Il nostro tempo

di M a k o
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Il nostro tempo pt.1 Dire che sono felicissima è estremamente riduttivo. Questo perché poter finalmente (ri)pubblicare questa storia è non solo un'immensa soddisfazione, ma anche un grande riscatto per la fanfiction stessa, dato che mesi addietro avevo pubblicato la prima parte e poi non l'ho più proseguita, quantomeno non qui su EFP, dato che sul computer avevo già la seconda parte quasi conclusa.
Soprattutto ci tengo a scusarmi con coloro che avevano recensito il primo capitolo della “vecchia storia”, sappiate che ho salvato tutte le vostre recensioni prima di cancellarla e che le custodisco nel computer.

Non ho nulla da dire a mia discolpa, semplicemente mesi addietro c'è stato un periodo in cui ho iniziato un migliaio di progetti diversi tutti in una volta ed è andata a finire malissimo, dato che nessuno si è salvato. Ma almeno questa storia, secondo me, meritava una seconda possibilità. Probabilmente mesi addietro non era ancora il suo tempo.

Andando più nello specifico, non è cambiato molto rispetto alla prima pubblicazione. L'unica differenza è che anziché essere una mini long di tre capitoli, sarà divisa in due parti – in questo primo capitolo, oltre alla parte già pubblicata in precedenza, c'è anche quella che sarebbe dovuta essere nel secondo, dedicata interamente al flashback.
Bello perché quando ho ripreso a scriverla ho pensato: dai che la rendo direttamente una One Shot, solo che è saltato fuori uno scritto di almeno 8k parole e allora no, meglio dividerla in due parti, lol – però quantomeno è già completa e revisionata, quindi ora non mi resta che pubblicare!

• La trama è sempre la stessa: Kaito e Ryoga che si ritrovano dopo sette anni di lontananza sia fisica che emotiva, dopo essersi lasciati in malo modo, senza neanche aver dato una possibilità al sentimento che stava nascendo tra di loro. Avranno modo di ritrovarsi dopo essere cresciuti e aver acquisito nuove consapevolezze e, per quanto riguarda i loro sentimenti, non vi resta che scoprirlo leggendo.

• Anche la canzone è sempre quella: Without You dei My Darkest Days per me è e sarà sempre la canzone di Kaito e Ryoga per eccellenza, penso che descriva appieno quella che è la loro relazione per come li vedo io come coppia.
Ci saranno diverse parti del testo disseminate lungo la storia, anche se non saranno propriamente in ordine – spero non vi dia fastidio questa mia scelta.
Detto ciò, giuro che non vi tedierò ulteriormente con queste N.d.A., infatti a fine capitolo non troverete altro!
Vi auguro buona lettura!



Il nostro tempo

Parte 1



If I had my way
I'd spend every day right by your side
And I if could stop time
Believe me I'd try for you and I



1

Non era il nostro tempo. Sette anni fa. Non lo era affatto.
Quelle parole
    (dodici parole, per l'esattezza)
gli riecheggiavano nella mente senza tregua alcuna.
Il suo intero corpo tremava interiormente, facendo vacillare con poco garbo la dura scorza che lo rivestiva, la quale si era lentamente inspessita nel corso degli anni. Anni che, in quel momento, parevano quasi sciogliersi tra le dita come neve baciata dal sole.
Aveva lasciato qualcosa
    (qualcuno)
indietro. Un pezzo di anima che voleva assolutamente ritrovare e riattaccare al suo posto di appartenenza, quello che gli spettava di diritto.
Vivere con un buco nel cuore e nella memoria per tanto tempo era stato difficile, a tratti tremendo: i giorni trascorsi a domandarsi come stesse o cosa stesse facendo si erano rivelati laceranti, un vero e proprio esercito di spilli agguerriti e avvelenati che vessavano ogni più piccolo frammento di serenità conquistato con tanta fatica.
Kaito ricordava bene quei giorni, avrebbe potuto raccontarli a menadito tutti, dal primo all'ultimo, senza tralasciare alcun particolare
    (in fin dei conti erano la reiterazione di un unico giorno e quell'unico giorno gli si era talmente impresso sottopelle da conoscerlo ormai bene, come un fidato compagno di viaggi che altro non aveva da fare se non seguirlo ovunque come una seconda ombra)
e alla fine il risultato sarebbe stato sempre lo stesso: gli mancava.
Non c'era altro da ammettere se non quello: Ryoga gli mancava.


2

La loro storia non era nemmeno iniziata, sette anni addietro. Si erano conosciuti in quel periodo di vita in cui tutto risultava molto più delicato e compromettente – e anche molto più grande rispetto al normale.
Kaito non poteva ammettere apertamente di essersi innamorato di un ragazzino di quattordici anni che ancora frequentava la seconda media e Ryoga non poteva fare altrettanto, confessando a cuore aperto di avere una cotta
    (la prima cotta, quella adolescenziale, quella che difficilmente sbiadisce nel tempo e alcune volte te la porti dentro tutta la vita)
per un ragazzo di diciotto anni in procinto di terminare la terza superiore per poi, una volta ottenuto il diploma, affacciarsi al mondo dell'università.
Era tutto dannatamente amplificato. E faceva male. Faceva davvero tanto male. Con ogni probabilità – anzi no, era una certezza assoluta – si erano incontrati e soprattutto si erano innamorati nel momento sbagliato. Semplicemente, non era il loro tempo.
    (E qualcosa, nei meandri del cuore, scricchiolò appena. Ma fece rumore. Fece davvero tanto rumore).


3

Kaito avanzava guardando dritto davanti a sé, anche se i suoi occhi non erano propriamente attenti e se si fosse trovato qualcuno di fronte, molto probabilmente ci avrebbe sbattuto contro senza neanche accorgersene. Ma era solo, in realtà. Era solo, a guidarlo le stelle incastonate nel cielo e la luna che lo fissava con cieco splendore.
Il suono delle onde che placide si infrangevano sulla riva e il profumo dell'aria salmastra che gli punzecchiava le narici – le quali negli ultimi sette anni si erano troppo abituate allo smog cittadino – lo portarono a vagare con la mente
    (e con il cuore)
a tutti i momenti trascorsi con Ryoga, fino ad arrivare all'ultimo, svoltosi davanti la porta di casa sua. Era strano che proprio il mare lo portasse con la mente a pensare a Ryoga: non ci erano mai andati insieme, era qualcosa che mancava in quella che era stata la loro quotidianità
    (e in realtà a loro mancava proprio tutto).
Come un cerchio che si chiudeva. O come un compasso poggiato su un foglio di carta vergine, pronto a tracciarne uno nuovo, perfetto e intoccabile.


4

C'erano almeno una decina di battiti cardiaci che non gli sarebbero mai stati restituiti. Come potesse ancora camminare e respirare e avvertire la brezza sull'epidermide e tremare interiormente restava un mistero, ma di una cosa era certo: quei dieci battiti li aveva persi tutti, uno dietro l'altro, nel momento in cui Ryoga, quel pomeriggio, aveva risposto al suo messaggio, acconsentendo alla sua richiesta, dicendogli sì, vediamoci questa sera.
Kaito non lo aveva chiamato. Non voleva udire la sua voce. Non ancora. Gli sarebbe parsa troppo lontana e lui necessitava di sentirla da vicino. Voleva perdersi in quelle labbra sottili che si muovevano mentre articolavano ogni parola, in quella lingua che sapeva essere tagliente e dolce al tempo stesso. Voleva perdersi nel sorriso sghembo che tanto lo rendeva lui, che tanto lo rendeva Ryoga.
    (Chissà se sghignazzava ancora in quel modo).
Ryoga che quando aveva quattordici anni si credeva già grande, si credeva il padrone del mondo e cercava di imitare gli adulti senza rendersi conto di essere solo un riflesso sbiadito del giovane uomo che ancora non era. Non a quei tempi, almeno.
    (Non sette anni fa, quando ancora non era il loro tempo, quando tutto era compromettente, quando tutto faceva ancora tanto male. Quando i dilemmi adolescenziali parevano gineprai dai quali era impossibile uscire, quando ci si attaccava talmente tanto a qualcosa – qualcuno – da farne il centro del proprio universo e non ci si schiodava da lì neanche sotto tortura).
    (Quei quattro anni di differenza parevano un abisso profondo migliaia di chilometri, quasi potesse arrivare fino al centro del mondo e al contempo una montagna altissima, che con la punta quasi solleticava il cielo).
A quei tempi, poi, non si sopportavano nemmeno. O meglio, all'inizio era stato proprio così: per Kaito, Ryoga era un ragazzino troppo esagitato che si cacciava costantemente nei guai; per Ryoga, invece, Kaito era un ragazzo che si credeva chissà chi solo perché frequentava l'ultimo anno delle superiori e aveva la patente e poteva fare cose che a lui erano proibite poiché ancora troppo piccolo.
Erano solo quattro anni, dopotutto. Quattro anni che a quel tempo pesavano come un macigno di carta vetrata che lacerava la carne, i tessuti e i sentimenti più intimi.
Si erano avvicinati per puro caso e sempre per puro caso, un giorno, si erano ritrovati talmente attaccati da rendersi conto troppo tardi di essersi innamorati l'uno dell'altro. E il primo amore, quello vero, forse non aveva mai fatto tanto male.


5

If the world ceased to spin
You could start it again with just one smile
If the seas turn to sand
With the wave of your hand it would rain for miles


Kaito ricordava bene il giorno in cui comprese di essersi innamorato di Ryoga. L'inverno di sette anni addietro era ancora troppo presto, eppure al contempo era già troppo tardi per far sbocciare del tutto quel bellissimo sentimento.
Ryoga aveva riso. Semplicemente questo. I capelli gli erano ricaduti sulla fronte e ai lati della bocca e li aveva scostati, senza smettere di sghignazzare. Il motivo di tutta quella ilarità era contornato da bordi sfocati, anche perché Kaito era troppo impegnato a osservare Ryoga ridere e scoprire un mondo tutto nuovo per badare a cosa – o a chi – avesse scatenato tutta quell'esagitazione.
    (Molto probabilmente Yuma era scivolato. Oppure cercava di tenersi goffamente in equilibrio sull'immensa lastra di ghiaccio che aveva preso il posto dell'asfalto).
    (Yuma).
    (Sì, proprio Yuma).
    (Se non fosse stato per lui, Kaito e Ryoga non si sarebbero mai incontrati).
Mille supernovae gli erano esplose nel cervello e la loro scia si era diramata in ogni parte del corpo. Nonostante quel giorno facesse alquanto freddo, Kaito rimembrava senza difficoltà alcuna tutto il calore che aveva provato all'altezza del petto. Era forte, ma non invasivo, anzi: lo avvolgeva e lo faceva sentire inspiegabilmente bene
    (e confuso e agitato e oh cielo, cosa avrebbe dovuto fare?)
e più guardava Ryoga con lo specchio della propria anima, più si perdeva chissà dove.
Quello era stato, senza ombra di dubbio, il pomeriggio più strano di tutta la sua vita… ma anche il più bello. L'afferrare nuove consapevolezze con dita tremanti era stato, in un primo momento, alquanto arduo
    (ed era inutile negarlo, il primo amore sapeva essere anche spaventoso, perché più splendeva e più le ombre diventavano scure e spesse e tremende)
ma al contempo liberatorio.
Anche se, dopo sette anni, aveva capito di non essere più libero. E forse aveva smesso di esserlo nell'esatto momento in cui aveva voltato le spalle a Ryoga per l'ultima volta.


6

Kaito ricordava bene anche come si era comportato a riguardo: male. Non solo dopo aver realizzato l'immensità di quel sentimento aveva deciso caparbiamente di allontanarsi sia fisicamente che emotivamente
    (e più lo faceva, più Ryoga si avvicinava, forse senza neanche rendersene conto)
ma gli aveva anche dato il colpo di grazia quella lontana sera di fine inverno, davanti casa di Ryoga, quando gli aveva detto che si sarebbe trasferito a Den City per studiare Giurisprudenza. Den City, a ore e ore di treno da lì, da Heartland City. A centinaia di chilometri di distanza dalla persona che aveva iniziato ad amare troppo presto e al contempo troppo tardi.
Rimembrava bene le sfumature che gli occhi di Ryoga avevano assunto. E le ricordava così bene perché non vi era assolutamente nulla da imprimere nella memoria: il blu scuro aveva lasciato posto al nero pece, denso e apatico. Nessuna sfumatura faceva capolino in quelle iridi tanto vuote. Nessun guizzo di luce le irradiava e abbelliva. Erano la desolazione più assoluta.
Di Ryoga non era rimasto nulla, solo una maschera di pietra muta e distaccata. Una corazza che invano tentava di proteggerlo dalle tonnellate di dolore che gli si erano appollaiate sulle spalle, affondando gli artigli nella tenera carne
    (faceva male, faceva male da morire)
mentre Kaito recitava il suo copione mentale alla lettera, senza interruzione alcuna, talmente perfetto da risultare falso.
E poi arrivarono. Sei parole soltanto. Sei parole dalla potenza di un bombardamento aereo.
    («Non è il nostro tempo, Ryoga»).
    («E allora quando lo sarà?»)
    (Nessuna risposta. Nessun segnale).
    (Niente. Niente di niente).


7

Kaito si bloccò di colpo. Alzò lo sguardo al cielo stellato, respirando profondamente.
    (Inspirò).
Era in anticipo, dopotutto.
    (Ed espirò).
Poteva fermarsi qualche attimo prima di proseguire. Solo, nella speranza che la mente non vagasse troppo in là, andando a toccare alcuni nervi scoperti e il suo cuore pulsante. Le immagini di ciò che lui e Ryoga
    (non)
erano stati erano nitide e colme di particolari che a distanza di anni ancora non aveva smesso di scoprire.
Inspirò ed espirò ancora. E il suo ultimo ricordo con lui gli carezzò la pelle, trasportato da una salmastra folata di vento.


I die every day that you're away from me


8

Avvertiva il suo respiro sul collo. Era caldo e maldestro, come se avesse trovato appiglio tra la stoffa della sciarpa grigia, intrufolandosi a suo piacimento in mezzo al tessuto per carezzare l'epidermide scossa dai tremiti. Kaito maledì se stesso per non essere uscito in macchina, quella sera. Certo, all'inizio non l'aveva reputata necessaria, dato che casa sua non distava molto dal punto di ritrovo; i problemi erano arrivati dopo, quando Ryoga si era cacciato nei guai – o meglio: era in procinto di farlo – per l'ennesima volta.
Lo aveva fermato in tempo, stringendogli il polso e facendolo voltare verso di lui. Lo aveva osservato qualche istante e quelle brevi frazioni di secondo gli erano bastate per constatare che Ryoga non fosse affatto in forma: era stanco, probabilmente aveva anche qualche linea di febbre e tutto quella sera avrebbe dovuto fare tranne che uscire di casa con l'intento di scatenare un casino.
Erano trascorse tre settimane da quando Kaito aveva compreso e realizzato di provare qualcosa per Ryoga. Tre settimane in cui aveva cercato in ogni modo possibile e immaginabile di evitarlo sotto tutti i punti di vista, allontanandosi da lui e dal resto del suo gruppo. In fin dei conti frequentava il terzo – e ultimo – anno delle superiori e aveva tantissimo da studiare, quindi appoggiarsi a quella scusa non era neanche una vera e propria bugia. Inoltre, si stava anche preparando per il test d'ammissione all'università, dato che mancava una sola settimana e il tempo scivolava sempre più tra le dita.
    (Tempo. Test d'ammissione. Università. Facoltà di Giurisprudenza).
    (Non lì. Non a Heartland City).
    (Lontano da Ryoga).


9

All'ennesimo fremito dovuto al respiro caldo di Ryoga sul collo, Kaito si ridestò dai suoi pensieri. Ryoga era molto più leggero di quanto immaginasse e non gravava affatto sulla sua schiena. A preoccuparlo maggiormente erano le sue
    (le loro)
sensazioni.
    «Come stai?» domandò mentre avanzava per la lunga via che portava a casa di Ryoga. In macchina sarebbero arrivati molto prima anche se, in tutta onestà, per quanto compromettente potesse essere, quel momento dedicato a loro e a loro soltanto era contornato da sfumature meravigliose. Era la prima volta che si trovavano soli. Forse era davvero il loro momento.
    (O forse no. Non ancora).
    «Che fai, ora ti preoccupi?» borbottò Ryoga, il mento poggiato sulla sua spalla. «Mi eviti per settimane intere e ora mi stai addirittura accompagnando a casa» rincarò la dose, una punta di acidità nel tono di voce e la presa delle braccia lievemente allentata.
    «Tieniti, per favore. E ascoltami: è stato Yuma a chiamarmi, ed era anche molto preoccupato per te. Ha detto che questa sera, con molta probabilità, ne avresti combinata un'altra delle tue e–»
    «E così ti sei improvvisato paladino della giustizia per venire in mio soccorso? Che carino, grazie per avermi prestato aiuto quando non solo non ne avevo bisogno, ma non te l'avevo neanche chiesto».
Kaito alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Si può sapere che ti prende?» domandò, un moto di frustrazione nel tono di voce e le mani che tremavano appena
    (e no, non poteva permetterselo, doveva sorreggerlo).
    «Vuoi davvero saperlo?»
Tutto mutò all'istante. Le parole di Ryoga non erano più sarcastiche e intrise di acidità. Erano, invece, velate da una spessa patina di serietà. Si strinse un po' più forte contro di lui e Kaito comprese che qualcosa era in procinto di emergere dagli abissi. Gli stessi abissi che avevano preso il posto del cielo quella sera: scuro come un buco nero, privo di stelle e nebulose.
    (Nudo, inerme, esposto).
    «Sì, voglio saperlo».


10

Fu Ryoga a sospirare, questa volta. Si morse il labbro inferiore e poi parlò: «Mia sorella frequenta un ragazzo».
Nonostante fosse ben conscio di aver appena scoperto solo la punta dell'iceberg, Kaito non riuscì a trattenersi: «Non ci vedo nulla di male» commentò infatti, guardando sempre dritto davanti a sé. Intravide l'abitazione di Ryoga pochi istanti prima che quest'ultimo replicasse e che il mondo gli crollasse addosso.
    «Thomas ha diciassette anni».
Kaito si bloccò. Lì, in mezzo alla strada, con Ryoga che pareva lo stesse goffamente abbracciando da dietro. Si irrigidì e deglutì a fatica, continuando a guardare dritto davanti a sé, anche se in realtà non stava più osservando nulla.
    (Cosa stava fissando, se non la cruda realtà dei fatti?)
    «Quel tipo non mi piace. Girano strane voci sul suo conto e non voglio che Rio soffra per causa sua. Lei ha quattordici anni. Insomma, lui è… è…»
    «Troppo grande per lei» concluse Kaito al posto suo.
Sapeva quanto Ryoga fosse visceralmente legato alla gemella. Con ogni probabilità, non avrebbe accettato neanche un coetaneo come frequentazione per lei. Certo, Rio era libera di vivere le proprie esperienze e Ryoga non poteva sindacare più di quel tanto, motivo per il quale accadeva spesso che si cacciasse nei guai al solo scopo di proteggerla. La facciata da “cattivo ragazzo” era una mera leggenda metropolitana: Ryoga non finiva nei casini per divertimento o perché gli andava o per mostrare chissà quale superiorità; lui finiva nei casini quando la preoccupazione per Rio raggiungeva picchi esponenziali.
Concludere la frase per lui fu una pugnalata al cuore. Qualcosa, nei meandri dell'anima, si spezzò. Il mondo era sordo, ma lui no: quel frammento di anima si staccò e cadde a terra, frantumandosi in pezzi ancora più piccoli e lui lo sentì. Il suono che gli giunse ai timpani era un lamento intriso di sangue e dolore, un vuoto nel quale si era inabissato senza più riuscire a riemergere.
    (Viveva nell'illusione di nuotare verso la superficie, quando invece stava sprofondando sempre più. Ed era orribile, perché più il tempo passava e più realizzava che non poteva fare a meno di lui).
    «Troppo grande per lei» ripeté in un sussurro, quasi volesse dare una forma concreta a quel concetto torbido e dilaniante.
    «Già. Quantomeno per il momento. Ma io non posso dirlo» ammise Ryoga, sorridendo amaramente. «Sarei ipocrita se lo facessi». Si strinse ancora più forte a Kaito, premendo il petto contro la sua schiena. «Perché lo stesso vale per me. E sai, nel mio caso la persona in questione è anche più grande di Thomas. Solo di un anno, ma la differenza c'è».


11

L'aria tardò ad arrivare ai polmoni. Kaito deglutì ancora e questa volta avvertì la gola pizzicare. Si umettò le labbra, fattesi improvvisamente secche, articolando parole mute che Ryoga non poteva né vedere né sentire.
    «È per questo che hai iniziato a evitarmi, vero? Perché l'hai capito e non mi vuoi. È così?»
    «No, non è così. L'ho fatto per l'esatto opposto».
Avrebbe potuto mentirgli spudoratamente e chiuderla lì. Dirgli che sì, si era allontanato da lui per quello, perché aveva intuito qualcosa e non era affatto interessato a prendersi cura dei suoi sentimenti. La verità era che Kaito non aveva capito proprio un bel niente dei sentimenti di Ryoga, il quale era stato assai abile nel celarli sotto strati e strati di indifferenza. Un'indifferenza che per Kaito era stata quasi un'ancora di salvezza, perché se Ryoga non ricambiava ciò che provava per lui, allora aveva più probabilità di dimenticarlo nel minor tempo possibile.
La stessa maschera impassibile che Kaito aveva sfoggiato ogniqualvolta si erano incontrati, anche solo di sfuggita, durante le tre settimane in cui aveva tentato in ogni modo di allontanarsi da lui.
Non avrebbe mai immaginato che Ryoga ricambiasse i suoi sentimenti. Doveva ancora realizzarlo del tutto, ma quantomeno tornò a respirare. Anche se la situazione si era fatta mille volte più delicata.


12

    «Fammi scendere».
Solo in quel momento Kaito realizzò di essersi fermato in mezzo alla strada. Un venticello freddo aveva fatto il suo timido ingresso in città, pizzicando le gote e portando con sé sospiri impercettibili. E Ryoga aveva la febbre, non poteva continuare a stare lì fuori. Mancava poco e lo avrebbe riportato a casa. Era quasi finita.
    (Come poteva essere finita quando era appena iniziata?)
Ignorando la richiesta – o meglio: l'ordine – di Ryoga, Kaito riprese a camminare, tentando nel mentre di non sprofondare nel subbuglio emotivo nel quale si era ritrovato a vorticare senza preavviso alcuno.
    «Kaito, fammi scendere».
    «No».
    (Un dimenarsi debole e traballante).
    «Voglio scendere».
    «Ho detto di no».
    (Un ringhio di frustrazione).
    «Tanto tra poco dovrò farlo per forza…»
    «Ecco, quindi vedi di calmarti».
    (A quelle parole, Ryoga si agitò ancora di più).
    «Non puoi fare finta di nulla! Ti rendi conto di ciò che hai detto?»
    «Non sto facendo finta di nulla e sì, mi rendo conto di ciò che ho detto».
    «Allora fammi scendere, voltati e diciamocelo in faccia».
    «Ryoga, non possiamo».
    «Perché?»
    «Perché…»
    (Perché non è il nostro tempo).
Nessuna risposta.


13

My heart breaks with every beat
I can't explain what you do to me
So just say you'll promise me
Please, take me if you ever leave


Ryoga poggiò nuovamente i piedi a terra quando giunsero dinanzi la porta di casa sua. Era talmente annichilito che pareva sul punto di svenire da un momento all'altro; al contempo, però, i suoi occhi erano lucidi non solo a causa della febbre, ma anche per il desiderio sconfinato di chiarire una volta per tutte la loro situazione.
Si strinse forte nel cappotto pesante, ora che non poteva più farlo con Kaito, guardandolo intensamente con gli abissi profondi che aveva al posto delle iridi.
    «Voglio sapere
perché» riprese il discorso, intenzionato più che mai a ricevere una risposta.
    «Per lo stesso motivo che ti porta all'esasperazione non appena scopri che tua sorella ha un appuntamento con un ragazzo di diciassette anni» rispose Kaito con un tono di voce molto più tagliente di quanto lui stesso si aspettasse.
    «La situazione è diversa perché Thomas ci sta,
a differenza tua» obiettò Ryoga, sempre più intestardito a riguardo. Avvampò nel momento in cui realizzò di aver detto qualcosa di altamente fraintendibile. «Cioè, con Rio. Thomas con Rio – anche se non lo approvo».
    «Sì, lo avevo capito» lo tranquillizzò Kaito. Si umettò le labbra, passandosi poi una mano tra i capelli. «Ryoga… non possiamo».
E Ryoga sussultò. «Voglio capire
perché» disse, tirando poi su col naso.
   
(No, non stava affatto bene. Necessitava di barricarsi sotto le coperte calde il più presto possibile. E Kaito non voleva essere la causa di un ulteriore dolore per lui).
    «Tra una settimana sosterrò l'esame per entrare all'università».
    «E diamo per scontato il fatto che lo supererai. Ancora non capisco quale sia il problema».
Kaito lo ringraziò mentalmente anche se, con ogni probabilità, Ryoga non lo avrebbe ringraziato a sua volta con ciò che stava per dirgli. Qualcosa che Ryoga stava solo
fingendo di non capire perché, Kaito lo aveva notato e anche fin troppo bene, stava solo glissando sulla cosa più importante per non renderla reale.
    (Il nocciolo della questione, il nucleo, l'abisso più scuro e profondo e spaventoso).

    «Ryoga…»
    «Sì…?»

    (Si stava lentamente accartocciando su se stesso. Così piccolo, perso, solo e spaventato).

    «La Facoltà di Giurisprudenza…»
    «Si trova dall'altra parte di Heartland City, che vuoi che sia?»
    «Ryoga, smettila. So che hai capito».
Ryoga si irrigidì. Deglutì a vuoto una, due, tre volte, provò a replicare senza però riuscirci.
    «Ora ascoltami. E vedi di fartene una ragione in fretta, perché non lo ripeterò una seconda volta: la prossima settimana sosterrò l'esame per entrare all'università. Ma non qui. Andrò a Den City». Sapeva che con quelle parole lo stava uccidendo. Poco per volta, come un veleno che agiva lentamente e martoriava il corpo portando con sé una lenta agonia.
Ryoga sgranò gli occhi, quasi volesse portarli oltre il limite consentito. «Come, scusa?» domandò con un filo di voce. «Che
stronzata è mai questa?»
E allora Kaito capì. E si diede mentalmente dell'imbecille: Ryoga non lo sapeva, ignorava che l'università che aveva scelto si trovasse in un'altra città – la quale era anche molto lontana da Heartland City.
Per tutta la conversazione aveva creduto fermamente che Ryoga non volesse ammettere la realtà dei fatti e che negasse l'evidenza con ogni mezzo a sua disposizione. Ma non era così, era l'esatto opposto: Ryoga non immaginava affatto che Kaito se ne sarebbe andato da quella città, credeva che sarebbe rimasto. Per questo trovava
incomprensibile il fatto che Kaito non volesse dare loro una possibilità: perché la distanza, sia fisica che emotiva, non l'aveva mai contemplata.
    «Tu… tu credevi che sarei rimasto qui» parlò, rivolgendosi più a se stesso che a Ryoga.
    «Già. Avresti potuto avere la
decenza di dirmelo» lo attaccò quest'ultimo, con voce e gambe tremanti.
    «E tu quella di entrare in casa a riposarti».
Ryoga digrignò i denti come una belva inferocita. «Vedi come sei? Cerchi di evitare il discorso con ogni mezzo a tua disposizione! Sei un codardo!»
Kaito si inalberò. «Un codardo?
Io? Credi sia facile per me tenerti alla larga quando l'unica cosa che vorrei è avere più tempo per stare con te? Come credi ci sia rimasto quando ho realizzato troppo tardi di provare qualcosa per te? O come credi che stia ora? Credi che abbia scelto a cuor leggero di fare tutto ciò che ho fatto?»
Si avvicinò a lui e lo prese per le spalle, scuotendolo appena. «Cresci, Ryoga,
cresci. Il mondo non gira intorno a te, intorno a noi…
    (la voce si incrinò)
… anche se vorrei fosse davvero così».
Sciolse la presa sulle sue spalle e si voltò, scendendo i tre scalini con ginocchia tremanti.
    «Questo è il tuo discorso di addio?» gli domandò Ryoga, stringendosi nuovamente nel cappotto pesante. Anche la sua voce si era ormai incrinata del tutto, nonostante mantenesse una certa parvenza di dignità. «Perché se è così, fa davvero schifo».
Kaito si bloccò, respirando a fondo. «Non mi sembri il tipo da preferire un'illusione alla verità».
    «Infatti. Ed è proprio per questo che non capisco perché tu non voglia rendere reale quello che proviamo l'uno per l'altro. Perché non possiamo stare insieme?»
    «Non è il nostro tempo, Ryoga».
    «E allora quando lo sarà?»
   
(Gli diede addio senza rispondere a quella domanda).


But the thought of you gone
Makes everything wrong in my life
So stay right here, right now...

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Il nostro tempo pt.2 N.d.A. in fondo alla pagina. Buona lettura!



Il nostro tempo

Parte 2




14

Che cosa ho fatto?
Kaito se lo era domandato più e più volte nel corso di quei sette anni, ma mai come in quel momento, quando mancava ormai poco, pochissimo all'inizio
    (o alla fine)
di tutto.
Sarebbe voluto tornare indietro nel tempo, proprio nell'istante in cui aveva dato la schiena a Ryoga, per poggiare le mani sulle sue stesse spalle e far voltare il diciottenne che era stato verso quel ragazzino che aveva un disperato bisogno di lui. Avrebbe voluto smuovere quelle gambe tremanti e indirizzarle verso la giusta meta senza più alcuna esitazione. Avrebbe voluto urlare nelle sue stesse orecchie e far vibrare i timpani di tutte quelle azioni che non era riuscito a compiere quella sera che, lo ricordava come se fosse il giorno prima, aveva un buco nero al posto del cielo stellato.
    (Va' da lui).
    (Non esitare).
    (Non lasciartelo scappare).
    (Datevi una possibilità).
Alla fine, però, aveva ceduto all'arrendevolezza, lasciandosi andare nel senso opposto. Si era allontanato da Ryoga pensando fosse un addio, credendo di porre la parola “fine” a tutto quanto ancor prima che sbocciasse, quando invece la sua vita si era tramutata in sette anni di agonia. Quando tornava a Heartland City per le festività o le brevi vacanze estive, era come se Ryoga non esistesse: lui non si faceva vedere mai e Kaito a sua volta non chiedeva mai di lui, nonostante Yuma avesse tentato più e più volte di renderlo il fulcro di diverse discussioni – e in ogni caso finiva comunque per informare Kaito riguardo più o meno tutto –, non lo cercava mai né lo aveva mai chiamato di sua spontanea volontà.
E allora quelle tre parole
    (“Sei un codardo”)
trovavano un saldo appiglio da qualche parte nella sua mente, riecheggiando in una nenia sfiancante dal retrogusto acido della verità: era vero, era proprio un codardo. Aveva paura perché sapeva di aver commesso un errore imperdonabile, forse anche irrimediabile e, più di ogni altra cosa, aveva realizzato che sette anni addietro, nonostante lo volesse, non si sentiva ancora pronto. E che tra loro, l'unico veramente pronto era Ryoga. Era sempre stato lui, col suo voler sovrastare ogni scoglio e ogni montagna con tonnellate di caparbietà tipiche dei ragazzini della sua età.
Kaito aveva ricominciato a camminare già da un po', avvicinandosi sempre più al punto di incontro – il locale sulla spiaggia e la musica che si diffondeva nell'aria erano sempre più presenti nel suo campo percettivo.
A un tratto si domandò se avessero potuto farcela davvero, sette anni addietro, se solo lui non se ne fosse andato in quel modo. Magari nell'ultimo inverno ormai passato avrebbero già festeggiato il loro settimo anniversario. Ryoga non avrebbe avuto la febbre e sarebbero usciti la sera, perdendosi per le vie di Heartland City illuminate da infinite stelle cadute per sbaglio sulla Terra. Durante la primavera Ryoga lo avrebbe trascinato di peso all'acquario della città e, anzi, perché no, magari tutte quelle creature marine le avrebbero potute vedere dal vivo da qualche parte nel mondo, solo loro due, durante le vacanze estive.
    (Quanti “Ti amo” avrebbero potuto dirsi in sette anni?)
    (Quante volte avrebbero potuto baciarsi, abbracciarsi, litigare per poi fare pace e prendersi in giro?)
    (Quanto tempo avevano perso senza più avere modo di riavvolgere il nastro e tornare al momento in cui tutto era finito per invertire la rotta e farlo diventare il loro bellissimo punto di inizio?)
Aveva sbagliato tutto. Tutto, tutto, tutto. Aveva sbagliato ogni cosa. Aveva trascorso gli ultimi due anni all'estero e l'unico bagaglio culturale che si era portato a casa era la consapevolezza che una vita senza Ryoga lo stava pian piano uccidendo.
Aveva fatto ritorno a Heartland City con l'intenzione di restare, questa volta per davvero. Aveva terminato gli studi, era pronto per affacciarsi al mondo del lavoro e voleva ripartire proprio da lì, perché le opportunità c'erano e non aveva più motivo di ignorare il volere del suo cuore spaccato a metà.
Se Ryoga avesse ribaltato la situazione e gli avesse detto che era ormai troppo tardi anche solo per provarci, lo avrebbe accettato.
Se Ryoga avesse acconsentito a incontrarlo solo per dirgli che dopo sette anni era ormai inutile avere dei ripensamenti, che lui era già andato avanti da un pezzo con la propria vita e che non era minimamente interessato a dare al loro rapporto una possibilità, Kaito lo avrebbe capito e se ne sarebbe fatto una ragione. Dopotutto, era stato il primo tra i due ad aver sbagliato e non aveva motivo alcuno di opporsi alle decisioni prese da Ryoga.
E se proprio doveva essere onesto, c'era una microscopica parte della sua coscienza che sperava ardentemente in questo: che almeno Ryoga fosse andato avanti, dimostrandosi più forte di lui. Che non avesse atteso sette anni invano, cercando qualcuno che non arrivava mai… ma che era arrivato ora.
Kaito si fermò, guardandosi intorno. Era finalmente giunto a destinazione. C'erano diverse persone che non conosceva, alcune che stavano entrando nel locale e altre che stavano uscendo per sorseggiare i drink fuori, magari a un tavolo o in riva al mare. E poi… e poi c'era Ryoga.
Intento a fumare una sigaretta mentre, di fronte a lui, Yuma gli stava raccontando qualcosa in maniera concitata con un cocktail in mano che oscillava pericolosamente da una parte all'altra – e tra una sorsata e l'altra.
Ryoga, notò Kaito, annuiva sempre prima di prendere una boccata di fumo, sinceramente interessato a ciò che Yuma gli stava sciorinando senza mai fermarsi e poco ci mancò che ciò che restava del cocktail gli si rovesciasse addosso, rovinando la t-shirt rossiccia che indossava. Poi Ryoga lo bloccò, buttando il mozzicone direttamente nel bicchiere e
    («Shark, non lo avevo ancora finito!»)
    («Ma va, è rimasto solo il ghiaccio» – e sì, sghignazzava ancora allo stesso modo)
Yuma alzò gli occhi al cielo, incrociando lo sguardo con quello di Kaito nel momento in cui li riabbassò, bloccandosi definitivamente. Aprì la bocca più e più volte, senza però articolare alcun suono. Un baluginio di felicità si riflesse sul suo volto contornato ancora da un'espressione incredula, come se fosse stato ritratto nella tavola di un manga. Ryoga gli sventolò una mano davanti al volto, cercando di riportarlo alla realtà, ma Yuma gli afferrò il polso, facendo un segno col capo in direzione di Kaito.
Fu lì che Ryoga si voltò, accorgendosi finalmente di lui. I suoi occhi blu scuro si sgranarono in un meraviglioso slow motion, come un buco nero che inghiotte una stella riducendola in polvere.
    (Era bellissimo).


15

Kaito aveva smesso di articolare pensieri sensati nella mente da quando aveva visto Ryoga
    (da quando aveva realizzato che non era più il ragazzino di sette anni addietro).
Il Ryoga ventunenne era più muscoloso e più alto di una decina di centimetri, aveva i capelli un po' più lunghi – in quel momento legati in una coda alta –, aveva uno squalo tatuato sul braccio sinistro, indossava una collana con il dente sempre di uno squalo – e forse della stessa specie tatuata – come ciondolo e, forse, aveva anche un piercing alla lingua.
Il Ryoga ventunenne si portava sicuramente appresso degli strascichi di ciò che era stato un tempo, ma erano ben celati sotto la canotta nera e i pantaloni chiari.
    (C'erano strati e strati e strati di cicatrici invisibili, là sotto).
    (Invisibili, ma che facevano comunque un gran male).
Kaito lo osservò mentre si riprendeva dallo stupore iniziale e, dopo aver alzato gli occhi al cielo a causa dei continui incoraggiamenti da parte di Yuma – il quale era, con ogni probabilità, il più agitato fra i tre –, avanzare verso di lui, con le scarpe che affondavano un poco nella rena e le mani che affondavano altrove, nelle tasche dei pantaloni.
    «Ehi» disse Ryoga, fermandosi a pochi passi da lui. «Vuoi bere qualcosa o preferisci evitare di vedere Yuma collassare da un momento all'altro?»
    (Ovvero: ci allontaniamo da qui che forse è meglio, che ne dici?)
    (E sì, aveva un piercing alla lingua).
Kaito abbozzò un sorriso. «Sì, credo sia meglio lasciare in pace Yuma».


16

'Cause without you I'm a disaster
(The moment you go)
And you're my ever after
(Just thought you should know)


Camminarono per qualche minuto nel mutismo più assoluto, allontanandosi pian piano dal locale, dai cocktail e dalla musica estiva. Erano alla ricerca di un posto tranquillo perché, ne erano consapevoli entrambi, i marosi che si stavano scatenando dentro di loro facevano già abbastanza frastuono.

Sembravano estremamente tranquilli, se osservati da un'occhiata superficiale, apparendo come due persone qualunque che camminavano in riva al mare.
Due amici. Due conoscenti. Due perfetti estranei.

Ryoga si bloccò all'improvviso, decretando silenziosamente di aver raggiunto una distanza soddisfacente da tutti i rumori del mondo. C'erano solo le piccole e timide onde del mare a creare un sottofondo quasi soffuso che si miscelava con il venticello serale che sbuffava ogni tanto. Erano arrivati a destinazione. E Kaito si fermò con lui.
    «Vedo che non sei cambiato di una virgola in questi sette anni» disse Ryoga, le mani sempre affondate nelle tasche dei pantaloni. «A parte l'altezza, intendo. Sei sempre tutto d'un pezzo».
    «Tu invece sei cambiato molto rispetto a sette anni fa» rispose Kaito, come se si fosse incantato a osservarlo.
    «Già, credo di essere cresciuto. Anche se resto comunque più basso di te». Nel dire ciò, Ryoga gli si avvicinò, annullando la distanza tra i loro corpi di pochissimi centimetri. «Sette anni fa arrivavo più o meno qui» proseguì, liberando una mano per sfiorargli le labbra con le dita.
Kaito trattenne il respiro. Ora Ryoga riusciva a guardarlo negli occhi senza dover necessariamente alzare il capo – e Kaito abbassarlo. Diamine, era davvero cresciuto.
Ryoga compì qualche passo indietro e dal suo sguardo Kaito comprese che lo stava facendo a malincuore. «Comunque,» riprese il discorso, il braccio che penzolava lungo il fianco, «Yuma mi ha detto che hai terminato gli studi».
    «Sì».
    «E che hai vissuto due anni all'estero. A Londra, se non erro».
    «Esatto. Tu, invece? Come procedono gli studi in Biologia?»
    «Tutto bene. Immagino che Yuma ti abbia anche riferito che l'anno prossimo inizierò la specializzazione in Biologia Marina».
    «Sì. Mi ha anche detto che inizialmente eri indeciso se frequentare l'università o aprire una palestra».
    «Perché ho la sensazione che Yuma abbia raccontato vita, morte e miracoli di entrambi senza che noi gli chiedessimo nulla?»
    «Perché è esattamente quello che ha fatto».
A quell'affermazione risero entrambi. E quando Kaito rivide dopo tanto tempo Ryoga ridere, capì ancora una volta perché si fosse innamorato di lui sette anni addietro. Ryoga pareva una creatura sospesa tra gli abissi e l'universo; un'entità più unica che rara dagli occhi freddi che, paradossalmente, ardevano di passione. Ryoga era bellissimo. In ogni suo più piccolo pregio e in ogni suo più grande difetto.
    «Yuma mi ha anche detto che sei tornato e che hai intenzione di restare».
Kaito smise di ridere, tornando a guardarlo con serietà e ritrovando nello sguardo di Ryoga tutta la consapevolezza di cui erano pregni i suoi occhi. «Sì, è così» confermò infine, avvertendo la gola fattasi improvvisamente riarsa.
    «E in questo tuo restare… che cosa c'è?»
    (Ci sei tu. Solo e soltanto tu. Perché questi sette anni senza di te sono stati un inferno e ho capito che non posso vivere un altro giorno in più senza starti accanto. In questo mio restare ci siamo noi. C'è il nostro tempo).
Per un attimo il mare notturno sparì, la rena si dissolse e il cielo si tramutò in un buco nero che aveva inghiottito ogni stella. Per un attimo Kaito tornò a sette anni addietro, davanti al Ryoga quattordicenne che a modo proprio lo stava implorando di rimanere lì, di non andarsene, di dare al loro amore una possibilità. Si perse in quegli occhi spenti, in quelle gambe tremanti, in quel corpo annichilito dalla febbre. E il cuore si incrinò.
    «C'è l'unica persona che non ho avuto il coraggio di tenermi stretta sette anni fa».
    «Capisco».
Ryoga chiuse gli occhi, inspirando a fondo l'aria salmastra. E poi riprese a parlare.
    «Durante le superiori per un po' ho frequentato una ragazza» ammise. «Penso che sia una tra le poche cose che Yuma non ti abbia detto, forse per non impensierirti». Aprì lentamente gli occhi, lasciando scivolare ogni parola pronunciata in un flusso di ricordi sbiaditi e contorti. «Comunque, era una mia compagna di classe. Molto carina, devo dire. Ci ho provato, sai? A prenderla per mano, a baciarla, a farle qualche sorpresa, a lasciarmi tutto alle spalle… niente. Niente di niente». Si morsicò il labbro inferiore prima di proseguire: «Al primo anno di università ci ho riprovato con un mio compagno di corso. Mi trovavo bene con lui e credevo che tra noi due potesse funzionare. Finì tutto al secondo appuntamento: mi disse che avevo perennemente la testa altrove e che lo aveva già notato da un po', come se non facessi altro che pensare a un'altra persona anche in mezzo a un sacco di gente. Non aveva poi tutti i torti… anzi, aveva proprio ragione».
La piccola parte di Kaito che fino all'ultimo aveva sperato che almeno Ryoga fosse andato avanti con la propria vita si frantumò in mille pezzi, riducendosi in polvere. E si sentì maledettamente in colpa per le conseguenze che la sua decisione aveva portato con sé.
Lui e Ryoga avevano condotto due vite parallele in cui avevano continuato a scegliersi nonostante tutto. Nonostante le innumerevoli possibilità. Nonostante l'immensità del mondo. Nonostante i continui silenzi e tutto il dolore che il non agire aveva portato con sé.
    «Rio e Thomas stanno insieme da quasi sette anni. Certo, hanno avuto qualche tira e molla una volta ogni tanto, però ora stanno insieme ufficialmente. Ricordi quando ti avevo detto che Thomas non mi piaceva? Anche se a malincuore, mi sono dovuto ricredere. Ha dimostrato di tenerci davvero a Rio e… cazzo, ti rendi conto? Loro ce l'hanno fatta. E nessuno mi toglie dalla testa la convinzione che ce l'avremmo potuta fare anche io e te, sette anni fa».
Ryoga liberò anche l'altra mano e si portò le braccia al petto, stringendole forte, come se lo squalo dall'aria minacciosa che aveva tatuato sul braccio potesse proteggerlo in un qualche modo. «In tutti questi anni ho perso il conto delle volte in cui ho provato il forte impulso di cercare il tuo numero in rubrica e chiamarti o inviarti un messaggio. Per dirti cosa, sinceramente non lo so, forse anche solo per mandarti a quel paese e sfogare su di te tutta la mia frustrazione e il mio dolore».
Si fermò un istante e Kaito notò le sue labbra tremare. «Ma che dico… in realtà so bene cosa ti avrei detto. Ti avrei chiesto di tornare, perché senza te… cazzo, senza di te la mia vita è un disastro. E nonostante tutto, ho sempre avuto paura di chiamarti. Mi sono sentito così stupido… così piccolo…»

Ryoga si strinse maggiormente in quell'abbraccio vuoto, quasi volesse diventare un tutt'uno col mare che si inscuriva sempre più, e una lacrima solitaria gli solcò il volto. «Quando oggi pomeriggio ho ricevuto il tuo messaggio, non potevo crederci. Ho provato così tante emozioni in una volta sola che forse devo ancora metabolizzarle del tutto. E ora tu sei qui. Sei qui e mi hai detto che sei tornato per restare. E che il motivo di tutto ciò sono io».

Kaito lo aveva ascoltato per tutto il tempo senza mai interromperlo. In fondo Ryoga se lo meritava: aveva bisogno di dirgli tutto quello che era sempre rimasto sepolto sotto strati e strati e strati di dolore ed emozioni taciute. Aveva bisogno di esporsi senza più riserva alcuna e senza più provare alcun senso di disagio o inadeguatezza.
    (Aveva bisogno del suo tempo. E Kaito glielo avrebbe concesso senza mai fiatare).
Ogni sua parola aveva la potenza di un bombardamento aereo pregno di emotività repressa in procinto di esplodere. Ogni bomba che si schiantava al suolo era in grado di sconquassargli le pareti del cuore e farlo vacillare sempre più.
Anche lui era cambiato. Non solo Ryoga, non solo quel ragazzino che a quattordici anni aveva già le idee molto chiare riguardo a tante cose. Anche Kaito era cambiato. Lo sentiva. Ne era certo. E lo era perché aveva ormai compreso che era impossibile cambiare il passato, che continuare a guardarsi indietro era completamente inutile. Che ciò che non erano stati sette anni addietro probabilmente avrebbe continuato a portare con sé tanti strascichi costellati da lividi e cicatrici e lacrime, ma poteva ancora avanzare, arrancare se necessario, e un giorno si sarebbe retto in piedi da solo e avrebbe trovato la forza di correre lontano, esplorando quel mondo che aveva sempre tenuto un piccolo spiraglio aperto in attesa del suo arrivo.
Ciò che non erano stati sette anni addietro c'era ancora. Era ancora vivo. E lui non voleva perderlo. Non più. Perché lo aveva perso per tanto, troppo tempo.
    «Kaito». Ryoga lo guardò dritto negli occhi, la lacrima solitaria ancora fresca sul suo volto e l'abbraccio vuoto ormai dissolto – le braccia ora ricadevano lungo i fianchi, stanche di proteggere un cuore già tanto martoriato. «Io ho paura».
Kaito compì il primo passo verso di lui. Vedendo che Ryoga non indietreggiava e non opponeva alcuna resistenza, compì anche il secondo e poi il terzo, arrivando a pochi centimetri di distanza dal suo corpo, dal suo cuore, dalla sua anima, da tutto ciò che rendeva Ryoga la persona che amava.
Gli asciugò la lacrima solitaria con dita ferme e sicure
    (nessuna esitazione, non più)
e ricambiò il suo sguardo.
Poterlo toccare nuovamente dopo tanto tempo gli bruciò le interiora. Lasciò la mano lì, poggiata su quella gota bagnata da una nuova lacrima e gli domandò: «Di che cosa hai paura?»
Ryoga si umettò le labbra, si prese il suo tempo e finalmente rispose: «Che un giorno te ne andrai via di nuovo. Che tutto ciò sia solo una parentesi. Che abbiamo aspettato così tanto per niente». Chiuse istintivamente gli occhi, nel vano tentativo di ricacciare indietro tutte le lacrime che ancora non aveva versato. E il suo intero corpo fu scosso da brividi famelici e beffardi. «Di tutto. Ho paura di tutto. Perché l'unica certezza che abbiamo ora è il fatto di non avere certezze per noi e per il nostro futuro».
Vedere Ryoga in quello stato
    (così fragile e annichilito)

fu un duro colpo, per Kaito.
Quanto aveva dovuto sopportare nel corso degli anni? Sotto quanti strati di corazza spessa e dura aveva dovuto nascondere tutta la sua emotività? Era davvero andato avanti così, per tutto quel tempo, con la consapevolezza ormai certa che non avrebbe mai amato qualcun altro allo stesso modo?
    (Che cosa ho fatto?)
    «Ryoga, guardami». Ryoga riaprì gli occhi e Kaito lasciò scivolare le braccia lungo i suoi fianchi, poggiando poi la fronte contro la sua. «Mentirei se ti dicessi che sette anni fa non ho avuto paura di ciò che provavamo l'uno per l'altro» sussurrò. «Questo perché non ho dato il giusto peso ai tuoi sentimenti, cosa di cui mi pento ancora oggi. Pensavo davvero che la tua fosse solo una cotta adolescenziale, qualcosa di passeggero… e intanto continuavo a credere di essere il più maturo fra i due e che avrei saputo gestire la situazione, ma non è stato così. Anzi, ho solo peggiorato le cose». Le mani ora vagavano sulla sua schiena, nel tentativo disperato di sorreggerlo
    (per tutte le volte in cui Ryoga aveva avuto bisogno di lui e lui non c'era stato).
Kaito avvertì un groppo formarsi nella gola. Deglutì a fatica, si fece coraggio e proseguì: «Questi sette anni senza di te sono stati un disastro. Ho conosciuto tante persone, ho creduto fermamente che sarei potuto andare avanti con la mia vita, ma la verità è che quando realizzavo che nessuna persona era te, tornavo sempre al punto di partenza. Anche io ho provato spesso il forte impulso di chiamarti… e anche io ho avuto paura ogni volta delle conseguenze. Speravo che in questi anni almeno tu fossi riuscito a voltare pagina e che l'unico rimasto indietro fossi io, come una sorta di karma che avrei accettato senza opporre resistenza… ma adesso ho davvero capito di aver sbagliato tutto, ogni cosa, sette anni fa. Mi sarei dovuto voltare verso di te e non darti le spalle. Avrei dovuto raggiungerti e stringerti come sto facendo ora. E avrei dovuto dirti che era già il nostro tempo».
Erano talmente vicini che ogni tremito valeva il doppio, ogni sospiro si confondeva e si ammassava ai suoi simili e ogni lacrima versata avrebbe potuto coprire l'intero oceano. Erano talmente vicini che tutto, in quel piccolo mondo che si stava costruendo pian piano, pareva più chiassoso e amplificato.
    «Sono davvero tornato per te. Avrei accettato ogni cosa pur di rivederti ancora e parlarti finalmente a cuore aperto. So che le mie parole non bastano e mai basteranno a colmare questi sette anni di vuoto che ci sono stati, ma voglio che tu sappia che quando te la sentirai, io sarò qui. D'ora in avanti ci sarò sempre, qualunque cosa accada. Se hai bisogno del tuo tempo per riflettere, io non sono nessuno per negartelo». Sciolse l'abbraccio e si allontanò di qualche passo. «Questa volta sono io che lascio andare te, senza però andarmene via. Ti aspetterò. E qualunque sarà la tua decisione, la accetterò».
Non gli stava voltando le spalle come aveva fatto sette anni addietro. Questa volta era sicuro delle sue scelte dopo essere finalmente riuscito a far chiarezza dentro di sé.
Era tornato per Ryoga e lo avrebbe aspettato. Lo aveva giurato.



17

'Cause I need to know your answer
(Just say you'll stay with me)
I want you to say you're gonna stay with me
(Just say you'll stay with me)
I die every day that you're away from me


    «Allora ci ve–»
    «Sei proprio un idiota».
Kaito sgranò gli occhi nell'udire quell'affermazione tanto secca e diretta.
Ryoga arricciò le labbra, le lacrime ancora fresche sul suo volto e le gambe che tremavano appena.
    «Io la mia scelta l'ho già fatta sette anni fa» disse con voce paradossalmente ferma e irremovibile. Annullò ancora una volta la distanza tra i loro corpi e si parò di fronte a Kaito, guardandolo dritto negli occhi. «E posso assicurarti che non è mai cambiata. Sette anni fa ho detto di voler stare con te e anche oggi, in questo preciso istante, voglio stare con te». Poggiò la fronte sulla sua, tornando esattamente a come erano prima.
    «Io ti amo ancora. E se sei davvero tornato per restare, se davvero l'hai fatto per me, dimostramelo».

Qualcosa, dentro Kaito, si sbloccò. Una consapevolezza senza fine fece muovere le sue braccia verso Ryoga, stringendolo forte a sé. La vicinanza dei loro corpi aveva ormai raggiunto il suo perfetto apogeo. I loro respiri tornarono a essere un tutt'uno, le punte dei loro nasi si sfiorarono per un istante e gli sguardi si incatenarono creando un mondo completamente nuovo e meraviglioso.
    «Anche io ti amo ancora» gli sussurrò a fior di labbra, prima di baciarlo.
    (In quel preciso momento, qualcosa nell'universo esplose, ristabilendo ogni equilibrio).


18

So just say you'll promise me
Please, take me if you ever leave
My heart breaks with every beat
I die every day that you're away from me


Ryoga si stava sciogliendo sempre più tra le braccia di Kaito. A ogni bacio, a ogni sospiro, a ogni lacrima versata, a ogni “mi sei mancato” sussurrato con il cuore in mano corrispondeva un tassello di tutto ciò che non erano stati sette anni addietro, un amore che stava pian piano riemergendo dalle ceneri, un sentimento che c'era sempre stato ma che non era mai riuscito ad affacciarsi alla finestra del mondo per ammirare il sole.
Quella notte, per la prima volta, loro due insieme divennero una cosa sola. Si amarono e si lasciarono andare senza più alcuna esitazione, senza più provare la paura atavica di essere inghiottiti da un buco nero senza fine.
    (Si erano finalmente ritrovati, riposizionandosi al loro punto di appartenenza).
La loro storia d'amore poteva finalmente cominciare.


19

Ryoga aprì gli occhi alle prime luci dell'alba. Erano troppo impegnate a indorare il mondo esterno con il loro calore per badare alle sue emozioni, ma ci fu comunque un tremolio sospeso tra il cielo e la terra, come una piccola danza, che rese il risveglio di un singolo essere umano ancora più bello.
Cercò di fare mente locale riguardo ciò che aveva vissuto nelle ultime ore e, nel momento in cui avvertì la presenza di qualcuno steso al proprio fianco, spalancò del tutto gli occhi. Il cuore iniziò a battere celere, quasi mancassero pochi secondi a uno scoppio impossibile da evitare, e ogni centimetro di pelle costellato da succhiotti e piccoli morsi si scaldò, raggiungendo picchi elevatissimi. Un placido respiro si infrangeva costante sul suo collo, solleticandolo.
Ryoga inspirò a fondo
    (Non è stato un sogno. Non è stato un sogno. Non è stato un sogno)
e si voltò lentamente, ritrovandosi ad ammirare Kaito che ancora dormiva accanto a lui. Il lenzuolo bianco lo copriva fino al bacino e tutto ciò che era rimasto scoperto era un mosaico molto simile a quello che tappezzava il corpo di Ryoga – con l'aggiunta di qualche graffio sulla schiena, probabilmente.
Kaito era lì. Era lì accanto a lui. Era rimasto.
    (Era tornato per restare).
Ryoga incurvò le labbra in un sorriso e, dopo aver constatato che fosse ancora troppo presto per alzarsi dal letto, si sistemò meglio tra le braccia di Kaito, poggiando il capo sul suo petto. Chiuse gli occhi e il coperchio del sonno si abbassò nuovamente sul suo intero corpo.
Le braccia di Kaito si strinsero un po' più forte attorno a lui, in un istinto di protezione dettato dall'inconscio, in un meraviglioso gesto d'amore che non aveva bisogno di essere messo in pratica a occhi aperti. E allora Ryoga, prima di lasciarsi completamente andare alla sonnolenza, sorrise ancora.
Il loro tempo era arrivato.



N.d.A.

Cliccare su “Completa” è stato un momento davvero particolare. Ero talmente abituata a immaginare questa storia perennemente in sospeso che ancora non avevo realizzato di averla già conclusa da un po', ancor prima di aver (ri)pubblicato la Parte 1.
Ovviamente sono molto felice di aver concluso anche con la pubblicazione qui su EFP, però mi fa comunque uno strano effetto, non so bene come spiegarmi.

Questa storia è sicuramente una tra quelle a cui sono più affezionata; non è la migliore dal punto di vista stilistico, sono la prima a dirlo, ma per quanto riguarda quello affettivo per me ha un valore inestimabile.
Poter dare finalmente un lieto fine a Kaito e Ryoga è stata una liberazione, perché se lo meritavano proprio – e se lo meritava pure il mio cervello, che per mesi ha immaginato tutti i momenti che avete letto senza mai vederli proiettati sullo schermo del computer.

E a proposito, cosa ne pensate? Il loro confronto vi è piaciuto? E la parte finale? Spero di averla resa una degna conclusione per questa storia.
Come sempre, Without You dei My Darkest Days fa da sottofondo per il capitolo e ci sono anche delle parti che non vedevo l'ora di inserire – tipo che ogni volta che le ascolto tremo, letteralmente.
Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fino a qui, tra chi ha letto per la prima volta questa storia e chi, invece, ha deciso di darle una seconda possibilità dopo essere rimasto in sospeso mesi addietro.
Grazie di cuore, davvero.

M a k o

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