In every possible universe

di M a k o
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angel/Demon!AU ***
Capitolo 2: *** Behind The Scenes!AU ***
Capitolo 3: *** Roommates!AU ***
Capitolo 4: *** Android!AU ***
Capitolo 5: *** Hospital!AU ***
Capitolo 6: *** Rockstar/Band!AU ***
Capitolo 7: *** Merpeople/Undersea!AU ***



Capitolo 1
*** Angel/Demon!AU ***


#1.Angel-Demon!AU Mesi fa ho pubblicato sul mio profilo facebook un'iniziativa chiamata AU Week, ovvero un tipo di AU diverso ogni giorno per sette giorni.
Ognuno era libero di scegliere non solo su quali personaggi e coppie scrivere, ma anche di gestirsi il tempo come meglio credeva e poteva; tanto per dirvi che io ho concluso le sette One Shot solo due settimane fa per riuscire a pubblicarle giornalmente senza alcun impedimento.
Insomma, si tratta di una iniziativa molto tranquilla, nessuna scadenza di consegna, nessun obbligo o impedimento riguardante cosa scrivere o come sviluppare/interpretare i prompt, nulla di nulla.

Alla fine la mia personale AU Week è diventata una Datastorm AU Week e non poteva essere altrimenti – non ci posso fare niente, amo troppo questa coppia –, quindi da oggi fino a questa domenica ci sarà quotidianamente una nuova OS aggiunta a questa Raccolta.
Potete leggere le OS nell'ordine che più preferite, dato che non hanno un filo conduttore a parte essere tutte AU e no, non vi sto assolutamente facendo gli occhioni dolci per quando arriverà la quarta storia che è la mia preferita, ma vi pare?

Ho voluto cimentarmi con alcuni Universi Alternativi sui quali non avevo mai scritto e già questa prima One Shot ne è un esempio. In questo caso si tratta semplicemente di una storia d'amore tra un demone e un angelo come ne esistono a migliaia nel mondo, ma come prima volta è stato interessante e divertente scrivere qualcosa a riguardo.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!



• Day 1: Angel/Demon!AU; Demon!Ryoken x Angel!Yusaku; POV Ryoken
• Rating: Arancione
• Generi: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale
• Note: Lime
• Note aggiuntive: il titolo della storia è ripreso dalla canzone “Guardian Angel” degli Abandon All Ships



This love never dies



1

Si erano trovati anche quella notte.
E si erano trovati solo e soltanto per una ragione: per annientarsi a vicenda.


2

Ryoken aveva percepito la presenza di Yusaku una volta avvertita l'epidermide pizzicare. Ormai lo sapeva, era solo questione di tempo
    (forse solo qualche altro frammento di eternità)
prima di prendere fuoco e lasciarsi andare a un inferno che non aveva nulla a che vedere con la sua dimora naturale.
Gli esseri umani la chiamavano autocombustione; gli angeli e i demoni la chiamavano punizione divina. Ed era molto, molto, molto peggio di una semplice autocombustione poiché non avveniva all'improvviso e non stroncava una vita nel giro di pochi attimi, bensì si palesava ogniqualvolta un angelo e un demone decidevano, di loro spontanea volontà, di andare contro la loro stessa natura, unendosi nella carne e lasciandosi andare al più lascivo degli amplessi.
La punizione divina non li uccideva ma, in compenso, li marchiava. E un marchio, in certi casi, equivaleva a una condizione peggiore della morte stessa.
Nel momento in cui un angelo e un demone diventavano una cosa sola, l'universo intero scagliava la propria iraconda punizione divina per bilanciarsi.
    (Le viscere della Terra non avrebbero mai dovuto toccare il cielo e il cielo non aveva motivo alcuno di posare il proprio sguardo sulle cupe viscere della Terra).
Era una cosa talmente normalesemplice da assimilare, che solo i più stupidi cadevano in un tranello simile. Quantomeno, Ryoken era grato di non essere l'unico stupido ad aver commesso una simile eresia.
    (Dopotutto, i peccati spesso e volentieri si commettono in due).
Nel momento in cui raggiunse la sua meta, avvertì ogni cellula del corpo infiammarsi e ustionarsi, realizzando così di essere ormai vicino al proprio personale peccato – il più bello che avesse mai commesso.


3

Le labbra di Yusaku erano morbide come i petali di una rosa blu appena sbocciata, ma i suoi denti erano in grado di mordere e martoriare la carne come un migliaio di spine avvelenate.
Le sue mani avevano un tocco delicato come una carezza, ma le sue unghie sapevano lacerare e graffiare al pari degli artigli di una belva feroce, affamata e indomabile.
I suoi occhi erano verdi come il giardino dell'Eden, ma se ci si perdeva troppo in quello sguardo si rischiava di sprofondare nelle viscere della Terra, le stesse, sanguinose viscere da dove Ryoken emergeva ogniqualvolta il desiderio di unirsi nuovamente al suo angelo si faceva impetuoso e impellente.
La voce di Yusaku era una melodia soave, il sussurro amorevole tipico degli angeli, ma quando si lasciava andare a fremiti acuti e ansiti mal trattenuti, diventava irriconoscibile.
E ogni volta che Ryoken affondava in lui, ogni volta che si perdeva nel candore di quegli occhi
    (distogliendo lo sguardo un attimo prima di ricadere malamente nelle viscere della Terra)
e di quelle ali immacolate, ogni volta che gli strappava di bocca un gemito indecente, ogni volta che per lui e lui soltanto sentiva la pelle andare a fuoco, non poteva fare a meno di domandarsi se i ruoli in realtà non fossero stati invertiti per errore, se in realtà Yusaku fosse il demone e lui l'angelo perdutamente innamorato della creatura sbagliata – ma allo stesso tempo così bella e giusta.
Le ali di Yusaku reincarnavano la prima neve dell'anno: così pure e così vive che una sola, soffice piuma sarebbe bastata a donare felicità e pace interiore all'intera umanità
    (potevano ancora farlo ora che il corpo al quale erano attaccate aveva perso ogni traccia di innocenza?)
così belle e fragili come una schiera infinita di pregiati cristalli.
Le ali di Ryoken erano nere come una notte senza stelle e incutevano timore solo a guardarle a causa dei riflessi rossi che riverberavano a ogni più piccolo movimento. Erano talmente macchiate e incrostate di sangue innocente che parevano la reincarnazione di un sudario raccapricciante e maledetto.
Eppure, nel momento in cui diventava una cosa sola con il suo angelo, si sentiva leggero come una singola piuma, si sentiva svuotato di ogni macigno emotivo e poteva liberarsi, poteva sfogarsi e recidere le catene della sua
    (della loro)
condanna.
E allora il mondo diventava un posto migliore, almeno un po', almeno per qualche ora sospirata a fatica in quella baita persa tra le montagne, l'ultimo rifugio che avevano scelto per i loro incontri segreti e passionali.


4

Yusaku gli aveva offerto il proprio corpo e la propria anima anche quella notte. Lo aveva accolto dentro di sé, tra le sue pareti calde e frementi, e Ryoken si era ustionato ancora una volta l'epidermide e il cuore. E andava bene così.
I segni di ciò che stavano diventando quella notte marchiavano senza sosta le loro pelli diafane, si riaprivano squarci e si sfilacciavano nuove ferite che componevano il peccaminoso mosaico di un amore che non poteva mai bearsi della luce del sole. Erano tracce scarlatte e maledette che difficilmente si sarebbero estinte nel giro di poche ore nonostante i loro incommensurabili poteri curativi.
E nonostante fossero impossibili da vedere, le fiamme che avvolgevano i loro corpi impazienti ed eccitati erano palpabili ed erano talmente forti e impetuose che quella notte respirare normalmente fu alquanto arduo.
Ma riuscirono a perdersi ancora
    (e ancora e ancora e ancora)
l'uno nell'altro.
E fecero l'amore infinite volte scandite nell'immensità di un cielo fasullo adornato da stelle che con ogni probabilità erano già morte da tempo.
Yusaku aveva deciso di maledirsi offrendo la propria innocenza a Ryoken; Ryoken aveva deciso di purificarsi appropriandosi della cosa più preziosa che Yusaku possedeva.


5

All'ennesima spinta decisa da parte del suo demone, l'angelo lasciò evadere un urlo pregno di desiderio dalla gabbia che erano le proprie labbra delicate. Infinite perle di sudore tappezzavano i loro corpi ansanti, microscopiche gocce d'acqua che nulla potevano contro il fuoco che divorava la loro epidermide e le loro interiora.
Eppure, per l'ennesima volta ancora, loro erano felici. Erano felici di trovarsi lì, in quel luogo dimenticato dall'umanità intera, davanti un camino acceso, stesi su lenzuola bianche, completamente esposti nella loro vera essenza.
Erano felici di condividere anima e cuore in quell'amplesso considerato tanto empio, erano felici di amarsi e di concedersi l'uno all'altro a ogni incontro che si faceva sempre più sporadico a causa di lacerazioni e cicatrici che avevano trovato nella loro carne ormai corrotta dal peccato la dimora perfetta per proliferare e impiegavano sempre più tempo a guarire.
Ed era strano, era davvero tanto strano, perché il loro amore era considerato tanto sbagliato, ma loro sentivano di essere completamente guariti solo quando stavano insieme e solo quando la loro unione faceva vibrare le loro corde vocali e le loro anime e i loro cuori sanguinanti.
Quando il sacro e il profano trovavano il loro punto di incontro
    (il loro personale e bellissimo incastro)
non c'era maledizione o punizione divina che potesse reggere il confronto.


6

    («E se questa fosse la nostra ultima volta?» aveva una volta domandato Yusaku mentre Ryoken affondava in lui).
    («Allora mi pentirò solo di non averti fatto mio un'altra infinità di notti» aveva risposto quest'ultimo catturando le sue labbra in un bacio famelico e disperato).


7

    «È strano, sai?» gemette l'angelo mentre assecondava le spinte del demone, invitandolo ad affondare ancora di più nella sua carne.
    «Che cosa?» domandò Ryoken con voce roca, spezzata dal piacere.
    «I tuoi occhi…» proseguì Yusaku tra un ansito e l'altro, «sono azzurri. Solitamente gli occhi di un demone sono rossi».
    «Te ne sei accorto solo ora? Dopo secoli in cui ogni occasione è buona per fare l'amore nascosti chissà dove?»
    «No, certo che no. Ma non ti ho mai detto di amarli. Sono meravigliosi».
    «Cielo, Yusaku…!» ringhiò Ryoken, prima di riversarsi in lui. Ansimava pesantemente, con il corpo dell'angelo stretto a sé in maniera quasi possessiva. «Non dirlo mai più».
Un sorriso sornione increspò i delicati lineamenti del volto di Yusaku. «Oh, bastano davvero poche parole dolci per farti raggiungere la pace dei sensi? Stiamo perdendo colpi, mio adorato demone».
    «… taci».
L'angelo si lasciò sfuggire un risolino, mentre Ryoken ora accompagnava ogni profondo respiro con una sfumatura di frustrazione.
    «Le fiamme ormai non le sento più…» sussurrò poi Yusaku, cercando di cambiare – per quanto poteva – il fulcro del discorso.
    «Nemmeno io» rispose Ryoken mentre usciva lentamente da lui, lasciando un vuoto immenso tra i loro corpi ancora accaldati. Si stese al suo fianco, abbracciandolo forte.
    «Credi ci lasceranno mai in pace? Le fiamme, intendo» chiese ancora Yusaku, poggiando il capo sul suo petto.
    «Ne dubito. Secondo l'universo intero è ciò che meritiamo solo perché…» si bloccò, come se un'entità sconosciuta e spaventosa gli avesse serrato le mani attorno al collo.
    «Solo perché ci amiamo» concluse Yusaku al suo posto, sospirando affranto. Alzò lo sguardo, guardandolo dritto negli occhi. «Perché io ti amo… ti amo così tanto...» sussurrò con voce incrinata, mentre gli occhi si velavano di lacrime.
    «Ti amo anch'io. Non sarei qui con te, altrimenti» rispose Ryoken, baciandogli la fronte. «Qualunque cosa accadrà, sarò sempre con te, dalla tua parte».
    «E io dalla tua».
Yusaku si addormentò tra le sue braccia pochi minuti dopo, con le lacrime ancora fresche sul volto. Ryoken vegliò su di lui tutta la notte, sognando a occhi aperti la prossima meta da vivere insieme al suo angelo.
Avrebbero continuato a nascondersi fino alla fine del mondo, ne erano entrambi consapevoli.
Ma anche una notte senza stelle, se la vivevano insieme, faceva meno paura.

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Capitolo 2
*** Behind The Scenes!AU ***


#2.Behind The Scenes!AU Era da una vita che volevo scrivere una storia del genere e non nego che è quel tipo di idea che mi è venuta in mente per ogni Anime/Manga che ho amato, ma che non ho mai sviluppato fino a ora – tralasciando il fatto che ho sempre pensato a eventuali long, mentre qui è tutto condensato in una storia autoconclusiva.

L'idea di base è molto semplice: Ryoken e Yusaku sono due attori, hanno ottenuto una parte per la serie TV VRAINS e tra una ripresa e l'altra si sono innamorati. La storia è ambientata durante una giornata di pausa dalle riprese.
Considerando che Yusaku è un tipo molto chiuso e (paradossalmente) detesta stare al centro dell'attenzione, è stato alquanto divertente scrivere dal suo punto di vista.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!



• Day 2: Behind The Scenes!AU; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Fluff, Introspettivo, Sentimentale
• Note aggiuntive: il titolo della storia è ispirato a quello dell'omonima canzone dei Dead by April



Let the world
know




1

Yusaku era teso. Glielo si leggeva nello sguardo e nella postura rigida e aveva già maledetto se stesso un centinaio di volte, come minimo, quella fresca mattina di metà primavera.
Lui, che per anni aveva studiato recitazione, si ritrovava a essere troppo se stesso nel momento meno opportuno fra tutti.
    (La gente lo osservava – per non dire fissava – troppo. Tutti quegli occhi curiosi non facevano altro che accrescere il suo senso di disagio, il quale aveva attecchito perfettamente nelle sue viscere, piantandovi radici solide e resistenti, impossibili da divellere e che gli avevano brutalmente chiuso la bocca dello stomaco).
Tentò di concentrarsi sul cappuccino e la brioche che aveva ordinato, ma invano. Quantomeno, a differenza sua Ryoken pareva tranquillo e a proprio agio, sensazioni che Yusaku si impose di provare per non far degenerare ulteriormente la propria condizione emotiva, anche se i risultati non arrivavano neanche pregandoli in ginocchio, persi chissà dove lungo la strada.
L'ultima cosa che desiderava era alimentare ancora di più le voci sul loro conto, soprattutto quello intimo e personale. Ma era un traguardo davvero difficile da raggiungere…


2

La serie TV VRAINS aveva riscosso un enorme successo con la prima stagione, tanto che già si parlava addirittura non di un solo rinnovo, bensì anche di una terza stagione. Yusaku sperava solo che la trama non si perdesse lungo la strada
    (o peggio: che non andasse a fare compagnia alle sensazioni che in quel momento non riusciva a provare)
e che la caratterizzazione dei personaggi non sfumasse nel nulla, come spesso accadeva quando non si riusciva più a gestire tutto il successo ottenuto in pochissimo tempo.
Playmaker e Revolver erano ormai diventati personaggi iconici, il pubblico ne voleva sempre più e lui e Ryoken – ma anche tutto il resto del cast – chi erano per non accontentarlo? Sperando sempre che tutto non sfociasse nel nulla cosmico o in episodi talmente scialbi e strutturati solo per allungare il brodo da non avere il benché minimo senso.
O forse Yusaku era talmente apprensivo nei confronti delle sorti di VRAINS in quanto quella serie TV aveva sancito il suo esordio ufficiale nel mondo dello spettacolo e, di conseguenza, l'avrebbe sempre guardata con occhio un po' innamorato.
A differenza sua, Ryoken viveva in quella giungla colma di ostacoli già da diverso tempo: oltre ad aver preso parte ad alcuni film e pubblicità, era anche un modello, e spesso il suo volto – ma anche il suo fisico aitante – era impresso nelle copertine di innumerevoli riviste e giornali – e chissà quante copie circolavano ogni volta.
    (Yusaku non era geloso. Assolutamente no).
Inoltre, era anche molto attivo sui social, a differenza di Yusaku che cercava di esternare sempre il giusto della propria persona e della propria vita privata senza mai sbilanciarsi. Non che Ryoken fosse uno di quelli che aggiornava i followers di ogni minima cosa, anche la più futile, ma di certo sapeva far parlare di sé e intrattenere il proprio pubblico anche al di fuori di una parte preimpostata all'interno di una serie TV, di una pubblicità o di un film. Yusaku ammirava
    (e forse un po' anche invidiava)
il modo in cui Ryoken riusciva sempre a instaurare un rapporto con i suoi fans anche attraverso uno schermo.
A Yusaku non era mai piaciuto apparire, il che era un abnorme paradosso, dato che in VRAINS non ricopriva nemmeno un ruolo minore, bensì quello del protagonista. Ed essere il protagonista di una serie tanto fortunata
    (avrebbe dovuto immaginarlo nonostante la sua immensa ingenuità)
implicava che la gente si interessasse non solo al personaggio, ma anche alla persona.
Da quel punto di vista Yusaku non aveva molto da offrire: era un ragazzo come tanti che al di fuori delle telecamere conduceva una vita tranquilla, niente di più, niente di meno. Aveva notato, però, che da quando aveva intrapreso una relazione con Ryoken le sue giornate erano drasticamente mutate, divenendo a tratti irriconoscibili, miraggi sbiaditi di ciò che erano state un tempo non poi così tanto lontano.
Il concetto di privacy pareva quasi essersi dissolto nel nulla in un concerto di mille bolle di sapone: la gente era avida di sapere cosa facesse e dove si trovasse ogniqualvolta non presenziava sul set. Erano tutti ingordi e la loro fame di costanti news dell'ultimo minuto non conosceva limiti.
Tra alcuni fans fin troppo esagitati che spesso e volentieri si scontravano con gli haters, c'era però una categoria a parte che, purtroppo, spiccava particolarmente su tutte: i paparazzi.
E se la gente continuava ad alimentare la sua instancabile fame di news dell'ultimo minuto, lo doveva soprattutto ai paparazzi, ai quali bastava anche solo una foto sfocata o a bassissima risoluzione per divulgare in rete notizie prive di alcun fondamento e che creavano solo scompiglio, sollevando polveroni tossici e cancerogeni e irrespirabili.
Yusaku fortunatamente non aveva mai vissuto simili esperienze in prima persona, ma sapeva quanto i paparazzi fossero imprevedibili e a tratti maligni ed era ormai da tempo che lui e Ryoken erano costantemente fotografati a loro insaputa. Nulla di compromettente, ma che andava comunque a imbrattare ogni momento tranquillo trascorso in compagnia con l'inchiostro indelebile dell'invadenza.
Yusaku sentiva che c'era qualcuno, lì in mezzo, pronto a tirare fuori la fotocamera una volta abbassata la guardia; sapeva che le persone sedute ai tavoli attorno a loro li avevano riconosciuti e che ormai mancava poco all'imminente palesarsi di qualche fan che desiderava un autografo o una foto da pubblicare sui social; afferrava ogni più piccolo brusio di sottofondo, perché la gente aveva un incessante bisogno di parlare di chiunque e lui e Ryoken erano talmente esposti che per un attimo si domandò perché mai avesse deciso di intraprendere la carriera da attore.
Forse era uno stress, sia fisico che emotivo, che non faceva per lui. Non era come Ryoken che riusciva sempre a cadere in piedi, lui spesso inciampava e restava lì a terra, con le ginocchia sbucciate e una voglia immensa di piangere e chiudersi a riccio sotto le coperte calde.
Non aveva nulla di cui giustificarsi, perché in fin dei conti era semplicemente se stesso, eppure era arrivato a sentirsi in colpa per tutto quello che stava capitando. E poi…
    («A cosa stai pensando?»)


3

Tutto il flusso dei suoi pensieri si sciolse come neve baciata dall'ustionante calore del sole. Ryoken lo stava chiamando e Yusaku si domandò da quanti minuti stesse facendo scena muta. Forse lo aveva fatto preoccupare.
Yusaku si rese conto, mentre sbatteva diverse volte le palpebre, che con ogni probabilità il suo cappuccino si era ormai raffreddato.
    «Niente di che… mi sento solo osservato, ma forse sto lavorando troppo con la fantasia» rispose infine, facendo spallucce – e mentendo in maniera a dir poco pessima.
    «Non ti senti ancora tanto sicuro a uscire di casa?» gli domandò Ryoken a bruciapelo.
Yusaku sussultò, ormai impossibilitato a nascondersi.
    (Con Ryoken, poi, gli era sempre impossibile).
    (Ryoken era come il boss finale dell'immenso groviglio di livelli della sua emotività: troppo forte per essere battuto).
Si morse il labbro inferiore, palesando tutto il suo disagio mentre tornava a osservare il cappuccino.
    «Ehi». La voce di Ryoken lo ancorò nuovamente alla solida realtà. E Yusaku sussultò una seconda volta nel momento in cui avvertì la mano del suo ragazzo poggiarsi candidamente sulla sua.
    «Non badare a quello che dicono e ovunque lo dicano» proseguì con voce morbida. «Quello che succede dietro le quinte appartiene a noi e a noi soltanto».
Strinse un po' più forte la sua mano e Yusaku si lasciò cullare da quel tocco gentile.
    «E poi…» aggiunse Ryoken con una punta di malizia nello sguardo, «se sapessero tutto, ma proprio tutto di quello che succede dietro le quinte, fidati che sarebbero mille volte più scatenati».
    «R-Ryoken!» esclamò Yusaku, paonazzo. Avrebbe voluto coprirsi il viso con entrambe le mani, ma la presa del suo compagno era alquanto salda.
    «Però hai ragione» disse poi, quando si quietò. «E poi la nostra relazione sta… sta andando bene, no?» chiese, una lieve nota di apprensione che imbrattava il suo tono di voce.
Lo sapeva, in realtà. Sapeva che nonostante quanto accadesse ogni giorno, tutto, tra di loro, stava procedendo a gonfie vele. Ma necessitava comunque di sentirselo dire.
    «Sì» confermò Ryoken, sorridendo. «Sta andando alla grande».
E allora andava bene così. Non aveva bisogno di sapere altro.
Che il mondo sapesse pure e parlasse pure.

Tanto loro erano felici insieme. E lo erano ancora di più quando potevano esprimersi senza seguire un copione. Sempre e comunque.

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Capitolo 3
*** Roommates!AU ***


#03.Roommates!AU
Questa One Shot è… strana. In tutta onestà non so nemmeno io cosa avessi in mente quando l'ho scritta, avevo un'idea di base che sì, ho sviluppato, ma che anche dopo diverse riletture credo sia davvero strana – ma che comunque mi soddisfa.
Questo perché penso che troverete un sacco di cose esagerate, all'interno di questa OS, soprattutto i pensieri di Yusaku nei confronti di Ryoken.

Più nello specifico, ci tengo a precisare (e non è uno spoiler in quanto già nella prima frase sarà scritto) che Yusaku in questa storia è ubriaco, quindi ho provato a immedesimarmi un po' e tentare di conseguenza a elevare i suoi pensieri a qualcosa che possa risultare un po' assurdo. Spero di essere riuscita nel mio intento.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!



• Day 3: Roommates!AU; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Commedia (o almeno credo), Fluff, Introspettivo
• Note aggiuntive: il titolo della storia è palesemente ispirato alla canzone “I Kissed a Girl” di Katy Perry



I kissed my roommate
and I liked it



1

Yusaku era ubriaco, anche se in realtà non se ne rendeva conto. Avvertiva soltanto un forte calore invadergli ogni muscolo del corpo e la gola, la vista si era fatta brumosa e i pensieri gli vorticavano incessantemente nella testa senza dargli tregua.
Non aveva bevuto neanche chissà quanto, a dirla tutta; semplicemente, non riusciva a reggere l'alcol – e con ogni probabilità, quella sarebbe stata la prima e ultima volta in cui un esame universitario superato lo festeggiava in quel modo.
L'idea, per di più, non era stata nemmeno sua: si era lasciato convincere
    (o meglio ancora: trascinare di peso)
da alcuni suoi compagni di corso che quantomeno si erano poi premurati di riaccompagnarlo all'appartamento che condivideva con… Ryoken.
Il solo pensare al suo coinquilino lo portò a ringhiare contro la chiave che proprio non ne voleva sapere di inserirsi correttamente nella serratura
    (prendersela con se stesso perché forse era un po' troppo ubriaco per svolgere al meglio anche le normali azioni quotidiane ovviamente non era contemplabile).
Questo perché era bastato solo un fugace pensiero indirizzato a Ryoken per far circolare tutto l'alcol che aveva assunto alla velocità di una pulsar nelle vene, portandolo a bramare l'altra anima dell'appartamento con ogni cellula infiammata – e ubriaca – della sua essenza.
Perché Ryoken gli piaceva. Ma non era un “gli piaceva” normale, era ben altro: gli piaceva da impazzire, come se al suo fianco fosse perennemente ubriaco poiché il suo coinquilino aveva lo stesso effetto di un pregiato superalcolico – irretiva i sensi e fotteva il cervello.


2

Fino a diversi mesi addietro, Yusaku non era certo di voler condividere un appartamento con qualcuno, ma le spese erano tante e dividerle con una seconda persona era l'unica soluzione che poteva permettersi.
Inoltre, considerando il suo carattere tanto chiuso e schivo, già immaginava che col coinquilino, chiunque egli fosse, non avrebbe avuto chissà quali problemi: avrebbe interagito con lui il minimo indispensabile, non avrebbe mai invaso i suoi spazi e si aspettava che anche l'altra parte facesse altrettanto… solo che ancora ignorava il fatto che il suo coinquilino sarebbe stato Ryoken.


3

Ryoken era… cielo, era meraviglioso. Yusaku probabilmente non aveva mai visto tanta bellezza concentrata in un'unica persona e no, non lo stava affatto idealizzando, anzi, era stata proprio questa certezza ad averlo inizialmente mandato nel panico, soprattutto durante i primi giorni di convivenza.
Per di più, frequentavano entrambi la Facoltà di Ingegneria Informatica, Ryoken era già al terzo anno e si era dimostrato più che disposto ad aiutare Yusaku in caso di lezioni troppo complicate o alla preparazione di alcuni esami.
In sostanza, avevano iniziato a flirtare fin dal primo giorno, anche se difficilmente Yusaku lo avrebbe ammesso apertamente. Non era da lui fare certe cose con qualcuno, e poi stavano ancora imparando a conoscersi, insomma, erano trascorsi solo pochi mesi da quando avevano iniziato a vivere sotto lo stesso tetto e forse era ancora troppo presto un po' per tutto, ma… ma Yusaku era ormai troppo ubriaco di Ryoken per potersi allontanare da lui.
    (Il primo giorno Ryoken avrebbe dovuto presentarsi con un cartello o una t-shirt sulla quale a caratteri cubitali vi era scritto: PROVOCO ASSUEFAZIONE).
E in ogni caso Yusaku non ci teneva nemmeno ad allontanarsi da lui, dato che con Ryoken stava bene e, anche se alcune volte faticava a controllare le proprie emozioni – e certi impulsi a dir poco lascivi –, si sentiva a proprio agio in sua compagnia.
Forse stava esagerando nel dare una forma a quel pensiero che si era palesato all'improvviso nella sua mente
    (e forse l'alcol lo stava aiutando a gonfiarlo sempre più, tanto che dall'innocente palloncino che era si stava trasformando pian piano in una gigantesca mongolfiera)
ma… Ryoken era la sua casa. Non le stanze dell'appartamento che condividevano, proprio lui. Era la quiete dopo la tempesta che Yusaku aveva cercato per tanto, tantissimo tempo.
Quiete di cui i suoi nervi, in quel momento, non si stavano affatto beando: la bruma dovuta alla sbronza si era fatta ancora più fitta e i suoi occhi non riuscivano più a mettere a fuoco nemmeno la serratura.
Non si rese neanche conto di star facendo un po' di chiasso mentre borbottava e imprecava contro la chiave e la serratura; non era particolarmente tardi, ma in ogni caso la sua traballante agitazione poteva rivelarsi un elemento di disturbo per l'intero vicinato.
Era quasi sul punto di prendere a spallate la porta – o in alternativa accasciarsi disperato contro il muro intento a piagnucolare – quando il fato riuscì finalmente a sopprimere le grasse risate nelle quali si stava crogiolando, decidendo di intervenire in suo favore: Yusaku aveva la mente troppo obnubilata dall'alcol per suonare il campanello o fare uno squillo a Ryoken, ma quest'ultimo era perfettamente lucido da rendersi conto che fuori dalle mura domestiche stava sicuramente capitando qualcosa, motivo per il quale aprì la porta, ritrovandosi Yusaku a pochi centimetri di distanza intento a combinare non si sapeva bene cosa.


4

    «Ehi» sorrise mentre si spostava di lato per farlo entrare. «Come è anda–»
Non riuscì a concludere la domanda poiché Yusaku gli piombò addosso, letteralmente.
    «Scusa, scusa, scusa» cominciò a straparlare, la voce impastata dal poco alcol che aveva assunto durante la serata – ma per lui comunque micidiale. «Scusami davvero tanto, non volevo ubriacarmi – perché sono ubriaco, vero? – e te lo giuro, io ho detto loro che non volevo neanche bere, ma loro hanno insistito perché “Ehi, abbiamo superato un esame difficilissimo, dobbiamo assolutamente festeggiare” e io allora ho pensato “Ma sì dai, che sarà mai un goccetto?” e – al diavolo! – era una roba strana e stra forte e–»
Fu il turno di Ryoken di interrompere Yusaku che, mentre sciorinava una parola dietro l'altra, si era aggrappato a lui con le poche forze che gli erano rimaste: poggiò garbatamente l'indice destro sulle sue morbide labbra e questi si zittì, trattenendo il respiro.
    «È un piacere sentirti parlare così tanto – penso tu abbia parlato più ora rispetto a tutti questi mesi di convivenza messi insieme –, ma… non ti devi giustificare di nulla. Non sono arrabbiato con te e non ne avrei nemmeno il motivo. Però ammetto di essere contento perché stai bene e la situazione non è degenerata e…
    (Allontanò l'indice destro dalle sue labbra per avvicinarvi il volto. Le punte dei loro nasi si sfiorarono e Yusaku trattenne nuovamente il respiro)
… e perché in queste ore mi sei mancato. Tanto» ammise infine, allontanandosi un poco.
Yusaku aveva creduto
    (e sperato)
fermamente che lo baciasse.
Ci rimase un po' male nel constatare che le intenzioni di Ryoken non fossero quelle – e allora perché si era avvicinato tanto?
    «Volevi baciarmi?» domandò con un filo di voce. «Perché non avrei opposto resistenza…»
Ryoken deglutì a fatica. «Sì, ma sei ubriaco e non vorrei–»
    «Non l'avrei opposta neanche da sobrio».
    (In vino veritas, no?)
Avvertì le gote scaldarsi come tizzoni ardenti. Probabilmente il suo volto era più rosso di un cocktail Bloody Mary, ma ormai era fatta, glielo aveva confessato. E in tutta onestà, non voleva neanche tirarsi indietro.
    «Se mi dici così…»
Ryoken avvicinò nuovamente il volto al suo. «Cielo, Yusaku, non immagini quanto sia stato difficile trattenermi fino a ora».
    (E invece lo sapeva. Lo sapeva fin troppo bene).


5

Il loro primo bacio se lo scambiarono un po' in bilico, con Yusaku che si era aggrappato ancora più saldamente a Ryoken e quest'ultimo che faceva di tutto per sorreggerlo e non cadere in avanti. Fu un bacio dolcemente amaro, un miscuglio di sospiri caldi ed ebbri che un po' cozzavano tra di loro, ma nel momento in cui trovavano il loro punto di incontro – una, dieci, cento volte –, diventava impossibile scioglierli.
Yusaku avvertì le dita di Ryoken sprofondare tra i suoi capelli, i loro petti che aderivano perfettamente nonostante ci fosse uno spesso cappotto di mezzo e le loro lingue che avrebbero continuato a cercarsi e stuzzicarsi se solo la necessità di incamerare ossigeno non si fosse fatta impellente.
Era stato bellissimo e
    («Yusaku, stai piangendo?»)
una lacrima gli solcò il volto ancora in fiamme.
    «No, è che… quando ci si riprende da una sbronza poi non si ricorda nulla di quello che è successo nel mentre, vero?» domandò mentre si asciugava la lacrima solitaria con il dorso di una mano.
    «In teoria sì» confermò Ryoken, «ma non è detto. Dipende da persona a persona. E poi…
    (Avvicinò ancora una volta le labbra alle sue)
… per essere uno che ha superato al primo colpo l'esame di Ingegneria dei Software e dei Sistemi Web, direi che possiedi un'ottima memoria».
Sorrise, e Yusaku avvertì quelle labbra tanto invitanti incurvarsi direttamente sulle sue.
    «Buono a sapersi» rispose, prima di lasciarsi andare a un nuovo, meraviglioso bacio.
L'indomani mattina avrebbe sicuramente affidato la sua vita a una pastiglia contro il mal di testa. Ma in quel momento, ne era certo, i baci di Ryoken erano la medicina migliore che potesse assumere.

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Capitolo 4
*** Android!AU ***


#4.Android!AU Quella che inizialmente doveva essere la storia più difficile fra tutte si è rivelata la più bella da scrivere – ed è anche la mia preferita.
Non ho mai scritto una Android!AU ed è uno dei prompt che ho scelto per mettermi alla prova, anche se alla fine così non è stato, dato che quella che più mi ha dato del filo da torcere è stata la Merpeople/Undersea!AU – poi vedrete nel Day 7, è quella che mi convince meno fra tutte, rip

Tra le tante declinazioni che una Android!AU può avere, ho scelto quella di un futuro post apocalittico in cui l'umanità è ormai agli sgoccioli a causa di forze nemiche impossibili da battere.
Quindi è come se fosse una sorta di apocalisse nell'apocalisse, insomma, mi piace sguazzare tra le catastrofi, ecco.

Sinceramente avrei voluto scrivere tanto di più con questo tipo di AU e non nego che più avanti mi piacerebbe ampliare questo piccolo universo che ho creato con tutti i retroscena legati a Ryoken e Yusaku che fanno di tutto per sopravvivere – ve l'ho già detto che mi piace sguazzare tra le catastrofi, sì?
Spero almeno che ciò che ho scritto finora sia esaustivo e che vi piaccia.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!



• Day 4: Android!AU; Human!Ryoken x Android!Yusaku; POV Ryoken
• Rating: Arancione
• Generi: Drammatico, Introspettivo, Triste



Till the end
of the world




1

Ho smesso di credere in Dio tanto tempo fa.
Forse non ci ho mai creduto per davvero, non da quando ho visto l'essere umano fare di tutto per spodestarlo ed ergersi a nuovo Dio di questo mondo in rovina.
Ed è inutile girarci intorno, io per primo in tutti questi anni ho contribuito a mettere all'ingrasso l'ego dell'essere umano fabbricando le armi più svariate, vendendo la mia mente e il mio intelletto al servizio di una società sull'orlo del baratro.
Ho visto tanti miei coetanei e tanti ragazzi più giovani di me rinunciare alla loro umanità su costrizione al solo scopo di proteggere un mondo collassato ormai da tempo.
Ho visto lui diventare un automa come tanti altri, l'ho visto dire addio alla sua innocenza, alla sua carne e al suo sangue, l'ho visto combattere e sopravvivere un'infinità di volte, ma… ma ora è troppo tardi.
È tutto finito, non c'è modo alcuno di rimediare.
Stanno tornando… e se non ci faranno fuori loro, ci penserà comunque la Terra a implodere e collassare su se stessa.
Quindi, in questi ultimi minuti di vita che mi rimangono, imploro solo e soltanto una cosa: forse è troppo tardi per chiedere aiuto a Dio, anzi, è troppo tardi ormai per tutto, ma se oltre a quei mostri lassù in cielo c'è anche un Dio, uno qualsiasi, ti prego, ti scongiuro… fammi incontrare Yusaku un'ultima volta.


2

Mancavano pochi minuti a mezzogiorno e di Den City restava ormai ben poco. Era piena estate e la calura atroce altro non faceva che alimentare gli incendi che vessavano la città e ogni zona limitrofa. Den City
    (no, il mondo intero)
era ormai al capolinea.
L'aria era irrespirabile, gli oceani prosciugati, i terreni incoltivabili. Ovunque si guardasse, il mondo soffriva e lacrimava tossine cancerogene.
Quei mostri – che parevano la reincarnazione di tutte quelle creature notturne che spaventavano l'essere umano nei libri e nei film – erano arrivati all'improvviso da chissà quale pianeta confinato in chissà quale galassia e l'umanità del tremila non aveva potuto nulla contro la loro forza bellica. Aveva vissuto gli ultimi vent'anni nel terrore più assoluto, attendendo ogni giorno la morte
    (colei che, ineluttabile, chiamava a sé tutti quanti e li conduceva in un altro mondo poggiando le dita scheletriche su schiere e schiere di spalle schiacciate da un peso incalcolabile).
Quasi il cento percento della razza umana si era ormai estinta: gli unici a essersi salvati, anche se ormai non mancava tanto alla fine di tutto, erano i pochi androidi che ancora riuscivano a reggersi in piedi per combattere e gli altrettanto pochi scienziati che li avevano progettati e perfezionati nel corso degli anni.
Quelle creature infernali arrivate dallo spazio avevano solo rallentato il loro piano di conquista – o forse era meglio dire di distruzione totale – della Terra: si erano inspiegabilmente interessate agli androidi, trovando in loro una fonte di confronto stimolante a livello bellico, iniziando così a giocare con ognuno di loro.
Se l'umanità era riuscita a sopravvivere per altri vent'anni dopo il primo attacco, era solo perché quei mostri avevano concesso del tempo agli scienziati per perfezionare maggiormente gli androidi, per renderli dei degni avversari a tutti gli effetti. In altre parole, la Terra si era salvata grazie a un loro capriccio.
E in cuor suo, mentre correva tra una rovina e l'altra, Ryoken pensò che forse sarebbe stato meglio morire subito, già alla prima invasione, quando ancora era un bambino. Così facendo non avrebbe mai incontrato l'amore della sua vita… ma, al contempo, non lo avrebbe visto perdere la propria umanità giorno dopo giorno, non lo avrebbe visto portare il suo corpo allo stremo durante ogni battaglia, non lo avrebbe visto annichilirsi sempre più per un pianeta che aveva già perso le speranze in partenza.
E ciò che più gli dilaniava il cuore era il fatto che
    (cielo, sono un mostro)
era stato proprio lui a progettare Yusaku.


3

Negli ultimi vent'anni, l'essere umano aveva pensato solo a due cose: aumentare il più possibile la propria forza bellica e raccogliere le menti più brillanti in grado di sfruttarla al meglio. I progetti e le sperimentazioni legati agli androidi erano già in atto da tantissimo tempo, in quanto stava diventando ormai la normalità sostituire la carne con arti robotici
    (l'umanità puntava, senza ritegno alcuno, alla famigerata vita eterna)
ma quantomeno non si era mai pensato a un cambio di rotta per quegli esperimenti – o per meglio dire: così appariva in superficie –, infatti la creazione di armi umane era considerata una violazione della legge e sollevava non poche questioni etiche e morali.
Solo che poi, un giorno come tanti, era diventato necessario affidarsi a degli androidi in grado di combattere con l'ausilio di arti potenziati, perché altrimenti per il mondo intero sarebbe stata la fine, quella definitiva e dalla quale non si poteva tornare indietro. Incredibile come, nel giro di uno schiocco di dita, proprio chi operava in gran segreto contro la legge fregandosene dell'etica e della morale fosse diventato il salvatore del mondo: se i progetti e le sperimentazioni sulle armi umane – o androidi da guerra che dir si voglia – non fossero già stati a buon punto durante il primo attacco, il mondo avrebbe fatto in tempo a collassare un miliardo di volte
    (ma era stato giusto, ai tempi, prolungare la salvezza del pianeta che nel giro di poco si era trasformata in una lenta agonia?)
Ryoken continuava ancora a non credere in Dio, ma nella sua mente aveva iniziato a banchettare un tarlo che si ingrossava sempre più: forse quei mostri venuti dallo spazio erano una punizione divina ai danni dell'intera umanità per aver anche solo tentato di accaparrarsi un briciolo di vita eterna.
Non gli interessava trovare una risposta esaustiva a riguardo, in realtà: tutto ciò che agognava in quel momento era ritrovare Yusaku e stare con lui durante quei pochi minuti rimasti prima del collasso definitivo.


4

Ryoken aveva iniziato a lavorare su Yusaku circa cinque anni addietro. Yusaku era un ragazzo in salute, forse un po' mingherlino, ma era estremamente veloce e possedeva degli ottimi riflessi. Ryoken aveva lavorato molto sulle sue gambe, potenziandole al massimo, sulle sue braccia e sui suoi occhi. Yusaku era diventato veloce come un ghepardo e possedeva la vista di un'aquila: era, senza ombra di dubbio, il progetto migliore che Ryoken avesse mai portato a termine nel corso della sua breve carriera da scienziato.
Ma per far sì che ciò accadesse, Yusaku aveva rinunciato alla sua carne e al suo cuore, il quale continuava a battere nella cassa toracica al solo scopo di ossigenare il cervello. Ogni volta che armeggiava su di lui, ogni volta che implementava alle sue braccia e alle sue gambe i progressi della ricerca scientifica, ogni volta che Yusaku chiudeva gli occhi durante quelle innumerevoli – e a tratti eterne – operazioni, Ryoken lo sapeva
    (e lo vedeva e lo sentiva fin dentro le ossa)
abbracciava sempre più l'automa nel quale si stava trasformando, mentre la sua essenza umana era pian piano asportata via come la sua carne.
I suoi occhi, verdi e brillanti, erano tutto ciò che di umano gli era rimasto, l'unica fiammella che infondeva ancora speranza nel cuore tumefatto di Ryoken che un giorno colui che amava sarebbe tornato a essere un ragazzo come tanti, una creatura umana fatta di sentimenti, carne e sangue caldo.
Yusaku non aveva mai chiesto di partecipare alla guerra; era stato costretto, così come tutti gli altri uomini e le altre donne ancora giovani e in salute, tutti coloro sui quali si poteva ancora lavorare e amputare gli arti per sostituirli con le artificiosità che li avrebbero aiutati
    (condannati)
ad affrontare i mostri dello spazio.
Più il tempo passava e più il cuore serviva solo a non far morire il cervello; i sentimenti si atrofizzavano e così come non si era più in grado di provare dolore, lo stesso valeva anche per la gioia e qualsiasi altro tipo di emozione.
Erano solo macchine da guerra intelligenti. Umani che avevano rinunciato alla loro umanità per una causa persa in partenza. E nonostante Ryoken fosse ancora composto per il cento percento da carne, muscoli e sangue, si sentiva la creatura più disumana presente sulla faccia di quel pianeta ormai ferito a morte.


5

Quando lo trovò, mancava ormai un misero sfilaccio di tempo al colpo di grazia: centinaia di astronavi avevano iniziato a materializzarsi nel cielo, ingombrando quello squarcio di infinito agognato per millenni dall'essere umano, preparandosi a sferrare l'ultimo attacco. I mostri, dopo vent'anni di puro divertimento per loro e di agonia per la razza umana, si erano stancati di giocare.
Yusaku era steso a terra, impossibilitato ad alzarsi: aveva perso la gamba sinistra e ciò che ne rimaneva era solo qualche filo reciso rosso e blu, niente sangue o carne maciullata, solo pezzi di metallo impossibili da riassemblare poiché troppo danneggiati durante l'ultimo scontro. Aveva perso anche la mano destra e, più in generale, il braccio era ancora attaccato al resto del corpo solo perché qualche filo che aveva preso il posto delle vene e delle arterie non era stato brutalmente reciso.
Attorno a lui, i corpi martoriati di tre mostri giacevano a terra in un caldo lago color viola scuro. Era impossibile affrontare tre creature del genere da soli ed essere poi in grado di raccontarlo… eppure Yusaku, anche se era ridotto in condizioni pietose, ci era riuscito.
Ryoken si avvicinò a lui quasi barcollando, rendendosi conto solo in quel momento di essere ferito: perdeva sangue da una tempia e riportava una brutta ustione alla coscia sinistra, ferite che si era procurato durante il primo bombardamento della mattina, quello che aveva distrutto completamente il laboratorio scientifico e dal quale lui era miracolosamente riuscito a fuggire come unico superstite.
    (Non gli importava, però: aveva ritrovato Yusaku e questo gli bastava).
    (E aveva solo bisogno di aggrapparsi a lui per l'ultima volta).


6

    «Yusaku!» esclamò, quando ormai la distanza tra i loro corpi si era ridotta a meno di un metro. Si inginocchiò al suo fianco, avvertendo per la prima volta il dolore lancinante che l'ustione sulla coscia gli procurava. Strinse i denti e con garbo sollevò il busto del suo amato, poggiandogli una mano dietro la nuca.
Yusaku aveva gli occhi chiusi, pareva stesse dormendo. O forse era… no, non poteva essersene andato, non poteva averlo lasciato solo in quell'inferno
    (ma in fondo ne aveva tutto il diritto, dato che era stato proprio Ryoken a trascinarlo fin lì).
    «Yusaku…» lo chiamò ancora, questa volta con voce un poco incrinata.
    (Permettimi solo di rivedere i tuoi occhi un'ultima volta. Poi, te lo giuro, avrai tutto il diritto di chiuderli per sempre e concederti quel meritato riposo tanto agognato).
Un fuggevole guizzo verde catturò la sua attenzione. Poi quel guizzo si trasformò in qualcosa di perpetuo e stabile, donando un po' di colore in quel mondo intossicato dalla disperazione. Yusaku riaprì gli occhi lentamente, come se quella semplice azione gli costasse un cospicuo dispendio di energie.
    «Ryoken…» sussurrò. Abbozzò un sorriso, facendogli intendere che fosse felice di vederlo. Un sorriso che Ryoken ricambiò con l'aggiunta di tonnellate e tonnellate di sollievo.
    «Ehi… andrà tutto bene, okay? Ci sono io ora, qui con te. Troverò dei pezzi di ricambio e potrai tornare a camminare presto».
Gli si spezzò il cuore nel raccontargli quella menzogna. Ma in quel momento anelava solo e soltanto a una cosa: rendere felice Yusaku per l'ultima volta. E se per renderlo felice era necessario mentirgli spudoratamente e fracassarsi il cuore di botte pesanti e dolorose, lo avrebbe fatto altre mille volte. Per lui, solo e soltanto per lui, avrebbe fatto di tutto.
    (Hai faticato così tanto, Yusaku. Hai combattuto fino allo stremo per quel poco di umanità rimasta, talmente meschina da trasformarti e sfruttarti e strapparti di dosso ogni traccia di innocenza, fino all'ultimo brandello. Io per primo l'ho fatto. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…)
    «Ryoken… perché piangi?»
Yusaku aveva alzato il braccio sano, poggiandogli la mano sulla guancia rigata da perle salate. Era asettica e metallica… ma era di Yusaku e questo a Ryoken bastava.
    «È che… sono così felice di averti ritrovato…» sussurrò Ryoken, sforzando un altro sorriso. Ed era vero, era assolutamente vero: anche se gli stava celando una catastrofica verità, era troppo felice di essersi riunito a lui in tempo. «Adesso… adesso farò in modo di trasportarti altrove senza danneggiarti ulteriormente, okay? Resisti solo un altro po'… sei stato bravissimo…»
Stava ormai piangendo senza riuscire più a controllarsi. Cominciò a singhiozzare come forse non aveva mai fatto in vita propria, nemmeno quando era un bambino che, già a quei tempi, aveva assistito in prima fila a qualsiasi tipo di orrore.
    «Ryoken… abbiamo perso, vero?» rantolò Yusaku con un filo di voce. «È tutto finito… tutto quello che abbiamo fatto non è servito a nulla e io… io sono stato inutile…»
    «No! Non dire così, non è assolutamente vero! Te l'ho già detto, no? Sei stato bravissimo… e abbiamo vinto, l'umanità è salva. Quello che hai fatto è stato inimmaginabile e se non fosse stato per te…
    (Ti prego, credimi per l'ultima volta, come hai fatto sempre, come hai fatto ogniqualvolta ti rendevo una macchina da guerra sempre più potente. Credimi, perché anche questa volta andrà tutto bene… perché alla fine non soffriremo più)
… se non fosse stato per te, Den City non sarebbe ancora in piedi, nei limiti delle proprie possibilità».
    «Abbiamo vinto… siamo salvi…»
    «Sì, Yusaku. Ora sei troppo frastornato per rendertene conto, ma fidati di me, è andata proprio così. Grazie. Grazie per averci protetti, amore mio».
E Ryoken non sapeva nemmeno chi fossero tutte queste persone, perché aveva corso per una Den City vuota di vita e tappezzata da cadaveri, una Den City che si sgretolava a ogni suo passo incerto, ma pur sempre veloce. Non era rimasto più nessuno e forse loro due erano gli unici, momentanei sopravvissuti dopo i bombardamenti di quella mattina.
    «Amore mio… mi hai chiamato “amore mio”…»
E quando Ryoken lo vide piangere mentre incurvava le labbra in un nuovo sorriso, dolce e al contempo straziato, avvertì qualcosa incrinarsi dentro di lui – di nuovo il cuore, con ogni probabilità.
    «In tutti questi anni ho rinunciato alla mia umanità per combattere quei mostri… ho rinunciato anche al tuo amore, perché più il mio corpo mutava e meno umano mi sentivo… come se fossi indegno di amare ed essere amato…»
    «Non dirlo. Ti prego, non dirlo. Non è così. Avrei voluto tanto conoscerti in circostanze diverse, Yusaku. Andare al cinema insieme, cucinare con te, tuffarmi in mare con te nelle notti d'estate… fare l'amore con te e toccarti in maniera diversa e non per… per modellarti secondo un progetto scientifico».
Ryoken avvertì fin dentro le ossa che tutte le navicelle incastonate nel cielo erano pronte per sferrare l'ultimo, devastante attacco. Anche se non le stava guardando con occhi sgranati, ormai sapeva che mancava poco.
    «Guardami, Yusaku. Guarda me, soltanto me».
    (Per l'ultima volta. Guardami per l'ultima volta).
    «Ora è tutto finito e appena ce ne andremo da qui troverò un modo per farti tornare umano. E potremo finalmente vivere per davvero, io e te, lontani da qui. Immagina una baita in montagna, tra la neve, col camino in salotto acceso, mentre tu ed io facciamo l'amore davanti al fuoco. Pensa a quanto saremo felici quando ci lasceremo finalmente alle spalle questo inferno. Riesci a immaginarlo?»
    «Sì…» sospirò Yusaku, e tutte le lacrime che stava versando erano la prova tangibile che qualcosa di umano annidava ancora dentro di lui. Lacrime calde e cristalline e vive. Yusaku avrebbe chiuso gli occhi per sempre come un essere umano e di questo Ryoken ne fu grato. «Riesco a immaginarlo. E non vedo l'ora di vivere tutto questo con te, amore mio».
Quelle, con ogni probabilità, furono le ultime parole pronunciate da qualcuno che si poterono udire nel mondo. Un rantolo di speranza, un piccolo barlume di felicità e umanità che si incendiò nel momento in cui migliaia di bombe toccarono il suolo terrestre.
Non prima, però, che Ryoken poggiasse le labbra su quelle di Yusaku. Non prima che gli ultimi due innamorati rimasti al mondo potessero scambiarsi il primo e ultimo segno di quel sentimento che aveva avuto la sfortuna di nascere e fiorire nell'epoca sbagliata
    (eppure loro erano sempre così giusti l'uno per l'altro).
E allora possiamo dire che la fine del mondo avvenne così: non con la morte e la distruzione, bensì con la notte dei tempi che si accartocciava su se stessa, ritornando al primo, primissimo gesto che l'universo compì nel momento in cui nacque.
Con un bacio.

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Capitolo 5
*** Hospital!AU ***


#05.Hospital!AU
Questa storia mi piace un sacco (è una delle mie preferite) anche se sono ben consapevole di non aver centrato del tutto il prompt.
O meglio, le Hospital!AU possono essere declinate in diversi modi, ovvero con personaggi che sono medici, infermieri o pazienti, ma in questo caso credo che il fattore “Hospital” sia più che altro uno sfondo e non so se la storia possa considerarsi a tutti gli effetti una Hospital!AU.

Poi magari mi sbaglio e anche il mio modo di sviluppare il prompt va bene, idk, mi affido al vostro giudizio.

Siamo a più di metà Raccolta, quindi mi sembra doveroso ringraziare tutti coloro che la stanno seguendo/che l'hanno iniziata.
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!



• Day 5: Hospital!AU; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Angst, Introspettivo, Malinconico
• Avvertimenti: Tematiche delicate



Your first date



1

    («Yusaku, sei mai stato a un appuntamento?»)
    («Perché me lo chiedi?»)
    («Curiosità»).
    («Capisco. Immagino che una risposta negativa rallegrerà le tue giornate da qui fino a settimana prossima»).
    («Perché mai dovrei ridere per una cosa del genere?»)
    («Beh, credo sia alquanto imbarazzante ammettere di non essere mai stato a un appuntamento in vent'anni di vita»).
    («Vuoi che sia sincero?»)
    («Se proprio devi…»)
    («Ammetto che non me lo aspettavo. Ma mi fa piacere»).
    («Addirittura»).
    («Sì, perché… volevo chiederti… posso essere io il tuo primo appuntamento?»)


2

Ryoken Kogami era un bugiardo. Per mesi interi non aveva fatto altro che rimpinzargli il cuore e la mente con parole dolcissime e promesse importanti, illudendolo in un “per sempre” nel quale aveva iniziato a credere anche Yusaku. Proprio lui che dell'amore non aveva mai capito nulla prima del suo arrivo, prima che gli chiedesse di essere il suo primo appuntamento.
Ryoken non era stato solo questo, per Yusaku. Ryoken era stato anche il suo primo bacio. La sua prima volta. Il suo primo sospiro di felicità. Il suo primo, vero sorriso.
Ryoken era stato il suo primo amore… e forse anche l'ultimo.
Giaceva inerme su un letto d'ospedale ormai da tre mesi. Tre mesi in cui il suo respiro regolare non aveva mai significato nulla, dato che la sua vita si trovava perennemente in bilico su un filo così sottile che rischiava di spezzarsi da un momento all'altro.
Il coma nel quale era sprofondato dopo quell'orribile incidente si era portato con sé tutto ciò che di bello c'era di Ryoken quando ancora poteva muoversi, vedere, parlare e ascoltare. E di lui, nel loro mondo, non era rimasto altro se non un corpo immobile che rischiava ogni istante di spegnersi del tutto, sporgendosi troppo in là su quel filo sottilissimo e sprofondare per sempre in un baratro senza fine.
E Ryoken non se ne poteva andare. Non ancora.
    (E soprattutto non così).


3

Le immagini dell'incidente sfrecciarono davanti agli occhi di Yusaku allo stesso modo in cui quel maledetto pirata della strada sfrecciava sulla sua auto sportiva quel giorno di tre mesi addietro. Un senso di colpa asfissiante e atavico gli si insinuò nelle vene e raggiunse il cuore, stritolandolo in una morsa spietata e facendogli quasi perdere conoscenza.
Yusaku sapeva bene che ormai era inutile dannarsi per quanto accaduto, perché lui al posto di Ryoken avrebbe agito allo stesso modo… ma quella macchina impazzita stava per investire lui, non Ryoken.
E Ryoken l'aveva salvato spingendolo via, facendolo cadere di peso sul cemento del marciapiede.
    (Un piccolo taglio sul mento per Yusaku e un orribile coma per la persona che amava).
    (Come bilancio non era stato affatto equo).
    (E faceva decisamente schifo).


4

Yusaku ricordava ogni più piccolo particolare del loro primo appuntamento. Era avvenuto tutto quanto all'insegna dell'improvvisazione: nessun itinerario prestabilito da visitare, nessun locale scelto in precedenza dove trascorrere la serata, solo la consapevolezza che lui e Ryoken si sarebbero salutati la mattina successiva perché – e ne erano certi entrambi –, il loro primo appuntamento era giusto che durasse una notte intera.
Era andata a finire che avevano visitato mezza città parlando di tutto e di più, che avevano cenato in un pub con della bella musica in sottofondo, che si erano baciati davanti la porta di casa di Yusaku e che avevano fatto l'amore per ore intere sul suo letto che, prima dell'arrivo di Ryoken nella sua vita, non era mai stato occupato da qualcuno al di fuori di Yusaku stesso.
    (Era andata a finire che dopo vent'anni di esistenza vuota si era sentito finalmente completo e che aveva trovato il suo posto nel mondo tra le braccia della persona giusta).
Da quel momento in poi erano diventati una cosa sola che si prendeva cura di un grande amore inenarrabile giorno dopo giorno.
Per questo, nell'esatto momento in cui Ryoken entrò in coma, fu come se se ne fosse andata via anche una parte di Yusaku, disperdendosi nell'aria come cenere e polvere, qualcosa che non poteva più essere rimodellata nella sua forma originaria, nella sua vera essenza. Era come se fosse in bilico anche lui, costantemente dilaniato dalla paura atavica di non poter resistere un altro giorno in più senza il suo amore.
Perché Ryoken era il dono più prezioso che la vita gli avesse mai fatto e tutto ciò che Yusaku sperava era che la morte non glielo rubasse all'improvviso, cogliendolo impreparato e uccidendo anche lui.


5

L'ospedale era ormai diventato la sua seconda casa. L'odore del disinfettante aveva sostituito il profumo dei pancake che Ryoken cucinava ogni mattina per colazione – Yusaku non li aveva mai cucinati in quei tre mesi di solitudine perché l'immagine di Ryoken che si divertiva ai fornelli si sovrapponeva sempre al pentolame e agli ingredienti e a stento riusciva a trattenere le lacrime.
Il suo pranzo era diventato tutto ciò che gli poteva offrire il distributore automatico in fondo al corridoio del terzo piano. Le pareti bianche della camera di Ryoken, che sembravano quasi fatte di ghiaccio spesso e spietato, erano diventate le sue nuove quattro mura.
La sua vita era stata completamente ribaltata e messa a soqquadro, svuotata di ogni cosa bella che l'aveva resa tanto preziosa fino a tre mesi addietro. E lui non sapeva più come andare avanti.
    (Il cuore di Ryoken era sempre lì, ma la sua mente era migliaia di miglia lontana. E forse non sarebbe più tornata indietro).


6

Era una giornata di fine ottobre come tante
    (asettica, apatica, monocromatica)
in cui il riverbero del cambiamento non aveva fatto capolino da nessuna parte.
Era una giornata come tante in cui Ryoken era sempre steso su quel letto con ogni parametro stabile e apparentemente rassicurante, ma che dopo tre mesi aveva ormai del tutto eclissato la speranza, tramutandola in agonia. Ryoken era sempre stabile, ma era perennemente immobile e i suoi occhi erano sempre chiusi e più i giorni si tramutavano in ricordi e alleggerivano le pagine del calendario, più si reincarnava in una statua di ghiaccio.
    (Bellissima, ma al contempo fredda e intoccabile e spoglia di qualsiasi emozione).
Come ogni pomeriggio Yusaku era lì con lui, seduto al suo fianco su una sedia che scricchiolava a ogni più piccolo respiro, scomoda come un trono di spine – l'attesa perpetua appesantiva ogni cosa.
Yusaku gli aveva raccontato cosa aveva fatto quella mattina, dicendogli che aveva iniziato a recuperare alcune lezioni universitarie in vista degli esami che aveva lasciato indietro; che aveva tentato anche quel giorno di farsi coraggio, di sforzare un sorriso e di esprimersi con pacatezza quando qualcuno gli rivolgeva la parola. Gli aveva anche detto che forse era solo una sua impressione, ma nonostante tutto quella mattinata gli era parsa meno pesante del solito. Solo di un po', ma era comunque qualcosa.
    («E da bravo stupido quale sono, ho perfino pensato che potesse essere un segno» aveva concluso il discorso, asciugandosi una lacrima solitaria con il dorso di una mano).
Era in procinto di salutarlo quando un segno vero e tangibile lo sconquassò da capo a piedi: Ryoken aveva mosso un dito.
No, non lo aveva immaginato, era accaduto per davvero: Ryoken aveva mosso l'indice destro.
L'aria tardò ad arrivare ai polmoni e Yusaku si alzò di scatto dalla sedia, non badando al rumore fastidioso che lo spostamento dell'oggetto sul pavimento aveva portato con sé.
Il cuore iniziò a martellargli nel petto e la sua mente sprofondò in un abisso di dubbi, paure e incertezze: doveva chiamare il dottore o quantomeno un infermiere per informarli di quanto accaduto? E se gli avessero detto che si era trattato solo un riflesso complesso, qualcosa che Ryoken aveva fatto senza rendersene effettivamente conto? Se dopo quel piccolo movimento non ci fosse stato più altro? Cosa doveva fare?
Aveva lo sguardo puntato su di lui, nell'infinita attesa di un altro segno.
    (Qualcosa. Qualsiasi altra cosa ma ti prego, non illudermi in questo modo, torna da me, torna a vivere per davvero).
L'indice destro si mosse ancora. Poi la mano si serrò in un pugno, riaprendosi poco dopo. Poi Ryoken iniziò a mugugnare qualcosa mentre apriva lentamente gli occhi
    («Yusaku…»)
e un piccolo pezzo di cielo impreziosì quella camera d'ospedale tanto anonima.
    «Yusaku… dove sei…?»
    «Sono qui».


7

Lo prese per mano, stringendola appena. Nonostante avesse provato l'impulso di abbracciarlo forte, Yusaku aveva paura di fargli male, motivo per il quale preferì trattenersi.
    «Ryoken… come stai?» gli domandò con un groppo grande quanto un meteorite bloccato in gola. Aveva iniziato a piangere senza neanche rendersene conto, mentre infinite goccioline salate raggiungevano il mento e poi scivolavano via, abbandonando la scena.
    «Mi sento… strano. Che succede?»
Ryoken lo guardava con espressione confusa e un po' spaventata. «Perché stai piangendo?»
    «Non ti preoccupare, sono lacrime di gioia. Ryoken, ascoltami: qual è l'ultima cosa che ricordi?»
    «L'ultima cosa…?»
Sgranò gli occhi, come se il cielo avesse deciso di evadere dai suoi bulbi oculari, agitandosi un poco. «Oh cielo, la macchina…! Yusaku, ti ho fatto male?»
    «Cosa? In che senso?»
    «Quando ti ho spinto via… ti ho fatto male?»
La mandibola di Yusaku per poco non toccò terra. «Ti sei appena risvegliato dopo tre mesi di coma e la cosa che più ti preoccupa è sapere se mi hai fatto male o meno quando mi hai spinto?» domandò con un tono di voce a tratti esasperato. «Porca miseria, Ryoken, mi hai salvato la vita! Cosa vuoi che me ne importi di un taglio sul mento?»
    «Tre mesi…? Sono stato in coma per tre mesi?»
Ryoken era in evidente stato di shock e Yusaku maledì se stesso per essere stato tanto irruento con le parole. «Rilassati e respira profondamente. Adesso vado a chiamare il dottore, okay? Tornerò appena mi sarà possibile, perché avrà tanti controlli da farti… ma il peggio ormai è passato, perché finalmente hai riaperto gli occhi».
Sciolse la presa sulla sua mano e gli si avvicinò, poggiando poi le labbra sulla sua fronte. Non voleva staccarsi da lui. Non ancora. Quei tre mesi senza Ryoken erano stati infernali e tutto ciò che voleva fare in quel momento era restargli accanto. Ma sapeva anche che non poteva più aspettare, che il dottore doveva essere subito informato di quella bella notizia. E che prima si procedeva ai controlli, meglio era.
    «Andrà tutto bene, te lo prometto. Bentornato».
Si allontanò a malincuore, asciugandosi le lacrime con mani tremanti. Aprì la porta e, prima che potesse compiere un altro passo in avanti, Ryoken lo spiazzò ancora una volta.
    «Quando uscirò da qui… potrò essere il tuo secondo primo appuntamento?»
Yusaku sorrise e, frattanto, nuove lacrime avevano iniziato a formarsi ai lati degli occhi. «Quando uscirai da qui, prima di tutto avrai bisogno di un sacco di riposo. E quando ti sarai ripreso, potrai essere tutto ciò che desideri».
    (E io lo so, qualunque cosa tu faccia o dica, sarai sempre la mia felicità).

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Capitolo 6
*** Rockstar/Band!AU ***


#06.Rockastar-Band!AU Questa è la storia che più ho amato scrivere insieme alla Android!AU.
Forse perché è proprio con storie del genere che riesco a dare il meglio di me con l'introspezione dei personaggi – “mi piace sguazzare tra le catastrofi”, ricordate? –, forse perché è proprio con le tematiche che emergeranno durante lo scritto che riesco a raccontare di Yusaku in ogni sua sfumatura attraverso gli occhi di Ryoken, forse perché qui entrambi reincarnano quegli artisti che mi hanno letteralmente salvato la vita con la loro musica, non lo so, fatto sta che tengo davvero tanto a questa storia e spero che possa piacere anche a voi.

Ho descritto Ryoken e Yusaku (quest'ultimo soprattutto) mettendo “su carta” tutto l'amore che provo per le mie tre band preferite, soprattutto attraverso certi dialoghi.
Considero questa storia come un omaggio a loro, alla loro musica e a tutte le volte che mi hanno aiutata senza neanche conoscermi semplicemente cantando.
Il titolo della One Shot è un ulteriore omaggio, mi piaceva troppo l'idea di unire quelle tre parole per creare qualcosa di nuovo – e non nego che spesso ho immaginato di far parte di una cover band chiamata proprio così, lol
Vi lascio di seguito lo specchietto e vi auguro buona lettura!



• Day 6: Rockstar/Band!AU; POV Ryoken
• Rating: Arancione
• Generi: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale
• Avvertimenti: Tematiche delicate



Our New April



Dedicata a:

Our Last Night
From Ashes To New
Dead by April

(Grazie.)



1

Ryoken nella propria vita aveva imparato a fare due cose: suonare la chitarra elettrica e riconoscere ogni più piccola sfumatura dello stato d'animo di Yusaku con una semplice occhiata.
Per quanto riguardava il primo punto, erano stati necessari anni e anni di dure prove, esibizioni nei locali più improbabili per farsi un nome, notti insonni trascorse a rivedere
    (e soprattutto ascoltare)
i grandi concerti di un tempo, un litigio pesante con suo padre che voleva frequentasse l'università e ripartire da zero una volta realizzato di essere rimasto solo al mondo, quantomeno prima di entrare a far parte di una band – e non una qualunque.
Per quanto riguardava il secondo punto, invece, era stato talmente immediato e intuitivo che in un primo momento Ryoken si era sentito come scaraventato in un altro universo. Entrare in sintonia con Yusaku e comprenderlo fino in fondo era stata la cosa più naturale al mondo; da quando l'aveva sentito cantare per la prima volta aveva capito che avrebbe seguito lui e lui soltanto per il resto dei suoi giorni e che mai, neanche sotto tortura, avrebbe suonato la chitarra per accompagnare la voce di qualcun altro.
Era come se entrambi fossero nati per quello: per unirsi e diventare una cosa sola sempre, sia sul palco che al di fuori di esso. Come due note musicali che se suonate in continuazione creavano una melodia nuova e bellissima.


2

Yusaku, Yusei e Judai cercavano un nuovo chitarrista per la loro band. Avevano già alle spalle un discreto successo quando Ryoken li incontrò per la prima volta dal vivo, un giorno di aprile che all'apparenza sembrava uguale a tutti gli altri.
Tutto ciò che aveva mostrato loro durante il suo assolo era la metà perfetta che Yusaku stava cercando da tantissimo tempo. Non glielo aveva detto esplicitamente, ma glielo aveva fatto capire cantando durante le loro prime prove: Yusaku necessitava di un chitarrista che non mollasse mai la presa nemmeno dopo aver raggiunto il picco massimo di esasperazione; necessitava di qualcuno che accompagnasse la sua voce costantemente, guidandola e supportandola a ogni parola; necessitava di qualcuno che riuscisse a stare al passo senza mai battere ciglio e che considerasse la cosa nel modo più naturale possibile.
    (Ryoken non sapeva quanto fosse stata gonfiata la storia che Yusei – il batterista – e Judai – il bassista – gli avevano raccontato, ma la leggenda narrava che prima del suo arrivo innumerevoli chitarristi se ne fossero andati dopo poche settimane di prove poiché troppo esasperati dai ritmi che dovevano sostenere. Era come se la voce di Yusaku incutesse loro un terrore atavico che impediva la buona esecuzione di tutte le canzoni da lui scritte).
C'era qualcosa, nel modo in cui Yusaku cantava, che distruggeva le pareti del cuore con martellate potenti e rimbombanti. Scavava fino in fondo nella psiche, facendo riemergere dalle viscere dell'animo umano parole taciute per anni dal mefitico odore della disperazione.
La voce di Yusaku prendeva a pugni chiunque la ascoltasse. Colpiva dritto alla bocca dello stomaco, piegando in due l'emotività e facendola poi a brandelli con una rabbia tale da far paura… ma Ryoken non aveva paura.
Non aveva mai avuto paura di Yusaku e del suo passato. Lo aveva accolto a braccia aperte.
Fu con l'arrivo di Ryoken che gli Our New April raggiunsero l'apice del successo: perché finalmente avevano trovato un equilibrio che all'inizio pareva solo un miraggio confuso e sfocato; perché finalmente Yusaku aveva trovato qualcuno a cui aggrapparsi senza timore di lasciarsi del tutto andare.


3

Yusaku si era intrufolato nella sua vita allo stesso modo in cui si intrufolava nel suo letto ogni notte: con irruenza e tanta passione.
Yusaku era suo per tutto il tempo: di mattina quando Ryoken si svegliava e lo trovava ancora addormentato tra le sue braccia, di giorno durante le prove, di sera durante un concerto e poi di nuovo di notte, quando facevano l'amore prima che il coperchio del sonno si chiudesse su di loro.
Si appartenevano a vicenda. E la loro fiducia reciproca raggiunse il proprio apogeo nel momento in cui Yusaku si espose senza filtri, facendo emergere dal fango i propri demoni interiori.
Gli raccontò tutto: dai genitori anaffettivi alla depressione, dai brutti pensieri che avevano popolato la sua mente tormentandolo di notte all'insonnia perenne per provare a mandarli via.
Gli raccontò di come per anni si fosse sentito costantemente invisibile poiché i suoi genitori fingevano di non avere un figlio che consideravano un incidente di percorso, un orribile errore che non potevano più cancellare.
Gli raccontò di come la musica e l'incontro con Yusei e Judai lo avessero salvato, facendolo risorgere dalle ceneri. Di come in ogni canzone che scriveva cercava sempre di dare una forma a qualcosa che, per anni, era sempre stato inspiegabile. Di come Yusei fosse diventato il suo migliore amico e Judai un supporto morale. Di come si fosse sentito perfido nei loro confronti quando aveva realizzato che nonostante tutto loro tre insieme non bastavano, che mancava ancora qualcuno, ma che questo qualcuno non arrivava mai e allora lui si innervosiva sempre più con lo scorrere ineluttabile del tempo, divenendo a tratti ingestibile.
E poi gli raccontò di come si fosse finalmente sentito in pace con se stesso quando lo aveva sentito suonare la chitarra e del modo in cui aveva preso per mano la sua voce e i suoi sentimenti per sostenerli sempre, senza mai farli cadere.
Ryoken non ebbe paura neanche quella volta. Provò solo un amore sconfinato per quel bellissimo ragazzo che giaceva sul letto accanto a lui.


4

    («Sai, ho iniziato a cantare per essere ascoltato» gli aveva detto Yusaku pochi giorni dopo l'inizio della loro relazione. Avevano da poco finito di fare l'amore e Ryoken si era acceso una sigaretta, con immenso disappunto da parte del cantante, anche se lui per primo tendeva a fumare molto quando era nervoso – e, guarda caso, Ryoken si ritrovava sempre con mezzo pacchetto vuoto di punto in bianco).
    («Ascoltare una canzone non è come parlare con qualcuno: nel secondo caso, spesso chi ti sta di fronte finge solo di essere interessato a ciò che gli stai raccontando, liquidando il tutto con le solite frasi di circostanza. Magari ti interrompe con domande inopportune o cambia discorso con una leggerezza tale da far paura. Quando ascolti una canzone non è così: non la stoppi di punto in bianco per pensare ad altro, non la interrompi per chiedere qualcosa di stupido, la ascolti fino alla fine e provi qualcosa. Provi delle emozioni. E magari quella canzone può risollevarti la giornata, può aiutarti ad andare avanti, può salvarti la vita». Si bloccò, cominciando a stropicciare il lenzuolo nel quale era avvolto con dita tremanti. «Io non sono un eroe, sono solo una persona che ha sofferto e che nonostante tutto si regge ancora in piedi. Se le nostre canzoni hanno il potere di aiutare le persone… allora sono felice di essere ancora qui e di non essermi arreso quando credevo di non avere più alcun motivo per vivere»).
    (Ryoken aveva abbandonato la sigaretta nel posacenere dopo qualche tiro, lasciando che si consumasse nella solitudine più assoluta. Aveva stretto a sé Yusaku, lasciando che si sfogasse, e lo aveva abbracciato forte per una notte intera – la prima di tante).


5

    «Qualcosa non va».
Quella non era una domanda, era una vera e propria constatazione.
Dopo tre anni di successo inarrestabile, la band si stava nuovamente esibendo in America con un tour che avrebbe prosciugato ogni energia ma che, in cambio, avrebbe dato un sacco di soddisfazioni.
Ryoken era da poco uscito dalla doccia e aveva visto Yusaku intento a fumare una delle sue sigarette sul balcone della camera d'hotel in cui avrebbero pernottato prima di partire verso la nuova tappa del tour. E lui sapeva fin troppo bene che quando Yusaku cedeva al tabacco era perché si sentiva nervoso e agitato.
    «Le tue sigarette fanno schifo» disse Yusaku senza voltarsi. «Sono davvero pesanti».
    «E tu non dovresti fumarle».
    «Se è per questo, nemmeno tu».
    «Non sono io quello che deve preservare la propria voce per le performance» ribatté Ryoken che, dopo essersi vestito, gli si avvicinò, poggiando poi i gomiti sulla ringhiera.
Yusaku si voltò nella sua direzione, fulminandolo con lo sguardo. «Sto parlando in generale» proferì tagliente, e Ryoken non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito.
    «Se me lo dici mentre fumi una delle mie sigarette, non riesco a prenderti tanto sul serio» ammise con un sorriso.
Yusaku alzò gli occhi al cielo. «Sì, lo so» borbottò, per poi spegnere il mozzicone nel posacenere. «Comunque… prima di partire per il tour ho iniziato a scrivere una nuova canzone. Per il momento è ancora incompleta, ma… non lo so, credo che non riuscirò mai a concluderla».
    «È per questo che c'è qualcosa che non va?»
    «Sì. Perché questa canzone racconta di te, di noi. E per la prima volta non so come rendere reale ciò che provo». Respirò a fondo e Ryoken lo osservò, perdendosi nel suo sguardo spaventato. «Ho paura perché per anni non ho fatto altro che tirare fuori tutta la rabbia e la disperazione che ho provato nel corso della mia vita, dando loro una forma concreta. Ci sono sempre riuscito perché il bisogno di esorcizzare i miei demoni interiori era ciò che mi permetteva di restare in piedi e continua a farlo ancora oggi. Ma ora con le nostre canzoni vorrei provare anche a raccontare qualcos'altro oltre al dolore, la rabbia e la solitudine, solo che…»
Deglutì a fatica, guardando Ryoken con una consapevolezza dal retrogusto di rassegnazione. «Io non riesco a scrivere canzoni d'amore» ammise infine. «Riesco a dare una forma solo alle cose brutte che ho vissuto, senza rendere giustizia a tutto ciò che di bello mi è capitato negli ultimi anni. Da quando ti ho incontrato ho iniziato a provare delle emozioni che nemmeno conoscevo e… e…»
Ryoken sapeva quanto Yusaku detestasse essere interrotto mentre parlava, ma non riuscì a trattenersi e poggiò delicatamente le labbra sulle sue, lasciando che il sapore del tabacco gli invadesse la bocca. Portò le mani sui suoi fianchi, stringendoli con garbo mentre approfondiva pian piano quel bacio sotto lo sguardo vigile delle stelle di Los Angeles.
    «Ti amo anch'io» sussurrò, prima di baciarlo ancora.


6

    («Non pensarci troppo» gli disse quella notte, stringendolo a sé dopo aver fatto l'amore. «Quando arriverà il momento, saprai esattamente come incastrare le parole tra loro. Io ho giurato di suonare la chitarra per te e per te soltanto, e sai che qualunque cosa accadrà, sarò sempre al tuo fianco e ti sosterrò con tutte le mie forze. E quando racconterai e canterai di noi, già lo so, tremerà il mondo intero. Io la aspetto. La canzone più bella del mondo. E non vedo l'ora di farne parte»).

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Capitolo 7
*** Merpeople/Undersea!AU ***


#07.Merpeople-Undersea!AU Avrei voluto concludere in bellezza la Raccolta, ma questo tipo di AU mi ha dato non poco filo da torcere e, proprio come con la Hospital!AU, credo che il tema Merpeople/Undersea funga solo da sfondo, quindi non saprei nemmeno come definire questa One Shot, in tutta onestà.

Non so nemmeno quantificare tutte le possibili trame che mi sono venute in mente per sviluppare questo prompt – una meno convincente dell'altra.
Questa tutto sommato mi convince e trovo la storia in sé molto dolce e malinconica, però… non lo so, spero quantomeno che possa piacere del tutto a voi.

Prima di lasciarvi lo specchietto, ci tenevo a ringraziarvi per essere arrivati fino a qui.
Non so se leggerete le OS in ordine oppure partirete da quella che vi ispira di più o magari siete qui solo per caso/dopo aver cliccato per sbaglio, a ogni modo ringrazio chiunque dedicherà/ha dedicato parte del suo tempo per questi scritti.
Vi auguro buona lettura!



• Day 7: Merpeople/Undersea!AU; Merman!Ryoken x Human!Yusaku; POV Yusaku
• Rating: Giallo
• Generi: Introspettivo, Malinconico, Romantico



Love knows
no bounds




1

Yusaku era esterrefatto. In un primo momento aveva creduto fermamente di essere stato vittima di un'allucinazione, ma più i suoi occhi mettevano a fuoco la creatura che nuotava sinuosa ed elegante a diversi metri da dove la stava osservando e più realizzava che non poteva che trattarsi di lui.
    «Ryoken…?» domandò con voce spezzata dallo stupore, senza neanche rendersi conto di aver mosso qualche passo in avanti, verso la sua più grande paura.
Ryoken
    (oh cielo, era proprio lui!)
si bloccò di colpo, voltandosi verso Yusaku, incatenando lo sguardo al suo.
Sgranò gli occhi e in quell'azzurro cielo che erano le sue iridi Yusaku riscoprì d'un tratto perché mesi addietro si fosse innamorato di lui tra un ritrovo e l'altro al club di informatica. Poi Ryoken, una volta resosi conto di essere troppo esposto, tentò di nascondersi, ma era ormai inutile, poiché Yusaku aveva già visto tutto – ed era proprio il motivo che inizialmente lo aveva lasciato tanto sbigottito: Ryoken quella sera non stava nuotando nell'acqua cristallina del mare con le proprie gambe. Ryoken aveva una coda di pesce al posto degli arti inferiori.
    (Una meravigliosa miscela di azzurro, bianco e sfumature violacee).


2

    «Yusaku…»
Ryoken sussurrò il suo nome come se si fosse gelato sul posto, lasciando che le piccole e timide onde del mare conducessero ogni sillaba verso la riva con garbo e pacatezza.
Yusaku deglutì a fatica, tremando appena. «Che… che significa?»
Non capiva. Proprio non capiva. Certo, Ryoken era sparito all'improvviso poche settimane prima che iniziassero le vacanze estive e a scuola circolava voce che si fosse trasferito all'estero, ma quando frequentava la scuola aveva le gambe, non era certo una creatura con la coda di pesce.
Insomma, Ryoken era un essere umano… o quantomeno Yusaku lo aveva conosciuto come tale.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e Ryoken faceva altrettanto con lui. Poi un lieve sorriso gli incurvò le labbra e rispose: «È un po' lunga da raccontare, ma se vuoi possiamo parlarne. Vuoi che venga io da te, oppure… vieni tu da me?»
A quella domanda Yusaku sussultò, rendendosi finalmente conto del pericolo nel quale stava per essere inghiottito: i suoi piedi nudi tastavano la rena bagnata, quella baciata dalle onde del mare. Non si era inabissato, ma il solo fatto di avvertire l'acqua salata sulla propria pelle lo portò a indietreggiare spaventato.
Il suo cuore iniziò a battere impazzito nella cassa toracica e il suo intero corpo fu scosso da tremiti spietati e malefici. Quella reazione non passò inosservata a Ryoken, che comprese bene la situazione.
    «Vengo io da te, allora».


3

Ryoken si sedette al suo fianco con estrema naturalezza. Le gambe avevano sostituito la coda di pesce e
    (per fortuna!)
le cosce erano fasciate da un costume da bagno, proprio come quelle di Yusaku, che prima di accorgersi della presenza di Ryoken in acqua si era spogliato, restando in costume, e aveva riposto con cura tutti gli indumenti nello zaino.
Era una bella serata. Alquanto particolare, certo, ma pur sempre piacevole. Il mare era calmo e la luna e le stelle inargentavano il cielo in un muto splendore.
E Yusaku – lo imbarazzava un po' ammetterlo – durante la prima metà dell'anno scolastico aveva immaginato diverse volte di godersi un panorama del genere insieme a Ryoken. Ora quel momento pareva essere arrivato… sempre in tutta la sua meravigliosa stranezza.


4

    «Volevi provare a nuotare?» gli domandò Ryoken, guardandolo.
Yusaku si portò le ginocchia al petto, poggiandovi poi il mento, quasi volesse proteggersi da una minaccia che, dopo essere evasa dalla sua testa, si era tuffata in mare, inabissandosi sempre più.
    «Diciamo di sì» rispose, osservando l'immensa distesa d'acqua che inghiottiva l'orizzonte. «Ogni estate è sempre la stessa storia: arrivo qui e provo quantomeno a bagnarmi fino ai polpacci, senza però avere successo. E finisce che rimango a riva a osservare il mare… e basta».
    «Hai paura dell'acqua?»
Yusaku sospirò. «Sì. Quando avevo otto anni ho accettato una “sfida di coraggio” per essere accettato da un gruppo di ragazzini un po' più grandi di me. Dovevo nuotare fino a un punto in cui non avrei più toccato e… e ho rischiato di annegare se il bagnino non mi avesse soccorso in tempo».
    «Mi dispiace…» sussurrò Ryoken, portando anch'egli le ginocchia al petto. «Adesso capisco come mai a scuola fossi tanto schivo con chiunque…»
    «Ma non con te».
Ryoken inarcò un sopracciglio. «Mi rispondevi sempre a monosillabi».
    «Beh, con gli altri non parlavo proprio».
A quella risposta risero entrambi, lasciandosi un po' andare.
    «Comunque…» proseguì Yusaku, voltandosi verso di lui – e cercando di non fissargli troppo le gambe: «Come… come è possibile che tu…? Insomma, che tu abbia una coda di pesce–»
    «“Coda di pesce”!» lo interruppe Ryoken, ridacchiando. «Semplice: sono un tritone».
    «Ma–»
    «Non esistono, vero? Eppure io esisto, sono reale».
    «Sì, lo so. Cioè, sei qui e ti sto parlando… non credo di essere impazzito tutto d'un tratto. E poi a scuola anche gli altri ti vedevano e ti parlavano, quindi…»
Yusaku si sentiva sempre più intontito. «Sto dicendo cose senza senso» borbottò, stendendo le gambe e portandosi una mano tra i capelli.
    «Se possono aiutarti a fare chiarezza no, non sono cose senza senso» lo rassicurò Ryoken. «Sai che non sono l'unico tritone a scuola?»
    «Non eri» lo corresse Yusaku, che non aveva nemmeno la forza di meravigliarsi per quella nuova notizia appresa. Questo perché Ryoken gli era mancato così tanto che anche in quel momento, nonostante fosse lì vicino a lui, continuava comunque a mancargli. «Sei sparito prima che iniziassero le vacanze estive e ormai avevo dato per assodato che ti fossi trasferito all'estero. Erano solo voci di corridoio, ma erano l'unica cosa concreta a cui potevo aggrapparmi… perché tu te ne sei andato di punto in bianco e okay, è vero, non avevamo chissà quale rapporto, insomma, ci incontravamo solo qualche pomeriggio a settimana al club di informatica, ma…»
    (Tu mi piacevi. Mi piacevi tanto, anche se ti parlavo poco. E mi piaci tuttora).
Lasciò il discorso in sospeso, perdendosi in un altro sospiro.
    «Allora quando vuoi parli» constatò Ryoken, meravigliato. «Dovresti farlo più spesso, è piacevole ascoltarti. Anche se quello che hai detto non è una bella verità e non lo nego, perché è andata proprio così: sono sparito e avevo tutta l'intenzione di non tornare più sulla terraferma».
    «Perché?»
    «Per lo stesso motivo che ha spinto te a non avvicinarti più all'acqua: per paura».
Yusaku sussultò. «Davvero la terraferma è più spaventosa dell'acqua?» chiese con un filo di voce, abbassando lo sguardo.
    «Dipende dai punti di vista. Tu sei un essere umano che ha sempre vissuto sulla terraferma e che a causa di un brutto incidente ha iniziato a temere l'acqua. Io sono un tritone che ha deciso di provare a vivere come un essere umano – è una cosa che succede spesso tra i miei coetanei ed equivale alla vostra “età della ribellione” – e che dopo pochi mesi si è arreso a causa della caoticità della città, dello smog e dei continui rumori. Anche se per motivi diversi, abbiamo entrambi rischiato di soffocare».
Ryoken abbozzò un sorriso, poggiando una mano sulla sua. «Le nostre paure non sono poi tanto diverse, non trovi?»
    «Sì, è vero» rispose Yusaku, mentre osservava le dita delle loro mani intrecciarsi. «Abbiamo entrambi paura di qualcosa che ancora non conosciamo appieno».
    «Già». Ryoken gli strinse un po' più forte la mano, guardando dritto davanti a sé
    (e il mare notturno ricambiava lo sguardo con aura silente e misteriosa).
    «Molti miei amici hanno abbandonato l'oceano per vivere come dei comuni esseri umani. Diversi di loro ce l'hanno fatta, altri invece sono tornati a casa dopo poco tempo… proprio come ho fatto io. Anche se ho sentito la tua mancanza ogni giorno e… credo di essermene andato anche per questo, perché non sapevo come affrontare ciò che provavo per te. E che provo tuttora».
Yusaku sgranò gli occhi e sussultò. «Tu…?»
    «Sì, ho avuto paura anche di questo. Perché avrei dovuto dirti la verità, rivelarti la mia vera natura. Avrei dovuto dirti che non sono umano e che–»
    «Tu sei umano» lo interruppe Yusaku con voce che a tratti pareva roca e indurita da una malinconia atavica. «Sei sempre stato gentile e paziente con me, mi salutavi sempre la mattina prima delle lezioni, aprivi sempre tu la porta dell'aula di informatica per lasciarmi poi passare, una volta hai preso a spallate il distributore automatico perché la bibita che avevo scelto era rimasta incastrata e poi… e poi mi sorridevi sempre, ogni giorno, in ogni occasione. Quindi, per quanto mi riguarda, tu sei umano. E poi l'hai detto tu stesso: alcuni tuoi amici sono riusciti a integrarsi nella società umana e vivono come ta–»
Si bloccò di colpo, poiché Ryoken lo stava guardando in maniera decisamente particolare.
    «Che c'è?» domandò confuso, trattenendo il respiro nel momento in cui Ryoken gli si avvicinò, per poi poggiare le labbra sulle sue, unendole in un delicato bacio a fior di labbra – e senza sciogliere la stretta delle loro mani.
    «Ti ascolterei per ore, Yusaku. E ti ringrazio per ciò che hai detto. Dovresti davvero parlare di più e aprirti al mondo, proprio come dovrei fare io…»
    «Possiamo sempre farlo insieme…» sussurrò Yusaku, cercando le sue labbra per assaporare nuovamente quel meraviglioso contatto.
Ryoken sorrise. «Sì, possiamo farlo insieme».


5

Quella notte nessuno dei due superò le proprie paure. Yusaku non si tuffò in mare e Ryoken non tornò al suo appartamento per ricominciare a vivere come un essere umano.
Si erano però fatti una promessa: che si sarebbero rivisti la notte successiva. E quella dopo ancora, fino alla fine dell'estate. E una volta arrivato l'autunno, sarebbero ancora rimasti insieme.
In un modo o nell'altro, ne erano certi, avrebbero affrontato ogni cosa, ogni paura e ogni ostacolo.
    (Perché l'amore non conosce limiti).

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