Il nostro tempo di M a k o (/viewuser.php?uid=1152781)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 1 *** Parte 1 ***
Il nostro tempo pt.1
• Dire che
sono felicissima è estremamente riduttivo. Questo
perché
poter finalmente (ri)pubblicare questa storia è non solo
un'immensa soddisfazione, ma anche un grande riscatto per la fanfiction
stessa, dato che mesi addietro avevo pubblicato la prima parte e poi
non l'ho più proseguita, quantomeno non qui su EFP, dato che
sul
computer avevo già la seconda parte quasi conclusa.
Soprattutto ci tengo a scusarmi con coloro che avevano recensito il
primo capitolo della “vecchia storia”, sappiate che
ho
salvato tutte le vostre recensioni prima di cancellarla e che le
custodisco nel computer.
•
Non ho nulla da dire a
mia discolpa, semplicemente mesi addietro c'è stato un
periodo
in cui ho iniziato un migliaio di progetti diversi tutti in una volta
ed è andata a finire malissimo, dato che nessuno si
è
salvato. Ma almeno questa storia, secondo me, meritava una seconda
possibilità. Probabilmente mesi addietro non era
ancora il suo
tempo.
•
Andando più nello
specifico, non è cambiato molto rispetto alla prima
pubblicazione. L'unica differenza è che anziché
essere
una mini long di tre capitoli, sarà divisa in due parti
–
in questo primo capitolo, oltre alla parte già pubblicata in
precedenza, c'è anche quella che sarebbe dovuta essere nel
secondo, dedicata interamente al flashback.
Bello perché quando ho ripreso a scriverla ho
pensato: dai
che la rendo direttamente una One Shot,
solo che è saltato fuori uno scritto di almeno 8k parole e
allora no, meglio dividerla in due parti, lol –
però
quantomeno è già completa e revisionata, quindi
ora non
mi resta che pubblicare!
• La trama è sempre la stessa: Kaito e Ryoga che si
ritrovano dopo sette anni di lontananza sia fisica che emotiva, dopo
essersi lasciati in malo modo, senza neanche aver dato una
possibilità al sentimento che stava nascendo tra di loro.
Avranno modo di ritrovarsi dopo essere cresciuti e aver acquisito nuove
consapevolezze e, per quanto riguarda i loro sentimenti, non vi resta
che scoprirlo leggendo.
• Anche la canzone è sempre quella: Without You
dei My
Darkest Days per me è e sarà sempre la canzone di
Kaito e
Ryoga per eccellenza, penso che descriva appieno quella che
è la
loro relazione per come li vedo io come coppia.
Ci saranno diverse parti del testo disseminate lungo la storia, anche
se non saranno propriamente in ordine – spero non vi dia
fastidio
questa mia scelta.
Detto ciò, giuro che non vi tedierò ulteriormente
con queste N.d.A., infatti a fine capitolo non troverete altro!
Vi auguro buona lettura!
Il nostro tempo
Parte
1
If I had my way
I'd
spend every day right by your side
And
I if could stop time
Believe
me I'd try for you and I
1
Non era il nostro tempo. Sette
anni fa. Non lo era affatto.
Quelle parole
(dodici parole, per l'esattezza)
gli riecheggiavano nella mente senza tregua alcuna.
Il suo intero corpo tremava interiormente, facendo vacillare con poco
garbo la dura scorza che lo rivestiva, la quale si era lentamente
inspessita nel corso degli anni. Anni che, in quel momento, parevano
quasi sciogliersi tra le dita come neve baciata dal sole.
Aveva lasciato qualcosa
(qualcuno)
indietro. Un pezzo di anima che voleva assolutamente ritrovare e
riattaccare al suo posto di appartenenza, quello che gli spettava di
diritto.
Vivere con un buco nel cuore e nella memoria per tanto tempo era stato
difficile, a tratti tremendo: i giorni trascorsi a domandarsi come
stesse o cosa stesse facendo si erano rivelati laceranti, un vero e
proprio esercito di spilli agguerriti e avvelenati che vessavano ogni
più piccolo frammento di serenità conquistato con
tanta
fatica.
Kaito ricordava bene quei giorni, avrebbe potuto raccontarli a menadito
tutti, dal primo all'ultimo, senza tralasciare alcun particolare
(in
fin dei conti
erano la reiterazione di un unico giorno e quell'unico giorno gli si
era talmente impresso sottopelle da conoscerlo ormai bene, come un
fidato compagno di viaggi che altro non aveva da fare se non seguirlo
ovunque come una seconda ombra)
e alla fine il risultato sarebbe stato sempre lo stesso: gli mancava.
Non c'era altro da ammettere se non quello: Ryoga gli mancava.
2
La loro storia non era nemmeno iniziata, sette anni addietro. Si erano
conosciuti in quel periodo di vita in cui tutto risultava molto
più delicato e compromettente – e anche molto
più
grande rispetto al normale.
Kaito non poteva ammettere apertamente di essersi innamorato di un
ragazzino di quattordici anni che ancora frequentava la seconda media e
Ryoga non poteva fare altrettanto, confessando a cuore aperto di avere
una cotta
(la
prima cotta,
quella adolescenziale, quella che difficilmente sbiadisce nel tempo e
alcune volte te la porti dentro tutta la vita)
per un ragazzo di diciotto anni in procinto di terminare la terza
superiore per poi, una volta ottenuto il diploma, affacciarsi al mondo
dell'università.
Era tutto dannatamente amplificato. E faceva male. Faceva davvero tanto
male. Con ogni probabilità – anzi no, era una
certezza
assoluta – si erano incontrati e soprattutto si erano
innamorati
nel momento sbagliato. Semplicemente, non era il loro tempo.
(E qualcosa, nei meandri del cuore, scricchiolò appena. Ma
fece rumore. Fece davvero tanto rumore).
3
Kaito avanzava guardando dritto davanti a sé, anche se i
suoi
occhi non erano propriamente attenti e se si fosse trovato qualcuno di
fronte, molto probabilmente ci avrebbe sbattuto contro senza neanche
accorgersene. Ma era solo, in realtà. Era solo, a guidarlo
le
stelle incastonate nel cielo e la luna che lo fissava con cieco
splendore.
Il suono delle onde che placide si infrangevano sulla riva e il profumo
dell'aria salmastra che gli punzecchiava le narici – le quali
negli ultimi sette anni si erano troppo abituate
allo smog cittadino – lo portarono a vagare con la mente
(e con il cuore)
a tutti i momenti trascorsi con Ryoga, fino ad arrivare all'ultimo,
svoltosi davanti la porta di casa sua. Era strano che proprio il mare
lo portasse con la mente a pensare a Ryoga: non ci erano mai andati
insieme, era qualcosa che mancava
in quella che era stata la loro quotidianità
(e
in realtà a loro mancava proprio tutto).
Come un cerchio che si chiudeva. O come un compasso poggiato su un
foglio di carta vergine, pronto a tracciarne uno nuovo, perfetto e
intoccabile.
4
C'erano almeno una decina di battiti cardiaci che non gli sarebbero mai
stati restituiti. Come potesse ancora camminare e respirare e avvertire
la brezza sull'epidermide e tremare interiormente restava un mistero,
ma di una cosa era certo: quei dieci battiti li aveva persi tutti, uno dietro
l'altro, nel momento in cui Ryoga, quel pomeriggio, aveva risposto al
suo messaggio, acconsentendo alla sua richiesta, dicendogli sì, vediamoci questa
sera.
Kaito non lo aveva chiamato. Non voleva udire la sua voce. Non ancora.
Gli sarebbe parsa troppo
lontana e lui necessitava di sentirla da vicino.
Voleva perdersi in quelle labbra sottili che si muovevano mentre
articolavano ogni parola, in quella lingua che sapeva essere tagliente
e dolce al tempo stesso. Voleva perdersi nel sorriso sghembo che tanto
lo rendeva lui, che tanto lo rendeva Ryoga.
(Chissà se sghignazzava ancora in quel modo).
Ryoga che quando aveva quattordici anni si credeva già
grande,
si credeva il padrone del mondo e cercava di imitare gli adulti senza
rendersi conto di essere solo un riflesso sbiadito del giovane uomo che
ancora non era. Non a quei tempi, almeno.
(Non sette anni
fa, quando ancora non era il loro tempo, quando tutto era
compromettente, quando tutto faceva ancora tanto male. Quando i dilemmi
adolescenziali parevano gineprai dai quali era impossibile uscire,
quando ci si attaccava talmente tanto a qualcosa – qualcuno
– da farne il centro del proprio universo e non ci si
schiodava
da lì neanche sotto tortura).
(Quei quattro anni
di differenza parevano un abisso profondo migliaia di chilometri, quasi
potesse arrivare fino al centro del mondo e al contempo una montagna
altissima, che con la punta quasi solleticava il cielo).
A quei tempi, poi, non si sopportavano nemmeno. O meglio, all'inizio
era stato proprio così: per Kaito, Ryoga era un ragazzino
troppo
esagitato che si cacciava costantemente nei guai; per Ryoga, invece,
Kaito era un ragazzo che si credeva chissà chi solo
perché frequentava l'ultimo anno delle superiori e aveva la
patente e poteva fare cose
che a lui erano proibite poiché ancora troppo piccolo.
Erano solo quattro anni, dopotutto. Quattro anni che a quel tempo
pesavano come un macigno di carta vetrata che lacerava la carne, i
tessuti e i sentimenti più intimi.
Si erano avvicinati per puro caso e sempre per puro caso, un giorno, si
erano ritrovati talmente attaccati
da rendersi conto troppo tardi di essersi innamorati l'uno dell'altro.
E il primo amore, quello vero, forse non aveva mai fatto tanto male.
5
If the world ceased to spin
You
could start it again with just one smile
If
the seas turn to sand
With
the wave of your hand it would rain for miles
Kaito ricordava bene il giorno in cui comprese di essersi
innamorato di Ryoga. L'inverno di sette anni addietro era ancora troppo
presto, eppure al contempo era già troppo tardi per far
sbocciare del tutto quel bellissimo sentimento.
Ryoga aveva riso. Semplicemente questo. I capelli gli erano ricaduti
sulla fronte e ai lati della bocca e li aveva scostati, senza smettere
di sghignazzare. Il motivo di tutta quella ilarità era
contornato da bordi sfocati, anche perché Kaito era troppo
impegnato a osservare Ryoga ridere e scoprire un mondo tutto nuovo per
badare a cosa
– o a
chi – avesse scatenato tutta quell'esagitazione.
(Molto
probabilmente Yuma era scivolato. Oppure cercava di tenersi goffamente
in equilibrio sull'immensa lastra di ghiaccio che aveva preso il posto
dell'asfalto).
(Yuma).
(Sì, proprio Yuma).
(Se non fosse stato per lui, Kaito e Ryoga non si sarebbero mai
incontrati).
Mille supernovae gli erano esplose nel cervello e la loro scia si era
diramata in ogni parte del corpo. Nonostante quel giorno facesse
alquanto freddo, Kaito rimembrava senza difficoltà alcuna
tutto
il calore che aveva provato all'altezza del petto. Era forte, ma non
invasivo, anzi: lo avvolgeva e lo faceva sentire
inspiegabilmente bene
(e confuso e agitato e oh cielo, cosa avrebbe dovuto fare?)
e più guardava Ryoga con lo specchio della propria anima,
più si perdeva chissà dove.
Quello era stato, senza ombra di dubbio, il pomeriggio più strano
di tutta la sua vita… ma anche il più bello.
L'afferrare
nuove consapevolezze con dita tremanti era stato, in un primo momento,
alquanto arduo
(ed era inutile
negarlo, il primo amore sapeva essere anche spaventoso,
perché
più splendeva e più le ombre diventavano scure e
spesse e
tremende)
ma al contempo liberatorio.
Anche se, dopo sette anni, aveva capito di non essere più
libero. E forse aveva smesso di esserlo nell'esatto momento in cui
aveva voltato le spalle a Ryoga per l'ultima volta.
6
Kaito ricordava bene anche come si era comportato a riguardo: male.
Non solo dopo aver realizzato l'immensità di quel sentimento
aveva deciso caparbiamente di allontanarsi sia fisicamente che
emotivamente
(e più lo faceva, più Ryoga si avvicinava, forse
senza neanche rendersene conto)
ma gli aveva anche dato il colpo di grazia quella lontana sera di fine
inverno, davanti casa di Ryoga, quando gli aveva detto che si sarebbe
trasferito a Den City per studiare Giurisprudenza. Den City, a ore e
ore di treno da lì, da Heartland City. A centinaia di
chilometri
di distanza dalla persona che aveva iniziato ad amare troppo presto e
al contempo troppo tardi.
Rimembrava bene le sfumature che gli occhi di Ryoga avevano assunto. E
le ricordava così bene perché non vi era
assolutamente
nulla da imprimere nella memoria: il blu scuro aveva lasciato posto al
nero pece, denso e apatico. Nessuna sfumatura faceva capolino in quelle
iridi tanto vuote. Nessun guizzo di luce le irradiava e abbelliva.
Erano la desolazione più assoluta.
Di Ryoga non era rimasto nulla, solo una maschera di pietra muta e
distaccata. Una corazza che invano tentava di proteggerlo dalle
tonnellate di dolore che gli si erano appollaiate sulle spalle,
affondando gli artigli nella tenera carne
(faceva
male, faceva male da morire)
mentre Kaito recitava il suo copione mentale alla lettera, senza
interruzione alcuna, talmente perfetto da risultare falso.
E poi arrivarono. Sei parole soltanto. Sei parole dalla potenza di un
bombardamento aereo.
(«Non
è il nostro tempo, Ryoga»).
(«E allora quando lo sarà?»)
(Nessuna risposta. Nessun segnale).
(Niente. Niente di niente).
7
Kaito si bloccò di colpo. Alzò lo sguardo al
cielo stellato, respirando profondamente.
(Inspirò).
Era in anticipo, dopotutto.
(Ed espirò).
Poteva fermarsi qualche attimo prima di proseguire. Solo, nella
speranza che la mente non vagasse troppo
in là, andando a toccare alcuni nervi scoperti
e il suo cuore pulsante. Le immagini di ciò che lui e Ryoga
(non)
erano stati erano nitide e colme di particolari che a distanza di anni
ancora non aveva smesso di scoprire.
Inspirò ed espirò ancora. E il suo ultimo ricordo
con lui
gli carezzò la pelle, trasportato da una salmastra folata di
vento.
I die every day that you're away
from me
8
Avvertiva il suo respiro
sul collo.
Era caldo e maldestro, come se avesse trovato appiglio tra la stoffa
della sciarpa grigia, intrufolandosi a suo piacimento in mezzo al
tessuto per carezzare l'epidermide scossa dai tremiti. Kaito
maledì se stesso per non essere uscito in macchina, quella
sera.
Certo, all'inizio non l'aveva reputata necessaria, dato che casa sua
non distava molto dal punto di ritrovo; i problemi erano arrivati dopo,
quando Ryoga si era cacciato nei guai – o meglio: era in
procinto
di farlo – per l'ennesima volta.
Lo aveva fermato in
tempo,
stringendogli il polso e facendolo voltare verso di lui. Lo aveva
osservato qualche istante e quelle brevi frazioni di secondo gli erano
bastate per constatare che Ryoga non fosse affatto in forma: era
stanco, probabilmente aveva anche qualche linea di febbre e tutto
quella sera avrebbe dovuto fare tranne che uscire di casa con l'intento
di scatenare un casino.
Erano trascorse tre
settimane da
quando Kaito aveva compreso e realizzato di provare qualcosa per Ryoga.
Tre settimane in cui aveva cercato in ogni modo possibile e
immaginabile di evitarlo sotto tutti i punti di vista, allontanandosi
da lui e dal resto del suo gruppo. In fin dei conti frequentava il
terzo – e ultimo – anno delle superiori e aveva
tantissimo
da studiare, quindi appoggiarsi a quella scusa non era neanche una vera
e propria bugia. Inoltre, si stava anche preparando per il test
d'ammissione all'università, dato che mancava una sola
settimana
e il tempo scivolava sempre più tra le dita.
(Tempo. Test d'ammissione. Università.
Facoltà di Giurisprudenza).
(Non lì. Non a Heartland
City).
(Lontano da Ryoga).
9
All'ennesimo fremito
dovuto al
respiro caldo di Ryoga sul collo, Kaito si ridestò dai suoi
pensieri. Ryoga era molto più leggero di quanto immaginasse
e
non gravava affatto sulla sua schiena. A preoccuparlo maggiormente
erano le sue
(le loro)
sensazioni.
«Come
stai?» domandò mentre avanzava per la lunga via
che
portava a casa di Ryoga. In macchina sarebbero arrivati molto prima
anche se, in tutta onestà, per quanto compromettente
potesse essere, quel momento dedicato a loro e a loro soltanto era
contornato da sfumature meravigliose. Era la prima volta che si
trovavano soli. Forse era davvero il loro momento.
(O forse no. Non ancora).
«Che fai,
ora ti preoccupi?» borbottò Ryoga, il mento
poggiato sulla
sua spalla. «Mi eviti per settimane intere e ora mi stai
addirittura accompagnando a casa» rincarò la dose,
una
punta di acidità nel tono di voce e la presa delle braccia
lievemente allentata.
«Tieniti,
per favore. E ascoltami: è stato Yuma a chiamarmi, ed era
anche
molto preoccupato per te. Ha detto che questa sera, con molta
probabilità, ne avresti combinata un'altra delle tue
e–»
«E così ti sei improvvisato paladino della
giustizia per venire in mio soccorso? Che carino, grazie per avermi prestato
aiuto quando non solo non ne avevo bisogno, ma non te l'avevo neanche
chiesto».
Kaito alzò
gli occhi al cielo
e sospirò. «Si può sapere che ti
prende?»
domandò, un moto di frustrazione nel tono di voce e le mani
che
tremavano appena
(e no, non poteva permetterselo, doveva sorreggerlo).
«Vuoi davvero saperlo?»
Tutto mutò
all'istante. Le
parole di Ryoga non erano più sarcastiche e intrise di
acidità. Erano, invece, velate da una spessa patina di
serietà. Si strinse un po' più forte contro di
lui e
Kaito comprese che qualcosa era in procinto di emergere dagli abissi.
Gli stessi abissi che avevano preso il posto del cielo quella sera:
scuro come un buco nero, privo di stelle e nebulose.
(Nudo, inerme, esposto).
«Sì, voglio saperlo».
10
Fu Ryoga a sospirare,
questa volta.
Si morse il labbro inferiore e poi parlò: «Mia
sorella
frequenta un ragazzo».
Nonostante fosse ben
conscio di aver
appena scoperto solo la punta dell'iceberg, Kaito non riuscì
a
trattenersi: «Non ci vedo nulla di male»
commentò
infatti, guardando sempre dritto davanti a sé. Intravide
l'abitazione di Ryoga pochi istanti prima che quest'ultimo replicasse e
che il mondo gli crollasse addosso.
«Thomas ha diciassette anni».
Kaito si
bloccò. Lì, in
mezzo alla strada, con Ryoga che pareva lo stesse goffamente
abbracciando da dietro. Si irrigidì e deglutì a
fatica,
continuando a guardare dritto davanti a sé, anche se in
realtà non stava più osservando nulla.
(Cosa stava fissando, se non la cruda realtà
dei fatti?)
«Quel tipo
non mi piace. Girano strane voci sul suo conto e non voglio che Rio
soffra per causa sua. Lei ha quattordici anni. Insomma, lui
è… è…»
«Troppo grande per lei» concluse Kaito al posto suo.
Sapeva quanto Ryoga
fosse
visceralmente legato alla gemella. Con ogni probabilità, non
avrebbe accettato neanche un coetaneo come frequentazione per lei.
Certo, Rio era libera di vivere le proprie esperienze e Ryoga non
poteva sindacare più di quel tanto, motivo per il quale
accadeva
spesso che si cacciasse nei guai al solo scopo di proteggerla. La
facciata da “cattivo ragazzo” era una mera leggenda
metropolitana: Ryoga non finiva nei casini per divertimento o
perché gli andava o per mostrare chissà quale
superiorità; lui finiva nei casini quando la preoccupazione
per
Rio raggiungeva picchi esponenziali.
Concludere la frase per
lui fu una
pugnalata al cuore. Qualcosa, nei meandri dell'anima, si
spezzò.
Il mondo era sordo, ma lui no: quel frammento di anima si
staccò
e cadde a terra, frantumandosi in pezzi ancora più piccoli e
lui
lo sentì. Il suono che gli giunse ai timpani era un lamento
intriso di sangue e dolore, un vuoto nel quale si era inabissato senza
più riuscire a riemergere.
(Viveva
nell'illusione di nuotare verso la superficie, quando invece stava
sprofondando sempre più. Ed era orribile, perché
più il tempo passava e più realizzava che non
poteva fare
a meno di lui).
«Troppo grande per
lei»
ripeté in un sussurro, quasi volesse dare una forma concreta
a quel concetto torbido e dilaniante.
«Già.
Quantomeno per il momento. Ma io non posso dirlo» ammise
Ryoga,
sorridendo amaramente. «Sarei ipocrita se lo
facessi». Si
strinse ancora più forte a Kaito, premendo il petto contro
la
sua schiena. «Perché lo stesso vale per me. E sai,
nel mio
caso la persona in questione è anche più grande
di
Thomas. Solo di un anno, ma la differenza c'è».
11
L'aria tardò
ad arrivare ai
polmoni. Kaito deglutì ancora e questa volta
avvertì la
gola pizzicare. Si umettò le labbra, fattesi improvvisamente
secche, articolando parole mute che Ryoga non poteva né
vedere
né sentire.
«È
per questo che hai iniziato a evitarmi, vero? Perché l'hai
capito e non mi vuoi. È così?»
«No, non è così. L'ho fatto per
l'esatto opposto».
Avrebbe potuto mentirgli
spudoratamente e chiuderla lì. Dirgli che sì, si
era
allontanato da lui per quello, perché aveva intuito qualcosa
e
non era affatto interessato a prendersi cura dei suoi sentimenti. La
verità era che Kaito non aveva capito proprio un bel niente
dei
sentimenti di Ryoga, il quale era stato assai abile nel celarli sotto
strati e strati di indifferenza. Un'indifferenza che per Kaito era
stata quasi un'ancora di salvezza, perché se Ryoga non
ricambiava ciò che provava per lui, allora aveva
più
probabilità di dimenticarlo nel minor tempo possibile.
La stessa maschera
impassibile che
Kaito aveva sfoggiato ogniqualvolta si erano incontrati, anche solo di
sfuggita, durante le tre settimane in cui aveva tentato in ogni modo di
allontanarsi da lui.
Non avrebbe mai
immaginato che Ryoga
ricambiasse i suoi sentimenti. Doveva ancora realizzarlo del tutto, ma
quantomeno tornò a respirare. Anche se la situazione si era
fatta mille volte più delicata.
12
«Fammi scendere».
Solo in quel momento
Kaito
realizzò di essersi fermato in mezzo alla strada. Un
venticello
freddo aveva fatto il suo timido ingresso in città,
pizzicando
le gote e portando con sé sospiri impercettibili. E Ryoga
aveva
la febbre, non poteva continuare a stare lì fuori. Mancava
poco
e lo avrebbe riportato a casa. Era quasi finita.
(Come poteva essere finita quando era appena iniziata?)
Ignorando la richiesta
– o
meglio: l'ordine – di Ryoga, Kaito riprese a camminare,
tentando
nel mentre di non sprofondare nel subbuglio emotivo nel quale si era
ritrovato a vorticare senza preavviso alcuno.
«Kaito, fammi scendere».
«No».
(Un dimenarsi debole e traballante).
«Voglio scendere».
«Ho detto di no».
(Un ringhio di frustrazione).
«Tanto tra poco dovrò farlo per
forza…»
«Ecco, quindi vedi di calmarti».
(A quelle parole, Ryoga si agitò ancora di
più).
«Non puoi fare finta di nulla! Ti rendi conto di
ciò che hai detto?»
«Non sto facendo finta di nulla e sì, mi rendo
conto di ciò che ho detto».
«Allora fammi scendere, voltati e diciamocelo in
faccia».
«Ryoga, non possiamo».
«Perché?»
«Perché…»
(Perché non è il nostro tempo).
Nessuna risposta.
13
My heart breaks with every beat
I
can't explain what you do to me
So
just say you'll promise me
Please,
take me if you ever leave
Ryoga poggiò
nuovamente i piedi
a terra quando giunsero dinanzi la porta di casa sua. Era talmente
annichilito che pareva sul punto di svenire da un momento all'altro; al
contempo, però, i suoi occhi erano lucidi non solo a causa
della
febbre, ma anche per il desiderio sconfinato di chiarire una volta per
tutte la loro situazione.
Si strinse forte nel cappotto pesante, ora che non poteva
più
farlo con Kaito, guardandolo intensamente con gli abissi profondi che
aveva al posto delle iridi.
«Voglio sapere perché» riprese il discorso,
intenzionato più che mai a ricevere una risposta.
«Per lo stesso motivo che ti
porta
all'esasperazione non appena scopri che tua sorella ha un appuntamento
con un ragazzo di diciassette anni» rispose Kaito con un tono
di
voce molto più tagliente di quanto lui stesso si aspettasse.
«La situazione è
diversa perché Thomas ci sta, a
differenza tua»
obiettò Ryoga, sempre più intestardito a
riguardo.
Avvampò nel momento in cui realizzò di aver detto
qualcosa di altamente fraintendibile. «Cioè, con
Rio.
Thomas con Rio – anche se non lo approvo».
«Sì, lo avevo
capito» lo
tranquillizzò Kaito. Si umettò le labbra,
passandosi poi
una mano tra i capelli. «Ryoga… non
possiamo».
E Ryoga sussultò. «Voglio capire perché» disse, tirando poi
su col naso.
(No, non stava
affatto bene. Necessitava
di barricarsi sotto le coperte calde il più presto
possibile. E
Kaito non voleva essere la causa di un ulteriore dolore per lui).
«Tra una settimana
sosterrò l'esame per entrare
all'università».
«E diamo per scontato il fatto
che lo supererai. Ancora non capisco quale sia il problema».
Kaito lo ringraziò mentalmente anche se, con ogni
probabilità, Ryoga non lo avrebbe ringraziato a sua volta
con
ciò che stava per dirgli. Qualcosa che Ryoga stava solo fingendo
di non capire perché, Kaito lo aveva notato e anche fin
troppo
bene, stava solo glissando sulla cosa più importante per non
renderla reale.
(Il nocciolo della questione, il nucleo,
l'abisso più scuro e profondo e spaventoso).
«Ryoga…»
«Sì…?»
(Si stava lentamente accartocciando su
se stesso. Così piccolo, perso, solo e spaventato).
«La Facoltà di
Giurisprudenza…»
«Si trova dall'altra parte di
Heartland City, che vuoi che sia?»
«Ryoga, smettila. So che hai
capito».
Ryoga si irrigidì. Deglutì a vuoto una, due, tre
volte, provò a replicare senza però riuscirci.
«Ora ascoltami. E vedi di
fartene una ragione
in fretta, perché non lo ripeterò una seconda
volta: la prossima
settimana sosterrò l'esame per entrare
all'università. Ma
non qui. Andrò a Den City». Sapeva che con quelle
parole
lo stava uccidendo. Poco per volta, come un veleno che agiva lentamente
e martoriava il corpo portando con sé una lenta agonia.
Ryoga sgranò gli occhi, quasi volesse portarli oltre il
limite
consentito. «Come, scusa?» domandò con
un filo di
voce. «Che stronzata è mai
questa?»
E allora Kaito capì. E si diede mentalmente dell'imbecille:
Ryoga non lo sapeva, ignorava che l'università che aveva
scelto
si trovasse in un'altra città – la quale era anche
molto
lontana da Heartland City.
Per tutta la conversazione aveva creduto fermamente che Ryoga non
volesse ammettere la realtà dei fatti e che negasse
l'evidenza
con ogni mezzo a sua disposizione. Ma non era così, era
l'esatto
opposto: Ryoga non immaginava affatto che Kaito se ne sarebbe andato da
quella città, credeva che sarebbe rimasto. Per questo
trovava incomprensibile il fatto che Kaito non volesse
dare loro una possibilità: perché la distanza, sia fisica che emotiva, non
l'aveva mai contemplata.
«Tu… tu credevi che
sarei rimasto
qui» parlò, rivolgendosi più a se
stesso che a
Ryoga.
«Già. Avresti
potuto avere la decenza di dirmelo» lo
attaccò quest'ultimo, con voce e gambe tremanti.
«E tu quella di entrare in
casa a riposarti».
Ryoga digrignò i denti come una belva inferocita.
«Vedi
come sei? Cerchi di evitare il discorso con ogni mezzo a tua
disposizione! Sei un codardo!»
Kaito si inalberò. «Un codardo? Io? Credi sia facile per me tenerti
alla larga quando l'unica cosa che vorrei è avere
più tempo
per stare con te? Come credi ci sia rimasto quando ho realizzato troppo
tardi di
provare qualcosa per te? O come credi che stia ora? Credi che abbia scelto a cuor
leggero di fare tutto ciò che ho fatto?»
Si avvicinò a lui e lo prese per le spalle, scuotendolo
appena. «Cresci, Ryoga, cresci. Il mondo non gira intorno a te,
intorno a noi…
(la voce si
incrinò)
… anche se vorrei fosse davvero così».
Sciolse la presa sulle sue spalle e si voltò, scendendo i
tre scalini con ginocchia tremanti.
«Questo è il tuo
discorso di
addio?» gli domandò Ryoga, stringendosi nuovamente
nel
cappotto pesante. Anche la sua voce si era ormai incrinata del tutto,
nonostante mantenesse una certa parvenza di dignità.
«Perché se è così, fa
davvero schifo».
Kaito si bloccò, respirando a fondo. «Non mi
sembri il tipo da preferire un'illusione alla
verità».
«Infatti. Ed è
proprio per questo che
non capisco perché tu non voglia rendere reale quello che
proviamo l'uno per l'altro. Perché non possiamo stare
insieme?»
«Non è il nostro
tempo, Ryoga».
«E allora quando lo
sarà?»
(Gli diede addio
senza rispondere a quella domanda).
But the thought of you gone
Makes
everything wrong in my life
So stay right
here, right now...
|
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Capitolo 2 *** Parte 2 ***
Il nostro tempo pt.2
• N.d.A. in fondo alla pagina. Buona lettura!
Il nostro tempo
Parte 2
14
Che cosa ho fatto?
Kaito se lo
era domandato più e più volte nel corso di quei sette
anni, ma mai come in quel momento, quando mancava ormai poco,
pochissimo all'inizio
(o alla fine)
di tutto.
Sarebbe
voluto tornare indietro nel tempo, proprio nell'istante in cui aveva
dato la schiena a Ryoga, per poggiare le mani sulle sue stesse spalle e
far voltare il diciottenne che era stato verso quel ragazzino che aveva
un disperato bisogno di lui. Avrebbe voluto smuovere quelle gambe
tremanti e indirizzarle verso la giusta meta senza più alcuna
esitazione. Avrebbe voluto urlare nelle sue stesse orecchie e far
vibrare i timpani di tutte quelle azioni che non era riuscito a
compiere quella sera che, lo ricordava come se fosse il giorno prima,
aveva un buco nero al posto del cielo stellato.
(Va' da lui).
(Non esitare).
(Non lasciartelo scappare).
(Datevi una possibilità).
Alla fine,
però, aveva ceduto all'arrendevolezza, lasciandosi andare nel
senso opposto. Si era allontanato da Ryoga pensando fosse un addio,
credendo di porre la parola “fine”
a tutto quanto ancor prima che sbocciasse, quando invece la sua vita si
era tramutata in sette anni di agonia. Quando tornava a Heartland City
per le festività o le brevi vacanze estive, era come se Ryoga
non esistesse: lui non si faceva vedere mai e Kaito a sua volta non
chiedeva mai di lui, nonostante Yuma avesse tentato più e
più volte di renderlo il fulcro di diverse discussioni – e
in ogni caso finiva comunque per informare Kaito riguardo più o meno tutto
–, non lo cercava mai né lo aveva mai chiamato di sua
spontanea volontà.
E allora quelle tre parole
(“Sei un codardo”)
trovavano un
saldo appiglio da qualche parte nella sua mente, riecheggiando in una
nenia sfiancante dal retrogusto acido della verità: era vero,
era proprio un codardo. Aveva paura perché sapeva di aver
commesso un errore imperdonabile, forse anche irrimediabile e,
più di ogni altra cosa, aveva realizzato che sette anni
addietro, nonostante lo volesse, non si sentiva ancora pronto.
E che tra loro, l'unico veramente pronto era Ryoga. Era sempre stato
lui, col suo voler sovrastare ogni scoglio e ogni montagna con
tonnellate di caparbietà tipiche dei ragazzini della sua
età.
Kaito aveva
ricominciato a camminare già da un po', avvicinandosi sempre
più al punto di incontro – il locale sulla spiaggia e la
musica che si diffondeva nell'aria erano sempre più presenti nel
suo campo percettivo.
A un tratto
si domandò se avessero potuto farcela davvero, sette anni
addietro, se solo lui non se ne fosse andato in quel modo. Magari
nell'ultimo inverno ormai passato avrebbero già festeggiato il
loro settimo anniversario. Ryoga non avrebbe avuto la febbre e
sarebbero usciti la sera, perdendosi per le vie di Heartland City
illuminate da infinite stelle cadute per sbaglio sulla Terra. Durante
la primavera Ryoga lo avrebbe trascinato di peso all'acquario della
città e, anzi, perché no, magari tutte quelle creature
marine le avrebbero potute vedere dal vivo da qualche parte nel mondo, solo loro due, durante le vacanze estive.
(Quanti “Ti amo” avrebbero potuto dirsi in sette anni?)
(Quante volte avrebbero potuto baciarsi, abbracciarsi, litigare per poi fare pace e prendersi in giro?)
(Quanto tempo avevano perso senza più avere modo di riavvolgere
il nastro e tornare al momento in cui tutto era finito per invertire la
rotta e farlo diventare il loro bellissimo punto di inizio?)
Aveva sbagliato tutto. Tutto, tutto, tutto.
Aveva sbagliato ogni cosa. Aveva trascorso gli ultimi due anni
all'estero e l'unico bagaglio culturale che si era portato a casa era
la consapevolezza che una vita senza Ryoga lo stava pian piano
uccidendo.
Aveva fatto
ritorno a Heartland City con l'intenzione di restare, questa volta per
davvero. Aveva terminato gli studi, era pronto per affacciarsi al mondo
del lavoro e voleva ripartire proprio da lì, perché le
opportunità c'erano e non aveva più motivo di ignorare il
volere del suo cuore spaccato a metà.
Se Ryoga
avesse ribaltato la situazione e gli avesse detto che era ormai troppo
tardi anche solo per provarci, lo avrebbe accettato.
Se Ryoga
avesse acconsentito a incontrarlo solo per dirgli che dopo sette anni
era ormai inutile avere dei ripensamenti, che lui era già andato
avanti da un pezzo con la propria vita e che non era minimamente
interessato a dare al loro rapporto una possibilità, Kaito lo
avrebbe capito e se ne sarebbe fatto una ragione. Dopotutto,
era stato il primo tra i due ad aver sbagliato e non aveva motivo
alcuno di opporsi alle decisioni prese da Ryoga.
E se proprio
doveva essere onesto, c'era una microscopica parte della sua coscienza
che sperava ardentemente in questo: che almeno Ryoga fosse andato
avanti, dimostrandosi più forte di lui. Che non avesse atteso
sette anni invano, cercando qualcuno che non arrivava mai… ma
che era arrivato ora.
Kaito si
fermò, guardandosi intorno. Era finalmente giunto a
destinazione. C'erano diverse persone che non conosceva, alcune
che stavano entrando nel locale e altre che stavano uscendo per sorseggiare i
drink fuori, magari a un tavolo o in riva al mare. E poi… e poi c'era Ryoga.
Intento a
fumare una sigaretta mentre, di fronte a lui, Yuma gli stava
raccontando qualcosa in maniera concitata con un cocktail in mano che
oscillava pericolosamente da una parte all'altra – e tra una
sorsata e l'altra.
Ryoga,
notò Kaito, annuiva sempre prima di prendere una boccata di
fumo, sinceramente interessato a ciò che Yuma gli stava
sciorinando senza mai fermarsi e poco ci mancò che ciò
che restava del cocktail gli si rovesciasse addosso, rovinando la
t-shirt rossiccia che indossava. Poi Ryoga lo bloccò, buttando
il mozzicone direttamente nel bicchiere e
(«Shark, non lo avevo ancora finito!»)
(«Ma va, è rimasto solo il ghiaccio» – e
sì, sghignazzava ancora allo stesso modo)
Yuma
alzò gli occhi al cielo, incrociando lo sguardo con quello di
Kaito nel momento in cui li riabbassò, bloccandosi
definitivamente. Aprì la bocca più e più volte,
senza però articolare alcun suono. Un baluginio di
felicità si riflesse sul suo volto contornato ancora da
un'espressione incredula, come se fosse stato ritratto nella tavola di
un manga. Ryoga gli sventolò una mano davanti al volto, cercando
di riportarlo alla realtà, ma Yuma gli afferrò il polso,
facendo un segno col capo in direzione di Kaito.
Fu lì
che Ryoga si voltò, accorgendosi finalmente di lui. I suoi occhi
blu scuro si sgranarono in un meraviglioso slow motion, come un buco
nero che inghiotte una stella riducendola in polvere.
(Era bellissimo).
15
Kaito aveva smesso di articolare pensieri sensati nella mente da quando aveva visto Ryoga
(da quando aveva realizzato che non era più il ragazzino di sette anni addietro).
Il Ryoga
ventunenne era più muscoloso e più alto di una decina di centimetri, aveva i
capelli un po' più lunghi – in quel momento legati in una
coda alta –, aveva uno squalo tatuato sul braccio sinistro,
indossava una collana con il dente sempre di uno squalo – e forse
della stessa specie tatuata – come ciondolo e, forse, aveva anche
un piercing alla lingua.
Il Ryoga
ventunenne si portava sicuramente appresso degli strascichi di
ciò che era stato un tempo, ma erano ben celati sotto la canotta
nera e i pantaloni chiari.
(C'erano strati e strati e strati di cicatrici invisibili, là sotto).
(Invisibili, ma che facevano comunque un gran male).
Kaito lo
osservò mentre si riprendeva dallo stupore iniziale e, dopo aver
alzato gli occhi al cielo a causa dei continui incoraggiamenti da parte
di Yuma – il quale era, con ogni probabilità, il
più agitato fra i tre –, avanzare verso di lui, con le
scarpe che affondavano un poco nella rena e le mani che affondavano
altrove, nelle tasche dei pantaloni.
«Ehi» disse Ryoga, fermandosi a pochi passi da lui.
«Vuoi bere qualcosa o preferisci evitare di vedere Yuma
collassare da un momento all'altro?»
(Ovvero: ci allontaniamo da qui che forse è meglio, che ne dici?)
(E sì, aveva un piercing alla lingua).
Kaito abbozzò un sorriso. «Sì, credo sia meglio lasciare in pace Yuma».
16
'Cause without you I'm a disaster
(The moment you go)
And you're my ever after
(Just thought you should know)
Camminarono per qualche minuto nel mutismo più assoluto,
allontanandosi pian piano dal locale, dai cocktail e dalla musica
estiva. Erano alla ricerca di un posto tranquillo perché, ne
erano consapevoli entrambi, i marosi che si stavano scatenando dentro
di loro facevano già abbastanza frastuono.
Sembravano
estremamente tranquilli, se osservati da un'occhiata superficiale,
apparendo come due persone qualunque che camminavano in riva al mare.
Due amici. Due conoscenti. Due perfetti estranei.
Ryoga si
bloccò all'improvviso, decretando silenziosamente di aver
raggiunto una distanza soddisfacente da tutti i rumori del mondo.
C'erano solo le piccole e timide onde del mare a creare un sottofondo
quasi soffuso che si miscelava con il venticello serale che sbuffava
ogni tanto. Erano arrivati a destinazione. E Kaito si fermò con
lui.
«Vedo che non sei cambiato di una virgola in questi sette
anni» disse Ryoga, le mani sempre affondate nelle tasche dei
pantaloni. «A parte l'altezza, intendo. Sei sempre tutto d'un
pezzo».
«Tu invece sei cambiato molto rispetto a sette anni fa»
rispose Kaito, come se si fosse incantato a osservarlo.
«Già, credo di essere cresciuto.
Anche se resto comunque più basso di te». Nel dire
ciò, Ryoga gli si avvicinò, annullando la distanza tra i
loro corpi di pochissimi centimetri. «Sette anni fa arrivavo
più o meno qui» proseguì, liberando una mano per
sfiorargli le labbra con le dita.
Kaito
trattenne il respiro. Ora Ryoga riusciva a guardarlo negli occhi senza
dover necessariamente alzare il capo – e Kaito abbassarlo.
Diamine, era davvero cresciuto.
Ryoga
compì qualche passo indietro e dal suo sguardo Kaito comprese
che lo stava facendo a malincuore. «Comunque,» riprese il
discorso, il braccio che penzolava lungo il fianco, «Yuma mi ha
detto che hai terminato gli studi».
«Sì».
«E che hai vissuto due anni all'estero. A Londra, se non erro».
«Esatto. Tu, invece? Come procedono gli studi in Biologia?»
«Tutto bene. Immagino che Yuma ti abbia anche riferito che l'anno
prossimo inizierò la specializzazione in Biologia Marina».
«Sì. Mi ha anche detto che inizialmente eri indeciso se
frequentare l'università o aprire una palestra».
«Perché ho la sensazione che Yuma abbia raccontato vita,
morte e miracoli di entrambi senza che noi gli chiedessimo nulla?»
«Perché è esattamente quello che ha fatto».
A
quell'affermazione risero entrambi. E quando Kaito rivide dopo tanto
tempo Ryoga ridere, capì ancora una volta perché si fosse
innamorato di lui sette anni addietro. Ryoga pareva una creatura
sospesa tra gli abissi e l'universo; un'entità più unica
che rara dagli occhi freddi che, paradossalmente, ardevano di passione.
Ryoga era bellissimo. In ogni suo più piccolo pregio e in ogni
suo più grande difetto.
«Yuma mi ha anche detto che sei tornato e che hai intenzione di restare».
Kaito smise
di ridere, tornando a guardarlo con serietà e ritrovando nello
sguardo di Ryoga tutta la consapevolezza di cui erano pregni i suoi
occhi. «Sì, è così» confermò
infine, avvertendo la gola fattasi improvvisamente riarsa.
«E in questo tuo restare… che cosa c'è?»
(Ci
sei tu. Solo e soltanto tu. Perché questi sette anni senza di te
sono stati un inferno e ho capito che non posso vivere un altro giorno
in più senza starti accanto. In questo mio restare ci siamo noi.
C'è il nostro tempo).
Per un
attimo il mare notturno sparì, la rena si dissolse e il cielo si
tramutò in un buco nero che aveva inghiottito ogni stella. Per
un attimo Kaito tornò a sette anni addietro, davanti al Ryoga
quattordicenne che a modo proprio lo stava implorando di rimanere
lì, di non andarsene, di dare al loro amore una
possibilità. Si perse in quegli occhi spenti, in quelle gambe
tremanti, in quel corpo annichilito dalla febbre. E il cuore si
incrinò.
«C'è l'unica persona che non ho avuto il coraggio di tenermi stretta sette anni fa».
«Capisco».
Ryoga chiuse gli occhi, inspirando a fondo l'aria salmastra. E poi riprese a parlare.
«Durante le superiori per un po' ho frequentato una
ragazza» ammise. «Penso che sia una tra le poche cose che
Yuma non ti abbia detto, forse per non impensierirti».
Aprì lentamente gli occhi, lasciando scivolare ogni parola
pronunciata in un flusso di ricordi sbiaditi e contorti.
«Comunque, era una mia compagna di classe. Molto carina, devo
dire. Ci ho provato, sai? A prenderla per mano, a baciarla, a farle
qualche sorpresa, a lasciarmi tutto alle spalle…
niente. Niente di niente». Si morsicò il labbro inferiore
prima di proseguire: «Al primo anno di università ci ho
riprovato con un mio compagno di corso. Mi trovavo bene con lui e
credevo che tra noi due potesse funzionare. Finì tutto al
secondo appuntamento: mi disse che avevo perennemente la testa altrove
e che lo aveva già notato da un po', come se non facessi altro che pensare a un'altra persona anche in mezzo a un sacco di gente. Non aveva poi tutti i torti… anzi, aveva proprio ragione».
La piccola
parte di Kaito che fino all'ultimo aveva sperato che almeno Ryoga fosse
andato avanti con la propria vita si frantumò in mille pezzi,
riducendosi in polvere. E si sentì maledettamente in colpa per
le conseguenze che la sua decisione aveva portato con sé.
Lui e Ryoga
avevano condotto due vite parallele in cui avevano continuato a
scegliersi nonostante tutto. Nonostante le innumerevoli
possibilità. Nonostante l'immensità del mondo. Nonostante
i continui silenzi e tutto il dolore che il non agire aveva portato con sé.
«Rio e Thomas stanno insieme da quasi sette anni. Certo, hanno
avuto qualche tira e molla una volta ogni tanto, però ora stanno
insieme ufficialmente. Ricordi quando ti avevo detto che Thomas non mi
piaceva? Anche se a malincuore, mi sono dovuto ricredere. Ha dimostrato
di tenerci davvero a Rio e… cazzo, ti rendi conto? Loro ce
l'hanno fatta. E nessuno mi toglie dalla testa la convinzione che ce
l'avremmo potuta fare anche io e te, sette anni fa».
Ryoga
liberò anche l'altra mano e si portò le braccia al petto,
stringendole forte, come se lo squalo dall'aria minacciosa che aveva
tatuato sul braccio potesse proteggerlo in un qualche modo. «In
tutti questi anni ho perso il conto delle volte in cui ho provato il
forte impulso di cercare il tuo numero in rubrica e chiamarti o
inviarti un messaggio. Per dirti cosa, sinceramente non lo so, forse
anche solo per mandarti a quel paese e sfogare su di te tutta la mia
frustrazione e il mio dolore».
Si fermò un istante e Kaito notò le sue labbra tremare.
«Ma che dico… in realtà so bene cosa ti avrei
detto. Ti avrei chiesto di tornare, perché senza te…
cazzo, senza di te la mia vita è un disastro. E nonostante tutto, ho sempre avuto paura di chiamarti. Mi sono sentito così stupido… così piccolo…»
Ryoga si strinse maggiormente in quell'abbraccio vuoto, quasi volesse
diventare un tutt'uno col mare che si inscuriva sempre più, e
una lacrima solitaria gli solcò il volto. «Quando oggi pomeriggio ho
ricevuto il tuo messaggio, non potevo crederci. Ho
provato così tante emozioni in una volta sola che forse devo
ancora metabolizzarle del tutto. E ora tu sei qui. Sei qui e mi hai
detto che sei tornato per restare. E che il motivo di tutto ciò
sono io».
Kaito lo
aveva ascoltato per tutto il tempo senza mai interromperlo. In fondo
Ryoga se lo meritava: aveva bisogno di dirgli tutto quello che era
sempre rimasto sepolto sotto strati e strati e strati di dolore ed
emozioni taciute. Aveva bisogno di esporsi senza più riserva
alcuna e senza più provare alcun senso di disagio o
inadeguatezza.
(Aveva bisogno del suo tempo. E Kaito glielo avrebbe concesso senza mai fiatare).
Ogni sua
parola aveva la potenza di un bombardamento aereo pregno di
emotività repressa in procinto di esplodere. Ogni bomba che si
schiantava al suolo era in grado di sconquassargli le pareti del cuore
e farlo vacillare sempre più.
Anche lui
era cambiato. Non solo Ryoga, non solo quel ragazzino che a quattordici
anni aveva già le idee molto chiare riguardo a tante cose. Anche
Kaito era cambiato. Lo sentiva.
Ne era certo. E lo era perché aveva ormai compreso che era
impossibile cambiare il passato, che continuare a guardarsi indietro
era completamente inutile. Che ciò che non erano stati sette
anni addietro probabilmente avrebbe continuato a portare con sé
tanti strascichi costellati da lividi e cicatrici e lacrime, ma poteva
ancora avanzare, arrancare se necessario, e un giorno si sarebbe retto
in piedi da solo e avrebbe trovato la forza di correre lontano,
esplorando quel mondo che aveva sempre tenuto un piccolo spiraglio
aperto in attesa del suo arrivo.
Ciò che non erano stati sette anni addietro c'era ancora. Era ancora vivo. E lui non voleva perderlo. Non più. Perché lo aveva perso per tanto, troppo tempo.
«Kaito». Ryoga lo guardò dritto negli occhi, la
lacrima solitaria ancora fresca sul suo volto e l'abbraccio vuoto ormai
dissolto – le braccia ora ricadevano lungo i fianchi, stanche di
proteggere un cuore già tanto martoriato. «Io ho
paura».
Kaito
compì il primo passo verso di lui. Vedendo che Ryoga non
indietreggiava e non opponeva alcuna resistenza, compì anche il
secondo e poi il terzo, arrivando a pochi centimetri di distanza dal
suo corpo, dal suo cuore, dalla sua anima, da tutto ciò che
rendeva Ryoga la persona che amava.
Gli asciugò la lacrima solitaria con dita ferme e sicure
(nessuna esitazione, non più)
e ricambiò il suo sguardo.
Poterlo
toccare nuovamente dopo tanto tempo gli bruciò le interiora.
Lasciò la mano lì, poggiata su quella gota bagnata da una
nuova lacrima e gli domandò: «Di che cosa hai paura?»
Ryoga si umettò le labbra, si prese il suo tempo
e finalmente rispose: «Che un giorno te ne andrai via di nuovo. Che tutto ciò sia solo una parentesi. Che abbiamo
aspettato così tanto per niente». Chiuse istintivamente
gli occhi, nel vano tentativo di ricacciare indietro tutte le lacrime
che ancora non aveva versato. E il suo intero corpo fu scosso da
brividi famelici e beffardi. «Di tutto. Ho paura di tutto.
Perché l'unica certezza che abbiamo ora è il fatto di non
avere certezze per noi e per il nostro futuro».
Vedere Ryoga in quello stato
(così fragile e annichilito)
fu un duro colpo, per Kaito.
Quanto aveva
dovuto sopportare nel corso degli anni? Sotto quanti strati di corazza
spessa e dura aveva dovuto nascondere tutta la sua emotività?
Era davvero andato avanti così, per tutto quel tempo, con la
consapevolezza ormai certa che non avrebbe mai amato qualcun altro allo
stesso modo?
(Che cosa ho fatto?)
«Ryoga, guardami». Ryoga riaprì gli occhi e Kaito
lasciò scivolare le braccia lungo i suoi fianchi, poggiando poi
la fronte contro la sua. «Mentirei se ti dicessi che sette anni
fa non ho avuto paura di ciò che provavamo l'uno per
l'altro» sussurrò. «Questo perché non ho dato
il giusto peso ai tuoi sentimenti, cosa di cui mi pento ancora oggi.
Pensavo davvero che la tua fosse solo una cotta adolescenziale,
qualcosa di passeggero… e intanto continuavo a credere di essere
il più maturo fra i due e che avrei saputo gestire la
situazione, ma non è stato così. Anzi, ho solo peggiorato
le cose». Le mani ora vagavano sulla sua schiena, nel tentativo
disperato di sorreggerlo
(per tutte le volte in cui Ryoga aveva avuto bisogno di lui e lui non c'era stato).
Kaito
avvertì un groppo formarsi nella gola. Deglutì a fatica,
si fece coraggio e proseguì: «Questi sette anni senza di
te sono stati un disastro. Ho
conosciuto tante persone, ho creduto fermamente che sarei potuto andare
avanti con la mia vita, ma la verità è che quando
realizzavo che nessuna persona era te,
tornavo sempre al punto di partenza. Anche io ho provato spesso il
forte impulso di chiamarti… e anche io ho avuto paura ogni volta
delle conseguenze. Speravo che in questi anni almeno tu fossi riuscito
a voltare pagina e che l'unico rimasto indietro fossi io, come una
sorta di karma che avrei accettato senza opporre resistenza… ma
adesso ho davvero capito di aver sbagliato tutto, ogni cosa, sette anni
fa. Mi sarei dovuto voltare verso di te e non darti le spalle. Avrei
dovuto raggiungerti e stringerti come sto facendo ora. E avrei dovuto
dirti che era già il nostro tempo».
Erano
talmente vicini che ogni tremito valeva il doppio, ogni sospiro si
confondeva e si ammassava ai suoi simili e ogni lacrima versata avrebbe
potuto coprire l'intero oceano. Erano talmente vicini che tutto, in
quel piccolo mondo che si stava costruendo pian piano, pareva
più chiassoso e amplificato.
«Sono davvero tornato per te. Avrei accettato ogni cosa pur di
rivederti ancora e parlarti finalmente a cuore aperto. So che le mie
parole non bastano e mai basteranno a colmare questi sette anni di
vuoto che ci sono stati, ma voglio che tu sappia che quando te la
sentirai, io sarò qui. D'ora in avanti ci sarò sempre,
qualunque cosa accada. Se hai bisogno del tuo tempo
per riflettere, io non sono nessuno per negartelo». Sciolse
l'abbraccio e si allontanò di qualche passo. «Questa volta
sono io che lascio andare te, senza però andarmene via. Ti
aspetterò. E qualunque sarà la tua decisione, la
accetterò».
Non gli
stava voltando le spalle come aveva fatto sette anni addietro. Questa
volta era sicuro delle sue scelte dopo essere finalmente riuscito a far
chiarezza dentro di sé.
Era tornato per Ryoga e lo avrebbe aspettato. Lo aveva giurato.
17
'Cause I need to know your answer
(Just say you'll stay with me)
I want you to say you're gonna stay with me
(Just say you'll stay with me)
I die every day that you're away from me
«Allora ci ve–»
«Sei proprio un idiota».
Kaito sgranò gli occhi nell'udire quell'affermazione tanto secca e diretta.
Ryoga arricciò le labbra, le lacrime ancora fresche sul suo volto e le gambe che tremavano appena.
«Io la mia scelta l'ho già fatta sette anni fa»
disse con voce paradossalmente ferma e irremovibile. Annullò
ancora una volta la distanza tra i loro corpi e si parò di
fronte a Kaito, guardandolo dritto negli occhi. «E posso
assicurarti che non è mai cambiata. Sette anni fa ho detto di
voler stare con te e anche oggi, in questo preciso istante, voglio stare con te». Poggiò la fronte sulla sua, tornando esattamente a come erano prima.
«Io ti amo ancora. E se sei davvero tornato per restare, se davvero l'hai fatto per me, dimostramelo».
Qualcosa,
dentro Kaito, si sbloccò. Una consapevolezza senza fine fece
muovere le sue braccia verso Ryoga, stringendolo forte a sé. La
vicinanza dei loro corpi aveva ormai raggiunto il suo perfetto apogeo.
I loro respiri tornarono a essere un tutt'uno, le punte dei loro nasi
si sfiorarono per un istante e gli sguardi si incatenarono creando un
mondo completamente nuovo e meraviglioso.
«Anche io ti amo ancora» gli sussurrò a fior di labbra, prima di baciarlo.
(In quel preciso momento, qualcosa nell'universo esplose, ristabilendo ogni equilibrio).
18
So just say you'll promise me
Please, take me if you ever leave
My heart breaks with every beat
I die every day that you're away from me
Ryoga si
stava sciogliendo sempre più tra le braccia di Kaito. A ogni
bacio, a ogni sospiro, a ogni lacrima versata, a ogni “mi sei mancato” sussurrato con il cuore in mano corrispondeva un tassello di tutto
ciò che non erano stati sette anni addietro, un amore che stava
pian piano riemergendo dalle ceneri, un sentimento che c'era sempre
stato ma che non era mai riuscito ad affacciarsi alla finestra del
mondo per ammirare il sole.
Quella
notte, per la prima volta, loro due insieme divennero una cosa sola. Si
amarono e si lasciarono andare senza più alcuna esitazione,
senza più provare la paura atavica di essere inghiottiti da un
buco nero senza fine.
(Si erano finalmente ritrovati, riposizionandosi al loro punto di appartenenza).
La loro storia d'amore poteva finalmente cominciare.
19
Ryoga
aprì gli occhi alle prime luci dell'alba. Erano troppo impegnate
a indorare il mondo esterno con il loro calore per badare alle sue
emozioni, ma ci fu comunque un tremolio sospeso tra il cielo e la
terra, come una piccola danza, che rese il risveglio di un singolo
essere umano ancora più bello.
Cercò
di fare mente locale riguardo ciò che aveva vissuto nelle ultime
ore e, nel momento in cui avvertì la presenza di qualcuno
steso al proprio fianco, spalancò del tutto gli occhi. Il cuore
iniziò a battere celere, quasi mancassero pochi secondi a uno
scoppio impossibile da evitare, e ogni centimetro di pelle costellato
da succhiotti e piccoli morsi si scaldò, raggiungendo picchi
elevatissimi. Un placido respiro si infrangeva costante sul suo collo,
solleticandolo.
Ryoga inspirò a fondo
(Non è stato un sogno. Non è stato un sogno. Non è stato un sogno)
e si
voltò lentamente, ritrovandosi ad ammirare Kaito che ancora
dormiva accanto a lui. Il lenzuolo bianco lo copriva fino al bacino e
tutto ciò che era rimasto scoperto era un mosaico molto simile a
quello che tappezzava il corpo di Ryoga – con l'aggiunta di
qualche graffio sulla schiena, probabilmente.
Kaito era lì. Era lì accanto a lui. Era rimasto.
(Era tornato per restare).
Ryoga
incurvò le labbra in un sorriso e, dopo aver constatato che
fosse ancora troppo presto per alzarsi dal letto, si sistemò
meglio tra le braccia di Kaito, poggiando il capo sul suo petto. Chiuse
gli occhi e il coperchio del sonno si abbassò nuovamente sul suo intero corpo.
Le braccia
di Kaito si strinsero un po' più forte attorno a lui, in un
istinto di protezione dettato dall'inconscio, in un meraviglioso gesto
d'amore che non aveva bisogno di essere messo in pratica a occhi
aperti. E allora Ryoga, prima di lasciarsi completamente andare alla
sonnolenza, sorrise ancora.
Il loro tempo era arrivato.
N.d.A.
•
Cliccare su “Completa” è stato un momento davvero
particolare. Ero talmente abituata a immaginare questa storia
perennemente in sospeso che ancora non avevo realizzato di averla già conclusa da un po', ancor prima di aver (ri)pubblicato la Parte 1.
Ovviamente sono molto
felice di aver concluso anche con la pubblicazione qui su EFP,
però mi fa comunque uno strano effetto, non so bene come
spiegarmi.
•
Questa storia è sicuramente una tra quelle a cui sono più
affezionata; non è la migliore dal punto di vista stilistico,
sono la prima a dirlo, ma per quanto riguarda quello affettivo per me
ha un valore inestimabile.
Poter dare finalmente un
lieto fine a Kaito e Ryoga è stata una liberazione,
perché se lo meritavano proprio – e se lo meritava pure il
mio cervello, che per mesi ha immaginato tutti i momenti che avete
letto senza mai vederli proiettati sullo schermo del computer.
•
E a proposito, cosa ne pensate? Il loro confronto vi è piaciuto?
E la parte finale? Spero di averla resa una degna conclusione per
questa storia.
Come sempre, Without You
dei My Darkest Days fa da sottofondo per il capitolo e ci sono anche
delle parti che non vedevo l'ora di inserire – tipo che ogni
volta che le ascolto tremo, letteralmente.
Ringrazio tutti coloro che
sono arrivati fino a qui, tra chi ha letto per la prima volta questa
storia e chi, invece, ha deciso di darle una seconda possibilità
dopo essere rimasto in sospeso mesi addietro.
Grazie di cuore, davvero.
M a k o
|
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