Writegust 2021

di Yurippe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vestito di pizzo ***
Capitolo 2: *** Bolle di sapone ***
Capitolo 3: *** Macchina da cucire ***
Capitolo 4: *** Segnalibro ***
Capitolo 5: *** 5. Cella ***



Capitolo 1
*** Vestito di pizzo ***


Personaggi: Jeanne e Serena;

Universo/Fandom: La diciottesima luna.

 

“Oooh accidenti, possibile che non ho nulla da mettere?”

Serena Perry sbuffò alquanto scocciata dalla situazione in cui si trovava, mentre osservava i tre abiti che aveva riposto nel grande letto a baldacchino di camera sua.

Quella sera, insieme ai suoi genitori Garry e Jeanne, sarebbe andata al ballo in maschera che si sarebbe tenuto presso il palazzo reale dei sovrani Vanitas e Ivy, fu dura convincere i suoi ad andarci ma alla fine avevano acconsentito, a patto che andasse con loro, che non si sarebbe mai allontanata e, cosa più importante, non si sarebbe mai avvicinata a Vanitas il re bambino, in quanto, a detta loro è molto pericoloso e lunatico, non si può mai sapere cosa gli giri per la testa.

Ora la giovane Perry si trovava alle prese con la scelta dell’abito da indossare alla festa a cui tanto aveva bramato andare, indosso aveva una vestaglia bianca e i lunghi capelli biondi erano tirati su disordinatamente con una pinza per capelli nera, mentre con i suoi grandi occhi blu osservava i tre capi, fonte della sua indecisione:

Il primo era un lungo abito da strega, nero e con le maniche rosse, con abbinato un capello nero a punta. Un abito bellissimo, nonché il suo preferito ma, era anche vero che lo aveva da quando aveva tredici anni e lo aveva indossato e rindossato alla nausea, tanto che quasi cadeva a pezzi e questo lo dimostravano la manica destra e l’orlo mezzi strappati che necessitavano di una riparazione in un tempo che non c’era, a parte il fatto che non era carino presentarsi a palazzo reale con un abito che cadeva a pezzi e poi... era ora di cambiare un po’!

Il secondo era un normale e lungo lenzuolo bianco da fantasma, con i buchi dagli occhi e con tanto di catenina da attaccare alla caviglia, Decisamente di cattivo gusto per un ballo così importante!

Infine il terzo… doveva essere ubriaca quando l’aveva comprato, non c’era altra spiegazione! Infatti quello era un travestimento da Harley Quinn, con maglietta cortissima. Pantaloni ancora più corti con tanto di parrucca a codini blu e rossi e mazza da baseball abbinati, decisamente il peggio del peggio!

A quel punto Serena venne presa da una crisi isterica.

“Aaaaa, non ho nulla di buono da mettere! Perché ho convinto i miei ad andarci? Farò una pessima figura davanti ai reali e…”

“E’ permesso?”

Una voce dolce arrivò alle orecchie della giovane, interrompendo i suoi pensieri e facendola girare verso la porta, da dove sbucava la testa bianca di sua madre, che la guardava con un sorriso dolce.

Serena a quel punto si calmò e sorridendo disse “certo mamma, entra pure”.

A quell’invito la signora Perry aprì completamente la porta, facendo la sua comparsa nella stanza della figlia con tra le mani una grande scatola bordeaux, che subito catturò l’attenzione della più giovane.

Ma, prima che potesse domandarle qualcosa sull’oggetto in questione alla ragazza prese un po’ di paura, sapeva che i suoi non ammettevano il disordine in camera e quello che c’era in quel momento lo era eccome!

Ma, prima che potesse cercare di spiegarne il motivo sua madre parve leggerle nel pensiero perché prese parola prima che potesse farlo lei.

“Tranquilla, non ti sgriderò per il caos appena lasciato, a patto che dopo rimetterai tutto apposto, ora pensiamo a cose più importanti: questo è per te”.

A quelle parole Serena spalancò la bocca, che la scatola contenesse qualcosa se lo immaginava ma mai avrebbe immaginato che era qualcosa per lei, infatti lo chiese, quasi per essere sicura di aver capito bene.

“P- per me?”

Sua madre ridacchiò leggermente alla sua sorpresa per poi rispondere.

“Certo, qui dentro troverai l’abito da indossare stasera, quindi ora apri e lo scoprirai…”

 

*

“Ma è bellissimo!”

Serena Perry iniziò a girare su se stessa davanti allo specchio con fare estasiato: il vestito che la madre le aveva regalato era un grazioso abito da dama, lungo fino a terra con un leggero strascico, di un bel colore rosa, le maniche erano corte, alla fine del vestito vi erano delle balze bianche di pizzo, come era di pizzo anche il colletto appena accennato e anche le maniche. Quell’abito era veramente grazioso e si intonava perfettamente alla sua carnagione pallida e ai capelli biondi.

Jeanne sorrise.

“Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto, e come previsto ti sta da dio. Ma ora siediti davanti allo specchio, così ti pettino e ti faccio una bella acconciatura”.

“Va bene”.

Così la giovane Perry fece, sistemandosi nella sedia davanti alla specchiera bianca, dove si poteva riflettere e così vedere come stava con l’acconciatura che la madre le avrebbe fatto.

Jeanne aveva appena iniziato a pettinarle i lunghi capelli quando Serena le fece una domanda totalmente inaspettata.

“Mamma… secondo te il re mi noterà?”

A sentire ciò poco ci mancava che la spazzola le cadesse dalle mani, così rimase qualche secondo in silenzio. Una volta ripresa dallo shock iniziale sorrise per poi rispondere “oh si che lo farà…e non solo lui, ma tutti i presenti…”

“E spero che tuo padre ti noti il meno possibile…”

Concluse infine tra sé e sé, riprendendo a pettinare la fanciulla. Con quei pensieri ella aveva appena rivelato una grande e shocckante verità: infatti Serena non era figlia sua e di suo marito Garry ma, di Vanitas e Ivy, i due sovrani.

Sedici anni fa quando la ragazza aveva solo pochi giorni vita, durante l’eclisse della luna blu, Vanitas tentò di ucciderla. Convinto che la piccola non fosse figlia sua ma di suo fratello Vincent.

Come mai questa convinzione? Beh, quel bastardo, che appunto rispondeva al nome di Vincent, aveva abusato sessualmente di sua moglie proprio nello stesso periodo di quando i due avevano concepito la bambina. La piccola era figlia sua infine ma, Vanitas non ci aveva creduto e tutt’oggi ne era convinto, complice anche i capelli biondi della ragazza, quando in realtà si trattava di pura e semplice genetica.

Dopo quel tentato omicidio Ivy, che amava la bambina sia che fosse stata di Vanitas o frutto della violenza, prese la triste decisione di affidarla agli zii Garry e Jeanne.

E ora…dopo sedici anni la famiglia Perry si ritrovava ad andare a una festa proprio nel luogo dove il tentato omicidio si era svolto.

Non aveva idea di come sarebbero andate le cose e come avrebbe reagito il re nel vederla ma a Jeanne poco importava, un minimo passo falso e lei e suo marito sarebbero intervenuti, avevano promesso di proteggerla non appena l’avevano presa con loro e sempre lo avrebbero fatto.

Ma mai immaginava come da quella sera tutto sarebbe cambiato…

 

 

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Capitolo 2
*** Bolle di sapone ***


Personaggi: Dean e Sebastian;

Universo/Fandom: Bloody Sunset.

 

Dean osservò il figlio Sebastian di soli cinque anni che se ne stava seduto sul tavolo della cucina, con la faccia appoggiata alle braccia, con fare annoiato e triste.

Annoiato perché non sapeva cosa fare e triste perché le mancava sua madre Jeanne. Ella era dovuta partire quella mattina stessa per Firenze, in viaggio di lavoro, per due settimane.

Inutili erano stati i tentativi di Dean di distrarre il piccolo che si rifiutava persino di mangiare, rifiutando addirittura il suo piatto preferito che il padre con tanto impegno e fatica gli aveva preparato, Sebastian aveva mangiato si e no due forchettate e poi aveva lasciato tutto sul piatto.

Dean ci pensò per un po’: Cosa mai poteva fare per rallegrare il figlio acquisito? Si, perché Sebastian non era davvero suo figlio.

Cinque anni fa Jeanne era stata violentata da Azazeal, il principe infernale, e da quella violenza era nato Sebastian. Fu difficile per la giovane donna accettare la gravidanza che portò comunque al termine, solo grazie al suo aiuto e a quello di Amara riuscì ad accettare il bambino, amarlo e crescerlo.

Dopo alcuni minuti di riflessione a Dean venne finalmente il lampo di genio: le bolle di sapone che aveva comprato il giorno prima dal tabacchino, proprio con l’idea di regalarle al figlio, ma che gli era poi passato di mente, beh, quello era sicuramente il momento giusto per tirarle fuori.

Così si rivolse subito a lui.

“Ehi Sebastian…”

“Si?”

“Ieri dal tabacchino ti ho preso un nuovo gioco, che ne dici di provarlo?”

Quelle parole parvero finalmente fare scaturire la curiosità del bambino, che tirò su la testa dalle braccia e annuì.

Allora Dean portò il figlio fuori, sul balcone, dove aveva lasciato l’oggetto d’interesse.

Così prese dal tavolino di legno il tubicino blu che era quello delle bolle, attirando così l’attenzione del bambino dai capelli neri, i cui occhi si fecero curiosi.

“Cos’è?” chiese.

“Queste, Sebastian, sono bolle di sapone. Guarda, ora apro… come vedi il tappo ha questi due buchi, uno grande e uno piccolo. Come vedi c’è del liquido intorno…bene, ora se io soffio piano faccio delle bolle…guarda”.

Così Dean fece, praticando la sua spiegazione e facendo una bella bolla tonda e media, che si librò poco dopo in cielo.

Il bambino era rimasto tutto il tempo in silenzio ma dai suoi occhi si poteva capire quanto era rimasto incantato dalla cosa, in quanto non staccava più lo sguardo dalla bolla, fin che non scomparve dalla loro vista.

Allora Dean gli passò il tubo che il bambino afferrò immediatamente.

Stette un sacco di tempo a fare un sacco di bolle di sapone grandi, medie, piccole, doppie, di tutto e di più, ridendo e facendogliele vedere, facendone anche tantissime alla volta, con Dean che osservò il bambino con un sorriso dolce, capendo di aver fatto un ottimo lavoro e di avergli risollevato il morale.

 

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Capitolo 3
*** Macchina da cucire ***


       Personaggi: Alice Williams e Kai Kuran;

Universo/Fandom: Vampiri.

 

“Aah, finalmente è arrivata!”

Alice Williams prese, tutta fiera, lo scatolone di cartone tra le mani per poi avviarsi in cucina, dove appoggiò il suddetto oggetto sul grande tavolo di legno.

Era felicissima, finalmente la sua nuova macchina da cucire era arrivata! Infatti, una settimana fa, quella vecchia che aveva da una vita si era rotta definitivamente e non c’era più alcuna possibilità di ripararla.

Così la giovane Williams aveva passato una settimana infernale dove le era toccato cucire tutto a mano, anche per i piccoli lavoretti. Ricordava le imprecazioni, il non riuscire a mettere il filo dentro l’ago al primo colpo perdendo un sacco di tempo solo per quello, le numerose volte in cui si era punta il dito, la volta che l’ago aveva trapassato la pelle del dito e soprattutto le notti insonni, in quanto cucire a mano richiedeva molto, ma molto più tempo rispetto a cucire con la macchina, finalmente avrebbe impiegato molto meno tempo con…

“Una macchina antica?”

Alice dovette sbattere gli occhi diverse volte per assicurarsi che quello che aveva visto era vero e non frutto di una visione assurda della sua mente. Infatti quella che aveva appena tirato fuori era si una macchina da cucire ma…dell’anteguerra! Tutta nera, con i pedali per farla funzionare e antica appunto!

Ella, due giorni fa, aveva praticamente ordinato, dopo essersi punta al punto da farsi uscire il sangue, a suo marito di ordinargliene subito un'altra e in fretta! In quanto non aveva alcuna intenzione di pungere ancora la sua delicata pelle con quei terribili aghi che parevano peggio di siringhe!

E lui? Se ne arrivava con una che minimo era dell’epoca della sua bisnonna, che storia era mai quella??

“Però…” rifflettè poco dopo la sposa Kuran “Kai è sempre molto attento e preciso nelle cose, quindi se me l’ha presa significa che è buona e io mi fido di lui, quindi mettiamoci all’opera!”

Detto quello Alice corse a prendere il suo abito nero che aveva intenzione di indossare al ballo che si sarebbe tenuto quella domenica presso il castello del Conte Dracula. Ello aveva bisogno di alcune aggiustature, quindi lo prese, sistemò l’aggeggio da lavoro sul tavolo e iniziò quindi a lavorare.

Ma...la macchina iniziò a dare problemi da subito.

Primo: non appena Alice posò l’ago della macchina sull’abito questo subito si staccò. Subito non ci fece caso, pensando che fosse dovuto al fatto che l’avesse poggiato male così lo sistemò e riprese quello che voleva fare.

Da lì il caos più totale.

Come Alice iniziò a pedalare l’ago cominciò a strappare l’abito, la ragazza dai lunghi capelli biondi tentò di fermare il tutto ma il macchinario pareva completamente impazzito, infatti l’ago continuò ad andare e prese a strappare completamente il vestito fino a staccarlo completamente in due.

A quel punto Alice si infuriò davvero, non solo quello scemo di suo marito aveva ordinato una macchina antica ma l’aveva scelta pure difettosa, ah appena sarebbe tornato a casa avrebbe visto!

Fece in tempo a pensare ciò che sentì la porta d’ingresso aprirsi, suo marito era appena rincasato.

Kai Kuran, dal canto suo, fece in tempo a mettere piede in cucina che subito si ritrovò la moglie addosso, che prendendolo per il colletto iniziò a urlargli addosso.

“Tuuu, razza d’incapace! non solo mi hai ordinato una macchina che non aveva nemmeno la mia bisnonna probabilmente ma me l’hai ordinata pure difettosa che mi ha rotto completamente il vestito, ora non ho niente da indossare per il ballo, vedi di rimediare sennò io ti rovinoooo!”

Il tutto scuotendolo violentemente avanti e indietro con foga.

Il più grande dei fratelli Kuran rischiò davvero un diavolo per capello al gesto della moglie, già aveva avuto un pomeriggio alquanto difficile in cui aveva dovuto salvare la nipote Serena dall’oblio in cui era imprigionata dopo essere caduta nel tranello dello spirito di turno e ora la moglie lo accoglieva così? Non esisteva proprio!

Per quanto il suo primo istinto gli diceva di tirarle un bello schiaffo in modo da farla rinsavire decise di optare per la scelta più diplomatica.

Così tirò un lungo respiro, le prese i polsi, poi guardò verso il tavolo e una volta contastato il tutto prese parola.

“Calma mogliettina mia, calma… dimmi una cosa: la macchina che tu hai usato è quella che sta sul tavolo?”

“Certo!”

“Bene... perché devi sapere che quella non è la macchina che io ti ho ordinato, quella era la vecchia macchina da cucire rotta di mia nonna, che è rimasta qui e che avevo messo qua all’ingresso per buttarla, la tua macchina da cucire arriverà domani!”

 

 

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Capitolo 4
*** Segnalibro ***


Personaggi: Serena e Raphael Klyne;

Universo/Fandom: Bloody Sunset.

 

“Accidenti!”

Serena Klyne gettò l’ennesima cartaccia che stava nel cassetto sotto la scrivania con fare assai scocciato. Aveva appena terminato di studiare scienze per la verifica della settimana dopo ma, siccome erano molte pagine quelle da studiare non aveva ancora terminato di farle tutte e non intendeva perdere il segno aveva pensato di segnare fin dov’era arrivata con qualcosa, in modo da poter riprendere il giorno dopo da dove era arrivata,

Ma…se camera sua fino a ieri era piena di roba per segnare i paragrafi ora non era più così. Non trovava niente, né un segnalibro, né un post it, nulla di nulla, spariti, volatilizzati, come se non ne avesse mai posseduto uno.

A quel punto alla ragazza prese il nervoso più assoluto.

“Aaaa! Ma è mai possibile che in questa casa quando serve qualcosa non la si trova mai? questo è assurdo, veramente as…”

“Che diamine succede qui?”

La voce innervosita e severa del padre fece sobbalzare completamente Serena, che si girò verso la porta, dove trovò suo padre Raphael appoggiato allo stipite che con una mano dentro alla tasca del camice, segno che era appena tornato dal turno di lavoro in ospedale, e l’altra lungo il fianco osservava con una faccia assai innervosita il caos che lei aveva creato alle sue spalle, dove si era creato un tappeto di cartacee, matite, penne, gommine e tante altre cose che non ricordava nemmeno fossero lì, segno che non metteva apposto quel cassetto da chissà quanto tempo.

A quello sguardo Serena deglutì, suo padre non ammetteva il disordine e quando succedeva che lasciava la camera in quello stato uno schiaffo non gli ello evitava nessuno.

La ragazza decise, nonostante la paura, di provare comunque a prendere parola, se aveva anche solo una minima possibilità di salvarsi tanto valeva tentarla no?

“Papà…ecco…io… posso spiegarti!”

“Ah si? Bene, spero che tu abbia una buona ragione per spiegare come mai dentro la tua camera pare ci sia appena stata l’apocalisse!”

Il tono dell’arcangelo dell’aria era assai severo, oltre che innervosito, cosa che fece capire alla nephlim di dover sperare di potersela cavare con poco, quindi, seppure con timore, riprese la parola.

“Vedi…io… ho appena finito di studiare e…siccome mi mancano ancora alcune pagine da studiare e non volendo perdere il segno mi sono messa a cercare qualcosa che mi potessi segnare dov’ero arrivata, così mi sono messa a cercare dentro il cassetto, ma siccome non riuscivo a trovare nulla ho iniziato a svuotarlo e… mi sono lasciata un po’ prendere la mano!”

Serena concluse il tutto ridacchiando leggermente, per poi portarsi una mano dietro la testa con fare imbarazzato, sperando di sciogliere così la tensione.

Ma l’effetto non fu affatto quello sperato.

Infatti Raphael tenendo sempre lo stesso sguardo si avvicinò piano a lei e una volta arrivatale a un metro di distanza la osservò, senza dire nulla.

“Papà?”

Chiese la ragazzina, alquanto preoccupata, senza osare togliere gli occhi da lui, gli stessi occhi azzurri, come anche lo sguardo, infatti Serena Klyne era la perfetta copia di suo padre, come anche per i capelli biondi, ma femmina e più giovane.

Raphael poco dopo iniziò a levare, lentamente, la mano che stava dentro la tasca del camice.

Serena convinta che da lì a poco le sarebbe arrivato uno degli schiaffi memorabili di suo padre chiuse gli occhi stringendoli, in modo da prepararsi, ma, quello che sentì non fu quello.

“Sei proprio un caso perso, disordinata come sei perderesti anche la testa se non l’avessi attaccata al collo, tieni! E vedi di non perdere anche questo!”

Serena aprì gli occhi alquanto stupita e appena vide ciò che suo padre le porgeva spalancò la bocca, quello che lui le stava porgendo era un segnalibro a forma di piuma bianca, con su legata una cordina marrone, semplicemente meraviglioso, potè giurare di non aver mai visto un segnalibro più bello.

Così la ragazza, davvero commossa dal gesto e dal regalo, si buttò tra le braccia del padre, per poi sussurrare “grazie…”

Raphael sorrise e ricambiò il suo abbraccio.

Serena Klyne non diventò mai del tutto ordinata ma una cosa fece: conservò il regalo come un tesoro prezioso, cosa che infatti per lei era. Lo usò sempre per lo studio e… forse coincidenza o forse no da allora i suoi voti migliorarono un sacco.

E quando non lo usava? Lo riponeva dentro una scatola di bambù. In quel modo non lo perse mai e lo conservò per sempre.

 

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Capitolo 5
*** 5. Cella ***


Prompt: Cella;

Universo: Bloody Sunset;

Personaggi, Gadeel, Michael e Oc.

“Non avere paura dei segnali, seguili…”

Queste erano le parole che Katherine, una delle sue migliori amiche, le aveva ripetuto un sacco di volte. Parole che in quel momento rimbombavano nella mente della giovane Christie.

Gli angeli, le creature alate vicino a dio, erano soliti a mandare segnali della loro presenza agli umani, ma, non tutti erano in grado di coglierli.

Christie era riuscita a coglierne ben tre. Ma non quelli di angeli comuni, bensì arcangeli: Raphael, l’arcangelo della guarigione e dell’aria, che aveva scoperto essere proprio il suo arcangelo custode, Michael quello del fuoco e spada di dio, e, infine, Uriel, il guardiano dell’inferno e possedente dell’elemento terra.

Mancavano Gabriel e Gabrielle all’appello, ma, ora, era un altro a cui doveva pensare: Gadeel, il suo angelo custode. Un ex angelo caduto, redento e passato alle legioni di Gabrielle.

Gadeel aveva già provato una volta a mandarle un segnale.

Era successo tramite sogno, dove le aveva fatto comparire l’immagine di un Voldemort animato e circondato da serpenti. Christie, però, si era spaventata ed era fuggita.

Solo parlandone con Katherine, che di angeli, demoni e di varie creature sovrannaturali se ne intendeva assai, aveva capito che lui era il suo custode.

Ma stavolta Christie non sarebbe scappata, se lui le avesse mandato un segnale, lei lo avrebbe seguito.

Nel sogno di quella notte si trovava nel giardino di una villa ottocentesca. Nonostante si trattasse di una villa antica la vecchiaia pareva non aver toccato il posto, infatti il prato era perfettamente colto e nemmeno l’abitazione, almeno dall’esterno, aveva un brutto aspetto.

Dopo un po’ Christie si rese conto di non essere sola in quel luogo. Infatti, a pochi metri da lei, raggomitolato su se stesso, stava un serpente.

A quella vista la ragazza aguzzò la vista, sapeva che il serpente era il simbolo di Gadeel, ma, il serpente bianco era quello di Astaroth, uno dei principi infernali. Se il pitone si fosse rivelato di quel colore se la sarebbe data a gambe, cercando di svegliarsi. Ma, per sua enorme fortuna, l’animale era grigio.

Quest’ultimo, forse avvertendo la sua presenza, alzò la testa per guardarla. Christie, pur sapendo che quel serpente non era cattivo, si tenne lontana.

Certo, lei che aveva la fobia dei serpenti ritrovarsi un angelo che aveva proprio quello come simbolo pareva una barzelletta, eppure era la realtà.

Il serpente la guardò per qualche secondo, per poi farle segno di seguirlo con la testa e, subito dopo, strisciare nell’erba, in direzione della villa.

La ragazza a quel punto, sempre tenendosi a distanza di sicurezza, iniziò a seguirlo.

La porta d’ingresso si aprì da sola, come per magia, e il pitone ci strisciò dentro.

Christie allora entrò, trovandosi davanti a un vuoto e angusto ingresso. C’erano varie porte chiuse e una rampa di scale che portava al piano di sopra.

L’unica luce che si vedeva in quell’edificio era quella proveniente da una stanza che stava davanti a lei, vicino alle scale. Fu lì che il serpente andò.

Christie, dal canto suo, decise di rimanere qualche secondo lì dov’era. Si sentiva un po’ agitata, sapeva cosa avrebbe trovato lì dentro, sapeva che non era nulla di cattivo ma… chi non sarebbe stato agitato nell’incontrare il proprio angelo custode?

Guardandosi intorno notò che alla sua destra stava uno specchio, dove potè ammirare il suo riflesso: quello di una ragazza di quasi trent’anni, alta un metro e settanta, un po’ in carne, dai capelli biondo scuro lunghi fino alle spalle e gli occhi color nocciola. Indosso aveva un pigiama invernale, a maniche lunghe azzurro con su un pinguino con il capellino del pigiama, di un azzurro più scuro.

“Proprio il look ideale per presentarsi a un angelo…” pensò ironicamente la ragazza. Ma, d’altronde, quello era il suo sogno e lei si era ritrovata esattamente con i vestiti con cui era andata a dormire, quindi…pazienza! Sperava solo che Gadeel non avrebbe badato a ciò.

Dopo quelli che dovevano essere almeno cinque minuti buoni, la ragazza si decise. “Ok…ora o mai più!” e tirando un bel respiro avanzò in avanti, fino a che non entrò nella stanza.

Una volta varcata la soglia una voce profonda e maschile le arrivò alle orecchie.

“Benvenuta”.

La prima cosa che Christie notò furono le scarpe da ginnastica blu e l’orlo dei pantaloni di jeans. Stava per alzare lo sguardo in modo da guardarlo negli occhi, ma, si ricordò di un'altra regola detta dalla sua amica: mai guardare in faccia un angelo, se lo avesse fatto avrebbe perso la vista.

Ricordando quelle parole, che tanto le mettevano ansia, chiuse gli occhi e portò il braccio davanti ad essi, così da avere una protezione in più.

Gadeel rise piano.

“Tranquilla, non diventerai ceca. Sono io che mi sto mostrando di mia spontanea volontà. Quindi guardami pure in faccia, in questo modo potremo parlare meglio, non trovi?”

Le parole dell’ex angelo caduto erano rassicuranti, talmente tanto da trasmettere la calma alla stessa ragazza che capì di potersi fidare di lui. Così tolse il braccio, aprì gli occhi e lo vide.

Gadeel stava seduto su una poltrona di pelle rossa, che dava le spalle a un caminetto acceso. Indossava un paio di scarpe da ginnastica blu, dei pantaloni di jeans sbiaditi e una felpa con cappuccio anch’essa blu. L’aspetto era di un giovane di massimo trentacinque anni, da capelli corti biondo scuro, quasi castani, e gli occhi di un bellissimo azzurro ghiaccio.

Christie rimase qualche secondo a bocca aperta, stupita. Poteva dire che quella era la prima volta che incontrava un angelo, e…beh, faceva il suo effetto.

“Tu…tu sei Gadeel?” chiese, ancora in preda alla meraviglia.

“In persona!” rispose l’interpellato, mettendosi in piedi e facendo un lieve inchino.

Dopo di che, si avvicinò a lei, lentamente.

“Non scappi, vero?” chiese, per esserne sicuro, ricordando il loro primo e unico incontro.

Christie scosse la testa “no...non più”.

A quelle parole il sorriso dell’ex angelo caduto si addolcì. Come se non aspettasse altro.

“Sono felice che tu sia pronta ad abituarti alla mia presenza. Mi dispiace averti spaventata mesi fa, riconosco che l’immagine sul computer non è stata proprio una genialata. Ma, è stata la prima cosa che mi è venuta in mente, ma…ormai è andata così, sono contento che tu non sia scappata nonostante la tua paura dei serpenti, e dire che questo animale è il mio simbolo…pff, la vita è proprio strana”.

A quell’ultima affermazione Gadeel ridacchiò, come essere alato sapeva bene che le coincidenze non esistevano, ma, riconosceva che spesso le cose erano proprio strane.

A quelle parole pure la ragazza dai capelli biondo scuro si lasciò sfuggire una piccola risata, per poi dire “in effetti è vero…”

Gadeel annui, per poi riprendere parola.

“Comunque…tu non hai idea di quanto è stata dura aspettare. Mi sembrava di essere in un enorme cella, con la chiave buttata via, senza alcuna possibilità di uscita, o di fare qualcosa, senza…potermi rivelare.”

Quelle parole fecero risentire molto Christie, mai avrebbe creduto che il non abituarsi subito al suo angelo custode avrebbe fatto stare così male quest’ultimo. Si risentì così tanto da sentirsi quasi in colpa. “Mi dispiace…” fu tutto quello che riuscì a dire.

Gadeel la guardò sorpreso per qualche secondo, per poi prendere parola.

“Scusa di che? Christie, non hai alcuna colpa. E’ normale avere paura di una cosa quando non la si conosce. Certo, sul momento mi è dispiaciuto, non lo nascondo, ma…Michael mi aveva rassicurato che un giorno saresti stata pronta ad accogliermi, proprio come hai fatto con lui e Raphael, e…finalmente questo giorno è giunto!”

Una volta dette quelle parole, l’angelo dal simbolo serpentesco accarezzò dolcemente la guancia della protetta.

Christie non disse e fece niente, non servivano parole o azioni per quel momento, era perfetto così com’era.

Quella carezza...era calda, ma piacevole al tempo stesso. Così tanto da portarla a chiudere un attimo gli occhi.

Aveva sempre creduto negli angeli e ora che aveva la prova della loro esistenza non poteva che esserne felice.

Ma, come tutti sanno, ogni sogno prima o poi aveva una fine. Infatti, la giovane fece in tempo a vedere due grandi ali azzurre spuntare dalla schiena del suo angelo custode, per scomparire poco dopo.

Gadeel non si preoccupò, la ragazza non era sparita chissà dove, semplicemente si era risvegliata. Era riuscito a farsi vedere, lei non lo temeva più, e andava bene così.

“Visto che ce l’hai fatta? Cosa ti avevo detto? Dovevi solo aspettare il momento giusto!”

A parlare era stato l’arcangelo Michael, che era comparso poco fa, seduto svogliatamente sulla poltrona dove prima stava seduto Gadeel.

Gadeel annuì.

“Si…avevi ragione, dovevo solo aspettare”.

 

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