In every possible universe di M a k o (/viewuser.php?uid=1152781)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angel/Demon!AU ***
Capitolo 2: *** Behind The Scenes!AU ***
Capitolo 3: *** Roommates!AU ***
Capitolo 4: *** Android!AU ***
Capitolo 5: *** Hospital!AU ***
Capitolo 6: *** Rockstar/Band!AU ***
Capitolo 7: *** Merpeople/Undersea!AU ***
Capitolo 1 *** Angel/Demon!AU ***
#1.Angel-Demon!AU
• Mesi fa ho pubblicato sul mio profilo facebook un'iniziativa chiamata AU Week, ovvero un tipo di AU diverso ogni giorno per sette giorni.
Ognuno era libero di scegliere non solo su quali personaggi e coppie
scrivere, ma anche di gestirsi il tempo come meglio credeva e poteva;
tanto per dirvi che io ho concluso le sette One Shot solo due settimane
fa per riuscire a pubblicarle giornalmente senza alcun impedimento.
Insomma, si tratta di una iniziativa molto tranquilla, nessuna scadenza
di consegna, nessun obbligo o impedimento riguardante cosa scrivere o
come sviluppare/interpretare i prompt, nulla di nulla.
• Alla fine la mia personale AU Week è diventata una Datastorm AU Week
e non poteva essere altrimenti – non ci posso fare niente, amo
troppo questa coppia –, quindi da oggi fino a questa domenica ci
sarà quotidianamente una nuova OS aggiunta a questa Raccolta.
Potete leggere le OS nell'ordine che più preferite, dato che non
hanno un filo conduttore a parte essere tutte AU e no, non vi sto
assolutamente facendo gli occhioni dolci per quando arriverà la
quarta storia che è la mia preferita, ma vi pare?
• Ho voluto cimentarmi con
alcuni Universi Alternativi sui quali non avevo mai scritto e
già questa prima One Shot ne è un esempio. In questo caso
si tratta semplicemente di una storia d'amore tra un demone e un angelo
come ne esistono a migliaia nel mondo, ma come prima volta è
stato interessante e divertente scrivere qualcosa a riguardo.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!
• Day 1: Angel/Demon!AU; Demon!Ryoken x Angel!Yusaku; POV Ryoken
• Rating: Arancione
• Generi: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale
• Note: Lime
• Note aggiuntive: il titolo della storia è ripreso dalla canzone “Guardian Angel” degli Abandon All Ships
This love never dies
1
Si erano trovati anche quella notte.
E si erano trovati solo e soltanto per una ragione: per annientarsi a vicenda.
2
Ryoken aveva percepito la presenza di Yusaku una volta
avvertita l'epidermide pizzicare. Ormai lo sapeva, era solo questione
di tempo
(forse solo qualche altro frammento di eternità)
prima di prendere fuoco e lasciarsi andare a un inferno che non aveva nulla a che vedere con la sua dimora naturale.
Gli esseri umani la chiamavano autocombustione; gli angeli e i demoni la chiamavano punizione divina. Ed era molto, molto, molto
peggio di una semplice autocombustione poiché non avveniva
all'improvviso e non stroncava una vita nel giro di pochi attimi,
bensì si palesava ogniqualvolta un angelo e un demone
decidevano, di loro spontanea volontà, di andare contro la loro
stessa natura, unendosi nella carne e lasciandosi andare al più
lascivo degli amplessi.
La punizione divina non li uccideva ma, in compenso, li marchiava. E un marchio, in certi casi, equivaleva a una condizione peggiore della morte stessa.
Nel momento in cui un angelo e un demone diventavano una
cosa sola, l'universo intero scagliava la propria iraconda punizione
divina per bilanciarsi.
(Le
viscere della Terra non avrebbero mai dovuto toccare il cielo e il
cielo non aveva motivo alcuno di posare il proprio sguardo sulle cupe
viscere della Terra).
Era una cosa talmente normale e semplice
da assimilare, che solo i più stupidi cadevano in un tranello
simile. Quantomeno, Ryoken era grato di non essere l'unico stupido ad
aver commesso una simile eresia.
(Dopotutto, i peccati spesso e volentieri si commettono in due).
Nel momento in cui raggiunse la sua meta, avvertì
ogni cellula del corpo infiammarsi e ustionarsi, realizzando
così di essere ormai vicino al proprio personale peccato – il più bello che avesse mai commesso.
3
Le labbra di Yusaku erano morbide come i petali di una
rosa blu appena sbocciata, ma i suoi denti erano in grado di mordere e
martoriare la carne come un migliaio di spine avvelenate.
Le sue mani avevano un tocco delicato come una carezza,
ma le sue unghie sapevano lacerare e graffiare al pari degli artigli di
una belva feroce, affamata e indomabile.
I suoi occhi erano verdi come il giardino dell'Eden, ma se ci si perdeva troppo
in quello sguardo si rischiava di sprofondare nelle viscere della
Terra, le stesse, sanguinose viscere da dove Ryoken emergeva
ogniqualvolta il desiderio di unirsi nuovamente al suo angelo si faceva
impetuoso e impellente.
La voce di Yusaku era una melodia soave, il sussurro
amorevole tipico degli angeli, ma quando si lasciava andare a fremiti
acuti e ansiti mal trattenuti, diventava irriconoscibile.
E ogni volta che Ryoken affondava in lui, ogni volta che si perdeva nel candore di quegli occhi
(distogliendo lo sguardo un attimo prima di ricadere malamente nelle viscere della Terra)
e di quelle ali immacolate, ogni volta che gli strappava
di bocca un gemito indecente, ogni volta che per lui e lui soltanto
sentiva la pelle andare a fuoco, non poteva fare a meno di domandarsi
se i ruoli in realtà non fossero stati invertiti per errore, se
in realtà Yusaku fosse il demone e lui l'angelo perdutamente
innamorato della creatura sbagliata – ma allo stesso tempo
così bella e giusta.
Le ali di Yusaku reincarnavano la prima neve dell'anno: così pure e così vive che una sola, soffice piuma sarebbe bastata a donare felicità e pace interiore all'intera umanità
(potevano ancora farlo ora che il corpo al quale erano attaccate aveva perso ogni traccia di innocenza?)
così belle e fragili come una schiera infinita di pregiati cristalli.
Le ali di Ryoken erano nere come una notte senza stelle
e incutevano timore solo a guardarle a causa dei riflessi rossi che
riverberavano a ogni più piccolo movimento. Erano talmente
macchiate e incrostate di sangue innocente che parevano la
reincarnazione di un sudario raccapricciante e maledetto.
Eppure, nel momento in cui diventava una cosa sola con
il suo angelo, si sentiva leggero come una singola piuma, si sentiva
svuotato di ogni macigno emotivo e poteva liberarsi, poteva sfogarsi e
recidere le catene della sua
(della loro)
condanna.
E allora il mondo diventava un posto migliore, almeno un
po', almeno per qualche ora sospirata a fatica in quella baita persa
tra le montagne, l'ultimo rifugio che avevano scelto per i loro
incontri segreti e passionali.
4
Yusaku gli aveva offerto il proprio corpo e la propria
anima anche quella notte. Lo aveva accolto dentro di sé, tra le
sue pareti calde e frementi, e Ryoken si era ustionato ancora una volta
l'epidermide e il cuore. E andava bene così.
I segni di ciò che stavano diventando quella
notte marchiavano senza sosta le loro pelli diafane, si riaprivano
squarci e si sfilacciavano nuove ferite che componevano il peccaminoso
mosaico di un amore che non poteva mai bearsi della luce del sole.
Erano tracce scarlatte e maledette che difficilmente si sarebbero
estinte nel giro di poche ore nonostante i loro incommensurabili poteri
curativi.
E nonostante fossero impossibili da vedere, le fiamme che avvolgevano i loro corpi impazienti ed eccitati erano palpabili ed erano talmente forti e impetuose che quella notte respirare normalmente fu alquanto arduo.
Ma riuscirono a perdersi ancora
(e ancora e ancora e ancora)
l'uno nell'altro.
E fecero l'amore infinite volte scandite
nell'immensità di un cielo fasullo adornato da stelle che con
ogni probabilità erano già morte da tempo.
Yusaku aveva deciso di maledirsi offrendo la propria innocenza a Ryoken; Ryoken aveva deciso di purificarsi appropriandosi della cosa più preziosa che Yusaku possedeva.
5
All'ennesima spinta decisa da parte del suo demone,
l'angelo lasciò evadere un urlo pregno di desiderio dalla gabbia
che erano le proprie labbra delicate. Infinite perle di sudore
tappezzavano i loro corpi ansanti, microscopiche gocce d'acqua che
nulla potevano contro il fuoco che divorava la loro epidermide e le
loro interiora.
Eppure, per l'ennesima volta ancora, loro erano felici.
Erano felici di trovarsi lì, in quel luogo dimenticato
dall'umanità intera, davanti un camino acceso, stesi su lenzuola
bianche, completamente esposti nella loro vera essenza.
Erano felici di condividere anima e cuore in
quell'amplesso considerato tanto empio, erano felici di amarsi e di
concedersi l'uno all'altro a ogni incontro che si faceva sempre
più sporadico a causa di lacerazioni e cicatrici che avevano
trovato nella loro carne ormai corrotta dal peccato la dimora perfetta
per proliferare e impiegavano sempre più tempo a guarire.
Ed era strano, era davvero tanto strano, perché
il loro amore era considerato tanto sbagliato, ma loro sentivano di
essere completamente guariti solo quando stavano insieme e solo quando
la loro unione faceva vibrare le loro corde vocali e le loro anime e i
loro cuori sanguinanti.
Quando il sacro e il profano trovavano il loro punto di incontro
(il loro personale e bellissimo incastro)
non c'era maledizione o punizione divina che potesse reggere il confronto.
6
(«E se questa fosse la nostra ultima volta?» aveva una
volta domandato Yusaku mentre Ryoken affondava in lui).
(«Allora mi pentirò solo di non averti fatto mio un'altra
infinità di notti» aveva risposto quest'ultimo catturando
le sue labbra in un bacio famelico e disperato).
7
«È strano, sai?»
gemette l'angelo mentre assecondava le spinte del demone, invitandolo
ad affondare ancora di più nella sua carne.
«Che cosa?» domandò Ryoken con voce roca, spezzata dal piacere.
«I tuoi occhi…»
proseguì Yusaku tra un ansito e l'altro, «sono azzurri.
Solitamente gli occhi di un demone sono rossi».
«Te ne sei accorto solo ora? Dopo secoli in cui ogni occasione è buona per fare l'amore nascosti chissà dove?»
«No, certo che no. Ma non ti ho mai detto di amarli. Sono meravigliosi».
«Cielo,
Yusaku…!» ringhiò Ryoken, prima di riversarsi in
lui. Ansimava pesantemente, con il corpo dell'angelo stretto a
sé in maniera quasi possessiva. «Non dirlo mai
più».
Un sorriso sornione increspò i delicati
lineamenti del volto di Yusaku. «Oh, bastano davvero poche parole
dolci per farti raggiungere la pace dei sensi? Stiamo perdendo colpi,
mio adorato demone».
«… taci».
L'angelo si lasciò sfuggire un risolino, mentre
Ryoken ora accompagnava ogni profondo respiro con una sfumatura di
frustrazione.
«Le fiamme ormai non le sento
più…» sussurrò poi Yusaku, cercando di
cambiare – per quanto poteva – il fulcro del discorso.
«Nemmeno io» rispose
Ryoken mentre usciva lentamente da lui, lasciando un vuoto immenso tra
i loro corpi ancora accaldati. Si stese al suo fianco, abbracciandolo
forte.
«Credi ci lasceranno mai in
pace? Le fiamme, intendo» chiese ancora Yusaku, poggiando il capo
sul suo petto.
«Ne dubito. Secondo l'universo intero è ciò che meritiamo
solo perché…» si bloccò, come se
un'entità sconosciuta e spaventosa gli avesse serrato le mani
attorno al collo.
«Solo perché ci amiamo»
concluse Yusaku al suo posto, sospirando affranto. Alzò lo
sguardo, guardandolo dritto negli occhi. «Perché io ti
amo… ti amo così tanto...» sussurrò con voce
incrinata, mentre gli occhi si velavano di lacrime.
«Ti amo anch'io. Non sarei qui
con te, altrimenti» rispose Ryoken, baciandogli la fronte.
«Qualunque cosa accadrà, sarò sempre con te, dalla
tua parte».
«E io dalla tua».
Yusaku si addormentò tra le sue braccia pochi
minuti dopo, con le lacrime ancora fresche sul volto. Ryoken
vegliò su di lui tutta la notte, sognando a occhi aperti la
prossima meta da vivere insieme al suo angelo.
Avrebbero continuato a nascondersi fino alla fine del mondo, ne erano entrambi consapevoli.
Ma anche una notte senza stelle, se la vivevano insieme, faceva meno paura.
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Capitolo 2 *** Behind The Scenes!AU ***
#2.Behind The Scenes!AU
•
Era da una vita che volevo scrivere una storia del genere e non nego
che è quel tipo di idea che mi è venuta in mente per ogni
Anime/Manga che ho amato, ma che non ho mai sviluppato fino a ora
– tralasciando il fatto che ho sempre pensato a eventuali long,
mentre qui è tutto condensato in una storia autoconclusiva.
• L'idea di base è molto semplice: Ryoken e Yusaku sono due attori, hanno ottenuto una parte per la serie TV VRAINS e tra una ripresa e l'altra si sono innamorati. La storia è ambientata durante una giornata di pausa dalle riprese.
Considerando che Yusaku
è un tipo molto chiuso e (paradossalmente) detesta stare al
centro dell'attenzione, è stato alquanto divertente scrivere dal
suo punto di vista.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!
• Day 2: Behind The Scenes!AU; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Fluff, Introspettivo, Sentimentale
• Note aggiuntive: il titolo della storia è ispirato a quello dell'omonima canzone dei Dead by April
Let the world
know
1
Yusaku era
teso. Glielo si leggeva nello sguardo e nella postura rigida e aveva
già maledetto se stesso un centinaio di volte, come minimo,
quella fresca mattina di metà primavera.
Lui, che per anni aveva studiato recitazione, si ritrovava a essere troppo se stesso nel momento meno opportuno fra tutti.
(La
gente lo osservava – per non dire fissava – troppo. Tutti
quegli occhi curiosi non facevano altro che accrescere il suo senso di
disagio, il quale aveva attecchito perfettamente nelle sue viscere,
piantandovi radici solide e resistenti, impossibili da divellere e che
gli avevano brutalmente chiuso la bocca dello stomaco).
Tentò
di concentrarsi sul cappuccino e la brioche che aveva ordinato, ma
invano. Quantomeno, a differenza sua Ryoken pareva tranquillo e a
proprio agio, sensazioni che Yusaku si impose di provare per non far
degenerare ulteriormente la propria condizione emotiva, anche se i
risultati non arrivavano neanche pregandoli in ginocchio, persi
chissà dove lungo la strada.
L'ultima cosa che desiderava era alimentare ancora di più le voci sul loro conto, soprattutto quello intimo e personale. Ma era un traguardo davvero difficile da raggiungere…
2
La serie TV VRAINS
aveva riscosso un enorme successo con la prima stagione, tanto che
già si parlava addirittura non di un solo rinnovo, bensì
anche di una terza stagione. Yusaku sperava solo che la trama non si
perdesse lungo la strada
(o peggio: che non andasse a fare compagnia alle sensazioni che in quel momento non riusciva a provare)
e che la
caratterizzazione dei personaggi non sfumasse nel nulla, come spesso
accadeva quando non si riusciva più a gestire tutto il successo
ottenuto in pochissimo tempo.
Playmaker e Revolver erano ormai diventati personaggi iconici, il pubblico ne voleva sempre più
e lui e Ryoken – ma anche tutto il resto del cast – chi
erano per non accontentarlo? Sperando sempre che tutto non sfociasse
nel nulla cosmico o in episodi talmente scialbi e strutturati solo per
allungare il brodo da non avere il benché minimo senso.
O forse Yusaku era talmente apprensivo nei confronti delle sorti di VRAINS
in quanto quella serie TV aveva sancito il suo esordio ufficiale nel
mondo dello spettacolo e, di conseguenza, l'avrebbe sempre guardata con
occhio un po' innamorato.
A differenza
sua, Ryoken viveva in quella giungla colma di ostacoli già da diverso
tempo: oltre ad aver preso parte ad alcuni film e pubblicità,
era anche un modello, e spesso il suo volto – ma anche il suo
fisico aitante – era impresso nelle copertine di innumerevoli
riviste e giornali – e chissà quante copie circolavano
ogni volta.
(Yusaku non era geloso. Assolutamente no).
Inoltre, era
anche molto attivo sui social, a differenza di Yusaku che cercava di
esternare sempre il giusto della propria persona e della propria vita
privata senza mai sbilanciarsi. Non che Ryoken fosse uno di quelli che
aggiornava i followers di ogni minima cosa, anche la più futile,
ma di certo sapeva far parlare di sé e intrattenere il proprio
pubblico anche al di fuori di una parte preimpostata all'interno di una
serie TV, di una pubblicità o di un film. Yusaku ammirava
(e forse un po' anche invidiava)
il modo in cui Ryoken riusciva sempre a instaurare un rapporto con i suoi fans anche attraverso uno schermo.
A Yusaku non era mai piaciuto apparire, il che era un abnorme paradosso, dato che in VRAINS
non ricopriva nemmeno un ruolo minore, bensì quello del
protagonista. Ed essere il protagonista di una serie tanto fortunata
(avrebbe dovuto immaginarlo nonostante la sua immensa ingenuità)
implicava che la gente si interessasse non solo al personaggio, ma anche alla persona.
Da quel
punto di vista Yusaku non aveva molto da offrire: era un ragazzo come
tanti che al di fuori delle telecamere conduceva una vita tranquilla,
niente di più, niente di meno. Aveva notato, però, che da
quando aveva intrapreso una relazione con Ryoken le sue giornate erano
drasticamente mutate, divenendo a tratti irriconoscibili, miraggi
sbiaditi di ciò che erano state un tempo non poi così
tanto lontano.
Il concetto di privacy pareva quasi essersi dissolto nel nulla in un concerto di mille bolle di sapone: la gente era avida di sapere cosa facesse e dove si trovasse ogniqualvolta non presenziava sul set. Erano tutti ingordi e la loro fame di costanti news dell'ultimo minuto non conosceva limiti.
Tra alcuni
fans fin troppo esagitati che spesso e volentieri si scontravano con
gli haters, c'era però una categoria a parte che, purtroppo,
spiccava particolarmente su tutte: i paparazzi.
E se la
gente continuava ad alimentare la sua instancabile fame di news
dell'ultimo minuto, lo doveva soprattutto ai paparazzi, ai quali
bastava anche solo una foto sfocata o a bassissima risoluzione per
divulgare in rete notizie prive di alcun fondamento e che creavano solo
scompiglio, sollevando polveroni tossici e cancerogeni e irrespirabili.
Yusaku
fortunatamente non aveva mai vissuto simili esperienze in prima
persona, ma sapeva quanto i paparazzi fossero imprevedibili e a tratti
maligni ed era ormai da tempo che lui e Ryoken erano costantemente
fotografati a loro insaputa. Nulla di compromettente, ma che andava
comunque a imbrattare ogni momento tranquillo trascorso in compagnia
con l'inchiostro indelebile dell'invadenza.
Yusaku sentiva che c'era qualcuno, lì in mezzo, pronto a tirare fuori la fotocamera una volta abbassata la guardia; sapeva
che le persone sedute ai tavoli attorno a loro li avevano riconosciuti
e che ormai mancava poco all'imminente palesarsi di qualche fan che
desiderava un autografo o una foto da pubblicare sui social; afferrava ogni più piccolo brusio di sottofondo, perché la gente aveva un incessante bisogno di parlare di chiunque e lui e Ryoken erano talmente esposti che per un attimo si domandò perché mai avesse deciso di intraprendere la carriera da attore.
Forse era
uno stress, sia fisico che emotivo, che non faceva per lui. Non era
come Ryoken che riusciva sempre a cadere in piedi, lui spesso
inciampava e restava lì a terra, con le ginocchia sbucciate e
una voglia immensa di piangere e chiudersi a riccio sotto le coperte
calde.
Non aveva
nulla di cui giustificarsi, perché in fin dei conti era
semplicemente se stesso, eppure era arrivato a sentirsi in colpa per
tutto quello che stava capitando. E poi…
(«A cosa stai pensando?»)
3
Tutto il
flusso dei suoi pensieri si sciolse come neve baciata dall'ustionante
calore del sole. Ryoken lo stava chiamando e Yusaku si domandò
da quanti minuti stesse facendo scena muta. Forse lo aveva fatto
preoccupare.
Yusaku si
rese conto, mentre sbatteva diverse volte le palpebre, che con ogni
probabilità il suo cappuccino si era ormai raffreddato.
«Niente di che… mi sento solo osservato, ma forse sto
lavorando troppo con la fantasia» rispose infine, facendo
spallucce – e mentendo in maniera a dir poco pessima.
«Non ti senti ancora tanto sicuro a uscire di casa?» gli domandò Ryoken a bruciapelo.
Yusaku sussultò, ormai impossibilitato a nascondersi.
(Con Ryoken, poi, gli era sempre impossibile).
(Ryoken era come il boss finale dell'immenso groviglio di livelli della
sua emotività: troppo forte per essere battuto).
Si morse il labbro inferiore, palesando tutto il suo disagio mentre tornava a osservare il cappuccino.
«Ehi». La voce di Ryoken lo ancorò nuovamente alla
solida realtà. E Yusaku sussultò una seconda volta nel
momento in cui avvertì la mano del suo ragazzo poggiarsi
candidamente sulla sua.
«Non badare a quello che dicono e ovunque
lo dicano» proseguì con voce morbida. «Quello che
succede dietro le quinte appartiene a noi e a noi soltanto».
Strinse un po' più forte la sua mano e Yusaku si lasciò cullare da quel tocco gentile.
«E poi…» aggiunse Ryoken con una punta di malizia
nello sguardo, «se sapessero tutto, ma proprio tutto di quello che succede dietro le quinte, fidati che sarebbero mille volte più scatenati».
«R-Ryoken!» esclamò Yusaku, paonazzo. Avrebbe voluto
coprirsi il viso con entrambe le mani, ma la presa del suo compagno era
alquanto salda.
«Però hai ragione» disse poi, quando si
quietò. «E poi la nostra relazione sta… sta andando
bene, no?» chiese, una lieve nota di apprensione che imbrattava
il suo tono di voce.
Lo sapeva, in realtà. Sapeva che nonostante quanto accadesse ogni giorno, tutto, tra di loro, stava procedendo a gonfie vele. Ma necessitava comunque di sentirselo dire.
«Sì» confermò Ryoken, sorridendo. «Sta andando alla grande».
E allora andava bene così. Non aveva bisogno di sapere altro.
Che il mondo sapesse pure e parlasse pure.
Tanto loro erano felici insieme. E lo erano ancora di più quando potevano esprimersi senza seguire un copione. Sempre e comunque.
|
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Capitolo 3 *** Roommates!AU ***
#03.Roommates!AU
• Questa
One Shot è… strana.
In tutta onestà non so nemmeno io cosa avessi in mente
quando
l'ho scritta, avevo un'idea di base che sì, ho sviluppato,
ma
che anche dopo diverse riletture credo sia davvero strana
– ma che comunque mi soddisfa.
Questo
perché penso che troverete un sacco di cose esagerate,
all'interno di questa OS, soprattutto i pensieri di Yusaku nei
confronti di Ryoken.
•
Più nello
specifico, ci tengo a precisare (e non è uno spoiler in
quanto
già nella prima frase sarà scritto) che Yusaku in
questa
storia è ubriaco, quindi ho provato a immedesimarmi un po' e
tentare di conseguenza a elevare
i suoi pensieri a qualcosa che possa risultare un po' assurdo. Spero di
essere riuscita nel mio intento.
Vi
lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!
• Day 3: Roommates!AU; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Commedia (o almeno credo),
Fluff, Introspettivo
• Note aggiuntive:
il titolo della storia
è palesemente ispirato alla canzone “I Kissed a
Girl” di Katy Perry
I
kissed my roommate
and
I liked it
1
Yusaku
era
ubriaco, anche se in realtà non se ne rendeva conto.
Avvertiva
soltanto un forte calore invadergli ogni muscolo del corpo e la gola,
la vista si era fatta brumosa e i pensieri gli vorticavano
incessantemente nella testa senza dargli tregua.
Non
aveva bevuto
neanche chissà quanto, a dirla tutta; semplicemente, non
riusciva a reggere l'alcol – e con ogni
probabilità,
quella sarebbe stata la prima e ultima volta in cui un esame
universitario superato lo festeggiava in quel modo.
L'idea,
per di più, non era stata nemmeno sua: si era lasciato
convincere
(o meglio ancora:
trascinare di peso)
da
alcuni suoi
compagni di corso che quantomeno si erano poi premurati di
riaccompagnarlo all'appartamento che condivideva con… Ryoken.
Il
solo pensare al
suo coinquilino lo portò a ringhiare contro la chiave che
proprio non ne voleva sapere di inserirsi correttamente nella serratura
(prendersela
con se stesso perché forse era un po' troppo ubriaco per
svolgere al meglio anche le normali azioni quotidiane ovviamente non
era contemplabile).
Questo
perché era bastato solo un fugace pensiero indirizzato a
Ryoken
per far circolare tutto l'alcol che aveva assunto alla
velocità
di una pulsar nelle vene, portandolo a bramare l'altra anima
dell'appartamento con ogni cellula infiammata – e ubriaca
–
della sua essenza.
Perché
Ryoken gli piaceva. Ma non era un “gli piaceva”
normale, era ben altro: gli piaceva da impazzire, come
se al suo fianco fosse perennemente ubriaco poiché il suo
coinquilino aveva lo stesso effetto di un pregiato superalcolico
– irretiva i sensi e fotteva il cervello.
2
Fino
a diversi
mesi addietro, Yusaku non era certo di voler condividere un
appartamento con qualcuno, ma le spese erano tante e dividerle con una
seconda persona era l'unica soluzione che poteva permettersi.
Inoltre,
considerando il suo carattere tanto chiuso e schivo, già
immaginava che col coinquilino, chiunque egli fosse, non avrebbe avuto
chissà quali problemi: avrebbe interagito con lui il minimo
indispensabile, non avrebbe mai invaso i suoi spazi e si aspettava che
anche l'altra parte facesse altrettanto… solo che ancora
ignorava il fatto che il suo coinquilino sarebbe stato Ryoken.
3
Ryoken
era… cielo, era meraviglioso.
Yusaku probabilmente non aveva mai visto tanta bellezza concentrata in
un'unica persona e no, non lo stava affatto idealizzando, anzi, era
stata proprio questa certezza ad averlo inizialmente mandato nel
panico, soprattutto durante i primi giorni di convivenza.
Per
di più,
frequentavano entrambi la Facoltà di Ingegneria Informatica,
Ryoken era già al terzo anno e si era dimostrato
più che
disposto ad aiutare Yusaku in caso di lezioni troppo complicate o alla
preparazione di alcuni esami.
In
sostanza, avevano iniziato a flirtare
fin dal primo giorno, anche se difficilmente Yusaku lo avrebbe ammesso
apertamente. Non era da lui fare certe
cose
con qualcuno, e poi stavano ancora imparando a conoscersi, insomma,
erano trascorsi solo pochi mesi da quando avevano iniziato a vivere
sotto lo stesso tetto e forse era ancora troppo presto un po' per tutto,
ma… ma Yusaku era ormai troppo
ubriaco di Ryoken per potersi allontanare da lui.
(Il primo giorno Ryoken avrebbe dovuto presentarsi con un cartello o
una t-shirt sulla quale a caratteri cubitali vi era scritto: PROVOCO
ASSUEFAZIONE).
E
in ogni caso
Yusaku non ci teneva nemmeno ad allontanarsi da lui, dato che con
Ryoken stava bene e, anche se alcune volte faticava a controllare le
proprie emozioni – e certi impulsi a dir poco lascivi
–, si
sentiva a proprio agio in sua compagnia.
Forse
stava esagerando nel dare una forma a quel pensiero che si era palesato
all'improvviso nella sua mente
(e
forse l'alcol lo stava aiutando a gonfiarlo sempre più,
tanto
che dall'innocente palloncino che era si stava trasformando pian piano
in una gigantesca mongolfiera)
ma…
Ryoken era la sua casa. Non le stanze dell'appartamento che
condividevano, proprio lui.
Era la quiete dopo la tempesta che Yusaku aveva cercato per tanto,
tantissimo tempo.
Quiete
di cui i
suoi nervi, in quel momento, non si stavano affatto beando: la bruma
dovuta alla sbronza si era fatta ancora più fitta e i suoi
occhi
non riuscivano più a mettere a fuoco nemmeno la serratura.
Non
si rese
neanche conto di star facendo un po' di chiasso mentre borbottava e
imprecava contro la chiave e la serratura; non era particolarmente
tardi, ma in ogni caso la sua traballante agitazione poteva rivelarsi
un elemento di disturbo per l'intero vicinato.
Era
quasi sul
punto di prendere a spallate la porta – o in alternativa
accasciarsi disperato contro il muro intento a piagnucolare –
quando il fato riuscì finalmente a sopprimere le grasse
risate
nelle quali si stava crogiolando, decidendo di intervenire in suo
favore: Yusaku aveva la mente troppo obnubilata dall'alcol per suonare
il campanello o fare uno squillo a Ryoken, ma quest'ultimo era
perfettamente lucido da rendersi conto che fuori dalle mura domestiche
stava sicuramente capitando qualcosa, motivo per il quale
aprì
la porta, ritrovandosi Yusaku a pochi centimetri di distanza intento a
combinare non si sapeva bene cosa.
4
«Ehi» sorrise mentre si spostava di lato per farlo
entrare.
«Come è anda–»
Non
riuscì a concludere la domanda poiché Yusaku gli
piombò addosso, letteralmente.
«Scusa, scusa, scusa» cominciò a
straparlare, la
voce impastata dal poco alcol che aveva assunto durante la serata
– ma per lui comunque micidiale. «Scusami davvero
tanto,
non volevo ubriacarmi – perché sono ubriaco, vero?
–
e te lo giuro, io ho detto loro che non volevo neanche bere, ma loro
hanno insistito perché “Ehi,
abbiamo superato un esame difficilissimo, dobbiamo assolutamente
festeggiare” e io allora ho pensato “Ma sì dai,
che sarà mai un goccetto?” e
– al diavolo! – era una roba strana e stra forte
e–»
Fu
il turno di
Ryoken di interrompere Yusaku che, mentre sciorinava una parola dietro
l'altra, si era aggrappato a lui con le poche forze che gli erano
rimaste: poggiò garbatamente l'indice destro sulle sue
morbide
labbra e questi si zittì, trattenendo il respiro.
«È un piacere sentirti parlare così
tanto –
penso tu abbia parlato più ora rispetto a tutti questi mesi
di
convivenza messi insieme –, ma… non ti devi
giustificare
di nulla. Non sono arrabbiato con te e non ne avrei nemmeno il motivo.
Però ammetto di essere contento perché stai bene
e la
situazione non è degenerata e…
(Allontanò
l'indice destro dalle sue labbra per avvicinarvi il volto. Le punte dei
loro nasi si sfiorarono e Yusaku trattenne nuovamente il respiro)
…
e perché in queste ore mi sei mancato. Tanto»
ammise infine, allontanandosi un poco.
Yusaku
aveva creduto
(e sperato)
fermamente
che lo baciasse.
Ci
rimase un po'
male nel constatare che le intenzioni di Ryoken non fossero quelle
– e allora perché si era avvicinato tanto?
«Volevi baciarmi?» domandò con un filo
di voce.
«Perché non avrei opposto
resistenza…»
Ryoken
deglutì a fatica. «Sì, ma sei ubriaco e
non vorrei–»
«Non l'avrei opposta neanche da sobrio».
(In vino veritas, no?)
Avvertì
le
gote scaldarsi come tizzoni ardenti. Probabilmente il suo volto era
più rosso di un cocktail Bloody Mary, ma ormai era fatta,
glielo
aveva confessato. E in tutta onestà, non voleva neanche
tirarsi
indietro.
«Se mi dici così…»
Ryoken
avvicinò nuovamente il volto al suo. «Cielo,
Yusaku, non
immagini quanto sia stato difficile trattenermi fino a ora».
(E invece lo sapeva. Lo
sapeva fin troppo bene).
5
Il
loro primo
bacio se lo scambiarono un po' in bilico, con Yusaku che si era
aggrappato ancora più saldamente a Ryoken e quest'ultimo che
faceva di tutto per sorreggerlo e non cadere in avanti. Fu un bacio
dolcemente amaro, un miscuglio di sospiri caldi ed ebbri che un po'
cozzavano tra di loro, ma nel momento in cui trovavano il loro punto di
incontro – una, dieci, cento volte –, diventava
impossibile
scioglierli.
Yusaku
avvertì le dita di Ryoken sprofondare tra i suoi capelli, i
loro
petti che aderivano perfettamente nonostante ci fosse uno spesso
cappotto di mezzo e le loro lingue che avrebbero continuato a cercarsi
e stuzzicarsi se solo la necessità di incamerare ossigeno
non si
fosse fatta impellente.
Era
stato bellissimo e
(«Yusaku, stai
piangendo?»)
una
lacrima gli solcò il volto ancora in fiamme.
«No, è che… quando ci si riprende da
una sbronza
poi non si ricorda nulla di quello che è successo nel
mentre,
vero?» domandò mentre si asciugava la lacrima
solitaria
con il dorso di una mano.
«In teoria sì» confermò
Ryoken, «ma non
è detto. Dipende da persona a persona. E poi…
(Avvicinò
ancora una volta le labbra alle sue)
…
per
essere uno che ha superato al primo colpo l'esame di Ingegneria dei
Software e dei Sistemi Web, direi che possiedi un'ottima
memoria».
Sorrise,
e Yusaku avvertì quelle labbra tanto invitanti incurvarsi
direttamente sulle sue.
«Buono a sapersi» rispose, prima di lasciarsi
andare a un nuovo, meraviglioso bacio.
L'indomani
mattina
avrebbe sicuramente affidato la sua vita a una pastiglia contro il mal
di testa. Ma in quel momento, ne era certo, i baci di Ryoken erano la
medicina migliore che potesse assumere.
|
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Capitolo 4 *** Android!AU ***
#4.Android!AU
• Quella
che
inizialmente doveva essere la storia più difficile fra tutte
si
è rivelata la più bella da scrivere –
ed è
anche la mia preferita.
Non ho mai scritto una Android!AU ed è uno dei prompt che ho
scelto per mettermi alla prova, anche se alla fine così non
è stato, dato che quella che più mi ha dato del
filo da
torcere è stata la Merpeople/Undersea!AU – poi
vedrete nel
Day 7, è quella che mi convince meno fra tutte, rip
•
Tra le tante
declinazioni che una Android!AU può avere, ho scelto quella
di
un futuro post apocalittico in cui l'umanità è
ormai agli
sgoccioli a causa di forze nemiche impossibili da battere.
Quindi è come se fosse una sorta di apocalisse
nell'apocalisse, insomma, mi piace sguazzare tra le catastrofi, ecco.
•
Sinceramente avrei
voluto scrivere tanto di più con questo tipo di AU e non
nego
che più avanti mi piacerebbe ampliare questo piccolo
universo
che ho creato con tutti i retroscena legati a Ryoken e Yusaku che fanno
di tutto per sopravvivere – ve l'ho già detto che
mi piace
sguazzare tra le catastrofi, sì?
Spero almeno che ciò che ho scritto finora sia esaustivo e
che vi piaccia.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!
• Day 4:
Android!AU; Human!Ryoken
x Android!Yusaku; POV Ryoken
• Rating:
Arancione
• Generi:
Drammatico,
Introspettivo, Triste
Till
the end
of the world
1
Ho smesso
di credere in Dio tanto tempo fa.
Forse
non ci ho mai creduto
per davvero, non da quando ho visto l'essere umano fare di tutto per
spodestarlo ed ergersi a nuovo Dio di questo mondo in rovina.
Ed
è inutile girarci
intorno, io per primo in tutti questi anni ho contribuito a mettere
all'ingrasso l'ego dell'essere umano fabbricando le armi più
svariate, vendendo la mia mente e il mio intelletto al servizio di una
società sull'orlo del baratro.
Ho
visto tanti miei coetanei
e tanti ragazzi più giovani di me rinunciare alla loro
umanità su costrizione al solo scopo di proteggere un mondo
collassato ormai da tempo.
Ho
visto lui
diventare un automa come tanti altri, l'ho visto dire addio alla sua
innocenza, alla sua carne e al suo sangue, l'ho visto combattere e
sopravvivere un'infinità di volte, ma… ma ora
è
troppo tardi.
È
tutto finito, non c'è modo alcuno di rimediare.
Stanno
tornando… e se non ci faranno fuori loro, ci
penserà comunque la Terra a implodere e collassare su se
stessa.
Quindi,
in questi ultimi
minuti di vita che mi rimangono, imploro solo e soltanto una cosa:
forse è troppo tardi per chiedere aiuto a Dio, anzi,
è
troppo tardi ormai per tutto, ma se oltre a quei mostri
lassù in
cielo c'è anche un Dio, uno qualsiasi, ti prego, ti
scongiuro… fammi
incontrare Yusaku un'ultima volta.
2
Mancavano pochi minuti a mezzogiorno e di Den
City restava
ormai ben poco. Era piena estate e la calura atroce altro non
faceva che alimentare gli incendi che vessavano la città e
ogni
zona limitrofa. Den City
(no, il mondo intero)
era ormai al capolinea.
L'aria era irrespirabile, gli oceani prosciugati,
i terreni
incoltivabili. Ovunque si guardasse, il mondo soffriva e lacrimava
tossine cancerogene.
Quei mostri – che parevano la
reincarnazione di tutte
quelle creature notturne che spaventavano l'essere umano nei libri e
nei film – erano arrivati all'improvviso da chissà
quale
pianeta confinato in chissà quale galassia e
l'umanità
del tremila non aveva potuto nulla contro la loro forza bellica. Aveva
vissuto gli ultimi vent'anni nel terrore più assoluto,
attendendo ogni giorno la morte
(colei
che, ineluttabile, chiamava a sé tutti quanti e li conduceva
in
un altro mondo poggiando le dita scheletriche su schiere e schiere di
spalle schiacciate da un peso incalcolabile).
Quasi il cento percento della razza umana si era
ormai
estinta: gli unici a essersi salvati, anche se ormai non mancava tanto
alla fine di tutto, erano i pochi androidi che ancora riuscivano a
reggersi in piedi per combattere e gli altrettanto pochi scienziati che
li avevano progettati e perfezionati nel corso degli anni.
Quelle creature infernali arrivate dallo spazio
avevano solo
rallentato il loro piano di conquista – o forse era meglio
dire
di distruzione
totale
– della Terra: si erano inspiegabilmente interessate agli
androidi, trovando in loro una fonte di confronto stimolante a livello
bellico, iniziando così a giocare con ognuno
di loro.
Se l'umanità era riuscita a
sopravvivere per altri
vent'anni dopo il primo attacco, era solo perché quei mostri
avevano concesso del tempo agli scienziati per perfezionare
maggiormente gli androidi, per renderli dei degni avversari a tutti gli
effetti. In altre parole, la Terra si era salvata grazie a un loro
capriccio.
E in cuor suo, mentre correva tra una rovina e
l'altra,
Ryoken pensò che forse sarebbe stato meglio morire subito,
già alla prima invasione, quando ancora era un bambino.
Così facendo non avrebbe mai incontrato l'amore della sua
vita… ma, al contempo, non lo avrebbe visto perdere la
propria
umanità giorno dopo giorno, non lo avrebbe visto portare il
suo
corpo allo stremo durante ogni battaglia, non lo avrebbe visto
annichilirsi sempre più per un pianeta che aveva
già perso
le speranze in partenza.
E ciò che più gli dilaniava
il cuore era il fatto che
(cielo, sono un mostro)
era stato proprio lui a progettare Yusaku.
3
Negli ultimi vent'anni, l'essere umano aveva
pensato solo a
due cose: aumentare il più possibile la propria forza
bellica
e raccogliere le menti più brillanti in grado di sfruttarla
al
meglio. I progetti e le sperimentazioni legati agli androidi erano
già in atto da tantissimo tempo, in quanto stava diventando
ormai la normalità
sostituire la carne con arti robotici
(l'umanità puntava, senza ritegno alcuno, alla famigerata
vita eterna)
ma quantomeno non si era mai pensato a un cambio
di rotta per
quegli esperimenti – o per meglio dire: così
appariva in
superficie
–, infatti la creazione di armi umane era considerata una
violazione della legge e sollevava non poche questioni etiche e morali.
Solo che poi, un giorno come tanti, era
diventato necessario
affidarsi a degli androidi in grado di combattere con l'ausilio di arti
potenziati, perché altrimenti per il mondo intero sarebbe
stata
la fine, quella definitiva e dalla quale non si poteva tornare
indietro. Incredibile come, nel giro di uno schiocco di dita, proprio
chi operava in gran segreto contro la legge fregandosene dell'etica e
della morale fosse diventato il salvatore del mondo: se i progetti e le
sperimentazioni sulle armi umane – o androidi da guerra che
dir
si voglia – non fossero già stati a buon punto
durante il
primo attacco, il mondo avrebbe fatto in tempo a collassare un miliardo
di volte
(ma era
stato giusto, ai tempi, prolungare la salvezza del pianeta che nel giro
di poco si era trasformata in una lenta agonia?)
Ryoken continuava ancora a non credere in Dio, ma
nella sua
mente aveva iniziato a banchettare un tarlo che si ingrossava sempre
più: forse quei mostri venuti dallo spazio erano una punizione divina ai
danni dell'intera umanità per aver anche solo tentato di
accaparrarsi un briciolo di vita eterna.
Non gli interessava trovare una risposta
esaustiva a
riguardo, in realtà: tutto ciò che agognava in
quel
momento era ritrovare Yusaku e stare con lui durante quei pochi minuti
rimasti prima del collasso definitivo.
4
Ryoken aveva iniziato a lavorare su Yusaku circa
cinque anni
addietro. Yusaku era un ragazzo in salute, forse un po' mingherlino, ma
era estremamente veloce e possedeva degli ottimi riflessi. Ryoken aveva
lavorato molto sulle sue gambe, potenziandole al massimo, sulle sue
braccia e sui suoi occhi. Yusaku era diventato veloce come un ghepardo
e possedeva la vista di un'aquila: era, senza ombra di dubbio, il
progetto migliore che Ryoken avesse mai portato a termine nel corso
della sua breve carriera da scienziato.
Ma per far sì che ciò
accadesse, Yusaku aveva
rinunciato alla sua carne e al suo cuore, il quale continuava a battere
nella cassa toracica al solo scopo di ossigenare il cervello. Ogni
volta che armeggiava su di lui, ogni volta che implementava alle sue
braccia e alle sue gambe i progressi della ricerca scientifica, ogni
volta che Yusaku chiudeva gli occhi durante quelle innumerevoli
–
e a tratti eterne – operazioni, Ryoken lo sapeva
(e lo vedeva e lo sentiva fin dentro le ossa)
abbracciava sempre più l'automa nel
quale si stava
trasformando, mentre la sua essenza umana era pian piano asportata via
come la sua carne.
I suoi occhi, verdi e brillanti, erano tutto
ciò che
di umano gli era rimasto, l'unica fiammella che infondeva ancora
speranza nel cuore tumefatto di Ryoken che un giorno colui che amava
sarebbe tornato a essere un ragazzo come tanti, una creatura umana
fatta di sentimenti, carne e sangue caldo.
Yusaku non aveva mai chiesto di partecipare alla
guerra; era
stato costretto, così come tutti gli altri uomini e le altre
donne ancora giovani e in salute, tutti coloro sui quali si poteva
ancora lavorare e amputare gli arti per sostituirli con le
artificiosità che li avrebbero aiutati
(condannati)
ad affrontare i mostri dello spazio.
Più il tempo passava e più
il cuore serviva
solo a non far morire il cervello; i sentimenti si atrofizzavano e
così come non si era più in grado di provare
dolore, lo
stesso valeva anche per la gioia e qualsiasi altro tipo di emozione.
Erano solo macchine da guerra intelligenti. Umani
che avevano
rinunciato alla loro umanità per una causa persa in
partenza. E
nonostante Ryoken fosse ancora composto per il cento percento da carne,
muscoli e sangue, si sentiva la creatura più disumana presente
sulla faccia di quel pianeta ormai ferito a morte.
5
Quando lo trovò, mancava ormai un
misero sfilaccio di
tempo al colpo di grazia: centinaia di astronavi avevano iniziato a
materializzarsi nel cielo, ingombrando quello squarcio di infinito
agognato per millenni dall'essere umano, preparandosi a sferrare
l'ultimo attacco. I mostri, dopo vent'anni di puro divertimento per
loro e di agonia per la razza umana, si erano stancati di giocare.
Yusaku era steso a terra, impossibilitato ad
alzarsi: aveva
perso la gamba sinistra e ciò che ne rimaneva era solo
qualche
filo reciso rosso e blu, niente sangue o carne maciullata, solo pezzi
di metallo impossibili da riassemblare poiché troppo
danneggiati durante l'ultimo scontro. Aveva perso anche la mano destra
e, più in
generale, il braccio era ancora attaccato al resto del corpo solo
perché qualche filo che aveva preso il posto delle vene e
delle
arterie non era stato brutalmente reciso.
Attorno a lui, i corpi martoriati di tre mostri
giacevano a
terra in un caldo lago color viola scuro. Era impossibile affrontare
tre creature del genere da soli ed essere poi in grado di
raccontarlo… eppure Yusaku, anche se era ridotto in
condizioni
pietose, ci era riuscito.
Ryoken si avvicinò a lui quasi
barcollando, rendendosi
conto solo in quel momento di essere ferito: perdeva sangue da una
tempia e riportava una brutta ustione alla coscia sinistra, ferite che
si era procurato durante il primo bombardamento della mattina, quello
che aveva distrutto completamente il laboratorio scientifico e dal
quale lui era miracolosamente riuscito a fuggire come unico superstite.
(Non gli importava,
però: aveva ritrovato Yusaku e questo gli bastava).
(E aveva solo bisogno di aggrapparsi a lui per l'ultima volta).
6
«Yusaku!» esclamò,
quando ormai la distanza tra i loro corpi si era ridotta a meno di un
metro. Si inginocchiò al suo fianco, avvertendo per la prima
volta il dolore lancinante che l'ustione sulla coscia gli procurava.
Strinse i denti e con garbo sollevò il busto del suo amato,
poggiandogli una mano dietro la nuca.
Yusaku aveva gli occhi chiusi, pareva stesse
dormendo. O
forse era… no, non poteva essersene andato, non poteva
averlo
lasciato solo in quell'inferno
(ma in fondo ne aveva tutto il diritto, dato che era stato proprio
Ryoken a trascinarlo fin lì).
«Yusaku…» lo chiamò ancora,
questa volta con voce un poco incrinata.
(Permettimi
solo di rivedere i tuoi occhi un'ultima volta. Poi, te lo giuro, avrai
tutto il diritto di chiuderli per sempre e concederti quel meritato
riposo tanto agognato).
Un fuggevole guizzo verde catturò la
sua attenzione.
Poi quel guizzo si trasformò in qualcosa di perpetuo e
stabile,
donando un po' di colore in quel mondo intossicato dalla disperazione.
Yusaku riaprì gli occhi lentamente, come se quella semplice
azione gli costasse un cospicuo dispendio di energie.
«Ryoken…»
sussurrò. Abbozzò un sorriso, facendogli
intendere che
fosse felice di vederlo. Un sorriso che Ryoken ricambiò con
l'aggiunta di tonnellate e tonnellate di sollievo.
«Ehi… andrà tutto
bene, okay? Ci sono io ora, qui con te. Troverò dei pezzi di
ricambio e potrai tornare a camminare presto».
Gli si spezzò il cuore nel
raccontargli quella
menzogna. Ma in quel momento anelava solo e soltanto a una cosa:
rendere felice Yusaku per l'ultima volta. E se per renderlo felice era
necessario mentirgli spudoratamente e fracassarsi il cuore di botte
pesanti e dolorose, lo avrebbe fatto altre mille volte. Per lui, solo e
soltanto per lui, avrebbe fatto di tutto.
(Hai
faticato così tanto, Yusaku. Hai combattuto fino allo stremo
per
quel poco di umanità rimasta, talmente meschina da
trasformarti
e sfruttarti e strapparti di dosso ogni traccia di innocenza, fino
all'ultimo brandello. Io per primo l'ho fatto. Mi dispiace, mi
dispiace, mi dispiace…)
«Ryoken… perché piangi?»
Yusaku aveva alzato il braccio sano, poggiandogli
la mano
sulla guancia rigata da perle salate. Era asettica e
metallica…
ma era di Yusaku
e questo a Ryoken bastava.
«È che… sono
così felice di averti ritrovato…»
sussurrò
Ryoken, sforzando un altro sorriso. Ed era vero, era assolutamente
vero: anche se gli stava celando una catastrofica verità,
era
troppo felice di essersi riunito a lui in tempo.
«Adesso…
adesso farò in modo di trasportarti altrove senza
danneggiarti
ulteriormente, okay? Resisti solo un altro po'… sei stato
bravissimo…»
Stava ormai piangendo senza riuscire
più a
controllarsi. Cominciò a singhiozzare come forse non aveva
mai
fatto in vita propria, nemmeno quando era un bambino che,
già a
quei tempi, aveva assistito in prima fila a qualsiasi tipo di orrore.
«Ryoken… abbiamo perso,
vero?» rantolò Yusaku con un filo di voce.
«È
tutto finito… tutto quello che abbiamo fatto non
è
servito a nulla e io… io sono stato
inutile…»
«No! Non
dire così, non
è assolutamente vero! Te l'ho già detto, no? Sei
stato
bravissimo… e abbiamo vinto, l'umanità
è salva.
Quello che hai fatto è stato inimmaginabile e se non fosse
stato
per te…
(Ti
prego, credimi per l'ultima volta, come hai fatto sempre, come hai
fatto ogniqualvolta ti rendevo una macchina da guerra sempre
più
potente. Credimi, perché anche questa volta andrà
tutto
bene… perché alla fine non soffriremo
più)
… se non fosse stato per te, Den City
non sarebbe ancora in piedi, nei limiti delle proprie
possibilità».
«Abbiamo
vinto… siamo salvi…»
«Sì, Yusaku. Ora sei troppo frastornato per
rendertene conto, ma fidati
di me, è andata proprio così.
Grazie. Grazie per averci protetti, amore mio».
E Ryoken non sapeva nemmeno chi fossero tutte
queste persone,
perché aveva corso per una Den City vuota di vita e
tappezzata
da cadaveri, una Den City che si sgretolava a ogni suo passo incerto,
ma pur sempre veloce. Non era rimasto più nessuno e forse
loro
due erano gli unici, momentanei sopravvissuti dopo i bombardamenti di
quella mattina.
«Amore mio…
mi hai chiamato “amore mio”…»
E quando Ryoken lo vide piangere mentre incurvava
le labbra
in un nuovo sorriso, dolce e al contempo straziato, avvertì
qualcosa incrinarsi dentro di lui – di nuovo il cuore, con
ogni
probabilità.
«In
tutti questi anni ho rinunciato
alla mia umanità per combattere quei mostri… ho
rinunciato anche al tuo amore, perché più il mio
corpo
mutava e meno umano mi sentivo… come se fossi indegno di amare ed
essere amato…»
«Non
dirlo. Ti prego, non dirlo. Non
è così. Avrei voluto tanto conoscerti in
circostanze
diverse, Yusaku. Andare al cinema insieme, cucinare con te, tuffarmi in
mare con te nelle notti d'estate… fare l'amore con te e
toccarti
in maniera diversa
e non per… per modellarti secondo un progetto
scientifico».
Ryoken avvertì fin dentro le ossa che
tutte le
navicelle incastonate nel cielo erano pronte per sferrare l'ultimo,
devastante attacco. Anche se non le stava guardando con occhi sgranati,
ormai sapeva che mancava poco.
«Guardami, Yusaku. Guarda me, soltanto me».
(Per l'ultima volta. Guardami per l'ultima volta).
«Ora
è tutto finito e appena
ce ne andremo da qui troverò un modo per farti tornare
umano. E
potremo finalmente vivere per davvero, io e te,
lontani da qui. Immagina una baita in montagna, tra la neve, col camino
in salotto acceso, mentre tu ed io facciamo l'amore davanti al fuoco.
Pensa a quanto saremo felici quando ci lasceremo finalmente alle spalle
questo inferno. Riesci a immaginarlo?»
«Sì…»
sospirò Yusaku, e tutte le lacrime che stava versando erano
la
prova tangibile che qualcosa di umano annidava ancora dentro di lui.
Lacrime calde e cristalline e vive.
Yusaku avrebbe chiuso gli occhi per sempre come un essere umano e di
questo Ryoken ne fu grato. «Riesco a immaginarlo. E non vedo
l'ora di vivere
tutto questo con te, amore
mio».
Quelle, con ogni probabilità, furono
le ultime parole
pronunciate da qualcuno che si poterono udire nel mondo. Un rantolo di
speranza, un piccolo barlume di felicità e
umanità che si
incendiò nel momento in cui migliaia di bombe toccarono il
suolo
terrestre.
Non prima, però, che Ryoken poggiasse
le labbra su
quelle di Yusaku. Non prima che gli ultimi due innamorati rimasti al
mondo potessero scambiarsi il primo e ultimo segno di quel sentimento
che aveva avuto la sfortuna di nascere e fiorire nell'epoca sbagliata
(eppure loro erano sempre
così giusti l'uno per l'altro).
E allora possiamo dire che la fine del mondo
avvenne
così: non con la morte e la distruzione, bensì
con la
notte dei tempi che si accartocciava su se stessa, ritornando al primo,
primissimo gesto che l'universo compì nel momento in cui
nacque.
Con
un bacio.
|
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Capitolo 5 *** Hospital!AU ***
#05.Hospital!AU
•
Questa storia mi piace un sacco (è una delle mie preferite)
anche se sono ben consapevole di non aver centrato del tutto il prompt.
O meglio, le Hospital!AU possono essere declinate in diversi modi,
ovvero con personaggi che sono medici, infermieri o pazienti, ma in
questo caso credo che il fattore “Hospital” sia più
che altro uno sfondo e non so se la storia possa considerarsi a tutti
gli effetti una Hospital!AU.
Poi magari mi sbaglio e anche il mio modo di sviluppare il prompt va bene, idk, mi affido al vostro giudizio.
•
Siamo a più di metà Raccolta, quindi mi sembra doveroso
ringraziare tutti coloro che la stanno seguendo/che l'hanno iniziata.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!
• Day 5: Hospital!AU; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Angst, Introspettivo, Malinconico
• Avvertimenti: Tematiche delicate
Your first date
1
(«Yusaku, sei mai stato a un appuntamento?»)
(«Perché me lo chiedi?»)
(«Curiosità»).
(«Capisco. Immagino che una risposta negativa rallegrerà
le tue giornate da qui fino a settimana prossima»).
(«Perché mai dovrei ridere per una cosa del genere?»)
(«Beh, credo sia alquanto imbarazzante ammettere di non essere
mai stato a un appuntamento in vent'anni di vita»).
(«Vuoi che sia sincero?»)
(«Se proprio devi…»)
(«Ammetto che non me lo aspettavo. Ma mi fa piacere»).
(«Addirittura»).
(«Sì, perché… volevo chiederti… posso
essere io il tuo primo appuntamento?»)
2
Ryoken Kogami era un
bugiardo. Per mesi interi non aveva fatto altro che rimpinzargli il
cuore e la mente con parole dolcissime e promesse importanti,
illudendolo in un “per sempre” nel quale aveva iniziato a credere anche Yusaku. Proprio lui che dell'amore non aveva mai capito nulla prima del suo arrivo, prima che gli chiedesse di essere il suo primo appuntamento.
Ryoken non era stato solo
questo, per Yusaku. Ryoken era stato anche il suo primo bacio. La sua
prima volta. Il suo primo sospiro di felicità. Il suo primo,
vero sorriso.
Ryoken era stato il suo primo amore… e forse anche l'ultimo.
Giaceva inerme su un letto d'ospedale ormai da tre mesi. Tre mesi in cui il suo respiro regolare non aveva mai significato nulla,
dato che la sua vita si trovava perennemente in bilico su un filo
così sottile che rischiava di spezzarsi da un momento all'altro.
Il coma nel quale era
sprofondato dopo quell'orribile incidente si era portato con sé
tutto ciò che di bello c'era di Ryoken quando ancora poteva
muoversi, vedere, parlare e ascoltare. E di lui, nel loro mondo, non era rimasto altro se non un corpo immobile che rischiava ogni istante di spegnersi del tutto, sporgendosi troppo in là su quel filo sottilissimo e sprofondare per sempre in un baratro senza fine.
E Ryoken non se ne poteva andare. Non ancora.
(E soprattutto non così).
3
Le immagini dell'incidente
sfrecciarono davanti agli occhi di Yusaku allo stesso modo in cui quel
maledetto pirata della strada sfrecciava sulla sua auto sportiva quel
giorno di tre mesi addietro. Un senso di colpa asfissiante e atavico
gli si insinuò nelle vene e raggiunse il cuore, stritolandolo in
una morsa spietata e facendogli quasi perdere conoscenza.
Yusaku sapeva bene che
ormai era inutile dannarsi per quanto accaduto, perché lui al
posto di Ryoken avrebbe agito allo stesso modo… ma quella
macchina impazzita stava per investire lui, non Ryoken.
E Ryoken l'aveva salvato spingendolo via, facendolo cadere di peso sul cemento del marciapiede.
(Un piccolo taglio sul mento per Yusaku e un orribile coma per la persona che amava).
(Come bilancio non era stato affatto equo).
(E faceva decisamente schifo).
4
Yusaku ricordava ogni
più piccolo particolare del loro primo appuntamento. Era
avvenuto tutto quanto all'insegna dell'improvvisazione: nessun
itinerario prestabilito da visitare, nessun locale scelto in precedenza
dove trascorrere la serata, solo la consapevolezza che lui e Ryoken si
sarebbero salutati la mattina successiva perché – e ne
erano certi entrambi –, il loro primo appuntamento era giusto che
durasse una notte intera.
Era andata a finire che
avevano visitato mezza città parlando di tutto e di più,
che avevano cenato in un pub con della bella musica in sottofondo, che
si erano baciati davanti la porta di casa di Yusaku e che avevano fatto
l'amore per ore intere sul suo letto che, prima dell'arrivo di Ryoken
nella sua vita, non era mai stato occupato da qualcuno al di fuori di
Yusaku stesso.
(Era
andata a finire che dopo vent'anni di esistenza vuota si era sentito
finalmente completo e che aveva trovato il suo posto nel mondo tra le
braccia della persona giusta).
Da quel momento in poi erano diventati una cosa sola che si prendeva cura di un grande amore inenarrabile giorno dopo giorno.
Per questo, nell'esatto
momento in cui Ryoken entrò in coma, fu come se se ne fosse
andata via anche una parte di Yusaku, disperdendosi nell'aria come
cenere e polvere, qualcosa che non poteva più essere rimodellata
nella sua forma originaria, nella sua vera essenza. Era come se fosse
in bilico anche lui, costantemente dilaniato dalla paura atavica di non
poter resistere un altro giorno in più senza il suo amore.
Perché Ryoken era il
dono più prezioso che la vita gli avesse mai fatto e tutto
ciò che Yusaku sperava era che la morte non glielo rubasse
all'improvviso, cogliendolo impreparato e uccidendo anche lui.
5
L'ospedale era ormai
diventato la sua seconda casa. L'odore del disinfettante aveva
sostituito il profumo dei pancake che Ryoken cucinava ogni mattina per
colazione – Yusaku non li aveva mai cucinati in quei tre mesi di
solitudine perché l'immagine di Ryoken che si divertiva ai
fornelli si sovrapponeva sempre al pentolame e agli ingredienti e a
stento riusciva a trattenere le lacrime.
Il suo pranzo era diventato
tutto ciò che gli poteva offrire il distributore automatico in
fondo al corridoio del terzo piano. Le pareti bianche della camera di
Ryoken, che sembravano quasi fatte di ghiaccio spesso e spietato, erano
diventate le sue nuove quattro mura.
La sua vita era stata
completamente ribaltata e messa a soqquadro, svuotata di ogni cosa
bella che l'aveva resa tanto preziosa fino a tre mesi addietro. E lui
non sapeva più come andare avanti.
(Il
cuore di Ryoken era sempre lì, ma la sua mente era migliaia di
miglia lontana. E forse non sarebbe più tornata indietro).
6
Era una giornata di fine ottobre come tante
(asettica, apatica, monocromatica)
in cui il riverbero del cambiamento non aveva fatto capolino da nessuna parte.
Era una giornata come tante
in cui Ryoken era sempre steso su quel letto con ogni parametro stabile
e apparentemente rassicurante, ma che dopo tre mesi aveva ormai del
tutto eclissato la speranza, tramutandola in agonia. Ryoken era sempre
stabile, ma era perennemente immobile e i suoi occhi erano sempre chiusi
e più i giorni si tramutavano in ricordi e alleggerivano le
pagine del calendario, più si reincarnava in una statua di
ghiaccio.
(Bellissima, ma al contempo fredda e intoccabile e spoglia di qualsiasi emozione).
Come ogni pomeriggio Yusaku
era lì con lui, seduto al suo fianco su una sedia che
scricchiolava a ogni più piccolo respiro, scomoda come un trono
di spine – l'attesa perpetua appesantiva ogni cosa.
Yusaku gli aveva raccontato
cosa aveva fatto quella mattina, dicendogli che aveva iniziato a
recuperare alcune lezioni universitarie in vista degli esami che aveva
lasciato indietro; che aveva tentato anche quel giorno di farsi
coraggio, di sforzare un sorriso e di esprimersi con pacatezza quando
qualcuno gli rivolgeva la parola. Gli aveva anche detto che forse era
solo una sua impressione, ma nonostante tutto quella mattinata gli era
parsa meno pesante del solito. Solo di un po', ma era comunque qualcosa.
(«E
da bravo stupido quale sono, ho perfino pensato che potesse essere un
segno» aveva concluso il discorso, asciugandosi una lacrima
solitaria con il dorso di una mano).
Era in procinto di salutarlo quando un segno vero e tangibile lo sconquassò da capo a piedi: Ryoken aveva mosso un dito.
No, non lo aveva immaginato, era accaduto per davvero: Ryoken aveva mosso l'indice destro.
L'aria tardò ad
arrivare ai polmoni e Yusaku si alzò di scatto dalla sedia, non
badando al rumore fastidioso che lo spostamento dell'oggetto sul
pavimento aveva portato con sé.
Il cuore iniziò a
martellargli nel petto e la sua mente sprofondò in un abisso di
dubbi, paure e incertezze: doveva chiamare il dottore o quantomeno un
infermiere per informarli di quanto accaduto? E se gli avessero detto
che si era trattato solo un riflesso complesso,
qualcosa che Ryoken aveva fatto senza rendersene effettivamente conto?
Se dopo quel piccolo movimento non ci fosse stato più altro? Cosa doveva fare?
Aveva lo sguardo puntato su di lui, nell'infinita attesa di un altro segno.
(Qualcosa. Qualsiasi altra cosa ma ti prego, non illudermi in questo modo, torna da me, torna a vivere per davvero).
L'indice destro si mosse
ancora. Poi la mano si serrò in un pugno, riaprendosi poco dopo.
Poi Ryoken iniziò a mugugnare qualcosa mentre apriva lentamente
gli occhi
(«Yusaku…»)
e un piccolo pezzo di cielo impreziosì quella camera d'ospedale tanto anonima.
«Yusaku… dove sei…?»
«Sono qui».
7
Lo prese per mano,
stringendola appena. Nonostante avesse provato l'impulso di
abbracciarlo forte, Yusaku aveva paura di fargli male, motivo per il
quale preferì trattenersi.
«Ryoken… come stai?» gli domandò con un
groppo grande quanto un meteorite bloccato in gola. Aveva iniziato a
piangere senza neanche rendersene conto, mentre infinite goccioline
salate raggiungevano il mento e poi scivolavano via, abbandonando la
scena.
«Mi sento… strano. Che succede?»
Ryoken lo guardava con espressione confusa e un po' spaventata. «Perché stai piangendo?»
«Non ti preoccupare, sono lacrime di gioia. Ryoken, ascoltami:
qual è l'ultima cosa che ricordi?»
«L'ultima cosa…?»
Sgranò gli occhi,
come se il cielo avesse deciso di evadere dai suoi bulbi oculari,
agitandosi un poco. «Oh cielo, la
macchina…! Yusaku, ti ho fatto male?»
«Cosa? In che senso?»
«Quando ti ho spinto via… ti ho fatto male?»
La mandibola di Yusaku per
poco non toccò terra. «Ti sei appena risvegliato dopo tre
mesi di coma e la cosa che più ti preoccupa è sapere se
mi hai fatto male o meno quando mi hai spinto?» domandò
con un tono di voce a tratti esasperato. «Porca miseria, Ryoken,
mi hai salvato la vita! Cosa vuoi che me ne importi di un taglio sul
mento?»
«Tre mesi…? Sono stato in coma per tre mesi?»
Ryoken era in evidente
stato di shock e Yusaku maledì se stesso per essere stato tanto
irruento con le parole. «Rilassati e respira profondamente.
Adesso vado a chiamare il dottore, okay? Tornerò appena mi
sarà possibile, perché avrà tanti controlli da
farti… ma il peggio ormai è passato, perché
finalmente hai riaperto gli occhi».
Sciolse la presa sulla sua
mano e gli si avvicinò, poggiando poi le labbra sulla sua
fronte. Non voleva staccarsi da lui. Non ancora. Quei tre mesi senza
Ryoken erano stati infernali e tutto ciò che voleva fare in quel
momento era restargli accanto. Ma sapeva anche che non poteva
più aspettare, che il dottore doveva essere subito informato di
quella bella notizia. E che prima si procedeva ai controlli, meglio era.
«Andrà tutto bene, te lo prometto. Bentornato».
Si allontanò a
malincuore, asciugandosi le lacrime con mani tremanti. Aprì la
porta e, prima che potesse compiere un altro passo in avanti, Ryoken lo
spiazzò ancora una volta.
«Quando uscirò da qui… potrò essere il tuo secondo primo appuntamento?»
Yusaku sorrise e,
frattanto, nuove lacrime avevano iniziato a formarsi ai lati degli
occhi. «Quando uscirai da qui, prima di tutto avrai bisogno di un
sacco di riposo. E quando ti sarai ripreso, potrai essere tutto
ciò che desideri».
(E io lo so, qualunque cosa tu faccia o dica, sarai sempre la mia felicità).
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Capitolo 6 *** Rockstar/Band!AU ***
#06.Rockastar-Band!AU
• Questa
è la storia che più ho amato scrivere insieme
alla Android!AU.
Forse perché è proprio con storie del genere che
riesco a dare il meglio di me con l'introspezione dei personaggi
– “mi piace sguazzare tra le catastrofi”,
ricordate? –, forse perché è proprio
con le tematiche che emergeranno durante lo scritto che riesco a
raccontare di Yusaku in ogni sua sfumatura attraverso gli occhi di
Ryoken, forse perché qui entrambi reincarnano quegli artisti
che mi hanno letteralmente salvato la vita con la loro musica, non lo
so, fatto sta che tengo davvero tanto a questa storia e spero che possa
piacere anche a voi.
•
Ho descritto Ryoken e Yusaku (quest'ultimo soprattutto) mettendo
“su carta” tutto l'amore che provo per le mie tre
band preferite, soprattutto attraverso certi dialoghi.
Considero questa storia come un omaggio a loro, alla loro musica e a
tutte le volte che mi hanno aiutata senza neanche conoscermi
semplicemente cantando.
Il titolo della One Shot è un ulteriore omaggio, mi piaceva
troppo l'idea
di unire quelle tre parole per creare qualcosa di nuovo – e
non nego che spesso ho immaginato di far parte di una cover band
chiamata proprio così, lol
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!
• Day 6:
Rockstar/Band!AU; POV
Ryoken
• Rating:
Arancione
• Generi: Hurt/Comfort, Introspettivo,
Sentimentale
• Avvertimenti:
Tematiche delicate
Our New April
Dedicata a:
Our
Last Night
From
Ashes To New
Dead by April
(Grazie.)
1
Ryoken
nella propria vita aveva imparato a fare due cose: suonare la chitarra
elettrica e riconoscere ogni più piccola sfumatura dello
stato d'animo di Yusaku con una semplice occhiata.
Per
quanto riguardava il primo punto, erano stati necessari anni e anni di
dure prove, esibizioni nei locali più improbabili per farsi
un nome, notti insonni trascorse a rivedere
(e soprattutto ascoltare)
i
grandi concerti di un tempo, un litigio pesante con suo padre che
voleva frequentasse l'università e ripartire da zero una
volta realizzato di essere rimasto solo al mondo, quantomeno prima di
entrare a far parte di una band – e non una qualunque.
Per
quanto riguardava il secondo punto, invece, era stato talmente
immediato e intuitivo che in un primo momento Ryoken si era sentito
come scaraventato in un altro universo. Entrare in sintonia con Yusaku
e comprenderlo fino in fondo era stata la cosa più naturale
al mondo; da quando l'aveva sentito cantare per la prima volta aveva
capito che avrebbe seguito lui e lui soltanto per il resto dei suoi
giorni e che mai,
neanche sotto tortura, avrebbe suonato la chitarra per accompagnare la
voce di qualcun altro.
Era
come se entrambi fossero nati per quello: per unirsi e diventare una
cosa sola sempre,
sia sul palco che al di fuori di esso. Come due note musicali che se
suonate in continuazione creavano una melodia nuova e bellissima.
2
Yusaku,
Yusei e Judai cercavano un nuovo chitarrista per la loro band. Avevano
già alle spalle un discreto successo quando Ryoken li
incontrò per la prima volta dal vivo, un giorno di aprile
che all'apparenza sembrava uguale a tutti gli altri.
Tutto
ciò che aveva mostrato loro durante il suo assolo era la
metà perfetta che Yusaku stava cercando da tantissimo tempo.
Non glielo aveva detto esplicitamente, ma glielo aveva fatto capire cantando durante le
loro prime prove: Yusaku necessitava di un chitarrista che non mollasse
mai la presa nemmeno dopo aver raggiunto il picco massimo di
esasperazione; necessitava di qualcuno che accompagnasse la
sua voce costantemente, guidandola e supportandola a ogni parola;
necessitava di qualcuno che riuscisse a stare al passo senza mai
battere ciglio e che considerasse la cosa nel modo più
naturale possibile.
(Ryoken non sapeva quanto fosse stata gonfiata la storia che Yusei
– il batterista – e Judai – il bassista
– gli avevano raccontato, ma la leggenda narrava che prima
del suo arrivo innumerevoli chitarristi se ne fossero andati dopo poche
settimane di prove poiché troppo esasperati dai ritmi che
dovevano sostenere. Era come se la voce di Yusaku incutesse loro un
terrore atavico che impediva la buona esecuzione di tutte le canzoni da
lui scritte).
C'era
qualcosa, nel modo in cui Yusaku cantava, che distruggeva le pareti del
cuore con martellate potenti e rimbombanti. Scavava fino in fondo nella
psiche, facendo riemergere dalle viscere dell'animo umano parole
taciute per anni dal mefitico odore della disperazione.
La
voce di Yusaku prendeva a pugni chiunque la ascoltasse. Colpiva dritto
alla bocca dello stomaco, piegando in due l'emotività e
facendola poi a brandelli con una rabbia tale da far paura…
ma Ryoken non aveva paura.
Non
aveva mai avuto paura di Yusaku e del suo passato. Lo aveva accolto a
braccia aperte.
Fu
con l'arrivo di Ryoken che gli Our
New April raggiunsero l'apice del successo:
perché finalmente avevano trovato un equilibrio che
all'inizio pareva solo un miraggio confuso e sfocato;
perché finalmente Yusaku aveva trovato qualcuno a cui
aggrapparsi senza timore di lasciarsi del tutto andare.
3
Yusaku
si era intrufolato nella sua vita allo stesso modo in cui si
intrufolava nel suo letto ogni notte: con irruenza e tanta passione.
Yusaku
era suo
per tutto il tempo: di mattina quando Ryoken si svegliava e lo trovava
ancora addormentato tra le sue braccia, di giorno durante le prove, di
sera durante un concerto e poi di nuovo di notte, quando facevano
l'amore prima che il coperchio del sonno si chiudesse su di loro.
Si
appartenevano a vicenda. E la loro fiducia reciproca raggiunse il
proprio apogeo nel momento in cui Yusaku si espose senza filtri,
facendo emergere dal fango i propri demoni interiori.
Gli
raccontò tutto: dai genitori anaffettivi alla depressione,
dai brutti pensieri che avevano popolato la sua mente tormentandolo di
notte all'insonnia perenne per provare a mandarli via.
Gli
raccontò di come per anni si fosse sentito costantemente
invisibile poiché i suoi genitori fingevano di non avere un
figlio che consideravano un incidente
di percorso, un orribile errore che non potevano
più cancellare.
Gli
raccontò di come la musica e l'incontro con Yusei e Judai lo
avessero salvato, facendolo risorgere dalle ceneri. Di come in ogni
canzone che scriveva cercava sempre di dare una forma a qualcosa che,
per anni, era sempre stato inspiegabile. Di come Yusei fosse diventato
il suo migliore amico e Judai un supporto morale. Di come si fosse
sentito perfido
nei loro confronti quando aveva realizzato che nonostante tutto loro
tre insieme non bastavano, che mancava ancora qualcuno, ma che questo
qualcuno non arrivava mai e allora lui si innervosiva sempre
più con lo scorrere ineluttabile del tempo, divenendo a
tratti ingestibile.
E
poi gli raccontò di come si fosse finalmente sentito in pace
con se stesso quando lo aveva sentito suonare la chitarra e del modo in
cui aveva preso per mano la sua voce e i suoi sentimenti per sostenerli
sempre, senza mai farli cadere.
Ryoken
non ebbe paura neanche quella volta. Provò solo un amore
sconfinato per quel bellissimo ragazzo che giaceva sul letto accanto a
lui.
4
(«Sai, ho
iniziato a cantare per essere ascoltato» gli aveva detto
Yusaku pochi giorni dopo l'inizio della loro relazione. Avevano da poco
finito di fare l'amore e Ryoken si era acceso una sigaretta, con
immenso disappunto da parte del cantante, anche se lui per primo
tendeva a fumare molto quando era nervoso – e, guarda caso,
Ryoken si ritrovava sempre con mezzo pacchetto vuoto di punto in
bianco).
(«Ascoltare una canzone non è come parlare con
qualcuno: nel secondo caso, spesso chi ti sta di fronte finge solo di
essere interessato a ciò che gli stai raccontando,
liquidando il tutto con le solite frasi di circostanza. Magari ti
interrompe con domande inopportune o cambia discorso con una leggerezza
tale da far paura. Quando ascolti una canzone non è
così: non la stoppi di punto in bianco per pensare ad altro,
non la interrompi per chiedere qualcosa di stupido, la ascolti fino
alla fine e provi qualcosa. Provi delle emozioni. E magari quella
canzone può risollevarti la giornata, può
aiutarti ad andare avanti, può salvarti la vita».
Si bloccò, cominciando a stropicciare il lenzuolo nel quale
era avvolto con dita tremanti. «Io non sono un eroe, sono
solo una persona che ha sofferto e che nonostante tutto si regge ancora
in piedi. Se le nostre canzoni hanno il potere di aiutare le
persone… allora sono felice di essere ancora qui e di non
essermi arreso quando credevo di non avere più alcun motivo
per vivere»).
(Ryoken aveva abbandonato la sigaretta nel posacenere dopo qualche
tiro, lasciando che si consumasse nella solitudine più
assoluta. Aveva stretto a sé Yusaku, lasciando che si
sfogasse, e lo aveva abbracciato forte per una notte intera –
la prima di tante).
5
«Qualcosa non va».
Quella
non era una domanda, era una vera e propria constatazione.
Dopo
tre anni di successo inarrestabile, la band si stava nuovamente
esibendo in America con un tour che avrebbe prosciugato ogni energia ma
che, in cambio, avrebbe dato un sacco di soddisfazioni.
Ryoken
era da poco uscito dalla doccia e aveva visto Yusaku intento a fumare
una delle sue sigarette sul balcone della camera d'hotel in cui
avrebbero pernottato prima di partire verso la nuova tappa del tour. E
lui sapeva fin troppo bene che quando Yusaku cedeva al tabacco era
perché si sentiva nervoso e agitato.
«Le tue sigarette fanno schifo» disse Yusaku senza
voltarsi. «Sono davvero pesanti».
«E tu non dovresti fumarle».
«Se è per questo, nemmeno tu».
«Non sono io quello che deve preservare la propria voce per
le performance» ribatté Ryoken che, dopo essersi
vestito, gli si avvicinò, poggiando poi i gomiti sulla
ringhiera.
Yusaku
si voltò nella sua direzione, fulminandolo con lo sguardo.
«Sto parlando in
generale» proferì tagliente, e Ryoken
non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito.
«Se me lo dici mentre fumi una delle mie sigarette, non
riesco a prenderti tanto sul serio» ammise con un sorriso.
Yusaku
alzò gli occhi al cielo. «Sì, lo
so» borbottò, per poi spegnere il mozzicone nel
posacenere. «Comunque… prima di partire per il
tour ho iniziato a scrivere una nuova canzone. Per il momento
è ancora incompleta, ma… non lo so, credo che non
riuscirò mai a concluderla».
«È per questo che c'è qualcosa che non
va?»
«Sì. Perché questa canzone racconta di
te, di noi.
E per la prima volta non so come rendere reale
ciò che provo». Respirò a fondo e
Ryoken lo osservò, perdendosi nel suo sguardo spaventato.
«Ho paura perché per anni non ho fatto altro che
tirare fuori tutta la rabbia e la disperazione che ho provato nel corso
della mia vita, dando loro una forma concreta. Ci sono sempre riuscito
perché il bisogno di esorcizzare
i miei demoni interiori era ciò che mi permetteva di restare
in piedi e continua a farlo ancora oggi. Ma ora con le nostre canzoni
vorrei provare anche a raccontare qualcos'altro oltre al dolore, la
rabbia e la solitudine, solo che…»
Deglutì
a fatica, guardando Ryoken con una consapevolezza dal retrogusto di
rassegnazione. «Io non riesco a scrivere canzoni
d'amore» ammise infine. «Riesco a dare una forma
solo alle cose brutte che ho vissuto, senza rendere giustizia a tutto
ciò che di bello mi è capitato negli ultimi anni.
Da quando ti ho incontrato ho iniziato a provare delle emozioni che
nemmeno conoscevo e… e…»
Ryoken
sapeva quanto Yusaku detestasse essere interrotto mentre parlava, ma
non riuscì a trattenersi e poggiò delicatamente
le labbra sulle sue, lasciando che il sapore del tabacco gli invadesse
la bocca. Portò le mani sui suoi fianchi, stringendoli con
garbo mentre approfondiva pian piano quel bacio sotto lo sguardo vigile
delle stelle di Los Angeles.
«Ti amo anch'io» sussurrò,
prima di baciarlo ancora.
6
(«Non pensarci troppo» gli disse quella notte,
stringendolo a sé dopo aver fatto l'amore. «Quando
arriverà il momento, saprai esattamente come incastrare le
parole tra loro. Io ho giurato di suonare la chitarra per te e per te
soltanto, e sai che qualunque cosa accadrà, sarò
sempre al tuo fianco e ti sosterrò con tutte le mie forze. E
quando racconterai e canterai di noi, già lo so,
tremerà il mondo intero. Io la aspetto. La canzone
più bella del mondo. E non vedo l'ora di farne
parte»).
|
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Capitolo 7 *** Merpeople/Undersea!AU ***
#07.Merpeople-Undersea!AU
•
Avrei voluto concludere in bellezza la Raccolta, ma questo tipo di AU
mi ha dato non poco filo da torcere e, proprio come con la Hospital!AU,
credo che il tema Merpeople/Undersea funga solo da sfondo, quindi
non saprei nemmeno come definire questa One Shot, in tutta
onestà.
•
Non so nemmeno quantificare tutte le possibili trame che mi sono venute
in mente per sviluppare questo prompt – una meno convincente
dell'altra.
Questa tutto sommato mi
convince e trovo la storia in sé molto dolce e malinconica,
però… non lo so, spero quantomeno che possa piacere del
tutto a voi.
• Prima di lasciarvi lo specchietto, ci tenevo a ringraziarvi per essere arrivati fino a qui.
Non so se leggerete le OS
in ordine oppure partirete da quella che vi ispira di più o
magari siete qui solo per caso/dopo aver cliccato per sbaglio, a ogni
modo ringrazio chiunque dedicherà/ha dedicato parte del suo
tempo per questi scritti.
Vi auguro buona lettura!
• Day 7: Merpeople/Undersea!AU; Merman!Ryoken x Human!Yusaku; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Introspettivo, Malinconico, Romantico
Love knows
no bounds
1
Yusaku era
esterrefatto. In un primo momento aveva creduto fermamente di essere
stato vittima di un'allucinazione, ma più i suoi occhi mettevano
a fuoco la creatura che
nuotava sinuosa ed elegante a diversi metri da dove la stava osservando
e più realizzava che non poteva che trattarsi di lui.
«Ryoken…?» domandò con voce spezzata dallo
stupore, senza neanche rendersi conto di aver mosso qualche passo in
avanti, verso la sua più grande paura.
Ryoken
(oh cielo, era proprio lui!)
si bloccò di colpo, voltandosi verso Yusaku, incatenando lo sguardo al suo.
Sgranò
gli occhi e in quell'azzurro cielo che erano le sue iridi Yusaku
riscoprì d'un tratto perché mesi addietro si fosse
innamorato di lui tra un ritrovo e l'altro al club di informatica. Poi
Ryoken, una volta resosi conto di essere troppo esposto,
tentò di nascondersi, ma era ormai inutile, poiché Yusaku
aveva già visto tutto – ed era proprio il motivo che
inizialmente lo aveva lasciato tanto sbigottito: Ryoken quella sera non
stava nuotando nell'acqua cristallina del mare con le proprie gambe.
Ryoken aveva una coda di pesce al posto degli arti inferiori.
(Una meravigliosa miscela di azzurro, bianco e sfumature violacee).
2
«Yusaku…»
Ryoken
sussurrò il suo nome come se si fosse gelato sul posto,
lasciando che le piccole e timide onde del mare conducessero ogni
sillaba verso la riva con garbo e pacatezza.
Yusaku deglutì a fatica, tremando appena. «Che… che significa?»
Non capiva.
Proprio non capiva. Certo, Ryoken era sparito all'improvviso poche
settimane prima che iniziassero le vacanze estive e a scuola circolava
voce che si fosse trasferito all'estero, ma quando frequentava la scuola aveva le gambe, non era certo una creatura con la coda di pesce.
Insomma, Ryoken era un essere umano… o quantomeno Yusaku lo aveva conosciuto come tale.
Non
riusciva a staccargli gli occhi di dosso e Ryoken faceva altrettanto
con lui. Poi un lieve sorriso gli incurvò le labbra e rispose:
«È un po' lunga da raccontare, ma se vuoi possiamo
parlarne. Vuoi che venga io da te, oppure… vieni tu da me?»
A quella
domanda Yusaku sussultò, rendendosi finalmente conto del
pericolo nel quale stava per essere inghiottito: i suoi piedi nudi
tastavano la rena bagnata, quella baciata dalle onde del mare. Non si
era inabissato, ma il solo fatto di avvertire l'acqua salata sulla
propria pelle lo portò a indietreggiare spaventato.
Il suo
cuore iniziò a battere impazzito nella cassa toracica e il suo
intero corpo fu scosso da tremiti spietati e malefici. Quella reazione
non passò inosservata a Ryoken, che comprese bene la situazione.
«Vengo io da te, allora».
3
Ryoken si sedette al suo fianco con estrema naturalezza. Le gambe avevano sostituito la coda di pesce e
(per fortuna!)
le cosce
erano fasciate da un costume da bagno, proprio come quelle di Yusaku,
che prima di accorgersi della presenza di Ryoken in acqua si era
spogliato, restando in costume, e aveva riposto con cura tutti gli
indumenti nello zaino.
Era una bella serata. Alquanto particolare, certo, ma pur sempre piacevole. Il mare era calmo e la luna e le stelle inargentavano il cielo in un muto splendore.
E Yusaku
– lo imbarazzava un po' ammetterlo – durante la prima
metà dell'anno scolastico aveva immaginato diverse volte di
godersi un panorama del genere insieme a Ryoken. Ora quel momento
pareva essere arrivato… sempre in tutta la sua meravigliosa
stranezza.
4
«Volevi provare a nuotare?» gli domandò Ryoken, guardandolo.
Yusaku si
portò le ginocchia al petto, poggiandovi poi il mento, quasi
volesse proteggersi da una minaccia che, dopo essere evasa dalla sua
testa, si era tuffata in mare, inabissandosi sempre più.
«Diciamo di sì» rispose, osservando l'immensa
distesa d'acqua che inghiottiva l'orizzonte. «Ogni estate
è sempre la stessa storia: arrivo qui e provo quantomeno a
bagnarmi fino ai polpacci, senza però avere successo. E finisce
che rimango a riva a osservare il mare… e basta».
«Hai paura dell'acqua?»
Yusaku
sospirò. «Sì. Quando avevo otto anni ho accettato
una “sfida di coraggio” per essere accettato da un gruppo
di ragazzini un po' più grandi di me. Dovevo nuotare fino a un
punto in cui non avrei più toccato e… e ho rischiato di
annegare se il bagnino non mi avesse soccorso in tempo».
«Mi dispiace…» sussurrò Ryoken, portando
anch'egli le ginocchia al petto. «Adesso capisco come mai a
scuola fossi tanto schivo con chiunque…»
«Ma non con te».
Ryoken inarcò un sopracciglio. «Mi rispondevi sempre a monosillabi».
«Beh, con gli altri non parlavo proprio».
A quella risposta risero entrambi, lasciandosi un po' andare.
«Comunque…» proseguì Yusaku, voltandosi verso
di lui – e cercando di non fissargli troppo le gambe:
«Come… come è possibile che tu…? Insomma,
che tu abbia una coda di pesce–»
«“Coda di pesce”!» lo interruppe Ryoken, ridacchiando. «Semplice: sono un tritone».
«Ma–»
«Non esistono, vero? Eppure io esisto, sono reale».
«Sì, lo so. Cioè, sei qui e ti sto parlando…
non credo di essere impazzito tutto d'un tratto. E poi a scuola anche
gli altri ti vedevano e ti parlavano, quindi…»
Yusaku si
sentiva sempre più intontito. «Sto dicendo cose senza
senso» borbottò, stendendo le gambe e portandosi una mano
tra i capelli.
«Se possono aiutarti a fare chiarezza no, non sono cose senza
senso» lo rassicurò Ryoken. «Sai che non sono
l'unico tritone a scuola?»
«Non eri»
lo corresse Yusaku, che non aveva nemmeno la forza di meravigliarsi per
quella nuova notizia appresa. Questo perché Ryoken gli era
mancato così tanto che anche in quel momento, nonostante fosse
lì vicino a lui, continuava comunque a mancargli. «Sei
sparito prima che iniziassero le vacanze estive e ormai avevo dato per
assodato che ti fossi trasferito all'estero. Erano solo voci di
corridoio, ma erano l'unica cosa concreta
a cui potevo aggrapparmi… perché tu te ne sei andato di
punto in bianco e okay, è vero, non avevamo chissà quale
rapporto, insomma, ci incontravamo solo qualche pomeriggio a settimana
al club di informatica, ma…»
(Tu mi piacevi. Mi piacevi tanto, anche se ti parlavo poco. E mi piaci tuttora).
Lasciò il discorso in sospeso, perdendosi in un altro sospiro.
«Allora quando vuoi parli»
constatò Ryoken, meravigliato. «Dovresti farlo più
spesso, è piacevole ascoltarti. Anche se quello che hai detto
non è una bella verità e non lo nego, perché
è andata proprio così: sono sparito e avevo tutta
l'intenzione di non tornare più sulla terraferma».
«Perché?»
«Per lo stesso motivo che ha spinto te a non avvicinarti più all'acqua: per paura».
Yusaku
sussultò. «Davvero la terraferma è più
spaventosa dell'acqua?» chiese con un filo di voce, abbassando lo
sguardo.
«Dipende dai punti di vista. Tu sei un essere umano che ha sempre
vissuto sulla terraferma e che a causa di un brutto incidente ha
iniziato a temere l'acqua. Io sono un tritone che ha deciso di provare
a vivere come un essere umano – è una cosa che succede
spesso tra i miei coetanei ed equivale alla vostra “età
della ribellione” – e che dopo pochi mesi si è
arreso a causa della caoticità della città, dello smog e
dei continui rumori. Anche se per motivi diversi, abbiamo entrambi
rischiato di soffocare».
Ryoken
abbozzò un sorriso, poggiando una mano sulla sua. «Le
nostre paure non sono poi tanto diverse, non trovi?»
«Sì, è vero» rispose Yusaku, mentre osservava
le dita delle loro mani intrecciarsi. «Abbiamo entrambi paura di
qualcosa che ancora non conosciamo appieno».
«Già». Ryoken gli strinse un po' più forte la
mano, guardando dritto davanti a sé
(e il mare notturno ricambiava lo sguardo con aura silente e misteriosa).
«Molti miei amici hanno abbandonato l'oceano per vivere come dei
comuni esseri umani. Diversi di loro ce l'hanno fatta, altri invece
sono tornati a casa dopo poco tempo… proprio come ho fatto io.
Anche se ho sentito la tua mancanza ogni giorno e… credo di
essermene andato anche per questo, perché non sapevo come
affrontare ciò che provavo per te. E che provo tuttora».
Yusaku sgranò gli occhi e sussultò. «Tu…?»
«Sì, ho avuto paura anche di questo. Perché avrei
dovuto dirti la verità, rivelarti la mia vera natura. Avrei
dovuto dirti che non sono umano e che–»
«Tu sei
umano» lo interruppe Yusaku con voce che a tratti pareva roca e
indurita da una malinconia atavica. «Sei sempre stato gentile e
paziente con me, mi salutavi sempre la mattina prima delle lezioni,
aprivi sempre tu la porta dell'aula di informatica per lasciarmi poi
passare, una volta hai preso a spallate il distributore automatico
perché la bibita che avevo scelto era rimasta incastrata e
poi… e poi mi sorridevi sempre, ogni giorno, in ogni occasione.
Quindi, per quanto mi riguarda, tu sei
umano. E poi l'hai detto tu stesso: alcuni tuoi amici sono riusciti a
integrarsi nella società umana e vivono come ta–»
Si bloccò di colpo, poiché Ryoken lo stava guardando in maniera decisamente particolare.
«Che c'è?» domandò confuso, trattenendo il
respiro nel momento in cui Ryoken gli si avvicinò, per poi
poggiare le labbra sulle sue, unendole in un delicato bacio a fior di
labbra – e senza sciogliere la stretta delle loro mani.
«Ti ascolterei per ore, Yusaku. E ti ringrazio per ciò che
hai detto. Dovresti davvero parlare di più e aprirti al mondo,
proprio come dovrei fare io…»
«Possiamo sempre farlo insieme…» sussurrò
Yusaku, cercando le sue labbra per assaporare nuovamente quel
meraviglioso contatto.
Ryoken sorrise. «Sì, possiamo farlo insieme».
5
Quella notte
nessuno dei due superò le proprie paure. Yusaku non si
tuffò in mare e Ryoken non tornò al suo appartamento per
ricominciare a vivere come un essere umano.
Si erano
però fatti una promessa: che si sarebbero rivisti la notte
successiva. E quella dopo ancora, fino alla fine dell'estate. E una
volta arrivato l'autunno, sarebbero ancora rimasti insieme.
In un modo o nell'altro, ne erano certi, avrebbero affrontato ogni cosa, ogni paura e ogni ostacolo.
(Perché l'amore non conosce limiti).
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