Creep

di sweetlove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** 22 ***
Capitolo 24: *** 23 ***
Capitolo 25: *** 24 ***
Capitolo 26: *** Aggiornamento ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Se state leggendo le mie ultime tre long

-‘Perché anche la neve può essere calda’

-‘L’amore in ogni sua forma’

-‘Punto a capo’

vi lascio l’allerta SPOILER.

Io vado avanti senza problemi, leggo tutto pur sapendo di rovinarmi le sorprese, ma mi rendo conto che per altri non è così, per cui vi blocco qui, SE VOLETE!

 

QUESTA STORIA PUO’ ESSERE SEGUITA E COMPRESA ANCHE SE NON AVETE LETTO PRIMA LE ALTRE TRE LONG, NE’ AVETE L’INTENZIONE DI FARLO.

 

Note alla fine del capitolo



C R E E P

Prologo


 

Trunks si sfila la camicia nella penombra della stanza deserta, ritrovandosi a rimuginare ancora e ancora, come spesso accade nell’ultimo periodo.

Essere ibrido e possedere una forza spaventosa non sempre può rivelarsi un vantaggio. A volte è praticamente inutile, perché la vita non va affrontata con i muscoli, bensì con la forza di volontà, il coraggio, la speranza.

Eppure questi tre elementi potrebbero dissolversi uno dopo l’altro.

La forza di volontà, grande cosa… sembra appartenergli dal momento in cui è stato concepito in quella gravity room, cinquant’anni prima. E’ nato dall’incoscienza di una temeraria terrestre e dall’egoismo di un saiyan malvagio che per redimersi impiegherà anni ed anni. Eppure quell’embrione, sballottato dentro quell’utero da una donna che poco si è curata di lui, inizialmente, ha resistito fino alla venuta al mondo. Che la gestazione non era nulla, in fondo… uno scherzo in confronto alla vita vera, seppur resa agiata dal denaro. La caparbietà l’ha dimostrata dal primo istante di vita, è sempre stato abituato a prendersi ciò che vuole, a conquistarlo anche senza fatica e quando l’ostacolo si è rivelato troppo grande non si è fatto scrupoli a lottare ancor più ferocemente per scavalcarlo o, talvolta, distruggerlo.

Il coraggio, poi… quello fa parte del suo dna. Geneticamente è impossibile non ereditarlo, dato che entrambi i suoi genitori ne hanno a palate.

La speranza, invece, più volte si è allontanata dai suoi passi in quel mezzo secolo, specie negli ultimi anni. Ora sembra ormai lontana anni luce, inafferrabile, persa per sempre.

Cosa possono i muscoli contro la vita che ti si ritorce contro in ogni suo risvolto?

Non resta che sollevare di nuovo la bottiglia di whiskey e dare un’altra generosa sorsata, chiudendo gli occhi e sentendo ardere la gola e l’esofago al passaggio di quel liquido che prometteva di alleviare almeno per qualche ora il suo tormento interiore.

Poco importa vi sia un ragazzino ad attenderlo, a casa. Anzi, no… non lo aspetta. Se la cava da solo, ormai. Avrà cenato? Forse. Si sarà lavato i denti prima di andare a dormire? Ci spera. Una telefonata, breve e laconica, prima di affidare la sua anima all’alcol ormai un’ora prima. Poi il silenzio.

Troppo silenzio.

Per una vita intera, Trunks, ha desiderato giungesse l’ora di uscire da quell’ufficio, per andarsene a zonzo e dedicarsi a sé stesso. Poi ha costruito la sua famiglia e le priorità sono cambiate: tornare a casa rappresenta l’attimo più bello della sua giornata, quello in cui i suoi figli corrono ad abbracciarlo, il cane gli gira intorno in attesa di coccole e sua moglie… beh, semplicemente c’è.

E’ lì, magari stanca e arrabbiata dopo una giornata difficile in ufficio, pochi piani sotto di lui. Oppure lo accoglie sorridendo e baciandolo, in fondo glielo dice sempre che è bipolare, e lei torna a incazzarsi.

 

Era bellissima quando lo faceva.

Era bellissima e basta.

 

Adesso, a casa, rientra e se l’ultimogenito non è in giro riceve a malapena un “ciao pà” borbottato con gli occhi ancora incollati alla tv e il joystick della consolle tra le mani super impegnate.

Lo accoglie il silenzio, la tristezza. Non sente più le sue figlie bisticciare per una spazzola, né c’è più Yoshi a fargli le feste.

Non c’è più nulla di quel che ha costruito con dolore e fatica con Marron e nel pensarci, nel ripensare alla parte di vita felice vissuta per vent’anni assieme a lei, si sente annegare.

E quella bottiglia è l’unica cosa in grado di consolarlo. Lo farà quando gli avvenimenti delle ultime settimane avranno smesso di trapanargli il cranio.

 

 

 

Nota dell’autrice

 

Sapete che giorno è domani?

E’ il 4 giugno. Esattamente un anno fa tornai su EFP, pubblicando il capitolo XVII di ‘Perché anche la neve può essere calda’ dopo averla abbandonata per sei lunghi anni. Questa data, per tanti motivi, simboleggia la mia rinascita e avevo voglia di celebrarla a modo mio. Nuova long!

Ormai mi conoscete più di me stessa. Impossibile ricominciare, mi sono detta fino a ieri. Qualcuno invece diceva ‘impossibile tu non abbia idee’. E aveva ragione, caspita!

Per cui, accantono l’idea delle missing moments, al momento, e passo a questa long, di cui non so ancora NULLA (giuro), ne ho solo un’infarinata generale, non so quanto sarà lunga, ogni quanto la aggiornerò. Insomma, stavolta vado alla cieca e mi godo la vita, che improvvisamente è diventata più piena di come era a giugno scorso.


Non è una quarta parte della serie. La tengo fuori, sarà leggibile da chi non ha seguito le precedenti long e la mia adorata TruMar sarà accantonata per un po’ (anche se per ovvi motivi è inserita e aleggia nell’aria, eh! Per cui non abbassate la guardia…).

Chi non ha seguito le tre long avrà la linea temporale qui sotto, una specie di riassunto fino a qui.

Chi è a metà strada mi perdoni: o si becca lo SPOILER oppure attenderà XD!

Chi voleva una fic con i giovani Brief, Son e Son-Brief, beh… eccola qua.

 

E ora che mi sono ampiamente impelagata, vi ringrazio in anticipo perché so che siete dietro l’angolo, so chi la seguirà e chi no e… niente. Vi aspetto con i vostri pareri (E' LA MIA PRIMA STORIA CON PG COMPLETAMENTE INVENTATI COME PROTAGONISTI).
Vi voglio bene!

A presto per il capitolo 1 (chi ha IG e Twitter saprà dell’aggiornamento in tempo reale).

 

Un abbraccio

 

Sweetlove

 

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TIMELINE

 

Anno 791:

Trunks inizia la convivenza con Lora Aito, erede della Aito Corp. (principale concorrente della Capsule Corp.).

Marron viene aggredita dal suo ex ragazzo, Trunks la salva e la loro amicizia si trasforma in una relazione.

 

Anno 792:

Trunks si prepara a sposare Lora, nel frattempo lui e Marron continuano la loro storia.

Trunks scopre di essere sterile, Lora si sottopone a una inseminazione artificiale e resta incinta.

Marron resta incinta naturalmente di Trunks, ma decide di allontanarsi per non creare problemi.

Trunks e Lora si sposano, Marron si trasferisce nella Città dell’Est e inizia a lavorare come domestica presso la famiglia Seiko.

Nasce Hami, figlia di Marron e Trunks.

Il figlio di Lora e Trunks (che non è il padre biologico) muore durante il parto.

 

Anno 793:

Lora viene ricoverata in un ospedale psichiatrico, lei e Trunks divorziano.

 

Anno 794:

Trunks parte e fa perdere le sue tracce.

 

Anno 795:

Hami viene portata dai nonni alla Capsule Corp. la vigilia di Natale. Nessuno sa chi sia il padre. La sera stessa Trunks fa ritorno a casa.

Trunks incontra sua figlia per la prima volta, scoprendo che Marron gli ha mentito riguardo la volontà di interrompere la gravidanza.

Marron e Trunks si confrontano, ma Hami viene trattenuta alla Capsule Corp.

Dopo un grave incidente Marron va in coma, si sveglia e lei e Trunks chiariscono, decidono di restare amici e di crescere insieme la figlia.

Goten decide di sposare Valese.

Trunks e Marron tornano ad essere amici di letto, poi decidono di fidanzarsi.

Lora Aito scopre dell’infedeltà di Trunks, della bambina che ha avuto fuori dal matrimonio e uscita precocemente dalla clinica psichiatrica rapisce Hami.

Lora viene uccisa da Hami, ma tutto viene insabbiato. La bambina non ricorda niente.

Trunks e Marron decidono di sposarsi e concepiscono un altro figlio.

 

Anno 796:

Aprile, Trunks e Marron si sposano.

Maggio, nascono i gemelli di Goten e Valese, Yuno e Kian.

Giugno, nasce Nina Brief, secondogenita di Trunks e Marron.

 

Anno 797:

Si svolgono i fatti narrati in ‘L’amore in ogni sua forma’.

Goten e Valese si separano.

Nasce Boxer Son-Brief, figlio di Bra e Goten.

 

Anno 802:

Si svolgono i fatti narrati in ‘Punto a capo’.

Nasce Mirai, terzo figlio di Marron e Trunks.

 

Anno 812:

Marron muore dopo una malattia velocissima.

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** 1 ***


• Accenno all'uso di sostanze stupefacenti
• Disegno a fine capitolo

C R E E P

Capitolo 1


Dicembre, anno 812

 

Hami non fece in tempo ad infilare il piede tra lo stipite e la porta che questa si chiuse con un fracasso assordante.

A poco sarebbe servito passare per l’immenso terrazzo, poiché avrebbe trovato le imposte serrate dall’interno.

Nina aveva deciso di asserragliarsi, ma stavolta c’era qualcosa di diverso nel suo reagire ai richiami in quel modo. L’aveva vista, sul divano, sollevare lo sguardo dal cellulare mentre Trunks le parlava, forse più docilmente del solito. Hami sapeva, da un pezzo ormai prendeva parte alle decisioni di famiglia, non era più una bambina ma essere anche sorella, talvolta, iniziava a risultarle davvero complicato.

Soprattutto in quel momento.

Avrebbe dovuto schierarsi dalla parte di Nina, provare a far cambiare idea a chi aveva deciso di salvarle la vita, oppure sperare che quest’ultima riprendesse un percorso lineare e meno turbolento?

Sicuramente entrambe le cose, ma la ragione è solo da una parte in certe situazioni. Come quella.

«Nina…»

Una mano aperta contro il legno della porta, l’orecchio teso all’ascolto.

Nulla.

«Nina, ti prego apri.»

Le giunse dall’interno un suono. Ovattato ma ben riconoscibile. Un singhiozzo.

Nina non piangeva mai, lei non dava soddisfazione. Se ne fregava di rimproveri e punizioni, li accettava a testa alta e con sguardo freddo. Stavolta no… stavolta faceva male. La posta in gioco era troppo alta, ma lo sapeva.

Sapevano tutti che a breve sarebbe successo, che quel ragazzo non poteva essere recuperato con un castigo impartito dai genitori, forse più pesante degli altri. Serviva una linea dura, estrema, la peggiore.

«Nina, è per il tuo bene ma soprattutto per il suo!» Provò a dire, sentendo la fermezza vacillare e le gambe tremarle nell’udire dal soggiorno un sospiro aspro e stizzito.

Suo padre era ancora seduto su quel divano, con le mani giunte davanti alla bocca e lo sguardo fisso sul tavolino. La gamba si muoveva velocemente in quel tic nervoso da poco intensificatosi.

«Vi odio tutti!»

Solo un grido dall’interno della stanza. Il sangue di Hami si gelò come in quel giorno di aprile appena trascorso, quando le avevano detto che sua madre era morta. Aveva temuto sarebbe rimasto il momento peggiore della sua vita, senza immaginare cosa Nina avrebbe potuto combinare negli otto mesi seguenti.

Decise di non insistere, sua sorella l’avrebbe odiata ma pensò di meritarselo. Forse se fosse rimasta sua complice adesso quei due sarebbero stati insieme. Magari sarebbero scappati, facendo perdere le loro tracce.

Invece no… quando le avevano chiesto cosa ne pensasse riguardo l’allontanamento di Kian, aveva semplicemente pensato al bene di Nina, nonché alle ormai innumerevoli volte in cui Trunks e Goten si erano già recati al comando di polizia per causa loro.

Prima solo lui a rubare, a commettere piccoli e medi reati per noia e divertimento, in nome di una ribellione immaginaria. Poi, quando Marron era morta, qualcosa era scattato in Nina.

Doveva seguirlo, scuotere il suo animo tormentato e riempirlo di brividi forti, troppo forti. Cos’era essere colti insieme a rubare alcolici in un supermercato a quindici anni? Oppure in sella ad una moto sottratta al malcapitato di turno sceso a bere un caffè al distributore?

Ma dopo mesi e mesi, qualcuno aveva detto basta e quel qualcuno, seppur col cuore a pezzi, era Goten. Perché nel sapere suo figlio a drogarsi in un parco come il più squallido dei disagiati della Città dell’Ovest si era sentito morire, e soprattutto in colpa, terribilmente in colpa… e pensare che anche Nina potesse seguirlo, cercando di lenire il dolore per quella perdita in quel modo atroce, l’aveva indotto a sedersi a tavolino con la ex moglie e decidere cosa sarebbe stato meglio per Kian.

E anche lei, nonostante le lacrime versate davanti a quel foglio da firmare, era stata d’accordo.

Tutti erano stati d’accordo, malgrado la ribellione di Yuno, il gemello definito ‘buono’ dalla società di merda che li circondava.

Kian doveva essere aiutato e recuperato, ma soprattutto portato via, il più lontano possibile dalla Città dell’Ovest, prima che riuscisse a sporcare in maniera indelebile quella che aveva finito per diventare la sua prima ragazza. Nina Brief.

 

 

Gennaio, anno 815

 

«Nina, sei pronta?»

Hami si affacciò alla porta della camera da letto di sua sorella, vedendola infilarsi la seconda scarpa con poca fretta. Il letto era rifatto, la stanza più o meno ordinata e sulla scrivania un solo libro aperto.

«Solo un istante, devo finire di prendere le mie cose.»

Le rispose con un sospiro, di chi non ha molta voglia di uscire sotto la neve per andare a scuola. Eppure, da quando un anno prima aveva cambiato istituto, passando alla West City High School, aveva preso a frequentarlo con maggiore entusiasmo a differenza dei primi anni, quando alla scuola privata della capitale combinava un disastro dietro l’altro assieme a Kian.

Lui era stato espulso, lei ritirata prima che potesse essere mandata via a calci in culo. Ennesimo gesto impulsivo di suo padre Trunks, nel tentativo di proteggerla.

«Sbrigati, mi farai fare tardi il primo giorno!»

Hami si allontanò dall’uscio, passandosi le dita tra le ciocche lunghe e bionde dei suoi capelli appena pettinati. Aveva pensato per due giorni a cosa infilarsi, a come presentarsi a quella cerimonia di insediamento organizzata appositamente per lei dall’intera Capsule Corporation.

La giovane Brief, primogenita di Trunks, vantava una laurea presa con una tempistica pazzesca e il compito di prendere in mano l’azienda di famiglia ora che suo padre, a breve cinquantenne, aveva letteralmente ereditato ogni singolo zenie di famiglia.

Bulma Brief non aveva esitato, al primo segno di demenza senile, a firmare tutto ciò che era firmabile affinché i suoi figli avessero carta bianca e lei non dovesse più pensare neanche un secondo a tutto ciò che suo padre aveva costruito con sudore e sacrificio. E aveva capito col tempo, Bulma, che di Trunks e Bra, ma ancor più di Hami, poteva fidarsi ciecamente.

«Wow ragazza. Attenta o i dipendenti inizieranno a fare pensieri strani sul capo ancor prima di vederla nell’ufficio presidenziale!»

Hami si volse appena verso la camera padronale, mentre controllava nello specchio del corridoio che tutti i bottoni della camicetta bianca fossero allacciati. Vide suo padre armeggiare con l’orologio d’oro, quello che indossava solo nelle occasioni speciali, e guardarla con orgoglio e quel pizzico di ironia tipica di lui.

«Troppo seriosa?» Gli chiese la primogenita, tornando a fissarsi nello specchio e temendo di aver esagerato con quel tailleur.

Per un istante le parve di rivedere sua madre, ma non lo disse.

«Sei perfetta, scimmietta.»

Trunks le si avvicinò, baciandole la guancia da dietro come di consueto ma lasciandola per un momento interdetta. Perché le bastò incrociare il suo sguardo un solo istante per capire avessero avuto lo stesso identico pensiero.

«Eccomi…»

A rompere quel silenzio, fatto di centinaia di parole non dette, la voce annoiata di Nina, finalmente riemersa dalla sua stanza e pronta a indossare il suo cappotto rosso. Lo sguardo annoiato e infastidito, come sempre.

«Interrompo qualcosa?» Chiese, osservando quei due di sottecchi.

«Papà stava dicendo alla figlia preferita che è perfetta!»

Un caschetto disordinato di capelli lilla venne fuori dal bagno e due occhi azzurri si piantarono in quelli di sua sorella, la ‘mezzana’ come veniva chiamata. Con lei era riuscito ad avere un rapporto più complice, poichè la differenza d’età inferiore a quella che aveva con Hami aveva reso lui e Nina più uniti durante l’infanzia, o almeno fino a che la biondina aveva mostrato interesse per giochi adatti a lui.

«Immaginavo…» Storse la bocca Nina, senza nascondere un sorriso sardonico.

«Piantatela!» Sbottò Hami, esasperata.

«Non ho figli preferiti, io!» Trunks li guardò entrambi sottecchi, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a mostrarsi minaccioso. Da ormai ventitré anni veniva accusato di favoritismo nei confronti della primogenita, e i due figli minori erano cresciuti all’eco di queste affermazioni che poteva soltanto negare, ma che in cuor suo sapeva non fossero poi così errate. In fondo, Hami era sempre stata la luce dei suoi occhi e la più simile a lui, dei tre.

«Come no…»

Nina gli passò accanto sollevando le spalle, ma Trunks bloccò sia lei che Mirai, pronto a sgattaiolare in soggiorno per divorare la sua colazione, e ignorando le - finte - proteste soffocò entrambi in un abbraccio apparentemente forzato.

«Siete i miei tre figli preferiti! E un giorno toccherà anche a voi aiutare Hami alla Capsule Corporation!»

Li mollò, ignorando le lamentele di Nina riguardo i capelli scompigliati.

«Io voglio fare il poliziotto, come il nonno Crillin!» Mirai sorrise. Dodici anni compiuti da poco ma già idee chiarissime e un coraggio indiscutibile, già dimostrato in più occasioni.

«Ne riparleremo quando sarà il momento, Mirai. E adesso sbrigati, fra cinque minuti usciamo!» Trunks gli fece l’occhiolino, tornando sui suoi passi per recuperare la giacca nella camera da letto. Il letto era rimasto disfatto ma sapeva che mezz’ora dopo la cameriera avrebbe provveduto a fare il suo ingresso e sistemare il tutto.

«Io faccio colazione con Yuno…»

Nina diede le spalle a tutti e tre, pronta a raggiungere finalmente l’ingresso, ma dovette fermarsi ancora.

«Ma come, non dovevo accompagnarti io?» Le chiese suo padre, sollevando un sopracciglio. Ricevette in risposta uno sguardo perplesso, e ancora una volta, forse la milionesima, il cuore gli si fermò nel petto per quanto gli parve di avere davanti sua moglie.

«Non ho più sette anni. E’ imbarazzante farmi vedere accompagnata dal papà, e lo sai bene! Vado con Yuno, mi aspetta giù!»

Nina si volse ancora e inforcò l’abitacolo dell’ascensore che dava sull’enorme open space. Non a caso tutti e tre, Mirai compreso, rimasero sconvolti nel sentirla biascicare un «A dopo.» prima della chiusura delle porte.

 

 

Yuno era sempre stato calmo e pacato, capace di restare in attesa per ore e di non perdere mai la pazienza. Eppure, quando sul display dell’orologio l’orario iniziava ad essere pericolosamente vicino a quello del suono della campanella, l’agitazione prendeva il sopravvento. E le scelte erano due: piantare in asso Nina oppure prendere consapevolezza che sarebbe arrivato in ritardo a scuola.

Ma in tutto quel tempo non aveva mai lasciato sola la sua amica. Mai. Le aveva fatto una promessa il giorno in cui Kian era stato portato via, due anni prima. Le aveva promesso che non l’avrebbe mai lasciata sola e così era stato.

Sembrava che tutti avessero smesso di credere nella ripresa di Nina, tutti tranne lui. E quando dopo un mese in cui si era quasi lasciata morire chiusa nella sua camera l’avevano vista uscire, Yuno era stato l’unico a non meravigliarsi più di tanto, comportandosi come se tutto fosse normale. Come lei avrebbe voluto, perché Nina detestava essere compatita e trattata con i guanti.

Aveva sempre avuto bisogno dei suoi tempi per riprendersi dalle difficoltà, piccole e grandi, che la vita le aveva messo davanti, ma c’era sempre riuscita.

Da allora era stato la sua ombra, riuscendoci finalmente dopo anni e anni. Già, perché quando erano un trio Nina sembrava preferire di gran lunga Kian. Yuno era molto meno interessante, con la sua indole tranquilla, la tendenza all’essere dannatamente secchione e responsabile, il suo ponderare ogni scelta fino alla nausea. E non era il suo ragazzo…

Malgrado sin dalla prima infanzia si sarebbe fatto amputare le braccia per lei, tutt’ora non riusciva a dichiararsi. Kian, suo gemello estremamente diverso caratterialmente, invece l’aveva soltanto baciata una sera d’estate di fronte al fuoco acceso sulla spiaggia, alla festa di inizio liceo. Aveva deciso che ‘quella’ sarebbe stata la sua fidanzatina e Nina sembrava non aspettare altro.

Quel momento Yuno se lo sarebbe ricordato per sempre, poiché dimenticare il dolore del cuore che si spezza è impossibile, specie se sei un ragazzino innamorato.

Da allora erano passati quattro lunghi anni e troppe cose erano cambiate, tranne i sentimenti che, in silenzio, continuava a provare per Nina.

«Ciao Yù!»

Sobbalzò sentendosi menzionare, assorto nei suoi pensieri.

«Ehi…» Biascicò, lottando come sempre per non restare imbambolato davanti a lei. Un ebete, ecco cosa diventava.

«Stai bene?»

«S-Sì. Scusa, pensavo.» Sorrise, grattandosi la nuca in un gesto che lo rendeva fin troppo simile a suo padre Goten, nonostante il taglio degli occhi l’avesse inequivocabilmente ereditato dalla madre, Valese.

«Ho fatto tardi, mi hanno bloccata all’uscita.»

«Dori stamattina ha occupato il bagno per venti minuti. So cosa intendi.»

«No, è che… ah, lascia perdere. Andiamo.»

Nina era così, decideva e agiva. Stop. Null’altro da fare, né da ribattere. Yuno era felice di vederla così determinata, di vederla così come da sempre la ricordava. In poche occasioni l’aveva vista fragile, occasioni che nemmeno voleva ricordare. Era la donna più enigmatica del pianeta, ma a lui piaceva così… e sentiva sempre più vicino il momento in cui il coraggio di farsi avanti sarebbe arrivato.

«Come sta Hami? Agitata?» Le chiese, affiancandola sul marciapiede mentre camminavano a passo svelto verso la scuola, distante solo cinque minuti dalla zona residenziale.

«Molto. Lo nega, ma è evidente.»

«E’ normale, Ninì. Da oggi sarà ufficialmente al vertice della Capsule Corporation. O meglio, affiancherà tuo padre finché lui non si ritirerà. Destino che toccherà anche a te, un domani!»

«Col cazzo, Yù.»

Yuno tacque. Era abituato a sentirla sbottare in espressioni poco soavi, ma non si aspettava tanta fermezza.

«Ancora quella storia…?»

Si accorse troppo tardi di averlo detto sul serio, quando la vide fermarsi e voltarsi verso di lui.

«’Quella’ storia è il mio progetto di vita. Se non ti è chiaro, ho già detto che dell’azienda non me ne frega un’emerita sega e che finita la scuola sarò io a decidere come e cosa studiare! E poi…»

Yuno sollevò le mani.

«Ok! Non ti scaldare, dai!» Le agitò leggermente cercando di calmarla «M-Mi dispiace. Sai che ti appoggerò in qualsiasi scelta, l’importante è che sia sensata…»

«Lo sarà. Andiamo ora.»

E ancora una volta, Yuno obbedì. Nonostante nel vederla così, come una tigre all’attacco, la voglia di baciarla avesse minacciato il suo potente autocontrollo di fargli fare un passo desiderato ma altrettanto falso.

 

Continua

 

 

Nota dell’autrice

Riccomi qui. Fin troppo presto per quel che mi aspettavo, lo riconosco. E no, non era intenzionale anche se è lunedì e se il prologo l’ho pubblicato giovedì. Non sarà appuntamento fisso, ma questo già ve l’ho detto.

Dunque, innanzitutto c’è una novità rispetto ai miei vecchi scritti: mese e anno prima dei paragrafi. In questa storia sono d’obbligo, perché faremo spesso avanti e indietro e se dovessi aiutarmi soltanto col carattere corsivo sarebbe un vero disastro. Spero che così tutto sia più chiaro.

E poi, vorrei sapere da chi non ha seguito le tre long precedenti, se ha fatto difficoltà a capire gli eventi e, soprattutto, i personaggi abbozzati in questo primo capitolo.

Kian e Yuno, i gemelli di Goten e Valese, e Hami, Nina e Mirai, figli di Trunks e Marron.

E’ tutto chiaro? Devo saperlo, purtroppo sganciare una storia dalle precedenti ma utilizzare gli stessi PG si sta rivelando più difficile di quel che pensavo. Vi aspetto eh!

E niente. Non so a quando il prossimo capitolo. Il momento non è molto sereno, ma non voglio ammorbarvi con i miei casini. Vi dico solo che la scrittura mi aiuta a non pensare a determinate cose e vi sono tanto grata per il supporto che mi date, davvero. Vecchi e nuovi!

Per il momento è tutto.

 

Un abbraccio

 

Sweetlove

 

PS: su Instagram al sondaggio ha indovinato chi ha detto che Kian era quello di destra!!!

Posto anche qui il disegno.
 

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Capitolo 3
*** 2 ***


 

C R E E P

capitolo 2

 

 

Gennaio, anno 815
 

«E’ permesso signorina Brief?»

Hami sollevò lo sguardo dallo schermo del suo notebook, acceso soltanto pochi minuti prima nel silenzio del suo ufficio.

Suo. Ufficio.

Sembrava ancora così strano! Quel posto era un po’ la sua seconda casa, vi era letteralmente cresciuta e la maggior parte dei dipendenti più longevi aveva memoria di lei treenne che faceva la sua comparsa assieme alla nonna Bulma. Un outing con i fiocchi, quella volta, e se lo ricordava bene nonostante fosse ancora così piccola. Le aveva dato così tanto filo da torcere quel giorno che la povera nonna l’aveva letteralmente buttata tra le braccia di Trunks, dandogli il pomeriggio libero. Poi lui l’aveva portata fuori dal grande edificio, sotto gli occhi sconcertati di tutti coloro che incontravano e mormoravano. L’aveva coccolata, sorridendo e non facendole capire assolutamente nulla di ciò che in realtà stava accadendo.

Quel giorno era ufficialmente diventata figlia di Trunks Brief agli occhi del mondo, smettendo di essere l’illegittima bimba segreta concepita al di fuori del matrimonio ormai finito del presidente con l’erede della compagnia in cima alla lista dei concorrenti più pericolosi.

«Da quando mi dai del lei, Anika?»

Proprio lei vide entrare, esitante e riverente. Lei che quel giorno c’era e di cui ricordava benissimo il balbettio sconnesso emesso nel vedere Trunks con la sua bambina.

«Oh beh, mi sembra irrispettoso…»

Anika sorrise imbarazzata, mentre la porta scorrevole si chiudeva automaticamente alle sue spalle, regalando di nuovo privacy e riservatezza. Al di fuori, una schiera di scrivanie disposte a scacchiera, come un esercito a proteggere il trono della ‘principessa’. Dodici segretarie da oltrepassare prima di giungere alla porta dell’ufficio della dottoressa Hami Brief.

«Sono io. Sono sempre Hami!»

La ragazza le sorrise facendo spallucce e scrollando appena i lunghi capelli biondi e lisci che le cadevano sulla giacca rossa.

«Oh, beh… è che dopo tanti anni io…» Anika giocherellò con un oggetto che recava tra le mani segnate dal tempo ma ancora curatissime. Lavorava come assistente personale del Presidente dagli albori della sua carriera alla Capsule Corporation e le mancavano soli tre anni alla pensione. Tempo che avrebbe speso affiancando ora la primogenita del suo capo in quella nuova avventura, così come aveva già fatto con lui anni e anni prima.

«Sai cosa è cambiato? Che purtroppo avrò molto da fare e non credo tu possa accompagnarmi al bar a prendere un gelato. Piuttosto dovrò chiederti la cortesia di portarmelo, qualche volta!»

Hami si alzò in piedi, rimandando il controllo delle attività in programma per quella sua prima giornata di lavoro dopo i festeggiamenti e le celebrazioni del giorno precedente. Anika si era prodigata così tanto affinché tutto filasse liscio e così era stato, dall’inizio alla fine. Lei era sempre tanto professionale, cercava di esserlo anche quando le veniva - saltuariamente - affidata anche Nina che al contrario di sua sorella era sempre stata una peste.

«Se ripenso a quante volte è successo.»

La donna, con gli occhi scuri leggermente velati di emozione, dietro gli occhiali da vista dalle lenti più spesse di quelle che ricordava, fece un passo avanti producendo un leggero rumore sul pavimento di marmo bianchissimo e lucente. Impossibile dimenticare una bambina così minuta ma talmente sveglia da sembrare quasi un’adulta. La compostezza faceva parte di lei dacché ne aveva memoria e, aldilà della dipendenza per il gelato, Hami non le aveva mai dato problemi quando le girava intorno.

«E mia madre si arrabbiava con papà… gli diceva che portarmi in ufficio non era etico e che tutti quei gelati non mi avrebbero fatto bene!»

Hami disse proprio quello che ad Anika stava iniziando a passare per la testa. Perché mai avrebbe potuto dimenticare la fatica nel trattenere le risate sentendo il presidente e sua moglie bisticciare per un gelato in più dato in pasto alla figlia.

«Oh sì. Era tosta la signora Marron… ma sa, io credo che…» Iniziò a dire, prima di venire interrotta.

«"Sai", dammi del tu, ti prego!» Le disse Hami, supplicandola con lo sguardo. Si sentiva già un pesce fuor d’acqua, aveva bisogno di umanità e conforto e in quel momento, per sentirsi davvero a casa anche ora che sedeva dall’altra parte, le sarebbe bastato smettessero di riverirla.

«D’accordo. Sai, Hami, credo che sarebbe molto orgogliosa di vederti qui, adesso.»

Il cuore le si fermò per una frazione di secondo. Così come il giorno prima, quando suo padre stesso l’aveva proclamata nuovo amministratore delegato in carica e aveva cercato di nasconderle gli occhi lucidi di orgoglio e commozione. Aveva sentito anche lei bisogno di piangere, ma non l’aveva fatto, ancora una volta. Si era trattenuta così come Trunks, eppure nell’abbraccio che le aveva dato aveva sentito terribilmente la mancanza fisica di Marron. Lei, che l’avrebbe guardata fiera e terribilmente sofferente a causa delle lacrime non trattenute. Un caterpillar che cede alle emozioni… era questo, e li amava, la amava come solo una madre sa fare e sarebbe stata felice. Era felice, Hami ne era certa. L’aldilà non era poi così lontano.

«Già. Lo credo anche io…» Mormorò, mantenendo un rigido autocontrollo.

«E’ per questo che ti avrei portato una cosa.»

Anika le porse l’involucro che aveva tra le mani e Hami rimase a fissarlo qualche istante prima di afferrarlo e prendere a scartare quel pacchetto con cura. Sentiva sotto le dita una superficie rigida e liscia e inizialmente pensò a un libro, ma quando anche l’ultimo pezzo di carta rossa venne tirato via si trovò tra le mani qualcosa di inaspettato.

«Questa… questa da dove salta fuori?»

Una cornice. Piccola, venti per quindici, ma lucida e terribilmente familiare… l’aveva già vista, così come l’immagine che racchiudeva.

«L’aveva nel suo ufficio, in amministrazione. Ci teneva molto e quando è… ecco, quando è mancata mi sono occupata personalmente di sistemare le sue cose. Ho riconsegnato tutto al Presidente, che ha a sua volta messo quegli scatoloni nel magazzino senza più aprirli.»

Hami ascoltò quelle parole e le sembrò di ricevere lo stesso pugno allo stomaco percepito il giorno in cui Trunks aveva ordinato perentorio e apparentemente inespressivo di “liberare l’ufficio del direttore amministrativo” perché stava arrivando il sostituto.

Lei lo sapeva, sapeva quanto fosse costato a suo padre pronunciare quelle parole da “capo” apparentemente distaccato. Il distacco, quello si erano imposti di mantenerlo sul posto di lavoro, lui e Marron… ma quanta forza di volontà gli ci era voluta per decidersi di far sistemare quella stanza e mandare via sua moglie anche da quel posto? Quello che si era guadagnata con studio e impegno e che la appagava così tanto. Lo stesso dove era stata recuperata con la febbre alta, dove aveva creduto di poter tornare dopo un paio di giorni di aspirine e che invece non aveva più rivisto.

Anika, dalla scrivania, aveva dovuto togliere persino un post-it con su scritto il numero di telefono del nuovo tutor di Mirai, quello che avrebbe dovuto contattare Marron quel pomeriggio.

«Povero papà…»

Hami accarezzò la superficie di vetro, come se quel gesto potesse davvero lenire il cuore spezzato non solo di Trunks, ma anche della bimbetta sorridente raffigurata in quel ritratto.

«L’altro giorno mi ha chiesto di preparare il tuo ufficio e mi sono permessa di recuperare questa foto per dartela. Sono sicura sarebbe felice di saperla sulla tua scrivania, adesso.»

Perché sua madre avesse scelto proprio quella foto tra le mille che avevano era per lei un mistero, ma non poteva che essere d’accordo con Anika.

«Ne sono sicura anche io. Grazie davvero, Anika… in mezzo alle decine di piante e lettere di congratulazioni, questo è senza dubbio il regalo più bello!»

 

 

«Mammina!»

Hami corse gioiosa attraversando l’immenso giardino della Capsule Corporation, trovandosi avvinghiata alle gambe di Marron che la accolse sorridente nel suo tubino accollato verde. Sembrava felice, era felice.

«Ciao amore! Hai fatto la brava con i nonni?»

Una carezza sulla testolina bionda, ravviando un ciuffo sfuggito all’elastico che teneva su l’immancabile codino.

«Sì!»

«Vieni, Marron! Gli altri arriveranno tra poco!»

Bulma, ancora giovane e nel pieno delle sue forze, agitò un braccio verso di lei. Era accanto ad un tavolo apparecchiato, un aperitivo con i Son per festeggiare il compleanno della piccola di famiglia, Pan, ma più che altro la scusa per passare qualche ora tutti insieme.

«Andiamo?» La incalzò Hami, afferrandole la mano e tirandola verso l’azzurra, al cui collo riconobbe una macchina fotografica appesa.

«E quella?» Le domandò Marron, quando furono abbastanza vicine da non dover urlare.

«Oh, l’ho tirata fuori proprio oggi per darle una ripulita! E’ un pezzo antico, sai? E per vedere se funziona ancora ho pensato di scattare qualche foto…»

Idea carina! Di sicuro Hami si sarebbe ritrovata un book fotografico a compensare i tre anni in cui sua madre aveva avuto ben poco tempo per immortalarla. Marron fece per parlare, ma qualcosa alle sue spalle le fece morire le parole in gola dopo essersi voltata.

«Bentornato tesoro! Giusto in tempo!» Bulma cinguettò visibilmente contenta. Era lontano il tempo in cui non dava a Trunks neanche il tempo di rincasare che già lo rimbeccava per qualche motivo.

«Ciao!»

Un saluto generico, mentre già il ragazzo puntava lo sguardo sulla persona più importante della sua vita… tra le tre presenti in quel momento.

«Papino!»

Gli saltò in braccio, Hami, baciandogli la guancia innamorata persa come sempre. Non lo vedeva da giorni, il suo papà, e quella mattina Marron l’aveva accompagnata da Bulma prima di andare a lavoro che era già uscito di casa.

«Come stai scimmietta? Hai fatto la brava con la nonna?»

Trunks, con ancora la ventiquattr’ore in pugno, se la sistemò meglio addosso vedendola annuire sorridente, per poi degnare d’uno sguardo anche le altre due.

«Avevo dimenticato avessimo programmi stasera.» Guardò leggermente di sbieco la tavola già pronta, senza nascondere la volontà di rilassarsi e magari passare un po’ di tempo con la sua principessa. La vedeva così poco.

«Non brontolare, Hami è così contenta!» Bulma sistemò meglio un piatto di tramezzini sulla tovaglia bianca, in modo che non fosse esposto direttamente al sole, poi scattò come una molla ricordandosi una cosa importantissima.

«Marron! Allora?! Come è andata questa giornata di prova?»

A quella domanda anche Trunks parve ricordarsi di questo piccolo particolare, nonostante avesse finto indifferenza verso l’eleganza dell’abbigliamento di Marron.

Sia lui che Bulma rimasero qualche istante col fiato sospeso. Da quella risposta dipendevano le sorti di Hami e la sua permanenza della città dell’Ovest.

«Mi hanno presa!» Marron rispose facendo spallucce, come fosse la cosa più ovvia e scontata e fingendo di non sapere quanto quei due stessero fremendo dalla voglia di sentire quelle parole. Rimase appagata dal sospiro di sollievo di entrambi, dal loro sorriso e soprattutto dal modo in cui Trunks si trovò a stringere un po’ più forte Hami, come a dire “non rischio di perderti ancora”.

«Quindi niente trasferimento?» Insistette Bulma, esultante.

«No. Resto qui… menomale, mi ero appena sistemata all’appartamento!»

«Che meraviglia! Sono così felice per te!» L’azzurra si avvicinò e la abbracciò con calore, come sempre. Averla vista crescere la rendeva letteralmente una dei suoi figli. Si staccò, pensando che anche Trunks si sarebbe congratulato a dovere, lo guardò, lesse l’incertezza nel suo sguardo e anche l’imbarazzo. Forse se fossero stati soli l’avrebbe abbracciata, ma perché perdersi il suo ragazzo alle prese con i geni paterni? Lei adorava imbarazzare Vegeta ormai da tempo immemore!

«Trunks, tu non dici niente?» Lo stuzzicò, facendogli l’occhiolino e vedendolo arrossire appena, come sempre.

«Eh? B-Beh ecco… sono contento.»

Bulma era sicura che quei due non avrebbero potuto restare amici, non in quel modo, non con una bambina. Sapeva che ben presto sarebbe scattata una scintilla, la stessa che li aveva portati a diventare i genitori di quella bimbetta che si teneva stretta alla giacca blu del padre, guardando incuriosita entrambi.

L’azzurra notò il piccolo sorriso complice che Trunks e Marron si scambiarono ed ebbe la conferma dei suoi strambi pensieri, e anche un’idea.

«Guardatemi!»

Trunks non fece in tempo a rendersene conto che il ‘click’ della macchina fotografica li sorprese così com’erano.

 

 

Stava ancora fissando quella foto, dimentica del pc e dell’agenda. Tutto le era tornato in mente. Era piccola ma sempre attenta, nonostante allora non potesse capire quali fossero le giuste dinamiche famigliari.

All’epoca era normale vivere solo con la mamma, vedere il papà quando poteva. Solo qualche mese dopo avrebbe sperimentato per davvero cos’era la famiglia, quando i suoi avrebbero ceduto ai sentimenti da troppo tempo repressi e quando avrebbero deciso di essere una vera famiglia, con la casa dove Hami ancora oggi abitava.

Marron non c’era più, ma i ricordi sarebbero rimasti. Come quel momento, come quella foto. Un attimo banale e al tempo stesso fondamentale, perchè era la prima foto in cui erano tutti e tre insieme!

Anika era andata via, mentre lei era lì, ancora in piedi e col bacino appoggiato al bordo della scrivania. Sospirò, sorridendo malinconica e accarezzando ancora quella cornice, prima di appoggiarla proprio lì, dove avrebbe potuto vederla ogni giorno della sua vita e ricordarsi da dove era partita.

 

***

 

«Lo sai Nina, a volte mi capita di pensare che Kian non esista più.»

Sdraiati sul letto, come quando erano bambini e venivano messi a dormire insieme. Il materasso era più grande, adesso, ma la stanza la stessa. Yuno fissava il soffitto, pensieroso e col cuore a mille. Il momento era arrivato, aspettare non sarebbe servito più a nulla, non dopo aver visto Nina flirtare col gradasso di Bill, fuori scuola. Tutti, ma non lui! E per davvero aveva pensato a Kian, ci pensava ogni giorno.

Come fare a dimenticare un fratello, col quale aveva addirittura condiviso l’utero di sua madre?

Una vita passata fianco a fianco dal momento del concepimento, e vederselo strappar via come un pezzo di carne era stato doloroso, lacerante.

«Perché dici questo?»

Nina sussultò impercettibilmente sentendo Yuno nominare ‘“l’innominabile”. Non accadeva da tantissimo tempo e non si aspettava sarebbe accaduto proprio ora. Il pomeriggio stava trascorrendo come di consueto, con una mezz’ora di ozio dopo i compiti svolti insieme. Era così ogni giorno, o a casa di uno o a casa dell’altro.

«Perché non ci è stato permesso di vederlo, né a me, né a Dori, tantomeno a Boxer e Bulma. Come fosse davvero un relitto…»

Il giovane Son volse appena il capo verso di lei, che a sua volta aveva smesso di scorrere i messaggi sul suo cellulare e si era sfilata una cuffia dall’orecchio destro.

«Non sappiamo nemmeno in che parte del mondo si trova!» Continuò, tentando di sedare il bollore dovuto alla rabbia che minacciava di stravolgerlo ogni qualvolta tornava a pensarci. Sentiva di non avere la fiducia di nessuno, compresa quella dei suoi, che continuavano ad impedirgli di sapere dove Kian si trovasse per timore lui lo raggiungesse e lo aiutasse ad “evadere”. Come se un centro di riabilitazione fosse una prigione…

«E tu ci pensi ancora?» Incalzò, non avendo ricevuto alcuna risposta, calmandosi e al tempo stesso sentendo il cuore accelerare. Era importante quella risposta, più importante di tutto, anche se in cuor suo sapeva già la verità.

«No.»

Nina lo disse ferma, ma a Yuno non sfuggì il fremito delle ciglia lunghe e quel modo di fissare il telefono per sfuggire ad un discorso scomodo.

«Stai mentendo. Ti conosco…»

La conosceva e sapeva. Ed era bellissima, più bella di ogni cosa, anche quando si chiudeva a riccio… ma con lui non accadeva.

«Cambierebbe qualcosa se ti dicessi di sì?»

«Per me sì!» Sentì l’urgenza di dirglielo, senza paura stavolta. Perché i sentimenti erano così forti da pesare come macigni dentro al suo cuore… doveva tirarli fuori prima che questo esplodesse. E capì dallo sguardo perso di Nina, ora vacuo dinnanzi a sé, di averle fatto capire le sue intenzioni.

«P-Perchè…?»

«Perché devo dirti una cosa importante, e vorrei capire quanto sarei ridicolo prima di farlo, Nì…»

Sincero, schietto, senza più la timidezza che lo contraddistingueva. O adesso o mai più, ma doveva sentirselo dire da lei che POTEVA.

Un silenzio breve ma agghiacciante.

«Kian fa parte del passato. Voglio vivere il presente, Yuno. Dimmi quello che devi dirmi, ti prego.»



Continua...


Nota dell'autrice

Confesso: non credevo di riuscire ad aggiornare oggi. Chi mi segue su IG lo sa, ho avuto un week end alcolico e impegnato tra eventi e mare e a volte rimpiango i miei fine settimana di ozio in inverno, quando scrivevo, scrivevo, scrivevo... Eppure dopo il brutto periodo un pò di svago ci serve, dai!
Ed ecco qui il capitolo 2.

SPECIFICO:
Dori è figlia di Valese e del nuovo marito, ha 16 anni.
Boxer è il figlio di Goten e Bra, ha 17 anni.
Bulma (Jr) è la seconda figlia di Goten e Bra e ha 13 anni.

A volte ho dei dubbi, ma sono molto contenta dell'entusiasmo che mi avete dimostrato, giuro! Ne ho bisogno, perchè per me è tutto nuovo, si può dire io stia scrivendo un'originale praticamente... chi l'avrebbe mai detto?
Insomma, GRAZIE di cuore e aspetto pareri su questo capitolo, oltre che le vostre previsioni per ciò che potrebbe succedere tra Nina e Yuno!
Vi abbraccio forte e vi lascio un disegnino già postato tempo fa su instagram ma perfetto per questo capitolo. Nostalgia...

 

Sweetlove



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Capitolo 4
*** 3 ***


C R E E P
capitolo 3




Nina si accostò alla finestra di quella stanza che conosceva ormai come le sue tasche. Frequentava la casa di Valese e Mick dacché ne aveva memoria, poiché i due si erano sposati quando lei e i gemelli avevano poco più di un anno. La separazione di Valese e Son Goten era stata una doccia fredda per entrambe le famiglie, ma i ripetuti episodi di infedeltà non avevano reso quella soluzione troppo remota. Il vero shock era stato la scoperta della relazione tra Goten e la “piccola” Bra Brief, che era addirittura rimasta incinta.

Eppure, Valese per Nina era sempre rimasta “zia” al pari di Bra.

Attraverso il vetro, Nina osservó i fiocchi bianchi che si depositavano piano nel grande cortile di quel villino, sull’altalena ormai in disuso che tuttavia era stata lasciata lì, come per celebrare l’infanzia di quei due gemellini e della principessa nata poco dopo da quella nuova unione, Dori.

La neve… un ricordo impossibile da cancellare.

 

 

«Kian! Guarda!»

Una bimbetta di otto anni, infagottata nel suo giaccone rosso e con i capelli biondi che sbucavano fuori dal cappello di lana bianco, mostró orgogliosa il pupazzo di neve appena ultimato. La carota che aveva appena sistemato a mò di naso, tuttavia, continuava a cadere dispettosa, malgrado tutti i tentativi di farla stare su.

«Cosa?»

Il moretto, anche lui coperto in modo eccellente dal cappotto nero, sollevó il capo dalla sua opera d’arte per osservare ciò che la sua amica gli stava mostrando.

«Questa stupida carota non vuole restare al suo posto!»

Nina, nasino arricciato e labbra assottigliate, era ormai in procinto di prendere a calci il povero pupazzo di neve. Non reagiva benissimo alle avversità, s’innervosiva subito e l’aver ereditato quell’aspetto, assieme a quello fisico, dalla nonna materna Diciotto lasciava ben intendere sarebbe diventata una donna tanto affascinante quanto temibile.

«E io che posso farci?»

Kian fece spallucce, come sempre. Perché se c’era da combinare qualche disastro era sempre il primo a cercarla, ma per aiutare… una frana!

«Stupido!»

E Nina non era mai troppo gentile nei suoi confronti…

«Ní, aspetta!» Yuno comparve da dietro l’albero di ciliegio completamente spoglio e innevato, dove stava costruendo la sua piccola città di neve «Ti aiuto io!».

Il bambino afferró senza pensarci un bastoncino dalla siepe lì accanto, si avvicinò al pupazzo di neve, scavó delicatamente un buco nel grosso faccione e senza problemi v’infiló la carota ormai gelata, sotto gli occhi azzurri e attenti della sua amica.

«Ecco!» Le sorrise, trionfante e forse più felice di lei di averle risolto il problema.

Nina ricambió il gesto con le iridi che brillavano, mentre Kian faceva smorfie dietro di loro, prendendoli in giro. Prendeva sempre in giro suo fratello quando dimostrava di essere generoso e sempre disponibile, fosse con la mamma, con gli amici o con chiunque altro.

«Grazie Yuno!»

La biondina lo bació sulla guancia e il ragazzino s’infiammó, nascondendo l’emozione dietro l’albero dove andó immediatamente a rifugiarsi per completare il suo lavoro.

 

 

«Nina io… non posso più far finta e nascondere ciò che provo…»

Yuno esitó prima di poggiare con delicatezza le mani sui suoi fianchi. Non era un gesto nuovo, dormivano persino insieme! Eppure, stavolta, gli parve tutto diverso.

Così com’era diverso fingere di star bene e nascondere quanto, nello stringerla mentre dormiva, avrebbe voluto fare altro…

«Cosa provi?»

Un sorrisetto malinconico comparve sul volto di Nina, mentre continuava a guardare la neve scendere dal cielo.

«Davvero non l’hai capito?»

Sì che l’aveva capito… ma voleva sentirselo dire. Restó in silenzio, quanto bastava per incitarlo a proseguire.

«Io non riesco più a vederti solo come un’amica, Nì… tu sei… sei… io sono…»

«Yuno…» Nina scoppió in una risatina «Dillo e basta!»

Il ragazzo rimase un attimo spiazzato, per poi realizzare che quella risata era riuscita a rompere il ghiaccio e a dargli il coraggio di dichiararsi.

«Io sono innamorato di te, Ní… lo sono da sempre ma tu… io… non volevo mettermi in mezzo. Lui è mio fratello e tu la sua…»

«Non lo sono più. Ci hanno allontanati e anche se dovesse tornare non ci permetterebbero di stare insieme in pace. E poi mi avrà già scordata, lí…»

Solo in quel momento, con quelle parole venute fuori come macigni, uno dietro l’altro, si volse a guardarlo negli occhi, e mai come in quel momento ebbe la certezza di non essersi sbagliata. Perché lei sapeva quanto Yuno fosse innamorato di lei, ma la paura di fallire ancora l’aveva sempre frenata dal confessargli di esserne a conoscenza.

«E cosa ne pensi…?»

La mano di Yuno si mosse, sollevandosi fino a raggiungerle il volto e accarezzarlo delicatamente, tremando. Era bella… terribilmente bella. Bella da togliergli il fiato, bella da non riuscire a pensare a nulla… non se l’aveva così vicina… non se la vedeva sporgersi a occhi chiusi in attesa di qualcosa di magico, di un bacio che aveva sempre sognato di darle.

Questo pensava… che tutto era possibile. Che voleva baciarlo senza sapere quanto anche lui lo volesse.

E fu il sì più bello della sua vita… più bello della pagella con su scritti solo dieci. Più bello del primo posto alla gara di scienze. Più bello del pensiero di riavere a casa Kian.

Perché non esisteva nulla di più bello al mondo… quelle labbra, il suo sapore, il respiro nel suo stesso respiro.

 

***

 

Nella città dell’Ovest, in un quartiere residenziale sito vicino alla periferia, si ergeva una casa bianca, diversa dalle altre con la caratteristica forma a cupola. Questa era rettangolare, con un modesto cortile a circondarla, alte siepi a proteggerne la privacy e un breve tratto di staccionata di ferro dipinto di bordeaux. In più punti la vernice stava venendo via, e l’erba non era più alta cinque centimetri esatti, piuttosto sembrava essere incolta e mancante in più punti.

Qualcuno non era più lì ad occuparsi di quei lavori da buon pensionato, da ormai un anno e mezzo.

Anche la cassetta della posta presentava diversi segni d’usura. Crillin teneva tanto a quella cassetta… la spolverava, la riparava, la dipingeva. Da quando era morto, stavolta per sempre, sua moglie non si era presa la briga di sostituirlo in questi piccoli ma per lui fondamentali compiti. A dire il vero, in quarantacinque anni di matrimonio, non si era mai mostrata troppo incline alla vita da casalinga, aveva sempre svolto il minimo indispensabile, lasciando fosse lui ad eseguire in maniera quasi maniacale i lavori domestici. D’altro canto, Diciotto era stata sempre presente, sia come moglie che come mamma. Un punto di riferimento non indifferente per la sua famiglia, che la amava così com’era, nonostante i circuiti e l’esistenza resa ‘diversa’ da uno spietato scienziato pazzo, il Dr Gelo.

Tuttavia, il momento più temuto della sua vita era sopraggiunto all’improvviso e per ben due volte.

Era sempre stata cosciente del fatto che avrebbe visto andar via tante persone prima che i suoi circuiti, talmente deteriorati, avrebbero sentenziato ‘anche’ la sua morte, ma sapeva anche - e Bulma glielo aveva confermato - che quel gran figlio di puttana di Gelo era stato in gamba e per ‘modificarla’ aveva non solo fatto un lavoro eccellente, ma i materiali utilizzati erano di una qualità inattaccabile. Per questo era sempre stata sicura che sarebbe stata ultima nella sua famiglia a vedere l’aldilà, ma non si sarebbe mai aspettata di dover piangere sua figlia tanto precocemente, poco più che quarantenne, provando il dolore più grande della sua vita. Ma l’aveva superato - mai accettato - anche e soprattutto grazie alla presenza di Crillin, quel marito perfetto che nonostante i difetti l’aveva amata con tutto sé stesso.

Poi, una mattina di ottobre, si era svegliata nel loro letto come di consueto, ma le era parso strano di trovare accanto ancora suo marito, che solitamente si svegliava per primo e la prendeva ancora in giro dicendole “menomale che i cyborg non hanno bisogno di dormire!”.

Crillin non si era alzato perché morto. Aneurisma, le avrebbero detto più tardi, ma non gliene importava… contava soltanto essere rimasta sola, senza più il suo appoggio, il suo amore. E se non fosse stato per i suoi nipoti, forse avrebbe provveduto da sé a raggiungere la sua famiglia all’altro mondo, sempre che per lei avrebbero scelto il paradiso come meta finale.

Hami, Nina e Mirai le erano stati vicino e utili come ossigeno, nonostante grazie alla sua indole apparentemente gelida dicesse loro “sto bene, mi soffocate!”.

A turni erano andati a stare da lei: prima Hami, la più libera delle tre, cui non importava il luogo in cui pernottare dopo le lunghe giornate di studio. Poi Nina, con cui spesso litigava grazie a quel carattere fin troppo simile, ma che le permetteva di distogliere la mente dai pensieri neri che l’affollavano. E infine Mirai, il maschietto che non aveva mai avuto, con la quale si sentiva quasi impacciata ma che era uno dei pochi esseri viventi capaci di farla esplodere in risate spontanee e senza imbarazzo.

«Nonna! E’ pronto?»

Proprio lui, adesso, sbucò dal soggiorno con la sua zazzera lilla, così uguale a suo padre Trunks e con lo stesso appetito che contraddistingueva la razza saiyan.

Diciotto si volse verso di lui, come risvegliandosi da uno stato di trance. Stava fissando la cassetta delle lettere. Ancora.

«Tuo padre verrà a prenderti tra poco. Non credevo avresti cenato da me.»

«No… un’altra cena a base di surgelati!» Il broncio del ragazzino riuscì come sempre a farla sorridere e a far cadere ogni traccia di determinazione.

«Tuo padre fa del suo meglio, Mirai…» Disse, alzandosi e avvicinandosi piano al frigorifero. Da quanto non mangiava? Fisiologicamente non ne aveva bisogno, in quanto cyborg, ma si era sempre seduta a tavola con la sua famiglia, mandando giù qualche boccone con e per loro. Da sola non aveva senso… ma forse con Mirai avrebbe potuto cambiare programma.

«Nonna, hai insegnato tu alla mamma a cucinare?»

Una domanda a bruciapelo, innocente, ma capace di farla immobilizzare per qualche istante. Ancora una volta. Perché pensare a quando Marron era viva era sempre doloroso.

«No. A dire il vero era un disastro.»

«Ma che dici?! Cucinava così bene!» Esclamò Mirai, sollevando un sopracciglio.

«Ha imparato con gli anni. E io non sono granché in cucina.»

«Il tuo pollo mi piace.»

«Beh, stasera non c’è. Posso prepararti del… no, non posso prepararti nulla, Mirai. Il mio frigo è vuoto.» Constatò Diciotto, osservando la desolazione che regnava dentro l’elettrodomestico.

«E il freezer?» Il ragazzino sorrise «Quando ti ho accompagnata a fare la spesa hai comprato tanti surgelati!»

La donna ci pensò sù qualche istante, per poi tornare sui suoi passi.

«Ma non avevi detto che non ne potevi più?» Domandò al nipote, con aria furba, incrociando le braccia.

«Beh, ma se li prepari tu i surgelati sono più buoni!».

 

Continua…

 

Nota dell’autrice

Buon lunedì a tutti! Anche stavolta aggiorno di lunedì solo per coincidenza, non fateci l’abitudine! ;-)

La mia settimana inizia male, con mia figlia che ha oltre 39 di febbre da stanotte, e forse solo l’essere inchiodati a casa mi ha permesso di revisionare questo capitolo scritto venerdì e sabato al mare, sul mio lettino… ispirazione, che magia!

Su Instagram vi ho spoilerato ciò che sarebbe successo tra Yuno e Nina! Che ve ne pare?

E ritroviamo la nostra Diciotto, con una triste novità. E’ vedova… ma ancora in forze! ;-) Cosa combinerà lei?

E niente… le note di oggi sono brevi. Vado a dare un’altra dose di tachipirina alla mini-me, sperando che il peggio passi presto!

Vi ringrazio TANTISSIMO per il vostro supporto, davvero… mi fate felicissima ogni volta!

Vi saluto, alla prossima!

P.S. Ovviamente vi metto i disegni anche qui!

Sweetlove

 

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Capitolo 5
*** 4 ***


C R E E P
capitolo 4

 

 

 

«Ti prego nonno, aspetta!»

Boxer Son-Brief era allo stremo. Due ore d’intenso allenamento con il Principe Vegeta, che a ottant’anni suonati mostrava di averne sì e no quaranta. É proprio ad ottant’anni che i saiyan iniziano a invecchiare, come da lui stesso spiegato anni e anni prima a coloro che si erano posti il problema, ma per lui le lancette dell’orologio sembravano essersi fermate.

«Vedi cosa succede ad abbandonare gli allenamenti da un giorno all’altro?»

La grinta di sempre che lo contraddistingueva, così come l’essere spietato sul campo di battaglia, o in quel caso la gravity room, e soprattutto l’indifferenza verso chi aveva davanti, fosse un nipote o meno. Pretendeva che l’ultima generazione saiyan fosse degna di appartenere a quella razza, e soprattutto quel ragazzo, diciassette anni appena compiuti, doveva portare alta la barriera, poiché aveva ereditato ben il cinquanta per cento di sangue alieno. Unione di due mezzosangue, nascita di altri mezzosangue. Ovviamente non gli voleva più bene rispetto agli altri nipoti, questo era scontato. Ma Hami e Nina avevano ormai perso interesse per la lotta da anni e Bulma Jr non l’aveva mai avuto. Tutta sua madre e sua nonna, come il nome suggeriva.

«Ho capito, ma non è il motivo adatto per pestarmi così!» Boxer incrocio le braccia davanti al volto appena in tempo, parando quel destro micidiale che l’avrebbe altrimenti sfigurato.

«È sempre un buon motivo per pestarti, lavativo!» Vegeta indietreggiò appena, osservandolo. Aveva attaccato pochissimo, segno inequivocabile della mancanza d’esercizio, e i suoi riflessi erano lenti, troppo lenti. La stessa cosa che era accaduta più di trent’anni prima a Trunks, quando aveva smesso di frequentare quella stanza per dar maggiore spazio alla sua vita di adolescente.

«Mi arrendo…» Il Moro sospirò, affannato per nulla, sollevando le braccia in segno di resa e smettendo di levitare per finire accasciato sul pavimento di metallo indistruttibile realizzato da sua nonna Bulma ormai decenni prima.

«Quella mocciosa di tua sorella saprebbe fare meglio.» Lo schernì Vegeta, disgustato, disattivando il congegno di gravitá e afferrando la bottiglia d’acqua adagiata lì accanto per tracannarla in poche sorsate.

«Adesso che inizia a montarsi la testa figurati se pensa ancora a mostrarsi interessata solo per compiacerti…» Boxer ridacchiò, asciugandosi il petto madido e nudo con l’asciugamano finito chissà come lì per terra, forse volato via grazie alla forza degli attacchi di suo nonno.

«Femmine…» Un grugnito, non troppo convinto. Perché se si parlava di Bulma Jr, Vegeta diventava un agnello… e tutti sapevano il perché. Era la fotocopia di Bulma e sin da quando era venuta al mondo aveva rapito il cuore del piú anziano dei saiyan, così come era accaduto quando a nascere per mezzo di un incantesimo di Whis era stata la stessa Bra.

Boxer sospirò, improvvisamente affranto, guardando l’impiantito lucido e indugiando prima di prendere parola.

«Nonno, a proposito di femmine… c’è una tipa che viene a scuola con me. Mi piace un casino, ma non saprei come farmi avanti. Tu cosa faresti?»

Se Vegeta avesse saputo che un domani un moccioso di diciassette anni si sarebbe permesso di chiedergli consigli sull’amore… chissà cosa avrebbe fatto. Il killer spietato che era stato si sarebbe incenerito, o avrebbe maledetto la sua stessa progenie. Adesso invece non gli restava che sgranare gli occhi e guardare suo nipote sconvolto.

«Io?!»

Boxer sollevò il capo e con la stessa innocenza che contraddistingueva non tanto il padre Goten, quanto il nonno paterno Kakaroth, fissó il nonno senza timore.

«Sì, tu! Come hai conquistato la nonna?» Domandò, innocentemente.

Vegeta grugní ancora, stavolta più seriamente, prima di avanzare verso l’ingresso pronto ad andarsene.

«Boxer, innanzitutto non sono affari tuoi…» Borbottò, poco convincente e rosso come al solito. Conquistato… oltre che pianeti, non aveva mai conquistato nulla. Era stata Bulma, con la sua schiettezza e la sua genuinità, a prendere a poco a poco un posto sempre più grande nel suo cuore nero come la pece e duro come il marmo. Quel cuore che si era rivelato ben presto più grande di quel che avrebbe mai immaginato e ammesso, ma a nulla sarebbe servito se non ci fosse stata lei nei dintorni.

Lei, che seppur fuori di testa, ora nel senso letterale del termine, lo amava alla follia, come lui amava lei.

«E poi é lei ad aver conquistato me.» Aggiunse, sottovoce, quasi senza rendersene conto, mentre già apriva il pesante portellone di titanio pronto a tornare in casa e assicurarsi che proprio Bulma non si fosse messa in qualche pasticcio.

 

 

 

«Ma dove diavolo si sarà cacciato?» Diciotto scrutò ancora una volta l’esterno attraverso il vetro della finestra del soggiorno, iniziando ad essere infastidita. Si che suo genero non era mai stato un tipo troppo puntuale, ma erano quasi le dieci e così facendo rischiava di mandare a monte tutti i suoi piani.

«Non posso dormire qui, domani ho scuola!» Mirai, che lottava contro il sonno ormai da una buona mezz’ora sul divano preferito del nonno Crillin, sbadigliò sonoramente per l’ennesima volta.

«Non ho intenzione di farti dormire qui, infatti. Mi chiedo soltanto dove sia finito tuo padre. É tardi e…» La donna s’interruppe quando nei giardino vide comparire un’ombra. E a piovere dal cielo a quell’ora poteva essere solo Trunks. Questo infatti apri la porta di casa senza suonare il campanello, senza troppe cerimonie, ed entrò grattandosi la nuca in soggezione. Perche lo sguardo di Diciotto gli incuteva ancora timore dopo una vita intera.

«Scusatemi!» Esclamò, prima ancora di salutare.

«É successo qualcosa?» l’androide lo scrutò con le braccia incrociate sotto il seno ed un sopracciglio alzato, in attesa di spiegazioni, che non tardarono ad arrivare.

«Riunione fino a tardi…»

«Non dovrebbe essere compito di Hami?» Indagò ancora, come se quel mezzosangue dai bizzarri capelli lilla volesse nascondere qualcosa.

«Cosa credevate tutti, che l’avrei buttata in pasto ai leoni? Odierebbe da subito il suo lavoro, poverina…» Trunks s’infiammava ogni volta che gli veniva toccata Hami. Il suo punto debole da sempre, dal giorno in cui l’aveva vista per la prima volta. Fosse stato per lui, per condannarla alla sua stessa vita stressante avrebbe atteso ancora qualche anno.

«E dov’é ora?»

«Cena con Taki.» Rispose e concluse velocemente, Trunks, guardando in direzione di suo figlio e rendendosi conti fosse abbastanza contrariato… come Marron. Lei lo guardava sempre così quando tardava.

«Papá! Muoio di sonno! Possiamo tornare a casa?» Infatti lo vide infiammarsi e alzarsi dal divano ciondolando, senza però perdere la sua grinta da piccolo leone.

Piccola Marron…

«Certo piccolo… scusa se ho tardato.» Gli disse, dispiaciuto poiché di sicuro l’indomani avrebbe dovuto lottare non poco per tirarlo giù dal letto e farlo andare a scuola con gli occhi aperti. Sorrise, vedendolo uscire di casa a passo lento e trascinato, con la mente già sotto le lenzuola, e rivolse uno sguardo pacifico verso Diciotto, che tuttavia ricambiò con freddezza, come di consueto.

«Domani non contare su di me, Trunks. Devo uscire.» Disse, senza troppe cerimonie, appoggiando una mano sulla porta pronta ad accompagnarla per richiuderla alle spalle dei due lilla.

Trunks sollevò un sopracciglio, squadrandola d’istinto.

«E per andare dove?»

«Sono affari miei.» La risposta ancor più gelida di Diciotto, che stavolta non indugiò e chiuse l’uscio con stizza. E a suo genero non rimaste altro da fare che sorridere tra sé, maledicendosi per quella domanda di troppo e ritrovandosi a parlare ad una porta.

«Buonanotte Diciotto…».

 

 

«Sono un po’ preoccupata per mia nonna…»

Due ragazze. Una bionda, esile, l’altra scura di pelle dai foltissimi capelli ricci. Entrambe sedute a un tavolo del loro ristorante preferito, ma stavolta in una sala diversa. Già… una delle due, adesso, doveva avere ancora più discrezione nel presentarsi in pubblico. Personaggio noto… una noia mortale.

«Bulma é una roccia. Un po’ svampita ma chi l’ammazza?»

La più scura rispose alla riflessione dell’altra, che sembrava pensierosa mentre sorseggiava il suo rosato. Hami corrugò la fronte, tornando nella stessa dimensione dell’amica Taki, che la guardava come in attesa.

«Parlavo dell’altra.»

«Oh… e perché?» Domandò la ragazza, convinta fosse proprio la ormai anziana Bulma Brief a destare preoccupazione, come spesso accadeva di recente, e meravigliandosi di dover spostare l’attenzione sull’irreprensibile e apparentemente invulnerabile Diciotto.

Hami sorseggió ancora il vino, come per prendere tempo, insicura sul rivelare o meno ciò che aveva visto solo poche sere addietro e che tanto adesso la preoccupava. Eppure alla sua amica Taki aveva sempre detto tutto, senza preoccuparsi… perché tenere per sè quell’angoscia, adesso? E fu così che decise di confidarsi.

«Alla mia festa…l’altra sera. Quando tutti sono andati via, e noi siamo andate in quel locale…» Iniziò, sottovoce, come se orecchie indiscrete non aspettassero altro che avere scoop sulla sua famiglia.

«E allora?» Incalzò l’altra, cacciandosi in bocca un altro pezzo di bistecca.

«L’ho vista uscire da lì!»

A quella rivelazione, Taki smise per qualche istante di masticare. La sua amica iniziava sicuramente ad avere i primi accenni di esaurimento nervoso… e dire che era in azienda da pochi giorni!

«Ti sarai sbagliata, Hami!» Provò a dire, pacatamente, ma lo sguardo accigliato della biondina la trapassò istantaneamente.

«So riconoscere mia nonna, Taki. Ma la cosa peggiore é che l’ho vista allontanarsi con un ragazzo!»

Hami abbassò ancor di più in tono di voce, come se si vergognasse di ciò che stava raccontando… già sicura di ciò che Taki avrebbe replicato.

«Secondo me avevi bevuto troppo.»

Forse confidarsi non era stato il massimo. Si, aveva bevuto. No, non aveva avuto le traveggole… quella che aveva visto salire su quell’auto sportiva insieme a quel giovane era proprio Diciotto, sua nonna, anche se di una nonna aveva ben poco. Prima che Marron morisse, madre e figlia sembravano coetanee… sapeva bene il perché, che Diciotto era un cyborg e che sarebbe invecchiata poco e molto lentamente, ma aveva sempre pensato sarebbe rimasta fedele al nonno Crillin per sempre, anche dopo la sua morte.

Non sapeva perché, ma tutto questo la disturbava. Anzi, il perché lo sapeva, ma riconoscerlo era un'altra cosa. Sapeva bene che a darle fastidio non era tanto che la nonna avesse un nuovo giovane compagno, quanto che la stessa cosa sarebbe potuta accadere a suo padre Trunks… lui, rimasto vedovo così giovane, ancora bisognoso di amore e attenzioni. Adesso era adulta, sapeva quanto certi bisogni andassero soddisfatti. Ma avrebbe mai potuto accettare di sapere sua madre “rimpiazzata” tanto facilmente?

«Scusi, é sua questa?»

Tornò di nuovo al presente grazie ad una voce maschile e un leggero tocco alla spalla, quasi impercettibile. Si volse, stralunata, trovandosi faccia a faccia con un ragazzo dalla pelle ambrata e folti capelli mogano tirati indietro, ma ciò che la colpí maggiormente furono i suoi occhi. Castani e intensi, nonché gentili. Le porgeva un’agenda tascabile. Di carta… un oggetto che la dirigente dell’azienda tecnologica più importante del pianeta non avrebbe dovuto possedere, non cartacea… ma sentiva di averne bisogno. Anche Marron ne aveva sempre una, malgrado le prese in giro di Trunks, che invece si affidava alla segretaria e allo smartphone sul quale riceveva tutti i promemoria.

«G-grazie. Deve essermi caduta prima, quando ho aperto la borsa…» Hami afferrò l’agenda, cacciandosela velocemente nella borsa appesa alla sedia e sorridendo cordialmente ma senza riuscire a celare la soggezione. Le succedeva sempre con i ragazzi…

«É un piacere avergliela riportata, signorina.»

Il giovane, galante nel suo completo antracite, ricambiò il sorriso, ma una strana luce negli occhi tradiva la sua compostezza.

«Hami. Mi chiamo Hami…» Disse lei, con un filo di voce, porgendogli la mano per stringergliela ma si ritrovò a guardare quel ragazzo afferrarla delicatamente e portarsela alle labbra, come fosse un suddito con una principessa.

«Piacere, Hami. Lars Aito.»

 

 

Nota dell’autrice


Dunque… ho da dirvi un paio di cosette stavolta.

La prima, riguardo la lunghezza dei capitoli. Siete abituati a quaresime senza fine, lo so, e per chi amava i capitoli lunghi mi scuso, ma stavolta la scelta ricade su un numero di parole più ristretto. Preferisco pubblicare in più parti, ma elaborare paragrafo per paragrafo, e da lettrice posso dire che sicuramente sarà meno impegnativo anche per voi, perché a volte bisogna fare delle pause mentre si legge, invece con capitoli più corti c’è maggiore possibilità di mandare tutto giù in una botta sola.

Va beh, lasciate perdere ‘questo’ capitolo, che mi è venuto più lungo di quel che avrebbe dovuto. E considerate che l’ho scritto con l’Ipad perché il pc mi era andato in blocco.

E poi niente, Aito vi ricorda qualcosa? Chi sarà questo giovanotto? Aspetto le vostre previsioni, così come aspetto mi diciate cosa ne pensate di Diciotto e del ragazzo misterioso! ;-)

Io vi saluto come sempre, augurandovi buona settimana in questo lunedì che definirlo afoso è un complimento. Sto morendo. Vi lascio come al solito un disegnino, che sicuro avrete già visto su IG.

Un abbraccio e grazie infinite a tutti voi!

Sweetlove

 

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Capitolo 6
*** 5 ***


C R E E P
capitolo 5

 

 

Febbraio, anno 815

 

Una lunga chioma di capelli biondi si affacciò alla porta socchiusa della stanza di sua sorella, disordinata e dalle pareti gialle. Hami ricordava bene il giorno in cui, pennelli e vernice alla mano, assieme al papà e allo zio Goten aveva dipinto la cameretta della sorellina prossima a venire alla luce, e ancor di più ricordava la lunga discussione tra Marron e Trunks riguardo il colore da scegliere. Lui voleva fosse rosa, dato che la secondogenita sarebbe stata femmina, ma lei aveva sempre preferito i colori neutri e alla fine, in un assolato pomeriggio di aprile, qualcuno aveva deciso di farle una sorpresa facendole trovare quella stanza dipinta come più le piaceva, oltre che a un gran casino da ripulire e sistemare.

Ma era stata felice, Marron… questo ricordava Hami, ogni volta che metteva piede nella stanza di Nina. Certo, Marron s’incazzava di brutto vedendo quanto quella ragazzina riuscisse a incasinarla, tra libri, giocattoli, abiti sparsi qua e là, ma era così e nessuno aveva potuto nulla contro la sua indole ribelle, manifestata sin dai primi anni di vita.

«Cosa fai…?» Domandò. Era stata attratta all’interno da un fracasso insolito, rumori di oggetti lanciati qua e là e contro le pareti stesse.

Nina si volse a guardarla distrattamente solo un secondo, per poi tornare a frugare dentro l’armadio alla ricerca di qualcosa.

«Hai qualcosa da prestarmi?» Rispose, con la testa letteralmente infilata nell’anta degli abiti invernali.

«Scordatelo. E poi ormai le mie cose non ti stanno…»

«Stai dicendo che sono ingrassata?!» Nina drizzò la schiena tra lo scioccato e l’incredulo.

«No, scema… sto solo dicendo che ormai sei più alta di me, e soprattutto più formosa.»

Hami non aveva mai badato troppo al proprio fisico. Era intelligente, credeva che questo nella vita le sarebbe bastato e si era sempre sottovalutata riguardo la sua bellezza, come se non fosse qualcosa di necessario. Eppure, negli ultimi periodi, le era capitato di soffermarsi più di una volta davanti al grande specchio nella sua stanza, a guardare con la bocca storta quel corpo troppo magro e minuto, le anche quasi ossute, il seno appena accennato e quasi androgino… lì si era resa realmente conto che Nina, invece, si era sviluppata in un modo ben diverso e anziché riprendere lo stesso fisico della loro madre sembrava aver saltato letteralmente una generazione, per ereditare il corpo sempreverde di nonna Diciotto.

«Ah… menomale! E comunque non trovo nulla da mettermi!»

Nina riprese la sua ricerca nel grande armadio, continuando a tirare fuori vestiti su vestiti, nonché scatole da scarpe, cinte e accessori, che puntualmente finivano lanciati sul letto e accidentalmente sul pavimento. La cameriera avrebbe avuto il suo bel da fare, l’indomani…

«Esci con Yuno?» Hami si accomodò in una piccola porzione di materasso, precisamente ubicata sul bordo superiore del letto, dove c’era un modesto spazio libero, e sorrise pensando a quei due.

La notizia era trapelata in fretta ormai da un paio di settimane.

I due ragazzi avevano tenuto la cosa nascosta, ma quando zio Goten era rientrato a casa in anticipo, a fine gennaio, e li aveva trovati in soggiorno incollati come due ventose, non era riuscito ad evitare di spifferare la cosa al migliore amico. Trunks era in ufficio, quella mattina, e il suo primo istinto era stato di correre a scuola, ritirare la figlia e chiuderla in una torre inviolabile ai confini del mondo, ma Hami stessa gli aveva ricordato quanto Yuno fosse diverso dal fratello Kian e che le cose, fossero amici o fidanzati, non sarebbero cambiate più di tanto.

«Sì. Perché?»

Questo suo modo di mettersi subito sulla difensiva… anche quello l’aveva ereditato dalla nonna, Nina. E non Bulma.

«Perché non ho mai visto tanta indecisione sul come vestirti, vuoi una mano?»

La maggiore inclinò appena il capo, in un misto tra tenerezza e curiosità… perché lei al liceo, aldilà di qualche piccola cotta qua e là, non era mai stata con nessuno, né aveva sperimentato l’indecisione sul come agghindarsi prima di un appuntamento.

«Davvero…?»

«Certo. Dai, prendi questo…» Hami afferrò un tubino nero che sua sorella aveva appena gettato ai piedi del letto. Era perfetto e se avesse avuto modo di sfoggiarlo così come lei di sicuro l’avrebbe indossato spesso… perlomeno quel modello.

«Non è… troppo?»

«E’ San Valentino, nulla è mai troppo!» Le fece l’occhiolino e slacciò per lei la cerniera, mentre già la sorellina si sfilava la maglia gigante del pigiama, che ancora indossava malgrado fossero le sei di pomeriggio, e i leggings dello stesso.

«Andiamo soltanto al cinema e forse a cena da qualche parte, di sicuro non in quei locali che hai preso a frequentare tu!»

Nina s’infilò velocemente il vestito, voltandosi per dare modo a Hami di allacciarglielo sul retro.

«I locali che frequento io sono una grande palla, Nina. Divertiti finché puoi, anche al fast food!»

«Mimi, tu perché non esci?»

Ancora la chiamava così, malgrado i diciotto e ventitré anni attuali… per lei sarebbe sempre rimasta Mimi, la sorellona bacchettona.

«Eh…?»

«Non dirmi che la signorina Brief non ha ancora acchiappato un pretendente! Ti ho vista sai? Sempre attaccata al telefono, a messaggiare…»

«Non è vero! Che dici?» Esclamò, poco convinta. Eccome se era vero…

«A me puoi dirlo! A papà non dirò nulla, sai che mi sta sulle palle…»

«Nina!» La rimbrottò, ancor meno convinta di prima. Le dispiaceva sentir dire cose del genere da sua sorella, soprattutto se si riferiva a Trunks.

«Chi è?» Insistette lei, come se non avesse detto nulla «Lo conosco? Oh, no… non conosco nessuno dei tuoi amici, a parte Taki!»

«N-no… non lo conosci, ma questo non vuol dire che io debba uscirci a San Valentino!»

«Allora avevo ragione!» Nina fissò prima sé stessa allo specchio, riconoscendo che la scelta di Hami non era stata poi così malvagia e che quell’abito le cadeva a pennello. Quella sera avrebbe staccato l’etichetta dopo quanto? Un anno dall’acquisto? Poi, attraverso lo specchio, vide lo sguardo di sua sorella imporporarsi violentemente. Era così dannatamente uguale a suo padre! Incapace di non arrossire…

«Stai bene. Devi solo sistemarti i cap…»

«Come si chiama? Quanti anni ha?»

Eccola, Nina Brief. Taciturna all’apparenza, ma con lei un libro aperto e una chiacchiera continua.

«Lars. Si chiama Lars e ha la mia età.» Confessò Hami, smorzando il sorriso che sovente le compariva in volto pensando a quel ragazzo rosso e galante. Un ragazzo apparso all’improvviso in quella sala di ristorante, vestito di tutto punto e pronto a presentarsi con disinvoltura, e che da quella sera, quando l’aveva riaccompagnata a casa dopo qualche parola scambiata dopo la cena, aveva continuato a sentire sempre più spesso. E non l’aveva detto a nessuno, ma un paio di volte si erano anche rivisti.

Una dopo il lavoro, di fronte ad un cocktail in un locale sulla costa. Era stato tutto così naturale, nonostante il cuore le battesse così forte da minacciare di uscirle dal petto. L’altra a cena, solo due sere prima. E se non si fosse scansata con disinvoltura, in preda ad una improvvisa ondata di paura, l’avrebbe anche baciata.

Forse non gli era andato giù proprio quello… forse per questo era a casa, il giorno di San Valentino.

«E cosa fa? E’ bello?»

Un altro tir di domande di Nina, ormai convinta di ciò che avrebbe indossato al suo appuntamento romantico… che dire romantico era strano, perché lei e Yuno erano sempre gli stessi, malgrado si baciassero sulle labbra da ormai un mese.

Hami esitò solo un istante prima di rispondere.

«Effettivamente non so cosa faccia di preciso. So che è parecchio impegnato perché anche lui prossimo a guidare l’azienda del nonno ma… non ne abbiamo mai parlato più di tanto. E… sì, è bello. Direi…»

S’imbarazzava, Hami, e probabilmente non fosse stata Nina a quella domanda non avrebbe mai e poi mai risposto.

«Dai, ti aiuto a sistemare i capelli…» Aggiunse, sperando di poter concludere quella conversazione. E non perché non volesse parlare con sua sorella di questo, ma perché voleva ancora fare mente locale su ciò che stava iniziando a provare prima di esporsi e far esporre le persone che amava.

 

***

 

In quella caffetteria il tempo sembrava essersi fermato. Vi erano le stesse insegne, gli stessi quadri con le fotografie degli avi, alcuni suppellettili mai sostituiti e lo stesso odore meraviglioso di sempre.

Goten si chiuse la porta alle spalle lasciandosi indietro il freddo di quella sera di febbraio, facendo un cenno al titolare che lo accolse con un sorriso. Erano coetanei, lo sapeva sin dalle prime volte che aveva messo piede in quel posto, ormai trent’anni prima, insieme all’amico di sempre per fare colazione dopo una notte brava trascorsa insieme a zonzo per locali. Alle sei del mattino quel ragazzone dai capelli castani tirati indietro da un codino li aveva serviti con un entusiasmo che solo chi nutre una passione viscerale per il proprio lavoro può manifestare, soprattutto a quell’ora. E proprio mentre sorseggiava il suo cappuccino bollente e Trunks masticava una brioche fumante, Goten aveva appreso da quel giovanotto che aveva aperto da poco quel posto con la speranza di mandarlo avanti il più possibile.

Per questo era stato felice di portarci più volte la sua famiglia. Le sue famiglie, per meglio dire… Per l’appunto, scorse proprio alla sua destra, seduta dandogli le spalle, quella sagoma così famigliare cui mai si sarebbe disabituato nonostante i trascorsi.

«Ciao…» Disse, cordiale, prendendo posto avanti a lei, che sollevò lo sguardo dal cellulare e s’imbatté nelle sue iridi scure.

«Ciao. Sei in ritardo…» Valese gli sorrise in maniera accennata, appoggiando il telefono sul tavolino di legno.

«Scusa, ho fatto tardi in ufficio. Caffè?» Goten sollevò un sopracciglio, in attesa di conferma, e non appena la ebbe gli bastò fare un cenno all’uomo dietro il bancone per farsi capire. Poi tornò a guardare lei.

Lei che era stata sua moglie, seppur per poco tempo, ma la sua ragazza per anni e anni, la madre dei suoi primi figli. Quante volte si era chiesto se l’aveva mai veramente amata? Troppe, e per troppo tempo… finché non aveva capito che l’amore è un’altra cosa e non sempre nasce da un colpo di fulmine, ma si può costruire a poco a poco e con tutti i suoi dubbi e le incertezze a fare da contorno.

Valese gli era stata fedele, lo aveva amato più di quanto non meritasse. E poi era finita, quando una scappatella dopo l’altra si era ritrovato a dividere letto e figlio con niente meno che Bra.

«Ho sentito il direttore stamattina. Kian vuole vedere i suoi fratelli.»

Valese gli era stata fedele quando era ancora la ragazza docile e remissiva, quella di adesso l’avrebbe ucciso a mani nude e gli avrebbe restituito velocemente il torto. Non fosse stata tanto fortunata da trovare anche lei il vero amore in un ex collega di Marron, Mick, chissà ora quale strada avrebbe percorso… madre single di due gemelli, probabilmente depressa e provata da una vita di sacrifici.

Invece era felice… o almeno lo era stata fino a che il figlio non aveva preso a fare il deficiente e a rovinarsi la vita con le sue mani.

«Ah…»

Goten immaginava gli avesse chiesto di incontrarsi per qualcosa riguardante o Yuno o Kian. Solo per questo quegli incontri venivano richiesti o da uno o dall’altra, soprattutto dall’altra in realtà, poiché i gemelli avevano sempre vissuto con lei, da quando erano venuti al mondo.

«Il dottore crede che i tempi siano maturi, che Kian abbia davvero bisogno di riavvicinarsi alla sua vita. Quanto tempo è passato da quando lo abbiamo portato lì, Goten?»

«Due anni…» Rispose lui, accompagnando con un respiro quelle parole. A volte Goten fingeva andasse tutto bene, che i suoi figli fossero tutti lì con lui. Invece non era così… invece Kian era dall’altra parte del continente, Yuno con Valese, Mick e la sorella… accanto aveva soltanto Boxer e Bulma, i figli avuti da Bra. Tutto aveva funzionato, ma mai si era sentito davvero completo, se non quando, finché non era accaduto l’irreparabile, il week end aveva tutti e quattro i suoi ragazzi a casa, con sè.

«Anche Yuno soffre per questo, Goten. Lui ha bisogno di Kian e Kian di lui! Sono gemelli, hanno diviso ogni cosa da quando sono stati concepiti… non è giusto…»

Valese faticava ancora ad accettare la realtà. E non quella che vedeva suo figlio a drogarsi in un parco, ma quella che lo voleva lontano, troppo lontano da lei e dalla famiglia imperfetta ma serena che aveva costruito.

«Sono d’accordo. Credi che potremmo andare questo fine settimana?»

A Goten sembrava un miraggio. Aveva visto Kian sei settimane prima, alla visita che gli aveva fatto. Andavano a incontri alternati, e solo al compleanno erano andati insieme, senza contare il viaggio di andata dal quale erano tornati soli e con l’anima svuotata.

«Dovremmo parlarne con Yuno…»

«E gli altri ragazzi?»

«Non credo sia opportuno. Non ora, magari la prossima volta. Credo sarebbe meglio far incontrare per primi loro due soli.»

La donna giocherellò con una ciocca di capelli sfuggitale dallo chignon, mentre il cameriere appoggiava davanti a loro un vassoio con due tazze di caffè e due bicchieri d’acqua.

«Sarà difficile spiegarlo ai ragazzi. Sai quanto amano Kian e quanto desiderano rivederlo.»

«Hanno capito la sua assenza, capiranno anche il perché dovranno aspettare.»


***


Kian fissava assorto il soffitto. Tra le labbra il cucchiaino con il quale aveva mangiato poco prima il budino, dessert che era stato servito per cena. Di plastica monouso, l’aveva tenuto in bocca ed esattamente così si era ritirato nella sua stanza, più pensieroso del solito.

La giornata era stata pesante. I compiti assegnati dai professori a lezione stressanti, ma eseguiti con tutta la cura possibile. E la partita di basket del pomeriggio era stata spossante, più che mai. Sembrava non vi fosse più traccia né di sangue né di energia saiyan nel suo corpo, come quando l’effetto degli stupefacenti svaniva e si sentiva svuotato e bisognoso di ricominciare da capo a torturarsi.

Eppure, quella merda non la toccava da due anni. Non avrebbe mai più ripreso, anche perché il pensiero di ripassare per la disintossicazione, soffrire come un cane l’astinenza, lo spaventava più della morte stessa. E doveva fare il bravo, perché doveva uscire. Doveva riprendere in mano la sua vita da dove l’aveva lasciata… dai suoi, seppur divisi. Da sua sorella Dori, da Yuno, Boxer e Bulma. Dai nonni…

Come un automa, come ogni sera infilò la mano nel cassetto scorrevole del suo comodino. Estrasse un oggetto consunto, ammorbidito dall’usura. Una foto.

Sì… doveva riprendere da Nina, soprattutto.



Continua...


Nota dell’autrice

Eccomi qui… è lunedì. Alla fine, automaticamente, si è stabilito il giorno settimanale per la pubblicazione… è venuto da sé, insomma! Ma vi chiedo scusa in anticipo se dovesse capitare di non avere il capitolo online con precisione. Ad esempio, non so se lunedì 19 riuscirò ad aggiornare, poiché proprio quel giorno rientrerò dalla mini vacanza a Rimini… il RiminiComix mi aspetta e ad oggi che mancano pochi giorni non vedo l’ora! * . * Anzi, se qualcuno di voi dovesse esserci mi faccia un fischio! ;-)

Bando alle ciance, che mi dite di questo capitolo?

Hami confida a Nina della sua cotta. Ma chi sarà mai questo Lars? E ritroviamo Valese e Goten in un incontro da ex coniugi, di quelli che si stabiliscono civilmente per parlare dei figli. Cosa succederà con Kian? Lui non ha dimenticato Nina…

Io vi ringrazio per il vostro sostegno e l’entusiasmo che dimostrate per ogni capitolo pubblicato! Spero che anche i lettori silenziosi vorranno farmi sapere che ne pensano di questa mia prima storia con protagonisti PG inventati. E’ un esperimento e ho bisogno della vostra opinione!

Per il resto, vi abbraccio forte e vi auguro una buona settimana! Cocente, ma buona!

 

Sweetlove
 

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Capitolo 7
*** 6 ***


C R E E P
capitolo 6


 

Una serata indimenticabile, il primo San Valentino della sua vita. Non che fosse così sentimentale da essere tanto attaccato a certe ricorrenze, lui era il tipo da dimostrare di essere innamorato e fedele sempre, era uno dei suoi princìpi fondamentali. Il consumismo, poi, lo detestava nonostante fosse benestante e potesse permettersi certi sfizi. Eppure Yuno era rimasto sempre umile, poiché nonostante l’ascesa economica avvenuta grazie all’ottimo lavoro del padre - che non faceva loro mancare nulla - e del prestigio dell’autosalone aperto dal patrigno Mick col quale viveva, sapeva benissimo che come famiglia erano partiti dal nulla. Sapeva che quando lui e Kian erano nati vivevano in un piccolo appartamento, che Goten aveva un lavoro che a malapena consentiva di pagare le bollette e fare la spesa… poi, grazie alla bontà dello zio Trunks, che poi suo zio biologico non era, le cose erano cambiate, così come la testa di suo padre, improvvisamente diventato adulto e con un po’ di sale in zucca.

Era fortunato, Yuno, ad essere cresciuto in un modo così maturo, e soprattutto ad aver ereditato la testa di Valese. Quella di Goten, del Goten idiota e leggero, era sulle spalle di Kian, invece… 

Pensava a tutto questo mentre apriva il cancello di casa, percorreva il vialetto facendo attenzione a non scivolare sul sentiero quasi ghiacciato. Tardi, sua madre lo avrebbe rimproverato… o forse no, perché sapeva che era con Nina, prima al cinema e poi a mangiare una pizza in centro. Da quanto aveva prenotato? Forse dieci giorni, impaziente ed emozionato, ma poteva ritenersi soddisfatto da quelle ore trascorse insieme a lei… lei che era bellissima sempre, ma adesso ancora di più! Sapeva anche essere dolce, questa era una novità. Non che non avesse mai mostrato il suo lato tenero, crescendo fianco a fianco con lui era inevitabile, eppure… Eppure Yuno scopriva a mano a mano qualcosa di nuovo, di meraviglioso e al tempo stesso inquietante. Perché Nina gli stava mostrando anche una piccola parte delle sue fragilità, a dosi minuscole ovviamente, ma lo stava facendo.

E vedere una Nina non glaciale poteva essere davvero destabilizzante.

Sorrise di nuovo a quel pensiero, inspirando il suo stesso odore che portava ancora la traccia di quello della ragazza, mentre infilava la chiave nella serratura e la faceva ruotare per aprirla. Rimase sorpreso nel vedere la luce del salone accesa… a quell’ora forse solo Valese sarebbe stata li al buio ad attenderlo, eppure quasi gli venne un colpo nel vedere due sagome, le più famigliari sulla faccia della terra, palesarsi davanti a lui nel soggiorno.

Valese e Goten sedevano uno di fronte all’altro, sulle poltrone disposte ad U davanti al caminetto acceso.

«Che… che succede?»

Domanda più spontanea dell’universo…

«Ti aspettavamo tesoro…» Valese si alzo’ parlando sottovoce, probabilmente per non svegliare marito e figlia.

«E perchè? Non dirmi solo per il ritardo, andiamo!» Mise le mani avanti, Yuno, confuso e intimorito da tanta sollecitudine. Ma tacque quando si trovò a guardare le labbra di suo padre stringersi e assottigliarsi, in quel gesto così famigliare che adoperava ogni qualvolta era in procinto di dire qualcosa di difficile.

«Papà…?» Lo incitò a parlare, sperando non si trattasse di qualcosa di grave.

«Yuno, ascolta.» Valese catturò di nuovo la sua attenzione «A te manca Kian?»

Che domanda di merda. Certo che gli mancava! Era una parte di sè, da quando non c’era si sentiva incompleto…

«Certo.» Yuno rispose prima di rendersi conto di aver omesso un piccolo ma grande dettaglio: suo fratello gli mancava un pò meno da quando con Nina le cose avevano preso una piega diversa. Ma decise di non ritrattare.

«E tu manchi a lui, Yuno…» La voce di Goten riecheggiò pacata nel soggiorno, assieme allo scoppiettare del focolare «E il direttore ritiene che sia il momento giusto per farvi rincontrare. A te piacerebbe rivederlo?»

Quella domanda risuonò due, dieci, cento volte nella testa del ragazzo, rimasto pietrificato e in balia di sentimenti che da contrastanti divennero chiarissimi in un baleno. Perchè il sangue è forte, il sangue è un richiamo che non si può ignorare. Il sangue è sangue.

«Sì! Sì che vorrei rivederlo, papà!» Disse, entusiasta come un bimbo ma senza perdere la sua compostezza congenita.

«Quindi se… se questo fine settimana ce ne andassimo da lui…?»

«Sarebbe bellissimo!» 

Yuno lo disse sicuro di sè, i suoi genitori si scambiarono uno sguardo ma non aprirono bocca.

 

 

Nina era una ragazza diffidente, e non soltanto con gli estranei. Lei era una specie di gatto selvatico, pronta a saltare in aria e arrampicarsi su di un albero per mettersi al riparo dal pericolo, e il pericolo può avere diverse sfaccettature: può essere un mostro quando sei bambina, un lutto da adolescente, un inganno… eppure, la ragazza fu costretta ad abbassare la guardia, almeno per quella volta. Perchè si trovò a dover dare ragione a tutti in un colpo solo.

Ricordava bene quel pomeriggio, quel racconto di suo nonno Crillin che l’aveva portata al parco. Lei gli aveva chiesto di spingerla sull’altalena, malgrado già sapesse farlo da tempo, e lui le aveva risposto “Sei tale e quale alla tua mamma…”. In quel momento, il perchè non lo ricordava, Nina gli aveva domandato come si fossero conosciuti la mamma e il papà e il nonno aveva ridacchiato prima di esordire in un “Non si sono conosciuti in un momento preciso tesoro… sono amici da ancor prima di nascere, come te e i gemelli!”.

Al nonno Crillin, buonanima, non aveva mai creduto fino in fondo, semplicemente perchè ciò che divideva con i gemelli era quasi una fratellanza… almeno così era stato finchè Kian non le aveva chiesto di mettersi insieme, ormai tempo prima. Quello che aveva passato per causa di quel ragazzo le aveva dato ragione riguardo l’impossibilità di tali rapporti, che sicuramente sfociano in una sofferenza estrema proprio a causa di ciò che si mette in ballo con i sentimenti, ma ora si trovava a ricredersi ancora. Certo, presto, prestissimo, ma sentiva che con Yuno tutto poteva andare solo bene. Solo e soltanto bene! E che forse davvero Marron e Trunks erano amici da sempre prima di amarsi… questo non poteva saperlo e avrebbe lasciato quell’interrogativo in sospeso ancora per un pò.

«Posso?»

Proprio la voce di Trunks le giunse attutita dalla porta della camera chiusa, assieme a un lieve bussare. Nina sbuffò appena, come sempre, ma esordì in un “avanti” perchè sapeva di essere nel torto e che quella lavata di capo non avrebbe potuto rimandarla.

«Ciao…» Il lilla entrò nella stanza destabilizzandola con un sorriso, e questo Nina proprio non se lo aspettava.

«Ciao. Che succede?» Chiese, sollevando un sopracciglio proprio mentre sfilava il pigiama da sotto il cuscino.

«Niente. Volevo darti la buonanotte.» 

«Ah…» La ragazza scostò le coperte dal letto, sospettosa «E come mai non sbraiti riguardo l’orario?» 

Trunks ridacchiò, scuotendo leggermente il capo.

«Perchè non c’è nulla di male a far tardi una volta ogni tanto. E perchè sono tranquillo, dato che eri con Yuno. E poi mi fido di te.»

Da quando Trunks non si fidava di lei? Da troppo, probabilmente… quelle parole le entrarono dentro come lame affilate, ma non per far male. Eppure il suo carattere di merda le impediva di aprirsi, di avvicinarsi al papà ed abbracciarlo. Di dimostrargli quanto lo amasse.

«Com’è andata la serata?» Domandò sempre Trunks, per nulla sorpreso del silenzio della secondogenita.

«Bene.»

Spicciola come sempre.

«Va tutto bene con Yuno…?» 

«Papà, grazie del pensiero ma non credere che parlerei dei miei problemi con te!»

Colpito. Affondato. Annientato come genitore e unico sostituito della madre che quella iena non aveva più e con la quale sicuramente si sarebbe confidata. Cosa fare? Insistere? Mai… Nina andava presa con le pinze, sempre. E se era rientrata senza sbattere le porte, poteva dedurre che con Yuno fosse tutto a posto. Questo poteva fare, dedurre.

«Va bene, va bene… allora buonanotte tesoro.»

Per un attimo s’illuse che si sarebbe fatta avanti per dargli un bacio sulla guancia, ma attese invano.

«Notte.»

 

 

Era nel letto, la voglia incredibile di premere ‘invio’ e condividere quel tormento con l’unica persona al mondo che desiderava accanto in quel momento. Ma sarebbe stato giusto? Doveva proteggerla, tenerla al sicuro, preservare il sorriso che da poco aveva riconquistato dopo tanta sofferenza. Nominarle Kian, quel loro incontro, cosa avrebbe provocato?

In verità in quel momento Yuno si sentiva meschino. Meschino perchè avrebbe tanto voluto dirle che aveva pensato una cosa squallida. 

“Vorrei che Kian non tornasse mai…”

Era felice di vederlo, ma anche di saperlo lontano. Era più brutto sentirsi mutilato del fratello gemello oppure rischiare di perdere Nina?

Ardua scelta. Situazione di merda.

Le cinque del mattino, neanche due ore e la sveglia sarebbe suonata.


Continua...


Nota dell'autrice

BUONGIORNO E SEMPRE FORZA AZZURRI, CAMPIONI D'EUROPA!

Preparare questo capitolo è stata un'impresa. Non sapete quanto ricordo con nostalgia i periodi in cui buttavo giù le long come fossero bicchieri d'acqua! Ad oggi lotto per avere quell'oretta di tempo libero da ritagliarmi per poter scrivere! Terribile... ma anche stavolta ce l'ho fatta!
E niente, sapete già che questa sarà la MIA settimana, chi mi segue su IG (A PROPOSITO, LETTORI SILENTI SE CI SIETE PALESATEVI CON UN MESSAGGIO! FATEMI CAPIRE SE MI SEGUITE DA EFP!) saprà che sono stata super indaffarata, con la mazza da baseball di Harley Quinn ad esempio! Non sapete quanto ho imprecato, ma sono riuscita a ultimarla... la mia mini me esordirà al Rimini Comix con ben 2 cosplay. Una partenza col botto devo dire.
Spero davvero di farcela a pubblicare lunedì, al limite mi vedrete martedì quando mi sarò ripresa XD prevedo tanto divertimento ma anche tanto alcol! 🤣🤣
Io vi ringrazio ancora TUTTI per il supporto che mi date e l'entusiasmo che dimostrate per ogni aggiornamento! Siete speciali!
Un abbraccio

 

Sweetlove


 

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Capitolo 8
*** 7 ***


C R E E P
capitolo 7




La Capsule Corporation poteva essere considerata un po' la casa di tutti coloro che nella vita avevano avuto l’onore di metterci piede. Dall’esterno sembrava quasi una fortezza inespugnabile, poiché residenza di una delle famiglie più importanti ed influenti della Città dell’Ovest, ma i pochi prescelti sapevano bene quanto i Brief fossero umili ed ospitali. Meno Vegeta, ovviamente, ma anche lui, col passare degli anni, aveva finito per adattarsi a quello stile di vita, tra uno sbuffo ed un grugnito.

All’inizio del suo soggiorno sulla terra non poteva neanche sentire l’odore dei terrestri. O il tanfo, così lo definiva sprezzante e spregevole… in fondo era questo, un mercenario senza cuore né anima. Anzi, l’anima l’aveva, ma nera come la morte.

Prima. Prima di conoscere qualcuno, e quel qualcuno era niente meno che Kakaroth. Lui, il traditore, il saiyan sfuggito al controllo del suo Principe e divenuto smemorato, che aveva finito per mettere le radici su un pianeta insulso come quello rinnegando la sua vera natura e sfidando i suoi fratelli, riuscendo persino a sconfiggerli. 

Kakaroth che era sempre stato il suo chiodo fisso, la persona da odiare per eccellenza, quella da superare ad ogni costo. L’amico che con il tempo aveva finito per mancargli…

Ci aveva pensato tanto, negli anni. Chissà allenare insieme il loro nipote Boxer come sarebbe stato. O meglio ancora, avere di nuovo un’ottima scusa per pestare quella faccia di cazzo che si ritrovava incolpandolo di aver cresciuto un figlio inetto e buono soltanto a ingravidare la sua principessa Bra.

Quanto l’aveva pensato, all’epoca… sì, sarebbe stato pazzesco.

Ma in quella vita spesa accanto a insulsi terrestri, Vegeta aveva finito per pensare come loro. Aveva finito per sopportare il loro odore, le loro voci, i sentimenti. E si era ritrovato a provarne altrettanti fortissimi, inconcepibili, meravigliosi.

L’amore, questo sconosciuto.

Una cosa assurda, patetica, schiacciante, capace di farti fare e pensare cose inaudite, come ucciderti nel tentativo di mettere in salvo tua moglie e tuo figlio, ad esempio. Quanti anni erano passati? Quaranta? Sì, quarant’anni… Trunks era un bambino, ma l’aveva crocefisso lo stesso col suo comportamento scostante, ricordandogli fin troppo spesso quanto il compito di padre gli stesse sulle palle.

Non si nasce padri.

Queste le parole che gli lenivano il cuore quando si rintanava in qualche angolo nascosto del giardino dopo l’ennesimo errore compiuto nei confronti di quel fastidioso ragazzino dai capelli lilla. Parole che provenivano dalla bocca calda e dal sapore dolce di Bulma. Lei, nel fiore degli anni, quel caschetto sbarazzino e la voglia di battersi assieme a lui. Quanto gli aveva dato? Fin troppo… una famiglia, una casa, la fiducia, l’amore.

Amore. Sì, ti fa fare davvero cose oscene. Come camminare scalzo in giro per i corridoi, di notte, col cuore martellante e un’ansia incontrollabile nel petto, alla ricerca di quella che non era più una quarantenne energica e briosa, ma una semplice donna anziana e bisognosa di cure come tutte le altre. Perché a cambiarle i pannoloni non ci era ancora arrivato, ma l’avrebbe preferito al saperla in pericolo chissà dove. 

La demenza è una brutta bestia. Ti prende all’improvviso, in certi momenti sei lucida, sana, sembri quella di sempre, e in altri credi di avere sei anni e giri per la casa piangendo e chiamando la mamma e il papà.

Fu proprio nella camera dove un tempo dormivano i suoi suoceri, divenuta poi la stanza dei giochi dei nipotini, che Vegeta trovò Bulma. Singhiozzava, li cercava disperatamente.

E questo faceva più male di qualsiasi altra cosa… perché il Principe un cuore ce l’aveva eccome, era stata proprio lei a farglielo scoprire, a dissotterrarlo da quella distesa di odio e rancore, ad accarezzarlo fino a guarirlo e ridargli vita.

«Bulma, vieni a letto…»

Fosse accaduto quarant’anni prima, forse se la sarebbe data a gambe. E non per egoismo, no… perché non avrebbe saputo come gestire la situazione, l’avrebbe lasciata alle cure della famiglia e degli amici. Adesso, sapeva di essere l’unico, il solo a dover sopportare quegli episodi che gli ricordavano ogni volta di più quanto fosse vicina l’ora di salutare per sempre la sua Bulma.

Un dolore insopportabile, ma che ben conosceva. Trunks, suo figlio, vi era sopravvissuto.

«Dov’è la mia mamma?»

Una voce flebile e tremolante venne fuori dalle labbra umide di pianto dell’azzurra, che lo fissò sgomenta con i grandi occhi azzurri e ormai spenti.

«Non c’è.» Vegeta l’afferrò piano per le spalle, sospingendola appena verso l’uscio con l’intenzione di riportarla a letto. Era notte fonda e non si sarebbe ridotto a cercare l’aiuto di Bra come l’ultima volta. Doveva farcela da solo.

 

 

«Che faccia che hai Nina. Hai dormito male?»

Hami fissò attentamente le occhiaie grigiastre che incorniciavano gli occhi azzurrissimi di sua sorella. Si era seduta a tavola a fare colazione, stranamente. 

«Già… eppure ero stanchissima ieri sera.» Biascicò questa, imburrando una fetta di pane tostato dopo essersi versata un’abbondante porzione di caffè.

«A volte la stanchezza può anche causare insonnia, lo sapevi?»

Trunks s’intromise, accomodandosi al suo posto con un sorriso e afferrando a sua volta la brocca di caffè fumante preparata dalla primogenita. Il tutto dopo aver richiamato all’appello Mirai, che li raggiunse con un occhio ancora chiuso e i capelli tutti scarmigliati.

Nina rivolse a suo padre solo un’occhiata.

«Tu sei parecchio riposato invece.» Gli rispose acida, in un modo che all’uomo fece tornare alla mente Marron in una maniera impressionante.

«Sì, ho dormito bene. Grazie.» 

«Papà, andrà la nonna oggi a prendere Mirai?» s’intromise Hami, ricordando improvvisamente di essersi presa quell’impegno e di non poterlo più mantenere. Lars l’aveva finalmente invitata nuovamente a uscire e lei gli aveva risposto ‘sì’ senza stare troppo a pensarci su.

«Non dovevi andarci tu?» Le rispose il lilla, sollevando un sopracciglio e squadrandola appena.

«Beh ecco…»

«Hei, io ho tredici anni! Non c’è bisogno che mi facciate da baby sitter!» Mirai zittì entrambi e l’unica che sorrise a quell’intervento fu sua sorella Nina. Da tempo sosteneva fosse finito il tempo di star dietro dietro a quel moccioso! Nonostante Marron, quando ancora in vita, lo trattasse con i guanti bianchi e tutti avessero come conservato quel riguardo nei confronti del bambino, Nina pensava che a tredici anni lui fosse già in grado di badare a sé stesso. E lo era!

«E come ti prepareresti il pranzo, sentiamo…» Lo incitò a parlare Trunks, addentando distrattamente un biscotto.

«Un panino. Ho le mani, mi funzionano papà!»

«Sei sicuro di potercela fare? Anche perché tua nonna è alquanto sfuggente ultimamente.»

«Papà…» Hami tornò a interrompere, sentendo chiamare in causa Diciotto ancora una volta «Vorrei che parlassimo di questo. In privato…»

«In privato? Dai! Una volta che avrei modo di divertirmi!» Scherzò Nina, senza però perdere il tono acido di sempre.

«Chiudi il becco!» la rimbeccò la sorella.

«Chiudilo tu!»

«Basta!» Trunks zittì entrambe, ormai abituato a quei battibecchi da quando Nina era venuta al mondo, e si alzò in piedi pronto a sistemarsi la cravatta. Aveva sperato fino all’ultimo di trovare il giusto canale di comunicazione con la secondogenita, anche perché a lui spettava il compito in grado di dirle ciò che a breve sarebbe accaduto e che non appena appreso gli aveva fatto venire i brividi di paura.

Ma non era il caso, non adesso. Se Nina avesse saputo così che Kian sarebbe stato dimesso molto presto mentre era già nervosa chissà cosa sarebbe successo. Meglio aspettare ancora, e soprattutto che non ci fosse Mirai tra i piedi visto che la questione era già fin troppo delicata.

«Forza, finite di mangiare e di prepararvi. Mirai, oggi te la caverai da solo…»

 

 

«Sta peggiorando signora Bref…»

Bra strinse le labbra. Quel controllo di routine col dottore si era improvvisamente trasformato in una doccia fredda. Non si aspettava sua madre fosse eterna, in più l’aveva avuta quando era già abbastanza in là con gli anni, eppure solo il pensiero di poterla perdere, adesso, l’aveva letteralmente ammutolita.

«Le crisi diventano sempre più frequenti e il suo fisico è molto debilitato. Consigliamo di ricoverarla, sarebbe molto meglio per tut…»

«No!»

La voce di Vegeta giunse tonante alle loro spalle. Seduto fuori dalla stanza in cui un’infermiera stava pazientemente cercando di far ingollare a Bulma la sua medicina, era rimasto ad ascoltare ciò che il dottore aveva da dir loro Enza esternare alcun sentimento, ma trovandosi tuttavia impossibilitato a non sbottare al solo pensiero di veder morire anche Bulma così, lontana da casa.

«Papà, l’hai sentito anche tu…»

«La senti, Bra?! Senti che non vuole neanche farsi toccare da questi incapaci?»

Il saiyan alluse ai lamenti infantili di sua moglie, accompagnati da suppliche dell’infermiera cui era stata affidata.

«Non morirà qui dentro.»

E fu in quel momento che Bra capì fossero soltanto in attesa. In attesa di perdere anche lei, dopo che, uno ad uno, anche tutti gli altri se n’erano andati. Marron, Yamcha, Crillin… anche Chichi era sulla buona strada, e solo il pensiero di dover dire ai suoi figli che entrambe le nonne presto li avrebbero lasciati le spezzava il cuore.

 

Continua…

 

Nota dell’autrice
 

Salve a tutti! Vedete, alla fine ce l’ho fatta a pubblicare… non sapete che stanchezza accumulata (e che livello alcolico direi!) ma sono tornata felice e appagata da questa mini vacanza! Mi sono tanto divertita! 

Dunque, stavolta spezziamo un po'. Mi avete chiesto in tanti di Bulma, beh eccola qui… ve l’aspettavate? Ragazzi, ha ottant’anni, non è eterna (così come il mio MacBook che dopo 11 anni di onorato servizio mi ha abbandonata…). Non so se la vedremo peggiorare o morire, e non so nemmeno se svelarvi cosa combina Diciotto! So solo che mi sto divertendo un casino! XD

E niente, questo è quanto. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che non mi odierete per aver interrotto più volte sul più bello!

Vi ringrazio tanto per il vostro supporto!

Un abbraccio

 

Sweetlove

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Capitolo 9
*** 8 ***


C R E E P
Capitolo 8

 



Era felice, Hami. Per la prima volta nella sua vita sentiva di essere felice. Non che i suoi genitori e i suoi trascorsi fossero terribili, anzi, era fortunata ad essere cresciuta nell’agio e nell’amore, ma adesso toccava a lei amare. Amare davvero, senza paura, senza riserve. Lasciarsi andare, sentire il cuore palpitare, bearsi della sensazione di tante piccole farfalle nello stomaco ogni volta che la sua mente volava da lui. Lars.

Lars che due giorni prima le aveva detto la cosa più bella e importante del mondo. Due parole apparentemente semplici, ma pesanti come macigni…

Ti amo.

Le aveva sentite pronunciare dai suoi genitori, sussurrate, captate per caso, oppure enunciate in maniera solenne. Come a quel Natale, una decina di anni prima… sua madre Marron era arrossita, lei odiava certe figuracce, ma sapeva, Hami, che sotto sotto le faceva piacere che suo marito continuasse a farla ridere come una ragazzina. Loro erano il suo esempio, il suo sentiero, e sperava di poter trovare un amore immenso come quello.

Che fosse davvero Lars?

Non lo sapeva, ma voleva crederci. D’indole era introversa e riflessiva, ma stava provando sulla sua pelle quanto l’amore può sconvolgere tutti i tuoi piani e i tuoi princìpi.

Non si sarebbe mai sognata, fino a due giorni prima, di dirigersi verso l’ufficio di suo padre per confessargli il tutto, ad esempio.

Erano affari suoi, cose intime e private come quella notte trascorsa a rotolarsi sotto le coperte insieme al suo amato, ma sentiva di poter fare un passo in più. Sentiva di dover dire a suo padre ciò che le stava accadendo.

Sollevò la mano, pronta a bussare, ma non fece in tempo a colpire l’elegante porta dell’ufficio presidenziale che questa si aprì proprio davanti al suo pugno a mezz’aria.

«Hami…»

Trunks la fissò, sorpreso di vederla così.

«Cosa fai? Bussi?»

Sì. Hami non era Nina, Hami era educata, timida, riservata… mica come sua sorella, che avrebbe spalancato l’uscio senza crearsi alcun tipo di problema. Come quando erano a casa.

«Non sapevo se eri occupato…»

La ragazza sorrise appena, arrossendo ancor prima di avventurarsi in quel discorso tanto delicato. Forse Trunks, per il quale era ancora una piccola principessa, pensava addirittura fosse ancora vergine!

«Tutto bene?» Le chiese questo, aprendo meglio la porta e invitandola ad entrare, gentiluomo come sempre. Hami mosse qualche passo sul marmo pregiato, ticchettando leggermente e chiudendosi la porta alle spalle.

«Sì, volevo parlarti di una cosa.» Disse improvvisamente risoluta, per darsi coraggio. Voleva mostrarsi forte e seria, anche se l’oggetto della conversazione non rendeva la cosa necessaria.

«Qualche problema per il contratto di oggi?»

Il mezzosangue si mise entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni grigi, sollevando un sopracciglio con scarsa preoccupazione. Aveva estrema fiducia in Hami, le avrebbe affidato l’azienda da quando frequentava appena le medie… non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi!

«A dire il vero il lavoro non c’entra…»

La vide sfregarsi le mani, un gesto che compiva abitualmente quando era nervosa. Molto nervosa.

«Beh, allora dimmi. Sai che se c’è qualche problema io ci sono!» Le sorrise, in quel modo immutato nel tempo, come quando era piccolissima ed era senz’altro il suo adulto preferito, quello a cui raccontava sempre tutto, suscitando anche qualche gelosa di Marron. Quant’erano belli quei tempi!

«Non c’è nessun problema. E’ che io… insomma, mi sto vedendo con un ragazzo.»

Trunks non seppe dire se fosse per stupore o per incredulità, ma la gola gli si seccò immediatamente. Eppure, qualcosa avrebbe dovuto intuire. Innanzitutto meravigliarsi era da coglioni, nella maniera più totale. Ma quanto era bella Hami? Impossibile sarebbe rimasta zitella! Giammai! E poi, dopo quello che aveva passato con Nina, cosa c’era di strano se la sorella maggiore decideva finalmente di buttarsi in qualche relazione.

Lo stomaco gli si riempì di fiele, questo sì. Perchè lei era la sua principessa, ma per quanto lo sarebbe rimasta? Prima o poi qualcuno gliel’avrebbe portata via… qualcuno avrebbe portato via entrambe le sue figlie, e a questo non sarebbe mai stato pronto… ma quale padre lo è, in fondo?

Per cui, zitto.

Sorridi, cretino!

«E’… è una bella cosa. E sono felice tu me l’abbia detto… c’entra per caso con il tuo disertare casa sempre più spesso, scimmietta?» Le chiese, scherzando, pronto a smorzare quella strana tensione dovuta alla confessione appena ricevuta.

«Beh, in un certo senso sì…» Anche Hami, ora, sorrise. Libera da quel peso sulla coscienza. Libera dal rimorso di aver nascosto una cosa tanto importante a suo padre per la prima volta. Lei, che quando aveva avuto il menarca l’ aveva detto a lui, ovviamente, prima di tutti gli altri!

«L’abbiamo fatto tutti. E dimmi, com’è questo tipo?»

Trunks non voleva sapere a quale ceto sociale appartenesse. I trascorsi, e la grande sofferenza provata in giovane età, gli avevano insegnato che l’amore non può e non deve seguire certi schemi, certi parametri. Voleva che tutti e tre i suoi figli fossero semplicemente felici, e li avrebbe protetti a costo della vita, di questo ne era certo.

Non avrebbe permesso loro di soffrire. In fondo, l’aveva già vissuto con Nina, seppur in maniera parecchio precoce e complicata.

«E’ fantastico. Anche lui ha appena preso in mano l’azienda di famiglia, abbiamo tante cose in comune!»

«Ah, davvero?» Trunks corrugò la fronte, sorpreso. Beh, se tuttavia la situazione poteva anche essere rosea ed agiata… ancora meglio!

«Sì. E’ in gamba papà.»

Guardò Hami attentamente negli occhi e gli venne improvvisamente voglia di abbracciarla. Guardare la luce nei suoi occhi, i suoi stessi occhi, gli fece rivedere sè stesso alla sua età, innamorato, passionale, pronto a spaccare il mondo! Ma non lo fece, voleva captare qualche informazione in più. Doveva pur sempre essere un supereroe per lei, no?

«E come si chiama?»

Un brivido gli attraversò la schiena, assieme ad una strana vibrazione. Vide Hami aprire la bocca, pronta a pronunciare quel nome, ma allo stesso modo la guardò bloccarsi nell’udire quel suono. Il cellulare, messo in modalità muta, squillava nella tasca posteriore dei pantaloni del completo.

Non seppe dire perchè la mano gli tremasse già prima di estrarlo e leggere sul display il nome del chiamante… ma Trunks si conosceva, i suoi presentimenti si erano spesso realizzati.

Infatti deglutì, prima di rispondere. Perchè se quel numero chiamava a quell’ora, poteva essere accaduta soltanto una cosa. La peggiore.

«Pronto…?»




Bra non aveva avuto il coraggio di farlo, non subito e non lei, soprattutto. Vigliaccamente aveva chiesto a quell’uomo di provvedere ad avvertire suo fratello.

Era arrivata in ospedale pronta a dare il cambio a suo padre, affinchè andasse a casa a farsi una doccia, cambiarsi, mangiare… ciò che accadeva ormai da una settimana, da quando Bulma era stata ricoverata. Aveva lottato tanto, Vegeta, pur di riportarsela a casa, ma aveva visto con i suoi occhi quanto quella donna, la sua donna, fosse ormai in grado di mettere in pericolo la sua stessa vita. L’ospedale, a patto che gli consentissero di restare quanto voleva, era sicuramente la scelta più saggia.

Ma nessuno si aspettava che proprio quel pomeriggio Bulma non si sarebbe più svegliata dal suo sonnellino pomeridiano.

Nessuno, tranne Vegeta.

Dopo pranzo andava sempre in giardino a prendere aria, perchè non era necessario stare in quella stanza, sapeva di averne bisogno e che lei, da sempre, aveva bisogno di qualche momento di solitudine durante le ventiquattr’ore. Ma aveva sentito come una forza sovrannaturale trattenerlo, dirgli “non andare”, annunciargli che sarebbe arrivato il momento.

Forse per questo, abbattendo tutte le sue barriere, l’ultimo sprazzo di orgoglio rimastogli in corpo, si era chinato e l’aveva baciata prima che potesse crollare a dormire. A morire.

Era stato lui a schiacciare quel pulsante, con una freddezza e una lucitidà da far paura, quando aveva sentito l’ultimo sospiro leggero e prolungato di Bulma. L’aveva guardata, sorrideva… era andata via serenamente, dormendo. E prima di addormentarsi gli aveva chiesto di sentire Trunks e Bra… per salutarli? Non l’avrebbe mai saputo. Nessuno l’avrebbe mai saputo.

«Papà…»

Era lì, Bra. Giunta proprio mentre il medico di turno constatava il decesso.

«Stai bene?»

Singhiozzava ma tentava con tutte le sue forze di trattenersi. Forse pensando di doverlo fare per lui.

Vegeta non si mosse. Non si era mosso da quella sedia. Non aveva mosso un muscolo da quando Bulma era morta, ormai parecchi minuti prima. Forse un’ora. Quella domanda fu come uno schiaffo, necessario a riscuoterlo, a fargli comprendere di essere ancora un essere umano, vivo, pensante. A metà…

«Chiama tuo fratello.»

«L’ha chiamato l’infermiere. Papà… stai bene?!» Ripetè Bra, tornando a contrarre il volto a causa del pianto inarrestabile. Perchè sapeva avrebbe perso sua madre, ma non sarebbe mai stata pronta a questo. Mai. E soprattutto non sarebbe mai stata pronta a vedere suo padre avvicinarsi alla finestra, spalancarla e volare via.




Nota dell’autrice

Buongiorno e ben ritrovati! Chi l’avrebbe mai detto, sono riuscita a pubblicare anche oggi! Non sapete che settimana, solo sette giorni fa si concludeva la mia avventura romagnola e iniziava un altro tour de force. Ma sono sopravvissuta!

Chi non è sopravvissuto, ahimè, è Bulma. Mi spiace, forse qualcuno credeva si sarebbe salvata, invece dopo averla spolpata ben bene nelle tre storie precedenti la salutiamo. Sto diventando la regina delle morti! Perdonatemi!

Hami era a un passo dal rivelare il nome del ragazzo a Trunks… chissà se si sarebbero svelati gli altarini!

E niente, non mi dilungo troppo. Con la testa sono ancora in vacanza ma il corpo e il mal di schiena mi dicono il contrario.

Continuo a ricevere tanto supporto da tutti voi, vi adoro in maniera indescrivibile!

Grazie davvero tantissimo a tutti!

Un forte abbraccio

Sweetlove


PS. Perdonatemi, i disegni scarseggiano, mi farò perdonare! 7-FFD85-A0-014-A-4-DBB-B539-2-B302-BC8-E77-B

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Capitolo 10
*** 9 ***


C R E E P
capitolo 9

Tante volte la terra era stata attaccata, maltrattata, resa teatro di violenza e uccisioni. Vedere l'aldilà per poi essere richiamati in vita non era più una cosa insolita per i terrestri, soprattutto alcuni.

Spiriti, ecco cos'erano. Ma i sentimenti in paradiso non venivano cancellati, così come i ricordi, le emozioni... L'amore.

Questo aveva continuato a palpitarle dentro il cuore dal momento in cui, nella sua forma carnale, aveva smesso di battere.

Aveva amato, sempre. Prima i suoi genitori, il suo mondo prima di spiccare il volo. Poi il suo uomo, e dopo di lui i figli che avevano concepito tra amore e lussuria, e soprattutto tra non pochi casini. Ma ce l'avevano fatta, sempre e comunque, fino all'ultimo respiro.

Se n’era andata col sorriso, sì, perché nonostante il dolore e la rabbia per dover abbandonare i suoi cari, aveva avuto comunque la certezza di lasciarli tra le mani amorevoli di chi li avrebbe accuditi quasi come lei. E così era stato, li aveva guardati dall'alto, aveva accarezzato i suoi figli in quel modo ultraterreno, ma sempre con lo stesso amore, aveva pianto insieme a loro, sofferto per ogni lacrima della sua Nina, per ogni sospiro strozzato dal magone di Trunks...

«Sono contenta tu sia qui con me, adesso ...» Marron sorrise guardando verso il basso, sentendo quella figura accostarsi a lei «Anche se ti preferivo accanto a loro.»

Bulma sospirò. Sapeva come ci si sentiva senza gambe, già una volta era diventa spirito, ma era comunque strano. 

«Anche io l'avrei preferito tesoro. Ma ancor più avrei preferito ci fossi rimasta tu.» 

La più giovane la guardò per un attimo, tra il commosso e il rassegnato. Era all'altro mondo da ben tre anni per colpa di quella maledetta leucemia fulminante. Era morta senza quasi rendersene conto e ancora oggi soffriva quelle parole non dette al suo Trunks e ai suoi figli. 

«Se la caveranno senza di te...?» Chiese, sconsolata, a sua suocera.

Veder piangere tutta quella gente intorno a quella tomba che mano a mano veniva riempita di terra fresca era devastante. Proprio come al suo stesso funerale anni prima.

«Sono forti i nostri ragazzi... andrà tutto bene!».

Marron tornò a guardare quell'ala del cimitero, osservò il giovane dai capelli mogano che accarezzava le spalle di Hami, fissò anche l'altro che avanzava dall'ingresso posteriore, zaino in spalla, accanto a suo padre.

Chissà se davvero tutto sarebbe andato bene.

 

 

Trunks fissava quella voragine senza mostrare alcuna emozione. Questa era la sua reazione al lutto, e dal momento in cui Bra gli aveva annunciato per telefono che la loro madre se n’era andata non aveva fatto altro che ripetersi “Andiamo, sei sopravvissuto alla morte di tua moglie, puoi farcela…”.

Aveva trattenuto le lacrime, da bravo ometto… come a sette anni non era riuscito a fare quando Majin-Bu aveva eliminato i genitori, prima uno e poi l’altro.

Aveva asciugato il volto dei suoi figli, soprattutto quello di Nina, che gli sedeva ora accanto, attaccata come non accadeva da quando era bambina. Che servisse la morte della nonna, già dopo quella di Crillin per la quale era rimasta la solita roccia, a far sgretolare quella corazza di marmo che negli anni, tra un dolore e l’altro, si era costruita?

Non lo sapeva. Trunks ora voleva soltanto tenerla accanto, consolarla, riuscire a fare qualcosa di concreto e reale per lei… la sua bambina, bisognosa più che mai del suo amore nonostante cercasse di dimostrare il contrario da troppo tempo.

Una mano ad accarezzare quella della secondogenita, l’altra appoggiata sul ginocchio di Mirai, anche lui troppo provato da quell’ennesimo lutto. Tutti erano provati.

L’aveva sentito, quel commento durante la veglia, la sera prima. Nemmeno ricordava quale dei vecchi e storici amici l’avesse detto.

“Senza Bulma, nessuno di noi ora sarebbe qui.”

Nulla di più vero. Era stata lei, con la storia delle sfere, la sua ricerca, il suo radar, a far intrecciare la vita di una persona dopo l’altra, a creare legami indissolubili, finiti talvolta per sfociare in amore e famiglie. Come la loro.

Solo una donna come Bulma aveva potuto conquistare il Principe Vegeta, che scomparso per ventiquattr’ore era riapparso quella mattina all’alba e adesso se ne stava in piedi, in disparte come sempre, ma Trunks sapeva bene quanto il suo cuore fosse a pezzi.

Paradossalmente, ci era passato prima di lui, ma andare da suo padre e consolarlo non era una grande idea… non consona al suo carattere. L’avrebbe superata o sarebbe morto con lei, questo era tutto da vedere.

L’ultimo strato di terra venne aggiunto con riguardo dagli operai, e in quel momento il Presidente si volse a cercare l’altro pezzo del suo cuore con lo sguardo. Hami era lì, in fondo, distaccata da loro poichè quella parte del suo carattere la rendeva schiva se si trattava di dolore. Gli fece strano vederla tenuta per le spalle da quel ragazzo, nemmeno l’aveva ancora salutato. Aveva un’aria strana, gli infondeva una strana sensazione… come se fosse qualcuno di già visto, già conosciuto, ma dovette scacciar via quel pensiero quando nel voltarsi alla ricerca di Bra per assicurarsi stesse bene, proprio alle sue spalle e in lontananza vide qualcosa.

Qualcuno.

Goten… Goten che era improvvisamente sparito senza dire nulla dalla sera prima. Credeva fosse rimasto a casa con Bulma Jr ma avrebbe dovuto farsi più domande. Domande che l’avrebbero preparato psicologicamente anche a quello che a breve sarebbe accaduto…

Goten camminava a passo lento, con aria seria,gli occhi ancora lucidi per il pianto. Sì, aveva pianto più di lui per la morte di quella seconda mamma mancata in quel modo ingiusto.

Accanto a Goten una persona che non vedeva da tempo. Due anni. 

Un ragazzo divenuto più alto, più robusto e il cui sguardo non emanava più strafottenza e menefreghismo… no. Kian sembrava un uomo.

Kian che aveva rischiato di portargli via Nina, di farla sprofondare con lui in un baratro. Kian per il quale sua figlia aveva pianto, sofferto… 

Cosa cazzo ci faceva lì?!

 

 

Quella zona del cimitero era off limits, riservata alle famiglie più ricche ed influenti del pianeta. Suo nonno gli aveva sempre detto che non era posto per un ragazzino, che i morti si piangono ogni giorno e dovunque, non davanti ad una tomba. Non l’aveva mai portato lì, finchè non aveva semplicemente smesso di chiederlo.

Lars non conosceva sua madre, era morta dandolo alla luce, era stato cresciuto dai suoi nonni nella città del Nord, nella quale si erano trasferiti quando aveva appena quattro anni. Anche se non ne aveva ricordo…

Da poco erano tornati nella capitale occidentale, pochi mesi che gli erano bastati per trovare Hami, in quel modo casuale e anche bizzarro. Un’agenda caduta a terra… non ci avrebbe mai scommesso! 

Tuttavia non aveva mai pensato, dacchè era tornato nella città natale, di fare un salto al cimitero per visitare la tomba di sua madre, eppure l’occasione gli si stava presentando sul piatto d’argento. 

«Lars…»

La voce tremante di Hami gli giunse alle orecchie mentre era ancora soprappensiero.

«Sì?» Temeva non stesse molto bene, in due giorni non aveva nè mangiato, nè chiuso occhio.

«Il funerale è finito. Credo dovrei andare da mio padre e dai miei fratelli…»

I grandi occhi di ghiaccio della giovane, ora velati di lacrime trattenute in malo modo, si puntarono nei suoi, che le rivolse uno sguardo incoraggiante.

«Credo anche io. Anzi, non penso sia il caso di fare le presentazioni oggi. Sono venuto per te, possiamo rimandare.»

«Sei sicuro?» 

Hami gli prese le mani, sforzandosi di sorridere. 

«Ma certo…»

Lars si sporse appena e le diede un leggero bacio sulle labbra. La adorava, semplicemente la adorava e si chiedeva come avesse fatto a vivere senza di lei fino a quel momento.

«Allora ti chiamo dopo.» Gli disse Hami, staccandosi e indietreggiando, prima di voltarsi e confondersi nella folla già pronta a salutare i parenti più stretti della povera Bulma.

Il ragazzo rimase un momento a fissarla, finchè non la vide scomparire tra i presenti, poi fece qualche passo per raggiungere nuovamente il sentiero che conduceva alle varie zone del cimitero cittadino. Lì, in quell’ala, non era un semplice percorso di terra battuta. Era marmo, e uno dei più pregiati. Ovvio, vi erano interi terreni e cappelle dedicati alle famiglie più importanti, nobili e storiche della città! Non a caso il territorio dei Brief era immenso.

Ci mise poco a veder comparire le prime tombe con il suo cognome inciso sopra. Aito.  Vecchie, centenarie. Alcune si faticava a decifrarle, non avevano neanche più fiori, altre, mano a mano che si addentrava verso la ‘zona nuova’, erano bianche, lucide, recenti. 

E poi la vide, e un brivido gli attraversò la schiena… era la prima volta, mille mila emozioni gli affollarono l’animo, nonostante non avesse mai conosciuto quella donna ma avesse avuto il privilegio di vederla in foto, negli album e nei quadri dei suoi nonni.

Era lei, splendida, nel fiore degli anni…

Non lesse l’incisione, non subito. Dapprima si avvicinò, sfiorò quella superficie, controllò che i fiori fossero freschi, come se non avesse fatto altro nella vita fino a quel momento. La sua mamma doveva essere impeccabile.

Solo dopo, mentre sorrideva malinconicamente, si rese conto di una stranezza.

La data del decesso… l’anno. Non era il 792, come i suo nonni gli avevano sempre detto. Morta di parto, lui era nato nel 792! Lì c’era inciso 796…

“Impossibile…” Pensò. Non si era sbagliato, era proprio lei! L’avrebbe riconosciuta tra mille, e non aveva gemelle o omonime.

E poi lesse altro, e ciò gli fece accapponare la pelle, tanto da costringersi ad indietreggiare inorridito, per poi rileggere lontano quanto bastava l’intera effige.

 

LORA AITO

767-796

E SUO FIGLIO APPENA NATO

LARS 

 

 

Nota dell’autrice

 

Con questa bomba vi auguro buon lunedì, sperando non mi picchiate! Lo sapevate che l’avrei sganciata, no? Sì che mi sono ridotta e calmata ultimamente, ma se non avessi candelotti pronti da accendere non mi chiamerei Sweetlove, no?!

E qui credo avrete capito chi è questo enigmatico Lars. E soprattutto, ho cercato di farvi capire che le sue intenzioni nei confronti della nostra Hami non sono poi malvagie… 

Adesso sta a voi scervellarvi per capire cosa la mia mente abbia partorito! Avrete tanto tempo per farlo, perchè col capitolo di oggi la Sweet si mette in ferie… non era previsto, ma dalla settimana prossima ho parecchie casette da fare (😎) e quindi penso che tornerò direttamente per fine agosto! Non me ne vogliate!

Vi saluto facendo ricomparire anche se per poco la nostra Marron. Quanto mi manca ragazzi…

 

E niente. Grazie a tutti come sempre per l’entusiasmo e le belle parole che puntualmente mi lasciate! Vi adoro!

Un abbraccio e buon Ferragosto a tutti!

 

Sweetlove

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Capitolo 11
*** 10 ***


C R E E P
Capitolo 10

 

 

Freddo pungente. La neve scendeva lenta a coprire altro bianco, da un cielo che definirlo grigio era riduttivo. Era incazzato, cupo, triste. Il secondo inverno relegato lì, lontano da tutto e da tutti, ma a differenza del precedente, scandito da dolori a tutto il corpo, fremiti, bisogno di ferirsi per compensare la voglia di distruggersi con la droga, stavolta sembrava tutto più sopportabile. Umano.

Era lì, Son Kian, e attendeva l’arrivo di ‘quella’ visita con gioia mista ad ansia. Suo fratello lo odiava? Gli era mancato? Era cambiato o era rimasto il solito secchione perfettino del cazzo?

Ci mise poco a scoprirlo, vedendolo entrare dal cancello principale di quell’edificio che sembrava quasi un carcere. Lui, che era nato per essere un guerriero, ci avrebbe messo poco a evadere, ma non l’aveva mai fatto. Mai. 

Vide Yuno avanzare lentamente, passare tra i pochi pazienti che avevano avuto il coraggio di trascorrere l’ora ricreativa a quelle temperature glaciali, corrugare un attimo la fronte sotto il berretto di lana - Valese glielo infilava ancora a forza - e poi i suoi grandi occhi neri sciogliersi in un’espressione commossa.

Entrambi erano commossi.

«Kian…» Lo sentì mormorare, fermandosi per un solo istante prima di riprendere a camminargli incontro, a correre quasi.

«Yuno.»

Braccia incrociate e posa strafottente come al solito, ma la sciolse immediatamente quando il gemello gli saltò al collo, abbracciandolo forte, come volesse soffocarlo. E lo strinse a sua volta.

Vide suo padre, lontano e dietro quella cancellata, distogliere lo sguardo ma non ci mise molto a scrutarne l’emozione evidente.

«Kian… come stai?»

Era sempre stato Yuno il tenerone tra i due, quello più docile, più accondiscendente e pacato. E come da bambino sciolse l’abbraccio soltanto per controllare fosse tutto intero, quasi con fare paterno. 

«Adesso bene. Ho avuto momenti peggiori.»

Un sorriso furbastro e aria di chi non ammetterà mai di aver pianto e gridato a vuoto per giorni interi, al suo ricovero.

«Lo vedo… quasi non ti riconosco!»

Quando era partito era magro, col volto scavato, l’aria trasandata. Adesso sembrava ‘quasi’ un ragazzo come gli altri. 

«Anche tu sei cambiato. Poco, ma sei cambiato…» Un colpo amichevole sulla spalla, che fece vacillare Yuno appena mentre un grande sorriso gli si allargava sul volto «Sembri lo zio Gohan!»

«Mi mancano gli occhiali, fratello!»

«Dai, entriamo. Al bar fanno una cioccolata calda da urlo. Hai da raccontarmi tantissime cose!».

 

 

 

Nina era ancora accanto a suo padre. Testa bassa, neanche badava alle parole di conforto che gli altri cercavano di darle. 

Basta lutti. Basta perdere gente che amo.

Pensava solo questo. In tre anni aveva perso sua madre, in maniera atroce. Poi il nonno Crillin, che adorava e l’adorava. E ora Bulma… chi sarebbe stato il prossimo? 

«Nina, tesoro… perchè non vai con tua nonna a casa?»

La voce tremante e incerta di Trunks le parve subito dubbia. L’aveva voluta lì fino a quell’istante, e ora? Perchè poi con Diciotto? 

Sollevò il capo, cercò di guardarlo negli occhi per capire cosa gli passasse per la testa.

Ma vide altro.

Qualcun altro.

Sentì il cuore fermarsi e tornare a battere ad un ritmo forsennato. Non poteva essere lui. Non poteva essere lui! 

Kian. Vicino. Alto. Vivo! 

Avrebbe voluto parlare, dire qualsiasi cosa, a chiunque… magari a Trunks stesso, chiedergli incazzata nera perchè non le avesse detto che sarebbe arrivato, fare poi lo stesso con tutti gli altri, soprattutto Yuno, ma quando lo cercò con lo sguardo e lo trovò, si accorse di quanto anche la sua espressione fosse stupita e anche un pò spaventata.

Cosa cazzo succede?!

Perchè non mi guardi?!

 

 

 

«Mi spiace tanto per Crillin… papà non me lo ha detto. Stronzo…»

Gettò il bicchiere di carta ormai vuoto lanciandolo direttamente nel cestino dei rifiuti nell’angolo, in quell’area ristoro fin troppo attrezzata per il posto in cui era stata allestita. Kian era ancora sconvolto per la morte di Marron, nonostante avesse perso altre persone care. Marron era stata, oltre che una zia, come una seconda madre per lui, per loro. Sempre presente per consigliarlo, per tirarli fuori dai guai, a volte anche coprire qualche loro marachella. I tre moschettieri, così li chiamava… Kian, Yuno e Nina.

Nina.

«Yu…»

Era giunto il momento.

«Vuoi sapere di Nina, vero?»

Cosa li legasse mentalmente in quel modo, e come ciò non si fosse attenuato neanche con la distanza prolungata, sarebbe rimasto un mistero. Gli esperti sostenevano fosse comune tra i gemelli omozigoti. Loro erano eterozigoti, ma dacchè ne avevano memoria riuscivano a capirsi soltanto con uno sguardo.

«Sì. Come sta?»

Kian finse distacco, ma sapere di lei era ciò che più desiderava al mondo. Perchè nessuno gli aveva detto più nulla, tutti eludevano le sue domande con il solito “Ci vuole tempo, deve riprendersi” finchè quasi un anno prima aveva smesso di insistere, di domandare.

«Bene. Adesso sta bene…»

«Adesso?» 

Yuno sospirò. Non aveva dormito pensando a quello che doveva dire. Ma c’era solo una cosa, la più giusta, da fare… dire la verità. A lui, suo fratello. 

«E’ stata malissimo, Ki. C’è voluto tempo prima di vederla di nuovo sorridere. Sai quante ne ha passate e quante ancora ne sta passando? Lo zio ha quasi gettato la spugna ma alla fine cel’ha fatta. Tutti noi ce l’abbiamo fatta… anch’io.»

Kian sollevò un sopracciglio, mentre pian piano elaborava quelle parole dure come macigni sulle sue spalle e sul suo stomaco. Sapere Nina sofferente, soprattutto a causa sua, gli fece improvvisamente venir voglia, dopo due anni senza, di accendersi una sigaretta. O fare peggio.

«Anche tu…?»

Yuno sospirò ancora. Sembrava volesse dirgli qualcos’altro.

«Sì… anche io. Io le sono stato vicino, forse più di tutti. Io l’ho raccolta da terra quando era a pezzi!»

La voce del ragazzo si fece come fredda e disperata all’improvviso. Perchè aveva sofferto non poco… Nina era tutto, tutto! E aveva rischiato di perderla. 

«Ma adesso sta bene, vero?!» Il tono di Kian, invece, era preoccupato, tendente all’ansioso.

«Sì. Ora sì. Sta bene, stiamo bene Ki.»

«State?»

Era fatta. Doveva solo dirlo.

«Io e Nina adesso stiamo insieme. Ti… ti chiedo scusa, nessuno mi ha permesso di comunicare con te fino ad oggi. Avresti dovuto saperlo prima, ma ti giuro che la cosa è fres…»

«E’ felice?»

Non si sarebbe mai aspettato una domanda così, a bruciapelo, come reazione. Esitò solo qualche istante prima di annuire, confuso e smarrito.

Vide poi Kian sospirare due volte, rumorosamente, come per trattenere un’emozione troppo esplosiva, che difficilmente sarebbe riuscito a gestire.

«Bene. Mi basta questo.»

 

 

«Ciao zio.»

Sguardo quasi inespressivo, testa alta, occhi puntati in quelli di ghiaccio di Trunks.

Kian aveva sofferto anche nel sapere quell’uomo odiarlo. Lui, che l’aveva letteralmente cresciuto. Lui, presente forse anche più di suo padre Goten.

Trunks esitò solo un’istante. La testa gli diceva di mandarlo via, di dover proteggere Nina, di evitare quell’incontro proprio adesso. Il cuore, tuttavia, gli suggerì altro… perchè in fondo era ancora Marron a regnare sulle sue azioni e sui suoi pensieri. Lei avrebbe fatto esattamente questo: avrebbe abbracciato in silenzio quel ragazzo, seppellendo una volta per tutte rancori e paure. A tutto il resto avrebbero pensato dopo… con LUI avrebbe parlato dopo.

Kian chiuse gli occhi e ricambiò la stretta paterna di Trunks. Gli venne quasi da piangere, ma Vegeta non avrebbe gradito. Lui era lì, sempre presente nella sua testa con le sue esclamazioni e i suoi grugniti.

«Sono contento di rivederti, Kian.»

Glielo mormorò nell’orecchio, sotto lo sguardo esterrefatto di Nina.

Fu allora, in quel preciso momento, che proprio lei decise di andarsene… non poteva affrontarlo adesso. Non così. Non senza essere stata LA PRIMA ad essere guardata.

Indietreggiò e corse via.

 

 

 

Nota dell’autrice

 

Ben ritrovati! Passato bene il ferragosto?

Avevo detto che sarei tornata i primi di settembre, vero, ma è anche vero che dopo queste due settimane di stop mi sono ricaricata a dovere grazie a tante cose belle, e per questo non posso che ringraziare pubblicamente il mio amico Teo per averle condivise con me (che adesso si monterà la testa, ma ci penserò io a farlo scendere dal piedistallo a mio modo 🤣). Tante risate, tanto mare, tanto alcol e, ripeto, tante belle cose! E tanta malinconia, adesso… 

Ok, la pianto.

Si entra nel vivo. Kian è tornato, sembra che nessuno fosse a conoscenza di questa ‘capatina’ nella Città dell’Ovest. Nina è sconvolta, e ha ragione.

Come promesso, ecco il confronto tra i gemelli, avvenuto poco tempo prima. Vi aspettavate un’altra reazione?

Scrivetemelo, sono sempre curiosa di sapere!!!

Spero di non avervi destabilizzati con questo mio rientro in anticipo! 

Grazie infinitamente a tutti per il supporto e per essere rimasti in contatto con me anche in questi giorni di ferie sui vari social!

Vi adoro, tutti!

Un abbraccio

Sweetlove

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Capitolo 12
*** 11 ***


C R E E P
capitolo 11

 

 

 

Lars era sconvolto. Aveva vagato per la città come sperduto, spaurito, in preda a pensieri assurdi e con le mani che sudavano e tremavano.

Chi era?

Perché sulla tomba di sua madre c’era un epitaffio anche per lui?

Era davvero lui quel fantomatico bambino morto e sepolto con Lora?

La prima cosa che aveva provato a fare era stata ricordare. Si era sforzato, anche in maniera convulsa e seduto sotto un albero del parco centrale, di ricordarsi piccolino. Ma si sa, i primi ricordi vengono via via cancellati, e per un adulto é piuttosto difficile ricordare cose accadute prima dei tre o quattro anni di età. E tutto ciò che gli tornava alla mente erano i nonni, i suoi veri, primi ricordi.

Lui, col nonno nella enorme Villa in cui era stato cresciuto. Nei laboratori appartenenti alla famiglia, circondato da tecnologia, in ogni angolo. Poi la nonna, notoriamente fuori dai giochi e piuttosto strana, a volte. Da piccolo non si era mai chiesto più di tanto come mai fosse così assente, delle volte, o come mai spesso lo guardasse come addolorata. Un giorno l’aveva sentita mormorare, ai piedi del letto e credendolo addormentato, “mia povera Lora… se l’avessimo fatto prima.”

Cosa avrebbero dovuto far prima era sempre rimasto un mistero, perché ciò che davvero l’aveva turbato era quel ‘Mia povera Lora’.

Colpa sua se era morta. Colpa sua, che era nato. 

Nato… e perchè morto?

Lars si mise le mani sulla testa, all’altezza delle tempie, chiudendo gli occhi e respirando a fondo mentre un mix di emozioni s’impadroniva della sua essenza.

Sgomento.

Paura.

Rabbia.

Era arrabbiato… arrabbiato e non solo con se stesso, come ormai da una vita accadeva. Era arrabbiato in primis con i suoi nonni, che avevano sicuramente qualcosa da nascondergli.

Voleva davvero conoscere la verità? Sarebbe servito? E Hami…?

Hami, il suo pensiero ricorrente, l’unica nota positiva di quell’assurdo momento logorante. Unico essere al mondo da cui sarebbe voluto correre, ora, ma anche lei stava vivendo un incubo. Aveva perso la nonna, la famosa Bulma Brief, madre e al tempo stesso erede della maestosa Capsule Corporation.

Già… la rivale per eccellenza.

 

 

 

«Quei bastardi ci hanno portato via tutto!»

Mr Aito batté il pugno sulla scrivania, facendo tintinnare nel contenitore in argento diverse penne e matite accuratamente riposte dalla domestica. Era furioso, scosso. Sua moglie singhiozzava sommessamente sull’uscio.

«Soldi… successo. Lora!»

«Lars… no. Ti prego, non dirlo. Avevamo detto che…»

«È troppo piccolo per capire!»

«Meglio non rischiare. Non ne vale la pena… abbiamo il piccolo, adesso. Ce l’hai fatta, tesoro. Godiamoci lui e un giorno la Aito Corp. tornerà a fiorire!»

Una supplica, quella della donna. Il bimbetto sedeva nel corridoio, sul pavimento, spingendo un trenino di legno sulla moquette rossa, rossa come la carta da parati tutt’intorno. Eleganza e sfarzo. Era pieno di giocattoli, tutti super tecnologici, ma quel mezzo di fattura artigianale era senz’altro il suo preferito. Sollevò il capo, curioso… aveva paura quando il nonno non era dolce e gentile. In realtà non lo era mai, sembrava sempre arrabbiato ma sapeva che gli voleva bene. La nonna glielo diceva sempre.

«Lars non deve sapere niente. E quei figli di puttana della Capsule Corporation avranno ciò che si meritano.»

 

 

 

Perché suo nonno c’è l’aveva così tanto con Bulma, Trunks e tutti gli altri…?

Ci voleva la visita alla tomba di Lora per far riemergere quel ricordo assurdo, uno dei primi probabilmente?

Proprio ora che lui stesso, seppur in segreto, si era avvicinato all’azienda che suo nonno odiava… cosa avrebbe pensato Trunks, venendo a sapere che il suo cognome era Aito? Avrebbe permesso a Hami di stare con lui? Cosa era accaduto tra le due famiglie?

Troppi interrogativi. E suo nonno avrebbe potuto certamente rispondere a essi, ma l’avrebbe fatto con sincerità? 

Da che parte andare?

Altre lacrime si versarono dai grandi e profondi occhi castani. Ennesime di quelle ore.

Chi era Lars Aito Jr.?

 

 

***

 

 

«Figliolo, andiamo…»

Goten prese Yuno per le spalle, spingendolo verso l’uscita di quella che per una vita aveva imparato a considerare un po’ casa sua. Casa di Bulma e Vegeta, la stessa in cui suo padre Goten e l’intera famiglia Son aveva trascorso momenti felici, di gioia, e anche di dolore. Sempre unite, due famiglie che avevano tanto da condividere, a partire dal sangue alieno piantato nei ventri di donne terrestri, semplici ma così forti da reggere in piedi castelli di carta nel bel mezzo di un uragano.

Bulma e Chichi, pilastri indiscussi.

Piano piano, stavano andando via tutti.

«Volevo parlare con Nina, papà.»

«É stata piuttosto chiara andando via senza dire niente. Tornerà, si calmerà e allora parlerete.»

Goten sorrise, dandogli una pacca sull’avambraccio in quell’angolo di soggiorno. Via via, tutti stavano prendendo la direzione dell’uscita. Il rinfresco allestito da Videl per dare un minimo di conforto a quella famiglia era già stato consumato, e a dover andare via erano ormai soltanto loro, con Bra e Bulma Jr. e ancora Valese con Kian. Il marito Mick e Dori erano già andati via poco prima.

Kian era rimasto silenzioso per tutto il pomeriggio, e Goten aveva dedotto fosse per lo scombussolamento dovuto al ritorno nella Città dell’Ovest, per le attenzioni che inevitabilmente i cari da troppo tempo lontani gli avevano rivolto, e soprattutto per la perdita di “nonna Bulma”.

E anche per l’essersi imbattuto di nuovo in una vita che gli si era ritorta contro.

«Voglio dirle che non ne sapevo niente!»

La protesta di Yuno gli giunse alle orecchie e lo riportò alla realtà. Non doveva fare il drammatico errore di concentrare tutte le sue attenzioni solo su Kian, adesso. Ok, era tornato, ok era un momento più che delicato. Ma anche Yuno era importante, nonostante non gli avesse mai dato problemi. 

Gli sorrise, comprensivo.

«Ne avrai l’occasione, oppure le parlerò io. È stato mio l’errore di non avvertire nessuno del ritorno di Kian. È successo tutto così in fretta, Yuno.»

Quando era andato a trovarlo non pensava l’avrebbe trovato con le valigie pronte. Dimesso. Obbligo di seguire una terapia psicologica di mantenimento. Controlli regolari. Ma fuori… dopo due anni, a casa. E Goten, per quanto la cosa fosse inaspettata, ne era rimasto felicissimo. Era suo figlio… il suo sangue! Fanculo il resto, fanculo tutti i problemi. Li avrebbero risolti, stavolta insieme.

«Goten…»

Stavolta fu Trunks a distrarlo da Yuno. Lo vide avvicinarsi lentamente, con l’aria stanca, le mani nelle tasche e le spalle quasi curve. Era già stato nei panni del suo amico, ma doveva ammettere di averlo visto in condizioni molto peggiori tre anni prima, quando aveva dovuto dire addio alla povera Marron.

«Va pure a casa, non preoccuparti.» Trunks sorrise stancamente. In quelle ore non si erano praticamente parlati. Lui troppo impegnato a gestire le parole di cordoglio che arrivavano a raffica e le lacrime di Mirai e Hami, l’altro a fare in modo che le cose filassero lisce, occupandosi di gestire l’ingresso dei visitatori, tenendo d’occhio Kian e tranquillizzando di tanto in tanto Yuno, troppo preoccupato per Nina. Tutti però sapevano quanto quella ragazza fosse simile ai nonni Vegeta e Diciotto. Quasi selvaggia in determinate situazioni…

«Sei sicuro di non volere una mano per sistemare?» Goten ricambiò il sorriso, sotto lo sguardo provato di Yuno.

«Ci penseremo domani. Adesso prendo i ragazzi e vado a casa.»

«E Vegeta?»

Sembrava ci si fosse dimenticati del buon vecchio principe dei saiyan.

«Sai come è fatto. Non è con la vicinanza fisica che lo aiuteremmo, adesso. Ci vorrebbe comunque tutti fuori dai piedi.»

Fu in quell’istante che entrambi, due bambini cresciuti rincorrendosi e giocando tra quelle mura, realizzarono l’immenso senso di vuoto calato improvvisamente in quell’edificio.

Non c’era più la reception nella hall, né il via vai di lavoranti nei laboratori sotterranei. Non c’era più il casino di ragazzini che litigavano, entravano e uscivano, e non c’era più l’aria festosa di quando si riunivano tutti sul grande terrazzo per un barbecue dell’ultimo minuto.

Improvvisamente, della Capsule Corp. non era rimasto più nulla. 

Anzi, era rimasto soltanto Vegeta.

 

 

 

 

Nota dell’autrice
 

Buon lunedì a tutti, gente!

A rilento, ma ce la sto facendo a scrivere e pubblicare. Non ci credo nemmeno io, con questi ritmi ripresi a galoppare dopo il momento di svago e lentezza di agosto.

Mi azzardo a dire che ho quasi pronto anche il prossimo capitolo, ma non so se riuscirò a pubblicarlo lunedì o slitterà a martedì 7. Ancora tutto da vedere, perché ho avanti a me un intenso weekend milanese con rientro il lunedì… vedremo, ma sarà online comunque, promesso!

Io ci tengo a ringraziarvi tantissimo, nonostante siate in ferie o comunque impegnati mi lasciate sempre traccia del vostro passaggio e soprattutto una parola buona. Avete tanta fiducia in me e questo è necessario per darmi la voglia e la forza di continuare a scrivere.

Vi adoro, davvero.

Un abbraccio fortissimo

 

Sweetlove

 
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Capitolo 13
*** 12 ***


C R E E P
capitolo 12

 

 

Trunks vide le porte dell’ascensore aprirsi sul grande open space del suo attico. I fari a led rischiaravano le due zone principali in maniera essenziale, quanto bastava per dividere in maniera naturale e soft l’area soggiorno e l’area cucina. Entrambe deserte.

Eppure, qualcosa gli fece intuire non fossero soli in casa e quel qualcosa era un’aura. La sua aura…

«Nina é tornata…»

Hami diede voce a quella constatazione con un tono tra il sollevato e l’eccitato. Aveva visto sparire sua sorella quella mattina e suo padre stesso le aveva impedito di seguirla.

«Giá…»

Il Brief avanzò a passo tranquillo, recando sulle spalle Mirai profondamente addormentato. La giornata non era stata affatto semplice, né per lui né per tutti gli altri.

«Vado a parlarle.»

«No.»

Trunks depositò il figlio minore sul divano, delicatamente per non svegliarlo. Non ci sarebbe riuscito neanche un uragano in effetti, ma meglio evitare. Hami fissò suo padre con aria interrogativa.

«Va a riposarti scimmietta. Domani staremo tutti meglio.» Le disse soltanto lui, sorridendo pacatamente ma senza riuscire a nascondere l’aria malinconica nel suo sguardo.

«Sai che non è così.»

«Dobbiamo crederci. Sempre. Ricordi…?»

 

 

La prima sera a casa senza Marron era stata letale. Devastante sotto troppi aspetti.

Trunks aveva disperso le sue ceneri nel parco, teatro di uno dei momenti più importanti della loro vita insieme, soltanto quel pomeriggio e sembrava già passata un’eternità dalla sua morte. Una morte inattesa, sofferta, che a sua volta aveva ucciso nell’anima coloro che l’amavano.

Ma tornare in quella casa tutti insieme, sedersi nuovamente a tavola, cenare, essere sempre e comunque una famiglia, era necessario. Marron l’avrebbe voluto. 

Mirai aveva ancora gli occhi gonfi, il cibo della rosticceria era rimasto quasi intatto nel suo piatto. Nina, accanto a lui, aveva soltanto dilaniato la sua porzione di pollo arrosto, guardando nel vuoto a intervalli regolari.

Hami, quella grande, quella che doveva necessariamente essere forte, aveva spronato entrambi i fratelli a mangiare, senza risultato. E aveva ricacciato indietro le lacrime in più momenti, soprattutto quando lo sguardo, inevitabilmente, si posava sul posto di fronte a lei.

Quello che da sempre occupava Marron.

Marron, che non si sarebbe più seduta a tavola con loro, che non avrebbe più cucinato, fatto ramanzine a loro figli o battibeccato con Trunks per qualche sciocchezza, strappando anche qualche risatina ai presenti.

«Andate a letto, ragazzi.»

La voce di Trunks era quanto più ferma possibile, ma Hami, come chiunque altro l’avesse udita, si era accorta fosse di nuovo sull’orlo delle lacrime.

Come diavolo avrebbero fatto a capacitarsi di quella perdita?

Come avrebbe fatto lui a sopravvivere? Lui che viveva soltanto guardandola… esisteva nella sua esistenza e grazie al suo amore. Lo stesso amore che avevano trasmesso a tutti e tre i figli.

Cosa sarebbe rimasto della vita meravigliosa vissuta insieme fino a qualche giorno prima?

Padre e figlia avevano visto i più giovani alzarsi e sparire in silenzio nel corridoio. Troppo silenzio, poiché il pianto sommesso di Mirai aveva ben presto preso a risuonare nel disimpegno.

«Non vivremo più…»

Solo allora Hami era crollata. Aveva finto di essere forte, ma se quelli erano i presupposti cos’altro le rimaneva da fare se non nascondere il volto tra le mani e piangere?

«Hami, guardami.»

Aveva pensato che suo padre sarebbe crollato insieme a lei, e invece no. Invece l’aveva visto continuare a trattenere le lacrime, fissare il posto di Marron quasi senza respirare.

«Lei non c’è più. Avrebbe voluto esserci, ma non c’è più…»

Avevano già parlato al parco, ma la memoria di Marron sarebbe rimasta viva soltanto continuando a farlo.

«Bisogna continuare a pensarla qui, insieme a noi, capisci?»

Trunks aveva insistito, sforzandosi di non piangere e vedendo a poco a poco anche il tormento di Hami placarsi.

«E come si fa, papà?» 

Unica domanda posta con un filo di voce dalla giovane.

«Credendoci sempre scimmietta. Sempre.».

 

 

Solo pensando a Marron ancora tra loro erano riusciti ad andare avanti. Una squadra, seppur sbilanciata, ma con tante persone a sostenerla. Bulma, Crillin, Diciotto… 

Chi restava?

Diciotto, che nonostante il periodo adolescenziale non li avrebbe mai abbandonati. E Vegeta… Vegeta e il momento peggiore della sua vita.

Aveva già fatto i conti con il lutto, perché perdere Marron era stato per lui come perdere Bra anche se non l’avrebbe mai ammesso.

Ma Bulma…

Bulma era il loro ultimo pilastro. Adesso toccava a tutti loro reggere quella famiglia, capire se qualcosa da lei erano riusciti ad imparare con gli anni. E capire se avevano almeno la metà della metà della sua forza, quella che le aveva permesso di fare tutto nella vita, compreso un figlio con un alieno sanguinario e trasformare quest’ultimo in un uomo meraviglioso, seppur nascosto perennemente dietro i suoi modi bruschi e scostanti.

«Ho bisogno di dormire…» Hami decise di non deludere suo padre, di non dirgli che ormai non credeva più a nulla. Si nascose dietro la stanchezza e si sforzò di sorridergli «Buonanotte papà…».

Con Nina avrebbe parlato l’indomani, ed era sicura che Trunks volesse essere il primo a farlo, per non cadere negli stessi errori già compiuti.

«Buonanotte scimmietta.»

Il Brief le baciò la fronte, un gesto che non mancava mai di compiere ad ogni buonanotte. Hami era ormai troppo grande, non le rimboccava più le coperte, ma quell’attimo in cui aveva davanti sempre e comunque la sua piccola bimba dal codino biondo non gliel’avrebbe sottratto nessuno.

La vide sparire in corridoio, e solo quando sentí la porta della sua stanza chiudersi decise di incamminarsi verso la camera di Nina. Si sfilò la giacca nera del completo mentre già avanzava, appendendola alla maniglia della porta del disimpegno, e fece un paio di respiri profondi prima di bussare.

Quando le nocche sfiorarono la superficie di legno, Nina era già li, pronta ad aprire.

Fu un attimo e padre e figlia si trovarono faccia a faccia.

«Mi aspettavi?» Le chiese lui, sorpreso, dopo qualche secondo di silenzio.

Gli occhi azzurri identici a quelli di Marron sembravamo saettare. Vi lèsse rabbia, frustrazione, dolore… e determinazione. Perché se temeva la secondogenita e i suoi attacchi di rabbia, da una parte ne era orgoglioso. Un carattere di merda, ma che nella vita l’aveva già aiutata diverse volte.

«Tu cosa dici?»

La voce di Nina era tagliente. Sembrava in collera e non poco.

«Fammi entrare. Parliamo con calma.»

Trunks ci mise poco a farsi strada, e la ragazza non gli impedì di fare come preventivato. Quando lui si richiuse la porta alle spalle, la gola tornò a pizzicarle dalla voglia di urlare che aveva.

«Perché…?»

Solo questo le venne fuori in un sussurro, tuttavia.

Trunks sospirò, passandosi una mano tra i capelli lilla in cui troneggiava da un po’ di tempo qualche filo bianco. Raccolse tutta la calma e la pazienza che aveva prima di sedersi sul bordo del letto disfatto di sua figlia e di posare ancora lo sguardo su di lei, che adesso lo fissava con le braccia incrociate e il peso del corpo concentrato tutto sulla gamba sinistra. 

Dio, se era Marron.

«Nina, so che ti sembrerà assurdo ma…»

«Non ne sapevi niente, giusto?»

Sarcasmo da vendere. Ovvio, non gli avrebbe mai creduto. Mai.

«No. Non sapevo nulla. Avrei fatto di tutto per evitare che lo incontrassi, altrimenti…»

«Di male in peggio papà!» Sgranò gli occhi Nina, adirata «Questo vuol dire che dopo due anni non hai ancora imparato a fidarti di me?!»

Cazzo. Parole sbagliate…

«Non era questo che intendevo, tesoro…»

«E allora perché?»

«Perché ti ha fatto soffrire. Perché é presto e perchè… Dio, Nina. Oggi è stata sepolta tua nonna… avrebbe dovuto aspettare. Anche se lei era un po’ anche sua nonna, in fondo…»

Solo allora, sentendo la voce di Trunks incrinarsi, Nina iniziò a placarsi. E sentendo nominare Bulma, soprattutto.

La sua amata nonna Bulma… 

«Papà… io non voglio vederlo. Puoi… puoi chiedere allo zio Goten di trovare una soluzione?»

L’aveva maturata durante quel breve momento di esilio quella decisione.

Kian non la meritava, Kian l’aveva quasi gettata nelle fiamme dell’inferno, Kian non l’aveva nemmeno guardata quella mattina.

Non la meritava. Lei aveva Yuno. Yuno la amava e la rispettava.

Fine.

Eppure si meravigliò di vedere una sottospecie di sgomento nello sguardo di Trunks. Non si aspettava tutto questo.

Bingo.

«Faremo il possibile pulce. Ma prima o poi accadrà… é il fratello di Yuno, nonché dei tuoi cugini. Non potrà stare fuori dalla tua vita, a meno che non sparisca completamente. E non é il caso, adesso. Non ora che si è ripreso da quello schifo. Capisci, vero?»

Oh, sì che lo capiva. Capiva perfettamente. Da una vita doveva capire tutti. Adesso anche quella presa di posizione di suo padre. Eppure, decise di comportarsi da persona matura.

Per una volta.

E superiore.

«Parlane lo stesso con lo zio Goten, per favore. Ti prego, papà…».

 

 

Nota dell’autrice
 

Buon inizio settimana a tutti!

La mia inizia in modo malinconico, perché ho passato un week end pazzesco in ottima compagnia, provando una spensieratezza che non avevo da tempo. Ci tengo a ringraziare Teo e Vale pubblicamente per tutto… c’è stato un momento in cui ho pensato di non tornare per quanto sono stata bene!

Eppure sono qui, di ritorno… da qualche parte dovevo ricominciare, e lo faccio ovviamente da questo capitolo.

Confronto Nina-Trunks, vi aspettavate questo risvolto? E vi ho sbloccato anche un momento riguardante i primi giorni post morte di Marron. Che tristezza scrivere di lei, non sapete che nostalgia.

E niente, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Per il momento vi saluto e vi ringrazio con tutto il cuore per il vostro sostegno. Siete speciali!

Un abbraccio

Sweetlove

 
 
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Capitolo 14
*** 13 ***


C R E E P
Capitolo 13




Era tutto così surreale.

La sua stanza… la sua stanza!

Due anni lontano, ma tutto era rimasto così com’era. Il copriletto blu, accuratamente lavato e rimesso al suo posto da sua madre. Le pareti bianche, la tenda azzurra e il lampadario a forma di missile, che suo padre Goten gli aveva regalato al decimo compleanno e che Mick, il suo patrigno, aveva immediatamente installato per fare in modo che non sentisse troppo la nostalgia dell’altro genitore, nonostante lo vedesse spesso.

Kian era a casa, finalmente a casa, ma non riusciva comunque a sentirsi a suo agio. Troppo tempo in quella stanza fredda del centro di recupero, il compagno e il suo russare, la finestra piccola, le poche foto attaccate alla parete di fianco al letto… in fondo si era abituato a chiamare casa quel posto. Ma solo sentire l’odore di bucato tipico dei detersivi che da sempre Valese prediligeva gli aveva dato un senso di benessere, l’aveva rassicurato. E quel silenzio, ora, sembrava meno tagliente.

Le due e cinque del mattino, si era coricato da due ore dopo essersi fatto una doccia e dopo aver pensato a lungo a quanto inaspettatamente fosse stato catapultato di nuovo nella sua vecchia vita. O nuova. Doveva ringraziare forse Bulma, che con la sua dipartita aveva fatto in modo che al centro accelerassero di tre o quattro giorni le tanto agognate dimissioni.

Bulma… gli era mancata e per sempre avrebbe avuto il rimorso di non averla salutata per l’ultima volta.

Tutti gli erano mancati.

Valese, sua madre. Le sue carezze, la dolcezza che da sempre la contraddistingueva e quel suo modo di non perdere mai la calma. 

Mick, il patrigno migliore che avrebbe potuto avere, sempre presente e che mai gli aveva fatto pesare il suo non essergli figlio biologico.

Yuno, suo fratello, il suo ossigeno. Letteralmente una parte del suo corpo e della sua anima.

Dori… la piccola Dori, la sorellina arrivata senza nemmeno farsi sentire, calma e dolce come Valese.

E anche rivedere i fratellastri era stato meravigliosamente bello. Con loro aveva sempre avuto un bel rapporto, specialmente con Boxer, dato che la differenza d’età era irrisoria. Per lui e Bulma Jr, arrivata dopo qualche anno, aveva da sempre manifestato quel pizzico di gelosia dovuta al non poter vivere come loro assieme al padre, ma quando i suoi si erano separati era piccolo, aveva un anno e non ne aveva alcun ricordo assieme. Tuttavia, vedendo Goten andar via ogni volta che lo riaccompagnava a casa, da bambino aveva sempre pensato volesse più bene ai figli di secondo letto. Pensiero che l’aveva accompagnato fino alla prima adolescenza, per poi affievolirsi fino ad annullarsi completamente. 

Aveva avuto la conferma dell’amore e della presenza di suo padre proprio in quei due anni, quando aveva sfidato gelo, caldo torrido e quant’altro per volare da lui, che era stato letteralmente confinato dall’altra parte del mondo. 

Anche Bra gli era mancata… la zia Bra. Perché nonostante fosse la sua matrigna, era e sarebbe rimasta per sempre la zia acquisita. Sorella dello zio Trunks, figlia di Bulma e Vegeta.

Se avesse soltanto provato a raccontare cosa li legava tutti, aldilà delle parentele, chiunque avrebbe dato di matto cercando di capire. Altro che famiglia allargata… 

Kian chiuse ancora gli occhi, cercando di addormentarsi. La mente continuava a spegnersi e riaccendersi, a camminare, vagare ovunque…

Spalancò ancora le palpebre.

Nina…

Lei gli era mancata? 

Non c’erano parole per descrivere ciò che aveva provato vedendola in lontananza, quel giorno, mentre Bulma veniva tumulata. Aveva continuato a camminare, fingendo indifferenza, dicendosi “non guardarla” e ritrovandosi a non esserne assolutamente capace, almeno finché non si era ritrovato fin troppo vicino, pericolosamente vicino. E li aveva ricordato il patto fatto non solo con Yuno, cui l’aveva affidata a cuor sereno, ma anche con Goten.

«Stalle lontano, intesi?»

Questo il prezzo da pagare per la libertà, per tornare alla vita vera e non essere nuovamente mandato in esilio.

Starle lontano…

L’avrebbe fatto, si sarebbe torturato fino alla morte, ma l’avrebbe fatto. E l’avrebbe fatto per lei, perché nonostante si sentisse ormai una persona nuova, adulta, responsabile, mai avrebbe voluto farla soffrire ancora. 

 

 

 

Nina aprì gli occhi alla luce del giorno che filtrava attraverso le tende della sua camera da letto. Aveva completamente dimenticato di chiuderle in maniera decente la sera prima, il sonno e la stanchezza avevano preso il sopravvento dopo il mix letale di emozioni vissute nelle ultime ore.

Si sollevò a sedere con uno sbadiglio, guardando l’ora sul display del cellulare e constatando fossero già le undici passate. Aveva recuperato alla grande le ore di sonno perse.

Osservò il mare di notifiche, aveva più di venti messaggi da mittenti diversi, altre condoglianze e persino da numeri ignoti. Essere conosciuta come la secondogenita del Presidente Brief aveva anche il vantaggio di essere più che ricercata come compagnìa al liceo, nonostante i trascorsi.

Poi aprì una chat in particolare, la prima che controllava ogni giorno. 

Yuno.

 

“Dove sei?”

“Nina, rispondimi…”

“Sono preoccupato!”

“Buonanotte, spero tu stia bene…”

“Buongiorno, chiamami appena sei sveglia per favore. Dobbiamo parlare.”

 

Rilesse i messaggi più volte, con la mano che riprese leggermente a tremare come il pomeriggio prima. Adesso che i suoi sensi erano di nuovo vigili tornò a ricordare ogni cosa… la più dolorosa, soprattutto. La nonna Bulma non c’era più, e lei era stata così egoista da scappare e piantare in asso suo padre, il nonno Vegeta e tutti gli altri soltanto per Kian.

Doveva sbattersene, fregarsene di lui e del suo ritorno, aveva Yuno, un angelo caduto dal cielo, non poteva chiedere di meglio dalla vita!

E col suo comportamento di ieri aveva anche rischiato di allontanarlo.

Sospirò e avviò la chiamata senza pensarci due volte, e non si stupì di sentire la voce di Yuno ad appena il secondo squillo.

«Nina! Ci sei? Stai bene?»

D’istinto sorrise. Lui e quel suo essere ansioso e protettivo nei suoi riguardi, esattamente come quando era bambino. 

«Nina…?»

«Sì… sì ci sono, sto bene.» Rispose, ricomponendosi e cercando di non alzare troppo la voce. Non voleva essere subito sommersa di attenzioni. Dal corridoio proveniva la voce di suo padre, probabilmente impegnato a convincere Mirai a recuperare i compiti non fatti nei due giorni precedenti.

«Ascolta, volevo parlarti. Io devo spiegarti che non c’entr…»

«Yu, lo so. Non hai di che giustificarti… sono stata una stupida a scappare via così.»

Lo disse con naturalezza, senza neanche biascicare. Perché odiava ammettere i suoi sbagli, e quando era stata costretta a farlo aveva sempre parlato a mezza bocca, contrariata. Stavolta no…

«S-sei sicura?»

Non si stupì, infatti, di sentire Yuno un pochino perplesso.

«Certo. Scusa… avrei dovuto fregarmene.»

«E io avrei dovuto fermarti subito.»

Nina sorrise. Senza di lui sarebbe stata persa… cosa voleva di più dalla vita? Forse riavere sua madre e sentirsi meno oppressa dagli eventi passati, e anche dal futuro che l’attendeva al seguito di sua sorella alla Capsule Corporation.

Una rottura di palle dietro l’altra!

«Ti va di uscire?» Chiese, scostando le coperte e gettando le gambe nude giù dal letto, sentendole investire dall’aria fresca. Anche la finestra aveva dimenticato di chiudere.

«Beh ecco… io sarei a scuola. Ti ho risposto subito perché come sai c’è l’intervallo.»

Merda, é vero!

«Però a ora di pranzo potrei fare un permesso e saltare le due ore pomeridiane. Se ti fa piacere!»

Yuno saltare la scuola? Gesto eclatante. Solo questo doveva farle capire quanto fottutamente la amasse!

«Ma no, tranquillo… anzi, prendi bene gli appunti di chimica! Sai che dovrai passarmeli!»

«Davvero? Non ti spiace?»

«No. Sono un po’ frastornata, mi sembra sia sabato o domenica…»

Si stiracchiò leggermente e sbadigliò ancora, alzandosi in piedi e decidendo mentalmente cosa indossare per andare a fare due passi. Ne aveva bisogno, anche da sola.

«Va bene allora. Passo da te oggi dopo la scuola. Ti aiuto con le lezioni perse!»

Riagganciò, continuando a sorridere e a pensare a quanto fosse fortunata ad avere quel ragazzo… 

Non aveva bisogno di altro. 

 

 

 

Due giorni di riflessione, una febbre simulata per prendere tempo e restarsene chiuso in camera da letto senza vedere nessuno. Un’influenza potrebbe anche uccidere le persone anziane, per questo solo la cameriera era entrata sporadicamente per portargli da mangiare e sistemare bagno e lenzuola.

Lars, quella mattina, aveva raccolto il coraggio necessario per uscire da lì e affrontare i buchi neri riguardanti il suo passato e la sua stessa nascita.

Per questo, dopo una lunga doccia rigenerante ed essersi fatto la barba, indossò polo e jeans senza dover necessariamente essere elegante come esigeva suo nonno, e proprio da lui si diresse, con passo deciso e sguardo serio.

Pronto ad esigere la verità.

 

 

Nota dell’autrice

Buon lunedì a tutti! E un augurio a chi oggi inizia il nuovo anno scolastico. Speriamo sia tranquillo e sereno, in primis per la mia bimba, che ho accompagnato stamattina per il suo primo giorno in quarta elementare! 

Sempre emozionante! 

E poi eccoci qui, altro capitolo che definirei di transizione.

Kian riflette e abbiamo modo di conoscerlo ancora un po’, di scoprire meglio i suoi legami e le sue emozioni. 

Nina ha fatto mente locale dopo una bella dormita e Lars… beh, vi lascio così. Siete pronti?

Io continuo a dirvi grazie per tutto, siete davvero meravigliosi!

E anche oggi vi mando un abbraccio fortissimo!

 

Sweetlove

 

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Capitolo 15
*** 14 ***


C R E E P
Capitolo 14



Mr Aito percorse il corridoio a passo deciso, continuando a mantenere la sua postura rigida.

Seguiva quel portantino senza manifestare alcuna emozione, nonostante avesse lasciato alle sue spalle, nella sala d’attesa di quel reparto maternità, una schiera di parenti naturali e acquisiti in lacrime.

Lacrime di dolore per quel lutto improvviso, nonché di terrore per le sorti di Lora, ancora in sala operatoria.

«È sicuro di sentirsela Mr Aito?»

Il giovane in divisa verde si bloccò solo un attimo, giunti ormai quasi alla porta grigia attraverso la quale mai avrebbe voluto far passare un neonato. Ma accadeva ancora, purtroppo.

Accadeva ai prematuri, accadeva ai bambini malformati. E si, accadeva ancora per cause inspiegabili, come quella. 

Morte perinatale o in culla? Difficile da distinguere, quando il cuoricino batte forte prima di un parto e invece é immobile nel momento in cui la creatura viene alla luce, seppur in un lago di sangue dovuto a un’emorragia intrauterina.

Il piccolo Aito-Brief era nato morto e nessuno avrebbe mai potuto essere pronto a quell’evento.

«Certo. Andiamo.»

Eppure, Mr Aito sembrava tutto fuorché triste. Sembrava fosse la rabbia a guidarlo lungo quei corridoi sotterranei, verso le camere mortuarie e le stanze per le autopsie.

Il portantino sospinse l’uscio, dopo aver sbloccato la serratura col suo badge, è una folata d’aria gelida investì lui è l’uomo anziano alle sue spalle. E l’odore di morte, pungente e letale.

«Non s’impressioni…»

Il ragazzo ne aveva ormai visti tanti di cadaveri. Integri, maciullati, decomposti… eppure davanti a quelli così piccoli continuava ad avere i brividi.

Oltrepassò due lettighe sulle quali giacevano due uomini deceduti in uno scontro sulla via principale, quella mattina, e raggiunse il terzo letto. Sembrava vuoto… lo era per il doppio della metà. L’esserino che vi avevano adagiato appena mezz’ora prima non era ancora stato coperto.

«È suo nipote…»

Con mestizia, il portantino gli indicò quel corpicino immobile e cereo. Sembrava un bambolotto tanto era paffuto e bello, dei più rari grazie a quei capelli scuri dai riflessi mogano. 

«Mi lasci solo qualche istante con lui.»

Sempre composto e tutto d’un pezzo, Mr Aito non lo degnò di uno sguardo.

«Ma… il regolamento…»

Il ragazzo si vide porgere qualcosa, in un gesto veloce e secco. 

1000 zeni gli avrebbero sicuramente fatto comodo.

 

 

Lars tremava. Seduto alla poltrona di fronte a quella di suo nonno, tremava come una foglia. E aveva la nausea… stavolta per davvero, non aveva bisogno di simularla per essere lasciato in pace. Forse avrebbe fatto meglio a chiudere gli occhi e continuare a vivere nella menzogna. Non credeva di essere del tutto pronto a quello che avrebbe appreso di lì a poco.

Sapeva solo di essere nato morto, addirittura messo in un obitorio in attesa di autopsia.

Nessuna cicatrice a sfigurargli il corpo, segno di quell’intervento col quale gli avevano rovistato nelle interiora.

Nato morto…

Morto.

 

 

Mr Aito sentì la pesante porta chiudersi alle sue spalle, ma nemmeno ora un muscolo del suo corpo si scompose.

Continuò a fissare quel bambino, letteralmente il futuro della sua azienda, della sua dinastia.

Non aveva altri figli e Lora, senza più utero, non avrebbe potuto dargli altri nipoti. Non biologici.

Perché non tentare, prima di dover affidare tutto a chissà quale moccioso figlio di tossici o poco di buono, adottato o comprato, per meglio dire… due ricchi come Lora e Trunks non avrebbero avuto problemi, avrebbero potuto scegliersi il figlio che volevano e averlo in men che non si dica. Oppure farselo partorire da qualche donna bisognosa di denaro.

C’erano tante strade, ma nell’immediato solo una gli sembrava plausibile, adesso. 

Una sola.

Allungò la mano, adagiandola sulla testolina inerme del bambino. I suoi capelli erano morbidi e lunghi abbastanza da essere afferrati. Gliene serviva solo qualcuno, in fondo. Più di uno, perché magari non ce l’avrebbe fatta al primo tentativo.

Neanche una carezza prima di strappargliene una ciocca, piccola piccola. Un gesto che riuscì a scuotere l’intero corpo molle, ma che ritornò immobile istantaneamente.

Non aveva una provetta in tasca il signor Aito, ma sempre un fazzoletto di lino immacolato. In questo nascose il prezioso bottino, prima di voltarsi e uscire da quella stanza. Prima di compiere un gesto forse fin troppo azzardato e scellerato, ma con il quale sua figlia avrebbe smesso di piangere, un giorno.

Forse.

 

 

«Tu mi hai… mi hai…»

«É il tuo impero Lars! Tuo e di nessun altro! Perché ti sconvolgi così tanto?»

Era rimasto fin troppo calmo Mr Aito. Da quel giorno erano passate più di due decadi e le cose erano cambiate, ma una, la più importante, nonostante molti crolli era ancora nelle sue mani.

La Aito Corp. era famosa nel 792 per i suoi imminenti tentativi di clonazione di un essere umano. Tentativi che negli anni precedenti Lá Capsule Corp. aveva boicottato… prima che Lora e Trunks si fidanzassero e tentassero per mesi di concepire un figlio.

Figlio arrivato grazie ad una inseminazione eterologa, col seme di un altro, ma Mr Aito non vi aveva dato troppo peso, anzi… era importante fosse biologicamente di Lora quel moccioso! Fanculo i Brief, era meglio non avesse nulla del patrimonio genetico di quegli scimmioni!

«Io sono una copia!»

Il giovane tremava in maniera convulsa, prossimo al collasso. Non era mai stato emotivamente forte, anzi. Più volte i due nonni avevano temuto fosse psicologicamente fragile come sua madre.

Lora aveva perso contro la vita a causa della sua follia, ma soprattutto grazie ai Brief. Perché se non fosse stato per quella rivelazione, il sapere di essere stata tradita dal marito, forse ce l’avrebbe fatta. Invece a ucciderla era stata proprio il frutto di quell’adulterio, ma nessuno al mondo, tranne i Brief e loro stessi, lo sapeva.

«Tu sei il più grandioso degli esperimenti della nostra azienda, Lars! Sei il primo essere umano ad essere stato clonato a partire da un capello! Uno solo!»

Lars vide suo nonno esaltarsi, sorridere quasi in maniera folle, spalancare gli occhi con orgoglio.

Cos’era…?

Un clone. E il nonno ne era orgoglioso!

La consapevolezza di essere sporco, diverso, un esperimento si fece strada nel suo cervello… non era più nulla. Non era più nessuno!

«Come hai potuto farlo?»

Solo questo chiese al vecchio, con un filo di voce, restando immobile e tremante su quella poltrona.

«L’ho fatto per tutti noi, per te soprattutto! Era l’unico modo per riportarti in vita, per darti una possibilità!»

«Perché mentirmi fino ad oggi?!»

Già… perché?

Solo allora Mr Aito fece una pausa.

 

 

«L’hanno portata via…»

Mrs Aito cullava un neonato di sei mesi. Piangeva lui, piangeva lei. Lo stringeva come fosse la sua ultima speranza, un’ancora di salvezza.

Guardò suo marito, triste e al tempo stesso in collera… se solo avesse detto subito a Lora ciò che aveva fatto non sarebbe finita così. Sarebbe stata felice, serena, avrebbe cullato lei suo figlio, invece ora era in una clinica di recupero psichiatrico. Impazzita, dopo aver tentato il suicidio…

«È giusto così.»

«Giusto? Nostra figlia é imp…»

«È nel posto più sicuro, adesso!»

Sbottò, alzando la voce. Come sempre, con lei. E le urla di quel marmocchio gli stavano trapanando le meningi.

«E fai tacere quel marmocchio!» Concluse, girando i tacchi e andandosene.

Erano altri i suoi piani. Era tutto diverso… Lora avrebbe dovuto divorziare, lei avrebbe dovuto tenersi Lars Jr, l’essere perfetto che le sue macchine super sofisticate erano riuscite a riprodurre nel tempo record di due settimane, sotto gli occhi allibiti degli scienziati che lo avevano visto lavorare giorno e notte.

Quando la capsula incubatrice si era aperta e il vecchio ne aveva estratto un bebé urlante e perfettamente formato, un lungo applauso si era levato in aria. Tutti sotto giuramento, che avrebbero pagato con la vita ogni eventuale rivelazione su quell’esperimento alla stampa o a chiunque altro.

Il suo momento di gloria per eccellenza.

Quando la clonazione sarebbe stata liberalizzata, quel moccioso sarebbe stato il suo lasciapassare per il dominio mondiale. Quante coppie si sarebbero vendute l’anima per riavere un figlio passato a miglior vita? O un coniuge, un fratello… 

Avrebbe cambiato il mondo e avrebbe dedicato questa scoperta a sua figlia… ma lei era impazzita. A lei non avrebbe potuto dire che Lars era vivo, non in quelle condizioni. Doveva essere pronta a crescerlo senza Trunks, invece era ancora troppo legata a quel marito di merda che palesemente non la amava, e che aveva firmato senza indugi, quella mattina, il divorzio presentatogli dal suocero stesso come tutore dell’inferma.

Questo però, Mrs Aito ancora lo sapeva.

 

 

Nota dell’autrice
 

Un capitolo molto duro come tematiche, termini, situazioni e immagini, lo so e mi scuso se qualcuno ne è rimasto turbato. Era necessario per spiegare finalmente chi è questo ragazzo.

Si… è il figlio di Lora e Trunks. Non biologicamente di Trunks, come sapete e come ho ribadito, spero decentemente.

E adesso aspetto voi. Ve lo aspettavate, immaginavate o cosa?

Spero non sia una delusione, anche se potrebbe starci eh…

Questa cosa mi frulla in mente da un anno, quando ho concluso “Perché anche la neve puó essere calda”. Ecco, messa nero su bianco…

E io vi ringrazio per essere arrivati fino a qui, per il supporto che mi date… per tutto insomma, e mi scuso se sto tardando nel rispondere alle recensioni. Sono pienissima di impegni e la sera arrivo stanca morta… ma le leggo tutte e le adoro!

Grazie e mille volte grazie

 

Sweetlove

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Capitolo 16
*** 15 ***


C R E E P
capitolo 15

 

 

 

«E mio padre…?»

Lars guardò negli occhi suo nonno, senza esser ancora riuscito a smettere di tremare. Da sempre si chiedeva chi e dove fosse il suo papà, quello che non veniva mai neanche nominato in famiglia, quello invisibile e che l’aveva reso ‘bastardo’. Non a caso il suo cognome era Aito, quello della cover Lora.

Il vecchio aprì il contenitore di legno adagiato sul tavolino di fronte alla sua poltrona personale e ne estrasse un sigaro, se lo portò alla bocca lentamente, con concentrazione, come se volesse addirittura mettere in secondo piano quella domanda legittima.

«Nonno, mio padre!» Insistette però questo, appoggiando entrambe le mani sui braccioli del divanetto, come volesse tenersi pronto per sorreggersi e non cadere. Il corpo smise di vibrare, ma la sua anima non era mai stata tanto angosciata.

«Tuo padre, eh?»

«Non è vero che sono un bastardo… giusto?»

Ne aveva sempre avuto il sospetto, Lars Jr. Forse perché l’idea di essere per davvero un incidente di percorso l’aveva sempre fatto sentire sbagliato, cosa resa maggiormente pesante dall’assenza di una mamma pronta a rassicurarlo e magari a fargli anche da padre.

«Non c’è una risposta corretta, ragazzo.»

L’anziano prese ad aspirare il sigaro con brevi boccate, e la stanza iniziò subito a prendere il consueto odore intenso e acre di fumo e tabacco.

«Che vuol dire?! Mi prendi in giro?»

«Assolutamente no. Dico soltanto che sei un bastardo a metà, Lars.»

«Lars, no!»

Mrs Aito fece il suo ingresso, pallida come un cencio e con le guance rigate dalle lacrime. Era rimasta lì, dietro la porta, ad ascoltare mentre il soffitto del mondo piombava violentemente in testa e sulle spalle di suo nipote, quello cui aveva a fatica fatto da madre e che aveva amato sopra ogni cosa, anche al posto di Lora. Da una vita taceva, stava zitta per volontà di suo marito, ma adesso no… adesso voleva che Lars Jr conoscesse la verità.

Tutta.

Lo doveva a Lora e alla dedizione con la quale aveva cercato e ottenuto quella gravidanza.

«Cosa ci fai tu qui?!»

L’uomo la guardò torvo, sollevando un sopracciglio.

«Ho sentito tutto! Voglio che Lars sappia una volta per tutte come stanno le cose…»

«Come stavano. Stavano!» Sottolineò il vecchio, sibilando.

«Deve sapere che oltre ad essere un Aito lui è un B…»

«TACI!»

La stanza vibrò al riecheggiare di quel grido. Mrs Aito si trovò a indietreggiare, il giovane Lars, ancora più stravolto, a spalancare gli occhi.

«Lui è un Aito! Solo un Aito! Non è mai stato e mai sarà un Brief del cazzo!»

 

 

 

Lars era sconvolto quando aveva chiamato Hami, l’unica persona al mondo cui avrebbe detto l’assurda storia appena raccontatagli da suo nonno. Era sconvolto perché in pochi minuti il suo universo si era spento, era stato risucchiato in un buco nero, o un buco di merda!

Era nato morto.

Era stato clonato.

Era stato tolto ad una madre folle.

Sua madre si era suicidata.

E poi?

Poi, chiunque sarebbe impazzito. Chiunque… lui compreso. Ma no, non bastava, perché c’era anche altro da affrontare. Forse la parte più dura… resa terribile proprio grazie all’amore che provava per la sua Hami. La sua ragazza, quella con cui già sognava di costruire un futuro, una vita insieme.

Hami, che in parte era sua sorella… e che come lui non sapeva nulla.

Hami Brief.

Lars Aito. O lars Aito-Brief? Questo era inciso sulla sua lapide, in origine. Cancellato, modificato. Era bastata una mazzetta alla persona giusta, e del povero primogenito di Trunks Brief non se n’era più parlato.

Era giusto che Hami restasse all’oscuro?

Un po’ per egoismo, perché non sopportava di dover portare quel macigno da solo, un po’ per amore aveva deciso di chiamarla, di implorarla di riceverlo subito, in un posto tranquillo, per parlare di una cosa importante.

E si erano visti. E le aveva detto tutto, senza darle neanche modo di aprir bocca. Di respirare.

«Hami… io…»

«E’ una menzogna!»

Due occhi azzurri ora pieni di lacrime e di angoscia.

«E’ quello che mio nonno mi ha detto, Hami!»

Non voleva perderla. Non voleva ferirla. Lei era tutto ciò che di bello aveva, adesso.

«Mio padre era sposato… ma non con tua madre!»

«Ti ha mai detto il nome di quella donna?!»

Silenzio.

No.

«Ti ha mai detto se con lei aveva avuto dei figli?»

Ancora silenzio.

Trunks, suo padre, la persona più importante della sua vita… che le nascondeva una cosa del genere? Una coltellata avrebbe fatto meno male. Ne era certa.

«Devo essere sicura che tutto questo sia vero, Lars…»

Se l’istinto le diceva di buttarsi tra quelle braccia e cercare conforto, la testa le impose di restare fredda, impassibile. Doveva cercare uno sprazzo di lucidità. Doveva capire come fare ad avere la verità, ma non voleva affrontare suo padre.

Chi rimaneva? Sua nonna Bulma era morta. Vegeta… beh, lui non era ancora in grado di parlare. Non ora, appena rimasto vedovo. Il nonno Crillin era nell’aldilà già da tempo… come sua madre Marron. Lei sapeva? Sapeva tutto quanto?

Altra pugnalata. Sentirsi tradita.

Ricordava bene quel mattino, sul letto dei suoi, con la febbre e gli occhi sinceri di Trunks, che le raccontava di aver ritrovato la mamma così tardi perché era già stato sposato. Aveva cinque anni e non le interessava, allora, sapere chi fosse, né il perché.

Poi, mentre la sua mente vagava tra un proposito e un ricordo, la luce. Diciotto.

«Devo andare…»

Si congedò così, con gli occhi arrossati, il cuore in tumulto e il bisogno di conoscere la verità.

 

 

 

 

Diciotto sussultò, svegliandosi di soprassalto. Vero, i cyborg non necessitano di riposo, ma il suo essersi riadattata alla vita da semplice umana l’aveva indotta, ormai più di un trentennio prima, a riprendere abitudini non tipicamente robotiche, come mangiare - quando necessario - e appisolarsi.

Non poteva dire di essere una ronfatrice nata, ovviamente. Il suo sonno durava in media un’ora e quarantacinque minuti, poi si svegliava, e dopo magari tornava in dormiveglia.

Tutto questo da quando si era sposata con Crillin, il piccolo umano. Non era stato difficile per lei occuparsi di Marron neonata e urlante, un po’ meno per i coinquilini alla Kame House che si svegliavano grazie a pianti infiniti ogni notte almeno quattro volte. Peccava di pazienza, Diciotto, e più volte Crillin si era fatto avanti quando l’aveva vista innervosirsi per non riuscire a calmare quella marmocchia alle prese ora con una colica, ora con un molare in procinto di tagliare la gengiva.

Eppure oggi, che marito e figlia non c’erano più, continuava a mantenere quell’abitudine. Dormire. O provarci.

Solo in determinate circostanze ci riusciva bene e di gusto per l’ora e mezza garantita. Il post-sesso era una di quelle, come in quel momento.

Si rigirò tra le lenzuola azzurre di quel letto che ormai frequentava abitualmente, afferrando con uno scatto la borsetta lasciata sul comodino prima di quell’amplesso. Nessuno l’aveva mai chiamata dopo le dieci di sera. Nessuno tranne il suo amico di letto, che si trovò a grugnire e rigirarsi assonnato mentre nascondeva la testa sotto il cuscino.

Un bambino… e in confronto a lei lo era davvero, poco più che trentenne, ma perché dirgli di non essergli quasi coetanea quando la sua natura da androide le permetteva di dimostrare non più di trentacinque anni?

Estrasse il telefono scalpitante e lesse sullo schermo un nome. Preoccupante.

Hami.

Cosa poteva volere Hami da lei a quell’ora?

«Pronto?»

Rispondere era d’obbligo, e senza mandarla a quel paese come avrebbe fatto con chiunque altro.

«N-nonna. Sono io…»

«Lo so, Hami. Che succede?»

Tre parole, sufficienti per capire fosse accaduto qualcosa. Sembrava incerta, spaurita.

«Sono sotto casa tua. Ho provato a citofonare ma…»

«Non sono a casa, ma vengo subito.»

«Non voglio disturb…»

Chiuse la conversazione, afferrando i primi pezzi di intimo dal materasso e dal pavimento per rinfilarseli. Si tratteneva sempre più spesso dal suo compagno per la notte, ma i suoi nipoti venivano prima di ogni cosa. Prima di sé stessa. L’aveva giurato a Marron.

 

 

 

Nota dell’autrice
 

Aggiorno in ritardo, oggi. Mi stupisco di esserci riuscita, sono sincera… i nuovi ritmi di lavoro e di vita in generale mi stanno massacrando e non so per quanto ancora riuscirò ad essere costante. Ricordo che all’inizio non volevo prefissarmi obiettivi di pubblicazione settimanale, ora credo che questa condizione sia da eliminare… sono esausta, letteralmente, anche se adoro scrivere, ma il tempo non ci regala altro tempo, la mia giornata è devastante ultimamente!

Detto questo, spero che questo capitolo breve ma intenso vi sia piaciuto. Trunks dovrà qualche spiegazione alla figlia, e non solo a lei… E Kian e Nina, e ovviamente Yuno? Che fine hanno fatto?

Spero di riuscire a pubblicare lunedì, in caso contrario vi chiedo scusa in anticipo, e mi scuso anche per non essere ancora riuscita a rispondere alle recensioni del capitolo scorso!

Recupererò, promesso!

Grazie davvero a tutti!

Un abbraccio

Sweetlove

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Capitolo 17
*** 16 ***


C R E E P
capitolo 16




Non c’era nulla di strano nell’andare a casa di Yuno, come sempre. Nulla, assolutamente. Non doveva sentirsi agitata e nervosa, quella era anche casa sua, ci era cresciuta tra risate e momenti belli e brutti, così come Yuno era sempre stato uno di famiglia tra i Brief.

Doveva semplicemente andare lì a studiare, dato che a casa sua non riusciva a concentrarsi, come sempre. La stanza di Yuno, e soprattutto il suo aiuto, l’avevano sempre portata ad assimilare meglio i concetti, a recuperare qualche argomento noioso o troppo difficile. Quel cervellone del suo ragazzo riusciva a metterle in testa qualsiasi cosa! 

Il test di algebra che avrebbe dovuto affrontare l’indomani la stava facendo uscire di testa. Aveva provato e riprovato a fare da sola, invano, tant’è che al limite dell’esasperazione si era ritrovata a scrivere un messaggio a Yuno con su scritto “arrivo, help!” sapendo che lui avrebbe capito all’istante ciò a cui alludeva.

Doveva studiare. Punto.

Che li ci fosse anche Kian non doveva importargliene. Avrebbe finto indifferenza, sarebbe stata forte, non gli avrebbe dato soddisfazione.

Eppure, entrando nel grande soggiorno, tutto le sembró normalissimo, e la normalità oramai non includeva Kian.

Valese era in cucina, preparava qualcosa, e dal profumo di cioccolato e cannella che inondava l’area giorno aveva tutta l’aria di trattarsi di un dolce. Dori sedeva sul divano con la tv accesa e la guardava assorta. Yuno era lì ad aspettare la sua ‘allieva’, accanto a sua sorella, e la accolse con un grande sorriso, di quelli che le facevano dimenticare tutti i problemi, i malumori, le paure…

«Ciao Nina!» 

Fu Valese, tuttavia, a salutarla per prima, affacciandosi dall’arco che divideva il soggiorno dalla cucina.

Tutto come sempre.

Lo stesso sorriso di sempre.

«Ciao zia Val…»

Un cenno quasi timido ma come sempre educato, mentre si sforzava di non guardarsi intorno alla ricerca di qualcuno. E di non darlo a vedere, soprattutto.

«Come stai cara?»

Tutto come sempre.

«Bene. Sto bene, grazie. Qui é tutto ok?»

Lo chiese con naturalezza, come al solito… ma a Nina sembrò improvvisamente inadeguato. Quel “qui” sembrava un’allusione al ritorno del gemello ‘cattivo’. Ma il suo dubbio venne estinto dalla stessa Valese, che continuò a sorriderle con la dolcezza che da sempre la contraddistingueva.

«Tutto benissimo! Vuoi un pezzo di torta? L’ho preparata per…»

«Noi andiamo a studiare mamma!»

Yuno sembrò interrompere sua madre proprio sul momento cruciale… stava per dire Kian, e questo Nina lo sapeva. Sentiva odore di cioccolato, e a Yuno non era molto simpatico il cioccolato, che invece faceva impazzire il fratello. Non era un caso che le torte sfornate in quella cucina da un paio d’anni fossero prevalentemente alle mele o alla vaniglia.

Nina sorrise ancora, forzatamente, anche mentre Yuno la sospingeva verso il corridoio, come volesse proteggerla dal solo udire quel nome. Ma non bastava cambiare stanza per spegnere i ricordi e il batticuore che continuava a tormentarla da giorni.

 

 

 

Diciotto adagiò la tazza di tè sul bancone della cucina. Non lo preparava spesso, lei non beveva nulla, raramente mangiava, ma per i suoi nipoti si sforzava di essere la casalinga perfetta, per quanto possibile.

Sapeva che Hami adorava l’earl grey e senza neanche averle chiesto se le andasse gliene aveva preparata un’abbondante porzione… le sarebbe servita per corroborarsi dopo essere rimasta così a lungo ad attenderla fuori dal cancello, con quel freddo.

La vide sorseggiarlo piano, ancora silenziosa e palesemente sconvolta, tanto da non averle domandato neanche da dove venisse e come mai non fosse in casa a quell’ora tarda. Ma non aveva voglia di starsene lì ad aspettare, Diciotto. Anche con Marron aveva sempre preferito andare al sodo.

A volte guardava Hami e Nina e le sembrava di rivederla… buffo che proprio all’età di Hami l’aveva raggiunta in una città lontana trovandola con un batuffolo rosa in braccio.

«Sputa il rospo.»

Poco dolce nei modi, ma concisa. Sua nipote alzò lo sguardo, sembrava segnato dal pianto.

«Sei l’unica che può darmi una risposta, nonna. L’unica di cui io mi fidi, adesso…»

«Quale risposta, Hami?» Insistette Diciotto, sedendosi di fronte a lei sullo sgabello e sforzandosi di raccogliere tutta la calma che aveva in corpo. L’istinto le stava dicendo questo… avrebbe avuto bisogno di pace interiore per affrontare ciò che sua nipote le aveva riservato. Lei era la prescelta.

«Lars…»

«Lars? Il tuo tipo…?»

«Lui. Lui é… é…» Hami adagiò la tazza sul pianale, confusa «Lui é un Aito. Ti dice nulla questo nome?»

La donna, per quanto abile a nascondere i sentimenti e a mantenere la calma, venne attraversata da un fiume gelido nell’udire, dopo tanti anni, ancora quel nome. Fu come rivivere attimi di burrasca, dolore, sgomento, tutti in una volta… ma senza Marron da poter stringere e consolare.

«Certo. Mi dice troppe cose Hami. Non credevo fosse… fosse uno di loro.»

«Nonna, é figlio di mio padre…?»

Diciotto vide gli occhi di sua nipote riempirsi di paura e di lacrime, improvvisamente. Temeva quella risposta, temeva di scoprire qualcosa di troppo, troppo doloroso.

«Hami… io credo tu debba conoscere la verità. Adesso. Chi ti ha detto questa cosa?»

«Lars.»

«E a lui chi l’ha detto?»

Ci fu un momento di pausa, in cui entrambe rimasero a fissarsi.

«…Suo nonno.»

«Io non so come quel moccioso sia sopravvissuto. Per il mondo era morto quando Trunks e tua madre si sono rincontrati e lui ti ha riconosciuta…»

«Te lo dirò dopo. Ora rispondi. É mio… fratello?»

Il cyborg avrebbe voluto essere altrove, adesso. Avrebbe voluto non dover essere lì, ad affrontare una questione senz’altro troppo difficile per lei, e per Hami stessa.

Eppure doveva… 

«No. Non lo è… non biologicamente.»

Le parve di vedere sua nipote sospirare, buttar fuori anidride carbonica in modo liberatorio, come se quel “no” fosse il regalo più bello del mondo. Ma se un po’ la conosceva, sapeva non avrebbe smesso con le domande.

«E perchè allora Lars mi ha detto che…»

«Perché Trunks era sposato con sua madre. E perchè tutti credevano lui fosse sterile, per cui ha accettato di crescere il figlio che Lora era riuscita a concepire con una inseminazione eterologa.»

Avrebbe mai potuto darle una spiegazione più esaustiva? Probabilmente no. Era la verità, d’altronde.

Vide Hami stringere le labbra, facendole diventare dapprima bianche, poi rosse per lo sforzo.

«Sposato… con Lora?»

«Lei é impazzita dopo il parto, perché quel bambino… Lars… è nato morto.»

Hami stette zitta, sperando sua nonna continuasse a parlare, ad aprirle quel mondo sepolto da anni.

«Non ho vissuto tutto questo in prima persona, Hami. A quei tempi frequentavamo poco Bulma e per un paio d’anni siamo rimasti alla Kame House senza spostarci. Anche per questo lei… loro… non hanno saputo prima di te, della tua nascita. Ma ad ogni modo nessuno sapeva tu fossi figlia di Trunks, come nessuno sapeva che Lars non era suo figlio biologico.»

Diciotto rimase calma, ma la mente tornò a quel Natale, allo shock che non era riuscita a nascondere tanto abilmente nell’apprendere la verità sull’altro genitore di sua nipote. Tutti basiti, tutti… 

«Conosco la storia, nonna. É di Lars… degli Aito che voglio sapere! Perché nasconderlo? Cosa é successo di così brutto?»

Non sapeva, Hami, di essere la personificazione di un adulterio, nonostante figlia di un amore immenso e difficile da tenere a bada.

La donna si mosse appena, guardando l’orologio e chiedendosi se il suo “amico” si fosse già accorto della sua assenza, e rendendosi conto che quella sarebbe stata una lunga, difficile, ma liberatoria notte…

 

 

Nota dell’autrice

Con le mani e con i piedi aggiorno in anticipo. Nemmeno credevo di poterlo fare e vi chiedo scusa per eventuali errori di battitura… scrivere con l’ipad per me é un incubo!

Come vi sembra nonna Diciotto? E Nina… si è capito da che parte vanno cuore e mente?

Non mi dilungo troppo, stavolta… ma vi ringrazio. Presto risponderò a tutte le recensioni!

Vi abbraccio forte

 

Sweetlove

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Capitolo 18
*** 17 ***


C R E E P
Capitolo 17

 

 

 

Trunks guardò l’orologio. Impossibile.

Hami non era mai arrivata in ritardo in ufficio. Hami non aveva mai omesso di avvisarlo quando non rincasava per la notte. Hami era perfetta e se ora non era lì, a presenziare a quella importantissima riunione, doveva esserci per forza qualcosa di molto brutto dietro.

Cosa poteva essere accaduto ad una saiyan, seppur in piccola parte? Era capace di difendersi da qualsiasi aggressione da quando era piccola, non doveva temere fosse finita nelle grinfie di qualche maniaco o peggio. Rapimento? Assurdo… Nemici dalla forza aliena? A meno che non fossero in grado di celare perfettamente l’aura malvagia, anche quello era da escludere.

«Presidente, mi sta ascoltando?»

Anika, la fedelissima segretaria, gli sfiorò rispettosamente la spalla. Al terzo richiamo palesemente ignorato, aveva trovato impossibile fosse così preso dalla videocall da arrivare persino ad ignorarla. Occorreva un gesto d’urto, e solo allora il signor Brief parve tornare alla realtà da chissà quale altra vita parallela. Anika lo conosceva ormai alla perfezione, sapeva che quando era così distratto, praticamente altrove, stava pensando alla povera moglie.

«S-Sì Anika. Anzi, no… scusa.»

Trunks controllò che il microfono fosse spento e che gli importantissimi soci della capitale del Nord non potessero sentirlo.

«Va tutto bene?»

No che non andava tutto bene. Ricontrollò per l’ennesima volta che sul suo telefono non vi fossero chiamate e messaggi da Hami, ma ne trovò soltanto uno da Nina, che gli ricordava non sarebbe tornata per cena poiché sarebbe uscita con Yuno. Fortuna che lei sembrava essersi stabilizzata. Sembrava… ancora non ci credeva completamente.

«Anika, andresti a controllare se mia figlia è nel suo ufficio?»

Ultimo tentativo, anche se sapeva già in partenza quale sarebbe stato l’esito. Vide Anika allontanarsi, uscire dalla regale stanza, udì il click della porta adiacente, l’ufficio di Hami, qualche istante d’attesa e…

«No, Presidente. Mi spiace. Vuole che riprovi a chiamarla?»

Merda.

«No. Grazie, va bene così.»

Finse, sorridendo. Alzò nuovamente il volume e tornò a far finta di ascoltare quella pallosissima relazione. Più di trent’anni di servizio e ancora gli si gonfiavano le palle come il primo giorno.

 

 

 

Diciotto diede un colpo d’anca all’oblò della lavatrice, facendolo chiudere in un modo forse un po’ troppo violento. Aveva convissuto tutta la vita con la sua forza inumana, tanto da aver ormai imparato alla perfezione a dosarla. Con quelle mani, che avrebbero piegato l’acciaio più duro del pianeta, aveva accudito una bambina, e a sua volta i neonati che questa aveva avuto, senza mai far loro del male, neanche senza volerlo. Aveva accarezzato, baciato, sfiorato, trovandosi spesso anche a dimenticare di avere dei circuiti dentro la testa, di non essere più quella ragazzina bionda e dolce di cui non aveva ormai più alcuna memoria. Ma quando era nervosa, quando qualcosa la turbava… beh, era diverso.

Controllò che l’apparecchio funzionasse ancora, e si compiacque nel vedere il cestello prendere a girare come di consueto mentre si riempiva mano a mano di acqua e detersivo. Solo dopo, voltandosi per andare verso il bancone della cucina, si rese conto di non aver messo via le due tazze con cui aveva bevuto il tè, quella notte, con Hami. Hami, che dormiva ancora profondamente in quella che da quando era bambina era la sua cameretta, quando soggiornava in quella casa da sola o con i suoi fratelli.

Guardò l’orologio. Diciotto constatò fossero ormai le nove e quattordici e che teoricamente sua nipote avrebbe dovuto essere a lavoro. Ma era davvero il caso? E soprattutto, coscienziosa com’era, di sicuro se se la fosse sentita avrebbe già provveduto a puntare la sveglia e a recarsi dietro la sua scrivania. Se non l’aveva fatto, doveva andare così.

Sedette sullo stesso sgabello di quella notte, sfiorando la ceramica della tazza.

Che situazione assurda…

Ci aveva pensato per ore: quante possibilità potevano esserci che Hami s’innamorasse proprio del figlio legittimo ma non biologico che Trunks, e non solo lui, le aveva tenuto nascosto per una vita intera?

Lei, tutti loro avevano saputo dell’accaduto. Quando era circolata la notizia della morte bianca del piccolo Aito-Brief, lei stessa aveva inviato un telegramma alla famiglia. Già allora non poteva immaginare che proprio Trunks fosse il padre biologico della neonata appena messa al mondo da Marron. Nè avrebbe mai potuto credere che un uomo tutto d’un pezzo come Mr Aito, che proprio alle nozze della figlia Lora aveva avuto l’onore di conoscere, si sarebbe azzardato a fare una cosa simile… clonare un neonato!

In quella tomba nel cimitero cittadino c’era davvero la salma di un bebè, sepolta quattro anni prima di quella della folle e sventurata madre. Chi mai avrebbe potuto sapere che il giovane Lars Aito era invece in giro per il mondo a seguire le orme del nonno?

Nessuno.

O forse sì?

“Spero davvero per la tua incolumità che tu ne fossi all’oscuro…”

Questo pensò Diciotto, stringendo tra le mani la tazza e frantumandola senza neanche accorgersene. Perchè l’idea che Trunks avesse ingannato tutti, soprattutto Marron, in un modo così osceno, le dava la forza di sterminare non solo lui, ma l’intera razza saiyan esistente. Fatta eccezione dei suoi nipoti, ovviamente. Loro non avevano colpa…

Un fulmine. Doveva saperlo. Uno scatto, afferrando la borsa e uscendo di casa senza pensarci due volte.

 

 

Kian si era alzato tardi quella mattina. La sera precedente aveva cenato a casa di suo padre, si era intrattenuto con lui, Bra, Boxer e Bulma Jr. fino a quando non si era accorto di quanto fosse ormai trascorsa l’ora di andare a letto secondo le ferree regole di Valese. Ma si era meravigliato del fatto non fosse stato richiamato all’ordine al primo minuto di ritardo.

Goten gli aveva detto di stare tranquillo, di fare con calma, poiché era già d’accordo con sua madre e che se voleva avrebbe potuto trattenersi a dormire. E così aveva fatto, anche se il tutto gli era sembrato davvero molto strano. Stranissimo, anzi.

Valese odiava i cambi di programma, specie quando si trattava della gestione dei figli. Sin da quando erano piccoli dava di matto se Goten non glieli riportava ad orari svizzeri, o se le chiedeva di tenerli più a lungo del solito, e le cose non erano cambiate neanche quando erano ormai diventati grandi.

Valese era una mamma splendida, ma molto protettiva e ligia al dovere. Diceva sempre che non si può insegnare ai figli la precisione se si è imprecisi per primi.

Kian non sapeva quanto questo fosse vero, non sapeva poi molte cose sulla vita, se non che era facilissimo perdersi, lasciarsi andare e trovarsi dietro un cespuglio con una siringa in mano. Ma ormai quella vita gli sembrava così lontana, come non fosse stata sua per davvero…

Si sentiva in pace, nonostante quel lieve peso sul petto che avvertiva da quando aveva rivisto Nina, al cimitero.

Nina.

Ecco perché…

Si era ritrovato a sorridere nel buio della sua stanza, sotto le lenzuola, mestamente.

Nina era andata a casa sua, quella di Videl e Mick insomma. Volevano evitare s’incontrassero, volevano evitare altre sofferenze. E stavano sbagliando in partenza, come al solito. Perché come avrebbero fatto a impedir loro di incrociarsi, prima o poi, volente o nolente?

Il vecchio Kian avrebbe subito dato segno di squilibrio, si sarebbe incazzato per l’inganno. Il nuovo si limitò a sospirare e a riflettere… un giorno, forse, sarebbe stato un genitore anche lui e avrebbe compreso le azioni attuali compiute nei loro confronti.

Ma quel peso non accennava a diminuire… sembrava essersi fatto più pesante all’idea di saperla lì, ora. Magari in camera con Yuno. Magari nel letto di Yuno…

Sapeva di essere geloso, ma sapeva anche che avrebbe dovuto imparare a convivere con tale sentimento per il resto della sua vita. Lo doveva a tutti. Lo doveva a Yuno. Lo doveva a Nina…

 

 

Nota dell’autrice


E ce l’ho fatta anche oggi! Anzi, pubblico in anticipo, perché domani non so cosa mi attende. Capitolo scritto di getto, ne sono compiaciuta perché ero sicura di dover saltare questa settimana, e invece… sorpresa! Soprattutto per me!

Diciotto è fumantina, lo sappiamo… Nina ha sicuramente preso da lei, e ormai sappiamo anche questo. Trunks si preoccupa di Hami, ma secondo me dovrebbe preoccuparsi più di sua suocera! XD

E Kian… devo aggiungere altro? Lascio parlare voi.

Intanto vi ringrazio infinitamente ancora una volta per essere qui a sostenermi, è importantissimo per me, davvero… vi adoro!

E dopo una settimana da schifo, la concludo pubblicando e non senza abbracciarvi forte, nessuno escluso.

 

Sweetlove
 

Ps. E' vero... mancano i disegni. Vi chiedo scusa, è un periodaccio, l'ispirazione scarseggia e soprattutto il tempo. Spero di potermi far perdonare un giorno. Per ora sono felice di riuscire a scrivere e pubblicare mano a mano almeno i capitoli della storia...
Capitemi!

 

 

 

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Capitolo 19
*** 18 ***


C R E E P
Capitolo 18

 

 

Anika affrettò il passo. Era stata avvisata attraverso la linea interna dell’arrivo imminente di un’ospite senza appuntamento. Un’ospite ben nota, che spesso si era recata lì in ufficio negli anni, e per i più svariati motivi, ma a giudicare da ciò che l’addetto alla sicurezza della hall aveva comunicato, stavolta era piuttosto arrabbiata, tanto da non fermarsi nemmeno al controllo di routine. Tutti, persino lo stesso Presidente, dovevano essere controllati all’ingresso e all’uscita, chi attraverso gli appositi accessi al pianterreno, chi passando nelle porte d’accesso riservate ubicate nei vari livelli del grattacielo.

E come previsto, la donna, sempre bionda e bellissima, dallo sguardo glaciale e tanto somigliante alla povera Marron, defunta ormai tre anni prima, apparve dalla porta scorrevole dell’ascensore.

«Signora, aspetti»

Anika le andò incontro, era già lì ad aspettarla, sicurissima che almeno di fronte alla sua imponenza la suocera del Presidente si fermasse almeno per spiegare cosa volesse.

Nulla.

«Signora!»

La segretaria si vide oltrepassare, e dopo un brevissimo momento di sgomento tornò in sé, alla carica, decisa a fermare la signora Diciotto. Cosa fosse successo non lo sapeva, ma doveva avere intenzioni più che bellicose. Non poteva lasciare che importunasse Trunks senza che lui sapesse, almeno, del suo arrivo.

«Dobbiamo intervenire?»

L’interfono di sicurezza gracchiò lievemente, e Anika riconobbe la voce dello stesso addetto che l’aveva avvisata di quella “intrusione”. Si bloccò davanti alla centralina, schiacciando velocemente il tasto di comunicazione per mettere fine a quella pagliacciata.

«N-no… credo di poter gestire la cosa…» Sostenne, mettendo a tacere poi ogni altro tipo di dialogo proveniente dalla hall. Poi si voltò e si accorse che l’ospite era ormai di fronte alla porta dell’ufficio del Signor Brief, probabilmente pronta a buttarla giù e… no. Questo non doveva accadere.

«Signora, per favore!» Le si parò davanti in un attimo, a braccia spalancate, in piena crisi di panico. Ottenne soltanto uno sguardo ancor più glaciale da quella donna folle, dai modi poco cordiali e dalla scarsa attitudine al dialogo… somigliava moltissimo al consocero, il signor Vegeta.

«Levati dai piedi!»

Anche lui, probabilmente, avrebbe detto lo stesso-

«So che lei può prendersi certe libertà, ma il Presidente adesso non può ricevere nessuno!» Ci provò per l’ultima volta, Anika… ma capì dagli occhi freddi di Diciotto che non si sarebbe arresa e che, probabilmente, presto l’avrebbe fatta saltare in aria assieme ai cardini di quell’ingresso.

«Allora ti do una notizia scioccante: io NON SONO nessuno.»

Le bastò un gesto del dito per scostarla dalla pesante porta, facendola quasi inciampare e cadere, e proprio mentre Diciotto imponeva la mano per sfondare quell’uscio la povera segretaria le fu di nuovo accanto, stavolta per ‘facilitarle’ le cose.

«Aspetti! Lasci che le apra io… non la distrugga!»

Tremava, Anika, mentre faceva scattare la serratura e consentiva alla bionda di metterle i piedi in testa, scavalcarla e macchiarla di una figura di merda non indifferente col capo. Ma lui avrebbe capito che le alternative che aveva, erano praticamente nulle.

 

 

Trunks sollevò il capo dallo schermo, di nuovo. Aveva le cuffie nelle orecchie e solo grazie ai suoi sensi saiyan riuscì a percepire ciò che stava accadendo dietro la sua porta, malgrado l’aura della donna che vide irrompere senza alcun indugio fosse notoriamente inesistente. I cyborg non avevano forza spirituale.

Si meravigliò non poco, e al tempo stesso si sentì sollevato di vedere lì sua suocera, Diciotto. Forse era lì proprio per il motivo della sua costante ansia… Hami.

«Diciotto…» Mormorò, chiudendo il laptop con un gesto fulmineo per evitare che i soci ascoltassero qualcosa di troppo riservato. Fanculo la riunione.

«Siediti.»

Stava per alzarsi, Trunks, ma l’imperativo della bionda lo costrinse a bloccarsi con le natiche a dieci centimetri dall’imbottitura dell’elegante poltrona di pelle sulla quale si era accomodato da quella mattina.

«C-Cosa succede?»

Diciotto afferrò la sedia di fronte alla scrivania, restando in silenzio per qualche istante, come in attesa, o per raccogliere le giuste parole. Era uscita di casa come una furia, ma ora che si trovava lì iniziava a sentirsi un tantino idiota. Come poteva anche solo pensare che Trunks sapesse… no. Eppure, già che c’era, forse una bella chiacchierata non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

«Stai bene?»

Trunks insistette con le domande, ubbidendo e tornando a sedersi, senza però smettere di squadrarla preoccupato. Che stesse uscendo di senno anche lei? Non l’avrebbe sopportato. Era l’unica persona in grado di aiutarlo, da un pezzo e soprattutto adesso… perdere sua suocera sarebbe stata la goccia.

«Benissimo.» La risposta fredda di lei.

«E allora cosa ci fai qui?»

«Sono qui per Hami.»

Bingo.

«L’hai sentita?! E’ sparita da…»

«Trunks. E’ a casa mia che dorme. E’ venuta stanotte, sconvolta. C’è qualcosa da chiarire, soprattutto tra me e te, prima che venga lei a chiederti spiegazioni.»

La schiena di Trunks venne percorsa da un brivido. Iniziò ad essere sempre più convinto ci fosse qualcosa di gravissimo dietro tutta quella situazione. Perché Hami era andata da lei? Perché era sconvolta? Cosa c’entrava lui?

«Non ti seguo.»

«Ah no? Beh, inizio a rinfrescarti la memoria. Ricordi Lora Aito?»

Un grumo di saliva gli rimase sospeso tra faringe e laringe e per un istante gli impedì di respirare. Sentire di nuovo quel nome fu una doccia fredda. Sentirlo nominare da lei, Diciotto, il gelo divenne una lama rovente e arrugginita conficcata nella milza.

«Cosa c’entra lei?»

Era sottoterra da vent’anni ormai.

«Ricordi il figlio che aspettavate?»

Altro pugno nello stomaco. Ma non poteva far altro che rispondere, anche se cominciava davvero ad esser convinto della follia dell’androide seduta di fronte, alla scrivania.

«Ovvio. Ma cos…?»

«Eri al corrente fosse vivo?»

Quella domanda gliela rivolse con tanta naturalezza da fargli pensare non più che fosse pazza, ma che stesse addirittura sognando, dormendo. Si era addormentato sul laptop, era sicurissimo.

Vivo

Come poteva essere vivo? Lui, per il quale la sua ex moglie era impazzita e per il quale era stata rinchiusa in un manicomio! Il bambino che aveva tanto desiderato e perso ancor prima di tenerlo in braccio, e che l’aveva indotta, quattro anni dopo, a rapire Hami nel pieno della follia più totale e a volerla tenere per sé, come un ‘ricordo’ del marito infedele che aveva messo incinta l’amica mentre lei si sottoponeva a inseminazioni artificiali pur di avere un bambino. Un piccolo Aito-Brief.

Come poteva, eh?!

«Sei impazzita, Diciotto?»

Questa domanda gli uscì ora fredda, non più comprensiva. Si rese conto di essere sveglio e che quel discorso aperto da sua suocera gli stava facendo non solo accapponare la pelle, ma anche rigirare i coglioni in maniera pericolosissima.

Non voleva si nominasse quella creatura che, seppur non fosse biologicamente sua, aveva comunque imparato ad amare nei mesi di gestazione. Perché se le cose fossero andate bene, in un certo senso, l’avrebbe chiamato papà, sarebbe stato suo figlio. Lo era, nonostante tutto. C’era il suo cognome su quella lapide che, vergognosamente, non aveva più visitato dal giorno del funerale.

«Sono serissima.»

Diciotto sospirò. Sostenne lo sguardo duro di Trunks per qualche istante, non staccò gli occhi dalle sue iridi azzurre, identiche a quelle di Hami, ma le fu sufficiente per capire fosse sincero e soprattutto sconvolto. L’aveva sconvolto, forse senza averne diritto, ma già che c’era…

«Trunks. Calmati.»

Altro imperativo, con voce calma e assurdamente pacata. Nessun muscolo, se non quello della faccia, si mosse per qualche momento.

«Cosa sta succedendo, Diciotto?» Domandò Trunks, sentendo scemare l’ira che l’aveva quasi costretto a litigare con l’unica donna rimasta a sostenerlo, e percependo ora lo sgomento prendere il posto di questa.

«Volevo sincerarmi tu fossi stato onesto in questi anni. Ma ti conosco da quando eri un poppante, e guardarti negli occhi mi ha ricordato quanto tu sia sempre stato sincero, anche nelle situazioni più difficili.»

«Onesto su cosa?»

«Te l’ho appena detto. Volevo essere sicura tu fossi all’oscuro riguardo tuo figlio… il figlio che hai avuto con l’Aito, insomma.»

Un lapsus, quello di Diciotto. Ma nemmeno lo era. All’anagrafe ERA il figlio di Trunks, quello.

«Quel bambino è morto! L’ho visto morto! Cosa stai dicendo?»

«Trunks, quale campo della scienza ambiva a conquistare tuo suocero?»

Trunks sbatté le palpebre un paio di volte. La sua attenzione si focalizzò sulla parola ‘suocero’. Aveva rimosso di averne avuto un altro all’infuori del buon Crillin… poi ricordò Lars Aito e tutto tornò a galla. Improvvisamente. Dolorosamente. Perché le ferite che col tempo e con l’amore si erano sanate tornarono improvvisamente a sanguinare. Non amava ricordare quella parte della sua vita, gli anni bui che avevano preceduto la vita felice e meravigliosa che Marron gli aveva regalato, e proprio per questo li aveva come ‘rimossi’.

Tutto riapparve come fosse accaduto il giorno prima.

«La clonazione…»

Bisbigliò.

Non poteva essere. Non poteva averlo fatto. Eppure, lo sguardo ora quasi compassionevole di Diciotto, che per natura non donava compassione a nessuno, gli diede conferma di ciò che stava pensando.

«E’ una follia, lo so.» Si sentì dire da lei, che sollevò le spalle senza avere troppe parole per lui, per quell’assurda situazione. Ma il bello doveva ancora scoprirlo… o meglio, doveva ancora arrivarci. E sapeva che quell’uomo era talmente intelligente che presto ci sarebbe arrivato. Prima d’un battito di ciglia.

«Diciotto… cosa c’entra Hami in tutto questo?»

Appunto.

«A Hami è stato detto dal suo ragazzo.»

Silenzio. Solo un deglutire faticoso e impastato.

«E… e a lui chi l’avrebbe detto…?»

Le mani già tremavano di paura e di incredulità. E Trunks fu felice di avere Diciotto vicina, adesso.

«Suo nonno…» Gli rispose «Lars Aito.»

 

 

Nota dell’autrice
 

Eccoci qua. Anche oggi pubblico in anticipo. Arrivo alla domenica convinta di non riuscire a farlo, e invece mi anticipo. Adoro scrivere, detesto non riuscire a portarmi avanti come succedeva mesi fa, ma ce la sto mettendo tutta!

E vi ringrazio tanto per il vostro supporto, davvero… siete impagabili.

E ora veniamo a noi. Questo confronto Trunks-Diciotto qualcuno lo voleva violento. Forse avrebbe potuto esserlo, o forse no. Per me, dopo vent’anni di ‘suoceranza’, questi due si adorano… nonostante non si scambino moine o gesti affettuosi. Ma ve li ricordate ai tempi del Torneo? Quando Trunks insieme a Goten hanno ciulato il costume a Mighty Mask e hanno poi combattuto contro Diciotto?

Scusate… momento nostalgia! Sono molto malinconica e nostalgica in questo periodo, mea culpa.

E niente, per ora vi dico soltanto “a lunedì” pur sapendo che potrei saltare la pubblicazione da un momento all’altro. Ma ci provo, sempre ;-)

 

Un abbraccio

 

Sweetlove

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Capitolo 20
*** 19 ***


C R E E P
Capitolo 19

 

 

«Nina, perché non vai ad aiutare Kian?»

Nina si volse, imbronciata.

«Perché prima mi ha sporcata col gelato!»

Mai avrebbe aiutato quello scemo a riordinare la sua stanza! Sapeva bene fosse ‘la regola’, quella che ‘i grandi’ pretendevano venisse rispettata, e solitamente non obiettava, ma stavolta proprio no!

«Non l’ha fatto apposta!» Marron sospirò, rassegnata e anche un po’ intenerita. Kian, da quando era nato, era sempre stato il suo ‘prediletto’. Non perché a Yuno volesse meno bene, adorava entrambi i gemelli di Goten, ma il ‘ribelle’ aveva un’ascendente particolare su di lei. Non era mai riuscita a spiegarsi il perché.

«Sì invece!» La bimba, biondissima e dannatamente somigliante a sua nonna materna, pestò il piede sul parquet e questo risuonò pericolosamente. Quel quarto di sangue saiyan era e sarebbe rimasto sempre un pericolo, una mina vagante tra le sue piccole mani così come tra quelle dei fratelli e dei cugini.

«Tesoro, ascoltami…» La donna si inginocchiò di fronte a lei, le mise le mani sulle spalle lasciate scoperte da due misere bretelle di lino rosa. Stoffa pagata un occhio della testa da Bulma, regalo di compleanno in anticipo per la nipotina settenne. «Non perché lui è sempre dispettoso bisogna sempre pensare sia il colpevole.»

Tutti conoscevano la fama di Kian. Lui era il disastro, un incidente in attesa di verificarsi, il malfattore di turno. Quello che solo due settimane prima era stato sospeso in seconda elementare per aver chiuso a chiave nell’armadietto il povero supplente di educazione fisica.

«Ma io…» Nina provò a ribattere, perplessa. La mamma forse aveva ragione, forse per davvero quel gelato al cioccolato non le era stato lanciato addosso. Kian era inciampato nella pista delle macchinine e le era finito addosso. Perché sprecare un gelato? Eppure…

«Forza. Laveremo il tuo vestito non appena tornati a casa. Adesso dovete divertirvi, tutti insieme!»

Marron la fece voltare e la sospinse verso il centro della camera. Segno inequivocabile della sua volontà di vederli far pace e tornare in armonia. Come sempre.


 

Un lago di sudore.

Nina sobbalzò sotto le lenzuola gialle del suo letto, annaspando. D’istinto guardò verso la porta, come se davvero sua madre fosse lì, a sospingerla verso la cesta dei giochi, quella che non era più lì ma in cantina, o in soffitta… neanche lo ricordava.

Solo penombra.

Solo quel sogno.

Di lei, come sempre, non le era rimasto altro che il ricordo, oltre che il patrimonio genetico.

«Mamma…» Mormorò, riprendendo a respirare regolarmente e guardando ora distrattamente l’orologio. Le cinque del mattino. Orario perfetto per non riuscire più a riaddormentarsi… la sera prima aveva fatto tardi da Yuno, si era ripromessa di non spegnere la sveglia quando sarebbe suonata, e invece eccola lì, già sveglia e pronta ad affrontare la giornata con due belle occhiaie in mostra.

Da quanto non sognava sua madre? Troppo. Un’eternità. Le era capitato rarissime volte, ma mai in maniera così nitida. Si sfiorò la spalla, le sembrava come se davvero qualcuno, anzi proprio Marron, l’avesse sospinta nel sonno. Impossibile… ma le pareva quasi di sentire il suo odore. Quel profumo inconfondibile, che qualche volta, sadicamente, aveva ricercato nei suoi abiti, ancora sistemati alla perfezione nel suo armadio. L’aveva aperto, sentendo ogni volta una coltellata nel petto, e li aveva sfiorati appena mentre il suo odore la investiva e le permetteva di sentirla ancora una volta vicina, fisicamente presente, nonostante fosse ormai cenere dispersa in aria.

La sua mamma…

Si accorse di avere le lacrime agli occhi. Che fosse tutto lo schifo che la circondava ad averla stressata così tanto da trovarsi a fare quei sogni così vividi? Eppure adesso aveva quasi paura. Si sentiva come quando era piccola, quando si svegliava nel cuore della notte per un incubo e correva a rifugiarsi nel letto dei suoi. Faceva sempre la ‘forte’, Nina. Lei non era come Hami, dolce e sensibile… eppure, di notte sapeva diventare un agnellino. Come ora… avrebbe dato qualsiasi cosa pur di riavere la certezza di quel calore, lo stesso che infinite volte le aveva permesso di tranquillizzarsi e riaddormentarsi serenamente. Le mani di sua madre che l’accarezzavano, il braccio di suo padre che la cingeva. Tutto quello che le diceva ‘qui non può succederti niente’.

Avrebbe potuto svegliare Trunks… ma a che pro? L’avrebbe soltanto privato del sonno, e ne aveva infinito bisogno con tutte quelle preoccupazioni e i lutti che si susseguivano, uno dietro l’altro, spietati.

Nina sospirò, riadagiandosi sul cuscino. Fissò il soffitto, rimettendo in ordine i pensieri o perlomeno provandoci. Aveva sognato Marron, ma non solo. Aveva sognato lei, Kian… perché? Era un episodio realmente avvenuto, proprio in quella stanza, anni ed anni prima. Dov’era Yuno? Non lo ricordava, e in quel momento nemmeno le importava.

Nessuno stava aiutando Kian. Nessuno, ma Marron l’aveva spedita direttamente da lui… tra le sue braccia.

No. Non le sue braccia!

«Cosa cazzo vai a pensare, Nina?» Bisbigliò, scuotendo con forza il capo. Pensieri scemi, inutili! Era solo un sogno, o meglio un ricordo riapparso in sogno… non doveva dargli peso. Però…

Però Kian era solo. Kian era tornato, non aveva più amici, usciva soltanto per andare da suo padre. Aveva bisogno di qualcuno con cui divertirsi. Aveva bisogno di lei…

Yuno le stava sempre addosso. E non era un caso lo fosse dal giorno in cui suo fratello era tornato. E non era neanche difficile capire il perché, anche se apertamente non ne avevano mai parlato. Con Yuno, l’argomento Kian sembrava ormai tabù. Piuttosto, la sera prima il suo ragazzo le aveva chiesto una cosa importantissima. La più importante per la sua età.

Le aveva chiesto di fare l’amore con lui la prima volta.

Aveva sentito il cuore batterle forte, l’emozione era stata grande al pensiero di compiere quel passo. Eppure, dopo aver detto di sì, che presto sarebbe arrivato il loro momento e nel modo più magico, tornata a casa era rimasta a pensarci a lungo. Sentiva qualcosa di strano, come una forza che la tratteneva dal sentirsi libera di essere felice e impaziente per quella proposta, rivoltale con timidezza e quasi terrore.

Amava Yuno, ma si sentiva come in stand-by.

E tutto da quando Kian era riapparso nella sua… nella loro vita.

 


 

Trunks bussò di nuovo alla porta, senza ricevere risposta.

«Io apro…»

«Fà un po’ come vuoi.» Diciotto, lì accanto a braccia incrociate, lo fissava quasi sconsolata mentre tentava di parlare con Hami attraverso l’ingresso della sua stanza. Sembrava che quella ragazza si fosse chiusa in un mutismo che tutti ben conoscevano… era stato proprio suo padre, prima ancora di sapere di esserlo, a sbloccarla, anni e anni addietro.

«Hami, sto entrando!» La avvertì questo, prendendo un respiro prima di violare la privacy, la sacrosanta privacy, della primogenita. Con lei non c’era mai stato bisogno di aprire la porta con la forza, non si era mai segregata, piuttosto era quella in grado di sedare liti e malumori col dialogo. Stavolta, però, la situazione era davvero pesante e drammatica.

Non ci si ritrova fidanzati col proprio fratello non-biologico tutti i giorni. Nè si viene a sapere che questo è niente meno che un clone. E soprattutto non è comune che un padre ti tenga nascosta una verità così importante.

Trunks sapeva che si sarebbe sentito uno schifo nel momento in cui avrebbe incrociato lo sguardo di Hami, ma sapeva anche che era la cosa più preziosa al mondo e che mai avrebbe rinunciato a riconquistare la sua fiducia.

Ma non vide nulla. Il letto era disfatto, sulla sedia accostata allo scrittoio c’era una sua maglietta. La finestra era aperta.

Saiyan. Sangue alieno, sapeva volare.

«Merda…»

Il glicine imprecò. Non immaginava che proprio la sua figlia ‘perfetta’ sarebbe arrivata a scappare dalla finestra pur di non affrontarlo.

«Che succede?» Diciotto si fece avanti, entrò nella stanza e si guardò intorno, costatando, come il genero, l’assenza di sua nipote. E anche qualcos’altro. Allungò la mano, scostò il lenzuolo stropicciato, estrasse un biglietto adagiato su qualcosa di liscio e duro. Il cellulare.

«Trunks…» Le parve giusto darlo a lui, lasciare fosse il padre a leggere quel ‘messaggio’. E le dita quasi tremanti di Trunks le sottrassero quel pezzo di carta velocemente. Aprirono quel foglio piegato in quattro col fiato sospeso…

«Che vuol dire?!»

Fu Diciotto a spezzare per prima il silenzio glaciale, mentre il mezzosangue rileggeva quella frase, o meglio quelle due parole, per la decima volta.

“ N O N  C E R C A T E M I ”

E fu proprio in quel momento che Trunks capì che con la morte di sua madre, solo pochi giorni addietro, non aveva toccato il fondo. Quello era ancora molto lontano. Capì che nel baratro ci stava scivolando proprio ora, che la botola sotto i suoi piedi si era aperta il giorno in cui aveva intravisto quel giovane al cimitero, quando aveva avuto la sensazione di conoscerlo. E poi era stato distratto dal ritorno di Kian.

Fu un istante, e Trunks capì che nella sua vita non c’era più posto per la tranquillità. Non senza la forza che gli avrebbe dato Marron. E proprio per lei si sentì in colpa.

"Dov’è nostra figlia?".

 

 

Nota dell’autrice


Ce l’ho fatta anche oggi! Sul filo del rasoio, ma ci sono. Non potrò dire lo stesso la settimana prossima, perché come qualcuno sa non ci sarò, andrò a Lucca (dita incrociate per imprevisti e tempo!) e non avrò modo né di anticipare il capitolo nei prossimi giorni, né di pubblicarlo lunedì, per cui mi prendo due settimane di ‘ferie’. Mi faccio perdonare con questo capitolo carico di ‘Marron’. Mi manca tanto… vorrei davvero rubare qualche pezzo di trama all’autore di Beautiful e farla ‘tornare in scena’, ma sarebbe scontato.

Detto questo, vi lascio anche col fiato sospeso… dove sarà Hami? Vi lascio ipotizzare! E Nina, ha sognato la sua mamma. Cosa vorrà dire?

Io non posso che ringraziarvi come sempre per esserci. Siete spettacolari, e troppo buoni!

Mi congedo con un abbraccio per ognuno di voi!

 


Sweetlove

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** 20 ***


C R E E P
Capitolo 20

 


 

Non era stato difficile ritrovare quel posto. L’ultima volta che c’era stata aveva cinque anni, quando Marron l’aveva condotta in quella maestosa villa tenendola per mano, durante una lussuosa vacanza. Ora, nessun normale essere umano potrebbe mai ricordare il luogo esatto in cui è stato più di quindici anni prima, ma Hami non era normale. Non lo era mai stata, né geneticamente né mentalmente. Aveva un quarto di sangue alieno nelle vene, una forza che se sprigionata avrebbe fatto impallidire chiunque, e un’intelligenza da far paura anche al più illustre degli scienziati del globo. Essere l’erede diretta della mitica Bulma Brief di certo era fondamentale per il suo intelletto.

Un intelletto che nel momento peggiore della sua vita, secondo solo alla perdita dell’amata mamma, avrebbe potuto anche vacillare, cedere alla pressione degli ultimi eventi, al dolore che stava provando…

Le mancava. Da morire.

Se Marron fosse stata lì, forse, avrebbe trovato il modo di spiegarle tutto senza farle montare in corpo quell’astio nei confronti di suo padre. C’era riuscita già altre volte, in passato, quando la sua testolina di bimba, nonostante fosse cognitivamente più sviluppata dei coetanei, non le permetteva di pensare con la lucidità di un adulto. Eppure, adesso si sentiva di nuovo una cinquenne spaesata, arrabbiata e delusa.

Non sapeva spiegarsi perché Trunks, che da sempre era il suo universo, la sua roccia, le avesse tenuta nascosta una cosa tanto grande.

Lars era letteralmente il suo fratellastro…

Non appena l’aveva saputo era rimasta quasi composta, si era abbandonata alle lacrime, ma dopo qualche ora, realizzando la cosa, un conato di vomito le aveva impedito di respirare per qualche istante. Perché inevitabilmente aveva pensato che andarci a letto, come più volte era accaduto, equivaleva ad un incesto bello e buono.

Poi l’intelletto tornava ad affinarsi, a prendere il sopravvento sul panico, sulla sofferenza e sulla delusione, e le ricordava che quel giovane che tanto amava era suo fratello solo all’anagrafe. Anzi, nemmeno, perché… beh, era ancora difficile trovare un filo logico a tutto ciò che le era stato rivelato. Una clonazione, un neonato morto, un’inseminazione, suo padre Trunks sterile.

Come diavolo faceva ad essere sterile e ad aver avuto ben tre figli naturali?!

Innegabilmente era figlia sua… lo dimostravano le iridi identiche, il sorriso, il sangue saiyan e una coda che periodicamente le ricresceva. Era l’unica tra i suoi fratelli e cugini ad avere quell’appendice simbolo della razza d’origine.

Eppure, la voglia di scappare e di mandare a quel paese la razionalità aveva inesorabilmente prevalso. E alla fine, dopo ore trascorse nel letto a casa di nonna Diciotto a rimuginare su dove andare, l’illuminazione.

 


«Hami…?»

Sollevò il volto ancora segnato dalle lacrime. Era seduta accanto al feretro di sua madre ormai da ore, si sentiva intorpidita, annientata, vuota. In tanti avevano provato a confortarla, ma la sua testa sembrava altrove… col corpo era accanto ai suoi famigliari, accanto a suo padre, letteralmente distrutto, ma la sua anima era squarciata tanto da renderla un fantasma agli occhi di sé stessa.

Eppure, a quel richiamo giunto alle sue orecchie delicato e gentile, le fu impossibile resistere, non esserne catturata. Perché quella voce non le era estranea, né l’odore che l’aveva investita quando quella sagoma piuttosto gracile le si era parata davanti con rispetto.

Quello chignon che raccoglieva dei capelli che di castano avevano ormai ben poco, il volto dai tratti dolci e gentili, gli occhi profondi e velati di lacrime.

«Perdonami, Hami. Ti… ti ricordi di me?»

Quella donna, piuttosto anziana, le parlava con una dolcezza che nessuna delle due nonne aveva mai usato, e non per cattiveria, ma perché entrambe avevano caratteri a loro modo forti.

Nulla le era nuovo di quella persona, ma scosse debolmente la testa, come ipnotizzata.

«Certo che non ti ricordi…» La signora sorrise debolmente, sospirando «Eri così piccola quando ti ho vista l’ultima volta.»

Sì… era piccola. Ma l’aveva già vista, era sicuro.

«Io sono la signora Seiko, Hami. La tua mamma lavorava per me… tu sei nata in casa mia…»


 

Era buio. Era arrivata lì poco dopo l’ora di pranzo, con lo stomaco chiuso e l’aria spaurita. Aveva indugiato davanti al grande cancello, osservando la porta mentre il cuore prendeva a tamburellarle nel petto. Era decisamente troppo piccola quando era stata lì l’ultima volta… troppo piccola per emozionarsi, troppo vuota d’esperienze per provare quel magone, la vera assenza di Marron.

Tutto era tornato a galla, incredibilmente.

Si era rivista in quel cortile, a lanciare una palla arancione contro le siepi.

«Hami! Attenta! Rompi i fiori!»

La voce di Marron…

«Su, Marron, lasciala giocare in pace! Sono soltanto fiori!»

E quella della signora Seiko, sempre sorridente, sempre gentile. Una nonna quando non ne aveva neanche una accanto. Quando era una piccola illegittima, figlia di una ragazza madre.

Poi proprio lei, la signora Seiko, aveva aperto la porta e Hami era come tornata alla realtà, vedendo svanire dal giardino quella piccolina bionda e la sagoma esile di Marron. Di nuovo.

«Ha bisogno di qualcosa?»

L’anziana si era avvicinata sospettosa al cancello, pensando fosse l’ennesima mendicante di passaggio o peggio, ma non appena aveva incrociato lo sguardo azzurro di quella giovane il cuore le era quasi sussultato nel petto.

«Sei… sei tu, Hami?»

Tre anni erano passati dal funerale di Marron e da quando aveva rivisto e ancora una volta salutato quella ‘bimba’ dal ciuffetto biondo che non rivolgeva la parola a nessuno, ma la donna sapeva che mai avrebbe potuto dimenticare quegli occhi. Li avrebbe riconosciuti tra milioni.

«S-sì. Sono io signora Seiko…»


 

Trunks camminava nervosamente avanti e indietro maledicendo il giorno in cui aveva insegnato a sua figlia ad azzerare il suo ki. Non era servito a nulla tentare di rintracciarla per tutto il giorno, nè era stato utile dispiegare il suo ‘esercito’ per cercarla. Bra si era diretta al cimitero, Goten aveva setacciato l’intera Capsule Corporation, Nina aveva tentato inutilmente di contattare le amiche e le conoscenti di sua sorella e Vegeta… beh, lui era rincasato miracolosamente proprio quella mattina e già si era trovato a dover fronteggiare quel nuovo problema.

Perché Trunks, dopo aver chiamato a rapporto tutta la sua famiglia, non aveva potuto far altro che dare una spiegazione. E che spiegazione…

Soltanto Diciotto era rimasta impassibile, perché ormai già a conoscenza degli avvenimenti delle ultime ore, o del ventennio appena trascorso.

Il primo a proferire parola era stato proprio Goten.

«Ti hanno clonato un figlio e non ti hanno informato?» Aveva domandato allibito, mentre sua moglie, con la schiena appoggiata al muro e quasi ricurva dalla preoccupazione e dallo shock, ascoltava in silenzio. Lei, il funerale di quel tanto atteso primo nipotino, lo ricordava bene anche se era solo una ragazzina viziata e anche un po’ superficiale.

«Non era mio figlio Goten…»

«Ti hanno ingannato comunque, Trunks!»

Il Brief aveva preso a camminare avanti e indietro per l’ampio soggiorno di quella che era stata casa di sua madre e prima ancora dei suoi nonni. Anche a quello aveva pensato in un primo momento, ma il fatto che Hami fosse scappata aveva eclissato ogni altra cosa.

«Papà…»

Fu Nina, all’improvviso, a rompere un interminabile silenzio, riemergendo dal corridoio col cellulare in mano. Suo padre, con uno scatto del volto che gli fece ondeggiare i folti capelli glicine, le rivolse immediatamente lo sguardo.

«Credo che l’ultima persona da chiamare sia… sia proprio Lars.»

Lars.

Aveva ancora i brividi sentendolo nominare. Se prima era un ricordo sepolto, sommerso dalla vita meravigliosa che aveva avuto con Marron e i loro tre bambini, adesso gli sembrava di essere tornato al giorno freddo e buio in cui quel medico gli aveva detto che Lora era ancora sotto i ferri e che il bambino che aspettava era nato morto.

Un’altra vita…

Doveva affrontarlo prima o poi. Inutile continuare a pensarlo come un fantasma. Clone o non clone, quel ragazzo era lo stesso neonato che aveva sentito scalciare nel ventre della ex moglie. Lo stesso che Hami adesso amava.

Un incubo senza fine.

«Credo che avresti dovuto chiamarlo subito, Trunks.» S’intromise Bra. L’ipotesi più sensata, quasi un classico, era che Hami fosse scappata con lui. Era adulta e vaccinata, ma saperla sconvolta e lontana da casa aveva gettato tutti nel panico. Hami era un po’ la creatura di tutti, da sempre… doveva stare bene. Lo dovevano a Marron.

Trunks sospirò. Voleva che sua figlia tornasse, che almeno lo ascoltasse. Che tutto si chiarisse.

«Nina…» Disse, alzandosi e strofinandosi i palmi delle mani sulle ginocchia «Chiama Lars. Fallo finché non ti avrà risposto e…»

S’interruppe. Un suono acuto fece voltare tutti i presenti verso l’uscio. Il campanello.

«Grazie al cielo! E’ di sicuro Hami!»

Bra si precipitò ad aprire, ma proprio mentre appoggiava la mano sulla maniglia un pensiero si fece largo nella sua testa, distruggendo in principio ogni sua speranza.

Hami non avrebbe suonato.

Tuttavia proseguì nel compiere quel gesto, spalancando la porta e restando improvvisamente senza fiato. Come tanti anni prima, in quella sala d’aspetto.

 

 

Nota dell’autrice

 

Buona domenica a tutti!

Aggiorno in anticipo anche stavolta (anche se in ritardo di una settimana, ma già lo sapevate XD) perché ormai i giorni settimanali sono diventati un vero incubo per me. Oggi, in via di guarigione da un’influenza post Lucca, sono riuscita a scrivere un po’, per cui eccolo qui… spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento!

Chi sarà alla porta? (E’ facile, dai…).

E Hami, ve lo aspettavate che sarebbe andata a villa Seiko? (No, immagino… soprattutto i nuovi lettori!).

E niente. Io vi ringrazio tantissimo per le recensioni, e ringrazio anche chi legge restando in silenzio! Siete tutti spettacolari!

Mando un grosso abbraccio ad ognuno di voi!

Alla prossima settimana!

 

Sweetlove

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Capitolo 22
*** 21 ***


C R E E P
Capitolo 21

 

 

Per un istante sembrò che il tempo si fosse fermato. A Bra parve di udire il battito del proprio cuore riecheggiare nella stanza.

Quel giorno sembrava davvero infinito. Sembrava davvero incredibile, quasi un pesce d’aprile per quanto diventava sempre più assurdo di minuto in minuto.

Prima la fuga di Hami, poi il racconto di Trunks riguardo la motivazione… e adesso era faccia a faccia con quel giovane alto e dai capelli ramati. Suo nipote. Suo nipote? Non ci stava capendo più niente!

Si rivide ragazzina, quando alla vista del pancione di sua cognata si emozionava al pensiero che presto quel piccolino scalpitante l’avrebbe chiamata zia, nonostante la giovane età. Poi il dramma, la perdita del bambino, la malattia di Lora, il divorzio… e Marron.

Bra non si era mai soffermata a pensarci, a pensare che, col ritorno in scena di Marron, Lora aveva finito per dissolversi, quasi scomparire dal ricordo dell’intera famiglia Brief. Eppure era lì, o meglio suo figlio era lì… o meglio il clone. Oppure…

«Lei… lei è…»

La voce incerta del povero Lars la costrinse a tornare al presente, a ricordarsi che non era sola, che davanti aveva un essere umano in attesa di essere ‘interrogato’. E che corroso dall’ansia di tutto quel silenzio stava provando a parlarle.

«Scusa. Scusami…» Scosse appena la testa, come per aiutarsi a reagire «Sei Lars, vero?»

Lars deglutì, annuendo poco convinto. Sembrava spaurito, spaesato. Terrorizzato.

Bra sospirò e si sforzò di rivolgergli un sorriso. Che colpa aveva quel poveraccio, in fondo? Nonostante fosse sconvolta quanto lui nel vederselo di fronte.

«Sei venuto per Hami?» Gli domandò, come fosse la cosa più ovvia del mondo. Ricevette un assenso col capo, ancora una volta, e a Bra parve d’intravedere in quello sguardo già di suo malinconico l’ombra della delusione, ancor prima di dirgli che la ragazza non era lì, purtroppo.

«Non sapevo dove cercarla. Sono preoccupato…»

«Lo so. Lo siamo anche noi, purtroppo… speravamo fosse con te. Stavamo per chiamarti.»

«Cos-»

Si bloccò, Lars, quando vide comparire una persona alle spalle della donna dai capelli azzurri che gli aveva aperto la porta e gli stava parlando con gentilezza. Una gentilezza che il suo cognome gli faceva credere di non meritare, assieme alla vergogna che provava nel trovarsi lì, a casa degli ‘eterni rivali’, come li definiva suo nonno.

«Chi è, Bra?»

Era alto, con i capelli color lavanda, lo sguardo accigliato e tanto simile a quello di Hami. Ma lo conosceva già… tutti conoscevano Trunks Brief! Tutti, tranne lui. O meglio, non sapeva fosse suo padre, seppur non biologico. Non sapeva, Lars, che quell’uomo avrebbe potuto insegnargli a camminare, a calciare un pallone, ad andare in bicicletta… avrebbe potuto essere quello che non era stato.

Trunks non ebbe bisogno della risposta di sua sorella, poiché vide con i suoi occhi chi era alla porta. E per qualche istante perse la capacità di parlare.

 

 

«Io non voglio disturbarla, Signora…»

Hami appoggiò sul pregiato tavolino la tazza di finissima porcellana che una cameriera, probabilmente alle prime armi, le aveva servito. Il piattino coordinato tintinnò appena.

«Davvero, è stato un momento di confusione. Non so perché sono arrivata qui.» Si giustificò, con le mani ancora tremanti. Aveva varcato la soglia con la testa nel pallone, senza essersi ancora resa conto del gesto impulsivo appena compiuto.

Scappare di casa… una cosa che avrebbe fatto Nina, mai lei. Abbandonare tutto e tutti: i suoi fratelli, il lavoro, suo padre… Lars.

Suo padre e Lars.

«Tesoro, non è assolutamente un disturbo. Non sai quanto ho pensato alla tua mamma, da quando è volata in cielo.»

La signora Seiko era davvero invecchiata, ma sembrava non aver perso il vigore che la contraddistingueva. Di minuto in minuto, nella memoria di Hami riemergevano ricordi, più o meno nitidi, di lei in quella grande casa e con quella donna che spesso la portava a giocare in giardino mentre la mamma sbrigava le faccende. Ricordava dei fiori rossi, begonie. Ricordava una scatola di legno con dentro i cioccolatini, che quella simpatica ‘nonna’ le lasciava mangiare di nascosto. La favola di un coniglio giallo… il SUO coniglio, quello che non lasciava mai andare, nonostante la sua stoffa fosse sempre più logora e lercia.

«Piuttosto, ti vedo alquanto sconvolta Hami. Presumo questa non sia una visita di cortesia, per quanto mi faccia piacere rivederti.»

Sempre col sorriso, l’anziana si sistemò meglio sulla poltrona in velluto verde, senza smettere di fissare la giovane, che continuava ad essere palesemente a disagio.

«Beh… non proprio.»

«E’ successo qualcosa? Ai tuoi fratelli oppure a tuo padre?»

Hami sospirò.

«A dire il vero no. E’ che… ho scoperto delle cose. Riguardo mio padre, forse mia madre. Ma non so se lei sa darmi qualche risposta.» Per un istante le parve di togliersi un grosso macigno dal petto e di vedere in lontananza, molto molto lontana, la speranza riaccendersi.

«Tua madre venne qui che era già incinta, ma non ha mai detto nulla riguardo tuo padre. Mai, se non dopo che si sono rincontrati. Per cui se cerchi risposte relative al periodo precedente, purtroppo non posso aiutarti piccola.»

Incredibile come quella donna fosse stata in grado di risponderle malgrado la sua ‘domanda’ fosse stata così scarna di dettagli. E non era nemmeno una domanda, a dire il vero.

«M-mi spiace, signora Seiko se…»

«Nonna. Mi chiamavi nonna, non te lo ricordi più?»

Hami restò interdetta qualche istante. Sì, lo ricordava. Ricordava soprattutto l’aria contrariata di Trunks, quando quella volta, in vacanza, era andata con Marron a trovare ‘nonna Seiko’ e glielo aveva raccontato, definendola appunto ‘nonna’.

«Sì… ma ero piccola.»

«Non cambia. Hami…» La donna si alzò, con evidente fatica e le mani a massaggiare la povera schiena dolente. Si avvicinò a lei, seduta sul divano di fronte al suo, e tornò ad accomodarsi, prendendole ora una mano. Proprio come una nonna… o una madre, addirittura.

«Sei nata in questa casa. Ti ho presa in braccio che eri minuscola e sporca di sangue! Qualsiasi cosa ti stia turbando ora, voglio che tu sappia che questa è casa tua, per tutto il tempo che vuoi.»

Hami ascoltò quelle parole e il suo cuore prese a battere più forte. Al tempo stesso, fu inutile lottare con le lacrime che salirono a bagnarle gli occhi… perché voleva la sua mamma. Voleva Marron, adesso, e forse voleva addirittura tornassero ad essere in sue, sole, in quella città lontana.

Lì, dove non avrebbe mai potuto incontrare Lars e soffrire così tanto.

Dove nessuno l’avrebbe mai ingannata.

«Quando vorrai parlare di quello che ti è accaduto io sarò qui. Nel frattempo, hai davvero bisogno di riposare. Vieni…»

 

 

«Bra… credo sia il caso che io e il ragazzo parliamo da soli.»

Trunks si riscosse dopo qualche secondo di riflessione interiore. Aveva diverse possibilità: scappare. La peggiore. La più infantile, e anche la più inutile. Non era mai scappato in tutta la sua vita. Un’altra possibilità era mandar via quel ragazzo che lo guardava quasi terrorizzato, ma anche questo era da escludere. Perché farlo? Che colpa aveva, se non quella di aver fatto innamorare sua figlia e essersi innamorato di sua figlia?

Ultima possibilità: parlargli.

In fondo, se avesse saputo della sua esistenza, sarebbe mai stato capace di ignorarlo e rimandare quel confronto per una vita intera? Mai. Avrebbe trovato una soluzione, se lo sarebbe ripreso con ogni mezzo, perché era sicuro che anche Marron lo avrebbe appoggiato.

Avrebbe senz’altro rimediato alla follia commessa dagli Aito nei confronti di un povero bambino morto.

Il suo, ma non suo.

«Vuoi che andiamo via?» Bra glielo domandò quasi sottovoce, in vistoso imbarazzo.

«No. Andrò io altrove con Lars. Voi restate pure qui, e avvisatemi se Hami si fa viva.»

Trunks oltrepassò sua sorella, rivolgendole un’occhiata rassicurante prima di trovarsi a neanche venti centimetri da quello che avrebbe dovuto essere suo figlio. Gli parve di sentire una specie di scossa elettrica attraversargli la schiena, vertebra dopo vertebra, fino a morire nella nuca nel momento in cui l’ennesima sorpresa gli si palesò davanti.

«No…» Mormorò, sospirando e guardando il soffitto, mentre un Kian con la coda tra le gambe ma lo sguardo fiero di sempre gli si faceva sempre più vicino. Eppure, la prima cosa che Trunks pensò fu che non vederlo con le mani nelle tasche e la posa strafottente era davvero strano. Diverso. Pazzesco. E qualcosa nella mente, o meglio nella sua coscienza sconvolta, gli disse che quello, adesso, non era assolutamente un problema. Non doveva esserlo, perché ne aveva uno più grosso… proprio lì davanti.

«Kian, io credo che…» Bra venne interrotta dal gesto silente di Trunks, che sollevò semplicemente un braccio, stoppandola e lasciandola più che interdetta. Calò un altro silenzio, stavolta più breve dei precedenti, prima che il lilla si rivolgesse direttamente al ragazzo, che guardava ora lui, ora la matrigna.

«Kian, va pure dentro. E grazie per essere venuto.»

Gli sorrise, stanco, provato, ma sincero. E stavolta fu proprio Kian a restare spaesato, seppur per un breve momento, finché non vide Bra scansarsi dalla porta e fargli spazio per passare.

«G-Grazie Trunks. Volevo… ecco, volevo esserci. Per Hami.»

E lo sapeva. Trunks lo sapeva bene. Perché da sempre erano una grande famiglia, c’erano sempre stati gli uni per gli altri, e le cose non sarebbero mai cambiate.

Non gli disse altro, il Brief lo vide introdursi in casa e tornò a concentrarsi sul suo ‘obiettivo’, che era rimasto immobile, a tratti imbarazzato, nonostante della vicenda della ‘cognata’ sapesse solo qualcosa raccontatagli da Hami. La sua Hami… la LORO Hami.

«Andiamo.»

Apparentemente freddo, ma in realtà solo confuso e completamente svuotato di ogni capacità comunicativa, il saiyan oltrepassò Lars facendogli strada lungo il corridoio ampio e ben illuminato dell’immensa villa a cupola gialla. Buffo pensare che in altre circostanze quello stesso ragazzo avrebbe potuto anche chiamarla ‘casa’. Se le cose fossero andate diversamente…

Lars lo seguì, silente e rispettoso, nonostante il cuore tamburellasse nel petto senza ritegno, senza dargli modo di calmarsi. Finché Trunks non arrestò il passo davanti ad una pesante porta blindata, roba da cavèau della banca più ricca del mondo presumibilmente. Che vi fosse stipata tutta la sconfinata ricchezza della famiglia Brief, dentro quella stanza? Ne dubitava. Anche perché, ad un esame più attento e a sangue in via di raffreddamento ebbe la visuale completa della superficie di titanio e su di essa lesse l’incisione GRAVITY ROOM - stanza gravitazionale -  e allora capì che altri non poteva essere se non una specie di palestra. Ne ebbe la conferma quando Trunks, dopo aver digitato un codice con disinvoltura, aprì l’uscio, che sibilò anche in modo sinistro, e s’infilò per primo all’interno.

Pavimento in piastrelle rosse, pareti d’acciaio indistruttibile, macchinario iper tecnologico all’interno. Non poteva che essere opera della grande e neo-defunta Bulma Brief, tutto ciò.

«Wow…» Gli sfuggì dalle labbra. Era anche lui dedito alla scienza dacché ne aveva memoria, non era roba di tutti i giorni trovarsi in una stanza del genere.

«Mia madre.» Commentò piccolo il Brief, infilandosi le mani in tasca e facendo spallucce. Non v’era modo migliore per rompere il ghiaccio, in fondo, invocare Bulma anche soltanto nominandola. Lei avrebbe saputo cosa dire, magari in maniera poco opportuna, ma era maestra nel ‘sistemare’ le cose. Chissà cosa avrebbe detto, vivendo quella situazione.

Se n’era andata proprio nel momento peggiore.


 

Nota dell’autrice


Lo so. Sto andando per le lunghe. Mi perdonerete, ma ci sono tanti sentimenti e tante emozioni da far emergere, e la mia scelta di passare a capitoli più ‘compact’ non aiuta. Spero che comunque gradiate le mie scelte, e in caso contrario sentitevi liberissimi di dirmelo nei commenti, eh! Sono sempre aperta al confronto!

Vi aspettavate Lars, e ok. E Kian? Due in uno! Evvai!

So che non vedete l’ora di scoprire cosa si diranno Trunks e Lars e ancor di più Kian e Nina. Se si parleranno, chi più dirlo. Secondo voi?

Ebbene, io vi lascio, stavolta non promettendovi di riuscire a pubblicare lunedì. Ce la metterò tutta, ma chi mi conosce sa che sto passando un periodo piuttosto ‘agitato’ tra un nuovo lavoro e altro, per cui non mi va di fare promesse che forse non posso mantenere..

Intanto vi ringrazio tanto per tutto il sostegno che mi date, è davvero importante per me! Siete speciali!

Un abbraccio forte a ognuno di voi

 

Sweetlove

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Capitolo 23
*** 22 ***


C R E E P
Capitolo 22

 

 

Nina sollevò lo sguardo, puntato ormai sul linoleum tirato a lucido proprio quel mattino dai robot tuttofare. Non seppe dire se il cuore le mancò d’un battito per lo stupore o per altro quando vide Kian fare il suo ingresso nell’ampio soggiorno.

Lo conosceva abbastanza bene da notarne la cadenza quasi incerta, come fosse un topolino che si addentra nella tana di un serpente e deve farlo silenziosamente, poiché questo potrebbe accorgersi di lui e divorarlo da un momento all’altro.

La zia Bra comparve alle sue spalle, sembrava stupita quanto lei di quella visita inattesa, ma non preoccupata. Cosa diavolo stava succedendo? Tutti stavano cercando di tenerli a distanza, lo stesso Kian sembrava fosse diventato allergico alla sua presenza, e invece?

«Buonasera a tutti…»

La sua voce. Un brivido le percorse la schiena. Come dimenticare quel timbro inconfondibile? Era lo stesso di sempre ma con un tono leggermente più basso, più maturo. Adulto. E un’educazione che non gli era propria, dato che era famoso per i suoi modi poco aristocratici, quasi arroganti. Forse non lo sentiva dire ‘buonasera’ da dieci anni!

«Kian é venuto perché é preoccupato per Hami.»

Sempre Bra, che si trovò all’improvviso ad affiancarlo e a mettergli una mano sulla spalla con fare rassicurante e materno, prese la parola, probabilmente dopo aver incrociato lo sguardo di Goten e aver intravisto una sorta di panico nei suoi occhi neri.

«Spero di non disturbare.»

Kian era quasi remissivo, ma la sua testa restava alta. Quella non l’avrebbe mai abbassata, e Nina ne era certa. Di questa certezza mai nessuno l’avrebbe privata. Poi ricordò un piccolo particolare, seduto proprio sul divano. Yuno.

In automatico spostò lo sguardo su di lui, come per avere conferma del fatto fosse allarmato. E infatti le bastò meno di un istante per notare quanto fosse improvvisamente nervoso… eppure era suo fratello. 

Nina si rese conto di una cosa: era a casa di sua nonna, era lì per Hami, ma si sentì improvvisamente in colpa. In colpa perché sapeva che, se non fosse stata lì, nessuno avrebbe tremato vedendo arrivare Kian. Ma cosa poteva fare? Cos’altro se non stare buona, nel suo angolo, farsi ancora più piccola, cercare di sparire mentre uno ad uno gli altri iniziavano a conversare con quel ragazzone che aveva finto di non amare più?

Finto.

Aveva finto per gli altri, non per sé stessa. Aveva finto perché altro non le restava da fare, provando a riprendere in mano la sua vita prima che anche suo padre Trunks decidesse di rinchiuderla da qualche parte, un centro psichiatrico probabilmente. Aveva finto anche di essere innamorata di Yuno… o forse aveva creduto di esserlo, finchè Kian non era tornato soltanto pochi giorni prima?

Rivederlo l’aveva destabilizzata. Si era finta offesa, aveva letteralmente detto a Trunks di stare tranquillo… ma c’era davvero da stare tranquilli?

Effettivamente si. Kian era cambiato. Kian era un ragazzo recuperato da una realtà troppo violenta. Kian non voleva trascinarla con sé, era stata lei a volerlo seguire, stupidamente, anziché provare a raccoglierlo da terra. Era successo tutto nel periodo peggiore della sua vita, quando aveva perso sua madre, e adesso se ne stava rendendo conto.

La colpa, probabilmente, era stata sua… non aveva avuto la forza di reagire, di prenderlo per il bavero e implorarlo di non rovinare la sua vita, la loro vita… e poi aveva anche avuto il coraggio di incolparlo, di dirgli “mi hai abbandonata”, pur sapendo fosse accaduto l’esatto contrario.

Lei aveva abbandonato Kian al suo destino, prima ancora che Goten lo prendesse e lo rintanasse dall’ altra parte del mondo affinché diventasse irraggiungibile.

Lui il suo peccato l’aveva espliato, a lei restavano due anni passati a fingere, a irrigidire ancor di più il suo carattere. E adesso a far del male a Yuno, la persona che meno meritava tutto questo.

Se la sua testa stava camminando ed elaborando ciò che avrebbe dovuto venire a galla una marea di tempo prima, poteva significare soltanto una cosa: bastava la presenza di Kian nella stessa stanza per farle capire quanto la vita senza di lui non avesse senso. Come pensare di considerarlo semplicemente suo cognato? 

Mai. Piuttosto, nessuno dei due fratelli.

Nessuno dei due.

 

 

«Dunque, é il caso di fare una lunga chiacchierata Lars.»

Il giovane ebbe un momento di esitazione. Quello che avrebbe dovuto essere suo padre legittimo l’aveva appena chiamato per nome e in un modo così naturale da fargli accapponare la pelle. Non era nulla di strano, era il suo nome in fondo, ma quanto aveva sognato di sentirsi dire da qualcuno “Lars, figliolo, andiamo a casa!”?

Era qualcosa di magico, seppur assurdo allo stesso tempo. 

Ma quello era davvero suo padre?

No. Suo padre chissà chi era… era figlio di un ovulo di Lora Aito e di una provetta magari scongelata… non avrebbe mai saputo qualcosa in più del cromosoma Y che l’aveva generato. Anzi, che aveva generato l’essere umano dal quale era stato clonato…

Si mosse a disagio sui suoi stessi piedi, stranamente infilati nelle scarpe da ginnastica. Era ormai abituato a vestire di tutto punto, elegante, uomo d’affari pronto a sfondare. Una pedina nelle mani di suo nonno.

«Non essere agitato.»

Trunks Brief somigliava in maniera incredibile a Hami, nonostante avesse i tratti decisamente più spigolosi e l’aria imbronciata che, tuttavia, non gli incuteva timore. Anzi. Prova a una strana serenità in quel momento, malgrado l’assenza della sua donna gli pesasse in maniera incredibile.

Più volte aveva immaginato il momento in cui insieme si sarebbero recati a fare rispettiva conoscenza delle famiglie, magari un po’ agitati, emozionati. Lars aveva addirittura sognato il giorno in cui Hami l’avrebbe raggiunto all’altare sottobraccio a quell’uomo che adesso gli sorrideva incoraggiante, fin troppo comprensivo.

Sembrava assurdo. Era assurdo.

«Mi spiace essere piombato qui senza avvisare, signor Brief…»

«Passiamo al dunque. Immagino tu sia qui per mia figlia. Sai, stavamo giusto per contattarti. Pensavamo si fosse allontanata con te, ma vedo che non é così.»

Lars sbattè le palpebre un paio di volte, riconoscendo quanto quel pensiero fosse legittimo. La prima cosa a cui si pensa quando una ragazza scappa é la fuga d’amore. Ma non erano bambini, entrambi ricoprivano ruoli di risalto nelle rispettive compagnie, una cosa del genere sarebbe ben presto finita sui giornali! 

«Se me l’avesse chiesto, sicuramente le avrei detto di no. Ma conosco Hami quanto basta da sapere che in questo momento ha bisogno di stare sola.»

E per quanto gli mancasse, Lars sapeva bene fosse indispensabile per la sua ragazza elaborare le ultime notizie. Pesanti, scioccanti notizie. E l’amava così tanto da aver messo la propria sofferenza dopo quella di Hami… 

«Ma credo tu sia d’accordo con me sul voler sapere che sta bene.»

Trunks sciolse la sua posa, le braccia finirono lungo i fianchi.

«Ovviamente.» 

Si guardarono negli occhi per lunghi istanti. 

Il saiyan fece un respiro più lungo degli altri, domandandosi come riuscisse a sostenere quello sguardo dopo tutto ciò che era accaduto. Sapendo chi quel giovane fosse realmente. Si trovò a pensare a Lora, ai suoi occhi… occhi che un tempo aveva anche amato e che ora erano inconfondibilmente quelli di Lars.

«Somigli a tua madre…» 

Lo disse piano, quasi senza rendersene conto. Ed era vero… aveva anche tratti sconosciuti, ma Lora viveva in quel giovane più di quanto avesse mai potuto pensare, nonostante non l’avesse mai tenuto in braccio.

«Come…?»

Lars aveva sentito, ma volle sincerarsi di aver capito bene. Provò a farsi ripetere quella breve frase, ma vide Trunks riscuotersi, lo senti schiarirsi la voce e rimettersi dritto, quasi sull’attenti.

«Sei un Aito, Lars.» Gli disse, ora decisamente più duro «Nonostante il tuo cognome non dovrebbe essere mai associato a quello della mia famiglia, Hami non mi perdonerebbe mai se non vi lasciassi vivere la vostra vita in pace. Sempre che lei ne abbia ancor voglia…»

«Io non ho fatto nulla di male! Perché non dovrebbe volerlo?» Domandò allarmato il ragazzo, temendo il peggio.

«Sapevi tutto, Lars?» 

Se prima aveva avuto l’impressione che Trunks fosse sereno, lo vide ora farsi serio, una statua.

«No.»

Eppure, anche Lars trovò la forza di mostrarsi impassibile, perché era innocente, si sentiva innocente, e se avesse saputo quali erano i folli piani di suo nonno dal principio non si sarebbe mai prestato a tutto ciò. Ok, era un clone, ma aveva una vita, ce l’avevano le creature più assurde sulla faccia della terra, Hami stessa gli aveva detto che sua nonna era un cyborg. Perché considerarsi da meno? 

Aveva un cuore che batteva, sangue nelle vene, sentimenti… aveva tutto. Ma il suo tutto, ora, non si trovava.

«Voglio che Hami lo sappia. Voglio che sappia che del mio nome non me ne frega niente. Voglio stare con lei e non avere più niente a che fare con la mia famiglia. Mio nonno é un mostro…»

Lo disse stringendo i pugni e trattenendo a stento le lacrime. Si era chiesto fin troppo spesso se suo nonno lo amasse davvero, ma non poteva discutere l’amore di sua nonna… lei ne sarebbe morta, ma era stato una marionetta da quando quell’incubatrice artificiale l’aveva riconsegnato al mondo. 

Era giunto il momento di vivere la sua vita.

 

 

Nota dell’autrice

 

Eccomi qui! Come anticipato su Instagram, la settimana scorsa non sono riuscita ad aggiornare, avevo bisogno di un po’ di tempo e di svago che (finalmente) sono riuscita ad avere questo fine weekend. Mi sono ricaricata, per cui ecco qui il nuovo capitolo! Spero sia di vostro gradimento…

C’è una lunga riflessione di Nina, e credo vi aspettaste tutti questo “epilogo”, no?

Per quanto riguarda Trunks e Lars, la conversazione prende piede e anche le intenzioni del ragazzo. Voi avreste fatto la stessa scelta? 

Io vi ringrazio tantissimo, davvero, ma ci tengo a mettere le mani avanti e a dirvi che anche lunedì prossimo salterò, mi serve più tempo per la stesura dei capitoli, per cui ci si becca fra 2 settimane!

Un abbraccio forte

 

Sweetlove

 

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Capitolo 24
*** 23 ***


C R E E P
Capitolo 23

 

 

Hami era sparita ormai da tre giorni, senza dare alcuna notizia, né aumentare quel minimo necessario il suo ki, così da riuscire a farsi rintracciare. Zero.

Trunks aveva congedato tutti, dato che stare lì a rigirarsi i pollici in attesa non sarebbe servito a nulla. Ognuno, nel suo piccolo, aveva continuato nel proprio tentativo di mettersi in contatto con la giovane, invano. E nel frattempo, per quanto possibile, la vita stava andando avanti.

Diciotto si era ritirata nel suo appartamento, in completa solitudine. Quella storia l’aveva letteralmente sconvolta, anche se non l’avrebbe mai ammesso, e ora più che mai sentiva il vuoto lasciatole dalla perdita di Crillin. Un vuoto che aveva tentato di riempire con chiunque, giovani o più maturi, e che aveva finito per farle credere di essersi addirittura innamorata dell’attuale ‘toyboy’, che la trattava come una regina, la regina di ghiaccio che da sempre era. 

Ma non era così.

Quello che credeva amore era semplicemente un tentativo di portarsi in salvo, nella consapevolezza di dover, un giorno, auto infliggersi la morte per sfuggire al destino che un folle scienziato maniaco le aveva riservato, quello di veder morire, uno ad uno, tutti i suoi affetti, a partire da suo marito per proseguire poi con i nipoti, bis-nipoti e così via.

Cosa c’era di bello nella vita eterna?

Solo i sanguinari, i senza cuore, potevano ambire ad essa con tanta gola… anche Vegeta, un giorno, aveva desistito. Anche lui aveva capito quanto l’immortalità potesse essere un’arma a doppio taglio.

Diciotto era rimasta tre giorni lì, in camera da letto. Neanche aveva provato a pensare a dove potesse essere Hami. Inizialmente aveva rimproverato tutti per quell’atteggiamento oppressivo, dato che era ormai palese che quella ragazza avrebbe saputo cavarsela, sia grazie alla sua forza fisica, sia grazie alla sua intelligenza. Aveva bisogno di stare sola, era sempre stata un gatto selvatico in fondo.

Eppure, il suo cuore di nonna, e ancor più quello di madre, le impediva di essere serena.

Aveva promesso a Marron che sarebbe stata accanto ai suoi figli, che li avrebbe protetti e avrebbe vegliato su di loro… era giusto fingere di fregarsene, adesso?

Crillin, molto probabilmente, a casa neanche ci sarebbe rientrato se fosse stato lì. Sarebbe rimasto a cercare sua nipote senza mangiare, dormire, né avere pace. Era già successo, in fondo… era piccolissima quando era scappata di casa la prima volta, a tre anni. Tutti l’avevano creduta morta, invece Vegeta l’aveva riportata a casa sana e salva dopo una notte di ricerche.

Aveva sette vite, come i gatti.

Ne aveva passate tante nella vita la piccola Hami, la sua storia aveva dell’incredibile, come nessuno mai avrebbe creduto in quel suo quarto di sangue alieno nelle vene. 

Diciotto la ricordava minuscola tra le braccia di Marron. Aveva saputo che sua figlia era incinta quando già il suo ventre era evidente, ma che era una piccola saiyan, beh quello l’aveva appreso molto più tardi. 

 


«Me la tieni un momento?»

Si vide porgere quella creatura avvolta dalla sua copertina rosa. Diciotto rimase incerta sul da farsi per qualche secondo. Dopo Marron non aveva più tenuto alcun marmocchio tra le braccia, e soprattutto era ancora difficile, per lei, credere che la sua bambina aveva appena avuto una bambina.

«Non credo sia una buona idea.»

Era rigida, come sempre quando sentiva di dover dimostrare qualcosa. In quel momento sapeva che stringendo quella bambina l’avrebbe amata, e ad amare ancora una volta non era pronta. Non voleva esserlo.

«Mamma, devo andare in bagno…»

Marron la guardò quasi supplichevole. Crillin era andato a prenderle qualcosa di commestibile da mangiare, dato che i pasti dell’ospedale erano qualcosa di indicibile.

«Mettila nella culla! O vuoi dirmi che vuoi abituarla alle braccia?»

La giovane fece per protestare, ma dovette frenare la lingua. Non aveva tutti i torti, in fondo, sua madre. É così come le aveva detto, fece, per poi sparire nella toilette annessa alla camera in cui era stata ricoverata.

Diciotto rimase sola, ai piedi del letto. Prese a sistemare la vestaglia scivolata sul pavimento, la piegò in due, andò ad adagiarla sulla sedia, ma fece l’errore di dare un’occhiata all’interno della culla. Fu in quel momento che incrociò due occhioni inequivocabilmente azzurri, ma non come i suoi, come quelli di Marron. No. 

Erano di un azzurro intenso e non del tutto estraneo. Ed erano bellissimi…

Distolse lo sguardo. Si stava già innamorando. Non poteva. Non doveva.

Un cyborg non avrebbe dovuto neanche sposarsi e procreare! 

Poi un lamento. Non un pianto, solo un lamento… come se quella bimba volesse chiamarla. Assurdo, dato che probabilmente neanche riusciva a vederla avendo poche ore, ma Diciotto non poté fare a meno di guardarla ancora e di accorgersi di quanto sembrasse seria, pur essendo appena nata.

Una soldatina bionda affondata in una tutina fin troppo grande. Uno scricciolo indifeso, che qualcuno avrebbe dovuto proteggere. Ma ci sarebbe stata solo Marron a vegliare su di lei… e su Marron? Chi si sarebbe occupato di lei? Di loro? Così lontane da casa, in una casa che non era loro.

La sua mano si mosse, fuori dal suo controllo. Il cuore, quello prese a batterle forte nel petto mentre sfiorava una manina e mentre delle dita piccolissime si stringevano attorno al suo indice.

Ci era cascata. Con tutte le scarpe.


 

«Merda!»

Spalancò gli occhi nella penombra della sua camera da letto, sussultando. 

Diciotto sapeva dov’era Hami! Avrebbero dovuto immaginarlo tutti, ma chiunque aveva come rimosso quei suoi tre anni di vita nella Cittá Dell’Est, dato che quella parentesi, quello sbaglio commesso tanto da Marron quanto da Trunks, aveva fatto male a troppe persone. A Hami in primis.

Come aveva fatto, proprio lei, a non pensarci subito? Diciotto l’aveva portata via da quella villa di persona, la vigilia di Natale di ormai vent’anni prima, per condurla direttamente a casa di Bulma, senza sapere fosse la nonna paterna. Senza sapere che quella sera avrebbe consegnato al suo padre biologico la creatura che Marron gli aveva sottratto.

Per amore.

Perché Marron l’aveva fatto per lui, perché era sposato, perché aspettava un figlio da un altra. Aspettava un figlio da Lora Aito e mettersi tra loro non avrebbe portato a nulla di buono. Meglio sparire, ma non si può essere invisibili in eterno.

Villa Seiko era la chiave di volta di tutta quella storia, perché Hami adesso si sentiva come Marron. Si sentiva in colpa, sentiva di aver portato via all’uomo che amava la vita che gli spettava, un padre amorevole, il suo papà!

«Devo avvisare Trunks…»

Si alzò in piedi, facendo un paio di volte avanti e indietro, dalla porta al comodino, tastando poi il materasso alla ricerca del cellulare abbandonato lì chissà quando e ritrovandolo inesorabilmente spento. La prima cosa che le venne in mente fu pensare a come mettersi in contatto con Trunks per metterlo al corrente di quell’idea, che doveva ricordarselo, era solo un’idea, malgrado fosse più che convinta di trovare Hami a Villa Seiko.

Poi si fermò. Cambiò idea.

Perché Trunks si sarebbe precipitato lì e magari Hami non era pronta ad affrontarlo, ad affrontare quella situazione che altri non era se non quei maledetti tre anni mai realmente vissuti, lasciati in stand by non da lei, ma da Marron e dalla vita stessa.

Diciotto fece un respiro profondo. Prese biancheria e vestiti puliti e decise in primis di farsi una doccia. 

Sarebbe andata da sola da Hami, e avrebbe mantenuto la promessa fatta a Marron.


 

Trunks non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo fosse così innamorato di sua figlia, tanto da indurlo a chiamarlo ogni giorno per sapere se avesse qualche novità a riguardo. In verità lui stesso avrebbe voluto fare quelle telefonate, al contrario, perché pensava che Hami avrebbe cercato per primo Lars, ma entrambi, adesso, erano a bocca asciutta. In ansia, tremanti a ogni squillo e a ogni messaggio in arrivo. In attesa della stessa persona.

Dovevano avere pazienza. Hami stava bene, almeno fisicamente, di questo ne erano ormai certi, ma entrambi non vedevano l’ora di riabbracciarla. E tutti e due, ora, sentivano soltanto il bisogno di vederla, anche solo per l’ultima volta, e di sapere che stava bene, che sarebbe stata di nuovo felice.

Questo era l’amore.

Eppure, quella situazione così drammatica e quelle telefonate di apparente interesse, stavano in un certo senso avvicinando anche i due uomini.

Trunks stava a poco a poco imparando quanto quel giovane fosse diverso da suo nonno e, al tempo stesso, docile e delicato come Lora. Lo capiva dal modo in cui gli tremava la voce chiedendo di Hami, parlando di lei, di quanto gli mancasse sentirla.

Il Brief si rivedeva in lui, tanti anni prima. Quando Marron l’aveva obbligato a non cercarla più. Privarsi di lei era stato terribile, estenuante. Il cuore aveva sanguinato troppo a lungo per uscirne indenne, e soprattutto da solo. Quella ferita si era chiusa con gli anni e con la famiglia che aveva sempre desiderato, e soprattutto con Marron stessa.

Nel frattempo, Lars aveva sempre meno timore del Presidente della Capsule Corporation, e gli veniva sempre più naturale aprirsi, anche se poco e solo telefonicamente. Sentiva di potersi fidare, che quell’uomo non lo odiava come avrebbe dovuto, che forse era anche pentito delle scelte compiute, e soprattutto sapeva che era sincero nel dirgli che lo credeva realmente morto.

Morto.

La morte girava intorno a Trunks ormai da anni. Si era presa Marron, poi Bulma… e prima di loro altre persone. Aveva fatto i conti con la perdita dei cari fin da quando era bambino, quando Vegeta, dopo avergli chiesto scusa per essere stato un pessimo padre, si era autodistrutto nel tentativo di proteggere lui e Bulma, nonché la terra stessa.

Ci aveva pensato a lungo in quei giorni. Vegeta aveva pensato fosse troppo tardi, ma né suo figlio né sua moglie avevano esitato nel perdonarlo, una volta tornato in vita grazie alla bontá di un drago magico.

Trunks sapeva di aver sbagliato con Lars, pur senza volerlo. 

Aveva sbagliato sin da quando aveva acconsentito al suo concepimento in provetta. A quei tempi divideva già il letto con Marron, illudendosi fosse solo uno svago, un momento di evasione ottenuto con l’aiuto di un’amica. Alla fine era successo: Lars era stato generato da un ovulo di Lora e dallo spermatozoo di un donatore, e Hami era stata creata da un atto d’amore, contro ogni probabilità. Conferma che la sterilità é un’opinione, a volte, se non un errore.

Aveva continuato a sbagliare anche quando, costretto, aveva scelto di restare al fianco di sua moglie, di crescere quel bambino tanto desiderato e arrivato dopo così tanti tentativi.

E aveva sbagliato quando, negli anni, non era neanche più andato a trovare quel cucciolo al cimitero…

Aveva letteralmente dimenticato il piccolo Lars, credendolo morto, godendosi la sua vera famiglia, quella bramata e conquistata con sudore e fatica, dove c’era vero amore.

Ma Lars era lì, seppur grazie alla scienza. Continuare a ignorarlo impossibile.

Cosa fare, quindi?

Non era suo figlio, biologicamente parlando, ma non era tardi per provarci, per chiedergli scusa, per capire se lo desiderava ancora come padre, nonostante le implicazioni del caso.

Forse, l’allontanamento di Hami non si stava rivelando una tragedia, ma una possibilità. Come tanti anni prima?


 

Nina era immobile. Tremava come una foglia, ma al tempo stesso l’adrenalina in circolo la spingeva a non fermarsi, a volere sempre di più.

Inevitabile.

Inevitabile che quell’incontro si trasformasse in questo. Inevitabile cercare di controllarsi, di mantenersi.

Era stata lei a volerlo, a chiedergli di vedersi, di parlare, di non buttare alle ortiche quel rapporto unico e speciale che da sempre li univa. E sapeva cosa sarebbe successo… sarebbe successo esattamente quello che non avevano permesso che accadesse due anni prima.

Occhi negli occhi, cuore contro cuore, finalmente insieme.

E nonostante l’intenzione di rinunciare sia a lui che a Yuno, capì che senza Kian la sua vita non era niente e che piuttosto stavolta avrebbe rinunciato a tutto pur di non perderlo.

E fu così, con un grido strozzato, che scelse di essere sua e di nessun altro.


 

Nota dell’autrice
 

Buon pomeriggio e buon lunedì a tutti.

Sono qui a chiedervi scusa per il ritardo, chi mi segue su Instagram sa che ho avvisato della mia assenza perché ho avuto un periodo che dire orrendo é poco. E non è ancora finito, ma oggi avevo voglia di scrivere e così eccomi qui.

Ancora una volta non posso promettervi una data per il prossimo capitolo, é un momento duro e tutto sta passando in secondo piano, ma spero che lo sforzo per scrivere questo capitolo sia valso a qualcosa e che la piega che stanno prendendo gli eventi vi piaccia.
 

Ritroviamo Diciotto e le sue riflessioni. Un ricordo riesce a sbloccare la situazione. Avrà fatto bene a non avvertire Trunks?

E Trunks… che dite, cosa avrà intenzione di fare con Lars? E Lars?

E alla fine la bomba… Nina. Credo che nessuno di voi sia sconvolto più di tanto.
 

In tutto ciò vi ricordo che c’è molto di “Perché anche la neve puó essere calda” qui. Nostalgia… terribile nostalgia!


E niente. Io vi faccio tantissimi auguri di Buon Natale e buone feste in generale, dubito di riuscire ad aggiornare prima di gennaio, per cui un abbraccio fortissimo a tutti e grazie infinite per tutto il sostegno che mi date!

Per me è importantissimo, mi aiuta a sbarazzarmi dell’idea di mollare qui la storia!

Vi adoro

 

Sweetlove

 

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Capitolo 25
*** 24 ***



C R E E P
Capitolo 24

 

 

Nina aprí gli occhi nel buio della stanza. Inizialmente pensò di essere in un sogno, perché non poteva di certo essere vero… Non poteva di certo trovarsi con Kian ancora nuda sotto le lenzuola azzurre di quel letto troppo piccolo per due, ma non per loro. 

C’era silenzio, e doveva essere notte fonda poiché dalla finestra rimasta semi aperta i suoni della vita cittadina giunsero alle sue orecchie meno concitati, tipici del momento di tregua che auto, mezzi pubblici e caos generale lasciavano ai residenti dalle due alle cinque del mattino.

Non si mosse, semplicemente richiuse gli occhi mentre i sensi tornavano a far parte del suo essere e le confermavano che non si era trattato affatto di un sogno.

La pelle calda di Kian le faceva da materasso, il suo petto fattosi più possente di quel che ricordava e il calore che emanava l’avevano cullata e accompagnata dolcemente nel sonno. Il suo odore era rimasto lo stesso, unico e impossibile da confondere con quello di chiunque altro, anche del gemello in cui lei, scioccamente, aveva pensato di trovare un sostituto.

Forse anche meschinamente.

Ma un’adolescente che si affaccia all’età adulta, nel bel mezzo dei casini più inimmaginabili, tra lutti, dolore e incomprensioni, può realmente essere giudicata meschina solo per aver cercato conforto tra le braccia di un altro?

Questo l’avrebbe stabilito la vita, col tempo. O quando avrebbe dovuto affrontare Yuno per dirgli che, nonostante fosse stato l’amico migliore del mondo e, anche se per poco, il compagno che qualsiasi donna al mondo vorrebbe avere, l’aveva letteralmente ingannato, e adesso anche tradito.

Questo era innegabile e ingiustificabile.

Quel pensiero le fece accelerare non poco la frequenza cardiaca, più della paura di essere scoperti li, insieme, da Valese e suo marito Mick. O chissà, da Nori, la sorellina impicciona… o da Yuno stesso!

No, Yuno era rimasto da Goten, in attesa di notizie di Hami, per poter dare una mano in caso di bisogno.

Forse era questo a doverle causare un grosso, grossissimo senso di colpa. Il fatto che tutti erano in angoscia per le sorti di Hami e lei, invece, nel letto con la persona dalla quale, due anni prima, era stata allontanata con la forza. Una persona che aveva rischiato di farla scivolare nell’abisso. Una persona che lei amava ancora con tutte le sue forze e che, stavolta, nessuno le avrebbe portato via.

Era tanto immersa in quel fiume di pensieri da non rendersi conto che Kian si era svegliato, forse grazie ai sensi saiyan che l’avevano avvertito vi fosse qualcuno vigile molto, troppo vicino a lui.

«Tutto bene?»

Nina quasi sobbalzò. Non si era mosso, udì improvvisamente la sua voce nel buio, appena sopra la sua testa dai capelli biondi scompigliati.

Fece un respiro profondo. Andava tutto bene? Si. Decisamente si. Era felice, anche se il mondo si ostinava a soffocare quella gioia con tutti i sensi di colpa che ne derivavano. Ma che fosse un tradimento, uno sbaglio, qualcosa di sporco… non doveva importargliene, non adesso. Avrebbe avuto tempo per affrontare tutto.

Sorrise, sospirando.

«Sí… sei sveglio anche tu?»

«Apparentemente…»

Non sollevò lo sguardo, ma capì dal suo tono di voce che probabilmente aveva stampato in faccia quel sorriso sardonico che da quando erano bambini tanto la faceva incazzare, ma che l’aveva anche fatta innamorare. Chissà quando, precisamente…?

«Dovrei tornare a casa. Se mio padre si accorge che non ci sono…»

«Tuo padre sta pensando a Hami, adesso.»

«Dovrei pensarci anche io.»

«Anch’io, e l’ho fatto finchè ha avuto qualche utilità. Adesso non ne ha, e se tua sorella é andata via probabilmente non vuole essere trovata. Sappiamo bene che é molto improbabile le sia accaduto qualcosa di brutto, forte com’é.»

Nina sospirò ancora, assorbendo una ad una quelle parole. Da quando era così saggio? Aveva colto appieno tutto il senso di quella situazione.

Hami le mancava, avrebbe voluto chiederle come stava, dov’era. Sua sorella era parte di lei, la amava incondizionatamente, le doveva tanto, ma al tempo stesso voleva che finalmente vivesse la sua vita con quel pizzico di ribellione che la maturità le aveva sottratto.

Non che da bambina fosse problematica… delle due, era proprio Nina a creare i disastri più impensabili! Hami era l’angelo sceso dal cielo. La cocca di papá. Quel papá così legato a lei da farlo sembrare spaesato a causa di quell’allontanamento. E alla fine si era allontanata anche lei, nonostante fosse solo per qualche ora, di nascosto e per infilarsi in camera di Kian dalla finestra, senza dire una parola, per baciarlo fradicia di pioggia e fargli capire che quei due anni passati a tentare di dimenticarsi potevano benissimo essere buttati nel cesso. E che lo voleva come non aveva voluto mai nessuno.

Questo era accaduto, e ancora non se ne capacitava.

Sapeva soltanto che quei due giorni trascorsi a pensare da sola, chiusa nella sua stanza, l’avevano portata dove si trovava adesso. E il fatto che lui non l’avesse respinta dimostrava soltanto una cosa: aveva soltanto provato a mostrarsi scostante e menefreghista, forse per cercare di allontanarla e di non sporcarla ancora una volta, ma ciò che desiderava veramente era proprio che lei facesse il primo passo e che gli facesse capire quanto era ancora importante, che era ancora parte della sua vita, del suo cuore. Di tutto.

«Nina, devi tornare a casa. Non voglio che ti scoprano qui, con me.»

«Pensavo la stessa cosa…» A malincuore si scostó, allungando la mano alla ricerca di qualcuno degli indumenti lanciati qua e là solo poche ore prima. Trovò qualcosa di morbido, il maglione ancora umido, e se lo infilò senza preoccuparsi di rimettere il reggiseno. Quello l’avrebbe occultato lui quando l’avrebbe ritrovato.

«Nina…»

Si volse ancora verso di lui, scoprendolo ora in piedi, con addosso soltanto i boxer ma l’espressione più che seria, riconoscibile nonostante la penombra.

«Cosa?»

«Che intenzioni hai?»

Rimase con l’elastico per i capelli tra l’indice e il pollice e l’altra mano a sorreggere la coda che era pronta a farsi. Cosa voleva dire con quella domanda? Intenzioni?

«Ovvero?»

Sollevò un sopracciglio proseguendo nella sua operazione e finendo poi di riallacciarsi i jeans.

«Con Yuno. Glielo dirai?»

Il primo istinto fu di dire “certo!” ma improvvisamente si bloccò, mentre un brivido prendeva ad attraversarle la schiena. 

«Kian… perché me lo chiedi?»

«Perché non voglio far del male a nessuno, non più. E voglio sapere cosa vuoi fare con entrambi. Sei venuta a cercarmi tu, e presumo tu e lui non vi siate lasciati. O mi sbaglio?»

«Ovvio che ti ho cercato io! E non ho avuto il tempo materiale di lasciarlo, ma era già nei miei piani. I miei piani prevedevano di tenere a debita distanza tutti e due voi, ma come vedi non ho ancora imparato a frenarmi. E soprattutto dovevo capire se davvero ce l’avevi con me oppure hai semplicemente finto, quando ci siamo rivisti.»

Si accorse soltanto a frase conclusa che quello era davvero il loro primissimo dialogo dopo essersi rincontrati, perché davvero avevano fatto l’amore senza aver proferito parola, talmente affamati l’uno dell’altra e desiderosi di cogliere l’attimo, con Trunks fuori gioco e l’allerta “ritorno di Kian” rientrata.

«Perché avrei dovuto avercela con te, Nina?»

Kian si fece più vicino, accostandosi a lei. Non era mai stato un tipo romantico o espansivo, anzi. Aveva sempre avuto quell’aria da duro, da bulletto, a renderlo l’esatto opposto di suo fratello Yuno, e proprio per questo la giovane Brief si sentí spiazzata quando si ritrovò di nuovo col volto affondato nel suo petto, in un abbraccio che sapeva di quell’addio che non si erano mai realmente dati, anni prima. E sapeva di perdono, ma in quel momento nessuno dei due sapeva chi doveva chiedere scusa a chi.

Lui a lei, per averla trascinata con se quando la droga non gli permetteva più di ragionare?

Lei a lui, per non averlo portato in salvo?

«Perché hai iniziato a farlo, Kian?»

Quella domanda l’aveva tormentata per anni, di giorno e di notte, mentre piangeva o fingeva di sorridere, e avrebbe voluto farla a lui anziché alla stizzacervelli dalla quale Trunks l’aveva costretta ad andare. 

Nel tempo immaturo trascorso insieme non le era mai importato del perché… era troppo piccola e troppo stupida, esattamente come lui, per indagare sulla causa del declino di Kian. Ma adesso le cose erano diverse, erano cambiate, e non perché erano stati a letto insieme, ma perché finalmente ERANO insieme. E sapeva di dover costruire quel castello di carta in modo che nessuna folata di vento, stavolta, avrebbe potuto buttarlo giù.

«La droga colmava un vuoto…» La sua voce le giunse alle orecchie quasi incerta, tremante e carica di emozione. 

«E cosa ti mancava?»

Era famosa per quel suo modo diretto di esprimersi, quasi freddo e insensibile. Ma era in gioco, tanto valeva giocare.

«Niente. Avevo tutto. Due case, due famiglie, dei fratelli. Ma quello che mi mancava era l’equilibrio… e non ho mai saputo accettare il fatto che mio padre mi abbia abbandonato.»

«Abbandonato?!» Nina si staccò da lui quanto bastava da guardarlo negli occhi «Ma cosa dici? C’è sempre stato per te…»

«Si, ma prendere coscienza del fatto lui ci abbia lasciati soli, Nina… beh, quello mi ha devastato. A Yuno non ha fatto alcun effetto, lui ha saputo apprezzare quello che la vita ci ha poi riservato, non ha mai provato rancore. E nemmeno io… non per mio padre. Ma per me. Mi sono sentito…»

«Non abbastanza?»

Riuscì a far centro con quella semplice domanda. Riuscì a completare quella frase, quella confessione che da tempo stava aspettando. Qualcosa di apparentemente stupido e infantile, poiché i gemelli avevano un anno quando Goten aveva lasciato la loro madre per Bra, ma si era sempre mostrato un ottimo padre, presente e finalmente maturo. Ma i sentimenti di un bambino… beh, quelli vengono fuori anche da vecchi, e se mal gestiti possono portare esattamente dove alla fine era finito Kian.

All’inferno.

«Non abbastanza.»

Il giovane accompagnò quelle parole con un sospiro, come se finalmente si fosse liberato di un peso. Anche a lui erano servite settimane intere di terapia per arrivare alla conclusione di tutto, ma alla fine ce l’aveva fatta. E solo lui sapeva quanto Goten avesse pianto quando gliene aveva parlato. E aveva giurato a se stesso che mai a nessuno avrebbe detto di aver visto suo padre, il suo eroe, piangere. Un segreto che si portava dietro ormai da un anno…

«Kian, io…»

«Non voglio mai più metterti in pericolo, Nina. Non avrei mai dovuto farlo… io…»

«Quella era un’altra vita. Non parliamone più, ti prego… non mi metterai in pericolo, e io ti aiuterò in tutto da oggi in poi. Solo…»

Nina si fermò. Un groppo in gola le bloccò improvvisamente la voce mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

«Solo?» La incitò Kian, guardandola negli occhi e perdendocisi dentro come un tempo, ma in modo diverso, più intenso, non offuscato dagli stupefacenti. Era vero quello che provava, non erano allucinazioni, Nina era l’amore della sua vita anche ora che era pulito, soprattutto ora!

«Non lasciarmi più!».

 

 

Nota dell’autrice
 

Buon sabato a tutti e buone feste trascorse! Spero stiate tutti bene, io sono stata un po’ acciaccata tra tamponi, vaccino e raffreddori vari, ma ne sono venuta fuori trionfante 🤣 arrivare negativi all’epifania é stato difficilissimo!

Detto questo, vi lascio un capitolo tutto Kian e Nina… quello che aspettavate di più, tra l’altro, e spero si riesca a capire qualcosa in più su cosa é accaduto e soprattutto sulle origini dei problemi di lui. Aspetto di sapere cosa ne pensate.

In più, ho preso la decisione di tornare alle origini: non ci sarà più un appuntamento fisso, un po’ come avevo scritto nel primissimo capitolo. Non posso più rispettare scadenze, a volte non riesco a scrivere nulla e mi riduco all’ultimo e scrivere per ‘dovere’ non mi piace, per cui vi chiedo scusa, aggiornerò ogni volta che riuscirò a partorire un capitolo dignitoso e con la voglia di farlo, soprattutto!

Detto questo, io vi ringrazio infinitamente per il supporto che mi date! Siete speciali!

Vi abbraccio forte e vi auguro di trascorrere un anno meraviglioso💕.

 

Sweetlove

 

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Capitolo 26
*** Aggiornamento ***


BUONGIORNO A TUTTI!

No... non ho aggiornato e vi chiedo scusa per questo immenso ritardo. E' vero che avevo detto che non mi sarei piu' data scadenze, ma è anche vero che è passato tantissimo tempo e trovo doveroso farmi sentire. 
Il periodo non è dei migliori, l'ispirazione non c'è, il tempo scarseggia e il lavoro è durissimo. La scrittura è passata in ultimo posto e vi chiedo di perdonarmi per questo.
Ci sono diversi motivi che mi stanno allontanando da EFP, ma giuro che non lascerò la storia incompiuta, non l'ho fatto neanche per le precedenti long (spero non passino di nuovo 6 anni!) e non abbandono le storie che ho iniziato a leggere e recensire.
Spero abbiate voglia di portare un po' di pazienza. Sono settimane, e soprattutto giorni duri per alcune cose che mi sono successe. Non mi va di scrivere 'per forza', non sarebbe da me e la storia ne risentirebbe.

Per ora vi lascio con un abbraccio!

Ci si sente su whatsapp/instagram oppure qui, per chi volesse. Anche se in ritardo rispondo sempre!

 

Sweet

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