrè, vi lesse inquietudine e dispiacere. Gli avrebbe spiegato ogni cosa, ma non lì, in quel momento.
“Buona fortuna a tutti!” esclamò, prima di lasciare i suoi uomini.
“Dove stiamo andando di preciso?” chiese Alain, rompendo il silenzio che era calato tra loro da quando avevano lasciato la caserma. Ormai si stavano inoltrando da diversi minuti a piedi, tra i vicoli dietro rue Saint Honorè, dopo aver lasciato i cavalli in un luogo sicuro.
“Andiamo ad incontrare Bernard Chatelet, uno degli uomini del club di Robespierre”
“Uhm…adesso è tutto chiaro” replicò ironico. Ma lei non aggiunse altro.
Finalmente raggiunsero il portone di una piccola abitazione su due piani, davanti alla quale Oscar si fermò. Bussò con decisione, dopo essersi guardata attorno. Sentirono dei passi veloci, poi Rosalie aprì e guardò da uno spiraglio della porta.
“Sono io, Oscar!” La giovane spalancò l’uscio e li fece entrare.
“Oh, madamigella! Che bello vedervi! Come mai siete venuta fin qui?”
“Madamigella?” ripetè Alain, ridendo “Questa mi mancava…”
“Devo parlare con Bernard, è importante!” le rispose, mentre le porgeva il sacco che aveva portato da palazzo “Questo invece è per voi!”
Rosalie ringraziò, con la gaiezza che Oscar ben conosceva, e salì a chiamare il marito.
“Sapete, le riunioni dell’assemblea durano fino a tardi…”spiegò mentre spariva sulle scale.
“Sarà…” rispose Alain, con aria maliziosa. Oscar lo fulminò con lo sguardo.
Bernard scese dopo pochi minuti, mentre si infilava la camicia nei calzoni. Aveva i capelli arruffati e l’aria stanca.
“Oscar!” la salutò, indicandole una sedia. Si sedettero uno di fronte all’altro, mentre Alain rimaneva in piedi alle sue spalle e si guardava attorno. La casa di Rosalie gli ricordava quella in cui abitavano sua madre e sua sorella, ma era più pulita, accogliente: chi la governava lo faceva con amore.
Bernard osservò Rosalie mentre riponeva i doni che Oscar aveva portato.
“Mi chiedo come facciate voi nobili ad accaparrarvi certe generi alimentari, quando in città manca persino il pane nero!”
Rosalie lo fissò torva e lui si precipitò a scusarsi.
“Mi dispiace…siete stata gentile a portarceli”
“Non importa, Bernard, la mia non è una visita di cortesia”
L’uomo si passò le mani tra i capelli e rimase a fissarla. Poi spostò lo sguardo alle sue spalle.
“Lui chi è?”
“Si chiama Alain De Soisson, è il mio braccio destro tra gli uomini della Guardia Nazionale”
Bernard continuò a fissarlo con sospetto.
“Pensavo fosse sempre Andrè a coprirvi le spalle…”
“Non può più farlo…è praticamente cieco” replicò con durezza, guardandolo negli occhi. Rosalie gemette, portandosi il grembiule alla bocca, ma Bernard rimase impassibile. Oscar voleva essere amichevole, capiva di essere partita col piede sbagliato, ma qualcosa in Bernard la infastidiva sempre, anche se sapeva bene che i problemi di Andrè non dipendevano certo solo dal colpo di spada che gli aveva inferto lui.
“Volevo chiederti come procedono i lavori dell’assemblea…come pensi evolverà la situazione” cercò di tornare al reale motivo della sua visita.
“La situazione del paese è tragica, la gente muore di fame, è necessario intervenire subito…c’è bisogno di riforme urgenti e di denaro, tanto denaro…e il Re traccheggia! La Rivoluzione è alle porte, è questione di giorni…forse di ore!”
“La rivoluzione, dici? Qui a Parigi, dove il popolo è numeroso, vi ascolta e lo guidate. Ma altrove? Negli altri distretti del paese? O pensate di ribaltare il regime sollevando contro il Re e i suoi ministri soltanto i vostri concittadini?”
“Sarebbe auspicabile che anche nelle altre città della Francia ci fosse una sollevazione popolare. Io stesso avevo pensato a creare una rete di collegamento tra Parigi e le altre regioni, per diffondere le notizie, per evitare azioni isolate…ma per questo ci vogliono volontari…e finanziamenti. Tutti i membri dell’assemblea sono artigiani, commercianti, che dedicano parte del loro tempo alla politica, ma che hanno anche i loro affari da seguire. E pochi soldi da mettere a disposizione della causa.”
Oscar si appoggiò allo schienale della sedia e, per la prima volta da quando era entrata, sorrise apertamente.
“Ecco Bernard, io avrei una proposta da farti, a riguardo.”
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Capitolo
4
Era
sdraiato sulla branda, le mani piegate dietro la nuca, quando Alain
rientrò. Sentì i compagni che lo salutavano e il suo passo pesante
che si avvicinava al suo giacilio.
“Andrè!”
lo chiamò, ma lui non si mosse.
Si
chinò su di lui cercando il suo sguardo e abbassando la voce.
“Ascolta!
Il comandante è rientrato a palazzo Jarjayes. Mi ha detto di
avvisarti che ti aspetta là” Il giovane rimase dov’era.
“Ehi!
Hai sentito quello che ho detto?”
“Certo,
Alain! Non sono ancora sordo…”
“Allora?
Cosa aspetti?”
“Preferisco
restare qui…ogni volta che sto da solo con lei ho paura che capisca
tutto, che si accorga che non vedo bene. Non posso rischiare…”
“Uhm…io
stavolta rischierei. Dai, ti accompagno fino alle porte della città”
e si allontanò senza dargli il tempo di replicare.
Cavalcavano
fianco a fianco, come fossero di ronda. Alain sapeva che tra pochi
minuti l’avrebbe salutato, e che probabilmente non lo avrebbe più
rivisto, né lui né il comandante. Non pensava sarebbe stato così
difficile.
“Hai
scoperto qualcosa?” gli chiese Andrè a bruciapelo, riportandolo
alla realtà. Sapeva a cosa si riferisse, ma toccava ad Oscar
metterlo a parte di certe novità, che riguardavano entrambi.
“Si,
Andrè. Ho scoperto qualcosa”
Lo disse con un sospiro che indusse l’altro a fermarsi.
“Continua”
Alain
fermò a sua volta il cavallo e si asciugo la fronte imperlata di
sudore.
“Ho
scoperto perchè tu ti sia fissato ad amare per così tanti anni una
donna che vive come un uomo. Quando l’hai ammesso ho pensato fossi
un pazzo! Ma lei…lei ragiona come non ho mai visto fare a nessuno,
maschio o femmina che sia! Ha testa, ed anche un grande cuore. E
quando prende una decisione è tenace, arriva sempre dove vuole. Non
credo sia il genere di donna che fa subito breccia nel cuore di un
uomo, ma penso che se ti innamori di un tipo così non riesci più
neanche a vederle, le altre...”
Andrè
sembrò soppesare quella risposta, poi sbuffò “Ti prendi gioco di
me, Alain? Lo sai a cosa mi riferivo!”
Il
compagno rise.
“Ho
scoperto... che dietro quell'aria mite sei geloso come pochi!”
Andrè
strinse le gambe e il suo cavallo riprese il passo, lasciando il
compagno alle sue spalle. Geloso
e permaloso!
Pensò mentre l’altro si allontanava.
“Ho
scoperto che Bernard Chatelet ti ha accecato l'occhio sinistro!”
gli urlò, inducendolo a fermarsi nuovamente. Lo raggiunse e
continuò, abbassando la voce “Mentre tu ti preoccupavi di non
fargli neanche un graffio, lui ti ha malamente sfregiato il volto.
Sono certo che sia ancora dritto sulle sue gambe per tua esplicita
richiesta...la tua Oscar non gliel'avrebbe fatta passare liscia
altrimenti!”
Per
un attimo nessuno dei due parlò. Andrè continuava a non capire cosa
fosse successo quella mattina e cosa stesse accadendo anche in quel
preciso momento. Erano arrivati nel frattempo alle mura della città
da cui si apriva la strada per Versailles.
“Ascolta
Andrè: il comandante non sarà tale ancora per molto. Credo che
abbia salutato i ragazzi, stamattina. E ho qui con me una lettera che
vuole legga loro” continuò, battendosi sul petto dove custodiva i
fogli che Oscar aveva scritto di suo pugno e che gli aveva affidato,
quando si erano separati, conclusa la chiacchierata con Bernard.
Andrè
ripensò a quel veloce momento che Oscar aveva dedicato ai suoi
uomini, poche ore prima, alle sue parole…
Voglio dirvi una cosa, adesso che ne ho la possibilità…Si
stava congedando, ora lo capiva.
Alain
continuò.
“Ho
scoperto che intende lasciare l’esercito e unirsi alla causa del
popolo in rivolta”.
Se
non accetterai Alain, io non lascerò il comando. Sei l'unico a cui
potrei affidare il destino dei miei ragazzi
“E
ho scoperto che ha scelto me come suo successore a capo della
Compagnia dei Soldati della Guardia”
Oscar
rientrò da Parigi poco prima di pranzo.
All’ingresso
si imbattè nell'anziana governante, alle prese con un gruppo di
operai intenti a issare sulla parete del salone il suo ritratto,
ancora coperto da un drappo di velluto.
“Vostro
padre vi attende nello studio-le ricordò senza distogliere
l'attenzione dal lavoro dei quattro ragazzotti- e vi ricordo che tra
circa mezz'ora serviremo il pranzo, non prima di aver ammirato questo
capolavoro, sempre che questi fanfaroni siano riusciti nell'impresa!”
Oscar
sorrise di fronte ai soliti modi burberi di Marron e prima di
raggiungere suo padre salì in camera sua. Staccò dalla giacca della
divisa la spilla con lo stemma di famiglia, quella che da generazioni
si tramandava agli eredi maschi del suo casato.
Il
suo sguardo si soffermò sulle sue mani. Piccole, affusolate...
Aveva
incrociato l'ennesimo mendicante, quella mattina, dopo aver lasciato
la casa di Bernard. Tendeva la mano scarna fissando il vuoto, gli
occhi vitrei, svuotati di luce. Era rimasta a fissarlo un istante, e
in quell'istante aveva sentito il suo cuore schiantarsi, all'idea che
Andrè potesse fare una fine simile. Si era chinata e aveva riempito
quella mano con tutto quello che aveva con sé. “Grazie,
mademoiselle, che Dio vi benedica”
Le
aveva appena sfiorato le mani, eppure aveva capito. “Cercate di
non farvi rubare tutto” gli disse preoccupata. La povertà induceva
ai gesti più efferati. Ma lui le sorrise, e accarezzò un grosso
cane col pelo arruffato accucciato al suo fianco. “Ho un amico che
mi protegge...”
Si
era allontanata col cuore pesante ma ancor più determinata a seguire
la sua strada.
Quando
entrò nello studio del Generale, lo trovò in piedi, le mani unite
dietro la schiena e lo sguardo rivolto ai giardini, oltre la vetrata.
Si fermò ad un passo dalla sua scrivania di marmo, sulla quale notò
un'unica pergamena chiusa con la ceralacca.
“Ha
finalmente cessato di piovere. E' un clima insolito, non trovi? Non
si tratta dei soliti acquazzoni estivi, ricordano già quei
prolungati rovesci autunnali...”
Oscar
rimase in silenzio, il Generale non era uomo da prendere tempo con
inutili dissertazioni sul clima!
“Padre,
io..”
“Ti
ricordi di quando ti era messa in testa di dare la caccia agli
arcobaleni?”
Tacque,
allibita. Suo padre continuò, sempre rivolto alla finestra.
“Avrai
avuto 5 o 6 anni, supergiù...ricordo che Andrè era arrivato da
poco.”
Si
voltò, finalmente, e lei rimase in silenzio, frugando nella memoria
alla ricerca di quel ricordo.
“Ti
eri intestardita a voler trovare un arcobaleno, per capire da dove
nascesse o per passarci attraverso, non rammento bene...ma sta di
fatto che ogni volta che un temporale cessava, ti mettevi di guardia
sulla piccola torre del palazzo e se avvistavi un arcobaleno, ti
precipitavi in giardino e correvi fino alla cancellata, per
raggiungerlo.”
Si
fermò un istante, ed Oscar sorrise abbassando gli occhi, senza
aggiungere nulla. Stava ricordando anche lei.
“Ma
avevi capito che non bastava spingerti fino ai confini della tenuta,
e un giorno, senza dire niente a nessuno, appena un arcobaleno è
comparso all'orizzonte, sei scappata nelle scuderie, hai montato a
pelle il tuo pony e sei partita al galoppo!”
“Questo
mi sembra di ricordarlo...” aggiunse Oscar.
“Già-sospirò
il Generale, tornando a volgere lo sguardo all'esterno-dopo poche ore
fece buio, e tu non eri ancora rientrata. Riprese a piovere, ed io in
persona, con alcuni servitori, uscii a cercarti. Ero terribilmente
preoccupato, temevo ti fossi ferita, o che ti saresti ammalata con
tutta l'acqua che cadeva, ma quando ti ho ritrovato, accucciata sotto
un riparo di fortuna, ti ho rimproverato duramente e ti ho messo
subito in punizione, invece di esprimere il mio sollievo e dirti
quanto fossi sollevato…e felice.
Così
mentre ti riconducevo a casa, infreddolita e bagnata, ti ordinai di
cessare con questa stupida fantasia una volta per tutte, pena una
serie di duri provvedimenti. Ricordi come mi rispondesti?”
Oscar
non lo rammentava. Il Generale si voltò e la fissò intensamente.
“Padre,
io DEVO andare più lontano, dove sono arrivato non basta!”
Sorrise.
“Queste sono state le tue uniche parole, Oscar. Nessuna
giustificazione, nessuna richiesta di perdono”
Girò
attorno alla scrivania e si mise davanti a lei. La guardò negli
occhi, quegli occhi così trasparenti e fieri, che l'avevano sempre
reso orgoglioso, anche se raramente gliel'aveva confessato.
“Quanto
devi andare lontano, Oscar, adesso?”
I
suoi occhi si riempirono di lacrime, che l'orgoglio di uomo rigido e
di militare consumato trattenevano tra le ciglia.
“Questa
volta puoi dirmelo, figlia mia, e io lo accetterò.” Fece ancora un
passo verso di lei, e appoggiò le mani sulle sue spalle.
“Accetterò
qualsiasi tua decisione, se sarà quello che serve...perchè ti possa
curare...e vivere più a lungo possibile...”
Oscar
guardava suo padre mentre piangeva, lottando contro le lacrime: lo
stupore l'aveva ammutolita. Il Generale si ricompose, e indicò la
missiva che giaceva sulla sua scrivania.
“Ieri
sera il pittore è venuto da me, voleva mostrarmi il suo lavoro prima
di essere ricompensato. Sono rimasto così sbalordito, appena l'ho
visto! Ti aveva notato quando, diciottenne, andasti a Parigi con la
delfina per la sua prima visita nella capitale. Eri il giovane
capitano delle Guardie Reali...ed è riuscito a riprodurre fedelmente
i tuoi lineamenti di allora*.
Mi ha spiegato di aver operato questa scelta perchè potessimo
ricordarci di te prima della malattia, ha detto proprio così...ed io
stavo per dargli del pazzo, che non c'era nessuna malattia...ma
poi...ho osservato meglio il tuo giovane volto, su quel dipinto, e mi
sono reso conto che non sei più così, che sei emaciata e
pallida...che forse vedendoti tutti i giorni, questo tuo decadimento
mi fosse sfuggito. Per darmi pace ho inviato un messo dal dottore,
perchè venisse a visitarti, immediatamente! E questi è tornato con
un messaggio di Lasonne...che ti aveva già visto...che queste erano
le sue raccomandazioni...”
Prese
la lettera e gliela consegnò. Oscar la osservò un istante, poi alzò
lo sguardo e cercò quello di suo padre.
“Sapete
come terminò la mia 'caccia agli arcobaleni'?”
Il
Generale si asciugò una lacrima con le mani e si ricompose.
“No,
Oscar...non ricordo. Penso che non volessi suscitare la mia ira
ancora una volta, che ti fossi convinto in qualche modo...”
“No...in
realtà c’entra Andrè. Non sapeva niente di fenomeni naturali, ma
aveva notato che piccoli arcobaleni si formavano quando c'era tanta
acqua ed una certa luce. Mi raccontò che li vedeva al grande
lavatoio, quando accompagnava sua madre a lavare i panni. Così,
mentre io ero in punizione, vagò in lungo e in largo finchè trovo
il laghetto nel bosco di salici, dove poco prima del tramonto,
davanti alla cascatella, si formava sempre un piccolo arcobaleno.
Quando non fui più confinato nelle mie stanze, mi ci portò.
Ammetto che all'inizio non fui così entusiasta: non era certo come
quegli archi colorati che con la loro ampiezza occupavano
l'orizzonte...ma potevo entrarci dentro, vederne l'inizio e la
fine...e in conclusione mi sentii soddisfatto. E mi innamorai di quel
luogo, divenne il nostro “posto segreto”...”
Suo
padre scosse la testa, pronunciando il nome del giovane tra sé e sé.
“Padre,
io ho deciso di lasciare l'uniforme. Non posso continuare ad essere
il vostro successore, vi prego di destinare la mia eredità alle mie
sorelle e ai loro figli”
Prese
dalla tasca la spilla e gliela mise in mano.
“Intendo
disporre unicamente di ciò che ho guadagnato nella mia carriera e
desidero che, alla mia morte, i miei beni passino ad Andrè
Grandier.”
La
osservò attentamente prima di replicare.
“E
magari vorresti anche sposarlo?”
Esattamente
la stessa domanda che aveva rivolto a lui, la notte in cui aveva
deciso di punirla con la morte per la sua insubordinazione e il
giovane si era messo in mezzo.
E
come quella notte, anche Oscar replicò semplicemente “Si”
Credeva
si sarebbe adirato, invece continuò fissandola negli occhi.
“Hai
rifiutato Girodel perchè era un tuo sottoposto nell'esercito, un
uomo a cui avevi sempre dato ordini e vorresti diventare la moglie di
Andrè Grandier, che è stato il tuo servo tutta la vita?”
Sorrise,
abbassando lo sguardo. Si aspettava altre recriminazioni, un discorso
sul rango e la diversa classe sociale.
“Ho
respinto Girodel perchè non lo amavo e per quanto riguarda
Andrè...direi piuttosto che mi ha amato, servendomi, tutta la vita…”
Il
Generale sospirò. Sembrava quasi troppo provato per ribattere.
“Hai
già deciso tutto Oscar...non ti aspetti la mia benedizione...quindi
cosa volevi chiedermi?”
“Volevo
pregarvi di usare tutta la vostra influenza per la nomina del mio
successore alla guida della Compagnia B della Guardia Nazionale”
La
guardò stupito.
“Anche
se non appartiene all'alta aristocrazia francese, desidero che la
scelta ricada su Alain De Soisson*...non vi chiedo altro”
Rimase
in attesa di una risposta, mentre giungevano i rumori dei martelli e
le voci degli uomini dall'altra parte del muro.
Poi
suo padre fece un cenno di assenso.
Oscar
si voltò per lasciare la stanza, ma arrivata alla porta lui la
richiamò.
“Non
so cosa hai intenzione di fare...ma confido che agirai per il meglio.
Fammi avere vostre notizie e permetti a Marron di venire con voi. E'
anziana, ma ancora molto capace. Mi sentirò più tranquillo a sapere
che lei ed Andrè si occuperanno di te...sarà come avere un po'
della tua famiglia attorno...”
Si
rese conto che per suo padre fosse difficile lasciarla andare, così.
“Grazie,
padre. Vi scriverò. Abbiate cura di voi”
*tratto
dal manga: il pittore si accorge della malattia di Oscar e la ritrae
con le fattezze dei suoi 18 anni e Alain appartiene ad una famiglia
povera ma nobile
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Capitolo
5
Si
era avvicinato al ritratto per ultimo, quando ormai sua nonna e i
genitori di Oscar avevano lasciato la sala. Lei lo fissava,
sorseggiando un bicchiere di vino, seduta alle sue spalle.
Adesso
sapeva perchè stesse sempre in disparte, perché evitasse di
trovarsi solo con lei, troppo vicino. Aveva
pensato che non volesse più condividere momenti insieme...e invece
lo faceva unicamente per non correre il rischio di essere scoperto!
Rivolse
lo sguardo al quadro che troneggiava di fronte a loro: il colpo di
genio del pittore era stato quello di riuscire a riportarla indietro
di quasi vent’anni, ritraendo, sul suo volto, i lineamenti
giovanili dei suoi 18 anni, quando era capitano delle Guardie Reali.
Ma Andrè non se ne era accorto. Fissava il dipinto, e non le
sfuggirono il pugno serrato per lo sforzo e il suo prolungato
silenzio. Questo suo ennesimo tentativo di celarle le reali
condizioni della sua vista le fece male. Notò che era dimagrito, la
camicia di batista bianca risultava eccessivamente ampia sulle sue
spalle e sulle braccia: la vita da soldato semplice l’aveva
provato, il lavoro era più duro e le condizioni in cui lo svolgeva
più misere. La Guardia Nazionale non era certo famosa per le qualità
del vitto ed alloggio riservate ai suoi uomini.
E
infine Alain aveva ragione, Andrè era infelice, e lo era ormai da
troppo tempo.
I
suoi pensieri furono interrotti dalla sua voce, calda e limpida,
com’era sempre stata, che descriveva il suo sorriso, cascate di
fiori e rose attorno a lei, a ricordargli le campagne di Arras, la
loro giovinezza. Pensò che il quadro visto con gli occhi di Andrè
fosse più bello di quello che tutti gli altri avevano ammirato.
Si
alzò e lo raggiunse. Gli prese la mano, sciogliendo il pugno ancora
chiuso, e l'avvolse attorno al suo calice di vino.
“Mi
hai sempre visto come nessun altro” disse, fissando la sua immagine
di dio della guerra in sella al suo cavallo. Poi si voltò verso di
lui. “E continuerai a vedermi, Andrè, in qualche modo…”
La
guardò a sua volta, poi lentamente sorseggiò il vino, senza
aggiungere una parola. Era così vicina che poteva vederla, e
coglieva l’emozione che la stava animando, gli occhi lucidi, e la
forza di vincere una sua resistenza mentre gli parlava.
“Andrè…un
tempo…io…-esitò un attimo, poi riprese, convinta- sai, da
giovane, quando vidi la futura regina obbligata a piegarsi alla
contessa Du Burry, promisi in segreto che le avrei dedicato tutta la
mia esistenza, ma ho disatteso quel giuramento. E nel periodo in cui
Fersen fu mio ospite, al rientro dalla guerra d'America, giurai a me
stessa che sarebbe stato l'unico uomo che avrei mai amato, ma ora non
provo più quei sentimenti...e prima di lasciare il mio posto alla
Guardia Reale ti comunicai con decisione che non avevo più bisogno
di te, che avrei fatto affidamento solo sulle mie forze.” Alzò lo
sguardo, cercando il suo.
“Ma
mi sbagliavo, Andrè…io…sono cambiata...”
“Oscar…”
“Dovrei
lasciare l’esercito, Andrè. Dovrei lasciare Parigi…andare
lontano...e con queste premesse non so se ho diritto di chiederti di
credere ancora in me, ai miei propositi, a quello che sto per
dirti...ma...quello che ora so, quello che sento, chiaramente, è che
d’ora in poi…io non voglio più separarmi da te!”
Non
era questo il discorso che si era preparata, mentre lo aspettava.
Voleva
raccontargli dell'incontro con Bernard quella mattina, del piano che
avevano insieme concordato, anche della sua malattia, ma in un altro
momento, dopo la partenza...e invece non era più riuscita a
trattenere quello che provava e sentiva per lui.
Andrè
non aveva fatto domande, non aveva chiesto delucidazioni. Oscar aveva
visto il suo volto illuminarsi e sorridere impercettibilmente. Come
quando si riceve e si trattiene una grande gioia. Come lo aveva
obbligato a fare per tutta la sua esistenza.
“E'
una vita che vengo con te, in ogni occasione. Ti pare che voglia
cambiare proprio adesso?”
Aveva
cercato di stemperare la tensione con un tono scherzoso.
“Quindi
verrai con me? Senza sapere dove andremo e perchè?”
Conosceva la
risposta, ma aveva bisogno di sentirglielo dire.
“Certo,
Oscar! Com'è sempre stato e sempre sarà”
Stava
per confessarle ancora che per lui la cosa importante era viverle
accanto, ma si trattenne.
“Spero tu possa spiegarmi cosa succede...prima o poi...”
Non
terminò la frase. Oscar era impallidita visibilmente, la fronte
imperlata di sudore. La vide portarsi una mano alla bocca.
“Che
ti succede? Oscar?”
Si
allontanò da lui voltandosi e dirigendosi rapidamente verso la
porta.
“Scusa
Andrè, continueremo il discorso più tardi...io devo...prepara un
bagaglio leggero, partiremo molto presto!” Le ultime parole lo
raggiunsero che lei era già uscita.
Corse
velocemente su per le scale, diretta alla sua camera, urtando
malamente una cameriera che scendeva con della biancheria in mano,
sentendo alle sue spalle lo sguardo indagatore di Andrè.
Sapeva
cosa stava per scatenarsi, e non voleva che lui la vedesse così.
Chiuse
a chiave la porta della sua stanza un attimo prima che la tosse le
scoppiasse nel petto e la mano le si riempisse di sangue. Rimase
accasciata davanti alla toeletta per interminabili minuti, finchè la
crisi non passò, così com'era venuta. Si sciacquò le mani ed il
viso per poi lasciarsi cadere sul letto. Nascose il volto nella piega
del braccio e lentamente riprese a respirare regolarmente.
Ripensò
ai progetti di cui aveva parlato con Bernard e, per la prima volta
nella sua vita, pregò di avere tempo sufficiente per portare a
compimento quanto aveva pianificato.
Andrè
rientrò nel salone. Riunì su un vassoio il calice di vino e la
bottiglia da cui era stato servito e si diresse alle cucine. Passando
davanti all'ampio scalone lanciò un'occhiata verso la porta
dell'appartamento di Oscar. Un gesto dettato dall'abitudine: in
realtà non riusciva a vedere niente, lo sapeva.
Sentì
sopraggiungere alle spalle sua nonna, in preda all'agitazione.
“Oh,
Andrè, per fortuna ti ho trovato! Vai subito con quel vassoio in
cucina. E' arrivato un ragazzotto da Parigi, sostiene di dover
incontrare il conte De Jarjayes. L'avrebbe mandato un certo Monsieur
Chatelet, d'accordo con madamigella!” Andrè la fissò stupito.
“Oh
Cielo! Nemmeno tu ne sai niente? Va a parlarci, io ho troppo da fare
coi preparativi, se il tempo lo consentirà dovremmo partire già
domani!”
“Dovremmo?”
ripetè il nipote, grattandosi la testa.
“Si,
certo, verrò anch'io con te e madamigella Oscar! Credevi forse di
andare a fare una scampagnata come quando eravate ragazzi?”
Lo fece
sorridere vedere sua nonna infuriata come tanti anni addietro, con la
cuffietta tutta storta e le mani piantate sui fianchi . Ma mentre si
dirigeva alle cucine pensava a dove potesse mai avere intenzione di
andare, Oscar, da portarsi appresso una donna anziana come sua nonna?
Entrò
e appoggiò il vassoio.
Non lo vide subito. Stava seduto in un
angolo, le mani ossute avvicinavano alle labbra una scodella quasi più
grande del suo stesso viso.
“Buongiorno”
lo salutò.
Il
ragazzo abbassò la tazza e lo squadrò.
“Sei
Andrè, non è vero?”
L'uomo
annuì.
“Allora
spero che saprai qualcosa di più di quella vecchietta isterica con
cui ho parlato prima”
“Potresti,
per cominciare, dirmi come ti chiami. E per quanto riguarda la
vecchietta, credo sia la stessa persona che ti ha riempito la
scodella, potresti mostrare un po' più di rispetto!”
Il
ragazzo sbuffò e si alzò in piedi. Anche così era una spanna più
basso di lui.
“Mi
chiamo Gilbert. Gilbert Sugane”
All'udire
quel nome il volto di Andrè si illuminò.
“Si,
proprio io, il piccolo Gilbert” continuò con tono scontroso
“quello che tu e il conte avete salvato, una dozzina di anni fa. Me
l'hanno raccontata infinite volte quella storia!”
Nonostante
i modi antipatici, Andrè gli sorrise, sinceramente felice di
incontrarlo nuovamente.
“E
dimmi, Gilbert, come stanno i tuoi genitori? Come mai ti hanno
mandato a Parigi?”
Il
ragazzo fece qualche passo attorno al tavolo, nervoso, come cercasse
qualcosa. Gli rispose senza guardarlo in faccia, fissando la propria
mano scorrere sulle assi di legno.
“I
miei genitori sono morti. E così i miei fratelli più piccoli. In
miseria, come sono vissuti. Sono venuto a Parigi grazie all'aiuto di
Robespierre, che conosceva mio padre”
Adesso
guardava in modo distratto le suppellettili appese alle pareti.
“Ho
vissuto per un po' con mia sorella e suo marito. Ma è morta di parto
questa primavera, e per mio cognato ero solo una bocca in più da
sfamare.
Voleva segnalare il mio nome a quelli dell'esercito, stanno rastrellando le
campagne per reclutare tutti quelli in grado di combattere, e lo
fanno con le buone o con le cattive. Robespierre ha mandato qualcuno
a prendermi e mi ha affidato a Bernard e Rosalie. Voglio combattere
per il popolo, non per il Re e i nobili. E te lo dico chiaro e tondo,
non sono contento che mi abbiano spedito qui. Non ci voglio stare,
coi nobili...e i loro servi” concluse in tono sprezzante.
“Sono
colpito dalla riconoscenza che dimostri al conte de Jarjayes per
averti salvato la vita” gli rispose Andrè.
“Un
gesto di clemenza non cancella una vita di soprusi” gli replicò.
“Questa
è un'affermazione di Robespierre, non è vero?”
Gilbert
lo guardò, gli occhi stretti come due fessure.
“Io
non sono come te, non voglio ridurmi a servire un nobile solo per un
pezzo di pane e un piatto di minestra calda! Se pensano di mandarmi
qui a prendere il tuo posto perchè sei diventato cieco si
sbagliano!”
A
quel punto calò il silenzio. Gilbert capì di aver superato il
limite, anche se non ne comprese subito il motivo. Andrè riprese a
parlare, la voce molto bassa.
“Chi te lo ha detto? Chi ti ha detto
che sto diventando cieco?”
“Perchè,
è un segreto forse?”
Nello
sguardo improvvisamente indurito di Andrè capì che lo era, almeno
per lui. Sospirò.
“Lo ha raccontato a Bernard il colonnello,
stamattina”
“Oscar?”
chiese Andrè, l'unico occhio spalancato.
“E
chi altri?”
Prese una sedia e si lasciò cadere pesantemente. Ma lo sconforto si
arrestò davanti ad un altro pensiero. Allora...mi
ha chiesto di seguirla, anche sapendo che tra poco non vedrò più
nulla.
Sentì
addosso lo sguardo di Gilbert, e pensò che aveva sopportato
abbastanza.
“Non
so cosa ti abbia detto Bernard, riguardo questa missione insieme a me
ed Oscar. Ma nessuno ha chiesto di reclutare un servo!”
Si alzò e
gli si avvicinò, fino al punto in cui poteva vedere nitidamente il
suo volto.
“E
non permetterti mai più di parlare con tanto disprezzo di quello che
fa un servitore e del perchè lo fa. Non puoi giudicare qualcosa o
qualcuno che non conosci. Tu non mi conosci. Non conosci Oscar! La
credi una nobile come tutti gli altri, ma lei...lei è come nessuno,
Oscar è e sarà sempre solo Oscar! E io non ti permetto...”
“Calma
, Andrè, non ti arrabbiare” La sua voce lo interruppe, ed
entrambi si voltarono mentre lei varcava la soglia delle
cucine.
“Gilbert”
chiamò il ragazzo per nome avvicinandosi, il suo tono dolce come una
carezza. Di fronte a quel viso così angelico, bello come lo
ricordava, solo più umano e sofferente di come lo ricordava, il
giovane Sugane abbandonò i suoi modi sostenuti.
“Buongiorno conte
de Jarjayes” e si aprì in un timido sorriso, a cui già mancava
qualche dente.
“Niente
conte, sono solo
Oscar,
come ti ha detto Andrè poc'anzi-continuò lei- Sono felice che tu
sia arrivato così presto. Sei stanco? Hai già mangiato?” Gilbert
la guardava ammutolito: c'era una gentilezza sincera nei suoi modi
che lo spiazzava.
“Sissignore...volevo
dire...si grazie”
Oscar
si sedette al tavolo e fece cenno agli altri due di fare altrettanto.
“Bene,
allora. Marron, la governante, ti troverà un posto dove potrai
riposare, per stanotte. Dobbiamo partire al più presto, se possibile
già domani. Attorno a Parigi si stanno riunendo guarnigioni
dell'esercito, spostarsi può diventare difficoltoso e sospetto. E'
necessario prendere una nostra carrozza, togliere tutte le
decorazioni, lo stemma di famiglia, meglio se sembri vecchia e
usurata. Non abbiamo tempo per trovarne una comune, a Parigi. Puoi
aiutare Andrè a farlo, Gilbert?” Il ragazzo annuì con la testa,
come ammaliato dalle sue parole.
“Bene,
io mi occuperò di studiare il nostro percorso sulle mappe, ci
aggiorniamo all'ora di cena”
Si
alzò e lasciò la stanza, sfiorando il braccio di Andrè, che si
voltò a seguire i suoi passi fino alla porta.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Scusate il ritardo nella
pubblicazione dell'aggiornamento...è un periodo un po' così al
lavoro
Allora, eravamo rimasti a Gilbert e Andrè che si occupano di preparare la carrozza per il viaggio...
Capitolo
6
Lavorarono
sodo tutto il pomeriggio, scambiandosi giusto le parole necessarie
per proseguire e terminare il compito assegnato loro. Quando udirono
il campanile battere le sei, avevano concluso la loro opera. La
guardarono insieme, soddisfatti: avevano tolto qualsiasi orpello o
inutile ornamento, e per rendere ancora più credibile il loro
lavoro, avevano grattato la vernice in alcuni punti, conferendo alla
carrozza un aspetto vissuto ed usurato.
Si
lavarono dalla fatica davanti alla scuderia, poi, con i capelli e
gli indumenti ancora umidi, si diressero verso l'entrata secondaria
del palazzo.
In
cucina una delle cuoche stava già servendo la cena al resto della
servitù. I commensali si strinsero e fecero loro spazio sulle panche
attorno al tavolo. Gilbert si buttò sul cibo con la foga tipica
della sua età, Andrè mangiava piano, a fargli compagnia la
consapevolezza che quella fosse la sua ultima cena a palazzo, dopo
una vita trascorsa lì. Osservava ad uno ad uno i volti che lo
circondavano, alcuni li ricordava da sempre, erano giovani quando era
arrivato, ancora bambino, più di venticinque anni prima, altri li
aveva visti crescere. Sapeva che tutto stava per finire, non solo la
sua permanenza lì. Quel mondo non sarebbe durato ancora a lungo, e
quello che già si affacciava nel presente gli era completamente
sconosciuto. La sua vista si stava spegnendo, mancava poco, sapeva
anche questo. Fuori dalle mura di palazzo Jarjayes, lontano dalla vita che conosceva a memoria, nei suoi tempi e nei suoi ruoli,
c'era qualcosa che i suoi occhi non avrebbero mai visto. Si sentiva
inquieto e fragile, mentre avrebbe voluto essere calmo e forte, per
lei.
Prima
che il resto dei domestici si disperdesse, ciascuno a seguire la
propria mansione, Nanny si avvicinò e gli sussurrò che il generale
lo aveva fatto chiamare.
Salì
piano le scale che conducevano al suo studio. Le aveva percorse così
anche quella notte, l'ultima volta che era entrato in quella
stanza. Sorrise tra sé...in realtà non ci era entrato, si era
precipitato dentro non appena aveva colto il riflesso della spada
alzata sopra il capo di Oscar. Da allora non si erano più scambiati
una parola, lui e il generale Jarjayes.
Questa
volta lo trovò in piedi, rivolto verso l'ingresso, come se lo stesse
aspettando.
“Entra
Andrè, e chiudi la porta”
Il
giovane obbedì, ma rimase distante, proprio davanti all'uscio.
“So
che siete in partenza...Oscar, insieme a te e a tua nonna.”
“Sissignore”
“Vedi
Andrè, anche se mi costa ammetterlo...ti devo la vita di mia figlia.
Se la sera in cui avevo decisa di punirla per la sua
insubordinazione tu non mi avessi fermato, lei e probabilmente
anch'io saremmo morti, inutilmente”
Fece
una breve pausa, ma Andrè non disse nulla. In fondo, non aveva
parole da aggiungere a quelle già pronunciate, proprio quella notte.
“Ricordo
cosa mi dicesti allora, e non ho cambiato idea in merito. Un nobile
può sposare qualcuno che abbia titoli del suo stesso livello, e
nessun'altro. L'amore, se c'è, può aggiungere una particolare
felicità...ma non è necessario alla buona riuscita di un
matrimonio.
L'unica obiezione che ho nei tuoi confronti è legata
alla tua condizione di popolano e a nient'altro. Sono certo che
nessuna donna sia mai stata amata con tanta devozione e rispetto
quanto Oscar da parte tua.”
Andrè
chinò il capo. Un'altra notte di violenza, una notte che solo lui ed
Oscar conoscevano e ricordavano, affiorò nella sua mente. Un momento
di follia che aveva cancellato proprio quella devozione e quel
rispetto.
“Ma
quello che ti chiedo, adesso, è di non lasciarla mai sola. Mai.
Qualsiasi cosa succeda, voglio che possa sempre contare su di te.”
“Certo,
generale” Questo poteva prometterglielo senza sentirsi sleale.
“Bene-concluse
l'uomo-Puoi andare, Andrè”
Entrambi
sapevano che molto probabilmente non si sarebbero mai più rivisti,
ma non ci furono parole di commiato tra loro.
Quando
raggiunse l'androne del palazzo vide Gilbert arrivare dall'ingresso
padronale.
“Dove
ti eri cacciato? Oscar voleva controllare la carrozza, per vedere
com'è venuta”
Gli
faceva effetto vedere quel ragazzo chiamarla così, in modo tanto
confidenziale.
“Tranquillo,
ci ho pensato io” continuò, con quel tono sbruffone che Andrè
proprio non sopportava: era lì da poche ore e si prendeva troppe
libertà.
“Io
vado a dormire- aggiunse, mentre gli passava davanti- lei è ancora
là” e puntò il dito alle sue spalle, verso l'esterno.
Andrè
uscì senza rispondergli. Un vento tiepido gli accarezzò il viso.
Piccole nubi screziate dal rosa del tramonto si confondevano
all'orizzonte. Amava guardare il cielo e i suoi colori, era
abbastanza vasto perchè potesse ancora vederlo. Mosse alcuni passi
verso la scuderia e poi la vide.
Lo
stava aspettando, fuori dal portone. Teneva per le briglie Caesar ed
il suo cavallo, già sellati.
“Vieni
Andrè, andiamo a fare una cavalcata”
C'era
ancora quello sguardo, così dolce, e quel tono di voce, così
carezzevole. Aveva paura di rompere un incantesimo, con eventuali
domande.
Lei
attese che anche lui montasse in sella, poi voltò Caesar e partì al
galoppo.
“Seguimi!”
Esitò
solo un attimo, poi colpì i fianchi del suo cavallo e le fu subito
dietro.
Nella
sua visuale sfuocata, i capelli di Oscar che ondeggiavano al vento si
confondevano coi raggi del sole al tramonto. L'aria tiepida della
sera gonfiava la sua camicia e accarezzava il suo viso, libero dai
ciuffi che coprivano la cicatrice sull'occhio sinistro. E anche il
suo cuore sembrava rigonfio di una strana felicità, sospeso in
quella cavalcata libera tra i prati con l'erba alta, soffioni di
tarassaco e petali di papaveri che si disperdevano nell'aria al loro
passaggio, nelle orecchie unicamente il rumore sordo degli zoccoli a
contatto con il suolo morbido.
Solo
quando vide in lontananza il baluginio di mille luci sulla superficie
dell'acqua capì che erano arrivati al laghetto del bosco di salici.
Non ricordava nemmeno più da quanto tempo non si fossero spinti fin
lì.
Oscar
lo aspettò, poi insieme smontarono da cavallo. Lasciarono gli
animali liberi di affondare il muso nella densa vegetazione e si
avvicinarono allo specchio d’acqua, lui sempre un passo dietro di
lei. Le abbondanti piogge avevano fatto crescere l'erba che sfiorava
le loro ginocchia.
Al loro passaggio una miriade di libellule dalle
ali trasparenti si levava in volo e restava sospesa nell'aria, come
attaccata ad un filo. Andrè avrebbe voluto fermare il tempo per
prolungare il più possibile quel momento solo loro, in quell'angolo
sperduto che custodiva tanti ricordi, felici, intensi.
Ebbe
la sensazione che Oscar lo avesse condotto fin lì per parlargli, ma
che fosse rimasta anche lei stregata dalla magia del momento.
“Questo
luogo è rimasto puro e incontaminato come lo ricordavo”
Solo
per un istante gli parve che chinasse il capo, come sopraffatta dalla
commozione. Ma subito dopo si voltò verso di lui, e riconobbe nel
suo sguardo fermo e deciso la determinazione che la distinguevano da
chiunque, e che amava perdutamente, come tutto di lei.
“Andrè,
la rivoluzione è alle porte. Sta per cominciare un braccio di ferro
tra il Re con il suo esercito da una parte e i capi del Terzo Stato,
col popolo al seguito, dall'altra. Quanto feroce e sanguinoso, non so
dirlo.”
Si portò una mano alla fronte, come se un pensiero oscuro
si fosse affacciato alla sua mente.
“Per
tutta la vita le sofferenze del popolo francese mi sono passate di
fianco, e io ho cercato di intervenire, come potevo. So come la pensi
a riguardo, come non sia soltanto la povertà e l'estrema miseria dei
francesi ad offenderti, ma anche questa rigida divisione in classi
sociali che è alla base di tante ingiustizie. Ho deciso di lasciare
il mio ruolo nell'esercito...e anche la mia famiglia. Da oggi
rinuncio per sempre al mio titolo nobiliare, e voglio schierarmi
apertamente con chi lotta per la libertà e la fratellanza in questo
paese.”
Pochi
passi, e adesso era così vicina, e lo guardava.
"Ma
sono malata, Andrè, e non posso pensare di combattere con un fucile
o la spada, come ho fatto per una vita. Non posso restare a Parigi”
Malata???
Andrè
si sentiva confuso, la sua vista si annebbiò improvvisamente. Ma lei
proseguì come avesse parlato di un banale impedimento.
“Ho
parlato con Bernard: sono tante le cose che posso comunque fare per
contribuire alla causa rivoluzionaria".
Andrè cercava di seguire
il suo discorso, ma quella parola batteva dentro di lui come un
tamburo.
“E'
necessario collegare la capitale al resto del paese, creare una
staffetta per il passaggio di informazioni, di notizie...soprattutto
con alcuni centri strategici...bisogna occuparsi di stampare
giornali, come avviene a Parigi..”
“Di
cosa stai parlando Oscar?”
Lo
vide preoccupato, mentre lei si sentiva piena di forza, eccitata,
quando pensava a questa nuova sfida. Tuttavia ricordava bene le
concise raccomandazioni che il dottor Lasonne aveva affidato al
messaggero di suo padre: clima temperato, aria asciutta, bagni di
sole, vita morigerata e niente alcolici. Fece
un respiro profondò e continuò.
“Andremo
a Marsiglia. Un porto franco, da sempre refrattario alle logiche di
palazzo e alle influenze della corte di Versailles, da cui transitano
la maggior parte delle merci in arrivo e in partenza dalla Francia.
Il sindaco che la governa è un borghese, simpatizza per le idee
innovative dei rappresentanti del Terzo Stato. Ma
è importante che si crei e si mantenga un filo diretto con
l'Assemblea Nazionale, che ci si muova nella stessa direzione.
Sarebbe auspicabile riuscire a pubblicare anche là i saggi e le
riflessioni che troviamo nei numerosi giornali qui, a Parigi. Gilbert
ci aiuterà per il viaggio, e sarà uno dei nostri corrieri. Speriamo
di tenerlo il più lontano possibile dai centri di reclutamento:
l'esercito ha un disperato bisogno di nuove reclute”
Andrè
non sapeva cosa dire: da una parte l'idea di un'impresa del genere,
insieme a lei, incondizionatamente schierata col popolo, lo riempiva
di felicità, gli sembrava qualcosa di così bello...ma quella
premessa...la sua malattia...era il sospetto che nutriva da tempo.
Sul quale Oscar era passata velocemente, senza fornirgli ulteriori
dettagli.
Lei
tacque un attimo poi riprese a spiegare, come stesse pianificando una
missione militare.
“Siamo
diretti a Sud, ma dovremo attraversare la Cote d'Or e raggiungere la
località di Buffon, dove si unirà a noi uno studioso, un italiano
ospite del conte Leclerc, molto interessato alle nostre vicende
politiche. Il suo mecenate è morto un anno fa, deve trovare un'altra
sistemazione e al contempo avvicinarsi all'Italia. E’ un favore che
mi ha chiesto Bernard.
Potremo
viaggiare in carrozza fino ad Auxerre, poi continuare sul canale di
Borgogna fino a Digione e da lì proseguire per Marsiglia”
Andrè
rimase in silenzio. Pensò che se lei e Bernard avevano pianificato
un viaggio così lungo, la sua malattia non doveva essere
particolarmente preoccupante.
Oscar
gli si avvicinò, la punta dei suoi stivali sfiorava i suoi piedi.
La poteva vedere, e la consapevolezza che presto non sarebbe stato
più possibile cancellò ogni altro pensiero.
“Perchè
non parli? Credevo mi avresti sommersa di domande...”
“La
nostra meta è distante, Oscar. Forse un giorno torneremo qui, ma
io...io non vedrò più questi luoghi. Potrebbe cambiare tutto o
restare uguale a com'è adesso...io non lo vedrò in ogni caso. Hai
ragione, sai? Il mondo che conosciamo, quello in cui siamo cresciuti,
si sta sgretolando. Credo che ci aspetti una società più equa e
solidale, ma non sappiamo quale sarà il prezzo di questo passaggio.
Avrebbe dovuto cominciare da un pezzo, avvenire poco per volta, ma
l'ignavia del re e della sua corte hanno esasperato gli animi. Gli
attacchi indiscriminati verso i nobili non cesseranno, anzi, temo
che nessuno sia in grado di controllare la rabbia popolare. E io
vorrei solo sapere di poterti proteggere... ”
Oscar
sorrise e senza distogliere gli occhi dai suoi, prese la sua mano tra
le sue. Andrè ricordò allora che bastava un suo sorriso per colmare
il suo cuore di gioia, ed un semplice contatto con la sua pelle per
cancellare ogni tristezza.
“Andrè...ci
sosterremo a vicenda, come abbiamo sempre fatto.
Tu
sarai la mia forza...io la tua luce.
E qualsiasi cosa accada in
Francia, al nostro mondo, ricorda che adesso comincia... la nostra
stagione”
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
Scusate
la tempistica dell'aggiornamento e anche il contenuto di questo
capitolo, che non vede sostanziali novità nel racconto.
Capitolo
7
Partirono la mattina del
13 luglio, in una giornata che si prometteva asciutta e leggermente
ventilata.
Oscar trovò
inaspettatamente i suoi genitori nell'androne del palazzo: sua madre,
appena giunta da Versailles, e suo padre. Si tenevano stretti, come
non li aveva mai visti fare. Non ci furono parole tra loro. Solo
quando ormai stava varcando la soglia, il generale le ricordò la sua
promessa. Gli rispose con un sorriso, alzando la mano in un gesto di
saluto. Fuori l'attendeva la carrozza, con due piccoli bauli
sistemati nell'alloggio posteriore, vicino ai quali Andrè stava
legando Caesar.
Gilbert era già seduto
sulla serpa, mentre Marie l’ aspettava accanto alla portiera,
perchè potesse salire per prima. Le due donne si disposero una di
fronte all'altra. Oscar si aspettava un momento di commozione da
parte di Marron, in fondo lasciava la dimora dove aveva servito e
vissuto per decenni. E invece, non appena le ruote cominciarono a
muoversi sul selciato, estrasse dalla sua borsa una stola riccamente
lavorata e l'avvolse attorno alle sue spalle.
"Credo che suderò
anche senza di questa, Nanny, grazie”
“Il Generale vostro
padre si è raccomandato moltissimo con me per la vostra salute,
madamigella”
L'ilarità scomparve dal
tono di Oscar.
“Cosa ti ha detto...di
me?”
Marie alzò lo sguardo e
si sistemò gli occhialini, quasi a volerla guardare bene.
“Che avete bisogno di
cambiare aria...e anche di cambiare vita, per la vostra salute! E gli
ho promesso che vi avrei impedito di trascurarvi ancora ”
Oscar si appoggiò allo
schienale e chiuse gli occhi, sospirando. Doveva essere più
esplicita con la sua vecchia governante? Doveva prepararla a quello
che poteva accaderle durante il viaggio, o anche dopo, se fosse
riuscita a concluderlo?
“Mi ha anche ordinato
di aiutarvi a essere felice. A seguire il vostro cuore, queste sono
state le parole esatte” continuò, facendole aprire gli occhi.
“E ricorda che solo
questo è importante,
ha ribadito chiaramente il vostro signor padre”
“L'hai sempre fatto,
Nanny” la rassicurò.
Furono interrotte da
un'evidente sbandata dell'abitacolo, che si inclinò pericolosamente.
“Piuttosto, saremo al
sicuro con quei due a cassetta?” esclamò l'anziana donna,
stringendo al petto la propria borsa.
Andrè si era seduto alla
guida, accanto a Gilbert, al quale stava insegnando come condurre una
carrozza.
Li sentì battibeccare,
Gilbert era tra i due quello che alzava maggiormente il tono di voce,
accusando Andrè di non si sa quale distrazione. Poi calò il
silenzio e il viaggio proseguì senza altri incidenti.
Quanto udirono i
campanili delle campagne attorno a Parigi battere mezzogiorno, si
fermarono per una prima tappa e per mangiare qualcosa. Non era sicuro
sostare nei villaggi: sebbene avessero tolto qualsiasi segno di
opulenza dalla carrozza, erano pur sempre dei benestanti in viaggio,
con un proprio veicolo ed un cavallo, appariscente ed in carne, al
seguito.
Cercarono una macchia di
alberi che potessero fare ombra sulla carrozza e, cercando di non
essere visti dalla strada, si misero a mangiare qualcosa dalle
provviste preparate per il viaggio, in silenzio, ognuno immerso nei
propri pensieri. Andrè fu il primo a finire, si allontanò dal
gruppo per cercare dell’acqua a cui abbeverare i cavalli. Li liberò
dai finimenti e li condusse verso un canale. Oscar lo seguì,
offrendosi di aiutarlo.
“Il sole è forte a
quest’ora, rimani all’ombra” le disse. Ma lei ignorò il suo
consiglio: si sentiva bene, in forze, anche un po’ stufa di
restare seduta e inoperosa sullo scomodo sedile della carrozza,
voleva rendersi utile, finchè poteva. Andrè invece le appariva
inquieto, preoccupato, e non solo per la sua salute.
“Come se la cava
Gilbert?” chiese mentre lo seguiva conducendo Caesar.
“Bene, quando ascolta e
non pretende di strafare!”
Oscar sorrise.
“Bisognerà anche
insegnargli a cavalcare e a governare un cavallo…”
Lo sentì sospirare e lei
gli appoggiò una mano sulla spalla. Lui continuava a volgere lo
sguardo nelle campagne circostanti.
“Oscar…vedi qualcuno
a lavorare nei campi?” le chiese, cambiando discorso.
“No, nessuno”
Avvicinò i cavalli da
traino all'acqua e sfilò loro la capezza perché potessero
abbeverarsi.
“Non mi piace questa
cosa…è tempo di mietitura, dove sono tutti quanti?”
Oscar non sapeva cosa
rispondere.
“Avvisa Gilbert e mia
nonna di prepararsi, è meglio non perdere altro tempo”
Dopo meno di mezz'ora
erano nuovamente in viaggio.
Oscar chiese ad Andrè di
unirsi a lei ed alla nonna all'interno della carrozza.
Quando Gilbert spronò i
cavalli, si sporse verso di lui, seduto di fronte, e gli chiese
chiaramente che cosa lo preoccupasse tanto.
“I contadini dei
villaggi abbandonano i campi, e si dirigono su Parigi. Mossi dalla
fame, attizzati dagli oratori improvvisati che girano di paese in
paese, abbandonano le loro poche cose e si riversano in città. Dove
c'è ancora meno cibo, dove le truppe richiamate dal re controllano i
forni e i magazzini dei viveri. Credo che la fase pacifica di questo
confronto tra la famiglia reale, con i nobili ed il clero, e il
popolo stia per finire. Ricordi Saint Antoine? Ce ne saranno di
continuo, contro tutto e tutti.” e concluse prendendo da sotto il
sedile una borsa di cuoio e cercando alcuni fogli di carta stampata.
“Posso leggerli io?”
chiese lei, delicatamente.
Erano fogli scritti
fittamente, con una stampa grossolana, a volte scolorita.
“Dove li hai presi?”
chiese mentre si allungava verso il finestrino in cerca di luce.
“Li trovi ovunque,
Oscar. Questi li distribuivano l'ultima volta che ho ascoltato
Bernard”
Sollevò lo sguardo dalle
pagine stampate solo per un attimo. Non si abituava ancora all'idea
che lui avesse un mondo al di fuori del tempo che divideva con lei,
anche adesso che era solo un suo soldato e non più il suo personale
attendente. Un mondo di curiosità, dubbi, interessi, che andava
soddisfacendo come poteva, senza di lei, senza coinvolgerla. E di
questo non poteva certo fargli una colpa.
Lesse a voce alta
declamazioni di diritto popolare e di incitamento alla lotta. Poi
passò ad una copia di L'amì du peuple , con una
pubblicazione di Marat*.
I
re non devono essere «sovrani», ma soltanto gli amministratori
delle entrate pubbliche: come scusarli quando se ne fanno proprietari
e le dissipano in scandalose prodigalità?; devono essere virtuosi,
ma sono i primi a traviare le donne e i loro sudditi; dovrebbero
governare in pace il loro popolo e lo sacrificano ai loro desideri,
al loro orgoglio, ai loro capricci; devono essere ministri della
legge e invece se ne fanno padroni, non vogliono vedere nei loro
sudditi niente altro che schiavi.
Fece
una pausa, impressionata da quelle parole. Le capiva, le sentiva.
Marie
muoveva rapidamente le dita, concentrata sul suo ricamo, mentre
Andrè aveva reclinato il capo e chiuso gli occhi. Respirava piano
nel sonno.
Chiuse infine il pamphlet
e si chinò
per rimetterlo al suo posto, nella borsa consunta che Andrè
tratteneva tra i piedi. Sentì con le dita una copertina rigida, come
di un libro, ed allora, mossa dalla curiosità di conoscere le
letture di Andrè, lo estrasse dalla sacca. Non era un libro, ma un
piccolo quaderno rilegato, con una copertina in pelle scura,
leggermente usurata agli angoli. Aprì la prima pagina e riconobbe la
calligrafia tremolante della sua governante
Al
mio caro nipote Andrè
tua
nonna Marie
Santo
Natale 1787
La intenerì tenere tra
le mani un dono di Marron a suo nipote, sicuramente scelto con cura e
parsimonia. Regalare un diario ad un popolano, un semplice
attendente, significava vedere al di là del ruolo, conoscere la sua
sensibilità e la sua capacità di osservare il mondo attorno e
dentro di lui, e di saperlo tradurre in parole.
Sotto questa dedica Andrè
aveva scritto una frase.
Un uomo è libero nel
momento in cui decide di esserlo.
Voltaire
Aprì il quaderno
seguendo il punto indicato con un segnalibro in tessuto e i suoi
occhi si spalancarono. Guardò di sfuggita l'anziana governante che
sferruzzava davanti a lei, come se temesse di essere scoperta a
violare un suo segreto. Poi passò delicatamente le dita sul nastro
blu che lei aveva evidentemente cucito alla copertina...lo stesso che
per tanti anni aveva visto trattenere i folti capelli di Andrè.
Probabilmente l'aveva recuperato dalla coda di cavallo che lui si era
tagliato senza un attimo di esitazione, quando aveva deciso di
prendere su di se tutti i rischi della loro impresa. Senza rimpianti,
per quei capelli rovinati e per quello che era accaduto poi, ai suoi
occhi. Ma Nanny, forse perchè nulla deve andare sprecato, o forse
per un moto di nostalgia verso un oggetto che il suo ragazzo
indossava da sempre, e sempre uguale, lo aveva recuperato e
trasformato nel segnalibro di quel diario. E per Oscar toccare quel
lembo di tessuto fu come sentire tutte queste cose, improvvisamente.
Lo spostò e ritrovò la calligrafia famigliare di Andrè, anche se
le parole erano scritte senza la precisione che lo avevano sempre
contraddistinto, come nella citazione di Voltaire nella prima pagina.
12
luglio 1789. Mattina.
Ieri
il ministro Necker è stato costretto a dimettersi. Poi si è sparsa
la voce di un possibile massacro.
Ormai
Parigi non dorme più. La gente corre per le strade secondarie con
fucili e pugnali. I 100.000 soldati arrivati a Parigi gridano contro
il popolo.
Confusione
e sospetto: sono questi i segni della nuova epoca?
Sono
indispensabili per un domani radioso?
Non
so dirlo. Non mi resta che vedere questa fase di transizione, con
questo mio occhio destro che ormai sta perdendo la luce**
Si interruppe e alzò gli
occhi su di lui. Sentì con rinnovata convinzione la bontà della sua
decisione di lasciare Parigi, di portarlo via con sé, lontano da
quella confusione e quella violenza.
Tornò indietro di
qualche pagina.
Montesquieu
sostiene che non esista un potere divinamente attribuito, che nessun
re può arrogarsi il diritto di governare in virtù di questo. Nessun
dio sceglie i re su questa terra.
Mi
chiedo come potranno mai avvicinarsi a questa idea i re di Francia! E
non solo perchè significherebbe rinunciare a privilegi e ricchezze,
di cui dispongono senza alcuna fatica. Mi domando come potrebbero
accettare che la loro vita sia stata definita e governata da qualcosa
che non sia la volontà di Dio. Come potrebbe allora considerare la
nostra regina, gli affetti sacrificati alla ragion di stato? Quello
di sua madre, della sua famiglia e del suo popolo, che ha lasciato
per sempre, a soli quindici anni. Quello per un uomo, a cui non ha
nemmeno potuto votarsi in segreto. La sua libertà, imbrigliata in
cerimoniali tediosi e vessanti. Una vita di agi in una gabbia dorata,
senza vedere nient'altro che la reggia di Versailles e i suoi
giardini. Con mille occhi sempre addosso, nessun segreto, nemmeno il
più intimo. Ha dato alla luce il suo primo figlio davanti ad una
folla di nobili curiosi! E lo stesso vale per il nostro re, un uomo
timido e pacato, che non ha scelto di diventare re a vent'anni, non
ha scelto la propria moglie, non ha scelto le responsabilità di un
grande paese come la Francia. Non ha scelto mai nulla e adesso ci si
aspetta che assuma delle posizioni in una situazione tanto difficile.
Si
può dire a due persone così che Dio non c'entra niente con il loro
destino? Che non erano dei prescelti dall'Altissimo ma solo delle
pedine degli uomini? Un Re ed una Regina, ma pur sempre oggetti su
una scacchiera, mossi da altri?
Si
può pensare che accettino supinamente l'idea che la loro vita sia
stata tutta una menzogna?
“Siamo arrivati al
cambio di posta” urlò Gilbert dalla predellina, interrompendo la
sua lettura.
Nanny, che a sua volta si
era lasciata cullare dal dondolio della carrozza, sobbalzò come
colta alla sprovvista.
“Oh cielo! Credo di
essermi appisolata” esclamò sistemandosi la cuffietta e riponendo
il lavoro di ricamo che teneva in grembo.
“Hai fatto bene-le
rispose Oscar- il tempo passa più velocemente così”
La carrozza rallentò
fino a fermarsi del tutto e dopo pochi istanti videro la portiera
aprirsi e la faccia sempre imbronciata del ragazzo. Non attese che le
donne scendessero e si allontanò con la scusa di “dover fare
acqua”.
“Dobbiamo svegliarlo”
disse Marie mentre scendeva, volgendo lo sguardo al nipote,
accovacciato di fianco a lei. Oscar fermò il braccio con cui stava
per scuoterlo.
“E' meglio che riposi,
ha faticato tanto per i preparativi”
Lasciò che la nonna la
precedesse, poi prese uno dei cuscini con i quali la governante
l'aveva circondata, perchè potesse sopportare nel modo più
confortevole i sobbalzi durante il viaggio, e sollevando
delicatamente il capo di Andrè, lo mise tra questo e il legno delle
parete. La mano seguì poi un percorso tutto suo, soffermandosi sui
suoi capelli scuri, in una leggera carezza.
Stai perdendo la
vista, ma continui a vedere il mondo intorno a te, a coglierne i
mutamenti e i pericoli. Ed io ora ti vedo, interamente, vedo il tuo
cuore, generoso e colmo di amore per me, e la tua mente, che ascolta
e riflette, libera, mai soggiogata a convenzioni o pregiudizi.
Desidero che tu possa esprimerti non solo tra le pagine nascoste di
un tuo taccuino, che il tuo pensiero possa arrivare a quante più
persone possibile.
“Non scendete?”
La voce di Gilbert la
riportò alla realtà. Si unì agli altri malvolentieri, avrebbe
voluto restare dentro quelle quattro mura di legno, a vegliare il suo
respiro lento e pacato. Ma doveva occuparsi di pagare il cambio dei
cavalli e dare un po' di tregua anche alle sue membra, da ore nella
stessa scomoda posizione.
Aprì la mappa che aveva
portato con sé e constatò che erano giunti a Barbizon, vicino a
Fontainbleu, dove aveva pensato di soggiornare per la notte.
La locanda che ospitava i
viandanti si chiamava La Cle d'Or ed era una graziosa costruzione in
pietra, nella via principale del villaggio, con la facciata
parzialmente nascosta da un rigoglioso rampicante.
Oscar parlò con la
locandiera per organizzare la sistemazione per la notte.
La donna diede loro
un'unica ampia camera nonostante le proteste di Marie.
“Non vi consiglio di
separarvi per la notte. Non possiamo garantirvi che qualcuno entri
per derubarvi.”
L'anziana donna ottenne
quantomeno uno sgabuzzino con i pitali per avere un po' di intimità.
Rimase anche contrariata
dalla povertà della cena, pagata profumatamente e costituita da un
piatto di brodo in cui galleggiavano, come isole nell'oceano, piccoli
pezzi di carote e patate. Oscar ed Andrè si scambiavo sguardi
furtivi, tra i brontolii di Nanny ed il silenzio ostile di Gilbert.
Quando si coricarono, uno
accanto all'altro, la nonna pretese che Oscar si coricasse tra lei ed
il muro, che Andrè si sitemasse vicino a lei e Gilbert occupasse il
posto più esterno del giaciglio.
Il ragazzo fu l'unico a
sprofondare in un sonno profondo, gli altri rimasero immobili ad
agitarsi, nella mente.
Oscar tossì qualche
volta, sperando che la cosa non fosse notata. Aveva la fronte
imperlata di sudore, probabilmente la solita febbricola. Si spinse il
più possibile contro il muro, affinchè la balia non si accorgesse
di nulla, e si sentì sollevata quando all'alba la vide alzarsi e
prepararsi, com'era solita fare. Uscì richiudendo
lentamente la porta alle sue spalle.
Allora Oscar si voltò e
vide il volto di Andrè, adagiato sullo stesso cuscino che lei gli
aveva dato in carrozza, finalmente rilassato da un sonno tardivo.
Per la prima volta sentì
il desiderio del suo corpo, del suo abbraccio. Era vicino, ma non
abbastanza. Fece scivolare piano la mano sul lenzuolo, nello spazio
che aveva occupato Nanny, fino ad incontrare la mano di lui, e la
fermò sotto la sua.
Rimase un attimo ancora a
guardarlo, immobile e inconsapevole accanto a lei, poi chiuse gli
occhi. E in quell'istante senti le sue dita avvolgere e stringere la
sua mano.
Sorrise, senza riaprirli:
per ora le bastava.
*in realtà Marat
comincerà a pubblicare questo giornale nel settembre 1789
** traduzione della
versione giapponese dell'anime, inizio episodio 37
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
Eccomi
con un altro breve capitolo.
Grazie
a voi che dedicate parte del vostro tempo a questa mia storia :-)
Capitolo
8
Poi
accadde.
Quello
che Oscar temeva, il principale ostacolo ai suoi programmi.
Ripartiti
da Barbizon la mattina del 14 luglio, fecero buona parte del viaggio
sotto un cielo carico di pioggia, senza vento, che prima del tramonto
diede inizio ad un prolungato acquazzone.
Andrè
restò con Gilbert a cassetta, cercando di proteggere entrambi dalla
pioggia battente con un mantello teso sopra le loro teste, mentre
rigagnoli d'acqua si infiltravano tra le pareti della carrozza.
Oscar
sentiva il freddo penetrarle nelle ossa e a fatica tratteneva la
tosse che graffiava insistente nel suo petto.
Trovarono
un rifugio di fortuna presso un fienile abbandonato.
Riuscirono
a malapena ad asciugarsi davanti ad un fuocherello improvvisato dai
due uomini al suo interno, ma durante la notte, stesa su un freddo
giaciglio, Oscar sentì la febbre salire e toglierle le forze.
Cominciò a pensare che forse non ce l'avrebbe fatta, che aveva
trascinato lontano da tutto e tutti anche Andrè e sua nonna, oltre
al giovane Gilbert e si ritrovò a fare supposizioni su come
avrebbero potuto proseguire il viaggio ed arrivare a destinazione
senza di lei.
Il
giorno successivo, durante l'intero percorso in carrozza, strinse i
denti, avvolta nel suo mantello, col capo coperto, perchè la sua
balia non si accorgesse di niente, ma fu inutile. Quando arrivarono
ad Auxerre, da cui dovevano imbarcarsi per raggiungere la Cote d'Or
lungo il canale di Borgogna*, Marie insistette perchè si fermassero
qualche giorno in una locanda.
“Siete
provata , madamigella!” Non voleva infierire, ma Oscar era sempre
pallida, con le labbra livide e tremanti, mentre profondi cerchi
scuri le segnavano gli occhi.
“No,
meglio proseguire fino al castello di Buffon, potremo eventualmente
fare una sosta dal nostro ospite, prima di riprendere il viaggio!”**
Decise
che si sarebbero fermati il tempo necessario per lasciare la
carrozza e i cavalli al cambio di posta e per rifocillarsi un po'.
Mentre mangiavano l'ennesimo piatto di minestra e Oscar tentava di
riscaldarsi col pessimo vino della casa, arrivò trafelato un
messaggero da Parigi, con la notizia dell'insurrezione popolare e
della caduta della Bastiglia. Mentre beveva un boccale di birra, in
attesa che sellassero il cavallo col quale ripartire verso Digione,
Andrè gli si avvicinò e gli chiese di raccontargli tutto quello che
sapeva. “Veniamo anche noi da Parigi” gli confidò.
L'uomo
si voltò a osservare quella strana combriccola di viaggiatori, poi
tornò a fissare Andrè.
“Grandi
disordini, signore. Il popolo ha attaccato la fortezza e l'ha colpita
a cannonate. Le teste del governatore De Launay e di tutte le sue
guardie svizzere hanno fatto il giro della città. E la stessa sorte
è toccata a Flesselles, il prevot de marchands! Bailly è
stato eletto nuovo sindaco di Parigi!”
“Ma
che dite?- lo interruppe Andrè- com'è possibile che i parigini
avessero a disposizione dei cannoni da puntare contro la Bastiglia?”
“C'erano
dei soldati, con i rivoltosi-spiegò l'altro-soldati della Guardia
Nazionale”
Oscar
ed Andrè si guardarono in silenzio, mentre Marie si segnava il petto
e invocava la Madonna e Gilbert chiedeva cosa fosse la Bastiglia.
Calò
il silenzio tra loro. Oscar capiva che doveva fare in fretta, la
situazione stava precipitando e lei era ancora lontana dalla loro
destinazione. Lasciò la locanda pregando in cuor suo che Alain ed i
suoi uomini fossero ancora vivi.
Caricarono
su una chiatta adibita al trasporto merci, e larga quasi quanto il
canale stesso, i loro bagagli e il cavallo di Oscar, insieme a
Gilbert, mentre Andrè e le due donne si sistemarono su una piccola
imbarcazione che precedeva la prima.
Partirono
al crepuscolo, scivolando lentamente sull'acqua, una lanterna accesa
a prua a contrastare l'oscurità.
Oscar
si era sistemata sotto la tettoia, vicino al timoniere, col viso
rivolto a poppa. Cercava di distinguere la luce proveniente dalla
chiatta che seguiva la loro, da cui le giungevano di tanto in tanto i
nitriti nervosi di Caesar, ma gli occhi si facevano pesanti, sentiva
le membra bollenti e gelide al contempo, spossata dallo sforzo di
mitigare i colpi di tosse perchè non si accorgessero delle sue
condizioni. Poi fu come se il suo corpo fosse diventato leggero e
scivolasse lui stesso sulla superficie dell'acqua.
La
mente lasciò il presente, quel viaggio lungo il canale, e la portò
altrove.
Un
buio di fuliggine, l'odore acre della polvere da sparo nelle narici e
poi la coltre nera si apre e davanti a lei compaiono le alte mura
della Bastiglia. Lei è lì, accanto alle bocche da fuoco, al suo
fianco Alain ed altri dei suoi uomini. Dove sei Andrè?
L'ha detto a voce alta o lo ha solo pensato? Non può dirlo, nelle
orecchie solo il rombo dei cannoni. Poi qualcosa le esplode nel petto
e si sente cadere, come un burattino al quale abbiano tagliato i
fili. Apre gli occhi ed ora la Bastiglia la sovrasta, è sopra di
lei, al posto del cielo. E tutto quello che sente è freddo, tanto
freddo.
Adesso
è tutto buio, sbatte gli occhi, ma non vede nulla. Le giunge, da
lontano, la voce stridula di Nanny che chiama Andrè, perchè lei sta
male...
Dove
sono? Cosa mi succede? Andrè! Andreeeee!
“Sono qui, Oscar”
Ricominciò a sentire un
certo tepore, come se il sangue riprendesse a scorrere nelle vene. E
lentamente tornò cosciente di dove si trovava, con chi si trovava.
Sentì che le braccia di
Andrè la avvolgevano ed il suo petto la sosteneva, ed il calore che
percepiva era quello del suo corpo abbracciato al suo. Poi sentì la
sua voce, un alito tiepido nel suo orecchio. Probabilmente sua nonna
non poteva udire le sue parole.
“Che ti succede, Oscar?
Hai la febbre alta, stavi delirando...Mi hai detto di essere malata.
Ti prego, dimmi cos'hai, come posso aiutarti...”
Lei inalò una boccata
d'aria, e le sembrò così pesante, come spostare un muro a mani
nude. Pensò che se era così faticoso respirare, non avrebbe avuto
le forze per farlo ancora a lungo. Pensò che non c'era un altro modo
per spiegarlo.
“Sto morendo, Andrè...”
Per un attimo sentì solo il
rumore del suo respiro, ridotto ad un sibilo, fondersi con lo
sciabordio dell'acqua sulla chiglia dell'imbarcazione.
Poi riconobbe tra i
singhiozzi la sua voce ripetere “No, non può essere...”
Aprì gli occhi e guardò il
cielo. Era terso, punteggiato di piccole stelle.
Pensò che stare tra le sue
braccia fosse il posto dove voleva essere, sia per vivere che per morire e
questa consapevolezza la colmò di una strana serenità.
Le tornò in mente un'altra
notte, di cui era certa non avrebbe visto l'alba, una notte
illuminata dai lampi e dalla furia di suo padre, ai quali si era
opposto solo il coraggio e l'amore dell'uomo che ora la teneva
stretta a sé, infondendole calore. Se suo padre non si fosse
fermato, Andrè sarebbe morto senza sapere che anche lei lo amava,
senza averla mai udita pronunciare le stesse parole che lui le aveva
rivolto. E non se lo sarebbe mai perdonata.
Cercò la sua mano, oltre il
mantello con cui l'aveva avvolta.
“Ascolta Andrè- prese
fiato, ne aveva bisogno- ascolta e non interrompermi. Qualsiasi cosa
possa accadere a me, devi continuare il viaggio ed arrivare a
Marsiglia. Nella mia borsa sono custodite le mappe, con le diverse
tappe indicate e segnate. Fatti aiutare da tua nonna, se avessi
problemi con la tua vista.”
Un altro respiro, il petto
le bruciava.
“Troverai anche del
denaro, e i documenti della banca a cui scrivere per averne altro,
puoi farlo a nome mio...”
“Va bene, Oscar, va bene,
ma adesso riposati, ti prego...”
La cosa che la faceva
soffrire di più era provocargli tutto quel dolore.
“Devo dirti un'altra cosa,
Andrè, poi non parlerò più e farò come dici.”
Avvicinò la sua mano alle
labbra e vi posò un bacio leggero.
“Avrei dovuto dirtelo da
tanto tempo e avremmo potuto vivere momenti d'amore intenso...e
travolgente...”
Le sue parole si perdevano
in un silenzio assoluto, come se il mondo si fosse fermato per udire
la sua voce, sempre più debole.
“Io
ti amo, Andrè. Ho finito con l'amarti come non puoi neanche
immaginare”
*
in realtà il canale di Borgogna fu costruito durante il regno di
Luigi XVI, non credo fosse già navigabile nel 1789, prendete questo
aspetto della storia come di quasi "pura" fantasia
**
ricordate che al viaggio di Oscar deve unirsi uno studioso
italiano ospite del conte di Buffon
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
A
voi che dedicate parte del vostro tempo alla lettura di questa
mia...portate pazienza, questo capitolo è un'agonia, nel vero senso
della parola. Però finalmente arriva “l'italiano”, realmente
esistito, così come la location di questo episodio (e qui c'entra
mia figlia che studia storia e cha ha fatto una ricerca proprio su di
lui...)
Capitolo
9
Il
viaggio lungo la Borgogna continuò per un altro giorno ed un altra
notte. Oscar rimase incosciente per buona parte del tempo, a volte
distesa e avvolta nelle coperte, altre seduta ed appoggiata ad Andrè
, che cercava di rinfrescarle la fronte con una pezzuola bagnata, o
di farle bere un po' d'acqua.
Lui
non cedette allo sconforto solo grazie alla forza di sua nonna, che
sembrava non perdersi d'animo, e si comportava esattamente come tutte
le volte che Oscar si era ammalata, da bambina. Non che avesse mai
patito di una costituzione cagionevole, ma le rare occasioni in cui
un' indisposizione la obbligava a letto, Oscar soffriva di febbri
tanto violente quanto transitorie, che si dissolvevano nell'arco di
poche ore. E sebbene il generale Jarjayes non esitasse a consultare
uno degli archiatra di corte di fronte a quei subitanei malesseri,
Marie persisteva nell'applicare i vecchi metodi che aveva appreso
dalle donne della sua famiglia, tra i quali quello di rifocillare la
malata con fette di pane e miele, accompagnate da tazze di latte
caldo, e di farla riposare tra il suo corpo e quello di Andrè,
perchè non avesse mai freddo e “non si sentisse sola”. E lui,
che all'inizio si lamentava perchè obbligato “a fare il
prete*”quando
avrebbe potuto godere del suo tempo libero mentre il padroncino
era indisposto, alla fine aveva tratto grande felicità da quei
momenti, perchè non c'era niente di più gratificante che assistere
alla remissione della malattia, che in Oscar era talvolta
stupefacente e repentina, e sapere di avervi contribuito.
Così fu proprio grazie a
sua nonna, che prese in mano la situazione e lo comandò a bacchetta,
che Andrè trascorse il tempo di quel viaggio fluviale sapendo sempre
cosa fare, sotto lo sguardo di approvazione dell'anziana donna, che
gli infondeva speranza.
Poco prima del tramonto, al
termine del secondo giorno di navigazione, giunsero infine alla loro
prima destinazione, in Cote d'Or, nella residenza del defunto conte
George-Louis Leclerc de Buffon, luogo in cui il celebre “uomo di
scienza” aveva progettato e realizzato una moderna e completa
fucina per l'estrazione del ferro.
La
grande forge de Buffon, così chiamata, si erigeva,
discreta ed elegante, sulla sponda del canale, circondata da una
macchia di ippocastani e frassini.
La
costruzione in pietra, squadrata, provvista di un mulino che drenava
l'acqua della Borgogna in un rivo secondario, era la raffineria.
Accanto si trovava la fonderia, a forma di prua, come lo scafo di una
barca incagliata nell'erba e poco distante l'altoforno,
caratterizzato da una sobria facciata in travertino, che ricordava
le basiliche romaniche presenti nella regione.
Lontano
dal corso d'acqua, e separato dalla fucina grazie ad un ampio
giardino in stile italiano, si trovava il
pavillon
de Buffon, la dimora in cui il conte Leclerc si ritirava durante i
suoi soggiorni di studio. Il villaggio di Buffon si trovava a poche
miglia da lì, su un basso rilievo collinare, al centro del quale
troneggiava il grazioso castello di proprietà.
Non appena la chiatta fu
attraccata Andrè balzò sulla sponda.
“Vado a cercare qualcuno,
voglio che Oscar possa riposare in un vero letto quanto prima e
magari che riesca a essere visitata da un medico, prima di ripartire”
Non attese la risposta di
sua nonna, che approfittò dell'allontanamento di suo nipote per
esternare un po' della sua preoccupazione e raccogliersi in
preghiera, chiedendo ad occhi chiusi un atto di benevolenza dal
Cielo, che salvasse la sua Oscar.
A
quell'ora non c'erano operai al lavoro. Andrè superò la forge
, corse lungo i vialetti del giardino italiano, ma non incontrò
nessuno. Poi, mentre guardava a destra e a manca girando su se
stesso, si sentì chiamare.
“Monsieur, cercate
qualcuno...o qualcosa?”
Il giovane si voltò in
direzione della voce e vide una sagoma avvicinarsi lentamente,
scavalcando la bordatura di piccole siepi di una delle aiuole.
Quando fu abbastanza vicino,
lo squadrò dalla testa ai piedi.
Era un uomo non più
giovane, vestito in modo elegante ma un po' antiquato, con corti
capelli bianchi in parte nascosti da un parrucchino del medesimo
colore, ma con occhi e sopracciglia nerissimi. Aveva un volto severo,
caratterizzato da un sottile naso aquilino, con un incarnato
olivastro, tipico di chi si espone spesso al sole senza protezione
“Buonasera Monsiuer, mi
chiamo Andrè Grandier e vengo da Parigi. Sto cercando il conte de
Buffon”
“Oh...capisco! Ma il
giovane conte de Buffon non risiede qui, dovrete raggiungere il
palazzo nel villaggio qui vicino.” E indicò un punto preciso alle
spalle di Andrè.
Il giovane si passò una
mano tra i capelli, sconfortato: non voleva allontanarsi prima di
essersi assicurato che sua nonna fosse riuscita a gestire la
situazione , dovendosi occupare di Oscar e al contempo controllare lo
scarico dei loro bagagli dalle chiatte.
“Siete arrivati navigando
sul Borgogna?” chiese lo sconosciuto.
Al cenno affermativo di
Andrè continuò “Eravate gli unici viaggiatori? Perchè sto
attendendo anch'io dei forestieri provenienti da Parigi...”
Il giovane allora si voltò
nuovamente e lo osservò meglio. Parlava un francese fluente ma con
un leggero accento che non riusciva a definire...che fosse lui
l'italiano che doveva unirsi a loro nel viaggio verso Marsiglia?
“Noi siamo qui su
richiesta di Bernard Chatelet” replicò
L'uomo di fronte a lui aprì
le braccia e sorrise.
“Che il Cielo sia
benedetto! Ma allora siete voi! Vi aspettavo con ansia!”
Prese la mano di Andrè e la
strinse con forza.
“Mi presento, sono
Monsieur Domenico Cirillo, al vostro servizio!”
“Andrè Grandier...questo
è il mio nome” concluse le presentazioni ancora sbalordito.
“Ma dove sono gli altri?
Bernard mi ha accennato ad uno scarno gruppo di fedeli alla causa
rivoluzionaria che tuttavia comprende un valoroso colonnello
dell'esercito francese..”
Andrè non lo lasciò
terminare.
“Sono al molo e spero
vorrete scusarmi per la fretta, ma devo tornare da loro per dare una
mano!”
“Ma certo, ma
certo...vengo con voi!”
Andrè si diresse al canale
con ampie falcate, mentre il suo ospite non riusciva a stragli
dietro.
“Bon dieu! Quanta fretta
giovanotto!”
Quando infine lo raggiunse,
rimase impietrito.
Davanti a lui si trovavano
una donna decisamente in là con gli anni, un ragazzo imberbe, uno
stallone bianco che sembrava uscito da un libro di mitologia
greca...ed una giovane donna, visibilmente sofferente, con lunghi
capelli biondi che sfuggivano dal mantello in cui era avvolta.
Pensò subito ad un
equivoco.
“Monsieur
Grandier...giusto? Credo che si tratti di un malinteso....”
“No, nessun malinteso,
signore” rispose Andrè mentre si chinava e prendeva Oscar tra le
braccia.
“Dobbiamo subito trovare
una sistemazione per lei, è in questo stato da giorni!”
L'altro rimase un istante
interdetto, poi si risolse a chiarire la faccenda in un altro
momento.
“Seguitemi, faccio
strada!”
Ripercorsero lo stesso
tragitto attraverso la forge ed il giardino italiano, e superato
quest'ultimo, Andrè seguì l'uomo verso una semplice costruzione
squadrata al limitare della tenuta.
“Prego, per di qua”
L'uomo precedette Andrè
lungo una scala e lo condusse in un'elegante chambre, con un
ampio baldacchino che troneggiava nel centro.
Cirillo osservò con quanta
delicatezza il giovane sistemasse la donna sul letto e come si
voltasse subito a cercare il camino.
“Bisogna accenderlo, anche
se è estate. Ha le febbre molto alta. Vi pregherei anche di
indicarmi dove possa trovare un medico...se non ve ne fosse uno al
villaggio dovrò recarmi altrove”
Comprese che il tono
perentorio con cui gli si rivolgeva era dovuto all'apprensione per le
condizioni della giovane.
“Come si chiama il ragazzo
che è con voi?”
“Gilbert Sugane”
“Benissimo, andrò io
stesso ad indicargli dove trovare la legna.
Quanto al medico...se vi
fidate, posso visitare io madame Grandier”
Andrè si avvicinò per
guardarlo bene.
“Non è mia moglie...Vi
occupate quindi di medicina?”
L'uomo sorrise.
“Di medicina, di botanica,
di entomologia...Sono spesso stato chiamato per un consulto anche
dalla regina Maria Carolina D'Asburgo...”
E mentre sciorinava le sue
competenze, si avvicinava ad Oscar.
Alzò le coperte e notò gli
abiti maschili.
“Chiamate la signora che
era con voi, che mi aiuti a visitarla...siamo di fronte ad una
signora, anche se in camicia e culotte...” disse, sollevando un
sopracciglio.
Poi uscì a grandi passi e
portò Gilbert alla legnaia. Tornò nella camera di Oscar con una
borsa di cuoio e congedò Andrè.
Quando furono soli il medico
si rivolse a Marie.
“Siete la sua cameriera
personale?”
“Mi chiamo Marie, e sono
la sua balia... l'ho vista nascere!” rispose con orgoglio. “E'
lei il colonnello dell'esercito che stavate aspettando!”
L'uomo annuì e chiese alla
donna di aiutarlo a visitare la malata.
Fu allora che sentì per la
prima volta la sua voce.
“Non serve che mi
visitiate e vi affanniate a fare congetture. So bene quale sia la mia
malattia”
Il medico, che si era già
chinato su di lei, la guardò, senza parlare. Pensò che aveva due
occhi bellissimi e molto espressivi.
“Prego, allora, vi
ascolto”
Oscar notò la vicinanza
della nonna, ma ormai non poteva più nascondere le sue condizioni.
“Sono stata da un dottore,
prima di lasciare Parigi. Ho la tisi, e quello che posso sperare è
di superare almeno questo momento ed arrivare a Marsiglia. Ma mi
sento così debole e affaticata...” Un colpo di tosse la obbligò
ad interrompersi.
“Andate a prenderle
dell'acqua” ordinò alla governante. Poi si rivolse ad Oscar.
“Mi permettete di
visitarvi comunque, mademoiselle?”
Lei annuì.
Le toccò la base del collo,
in modo insistente, poi con le mani tastò le pieghe dietro
l'orecchio e la nuca, infine la fece sollevare e le poggiò
l'orecchio sulla schiena.
Dopo pochi minuti si staccò
da lei e fece cenno a Marie, tornata con l'acqua, di rimetterla a
letto.
Sentirono bussare alla porta
e il medico lasciò entrare Gilbert con la legna per il fuoco e Andrè
dietro di lui. Era visibilmente agitato, preferì condurlo altrove.
“Come sta? La prego, mi
spieghi cosa sta succedendo, cosa devo aspettarmi...”
“Venite con me”
Cirillo lo condusse al piano
di sotto, in una bella cucina, pulita ed ordinata e lo invitò a
sedersi.
“Da quanto tempo non fate
un pasto decente?”
Andrè si spazientì e si
avvicinò all'uomo afferrandolo per il bavero.
“Non vi ho chiesto di
farmi da mangiare, voglio sapere come sta Oscar!”
“Oscar?” ripetè lo
studioso, staccando la mano del giovane dalla sua giacca.
“E' il suo nome?”
“Oscar Francois de
Jarjayes, per essere precisi. Anche se ha rinunciato ai suoi titoli
nobiliari appena prima di lasciare Parigi...”
L'uomo si sfilò la giubba,
si arrotolò le maniche della camicia e cominciò a muoversi per la
cucina.
“Sedetevi, Andrè, e
mangiate un boccone con me. Anche quando non si sente, la fame è una
cattiva alleata. Preparo qualcosa anche per i vostri compagni di
viaggio.” E mentre parlava, le sue mani operavano velocemente e
con sapienza. In pochi minuti sul tavolo comparve un vassoio con
fette di pane cosparse di pomodori a pezzi e condite con olio e
basilico, pezzi di formaggio ed un bicchiere di vino.
“Raccontatemi chi
siete...”
Andrè assecondò il suo
ospite e cominciò a mangiare.
“Io sono cresciuto con
Oscar, perchè il padre l'ha allevata come fosse un figlio maschio.
Quando è diventata un comandante delle Guardie Reali, io sono stato
il suo attendente; quando si è trasferita alla Guardia Nazionale,
l'ho seguita, come soldato semplice e adesso...”
“La seguite per
contribuire al cambiamento del vostro paese....”
Andrè annuì. C'era molto
di più, ma Cirillo sembrava averlo intuito, senza troppe
spiegazioni.
“Il vostro comandante mi
ha detto di avere la tisi, Andrè”
Lo vide sbiancare, mentre
riponeva nel piatto quello che stava addentando.
“Ma può guarire, vero?
C'è almeno una possibilità che possa rimettersi?”
Cirillo scosse la testa in
senso di diniego.
“Chi si ammala di
consunzione muore di quello, prima o poi. Ho visto persone convivere
con questo morbo anche per molti anni, ma nessuno è morto di
vecchiaia”
In quel momento Marie e
Gilbert li raggiunsero in cucina.
“Ascoltate...-continuò-
al momento è molto provata, debbo pensare che fosse malata da tanto
tempo....insomma, ritengo dobbiate prepararvi...”
Stava per terminare la
frase, quando incrociò lo sguardo dell'anziana donna, quella che
l'aveva vista nascere, e l'unico occhio, già umido di lacrime, del
giovane che aveva diviso la sua vita sempre con lei...e capì che
stava dando loro un dolore immenso, forse troppo grande perchè
potessero sostenerlo, così cambiò repentinamente direzione al suo
discorso.
“...a rinviare di qualche
giorno la partenza per Digione. Potete soggiornare in questa casa, il
conte de Buffon non ha interesse scientifico per la fucina, quando si
trova in Cote d'Or si stabilisce al castello nel villaggio qui
vicino, quindi è interamente a nostra disposizione. Domani
decideremo il da farsi.
Ora voi continuate con la
cena, e poi andate a riposare. Mi occuperò io di madamigella...” E
intanto già si alzava da tavola e trafficava con l'acqua bollente
tenuta in caldo sul fuoco del camino e con diversi vasetti di erbe
essiccate. Preparò un decotto dall'odore non proprio invitante, con
il quale si diresse al piano di sopra, lasciando i suoi commensali in
cucina, visibilmente turbati e silenziosi.
Quando si avvicinò ad Oscar
vide che era bagnata di sudore, con ciocche di capelli attaccate alla
fronte, ed era scossa da tremiti in tutto il corpo.
La risvegliò da quel
sofferto torpore e quando aprì gli occhi lo guardò come se non lo
riconoscesse.
“Mademoiselle, siete a
Buffon e io sono Domenico Cirillo, l'amico di Bernard
Chatelet...l'italiano...”
Il suo sguardo restò
immutato e lui non insistette nelle spiegazioni.
Le alzò delicatamente il
capo e avvicinò alle sue labbra l'infuso che aveva portato.
“Cercate di berne quanto
più potete”
Notò che cercava di farsi
forza da sola e con una mano sfiorava la tazza che lui le poggiava
sulle labbra. Riuscì a svuotarla, poi si lasciò ricadere sul
guanciale, sfinita. Il respiro continuava ad essere ridotto ad un
sibilo impercettibile.
Cirillo la scrutò un
momento, seduto accanto al letto, mentre lei giaceva immobile, ma
quando fece per alzarsi sentì le sue dita afferrargli la manica
della camicia. I suoi occhi erano ben aperti e lo fissavano, come se
potessero parlare al posto della labbra.
L'uomo ricambiò quello
sguardo, con tristezza. Lo conosceva, l'aveva già visto molte volte,
al capezzale dei suoi malati. Ricoprì con la mano le sue dita ancora
strette al tessuto e si chinò su di lei, avvicinando l'orecchio alle
labbra.
Poi chiuse gli occhi.
“Ditemi, mademoiselle, vi
ascolto”
*un tipo di scaldaletto, che
ho fatto in tempo ad usare da bambina a casa di mia nonna, in una
cascina di un minuscolo paese della campagna cremonese. Anche quella
di dormire insieme per scaldarsi se uno stava male era un'usanza di
cui lei mi ha parlato, e se il bambino era neonato lo mettevano nella
stalla sotto l'alito delle mucche, come un Gesù bambino....che
tempi!!!
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
A chi legge questo
aggiornamento, tanti auguri di trascorrere giorni di festa sereni e
con chi ci vuole bene.
Siccome
è Natale, spero che sarete pietose nei confronti dell'autrice (si fa
per dire).
Qui
il protagonista diventa Cirillo, e il suo pensiero. Ho calato Oscar
ed Andrè in una situazione mai affrontata nelle precedenti mie
storie, e nonostante i dubbi, come capita ad altri, è stata una
delle prime scene a venirmi in mente...
Capitolo
10
Fu
svegliato di soprassalto dagli insistenti colpi alla porta.
Si
alzò agitato ed indossò la vestaglia da camera. Prima di uscire
dalla stanza scostò le tende della finestra. Era ancora buio pesto,
ma alla luce della luna crescente poté scorgere la sagoma di un
uomo, uno solo, davanti all'ingresso della canonica. Allora si
risolse a scendere e aprire il portone: erano tempi bui, quelli, e
non bisognava fidarsi di chiunque. Aveva sentito di aggressioni e
saccheggi nelle campagne da parte di contadini trasformati in
briganti dall'indigenza, che non si fermavano nemmeno davanti ai
paramenti liturgici di un uomo consacrato.
Aprì
la porta ed illuminò con la candela il volto del suo visitatore.
“Padre
Pierre, scusate se vi disturbo in piena notte, ma è richiesta la
vostra presenza e...si tratta di una situazione di emergenza, che
ahimè non può attendere”
Il
prevosto riconobbe Monsieur Cirillo, l'ospite italiano del conte
Leclerc, l'unico, di quella masnada di scienziati che si degnasse di
frequentare la chiesa tutti i giorni, alla celebrazione mattutina.
“Di
che si tratta? Forse un operaio della fucina ha avuto un incidente?”
“No,
padre, si tratta di un forestiero. Una donna, precisamente. Ha
chiesto lei la presenza di un sacerdote, temo sia in fin di vita. Ma
vi spiegherò tutto strada facendo”
Il
sacerdote annuì.
“Aspettatemi
fuori dalla chiesa, vado a prendere l'olio sacro e le particole”
Cirillo
non dovette attendere molto, e dopo pochi minuti i due uomini
attraversarono il piccolo cimitero antistante la basilica di Buffon
e si diressero verso la forge, seguendo una strada battuta che
costeggiava il canale. La fioca luce delle lanterne illuminava i loro
passi mentre attorno a loro l'oscurità era interrotta dal tremolante
luccichio delle tante lucciole, che volteggiavano nel canneto e
sfioravano la superficie dell'acqua.
Cirillo
si fermò ad ammirare il fenomeno naturale che aveva innanzi.
“E'
crudele morire in una notte così bella”
“L'exitus
della vita terrena è la rinascita nella vita eterna accanto a Nostro
Signore” borbottò il prete, quasi parlando tra se e se.
L'altro
pensò che fosse triste e ingiusto comunque. Poi raccontò al
prevosto chi fosse Oscar e cosa gli avesse chiesto; omise il fatto
che si trattasse di una rivoluzionaria e la presentò come una
conoscenza del conte Leclerc.
Quando
arrivarono al pavillon,
la casa
era immersa nel silenzio.
Entrarono
nella stanza dove la malata riposava e furono investiti da una folata
di aria calda. Andrè stava aggiungendo altra legna nel camino, Marie
sedeva accanto al letto e pregava silenziosamente.
L'ingresso
del sacerdote, con indosso il piviale viola, ammutolì entrambi.
Il
giovane era visibilmente scosso e si avvicinò immediatamente a
Cirillo.
“Perchè
l'avete portato qui?” gli sussurrò in un orecchio.
L'uomo
si voltò a guardare quel volto, sofferente e rabbioso al contempo.
“Ha
voluto così” e non aggiunse altro.
Sua
nonna invece comprese, dolorosamente. Si alzò dalla sedia, sistemò
la camicia che sia era allentata al collo di Oscar e con le mani
lisciò i suoi capelli ai lati del viso. Prima di lasciare il suo
posto al sacerdote, le sfiorò la fronte con le labbra.
Quando
si allontanò dal letto, cercando l'angolo più buio della stanza per
piangere liberamente, Andrè la afferrò per un braccio. La guardava
muto, come a chiederle di intervenire, di fermare tutto quello che
stava per accadere, ma lei gli rispose con un sorriso appena
accennato, mentre le lacrime scorrevano sul suo volto.
“Restami
vicino, Andrè, facciamoci forza insieme” gli sussurrò, mentre
l'aria si impregnava del profumo dell'olio sacro, con il quale padre
Pierre segnava la fronte di Oscar, pronunciando preghiere di
penitenza.
“Ego
te absolvo a peccatiis tuis in nomine Patris et Filii et...”
Il
giovane si coprì le orecchie, non voleva sentire più nulla, cadde
in ginocchio, vicino a sua nonna. Cirillo lo raggiunse, si chinò su di lui.
“Dovete
essere forte, ora” poi continuò, abbassando ulteriormente la voce
“Se
l'amate, ora dovrete dimostrarlo, Andrè”
Allora
lui riaprì il suo unico occhio e la vide, col busto sostenuto dai
cuscini e gli occhi aperti. Gli sorrise, prima di richiuderli.
“Avvicinatevi!”
lo richiamò il sacerdote. E lui si mosse senza staccare lo sguardo
dal volto della sua amata. Senza comprendere.
Padre
Pierre gli ingiunse di inginocchiarsi e recitò la medesima frase di
assoluzione. Poi lo fece sedere accanto ad Oscar.
“Andre
Grandier, accettate di prendere Oscar Francoise Jarjayes come moglie
legittima e promettete di proteggerla e rispettarla per l'intera vita
che Nostro Signore vorrà concedervi?”
Alle
sue parole seguì un silenzio interrotto unicamente dai singhiozzi
dell’anziana donna. Poi Andrè strinse la mano di Oscar.
Proteggerla
e rispettarla...io darei la vita per lei...lei è vita per me.
Il
prete tossicchiò per richiamare la sua attenzione.
“Si
, padre, accetto”
Allora
si rivolse ad Oscar.
“Oscar
Francoise Jarjayes, accettate di prendere Andrè Grandier come marito
legittimo e promettete a lui fedeltà ed ubbidienza per l'intera vita
che Nostro Signore vorrà concedervi?*”
Oscar
annuì col capo e pronunciò un debole assenso.
“Davanti
a Dio e agli uomini vi unisco in matrimonio” concluse , facendo il
segno della croce sopra le loro teste. Poi prese la pisside e diede
ad entrambi un'ostia consacrata.
Si
alzò subito dopo e uscì dalla stanza, seguito da Cirillo.
“Domani
redigerò l'atto di matrimonio, indicherò il vostro nome come
testimone, mentre per la benedizone degli anelli...” Ma si voltò
verso la stanza dove giaceva Oscar e non terminò la frase.
Cirillo
si offrì di riaccompagnarlo e il prete accettò volentieri.
Anche
la nonna uscì, con la scusa di andare a prendere dell'acqua fresca,
lasciandoli soli. Le loro mani si tenevano ancora strette.
Si
voltò a guardarlo.
“Lo
so, ho fatto tutto di testa mia senza consultarti, come al solito...”
disse, cercando di avere un tono leggero, accennando un sorriso.
“Adesso
sono Madame Grandier, tua moglie, e ciò che è mio appartiene anche
a te...”
Andrè
chinò il capo, cercando di sfuggire al suo sguardo.
Per
questo lo hai fatto, Oscar? Per non lasciare me e la nonna
nell'indigenza qualora dovessi morire? Non hai capito che non c'è
vita per me se tu non ci sei più? Andrè non esiste senza Oscar...
Lei
sembrò leggergli nella mente. Distese il capo, chiuse gli occhi.
“Diventare
tua moglie...era la cosa che desideravo di più al mondo, Andrè. Ora
posso riposare, sono serena”
Sentì
la stretta della sua mano allentarsi e guardandola si rese conto che
era nuovamente scivolata in quella specie di torpore.
Rimase
immobile a fissarla, come fosse un modo per tenerla lì, con lui.
Non
si mosse nemmeno quando sentì il medico rientrare, alle sue spalle,
avvicinarsi nuovamente al suo corpo immobile e poggiare la mano sulla
fronte. Le mise una pezzuola bagnata d'acqua fresca.
“Andate
a riposare, Andrè. Posso rimanere io con lei. Anche vostra nonna si
è convinta a ritirarsi per la notte. Siete in viaggio da giorni,
avete bisogno di ristoro...”
“No,
monsieur. Io non la lascio...non la lascio...” ripetè più volte,
sempre trattenendo la mano inerte della donna.
Cirillo decise di non insistere.
“Cercate
di mantenere fredda la pezzuola. Vado a prepararle un decotto di
sambuco...la febbre è aumentata nuovamente”
Non
ricevette risposta. Quando tornò, dopo pochi minuti, lo sentì
piangere sommessamente. E le parlava, tra le lacrime.
“Ti
prego, Oscar, combatti...non ti arrendere.
Il mio occhio sta perdendo
la luce, ormai non manca molto e sarò completamente cieco. E'
qualcosa di ineluttabile, che mi getta nella disperazione. Ma...se
sarai con me, io saprò sopportarlo, sai? Ti giuro che non mi
sentirai mai lamentarmi o maledire la mia sorte. Non ci sarà buio
intorno a me, perchè tu sei sempre stata e sarai sempre la mia sola
luce. Non permettere che sia la tua morte l'ultima immagine che avrà di te il mio povero occhio...”
Il
medico rientrò e si avvicinò ad Oscar. Provò a farle bere l'infuso
a piccoli sorsi, aiutandosi con un cucchiaio. E intanto si chiedeva
come mai le vicende di quei due forestieri lo toccassero così tanto.
Era abituato a vedere gli effetti della malattia, su chi ne pativa e
sulla sua famiglia. Molto spesso nei parenti c'era solo l'interesse
per quello che il moribondo rappresentava: la sicurezza economica,
quando si trattava di un capofamiglia, la cura della casa e dei
figli, quando invece era una madre. Ma un dolore autentico l'aveva
osservato solo nelle circostanze in cui erano i bambini a soffrire, e
molte volte neanche in quel caso.
Lui non conosceva nessuno di questi
affetti: amava la capacità dell'uomo di comprendere il mondo in cui
viveva, la possibilità di trovare spiegazioni ai fenomeni naturali,
senza doverli necessariamente ascrivere al volere di un Dio
superiore. Questa passione per i “poteri” della ragione e la
necessità di sentirsi sempre libero di assecondarla lo avevano
tenuto lontano da vincoli affettivi verso i suoi simili. Erano i suoi
studi e i suoi interessi culturali a guidarlo verso altri uomini:
nel suo petto non aveva mai sentito ardere altro fuoco che quello
della scienza. Faticava a comprendere l'origine e l'intensità
dell'unione tra la donna che giaceva in quel letto e il giovane con
un occhio solo. Erano due creature protese l'una verso l'altra non
per un interesse economico o un'affinità della mente, ma per la loro
stessa natura. Un fenomeno che sfuggiva alla sua comprensione ma che
non lo lasciava indifferente. Stranamente,
pensò.
Lasciò
accesa una candela, prima di uscire dalla stanza, e le tende tirate,
perchè la pallida luce lunare potesse illuminare il volto di Oscar.
Sfiorò una spalla di Andrè, mentre lo salutava.
“Per
qualsiasi cosa, potete chiamarmi, sono nella camera qui accanto”
Riuscì
ad addormentarsi senza difficoltà, nonostante i pensieri che si
affollavano nella sua mente. Era convinto che Chatelet avesse trovato
per lui la soluzione ideale, dei compagni di viaggio a cui
appoggiarsi, in particolare per l'aspetto economico, per il suo
rientro sul suolo italiano, non prima di aver assistito a quella fase
cruciale della storia di Francia e, come si augurava, degli altri
regni d'Europa. Ma la situazione orchestrata dal suo amico
giornalista si era rivelata piuttosto complicata, e il gruppo di
rivoluzionari a cui si doveva unire era in realtà rappresentato da
figure su cui non sapeva quanto fare affidamento.
Quando
sentì il gallo cantare, alle prime luci dell'alba, decise di
controllare la malata nella stanza accanto e, qualora avesse superato
la notte, di serrare le tende, per non disturbare il suo sonno e
quello del suo amico, marito ormai da qualche ora.
Entrò
senza bussare e si avvicinò alla finestra.
“Buongiorno,
monsieur Cirillo”
Era
sua questa voce, così limpida e sicura? Si voltò di scatto e vide
il suo viso sorridente, per la prima volta.
“Madame!”
esclamò avvicinandosi. Senza chiederle permesso le tastò la fronte
e poi il collo.
“Devo
alzarmi e usare il pitale” disse lei, senza dar peso alle azioni del
medico.
“Come
vi sentite? La febbre sembra...siete fresca, in questo momento...”
“Vi
prego di chiamare la mia governante, non sono sicura di farcela da
sola...”
“Certamente”
rispose.
Mentre
usciva, grattandosi la testa, sentì il risveglio di Andrè, che si
era addormentato appoggiato al letto, la testa sopra le braccia
incrociate. La stava abbracciando, piangendo di gioia.
Andò
ad avvisare Marie e a svegliare Gilbert, dal quale si fece aiutare
per preparare la colazione a tutti i suoi ospiti.
Dopo
qualche minuto fu raggiunto da Andrè e da sua nonna, che ancora
piangeva, ma quella mattina per la gioia.
“Un
miracolo! E' stato un miracolo! Dio ha ascoltato le nostre preghiere”
affermava convinta, mentre il nipote taceva, forse per il timore di
illudersi.
Gli
si avvicinò e gli parlò vicino all'orecchio, per non farsi sentire
dagli altri.
“Monsieur
Cirillo...credete che possa ritenersi fuori pericolo?”
“Francamente?
Non ne sono certo, Monsieur Grandier...quello che so, invece, è che
i miracoli non esistono....esistono invece fenomeni naturali che
ancora la nostra mente non sa spiegare...”
In
realtà il suo pensiero era un altro, e cioè che laddove la gente
comune inneggiava all'intervento di Dio, in verità ci si trovasse di
fronte all'errore di un uomo.
Accompagnò
Andrè da Oscar, con un po' di latte caldo e una fetta di pane. Non
voleva essere inopportuno, ma un tarlo si era insinuato nella sua
mente già il giorno prima, quando l'aveva visitata, ed ora era
ancora più insistente, dopo che sembrava essersi ripresa quando
ormai le sue forze apparivano esaurite.
Si
avvicinò alla parte opposta del letto rispetto a quella occupata da
Andrè , che premurosamente l'aiutava a mangiare.
“Avete
perso molto liquido stanotte, non è vero?” chiese notando il
cuscino intriso di sudore.
“Sarà
meglio cambiare le lenzuola del letto, quando vi sentirete in grado
di alzarvi un momento”
“Posso
farlo anche ora”
Immediatamente
Cirillo si voltò, in modo che la donna potesse uscire dal letto e
indossare qualcosa sopra la camicia.
Sorretta
da Andrè si sedette davanti alla toeletta,
mentre il medico prendeva una sedia e si accomodava di fronte a lei.
“Madame,
ieri sera mi avete detto di essere affetta da consunzione...”
Oscar
annuì.
“Chi
altro della vostra famiglia è stato colpito?”
“Nessuno”
“E
delle persone che vi stavano più vicino? Il vostro vice, in
caserma...o monsieur Andrè, che è stato con voi in ogni
circostanza?”
Continuò
a negare.
“Le
cameriere che si occupavano della vostra camera? Che vi servivano i
pasti?”
“No,
è inutile che insistete. Io sono l'unica....”e non terminò la
frase.
“Sapete
in quale altro modo è chiamata la tisi? E' una malattia dai molti
nomi....”
Oscar
negò nuovamente.
“Peste
bianca- le disse, fissandola negli occhi-proprio perchè, come la
peste nera che per secoli ha flagellato i nostri paesi, semina morte
ovunque, quando arriva. Si ammalano e muoiono intere famiglie, interi
villaggi...mentre voi siete l'unica, e nessuno tra coloro che vi
circondano sembrano affetti dallo stesso morbo...”
Tacque
un istante, quasi a volersi sincerare che lei seguisse il suo
ragionamento.
“Scrofola-continuò poi- perchè chi si ammala sviluppa strani tubercoli alla base del
collo o dietro le orecchie, che spesso si ulcerano e sono
purulenti...Eppure voi, che dovreste essere malata da tempo, non ne
avete...neanche uno...”
“Ma
la tosse, con il sangue? La febbre, la mancanza di forze?” chiese
lei, sbalordita.
“Non
sono forse segni della consunzione? Intendete dire che non sono
malata?”
Lui
la fissò un istante, ma tacque.
“Avete
visto com'ero sofferente...il mio respiro così faticoso...pensate
dunque che sia frutto di un errore? Il medico che mi ha visitato mi
conosce da sempre, e non ha mai sbagliato”
Ora
lo guardava sorridendo...quel italiano si era certo sopravvalutato,
Lasonne era stato sicuro nel parlarle, non aveva avuto tentennamenti.
Cirillo
intuì le sue perplessità.
“Non
intendo affermare che non siate malata...o che un morbo non abbia
colpito i polmoni ma...”
Lei
lo fissava con lo sguardo severo e le sopracciglia corrugate, affatto
convinta dalle sue parole. Si soffermò un attimo a cogliere la
bellezza di quello sguardo, ma non si scoraggiò.
“Il
corvo è un uccello nero, ma non tutti gli uccelli neri sono corvi,
madame”
La
vide spalancare quegli stessi occhi che un istante prima lo
giudicavano severamente.
Sorrise,
certo che avesse compreso la metafora, e con la soddisfazione
dell'uomo di scienza, che trova argomenti per spiegare
l'inspiegabile, la lasciò a finire la sua colazione.
*
non ho idea di quale fosse la formula del rito del matrimonio,
all'epoca, ma, in considerazione dei diversi diritti tra uomini e
donne, ho ideato due formule differenti per lo sposo e la sposa
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
Pensavo
di arrivare con la Befana, ma sono in ritardo...anche nel fare a
tutte voi gli auguri per un 2022 migliore del 2021...
Grazie della pazienza!
Capitolo
11
Terminata
la colazione Oscar chiese a Nanny di aiutarla a lavarsi e cambiarsi e
decise di uscire. Temeva l'immobilità a cui la malattia l'aveva
obbligata negli ultimi giorni e decise, complice la giornata
soleggiata ma non afosa, di visitare la forge
insieme a Cirillo ed Andrè. Mentre il loro ospite spiegava le
diverse funzioni della struttura ideata da Leclerc, Oscar si muoveva
al braccio del giovane, teneramente felice di quel contatto,
chiedendosi perchè si fosse negata così a lungo quella gioia.
Gilbert li seguiva svogliato, più interessato a spaventare le
lucertole che immobili si riscaldavano al sole, sul muro
dell'edificio, che
alle spiegazioni di Cirillo.
Mentre si trovavano in
prossimità del canale videro arrivare una chiatta, che scivolava
placida sull'acqua. Uno dei due timonieri scese sul molo ed il
secondo gli lanciò la cima per attraccare l'imbarcazione. Avevano
bisogno di fare scorta di acqua dolce e, avendo già frequentato il
posto, si diressero senza incertezze verso un pozzo che si trovava
proprio davanti all'ingresso dell'altoforno. Salutarono Cirillo con
un cenno del capo, come se lo conoscessero, poi, riempite le borracce
si avvicinarono.
“Buongiorno, monsieur!
Tutto bene qui?”
“Si, tutto tranquillo,
grazie” rispose l'uomo. Anche Oscar ed Andrè si accostarono ai due
barcaioli.
“Che notizie ci portate da
Parigi?” continuò Cirillo.
I due bevvero un sorso
avidamente, poi si asciugarono l'acqua dal volto.
“Tempi difficili, signore.
A Parigi Necker è tornato al suo posto di ministro delle finanze e
il re ha dovuto accettare il nuovo sindaco della città, eletto dal
popolo e di origini borghesi. Ma non è tutto”
I tre davanti a loro li
ascoltavano in silenzio.
“Ci sono stati molti
disordini per la città ed è stata istituita una nuova Guardia
Nazionale, aperta anche a uomini del Terzo Stato e capeggiata dal
marchese di La Fayette. Ma questo non impedisce atti di rivolta
altrove, nelle campagne. Venendo qui abbiamo visto il fumo levarsi
dai torrioni del castello di Montbard.”
“State dicendo che i
villani attaccano i castelli dei loro padroni?”
Si voltarono tutti verso
Gilbert, che, alle loro spalle, aveva posto questa domanda.
I due annuirono ed
improvvisamente il ragazzo perse la calma.
“Ma noi cosa facciamo qui?
Siamo in villeggiatura mentre il mondo è in fermento!? Voglio unirmi
ai contadini in rivolta, sono stufo di fare da chaperon a
questi finti rivoluzionari! Voglio entrare in azione, voglio
combatt...”
Lo schiaffo che lo colpì in
pieno volto interruppe il suo proclama.
Si coprì con la mano la
guancia colpita, mentre Oscar lentamente riabbassava il braccio.
“Sei libero di andare a
farti ammazzare quando vuoi e da chi preferisci, Gilbert! Ma non sei
libero di insultare nessuno dei presenti!”
Non si aspettava di essere
redarguito in quel modo e proprio da lei, che fino alla sera
precedente sembrava sul punti di passare all'altro mondo. La fissò
con astio, gli occhi stretti come due fessure e il labbro tremante di
rabbia, poi si voltò e fece ritorno al pavillon, prendendo a
calci i ciottoli sul selciato.
“Quando passerà la
prossima chiatta diretta a sud?” chiese poi la donna ai due
timonieri.
“Oscar...”provò a
intervenire Andrè, ma lei non si voltò.
I due si guardarono negli
occhi, poi uno rispose.
“Domani, nel pomeriggio”
Oscar si rivolse
direttamente a Cirillo.
“Pensate sia in grado di
partire domani?”
L'uomo la fissò,
grattandosi la fronte.
“Penso che nessuno sia in
grado di impedirvelo, madame”
Lei lo fissò intensamente,
non aveva mai visto tanta serietà e determinazione negli occhi di
una donna.
“Non vi ho chiesto di fare
dello spirito, monsieur Cirillo. Se non conoscete la risposta, non
nascondete il vostro difetto dietro al mio”
Sospirò.
“Avete ragione. Se ho
correttamente inquadrato quello che può essere il morbo di cui
soffrite, il riposo e la quiete sono la migliore cura per voi. Ma è
anche vero che un viaggio lungo il canale non comporta grossi sforzi
o minacce per le vostre condizioni, se il tempo è clemente. E in
ogni caso ritengo sia meglio partire prima che i disordini si
estendano anche qui. I ribelli potrebbero bloccare il traffico sul
Borgogna e a questo punto il viaggio verso Marsiglia diventerebbe
davvero complicato”
Oscar lo ascoltò poi si
volse verso Andrè. Il tono della sua voce, fino ad allora perentorio
e risoluto, si ammantò di dolcezza, le sue labbra si distesero in un
sorriso colmo di tenerezza. Cirillo la fissava, ancora stupito delle
diverse sfumature che il suo accento sapeva assumere.
“Cosa ne pensi, Andrè?”
Il giovane annuì, senza
parlare. Da una parte avrebbe sicuramente desiderato prolungare il
suo soggiorno a Buffon, essere sicuro che lei fosse fuori pericolo,
dall'altra la sola idea di un'aggressione simile a quella subita a
St.Antoine gli faceva tremare le gambe. Nessun dragone svedese
l'avrebbe salvata, in quel caso.
Così fu decisa la loro
partenza per il giorno dopo.
Oscar, per tacitare le
preoccupazioni di tutti, rimase per il resto della giornata nella
camera a lei destinata, mentre Nanny si affaccendava per rifare i
bagagli. La vide spostare dei fogli
arrotolati dentro un baule, mentre borbottava cercando qualcosa.
“Che cosa sono?”chiese
alla balia, indicandoli.
“Oh, non ci crederete mai,
madamige...madame, volevo dire”abbassò il capo di fronte a quel
errore involontario. Faticava ad accettare la frettolosa cerimonia
della notte precedente e quello che comportava, per Oscar e suo
nipote.
“Sono bozzetti di studio
che il pittore ha fatto per il vostro ritratto! Non c'è stato verso
di convincerlo a lasciarli a palazzo!”
“Posso vedere?” chiese
Oscar.
La nonna glieli portò.
Lentamente, srotolando quei fogli, comparvero i suoi occhi, di
svariate dimensioni, con diverse gradazioni di azzurro...poi un
dettaglio delle sue mani che stringevano le redini di Caesar...prove
di colore rosso magenta per il suo mantello...e infine il suo volto,
con la chioma bionda appena accennata, il sorriso aperto, che era
evidentemente stato scartato a favore, nel quadro definitivo, di un
urlo di battaglia, evidentemente ritenuto più consono. Notò anche
delle cifre scritte in piccolo, in un angolo del foglio.
“Ma...li ha pagati!?”
“Naturalmente, il pittore
ha chiesto un contributo...esagerato, a mio avviso! Ma mio nipote non
ha sentito ragioni...”
Oscar sorrise, senza
aggiungere una parola.
Ripose con cura i disegni e
li consegnò alla nonna, prima che lasciasse la stanza con l'oggetto
finalmente trovato, il velo di pizzo nero con cui si copriva il capo
durante la santa messa.
Si lasciò scivolare sui
cuscini e chiuse gli occhi. Immaginò le mani di Andrè su quei
fogli, le dita a seguire i tratti di matita, e poi, come per una
naturale trasposizione, le pensò su di se. In quel sogno ad occhi
aperti erano leggere e delicate, le slacciavano lentamente i lacci
della camicia, seguivano il profilo della sua spalla lasciando
scivolare via il tessuto, scoprendo la pelle...le sfuggì un gemito.
E' questo il desiderio di una moglie per il proprio marito?
La notte precedente, quando
aveva chiesto a Cirillo di portare da lei un sacerdote per sposarsi
con Andrè, era convinta che non avrebbe avuto altro modo per
dimostrargli il suo amore. Adesso, con le forze che pian piano
tornavano, sentiva prepotente il desiderio di non sprecare tempo e
altre occasioni. Con lui accanto sentiva di voler vivere, ad ogni
costo.
Prima di cena Cirillo passò
da lei. Era seduta, appoggiata sui guanciali del letto. Dopo che gli
diede il proprio assenso, le posò la mano sulla fronte e nell'incavo
del collo.
“Avete nuovamente un po'
di febbre, madame”
Oscar sbuffò, non potendo
nascondere l'insofferenza per quella situazione.
“Ieri sera ho davvero
temuto che vi avremmo perso...non siate impaziente”
Lei allora sorrise.
“Non sono mai stata tanto
a letto in vita mia!”
“Lo so, Andrè mi ha
raccontato che siete una persona sempre pronta all'azione...ma questo
vi è già costato molto, non credete?”
Lo guardò con aria
interrogativa.
“In questi ultimi mesi
avete mangiato con regolarità? Avete dormito a sufficienza? Avete
evitato di esporvi alle intemperie o al sole cocente?”
“No, monsieur, nessuna di
queste cose”
“Ecco, madame, io credo
che abbiate una seria affezione ai polmoni, ma che non si tratti di
tisi. Il dimagrimento e la perdita di forze sono dovute alle
condizioni a cui avete sottoposto la vostra persona, non alla
malattia. E la tosse, accompagnata da sangue, può essere legata ad
altri morbi che non siano la consunzione. Se ho ragione, e
difficilmente mi sbaglio- ammise con una punta d'orgoglio- potreste
anche guarire e rimettervi completamente”
Vide i suoi occhi azzurri
farsi grandi.
“Bene, adesso vi lascio.
Ho suggerito a vostro marito di portare qui quello che ritengo debba
essere la vostra cena per stasera...non vi dispiace mi sia preso
questa libertà, vero?”
Lei scosse la testa, sempre
sorridendo.
Quando stava già uscendo,
Cirillo si rivolse a lei nuovamente.
“Madame, permettete
un'ultima domanda. Vi siete unita in matrimonio con Monsieur Grandier
pensando di essere in punto di morte?”
Oscar lo fissava , senza
capire.
“Intendo dire...avete
voluto sposare un uomo al quale siete legata dall'infanzia, ma che è
di estrazione molto umile e in questo momento versa in uno stato di
grande fragilità...Se la vostra decisione è stata dettata dalla
gravità delle vostre condizioni...se non pensavate di sopravvivere
ancora a lungo...” Non sapeva come uscire da quel garbuglio di
supposizioni, per comunicarle che poteva ancora annullare
quell'unione, se avesse voluto.
Non lo lasciò terminare.
“Volete essere così
gentile da portarmi la spazzola che trovate vicino allo specchio?”
Quando gliela porse Oscar
cominciò lentamente a spazzolarsi i lunghi capelli.
“Vi ringrazio, monsieur
Cirillo, di tutto. Potete dire a mio marito che lo aspetto per cenare
qui, con me”
Il medico si piegò in un
leggero inchino e lasciò la stanza. Aveva cercato una spiegazione
razionale non solo ai disturbi di salute della giovane donna, ma
anche a quella decisione così poco appropriata, per una persona del
suo rango. Non aveva mai creduto all'amore se non come soggetto da
romanzo o tragedia, e adesso gli si presentava così reale, sotto gli
occhi, e ne avvertiva la potenza, sia quando osservava le reazioni di
lei che gli atteggiamenti di lui.
Dopo pochi minuti Andrè la
raggiunse.
Lo vide entrare con un
vassoio e rimase colpita nel constatare che l'occhio destro fosse
coperto con un velo nero avvolto attorno alla testa.
“Cosa è successo al tuo
occhio, Andrè?”
Il giovane si avvicinò al
letto e appoggiò il suo prezioso carico con attenzione.
Amava sentire quel tono di
apprensione nella sua voce, a tradire quei sentimenti che per anni
aveva sperato di trovare in lei.
“E' un'altra delle idee
bizzarre del nostro ospite, Oscar. Ha saputo che sto perdendo la
vista e mi ha suggerito di proteggere l'occhio con un velo
scuro...per la luce...” La giovane corrugò la fronte, poco
convinta.
“Mi ha spiegato che il
bagliore intenso può ferire gli occhi. Secondo lui devo indossarlo
di giorno, specialmente nelle giornate di sole, mentre la sera posso
toglierlo...”
La sentì soffocare una
risata e si mise a sorridere anche lui.
“Lo so, è una spiegazione
assurda, ma perchè non provare?”
“No, non è questo, Andrè.
E' che mi immagino la faccia che avrà fatto tua nonna, costretta a
cederti la sua preziosa veletta per la santa messa per vederti
conciato così”
Cominciarono a ridere
entrambi, come non facevano da anni...
E insieme mangiarono le
strane pietanze, ricche di verdure e sapori, che l'originale medico
italiano aveva preparato loro.
Andrè sentiva il suo cuore
aprirsi finalmente alla gioia dell'amore dichiarato di Oscar.
Percepiva il suo sguardo posarsi su di lui, come una carezza, le sue
mani, che nei gesti consueti cercavano frequenti contatti con le
sue, la sua voce che tradiva una gaiezza e una spensieratezza che
aveva dimenticato, e che restava nell'aria, anche nei momenti di
silenzio.
Quando il campanile batté
le nove di sera, radunò tutto quello che avevano sparso sul letto e
si accinse a lasciare la stanza.
“Cirillo mi ha intimato di
non fermarmi troppo a lungo: hai bisogno di riposare per affrontare
il viaggio domani”
Lei gli sorrise di rimando,
ma quando lui le volse le spalle lo richiamò.
“E' così che auguri la
buona notte a tua moglie?
Cos'era quel timbro nella
sua voce? Provocazione?
Andrè si voltò di scatto,
quasi incredulo.
Poi lentamente appoggiò il
vassoio sulla cassettiera, si sedette accanto ad Oscar e lei, con un
gesto lento e delicato, gli scoprì l'occhio destro. Rimasero alcuni
istanti immersi ciascuno nello sguardo dell'altro, poi Andrè chiuse
gli occhi e lei lo seguì. Le loro labbra si trovarono, in quel buio
pieno di luce.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12
Ringrazio
tutti per la pazienza, la sistemazione di questo capitolo è caduta
in un periodo un po’ travagliato.
Dov’eravamo
rimasti? Ah, si, la comitiva lascia Buffon diretta a sud. Chiedo già
scusa per eventuali incongruenze storiche relative alla loro
“crociera” sul Borgogna: per quanto mi sia documentata sui viaggi
fluviali nel ‘700, ho dovuto necessariamente fare ricorso alla mia
fantasia
Capitolo
12
La
chiatta si allontanò dalla forge
de Buffon
proprio nel momento in cui il campanile della chiesa del paese
batteva le cinque del pomeriggio.
Attraversarono
le campagne della Cote d'Or mentre il sole pian piano calava, in un
silenzio irreale, interrotto unicamente dal dolce rumore dell'acqua
sulla chiglia, dai rari colpi di remi per correggerne l'inclinazione,
dall'improvviso sbattito d’ali delle anatre d'acqua dolce, che si
levavano in volo, disturbate dal loro passaggio.
Oscar
era ovviamente costretta ad un riposo forzato, sotto lo sguardo
vigile di Nanny e quello più discreto ma onnipresente di Cirillo.
Osservava a distanza Andrè, intento ad occuparsi di Caesar e a
fornire alcune indicazioni al giovane Sugane, che lo ascoltava ed
imitava senza controbattere. Lei si stringeva nel mantello, il suo,
non per il freddo, ma per raccogliere e trattenere in qualche modo la
serenità di quel momento di pace. Sentiva ancora sulle labbra il
bacio appassionato con cui l'aveva salutata, la sera prima, e nel
ricordare quegli istanti la memoria giocava ad aggiungere sempre
nuovi dettagli, rafforzando ogni sensazione provata. Dopo il
tramonto, mentre procedevano lentamente grazie alla luna piena di
quei giorni di luglio, Oscar riposò tra le sue braccia, col capo
appoggiato sulla sua spalla e la mano all'altezza del suo cuore,
trattenuta dalla sua. E quando tutti gli altri si coricarono per
dormire, cercò ancora le sue labbra, senza timore, e le trovò,
sicure e audaci come la notte precedente.
Ma,
avrebbe ricordato poi, quelle furono le ultime ore di tranquillità
prima di affacciarsi sull'orrore che la rivoluzione stava generando,
come una fiera troppo a lungo tenuta alla catena, ormai libera ma
fuori controllo.
Quando
il sole comparve nuovamente sulla linea dell'orizzonte, segnando
l'inizio di un nuovo giorno, fu svegliata di soprassalto dal grido di
Marie. Era ancora avvolta nel mantello, ma Andrè non era più
accanto a lei. Immediatamente si scoprì per alzarsi, e la sua balia
cercò invano di coprirle gli occhi, in un inutile tentativo di
proteggerla dalla scena che aveva di fronte.
“Che
succede, Nanny?”
Davanti
al lei, come una muraglia umana, i due timonieri e gli altri tre
uomini le coprivano la vista. Si alzò, scansando l'anziana donna.
La
chiatta scivolava lenta in mezzo al canale, urtando con noncuranza
cadaveri di uomini e donne gettati in acqua, alcuni visibilmente
mutilati. Ne contò una dozzina, tra cui un bambino di qualche anno.
Fu
lei a rompere il silenzio, rivolgendosi ad Andrè e Cirillo, come se
avessero assistito a tutta quella violenza.
“Cos'è
successo, Andrè? Di chi sono questi corpi?”
Nessuno
le rispose. Ma da una macchia di cespugli sbucarono tre persone che
cominciarono a gridare e gesticolare, perchè la chiatta si
avvicinasse alla riva.
“Che
facciamo ?” chiese uno dei timonieri al suo compare.
“Avvicinatevi,
per l'amor di Dio!” intimò loro Cirillo.
“Non
vedete? Ci sono due donne tra loro!”
L'imbarcazione
deviò il suo corso e in pochi minuti raggiunse la riva, mentre i tre
dalla sponda correvano nella direzione dell'approdo, trascinandosi a
vicenda e guardandosi le spalle.
Erano
un uomo ed una donna sulla quarantina, insieme ad una ragazza di
circa 15 anni. Si lanciarono praticamente sull'imbarcazione e si
gettarono in ginocchio davanti ai loro.
“Vi
prego, ripartite subito! Subito!”
I
due timonieri ubbidirono in silenzio, mentre Oscar e Cirillo si
avvicinarono ai forestieri.
Avevano
i capelli in disordine, gli abiti sporchi di fango e stracciati in
più punti, gli occhi colmi di un orrore che Oscar riconobbe
immediatamente, per averlo provato lei stessa, in una notte di
Parigi, nel quartiere di Saint Antoine.
“Siete
al sicuro Monsieur, state tranquillo” esordì Cirillo, stringendo
l'uomo per le spalle. Ma lui non sembrò nemmeno aver udito quelle
parole, si avvicinò alla donna ed alla ragazza e si accucciò
insieme a loro nell'angolo più nascosto della chiatta, vicino a dei
sacchi di grano.
Oscar
notò che le due donne tremavano visibilmente. Le raggiunse e diede
loro il suo mantello.
“Grazie”
gemette la più matura, avvolgendo l'altra, che immaginò essere la
figlia.
“Da
dove venite?” cercò di indagare.
Solo
allora i tre fuggitivi alzarono gli occhi su di loro e li fissarono,
cominciando a soppesare i membri di quella comitiva di viaggiatori,
per capire con chi avevano a che fare.
“Mi
chiamo Domenico Cirillo, sono un forestiero, nato in Italia. E questi
sono Monsieur e Madame Grandier, con la loro governante e il giovane
monsieur Sugane, che viaggiano con me diretti a Sud, a Marsiglia.”
Di
fronte al loro mutismo aggiunse “Non avete nulla da temere...”
Contrariamente
a quanto si sarebbe atteso, le sue parole scatenarono i singhiozzi
delle due donne di fronte a lui. Intervenne allora l'uomo, anch'egli
con voce tremolante.
“Mi
chiamo Hugo Daffort” disse, stringendosi i lembi della giacca e
tenendo gli occhi bassi. “Lei è mia cognata, madame Daffort, e la
giovane mia nipote. Gli unici ad essersi salvati” concluse volgendo
lo sguardo alle sagome dei cadaveri in acqua, sempre più lontani. Le
sue parole scatenarono nuovi singulti dal parte delle sue compagne di
viaggio.
Sospirò
e riprese il suo racconto.
“Eravamo
tutti al servizio della famiglia Bussy, del castello di Bussy Le
Grand...Ma se siete forestieri, di certo non conoscete il mio
padrone... ”
Parlava
senza alzare lo sguardo, cercando di pulire inutilmente con le mani
lo sporco che aveva imbrattato i suoi calzoni.
“Quelle
persone-riprese facendo un cenno del capo alle sue spalle- erano come
noi servitori di palazzo. I signori sono fuggiti la sera prima, in
carrozza, non appena ricevute le allarmanti notizie da Montbard”.
Si coprì gli occhi con le mani sudicie, e gli altri rimasero in
silenzio, affinchè continuasse il suo racconto.
“Eravamo
tranquilli, monsieur- riprese, rivolgendosi a Cirillo- siamo popolani
anche noi, e di certo non ci saremmo fatti ammazzare per proteggere
l'argenteria o i quadri del nostro padrone. Anzi, ad essere sinceri,
eravamo d'accordo di spartirci quanto fosse rimasto nel castello, e
magari di andarcene altrove... Non avremmo mai immaginato quella
furia, quella violenza. Erano tantissimi, sono arrivati armati di
asce e forconi...molti fittavoli delle terre dei Bussy, ma la maggior
parte...non li avevo mai visti. Briganti, assassini, delinquenti che
si uniscono ai contadini, li sobillano, si fanno indicare le dimore
dei signori e una volta arrivati...-questa volta serrò le mani sulla
bocca, per il dolore che certe parole, certi ricordi, gli
provocavano- ...hanno colpito tutti, senza pietà, senza motivo.
Anche i più anziani...anche i bambini” E scoppiò a piangere.
Cirillo si chinò su di lui, gli parlò piano, con tutta la dolcezza
che riuscì a trovare.
“Non
c'è bisogno che aggiungiate altro, monsieur Hugo, abbiamo capito.
Purtroppo non possiamo fermarci a dare una degna sepoltura ai vostri
parenti e compagni...”
“No,
no, andiamo via e in fretta, per carità!” esclamò la donna, che
fino a quel momento aveva taciuto.
“Se
volete consegnare il vostro carico-proseguì Hugo, indicando i sacchi
su cui poggiava la schiena- vi conviene non fare altre soste. Questa
merce deve arrivare a Digione?”
Il
timoniere annuì.
“Scenderemo
anche noi lì. Grazie del passaggio” concluse, poi si strinse al
petto le ginocchia e chinò il capo. Cirillo non fece altre domande,
gli allungò una borraccia d'acqua e si allontanò.
Durante
il viaggio che li separava da Digione, l'imbarcazione si riempì fino
all'ultimo posto disponibile. Famiglie di nobili senza troppi mezzi,
con le parrucche impolverate e gli abiti stinti, gelosamente
attaccati ai propri bauli, comitive di servitori, come i Duffort, in
fuga dalla violenza e dalla povertà, senza più padroni da servire e
mezzi di sostentamento.
Oscar
e Andrè guardavano quella varia umanità che si univa a loro sulle
placide acque del canale di Borgogna, preoccupati dalle forme che
stava assumendo la lotta interna al loro paese.
Cirillo,
che non era nemmeno un cittadino francese, si occupava di tutti i
feriti, con dedizione e senza chiedere alcun compenso.
Alle
domanda se ci fossero casi gravi, rispondeva che le ferite più
profonde erano quelle dell'anima.
Ad
ogni sosta, seppur breve, chiedeva poi qualche soldo ad Oscar,
scendeva dalla chiatta e si allontanava per tornare con un po' di
frutta, una bottiglia di latte appena munto, una forma di pane
fresco. Poche cose, che pagava profumatamente, perchè lei potesse
mangiare qualcosa di vario e corroborante. All'inizio tendeva a
rifiutare, ma coglieva lo sguardo supplice di Andrè, dietro il velo
nero con cui diligentemente continuava a proteggere l'occhio destro
durante il giorno, e seguiva le indicazioni del medico senza
obiettare.
Di
fronte a quel mondo che andava sgretolandosi sotto i suoi occhi,
essere circondata dall'amore di Andrè e Nanny e dalle premure di
Cirillo la faceva sentire una privilegiata.
Quando
si stagliò all'orizzonte la Torre de la Terrasse di Digione, i
passeggeri dell'imbarcazione tirarono un sospiro di sollievo. Al molo
della città tutti sbarcarono, in fretta, e si dispersero; anche
Oscar e gli altri scesero dalla chiatta e si imbarcarono su un
battello, che ripartì in direzione di Lione, lasciando il Borgogna e
muovendosi sulle acque veloci della Saona.
Il
paesaggio mutò sotto i loro occhi. Le pianure che avevano appena
attraversato, scosse dalla violenta ribellione dei contadini, con i
campi abbandonati ed incolti, le ville padronali date alle fiamme,
lasciarono posto alle dolci colline disegnate dai vigneti a terrazza,
con i loro filari ordinati, a cui si alternavano piccoli paesi, con
le case a graticcio affacciate sull'argine del fiume, i campanili in
stile normanno, dai quali proveniva il rassicurante suono delle
campane, in perfetto orario, dove la vita sembrava scorrere ancora
tranquilla.
Forse
fu per questo, o per le premure del buon Cirillo e di Nanny, o per la
voglia di vivere che un solo sguardo di Andrè sapeva infondere in
lei, ma col passare dei giorni si sentì sempre più forte. La febbre
cessò di tormentarla e la tosse, per quanto ancora presente, a volte
insistente, non era più accompagnata da perdite di sangue.
“Domani
saremo a Lione” disse ad Andrè, che appoggiato alla balaustra,
osservava una fila di manovali che tornavano dal lavoro, camminando
sull'argine del fiume, al tramonto.
“L'occhio
come va?”
“Non
devi preoccuparti per me” le rispose, prendendole la mano e
portandosela alle labbra.
“Secondo
te quanto abbiamo visto si fermerà o si diffonderà in tutte le
regioni di Francia? Io sono preoccupato, Oscar” continuò.
“C'è
così tanto odio che la gente perde di vista lo scopo di questa
lotta. Ed è talmente facile da diffondere, basta una persona, un
episodio...”
Si
voltò a guardarla.
“E’
sufficiente una singola fiamma per appiccare il fuoco a migliaia di
arbusti. E mi chiedo se Robespierre e i suoi compagni all'Assemblea,
che soffiano vento su queste fiamme, le sappiano poi fermare...Il
problema più impellente è la fame, e questi disordini, l'abbandono
delle campagne, la fuga dei possidenti, creerà ancora più penuria
di cibo”
“Per
questo è importante che arriviamo a Marsiglia” gli rispose.
“Sei
attento a cogliere i pericoli di questa situazione...e sai parlarne
in modo semplice. Se ci sono uomini che nei loro saggi incitano alla
violenza e all'annientamento dell'avversario, tu potrai
controbilanciare con le tue riflessioni equilibrate e di buon senso”
Andrè
si voltò di scatto.
“Ma
di cosa stai parlando Oscar? Vuoi che mi metta a pubblicare articoli
come
Bernard
Chatelet o Camille Desmoulins? Io sono un uomo semplice...non ho
frequentato per anni i salotti e i circoli culturali come loro...”
Oscar
sorrise.
“Ho
letto qualcosa dal tuo taccuino, durante questo viaggio” gli
confessò.
“Penso
che dovranno essere i lettori a decretare se sei abbastanza colto, se
hai un messaggio da trasmettere...”
Sospirò,
tornando a volgere lo sguardo all'argine del fiume, in quel tratto
costellato di alberi con le fronde piegate sull'acqua, come dame
inchinate al loro passaggio.
“Vogliamo
davvero combattere come abbiamo visto in Cote d'Or? Io non intendo
puntare il fucile contro altri cittadini francesi. Non mi importa che
siano nobili, borghesi o popolani...non voglio vedere l'orrore negli
occhi delle persone attorno a me.”
“Sono
con te Oscar, e lo sai”
“Ed
io con te. Sono tua moglie adesso!”
Arrossì
subito di fronte a quella esternazione; lei si sentiva tale ma sapeva
bene cosa mancasse alla loro unione. Andrè le rivolse uno sguardo
carico di dolcezza e con la mano fermò una ciocca dei suoi capelli
che il vento agitava nell'aria. Il suo silenzio parlava di un amore
che non si sarebbe mai incrinato, di un'unione che era concreta, ora
più che mai. Sentiva che finalmente il suo sentimento era ricambiato
e questo continuava a destare in lui felicità e stupore al contempo.
Oscar
volse lo sguardo al giovane Sugane seduto poco più in là, con le
braccia incrociate ed il solito sguardo nervoso, tormentato.
“Non
ha manifestato la minima emozione davanti al massacro che abbiamo
visto pochi giorni fa. E' impassibile a tutto. Assuefatto al dolore,
al suo come a quello degli altri. Ed è pieno di rabbia repressa.”
“Anche
Cirillo lo ha notato. Mi ha detto che è come un animale ferito:
attacca chiunque gli si avvicini, non si fida di nessuno”
“Dieci
anni fa gli ho salvato la vita...ma che genere di vita?”
“Non
ti angustiare, Oscar. Vedrai che quando comincerà il suo lavoro di
corriere avrà un'occupazione che lo distoglierà dai suoi tormenti,
si sentirà utile, conoscerà altre persone, capirà forse di più di
questo mondo...”
Oscar
cercò la sua mano e le loro dita si intrecciarono; allacciati così
si diressero verso il loro giaciglio per la notte.
Non
riposarono a lungo. All'alba il battello attraccò a Lione e il
tramestio del porto li svegliò. Dovevano cambiare per l'ennesima
volta imbarcazione e spostarsi sul fiume Rodano, per concludere il
loro viaggio in Camargue.
Ma
avevano a disposizione alcune ore prima che la chiatta ripartisse, e
ne approfittarono per girare la città.
Lione
era una località fiorente, che sembrava ancora risparmiata dalla
povertà che dilaniava la regione di Parigi, lontana dai tumulti che
scuotevano gli altri distretti di Francia. Famosa per il commercio
dell'ottimo vino prodotto sulle colline circostanti e per la
produzione della seta, la più pregiata del paese, si presentava
maestosamente ai forestieri, con il marmo bianco e splendente della
chiesa di Saint George, direttamente affacciata sulla sponda della
Saona.
Mentre
Andrè e Cirillo si occupavano di trasferire i loro bagagli e Caesar
al molo sul Rodano, da cui sarebbero ripartiti, Oscar ne approfittò per
raggiungere il centro della città: doveva recuperare denaro dalla
banca e decise di farsi accompagnare da Gilbert. Anche Marron si unì
a loro, con la speranza di trovare un negozio di merceria e
procurarsi un copricapo adatto per andare in chiesa. Lasciando il
fiume Saona alle loro spalle, si inoltrarono nel quartiere vecchio
della città e si persero nei traboules
che attraversavano viuzze e palazzi, affascinati da quel dedalo di
passaggi, che permise loro di scorgere angoli incantevoli della
città. Finalmente, dopo aver chiesto ripetutamente indicazioni,
raggiunsero la piazza centrale, dominata dallo splendido Hotel de
Ville.
Oscar fece una rapida sosta alla banca di Monsieur Gondi, in
una via secondaria, poi accontentò la sua vecchia balia e la
accompagnò da un mercante di stoffe, con la merce esposta in bella
mostra all'esterno della bottega, in un vicolo lì vicino. Convinse
Gilbert a scegliere un tessuto con cui farsi confezionare un abito
decente, una volta arrivati a Marsiglia, mentre lasciava il
negoziante in balia dei capricci e delle pretese dell’anziana
donna. E mentre aspettava, la sua attenzione fu catturata da un
rotolo di mussola di cotone, color avorio: istintivamente si avvicinò
e lo sfiorò con la mano. Per un attimo rimase incerta se acquistarla
oppure no, poi, ricacciando indietro il pensiero che l'aveva
attratta, avvisò la nonna che l'avrebbe attesa fuori e uscì dalla
bottega con Gilbert.
Quando
infine Marie fu convinta del suo acquisto, ripresero la via in
direzione del porto, dove Cirillo e Andrè li attendevano
pazientemente.
Ancora
una volta caricarono i bagagli, mentre Caesar, ormai refrattario
all'ennesimo imbarco, puntava gli zoccoli e scrollava il capo
nervosamente. Oscar si avvicinò all'animale per convincerlo a salire
senza farsi male, mentre
Andrè
prendeva il paniere che sua nonna teneva sottobraccio.
“Ma
non dovevi comprare una semplice veletta nera per la santa messa?”
l'apostrofò ridendo, sorpreso dal peso della borsa.
Mentre
le passava accanto, Oscar notò tra i lembi di tessuto ripiegati, il
velo nero di Nanny ed il cotone di colore scuro, scelto per Gilbert,
il bianco del taglio di mussola che l'aveva attirata.
Si
voltò verso la sua balia, ma l'anziana si stava sistemando lo
scialle e non ricambiò il suo sguardo.
La
rapida corrente del Rodano li allontanò in pochi minuti dalla vista
della città. Oscar si lasciò alle spalle Lione con il cuore più
leggero, la sensazione di una forza ritrovata e l’immagine di un
futuro che ancora poteva essere felice.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13
Allora,
premetto che il capitolo fa un po’ dormire, però portate pazienza,
Marsiglia è vicina.
Ringrazio
chi sopporta e continua la lettura e chi mi ha scritto in privato, in
queste settimane super-impegnative, per avere mie notizie.
Capitolo
13
All'alba
del 27 luglio arrivarono ad Avignone.
Mentre
viaggiavano velocemente lungo il Rodano, attraversando la Provenza,
videro il paesaggio mutare sotto i loro occhi: le colline degradarono
fino a sparire, lasciando il posto a vaste pianure, con l'erba alta e
verde, e macchie di alberi a interromperne la monotonia. Il clima si
fece sempre più caldo e umido, al punto che durante le soste era
necessario farsi aria con ventagli o cappello. La rapida corrente del
fiume li avvicinava a destinazione, mentre il mondo intorno a loro
sembrava fermo, come sotto l'effetto di un sortilegio.
Avvicinandosi
all'argine, il battello sfiorò il ponte interrotto di Saint Benezet,
dal quale uno stormo di gabbiani immobili ed allineati come
sentinelle, ne seguiva la scia. Si levarono in volo non appena l'ebbe
superato e lo seguirono fino all'approdo.
Da
quel punto poterono ammirare la bellezza delle guglie gotiche del
Palazzo dei Papi, che si stagliavano imponenti, illuminate dai raggi
del sole, ancora sulla linea dell'orizzonte. Oscar rifletteva su
quanto fosse incantevole il suo paese, e su quanto poco lo
conoscesse. Ancora meno si poteva affermare per i nobili di corte e
la stessa regina.
“Chissà,
forse le vicende della nostra Francia avrebbero avuto un corso
diverso se i sovrani ne avessero compreso la bellezza, come la sto
assaporando io, in questo viaggio lontano da Parigi”
Parlò
quasi tra se e se, ma Andrè la sentì e le strinse la mano.
Dovevano
fermarsi in città e ripartire il giorno seguente: Bernard aveva
indicato ad Oscar il nome di un collaboratore, che già gestiva una
rete di corrieri per recapitare e ricevere notizie dalla capitale, a
cui mancava uno stabile raccordo con Marsiglia. Avignone sarebbe
stato il punto di scambio di messaggi e informazioni, e Gilbert
avrebbe fatto la spola tra l'antica residenza papale e la città
portuale sul Mediterraneo.
Quando
furono sbarcati tutti, Oscar illustrò il suo piano: lei e Andrè,
insieme a Gilbert, avrebbero trovato l'uomo indicato da Bernard, nel
quartiere Saint Lazare, alla periferia della città. Affidò la nonna
e i loro bagagli a Monsieur Cirillo e si separarono in Place Pie, con
l'accordo di ritrovarsi all'ora dei vespri di fronte alla torre della
piazza.
Le
indicazioni che Bernard aveva trascritto su un pezzo di carta erano
piuttosto generiche, e girarono a vuoto per quasi un'ora cercando
l'indirizzo giusto. Andrè aveva convinto Oscar a montare Caesar, per
non stancarsi in quella calda giornata di fine luglio, e dalla
posizione in cui si trovava non le sfuggivano i gesti di insofferenza
del giovane Gilbert per quel loro girovagare infruttuoso. Quando
passarono per la seconda volta davanti allo stesso lavatoio, il
ragazzo si fermò a rinfrescarsi il volto, quasi immergendolo
nell'acqua, poi si strizzò i capelli, inzuppando la camicia, e si
sdraiò sulle assi di legno, incrociando le braccia sotto la testa.
“Guarda
come ti sei conciato! Bel modo di presentarsi al tuo capo, Gilbert!”
Lo riprese Andrè, mentre il giovane restava impassibile, con gli
occhi chiusi.
“Prima
bisogna trovarlo, il mio capo, giusto Andrè?” replicò senza
nemmeno voltarsi.
L'uomo
stava per scattare, esasperato, quando Oscar lo fermò.
“Lascia
perdere, Andrè!” disse, smontando da cavallo. Poi cercò di farlo
sorridere
“Probabilmente
è l'età, sai? Ricordo che anche tu, da ragazzo, eri sempre stanco e
non perdevi occasione per coricarti un po'...”
Andrè
si voltò di scatto, poi vide il suo viso sorridente e capì che lo
stava prendendo in giro.
“Si,
come no!-le rispose, prendendo le briglie di Caesar e avvicinando il
cavallo all'acqua-non sopravviverebbe una settimana agli ordini di
mia nonna...”
Si
scambiarono uno sguardo silenzioso, la mente di entrambi rivolta ai
ricordi della loro giovinezza, vividi, come se non fossero passati
quasi vent'anni.
"Resta
il fatto, Oscar, che stiamo effettivamente girando in
tondo...probabilmente non sono così accurate le indicazioni di
Bernard...”
Oscar
si avvicinò e dopo un'ultima occhiata alle righe che le aveva
lasciato il marito di Rosalie, ripiegò il foglio e lo ripose nella
tracolla che portava con sé.
“Non
può essere qui il posto...manca lo spazio per il ricovero dei
cavalli...E forse anche il nome non è esatto, qui nessuno conosce
questo Abraham Morin”
“Hai
ragione Oscar...proviamo a seguire il lungofiume verso la periferia
della città. E proviamo a chiedere ai passanti di qualcuno che si
occupi dei corrieri di posta, invece del nome...”
Si
incamminarono quindi verso la sponda del Rodano, lasciandosi alle
spalle il quartiere di Saint Lazare. Gilbert li raggiunse correndo
prima di perderli di vista ma rimase qualche passo dietro di loro:
camminavano fianco a fianco, e mentre con una mano Andrè guidava
Caesar, tenendolo per le briglie, con l'altra giocava con quella di
Oscar, sfiorandola quasi casualmente per poi trattenerla qualche
secondo e lasciarla nuovamente andare.
Poco
dopo incrociarono un anziano su un carretto e Andrè si avvicinò
per chiedergli a chi poteva rivolgersi per inviare un messaggio a
Lione. L'uomo gli indicò una costruzione poco distante, vicino ad un
molo in legno sul fiume.
Quando
la raggiunsero notarono sul retro un recinto con due cavalli che
ruminavano, ancora sellati.
Il portone del capanno si spalancò improvvisamente ed uscì un ragazzo di
corsa, che per poco non cadde rovinosamente su di loro.
“Pierre!
La porta, maledizione!”
L'uomo
che aveva gridato alzò lo sguardo verso l'ingresso e si trovò
davanti una coppia, immobile, con un bellissimo stallone bianco. I
due entrarono, lasciando le briglie del cavallo ad un ragazzo.
La
stanza era occupata da una varietà di merci accatastate alle pareti.
In un angolo un giovane stava sistemando delle damigiane di vino.
“Buongiorno
signori! Siete qui per vendere il cavallo?”
Oscar
e Andrè si guardarono, senza capire.
“Buongiorno
a voi. Veramente noi...stiamo cercando Monsieur Abraham Morin”
spiegò Oscar.
L'uomo
si bloccò, come se avesse pronunciato una bestemmia.
“Mi
chiamo Oscar Francois Jarjayes, e questo è mio marito, Andrè
Grandier. Veniamo da Parigi, per conto di Monsieur Chatelet”
L'altro
rimase impassibile un secondo, poi si rivolse al suo garzone. “Credo
siano arrivate le colombe
che aspettavamo per la festa patronale. Resta qui se arrivassero
clienti, io sono sul retro con questi signori. E dai anche
un'occhiata al loro purosangue.”
“Certo,
monsieur Moret!”
Detto
ciò fece cenno ai tre forestieri di seguirlo dietro ad una porta,
poi lungo una scala che portava ad uno scantinato, umido e poco
illuminato.
Oscar
sfiorò istintivamente il pugnale che teneva alla cintola, nascosto
dal giustacuore e riprese a parlare.
“Ci
deve essere un errore, signore. L'uomo che stiamo cercando si chiama
Morin...”
Ma
l'altro sembrò ignorarla, accese una lampada ad olio e chiuse la
porta dietro di loro.
“No,
nessun errore, sono la persona che state cercando”
“Ma
il vostro aiutante vi ha chiamato Moret...” intervenne Andrè.
L'uomo,
un tipo sulla cinquantina, tarchiato e praticamente calvo, con i
pochi capelli rossicci raccolti in un codino striminzito, ricambiò
quell'osservazione con un sorriso.
“Signore,
sono un trafficante ebreo in un'enclave pontificia, che collabora con
i rivoluzionari...pensate possa usare il mio vero nome? Per tutti qui
sono Armand Moret”
Oscar
allontanò la mano dall'impugnatura del suo stiletto.
“Bernard
mi ha scritto che intendete collegare alla rete di scambi con
l'Assemblea Nazionale anche Marsiglia, dico bene?”
Oscar
annuì e si voltò in direzione di Gilbert.
“Lui
sarà il nostro corriere, farà la spola tra qui e Marsiglia, e noi
ci occuperemo di tenere informati gli abitanti della città
attraverso un giornale. Mi auguro che le notizie su quanto si sta
costruendo in Francia possano oltrepassare le frontiere del nostro
paese e diffondersi alle altre nazioni d'Europa”
“Sognate
in grande, Oscar Francois Jarjayes. Ma a giudicare dal vostro nome ed
abbigliamento maschile, unitamente al fatto che siete pure maritata,
suppongo siate abituata ad agire fuori dall'ordinario...”
“Quello
che vi chiediamo è di passare le notizie dei vostri messaggeri al
nostro, e di ospitarlo qui quando soggiorna ad Avignone.”
Morin
sorrise, compiaciuto.
“Apprezzo
che non ci si perda in chiacchiere inutili...ora vi mostro la mappa e
le tratte dei miei ragazzi, poi credo che dovremo cominciare a
parlare del vile denaro...” E senza attendere risposta, estrasse da
un vecchio tino una carta arrotolata che svolse sotto i loro occhi,
appoggiandosi su due assi di legno.
Mostrò
con il dito i percorsi, che portavano verso Valenza e Lione da una
parte, e verso Montpellier e Tolosa dall'altra.
“La
maggior parte dei corrieri da Parigi arriva fino a Digione e rientra.
Da lì partono quelli diretti a Sud, i miei uomini si spostano
prevalentemente da Avignone a Lione, e qui è il punto di nuovo
smistamento delle notizie verso sud ed occidente” concluse
soddisfatto.
Oscar
annuì, senza parlare.
“Il
cavallo che è con voi non è adatto-riprese Morin- troppo delicato e
decisamente appariscente. La parola d'ordine in questo lavoro è non
dare nell'occhio” concluse, rivolgendosi direttamente a Gilbert.
“No,
non intendevamo servirci di Caesar per questo. Durante il viaggio è
nostra intenzione fermarci in Camargue ed acquistare uno dei cavalli
di quella razza, mi sembrano più adatti” gli rispose Andrè.
“Caesar?”
ripetè l'uomo, inarcando un sopracciglio.
“Voi
parigini siete davvero eccentrici...” disse quasi tra se e se,
mentre riavvolgeva la mappa.
“Immagino
vogliate ripartire domani. In quel caso non fatevi vedere troppo in
giro...non passate certo inosservati, e questa città è sotto il
controllo dei legati pontifici e delle loro Guardie Svizzere, a cui
si aggiungono alcuni contingenti di soldati provenienti dall'Italia.
Chiunque simpatizzi per l'Assemblea del Terzo Stato non è visto di
buon occhio...Posso ospitarvi per stanotte, ho una stanza con dei
giacigli...niente di lussuoso, ma qui non vi cercherà nessuno”
Oscar
sospirò. Sperava di poter alloggiare in qualche locanda e dormire
finalmente in un vero letto. Con suo marito e nessuno intorno. Ma
Morin sapeva il fatto suo, ed era troppo rischioso abbassare la
guardia proprio in quel momento e in quella città.
“Va
bene, monsieur Morin. Con noi viaggiano anche un medico italiano e la
mia governante, ci stanno aspettando alla piazza del mercato, coi
nostri bagagli”
“Mandate
il vostro ragazzo da loro, posso dargli un carretto per i bauli”
Mentre
si occupava personalmente di legare un cavallo alle stanghe, chiese
loro quanto fossero informati circa gli ultimi eventi occorsi a
Parigi.
“Avete
notizie recenti di quanto sia successo dopo la Bastiglia?” chiese
Oscar, piena di speranza.
Morin
terminò di sistemare l'animale, a cui diede due sonore pacche sulla
coscia. Sembrava non aver udito la domanda della donna. Poi, mentre
riavvolgeva una corda, si avvicinò e raccontò a voce bassa.
“Per
la prima volta nella storia Parigi è governata da un sindaco eletto
dal popolo e non dal Re. Si tratta di Jean Bailly, uno studioso di
astronomia e matematica, molto partecipe all'Assemblea, che ha posto
la sua residenza all'Hotel de Ville. Necker ha ottenuto nuovamente il
posto di Primo Ministro, ed è stata istituita una Guardia Nazionale
per mantenere l'ordine in città, capeggiata dal marchese di La
Fayette. Ne fanno parte molti borghesi e i soldati della Guardia
Metropolitana che hanno affiancato i cittadini durante l'assedio alla
Bastiglia. Al loro primo ufficiale, Alain De Soisson, va il merito di
aver costretto De Launay alla resa.”
“Allora
è vivo...e sta bene...”
“Credo
di sì-continuò Morin- anche se ho saputo che moltissimi soldati
sono morti in quei giorni, in particolare scontrandosi con le
guarnigioni che il Re aveva richiamato a Parigi. Ma Sua Maestà
sembra ora più disponibile, ha incontrato Bailly, proprio all'Hotel
de Ville, e ne ha riconosciuto la nomina, così come ha ratificato
l'incarico che l'Assemblea ha affidato a La Fayette”
Gli
occhi di Oscar brillavano di speranza: era stata in pena senza sapere
quale fosse stato il destino di Alain e dei suoi uomini.
“Le
ultime notizie sulle discussioni dei nostri rappresentanti indicano
che si stia lavorando per l'abolizione definitiva dei diritti feudali
sui contadini e sul loro lavoro”
“Non
posso crederci!” esclamò Gilbert, intervenendo per la prima volta
in quella conversazione.
“E
invece devi crederci...vedrai che lo faranno!” gli rispose Oscar,
con occhi che sembravano vedere una rapida risoluzione della crisi in
cui era precipitata l’intera nazione da mesi ormai.
“Il
prossimo passo sarà quello di redigere una nuova Dichiarazione dei
diritti dell’uomo, e si vocifera che sarà modellata su quella
americana!” concluse Morin.
Gilbert,
già montato sul carretto, si rivolse direttamente ad Oscar.
“Ma
allora perché andare a Marsiglia? Siamo ancora in tempo, torniamo a
Parigi, tra poco sarà tutto finito…”
“Non
ne sarei così sicuro…” gli rispose Andrè, che fino a quel
momento aveva ascoltato tutte quelle notizie senza proferire parola.
“Però
se Oscar ritiene più opportuno fare ritorno, io la seguirò”
“No
Gilbert, i nostri programmi non cambiano” replicò la donna.
Poi
si rivolse direttamente al marito, abbassando leggermente la voce.
“Cosa
ti preoccupa, Andrè?”
Lui
sorrise: Oscar leggeva i suoi pensieri. Era un particolare che gli
riempiva il cuore di gioia, nonostante il momento critico.
“Sta
andando tutto nella direzione che speravamo, ma non tutto è
come speravamo…Alain si è battuto per conquistare la Bastiglia, ma
sono certo che non ha avuto parte nella tremenda fine che hanno fatto
il marchese De Launay e le guardie svizzere. E adesso c’è La
Fayette al posto del generale Boillet…ricordi come ce lo aveva
descritto Fersen ? Un ufficiale all’incessante ricerca della
gloria,
costi quel che costi…”
Oscar
gli prese le mani e gli sorrise.
“Noi
faremo la nostra parte, Andrè. Come abbiamo sempre fatto, o
quantomeno come abbiamo sempre provato a fare”
E
poi gli sfiorò le labbra, con un movimento rapido ed inatteso,
davanti a Morin e Gilbert.
Il
ragazzo scosse le briglie con rabbia e incitò il cavallo a partire
in direzione della città. Nonostante la forza che impresse al suo
gesto, il cavallo si mosse placidamente, quasi indifferente alle sue
intenzioni, quelle di sparire quanto prima da quel cortile e da loro
due.
Non
tenevano mai in considerazione le sue opinioni, era come un pupazzo
nelle loro mani, mentre quello che chiedeva era di essere libero di
scegliere per sé. Questo pensava, Gilbert, mentre si dirigeva verso
il centro di Avignone.
Solo
molti mesi più tardi avrebbe capito che non era quello il motivo
della sua sofferenza. Era vedere il loro legame, fatto di ricordi e
vita condivisa, di intesa e di rispetto. Il loro amore, che non era
solo l’unione di un uomo e una donna, ma lo scudo contro le
avversità, il riparo dalla sofferenza, la forza di andare avanti per
quella che era la loro strada. Era l’invidia per quel rapporto
unico e indivisibile, che a lui mancava. Era il timore all'idea che
non l’avrebbe mai avuto.
Tutto
ciò sarebbe stato perfettamente chiaro per lui, quando si sarebbe
trovato con gli occhi spalancati su un cielo oscurato dal fumo dei
cannoni e dalla polvere, e avrebbe intravisto, oltre quella coltre
grigia, il volo di un uccello, libero, sullo sfondo azzurro del
cielo, al di sopra delle miserie degli uomini. Quella
verità gli sarebbe apparsa in tutta la sua chiarezza solo allora,
quando sarebbe stato troppo tardi.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
Bentrovate/i,
rieccomi con un altro capitolo di “passaggio”. Finalmente Oscar
giunge a Marsiglia ma...la mussola di cotone è ancora nella borsa
del cucito della nonna...
Capitolo
14
Alla
fine Oscar capì che non c'era altra soluzione.
“Va
bene allora, ci separeremo!”
Fissò
tutti per qualche istante, poi con un gesto che voleva sembrare
naturale, ma che tradiva una certa insofferenza, si alzò e lasciò
la stanza.
Percorse
qualche passo nel chiostro, ancora illuminato dalla luce del
crepuscolo, e arrivata all'ultima campata si appoggiò con un braccio
ad una delle colonne binate ed alzò il capo a fissare le decorazioni
del capitello.
Maledizione!
Quel giorno nulla era andato
per il verso giusto.
Erano sbarcati ad Arles la
mattina presto, concludendo quel lungo viaggio sul fiume Rodano. Il
programma prevedeva che si potessero fermare un paio di giorni in
città, mentre Andrè sarebbe andato nelle vicine campagne della
Camargue con lo scopo di acquistare un cavallo per Gilbert. Concluso
l'affare sarebbero ripartiti in direzione di Marsiglia via terra.
Purtroppo un numeroso
contingente del regio esercito, che dalla frontiera con l'Italia si
stava muovendo verso Parigi, era di stanza da luglio nella città, e
aveva occupato tutte le locande e gli alloggi a disposizione. Oscar e
Cirillo tribolarono per buona parte della giornata e alla fine
trovarono solo un alloggio nel monastero della cattedrale di Saint
Trophime, ancora una volta uno stanzone spoglio da condividere tutti
insieme.
Andrè invece era partito
immediatamente insieme al giovane Sugane, ma aveva scoperto che,
sempre a causa del passaggio dei soldati, tutti i cavalli domati e
pronti per la sella erano già stati acquistati o prelevati dagli
stessi militari che avevano occupato Arles. Aveva trovato solo un
paio di esemplari, ma erano stati appena castrati, non potevano
affrontare immediatamente un viaggio tanto lungo, bisognava attendere
una settimana. Andrè aveva preso accordi per uno di questi cavalli,
e per garanzia, oltre che per abbassarne sensibilmente il prezzo,
aveva lasciato Caesar all'allevatore, interessato a far accoppiare
alcune giumente con lo splendido purosangue del forestiero
proveniente da Parigi.
I due uomini erano
rientrati ad Arles non senza fatica, a piedi e sfruttando brevi
passaggi su qualche carretto in transito verso la città. Al molo sul
fiume, dove si erano dati appuntamento, avevano trovato Cirillo, e da
lui avevano saputo della loro precaria sistemazione. Mentre
raggiungevano il convento, il medico aveva ascoltato il resoconto del
giovane e gli aveva suggerito l'ipotesi di separarsi: lui poteva
partire insieme ad Oscar e a sua nonna per Marsiglia, mentre loro
avrebbero atteso la disponibilità dei cavalli e li avrebbero
raggiunti solo allora.
“La salute di vostra
moglie è ancora molto delicata, e qui il clima è davvero pessimo
per le sue condizioni cagionevoli. Caldo, umidità, zanzare...sarebbe
davvero preferibile che si allontanasse quanto prima. Se dovesse
avere una ricaduta, il viaggio in carrozza fino a Marsiglia potrebbe
esserle fatale...ricordate, vero, in quali condizioni sia giunta a
Buffon?”
Andrè tacque per il resto
del tempo necessario a raggiungere Saint Trophime. Si sentiva mancare
l'aria all'idea di lasciarla, ma Cirillo aveva ragione, e quando
constatò la precarietà della loro sistemazione, si convinse del
tutto.
Mentre consumavano
l'ennesimo pasto di fortuna, Oscar ascoltò il resoconto di Andrè e
la necessità di proseguire il viaggio senza di lui, le
argomentazioni relative alla sua salute di Cirillo, colse lo sguardo
denso di preoccupazione di Nanny e quello svogliato di Gilbert, e
infine prese la sua decisione.
Fece qualche passo nel
porticato, osservando i dettagli dell'intarsio dei diversi
capitelli, un'immagine dei Re Magi con i loro doni stretti tra le
mani, le rigide sagome dei loro cavalli in bassorilievo. Dalle arcate
le giungeva il profumo intenso e dolciastro dei fiori di gelsomino,
che cresceva rigoglioso sulle colonne della facciata orientale del
monastero. Il caldo era davvero intenso e umido, nemmeno a quell'ora
si percepiva un po' di refrigerio.
Sentì i suoi passi
avvicinarsi, alle sue spalle.
“Non mi piace l'idea di
lasciarti qui, con l'affare dell'acquisto da concludere, il viaggio a
cavallo fino a Marsiglia...con quella testa calda di Gilbert
appresso”
Gli disse, senza voltarsi.
“Io invece non potrei
essere più tranquillo per te...sotto la custodia di mia nonna e di
Monsieur Cirillo!”
Aspettò che si voltasse con
gli occhi fiammeggianti prima di sorriderle e farla sorridere a sua
volta.
“Già...scommetto che sarò
costretta a sorbirmi tutte le loro attenzioni!” rispose, volgendo
nuovamente lo sguardo al giardino interno.
“Ascolta Oscar...lo sai
anche tu ...a volte la scelta migliore non è la più giusta ma...”
“Io voglio diventare tua
moglie...davvero...”
Lo interruppe, tornando a
guardarlo. Aveva quel piglio deciso e al contempo contrariato che
aveva visto attraversare il suo volto per decenni, fin dalla sua
infanzia, e che in lui suscitava, da sempre, il desiderio di
stringerla a sé, senza proferire parola.
Si avvicinò. Avrebbe voluto
dirle che lo sarebbe diventata e presto, e che allora non le avrebbe
mai più permesso, nemmeno per un attimo, di dubitarne...o di
sentirsi insoddisfatta.
La strinse a sé e insieme
si appoggiarono contro una colonna, per non essere visti da eventuali
presenze lungo i corridoi. Fronte contro fronte, le parlò con gli
occhi chiusi.
“Lo diventerai,
Oscar...non puoi immaginare quanto lo desideri anch'io e non credere
che sia facile per me restare e lasciarti proseguire senza di me...”
La sentì sospirare.
“Non ricordo molte
occasioni, in cui ci siamo separati...a lungo...”
In realtà riaffiorò alla
sua memoria il ricordo del momento più doloroso, quando lei aveva
lasciato le Guardie Reali e senza di lui era partita per la
Normandia.
“Però-
continuò-però...posso dirtelo...finalmente...che mi mancherai, che
penserò a te tutto il tempo, che niente potrebbe impedirmi di
tornare da te”
Allora percepì il suo
sorriso, anche nell'oscurità.
“Starò attento a non
affaticare il mio occhio e ti prometto che non permetterò a Gilbert
di metterci nei guai. E intanto tu e Cirillo potrete sistemarvi a
Marsiglia e predisporre tutto il necessario per cominciare la nostra
azione di propaganda in città...al comando di mia nonna,
naturalmente...”
Quest'ultima battuta la fece
ridere davvero.
Poi tornò seria.
“Si, Andrè. Sarà
esattamente così che andranno le cose” e lo baciò, con il cuore
più leggero.
Giunsero infine a Marsiglia
in una mattinata ventosa, assolata e senza nubi. Cirillo aveva
convinto Oscar a fermarsi per la notte a Cabries, l'ultima stazione
di posta per il cambio dei cavalli, vicino alla capitale della
Provenza, Aix en Provance.
Come in altre città, anche
alla periferia di Marsiglia incrociarono contingenti dell'esercito
regolare e furono fermati da un drappello di soldati che raccolse le
loro generalità e chiese le motivazioni del loro viaggio.
La carrozza li lasciò poco
più tardi nel quartiere del porto, dove il contatto di Bernard
svolgeva la sua attività.
Etienne Martin*, così si
chiamava, era un facoltoso armatore, membro di una famiglia
storicamente insediata a Marsiglia e dedita al commercio, con
successo, da generazioni. Uomo maturo ed affermato, era stato eletto
come rappresentante del Terzo Stato, aveva preso parte alla nomina
dei deputati che partecipavano all'Assemblea degli Stati Generali a
Parigi e manteneva la corrispondenza con questi.
Inoltre, in seguito ai
disordini popolari che in primavera avevano portato
all'allontanamento del sindaco di Marsiglia e dei suoi collaboratori,
era diventato membro del Consiglio dei Tre Ordini, che sostituiva il
deposto consiglio comunale, e di fatto governava la città.
Gli uffici della sua
compagnia erano in un palazzo sulla Quai des Belges, nel punto
centrale e più protetto del porto. Pur essendo praticamente uguale
agli edifici che lo affiancavano, era leggermente più alto e
dominava l'ingresso del golfo. Alcuni dei suoi uomini presero i loro
bagagli e li portarono all'interno del magazzino, poi uno di loro li
accompagnò nel suo ufficio.
Era una bella stanza
soppalcata, con un'ampia vetrata che dava sul mare, dalla quale si
scorgevano le mura di Forte Saint Jean, all'imboccatura del porto.
Martin li accolse
calorosamente, chiedendo del viaggio e disponendo subito per offrire
loro la colazione, nonostante le rimostranze dei tre forestieri.
Sebbene lo stile del suo
abbigliamento fosse sobrio e non indossasse la parrucca, ad Oscar non
sfuggirono il vistoso anello d'oro, impreziosito da uno smeraldo
incastonato, che luccicava al suo dito mignolo, la scrivania di legno
pregiato, riccamente intarsiata, il vassoio con le tazzine, tutte in
argento, già predisposte per il caffè su un tavolino accanto alla
libreria.
Con garbo il loro ospite
invitò l'anziana governante perchè si accomodasse su un'elegante
bergere rivestita di un prezioso damasco blue e oro, mentre
Cirillo e Oscar si sedettero su due poltrone in velluto, di fronte al
suo raffinato scrittoio.
“Attendevo con ansia il
vostro arrivo, Monsieur Jarjayes, soprattutto per rendere più veloci
le comunicazioni con la capitale... non ci sono problemi per questo,
vero? Vi aspettavo più...numerosi!”
“Abbiamo incontrato delle
difficoltà per procurarci il cavallo- spiegò Oscar- I due uomini
che se ne occupano ci raggiungeranno nei prossimi giorni. Conoscerete
presto anche loro”
Martin sembrò visibilmente
sollevato da questa delucidazione.
“Benissimo, quando vi
sarete sistemati andremo a conoscere Auguste...Auguste Mossy*, il
tipografo. E' l'editore del Courier de Marseille, il giornale
più diffuso in città...almeno in certi ambienti”
Fece un cenno alle loro
spalle, ed un cameriere entrò per servire il caffè, con un vassoio
carico di biscotti a forma di barchetta.
Di fronte all'esitazione dei
tre ospiti, li esortò ad assaggiare le navettes , dolci
caratteristici della città. Oscar avrebbe declinato l'invito, ma
un'occhiata esplicita di Cirillo la convinse a servirsi. Il medico si
rivolse poi a Martin
“Abbiamo incontrato dei
soldati all'ingresso della città. Volevano sapere chi fossimo e cosa
ci portasse a Marsiglia”
L'uomo sembrò allarmato.
“E cos'avete risposto?”
“Beh, non abbiamo certo
mentito sui nostri nomi-continuò Cirillo- ma abbiamo affermato di
essere di passaggio, diretti in Italia...”
Martin appoggiò le mani
incrociate sulla scrivania, come sporgendosi verso di loro.
“Marsiglia è una città
turbolenta...non ci saranno state le rivolte popolari come a Parigi,
ma sta diventando sempre più complicato evitare l'intervento
dell'esercito”
Prese tempo, sorseggiando il
suo caffè.
“Proprio per questo avrei
pensato per voi una sistemazione tranquilla...anzi, riservata, oserei
dire. Non svolgete attività nel porto, quindi non è necessario che
abitiate nel centro della città. Invece il villaggio di Saint
Barthelemy è perfetto. Una cavalcata di meno di un'ora vi separa dal
centro di Marsiglia, è un luogo fresco, ordinato, dove i soldati non
hanno interesse a ficcanasare.
Lì ho comprato una bella
villa, tempo fa, anche se non del tutto terminata. E' stata il
capriccio di un mercante di legname, a cui la fortuna ha voltato le
spalle. Ma ha un ampio giardino e un possente muro di cinta, che la
rendono molto discreta. Si chiama Chataeu Magenta...sono certo che vi
piacerà.”
Si alzò e i suoi ospiti lo
imitarono. Li stava congedando.
“Mi sono permesso di
procurarvi due persone di servizio, che troverete già in loco.
Qualora non fossero di vostro gradimento, o vorreste assumere altri
servitori, potrete agire come meglio credete” concluse, volgendo
lo sguardo alla donna che immaginò essere la governante.
“E naturalmente ho messo a
vostra disposizione una delle mie carrozze” disse, mentre li
accompagnava alla porta.
Oscar ringraziò ed uscì,
seguita da Marie e Cirillo.
Il sole era accecante e
caldo, a quell'ora.
Presero la carrozza che il
mercante aveva predisposto per loro e verso le 11 arrivarono a
destinazione.
La villa era proprio come
Martin l'aveva descritta: separata dalla via principale del villaggio
da un muro di cinta di quasi due metri, ricoperto da un folto strato
di edera rampicante, era dotata di un edificio principale che si
affacciava sulla strada, grazie ad un ampio terrazzo che si estendeva
fino al muro stesso, e da una piccola scuderia con annesso un
fienile. Il giardino appariva piccolo, piantumato senza una regola
precisa, con una piccola fontana nascosta dal muschio, davanti
all'ingresso principale.
Sui gradini, di fronte al
possente portone di quercia, un giovane in livrea e parrucchino
bianco, ed una ragazza, troppo magra per la sua divisa scura, con
cuffietta e grembiule immacolati, li attendevano.
Con sommo sollievo di Marie,
la casa era perfettamente in ordine. Dopo aver visionato le stanze,
dispose la sistemazione per Monsieur Cirillo e per Oscar, ordinò di
preparare il bagno ad entrambi e si occupò di disfare i bagagli.
Oscar si immerse nella
piccola tinozza sistemata in cucina, aiutata dalla domestica, Mylene,
che entrò cautamente nella stanza, quasi non fosse del tutto
convinta che il gentiluomo biondo e magro giunto quella mattina fosse
in realtà una signora, come l'anziana governante le aveva spiegato.
Cirillo si lavò e si fece
la barba, attese che anche Marie si fosse rinfrescata dopo il lungo
viaggio e si offrì di accompagnarla in chiesa, per la messa
serotina.
Rimasta sola, Oscar si
ritirò nello studio, una stanza con le pareti rivestite in legno,
nella quale troneggiava il ritratto di una tale Madame Ludovica
Magenta, a cui era stata verosimilmente dedicata la villa. Sul
tavolino di fronte al camini spento, tra due poltroncine in velluto e
legno, notò diverse copie del Courier de Marseille, e alcuni
numeri del Annales
patriotiques de Marseille.
Erano entrambi pubblicati da due membri della famiglia Mossy.
Ne
prese uno, si accomodò su una poltrona e cominciò a sfogliarlo. La
luce ancora intensa di quel tardo pomeriggio di fine luglio le
permetteva di leggere senza chiamare per farsi portare una candela
accesa.
La
sua lettura fu presto interrotta dall'ingresso del giovane servitore
in livrea, del quale ancora non conosceva il nome, che le annunciava
una visita.
Oscar
prese dal piccolo vassoio in argento il biglietto con il nome del
visitatore.
Victor
Maurice de Riquet, Cavaliere de Caraman*
Aggrottò
la fronte, poi fece un cenno di assenso al domestico, e dopo pochi
istanti l'uomo la raggiunse nello studio.
Era
un gentiluomo dall'ingannevole aspetto bonario, con il viso rotondo,
sempre sorridente.
Si
inchinò tenendo in mano il tricorno in velluto, impreziosito da una
passamaneria dorata. Non indossava l'uniforme.
“Lieto
di rivedervi, colonnello De Jarjayes, dopo tutti questi anni!”
Oscar
tacque. Il conte de Caraman non era certamente
lieto di
vederla, se si era precipitato a farle visita dopo poche ore che si
trovava a Marsiglia.
Senza
replicare, gli indicò una delle poltrone e si sedette di fronte a
lui, accavallando le gambe.
Era
invecchiato bene.
L'aveva
conosciuto circa 10 anni prima, e non per motivazioni legate al suo
ruolo di generale dell'esercito di Sua Maestà. In realtà la sua
passione per la botanica, e la nomea del giardino inglese che aveva
personalmente progettato e realizzato nelle sue tenute di Roissy,
l'avevano condotto a Versailles, al cospetto della regina Maria
Antonietta, per la quale aveva disegnato un giardino, con cui
abbellire i dintorni del Petit Trianon.
“Mi
duole informarvi che ho lasciato l'esercito, conte”
L'ospite
la fissò un istante.
“Si...naturalmente”
Prese
qualche attimo di tempo, guardandosi attorno.
“Infatti
mi chiedevo cosa vi avesse condotto qui, a Marsiglia. Non riuscivo a
credere alle mie orecchie quando i miei soldati me lo hanno riferito.
Siete
molto lontano dalla reggia di Versailles...e dalla vostra famiglia”
Era
abbastanza esplicito a cosa si riferisse con quell'affermazione.
Oscar
si sentiva controllata, e avrebbe voluto trovare le parole per
sbarazzarsi di quella visita indesiderata.
“In
effetti ho lasciato Parigi per motivi di salute. Ma è una notizia
riservata, vi pregherei di non diffonderla”
L'uomo
fece scorrere lo sguardo sulla sua figura, soppesando quella
rivelazione. In effetti la ricordava più in carne e meno affaticata,
ma questi potevano essere semplicemente i postumi del lungo viaggio
da Parigi. E poi non rammentava che Marsiglia vantasse un clima
favorevole a corroborare un fisico debilitato.
Le
rispose con un sorriso di circostanza e si alzò.
“Mi
auguro allora che il soggiorno in città giovi alla
vostra...infermità. E per qualsiasi cosa non esitate a rivolgervi a
me. Mi potete trovare al forte Saint Nicholas, al porto”
Oscar
ringraziò e accompagnò il suo ospite all'ingresso. Lo osservò
dalla finestra montare a cavallo, proprio mentre rientravano Cirillo
e la sua governante. Fece loro un cenno di saluto col cappello poi le
rivolse un ultimo sguardo e lasciò la tenuta.
*
I personaggi segnati con l'asterisco sono figure storiche realmente
esistite, con un ruolo nelle vicende storiche della Marsiglia
rivoluzionaria poco distanti da quelle che avranno nella mia
narrazione.
Chateau
Magenta è anch'essa una vera, elegante residenza alla periferia
della città, ma fu costruita nel 1800 e prende il nome dalla
battaglia di Magenta vinta da Napoleone. Ho dovuto trovare qualcosa
di diverso che spiegasse il suo nome.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
Capitolo
15
Oscar
si svegliò lentamente, sbattendo più volte le palpebre.
Attraverso
la finestra accostata, un refolo d'aria faceva ondeggiare in modo
capriccioso il pesante tendaggio, lasciando filtrare una lama di luce
intensa, che attraversava l'intera stanza per esaurirsi sul legno
scuro del pavimento, ai piedi dell'armadio di mogano.
Stirò
le braccia e guardò il pulviscolo che volteggiava senza fermarsi
mai, illuminato dal fascio luminoso. Doveva essere già mattina
inoltrata, pensò: aveva sicuramente dormito a lungo, recuperando il
sonno arretrato, complici la comodità di un vero materasso e il
profumo di bucato fresco delle lenzuola di cotone.
Il
senso di felicità e benessere che la colse si arrestò subito di
fronte al pensiero di essere sola, senza Andrè. Probabilmente aveva
trascorso la notte ancora su uno scomodo pagliericcio, insieme ad
altri viaggiatori, nel caldo afoso della Camargue.
Si
alzò e si sciacquò il viso nel catino della toeletta.
Quel
giorno intendeva portare avanti la loro missione. Monsieur Martin
l'avrebbe accompagnata a conoscere il tipografo: voleva capire come
avrebbero collaborato per le pubblicazioni delle notizie, non
conoscendo nulla di stampa e di giornali.
Cirillo
si era offerto di accompagnarla, ansioso di conoscere la città e di
immergersi nella realtà della carta stampata.
La
accolse con un sorriso radioso, quando si unì a lui per la
colazione, sulla terrazza.
“Ho
suggerito alla vostra governante di apparecchiare qui...spero non vi
dispiaccia”
Ripiegò
il giornale con cui si era intrattenuto nell'attesa e la fissò un
istante, mentre lei scostava la sedia e si accomodava di fronte a
lui.
Il
giovane cameriere, di cui non aveva notato la presenza, le fu subito
di fianco, per versarle del caffè.
“Starà
bene...”le disse il medico.
Lo
osservò con aria interrogativa.
“Monsieur
Grandier” aggiunse, per essere più esplicito.
“Certamente”
rispose lei, mentre apriva il tovagliolo e se lo poggiava in grembo.
“La
lontananza dall'oggetto d'amore provoca una grande sofferenza, si sa.
Ma per il resto non dovete preoccuparvi. Vostro marito è un uomo
assennato e pieno di giudizio”
“Si
sa?” ripeté le sue parole. “E'
forse materia di studio? Frutto di un calcolo matematico o di qualche
legge fisica?”
“Oh
no! Questa è una constatazione che ho tratto dai miei studi
classici.”
Lei
lo guardava perplessa, mentre sorseggiava il suo caffè.
“Pensate
alla mitologia greca: ogniqualvolta si debba punire qualcuno, la
divinità in questione la separa dal proprio amore. Conoscete la
leggenda di Partenope?”
Oscar
tacque un istante.
“Non
era forse una delle sirene che cercò inutilmente di ammaliare
Ulisse? Se ne racconta nell'Odissea...Se non ricordo male, si gettò
sugli scogli con le proprie sorelle quando fallì nel tentativo di
sedurlo con il suo canto...”
Cirillo
si appoggiò allo schienale e le sorrise.
“Beh,
questa è una delle leggende che si narrano, relativamente a questa
figura mitologica, ma nella città di Napoli, dove ho vissuto, si è
diffusa un'altra storia...”
Lo
vide volgere lo sguardo lontano da lei, come rapito dal ricordo della
sua terra.
“Partenope
era sì una sirena, ma per capriccio di Eros, dio dell'amore, si era
perdutamente innamorata di un centauro, Vesuvio. Zeus, il re
dell'Olimpo, a sua volta invaghito dell'incantevole sirena, decise di
trasformare il suo amato in un vulcano, al limite del golfo dov'ella
viveva, così che potesse vederlo sempre e mai unirsi a lui. Per la
disperazione la bella innamorata si gettò sugli scogli. Il suo corpo
fu trascinato sull'isolotto di Megaride e lì diede origine alla
città di Napoli”
Tornò
a guardarla, con quegli occhi intelligenti e sensibili.
“Quindi
immagino che separarsi da chi amiamo sia estremamente doloroso, anche
quando ne comprendiamo le ragioni. Sebbene non abbia mai avuto legami
del genere...” aggiunse, a voce bassa.
“Tuttavia,
ritengo che il messaggio delle leggenda non sia solo questo.
Forse
significa che dall'amore, anche quando perisce, può nascere qualcosa
di eterno.
Che
contro qualsiasi forza distruttrice, l'amore oppone il suo più
grande potere: l'immortalità”
“Credevo
che il potere dell'amore fosse la felicità...mi accontenterei di
quella” gli rispose.
“Sono
certo che per voi ed il vostro Andrè sarà così. Soprattutto se
entrambi presterete più attenzione alla vostra salute” concluse,
con tono allusivo.
Oscar
comprese e, per evitare di affaticarsi, decise di usare la carrozza e
lasciarla nell'elegante quartiere di Noailles, per poi proseguire
fino al porto a piedi. Mentre attraversavano la piazza del mercato,
Cirillo si fermò e acquistò due capelli di paglia, a falda larga, e
ne allungò uno ad Oscar, che ringraziò ma lo tenne in mano.
Monsieur
Martin si scusò con i suoi ospiti, un lavoro imprevisto gli impediva
di accompagnarli alla tipografia.
“Devo
controllare tutte queste spese” spiegò loro, sollevando un plico
di fogli ordinatamente disposti sulla sua scrivania.
“La
mia unica figlia è rientrata dal convento dove è stata per anni a
curare la sua educazione e tra due settimane farà il suo debutto in
società. Mia moglie si sta prodigando per organizzare l'evento...e
a me tocca controllare quanto stia spendendo!” concluse con tono
ironico.
Chiese
ad uno dei suoi garzoni di fare loro strada e si congedò
frettolosamente.
“Conto
di avervi come nostri ospiti non appena vi sarete riuniti con i
vostri compagni...e naturalmente consideratevi già invitati alla
serata in onore di mia figlia Marie Anne!”
Oscar e Cirillo ringraziarono e si
allontanarono seguendo il suo uomo.
Camminando di buon passo, un paio di
metri innanzi a loro, li condusse lungo una serie di vicoli, nel
quartiere alle spalle del porto, e li lasciò davanti ad una porta
alla fine di una di queste strade strette, delimitate da un
susseguirsi di edifici in legno, tutti uguali, diversi solo per lo
stato di conservazione ed il colore degli stipiti.
La tipografia di Mossy si trovava in uno
stabile talmente vecchio da sembrare pericolante, dal quale proveniva
un rumore, forte e meccanico.
Oscar non si fece intimidire. Evitò di
bussare alla porta, il frastuono prodotto all'interno avrebbe coperto
qualsiasi suono, e aprì con decisione l'uscio.
“Monsieur Mossy!” ripetè più volte
quel nome, mentre alcuni operai si affaccendavano sulle macchine per
la stampa, senza degnarla di uno sguardo. Un paio di loro aveva la
pelle scura e i capelli corti e crespi.
Dopo qualche istante uno di questi
interruppe il suo lavoro e si avvicinò. Era basso, con una folta
chioma di capelli mossi e nerissimi, raccolti in un codino in buona
parte disfatto.
Li squadrò con sospetto, rendendo ancor
più evidente la direzione divergente dei suoi occhi strabici.
“Sono io Mossy. Auguste Mossy”
precisò, mentre si sfregava le mani con un grembiule nero di
inchiostro. “Chi lo cerca?”
Oscar avanzò di un passo.
“Mi chiamo Oscar Francois Jarjayes,
vengo da Parigi. Ho avuto il vostro indirizzo da Monsieur Martin”
“Oh....” rispose, sollevando le folte
sopracciglia “Chi l'avrebbe mai detto!”
Strinse la mano ad Oscar, con vigore. Lei
concluse le presentazioni con Monsieur Cirillo.
“Non mi aspettavo un tipo...come voi!
Senza offesa, ma sembrate quasi una donna! Non avrei mai detto foste
un colonnello dell'esercito di Sua Maestà”
Oscar si lasciò andare ad una risata
cristallina.
“Allora sedetevi, Mossy, prima di
svenire...io SONO una donna!”
L'uomo rimase un attimo interdetto, poi
scoppiò a ridere a sua volta.
“Ragazzi, esco a fare una
passeggiata...voi continuate!”
Si rivolse ai suoi operai, si sfilò il
grembiule di cuoio che indossava, afferrò una giacca quasi
altrettanto lurida e imboccò la porta insieme ai suoi visitatori.
“Avete con voi una carrozza?” chiese
mentre si guardava intorno proteggendosi gli occhi con la mano.
“Qui vicino” rispose Cirillo.
Li condusse ad una locanda in
un'insenatura vicino al porto, dove attraccavano le piccole
imbarcazioni dei pescatori locali.
Chiese all'oste di portare della birra e
di servirli in un tavolo all'esterno, sotto un tendone, in un angolo
appartato.
“Siete molto sospettosi in questa
città” cominciò Cirillo.
“C'è bisogno di nascondersi così per
parlare tra gentiluomini?”
Mossy si sfilò la giacca e si rimboccò
le maniche.
“I miei operai sono analfabeti, non
sanno quello che stampano..ma hanno le orecchie e ci sentono bene.
Per carità, sono ragazzi fidati...ma non sai mai se siano capaci di
tenere a freno la lingua, specialmente se solleticati da qualche
moneta o da un po' di vino....”
“Non capisco” riprese Oscar. “Martin
è uno degli uomini più in vista della città, e non nasconde di
certo la sua simpatia per l'Assemblea Nazionale!”
“Infatti...l'avete appunto detto!
Martin è una colonna portante di Marsiglia...ed è molto ricco. E
anche molto cauto. Ma per dimostrare di fare il proprio lavoro, di
essere fedeli alla Corona e detentori dell'ordine costituito, ci sono
figuri che si accontentano di prendere nella rete i pesci piccoli...”
“Figuri come il Cavaliere di Caraman?”
“Lo conoscete dunque?”
Oscar annuì.
“Di chi state parlando?” intervenne
Cirillo.
“Il cavaliere che avete visto a Chateau
Magenta di ritorno da messa” rispose Oscar.
“Vi ha già rintracciato?” chiese
Mossy, allarmato.
“Già. Sa chi sono, ha frequentato a
lungo la Reggia mentre ero Comandante delle Guardie Reali. Ma da
quanto tempo è a Marsiglia?”
Mossy prese da un taschino una piccola
tabacchiera e si ficcò in bocca una manciata di foglie secche che
cominciò a masticare sotto lo sguardo di disapprovazione di Cirillo.
“Forse saprete,
Monsieur...Mademoiselle...”
“Madame, in verità” lo corresse.
“Insomma...Oscar Francois, voi
certamente saprete che da sempre Marsiglia è una città molto
indipendente dai poteri di Sua Maestà. Le fortificazioni che avete
visto all'imbocco del porto furono erette per ordine di Luigi XIV,
allo scopo di controllare la città. Avrete notato che le bocche dei
cannone sono puntate sul porto e non sul mare...”
“Si, lo so.”
“Saranno la nostra Bastiglia, quei
maledetti forti! Comunque, per tornare all'oggi, Marsiglia,
purtroppo, ha sempre avuto un contingente di soldati fuori dalle
mura, pronti ad intervenire. E sempre alla guida di uomini
fedelissimi al Re. Come il nostro Caraman. Non è nemmeno tra i
peggiori che abbiamo avuto, ma è sicuramente consapevole
dell'effetto che può avere, in un posto come questo, da sempre
refrattario al potere della nobiltà o della Chiesa, il dilagare di
certe idee. Diciamo che preferisco non averci a che fare...
Io ho fondato una tipografia tutta mia
per non sottostare al controllo di mio padre e mio fratello, voglio
dare il mio contributo al cambiamento nel paese, ma non intendo
nemmeno finire in carcere o peggio sotto la ghigliottina! Quindi ve
lo dico fin d'ora...il giornale esce una volta alla settimana,
portatemi quello che volete sia pubblicato, lo leggerò. Se lo
riterrò necessario farò degli interventi correttivi, e questa è
una condizione necessaria se volete che i vostri articoli vengano
stampati da me. Ma non voglio sapere le vostre fonti, né chi sia
l'autore. Se venissi interrogato a riguardo, sosterrò di aver
lavorato solo per denaro, è chiaro?”concluse, fissando prima Oscar
e poi Cirillo.
“Siamo d'accordo” rispose la donna,
ricambiando lo sguardo.
“Bene, quando sarete pronti...sapete
dove trovarmi”concluse Mossy.
Si alzò, lasciò qualche moneta sul
tavolo e si allontanò con un cenno del capo.
Oscar seguì il percorso del uomo, che
senza voltarsi mai raggiunse la massicciata e si diresse verso il
centro della città.
“Avete mai visto il mare?”le chiese
il medico, una volta rimasti soli.
Oscar annuì.
“La mia famiglia ha una proprietà in
Normandia. Ma l'oceano raramente è così calmo” rispose, volgendo
lo sguardo alla distesa blu innanzi a loro, con la superficie
luccicante sotto i raggi del sole estivo.
“Facciamo una passeggiata?” le
propose Cirillo, indossando il cappello di paglia che aveva
acquistato quella mattina. Oscar lo imitò e insieme si incamminarono
lungo la spiaggia.
Superarono alcune barche e proseguirono
seguendo la costa per circa un chilometro, ciascuno immerso nei
propri pensieri.
Ad un certo punto, come per un tacito
accordo, si fermarono e si sfilarono calze e scarpe e immersero i
piedi nell'acqua, per poi proseguire la loro passeggiata
sull'arenile.
Oscar camminava osservando i propri piedi
sparire tra la sabbia e la schiuma tiepida del mare.
“Non ricordo più l'ultima volta che ho
camminato a piedi nudi sulla sabbia...l'acqua dell'oceano è molto
fredda, le onde sono violente...Di solito ci andavamo a cavallo...”
“Voi e Andrè?”
“Oh, ci sono stata con mio padre,
quando ero bambina...poi con Andrè, ed anche insieme a Rosalie, la
moglie di Chatelet, non so se l'avete mai conosciuta”
Cirillo scosse la testa.
E allora Oscar cominciò a raccontare di
quegli anni insieme alla sua protetta, di quelle vacanze in
Normandia, lontano dagli intrighi di Versailles. Rammentava come a
quel tempo l'oceano fosse, ai suoi occhi, il simbolo della distanza
che Fersen aveva deciso di porre tra sé ed il suo amore disperato,
ma in quel momento, mentre ne parlava a Cirillo, non sentì più il
sordo dolore che l'aveva accompagnata allora, e di quei momenti
assaporò la pace ed il senso di libertà, il calore dell'affetto di
Andrè e delle tenere attenzioni di Rosalie, le loro chiacchiere e le
loro risa, a riempire i suoi silenzi ed il suo sguardo sempre
lontano. Raccontò anche dell'incontro con Jeanne Valois, la donna
che sarebbe stata l'artefice dello scandalo della collana. Che fosse
la sorella di Rosalie non aveva ormai più importanza.
L'uomo la ascoltò con attenzione.
“Il Mediterraneo è un altro genere di
mare...l'acqua in estate è così tiepida da potersi immergere, anche
a lungo. E dalle mie parti le onde hanno disegnato la costa creando
baie ed anfratti. I villaggi sorgono a picco sul mare, con piccole
case color pastello, divise da strette scalinate e viuzze. Si sente
il profumo dei limoni e dei pini marittimi. E con le barche si
possono visitare grotte meravigliose, con l'acqua color smeraldo e
colonne di stalattiti bianche di sale.
Mi piacerebbe che poteste visitare un
giorno la mia bella e nobile terra natia. Nel frattempo potete
approfittare del mare di Marsiglia e fare dei salutari bagni di
sole. Ma non quando è così alto, ora sarebbe meglio rientrare...”
Invertirono la loro direzione e tornarono
silenziosamente alla carrozza.
Nelle ore più calde del pomeriggio Oscar
si ritirò nella sua camera e riposò.
Quando rivide la nonna, era intenta a
cucire nel salotto.
“Oscar-la chiamò- stamattina mi sono
permessa di chiedere a Mylene se conosce una brava cuoca da assumere.
Lei e il ragazzo non possono occuparsi anche delle cucine...”
“Hai fatto bene” le rispose.
Aveva in grembo il tessuto di cotone
acquistato a Lione, ma Oscar non le chiese nulla.
“E ho mandato Joseph, il cameriere, da
un sarto per l'abito di Gilbert. Avevo già preso le misure...”
Pensò che suo padre aveva ragione: Marie
era ancora in gamba, e preziosa.
Le sorrise e si sistemò allo scrittoio.
Passò il resto del pomeriggio scrivendo numerose missive: a Rosalie
e Bernard, ai quali indirizzava anche le altre sue lettere, quella a
suo padre, come aveva promesso ed una anche per Alain, con la
speranza che i coniugi Chatelet sapessero come rintracciarlo e
riuscissero a consegnargliela.
Ai primi scrisse poche righe succinte,
spiegando la situazione, l'incontro con Martin e Mossy. A suo padre e
ad Alain, invece, raccontò della conoscenza con il medico italiano,
del suo stato di salute che faceva ben sperare, e anche del
matrimonio con Andrè.
Mentre stava risalendo in camera per
rinfrescarsi prima della cena, sentì bussare alla porta. Il
domestico aprì ad un ragazzo con una grossa borsa a tracolla.
“Ho posta da consegnare ad Oscar
Francois Jarjayes. Monsieur Martin mi ha detto che risiede qui”
La giovane scese rapidamente le scale e
ritirò il plico. Riconobbe immediatamente la grafia di suo marito.
Ruppe il sigillo in ceralacca
nell'androne e lesse rapidamente la lettera, mentre la nonna la
raggiungeva dalle cucine.
“Tutto bene Oscar? Ci sono novità?”
Lei alzò lo sguardo dai fogli che teneva
saldamente in mano.
“E' di Andrè, nonna...Sta bene, è
tutto a posto. Tra pochi giorni partiranno dalla Camargue. Non
potranno viaggiare velocemente, i cavalli devono riposare. Tra una
decina di giorni, forse già a metà agosto, potrebbero essere qui!”
Rassicurata dalle sue parole, l'anziana
donna tornò in cucina.
Oscar invece si diresse alla terrazza e
socchiuse la porta di vetro alle sue spalle. Una volta seduta al
tavolo, certa di essere sola, riprese la lettura, alla luce infuocata
del tramonto.
Andrè aveva lasciato Arles e si era
sistemato dall'allevatore con cui era in affari, un po' per avere
sott'occhio Caesar, un po' per cominciare ad istruire Gilbert a
stare in sella e a governare il suo cavallo. Ma aveva dedicato poche
righe a questi resoconti. Con la sua grafia resa più incerta dalla
vista scadente le scriveva quanto sentisse la sua mancanza, come
fosse sempre nei suoi pensieri, di giorno e di notte, come ogni sua
azione fosse finalizzata a poterla raggiungere, il prima possibile,
senza intoppi.
Quelle parole le facevano battere il
cuore e la colmavano di una felicità mai provata prima.
Nei giorni successivi, su consiglio del
medico italiano, tornò alla spiaggia. Vi andavano insieme, alla
mattina presto, facendosi portare con la carrozza fino alla baia dei
pescatori. Raggiungevano la riva quando questi rientravano dalla
pesca notturna, e li trovavano che attraccavano le barche e
liberavano le nasse dei polpi e delle seppie catturate all'alba, o
che ripulivano le reti gettando in mare le alghe o i piccoli
crostacei che vi si impigliavano.
Si incamminavano sull'arenile, a volte
distanziandosi tra loro, scambiandosi poche parole, altre
chiacchierando fittamente, fianco a fianco. Quando il sole era alto
nel cielo e il suo calore cominciava a scottare la pelle,
rientravano, non prima di aver mangiato qualcosa nella locanda dove
si erano trovati con Mossy.
Oscar trascorreva poi le ore più calde
della giornata al riparo delle fresche mura di Chateau Magenta, e
poco prima del tramonto tornava a ripercorrere le vie di Marsiglia.
Ormai conosceva il quartiere elegante di Noailles, dove le era stata
indicata la lussuosa residenza di Martin, ma anche i vicoli a
gradinata de La Panier, dove si trovava la tipografia di Mossy, e le
fortificazioni di Saint Jean e Saint Nicholas, poste come due soldati
di guardia all'imbocco del porto; la zona del mercato, nell'Esplanade
de la Tourette, dove una targa commemorativa ricordava i morti della
peste che si era abbattuta sui marsigliesi quasi settant'anni prima,
e infine si era spinta anche alla periferia della città, e seguendo
un sentiero in terra battuta e leggermente in salita, era arrivata
fino alla Cappella di Nostra Signora della Guardia, da cui si godeva
di una visione dell'intera cittadina e del mare blu su cui si
affacciava.
Arrivò il 15 agosto, ed un violento
temporale estivo si abbattè sulla processione che dal villaggio di
St. Barthelemy si dirigeva alla basilica della città. Dal vetro
della portafinestra Oscar osservava la statua della Madonna,
grondante acqua, portata a spalla da sei uomini e seguita da un
corteo di fedeli, incuranti della pioggia che inzuppava i loro
vestiti. Il suo pensiero correva a due uomini a cavallo che erano da
qualche parte, là fuori, e che lei attendeva con impazienza
crescente.
Sentì la nonna sopraggiungere alle sue
spalle e lasciò immediatamente ricadere la tenda che aveva scostato
per poter guardare all'esterno.
Era riuscita a dissuaderla dal
partecipare alla processione, con quel tempo inclemente.
“Questa è per te” le disse.
La giovane si voltò e vide che le
porgeva un indumento di mussola bianca, accuratamente ripiegato.
“Spero ti piaccia...” continuò,
abbassando gli occhi.
Oscar la ringraziò e lo prese dalle sue
mani. Lo dispiegò davanti a se e sorrise: la sua balia aveva
perfettamente interpretato quel timido desiderio che si era
affacciato alla sua mente, solo per un secondo, nel negozio di stoffe
di Lione.
“E' perfetto, Nanny” disse mentre lo
abbassava. L'anziana donna, già sulla porta, le rispose con un
sorriso commosso ed uscì.
Quella notte dormì poco e male. Il vento
scuoteva gli infissi, la pioggia sferzava con scrosci violenti le
vetrate della casa, in lontananza si udiva l'insistente latrare di un
cane impaurito dai tuoni. Solo alle prime luci dell'alba il temporale
cessò e il silenzio di quei momenti tornò ad essere disturbato
unicamente dal cinguettio degli uccelli e dal gorgoglio dell'acqua,
che scorreva in rivoli lungo gli scoli ai lati della strada.
Oscar aprì gli occhi e rimase in
ascolto. Un tramestio proveniente dal cortile le confermò che per la
servitù la giornata era già cominciata: sicuramente c'era molto
lavoro, il maltempo aveva lasciato i suoi strascichi. Con le mani
ripiegate dietro la testa, stava valutando se alzarsi per la consueta
passeggiata in riva al mare o se offrire il suo aiuto per ciò che il
temporale aveva rotto o rovinato, in giardino e in casa. Poi al
trambusto si unirono voci maschili e gridolini soffocati di donna. E
l'inconfondibile nitrito di Caesar.
Balzò giù dal letto e corse alla
finestra: il suoi occhi impazienti incrociarono quelli di Andrè, che
aveva alzato lo sguardo verso la facciata della villa quasi
inconsapevolmente, mosso dal medesimo, intenso desiderio di
rivederla.
La giovane si vestì dei pantaloni e
delle scarpe e si precipitò giù dalla scalinata e fuori dalla casa.
E poi, incurante della presenza della nonna, di Gilbert e del
cameriere, si gettò tra le braccia di Andrè, che a sua volta le era
andato incontro.
Si strinsero, senza parlare e poi si
fissarono negli occhi nuovamente.
“Stai bene?” le chiedeva, sfiorandole
il viso.
“Hai i capelli bagnati..” rispondeva
lei, trattenendo tra le dita le ciocche più lunghe dei suoi capelli.
E nel mezzo di quelle frasi banali eppure cariche del sentimento che
li univa, il mondo per entrambi riprese a ruotare, come se la
lontananza ne avesse sospeso il perpetuo movimento.
Allora
sarà amore
e
non sarà stato vano aspettarsi tanto.
(Se
saprai starmi vicino- Pablo Neruda)
Ringrazio tutti voi per la
lettura e Demoiselle Anne per avermi aiutato a dipanare le diverse
versioni sul mito di Partenope e della fondazione della città di
Napoli.
Non sono tipo da citazioni,
ma questa frase di Neruda mi sembra così adatta a descrivere l'amore
dei nostri Oscar e Andrè che non ho resistito a prenderla in
prestito.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo 16
Dopo
un discreto lasso di tempo..eccomi con il proseguo della storia.
Mi
scuso per le promesse vane con molte di voi circa le tempistiche di
questo aggiornamento: nel frattempo sono anche “invecchiata”, per
cui abbiate comprensione per me!
Dove
eravamo rimasti? Che Oscar arriva a Marsiglia insieme a Cirillo,
conosce l'aggancio di Bernard, Etienne Martin, e il tipografo Mossy.
Passa le giornate scrivendo lettere e passeggiando per la città e
sulla spiaggia. Una mattina , dopo che un furioso temporale si è
abbattuto su Marsiglia, si sveglia e rivede finalmente Andrè e
Gilbert...(più o meno è così)
Capitolo
16
“E
i cavalli?” gridò loro Gilbert, mentre Andrè raccoglieva la sua
borsa e si dirigeva all'interno della villa, tenendo per mano Oscar.
“Dammi
qualche minuto e arrivo! Intanto comincia a sfilare le selle e i
finimenti” gli rispose, senza voltarsi.
Oscar
lo condusse verso la terrazza, e incrociando Mylene, chiese alla
ragazza di portare loro dell'acqua fresca.
“E'
bello qui” disse Andrè guardandosi attorno. Indossava ancora il
velo nero sopra l'occhio destro.
“E'
troppo forte... la luce?” domandò Oscar.
Lui
tornò a volgere lo sguardo sul suo viso, scuotendo la testa e
sfilandosi lentamente la copertura dell'occhio.
“E
tu...stai bene? Hai un bell'aspetto, devo supporre che tu abbia
seguito le indicazioni di Cirillo e di mia nonna...”. Oscar
sorrise, in silenzio.
“ Quanto
mi sei mancata!” le sussurrò poi, sfiorando una ciocca di capelli.
Il
suo sguardo si fermò sulle labbra di lei, che vide sempre più
vicine, per poi allontanarsi
prontamente
all'udire i passi della cameriera.
Bevve
avidamente l'acqua fresca che la ragazza aveva portato, poi prese la
sua borsa.
“Devo
occuparmi di Caesar e del cavallo di Gilbert...Gilsù, così lo ha
chiamato. Con le iniziali del suo nome e cognome” spiegò, ridendo.
“Ma
volevo farti leggere questi” continuò estraendo dei fogli
spiegazzati.
“Li
ha portati un corriere di Morin. Devo consegnarli a Monsieur Martin.
Sono parte degli ultimi atti dell'Assemblea Nazionale. Stanno
scrivendo una Carta dei diritti dell'uomo e del cittadino, sulla
scorta di quella americana. Queste sono le bozze di alcuni articoli,
quelli già decisi...Voglio che tu li legga, mentre sono nelle
scuderie. Se sei già in contatto con l'editore del giornale, penso
che dovremmo pubblicarli al più presto anche qui, a Marsiglia!”
Oscar
scorse rapidamente i manoscritti.
“Verrà
ufficialmente pubblicata tra poche settimane... il 26 agosto!”
esclamò.
“Già...-sorrise
Andrè, alzandosi- un meraviglioso regalo di compleanno”
“Ho
conosciuto il tipografo, Monsieur Mossy. Possiamo trascrivere
qualcosa e lavorare ad un articolo nel pomeriggio, poi domani
incontrarlo e sottoporglielo...”
“Ottimo!
E c'è un'altra commissione da fare” disse, infilando la mano nella
tasca della giacca.
Sfilò
un sacchetto di velluto, stretto da un cordino di seta. Lasciò
scivolare sul palmo della sua mano due anelli in argento, del tutto
identici, diversi sono nel diametro.
Oscar
li fissò un istante, poi sollevò lo sguardo dalle fedine e cercò
quello di lui. Sorrideva impercettibilmente. Si allungò e gli sfiorò
le labbra.
“Pensi
sempre a tutto!” gli sussurrò, felice.
Non
lo vide più per l'intero pomeriggio, ma, mentre ricopiava alcuni dei
passaggi più interessanti, a volte così stupefatta da lasciare la
penna intinta di inchiostro a mezz'aria, udiva la sua voce provenire
dal giardino, quando chiamava Gilbert, o intuiva i suoi movimenti
all'interno della piccola scuderia della tenuta. E si sentiva
pervadere da una strana gioia, che la faceva sentire forte e sicura,
che intrecciava la presenza di Andrè, finalmente accanto a lei, alle
parole dense di grandiosità che scorrevano sotto i suoi occhi. …Gli
uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti....
La
libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri
….La
libera manifestazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei
diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque
parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo rispondere dell’abuso
di questa libertà nei casi determinati dalla Legge...
Mostrò
con orgoglio i suoi appunti a Cirillo: sentiva di essere testimone di
una svolta epocale, era certa che il suo paese sarebbe stato solo il
primo, presto seguito da altri nazioni e popoli d'Europa. Il medico
trascrisse a sua volta quegli articoli di diritto su di un taccuino
nero.
Prima
di cena Gilbert ed Andrè poterono finalmente lavarsi, nonostante il
ragazzo insistesse per definirsi solo un po' “impolverato”.
Quando
si riunirono tutti nella sala da pranzo, i due uomini avevano ancora
i capelli umidi. Fu una cena dagli scambi vivaci, con battute e
risate, aneddoti sul loro viaggio dalla Camargue a Marsiglia,
propositi per l'imminente ripartenza di Gilbert, di lì a qualche
giorno, per il suo primo viaggio da corriere. Oscar osservava la luce
negli occhi di tutti, Andrè con i lineamenti distesi, l'occhio,
senza protezione, vivace ed attento, il giovane Sugane disponibile a
ridere di se e degli altri, Cirillo pronto ad intervenire con
sagacia ed umorismo, la nonna racchiusa in un silenzio commosso. Ebbe
la netta sensazione di essere al centro di un disegno perfetto, di
vivere un momento di compimento.
Quando
udirono le campane battere le nove, i domestici avevano già liberato
la tavola dalle stoviglie, aiutati da Nanny. Gli uomini si spostarono
sulla terrazza, per concludere la serata, mentre Oscar si congedò
per la notte. Cirillo le aveva spiegato che fosse molto più salutare
coricarsi presto ed alzarsi presto, piuttosto che attardarsi nelle
ore di buio ed oziare al mattino per riprendere le forze.
Salì
piano le scale, accompagnata da una strana quiete che non
l'abbandonava. Entrò nella sua stanza e senza esitazione prese dal
settimanale la camicia di mussola che la nonna aveva cucito per lei.
La depose sul letto, poi si sedette alla toeletta e cominciò a
pettinarsi i capelli, fissando la sua immagine nello specchio. Marie
la raggiunse dopo pochi minuti e si avvicinò alla finestra per
chiudere gli scuri.
“Lasciali
accostati, Nanny. Non voglio l'oscurità completa...”
La
donna vide la camicia da notte pronta sul letto e si avvicinò ad
Oscar, offrendosi di terminare il lavoro con la spazzola.
Pensava,
mentre scioglieva con delicatezza i nodi dei capelli biondi della
giovane, che quella notte sarebbe diventata la moglie di Andrè, e
nessuno l'aveva mai preparata per quel ruolo. Alzò gli occhi dalle
ciocche che stringeva delicatamente tra le dita e cercò lo sguardo
di Oscar fisso nello specchio, saldo e pacato. E in quel istante si
rese conto che era lei a non essere pienamente pronta per quello che
sarebbe accaduto di lì a poco. Il matrimonio tra suo nipote e la
donna che aveva servito per tutta la vita le era parso come l'ultimo
desiderio di una moribonda, qualcosa che avrebbe avuto inizio e fine
quella notte.
Sapeva
che Andrè amava Oscar da sempre, e anche che entrambi erano stati
infelici, a lungo. Non immaginava che avrebbero trovato la felicità
l'uno nell'altro, che quel genere di felicità fosse possibile, per
due persone come loro.
Quando
ebbe concluso, Oscar si alzò, si spogliò rapidamente della camicia
e dei calzoni che indossava, sfilò lentamente le calze, porgendo a
Marie tutti quegli indumenti perchè li riponesse, come aveva fatto
ogni sera della sua vita, sin da bambina. Con la stessa naturalezza
indossò la camicia da notte di mussola, con un'ampia scollatura a
svelare l'incarnato della spalle ed una coulisse da stringere
sotto il seno. Si ammirò solo un istante nello specchio, mentre
l'anziana le augurava una buona notte, sfiorandole la guancia.
Uscita
dalla camera vide suo nipote che lentamente saliva le scale.
“Ho
chiuso il portone di casa e gli scuri del terrazzo” le disse.
“Direi
che è giunto il momento di ritirarmi...puoi dirmi dov'è la mia
camera?”
Nanny
gli toccò una spalla e indicò con il dito la porta da cui era
appena uscita.
Entrò
sfilandosi la camicia dai calzoni e la richiuse alle sue spalle.
Lasciò
scorrere lo sguardo sull'arredamento, costituito da un possente
settimanale in mogano scuro, un armadio a due ante dello stesso
materiale, una toeletta di maiolica bianca ed un separe in
stile orientale, probabilmente utilizzato per nascondere i pitali.
Questi oggetti, da immagini nebulose, diventavano in pochi secondi
sempre più nitidi, fino a rendersi riconoscibili ai suoi occhi.
Dalla parte opposta, illuminato dalla luce crepuscolare che inondava
la stanza dalla finestra , era posizionato un ampio letto a
baldacchino, anch'esso in mogano.
Dal
giardino proveniva il ritmico frinire delle cicale ed il profumo
delle corolle di oleandro, in piena fioritura. Si avvicinò alla
finestra e inspirò profondamente.
Chissà
in quale stanza riposava Oscar... Si era ritirata per prima, non
aveva avuto modo di restare solo con lei e salutarla, prima che si
coricasse.
“Andrè...”
Sentì
la sua voce chiamarlo piano, e si voltò, corrugando la fronte nello
sforzo di riconoscere la sua figura in quel riverbero che proveniva
dalle lenzuola del letto.
Fece
un passo verso di lui e allora la riconobbe.
Sembrava
rivestita della stessa luce bianca e soffusa che si rifletteva dal
tessuto leggero delle tende, dalla biancheria che rivestiva il letto,
dal cielo senza sole e senza stelle di quell'ora.
Andrè
si avvicinò e riuscì a distinguere la pelle diafana, come
illuminata dai suoi capelli, che si confondeva con il tessuto
luminoso che l'avvolgeva: una delicata camicia da notte che le
copriva appena le spalle e ricadeva fluida sul suo corpo, in parte
svelandolo, in parte celandolo. Ma quello che, dopo pochi istanti, la
sua vista riuscì a cogliere fu la piega dolce del suo sorriso e una
luce particolare nei suoi occhi, che non gli parve avessero mai
assunto quelle sfumature di azzurro.
“Oscar...”
Quante
volte aveva sognato quel momento...quello che precede l'amore, quello
in cui il cuore si mette a nudo, prima che le mani soddisfino la fame
degli occhi, liberando i corpi. Eppure, quella sera, nessuna delle
parole che nella sua immaginazione, da quasi vent'anni, avrebbe
voluto rivolgerle, trovò la strada e divenne voce. Le sue labbra
invece si avvicinarono piano a quelle di lei, e le coprirono giusto
il tempo di coglierne il fremito. Poi lei riuscì a seguirne il
percorso, lieve e deciso, dal suo mento al lobo dell'orecchio, poi
più giù, lungo la linea del collo fino alla spalla, che scoprirono
senza sforzo.
“Oh...Andrè”
Conosceva
Oscar da quando aveva memoria.
Aveva
sentito pronunciare il suo nome con il tono allegro del gioco, con
quello provocatorio della sfida; da come lo chiamava, capiva se
cercava di controllare un tormento, se doveva domandargli qualcosa di
insolito, se era arrabbiata col mondo, se voleva che l'aiutasse a
distrarsi, con le sue chiacchiere o una bella bevuta. Ricordava anche
quelle cinque lettere urlate, con disperazione e angoscia, quando lui
si era trovato in pericolo...
Eppure
mai, prima di allora, aveva udito quell'inflessione dolce e supplice
al contempo...e pensò che Fersen aveva avuto la possibilità di
danzare con lei, avvolta nella seta e Girodel il privilegio di
chiedere la sua mano, ma lui solo l'aveva vista e sentita come in
quel momento.
Le sue
mani la presero per i fianchi e la strinsero a sé. Oscar si appoggiò
al suo petto e lentamente fece scorrere le dita fino a cingere il
collo per poi affondarle nei riccioli scuri.
Le
loro labbra si unirono e, durante quella notte, non si separarono
più.
Si
sfiorarono appena mentre la prendeva in braccio e la stendeva sul
letto. Si ritrovarono subito mentre si chinava su di lei, che nel
frattempo lo liberava della camicia, lasciandola cadere sul
pavimento. Li tennero uniti mentre le mani vagavano scoprendo i
corpi, prima attraverso i tessuti leggeri e infine direttamente sulla
pelle.
E i
loro nomi divennero un continuo richiamo tra loro, ripetuti
all'infinito, come sussurri lievi e grida soffocate, mentre il cielo
si tingeva dei colori della notte e uno spicchio di luna si faceva
spettatore luminoso e discreto del loro amore.
Quando
Marie, di prima mattina, aprì con circospezione la porta della loro
camera, seguita dalla giovane cameriera, la trovò deserta, con il
letto disfatto e la finestra aperta, come l'aveva lasciata la sera
prima.
Cirillo,
che la vide dal corridoio , le parlò facendola sobbalzare.
“Sono
usciti alle prime luci dell'alba” le disse.
“Li
ho visti dalla finestra della mia stanza...hanno lasciato la villa a
cavallo”
Marie
assunse il solito sguardo accigliato, mentre lasciava entrare Mylene
per prendere i canteri da svuotare.
In
quello stesso momento, un uomo ed una donna cavalcavano insieme,
sulle spiagge deserte ai confini della città, le mani unite e
strette alle redini, due piccole fedi in argento sugli anulari,
spruzzi di acqua salata sui capelli, mescolati dal vento. Poi
smontarono e proseguirono a piedi scalzi, tenendosi stretti, incapaci
di separarsi anche solo per un istante.
Avevano
un articolo da portare a Mossy, ma c'era ancora tempo. Entrambi
avevano temuto che il loro momento non sarebbe mai arrivato, e adesso
che lo stavano vivendo, volevano goderne fino alla fine.
Quando
tornarono a Chateau Magenta era quasi ora di pranzo, e l'afa aveva
avvolto la tenuta.
La
nonna di Andrè era già pronta a rimproverare il nipote per aver
esposto Oscar a quel clima poco consono alla sua salute ancora
cagionevole, ma quando li vide rientrare, ridendo di chissà cosa,
non proferì parola. La giovane aveva i capelli spettinati e le
guance arrossate, ma un sorriso stampato in volto che sembrava non si
sarebbe spento mai, e Andrè, con l'occhio destro già velato, rideva
come quando era un ragazzino spensierato: erano il ritratto della
felicità e tenne per se i suoi rimbrotti.
Cirillo
invece si avvicinò, come se li avesse sempre visti così uniti.
“Buongiorno,
signori Grandier” li apostrofò.
“Abbiamo
ricevuto un invito a cena, stasera, dal nostro illustre sindaco”
Martin
aveva mandato loro una carrozza che si presentò puntualmente alle
sei.
Gilbert
sfoggiò il suo nuovo abito sartoriale, il primo di tutta la sua
vita. Con i capelli lisci ordinatamente pettinati e la barba appena
rasata, cosparso di acqua di colonia, della quale evidentemente non
aveva mai fatto uso, girovagava per la villa rimirandosi in ogni
specchio e vetrata. Cirillo, il primo ad essere pronto, attendeva sul
terrazzo vestito di un elegante completo chiaro di lino e pizzo , di
evidente fattura italiana, sorseggiando una limonata fresca.
Oscar
e Andrè si erano interrotti a vicenda durante la loro vestizione,
per tornare ad amoreggiare sul grande letto a baldacchino, e quando
Joseph li avvisò dell'arrivo della carrozza, Andrè stava ancora
sistemando il fiocco della camicia di seta che Oscar indossava sotto
il giustacuore.
“Ti
dispiace che io non mi vesta come una signora?” gli chiese a
bruciapelo, diventando seria.
Andrè
fece un passo indietro per contemplare il proprio lavoro, scuotendo
la testa.
“Ti
ho sempre vista con indosso abiti maschili , fin da bambina...e ho
sempre saputo che fossi una femmina”
Si
avvicinò e le accarezzò il volto.
“E
fin dal primo giorno in cui ci siamo incontrati, Oscar, ho pensato
che non ci fosse al mondo creatura più bella di te. E poi- continuò
stringendola a se- come potrei tenerti così vicino se indossassi un
panier come si conviene ad una gentildonna?”
Lo
spinse via ridendo.
“Ci
tengo comunque a non sgualcire la mia camicia ancora prima di aver
messo piede nella carrozza!”
Ma
nonostante questo rimprovero Andrè riuscì a strapparle un ultimo
bacio prima di raggiungere gli altri.
Viaggiarono
per circa mezz'ora, attraversando rapidamente la periferia povera
della città fino all'elegante quartiere residenziale dove si trovava
il palazzo di Etienne Martin.
Gilbert
rimase a bocca aperta mentre aspettavano sui gradini l'arrivo del
maggiordomo in livrea che li avrebbe accolti. Era convinto che il
lusso fosse appannaggio esclusivo della nobiltà, ma la dimora del
loro ospite borghese non aveva nulla da invidiare a certi palazzi
aristocratici.
Martin
li accolse calorosamente, stringendo loro le mani. Inarcò un
sopracciglio quando gli si parò davanti il giovane Sugane.
“Ah,
che bello! Avete portato anche il vostro giovane corriere” esclamò.
Gilbert
non colse il tono retorico di quell'affermazione, ma Oscar e Andrè
si guardarono di sottecchi.
Nel
salone da pranzo, Martin presentò la moglie e la figlia Marie Anne,
che si profusero in un profondo inchino a beneficio di Oscar.
Non
solo il mobilio, ma lo stesso abbigliamento dei Martin tradiva
l'opulenza di quella famiglia di mercanti. Allo sguardo attento di
Oscar e Cirillo, avvezzi a frequentare personaggi di un certo
lignaggio, non sfuggirono la ricercatezza dell'abito di madame
Martin, i carati del grosso smeraldo al collo della giovane Marie
Anne, la preziosità di alcuni oggetti d'arredo, come le due possenti
zanne di elefante, finemente intarsiate, ai lati del camino, alle
quali si avvicinò Gilbert, incuriosito.
La
cena si svolse in modo impeccabile. Gli uomini ed Oscar condussero la
conversazione sulle ultime notizie da Parigi, la moglie di monsieur
Martin si limitò a qualche banale osservazione, mentre Gilbert e la
giovane Marie Anne tacquero del tutto.
Fecero
ritorno a Chateau Magenta verso le dieci. Gilbert si appisolò
durante il tragitto e appena rientrato salutò frettolosamente e si
rifugiò nella sua camera. Andrè aiutò sua nonna, che chiaramente
era rimasta sveglia fino al loro ritorno, a chiudere gli scuri della
casa prima di ritirarsi per la notte. Aveva preparato la solita
tisana digestiva per monsieur Cirillo *, prima di spegnere il
focolare della cucina, ed ora il medico italiano la stava
sorseggiando seduto al tavolino della terrazza, insieme ad Oscar. La
quiete della sera estiva era interrotta dal fruscio degli alberi,
mossi da una leggera brezza tiepida, e dal solitario gracidare di un
rospo, nel giardino.
“Gingillate
la tazza senza troppa convinzione, madame” le disse Cirillo, senza
sollevare lo sguardo dal liquido ambrato che stava saggiando.
“Forse
non è di vostro gradimento?”
Oscar
si alzò di scatto e si avvicinò alla balaustra, dando le spalle al
suo ospite, proprio mentre Andrè si univa a loro.
“No,
dottore, la tisana non c'entra!”
“Che
c'è Oscar, cosa ti turba?” le chiese anche Andrè.
La
giovane si voltò verso i due uomini.
“Etienne
Martin, non mi convince...non mi convince neanche un po'! E'
sicuramente un abile mercante e forse anche un buon sindaco per la
città, ma non è l'uomo rivoluzionario che immaginavo. Per certi
versi i Martin mi hanno ricordato tantissimo famiglie aristocratiche
della corte di Versailles...solo senza titolo nobiliare! Tutto quello
che lo circonda trasuda opulenza e potere, credo che interpreti il
movimento rivoluzionario come un ottimo affare, per se stesso, non
come un cambiamento radicale per il popolo francese! Nei confronti
del quale si sente chiaramente superiore...basti pensare come si è
stupito della presenza di Gilbert: per lui è come se avessimo
portato alla sua cena un domestico!”
“Probabilmente
hai ragione-replicò Andrè, avvicinandosi- ma questo succede
ovunque, anche a Parigi! Il terzo stato è composto da molti
artigiani, commercianti, notai, che godono, in larga parte , di
condizioni molto agiate. Ma non puoi nemmeno pensare che un documento
come la Carta dei Diritti del Cittadino venga realizzata dai
contadini ridotti in miseria o da servitori analfabeti!”
“Vorrei
tanto sentire cos'ha da dire Gilbert, visto che non ha mai nascosto
la propria avversione per chi è tanto ricco quando le strade sono
piene di mendicanti affamati!”
“Uhm...non
sono sicuro che il nostro giovane Monsieur Sugane abbia fatto
congetture di questo tenore, stasera...”intervenne Cirillo.
Oscar
e Andrè si voltarono a guardarlo, seduto con le gambe accavallate e
la sua consueta tazza di porcellana tra le mani.
“Ma
sono ragionevolmente convinto che saprebbe elencare molte qualità di
mademoiselle Martin...”
Oscar
spalancò gli occhi. Cercò nella propria mente un dettaglio o un
particolare di quella giovane che fosse degno di nota e non ne trovò
nessuno.
Scoppiò
a ridere.
“Non
conoscete Sugane! Domani ci tempesterà di battute e provocazioni
sull'assurdità della sua acconciatura o la stravaganza del suo
abbigliamento”
“Se
ho appreso qualcosa da questo viaggio, cara Oscar, è proprio la
capacità di cogliere uno sguardo innamorato...”
“Dio
non voglia che abbiate ragione!” gli rispose Andrè.
“Credo
che avrebbe ben poche possibilità di farsi anche solo notare dalla
giovane erede dei Martin!”
“Raramente
mi sbaglio, monsieur Andrè” concluse l'altro, alzandosi.
“Ma
sarà il tempo a stabilire l'accuratezza del mio spirito
d'osservazione”
Si
avvicinò ad Oscar, augurandole la buona notte.
“Vi
ricordo, madame, di non trascurare la sana abitudine di coricarvi
presto e dormire per un congruo numero di ore...”
La
giovane annuì, arrossendo leggermente. Il medico fece un cenno di
saluto ad Andrè e si ritirò nella sua stanza.
Rimasti
soli, sistemarono le tazze sul vassoio e le riportarono in cucina.
“Il
dottor Cirillo ha ragione”riprese il discorso Andrè.
Oscar
lo fissò con l'aria un po' contrariata: detestava che qualcuno le
dicesse cosa fare...ma se quel qualcuno era Andrè, non riusciva a
ignorare le sue parole.
Lui si
fermò a sistemare le stoviglie nell'acquaio e a serrare gli scuri
della terrazza, prima di raggiungerla nella loro camera.
Quando
si svestì esitò un attimo, poi si infilò nudo nel letto.
Nel
buio sentì il corpo di Oscar, avvolto nella sua morbida camicia da
notte, abbracciare il suo. La strinse, e avvolse le mani nei suoi
lunghi capelli. Lei si fece ardita.
“Devi
riposare...”sussurrò piano, sempre meno convinto.
Questa
volta lo ignorò.
*Per
Lenovo, che apprezza le tisane e ...Cirillo :-)
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17
Benritrovate
a tutte.
Il
capitolo che segue è un po' noioso (forse ciccia ce n'è, ma non del
genere che fa battere il cuore...). Potremmo dire “fine prima
parte”, perchè seguiranno dei salti temporali, dal capitolo 18 in
poi. Oscar e Andrè si sono finalmente riuniti a Marsiglia, si apprestano a scrivere e pubblicare aiutati dall'editore Mossy, nella casa che il sindaco borghese della città, Etienne Martin, ha messo loro a disposizione. Un uomo apparentemente dedito alla causa rivoluzionaria, ma del quale Oscar non si fida completamente. E desta preoccupazione anche l'incontro con il conte di Caraman, che ha frequentato Versailles ed ora è il comandante in capo del regio esercito in Provenza.
Capitolo
17
Con
le mani poggiate al vetro, Oscar osservava la carrozza di Martin che
lentamente si allontanava, inghiottita dall'oscurità. Era venuto
personalmente a riferirle quanto era accaduto, troppo prudente per
delegare un servitore o peggio per mettere per iscritto le
informazioni di cui era a conoscenza.
Sentì
Andrè sopraggiungere alle sue spalle.
“Per
stasera non possiamo fare niente, Oscar. Vieni a dormire adesso.
Domani troveremo una soluzione...”
Ma
lei aveva già un piano, le sembrava solo impossibile che nel giro di
poche ore la situazione fosse precipitata in quel modo.
La
giornata era cominciata bene, tra le braccia di Andrè.
Si
era risvegliata lentamente, ancora con il riverbero delle emozioni
provate quella notte sulla sua pelle...il tocco ruvido delle dita di
Andrè, che si erano spinte dove mai prima di allora, seguite dalla
morbidezza delle sue labbra, un contrasto che la faceva impazzire di
piacere. Però, anche in quel momento di serenità, un pensiero
molesto l'aveva colpita, facendole alzare il capo di scatto, un
movimento brusco che Andrè, ancora assopito, aveva percepito.
“Che
c'è, Oscar?”
Lei
lo aveva fissato un istante, chiedendosi se parlare o tacere.
“Pensavo...è
questo che sarebbe accaduto se fossi diventata la moglie di Girodel?”
Lui
tacque un istante, sfiorandole una ciocca di capelli biondi.
Ripensava a quanto fosse stata appassionata la notte appena
trascorsa. Ancora non credeva alla realtà che stavano vivendo, quel
periodo terribile, in cui aveva temuto di perderla per sempre,
sembrava talmente lontano da apparire come un brutto sogno.
“Credo
che Girodel ti amasse davvero, Oscar. Non cercava un matrimonio di
convenienza, si sarebbe sposato prima, in quel caso. Credo che ti
avrebbe dimostrato tutto il suo sentimento..se è questo che
intendi”. Ma aveva compreso quella sua improvvisa presa di
coscienza: senza l'amore certi atteggiamenti di intimità potevano
risultare poco graditi e persino umilianti; per molte donne, e anche
per molti uomini, il sesso si riduceva realmente ad una pratica
svuotata di qualsiasi piacere. Alla faccia delle convinzioni del
Generale, che nel suo discorso di commiato, gli aveva ribadito
l'importanza del rango rispetto a quella del reciproco amore, per un
matrimonio riuscito.
Lei
aveva taciuto, ed era tornata a poggiare il capo sul suo petto. Si
era lasciata avvolgere dalle sue braccia, e il tormento su come
sarebbe potuta essere la sua vita da “moglie” di un altro si era
dissolto.
Poi
erano seguiti i preparativi per la partenza di Gilbert, al suo primo
viaggio verso Avignone e infine avevano raggiunto la spiaggia, per la
consueta passeggiata, più tardi del solito.
Portavano
con sé un primo articolo da consegnare a Mossy, riguardo
all'imminente pubblicazione della Carta del Cittadino.
Cirillo
era con loro, li seguiva ad una certa distanza, con l'immancabile
cappello di paglia e la testa china.
“Siete
taciturno stamattina” lo provocò Andrè.
“Gilbert
è partito per il suo primo viaggio da corriere...”
Si
fermò ed alzò la testa.
“Mi
ha chiesto cosa si potesse comprare per omaggiare una signorina...”
buttò fuori, volgendo lo sguardo alle onde. I due che lo precedevano
si voltarono all'unisono.
“Non
vi ha detto chi fosse la demoiselle in questione?” chiese Oscar.
“Era
superfluo chiederlo” replicò, riprendendo a camminare.
“Ed
avevate una risposta ad un quesito così delicato?” chiese ancora
la donna. Era stupita che Gilbert potesse avere avuto una tale
intraprendenza.
Cirillo
la raggiunse con pochi passi e le rispose, alzando leggermente la
falda del cappello per guardarla negli occhi, prima di oltrepassarla.
“Ho
sempre una risposta, per questo genere di domande, madame”
“Eppure
sembrate infastidito...” replicò Andrè.
Cirillo
allora si fermò. La sua ombra si allungava fino a raggiungere
quella dei suoi compagni.
“Non
sono infastidito, sono preoccupato. Un certo genere di affetto deve
restare platonico per non generare inutili sofferenze.”
Poi
alzò gli occhi al cielo e cambiò repentinamente argomento.
“Vi
consiglio vivamente di rientrare, il sole è già troppo intenso, per
entrambi.
Io
desidero ancora passeggiare, ma preferisco i viali più ombrosi in
città. Lasciate pure a me l'articolo per Mossy, tornerò per pranzo”
Avevano
raggiunto la carrozza e lasciato poi Cirillo in vicinanza del porto,
prima di tornare a Chateau Magenta.
All'ora
di pranzo, però, il medico non era ancora rientrato. Per quanto
insolito, pensarono si fosse fermato a desinare in città, magari in
compagnia di Mossy...invece non ebbero più sue notizie.
Verso
le tre fece ritorno la carrozza, senza di lui.
Il
vetturino, che lo attendeva in uno dei viali del centro, raccontò
che un drappello di soldati gli aveva ordinato di allontanarsi, e ti
averne incrociati a dozzine, lanciati al galoppo in direzione di
Marsiglia, mentre si dirigeva verso casa.
“Devo
andare a vedere cosa è successo” disse allora Oscar, che già da
mezz'ora camminava nervosamente lungo il perimetro del terrazzo,
lanciando occhiate ansiose alla strada.
Andrè
fece cenno di alzarsi, ma lei lo bloccò.
“E'
meglio che tu rimanga qui, nel caso dovesse tornare...o per qualsiasi
altra evenienza...”
Andrè
restò immobile per un attimo, poi annuì.
“A
patto che tu mi prometta di non correre rischi e di non agire
d'impulso come tuo solito”
Oscar
lo guardò corrugando la fronte.
“So
quello che faccio, Andrè!”
Allora
lui si avvicinò e la prese per i fianchi.
“Promettimelo”
Capiva
la sua apprensione, sarebbe stata la medesima per lei.
“Te
lo prometto...”
Ma
lui non si rasserenò.
“Lascia
almeno che ti prepari Caesar”
Quando
infine l'aiutò a montare, tenendo le briglie del cavallo, sollevò
il velo dall'occhio destro e la guardò senza parlare.
Lei
gli sorrise, prima di spronare il cavallo verso Marsiglia, ma la sua
sortita fu breve...e infruttuosa.
Appena
giunta alle porte della città, trovò la strada sbarrata da cinque
soldati di cavalleria.
“Nessuno
può entrare in città, signore. Nè da questa strada né da
nessun'altra”
"Cos'è
accaduto? Perchè l'esercito impedisce l'ingresso?”
In
tutta risposta le venne intimato di allontanarsi senza fare altre
domande.
Oscar
voltò il cavallo ma non se ne andò.
Raggiunse
un piccolo cortile, dove alcuni bambini giocavano a rincorrersi e
alcune donne ritiravano i panni stesi. La guardarono con curiosità
ma non le chiesero nulla.
La
giovane richiamò uno dei più grandi, che si avvicinò seguito da
altri, più piccoli.
“Ciao,
mi chiamo Oscar e tu?” chiese, mentre estraeva dalla tasca della
giubba uno scudo d'argento.
Il
ragazzinò fiutò la possibilità di un affare.
“Pierre,
signore”
“Bene
Pierre. Sai arrivare al porto?”
Il
ragazzetto sorrise, come se gli avesse chiesto un'ovvietà.
“Certo,
signore”
“E
conosci l'edificio della compagnia dei Martin?”
“No,
signore..ma posso chiedere!”
“Ottimo.
Devi recapitare un breve messaggio, ma dovrai impararlo a memoria e
ripeterlo solo davanti a Martin, in persona. A chiunque voglia
fermarti, dì che ti manda Oscar, sarà sufficiente. Prendi questo
scudo d'argento”
La
monetina sparì velocemente nel pugno di Pierre.
Oscar
allora gli mostrò un Luigi d'oro.
“Quando
tornerai, questo sarà tuo”
Gli
occhi del ragazzo si illuminarono.
“E
adesso ascolta bene le mie parole....”
Pochi
minuti dopo, lo osservò, nascosta dietro ad un muro, mentre superava
il posto di blocco dei soldati, fingendo di giocare a rincorrersi
con altri bambini. Gli uomini in divisa non fecero loro caso, e in
pochi istanti sparirono dalla sua vista.
Oscar
era seduta sulla terrazza.
Ormai
il sole era al tramonto, ed un vento fresco dall'entroterra stava
portando refrigerio a quella torrida giornata di agosto. Andrè era
seduto accanto a lei, in silenzio.
Gli
aveva raccontato della città occupata dall'esercito e dello
stratagemma utilizzato per avvisare Martin: qualsiasi cosa fosse
accaduta, temeva costituisse il motivo per cui il medico italiano non
faceva ritorno.
Finalmente
quel silenzio irreale fu interrotto dall'arrivo di una carrozza, con
i cavalli lanciati al galoppo. Oscar si alzò in piedi, giusto in
tempo per intravedere Monsieur Martin precipitarsi all'ingresso,
mentre si guardava attorno nervosamente.
Lo
ricevette nello studio, e l'uomo, appena entrato, si portò subito
alla finestra per controllare all'esterno.
“Voglio
essere certo che nessuno mi abbia seguito...” spiegava senza
guardarli, mentre Oscar e Andrè si scambiavano sguardi
interrogativi.
Poi
raggiunse una poltrona e ordinò al domestico un bicchiere di whiskey
prima di sedersi pesantemente. Rimase un attimo così, con le mani
nei capelli, come se si fosse dimenticato di loro, poi alzò il capo
di scatto e li invitò a sedersi, quasi fosse lui il padrone di casa
e loro gli ospiti.
Joseph
tornò rapido con il liquore e Martin ne bevve un sorso abbondante,
prima di iniziare a raccontare.
“E'
successa una cosa terribile, oggi, in città. Terribile e difficile
da spiegare...”
“Ma
Monsieur Cirillo sta bene? Gli è successo qualcosa?”
Esitò
un momento.
“Si...certo,
è vivo. E ritengo stia anche bene...” ma il suo tono non era
particolarmente convincente, e Oscar si alzò e fece un passo verso
di lui.
“Vi
siete seduto, avete bevuto, adesso Martin ditemi cosa è successo,
sto perdendo la calma!”
“Oscar...”
intervenne Andrè. Il mercante era visibilmente spaventato,
probabilmente essersi avventurato fin lì era già, per lui,
un'estrema prova di coraggio.
“Non
ci sono notizie certe, monsieur Jarjayes. Quello che posso dirvi è
che oggi c'è stata un'adunata, alla Tourette. Non si sa chi l'abbia
indetta, ma centinaia di persone hanno raggiunto l'esplanade
e la nostra Guardia Nazionale, quella istituita dopo i disordini di
marzo, avrebbe dovuto mantenere l'ordine...”
“E invece?” lo incalzò
Oscar.
“E invece...non si sa
come...o perchè, pare siano cominciati degli screzi con alcuni
soldati, e che la Guardia Nazionale non sia intervenuta. Caraman ha
dato ordine alle truppe alle porte della città di confluire alla
Tourette, ci sono stati parecchi morti e arresti in massa. Ha
disposto il blocco di tutte le strade di accesso, come ben sapete, e
adesso Marsiglia è sotto il controllo dell'esercito.”
“Monsieur Cirillo era lì?”
chiese allora Andrè.
Martin annuì.
“Si, mi ha confermato che
è stato arrestato”
“Ma perchè?” intervenne
Oscar.
“Cirillo non è un
rivoluzionario, non è nemmeno francese! E di sicuro non è uomo da
attaccare dei soldati con sassi e pietre!”
“Caraman mi ha risposto
che era là, e tanto basta...”
E mentre pronunciava quelle
parole, si stava già alzando.
“Volete sapere cosa ne
penso?” concluse, mentre indossava il tricorno.
“E' stato tutto
orchestrato per dare al nostro comandante in capo un motivo per
infrangere i confini della sua giurisdizione, e mettere le mani su
Marsiglia. Se è questo che Caraman vuole, con lo scopo di sopprimere
qualsiasi moto rivoluzionario, non sarà facile contrastarlo. Ci
tiene sotto assedio con i cannoni dei suoi forti e adesso i suoi
uomini controllano le strade...Ora qualsiasi manifestazione o
protesta potrà essere soffocata...nel sangue...”
“E
la vostra Guardia Nazionale? Che gioco ha avuto in tutto questo?
Perchè non presidiava la manifestazione?”
Martin
fissò Oscar.
“Le
vostre sono tutte domande legittime. Ma la Guardia Nazionale è stata
costituita da poco, con persone che non hanno tutta questa
esperienza...”
Oscar
ebbe l'impulso di prenderlo per il bavero, di fronte a quella candida
ammissione di incompetenza!
“Adesso
devo andare.”
“E
che ne sarà di Monsieur Cirillo? E degli altri manifestanti?”
“Non
preoccupatevi per lui. Caraman non trae alcun vantaggio a tenerlo in
prigione...sarà libero entro pochi giorni...” e con queste ultime
parole si avvicinò alla porta.
Andrè
lo accompagnò alla sua carrozza, mentre Oscar restava in piedi,
vicino alla finestra, sempre più convinta che Martin le avesse
rivelato solo la sua verità.
Il
giorno successivo, 20 agosto 1789, Oscar raggiunse il porto di
Marsiglia via mare.
Sfruttando
un passaggio su un piccolo peschereccio, di quelli che attraccavano
nella spiaggia ai confini della città, dove erano soliti
passeggiare, arrivò di buon'ora al forte dove era di stanza il
battaglione del Conte di Caraman.
Non
dovette insistere per essere ricevuta. La accolse mentre faceva
colazione in una stanza piuttosto buia e spoglia, seduto dietro una
possente scrivania di quercia.
“Entrate
Jarjayes, entrate....gradite un uovo alla coque?” le chiese, mentre
rompeva meticolosamente il guscio della propria colazione.
“No,
grazie, colonnello”
Restò
ferma, ritta davanti a lui. E l'uomo non si scompose, mangiò davanti
a lei come fosse in completa solitudine.
Solo
quando ebbe finito e chiamato un servitore per sparecchiare, tornò a
guardarla e sospirò.
“Sapete
perchè sia venuta da voi senza annunciarmi e di prima mattina”
“Si,
certo...lo so” replicò l'uomo alzandosi, e gettando il tovagliolo
sulla scrivania.
“Siete
qui per Monsieur Cirillo, giusto?”
Lei
annuì.
“Sta
bene, potete stare tranquilla. Non gli è stato torto un capello. Non
da me, almeno...”
“Quindi
non avete nulla in contrario se lo riporto con me, a St.
Barthelemy?”
“No,
no davvero! Anche perchè sono certo che abbiate bisogno delle sue
cure...per i vostri problemi di salute...”
Oscar
tacque.
“Avete
saputo cosa è successo ieri?”
“So
solamente che un uomo innocente è rinchiuso senza colpa alcuna in
uno dei vostri forti!”
Caraman
finse di non aver sentito la sua risposta.
“Ieri,
senza alcuna motivazione, decine di persone si sono riunite alla
Tourette. Non è arrivato nessuno a fare discorsi o ad arringare la
folla. Eppure è comparso un gruppo sparuto di uomini della Guardia
Nazionale. Non si sa cosa sia successo, ma sono partiti degli spari,
alcuni manifestanti sono stati colpiti e la folla è come impazzita.
Si sono riversati nel quartiere di Noailles e hanno saccheggiato la
casa dell'assessore Lafleche.
E
mentre agivano indisturbati, della Guardia Nazionale non v'era
traccia...”
Si
voltò a guardarla, ed Oscar rimase imperturbabile.
Il
gioco dello scaricabarile...pensò
tra sé e sé. Lo lasciò continuare.
“Ho provato a parlare alla
folla, per sedare gli animi, ma sono stato aggredito a mia volta. Mi
hanno obbligato ad intervenire con l'esercito, avrei evitato questa
situazione in qualsiasi modo”
“E ditemi, conte Caraman:
Cirillo era forse tra i saccheggiatori? Vi ha lanciato contro pietre
o insulti?”
“No. Era alla Tourette, si
stava occupando di alcuni feriti...”
A udire quelle parole Oscar
perse completamente la calma.
“Che razza di uomo siete
se arrestate un cittadino mentre presta soccorso a dei feriti...”
"Non avete capito,
Jarjayes...l'ho lasciato con i prigionieri proprio perchè potesse
prestare loro le cure necessarie...”
“Questo è compito vostro,
Caraman, non suo. Siete voi a dover garantire le migliori condizioni
possibili a dei prigionieri, prima di un giusto e, spero, veloce
processo. Adesso esigo che mi facciate parlare con lui”
L'uomo si avvicinò, mutando
decisamente espressione.
“Siamo lontano da
Versailles, Oscar Francois Jarjayes. Non avete più un titolo
nobiliare, un grado militare...Vi conviene ricordarlo quando fate
determinate richieste e adottare toni e termini più consoni...alla
vostra attuale condizione”
Oscar fremeva di rabbia, ma
voleva sopra ogni cosa riportare a casa Cirillo.
Non replicò alla
provocazione di Caraman e si dispose ad attendere all'esterno del
forte.
Passò un ragazzo con un
grosso plico di giornali sotto braccio. Oscar richiamò la sua
attenzione.
“Hai
per caso il Courier de Marseille?”
Acquistò la rivista: in
prima pagina campeggiava il loro articolo, chiaramente firmato con
uno pseudonimo, che proclamava l'inizio di una nuova era, grazie
all'imminente ratifica della Carta del Cittadino. Le sembrò
grottesco che quelle parole, che già riempivano pagine di giornali e
costituivano argomento di discussione nei clubs e nei salotti
degli intellettuali, fossero ancora prive di significato nella vita
reale, e non impedissero inutili episodi di violenza come quello che
si era verificato alla Tourette.
Cirillo la raggiunse dopo
un'ora. Gli abiti sporchi e strappati in più punti, un'evidente
escoriazione sulla tempia sinistra.
Si sorrisero, per il
sollievo.
"State bene? Siete
ferito?”
L'uomo negò.
“Ho solo molta sete...ho
utilizzato l'acqua che mi hanno dato per medicare alcune ferite...”
Ripresero il mare con la
barca dei pescatori, e sostarono alla locanda sulla spiaggia, dove
Cirillo si adeguò a bere una birra fresca, in mancanza della sua
salutare limonata.
“Avete compreso cosa sia
accaduto ieri pomeriggio, monsieur? Ho ricevuto diverse versioni,
sono confusa...”
“Oh, è stata un'imboscata
bella e buona. Dopo aver consegnato il vostro articolo a Mossy, mi
sono diretto verso il porto. Già molte persone si stavano dirigendo
alla Tourette, guidati da delle scritte sui muri...”
“Quali scritte?”
“SENZA SCUSE. Solo queste
due parole”
Nei giorni successivi,
lentamente, Marsiglia si abituò a vivere con la costante presenza
dei soldati di Caraman. Ci furono alcuni timidi tentativi di
reazione, da parte del popolo, dispersi immediatamente da cariche di
cavalleria.
Quello che Oscar ed Andrè
dedussero, dal racconto di Cirillo, fu che l'affare Tourette aveva
avuto come obiettivo l'arresto dei più attivi tra i capi della
rivoluzione popolare, e che probabilmente sia la Guardia Nazionale
che le truppe di Caraman erano d'accordo per creare una situazione
propizia a tale scopo. Ma perchè non scendesse il silenzio su quanto
accaduto il 19 agosto, Oscar e Andrè scrissero ogni settimana un
articolo, descrivendo con chiarezza l'esistenza di un complotto che
vedeva uniti monarchici e alta borghesia, per mettere a tacere le
istanze del popolo. Mossy, che nel loro primo incontro era apparso
estremamente cauto e misurato, pubblicò ogni loro manoscritto senza
cambiare una sola virgola. I giornali venivano portati oltre i
confini della Provenza da Gilbert, al fine di dare enfasi a quanto
accaduto a Marsiglia.
Il 26 agosto a Parigi fu
proclamata la Carta del Cittadino, e Gilbert riuscì a portarne il
testo completo al ritorno di uno dei suoi viaggi, ai primi di
settembre.
Per quelle settimane
evitarono di avere contatti con Martin, ma il 12 del mese era la data
definita per il ricevimento in onore della figlia, e furono tutti
formalmente invitati.
Nessuno aveva desiderio di
partecipare, tranne il giovane Sugane, e fu per non deludere il
ragazzo che alla fine si risolsero ad accettare. Oscar e Andrè
speravano che la serata sarebbe servita, al loro giovane corriere, a
capire quanto fosse vano rincorrere i favori di una fanciulla così
lontana da lui.
Gilbert si presentò
emozionato al cospetto di Marie Anne Martin, vestita di uno splendido
abito di seta rosa, portando in dono una serie di spartiti per
pianoforte elegantemente rilegati. La giovane gli sorrise e gli
disse “Grazie, signore, per lo squisito omaggio” prima di
allungare l'oggetto appena ricevuto ad un servitore al suo fianco.
Il ragazzo gioì
immensamente per quelle parole delicate, che gli facevano battere il
cuore, per i pochi istanti che gli ci vollero a comprendere che
mademoiselle Martin ringraziava con la stessa identica frase chiunque
le si fosse parato davanti con un dono.
Poi la osservò da lontano,
il carnet dei balli denso dei nomi di tutti i rampolli di Marsiglia,
mentre danzava tra un minuetto e una ballata, con movimenti e ritmi
che gliela rendevano inavvicinabile.
Fu lui stesso a chiedere di
tornare a casa prima che si concludesse la serata, con gli occhi
bassi e una strana tristezza nel cuore.
Dormì per quasi tutto il
giorno successivo, e ripartì per Avignone senza fare alcun commento
sulla serata dai Martin.
Non aprì il suo cuore a
nessuno, nonostante avessero cercato tutti, soprattutto Andrè, di
trovare il modo e l'occasione perchè desse voce al suo sentimento
ferito. Gilbert assunse una maschera di totale disinteresse per la
realtà che lo circondava, un po' come quando si era unito a loro,
adesso svuotata anche della rabbia che invece, inizialmente, non
controllava.
Una maschera che non sarebbe
stata scalfita nemmeno due mesi dopo, alla notizia, riportata su uno
dei giornali che trasportava verso Avignone, del fidanzamento di
Marie Anne Martin con un tale Monsieur Riboud.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18
Breve
riepilogo degli ultimi accadimenti e dei personaggi.
Oscar
e Andrè si sono finalmente riuniti a Marsiglia, dove cominciano la
loro attività di divulgatori del pensiero rivoluzionario, mentre
Gilbert inizia i suoi viaggi come corriere.
Qui
incontrano il sindaco della città, Etienne Martin, facoltoso
mercante, con una figlia che farà innamorare (senza speranza) il
povero Sugane, e Auguste Mossy, un giovane editore vicino alle idee
rivoluzionarie. Oscar rivede anche il cavaliere di Caraman, un tempo
frequentatore della reggia di Versailles, ora comandante
dell'esercito di stanza in Provenza.
Il
19 agosto, una sommossa malgestita diventa l'alibi per arrestare i
capi rivoluzionari di Marsiglia e consentire a Caraman di
controllare la città con il suo esercito. Cirillo è tra gli
arrestati e solo un pronto intervento di Oscar permetterà la sua
scarcerazione.
Caraman
soffocherà qualsiasi reazione del popolo e affiderà il
processo dei
prigionieri ad un giudice rigido e inflessibile. Ma ricordate che vi
avevo anticipato dei salti temporali, quindi occhio alle date.
Capitolo
18
Parigi,
dicembre 1789
Se
ne stava seduto nell'ufficio del comandante, le gambe allungate sul
tavolo, una coperta gettata sulle spalle.
Un'altra
notte trascorsa lontano da un giacilio degno di questo nome, con
brevi pause di sonno leggero ed ore di veglia.
Alain
passava così, ormai, le sue notti in caserma. Si cambiava solo
quando era decisamente sporco, mangiava quando e cosa capitava,
beveva se voleva dare tregua a certi pensieri.
Parigi
era diventata una città senza pace, dove si alternavano
manifestazioni di piazza, selvagge aggressioni e saccheggi a lunghi
silenzi, a tregue apparenti, quasi più inquientanti delle sommosse
che la scuotevano.
Ad
ottobre Sua Maestà aveva firmato la Carta del Cittadino e
l'abolizione dei diritti feudali, ma solo dopo che una folla
inferocita aveva invaso Versailles, ammazzato brutalmente Guardie
Svizzere e servitori devoti e gozzovigliato per alcuni giorni nei
saloni della reggia. Infine il Re era stato costretto ad accettare
di tornare a Parigi e di stabilirsi al palazzo delle Tuileries.
La
Fayette aveva scortato la famiglia reale, e aveva preteso anche la
presenza di Alain, quale Comandante della Compagnia B della Guardia
Nazionale, l'eroe della Bastiglia!
Quello
stesso giorno era stata definitivamente sciolta la Guardia Reale, o
quel che ne restava.
Ovviamente avevano mandato lui a fare il lavoro
sporco, ad assicurarsi che quei soldati lasciassero la reggia e che
il loro ufficiale consegnasse i suoi gradi militari.
Aveva
visto, per l'ultima volta, quel tale Girodel: l'uomo che aveva
chiesto la mano del suo comandante, che l'aveva garbatamente
corteggiata, aspettandola per ore nel cortile della caserma.
L'ufficiale che sotto una pioggia battente aveva disobbedito
all'ordine pronunciato dal Re di far sgomberare l'aula
dell'Assemblea, nel momento in cui Oscar aveva posto se stessa tra i
rappresentanti del Terzo Stato e i suoi ex soldati, con il fucile già
puntato, pronti a sparare.
Erano passati pochi mesi e gli sembrava invecchiato, forse
perchè la sua divisa era strappata e i capelli in disordine, per
aver combattuto tutto la notte a difesa della famiglia reale.
Forse
perchè quando un mondo crolla, un velo di polvere si posa su tutto
quello che rimane in piedi.
Mentre
si staccava le spille dei gradi dalla giubba, circondato dai pochi soldati
rimasti al suo fianco, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, Girodel gli
aveva chiesto a voce bassa “Lei sta bene?”
Era
rimasto un attimo interdetto, non si aspettava che l'avesse
riconosciuto. Aveva annuito impercettibilmente.
“Bene”
aveva risposto, fissandolo negli occhi nell'istante in cui
lasciava cadere nelle sue mani i gradi di comandante.
Poi, appena
prima di oltrepassare la porta, aveva sussurrato, guardando dritto di
fronte a se “Saperla lontano da tutto questo è il mio unico
sollievo...ed il mio più grande tormento”.
Allora si era voltato a
fissarlo, ormai di spalle, con il suo incedere elegante e dignitoso,
e dopo pochi istanti aveva udito il rumore degli zoccoli del suo
cavallo, che lo portava via da Versailles per sempre.
Infine aveva
raggiunto il suo comandante alla guida dei soldati della Guardia
Nazionale, di scorta al convoglio reale.
Ricordava
bene quel breve tragitto verso Parigi.
Il silenzio surreale che
regnava tra quella fila di cinque carrozze, senza nemmeno il vociare
dei piccoli principi. E lui si era distratto, l'attenzione richiamata
dal rumore di un'anta lasciata aperta, che sbatteva per il vento. Non
aveva mai visto la reggia, prima di quel giorno, e l'ammirò per la
prima ed ultima volta, come una bella attrice, china per l'applauso
che segna la fine del suo spettacolo, mentre già cala il sipario.
Il
marchese La Fayette si atteggiava a salvatore della patria, a fedele
suddito di Sua Maestà, e approfittava della paura che ancora
attanagliava il sovrano e soprattutto lei, la regina, che era stata
inseguita da gruppi di parigini inferociti da una stanza all'altra
nel corso di una lunga notte, come una preda durante una battuta di
caccia, al grido di “cagna austriaca”.
L'aveva
intravista solo per un momento, la sua bellezza sfigurata dalla
paura, le mani tremanti avvinghiate ad un rosario di onice nera,
mentre i suoi occhi si posavano un'ultima volta sui giardini di
Versailles.
Come poteva sentirsi sicura, legata alla volontà di un
uomo tanto indeciso e volubile come Luigi XVI, alla mercè di un
giovane marchese ambizioso ed ipocrita come La Fayette?
La
vide per la prima volta ma la guardò con gli occhi di chi sapeva
tante cose di lei...una giovane principessa austriaca catapultata
senza alcuna preparazione in un mondo di falsi adulatori, che
l'avevano continuamente spinta verso il baratro. Che le avevano
sempre taciuto non solo la realtà delle condizioni di vita del suo
popolo, ma anche dello stato delle sue stesse finanze, al punto di
scoprire, solo con la morte del delfino, di non avere denaro a
sufficienza nemmeno per un funerale.
Aveva
letto questo e molto altro seguendo i numerosi articoli e le
riflessioni di un giornalista, tale Glacè Marron, che pubblicava sul
Courier de Marseille,
giornale poco diffuso a Parigi, di cui lui, invece, non perdeva un
solo numero. Una firma che sicuramente rivelava, a lui e pochi altri,
l'identità dell'autore.
Anche
in quel momento, proprio sotto i suoi piedi, giaceva l'ultimo numero
del giornale marsigliese che aveva sfogliato quella notte. Riportava
ancora l'assurda situazione ormai nota alle cronache come “l'affare
Tourette”, la prolungata prigionia di una quarantina di capi
rivoluzionari nel castello d'If, nel golfo di Marsiglia, e la
decisione del comandante in capo del regio esercito in Provenza,
cavaliere di Caraman, di conferire l'istruzione del procedimento
penale al prevosto generale Sanchon de Bournissac: un processo senza
indagini e senza appello, gestito da un tribunale che le nuove leggi
emanate dall'Assemblea Costituente avevano di fatto cancellato.
Quando
sentì bussare alla porta, si ricompose e diede il permesso di
entrare.
Gerard
Lasalle avanzò zoppicando, in mano un vassoio con un bricco di caffè
e fette di pane nero. Da quando era rimasto ferito, Alain lo lasciava
al sicuro in caserma, ad occuparsi di ripulire i fucili che i
compagni, sfiniti dai turni di ronda, abbandonavano nella polvere
accanto alle brande, ad assicurarsi che ci fossero sempre garze ed
acqua con cui ripulire le ferite, a sistemare i bottoni delle divise,
quando a qualcuno delle alte sfere militari veniva la malsana idea di
fare un giro nella caserma dei soldati della Guardia, per saggiarne
l'umore e lo stato d'animo.
“Non
ti sei coricato neanche stanotte, Alain?”
L'uomo
scosse il capo, sorridendo.
“Quando
hai finito la colazione ti conviene darti una rinfrescata...La
Fayette ti ha convocato al quartier generale”.
Alain
sbuffò. Detestava essere convocato da La Fayette. Uno di quegli
individui dalla personalità ambigua e dallo sguardo torbido. Potevi
ascoltarlo per ore ed essere certo che non fosse convinto nemmeno di
una sola parola di quelle pronunciate. Ma evitava di fargli la guerra
apertamente: uomini così erano destinati a durare poco, non c'era
bisogno di sporcarsi le mani contrastandoli.
L'eroe
d'America si era ritagliato un bel ufficio all'Hotel De Ville, la
sede del Comune di Parigi e di Bailly, il nuovo sindaco borghese.
Ricevette
Alain con la solita aria di uomo preso da mille cose, quando invece
impegnava la maggior parte del tempo a evitare decisioni e
responsabilità.
“Comandante
De Soisson, come va? Sempre tranquilla la situazione a Parigi?”
Tranquilla?
Che concezione aveva il marchese di questo termine?
“Signorsì, comandante” replicò
invece, lo sguardo fisso davanti a sé. La verità era fiato
sprecato, con lui.
“Ottimo...ottimo, De Soisson. Mi fa
piacere sentirvelo dire, perchè il popolo francese ha bisogno del
vostro intervento...altrove”
Alain si irrigidì, ma lo lasciò
continuare.
“Purtroppo
nonostante le leggi emanate dall'Assemblea Nazionale, l'abolizione
dei diritti feudali e la confisca dei beni della Chiesa, la
situazione della fame e della povertà in Francia non sembra
migliorare. In una situazione del genere non possiamo permetterci che
il commercio di grano, olio e sale in arrivo da altri paesi sia
bloccato nei porti per colpa...per colpa...dell'inesperienza
da una parte e del pugno di ferro dall'altra”
“Non
vi seguo, comandante” rispose laconico.
“Marsiglia
è occupata dalle truppe del cavaliere di Caraman, dal mese di
agosto. Non riesce a venire a capo dei rivoluzionari, continua a
soffocare le reazioni di proteste con arresti e cariche sulla folla.
Mentre il giudice da lui prescelto semina il terrore.”
Si
voltò a guardarlo.
“Avete
per caso letto qualcosa a riguardo o tutto ciò vi è completamente
ignoto?”
“Devo
aver letto qualcosa...mesi fa...l'affare Tourette, dico bene?”
“Si,
esatto, la stampa lo ha battezzato così. Finchè la Guradia
Nazionale borghese non dimostrerà di essere in grado di mantenere
l'ordine in città, Caraman non allontanerà le sue truppe e non
abbasserà le bocche dei cannoni, che tiene puntate sulle attività
del porto dall'estate scorsa”
Alain
aveva già capito tutto, ma rimase in silenzio, con gli occhi che
trapassavano la figura del marchese, per perdersi sui tetti delle
case che si vedevano dalla sua finestra.
“Andate
laggiù, De Soisson. Mettete in riga quell'accozzaglia dei soldati
della Guardia, cosicchè si possa arrivare ad una soluzione politica
della faccenda...”
“Soluzione...politica?”
“L'Assemblea
non può ignorare quanto sta accadendo, e l'unica via d'uscita è
delegittimare Caraman e il tribunale del suo amico Bournissac. Ma
prima di liquidare entrambi è necessario avere la certezza che la
città non sprofonderà nel caos e nei disordini”
Alain
non aveva compreso del tutto cosa si aspettassero da lui, i grandi
capi di Parigi. Ma intravedeva la possibilità di riunirsi ai suoi
amici e anche di allontanarsi da situazioni che diventavano sempre
più pesanti da sopportare, per lui.
Portò
la mano alla fronte e concluse con un sonoro “Signorsì,
comandante”
“Entro
domani avrete i lasciapassare e le lettere di presentazione da
mostrare a Caraman. Tenetemi costantemente informato, De Soisson”
Un
colpo di tacco con gli stivali segnò la fine del loro colloquio.
Marsiglia,
gennaio 1790
“Ehi!
C'è un uomo, qui fuori. Un militare, a dirla tutta...chiede di
parlare con Mossy...”
Andrè
si voltò verso l'operaio che lo aveva interrotto mentre sistemava le
matrici per la composizione tipografica.
“Un
militare, hai detto?” rispose, aggrottando la fronte. Qualsiasi
uomo dell'esercito di Caraman sapeva che Mossy era in prigione da
quasi un mese.
“Forse
un forestiero...” aggiunse l'altro.
Andrè
si pulì le mani in un canovaccio, infilò la giacca ed usci dalla
tipografia.
Proprio davanti all'ingresso stava aspettando un uomo di
spalle, solo, avvolto in un ampio mantello. Stringeva le briglie del
suo cavallo, con un bagaglio leggero legato alla sella.
“Buongiorno!
Posso esservi utile?”
Il
soldato si voltò, senza dire una parola, con un inconfondibile
sorriso a piegargli le labbra.
Andrè
si concentrò su quella figura e spalancò gli occhi.
“Alain!
Sei proprio tu?”
In
tutta risposta si sentì stringere in un abbraccio poderoso e
commosso al contempo.
Alain
riusciva solo a ripetere “Amico mio!” , finchè non si staccò e
lo squadrò per bene.
“Ti
trovo bene, vecchio mio! E la vista come va?” chiese, notando il
velo nero sull'occhio destro.
“Bene,
Alain. Non posso certo affermare che il mio occhio sia tornato come
nuovo, ma ci vedo ancora. Questa fasciatura lo protegge durante il
giorno, dalla luce intensa e dalla polvere...”
“Mentre
di notte...” insinuò l'altro. Andrè gli diede uno spintone, per
poi riabbracciarlo con le lacrime agli occhi.
“Caspita,
Alain, che sorpresa! Perchè non ci hai scritto del tuo arrivo, sei
forse in missione segreta?”
Alain
si grattò la nuca. “No, che dici! Quale missione segreta!”
“Però
non sei qui in licenza, dico bene?”
“No,
Andrè, hai ragione. Sono qui per lavoro, e con calma ti spiegherò
tutto.”
Andrè
rientrò solo un momento, per avvisare che si sarebbe allontanato,
poi trovò un ricovero per il cavallo di Alain e insieme a lui si
diresse verso il quartiere del porto.
Arrivarono
ad una locanda con l'insegna in legno consumata dalla salsedine.
L'oste salutò Andrè con un cenno della mano e questi condusse
l'amico verso un tavolo in un angolo, lontano dalle grida dei
giocatori di carte che già litigavano a quell'ora, confusi dal vino.
Alain
si guardò attorno sorridendo.
“Sembra
ieri quando ero io a consigliarti i locali migliori per delle sane
bevute!”
Lo
guardò sorridendo.
“E
io invece non riesco ancora a credere che tu sia qui, di fronte a me,
a Marsiglia...”
Attese
che l'oste si fosse allontanato, dopo aver lasciato sul tavolo due
boccali di birra, con un piatto di pesciolini fritti, prima di
continuare.
“Hai
chiesto di Mossy, quando sei arrivato alla tipografia...come mai?”
“Beh,
pensavo potesse aiutarmi a trovare un giornalista di cui pubblica gli
scritti, un tale che si firma Glacè Marron...”
Andrè
sorrise un istante, poi divenne serio.
“Mossy
è stato arrestato a dicembre dai soldati di Caraman, per le
posizioni assunte dal suo giornale riguardo l'affare Tourette.
Ovviamente ha negato di conoscere l'identità di questo giornalista. E io
cerco di portare avanti il suo lavoro...e il mio”
“Capisco”
rispose Alain, con tono greve. “Anche a Parigi è tutto un
sospetto, non ci si può fidare di nessuno...o quasi”
“Beh,
dei nostri compagni ti fiderai, no?”
Un'ombra
sembrò oscurare lo sguardo di Alain.
“Si,
di qualcuno si. Ma molti sono caduti, negli scontri di questi mesi,
altri se ne sono semplicemente andati. E tra le nuove reclute c'è di
tutto...”
“Come
sempre, no?”
“Già.
Lasalle è stato a lungo con me, sai?”
“Che
gli è successo?” chiese Andrè.
“Niente,
niente...sta benone. Ma è rimasto ferito dopo l'attacco alla
Bastiglia, l'ho tenuto lontano dai pericoli finchè sono rimasto a
Parigi. Ho firmato il suo congedo, appena prima di partire..e l'ho
mandato ad Arras” concluse, con aria sorniona.
“Ad
Arras?!” chiese l'altro, spalancando gli occhi.
Alain
si allungò verso di lui, come se stesse confidando un segreto.
“Si,
ho comprato dei terreni là...dei campi, da coltivare. Mi hai sempre
detto che è una regione con degli ottimi appezzamenti...terre
fertili...”
“Certo,
hai fatto bene. Solo, non credevo che aspirassi a zappare la terra”
“Pensavi
volessi fare la carriera militare? No, il mio sogno è sempre stato
quello di un pezzetto di terra, tutta mia. Non voglio diventare un
ricco latifondista, mi basta avere di che vivere dignitosamente. A
settembre sono stati confiscati molti beni della Chiesa, e sono stati
ceduti ai contadini. Ma in inverno non c'è alcun raccolto, molti di
loro hanno preferito vendere subito e fare cassa. Ho comprato una
piccola fattoria, e ho dato a Gerard la procura per concludere
l'acquisto e iniziare ad insediarsi lì.”
Prese
il boccale e ne bevve quasi metà con un solo sorso.
“Sono
qui in missione, Andrè, ma sarà l'ultima. Voglio chiudere con
questa vita. Voglio faticare per qualcosa di concreto...e di mio.
Basta rischiare la pelle o rischiare di farla a qualcuno per la
gloria di chi se ne sta rintanato, senza esporsi mai al pericolo!”
Andrè
annuì e bevve anche lui la sua birra.
“Di
che missione si tratta? Puoi dirmelo?”
“Si,
penso di si. Ma dì a quel tal Glacè di stare attento e fare buon
uso di queste informazioni” e gli strizzò l'occhio.
Raccontò
così del compito che La Fayette in persona gli aveva affidato,
quello di mettere in piedi un corpo della Guardia Nazionale in grado
di mantenere l'ordine in città, senza il supporto dell'esercito.
“Dovrai
presentarti al cavaliere di Caraman, immagino” chiese Andrè.
“Già,
e suppongo mi ospiterà in uno dei suoi forti. Ma ho ancora qualche
ora prima di palesare il mio arrivo al nostro comandante in capo, e
se possibile avrei il desiderio di salutare anche Oscar”
“Certo,
non ti perdonerebbe mai se non lo facessi! Torniamo alla tipografia e
recuperiamo i cavalli. La nostra sistemazione si trova alla periferia
della città”
Andrè
lasciò qualche moneta sul bancone e uscì dalla locanda, seguito da
Alain.
Oscar
e Monsieur Cirillo scesero dalla carrozza e si avviarono lentamente
all'ingresso.
Avevano trascorso buona parte della mattinata al
mercato della città, per poi spingersi sulla spiaggia nelle ore
prossime al mezzogiorno, per la consueta passeggiata. Ormai la
conversazione verteva, quando percorrevano quella distesa di sabbia,
lontano da occhi ed orecchi indiscreti, sulla prolungata prigionia
dei giovani rivoluzionari arrestati in agosto, ai quali si era
aggiunto, per la propaganda portata avanti dal suo giornale, anche
Monsieur Mossy. Cirillo, in quanto medico, aveva facoltà di poterlo
vedere, una volta a settimana, e cercava di alleviare i disagi della
prigionia, soprattutto il freddo di quei mesi invernali, fornendo
coperte e cibo. Sosteneva che il morale degli uomini incarcerati
fosse ancora alto, ma lo preoccupava la situazione stagnante, e, come
amava ripetere, credeva che la prigionia fosse essa stessa una forma
di tortura. Che alla lunga avrebbe provato duramente quei
prigionieri, nel corpo e nello spirito.
Rientrarono
a casa a mezzogiorno preciso, e mentre Oscar sfilava gli stivali
imbrattati di fango e sabbia, udì una risata inconfondibile
provenire dal salotto.
“Ma...non
è possibile” pronunciò, mentre affidava distrattamente a Cirillo
il proprio mantello.
Proseguì scalza fino alla porta che la separava
da quel suono famigliare, e quando l'aprì si trovò di fronte il
sorriso di Alain, in piedi davanti al camino acceso, il gomito
appoggiato sull'architrave in legno.
“Oscar!”
la chiamò per nome, per la prima volta in vita sua.
Poi fece
scorrere gli occhi sulla sua figura e rise non appena arrivò con lo
sguardo ai piedi scalzi.
“Vi
trovo davvero bene...forse un po' meno elegante di quando vi ho
lasciata...”
Oscar
si avvicinò, ancora incredula, e allungò la mano per salutarlo. Lui
la prese e la strinse tra le sue.
“Sono
così felice di vedervi...di vedervi tutti” continuò, cercando con
lo sguardo Andrè, di fronte a lui.
Poi notò l'uomo che era entrato
seguendo Oscar, e Andrè intervenne a fare le presentazioni.
“Allora
siete il medico a cui devo tanto per la salute dei miei amici!”
Cirillo
sorrise e si schermì.
“Un medico può indicare la strada, ma è
solo il malato che può guarirsi”
Alain
lo fissò un istante, nutriva già simpatia per quel uomo dalla pelle
olivastra e gli occhi nerissimi.
“Oh
Alain! Come mai sei a Marsiglia? Sei in divisa, quindi deduco tu sia
stato inviato per una qualche missione qui... E i ragazzi come
stanno? Che succede a Parigi? Che aria si respira? Non abbiamo
notizie di prima mano da tanto tempo, anche le lettere di Bernard si
sono diradate in questi mesi...”
Alain
sorrise.
“Caspita!
Quante domande! Spero di riuscire a rispondere a tutte prima di
andare”
“Andare?”chiese
Oscar.
“Alain
è atteso da Caraman, deve incontrarsi con lui” spiegò Andrè.
“Non
oggi” affermò la donna, con determinazione, avvicinandosi a lui.
“Per
oggi rimani con noi e riposa qui stanotte. Domani potrai raggiungere
la tua destinazione in città...”
Alain
rimase un attimo in silenzio, mentre nella sua mente riaffiorava il
ricordo di un'altra sera e di un altro invito a restare a dormire,
pronunciato dalle stesse labbra.
Ma
in un altro luogo, nel palazzo in cui Oscar era nata e cresciuta.
Ricordò
come l'aveva visto, l'ultima volta. Avrebbe dovuto raccontarle tutto,
con calma.
E forse un giorno di licenza, non ufficiale, sarebbe
servito anche a lui.
Annuì
senza parlare. Poi si rivolse all'amico, ridendo.
“Tua
nonna sarà entusiasta di vedermi, caro Andrè...”
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
In
considerazione dell'imbarazzante ritardo di questo aggiornamento,
comincio (per chi vuole) con un breve riassunto dei primi 18
capitoli...
La
storia comincia la sera in cui Oscar va dal medico e scopre di avere
la tisi nonchè l'imminente cecità di Andrè.
Alain,
che la segue su richiesta di Andrè, preoccupato per le sue
condizioni, le parla e la convince a trovare il modo di “lottare”
senza mettere in pericolo la sua vita e quella dell'amico.
Dopo
un incontro con Bernard, Oscar decide di trasferirsi lontano da
Parigi, a Marsiglia, ed intraprendere, insieme ad Andrè, un'attività
di propaganda delle idee e degli avvenimenti rivoluzionari, sia
attraverso le pubblicazioni su un giornale, sia finanziando una rete
di corrieri per la trasmissione delle notizie dalla capitale verso il
resto del paese. Chiede ad Alain di prendere il suo posto a capo
della Compagnia B della Guardia Francese.
Prima
della partenza Oscar parlerà con suo padre, che la invita a portare
Marie con loro. Inoltre si unisce al gruppo anche il giovane Sugane,
che Robespierre ha portato a Parigi da Arras. Infine, lungo il
viaggio sui canali fluviali, raggiungeranno Buffon, una località
dove li attende un medico e studioso italiano, Domenico Cirillo,
simpatizzante delle idee rivoluzionarie, in viaggio verso l'Italia.
Oscar
giunge a Buffon in fin di vita, non può più nascondere ad Andrè le
sue condizioni, e decide di sposarlo prima che sia troppo tardi. In
realtà, grazie alle cure del medico italiano, la giovane migliora e
questo induce Cirillo a ritenere sbagliata la diagnosi di Lassonne:
Oscar avrebbe un'affezione polmonare, molto seria, ma non la
tubercolosi. Inoltre consiglia ad Andrè di proteggere dalla luce
intensa del giorno l'occhio destro, e questo rimedio consente al
giovane di non perdere completamente la vista.
Il
viaggio prosegue verso Marsiglia, e permette ai nostri di rendersi
conto della situazione critica in tutta la Francia: coltivazioni
abbandonate, saccheggi indiscriminati, fuga dei nobili.
A
Marsiglia vengono accolti dal sindaco borghese, Etienne Martin, un
ricco mercante della città e scrivono articoli per il Courier de
Marseille, di proprietà di un giovane e cauto rivoluzionario,
Auguste Mossy. Il giovane Sugane comincia la sua attività di
corriere, col cuore spezzato da un amore non corrisposto per la
giovane figlia di Martin.
Oscar
viene riconosciuta dal cavaliere di Caraman, il comandante in capo
dell'esercito di Provenza, fedele al Re, che interverrà per sedare dei disordini
nell'agosto del 1789. L'azione ha lo scopo di improgionare i capi
rivoluzionari della città, e anche l'editore Mossy finirà rinchiuso
nei forti del porto, trasformati in prigioni.
I
mesi passano, la situazione a Marsiglia è in stallo e nuoce al
commercio della città, fondamentale per l'intera Francia. La Fayette
decide di inviare lì Alain, che si è distinto
durante la presa della Bastiglia, per riformare una Guardia Nazionale
e permettere all'Assemblea di destituire Caraman e le sue truppe. Il
giovane raggiunge i suoi amici e racconta loro lo scopo della sua
missione, ed anche il desiderio di lasciare l'uniforme e ritirarsi
nei possedimenti che ha acquistato ad Arras, a seguito degli espropri
dei terreni appartenuti al clero.
Tutto
chiaro, vero ;-)))
Capitolo
19
La
giornata era trascorsa piacevolmente.
Dopo
un bagno salutare, imposto dalla nonna di Andrè, e dopo aver
sistemato i pochi bagagli in una delle camere di Chateau Magenta,
Alain era andato a visitare Marsiglia, spogliato della divisa,
insieme ad Oscar e Andrè. E in quelle ore, con gli occhi pieni delle
bellezze e delle particolarità di quella città di mare, le orecchie
raggiunte da rumori e suoni a lui sconosciuti, unitamente alle voci
famigliari dei suoi amici, di cui coglieva il timbro nuovo, impresso
dalla felicità, dimenticò per un po' il peso del fardello che
sentiva gravare sulle sue spalle, quello che gli guastava il sonno e
rendeva faticosa la veglia.
Mentre
passeggiava per le vie del quartiere del porto, osservava la
gestaulità complice e discreta di Oscar ed Andrè, il loro cercarsi
con gli occhi, nonostante il velo che nascondeva quello di Andrè,
l'alternanza con cui gli parlavano, senza sovrapporsi mai, l'amore
che sentiva potente, dietro quei dettagli, come una catena
incredibilmente leggera. Saperli felici dava anche a lui un riverbero
di soddisfazione e serenità. Era sempre più convinto che fossero il
genere di persone con cui avrebbe voluto dividere la sua vita, e allo
stesso tempo era consapevole di quanto continuassero a rappresentare
una rarità nella società del loro tempo.
Quando
fece buio si fermarono in una locanda, per dissetarsi con una birra e
poi fecero ritorno a Saint Barthelemy, dove Marie e Cirillo li
attendevano per la cena. Si ritirarono infine nel salotto, davanti
al camino acceso e ad un bicchiere di brandy, mentre Alain estraeva
dal taschino una scatoletta di sigari pregiati.
“L'unica
cosa buona che mi sia mai arrivata da La Fayette” commentò
sarcastico.
Alzò
un sopracciglio quando vide il medico italiano accomodarsi sul
divanetto tenendo in mano una tazza di acqua bollente dal vago
sentore di fieno.
Attese
che la governante si ritirasse per la notte, poi decise di affrontare
una questione che lo tormentava.
“Devo
mostrarvi una cosa...Oscar” si allontanò solo un istante, col
sigaro in bocca ancora spento, poi tornò con un telo arrotolato e
glielo mise in mano.
Lei
lo svolse e rimase in silenzio, con gli occhi spalancati.
“Che
c'è, Oscar?” chiese Andrè, che aveva avvertito il turbamento di
sua moglie.
Era
il suo volto, l'immagine che si vedeva su quella tela. Il ritratto
che le aveva fatto il pittore di Parigi, poco prima della sua
partenza. Si vedeva anche parte del busto e del braccio sollevato,
che brandiva la spada.
Oscar
non parlava, Andrè non capiva cosa ci fosse dipinto: Cirillo lasciò
la sua tisana su un tavolino e si portò alle spalle della donna.
“Questa
siete voi, madame. Ma perchè la tela è stata ritagliata così
malamente?” chiese alzando gli occhi su Alain, che invece li teneva
bassi, giocherellando con il sigaro che non aveva ancora acceso.
Andrè
comprese di cosa si trattava e ripetè la domanda, caricandola di
angoscia.
“Alain!
Come sei entrato in possesso di questo ritratto? E perchè c'è solo
la parte con il volto di Oscar? Dov'è il resto?”
La
donna taceva, mentre le sue dita scorrevano sulla tela rovinata e ne
seguivano i bordi slabbrati.
Alain
si avvicinò e si sedette di fronte a lei, appoggiandosi alle
ginocchia, per avvicinarsi al suo viso. A lei che taceva, ma che era
la sola ad aver già capito. Si ricordò di una situazione simile,
dentro ad una carrozza a Parigi, sotto la pioggia insistente di una
estate piovosa e tetra, appena trascorsa.
“Cosa
sapete del trasferimento del re e del suo seguito a Parigi,
nell'ottobre scorso?” le chiese.
Ancora
silenzio.
“So
che i giornali hanno riportato la notizia come una grande conquista
dall'Assemblea ed un gesto di avvicinamento del Re verso il suo
popolo”continuò Alain.
“Si,
certo, è così” gli rispose Andrè.
Alain
proseguì, senza staccare gli occhi dalla donna che aveva di fronte.
“In
verità è stata ottenuta con la forza, dopo una notte di violenza
consumata tra le stanze ed i giardini di corte. La famiglia reale al
completo è stata trasferita alle Tuilleres, con pochi cortigiani al
seguito. I fratelli del Re erano già scappati e da quel momento
tutti i cortigiani hanno lasciato le loro residenze, in fretta e
furia. I popolani hanno saccheggiato la reggia, gli hotel e i
palazzi delle famiglie aristocratiche residenti a Versailles. Hanno
rubato quello che si poteva portare via, hanno distrutto e bruciato
il resto.”
“E
nessuno è intervenuto?” chiese Andrè “I soldati della Guardia
Reale?”
“Il
corpo della Guardia Reale è costituito solo da nobili. I pochi
rimasti sono stati destituiti ed allontanati. Ormai l'ordine pubblico
e la sicurezza del sovrano dipendono dalla Guardia Nazionale”
Alain
sospirò.
“Ma
io sono stato avvisato solo una settimana dopo, quando non c'era più
niente da salvare. A palazzo Jarjayes ho trovato il vostro ritratto a
terra, senza cornice, lacerato in più punti. Quello che tenete in
mano è ciò che ne resta...”
Tutti
tacquero.
“Mi
dispiace averne parlato solo ora, non volevo turbare tua nonna”
disse rivolgendosi all'amico.
“E
mio padre? Mia madre? Che ne è stato, Alain?”
Per
la prima volta sentì quella voce incrinata dal dolore e dalla paura.
“Sono
vivi, Oscar”
“Come
lo sai?”
“Li
ho cercati...ovviamente. E non è stato facile trovarli. La nobiltà,
che fino a poco tempo fa girava per la città, con prepotenza ed
arroganza, ora si nasconde e rinnega i propri titoli, inneggia agli
ideali rivoluzionari e intanto cerca di fuggire all'estero.”
“Mio
padre non è un simile vigliacco, Alain” sibilò Oscar.
“No,
non lo è” disse, alzandosi e allontanandosi da lei.
“Credo
sia ancora in Francia, ma non sono riuscito a rintracciarlo. Sembra
svanito nel nulla, come il vostro ex comandante delle Guardie Reali,
il conte Girodel”
Oscar
lo ascoltava, senza staccare gli occhi dal brandello del suo
ritratto.
Alain
avvicinò il sigaro al candeliere sopra il camino e lo accese con un
paio di vigorosi respiri.
“Però...ho
rintracciato vostra madre”
La
donna si voltò di scatto, e il pezzo di tela le scivolò dalle mani.
“Si
è rifugiata nel monastero delle suore benedettine, a Jourre, dove
vostra sorella è la madre superiora”*
“Ne
sei sicuro?”
“Certo,
l'ho incontrata...ho parlato con lei...”
Si
trovò gli occhi di tutti puntati addosso.
“So
che non avrei dovuto...che potrei anche aver messo in pericolo la sua
incolumità, se qualcuno mi avesse seguito...”
“Siamo
arrivati a questo punto, Alain?” lo interruppe Andrè.
“Tu,
comandante della Compagnia B della Guardia Francese, l'eroe della
Bastiglia, pedinato come un traditore?”
Alain
sospirò, l'aroma del sigaro si diffuse attorno a lui.
“Oh,
Andrè! Parigi è una città popolata da maschere, pregna di
sospetto, tutti diffidano di tutti, l'amico di oggi è il Giuda di
domani. E sì, non escludo che qualcuno possa anche avermi
controllato, a Parigi, in particolari circostanze. Ma quando mi sono
recato a Jouarre sono stato attento. Temevo io stesso che fosse una
falsa pista, una trappola per me...”
Lesse
incredulità e amarezza negli sguardi dei suoi amici. Non era
piacevole descrivere così la realtà della sua vita nella capitale,
ma purtroppo era la verità.
“Comunque...con
la scusa di dovermi recare ad Arras, dove si sa che ho delle
proprietà, sono arrivato fino a Compiegne; una volta sicuro che
nessuno mi seguisse, ho invertito la rotta e mi sono diretto a sud,
fino all'abbazia di Notre Dame de Jouarre.”
Fece
una pausa, e nel silenzio della stanza, sentiva il crepitio della
legna nel camino alle sue spalle.
“Una
volta arrivato là non è stato facile superare la diffidenza delle
religiose, e se non fosse stato per quel pezzo di tela, non credo
avrebbero creduto che vi conosco e venivo in amicizia...”
Lo
sguardo di Oscar era triste. Pensava a sua madre, a come potesse
affrontare tutti quegli stravolgimenti nella sua vita e la
separazione, dopo più di quarant'anni insieme, da suo marito.
Alain
sembrò leggerle nel pensiero.
“La
contessa de Jarjayes stava bene, era in procinto di lasciare il
convento e la Francia insieme a vostra sorella e alle altre religiose
“refrattarie”, che hanno rifiutato di giurare fedeltà alla nuova
Costituzione del clero**...probabilmente hanno già abbandonato il
suolo francese per trovare rifugio in Belgio”
Si
avvicinò ad Oscar e le toccò un braccio.
“Mi
ha chiesto di riferirvi un messaggio, qualora ci fossimo incontrati.
Mi ha fatto giurare di non parlarvene mai per iscritto”
Lei
lo guardava muta, in attesa.
“Temeva
che le proprietà dei Jarjayes, come quelle di altri nobili,
facessero la fine dei beni della Chiesa...che venissero confiscati e
ceduti ai rivoluzionari. In accordo con vostro padre, ha deciso di
intestare la tenuta di Arras a vostro marito, Andrè Grandier. Perchè
sa che in questo modo, come possedimento di un comune cittadino, non
potrà essere oggetto di una cessione indiscriminata...e arriverà a
voi. Mi ha raccontato che avevate rinunciato a qualsiasi eredità,
insieme al vostro titolo nobiliare. Ma mi ha pregato perchè vi
convinca ad accettare.”
Da
una borsa appoggiata al muro estrasse un documento arrotolato, chiuso
dal sigillo con lo stemma della famiglia Jarjayes.
“Credo
che un notaio possa facilmente ratificare quanto i vostri genitori
hanno disposto riguardo alla tenuta di Arras. E poi- continuò
infilando la mano all'interno della giacca- mi ha chiesto di
consegnarvi questa”
Mise
nelle mani di Oscar un foglio piegato in quattro parti. La giovane
esitò un istante, poi si alzò, prese una delle candele che Marie
aveva lasciato nel salotto ed uscì, senza dire una parola.
Tra
gli uomini calò il silenzio.
“Non
immaginavo una situazione tanto degenerata” dissè infine Cirillo.
“Ma
se il ceto borghese, che ha intrapreso questa rivoluzione con il
sostegno del popolo, non è in grado di risolvere le necessità più
urgenti, la fame, la mancanza di lavoro, l'esodo dalle
campagne...allora verrà rovesciata, com'è accaduto per i nobili ed
il clero...”
“Dio
non voglia che gli eventi seguano questa direzione” gli rispose
Alain.
Andrè
era rimasto in silenzio. Il suo pensiero inseguiva Oscar, quello che
stava provando, quello che significava per lei la distruzione del
mondo in cui era cresciuta, la latitanza di suo padre...da cui si era
allontanata, ma che non amava di meno, per questo...
“Grazie
Alain di averci riferito queste cose...noi...non immaginavamo.” Gli
strinse le braccia.
“Trascorri
una notte serena e se puoi, fermati ancora qui con noi, prima di
presentarti a Caraman. Ne saremmo felici”
Alain
sorrise.
“Certo,
Andrè. Adesso...va' da lei...”
L'uomo
rivolse un cenno di saluto anche a Cirillo e lasciò la stanza.
Seguendo
con i polpastrelli il muro che conduceva alla sua camera da letto,
senza bisogno di luce, Andrè raggiunse Oscar. La trovò seduta
davanti alle braci del caminetto, immobile, il volto chino sul foglio
della breve missiva di sua madre.
Si
chinò a ravvivare il fuoco, poi prese la coperta di pelliccia che le
aveva regalato per il suo compleanno, poche settimane prima, e gliela
avvolse intorno.
Quando
prese la lettera dalle sue mani, credendola assopita, lei spalancò
gli occhi.
“Non
sto dormendo, Andrè” gli disse, con tono perentorio.
Era
chinato su di lei, vicino al suo volto, e vide distintamente il suo
sguardo asciutto di lacrime, le iridi di quell'azzurro così
trasparente da ricordare il ghiaccio, di una purezza che lo lasciava,
da sempre ed ancora, senza fiato.
Abbassò
l'occhio sul foglio che lei tratteneva in grembo. La carta era
sgualcita e l'inchiostro sbavato in più punti: Alain aveva tenuto
addosso quella lettera, si era bagnata con l'acqua della pioggia che
certamente aveva incontrato nel lungo viaggio da Parigi, si era
asciugata col calore del suo corpo. L'aveva tenuta con se perchè non
andasse perduta, non venisse trafugata e probabilmente per potersene
disfare velocemente, se fosse stato necessario.
Non
esistevano parole con cui poterla confortare, e allora l'avvolse
ancora più stretta nella coperta. Sentì le sue dita sui capelli e
poi il palmo della sua mano sulla guancia. Gli sorrideva.
“Mia
madre ha scritto una grande verità”
Adesso
i polpastrelli sfioravano le sue labbra e i suoi occhi seguivano il
loro percorso.
Andrè
rimase come ammalliato dalla sensualità dei suoi gesti.
“Palazzo
Jarjayes è la dimora della mia infanzia, dove sono cresciuta...ma è
diventata la mia casa solo dal giorno in cui il nipote della mia
governante, orfano di entrambi i genitori, è venuto a vivere con sua
nonna...e con me. E ha ragione, sai? Quando sono con te mi sento a
casa, sempre. E quando non ci sei stato...quando ti sei arruolato tra
i soldati della Guardia, palazzo Jarjayes è tornato ad essere
semplicemente la residenza di mio padre. ”
“Oscar...”le
disse, fermando la sua mano e baciando le sue dita.
Non
trovava le parole per descrivere la gioia che sentiva ogniqualvolta
lei dava voce ai suoi sentimenti, riscoprendone le tracce nel loro
passato insieme, rivelando emozioni che aveva solo sperato di
accendere nel suo cuore.
“Io
ricordo invece di essere entrato a palazzo Jarjayes titubante, e di
essermi realmente spaventato nell'istante in cui ti ho visto, sulla
scalinata, con quel visetto birbante circondato da riccioli
biondi...e la spada sguainata!”disse per farla sorridere.
Ma
ricordava chiaramente che l'affetto e la dedizione avevano presto
sostituito quell'iniziale timore. La baciò prima di proseguire.
“Questa
è la nostra stagione, come mi hai detto, prima di lasciare Parigi,
ricordi? La più bella, la più difficile...ma non dobbiamo restare
per forza a Marsiglia. Se vuoi fare ritorno...”
“No-
lo interruppe, poggiando l'indice sulle sue labbra-non è
necessario...non adesso, almeno.
Questo è un momento critico, non
voglio abbandonare Mossy in carcere, non desidero andarmene proprio
ora che Alain è arrivato in città, con il difficile compito di
riportare ordine e allontanare Caraman e le sue truppe...Mia madre mi
ha confermato di stare bene e di essere in salute, e non potrebbe
essere così se mio padre fosse in pericolo. Non ne ha fatto cenno,
ma lo ha fatto per proteggerlo. Mi ha scritto senza
riportare un solo nome...Certamente un gesto dettato dalla prudenza,
nel caso la lettera fosse caduta nelle mani sbagliate...”
Poi
spostò lo sguardo sull'altro documento che Alain le aveva portato.
“Come
intendi rispondere a questa donazione?” le chiese Andrè.
“Veramente
la proprietà è stata intestata a tuo nome...”
“...in
quanto tuo marito. E semplice cittadino. Ma lascio a te la scelta su
come agire a riguardo”
Oscar
prese lo spesso foglio ripiegato e chiuso dalla ceralacca.
“I
miei genitori hanno sempre saputo quanto amassi quella tenuta di
campagna. Quanto piacesse anche a te recarti lì, nei periodi di
riposo dai nostri obblighi a corte. Potevano lasciarci la villa in
Normandia o lo stesso palazzo vicino a Versailles...ma hanno scelto
Arras. Non credo sia un caso...” concluse, allungando ad Andrè il
documento.
“Domani
puoi portarlo con te in città, e trovare un notaio che firmi il
passaggio di proprietà”
Andrè
annuì. Non ne parlarono più.
Oscar
si preparò per la notte, mentre lui riattizzava il fuoco e chiudeva
gli scuri.
Quando
la raggiunse, lei si strinse al suo corpo e si amarono lentamente,
con dolcezza. Prima di scivolare nel sonno, Oscar riportò alla mente i
suoi ricordi di Arras: le cavalcate sulle colline, le abbuffate alla
locanda, un senso di felicità e libertà che nemmeno l'ultima
sortita, quando erano intervenuti per salvare Gilbert e avevano
preso coscienza delle drammatiche condizioni dei fittavoli, aveva
cancellato.
Ripensò
alle parole di sua madre.
Considera
questa donazione come un regalo di nozze, per te e tuo marito.
Se
dopo tutto questo ci sarà un futuro, quel tempo è vostro, e viverlo
laggiù sarà un modo di riannodare la vostra vita presente al
passato, di cui siete figli.
*Ho
immaginato che con 5 o 6 figlie femmine (dipende dalle versioni),
almeno una avesse preso i voti e fatto carriera in convento
**
Documento che conferiva all'Assemblea la nomina dei vescovi e la
remunerazione dei prelati, esautorando il Papa del suo potere e il
clero delle sue ricchezze
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
Bentornato
a chi riprenderà i fili di questa mia fic.
Ripropongo
il solito “riassunto puntate precedenti”
La
storia comincia la sera in cui Oscar va dal medico e scopre di avere
la tisi nonchè l'imminente cecità di Andrè.
Alain,
che la segue su richiesta di Andrè, preoccupato per le sue
condizioni, le parla e la convince a trovare il modo di “lottare”
senza mettere in pericolo la sua vita e quella dell'amico.
Dopo
un incontro con Bernard, Oscar decide di trasferirsi lontano da
Parigi, a Marsiglia, ed intraprendere, insieme ad Andrè, un'attività
di propaganda delle idee e degli avvenimenti rivoluzionari, sia
attraverso le pubblicazioni su un giornale, sia finanziando una rete
di corrieri per la trasmissione delle notizie dalla capitale verso il
resto del paese. Chiede ad Alain di prendere il suo posto a capo
della Compagnia B della Guardia Francese.
Prima
della partenza Oscar parlerà con suo padre, che la invita a portare
Marie con loro. Inoltre si unisce al gruppo anche il giovane Sugane,
che Robespierre ha portato a Parigi da Arras. Infine, lungo il
viaggio sui canali fluviali, raggiungeranno Buffon, una località
dove li attende un medico e studioso italiano, Domenico Cirillo,
simpatizzante delle idee rivoluzionarie, in viaggio verso l'Italia.
Oscar
giunge a Buffon in fin di vita, non può più nascondere ad Andrè le
sue condizioni, e decide di sposarlo prima che sia troppo tardi. In
realtà, grazie alle cure del medico italiano, la giovane migliora e
questo induce Cirillo a ritenere sbagliata la diagnosi di Lassonne:
Oscar avrebbe un'affezione polmonare, molto seria, ma non la
tubercolosi. Inoltre consiglia ad Andrè di proteggere dalla luce
intensa del giorno l'occhio destro, e questo rimedio consente al
giovane di non perdere completamente la vista.
Il
viaggio prosegue verso Marsiglia, e permette ai nostri di rendersi
conto della situazione critica in tutta la Francia: coltivazioni
abbandonate, saccheggi indiscriminati, fuga dei nobili.
A
Marsiglia vengono accolti dal sindaco borghese, Etienne Martin, un
ricco mercante della città e scrivono articoli per il Courier de
Marseille, di proprietà di un giovane e cauto rivoluzionario,
Auguste Mossy. Il giovane Sugane comincia la sua attività di
corriere, col cuore spezzato da un amore non corrisposto per la
giovane figlia di Martin.
Oscar
viene riconosciuta dal cavaliere di Caraman, il comandante in capo
dell'esercito di Provenza, che interverrà per sedare dei disordini
nell'agosto del 1789. L'azione ha lo scopo di improgionare i capi
rivoluzionari della città, e anche l'editore Mossy finirà rinchiuso
nei forti del porto, trasformati in prigioni.
I
mesi passano, la situazione a Marsiglia è in stallo e nuoce al
commercio della città, fondamentale per l'intera Francia. La Fayette
decide di inviare nella città portuale Alain, che si è distinto
durante la presa della Bastiglia, per riformare una Guardia Nazionale
e permettere all'Assemblea di destituire Caraman e le sue truppe. Il
giovane raggiunge i suoi amici e racconta loro lo scopo della sua
missione, ed anche il desiderio di lasciare l'uniforme e ritirarsi
nei possedimenti che ha acquistato ad Arras, a seguito degli espropri
dei terreni appartenuti al clero.
Dovrà
anche metterli al corrente di quello che realmente è successo a
Versailles con il trasferimento della famiglia reale a Parigi:
saccheggi e distruzione che non hanno risparmiato neanche palazzo
Jarjayes, costringendo alla fuga i genitori di Oscar. Alain riuscirà
a rintracciare madame Marguerite, in un monastero, e la donna, prima
di lasciare la Francia, affiderà al giovane un documento con cui
trasferire ad Andrè le proprietà dei Jarjayes ad Arras.
Capitolo
20
Avvolto
nel suo mantello osservava il mare.
Non
l'aveva mai visto prima di arrivare a Marsiglia e ne era rimasto
affascinato. Quell'incessante, ritmico movimento di acqua e schiuma,
che terminava la sua corsa sulla sabbia fine della spiaggia, perdendo
tutto il suo vigore, non finiva di riempirlo di stupore. Gli piaceva
quel brillio della fredda luce del mattino sulla superficie
increspata dell'acqua, il mormorio incessante delle onde, a volte
interrotto dal solitario garrito di un gabbiano in volo.
Li
stava aspettando e non si fecero attendere. Riconobbe le due figure
che avanzavano sull'arenile, a breve distanza l'una dall'altra: il
dottore, minuto e con l'immancabile tricorno calato in testa, quasi
una linea nera all'orizzonte, Oscar con la chioma libera e fluente,
sopra il mantello, illuminata dal sole di quel mattino invernale.
Erano
rimasti in parola di incontrarsi nuovamente, qualche settimana dopo
la sua partenza da Chateau Magenta, alla locanda dei pescatori, alla
periferia della città.
Per
lui quei pochi giorni erano stati faticosi, sebbene l'incontro con
Caraman fosse stato meno complicato del previsto. Alain dovette
ammettere che il suo nuovo comandante, benchè ideologicamente
distante, era un uomo capace, molto ben informato, orgoglioso e
concreto. Si sentiva superiore, per grado e per nascita, ma era privo
della boria e della inutile vanità che caratterizzavano l'agire di
La Fayette. Aveva ben compreso lo scopo dell'arrivo del comandante De
Soisson e non intendeva ostacolarlo.
“Vieni,
entriamo!” gli disse Oscar, non appena l'ebbe raggiunto. Cirillo
fece un cenno di saluto col cappello e raggiunse la carrozza per
rientrare.
Si
sedettero in un angolo appartato, vicino ad un camino annerito, colmo
di cenere polverosa, quasi a soffocare le poche braci ancora accese.
“Stai
bene, Alain?” chiese Oscar.
Lui
si sentì quasi imbarazzato dal tono premuroso con il quale gli si
rivolse. Si passò le mani tra i capelli.
“Si,
solo un po' stanco. C'è molto da fare...direi tutto, praticamente”
Voi
invece siete diventata ancora più bella...pensava,
mentre lei si toglieva il mantello con un movimento fluido, che
lasciava ricadere sulle sue spalle i lunghi capelli dorati.
Non
avete più l'aria sofferta e gli occhi cerchiati come quella sera,
nella carrozza fuori dalla casa del dottor Lassonne. I vostri occhi
ora brillano, incessantemente, come il mare qui fuori...
Non le disse una parola,
sorrise nascondendo le labbra dietro al bavero della giacca.
Le
raccontò invece della completa disorganizzazione della Guardia
Nazionale. Nata come Guardia Cittadina di soli volontari, era stata
rivoluzionata da Caraman a seguito dell'episodio de la Tourette. Come
da tradizione, il comandante aveva nominato tutti ufficiali di
estrazione aristocratica o dell'alta borghesia della regione,
affidando loro il compito di reclutare nuovi soldati tra i popolani.
Questa campagna per rinfoltire le fila dei membri della Guardia era
stata fallimentare, nessuno voleva sottostare agli ordini dei nobili.
E così Alain aveva dapprima faticato ad individuare possibili
graduati tra i pochi borghesi ancora in servizio, poi li stava
sostituendo poco per volta agli uomini di Caraman, seminando
risentimento ed ostilità nei suoi confronti, mentre aspettava che
quest'ultimo gli mettesse a disposizione un edificio, perchà la sua
compagnia avesse una sede propria, distinta da quello dell'esercito
di stanza in Provenza, e una somma di denaro per le paghe dei
soldati.
“Penso
si potrebbe chiedere ad Andrè di scrivere sul Courier
qualcosa a riguardo...un invito, per i giovani della città, ad
arruolarsi per salvaguardare i loro quartieri e le loro
famiglie...”disse Oscar, dopo averlo ascoltato attentamente.
“Grazie...si,
direi che sarebbe di grande aiuto. Senza uomini non posso nulla”
Sentì
lo sguardo della donna fisso su di lui.
“Ascolta,
Alain...io sono qui, se avessi bisogno di una mano...”
“In
effetti- riprese, avvicinandosi a lei- c'è qualcosa che vorrei
chiedervi...”
“Ti
ascolto”
“Caraman
mi ha parlato di una possibile sede per la caserma dei
soldati...vorrei che voi le deste un'occhiata. La posizione del
nostro quartier generale è importante, ma sono a Marsiglia da meno
di un mese, voi conoscete certamente la città meglio di me...”
Oscar
annuì, sorridendo.
“Ho
forse detto qualcosa di buffo?” chiese
“No-replicò
alzandosi- il mio era solo compiacimento: sei davvero diventato un
bravo comandante”
Alain
rise a sua volta, e si grattò la nuca, un gesto infantile dettato
dalla lusinga di quell'apprezzamento.
Attesero
il ritorno della carrozza che aveva riportato Cirillo a casa e
lasciarono insieme la spiaggia.
Nel
frattempo Domenico era rientrato a casa. Aveva ancora il piede sul
predellino della carrozza quando il rumore scomposto degli zoccoli di
Gilsù riempì l'aria.
Gilbert
smontò prima che il suo cavallo si fermasse, poi si guardò in giro,
nella speranza di trovare qualche domestico nei paraggi a cui
affidare l'animale.
“Devo
riportare la carrozza da madame Grandier” gli urlò il vetturino,
mentre già manovrava il mezzo per imboccare nuovamente il cancello e
lasciare la tenuta.
Il
ragazzo sospirò pesantemente e prese le redini di malavoglia.
“Buongiorno,
monsieur Sugane! Com'è stato il viaggio?”
Il
giovane si voltò, non si era accorto della presenza del medico
italiano nel cortile.
“Come
volete che sia andato? Come al solito!” rispose in modo asciutto.
“Polvere,
sole, vento, pioggia e poi ancora polvere...” disse come recitasse
una cantilena, voltando le spalle all'uomo e dirigendosi verso le
scuderie. Strattonò il suo cavallo, che, scovato un ciuffo di erba
fresca tra i ciottoli del cortile, stava già brucando.
Cirillo
non si fece scoraggiare dai modi sgarbati del ragazzo e lo seguì.
In
verità, Gilbert lo preoccupava. L'infelicità protratta era come una
malattia: ne vedeva i segni nell'animo di Gilbert, ne coglieva tracce
nei suoi modi sciatti, nel tono arrabbiato della voce, ma anche nella
poca cura per la sua persona, nella barba rada ma incolta, nei
capelli perennemente sporchi e spettinati, nella camminata curva e
quasi claudicante, che gli conferiva più anni di quanti realmente
avesse.
“Vi
ci vuole un bel bagno tiepido, Gilbert, e una tazza di the e latte
caldi”
Si
pentì subito di quei suggerimenti, che certo non potevano avere
presa su un ragazzo della sua età. Il ghigno soffocato che seguì le
sue parole confermò il suo sospetto.
“Vada
per il bagno, ma non provate a propinarmi i vostri intrugli
disgustosi! Piuttosto un po' di vin brulè, per scaldarmi...”
Cirillo
non si scoraggiò. Invitò il giovane ad andare in cucina e, dopo
aver chiesto a Marie di predisporre quanto necessario ad un accurato
nettoyage, lo raggiunse e si mise a preparare personalmente il
vino e le spezie. Lo studiava di sottecchi: i gomiti poggiati sul
tavolo, il capo chino e i capelli incolti davanti agli occhi, chiusi.
Si
fece coraggio: in fondo non aveva molto da perdere.
“Gilbert,
ho un'età ed una cultura per cui è difficile che possiate
considerarmi un pari...forse più vicina a quelle di un padre, ma non
è a questo genere di confidenza che aspiro. Posso tuttavia esservi
amico, sinceramente. Potete dirmi cosa tormenta il vostro cuore, cosa
vi impedisce anche la più piccola felicità.”
Il
ragazzo alzò la testa e lo fissò, stringendo gli occhi.
“Non
è un mistero, caro ragazzo. Si vede costantemente, in quello che
siete...per come vi comportate...”
“Io
sono questo, monsieur Cirillo” rispose, cominciando a dondolarsi
con la sedia.
“Un
miserabile, cresciuto nella povertà. E quello che vedete è
semplicemente il risultato di tutto quello che mi è capitato nella
vita”
“...e
di quello che non vi è capitato” concluse l'altro.
Il
ragazzo allora spalancò gli occhi un istante, per poi tornare a
fissarli sulle sue mani.
“Quanti
giorni mancano al 18 marzo?” chiese, mentre si tormentava le
unghie, senza alzare lo guardo.
Cirillo
stava mescolando il vino riscaldato, e si fermò a quelle parole. Era
la data fissata per il matrimonio della giovane Marie Anne Martin.
“Ve
lo chiedo perchè...è un calcolo che non so fare.”
Questa
volta levò lo sguardo verso l'uomo più anziano.
“Mi
piacerebbe almeno sapere...quanto, quanto ancora rimane...”
Un
singhiozzo spezzò quella frase.
Gilbert
tornò a chinare il capo, stringendo i pugni.
“Non
importa...non ditemelo! Non cambia nulla per me saperlo.
Non
è ancora il tempo di un mondo dove siamo tutti uguali, dove un
povero può almeno provare a suscitare l'interesse di una giovane
benestante, non è così?”
A
quelle parole, Cirillo pensò immediatamente ad Oscar ed Andrè, ma
ritenne saggio non riportare a Gilbert quell'esempio. In fondo aveva
ragione.
“No,
è proprio così, monsieur Sugane. La penso come voi. L'agiatezza e
il prestigio, propri o della famiglia da cui si proviene, sono le
chiavi per aprire mille porte, anche quelle di una damigella in età
da marito. Ma se il fatto di non possederle vi fa sentire una nullità
come persona, allora ragionate esattamente come i vostri detrattori”
Si
sedette di fronte a lui.
“Ci
sono due qualità necessarie in un uomo: l'amore ed il coraggio. Sono
chiavi pesanti da portarsi appresso, ma aprono porte di cui nemmeno
potete immaginare l'esistenza. In voi vedo l'amore...trabocca dal
vostro cuore. Adesso però mostratemi il vostro coraggio”
Avvicinò
alle sue mani il bicchiere colmo di vino caldo e profumato.
I
suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Se
volete qualcosa che non avete mai avuto, dovete fare qualcosa che non
avete mai fatto*, Gilbert! Uscite ogni tanto da queste mura! Cercate
di conoscere i luoghi che frequentate, parlate con chi li abita!
Siete giovane, non dovreste trascorrere tutto il vostro tempo in
sella a Gilsù o rintanato qui a Chateau Magenta. Lì fuori-continuò
puntando il dito verso la finestra- è pieno di giovani come voi che
si confrontano, discutono, si indignano e lottano, perchè il mondo
diventi come voi sperate, un mondo dove tutti siano uguali nei
diritti...e nelle possibilità!”
Tacque
un istante, poi si alzò per lasciarlo solo. Come per i medicamenti,
anche le parole andavano dosate e somministrate poco per volta.
“Il
vino è perfetto, monsieur Cirillo” disse Gilbert.
Il
timbro della sua voce era forte, ora.
“Grazie.
Penserò a quanto mi avete detto”
Quando
sentì le campane suonare le quattro del pomeriggio, Andrè si sfilò
il grembiule sporco di inchiostro e si lavò le mani. Era il momento
in cui lasciava la stamperia e si avviava a piedi verso St.
Barthelemy, sfruttando l'ultima luce del giorno.
Gli
operai lo imitarono e alla spicciolata lasciarono tutti l'edificio,
lui per ultimo. Chiuse il portone con un grosso lucchetto e alzò il
bavero del mantello per proteggersi dall'aria fredda e salmastra che
veniva dal porto.
“Monsieur
Grandier?”
Si
sentì chiamare da una voce sconosciuta.
Un
uomo completamente vestito di nero, col tricorno calato sulla fronte
a nasconderne il volto, lo aspettava davanti ad un'anonima carrozza.
Non si mosse.
“Prego,
monsieur. Il mio signore vorrebbe conferire con voi...non temete” e
così dicendo aprì la portiera dell'abitacolo.
“Il
vostro signore, dite? E chi sarebbe?”
Il
servitore si inchinò tenendo la portiera spalancata, senza
rispondere.
Andrè
esitò un istante. Dal fondo della via uno degli operai si voltò e
lo salutò nuovamente. Ricambiò il saluto, poi si risolse a seguire
lo sconosciuto e, un istante prima di udire lo schiocco della frusta
e a seguire il rumore degli zoccoli sul selciato, pensò, come per
una premonizione, che perlomeno qualcuno lo aveva visto montare in
carrozza.
Avevano
concluso la visita dell'edificio nel quartiere di Thiers.
Alain
aveva fatto strada ad Oscar tra le varie stanze, attraverso lunghi
corridoi, per le scale che portavano al primo piano, su un piccolo
balcone affacciato sulla piazza sottostante e poi attraverso un
porticato interno, fino a giungere ad una piccola rimessa, che poteva
fungere da scuderia per i cavalli. Sentiva il rumore dei loro passi,
in quei luoghi deserti, e percepiva il suo sguardo attento posarsi e
cogliere ogni dettaglio.
Quando
ebbero terminato, Alain si sedette sul muretto del
chiostro che delimitava il cortile interno.
“Che
dite, Oscar? E' troppo piccola, vero? Lo spazio non è sufficiente,
soprattutto per i cavalli.”
Oscar
si appoggiò ad una colonna, a sua volta. Si sentiva stanca.
Sicuramente Cirillo l'avrebbe rimproverata per quella giornata piena,
senza i momenti di riposo per i quali si raccomandava sempre.
“No,
Alain, non direi proprio. La posizione è ottima, vicina al porto e
al quartiere Panier, le zone più vivaci della città. E allo stesso
tempo siete sufficientemente in disparte. Un lungo ed ampio viale vi
conduce alla città vecchia, ma lì è tutto un dedalo di vicoli e
viuzze...non potresti mai penetrarvi con gli uomini a cavallo, e per
farlo dovresti disporre di soldati molto abili, mentre la maggior
parte di loro sa stare in sella a malapena ...no...quello che ti
consiglio è di gestire la compagnia con una parte a cavallo, una
specie di piccolo corpo di cavalleria, che possa raggiungere
rapidamente un luogo critico, seguito dalla maggior parte dei soldati
a piedi, con un armamento leggero...niente spada, solo il fucile...
Questo
di permetterebbe anche di contenere i costi della Compagnia, Caraman
non sarà disposto a concederti più di tanto. Accetta questa
soluzione e pensa a come adattarti...”
Alain
la osservava, sorridendo. Era felice di averla lì, con lui, pronta a
dargli consigli. L'ammirazione che nutriva per lei accresceva col
tempo invece di scemare, anche se da diversi mesi non indossava più
l'uniforme e non era più il suo comandante.
“Che
c'è da sorridere?” gli chiese, cogliendo l'ilarità sul suo
volto.
“Non
voi manca...tutto questo?” le chiese a bruciapelo.
“Siete
così capace, e pronta. Basta vedervi muovere e ascoltare le vostre
osservazioni per comprendere quanto siate adatta al ruolo di
comandante.”
Si
sporse verso di lei.
“Non
vi manca la vostra vita nell'esercito?”
“No,
Alain, non mi manca, affatto.
Essere
un ufficiale, disporre di uomini armati, avere il potere di
esercitare il controllo, anche con la forza, anche con violenza, su
altri esseri umani...è una grande responsabilità. Ma se a sua volta
non si è liberi di decidere secondo i propri principi, se comunque
c'è sempre qualcuno che può ordinarti quando e contro chi
esercitare questa forza, in questi tempi dominati da disordini e
violenza...allora meglio non ricoprire certi ruoli.
Mai
come in questo momento sono grata di non dover ordinare a nessuno di
sparare, colpire, perquisire, interrogare, arrestare...”
Si
alzò e gli toccò un braccio.
“Sono
fiera per come stai gestendo questo importante incarico, e puoi
rivolgerti a me ogniqualvolta avrai bisogno, ma non pensare neanche
per un istante che tornerei ad indossare la divisa, o che ne senta la
mancanza. Sono stata e sarei un ottimo comandante? Sono sempre stata
anche altro, di non meno importante...”
“E
io sono felice che sia così, che non abbiate rimpianti, che non vi
manchi nulla”le disse, stringendo la mano che aveva posato sul suo
braccio.
I
quattro rintocchi delle campane fecero levare in volo un piccolo
stormo di colombi appollaiati sul tetto.
“Siete
stanca, ho approfittato della vostra generosità. E' tempo che
torniate a casa”
Oscar
annuì. Si separarono fuori dall'edificio: Alain si diresse verso i
forti, all'imboccatura del porto, mentre Oscar salì in carrozza e
ordinò di raggiungere la tipografia di Mossy per tornare a casa
insieme ad Andrè.
Incrociò
gli operai della stamperia che stancamente si dirigevano verso i
quartieri alla periferia della città: Andrè non era tra loro e
nemmeno lungo la strada che la separava dalla sede del Courier de
Marseille.
Con
una punta di delusione ordinò al vetturino di girare la carrozza e
riportarla a casa.
* questa non è mia...Roosevelt, mi sembra
Sbagliato, dalla regia mi dicono Jefferson (grazie Galla!)
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
Ohh,
ne è passato di tempo! Mi scuso con chi abbia iniziato a seguire
questa mia fic, da più di due mesi non aggiorno. Ne approfitto per
fare a tutte voi gli auguri per questo nuovo anno :-)
Dov'eravamo
rimasti?
Andrè
dirige il giornale al posto di Mossy, il proprietario arrestato a
seguito della repressione antirivoluzionaria del conte di Caraman,
definita dalla stampa l'affare Tourette, e proprio al termine di una
giornata di lavoro, lo vediamo salire su una misteriosa carrozza...
Capitolo
21
Cercò
di seguire il percorso della carrozza, guardando oltre la tenda della
finestrella, ma la poca luce a disposizione non gli permetteva di
prevederne la destinazione. Sovrastando il rumore delle ruote sul
selciato, gli arrivarono prima il vociare di donne che rientravano a
casa, stringendosi negli scialli, poi le grida sguaiate che si
riversavano nei vicoli, quando passava accanto alle porte sgangherate
di qualche osteria; infine i rumori si attutirono, come se si
stessero inoltrando in un quartiere deserto.
Istintivamente
ripensò alle circostanze dell'arresto di Mossy: erano venuti in
quattro, tutti militari, e lo avevano prelevato da casa sua all'alba,
legandogli le mani dietro la schiena...no, era certo che non si
trattasse della stessa situazione.
Finalmente
la carrozza diminuì l'andatura e lentamente si fermò. Il vetturino
spalancò la portiera ed aiutò Andrè a scendere. Il sole era ormai
tramontato, e il giovane sciolse lentamente la fascia di tulle nero
che proteggeva l'occhio destro. Lo sconosciuto gli indicò l'ingresso
di una chiesa, prima di risalire a cassetta e ripartire, senza
pronunciare una sola parola.
Andrè
si guardò attorno, cercando dettagli famigliari.
Mentre
lentamente si componeva l'immagine che aveva davanti agli occhi,
riconobbe la facciata della basilica di St. Marie Madeleine des
Chartreux, con la caratteristica fila di otto colonne in stile
ionico, illuminate dal fuoco delle torce, già accese.
Sapeva
che il monastero dei frati certosini era stato confiscato alcuni mesi
prima e venduto a lotti al miglior offerente, dopo aver allontanato i
religiosi che vi abitavano.
Percorse
la lunga navata, tra le fila di panche in rovere che nessuno aveva
ancora portato via, in un silenzio assoluto, interrotto unicamente
dal rumore dei suoi passi. Solo quando giunse all'altare, illuminato
dalle fiammelle tremolanti degli ultimi lumi votivi accesi dai
fedeli, vide la sagoma di un uomo seduto in prima fila. Ne scorgeva i
boccoli della parrucca, candidi di cipria, tra il tricorno ed il
bavero del mantello.
“Prego
accomodatevi, monsieur Grandier” disse questi, senza distogliere lo
sguardo dall'altare maggiore.
Andrè
si sedette nella panca accanto. Percepì un profumo noto, essenza di
agrumi e mirra dolce, l'opera di un profumiere abile come Fargeon*.
“A
cosa debbo l'onore di questo invito, conte di Caraman?” disse,
senza voltarsi.
* Profumiere personale di Maria Antonietta e di buona parte dell'aristocrazia di Versailles
Sorseggiava
la cioccolata che Marie le aveva premurosamente preparato, fissando
oltre il vetro del terrazzo, lungo la strada. Ma non vedeva alcun
movimento all'esterno, solo scie di nebbia che sospinte dalla brezza
del mare si diffondevano per le vie del quartiere, come dita
impalpabili che si allungavano, sfiorando i muri e le porte, per poi
dissolversi al calore delle torce che illuminavano la strada.
“Perchè
sostate qui, madame? Spostatevi in cucina, dove il camino è già
acceso, questa umidità non giova alla vostra salute”
La
raccomandazione di Cirillo non provocò in lei la minima reazione.
Rivolse invece lo sguardo alla pendola in bronzo dorato che
troneggiava su un tavolino alle sue spalle.
Stava
pensando che Andrè non era ancora rientrato, anche se la tipografia
era chiusa da almeno un paio d'ore, anche se ormai era buio. Lui
rientrava sempre prima, le tenebre accuivano le sue difficoltà con
la vista. E lei sentiva il pericolo, impalpabile ma reale, come la
foschia che avvolgeva le case ed la città, oltre quella vetrata.
“Non
siate preoccupata per Monsieur Grandier! E' vero, di solito a
quest'ora è già rincasato, ma c'è sicuramente una spiegazione alla
sua assenza. Forse ha trovato un amico, si è fermato in qualche
locanda, o aveva una commissione...Insomma, non significa che sia in
pericolo...” concluse, pentito di aver usato proprio quel termine.
“Andrè
è puntuale, consapevole dei limiti della sua vista, con questo
clima- intervenne Oscar, la voce ferma e lo sguardo fisso oltre il
vetro - e anche del fatto che un suo ritardo metterebbe in allarme
sua nonna..e me”
“Suvvia,
madame! Una donna razionale come voi!” la spronò l'uomo.
Oscar
bevve un sorso di cioccolata e non rispose. Capiva il pensiero di
Cirillo, concreto ed ancorato alla ragione. Ma sapeva che, a dispetto
della logica e del raziocinio, esisteva un universo di sensazioni ed
intuito, che poteva esprimersi attraverso “segni premonitori”, un
mondo sommerso, che sussisteva anche se trascurato. Fissò la tazza
che stringeva tra le mani, e ne ricordò un'altra, andata in frantumi
sotto il colpo di becco di un corvo nero, davanti ad un cielo
infuocato. Allora aveva avvertito il pericolo e lo aveva ignorato,
come un' improbabile suggestione. Ma nella notte che aveva fatto
seguito a quel tramonto, la sua vita e quella di Andrè erano
cambiate irrimediabilmente.
Cirillo
la raggiunse davanti alla finestra.
“Vado
a cercarlo” disse, prima di allontanarsi.
“No,
andrò io, con Gilbert.”
Oscar,
a un passo dalla porta, si voltò di scatto. Le parole del medico
suonavano come un ordine.
“Oggi
vi siete stancata anche troppo” continuò, assumendo un tono più
dolce.
“Vi
ringrazio, Monsieur Cirillo, ma...se Andrè avesse bisogno di
aiuto...” lasciò la frase sospesa, mentre estraeva
una pistola dal cassetto del suo secretaire di
mogano e la infilava nella cintola.
Sentì
il braccio dell'uomo posarsi sul suo.
“Non
è detto che Andrè abbia bisogno di quel genere di aiuto...e se sarà
necessario, verrò a chiamarvi. Ma per ora...restate qui. Date ai vostri
amici la possibilità di dimostrarsi tali”
Oscar
esitò un istante, poi richiuse il cassetto. Dopo una manciata di
minuti vide i due uomini dirigersi verso il centro della città.
C'era
una locanda, proprio a metà strada tra il porto e la tipografia,
dove Andrè si trovava spesso con Mossy, prima che lo arrestassero.
Nelle giornate fredde o piovose fungeva da luogo di incontro per
discutere degli articoli da pubblicare e per la consegna dei
manoscritti. Cirillo si diresse subito lì, nella speranza che Andrè
si fosse fermato a conversare con qualcuno e avesse perso la
cognizione del tempo.
Il
locale era affollato, da una parte uomini stanchi dopo una giornata
di duro lavoro, che convertivano parte della loro paga in un momento
di svago, prima di rientrare a casa, dall'altra giovani borghesi,
infervorati dalle idee rivoluzionarie, discutevano animatamente delle
ultime voci che circolavano in città. Tra i vari tavoli, si
muovevano, non senza difficoltà, i quattro figli del locandiere,
sollevando i vassoi sopra la testa per non urtare gli avventori.
Cirillo
si tolse il tricorno e rimase qualche istante all'ingresso, per
abituare la vista alla poca luce e all'aria pregna di fumo di tabacco
e di odore di cera bruciata. Quando intravide uno degli operai della
stamperia, lasciò Gilbert vicino all'uscio e si diresse deciso in
direzione del tavolo al quale era seduto. Il ragazzo lo vide chinarsi
e scambiare poche parole con l'uomo, poi tornò da lui.
Lo
vide voltarsi verso l'interno dell'osteria, prima di calarsi
nuovamente il cappello in testa, quasi a prendere tempo.
“Cosa
vi ha detto Monsieur Cirillo? Su, parlate!” lo esortò.
“Lo
hanno visto salire su di una carrozza, al termine della giornata di
lavoro...”
“Una
carrozza?” ripetè Gilbert, senza capire.
L'uomo
poggiò entrambe le mani sulle sue spalle.
“Ascolta...mi
è venuta un'idea...riguardo alla destinazione di Monsieur Grandier,
ma potrei sbagliarmi. E' meglio se ci dividiamo: tu rimani qui, alla
locanda, nel caso passasse di qui. Quando sentirai le campane
battere otto volte, fai ritorno a casa”
Lo
accompagnò al bancone e diede all'oste alcune monete.
“Una
birra per il mio giovane amico”disse, prima di dirigersi
all'uscita.
“Ma...monsieur
Cirillo, cosa devo dire a Oscar se dovessi rientrare da solo?”
“Questo
non accadrà, stai tranquillo”
Gilbert
avvertì urgenza nel tono di voce del medico e forse la volontà di
non esporlo al pericolo, ordinandogli di restare alla locanda.
Non
ebbe tempo di trovare ulteriori obiezioni: la porta si spalancò e in
un attimo Cirillo uscì e si avviò verso le luci del porto, a passo
spedito.
Caraman
sussultò visibilmente, all'udire il suo nome, mentre Andrè
sorrideva, nascosto dal buio. Pensava al vantaggio che in quella
circostanza gli veniva dall'essere stato l'attendente del comandante
delle Guardie Reali, a Versailles. In veste di semplice servitore,
passava inosservato, nessuno rammentava il suo nome o il suo volto,
mentre lui era tenuto a riconoscere tutti i membri dell'aristocrazia
che a vario titolo entravano nella vita dei sovrani, a rammentarne i
nomi, a individuarne la presenza in pochi attimi, spesso a
raccogliere informazioni su di loro.
Questa
posizione di svantaggio infastidì il comandante, che si voltò
stizzito verso di lui.
“Chi
diavolo siete? Come avete potuto riconoscermi?”
“Sono
un semplice cittadino, vostra signoria. E a Marsiglia chiunque
conosce il vostro nome”
“Già...ma
in pochi saprebbero riconoscermi, senza la divisa, alla fioca luce
delle candele...se non mi avessero già visto altrove!”
Andrè
tacque e l'uomo sospirò.
“Un
semplice cittadino, dite? Però vivete a Chateau Magenta, dove dimora
l'ex comandante delle Guardie Reali... che afferma di essere a
Marsiglia per motivi di salute. E questo spiegherebbe perchè la si
trovi spesso in compagnia di un noto archiatra italiano...”
Andrè
non fece alcun cenno di reazione alle sue parole.
Quindi
il vostro interesse è rivolto a lei...
L'uomo
riprese il discorso, con tono più pacato.
“Il
mio compito è quello di mettere insieme i tasselli di un mosaico
del quale, fino ad ora, non ho compreso il disegno. Da quando Oscar
Francoise de Jarajyes è arrivata in città, l'estate scorsa, ho
cercato conferme a quanto mi aveva riferito. Ma i suoi servitori non
si lasciano scucire nemmeno un pettegolezzo, ho dovuto trovare un
altro modo per ottenere informazioni e l'ho fatta seguire.”
Fece
una pausa, quasi si aspettasse un intervento da parte di Andrè.
“E
i miei uomini mi hanno riferito di passeggiate in riva al mare e di
una vita piuttosto ritirata, ben diversa da quella che conduceva a
Parigi. Certamente consona ad una persona malata, tuttavia...”
Attese
nuovamente una reazione, inutilmente.
“Tuttavia
si è trasferita a Marsiglia, una città che offre molte opportunità
ma che certamente non vanta un clima particolarmente salubre, atto a
migliorare una salute cagionevole. Vive in una dimora che le è stata
offerta dal sindaco, noto commerciante, a cui si è rivolta, non
appena giunta in città, invece di frequentare le famiglie
aristocratiche del luogo....”
“Continuo
a non comprendere perchè abbiate voluto incontrarmi, e perchè farlo
qui” lo interruppe Andrè.
“Perchè
voi siete il tassello mancante, monsieur Grandier. Vivete sotto lo
stesso tetto, ma non siete un servitore né un parente, non siete un
medico o un farmacista. Da qualche mese poi vi occupate della
tipografia di Mossy...”
Andrè
si irrigidì: nonostante la discrezione dei domestici e le
precauzioni che avevano sempre seguito, Caraman era riuscito a
scoprire molto, non abbastanza per mollare la presa su di loro.
Pensò
che forse la verità sarebbe stata la risposta migliore: non tanto su
ciò che faceva, ma su chi fosse lui, nella vita di Oscar.
“La
donna che avete fatto seguire è madame Grandier, mia moglie” disse
pacatamente.
Caraman
si voltò di scatto.
“Badate
a voi, monsieur Grandier, ad abusare della mia tolleranza! Se il
conte de Jarjayes vi sentisse parlare di lei in termini così
degradanti, vi farebbe saggiare la lama della sua spada!”
Andrè
si alzò e gli si mise innanzi.
“Correrò
questo rischio, conte di Caraman. Ma la persona di cui parlate ha
rinunciato al proprio titolo nobiliare e ha deciso di sposarsi per
amore. Lo so che può sembrare incredibile, lo penso spesso anch'io,
eppure è accaduto.”
Caraman
scoppiò a ridere, e il suono della sua risata rimbombò lungo le
volte della basilica.
“E
io che credevo fosse lei la penna che si firma Glacè Marron!”
Andrè
sentì un brivido di freddo all'udire quel nome.
“Un
giornalista diverso da tutti quelli che sono obbligato a leggere, che
ha fatto la sua comparsa sul Courier de Marseille
dall'estate scorsa, proprio come madamigella Oscar è comparsa in
città. Un giornalista che scrive con garbo, senza incitare alla
violenza, riportando sì le protratte inadempienze dei sovrani, ma
ricordando a tutti i lettori le origini tanto diverse del re e della
regina, la loro vita beata ma segregata, all'interno della mura di
Versailles, l'influenza nefasta di tanti approfittatori... Solo chi
abbia vissuto alla reggia, a lungo, può descrivere con tanta
famigliarità questi aspetti della condotta e del carattere dei
sovrani...”
“Perchè
vi interessa questo giornalista? Ha fatto qualcosa per cui merita di
essere arrestato?” chiese Andrè.
“No,
non avete capito. Le intenzioni di questo Glacè Marron non mi
riguardano: sono i piani del conte de Jarjayes che mi interessano. In
questa nostra società ci sono nobili che si spendono per la causa
rivoluzionaria...ed altri che rimangono fedeli alla nostra monarchia,
anche se dimostrano il contrario. I primi sono indegni, traditori del
loro stesso sangue, mentre i secondi...sono la speranza per la
Francia”
Andrè
si coprì il volto con le mani. Caraman non credeva ad una sola delle
sue parole: quando pensava ad Oscar rivedeva il comandante delle
Guardie Reali, come l'aveva conosciuta anni prima, durante i lavori
per restaurare il Petit Trianon...l'ombra di Maria Antonietta, fedele
alla sovrana, in qualsiasi caso. Pensava scrivesse sul Courier de
Marseille per portare avanti una campagna di informazione in
apparenza filorivoluzionaria, nella sostanza fedele alle ragioni
della monarchia. Era di questo che cercava conferme. Che Oscar fosse,
al di là della apparenze, schierata dalla sua stessa parte.
Si
alzò e si pose davanti al conte.
“Non
sono d'accordo con voi, conte di Caraman. In questa nostra società
coesistono molti pensieri e schieramenti, non c'è solo chi è a
favore o contrario alla monarchia. Per questo potete leggere parole
come quelle di Glacè Marron, ed altre più accese e violente.
Ma
la donna che voi vi ostinate a chiamare madamigella Oscar, non è da
tempo tra le Guardie Reali, ha lasciato l'esercito e la sua famiglia.
Lotta per un mondo equo, senza distinzioni di classe, a fianco di chi
vuole costruire una nuova società, quanto lo vuole lei.
E se
davvero vi interessa conoscere il giornalista che si firma Glacè
Marron...beh, l'avete davanti agli occhi”
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