Inktober 2021

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1. Crystal ***
Capitolo 3: *** 2. Suit ***
Capitolo 4: *** 3. Vessel ***
Capitolo 5: *** 4. Knot ***
Capitolo 6: *** 5. Raven ***
Capitolo 7: *** 6. Spirit ***
Capitolo 8: *** 7. Fan ***
Capitolo 9: *** 8. Watch ***
Capitolo 10: *** 9. Pressure ***
Capitolo 11: *** 10. Pick ***
Capitolo 12: *** 11. Sour ***
Capitolo 13: *** 12. Stuck ***
Capitolo 14: *** 13. Roof ***
Capitolo 15: *** 14. Tick ***
Capitolo 16: *** 16. Compass ***
Capitolo 17: *** 15. Helmet ***
Capitolo 18: *** 17. Collide ***
Capitolo 19: *** 18. Moon ***
Capitolo 20: *** 19. Loop ***
Capitolo 21: *** 20. Sprout ***
Capitolo 22: *** 21. Fuzzy ***
Capitolo 23: *** 22. Open ***
Capitolo 24: *** 23. Leak ***
Capitolo 25: *** 24. Extinct ***
Capitolo 26: *** 25. Splat ***
Capitolo 27: *** 26. Connect ***
Capitolo 28: *** 27. Spark ***
Capitolo 29: *** 28. Crispy ***
Capitolo 30: *** 29. Patch ***
Capitolo 31: *** 30. Slither ***
Capitolo 32: *** 31. Risk ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


BENVENUTI!


Per il terzo anno di fila sto per affrontare la sfida dell'Inktober.
Non so proprio se riuscirò a garantire una continuità, ma come sempre farò del mio meglio.

Tanto per fare una cosa originale, quest'anno ho scelto la lista ufficiale ^_^


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Indice dei capitoli:

1. Crystal - fantasy, lore
2. Suit - slice of life
3. Vessel - fantasy
4. Knot - avventura, fantasy
5. Raven - song fic, triste
6. Spirit - fantasy
7. Fan - slice of life
8. Watch - slice of life
9. Pressure - fantasy
10. Pick - fantasy, introspettivo
11. Sour - introspettivo
12. Stuck - fantasy
13. Roof - slice of life
14. Tick - dark fantasy
15. Helmet - slice of life
16. Compass - fantasy
17. Collide - drammatico
18. Moon - fantasy/sci-fi
19. Loop - fantasy
20. Sprout - fantasy (seguito di Stuck)
21. Fuzzy - fluff
22. Open - fantasy (seguito di Collide)
23. Leak - fluff
24. Extinct - lore
25. Splat - malinconico, triste
26. Connect - fantasy (seguito di Collide e Open)
27. Spark - fantasy (seguito di Stuck e Sprout)
28. Crispy - slice of life (sequel lasco di Tavern)
29. Patch - fantasy (seguito di Collide, Open e Connect)
30. Slither - avventura (missing moment di Lezioni di sopravvivenza - Primo livello)
31. Risk - fantasy (sequel di Spark, prequel di Extinct)


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Capitolo 2
*** 1. Crystal ***


Genere: fantasy, lore
Note: questa oneshot si svolge dopo la fine di Jolly Adventures ed è legata al ciclo conclusivo di quella storia; è anche collocata qualche settimana dopo Red shoes (meno rilevante)


1. Crystal


1320 DR, autunno, in una locanda vicino a Secomber

Il viaggiatore sopraggiunse al tramonto, come faceva sempre. Veniva da sud, dalla cittadina di Secomber, e prima di quella tappa era stato ancora più a sud. Era molto tempo che non si faceva vedere, più precisamente da quando, tre anni e mezzo prima, era partito alla volta del lontano Lago dei Vapori con un elfo ranger e uno sciamano.
Raggiunse con passo stanco ma deciso la porta della taverna, sbirciò all'interno ma non vide nessuno. C'era profumo di cibo che veniva cotto, un buon profumo che si spandeva in tutto il cortile della locanda, quindi immaginò che la padrona di casa fosse in cucina. Richiuse la porta della grande sala vuota che fungeva da refettorio e si incamminò verso la cucina scegliendo la strada del cortile interno.
Con la coda dell'occhio vide una bambina che correva nel prato davanti alla porta della casa padronale, alla sua sinistra. Aveva in mano qualcosa di simile ad un aquilone ma non sembrava che stesse riuscendo a farlo volare. Poco dopo inciampò, rimase sdraiata sul prato per un momento, poi si alzò senza un fiato e ricominciò a correre.
L'elfo scuro rimase a guardarla ancora per qualche secondo, poi scrollò le spalle e tornò alla sua missione principale: trovare la padrona di casa.
In prossimità della porta della cucina il profumo era decisamente più forte, e ancora più invitante. Appoggiò una mano nera sul legno levigato dell'uscio e fece per spingere, ma poi cambiò idea e bussò. La locandiera poteva indispettirsi parecchio quando qualcuno alterava il prezioso microclima del suo laboratorio, quindi non era una buona idea far entrare aria fredda senza il suo esplicito permesso.
"Avanti!" Gridò lei dall'interno, e il viaggiatore non si fece più scrupoli ad entrare.
"Perché Amber non indossa le scarpe?" Fu la prima cosa che chiese, indicando con un pollice il cortile alle sue spalle.
"Daren!" Krystel, la locandiera, sembrava felicemente sorpresa di vederlo. Gli regalò un sorriso entusiasta, qualcosa di molto raro sul volto di un'elfa scura. Quel sorriso però ebbe vita breve. "Ho detto che potevi entrare, non che potevi stare fermo sulla soglia a fare la muffa. Chiudi quella porta!"
Lui ridacchiò sottovoce, ma fece quanto gli era stato chiesto. Entrò, chiuse la porta e cominciò il lungo rituale del viaggiatore stanco: appoggiò ad una parete il suo bastone, si sganciò la cinta che gli teneva la spada bastarda legata alla schiena, infine tolse il mantello e lo zaino. Avrebbe voluto togliere anche l'armatura ma decise di farlo più tardi, in camera sua. Finalmente si stiracchiò, facendo scrocchiare la schiena. "È un piacere rivederti, sorella."
Krystel sfoggiò un sorrisetto amaro. "Anche per me. Ma avresti potuto cominciare con questo, anziché mettere in discussione le mie capacità genitoriali come prima cosa" gli fece notare con una certa nonchalance. "E dal momento che me lo hai chiesto: Amber è una piccola ribelle testarda che odia le scarpe, e suppongo che accetterà di metterle solo quando l'alternativa saranno i geloni ai piedi. Vorrei che mi desse retta, ma sembra una battaglia persa."
"Scherzi?" Il drow spalancò gli occhi. "Che cos'ha, cinque anni?"
"Avrà quattro anni fra due mesi" lo corresse lei. "Se è già così adesso… ho paura di cosa diventerà da adolescente."
Daren si fece una sonora risata perché, dopotutto, poteva permetterselo: educare la nipotina non era un problema suo.
"Bravo, ridi, finché puoi. Che stasera dovrai aggiornare tutte noi sulla tua grande avventura e penso che l'atmosfera non sarà così leggera… noto che sei tornato da solo" Krystel non sembrava sorpresa, ma comunque c'era incertezza nella sua ultima affermazione, perché le implicazioni non piacevano a nessuno dei due.
"Lo sciamano è morto, se è questo che mi stai chiedendo. Ma, sorella, lui lo sapeva. Ha detto i suoi addii prima di partire con noi."
"Vuoi che lo dica io a Hilda…?" Domandò, riferendosi a una delle sue figlie. "Sai che era suo padre."
Daren scosse la testa. "Hilda se lo aspettava. Posso dirglielo io. Ho anche qualcosa per lei, da parte di suo padre, ma non è questo il momento." Batté una mano sulla sua scarsella da cintura, che era incantata come lo era il suo zaino: poteva contenere molta più roba di quanto le sue ridotte dimensioni lasciassero intendere. "Ma questo mi ricorda… ho anche una cosa per te. Un piccolo ricordo della mia ultima avventura."
Infilò una mano nella scarsella e vi frugò per qualche momento, prima di estrarre un piccolo involto di tela. Conteneva una punta di quarzo.
"Questo cristallo viene dal dungeon che abbiamo esplorato e purificato. A partire da un'unica radice di quarzo, una concrezione tentacolare di cristalli si era estesa per tutto il dungeon, ricoprendo sia le pareti di roccia naturali sia quello che rimaneva degli antichi edifici della città di Atorrnash. È la più antica città degli elfi scuri Ilythiiri, i nostri antenati; la città inizialmente si trovava in Superficie, ma è sprofondata sotto la terra migliaia di anni fa a causa di un terremoto… e naturalmente ne è stata distrutta. Noi, intendo tu ed io e tutti i tuoi figli, discendiamo dal malvagio arcimago che governava Atorrnash e tutto il regno Ilythiir nell'Era dell'Alba. E immagino che anche molti altri drow discendano da lui, ma sai che la nostra famiglia d'origine ci ha messo una particolare cura nel mantenere puro il sangue della nostra stirpe e… ehm… è per questa ragione che abbiamo un rapporto così stretto con le divinità. È per questo che sentiamo la loro voce."
"Anche il nostro antenato era come noi?" Domandò lei, incuriosita, dimenticando per un momento perfino la cena che stava preparando.
"No, ma diciamo che a modo suo aveva anche lui un rapporto particolare con una divinità" raccontò, in tono di amaro divertimento come se la faccenda fosse uno strano scherzo del destino. "Un rapporto di tipo carnale."
Krystel prese il pezzo di quarzo che suo fratello le stava porgendo.
"Così, queste sono le nostre radici" mormorò, rigirandosi il piccolo oggetto nella mano. "La risposta alla domanda 'da dove veniamo?'"
"Sì, anche se c'è sempre un tempo più antico a cui guardare. La teoria più accreditata è che gli elfi, tutte le razze di elfi, siano arrivate in origine dal reame fatato."
"Ho sentito anch'io questa teoria, da piccola, quando vivevo tra gli elfi della luna" la drow strinse fra le dita il cristallo trasparente, come se volesse rivendicare quell'origine che fino a poco prima aveva denigrato. "Oh, be'. Discendere da persone orribili non fa di noi persone orribili."
"No, infatti. Questo cristallo viene da un più grande… organismo… che era stato pervaso da energie maligne, ne era diventato vettore. Ma poi è stato separato dal reticolo di cristalli. Anche la nostra famiglia è stata estratta e portata via dal suo dungeon, la città oscura in cui siamo nati, e abbiamo preso una strada diversa. Per questo ho voluto portarti quel cristallo. Non per ricordarti che proveniamo da una genía oscura, ma perché è legittimo voler sapere quali siano le nostre origini, dal momento che non ne siamo più condizionati."
"In realtà… mi piace molto." Decise lei, rigirandosi il piccolo quarzo tra le dita e studiandone la forma quasi simmetrica. "Mi fa molto piacere avere qualcosa che appartiene al luogo da cui discendiamo, anche se è un luogo che non ci rappresenta. Dopotutto, fratello, lo sai qual è la migliore qualità degli antenati?" Domandò con una certa allegria, mentre spostava una grossa pentola dal fuoco. La cena era pronta e fra poco avrebbe chiamato a raccolta le sue figlie - il suo futuro - che per lei erano molto più importanti di quelle riflessioni sul passato.
"Che sono morti?" Tentò di indovinare lui.
"Che sono morti." Confermò Krystel, con un sorriso d'intesa.

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Capitolo 3
*** 2. Suit ***


Genere: slice of life
Note: ho scelto di usare la parola "suit" nella sua accezione di "causa legale" e, meno comune, "petizione"


1. Suit


1360 DR, primavera, in una locanda vicino a Secomber

"Mi dispiace, Jori, Tom, non posso aiutarvi" la strega si strinse nelle spalle, con il tono definitivo di chi sta annunciando un dato di fatto. "Vi auguro di trovare un compromesso nella vostra disputa per la terra, ma io non mi occupo di confini e di cause giudiziarie sulle proprietà agricole."
I due contadini si scambiarono un'occhiata preoccupata, poi si ricordarono di essere nel bel mezzo di una battaglia legale e tornarono a guardarsi in cagnesco.
"Ma Krystel! Ci occorre la tua saggezza" Jori Miderten perorò la sua causa. "La tua voce è rispettata, e tutti sappiamo che non hai interesse a fregare nessuno. Se tu ti esprimessi a favore di uno o dell'altro, so che entrambi accetteremmo la tua decisione."
"Bah, Krystel non si lascerà convincere solo perché le lecchi il culo, Jori, maledetto caprone" intervenne Tom Miderten, cugino di Jori e suo vicino di fattoria. "E di certo non la spingerai a decidere a tuo vantaggio. Sei sempre stato un sacco da zampogna, pieno solo di vento."
"E tu sei sempre stato una testa di legno, Tom, fin da quando portavi i calzoni corti" ritorse Jori, sfottendo non troppo bonariamente il cugino.
Krystel sospirò.
"Di queste faccende dovete parlare con lord Traskar Selarn, a cui è stata affidata la gestione di Secomber e di tutta la sua area rurale per decreto dei lord di Waterdeep."
I due umani si scambiarono un altro sguardo e per un breve momento tornarono essere alleati almeno su un punto:
"Bah! Traskar è un brav'uomo, un buon ranger, ma dice che le questioni legali gli fanno fare la muffa" sbuffò Tom.
"È vero, lui da quell'orecchio non ci sente. È buono a proteggere la città e organizzare pattuglie, ma chiedigli di far passar le carte e si renderà uccel di bosco in men che non si dica" rincarò il cugino, usando un'espressione gergale per indicare qualcuno che sceglie di divincolarsi da una situazione sgradevole.
"A volte penso che non gli interessa veramente la gente di qui, è più un protettore che un capo" Tom incrociò le braccia, immusonito. "Tu invece conosci tutti. E sai gli affari di tutti. Conoscevi i nostri padri e i nostri nonni e sei la nostra… la nostra memoria."
"Questo asino ha ragione" confermò Jori dando una pacca sulla schiena al cugino. "Di te ci fidiamo di più."
"Ma io ho promesso di non intromettermi mai nelle questioni legali o politiche di questa regione, perché sono tutte decisioni che spettano all'amministrazione di Waterdeep. L'ho giurato."
"Waterdeep! Buoni, quelli. Chi li ha mai visti?"
"I grandi lord di Waterdeep se ne stanno comodi nei loro palazzi da ricconi e non sanno niente di noi, non sanno niente della nostra terra!"
Krystel ormai si sentiva scoraggiata e aveva un'aria sempre più persa. Sentiva che stava perdendo quella battaglia dialettica, eppure non poteva cedere perché quella promessa di neutralità per lei era sacra. Era l'unica cosa che decenni prima aveva convinto i lord di Waterdeep a non considerarla una pericolosa sovversiva. Era già un miracolo che la grande città le permettesse di vivere in pace entro i confini del proprio territorio, anche se Secomber era una cittadina di frontiera e lei quindi viveva nel territorio rurale di una zona molto periferica. A Waterdeep non avrebbero tollerato che lei si immischiasse in questioni legali, perché se si fosse appropriata di quel ruolo sarebbe di fatto diventata una figura autoritaria per il popolo, e quindi un centro di potere alternativo in una zona che era sotto la giurisdizione di Waterdeep. Krystel era una drow, apparteneva ad un popolo dalla reputazione oscura, il minimo passo falso sarebbe stato accolto con sospetto.
"So che cosa dovreste fare" ragionò infine. "Istituire un consiglio di anziani. In altre regioni si usa così, le piccole comunità che vivono lontane dai centri amministrativi si organizzano per conto proprio per le decisioni riguardanti la terra, i confini e le eredità."
I due litiganti drizzarono le orecchie a quella proposta. "Cioè, far votare i vecchi sulle questioni delle nostre terre?" Chiese conferma Jori.
"Sì, esatto. Agli anziani piace sentirsi utili e gli piace ancora di più prendere decisioni, inoltre si suppone che abbiano accumulato saggezza." Confermò la strega.
"E come si fa?"
"Se io fossi al posto vostro" consigliò la strega "andrei a Secomber e chiederei a lord Selarn. Credo che troverà quest'idea un'iniziativa di buon senso, che poi gli permetterà anche di non doversi più occupare di queste cose."
"E dovrebbe votare qualunque anziano?" Domandò Tom. "Anche quelli che vivono a Secomber e non sono contadini?"
"Uhm… no. Non avrebbe molto senso. Io consiglio di decidere dei parametri secondo due ragionamenti." Continuò lei, che aveva visto un angolo di mondo un po' più vasto rispetto ai due umani. "La prima domanda dovrebbe essere: chi è qualificato per essere un anziano consigliere? Secondo me dovrebbe essere una persona per famiglia, che viva in questa regione e che abbia superato una certa età, magari cinquanta o sessant'anni… c'è bisogno anche che ogni consigliere sia ancora sano nella mente, che sia o che sia stato capofamiglia perché conosce la responsabilità del prendere decisioni, che possieda o abbia posseduto un pezzo di terra di una dimensione minima che dovrete stabilire, in modo che sappia cosa vuol dire gestire un podere… oh, e bisogna anche assicurarsi che abbia la reputazione di essere una persona onesta. Questi sono i requisiti che io consiglio. Ma la seconda domanda dovrebbe essere: di tutti i consiglieri della regione di Secomber e delle sue campagne, chi dovrebbe votare per le singole questioni? Ebbene qui il mio parere è che non abbia molto senso andare a chiedere a molte persone, che magari vivono lontane, di dare la loro opinione sulla spartizione di un pezzo di terra. Penso che il diritto di votare dovrebbe essere riservato agli anziani che possiedono i terreni confinanti a quello che è oggetto di disputa. Oppure, se temete che essendo confinanti possano non essere imparziali, agli anziani che vivono entro uno o due giorni di cammino."
I due contadini restarono in contemplazione di quell'idea rivoluzionaria per un lungo momento.
"Ci hai dato parecchio su cui riflettere" annunciò alla fine Tom. "E penso che dovremmo discutere di questa cosa con il buon ranger Traskar. Lui potrebbe anche essere d'accordo."
I due cugini si scambiarono un sorriso d'intesa e Krystel, che era furba per natura perché drow e furba per cultura perché strega, poteva immaginare facilmente i loro pensieri.
Una simile soluzione sarebbe stata molto congeniale ad entrambi, visto che erano uomini di mezz'età, capifamiglia e proprietari terrieri. Di certo cominciavano a intravedere il loro futuro in quel Consiglio degli Anziani che al momento era ancora un'idea abbozzata, ma che un giorno gli avrebbe fornito qualcosa da fare, un modo per rendersi utili, anche quando sarebbero diventati vecchi. Oltre ad un modo per essere utili gli avrebbe anche dato quel minimo di potere a cui la gente comune semplicemente non sa resistere.
Il secondo motivo per cui i due cugini sicuramente si sentivano molto compiaciuti era che dovevano credere di averla messa nel sacco: anche lei aveva ampiamente passato i sessant'anni, era capofamiglia, era sana di mente e aveva il controllo su un pezzo di terra, sebbene non molto grande.
La drow sorrise, accompagnando la loro partenza con un gesto di saluto. Prima o poi avrebbero scoperto che lei non possedeva le terre intorno alla locanda ma ne aveva soltanto l'usufrutto. Non c'era bisogno di dirglielo subito, però.

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Capitolo 4
*** 3. Vessel ***


Genere: fantasy
Note: questo personaggio compare nell'arco finale di Jolly Adventures e ricompare qualche anno dopo al timone di una nave nella storia Cruel.


3. Vessel


1316 DR, Lago dei Vapori

Non ghiacciava mai, il Lago dei Vapori. Forse perché in quella regione meridionale non faceva mai così tanto freddo. Eppure, la notte in cui si risvegliò nella baia nascosta, Korum aveva freddo.
Non era una sensazione naturale; non era dovuta all'acqua sulfurea che, con il salire della marea, era arrivata a lambirgli le gambe. Era come un freddo che veniva da dentro. Era quasi come il freddo della morte.
Korum questo lo sapeva. Sapeva che era morto, e che poi era tornato indietro. Ma prima di questo non ricordava nulla.
Qual era il suo nome? Perso. Forse era qualcosa a cui aveva rinunciato per cominciare una nuova vita. Forse era stato un sacrificio da pagare, la propria identità, come se fosse una metafora della propria individualità.
Se non hai un nome, se non sei nessuno, non puoi neanche desiderare, giusto?
L'omone non sapeva quali sentimenti avessero mosso i suoi passi, quali ambizioni lo avessero traghettato attraverso la vita fino alla sua prematura morte. L'unica cosa che sapeva era che la sua vita era stata sprecata all'insegna della distruzione, non era riuscito a costruire mai nulla di buono, era stato capace solo di uccidere.
Non ho potuto, o non ho voluto?
Questa era la domanda con cui si era risvegliato. Rimbalzava nella sua mente come se non ci fosse nient'altro ad occuparla, e in effetti era così. Niente ricordi, niente decisioni, niente pensieri, solo una lavagna nera completamente da scrivere.

Era questa la domanda che aveva salvato la sua anima dal tormento eterno. Un istante prima di essere condannato per le sue azioni passate, lo spirito di Korum Barehead aveva messo da parte il rancore in cui aveva vissuto tutta la sua vita e si era chiesto, per la prima volta: Non ero in grado di fare nulla di buono, oppure ho scelto di non provarci?
E insieme a quel pensiero ne erano arrivati altri: Avrei potuto vivere una vita diversa? Perché non ne ho avuto la forza? Avrei potuto cercare la felicità anziché trascinare altre persone nella mia stessa miseria?
E forse è troppo poco per parlare di pentimento, perché il vero pentimento sarebbe stato ricompensato dalla grazia. Si trattava più che altro di un'incertezza, un rimpianto. Il desiderio, forse, di poter tornare indietro e fare le cose diversamente.
E indietro, Korum Barehead, ci era tornato davvero, ma senza memorie della sua vita da pirata.
Ormai perfino la domanda non gli serviva più, non aveva più senso, e lui la stava dimenticando: se non ricordava i dettagli della sua vita passata, non poteva nemmeno chiedersi perché non avesse vissuto diversamente. Non poteva ricordare il dolore di essere stato abbandonato in fasce perché figlio di un orco, di essere stato cresciuto alla stregua di uno schiavo. Non poteva ricordare gli sguardi di disprezzo degli umani della regione, né il suo desiderio di uccidere chiunque osasse fissarlo un secondo di troppo.
Sapeva solo che qualcosa era andato storto, qualcosa lo aveva deviato verso una strada distruttiva, forse un problema dentro di lui o forse un problema esterno a lui… ma lui aveva fatto delle scelte e quella rimaneva una sua responsabilità.
Korum alzo una mano e si tastò la fronte, la testa calva, la pelle secca ma fin troppo liscia, finché non trovò le due escrescenze ossee che spuntavano dal suo capo: due grosse corna, come quelle che la gente immaginava sui diavoli.
Forse aveva sbirciato, come oltre una porta socchiusa, che cos'era l'Inferno. O l'Abisso? A quale di questi tormenti eterni sarebbe stato condannato?
Chi si era preso la briga di rimandarlo nel mondo, con un aspetto raccapricciante che avrebbe fatto capire a chiunque, immediatamente, che lui era un'anima dannata? Perché lo avevano fatto?
L'uomo che un tempo si era fatto chiamare Korum Barehead, uno dei tanti pirati che avevano infestato il Lago dei Vapori, rimase a fissare il cielo stellato sopra quella baia nascosta, per buona parte della notte. Aveva la sensazione di stare sprecando il suo tempo ma non sapeva che cosa fare, non aveva un piano, non aveva nemmeno uno scopo.
Una parte di lui avrebbe voluto che quella seconda chance fosse davvero una seconda vita, avrebbe voluto ricominciare da capo. Un'altra parte di lui non sentiva di averne il diritto, finché non avesse rimesso a posto ciò che aveva distrutto, o almeno finché non avesse fatto abbastanza da controbilanciare le sue passate azioni.
Era un compito che gli appariva tanto più immenso quanto più si rendeva conto di non ricordare ciò che aveva fatto. Si può fuggire da un nemico invisibile? Si può combattere un nemico invisibile? Questo era il passato se stesso: un nemico invisibile. Qualcuno che si era sottratto allo scontro, codardamente. Di certo però il vecchio se stesso non poteva coesistere con quello attuale, quindi quel confronto era destinato ad essere impossibile.
Nessuno può mai essere all'altezza dei morti. Le loro azioni non possono essere superate, annullate, confrontate con nulla.
"Bella merda" sospirò il mezzorco tornato dall'Aldilà. Non sapeva cosa fare, ma non poteva starsene lì seduto in eterno.
Lasciò vagare lo sguardo sul mare interno che sussurrava la sua nenia nella notte. Il suono delle onde gli era così familiare. Doveva aver vissuto vicino all'acqua, o sull'acqua. Era stato un marinaio? Un pirata? Non lo ricordava, ma l'idea sembrava plausibile.
L'omone dall'aspetto terrificante si alzò in piedi, lento ma inesorabile. Aveva preso una decisione. Non aveva un nome, non aveva un piano, non aveva desideri, ma aveva uno scopo generico e un'idea per cominciare: gli serviva un vascello.

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Capitolo 5
*** 4. Knot ***


Genere: avventura, fantasy
Note: per capire questa storia sarebbe meglio conoscere già i personaggi di Amber e Tek'ryn


4. Knot


1371 DR, Grande Foresta, nei pressi del confine sudoccidentale

I due giovani drow stavano in piedi nella radura, sobbalzando a ogni minimo rumore. La foresta non era il loro ambiente naturale; l’ultima volta che vi si erano avventurati avevano quasi scatenato una faida con gli elfi di quella regione[1]. Era un’esperienza che, potendo scegliere, avrebbero volentieri evitato di ripetere.
La creatura davanti a loro, però, aveva teso un braccio proprio in direzione dei meandri della selva, come se volesse indicare loro la strada. Certo per lui non sarebbe stato un problema addentrarsi nella foresta, aveva perfino l'aspetto di un albero… anche se si potevano ancora riconoscere degli arti umanoidi in lui: una testa, delle braccia, gambe che finivano in diramazioni di radici che aveva al posto dei piedi; indossava perfino dei vestiti - di un qualche tessuto che sembrava muschio - sul suo corpo rigido e angoloso. Era una creatura perfettamente integrata nella natura, eppure in qualche modo sembrava aliena.
Le sue dita adunche, simili a rametti, si muovevano leggermente nella brezza mentre con quel gesto del braccio sembrava voler indicare l'intero panorama della foresta. I suoi occhi erano pozzi di oscurità infossati in un volto ligneo, ma in qualche modo i due giovani sapevano che il druido li stava fissando. Forse li stava anche giudicando.
"Questa sarà l'ultima delle vostre prove. Per dimostrare la vostra arguzia e la vostra capacità di lavorare in una squadra, trovate il coniglio lunare e portatemi un ciuffo dei suoi peli. Ma senza nuocere alla creatura!" Intimò, con grande serietà. Infilò una mano in quella che forse era una tasca della sua strana tunica, e ne estrasse un minuscolo paio di forbici, di quelle che si potrebbero usare per tagliare le unghie.
La femmina drow prese le forbicine dalla mano del druido, con gesti meccanici. Gli rivolse un'occhiata stanca e dubbiosa, e infine si decise a rompere il silenzio:
"È uno scherzo, vero? Duv?"
"Niente affatto, Amber. Buona fortuna per la vostra cerca."
Queste ultime parole erano state pronunciate in tono lapidario, definitivo.
"Ma… abbiamo appena passato due giorni a pulire la locanda da cima a fondo, perché secondo la mamma dovevamo dimostrare di avere… com'era… costanza e forza di volontà. E per la cronaca io non me la bevo, secondo me voleva semplicemente che qualcuno pulisse tutto per bene, per una volta."
"Avete dimostrato costanza e forza di volontà" riconobbe Duvainion, concedendo alla sua giovane sorella un cenno di riconoscimento con il capo. "Ma non è sufficiente. Ora dovete dimostrare arguzia e capacità di lavoro di squadra. Ricordatelo, perché è importante. Confido che possiate farcela, ragazzi." Detto questo, voltò loro le spalle e andò a sedersi su un masso ricoperto di morbido muschio. "Io vi aspetterò qui."

"Accidenti a lui" borbottò Amber qualche ora dopo, districando un piede da un groviglio di piante che probabilmente erano carnivore e l'avevano scelta come preda. "Spero che gli cresca il muschio addosso a forza di aspettarci, dannato abbraccia-alberi!"
"Percepisco che nella direzione che abbiamo preso troveremo diverse volontà assassine, ma non saprei dire se siano piante, animali o altro" interloquì suo fratello Tek'ryn, che aveva teso le braccia nella direzione in cui avevano scelto di incamminarsi, lungo un sentiero che stava rapidamente sparendo nella selva. La foresta aveva un modo tutto suo di riappropriarsi dei sentieri che non venivano battuti spesso. E lo faceva velocemente.
"Ci saranno volontà assassine da ogni cazzo di parte. I tuoi poteri possono essere più inutili di così?"
"Non sei gentile" protestò lui. "Io stavo cercando di percepire il coniglio lunare, ma non ho idea di come sia fatto o di quali possano essere i suoi pensieri, per quanto i pensieri di un animale siano sempre più o meno…"
"Inutili, come te" lo interruppe Amber. "Vieni qui e dammi una mano, questa pianta della malora si è rubata uno dei miei stivali!"

"No, no, non è quella la leva. Quello è solo un pezzo di ferro che si è staccato dal meccanismo."
"Ah… allora… qual è la leva?" Amber sfiorò freneticamente la tagliola che si era serrata intorno alla gamba di suo fratello. Era quasi nel panico, lui non si era mai ferito così gravemente, e lei non aveva mai visto così tanto sangue. Cercava di seguire le direttive del fratello, perché lei non capiva nulla di meccanismi. Be', non di meccanismi delle trappole. Sapeva cavarsela con i lucchetti, ma non era la stessa cosa.[2]
Nemmeno lui conosceva i meccanismi delle trappole, ma i suoi poteri spontanei di divinazione intervenivano quando si trattava di tirarlo fuori dai guai. Ora lui stava vedendo la giusta sequenza di azioni da compiere per aprire la tagliola, e stava cercando di guidare la sorella con le sue indicazioni.
"Spingi quella leva fino in fondo in senso orario. Intendo in senso orario dalla tua prospettiva, non dalla mia." Specificò, cercando di restare calmo.
"È bloccata!" Amber stava quasi andando nel panico, e in quello stato non sarebbe stata utile a nessuno.
"Devi fare forza perché la leva è rigida, ma ti assicuro che si può fare." Insistette Tek'ryn. "Prendi un bel respiro e conta fino a dieci."
"Scherzi? In questo momento?"
"Sono cresciuto fra i drow, Amber. Ho dovuto abituarmi al dolore fin da piccolo. Quando sono arrivato qui non sapevo che la vita fosse diversa, toglievo la roba dal forno a mani nude prima che mamma mi spiegasse che esistono le presine." La sorella lo guardò stranita, ma lui capì che stava funzionando. La stava distraendo. "È per questo che ad un certo punto mi ha bandito dalla cucina: continuavo a farmi male e a non dirglielo perché non lo reputavo importante."
Le labbra di Amber tremolarono e si piegarono in un sorriso incerto. Questa era una storia nuova per lei: all'epoca non le passava nemmeno per la mente di aiutare sua madre in cucina, mentre Tek'ryn, che era solo poco più grande di lei, cercava sempre di rendersi utile.
"E sei ancora capace di sopportare il dolore" riconobbe, scuotendo la testa con un gesto triste. "Mi dispiace, ma in questo momento ne sono perfino un po' sollevata."
Fece leva sulla fascetta di metallo che Tek'ryn le aveva indicato. Forte. Più forte. Per un momento sembrò che si sarebbe spezzata, ma poi il meccanismo si lasciò attivare. Gli ingranaggi, o qualunque cosa ci fosse all'interno di quell'oggetto diabolico, girarono come dovevano e la molla si tese di nuovo mentre la tagliola si apriva.
La trappola tornò scattosamente alla sua forma originaria, un cerchio di lame seghettate che sembrava la bocca di un mostro in agguato.
“Chi diavolo userebbe un aggeggio così crudele per prendere degli animali?” Amber sollevò la tagliola fra le mani, guardandola con sommo disgusto.
“Bracconieri, di sicuro” Tek’ryn cercò una pozione di cura nella sua scarsella. Ne avevano portata qualcuna, perché non si sa mai, e quel momento di buonsenso stava dando i suoi frutti. Buttò giù il contenuto di una fiala, tutto d’un sorso. I tagli sulla gamba cominciarono a rimarginarsi.
“E se il coniglio lunare fosse rimasto intrappolato in una di queste cose?” ipotizzò Amber, preoccupata.
“Non in una di queste. Guarda quanto è grande, è una trappola per lupi o per orsi, non si attiva per il peso di un coniglio.” Spiegò Tek’ryn. “Per un momento ha perfino retto il mio peso. Se non mi fossi sbilanciato forse ci sarei passato sopra senza farla scattare.”
Amber abbassò gli occhi, mortificata. Tek’ryn era finito sulla trappola solo perché aveva cercato di spintonare via lei… che stava per metterci sopra un piede. Poi era scivolato perché aveva un senso dell’equilibrio talmente pessimo, da sempre, e ci aveva messo un piede sopra lui stesso, con tutto il suo peso.
“Noi due non siamo fatti per le foreste” mormorò.
“Non siamo fatti neanche per i dungeon, visto che siamo in tema” Tek’ryn piegò e stese la gamba, per saggiare gli effetti della guarigione. “Io non voglio vederli neanche da lontano.”
“E niente avventure cittadine, a meno che non ci camuffiamo da qualcosa. I drow non sono bene accetti da nessuna parte. Quindi cosa ci resta?” Amber poggiò la tagliola a terra e raccolse un ramo che era caduto. “Andremo all’avventura nelle campagne? Salveremo le pecore dai lupi e faremo scendere i gatti dagli alberi?”
Tek’ryn capì cosa stava cercando di fare e la aiutò a posizionare l’estremità del ramo sul punto di innesco della trappola. Poi lei si appoggiò al bastone e la tagliola scattò nuovamente, chiudendosi intorno al legno. Non riuscì a tranciarlo; era un vecchio arnese che aveva visto giorni migliori. Però a questo punto la tagliola chiusa non sarebbe più stata una minaccia per gli animali del bosco.
“C’è sempre il mare. Oppure potremmo vagare, esplorare nuove regioni, senza prefissarci una meta precisa.” Propose il drow. “Non abbiamo visto molto, del mondo.”
“E continueremo a non vedere molto, se non troviamo quel maledetto coniglio lunare. Ma poi che diavolo è un coniglio lunare? Un coniglio mannaro? Di giorno è un… che ne so, un sasso, e con la luna piena diventa un coniglio?”
“Forse è solo un coniglio dal pelo bianco o argenteo” Tek’ryn stava pensando ad alta voce. “Se trovassimo qualcuno a cui chiedere?”
“Oh, sì. Aspetta che lo vado a chiedere agli elfi. Ci aiuteranno di sicuro.” Scherzò, facendo riferimento ai loro rapporti turbolenti con gli elfi della regione. "Che mi dici invece delle tue visioni? Non puoi farti venire una premonizione su come possiamo trovare questo dannato coniglio?"
"Sarebbe come barare" obiettò Tek'ryn.
"No, sarebbe come usare tutte le risorse che abbiamo a disposizione. Penso che sia quello che Duvainion si aspetta da noi. Che razza di avventurieri saremo se continuiamo a rifiutarci di sfruttare tutte le nostre capacità? Non è così che faremo star tranquilla la mamma, e tutta questa ridicola serie di prove che stiamo affrontando è unicamente per questo, no? Rassicurare la nostra famiglia che siamo in grado di andare all'avventura."
"Amber, io so già andare all'avventura. Ho secoli di esperienza in questo."
"Azazirg aveva secoli di esperienza in questo. Tu non sei lui. Tu sei mio fratello e hai solo cinquant'anni."
"Ne ho cinquantasei!" Protestò l’elfo scuro. "E mi spiace dover insistere nel darti questa delusione, ma io ed Azazirg siamo la stessa persona. Ho recuperato tutti i suoi ricordi, so benissimo chi ero prima…"[3]
"Prima di morire" insistette lei. "Hai dovuto ricominciare tutto da capo, hai vissuto una nuova infanzia, una nuova giovinezza, sei stato educato da una nuova madre. Tu non sei più lui, non ragioni nello stesso modo. Hai solo i suoi ricordi."
“Come vuoi. Ma grazie a quei ricordi sono capace di andare all’avventura, mentre tu stai cominciando tutto per la prima volta.”
“Non sono una novellina totale!” Amber gli scoccò un’occhiata di fuoco. “E forse ho più buonsenso di te, con tutti i tuoi secoli di esperienza. Cerca di avere una visione su quel dannato coniglio!”
“Non è così facile, riesco ad avere premonizioni solo per evitare un pericolo o un guaio, non funziona a comando!”
“E allora considerati in pericolo, perché se dovrò passare un altro giorno in questa dannata foresta giuro che ti picchio!

Due giovani drow finalmente sbucarono di nuovo nella piccola radura da cui erano partiti. Era quell'ora particolarmente oscura che precede l'alba, le stelle erano nascoste dalle nuvole. Da qualche parte doveva esserci anche la luna, che ad un occhio profano sarebbe sembrata piena. Una persona più esperta dei cicli naturali, però, avrebbe saputo - e avrebbe sentito a livello energetico - che non sarebbe stata davvero piena fino alla notte successiva.
Duvainion stava giusto pensando che l'ideale sarebbe stato svolgere il rituale del Nodo la notte seguente, con la benedizione delle energie del plenilunio; ma non sarebbe stato possibile se Amber e Tek’ryn non fossero tornati in tempo… e proprio in quel momento li udì tornare.
“Già fatto?” Domandò, davvero sorpreso.
“Certo. Come no. In poche ore abbiamo trovato un coniglio che non ci hai nemmeno descritto, e che magari nemmeno esiste, in una foresta che è più grande di un regno. Guarda, ce l’ho qui in tasca!” Ironizzò Amber.
“E allora” Duvainion si pizzicò le labbra con le dita per nascondere un sorriso “perché siete già tornati?”
“Perché dopo aver incontrato liane assassine, pozze di fango che ci hanno quasi risucchiato e tagliole nascoste sotto gli aghi di pino, abbiamo capito una cosa: ci hai detto… com’era, Tek?”
“Ci ha detto che dovevamo dimostrare la nostra arguzia e…” rifletté Tek’ryn.
“Ah, sì, e la nostra capacità di lavorare in squadra” concluse la sorella.
“All’inizio pensavamo che per squadra tu intendessi solo noi due” raccontò il veggente, indicando se stesso e Amber. “Ma non è così, giusto? Tutte queste preparazioni al misterioso rituale, servono a dimostrare che siamo degni di fare squadra con la nostra famiglia.”
Amber prese la parola concludendo il loro pensiero. “Anche tu fai parte della nostra squadra, e capirlo avrebbe dimostrato la nostra arguzia” annunciò con un sorriso trionfante. “Quindi, ora, caro fratello che sa parlare agli animali, saresti così gentile da richiamare il coniglio lunare? Voglio proprio dargli una spuntatina al pelo!”
Duv accolse la loro esposizione con un gran sorriso, e infine si concesse una breve risata. Un evento raro, per lui.
“Bravi, molto bravi. Lo avete capito in fretta. Mi dispiace deludervi, ma non esiste nessun coniglio lunare”.
Amber e Tek’ryn si lasciarono sfuggire un mugugno deluso. “Vuoi dire che te lo sei inventato? Aveva un nome così suggestivo…”
“Sono molto bravo a inventare animali credibili. Quando è toccato a nostra sorella Kore, l’ho mandata a cercare il pipistrello diurno, che vive solo sugli alberi di chiomadifuoco.”
“E… nessuna di queste cose esiste, immagino?” Indovinò la ragazza.
Duv rise di nuovo. “Ci ha messo tre giorni a capirlo. Nostra sorella non è stupida, ma era da sola, mentre voi avete potuto parlare fra voi e confrontare i vostri sospetti… ma soprattutto Kore prendeva per oro colato ogni mia parola. Piuttosto sciocco, da parte sua.” Nonostante il giudizio spietato, Duv sorrideva teneramente mentre parlava della sua prima sorella minore. “Mi dispiace davvero che non l’abbiate mai conosciuta, e che abbia sciolto il nostro legame decenni fa.”
“Lo stesso legame che noi stringeremo domani notte? Tu e mamma rispetterete la vostra promessa?” Investigò Amber.
“Con gioia.” Confermò il druido. “Sarà bello poter accogliere nuovi membri nel nostro circolo. Non tutti nella nostra famiglia hanno stretto il Nodo, solo quelli di noi che vanno all'avventura e che, secondo nostra madre, possono aver bisogno di una rete di sicurezza. Una volta eravamo Kore, Krystel ed io. Dopo la partenza di Kore siamo rimasti in due.”
Amber sbatté le palpebre un paio di volte.
“Ma due persone non sono un circolo. Nemmeno un circolo di famiglia. Così è solo… un elfo di centoquarant’anni che ha un legame speciale con la sua mamma e che lei vuole tenere d’occhio a distanza” rise la drow.
Duv sospirò con aria sconsolata, perché era inevitabile che la sua intelligente sorellina ci arrivasse.
“Dunque capisci come mai non vedo l’ora che voi due celebriate il rituale del Nodo? In quattro saremo di nuovo un circolo. Sarà di nuovo una cosa dignitosa. Una famiglia così unita che, anche se i suoi componenti si separano, continua ad essere legata spiritualmente. Suona molto meglio di un elfo adulto sotto il controllo della mamma.”
“Io lo trovo molto dolce in ogni caso” interloquì Tek’ryn. “Krystel si preoccupa per i suoi figli. La mia madre naturale aveva un’idea del tutto diversa di come ‘tenermi d’occhio’. Qualcosa che prevedeva l’uccidermi se avessi fatto un passo falso. Krystel invece vuole solo creare una rete magica di mutuo aiuto.”
Amber sospirò, posò le mani sulle spalle di Tek’ryn con fare fraterno e lo guardò negli occhi con serietà, ma poi gli diede uno scossone per avvicinarlo a sé e gli sussurrò nell’orecchio: “Krystel è troppo chioccia, non lo puoi negare, a te non dà fastidio solo perché hai degli standard molto bassi. Smetti di remarci contro, cocchino di mamma, o mi porto all’avventura Luel e Geyla al posto tuo. E non mi frega niente se dovrò fargli da babysitter, perché il mio scopo è lasciarti a casa a soffocare nella bambagia.”
A Tek’ryn non dispiaceva per niente la compagnia di Krystel, era stata una madre paziente e molto tenera con lui… ma a quella prospettiva rabbrividì comunque. Una buona madre, sì, ma solo se poteva dividere le sue attenzioni con altri fratelli.
“No, che dici, tu hai ragione da vendere” si corresse, con un sorriso nervoso. “Sono solo lieto di partecipare a questo rituale del… Nodo… per potercene poi andare per conto nostro.”
“A proposito del rituale” s’intromise Duvainion. “Serviranno delle candele, Krystel voleva produrne di nuove. Andate ad aiutarla.”
“Un’altra prova?”
“No” chiarì Duv. “Solo normale lavoro. Adesso andate, fuori dai piedi.”
Amber e Tek’ryn si avviarono verso il confine della foresta, verso la campagna, casa. Il lavoro sembrava non finire mai, ma essere una famiglia voleva dire anche questo.



**********
[1] Eventi citati nella storia Loop
[2] Le mie storie sono basate sulle regole di D&D 3.5, dove Scassinare Serrature e Disattivare Congegni sono due prove di abilità diverse.
[3] Tek’ryn fa riferimento alla storia Eyes della raccolta Inktober 2019, che narra le origini del suo personaggio.

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Capitolo 6
*** 5. Raven ***


Genere: song fic, triste
Note: il protagonista di questa storia è uno dei personaggi principali di Vampier's Diaries - Libro secondo. Questa one shot si svolge pochi anni prima del suo incontro con Erika. La canzone citata è Il Corvo, di Davide Van De Sfroos.


5. Raven


854 DR, città di Silverymoon

Funzionario Generico in addestramento. Un passo necessario sul cammino di ogni aspirante burocrate, anzi, un passo che rappresentava già un successo. Un funzionario generico in addestramento era a tutti gli effetti già un burocrate cittadino, solo che veniva mandato ad occuparsi dei casi più fastidiosi, noiosi o semplicemente spiacevoli.
Registrare i decessi era uno dei doveri di questi funzionari, queste ultime ruote del carro dell'anagrafe cittadina. Appena possibile, perfino questi apprendisti scaricavano quel lavoro ingrato su chiunque fosse approdato alla professione dopo di loro.
I Funzionari che si occupavano dei morti erano accomunati dalla stessa nomea di menagrami che ammantava anche i becchini, sebbene loro si occupassero solo dell'aspetto documentale della vicenda e solo in casi eccezionali venissero davvero in contatto con i cadaveri.
La gente comune li chiamava Corvi.

Non sono io la causa, non sono io il fato,
Non sono io il giudice, non sono il soldato


La gente li chiamava Corvi e li guardava con sospetto, quasi che fosse colpa loro se la gente moriva. Non era così ovviamente, tutti lo potevano capire, però erano comunque persone che vivevano - guadagnavano uno stipendio - grazie alla morte altrui. Gente che traeva profitto dalla morte e, quindi, corvi.
Era una vita solitaria e grama. Nulla a cui Imadain Terrence Duskwatcher non fosse abituato.
Anzi, in un certo senso gli faceva comodo. Era un bene che le persone gli stessero a distanza, intimorite dallo stemma appuntato sul suo petto che lo identificava come un funzionario generico in addestramento. Un Corvo.
Il suo aspetto innocuo, di giovane uomo abbastanza piacente, non bastava a far superare il disagio verso la sua professione.
Era molto meglio così, perché Imadain non poteva permettersi di toccare qualcuno, quindi sarebbe stato pericoloso per lui avere una vita sociale.

Non mi concedo al tocco del vivo
e non mi fermo davanti al morto


Ogni giorno si ripeteva che andava bene così. Che non aveva nessuna fretta di salire di rango, perché quella posizione gli era congeniale. Ma forse ‘congeniale’ non era la parola giusta: essere un solitario non era la sua natura, era la sua maledizione.
Non puoi permetterti di toccare le persone, se sai che il tuo tocco gli ruberà il tempo, la vita.

Anche io sono fatto di sole
e di aria sopra le cose,
Anche io ho un bacio che non ferisce
uno sguardo che non marcisce


Avrebbe tanto voluto poter sfiorare qualcuno, toccare qualcuno… perfino abbracciare qualcuno, baciare qualcuno, come facevano le persone normali. Voleva provare quelle sensazioni, capire se davvero davano gioia come sembrava. Aveva bisogno di contatto fisico. Erano decenni che non si permetteva un simile lusso. Quel sogno però era destinato a non realizzarsi, finché non avesse imparato a mantenere un controllo perfetto e costante sul suo potere involontario… o a meno che non avesse trovato qualcuno che, per miracolo, era immune al suo tocco vampirico.
Certo quest'ultima ipotesi non era molto probabile. Imadain sorrise di se stesso e dei suoi sciocchi pensieri, mentre un’allegra famigliola attraversava la strada per non dover incrociare i suoi passi.
Cercò di non badarci. Era soltanto normale.
Era anche doloroso, ma non poteva farne una colpa a nessuno.

Questo mio canto non porta timore,
questo mio canto non serba rancore,
Sono soltanto il corvo e oggi ho cantato
Sono soltanto il corvo ma oggi ho cantato


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Capitolo 7
*** 6. Spirit ***


Genere: fantasy
Note: questa storia è un sequel di La musica è fatta anche di silenzi e di Pausa Breve


6. Spirit


1300 DR, Mondo degli Spiriti

Era il suo primo incarico come Spirito Guida, e la cosa era evidente a tutti gli altri spiriti. La cucciola di drago ci aveva messo davvero tutto il suo impegno, perché voleva davvero stare vicina a suo fratello per quanto possibile.
Era una cosa molto difficile dal momento che lui era vivo e lei era morta, ma Saelmanestrix si era cocciutamente rifiutata di andare nell'aldilà: senza il suo gemello si sentiva incompleta. Non poteva andare Oltre, doveva aspettarlo, dovevano stare insieme. Erano nati insieme, non sopportava che qualcosa li avesse separati.
La sua volontà aveva inconsapevolmente spinto la sua anima a spiaggiarsi nel Mondo degli Spiriti, una dimensione intermedia molto vicina al mondo dei vivi, e tuttavia abitata soprattutto da spiriti dei morti. Non era un Aldilà, era più simile a un luogo di passaggio… però nulla impediva di stabilircisi per un lunghissimo tempo.
Da lì si vedeva benissimo il mondo dei vivi, Saelmanestrix poteva seguire le mosse di suo fratello, ma lui non poteva vedere lei; nemmeno con la sua vista magica, una cosa che aveva sorpreso molto la draghetta.
"Dovresti procedere per gradi" la stava consigliando, in quel momento, uno spirito più anziano. Aveva la forma di un maliardo, una specie di topo senziente dalla coda prensile. "Non puoi suggerire azioni nella mente del tuo protetto. Il tuo compito è proteggerlo e guidarlo con gentilezza."
"Ma lo sto guidando!"
"No, Sel, quello che stai facendo è cercare di condizionarlo. Non gli stai facendo del bene."
"Ma così si diverte di più!" Protestò la cucciola di drago. "Quell'uomana che gli ha rubato le scarpe si meritava una lezione!"
"Non è nel carattere di tuo fratello entrare di nascosto nella stanza di qualcun altro e liberare delle tarme nel suo armadio. Non stai rispettando la sua natura, Sel. Sei uno spirito guida, ma non puoi imporre il tuo carattere al tuo protetto."
"Ma lo facevo anche quando ero viva" protestò Saelmanestrix. "Sono io che so cosa è meglio per lui. Mio fratello è perso, senza di me. Tu non capisci niente!"
"È davvero così? O magari stai cercando di vivere un po' tramite lui?" Inzigò il maliardo, colpendo nel segno.
Saelmanestrix rimase ammutolita, perché non sapeva come ribattere. Non durò a lungo.
"Perché non ti fai un po' gli affari tuoi? Se Simerkeinos mi ascolta è perché nel suo cuore lui vuole ascoltarmi."
Il maliardo alzò gli occhi al cielo e diventò trasparente per un momento, che è quello che gli spiriti fanno al posto di sospirare.
"Non eri pronta per questo compito, Sel. Non eri pronta nemmeno per vivere la tua vita, figuriamoci consigliare e guidare qualcun altro."
Saelmanestrix non lo degnò più di un'occhiata. Avrebbe continuato per la sua strada, cocciutamente, come aveva sempre fatto.

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Capitolo 8
*** 7. Fan ***


Genere: slice of life
Note: questa storia racconta un breve evento dell'infanzia di Amaryll, personaggio principale in Non era amore, ma almeno era Amyl; qui si spiega anche come sia venuta a suo cugino l'idea di fare lo stilista


7. Fan


1216 DR, città elfica di Myth Dyraalis

"È mio!" Esclamò il bambino, buttandosi di peso addosso alla cugina e cercando di arrampicarsi su di lei. La giovane elfa fu lesta ad alzare il braccio per allontanare il suo prezioso ventaglio dalle manacce sporche del pargolo.
"Ma neanche per idea, Vialaer! Giù le zampe!"
"Non ho le zampe, Amyl! Io ho le mani e tu sei cattiva!" Il giovane elfo dai capelli rossi gonfiò le guance, che in quel momento erano altrettanto rosse per lo sforzo, e rivolse alla cugina un'occhiata offesissima.
"Ho visto scimmie con le mani più pulite" la giovane Amyl storse il naso, causando una strana danza di lentiggini che parevano spostarsi per seguire le sue smorfie. "Quindi le tue sono zampe."
"Non è vero, sei brutta e quello è mio!" Insistette, saltando per cercare di afferrare il ventaglio.
Ci riuscì, ma solo per un momento. Amyl lo stava ancora tirando verso di sé. Per un momento Vialaer rimase quasi appeso al ventaglio e sembrò che il tempo si fosse congelato, poi il prezioso oggettino di legno e stoffa si spezzò.
Entrambi i ragazzi rimasero a guardare l'oggetto irrimediabilmente rotto, diviso in due metà quasi esatte e tenuto insieme solo dalla stoffa. Vialaer lo lasciò andare di scatto e la metà che aveva tenuto in mano rimase a penzolare come un braccio rotto.
"Ti odio!" Scattò Amyl, facendolo sobbalzare. "Sei un egoista! Non posso mai avere niente di bello per colpa tua, ogni volta che ho una cosa carina la vuoi per te o la rompi. Rovini sempre tutto! Ti odio!"

Vialaer aveva solo sette anni, nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. È vero, gli piacevano le cose belle. È vero, pensava che fosse un suo diritto averle. Ma fino a quel momento non aveva mai pensato che fosse un problema. Non aveva realizzato che, pretendendo una cosa per se, l'avrebbe tolta a qualcun altro.
Ci rimase davvero malissimo. Nessuno gli aveva mai detto qualcosa di terribile come ti odio. Scoppiò a piangere e corse verso casa, lasciandosi dietro una Amyl furibonda e per niente pentita.

La ragazzina elfa non aveva mai rimproverato così duramente uno dei suoi cugini più piccoli, anche se tante volte avrebbe voluto farlo. I suoi zii stavano viziando i gemelli, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze. Amyl invece, che era solo una nipote ed era più vecchia dei cuginetti di cinque anni abbondanti, doveva sorbirsi i loro capricci e non aveva il diritto di cercare di educarli. Era una situazione insostenibile e ancora una volta maledisse i suoi genitori per averla costretta ad andare a vivere in città con gli zii e i malefici cugini.
Aveva anche lei le lacrime agli occhi, ma per la frustrazione. Le piaceva così tanto quel ventaglio, glielo aveva regalato una gnoma simpatica e gentile, e lei aveva sperato di usarlo per darsi arie da signorina. Si sentiva così graziosa con quel ventaglio. Di sicuro anche Raedeth avrebbe notato com'era graziosa, e lui era l'elfo più bello fra tutti i ragazzi di Myth Dyraalis, anche se aveva già diciotto anni e quindi le bambine come lei di solito non le guardava neppure.
"Dannazione a te, Vialaer" sussurrò, sforzandosi di trattenere le lacrime. Gettò a terra l'oggetto rotto e si diresse verso il suo albero preferito. Arrampicarsi lì sopra riusciva sempre a calmarla un po'.

Alcuni giorni dopo, Vialaer si avvicinò timidamente ad Amyl e le porse un regalo: era una specie di ventaglio, fatto con rametti e stoffa incollata con la resina dei pini.
La ragazzina guardò l'oggetto per un lungo momento, pensando a una specie di scherzo, poi rivolse a Vialaer un'occhiata fredda.
"No. Hai rotto una cosa che mi piaceva molto e pensi di potermi dare questo pastrocchio e poi sarà tutto a posto? Non è a posto per niente! Non posso usare questo ventaglio come quell'altro, non si chiude nemmeno, è brutto e non lo voglio! Forse tua mamma ti ha insegnato che con l'impegno e l'affetto si risolve tutto, ma nel mondo reale non è così! Nel mondo reale non ho più il mio ventaglio e in cambio ho un bambino tra i piedi che si aspetta che io lo perdoni perché ha fatto uno sforzo per me, così se lo perdono potrà ricominciare a starmi tra i piedi e pretendere le mie cose! Be', sai che c'è di nuovo, te lo puoi scordare. Non farti più vedere da me, finché non avrai imparato che cos'è il rispetto!"
L'espressione speranzosa di Vialaer si trasformò in una smorfia triste, perché non aveva capito proprio tutto - e non aveva agito in malafede, anche se le conseguenze sarebbero state comunque quelle che Amyl aveva predetto - ma una cosa l'aveva capita: il ventaglio che aveva fatto non era abbastanza bello.
"Lo so che non è bello come il tuo, Amyl" ammise mugugnando. "Ma ne farò uno più bello. Ti farò tante cose belle così non potrai dire che rovino tutto, e che mi odi."
La dodicenne sospirò pesantemente. "Non ti odio, scimmietta. Voglio solo che mi stai lontano."
Vialaer però aveva dei progetti, e arrendersi non era fra questi.
"Vedrai! Ti farò un ventaglio bellissimo e anche vestiti e cappelli e altre cose."
"Non darti il disturbo…" tentò, ma ormai il piccolo non l'ascoltava più. Era corso via, diretto verso casa, per chiedere a sua madre di insegnargli a costruire ventagli e a cucire. L'idea gli piaceva, non solo per ripagare Amyl, ma anche perché Vialaer amava le cose belle. Fino a quel momento non aveva considerato di poterle creare lui stesso.

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Capitolo 9
*** 8. Watch ***


Genere: slice of life
Note: un frammento del passato di due personaggi secondari di Non era amore, ma almeno era Amyl


8. Watch


1311 DR, foresta di Sarenestar, a sud di Myth Dyraalis

"Un altro turno di guardia insieme" commentò l'elfo biondo, in tono leggero.
"Hm-hmm" rispose l'altro ranger, con un laconico cenno di assenso. "Sembra che Tazandil si diverta a farci fare turni di guardia noiosi in posti dove non succede mai nulla. Che dovremmo fare, Raedeth? Chiedere che ci vengano affidati incarichi più importanti?"
"Ogni pattugliamento è importante, Elendyl. Se arrivasse qualche pericolo da sud perché noi siamo stati negligenti, saremmo davvero nei guai. Però possiamo ravvivare l'atmosfera con il nostro brioso senso dell'umorismo" insistette Raedeth, scherzando sulla loro amicizia di lunga data.
"Non hai proprio un briciolo di ambizione, tu?"
Raedeth si strinse nelle spalle. "Che vuoi che ti dica, non sono un Arnavel" rispose, facendo riferimento alla famiglia che governava Myth Dyraalis, e di cui Elendyl invece faceva parte, alla lontana. "Non ho niente da dimostrare, a differenza tua."
"Nemmeno io ho niente da dimostrare" mentì, ponendosi sulla difensiva. "È solo che vorrei rendermi utile al mio clan."
"Io invece sono sollevato che Tazandil non ti mandi a rischiare la vita in posti troppo pericolosi" obiettò l'altro, con una certa passione.
Elendyl arrossì di rabbia, perché nonostante fosse chiaro che l'amico aveva buone intenzioni, quel commento l'aveva punto nel vivo.
"Quindi tu pensi che io non sia all'altezza di missioni più serie di questa" commentò a bassa voce, cercando di non far trasparire la delusione che provava.
"Non lo so" rispose l'altro con una certa titubanza "in realtà non me lo sono mai chiesto. Sono solo contento che non rischi la vita, perché se ti accadesse qualcosa" Raedeth s'interruppe di colpo, incerto su come continuare "se ti accadesse qualcosa… non riesco a immaginare di non poterti parlare mai più, di non poterti vedere mai più."
Elendyl avvertì qualcosa nel tono dell'amico, un calare e poi risalire, come quando gli uccelli per un momento perdono il controllo del volo e scendono di quota solo per riprendersi un momento dopo. Qualcosa che sembrava suggerirgli che fosse stato il cuore di Raedeth a tremare anziché la sua voce.
Elendyl si avvicinò di mezzo passo all'altro, che stava proprio al suo fianco, finché il retro della sua mano sinistra toccò il retro della mano destra di Raedeth. Era solo uno sfiorarsi, un tentativo che gli permetteva di non esporsi troppo, ma il compagno di pattuglia ricambiò con lo stesso tocco leggero. Le loro mani si scambiarono una carezza appena accennata, poi Elendyl decise di osare di più e intrecciò le sue dita con quelle dell'altro.
"Ho dei sentimenti per te" ammise finalmente Raedeth, incoraggiato dalle azioni del moro. "Credo che vadano oltre l'amicizia che abbiamo costruito."
"Sì" soffiò Elendyl, ancora senza osare guardare l'altro in viso. "Lo capisco benissimo. Penso di provare la stessa cosa."
"Ti conviene, io sono perfetto" annunciò Raedeth, laconico e completamente serio.
Elendyl rimase a fissarlo per un lungo momento, senza parole, ma non riuscì a trattenere una mezza risata. Alla fine, con un certo sforzo, tornò a concentrarsi sull'area che stavano pattugliando.
Il loro capo non sarebbe stato indulgente, se li avesse visti distratti quando avrebbero dovuto stare di guardia.

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Capitolo 10
*** 9. Pressure ***


Genere: fantasy
Note: Jaime e Daphne compaiono in Dungeon e in New moon. Questa storia è precedente a entrambe.
Warning: violenza, accenno ad abusi su minori


9. Pressure


1373 DR, sesto giorno del mese di Eleasis, Silverymoon

Maerilzoun Duskwatcher sapeva molto bene cos'era la pressione. Lo aveva saputo per tutta la vita. Era una cosa inevitabile quand'eri il primogenito di una casata nobiliare, ma di certo suo padre non aveva reso le cose facili per lui. Per suo fratello, ancor meno.
Maerilzoun almeno aveva un minimo di propensione per le arti arcane. Era un requisito fondamentale per essere considerati un membro utile della famiglia, ed era niente meno che indispensabile per un erede.
Aveva vissuto per tutta la vita subendo pressioni, dovendo sempre dare il massimo nel suo rendimento accademico, nell'apprendimento di materie come economia e giurisprudenza, per non parlare dello studio della magia e del complicato balletto dell'etichetta in una città in cui i nobili esistevano ma non avevano davvero potere politico. Tutto quel bagaglio di competenze gli sarebbe servito un giorno a guidare la famiglia con i classici metodi dei Duskwatcher: camminare sul filo della legalità, acquisire nuove proprietà attraverso scambi, promesse, ricatti indimostrabili, prestiti ad alto interesse, e tutto ciò che in generale permetteva alle famiglie ricche di diventare ancora più ricche.
Maerilzoun non era esattamente contrario alla cosa. Non aveva mai avuto il tempo di chiedersi se fosse contrario alla cosa oppure no. Nel mondo in cui era cresciuto, questo comportamento era la norma ed era ciò che ci si aspettava da lui. Era ciò che suo padre si aspettava da lui. Però non era molto a suo agio con l'intera faccenda. Doversi destreggiare come un giocoliere, tenendo sempre in movimento gli affari semi-leciti della famiglia, sembrava un compito ingrato e faticoso quando avrebbe potuto tranquillamente vivere di rendita e avere una vita agiata.
Era proprio necessaria tutta quella pressione?
E la pressione era solo peggiorata quando suo padre era morto - era stato ucciso, per la verità - e il peso di mandare avanti la famiglia era ricaduto sulle spalle del diciannovenne.
Adesso si trovava con una bella gatta da pelare.

Jaime Labraen Duskwatcher sapeva molto bene cos'era la pressione. A differenza del suo perfetto fratello gemello, Jaime era nato senza alcuna propensione verso la magia arcana. Non era soltanto che gli mancasse la scintilla, per così dire: gli mancava anche completamente la voglia di studiare. O almeno questa era l'opinione di suo padre.
Non era semplicemente un problema di forza di volontà; Jaime aveva provato diverse volte a tenere in mano una pergamena magica, o una pagina di un grimorio, e a dipanarne i misteri. Le parole si mescolavano sulla pagina, i simboli gli sembravano tutti uguali, non riusciva a memorizzarne la posizione, a volte gli sembrava di ricordare una certa disposizione di glifi e rune ma quando provava a ricopiarla scopriva di aver capito tutto alla rovescia. Gli succedeva la stessa cosa con qualunque testo scritto, a dire la verità. Aveva imparato a leggere con grandissima fatica, non perché fosse stupido ma perché l'inchiostro su carta era semplicemente suo nemico. Jaime impiegava davvero tanto tempo a leggere una pagina scritta, e più la scrittura era fitta più sembrava un muro impenetrabile; quando si trattava di testi magici era ancora peggio: erano sempre scritti parzialmente in draconico e parzialmente in linguaggio umano, o in linguaggi segreti, e mai con un ordine comprensibile, mai semplicemente scritti da sinistra a destra e dall'alto in basso.
Se fosse stato semplicemente un problema di volontà, le punizioni di lord Ieriyn Duskwatcher l'avrebbero persuaso a dare il massimo. Avrebbero persuaso chiunque.
In effetti, Jaime non rimpiangeva di aver ucciso suo padre: il suo vecchio era sempre stato un bastardo. Fin da piccolo, Jaime riusciva ad addormentarsi con il sorriso sulle labbra solo immaginando di potergli conficcare una bacchetta magica di Palla di fuoco in un occhio e poi attivarla facendogli esplodere la testa. Non lo aveva mai fatto solo perché… be', in realtà perché non credeva di poterlo fare. Lord Ieriyn Duskwatcher era l'unica persona, o forse l'unica cosa sulla faccia di Toril che gli facesse paura.
Probabilmente non sarebbe mai riuscito ad ucciderlo se il vecchio mago non si fosse distratto. Se non avesse rivolto altrove il suo biasimo e i suoi desideri distruttivi.
Lord Ieriyn era rimasto sconcertato quando aveva scoperto che Maerilzoun, il suo prezioso erede, aveva una relazione con la capo-cameriera e l'aveva anche messa nei guai. E la cosa peggiore - almeno dal punto di vista di un nobile - era che Maerilzoun intendesse sposare quella figlia di nessuno, riconoscere il bastardo che portava in grembo. Anteporre una sciocchezza come l'amore al vantaggioso matrimonio combinato che lui aveva già organizzato per il figlio.
Le cose erano degenerate molto in fretta, presto la cameriera si era trovata all'estremità sbagliata di un bastone incantato, Maerilzoun si era rivoltato contro suo padre per proteggere la sua amata e ne era nato un tafferuglio magico. Jaime aveva approfittato della confusione generale per piantare un dardo di balestra in gola al suo vecchio.
Certo, l'aveva fatto per proteggere la povera Magdeline. Ma senza dubbio l'aveva anche fatto per soddisfazione personale.
"Io non pulisco quel fottuto tappeto" erano state le sue prime parole, lanciate a spezzare il silenzio attonito dei presenti mentre una macchia di sangue si allargava sotto il corpo del defunto lord.
In seguito era stato arrestato e portato in prigione, ma suo fratello, il nuovo capofamiglia, aveva testimoniato in favore della legittima difesa. Lord Ieriyn non mancava davvero a nessuno. Forse solo alla sua vedova, ma lei era pazza, secondo Jaime, e da molti anni ormai.
E adesso Maerilzoun lo stava ricompensando per aver salvato la sua fidanzata cercando di appioppargli la fanciulla nobile che lui avrebbe dovuto sposare.
Le pressioni che subiva non erano morte insieme a Ieriyn.
Dannati Duskwatcher, rimuginava Jaime, rifiutandosi di considerarsi uno di loro. Dovrei andarmene e basta.

Anche Gareth Krunrasen sapeva cos'era la pressione. La pressione era essere un proprietario terriero che non era stato in grado di proteggere le proprie fortune. La pressione era avere un debito schiacciante con una delle più potenti famiglie della città, che possedeva ingenti terreni nell'area rurale intorno a Silverymoon: i Duskwatcher. La pressione era dover vendere metà dei propri terreni per pagare i debiti e affrontare la pubblica umiliazione di avere fallito.
Però Gareth Krunrasen era un uomo intelligente, che conosceva le sue prospettive, ed era più o meno riuscito a trovare una soluzione che salvasse capra e cavoli: avendo generato solo una figlia, Daphne, non aveva nessun erede maschio a cui lasciare i suoi terreni e le sue ricchezze. Aveva quindi trovato un compromesso con lord Ieriyn: Daphne avrebbe sposato il giovane Maerilzoun Duskwatcher, e avrebbe portato in dote un quarto dei possedimenti terrieri della sua famiglia. Alla morte di Gareth, tutto il resto delle sue proprietà sarebbe passato al cognato, e sarebbe quindi stato annesso al patrimonio della famiglia Duskwatcher. Lord Ieriyn era sufficientemente sveglio da capire che a volte è meglio una gallina domani che un uovo oggi, e soprattutto era un gentiluomo che pensava al futuro della sua famiglia.
Solo che poi lord Ieriyn era morto e il nuovo lord, il giovane Maerilzoun, si era rifiutato di tenere fede al patto… facendo correre un brivido freddo lungo la schiena del vecchio Krunrasen.
C'era una sola speranza, che il fratello gemello di lord Maerilzoun si sostituisse a quest'ultimo nel ruolo di futuro genero. Purtroppo il ragazzo era un ribelle, testardo e indisponente. Non avrebbe accettato quel compito solo per obbedienza, Daphne avrebbe dovuto ammaliarlo e conquistarlo per davvero.

Daphne Krunrasen, come spesso accade alle donne, era l'ultima ruota del carro di questa grottesca carovana ed era quella che meglio di tutti sapeva cosa volesse dire subire pressioni.
Prima era stata costretta ad accettare un matrimonio combinato con un mezzo estraneo - aveva visto Maerilzoun alle feste e agli eventi dell'alta società, era carino ma così pieno di sé - poi aveva dovuto subire l'umiliazione di essere rifiutata per una cameriera, cosa che era diventata il segreto peggio custodito di Silverymoon, e infine era stata nuovamente costretta ad accettare un matrimonio combinato, questa volta con il fratello gemello di Maerilzoun. Jaime Labraen Duskwatcher non si vedeva mai alle feste; c'era chi diceva che fosse cagionevole di salute, e c'era chi diceva che fosse un idiota, un dissennato, forse un pazzo. Di certo doveva esserlo per aver ucciso suo padre. Gli era stata riconosciuta la legittima difesa, ma a chi verrebbe in mente di uccidere il proprio padre come prima reazione?
Daphne non aveva nulla da guadagnare da questo matrimonio, sposando il fratello del lord non sarebbe mai diventata lady Duskwatcher, quel privilegio sarebbe spettato alla figlia di un maggiordomo. Lei sarebbe stata soltanto una nobile minore, veicolo delle sostanze di suo padre che un giorno sarebbero passate alla famiglia Duskwatcher, paravento per evitare al suo vecchio ulteriori umiliazioni, e naturalmente sarebbe stata sempre in pericolo essendo sposata ad un assassino.
Come se non bastasse, quando lord Maerilzoun e saer Jaime erano venuti in visita a casa Krunrasen, il più giovane dei fratelli Duskwatcher aveva messo in chiaro con grande maleducazione che non intendeva sposarla. A quel punto Maerilzoun aveva voluto parlare in privato con il gemello per cercare di convincerlo, mentre suo padre aveva voluto parlare in privato con lei.
E cosa avrebbe mai potuto avere suo padre da dirle? Cosa poteva farci lei, se Jaime Duskwatcher era contrario all'idea di sposarsi per obbligo?
Ma naturale.
Doveva sedurlo.
Doveva sedurlo come fanno le donne di strada, o le popolane in cerca di marito.
Era proprio il contrario di quello che le era sempre stato insegnato. Nei suoi sedici anni di vita, Daphne aveva imparato che non è dignitoso, per una ragazza di buona famiglia, sedurre un uomo. Aveva imparato che il suo valore sarebbe stato giudicato in base alla sua posizione, alla sua condotta e al suo contegno. Non era capace di sedurre un uomo, non conosceva i trucchi per farlo.
L'incontro si era quindi concluso in modo pietoso, con Daphne che aveva cercato di mostrarsi carina e sorridente, e Jaime Duskwatcher che, adamantino, aveva preteso di andarsene senza rinnovare le promesse di fidanzamento.
Suo padre non l'aveva presa bene. Per la prima volta, la frustrazione aveva avuto la meglio sulla sua educazione da gentiluomo e aveva alzato le mani su sua figlia.

Jaime e Maerilzoun in quel momento stavano lasciando la magione dei Krunrasen, entrambi di cattivo umore. Il nuovo lord Duskwatcher non era soddisfatto di come era andato quell'incontro. Se Jaime avesse accettato il compromesso di sposare la graziosa e innocente Daphne, tutto sarebbe andato liscio, invece rifiutando di fare la sua parte Jaime lo stava costringendo a fare una scelta: far valere il suo credito mandando un uomo in bancarotta, oppure essere misericordioso, concedere proroghe, e di conseguenza sacrificare il potere contrattuale dei Duskwatcher - che si basava quasi interamente sul timore che le altre grandi famiglie avevano di loro?
"Sono solo dei maledetti pezzi di terra, Maerilzoun" recriminò Jaime, indispettito. "Tu sai che la felicità personale vale più di questo. Altrimenti non avresti scelto Magdeline, contro il parere di tutti."
"Ma io avevo qualcuno da scegliere. Io amo Meg. Noi siamo fatti l'uno per l'altra. Tu invece non hai nessuno nel cuore, cosa ti costa? Se io non fossi stato innamorato, avrei sposato Daphne Krunrasen senza battere ciglio. È una ragazza di bell'aspetto e ben educata."
Jaime arrossì di rabbia, cosa facile grazie al suo incarnato pallido. "Ma che cosa vuol dire! Il mio desiderio di libertà è meno importante del tuo amore? Anch'io lo sto facendo per qualcuno: per me stesso, per il mio amor proprio!"
"Fare le cose per se stessi si chiama egoismo"
"Ah dici? Io lo chiamo difendere i miei diritti, sei tu che sei stato talmente condizionato che non…" Jaime si interruppe di colpo, e si bloccò a metà di un passo.
Il fratello lo soppesò con perplessità. "Che c'è?"
Jaime si guardò intorno, in particolare verso l'alto. "Ho sentito un rumore." Indicò le finestre al primo piano della grande casa dei Krunrasen. I due fratelli stavano per svoltare un angolo ma quell'edificio era grande e avrebbe accompagnato i loro passi ancora per un po'. "Veniva dalla casa dei Krunrasen. Aspettami qui."
Con sgomento di Maerilzoun, il suo selvaggio e maleducatissimo fratello cominciò ad arrampicarsi sul muro della magione.
"Un gentiluomo chiederebbe di rientrare!" Gli abbaiò dietro, ma cercando di tenere la voce bassa. In cambio ricevette solo uno "Sssh!" e un gesto che gli imponeva di fare silenzio.
Jaime credeva di sapere che cosa aveva sentito: un gemito, e forse un fischio. Poteva non essere nulla, oppure poteva essere qualcosa che conosceva molto bene.

Daphne non aveva esperienza del dolore fisico. Era stata educata in modo rigido, ma mai con la violenza. Quando suo padre alzò il bastone da passeggio per colpirla non ci poteva credere. Gemette per la sorpresa, continuando a pensare che suo padre avrebbe fatto solo il gesto, ma non l'avrebbe colpita davvero.
Il sottile bastone attraversò l'aria con uno swissh e impattò contro il suo braccio sinistro.
Faceva male.
Faceva più male di quanto avesse immaginato. Era soltanto un bastone da passeggio, un oggetto così comune, come poteva fare male? Non era una cosa di cui avere paura.
Portò la mano destra a massaggiare il punto in cui era stata colpita, appena sotto la spalla sinistra. Era stato tutto così inaspettato che non era riuscita nemmeno ad urlare.
"Inutile! Ti ho cresciuta per deludermi?" Gridò lui, alzando di nuovo il bastone.
La seconda sferzata le schiacciò le dita della mano destra, colpendo proprio la mano con cui si stava massaggiando il braccio indolenzito, e questa volta la ragazza urlò. Un colpo sulle dita era molto peggio di uno sulla morbida carne del braccio, era come se avere le ossa poco sotto la pelle rendesse le dita molto più fragili e soggette al dolore. Si erano rotte? No, impossibile, suo padre non l'avrebbe mai sfigurata, il suo valore dipendeva anche dalla sua bellezza.
Lui però sembrava un folle. Sembrava che avesse dimenticato tutto ciò che le aveva sempre insegnato. I suoi occhi da pazzo erano gli occhi di qualcuno che ormai aveva perso tutto.
O forse no. Forse Gareth Krunrasen aveva ancora qualcosa da perdere, ma non se n'era reso conto. Comprese chiaramente il suo errore quando un dardo di balestra gli sfrecciò pochi centimetri davanti al naso, conficcandosi nell'arazzo che copriva la parete alla sua destra.
Sia Daphne che suo padre si voltarono straniti verso la finestra che dava sulla strada. Jaime Duskwatcher era appoggiato al davanzale con i gomiti, il resto del corpo probabilmente penzolava nel vuoto ma non sembrava che la cosa gli stesse imponendo alcuno sforzo. In una mano reggeva una piccola balestra, un'arma più adatta a uno gnomo che a un umano.
"Anche mio padre picchiava i suoi figli e ha provato a fare del male a una ragazza" annunciò, in tono colloquiale. "E io mi sento in vena di fare il grande passo da killer a serial killer, se solo trovassi un'altra vittima che risponda al giusto profilo, quindi ve lo dirò una volta sola: provate di nuovo ad alzare un dito sulla mia fidanzata e scoprirete che non v'importerà più dei vostri debiti. Perché sarete morto." Chiarì, anche se non era necessario.
E forse quella passò alla storia come la proposta di matrimonio meno romantica mai pronunciata, o forse come la minaccia di morte più gradita, ma in ogni caso Jaime e Daphne non si sarebbero sposati per amore e in futuro i raduni di famiglia sarebbero sempre stati contaminati da un'aura di imbarazzo e disagio.

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Capitolo 11
*** 10. Pick ***


Genere: fantasy, introspettivo
Note: seguito di Spider


10. Pick


1358 DR, città sotterranea di Skullport

Nel sottosuolo al di sotto della metropoli di Waterdeep c'è una città segreta, sepolta qualche miglio sottoterra; il suo nome è Skullport. Fra i vicoli di Skullport c'è una taverna chiamata Pick and Lantern, che come insegna ha appunto il disegno di un piccone e una lanterna.
In quella taverna lavora una cameriera molto disamorata dalla vita. Lizy non ha la fama di essere una persona allegra, e soprattutto non lo era in quel periodo.

Mentre reggeva su una mano un vassoio tondo di metallo sottile, su cui erano posati in equilibrio bottiglie e boccali, Lizy rifletteva sulla sua vita. La sua vita era un po' come quel vassoio: in precario equilibrio. In realtà tutti, a Skullport, erano così. Duri come il ferro, e sempre a rischio di cadere.
C'era una tecnica per togliere pesi dal vassoio senza far cadere tutto, nessuno gliel'aveva insegnata ma era qualcosa che una cameriera imparava un po' per istinto, un movimento del braccio per appoggiare meglio il peso del vassoio mentre rimuovevi alcuni degli oggetti che lo mantenevano in equilibrio. E poi via, verso un altro tavolo, mentre con la mano libera - o con un abile scatto del polso, se non avevi mani libere - risistemavi gli ingombri sul vassoio ormai mezzo vuoto.
Anche quella era un po' una metafora della vita. Lizy aveva dovuto farlo. Rimuovere l'amore dal suo cuore senza far cadere tutto il resto. Senza mandare la sua vita ad infrangersi sul pavimento.
Finì di recapitare le bevande ai tavoli. Ogni volta che toglieva qualcosa dal vassoio pensava a come dovesse essere, togliere una cosa alla volta dal proprio bagaglio personale, un sentimento alla volta, un pensiero alla volta. Sarebbe stato soddisfacente? O almeno riposante? Si sarebbe sentita leggera alla fine, o forse vuota? Lizy strinse al petto il vassoio vuoto, tenendolo davanti a sé come uno scudo, e tornò verso la cucina.
C'erano un piccone e una lanterna sull'insegna esterna, e ce n'erano altri anche sopra al bancone, questa volta non dipinti ma appesi, come arredamento del locale. Lizy ci rivolse una breve occhiata ombrosa. Le piaceva il piccone. Il piccone era il simbolo di chi scavava la propria strada nella nuda roccia, di chi lavorava per vivere e combatteva per vivere. Era il simbolo dei pionieri, come lei. Ma odiava la lanterna.
La gente nativa del sottosuolo non aveva bisogno di stupide lanterne: vedeva perfettamente al buio. Erano solo le creature di Superficie che necessitavano di fonti di luce. E la gente di Superficie, secondo Lizy, non aveva spazio nel sottosuolo. Venivano laggiù a invadere i loro spazi e a curiosare e a pretendere di vedere. Eppure rimanevano del tutto incapaci di capire.
Come il suo innamorato, che aveva smesso di amarla nel momento stesso in cui aveva scoperto che lei era un ragno mutaforma. E magari si fosse limitato a questo. Aveva cercato di catturarla e di venderla a un collezionista di mostri.
Lizy odiava la stupida lanterna perché chissà, magari un giorno qualche umano troppo curioso avrebbe puntato una lanterna nella grotta sbagliata e avrebbe fatto luce sul cadavere di un suo simile. Mai che la gente di Superficie si facesse gli affari suoi.

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Capitolo 12
*** 11. Sour ***


Genere: introspettivo
Note: prosieguo di Pressure


11. Sour


1373 DR, ottavo giorno del mese di Eleasis, città di Silverymoon

Il vin santo dei matrimoni era acido. Questa era una cosa che sapevano tutti, era una tradizione. Il vino servito durante una funzione religiosa di sposalizio era acido e sgradevole, per testare le intenzioni degli sposi.
Se, bevendolo, avessero fatto una smorfia o un verso di disappunto, sarebbe stato considerato come un segno di malasorte, un cattivo inizio per una vita coniugale: due sposi innamorati avrebbero dovuto essere concentrati solo l'uno sull'altra, senza accorgersi di tutto il contesto, compreso il cattivo sapore del vino.
Magdeline Finn pensava che fosse una vera cattiveria. Già doveva lottare con le nausee mattutine, ci mancava solo dover correre il rischio di rigettare il vino del matrimonio sui piedi di un arciprete di Lathander.[1]
Non era umanamente possibile non accorgersi di quel saporaccio, era praticamente aceto.
Maerilzoun, il suo sposo, forse non la pensava come lei perché bevette un sorso dal calice senza battere ciglio, e mentre lei diventava verde per la nausea lui rimase impassibile con gli occhi fermi su di lei. Ad un osservatore esterno poteva sembrare che il giovane Duskwatcher non mostrasse alcun sentimento, ma lei riusciva a cogliere le sfumature nelle sue espressioni. In quel momento era preoccupato per lei, glielo dicevano i suoi occhi. Gli rivolse un sorriso tremolante, per tranquillizzarlo, ma senza successo.
Al loro fianco, Jaime e Daphne avevano superato la prova molto meglio. Lui non aveva lasciato trapelare nulla, non lasciava mai trapelare nulla. Era abituato a molto peggio. Lei invece sembrava avere la mente altrove. Forse pensava a come la sua vita era stata scombussolata in pochi giorni, o forse pensava al contratto matrimoniale o alla sfortuna di dover sposare qualcuno che non amava. Anche Daphne, a modo suo, era difficile da leggere.
Anche se si stava sposando, per un momento Magdeline si sentì molto sola. Aveva la sensazione che nessuno riuscisse a davvero a capirla, che nessuno empatizzasse con lei in quel momento di disgusto. Nemmeno il bacio di Maerilzoun riuscì a cancellare quel saporaccio che continuava a provocarle nausea.

Daphne si era accorta del vino acido, ma al momento aveva ben altri problemi per la testa. Era stata costretta a sposare un giovane uomo che aveva letteralmente minacciato di morte suo padre. E lei non sapeva davvero come si sentiva al riguardo.
Avrebbe dovuto sentirsi spaventata, forse, ma la chiacchierata a cuore aperto che aveva avuto con il suo fidanzato il giorno prima le aveva aperto gli occhi su una serie di nuove prospettive.
"Non sono interessato a te, e so che tu non sei interessata a me dal momento che siamo due estranei l'uno per l'altra", aveva detto lui, diretto, quasi brutale, abbandonando il voi e tutte le altre formalità. Era disturbante il modo in cui parlava con tanto distacco di un evento che avrebbe cambiato le loro vite. "Quindi, questo è quello che ti offro: una posizione all'interno di una famiglia potente, la libertà di non dover più sottostare alle decisioni di tuo padre, oltre alla libertà offerta dalla mia indifferenza come marito. In cambio io sposerò una ragazza che tutto sommato non mi sembra troppo fastidiosa, mio fratello poteva trovarmi di peggio. Ed è meglio che accetti questo accordo, prima che mi trovi di peggio."
Sì, estremamente lusinghiero.
Come se non bastasse, Jaime era stato esiliato da Silverymoon per vent'anni a causa dell’assassinio di suo padre. L’Alto Mago Taern Hornblade aveva giudicato il suo caso e accettato la legittima difesa, ma le pressioni politiche interne alla città gli avevano lasciato poca scelta; il parricida doveva essere allontanato finché le acque non si fossero calmate, e vent'anni erano sembrati una buona soluzione: abbastanza perché la gente comune dimenticasse l’incidente, e abbastanza perché il nuovo lord Duskwatcher dimostrasse di poter gestire gli affari di famiglia senza bisogno di usare lo spauracchio di avere un cane rabbioso ai suoi comandi.
Era così che la gente vedeva Jaime, ma Daphne ne aveva un’immagine diversa. Aveva accettato di sposarla solo quando aveva capito che la ragazza necessitava protezione. Quelle non erano le azioni di un cane rabbioso. Daphne aveva la sensazione che Jaime fosse un incompreso, e che la gente non avesse idea di cosa fosse accaduto dietro le porte chiuse di casa Duskwatcher negli ultimi anni.
Ma, giusto o no, Jaime sarebbe partito il giorno dopo il suo matrimonio - gli era stato concesso qualche giorno in città per sistemare i suoi affari, e per onorare quell’accordo pregresso - quindi ora Daphne aveva davanti a sé una scelta. Avrebbe potuto rimanere in città come una donna sposata, protetta, e vivere nei comfort insieme al cognato e alla donna che lui aveva preferito a Daphne… oppure seguire il marito nel suo esilio, buttandosi verso l’ignoto.
Non le sarebbe stato consentito di vivere sola, in qualche magione di campagna dei Duskwatcher o in una casetta in città, perché lei era una proprietà della famiglia adesso, senza di lei non avrebbero ereditato le finanze e le terre del padre della sposa. Non l’avrebbero mai lasciata sola, col rischio che scappasse.
Daphne si sentiva mortificata per quella mancanza di fiducia, era stata educata meglio di così. Obbedire e fare quello che le veniva detto era come una seconda natura, era qualcosa che le era stato inculcato dalla nascita.
L’idea di dover vivere con Maerilzoun era umiliante.
Per contro, l’idea dell’esilio… faceva paura, ma era anche elettrizzante. Un po’ per la prospettiva di viaggiare, un po’ per Jaime. Jaime detestava qualsiasi forma di costrizione, gliel’aveva detto apertamente, lui l’avrebbe lasciata libera di fare come voleva. Daphne non aveva mai contemplato la libertà. Non aveva mai pensato di potersi sposare via matrimonio combinato senza diventare un burattino per suo marito. Avrebbe preferito sposarsi per amore, ma questa era forse la seconda migliore opzione.
Aveva accettato il matrimonio perché non sapeva se avrebbe mai avuto un'offerta migliore. Ma stava seriamente contemplando di accettare anche l’esilio, per lo stesso motivo.
Quando inghiottì quel sorso di vino acidulo, si chiese che cosa rappresentasse per lei: era un presagio dei rospi che avrebbe dovuto ingoiare in futuro? Oppure, al contrario, era un’ultima prova da superare prima di poter essere finalmente padrona della sua vita?
Che fosse una cosa o l’altra, dipendeva tutto dalla sua prossima grande decisione.



**********

[1] Un arciprete di Lathander e non l'arciprete di Lathander, perché in quest'epoca storica il ruolo di guida del clero di Lathander era vacante, o meglio, conteso; ma non per questo penso che i servizi alla popolazione dovessero essere sospesi. Poi chi sovvenziona il tempio, altrimenti? E sì, una famiglia nobile si sposa nel tempio di Lathander. È un dio che piace molto ai nobili, ai giovani, ed essendo il dio che patrocina i nuovi inizi e le nascite è proprio tagliato per il ruolo.

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Capitolo 13
*** 12. Stuck ***


Genere: fantasy
Note: Sharova è un personaggio secondario che compare per la prima volta in Jolly Adventures e poi torna come protagonista in Casa è il luogo dove risiede l'amore


12. Stuck


1371 DR, 11° giorno del mese di Tarsakh, cittadina di Leilon, Costa della Spada

Sharova non era una succube qualsiasi.
Era molto intelligente, saggia a modo suo, e antica: era sopravvissuta più della maggior parte delle sue simili perché sapeva tenersi lontana dai guai. Sapeva quando era il caso di tenere un profilo basso, inoltre era capace di stringere alleanze e non solo di usare il prossimo.
Certo, non che ci fosse nulla di male nell’usare il prossimo. Ma era una forma mentis che portava sempre a tradire un alleato molto prima che diventasse inutile. Sharova preferiva le collaborazioni durature, permettevano più vantaggi sul lungo periodo.
Un altro dei motivi per cui era molto antica - ma non le piaceva parlare di questo argomento - era che si era ritrovata intrappolata in un dungeon per qualcosa come ventimila anni… anno più, anno meno. Se non altro, quell’esperienza le aveva insegnato la pazienza. E l’autocontrollo.
Due doti che le sarebbero state infinitamente utili ora che, di nuovo, si trovava chiusa all'interno di una barriera magica.
Era una storia lunga, che coinvolgeva un mago umano che stava facendo esperimenti con creature ed energie dei Piani Esterni, attirandole sul Piano Materiale attraverso una pietra magica che fungeva da faro; una volta attirate, faceva ulteriori esperimenti per potenziare quelle creature. Esperimenti che coinvolgevano anche creature in fase di sviluppo, quindi uova di demoni, di diavoli, di esseri celestiali, ma anche di creature di altri Piani e… non solo uova. Il loro esperimento più prezioso si trovava nel grembo di Sharova.
Poi un giorno qualcosa era andato storto, c'era stata un'esplosione, il mago era morto e le difese magiche della torre si erano attivate di conseguenza, bloccando all'interno tutte le creature evocate.
All'interno di un'altra maledettissima barriera.
Sharova era così stanca. Era stanca della sua maledetta sfortuna. Questa volta però la sua prigionia non sarebbe durata per ventimila anni. Una succube del suo calibro non si sarebbe lasciata fermare dalla protezione magica creata da un semplice umano, quella barriera poteva trattenere soltanto gli Esterni meno potenti.
Il problema era la creatura nel suo grembo.
La bambina - le succubi generano sempre figlie femmine - non poteva passare oltre il muro di magia eretto dal suo stesso padre.
Quindi Sharova non aveva altra scelta se non aspettare.
Dopo essersi liberata di quella zavorra, la demonessa avrebbe potuto uscire, con o senza la piccola. Prima però c'era ancora una cosa che voleva fare: portare a termine l'esperimento del mago. Scoprire se era possibile trasformare un mezzo demone in un demone puro, sottoponendo la creatura neonata alle energie che fluivano dalla pietra magica che collegava il Piano Materiale ai Piani Esterni.
E se la cosa avesse funzionato, forse sarebbe stato il caso di cercare il modo di scardinare la pietra magica dal suo supporto sul tetto dell'edificio e portarla con sé. Magari rimuovere la pietra avrebbe perfino spezzato la barriera… ma Sharova non si arrischiava a toccarla con le mani nude, gli effetti di quel magico faro sugli Esterni si erano rivelati imprevedibili. Alcuni ne erano stati potenziati, altri erano stati risucchiati e catapultati in chissà quale Piano lontano. Era un rischio che, nelle sue condizioni, non poteva correre.
"Non sarò bloccata qui ancora a lungo" sussurrò, accarezzando il suo ventre gonfio.
Si appoggiò stancamente a una delle finestre dell'ultimo piano, da cui si godeva di una visuale perfetta sulla cittadina di Leilon.
Un piccolo gruppo di stranieri con appresso un carretto si stava avvicinando come per studiare la torre, che a loro doveva apparire come mezza distrutta; anche quella era una misura cautelativa, un incantesimo di illusione che si era attivato per contingenza alla morte del mago.
Sharova sperò con tutto il cuore che fossero avventurieri. Forse avrebbero rimosso la pietra magica per lei. Le persone originarie del Piano Materiale avevano un'energia stabile, poco influenzabile, per loro sarebbe stato possibile toccare il faro senza grandi effetti collaterali.
La succube aveva fame, erano settimane che non assaporava l'energia vitale di qualcuno e quel gruppetto di sciocchi era una tentazione forte… ma aveva imparato la pazienza e conosceva le sue priorità.
Rendersi invisibile era un incantesimo semplice, per una come lei. La parte difficile sarebbe stata rimanere immobile, in silenzio, e aspettare.

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Capitolo 14
*** 13. Roof ***


Genere: slice of life
Note: missing moment dell'ultimo capitolo di White lies


13. Roof


1357 DR, fine autunno, in una locanda vicino a Secomber

C'era una meravigliosa prospettiva dall'alto dei tetti. Era una cosa che Luel, giovane mezzo-folletto sfaccendato, aveva imparato molto presto.
Per chi aveva la fortuna di essere dotato di un paio d'ali, stare su un tetto non comportava nessun pericolo, nemmeno quando nei giorni più freddi le tegole del lato in ombra si coprivano di uno strato di brina ghiacciata. Quando era piccolo trovava molto spassoso scivolare giù dai tetti e poi aprire le ali per rallentare la caduta. All'inizio a sua madre era quasi preso un colpo al cuore, ma lei era una terricola, non poteva capire.

Il panorama di cui si poteva godere da lassù era così tranquillo, anche quando sotto di lui c'era effettivamente tafferuglio: restando fuori dalla portata della vista di chi camminava nel cortile, o di chi sbirciava dalle finestre, era abbastanza certo che i problemi non lo avrebbero raggiunto. Un tetto era il posto più indicato per lasciarsi ispirare e comporre una nuova sonata per violino.
Da qualche parte sotto di lui, all'interno della grande casa padronale, la sua sorellina di pochi mesi si svegliò e cominciò a piangere a squarciagola.
Luel mosse l'archetto con più foga, avanti e indietro, mentre le dita volavano sulle corde. Avrebbe fatto del suo meglio per tenere fuori quel rumore sgraziato dalla sua mente.
Sì, la cosa migliore del rifugiarsi sui tetti era che si riusciva ad evitare la maggior parte delle faccende domestiche e delle responsabilità. Uno come lui, un artista, non poteva lasciarsi distrarre da simili quisquilie.

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Capitolo 15
*** 14. Tick ***


Genere: dark fantasy
Note: questa storia si svolge dopo Secret


14. Tick


1289 DR, Silverymoon

"Posso prendermi carico del problema, però dovete darmi il permesso di bere sangue umano."
L'affermazione, perché non era una richiesta, cadde nel silenzio attonito di una stanza piena di gente.
In realtà non era davvero piena di gente, ma per Erika Lesmiere le cinque figure presenti erano già fin troppe.
C'era lady Alustriel Sillverhand, perché come poteva mancare la maga che governava la città?, poi c'era il suo galoppino di fiducia, l'arcanista Taern Hornblade della Guardia Magica; a rappresentanza del clero cittadino c'era l'Alto Sacerdote del clero di Oghma, una delle chiese più potenti in città, e il suo collega sottoposto, Primo Sacerdote del clero di Deneir. Oltre a loro quattro c'era anche il prete di Deneir che era stato incaricato di sorvegliare Erika durante il giorno. Quindi, cinque persone. Secondo la vampira erano cinque di troppo.
Per il momento altre Chiese che avrebbero potuto essere utili in quel frangente non erano state ancora convocate, perché quella non era una riunione tesa a cercare una soluzione al problema: era un'indagine per capire se Erika fosse coinvolta.
Dopotutto, quando appena fuori dalle mura cominciavano a essere trovate persone dissanguate, il primo fra i sospettati era per forza l'unico vampiro che risiedeva in città.
Lei fingeva di non avere capito che quella riunione fosse in realtà un processo, perché tanto sapeva di essere innocente di quel particolare crimine. Se soltanto loro avessero saputo quanto le faceva orrore l'idea della morte, non avrebbero sospettato che potesse aver ucciso qualcuno.
"Si tratta di un ricatto? Dobbiamo consentirti di bere sangue umano oppure continuerai a dissanguare innocenti?" Incalzò Hornblade, guardandola con occhi di brace.
I tre sacerdoti apparivano imbarazzati. Il motivo era chiaro: la vampira era una loro responsabilità. Se lei era davvero colpevole, significava che doveva essere sfuggita al loro controllo, ma loro non si erano accorti di alcuna defezione, non avrebbero nemmeno saputo indicare in quale momento lei avrebbe potuto essersi sottratta alla sorveglianza per andare a commettere quei crimini.
"Come vi ho già detto, non sono stata io. Sono sempre stata ai patti, non ho mai ucciso nessuno ad eccezione di topi e altri piccoli animali. Negli ultimi anni non ho nemmeno toccato sangue umano." Erika ricambiò lo sguardo di accusa con uno di sfida. "Io credo che se aveste qualche prova della mia colpevolezza non staremmo avendo questa conversazione. L'unico motivo per cui vi siete disturbati a interrogarmi è che ho un alibi di ferro, e non vi spiegate come abbia potuto uccidere delle persone pur rimanendo sempre sotto lo sguardo dei miei sorveglianti. Ebbene: non avrei potuto, e infatti non l'ho fatto. C'è chiaramente qualche altro vampiro nei dintorni, qualche infiltrato che crede di poter venire qui e fare come se fosse casa sua."
Se all'inizio Erika Lesmiere poteva sembrare irritata solo a causa del processo, verso la fine della sua arringa divenne chiaro che era furiosa anche per quella specie di invasione. Tutti i presenti avevano sentito dire almeno una volta che i vampiri sono territoriali; in quel momento stavano avendo la conferma che era vero.
Erika di solito non si comportava come un vero vampiro; aveva degli atteggiamenti che ricordavano da vicino quelli delle persone viventi. Era chiaro, a chiunque si fosse preso la briga di osservarla, che aveva ancora una buona padronanza di sé e un certo contatto con la sua anima. Ciò nonostante, in quel momento l'indole possessiva e territoriale della sua specie stava emergendo a tutta forza.
"E la cosa ti infastidisce? È questo che ti urta, non le morti di persone innocenti?"
"Gli umani sono comunque destinati a morire in qualche decennio, scusa se non mi vesto a lutto. Ma un altro vampiro che viene qui, nella mia città… è come se fosse letteralmente entrato in casa mia per pisciare sui miei tappeti."
"Questa non è la tua città" s'infervorò il mago, abbandonando ogni formalità. "Tu qui sei a malapena tollerata!"
"Ah! Io sono nata qui quando il nonno di tuo nonno non era nemmeno una scintilla nel ventre di sua madre, quindi non decidi tu se sia la mia città oppure no." La vampira allontanò quelle obiezioni con uno sbuffo derisorio.
"Certo, se sorvoliamo sul fatto che saresti anche dovuta morire prima che il nonno di mio nonno…"
"Oh, perdonami. Credevo di averlo fatto." Lo interruppe Erika. "Forse per i tuoi gusti una morte non è sufficiente."
"Adesso basta." Lady Alustriel si intromise, in tono pacato ma fermo. "Tutto questo è inutile. A questa creatura è stato concesso di risiedere in città se avesse rispettato certe limitazioni. Nessuno degli incantesimi che sono stati posti su di lei rivela che abbia infranto i patti. Anche alla più attenta analisi magica non risulta che abbia ucciso delle persone. Questa è la risposta che cercavamo. Il responsabile di questi omicidi deve essere altrove."
"Non sarà facile trovarlo, i vampiri sanno nascondersi bene" intervenne l'Alto Sacerdote di Oghma. "Domani pregherò il mio dio perché mi conceda una visione profetica. Il signore della Conoscenza non me lo negherà."
"E magari stanotte morirà un'altra persona" gli fece notare Erika. "Dovreste darmi retta. I vampiri hanno una specie di codice, rispettano i loro simili, ma soltanto se dimostrano forza. Anche se voi doveste riuscire a trovare questo nemico invisibile e ucciderlo, nessuno assicura che in futuro non ne arriverebbero altri. Se invece si spargesse la voce che Silverymoon è un territorio già preso, nessun vampiro si permetterebbe più di tornare. E se qualche sciocco volesse provarci, verrà prima di tutto da me, per sfidarmi e uccidermi, per attestare la sua dominanza sul mio territorio. È per questo che dovreste lasciarmi bere del sangue umano, nessun vampiro mi rispetterà se percepirà che bevo sangue animale."
"Sarò morto e sepolto prima di permettere che Silverymoon venga considerata territorio di una vampira." Tornò all'attacco il mago. "Questa è una città sicura."
Erika stava per ribattere che a quanto pare la città era sicura solo entro le mura, ma la loro ennesima diatriba fu interrotta da lady Alustriel.
“Noi non tratteremo con un vampiro assassino. Non lo scacceremo. Ha già commesso dei crimini, quindi dobbiamo epurare il male che rappresenta” annunciò in un tono che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Erika accolse la sua decisione con una scrollata di spalle. Non le importava niente degli altri vampiri.

*****


La magione di Casa Lesmiere sorgeva nei pressi delle mura cittadine, perché gli antenati di Erika erano stati quasi tutti ufficiali dell’esercito - nell’epoca ormai lontana in cui Silverymoon aveva avuto bisogno di un vero esercito - o alla peggio comandanti dei diversi ordini delle guardie cittadine. Era un obbligo morale erigere la casa di famiglia vicino alle mura, per essere sempre pronti all’azione. Rinchiusa in casa sua, Erika se ne stava con la fronte appoggiata al vetro d'una finestra. Una pioggia battente spazzava le strade della città, quella notte, e tamburellava contro gli infissi del palazzo come se volesse entrare a tutti i costi. In parte ci stava riuscendo - Palazzo Lesmiere avrebbe avuto bisogno di manutenzione - ma a lei non importava.
Fuori dalle mura di casa sua, la città appariva tranquilla. Era ancora più lontano, nelle campagne, che si stavano svolgendo battute di caccia al vampiro. I Cavalieri d’Argento si erano offerti per quella missione, dividendosi in gruppetti supportati da almeno un sacertode per squadra. Erika era convinta che sarebbe finita malissimo, almeno per alcuni di loro. Non erano nemmeno sicuri che ci fosse un vampiro solo.
Lei avrebbe voluto uscire e aiutarli, ma di notte era confinata in casa. Molti incantesimi erano stati posti sulla sua persona, come quello che accertava che non si macchiasse di omicidio; una delle sue altre limitazioni magiche era il divieto di uscire di casa di notte. Se fosse uscita, lady Alustriel l’avrebbe saputo. Se avesse cercato di sbarazzarsi di quella traccia magica, lady Alustriel l’avrebbe saputo. In entrambi i casi sarebbe stata esiliata dalla città, se non peggio.
Tutto considerato, Erika era in pace con se stessa: aveva avvertito gli umani, aveva offerto il suo aiuto. Loro avevano rifiutato. Ora forse alcuni sarebbero morti nelle campagne, in una notte di pioggia, e non era un suo problema. Non avrebbe rischiato l’esilio per andarli ad aiutare. Erano solo umani in ogni caso.
Però non era soddisfatta. Avrebbe voluto prendere a calci in culo il vampiro che aveva osato avvicinarsi a casa sua.

“Non è male, questa bicocca” una voce fredda la riscosse dalle sue elucubrazioni. “Antica, decadente. Ma non direi di no a qualche comfort in più.”
Erika non riusciva a credere alle sue orecchie. Il vampiro. Aveva osato entrare nella sua casa di famiglia, non soltanto nella sua città! Il suo primo istinto sarebbe stato voltarsi di colpo e attaccare, ma si obbligò a darsi un contegno. Dopotutto aveva un ospite.
“Temevo di essere stata completamente ignorata” rispose, con tutta la compostezza di cui era capace. “Invece vedo che siete consapevole della mia esistenza, dopo tutto.” Si voltò verso l’invasore e gli rivolse una lunga occhiata.
In vita doveva essere stato un umano, come lei. Sembrava giovane, abbastanza attraente, anche se non incontrava proprio il gusto di Erika. Era una di quelle persone che appaiono di corporatura media a prima occhiata, ma guardandole meglio ci si rende conto dell’altezza e dei muscoli asciutti sotto gli abiti eleganti.
Sorrise e si scostò un ricciolo biondo da davanti agli occhi, con gesto teatrale. Erika dovette trattenere il desiderio di alzare gli occhi al cielo.
Era un damerino, ma non per questo era meno pericoloso.
“Naturalmente sapevo che eri qui. Una zecca non passa inosservata, ho sentito la tua puzza fin da fuori delle mura.”
“La mia cosa?” la vampira alzò un sopracciglio, piccata. “I vampiri non hanno odore per gli altri vampiri, mi state solo provocando.”
“I vampiri, forse, ma tu puzzi di sangue animale. Ma mi sta bene, se questo ti ha permesso di mantenere un basso profilo. Da ora in avanti lavorerai per me.” Il biondino si guardò intorno, adocchiò una vecchia poltrona e decise di accomodarsi, con tutta calma. Erika si limitò a guardarlo con incredulità. Che faccia tosta!
“Invadete casa mia, mi insultate e ora pretendete di darmi ordini?”
“Oh, scusami, cara, non avevo capito che fossi anche mezza deficiente. Te lo spiego con parole elementari” la creatura della notte si sporse verso di lei, artigliando i braccioli della poltrona con le dita adunche. “Io sono un vampiro secolare. Tu sei una misera progenie, non sei nemmeno una vampira vera. Io sono potente, tu no. Io sono forte, tu sei debole perché bevi solo sangue animale. Io ti sono superiore sotto ogni aspetto, quindi sarai la mia serva oppure morirai.” Le concesse un sorriso luminoso, cortese e falso. “Adesso è tutto chiaro?”
Erika rispose al sorriso, imitando la sua espressione in modo quasi perfetto. Questo avrebbe dovuto mandargli un segnale, forse, ma lei non gli lasciò il tempo di capire.
Si mosse così veloce che nemmeno lui riuscì a seguirla con lo sguardo.
Prima che il damerino potesse accorgersene, lei gli aveva già sfondato la faccia con un pugno. E nemmeno un pugno serio. Era stato appena un buffetto, ma ora al posto della sua faccia c’era un cratere e la parete di legno dietro la poltrona andava ritinteggiata al più presto.
Erika avrebbe potuto colpire più forte, polverizzargli del tutto la testa. Quello l’avrebbe distrutto, perché sarebbe stato l’equivalente di una decapitazione. Lei però non voleva dargli una morte definitiva. Voleva che portasse un messaggio.
Mentre il corpo morto del vampiro si trasformava velocemente in nebbia, Erika seguì i suoi movimenti con immutato sorriso e con un gesto di saluto. “Eclissati, principessa, e vai a riferire a… a chi ti pare… che Silverymoon è mia e che qui c’è una zecca con cui non si può scherzare.”
La nebbia scivolò verso la più vicina finestra, infiltrandosi fra le crepe degli infissi, come uno spiffero che esce anziché entrare. Erika sapeva che un vampiro non sarebbe stato debellato così facilmente: tutto ciò che riesce a uccidere un vampiro - con mezzi mondani, per così dire - lo costringe solo a trasformarsi in nebbia e tornare alla sua tomba. Per uccidere un vampiro per davvero serviva un paletto nel cuore, o il taglio della testa, o l’annegamento, o la luce del sole oppure il potere di un chierico specializzato nella distruzione di non morti.
Di nuovo, fece spallucce. Lo aveva avvertito. Se fosse tornato, peggio per lui.

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Capitolo 16
*** 16. Compass ***


Genere: fantasy
Note: il protagonista di questa storia è un personaggio secondario in L'amicizia non genera debiti e Non era amore, ma almeno era Amyl


16. Compass


1360 DR, città elfica di Myth Dyraalis

Non tutte le bussole puntano al nord.
In effetti ha senso, perché non tutti i mondi, non tutti i Piani, hanno un nord.
Raerlan era molto fiero della sua collezione di bussole. Alcune erano attratte dai poli magnetici, come le normali bussole che si potevano trovare nel continente di Faerûn. Ma le migliori erano attratte da… altre cose.
Aveva una bussola che veniva dal Buio Profondo - aveva chiesto a un suo amico drow di procurargliela - ed era un oggettino prezioso il cui ago puntava verso le concentrazioni di faerzress, l'energia magica del sottosuolo che emanava da certi luoghi particolari, chiamati nodi di faerzress. Sì, quella era stata una pregevole aggiunta alla sua collezione.
Aveva una bussola che proveniva dal suo Piano di nascita, Faerie, che puntava sempre in direzione della Corte Seelie della regina Titania; un oggetto indispensabile per qualunque nobile Seelie, perché la Corte era itinerante e non stava mai a lungo ferma nello stesso luogo, e talvolta nemmeno nello stesso Piano. Se la bussola aveva un difetto, era che non sapeva indicare la direzione quando si trovava su un Piano diverso dall'attuale locazione della Corte fatata.
Da qualche parte, aveva una bussola usata dai nomadi del deserto di un mondo lontano, capace di trovare l'acqua. Ne aveva una incantata con un semplice trucco arcano, che poteva trovare la più vicina città. Aveva perfino una bussola che proveniva dalla Regione dei Sogni, che indicava la direzione del più vicino sogno sufficientemente stabile, ed era un oggetto di grande valore vista la natura sempre mutevole di quel luogo inestricabile.
E poi, c'era la bussola a cui era più affezionato in assoluto.
Era una vecchissima bussola dei Piani, che non faceva altro che indicare la direzione del più vicino portale magico. Quell'oggetto incantato era stato un regalo di suo padre, un rispettato ranger planare che aveva cercato di trasmettergli le sue conoscenze.
Raerlan prese fra le dita il prezioso regalo e vi passò sopra un panno morbido. Lo strumento era magico e non aveva bisogno di manutenzione, ma a lui piaceva lucidarlo e dedicare qualche cura a quel ricordo. Sperava sempre che lo aiutasse a recuperare un po' di più la memoria. Erano passati troppi millenni, e c'era stata una morte di mezzo - quella di suo padre, ma poi anche la sua - e i ricordi ormai erano sfumati, pallidi. Sapeva che il suo vecchio non sarebbe stato contento di saperlo sul Piano Materiale. Questa era la cosa che ricordava meglio: suo padre era un elfo del sole, nato sul Piano Materiale in un'epoca in cui il mondo di Toril era molto più giovane, e aveva lasciato quel luogo per rifugiarsi a Faerie. Non consigliava mai a nessuno di andare in visita nella sua prima patria.
Raerlan si sentiva un po' in colpa per aver usato proprio quella bussola per trovare un portale per il Piano Materiale. Aveva disubbidito. Ma all'epoca era dell'idea che ad un certo punto, dopo qualche millennio, un figlio dovesse staccarsi dai propri genitori.

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Capitolo 17
*** 15. Helmet ***


Genere: slice of life
Note: questa storia si svolge durante la guerra contro Sothillis e ha luogo dopo Molto molto lontano. Marcus compare per la prima volta in quella storia. Lindsey è la protagonista di Folk music. Le loro storie si intrecciano in Nove rintocchi, ma quella storia non è ancora completa e non ho ancora scritto di loro.


15. Helmet


1373 DR, Amn meridionale

"Ehi, soldatino" la giovane donna in nero si avvicinò con sicurezza al paladino. Lui era ricoperto di una vistosa armatura laccata di bianco, e messi a confronto sembravano due pezzi degli scacchi che giocassero su fronti opposti. Per un curioso scherzo del destino si ritrovavano invece alleati, entrambi combattenti per l'umanità contro il comune nemico degli Ogre Magi.
Alleati, ma non amici. Era chiaro che l'omone non era molto a suo agio in presenza di quel donnino sottile, mentre lei sfoggiava tranquillamente un sorriso di scherno.
La ragazza reggeva in mano un elmo di metallo, anch'esso laccato di bianco.
"Tanto per cambiare hai dimenticato l'elmo alla taverna. Che cosa sei, ubriaco?"
Marcus si avvicinò e prese l'elmo dalle mani di lei, ringraziando con voce cordiale. Non sembrava per niente ubriaco, nonostante avesse fatto le ore piccole in taverna… o meglio, nella gigantesca tenda da campo che un mercante al seguito dell'esercito aveva rinominato taverna.

Il ragazzone non l'avrebbe mai ammesso, ma andava in taverna ogni sera soltanto per sentirla suonare. Lei era un'agente di una società semisegreta, composta di spie ed assassini, ma il paladino sapeva che non era davvero cattiva. Era una giovane dallo spirito libero, un'artista, che teneva molto più alla bellezza che alla giustizia, ma era comunque migliore di quanto l'avesse inizialmente giudicata. Questo suo errore di valutazione l'aveva resa più interessante ai suoi occhi. E poi, Marcus poteva essere un paladino ma di certo non era cieco. Ogni sera dimenticava l'elmo sul tavolo da campo, perché sapeva che lei gliel'avrebbe riportato. Lo faceva sempre.
Forse a lei piaceva scambiare quelle poche parole con lui ogni sera, riconfermare quotidianamente la loro conoscenza che non era amicizia però.
A lui, di sicuro, faceva molto piacere che lei si prendesse quel piccolo disturbo per parlargli. Gli piaceva ancora di più quando la barda, sempre vestita in abiti aderenti e gonne che fasciavano i fianchi, gli dava le spalle per allontanarsi.
"Grazie, Lindsey" la salutò, come ogni sera.
Lei si limitò a sbuffare e agitare una mano in segno di saluto, senza neanche voltarsi. "Parola mia, sei incorreggibile. Se tu non fossi un paladino, penserei che lo fai apposta per guardarmi il fondoschiena" scherzò.
L'uomo la guardò allontanarsi, con un sorrisetto. Non poteva negare apertamente, perché i paladini non mentono. Però poteva fingere di averla interpretata come una semplice battuta.
Marcus era un paladino, sì, ma era consacrato a un dio che esaltava la gioventù, la salute e la gioia nella vita. La sua piccola trasgressione quotidiana non andava contro lo spirito della sua fede.

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Capitolo 18
*** 17. Collide ***


Genere: drammatico
Note: questa è una storia che avrà dei sequel, che spero di riuscire a scrivere all'interno di questa raccolta. Gli eventi qui narrati sono accennati in White lies, ma come si vedrà in questa storia e nelle prossime, Krystel non ha raccontato proprio tutta la verità a proposito di questa vicenda. Duvainion e Kore appaiono già insieme nelle storie Big Brother Worship e Mushroom.


17. Collide


1308 DR, in una zona sud-occidentale della Grande Foresta

Kore era una ragazza giovane che non sapeva molto del mondo. Sapeva di essere drow, sapeva cosa questo volesse dire nello schema generale delle cose, ma la sua esperienza di vita fino a quel momento era sempre stata pacifica e tranquilla. Sua madre viveva in mezzo agli umani ed era abbastanza bene integrata nella società. Suo padre era un elfo scuro del sottosuolo, Kore sapeva che lui era malvagio, ma per lei quella era un'informazione puramente teorica; era una cosa che lui le aveva detto, ma con lei si era sempre comportato bene. Insomma la giovane era informata del fatto che le persone che vivevano in Superficie avrebbero diffidato di lei prima ancora di conoscerla, ma per il momento non era mai successo. Nel piccolo angolo di mondo in cui viveva, le persone erano abituate a sua madre e a lei.
Per questo in generale non si poneva troppi problemi. Se c'era da andare da qualche parte, Kore ci andava e basta.
Il giorno prima suo fratello Duvainion, che ormai viveva stabilmente nella foresta, era tornato a trovarla e si era offerto di accompagnarla nella zona più esterna del bosco per raccogliere erbe. Lei non ci aveva pensato due volte: le mancava il rapporto speciale che aveva con il fratello maggiore, e sapeva di avere ancora molto da imparare da lui su come riconoscere le erbe e come usarle.
Non aveva tenuto conto del fatto che la foresta non fosse il territorio della sua famiglia, anche se vi confinava. Forse era stata una leggerezza da parte sua, ma era la leggerezza tipica dei giovani, degli innocenti.

Aesar sapeva qualcosa di più, del mondo, ma anche il suo punto di vista era limitato. Un elfo dei boschi con a disposizione una selva grande quanto un regno non aveva davvero motivo di uscire dalla sua foresta natìa. La sua esperienza del mondo era limitata agli insegnamenti della sua cultura.
Uno di questi insegnamenti era che gli elfi drow erano nemici, sempre, ed erano assassini a sangue freddo. Erano creature sadiche e crudeli, votate al male più profondo, non c'era pietà nel cuore degli elfi scuri; chiunque avesse la sfortuna di incontrarne uno poteva solo ucciderlo o sperare di essere ucciso in fretta.

Aesar e Kore erano giovani, in balìa degli eventi, e forse le cose potevano andare solo così.
Quando la drow si accorse che c'era qualcuno nascosto in una macchia di alberi, la sua naturale (e irresponsabile) curiosità prese il sopravvento. Quando capì che era una persona ferita, il suo primo istinto fu avvicinarsi per aiutare.
Aesar, giovane ranger inesperto, già gravemente ferito a causa dello scontro con un troll, aveva tanto sperato che la nera creatura non lo vedesse. Ma era una speranza vana, perché i drow hanno la vista fine quanto gli elfi. E quando quella femmina drow - le femmine erano ancora più pericolose dei maschi, questo lo sapevano tutti - si era avvicinata a lui con passo sicuro, lui aveva fatto brevemente i suoi calcoli.
Non era pronto per uno scontro. Non ci sarebbe stato combattimento. Non c'era nemmeno nessuno nei paraggi a cui chiedere aiuto.
Esisteva una sola via d'uscita.

Aesar e Kore non erano destinati a scontrarsi quel giorno, ma le loro visioni del mondo sì.
Erano inconciliabili, forgiate dalla storia sanguinosa delle loro origini.
Kore alzò una mano in segno di saluto e fece per dire qualcosa, non sapeva bene cosa, ma avrebbe dovuto essere qualcosa sulla falsariga di 'Ehi, ti serve aiuto?'… quando l'elfo seminascosto dietro un tronco, seduto a terra e chiaramente allo stremo delle forze, riuscì a trovare abbastanza coraggio per estrarre un pugnale dalla cintura e tagliarsi la gola.
Un gesto rapido, disperato e tremante. Il gesto di qualcuno che è terrorizzato, sì, ma anche risoluto.
Kore non aveva ancora pensato a cosa dire, un momento prima, ma all'improvviso era diventato un pensiero così futile. Dalle sue labbra già dischiuse uscì soltanto un grido di angoscia.

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Capitolo 19
*** 18. Moon ***


Genere: fantasy/sci-fi,
Note: rimando alle note finali, ma uno dei protagonisti, Imadain, è lo stesso personaggio della storia Raven, Vampier's Diaries libro secondo e Secret, ma in qusta storia è più giovane.


18. Moon


1491 DR, da qualche parte nel sistema solare di Toril

La scatola trasparente, non più grande di una stanza - o così credeva Imadain, che era nato in una casa dalle stanze molto ampie - fluttuava pacifica fra le stelle. Kirsty si era alzata dalla poltrona da cui pilotava la loro nave, come lei si ostinava a chiamare quella struttura. Per Imadain, quella era la cabina, o anche il Cubo. Non aveva la forma di una nave, non ne aveva neanche l'aerodinamicità. Era solo uno spazio di forma cubica, grande abbastanza per poterci passeggiare dentro nei momenti di noia, anche se farlo richiedeva di schivare un po' di ammennicoli e macchinari che si erano accumulati negli anni.
Entrambi i ragazzi stavano guardando attraverso le pareti del Cubo, che erano trasparenti. O almeno, lo erano in quel momento.
"E così, è questo il vostro sistema solare" notò lei, parlando in draconico con il suo strano accento. Kirsty era originaria di un altro mondo, dove tutte le lingue erano diverse, perfino l'elfico. Si sentiva che doveva esserci una radice comune rispetto all'elfico parlato nel Faerûn, ma le due lingue non erano perfettamente intelligibili. Il draconico invece era una lingua franca universale, un po' come le lingue planari. Nessuno di loro parlava il celestiale, l'infernale o l'abissale, e le lingue elementali erano troppo difficili da pronunciare. Restava solo il draconico, che fra tutte le lingue franche era quella che più aveva risentito delle distanze fra i rispettivi universi. Era vero che i draghi vivevano più a lungo, perfino più degli elfi, e quindi la loro lingua evolveva più lentamente… ma comunque evolveva.
"Sì, è questo il nostro sistema solare, anche se non è come lo ricordavo. Il cataclisma che ha sconvolto la magia deve aver esteso la sua nefasta influenza in tutta la nostra Sfera, coinvolgendo anche altri pianeti. Per fortuna sembra che non si sia estesa ad altre Sfere."
"Non avrebbe potuto" intervenne una voce crepitante di magia. Suonava solo vagamente come una voce umana. In effetti era più un pensiero che una voce, Imadain non era mai stato in grado di capire se sentisse quella voce con le orecchie oppure direttamente nella sua testa. Chi aveva parlato era uno spirito disincarnato, un tempo un essere umano, che era stato colpito da uno dei lampi blu che avevano attraversato il mondo durante la Piaga della Magia, ed era stato… ucciso? Difficile stabilirlo. Imadain non sapeva se il suo amico fosse stato ucciso o semplicemente modificato. Ciò che sapeva era che lo stregone un tempo noto come Karsadath era diventato uno spirito, fatto in parte di autocoscienza e in parte di magia, ed era diventato una cosa sola con il Cubo. Non era più possibile separare la sua coscienza da quella della navicella, e per la maggior parte del tempo Karsadath non si prendeva nemmeno il disturbo di manifestarsi in forma umanoide. Rimaneva ad aleggiare come una presenza, una voce. Imadain in effetti lo preferiva così. La sua forma umanoide era quella di uno spettro dalle fattezze di un uomo carbonizzato. Per quanto fosse il suo unico vero amico, l'unica entità con cui Imadain avesse potuto conversare per decine di anni, era comunque uno spettacolo raccapricciante.
"Perché non avrebbe potuto?" Domandò il ragazzino, che in realtà non era più ragazzino da molto tempo, ma ne aveva ancora la forma.
"Abbiamo già avuto questa conversazione, non capisco come mai non ti entri in mente" la voce dello spirito lasciò trapelare un crepitio seccato. "La Piaga della Magia ha devastato la Trama, ma la Trama non è la magia stessa. È soltanto una rete che la dea Mystra ha creato per imbrigliare e ordinare la magia, e per colpa di questa decisione gran parte della magia è costretta nella forma della Trama, ma solo in questa Sfera. Altri mondi, contenuti in altre Sfere di cristallo, hanno continuato a fare a meno della Trama. Era inevitabile che la Piaga della Magia non cambiasse una virgola laddove la Trama non c'è mai stata. E poi, mi permetto di ricordartelo: nell'epoca in cui si scatenò la Piaga, la Sfera del nostro piccolo universo galleggiava nel flogisto tutta sola. Non c'erano altre Sfere in vista, da nessuna parte. Non ricordi che abbiamo dovuto fare carte false per riuscire a trovare altre Sfere?"
"Ah, sì. Ora mi ricordo. Ma al tempo del disastro ero troppo giovane, non capivo bene cosa stesse succedendo." Imadain si strinse nelle spalle. "Ammetto che le tue spiegazioni all'epoca mi sono entrate da un orecchio e uscite dall'altro."
"E anche i Piani Esterni e i Piani Interni della nostra cosmologia si erano separati da quelli di altre cosmologie" lo spirito continuò la sua arringa, incurante del fatto che nessuno lo stesse più ascoltando. "Era ovvio che la Piaga della Magia non potesse estendersi ad altri universi."
"Laggiù!" Gridò Imadain di punto in bianco, interrompendo la spiegazione. "Il nostro pianeta! Lo vedo!" Picchiettò il dito contro la parete trasparente, indicando qualcosa. Kirsty cercò di capire che cosa, ma dalla loro prospettiva il mondo di Toril era ancora un puntino lontano, troppo lontano perché lei potesse capire quale fosse.
"Come sai che è quello?" Lei aveva un'espressione scettica.
"Ha una luna…"
"Non è l'unico pianeta del tuo sistema solare ad avere una luna."
"È l'unico ad averne una sola" tagliò corto Imadain. "Ci sono altri asteroidi che seguono la scia della nostra luna, Selûne, ma sono più piccoli e sono chiamati Lacrime di Selûne. Credo che siano troppo minuti e troppo instabili anche per provare ad atterrarci sopra."
"Mentre invece la luna è stabile" indovinò lei. "E tu vuoi che io ci faccia atterrare sopra la nostra nave."
"Dovrebbe essere solo una palla di roccia morta che orbita intorno al pianeta. Sembra un buon posto dove fermarsi e cercare di capire in che stato si trova la magia in questo angolo di universo… prima di arrivare su Toril e scoprire cosa sia accaduto a quel mondo. Potrebbe essere pericoloso, potrebbe essere attraversato da radiazioni magiche oppure abitato solo da mostri, per quanto ne sappiamo. Sono passati… non so, più di cent'anni."
"La tua richiesta è ben argomentata" gli accordò Kirsty. Si spostò una ciocca di capelli rossi dietro un orecchio, perché detestava avere i capelli davanti agli occhi mentre cercava di pensare. "Però devo avvertirti, l'atterraggio è sempre la parte più difficile, e questa nave non ha neanche una forma sensata. È un maledetto cubo."
"Mi dispiace, non era pensata per andare nello spazio" ammise il ragazzo, per l'ennesima volta da quando si conoscevano.
"Ed era pensata per inglobarsi la mia scialuppa? Quello sì?"
"Ehi, non lo so, non ho costruito io il Cubo. E poi quella è stata una decisione di Karsadath."
"Inglobare un motore avrebbe aumentato le nostre possibilità di sopravvivenza del…"
"Lo so, dannatissimo spettro, del diecimila per cento o qualcosa del genere. Questo non cambia il fatto che la vostra nave si sia mangiata la mia. Era bellissima, aveva una forma elegante, e adesso non ne rimane nulla."
"Sei rimasta tu, ed è rimasto il motore. Torna al tuo scranno e ricomincia a pilotare questa nave" le consigliò Imadain. "Se c'è ancora un po' di magia all'interno di questa Sfera celeste, finalmente potremo mostrarti quanti utili trucchi è in grado di fare il Cubo. Così smetterai di pensare che sia stato uno spreco."
La ragazza sbuffò, ma non aveva nulla da ribattere.
"Verso la tua luna, e sia. Spero tanto che sia solida. E che non ci viva nessuno."
Kirsty era una persona dalla mentalità scientifica, quadrata, e considerava un mezzo fallimento come un totale fallimento. Per questo non fu per nulla contenta quando solo uno dei suoi desideri si rivelò veritiero.

*****


“Metti in moto! Spettro, metti in moto questa maledetta cosa!” Urlò Kirsty, catapultandosi all’interno del Cubo. Imadain si era quasi preso la porta in faccia, ma la seguì a ruota e quasi andò a sbattere contro di lei. Seguì un buffo e drammatico balletto di equilibri mentre i due cercavano di non toccarsi. La giovane sapeva che non era una buona idea sfiorare il compagno di viaggio, non se teneva alla propria vita.
“Kirsty, ma sei tu il pilota!” Le urlò il ragazzo.
“Ah! È vero!” Lei si lanciò sul suo trono spelljammer, preparandosi a far decollare la navicella. “Ma sarà una merda, siamo la nave più lenta qui!”
“Non è necessario” intervenne lo spirito disincarnato di Karsadath. “La magia è stabile, anche se è diversa da come la ricordavo. Ci penso io.”
Le porte fecero un rumore metallico mentre venivano sigillate dalla magia. Poi l’aria nel Cubo cominciò a brillare debolmente e un attimo dopo i passeggeri (quelli ancora vivi) sentirono una specie di capogiro. Una sensazione che Kirsty non aveva mai sperimentato lì dentro, ma Imadain sì, moltissimi anni prima.
“Uno spostamento planare!” Esclamò, al colmo della gioia.
Quattro spostamenti planari, ragazzino” lo spettro non aveva assunto forma umanoide, ma Imadain poteva capire dal suo tono che stava sorridendo… o qualunque cosa facesse al posto di sorridere. “Penso che vogliamo far perdere le nostre tracce. Ora, che cosa è successo?”
“La luna è abitata” sbuffò Kirsty “come avrai capito dalla presenza di un porto per navi spelljammer e altri edifici. Ma pensavamo che fosse uno scalo commerciale.”
“Tecnicamente lo era” s’intromise Imadain.
“Sì, un accidenti. A quanto pare l’attracco è libero per tutti, tranne che per la gente di Toril…”
“E io ho fatto l’errore di ammettere che vengo da lì. Kirsty avrebbe potuto scamparla, viene da un altro mondo, ma non ci hanno creduto. Volevano giustiziarci.”
“Riprovevole” fu il commento fin troppo compassato di Karsadath. Poi, sempre con quel tono amabile: “Dovremmo tornare indietro e distruggere la loro città?”
“Oh, dai. Non mi sembra una buona idea. Saranno in allarme in questo momento.”
“Non mi sono spiegato. Non è quello che intendevo con tornare indietro” replicò lo spettro.
Kirsty piegò la testa di lato, senza capire, ma Imadain trattenne il fiato di colpo.
“Puoi farlo? Hai ristabilito il tuo controllo sulla magia temporale?”
“La magia funziona, te l’ho detto. Qualcosa o qualcuno l’ha aggiustata. Questa piccola e subottimale nave spelljammer può tornare a essere quello che doveva essere: un veicolo per i viaggi planari e una macchina del tempo.”
Il ragazzino alzò il pugno in segno di vittoria, senza più trattenere un urlo di felicità. Erano più di cent’anni che aspettava quel momento!
Ma forse Kirsty era ancora più entusiasta di lui. Quando quella strana cabina aveva inglobato la sua piccola nave spelljammer, e poi lei aveva preteso la comproprietà del macchinario che ne era risultato, non pensava di aver fatto un così buon affare.
“Dimentica la luna, vecchio mio.” Sorrise il ragazzo. “È ora di tornare a casa.”


**********

Angolo delle note:

Questa è una storia che richiede davvero un sacco di spiegazioni. È una storia che cerca di districarsi tra gli eventi che hanno accompagnato il passaggio di diverse edizioni, e che hanno visto sconvolgimenti nella magia e nella cosmologia.
All'epoca di AD&D, un'edizione di gioco che ha coperto gli anni precedenti al 1372 DR, tutti i mondi di gioco o quasi esistevano in un'unica cosmologia. Forgotten Realms, Greyhawk, Dragonlance ecc erano diversi setting nello stesso universo. Per essere più precisi, erano tutti sullo stesso Piano Materiale, ma ciascuno si trovava in una Sfera di Cristallo diversa (il mondo di Forgotten Realms in Realmspace, il mondo di Greyhawk in Greyspace, il mondo di Dragonlance in Krynnspace, ecc). Le Sfere contenevano non soltanto il pianeta ma tutto il suo sistema solare e qualche ulteriore asteroide, o qualche stella. Queste Sfere galleggiavano in una sostanza chiamata flogisto, che era la materia di cui era fatto l'universo al di fuori delle Sfere.
Questo implicava anche che da tutti i mondi, trovandosi sullo stesso Piano Materiale, fossero accessibili gli stessi Piani Interni ed Esterni; insomma, la struttura della cosmologia era comune. Questa struttura si chiamava Grande Ruota.
All'epoca c'erano due modi per spostarsi da un setting all'altro: uno era attraverso i Piani, ed era approfondito nel gioco Planescape (praticamente da un pianeta del Piano Materiale ci si poteva trasportare magicamente su un altro Piano, e da lì ci si poteva trasportare magicamente di nuovo sul Piano Materiale, ma in un altro punto a propria discrezione). Il secondo metodo era più lungo ma permetteva di portare con sé una maggior quantità di persone e di merci: attraverso le navi spelljammer, che non si spostavano su altri Piani (di solito), ma come navi spaziali si muovevano sul Piano Materiale, navigando nello spazio all'interno delle singole Sfere e navigando nel flogisto che separava le Sfere. Questo metodo era approfondito nel gioco Spelljammer.

Qui alcune mappe che illustrano la situazione all'epoca, da cui si vede chiaramente che il Piano Materiale è formato da Sfere immerse nel flogisto, e che sono collegate alla Ruota dei Piani Esterni tramite i condotti del Piano Astrale, e dall'altra parte sono collegate ai Piani Interni tramite il Piano Etereo. È degno di nota che il flogisto non è contiguo né al Piano Astrale né a quello Etereo, infatti nel flogisto non c'é contatto con questi Piani. I chierici non possono contattare le loro divinità, i teletrasporti non funzionano, le borse conservanti o simili spazi extraplanari non sono accessibili. Per questo Karsadath non poteva usare spostamenti planari o teletrasporti prima di tornare nel Realmspace. Cliccate sulle immagini per ingrandirle:



Poi nell'anno che per Forgotten Realms è il 1371, la pacchia finisce. L'avventura "Die Vecna Die!" viene usata come pretesto per giustificare la "rottura" del multiverso, semplicemente perché con D&D 3ed la nuova casa editrice voleva separare le cosmologie, fare in modo che i mondi non fossero più raggiungibili gli uni dagli altri. Voleva che fossero proprio dei setting separati. Quindi Greyhawk - il setting base della terza edizione - mantiene la cosmologia della Grande Ruota sebbene sia diversa dalla Grande Ruota di AD&D. Forgotten Realms assume invece una cosmologia "ad albero", che a quanto pare era la cosmologia originariamente immaginata per questo mondo dal suo creatore. È comunque una cosa un po' disturbante perché va a spaccare una continuità che prima c'era. Non si tratta di diverse prospettive sulla stessa cosmologia, non è che ogni singolo pianeta veda i Piani da una diversa prospettiva e quindi li arrangia nelle mappe in un certo modo. Si tratta di vere e proprie cosmologie diverse, come indicato nel Manuale dei Piani che mostra immagini delle possibili cosmologie collegate fra loro solo dal piano delle ombre, e in Fedi e Pantheon, in cui dice espressamente che gli stessi Dei in diverse cosmologie non sono più lo stesso Dio, ma sono entità indipendenti. Il Corellon Larethian di Greyhawk non è il Corellon Larethian di Toril. Prima di allora è vero che un Dio poteva avere influenza su una sfera di cristallo e non su altre, poteva avere influenza su diverse Sfere ed essere percepito in modo leggermente diverso in diverse Sfere, ma era sempre se stesso, non era un ctrl+C ctrl+V di se stesso.
Quindi è per questa ragione che Karsadath dice a Imadain che, all'epoca della Spellplague (1385 DR) la loro Sfera si trovava già separata da tutte le altre. In realtà la terza edizione non cita mai spelljammer, non sappiamo cosa sia successo al Piano Materiale, ma il Manuale dei Piani lascia intendere che ad ogni Piano Materiale corrisponda una cosmologia, e che un Piano Materiale non possa essere collegato a diverse cosmologie. Lo stesso manuale presenta la possibilità che tutte le cosmologie siano unite dal Piano delle Ombre, e che solo attraverso il Piano delle Ombre sia possibile viaggiare da una all'altra. Se il Piano Materiale fosse stato ancora uno e indiviso, sarebbe stato possibile viaggiare da una cosmologia all'altra tramite il Piano Materiale, tramite le navi spelljammer e il flogisto.

Grande Ruota di 3.5, sparisce la struttura a ottaedro dei Piani Interni (purtroppo) ma almeno assomiglia di più a una vera ruota:



Cosmologia ad albero dei Forgotten Realms:



Esempio di cosmologie diverse collegate dal Piano delle Ombre:



In ultimo, come già anticipato, nel 1385 DR un terribile cataclisma causato dalla morte della dea della magia distrugge la Trama, causando un duraturo malfunzionamento della magia in tutto il Realmspace. È possibile che all'epoca di AD&D la Trama fosse qualcosa che riguardava solo il Realmspace, visto che le Sfere di Cristallo erano l'unica cosa che determinava i diversi setting di gioco, ma non è mai stato chiaro se nella terza edizione - in cui i diversi setting di gioco non erano determinati solo dalle loro Sfere di Cristallo ma da tutta la loro cosmologia - questa benedetta Trama si estendesse anche ad altri Piani. Molto probabilmente no in quanto la dea Mystra esiste solo nei Forgotten Realms. Quello che è certo è che questo evento drammatico segna il passaggio alla quarta edizione, e nella quarta edizione troviamo una cosmologia nuovamente modificata, non più ad albero. Qualcosa ha scombinato i Piani, forse la Spellplague, forse i tentativi della dea Shar di far collassare il Piano delle Ombre sul Piano Materiale. Ad ogni modo il passaggio tra la terza e la quarta edizione non è molto ben giustificato dalle regole esistenti fino a quel momento. Diciamo che hanno fatto un po' il cavolo che volevano.

Cosmologia di Forgotten Realms in quarta edizione:



In questa storia Imadain, Karsadath e Kirsty sono rientrati nella Sfera del Realmspace in un'epoca che coincide già con quella della quinta edizione di gioco, dopo il Second Sundering, un evento in cui il sommo dio Ao ha deciso arbitrariamente di rimettere a posto le cose. Quasi come se la casa editrice si fosse resa conto che i cambiamenti di lore della quarta edizione avevano fatto cacare anche gli stitici. La magia è stata ristabilita e funziona più o meno come prima. In quinta edizione la cosmologia di Forgotten Realms è di nuovo la Grande Ruota, simile a quella di terza edizione più che a quella di Advanced. Non è chiaro - né in quarta né in quinta edizione - se questo setting si sia riunito agli altri in un unico Piano Materiale, in un'unica cosmologia. Penso che editorialmente sarebbe una buona idea, potrebbero ritirare fuori contatti con altri mondi e magari spelljammer.

Cosmologia in quinta edizione (è stato mantenuto il Feywild, una delle poche aggiunte valide della quarta edizione):



Approfondimenti:
Spelljammer
Funzionamento della nave spelljammer
Realmspace
Luna di Toril
Flogisto
Spellplague
Possibilità di viaggi nel tempo in D&D (3.5)

Ultima nota di colore: il Cubo, che Imadain chiama anche cabina, è chiaramente ispirato al Tardis e può fare cose come: fluttuare, spostarsi, andare sott'acqua, rendere invisibili le sue pareti, spostarsi su altri Piani, teletrasportarsi in altri posti dello stesso Piano, volare, e per via della natura dello spazio in D&D, un oggetto che si trova a galleggiare nello spazio va avanti per inerzia. È solo inglobando la nave spelljammer di Kirsty che il Cubo è diventato anche una nave spaziale, prima era un relitto galleggiante.
È stato creato con le regole di Stronghold Builder's Guidebook, un manuale meraviglioso di terza edizione che non si caga mai nessuno.


Edit 2022: è ufficialmente uscito spelljammer per la quinta edizione, non vengono più citate più le sfere di cristallo, non viene più citato il flogisto. Le navi, sia spelljamer che non, si muovono attraverso una cosa chiamata "astral sea", in pratica il Piano Astrale ora è anche lo Spazio. Probabilmente le cose che prima si trovavano nello Spazio (quello contenuto all'interno delle diverse sfere di cristallo) in quinta edizione si trovano nel mare astrale? Il flogisto non sembra esistere e non è chiaro se si possa passare ad altre ambientazioni attraverso il viaggio spaziale, nulla in teoria lo impedisce.
Non mi è chiaro che cosa intendessero fare, perché questo implica che con una nave spaziale si possa navigare nel Piano Astrale e attraccare sul Piano Materiale senza dover cambiare Piano con un incantesimo? (sapete, robina da nulla come Plane Shift o Gate). Nella classica fretta di semplificare, in realtà come al solito hanno pasticciato, io trovo che la lore della quinta edizione sia un aborto malformato che fa finta di riprendere le cose di Advanced ma lo fa molto male.
Nelle mie storie il viaggio spaziale continuerà ad essere una cosa che interessa il Piano Materiale e non il Piano Astrale.

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Capitolo 20
*** 19. Loop ***


Genere: fantasy
Note: in questa storia ho interpretato il titolo, Loop, in modo soprattutto concettuale.


19. Loop


1365 DR, in una locanda vicino a Secomber

"Per favore, procediamo con calma" pretese Krystel, perché nonostante le parole gentili il suo tono non era quello di chi chiede un favore. Appoggiò una pila di tazze sul tavolo con un gesto un po' troppo brusco. "Com'è cominciata?"
Uno degli elfi della luna seduti alla sua tavola irrigidì la schiena, in un chiaro segno di irritazione. "Ritengo che sia più importante com'è finita."
"Siete venuti qui per avere una conversazione con me" la strega drow fece il punto della situazione. "Se questa è una conversazione non può essere guidata soltanto da voi. Mi avete già detto com'è finita." Riassunse, gettando un'occhiata obliqua a sua figlia Amber. "Ora io voglio sapere com'è iniziata."
Le tazze vennero rapidamente distribuite mentre gli elfi sussurravano fra loro nella loro lingua, decidendo una linea d'azione. Krystel li lasciò fare. Avevano il diritto di consultarsi su come giocare le loro carte.
Ignorò il catino che appariva vuoto ma che poteva creare acqua con la magia, e prese invece un secchio che conteneva del ghiaccio in pezzetti. Canticchiando fra sé, raccolse il ghiaccio con una paletta di metallo e cominciò a versarlo in un bollitore. Il fuoco nel camino scoppiettava allegro, perché il fuoco della sua cucina non veniva mai spento, nemmeno in estate.
"I vostri figli sono stati visti più volte aggirarsi nei pressi del nostro territorio" cominciò uno degli elfi, quello che aveva mosso obiezioni anche poco prima. "Simili presenze estranee non ci sono gradite."
Krystel appese il bollitore a una catena con dei ganci che attraversava l'interno del camino, dove di solito appendeva le pentole. Per un attimo sembrò che non avesse ascoltato, ma poi rispose: "Credo di capire. Siete un clan territoriale."
"Non vogliamo estranei intorno, se questo basta a definirci territoriali…"
"Dunque, non vi considerati territoriali" Krystel soppesò quella rivelazione. "Non lo fate, perché in realtà altre creature oltre a voi vivono nel vostro territorio. Sapete che non sto parlando solo di animali."
"Non tutte le creature che vivono nel nostro territorio sono le benvenute" le fece notare un'elfa, l'unica femmina di quel gruppetto. "Quando la nostra regione viene invasa da goblinoidi o altri mostri, li combattiamo."
"Ne comprendo il motivo, di solito hanno intenzioni belligeranti. Però ci sono altre creature, driadi, centauri e altri esseri fatati, o creature dall'aspetto animale ma dall'intelligenza quasi elfica, che vivono al vostro fianco e voi lo sapete."
"Questo non ha nulla a che fare con la situazione corrente" l'elfa fece una smorfia. "Parlate di creature che sono native della foresta."
"A volte accogliete visitatori umani."
"Non so come facciate a conoscere così bene i fatti nostri ma quelli sono sporadici visitatori che vengono accettati soltanto se dimostrano di essere rispettosi."
"In realtà non lo sapevo" confessò lei, "ho tirato a indovinare. Gli elfi della luna non sono famosi per essere isolazionisti come altre sottorazze elfiche che vivono nella Grande Foresta." La strega prese un lungo cucchiaio di metallo e mescolò il ghiaccio all'interno del bollitore, per farlo sciogliere più in fretta.
"Sia come sia, questo non ha niente a che vedere con…"
"Non ha niente a che vedere con due ragazzi che senza cattive intenzioni si sono avvicinati al vostro territorio ma senza nemmeno entrarvi?"
"Senza cattive intenzioni!" L'elfo che aveva parlato per primo la interruppe perché era troppo indignato per tacere. "Siamo venuti qui proprio perché i vostri figli hanno agito in malafede e con cattive intenzioni!"
"Siete venuti qui perché sapevate benissimo che sono i miei figli" lo freddò Krystel. "Sapevate che non si trattava di invasori o di assassini. E non avevano cattive intenzioni all'inizio."
"Infatti li abbiamo tollerati all'inizio, finché non hanno interferito con le esercitazioni dei nostri giovani apprendisti ranger."
Krystel abbandonò il bollitore per girarsi verso Amber e Tek'ryn e domandare loro, con sguardo inquisitore: "Cosa avete combinato?"
"Non è andata così!" Sbottò la giovane drow, appena le venne concessa la parola. "Sono stati loro a cominciare. Erano dei giovani stupidi che si sono messi a dirci che non dovevamo stare nei pressi del loro territorio, anche se eravamo ancora lontani dal ruscello che passa fra le due pietre, o dalla macchia di betulle. Conosciamo i confini del territorio di questo clan. Non volevamo invadere, ma quei ragazzi forse volevano giocare a fare i ranger e si sono messi a fare gli stro… gli sbroffi" si corresse al volo, intercettando l'occhiataccia di sua madre. "Ci hanno chiamati con i peggiori nomi e ci hanno minacciati di ingaggiare battaglia se non ce ne fossimo andati subito. È stato solo a quel punto che abbiamo interferito con la loro esercitazione. Ma non è stato niente di pericoloso! Mentre facevano la reverie sono riuscita ad evitare l'elfo che stava di guardia e mi sono introdotta nel loro accampamento. Ma non gli ho fatto del male, gli ho solo sabotato le bussole. Pensavo che questo li avrebbe solo rallentati un po', non pensavo che fossero così incapaci da non sapersi orientare guardando il muschio e altri indizi."
"Quelli erano i miei allievi. Sanno orientarsi, in condizioni normali, ma quella è una zona molto umida dove il muschio non cresce soltanto a nord dei tronchi. Li avete rallentati di almeno quattro giorni e hanno rischiato di andarsi ad infilare in un territorio dove vivono dei troll." Precisò l'elfa della luna.
"Vista la loro intelligenza media si sarebbero trovati a loro agio" beccò Amber, ingaggiando una gara di sguardi assassini con la ranger istruttrice.
"Non è quello che mi avete raccontato quando siete arrivati" Krystel corrugò la fronte in segno di perplessità.
"Non abbiamo finito" rispose il terzo, quello che finora non aveva ancora parlato. Aveva le vesti di un sacerdote. "Il loro ultimo atto di blasfemia è stato ancora più grave di quest'azione contro i nostri giovani."
La strega sollevò un sopracciglio. Se le azioni di Amber avevano davvero messo in pericolo quei giovani ranger, allora come poteva un semplice atto di blasfemia essere più grave di quel primo scherzo incosciente? I casi erano due, o quel sacerdote aveva una scala di priorità che lei non poteva assolutamente condividere, oppure i giovani elfi non erano mai stati veramente in pericolo. Di sicuro erano seguiti a distanza dai loro istruttori, qualche adulto doveva pur tenerli sotto controllo.
"Mia figlia ha la pessima abitudine di fare burle, anche pesanti" ammise lei "ma non agisce se non è provocata. Io so come ragiona: dopo aver portato a termine uno scherzo per vendetta, non ne compie subito un altro. Quello sarebbe indice di insicurezza, mentre invece Amber è sempre certa che i suoi scherzi lascino il segno."
"È proprio così!" Confermò la diretta interessata. "Dopo la faccenda dei ragazzetti che si sono persi, e comunque ci tengo a sottolineare che dovevano essere nostri coetanei più o meno, per un po' di tempo non siamo più tornati lì. Sai che noi non entriamo spesso nella Grande Foresta, ma ci sono delle piante che possiamo raccogliere solo in quella zona. Ebbene, eravamo quasi arrivati al ruscello e non intendevamo guadarlo, noi non eravamo mai entrati nel territorio degli elfi della luna e non volevamo entrarci. Però non c'è nessuna maledetta regola che ci impedisce di arrivare fino al ruscello!"
"Questa non è una decisione che spetta a voi, siamo noi che viviamo lì" ribatté la ranger.
Krystel ascoltò il nuovo battibecco con mezzo orecchio, mentre buttava in una teiera una presa di erbe di campo essiccate. Le aveva estratte da diversi barattoli e un buon profumo di fiori si era sparso per la stanza. Nessuno ci stava davvero facendo caso.
"Per favore, Amber, adesso quietati. Prima di sentire il resto della storia vorrei capire quali sono state le valutazioni degli elfi nell'anno in cui non ti sei fatta vedere." Prese tempo, mentre versava l'acqua calda dal bollitore alla teiera con le erbe. Era un grosso oggetto di ceramica, di fattura non certo delicata, ma non brutto per gli standard umani. Gli elfi sicuramente la trovavano sgraziata e pacchiana, però faceva il suo lavoro. "Per provare ancora rancore nei tuoi confronti, credo che tu abbia urtato la loro sensibilità più di quanto tu avessi immaginato. Forse dovresti riflettere meglio prima di prenderti gioco di qualcuno, perché non tutti considerano certe cose con la stessa gravità."
Amber appariva davvero frustrata adesso, ma strinse i pugni sotto il tavolo e non disse nulla. Krystel mise in tavola la teiera e con cura versò parte del suo contenuto nelle tazze.
Siccome le tazze erano state scelte dagli elfi stessi quando erano state portate in tavola e ora lei stava servendo l'infuso a tutti dalla stessa teiera, gli ospiti non avevano motivo di sospettare un avvelenamento. Il loro chierico lanciò comunque un incantesimo silenzioso, dissimulando le movenze rituali delle dita come se stesse cercando di fare aria alla sua tazza troppo calda. Per un attimo i suoi occhi brillarono, ma poi fece un impercettibile cenno con il capo ai suoi compagni: non c'era veleno, bere era sicuro.

Gli elfi parlarono senza interruzioni nei successivi minuti. Spiegarono come e perché fossero giunti alla conclusione di non voler consentire ai giovani drow - sebbene non fosse pienamente nel loro diritto - nemmeno l'avvicinamento al loro territorio. Finché alla fine il loro chierico, poggiando sul tavolo la tazza ormai vuota, si decise a giungere al punto:
"Per questo, quando vostra figlia è tornata, l'abbiamo scacciata con uno sfoggio di forza."
"Uno sfoggio! Ah!" Amber scoppiò, battendo una mano sul tavolo. "È così che lo chiamate? Mi avete bersagliata di frecce!"
"Era un avvertimento, abbiamo fatto in modo che solo una freccia ti colpisse, e in un punto non letale" l'elfa la guardò dall'alto in basso. "Non volevamo inficiare la tua capacità di andartene sulle tue gambe."
Troppo presi dalla reciproca irritazione, né Amber né gli elfi chiari notarono subito che l'atmosfera era cambiata. Soltanto Tek'ryn si accorse che da parte di Krystel era calato un gelido silenzio. Forse era grazie ai poteri psionici del ragazzo, che si focalizzavano soprattutto sulla percezione delle emozioni altrui… perché in effetti la drow era in silenzio anche prima, ma ora il suo silenzio aveva in un certo senso cambiato tono. Non era più il silenzio dell'ascolto, era quello di un predatore in attesa.
Tek'ryn capì in quel momento che gli elfi avevano a loro volta grandemente sottostimato le conseguenze delle proprie azioni.
"Avete bersagliato di frecce una ragazzina" ripeté Krystel, molto lentamente "perché vi aveva fatto uno scherzo."
"Perché si è ostinata ad avvicinarsi al nostro territorio, anche se sapeva di non essere gradita. Adesso lo sa con più certezza." Sostenne il chierico.
"Ma a cosa è servito?" Intervenne Tek'ryn, prendendo la parola per la prima volta perché voleva evitare che le cose degenerassero. Krystel sembrava sul punto di fare qualche mossa irreparabile. "Il vostro stratagemma non ha tenuto mia sorella lontana dal vostro territorio, anzi, ha scatenato un desiderio di vendetta. Mentre prima si era limitata a compiere un piccolo scherzo sabotando le bussole dei vostri giovani, l'ultima volta si è presa il suo tempo, ha fatto ricerche sulle vostre abitudini e sui vostri giorni sacri, si è procurata un oggetto magico da lanciare sulle vostre teste, e per ottenerlo ha dovuto lavorare non poco. Insomma ci sono voluti mesi di preparazione, anzi più di un anno. Non vedete che questo sta diventando un circolo vizioso?"
"Parli di circolo vizioso, ragazzo, ma non hai fatto nulla per fermare tua sorella."
"No, è vero" ammise tranquillamente, incrociando lo sguardo dell'elfo con tutta calma. "Non è una buona idea cercare di fermarla quando si mette in testa qualcosa, e poi giudicavo la sua vendetta piuttosto innocua. Voi, a mio parere, vi meritavate di peggio per aver ferito mia sorella."
"Giudichi uno scherzo innocuo introdursi nel nostro villaggio in uno dei nostri giorni sacri, sorprenderci mentre celebriamo la gloria del nostro dio, e interrompere i sacri festeggiamenti con una… con una…"
"Una bomba di cacca" concluse Amber, con visibile soddisfazione. "La tua preziosa lingua elfica è troppo sofisticata per pronunciare queste parole?"
"È stato un atto di blasfemia inqualificabile" il chierico stava quasi tremando. "Mai abbiamo subito un affronto simile! La nostra festa è stata completamente rovinata, l'atmosfera di sacralità è stata spezzata…"
"Oh che piagnina, il solstizio d'estate cade tutti gli anni, nessuno ve l'ha detto a voi tre?" Sbuffò Amber, del tutto impenitente.
"Siete venuti qui" la voce di Krystel emerse dal suo ostinato silenzio, e anche se aveva parlato a bassa voce tutti si girarono verso di lei perché c'era qualcosa nel suo tono che aveva un sentore di definitivo "per lamentarvi delle azioni di mia figlia, perché vi ha tirato addosso un po' di cacca dopo che voi le avete tirato delle frecce? Forse questa cosa non vi è chiara, ma quando un drow si insinua in un insediamento elfico di solito non è per lanciare cacca. Dovreste guardare voi stessi, e chiedervi perché avete abbassato così la guardia. Questa volta vi è solo andata bene, se non fosse stata mia figlia sarebbero piovuti dardi di balestra o bombe di fuoco alchemico. E voi lo sapete. Siete venuti qui perché sapete che con me un dialogo è possibile. Che con la mia famiglia un dialogo è possibile." Ricapitolò, in un tono che era allo stesso tempo tranquillo e molto pericoloso. "Però non ci avete tributato la stessa considerazione, quando si è trattato di scacciare mia figlia a colpi di frecce. L'avete trattata come un'estranea pericolosa, come una comune drow."
"Questo non è giusto, signora. Una comune drow sarebbe stata uccisa, lei è stata solo scacciata."
"Ma l'avete ferita!" Krystel passò lo sguardo sui tre ospiti, e il suo sguardo non prometteva nulla di buono. "Avete reagito con violenza solo perché aveva avuto una scaramuccia con i vostri ragazzi e perché si era avvicinata al vostro territorio. Ora io vi chiedo: siete entrati nel mio territorio, non vi siete semplicemente avvicinati, siete marciati fino alla mia porta. E questo, dopo aver avuto ben più di una scaramuccia con i miei ragazzi. Avrei dovuto accogliervi a colpi di frecce? Devo applicare la vostra stessa logica?"
I due ranger cominciarono rendersi conto che forse non era stata una buona idea andare a chiedere alla strega di disciplinare i suoi figli. La loro intenzione era evitare un incidente diplomatico ancora più grosso, ma forse la strega teneva più alla preziosa incolumità dei suoi figli che alla pace.
"Siamo qui per evitare che questo diventi un atto di guerra" rispose il chierico, che non intendeva fare passi indietro. "Siamo qui per risolvere la cosa diplomaticamente."
"Non l'avreste colpita se fosse stata umana, o di qualsiasi altra razza considerata buona. L'avreste tollerata finché stava fuori dai vostri confini" insistette Krystel.
"È un nostro diritto decidere chi possiamo tollerare vicino ai nostri confini e chi no" ribatté l'elfo, ed era la risposta sbagliata. Oh, quanto era sbagliata.
Krystel giocherellò con un dito sul bordo della sua tazza ormai vuota. "Capisco" soffiò, dopo qualche momento. Si portò i diti indici e medi di entrambe le mani alle tempie, massaggiandole come se avesse mal di testa. "Capisco che siamo sull'orlo di un disastro diplomatico e che è il momento di interrompere questo circolo vizioso di ingiurie prima che diventi una faida. Ebbene, siccome mia figlia ha rovinato uno dei vostri giorni sacri, una festività che viene dedicata alla vostra divinità più alta, voglio dimostrarvi il mio rispetto per Corellon Larethian. E lo farò seguendo l'esempio delle sue azioni." All'improvviso fulminò gli elfi con lo sguardo e abbassò le mani che teneva alle tempie, in un gesto rapido, tracciando così due linee verticali con le dita. Quel gesto replicava la forma di una runa che, tracciata dall'alto in basso, simboleggiava il ghiaccio e il congelamento. Gli elfi rimasero paralizzati sul posto.
"È tempo che impariate che una persona va giudicata per ciò che ha dentro, non per la sua razza. È tempo che tutto il vostro popolo lo impari." Poi si rivolse ai suoi figli. "Ragazzi, andate a prendere il mio grimorio e qualunque vaso di colore rosso nel mio laboratorio."
Tek'ryn scattò in piedi, obbediente come sempre, ma Amber si trattenne un attimo in più.

"Mamma, come hai fatto a congelarli sul posto? Era un incantesimo?"
"Un rituale silenzioso, tesoro. Ho avuto tutto il tempo mentre blateravano."
Amber rimandò a mente tutti quei piccoli strani gesti che la madre aveva fatto con le dita che lei aveva interpretato come segni di nervosismo.
"Ah, capisco. Ma non avevi bisogno anche di componenti materiali? Come hai fatto, senza?"
"Le componenti materiali c'erano. Ho usato del ghiaccio per preparare la tisana. È stato facile, con la magia, ricordare a quell'acqua che prima era ghiaccio e rafforzare la presa del mio incantesimo di paralisi su di loro."
La giovane drow fece tanto d'occhi. "Ma anche io e te abbiamo bevuto la stessa tisana. Anche Tek. Perché a noi non è successo niente?"
"Perché sarei una pessima strega se non sapessi mirare" scherzò Krystel, utilizzando un gergo che era più tipico dell'arcieria. "Su, cara, vai a prendere le cose che ti ho chiesto. È tempo che questi elfi imparino che cosa significa avere l'aspetto di un drow."

Amber scattò al lavoro, soddisfatta per la risposta e molto curiosa verso ciò che sarebbe venuto. I tre elfi, invece, apparivano sconcertati, spaventati, e soprattutto insultati.
Krystel pensò che aveva preso la decisione giusta. Era proprio il loro sguardo offeso a confermarlo.

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Capitolo 21
*** 20. Sprout ***


Genere: fantasy
Note: seguito di Stuck


20. Sprout


1371 DR, cittadina costiera di Leilon

Un nuovo germoglio, così quell'idiota di un accolito chiamava la sua condizione.
Sharova era dell’idea che fosse un modo molto stupido di rivolgersi a una gestante. Un’altra parola che usava spesso era, com’era?, be’, era particolarmente disgustosa. Sharova doveva pensarci un attimo per ricordarsela perché la sua mente si rifiutava di prenderla in considerazione: una benedizione.
La succube non considerava la sua condizione una benedizione, solo un fastidio necessario. Non vedeva l’ora di liberarsi della bambina. Però, per il momento, la sua gravidanza le stava tornando utile.
Si era sistemata in una delle locande della cittadina e usciva pochissimo, adducendo come scusa una gravidanza a rischio. La voce era arrivata al tempio di Lathander e avevano mandato un accolito per prendersi cura della sua salute e di quella del bambino.
L’accolito era un giovane uomo che aveva studiato un po’ l’arte della guarigione e dell'erboristeria, ma non era un vero prete. Non era ancora in grado di comunicare con il suo dio.
A Sharova erano bastati un paio di sorrisi e un incantesimo per nascondere la sua aura malvagia, perché non si sa mai, e l’accolito aveva rapidamente preso in simpatia quella graziosa vedova che aveva dovuto mettersi in viaggio da Waterdeep per recarsi a Neverwinter, dalla sua famiglia, ma aveva dovuto interrompere il viaggio per motivi di salute.
“Ormai dovrebbe mancare poco, signora, un paio di settimane al massimo. Certo che questo bambino è arzillo!” Commentò, tastando la pancia della donna con mosse professionali. “Non ho mai sentito un bambino scalciare così tanto.”
“Sembra impaziente di uscire” la donna gli rivolse un sorriso dolce. Era seduta sul letto, e si appoggiò con la schiena ai cuscini, come se fosse stanca. “Sono io che mi sento debole… ma grazie al vostro aiuto non va così male. Non è che potreste… restare qualche minuto in più?” Gli chiese con adorabile timidezza. “Non vedo mai nessuno.”
L’uomo avrebbe avuto da fare al tempio, in teoria, ma una donna in quelle condizioni psicofisiche avrebbe potuto risentire molto dell’isolamento e della solitudine, ed era suo dovere prendersi cura della salute dei suoi pazienti sotto ogni aspetto.
“Ma certo” prese una sedia da un angolo della stanza e la portò vicino al letto.
Lei lo ricompensò con un sorriso di gratitudine. “Ditemi che cosa succede nel vasto mondo. Sentire i vostri racconti mi fa sempre svagare.”
“Ah, ho una novità interessante. Un sacerdote della chiesa di Lathander di Waterdeep verrà qui! Si tratta di un grande evento per noi, è un saggio rispettato e nessuno nel nostro piccolo tempio ha le sue conoscenze e la sua esperienza."
"Chissà che emozione" la donna sorrise debolmente "ma sta venendo qui nonostante quei nuvoloni di tempesta che si sono visti a sud negli ultimi giorni? E se la strada fosse stata allagata dalla pioggia?"
"Siete gentile a preoccuparvi, ma arriverà via nave insieme ai suoi assistenti. C'è un oggetto che custodiamo qui, al tempio di Lathander a Leilon, nessuno mi ha detto chiaramente che cosa sia ma il nostro prete è preoccupato. Ho sentito dire che è una cosa troppo potente perché possiamo esaminarla, non sappiamo se sia uno strumento del bene o del male. È stata purificata, ma chissà se le preghiere hanno avuto effetto… per questo verrà trasportata a Waterdeep, dove i chierici del tempio principale se ne sapranno prendere cura. Nessun pericolo deve incombere su questa tranquilla cittadina" la rassicurò, guardando il suo ventre gonfio con un sorriso. "Non c'è nulla di cui preoccuparsi, presto le cose saranno risolte."
"Questi discorsi di magia mi fanno sempre un po' inquietudine", mentí lei, accarezzandosi la pancia in modo protettivo. "Perché mi sembra una cosa così al di fuori del controllo delle persone comuni. Preferirei parlare di altro. Di qualcosa che posso capire. Ecco, ad esempio: state facendo dei preparativi per accogliere l'arrivo di questo sant'uomo? Quando vivevo a Waterdeep amavo allungare un po' la strada che dovevo fare ogni mattina per recarmi al lavoro, così da poter passare per il quartiere dei templi. Mi piace vedere l'architettura delle chiese, anche da fuori, e vedere come vengono adornate per le grandi occasioni!"
L'uomo però scosse la testa.
"Non è una visita ufficiale. La cosa non è stata pubblicizzata. Arriveranno in nave, prenderanno l'oggetto e ripartiranno in meno di tre ore. Mi sarebbe piaciuto poter tributare il giusto rispetto ai miei superiori con una degna accoglienza, ma è stato deciso diversamente."
"Peccato. E il mercato di primavera invece? Quello si farà?"
"Sì, ma non prima della festa di Pratoverde. Probabilmente avrete già avuto il bambino per allora e se sarete in forze potrete uscire" l'accolito sorrise incoraggiante.
Sharova lo trattenne a parlare di sciocchezze per qualche altro minuto, poi lui si congedò.
Non appena fu uscito, la succube in forma umana abbandonò il suo sorriso e finalmente, con un sospiro, si massaggiò le guance. Chiunque avesse inventato il detto "sorridere non costa nulla" doveva essere un idiota. La demonessa era sempre esausta dopo quegli incontri, ma quell'umano era una preziosa fonte di informazioni, inoltre le era utile avere un contatto all'interno del tempio di Lathander.
Quei maledetti avventurieri che erano venuti alla torre l'avevano effettivamente liberata, senza saperlo, ma avevano anche portato via il prezioso faro che attirava energie da altri Piani, un oggetto che invece serviva a Sharova per completare il suo esperimento sulla creatura che portava in grembo. Il germoglio, per usare la ridicola definizione dei chierici di Lathander.
E siccome oltre il danno c'è sempre anche la beffa, gli avventurieri avevano lasciato il prezioso oggetto magico proprio sotto la custodia del clero di Lathander. Un maledetto dio buono che era nemico dei demoni, e quindi ovviamente anche nemico di Sharova. La succube non poteva pensare di introdursi in un tempio di un dio buono, anche se i suoi chierici erano deboli e avevano poca esperienza nel combattere creature come lei. La sola idea di calpestare terreno consacrato le faceva venire la nausea. Chiaramente avrebbe potuto tentare lo stesso, era una succube molto antica e potente, ma per lei sarebbe stato come camminare in una pozza di liquami di scarto.
No, doveva intercettare l'oggetto nel momento in cui veniva portato fuori dal tempio a Leilon ma prima che venisse caricato sulla nave diretta a Waterdeep. Se i chierici erano un attimo furbi, quella nave doveva essere sicura e consacrata come un tempio galleggiante.
Sharova non aveva ottenuto sufficienti informazioni su quando sarebbe arrivata la delegazione da Waterdeep, nemmeno il suo contatto lo sapeva con esattezza, ma cominciò a fare piani. I suoi piani dipendevano moltissimo da una variabile, una variabile che al momento si trovava ancora nel suo grembo. Se fosse riuscita a mettere le mani sulla grossa pietra che era stata trafugata dalla torre del mago, prima che fosse nata la bambina, avrebbe dovuto trovare un modo per fuggire con il prezioso artefatto. Ma era difficile, perché Sharova temeva le conseguenze se l'avesse toccato a mani nude. Se invece la bambina fosse nata prima di avere occasione di raggiungere la pietra, allora avrebbe potuto condurre il suo esperimento senza bisogno di rubare nulla.
L'importante, infatti, era che la neonata venisse in contatto con la pietra e ne assorbisse le energie. Se l'esperimento avesse avuto esito positivo, se la sua creatura mezza umana fosse diventata un demone completo, lei avrebbe iniziato a progettare un piano per impadronirsi del magico faro. In futuro sarebbero arrivati altri figli, avrebbe popolato quel mondo con la sua progenie. Ma per questo non c'era fretta: una succube come lei sapeva aspettare.
Se l'esperimento invece fosse fallito, quelle considerazioni e quei piani sarebbero stati inutili, e Sharova avrebbe semplicemente abbandonato tutto per ricominciare una vita da qualche altra parte. Con o senza la sua bambina. Un mezzo demone non era molto importante per lei.

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Capitolo 22
*** 21. Fuzzy ***


Genere: fluff
Note: storia senza una vera trama, volevo solo raccontare un aspetto buffo di questo personaggio altrimenti serio


21. Fuzzy


1370 DR, città sotterranea di Eryndlyn

S'lolath il mago apri lentamente gli occhi, mentre una parte della sua mente registrava il passaggio dal sonno alla veglia. Grugnì in modo poco elegante, stropicciandosi una guancia con una mano per riattivare la circolazione.
"Vith" masticò una parolaccia, arrabbiato con se stesso.
La sera prima aveva fatto le ore piccole studiando uno dei suoi libri di teorie magiche, che era solo uno dei tanti tomi che teneva accampati sul suo letto. Gli piaceva leggere a letto perché così, quando era stanco, era già pronto per fare la reverie. Questa volta però aveva oltrepassato i suoi limiti, aveva continuato a leggere finché le palpebre non erano cadute per il sonno e anche il libro era caduto, sul suo volto.
A un certo punto della notte doveva essersi rigirato perché il libro era scivolato a terra, senza rovinarsi per fortuna: il soffice tappeto aveva attutito il colpo.
Il drow si alzò e si stiracchiò, rendendosi conto che doveva aver dormito in una posizione molto scomoda. Era inevitabile, siccome il suo letto era disseminato di libri e quindi il suo corpo si era adeguato occupando lo spazio disponibile in una posizione contorta e innaturale. Aveva perfino il segno del cuscino su una guancia, ma quel che è peggio…
I suoi capelli.
Il lato della sua testa che era coperto di treccine, che in realtà ormai occupavano i due terzi del suo cranio, era ancora in ordine. Benedette treccine. Ma i suoi capelli sciolti, quelli erano un orribile groviglio spettinato.
L'elfo scuro sospirò, maledicendosi ancora una volta e maledicendo i suoi capelli. Si mise a frugare tra i cassetti, perché ricordava di avere un pettine da qualche parte. Sarebbe stata un'operazione lunga e dolorosa, ma un maschio drow era abituato al dolore.
Se mai dovessi avere dei figli, pensò, in un rarissimo slancio di altruismo, spero proprio di non trasmettere loro questo mio difetto.

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Capitolo 23
*** 22. Open ***


Genere: fantasy
Note: seguito di Collide


22. Open


1308 DR, Grande Foresta

"Devi aiutarmi! Dobbiamo salvarlo!" Kore strattonò suo fratello per le spalle, cercando di tirarlo in una direzione precisa.
Duvainion non sapeva cosa avesse sconvolto così tanto la sua sorellina, ma qualunque cosa fosse stava iniziando a irritarlo parecchio. Il druido non si reputava una persona gentile o altruista: il circolo di persone di cui gli importava era limitato. La sua famiglia rientrava a pieno diritto in quel gruppo, e verso Kore era sempre stato protettivo. A modo suo.
"Calmati, dimmi cosa è successo" cercò di farla ragionare. "Non posso aiutarti se non ti spieghi."
"Vieni e basta! Potrebbe essere già morto!"

Kore era sotto shock e non riusciva a spiegarsi in modo coerente, ma purtroppo aveva ragione: l’elfo era già morto.
“Tutto questo sangue a terra… è morto qui” considerò Duvainion, tastando il terreno zuppo di sangue.
“Sì che è morto qui! Sì è ucciso!”
Cosa?” Duv alzò la testa di scatto per guardare sua sorella. Lei stava tremando.
“Mi ha v-vista e si è… ucciso.” Emise un singhiozzo strozzato, il suono più orribile che il druido avesse mai sentito. “Oddea… è stata colpa mia. Ha visto una drow e ha pensato…”
“Non è stata colpa tua!” Il fratello maggiore quasi ringhiò. “Ha deciso lui di uccidersi! Non è assolutamente colpa tua.”
“No! Invece sì! N-non avrei dovuto e-essere qui” Kore aveva il respiro spezzato come se stesse piangendo, ma non cadevano lacrime dai suoi occhi. Era troppo sconvolta anche per piangere; il pianto avrebbe dato almeno un po’ di sollievo alla sua psiche, ma il trauma era troppo recente.
Cosa? Siamo quasi al confine con le campagne. Questo elfo è fuori dal suo territorio, conosceva i rischi. Ci sono creature più terribili di te in questa foresta.”
Kore però stava scuotendo la testa, non convinta. “Ma non per un elfo. Duv, ti prego. Mi sento così male. Puoi riportarlo in vita?”
Il mezzodrow corrugò la fronte, e sul suo volto ligneo era un discreto spettacolo. “No, mi dispiace. Questo è un potere che va ancora al di là delle mie capacità.”
La ragazza ricominciò a tremare, pensando febbrilmente a cosa fare. Dopo qualche momento, però, strinse i pugni e mostrò una nuova espressione risoluta. Era ancora spaventata e scossa, ma sembrava che stesse cercando di arginare quei sentimenti con la pura forza di volontà.
“Ma forse io posso.”

Duvainion sbatté le palpebre un paio di volte, guardandola senza capire. Kore era più giovane di lui, aveva iniziato a studiare dopo di lui, aveva in generale meno esperienza del mondo e della magia rispetto a lui.
“Che diamine hai in mente?”
“Mamma ha un laboratorio di magia. Uno segreto.”
L’espressione di Duvainion si fece ancora più scura. “E tu come diamine ci sei arrivata laggiù?”
“Hilda mi ha detto… ma non importa adesso. So che lì c’è un grimorio di magia grigia.”
“Penso che ce ne sia più d’uno, ma quelli sono intesi per essere usati solo da streghe di grande esperienza e che sanno quel che fanno. Tu cosa sei, un’apprendista? Vuoi giocare con forze che non comprendi?”
“Una persona si è uccisa per colpa mia, Duv. Quell’elfo si è tagliato la gola perché io passavo di qui. Non ti rendi conto di come… di come… la mia sola presenza qui sia un gigantesco errore?”
“Questa idea è la più grande pila di escrementi che abbia mai sentito. Tu avevi il diritto di stare qui, la foresta non appartiene agli elfi! Uccidersi è stata una sua scelta.”
“E riportarlo in vita è la mia” annunciò lei, definitiva. “Adesso, mi aiuti a trascinare questo corpo oppure lo devo fare da sola?”

Duvainion non era d’accordo, né moralmente né personalmente. Come druido, non vedeva di buon occhio certi rituali di magia quasi-innaturale. Come fratello, non pensava di avere alcun debito o responsabilità verso un elfo che aveva sconvolto sua sorella con la sua decisione drammatica e improvvisa.
Però, dopo aver cercato inutilmente di dissuadere Kore e dopo averla vista faticare per trascinare un corpo sul terreno accidentato e collinare della foresta, finalmente si decise ad aiutarla. Non c’era nient’altro che potesse fare.
Duv non era ancora in grado di riportare in vita qualcuno con la magia druidica, ma aveva qualche altro utile trucco nella manica. Si tolse il mantello e si trasformò in un orso nero (il più piccolo degli orsi di foresta, ma non era capace di trasformarsi in un animale più grande di così), e lasciò che la sorella caricasse quel peso morto sulla sua schiena. Siccome l'orso non era molto più grande del cadavere che stava trasportando, fu necessario legare l'elfo con una corda perché non scivolasse giù. Lo coprirono con il mantello di Duvainion, perché non fosse immediatamente visibile. Poi, lentamente, il gruppetto si rimise in marcia. Kore questa volta si era coperta bene, si era tirata il cappuccio sulla testa, perché non voleva che qualche altro elfo la notasse. Non avrebbero dovuto essercene altri in quella zona, ma forse ne sarebbero arrivati, per cercare il loro amico.

Arrivarono alla locanda al tramonto, ed era un bene perché la loro sorella minore, Hilda, doveva essere impegnata a cucinare, mentre la giovane Tinefein rimaneva sempre in camera sua a studiare dal tramonto fino all'ora di cena. Non si aspettavano il ritorno di Kore, sapevano che avrebbe dovuto passare qualche giorno nella foresta.
Arrivati nel cortile della locanda, Duv e Kore si avviarono verso il pozzo che celava l'ingresso al laboratorio magico di Krystel. Solo a questo punto Duvainion riprese la sua consueta forma umanoide e si scaricò il pesante fardello dalle spalle.
Ancora una volta l'elfo fu legato con una corda, ma questa volta l'intento era calarlo giù dal pozzo. Alla fine, con qualche difficoltà, riuscirono a portarlo all'interno del laboratorio di magia. Kore andò subito a recuperare il tomo che le serviva; lei era drow, vedeva bene al buio. Il tomo era più piccolo di altri che si trovavano nella biblioteca privata della strega, eppure conservava un'aria di mistero che non lasciava dubbi sulla sua natura magica. Il titolo era vergato in lettere semplici, senza fronzoli: Rituali del Manto Grigio.
Kore cominciava a sentirsi di nuovo nervosa, ma impose a se stessa di mantenere la calma mentre sfogliava il libro in cerca della pagina giusta. Non era completamente sicura che quello che cercava fosse lì, ma era molto probabile che… sì, eccolo.
Il Rituale del Richiamo e del Legame.

Le componenti materiali che servivano per quel rituale non erano niente di strano o di introvabile, alcuni oggetti da procurarsi erano poco usuali, come una pietra che provenisse da una tomba o un cimitero, e fiori secchi di crisantemo, ma nel laboratorio di Krystel queste cose potevano essere trovate; la strega sapeva che era fastidioso dover andare a cercare elementi bislacchi, che dovevano essere recuperati in posti lontani, quando c'era un'emergenza.
Kore procedette a purificare la stanza come aveva imparato nei suoi studi da apprendista. Poi tracciò dei simboli a terra con un pezzo di gesso morbido e sistemò il cadavere sopra di essi. A quel punto, doveva cominciare la parte più sgradevole della preparazione: Kore prese un coltello che aveva purificato in una soluzione di acqua e sale, e procedette a incidere alcuni simboli sulla propria pelle, aiutandosi con un piccolo specchio. Dovette incidere un simbolo sul suo cuore, uno sul palmo di ciascuna mano (quello sulla mano destra venne un po' meno preciso perché non era altrettanto abile con la sinistra, ma Duvainion si era categoricamente rifiutato di farlo per lei e di prendere parte a quel rituale), e uno sotto la palma di ciascun piede. Poi, senza pulire il coltello, tracciò gli stessi simboli sulle stesse parti del corpo dell'elfo. Era una fortuna che l'elfo non fosse mutilato.
Solo allora il rituale vero e proprio poteva avere inizio. Kore sapeva di dover aprire un canale di comunicazione verso l'Aldilà, ma questo per lei era soltanto un concetto teorico. Seguì le istruzioni del rituale, recitò le formule, concentrò le sue energie per quel compito, ma rimase completamente senza fiato quando qualcosa dall'altra parte rispose.
Sapeva di essere riuscita ad entrare in contatto con l'anima dell'elfo. Non conosceva il suo nome, ma il fatto che avesse sotto mano il suo cadavere come componente per quel rituale aveva assicurato che venisse contattata proprio l'anima giusta.
Kore si aspettava di avere a che fare con un'anima che avrebbe fatto resistenza, un'anima spaventata, invece trovò soltanto uno spirito confuso e triste. In quel momento la strega, nel suo stato alterato di coscienza, comprese che l'elfo non aveva desiderato la morte. Il suo era stato un gesto terribile e disperato, ma in cuor suo avrebbe voluto continuare a vivere.
Quando la sua coscienza sfiorò quella dell'elfo, lui questa volta non la vide come una drow. Non avrebbe potuto, perché quel contatto era spirituale e i loro corpi erano da qualche altra parte, comunque insieme ma lontani. In quel momento, anche se non lo avrebbero ricordato, stavano vedendo l'uno l'anima dell'altra, senza filtri e senza barriere di carne ad alterare le loro percezioni.
Forse fu per questo che il rituale procedette in modo così naturale, senza il minimo intoppo.
Aesar era morto giovane, voleva essere di nuovo vivo. Chiunque fosse a cercare di riportarlo indietro, chiunque si fosse preso il disturbo di aprire la porta verso il mondo dei vivi, in quel momento aveva la sua fiducia.
E Aesar, quella porta, la attraversò.
E quando si risvegliò sul pavimento duro di una stanza buia, con il corpo che gli doleva da tutte le parti, non poté fare a meno di gemere e mugugnare per il dolore.

Essere in un corpo era così diverso dall'essere uno spirito, che era libero e privo di ogni dolore. Ma quella consapevolezza durò molto poco, perché un vivo è destinato a non conservare ricordi dell'Aldilà. Presto ricordò soltanto gli ultimi istanti della sua vita, si era tagliato la gola per paura di essere preso prigioniero da una drow… e un attimo dopo si era risvegliato su un pavimento, in un luogo in cui non riusciva a vedere nulla e che forse era una prigione.
Avrebbe dovuto sentirsi spaventato, in trappola, eppure c'era qualcosa che gli impediva di provare paura e di reagire. Forse era la stanchezza; non si era mai sentito così spossato. O forse era qualcos'altro. C'era qualcuno accanto a lui, sdraiato sul pavimento come lo era lui. Aesar non sapeva chi fosse, ma sentiva di essere al sicuro. Sentiva che c'era un legame fra lui e la persona che gli stava accanto.
"Hm" mugugnò quella persona, e sembrava avere una voce femminile. "Elfo, sei vivo?"
Sì, senza dubbio una voce femminile, armoniosa e dolce come quella degli elfi, ma parlava nella lingua degli umani.
"Sono vivo" rispose, nella stessa lingua. "Chi sei?"
La creatura accanto a lui cercò la sua mano e la strinse. Anche le sue dita erano sottili e affusolate come quelle degli elfi. Aesar sentì di nuovo quella strana sensazione come se avessero un legame, e quel tocco gli fece battere il cuore un po' più forte.
"Sono un'amica. Ti prego, non avere paura di me. Non ho mai voluto farti del male."
Aesar compì il titanico sforzo di alzarsi seduto. Per un momento dovette lottare contro un capogiro.
Poi realizzò le parole di lei e gli venne quasi da ridere. Assurdo! Come avrebbe potuto avere paura di lei? Non aveva ancora visto quella donna eppure sentiva come di conoscerla da sempre.
"Non ho paura di te, non potrei mai avere paura di te…"
“Avevi paura di me fino a poche ore fa.” La donna accanto a lui si era alzata in piedi e ora stava facendo qualcosa in un altro punto della stanza. Aesar sentì il suono di sfregamento di un acciarino, poi una scintilla si trasformò in fiammella e la luce finalmente diede un senso al luogo in cui si trovava. La candela accesa era poggiata su un mobile coperto di boccette e pergamene, altre ampolle erano sistemate in ordine su scaffali che coprivano ogni parete, e dietro le ampolle c’erano libri. Non erano molti, c’erano più oggetti che libri, ma il luogo aveva senza dubbio l’aspetto di un laboratorio di qualche genere. Non era una prigione, come aveva inizialmente pensato. Di questo però si accorse solo con un angolo della mente, perché la maggior parte della sua attenzione venne deviata verso di lei.
Fino a un attimo prima non sapeva cosa aspettarsi, pensava forse che fosse un’elfa prigioniera come lui, o una mezzumana visto che parlava la lingua degli umani… non aveva nemmeno accarezzato il pensiero che potesse essere lei, la drow.
La sua prima reazione fu irrigidirsi, ma c’era ancora quella sensazione dentro di lui che gli faceva sentire un legame spirituale con l’elfa scura.
“Mi dispiace, mi sento così male. Ti ho spaventato e ti ho fatto pensare di non avere scampo. Sono così… è stato… mi dispiace.”
Aesar rimase a guardarla senza parlare per un lungo momento, senza sapere cosa pensare. Era una drow, ma non si stava comportando come lui si sarebbe aspettato. Sembrava che avesse una spiccata sensibilità, come un’elfa chiara. Possibile che stesse mentendo?
“Ma ero… morto?”
La drow fissò lo sguardo a terra.
“Forse è meglio se andiamo a parlarne davanti a una tazza di infuso. Non so tu, ma io mi sento il gelo fin nelle ossa.”
Aesar pensò che fosse strano voler rimandare un discorso così importante, ma annuì. In effetti, anche lui sentiva molto freddo in quella stanza sotterranea.

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Capitolo 24
*** 23. Leak ***


Genere: fluff
Note: questa storia si svolge più o meno nello stesso periodo di Mommy's Heart, prima di White lies


23. Leak


1357 DR, tarda estate, in una locanda vicino a Secomber

Johel era il padre più felice del mondo da quando Jaylah aveva imparato a stare seduta - cosa che era successa più o meno entro il suo quinto mese di vita - e da allora i due avevano passato molti bellissimi pomeriggi insieme. L’elfo faceva sedere la piccina sulle sue ginocchia e le cantava canzoni, le raccontava storie, a volte perfino le faceva fare il pisolino tenendola seduta sulle sue gambe, con la schiena e la testolina bionda appoggiate al suo petto.
Non era raro vederli insieme in quella posizione, Johel seduto su una sedia e Jaylah seduta in braccio a lui, mentre lui le mostrava qualche oggetto interessante o le leggeva un libro di cui lei provava impunemente a strappare le pagine. Altre volte la bambina sedeva rivolta verso suo padre, per guardarlo mentre le parlava o per giocare a battere le mani insieme. In quei casi bisognava sempre stare attenti che non cadesse, perché quando la piccola si emozionava tendeva a buttarsi all'indietro ridendo.
Comunque di solito erano momenti felici. Per questo, un giorno, Krystel rallentò il passo e smise di fare le sue faccende quando notò una scena insolita e allarmante: Johel teneva la bimba sulle ginocchia, come sempre, ma il suo sguardo era strano. Sembrava… perso. Desolato. Senza vita.
Jaylah invece era la stessa di sempre, ma stava cominciando a piagnucolare.
"Johel…?" Tentò la locandiera. "Qualcosa non va?"
L'elfo bisbigliò qualcosa che perfino le acute orecchie della drow non riuscirono a cogliere del tutto. Qualcosa come '…trato…'
"Come dici? Non ho capito"
Johel incrociò il suo sguardo e le rivolse un'occhiata smarrita. "Ha filtrato" ripeté, in tono indecifrabile.
"Che cosa ha filtrato?"
In silenzio, Johel indicò la figlioletta, che si era accorta dell'arrivo della sua mamma e stava piagnucolando per farsi prendere in braccio.
"Le fasce non hanno retto. Ha fatto… un lago di pipì, dev'essere. Forse un mare. Ha filtrato." Spiegò, sempre con quella voce monocorde.
Krystel lo fissò spiazzata per un secondo intero, poi scoppiò a ridere.
"È tutto qui? Mi stupisce che non sia successo prima!"
"Aiutami…" bisbigliò l'elfo, come in una supplica. "Se ora mi alzo colerà tutto fino alle scarpe."
Krystel fu mossa a pietà e sollevò in braccio Jaylah, senza curarsi di sporcarsi le mani, perché con i bambini andava così.
"Togliti le scarpe e lanciale lontano, poi alzati in piedi. Vai a cambiare i vestiti e metti quei pantaloni in ammollo, penso io a Geyla e al pavimento" gli venne in soccorso.
Johel la guardò con più affetto di quanto ne avesse mai manifestato prima, perfino a quando si scambiavano effusioni, perfino in camera da letto.
"Grazie. Davvero."
Krystel non voleva ridergli in faccia di nuovo, ma lui le stava rendendo la vita davvero difficile con quell'atteggiamento. Riuscì a controllarsi abbastanza, le sfuggì solo un risolino.
Mentre si allontanava con la bimba, pensò che Johel era decisamente un neofita. Di certo era un bene che almeno uno di loro due sapesse che cosa fare.

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Capitolo 25
*** 24. Extinct ***


Genere: lore
Note: se vi interessa la biblioteca di Candlekeep, ho trovato le mie informazioni qui


24. Extinct


1500 DR, biblioteca di Candlekeep

Alayne sollevò il sottile pennello e lo intinse nel rosso vermiglio. Era proprio la giusta tonalità di rosso, quella che cercava. Si morse il labbro inferiore, rileggendo i versi che l'avevano ispirata.
Qualcosa a proposito di come il popolo degli Imaskari era arrivato vicino all'estinzione, dopo un'antica guerra contro i loro schiavi in rivolta.
Vicini all'estinzione… si ripeté Alayne, rileggendo avidamente anche la cronaca dell'ultima battaglia, riportata verso il fondo della pagina.
Alayne era una miniaturista, e sperava tanto di essere presa a lavorare a Candlekeep. Sapeva che non si sarebbe trattato di un ruolo davvero importante, i miniaturisti abbellivano soltanto quello che i copisti avevano il delicato compito di tramandare fedelmente. Però anche solo poter accedere all'immensa biblioteca con cadenza regolare sarebbe stata una manna dal cielo per lei. Era un'artista, ma anche una accolita del clero di Oghma; non era ancora riuscita a stabilire una comunione con il suo dio, ma sperava che vivere in mezzo a quel tesoro di conoscenza la ispirasse e compiacesse il sommo Oghma.
Solo che, maledizione, all'esame per miniaturisti le avevano dato da illustrare una pagina che narrava di battaglie, sangue, morti ammazzati, vendette, estinzioni di popoli… Alayne trovava molto difficile concentrarsi e stava iniziando a pensare che l'esaminatore fosse un uomo veramente sensuale. I suoi pensieri stavano deviando totalmente dal compito di miniare i bordi della pagina.
Chiuse gli occhi e poi decise di concentrare la sua attenzione sugli spazi vuoti della pergamena, non sulle parole. Poggiò il pennello, si passò le mani sulla testa per controllare che i capelli biondi fossero ancora fermati dalle pinzette - e che le sue corna non fossero diventate visibili in quel momento di eccitazione - no, i capelli, si costrinse a focalizzarsi sui capelli e su quanto sarebbe stato sgradevole se una ciocca fosse caduta nel colore e avesse sporcato la pagina. Poi prese un altro respiro profondo e riaprì gli occhi. Poteva farcela. Riprese in mano il pennello e controllò che il colore non si fosse già seccato.

Quattro ore dopo, il monaco di mezza età che si occupava di valutare le prove degli aspiranti miniaturisti raccolse il suo lavoro. Alayne era stata l'ultima, dei cinque esaminati, a terminare. All'uomo bastò un'occhiata per notare la particolarità del suo operato.
Sollevò un sopracciglio, sentendosi suo malgrado un pochino a disagio.
"Siete stata molto… grafica." Commentò.
"Sì, signore. Trasporre lo scritto in arte grafica è il mio lavoro."
"Ma…" lui rifletté su qualche momento su come intavolare il discorso. "Di solito l'arte miniata, sebbene non si possa definire astratta, è leggermente più simbolica e allegorica di così." Tossicchiò. "Sebbene io non possa negare la cura e la… maestria… con cui avete dipinto questi rivoli di sangue, la piega delle interiora dell'uomo qui in basso, e il colorito realistico dei cadaveri… non posso fare a meno di notare che tutto questo sia" cercò di esprimersi con tatto "un po' disturbante, un po' oltre il necessario. È un lavoro… squisitamente realista, ma forse troppo realista."
La giovane accolita aveva unito le mani davanti al ventre in una posa apparentemente tranquilla, ma il monaco si accorse che le sue dita intrecciate erano in tensione. Aveva lo sguardo basso, le gote arrossate come chi ha appena corso una maratona, e c'era qualcosa di conturbante nel suo aspetto angelico che in qualche modo stonava. Inizialmente guardandola aveva pensato che fosse più che umana, forse una aasimar, una discendente di creature celestiali. Anche ora emanava quella stessa radiosa bellezza, ma gli trasmetteva un'impressione diversa.
"Questo testo è stato… molto difficile per me." Ammise lei. "È stata una dura prova e continuavo a… non so come spiegare. Quello che ho dipinto per me è simbolico e allegorico."
"Questo falco antropomorfo sta mangiando il cervello di questo soldato" indicò due piccole figure sulla pagina. "Posso vedere perfino le lacrime di dolore."
La donna aveva liberato una delle sue ciocche di capelli dalle forcine, e ci stava giocherellando con un dito come se fosse nervosa.
"Per me questo è simbolico, perché è un disegno. È il massimo del simbolismo che posso produrre in queste condizioni."
"...condizioni?"
La donna strinse gli occhi come chi raccoglie le forze per affrontare un discorso difficile, e quando li riaprì c'era una luce ferale nelle sue iridi dorate.
"Io ho sangue demoniaco nelle vene. Sto studiando per diventare sacerdotessa del dio della conoscenza, ma non è facile. È da quando sono bambina che ho imparato a sublimare certi impulsi, lo faccio soprattutto attraverso l'arte. Di solito cerco di non entrare in contatto con determinati argomenti. Cerco di concentrarmi solo su ciò che è bello, puro e vitale. Le mie illustrazioni sono spesso astratte, decorazioni, ghirigori, al massimo animali. Penso che potrei cavarmela bene con l'arte sacra, ma mettermi a miniare il racconto di una battaglia sanguinosa è stato…" trasse un profondo respiro, mentre il monaco ascoltava la sua spiegazione con interesse. "Quella roba è letteratura erotica per me."
"Addirittura" l'uomo sollevò entrambe le sopracciglia, colpito. Tuttavia non sembrava preoccupato. "Discendete per caso da un immondo dalla forte connotazione sessuale?"
La giovane annuì, tesa e rigida come una statua.
"Ma non state cercando di sedurmi, nemmeno per avere il posto" constatò lui.
"È pericoloso sedurre qualcuno quando sono in questo stato" confessò lei. "Potrei non mantenere il controllo. E poi sono qui proprio per avere meno contatti possibili con la gente. Idealmente vorrei seppellirmi in questa biblioteca, la più grande e la più completa al mondo, vivere della mia arte e usare la conoscenza qui contenuta per fare ricerche sulla mia natura. La mia condizione è particolare, non ho soltanto sangue demoniaco… è una storia lunga. Ora, sono consapevole che ai miniaturisti non è consentito di risiedere alla biblioteca tutto il tempo, ma sarebbe meglio di niente."
L'uomo sorrise e si passò una mano sulla barba corta, riflettendo velocemente.
"Quanti anni avete detto di avere?"
"Non mi è stato chiesto" rispose lei. Poi si accorse che il monaco si aspettava una risposta. "Circa centotrenta."
"E siete riuscita a trattenervi finora?"
"Sono cresciuta in seno alla chiesa di Oghma. Mi hanno studiata, ma in cambio mi hanno anche educata. Riesco sempre a controllarmi, ho dei desideri che… ma li tengo nella mia mente. Non ho mai ucciso nessuno."
L'uomo passò un dito sul lavoro di miniatura dell'accolita, studiando la sua tecnica e il suo tratto deciso.
"A parte l'eccessivo realismo, il vostro lavoro non è male. Vedo molta pratica e costanza nel vostro tratto. Potremmo fare uso di voi… ma sapete che i servizi dei miniaturisti non sono chiesti di frequente. Di solito non effettuiamo copie dei nostri tomi, lo facciamo solo quando qualche cliente facoltoso paga per avere questo privilegio, allora realizziamo una copia strettamente fedele all'originale. Però stiamo parlando di uno, due libri all'anno. C'è un altro servizio invece di cui abbiamo bisogno più di frequente: reperire libri rari. Il nostro Primo Lettore, una figura autoritaria molto importante nella nostra comunità, lavora senza sosta per ottenere nuovi libri per arricchire la biblioteca. È chiaro tuttavia che non lo fa senza aiuto: è a capo di un ufficio per la raccolta di tomi preziosi. Potreste lavorare per noi in veste di Trovatrice, un'inviata del Primo Lettore che viaggia per il mondo, o perfino per altri Piani, per questo nobile scopo. Vi permetterebbe di risiedere nella biblioteca quando non sarete in missione."

Alayne tentennò. Era una proposta allettante per la ricompensa promessa, ma terrificante per il compito che le si prospettava. Aveva cercato per tutta la vita di evitare il più possibile il contatto con la gente. Aveva vissuto come in clausura, cercando la pace nella contemplazione dell'arte e della natura. Non aveva nemmeno sviluppato quelle competenze sociali necessarie per trattare con il prossimo senza farsi fregare.
"Non lo so. Posso capire perché voi pensate che io abbia delle potenzialità per questo lavoro, ma fino a questo momento non ho imparato nulla di utile allo scopo. Non so contrattare, non so indagare, non so cosa aspettarmi dalle persone. Non so come reagirei se mi trovassi davanti… per davvero… una scena come quella di cui ho letto oggi."
Il monaco valutatore accolse il suo educato rifiuto con un'espressione seria è un po' severa.
"Avete paura della vostra natura. Avete paura di usarne tutte le potenzialità."
"Ho paura di quello che non conosco" confermò lei. "Mi è stato insegnato che il contrario della paura non è il coraggio, è la conoscenza."
L'uomo rigirò nella sua mente quell'obiezione, ci pensò per un lungo momento. "È sensato, ed è un'esposizione da perfetta accolita di Oghma. Modifico la mia proposta: vi accoglieremo come miniaturista, ma anche come Trovatrice in addestramento. Potrete risiedere nella biblioteca e fare le ricerche che vi occorrono, ma verrete anche istruita su come trattare con le persone e su come controllare i vostri istinti anche davanti alla tentazione. Se entro dieci anni non sarete giunta a riconsiderare la vostra decisione, i nostri rapporti di lavoro si interromperanno."
Alayne si prese il mento fra le dita e ci pensò per qualche momento. Era un'offerta vantaggiosa, che presentava potenziali guadagni per entrambe le parti.
"Questo è molto ragionevole. Quando posso iniziare?"
L'uomo sorrise, soddisfatto di averla convinta.
"Venite con me. Vi mostrerò la vostra nuova stanza e vi farò conoscere i vostri futuri colleghi."

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Capitolo 26
*** 25. Splat ***


Genere: malinconico, triste
Note: i pareri e i discorsi dei personaggi sono un riflesso del mondo in cui vivono, un mondo pseudo-medievale / pseudo-rinascimentale che presenta molti più pericoli del nostro. Questa storia si svolge circa un anno dopo Lei è mia e solo qualche mese prima dell'inizio di Jolly Adventures (e chi ha letto quella storia sa che cosa questo implichi)


25. Splat


1298 DR, primavera, in una locanda vicino a Secomber

Il pezzo di pane con burro e marmellata cadde giù dal seggiolone - venne lanciato, a onor del vero - e atterrò sul pavimento con un sonoro Splat!
Da questo suono, l'elfo scuro comprese che ovviamente era caduto sul lato imburrato. Era inevitabile. Avrebbe dovuto raccogliere i dati in una statistica, visto che tanto succedeva spesso.
Tuttavia non si adirò per quel piccolo disastro. Sorrise alla bambina nel seggiolone e le fece un gesto che lei conosceva bene: tenendo le mani parallele al terreno, schiacciò i palmi l'uno contro l'altro. La piccina sbottò a ridere, con quella sua risata quasi normale, ma acuta e disarmonica. Poteva sembrare solo una bambina che rideva in modo un po' strano, ma la sua famiglia conosceva la verità: lei non sentiva la sua stessa voce, né la voce degli altri. Quella risata era una reazione spontanea alle situazioni buffe, ma non era in grado di imitare, nemmeno inconsciamente, i suoni che emettevano le altre persone.
Il gesto che lo zio aveva fatto significava… non era facile da tradurre, era il gesto che lui faceva quando lei buttava a terra qualcosa, insieme a un'espressione falsamente esasperata. La bimba interpretava quella gestualità come "oggetto che cade" e "scherzo", ma non aveva le parole per quei concetti: erano solo impressioni e immagini nella sua mente. Quello era il gesto in risposta alla sua burla più classica.
In qualche modo lei sapeva che quell'adulto, il suo principale punto di riferimento, non era arrabbiato per le sue azioni. Dopo aver fatto quel gesto, lui aspettava sempre che lei lo imitasse con un gesto identico, e poi le sorrideva.

"Grazie per aver dato da mangiare alla bambina" lo chiamò Krystel, mentre lui puliva per terra. "Sei sempre molto…" esitò, e nel suo silenzio c'era un fiume di non detti. Avrebbe potuto dire gentile, avrebbe potuto dire disponibile, invece disse: "presente."
C'era qualcosa, nel tono in cui l'aveva detto, che suonava come 'dobbiamo parlare'. Daren lo percepiva a pelle. Qualunque maschio drow imparava molto presto a riconoscere la minima intonazione preoccupante nella voce di una femmina.
Solo che lui non capiva che cosa avesse fatto di male. Stava facendo del suo meglio per prendersi cura di Krystel e della bambina. Sua sorella aveva perso il latte poco dopo aver cominciato a svezzare sua figlia, quindi il passaggio al cibo semi-solido era dovuto avvenire più in fretta, più bruscamente. Krystel si sentiva in colpa per quello - sembrava che si sentisse in colpa praticamente per tutto - e faceva sempre più fatica a stare con la bambina, a darle quel contatto intimo che lei, com'era naturale per la sua età, cercava. Da allora se ne era occupato per la maggior parte lui. Era chiaro che le cose non stavano andando molto bene, e che Krystel non stava riuscendo a legare con la sua creatura come avrebbe voluto: l'ultima nata di casa non aveva ancora un nome, sebbene avesse già quasi un anno.
"Daren, per favore, possiamo parlare un momento?"
È quasi penoso avere sempre ragione, pensò il drow. Autoincensarsi era il suo modo di sdrammatizzare, perché aveva la sensazione che qualcosa stesse per succedere, certi nodi forse stavano per venire al pettine.
Annuì, ma non si alzò dalla sua sedia davanti al seggiolone. "Non ho ancora finito di darle la colazione. Butta per terra metà del cibo che cerco di infilarle in bocca. Possiamo parlare qui, la bambina è troppo piccola per capire."
"La bambina non ci sente. Smettiamo di far finta che non sia così."
"Puoi averne la certezza?"
"Daren, io non ti dico come fare il guerriero. Tu non dirmi come diagnosticare i problemi. La bambina non reagisce ai rumori forti, quando invece dovrebbe, quasi tutti i bambini si spaventano in caso di rumori improvvisi. È la natura che li crea in questo modo, fa parte della sopravvivenza."
Il drow si chiuse in un ostinato silenzio per qualche momento, aveva bisogno di riflettere e sì riparo dietro alla necessità di nutrire la nipotina. Riuscì a farle mangiare un pezzetto di pane morbido con burro e marmellata; la bimba era in grado di masticare la mollica di pane, visto che ormai aveva quasi tutti i denti da latte.
"Ma la natura deve aver creato questa bambina in qualche altro modo, allora, perché non ho dubbi che la sua esistenza sia naturale" ribatté alla fine.
"Ma certo che è naturale" confermò la strega, "solo che non è… completamente ottimale. Se non fosse una bambina, se fosse un animale del bosco, sarebbe grandemente a rischio per il fatto che non sente i rumori. Sono certa che, avendo la possibilità di crescere, con il tempo svilupperà dei metodi alternativi per percepire il mondo intorno a sé. E sono anche certa che ciò che tu mi hai insegnato, il modo di parlare con le mani, mi sarà molto utile. Impareremo a comunicare con lei."
"Ti sarà molto utile" ripeté l'elfo scuro, che aveva colto qualcosa. Parlando del futuro, sua sorella lo stava escludendo.
"Non posso sviluppare un rapporto con lei finché tu sei qui" finalmente Krystel indicò l'elefante nella stanza. "Ho bisogno di sapere che sono necessaria. Devo credere che mia figlia abbia bisogno di me. Se tu ti prendi cura di lei, se continui a farle da padre, io non sarò spronata a diventare una madre. Tu sei assolutamente meraviglioso con lei, se la situazione fosse diversa… se io mi sentissi in modo diverso, sarei molto felice di avere il tuo aiuto. Sarebbe fantastico averti qui per insegnare a tutta la famiglia a comunicare al meglio con il codice gestuale. E poi lo vedo come la bambina ti adora. Però quello è un mondo ideale; nel mondo reale io ho bisogno di legare con mia figlia prima che sia tardi."
Daren diede un altro pezzetto di pane alla piccola, guardandola mangiare con soddisfazione. Stava crescendo sana, forte, l'unico suo problema era l'incapacità di sentire ma secondo lui era una cosa in qualche modo superabile. Dopo tutto la piccola non era una drow del Buio Profondo. Poteva rimanere in Superficie, avere una vita protetta. Poteva fare a meno di lui.
L'elfo scuro si fidava del giudizio di sua sorella: se Krystel assicurava di potersi prendere cura della bambina, e che lo avrebbe fatto in sua assenza, lui non aveva dubbi che la bambina sarebbe stata in buone mani.
"Non sono sicuro di capire i tuoi sentimenti, sorella, ma se questo è ciò di cui hai bisogno allora io qui ho terminato il mio compito."
"Mi dispiace."
"Non capisco perché. Sei stata esaustiva nella tua spiegazione, potevi limitarti a darmi un ordine."
"Non dire sciocchezze, Daren. Pensavo che il nostro rapporto si fosse evoluto ben oltre quel punto."
"Io…" l'elfo scuro ci dovette pensare per un lungo momento. Non era abituato a prendere in esame i suoi stessi sentimenti. "Forse ho bisogno di questo. Ho bisogno di sapere che devo obbedire a un ordine. Così come tu dici che hai bisogno di credere di non avere scelta… anch'io."
Krystel non si lasciò ingannare dal suo tono neutro e lo strinse in un abbraccio fraterno, un abbraccio che diceva sia 'scusa' che 'grazie'.

Quello stesso pomeriggio Krystel accompagnò Daren nei pressi di Waterdeep con un incantesimo che le permetteva di aprire un passaggio di teletrasporto attraverso le piante. Era un modo molto rapido di viaggiare ma la strega non si sentiva sicura a spingersi più lontana dei luoghi in cui era già stata. Dalla città portuale, Daren aveva espresso l'intenzione di imbarcarsi su una nave - sotto mentite spoglie, naturalmente, perché i drow non sono bene accetti in Superficie - e veleggiare verso sud. Aveva un amico nella foresta di Mir, nel Calimshan, e non lo vedeva da almeno quattro anni. Era tempo di andare, di ricominciare la sua vita da viaggiatore e guerriero.

Nei mesi successivi Krystel riuscì a prendersi cura di sua figlia, per la maggior parte per senso del dovere. Un po' riuscì anche ad amarla, a stabilire un legame con lei, ma non era un legame spensierato o privo di nubi. Sul loro rapporto c'era sempre ad aleggiare lo spettro del rimpianto, del senso di colpa, e in piccola parte anche del rancore. Non verso la bimba, naturalmente, ma non di meno.

Alla fine la drow chiamò la piccina Tinefein, che per etimologia elfica significava Fanciulla silenziosa.
Era un errore comprensibile: Krystel non l'aveva mai sentita ridere.

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Capitolo 27
*** 26. Connect ***


Genere: fantasy
Note: seguito di Collide e Open


26. Connect


1308 DR, in una locanda vicino a Secomber

La stanza sotterranea era davvero vicina alla Superficie, vi si accedeva da un pozzo da cui Aesar poteva vedere il cielo stellato. Era una vista confortante, una piccola parte di lui fino a poco prima aveva ancora il sospetto di essere stato portato nel Buio Profondo. Invece la drow aveva detto la verità: erano da qualche parte nelle campagne colonizzate dagli umani.
"Io e mio fratello abbiamo camminato da stamane al tramonto per portarti qui, quindi la tua foresta non è troppo lontana. In un giorno di cammino sarai di nuovo lì… o in una notte di cammino, se desideri partire subito" lei gli illustrò le sue possibilità, indicando con la mano in una direzione che, dal colore del cielo e dalla posizione delle stelle, lui riconobbe come l'est.
"Vorrei ripartire, non sono a mio agio così lontano dal mio territorio. Però ti confesso che mi sento ancora debole, inoltre avrei davvero bisogno di lavare questi vestiti. Sarebbe troppo arrogante se chiedessi ospitalità per stanotte?"
L'elfo non ne era sicuro, ma per un momento gli sembrò che lei fosse sollevata.
"Non c'è problema, in effetti sarei più tranquilla se potessi ricontrollare le tue condizioni domani mattina. Questa era la prima volta che tentavo un rituale così ardito." I suoi occhi vagarono, come se stesse cercando qualcuno, ma non c'era nessuno oltre a loro nel cortile. "E poi ti avevo promesso un infuso caldo."

L'elfa scura guidò Aesar in un altro cortile più piccolo dove c'era una specie di fontana composta da tre vasche, basse e lunghe e di forma rettangolare. Non era un oggetto messo lì per gusto estetico, questo lui l'aveva capito con uno sguardo, ma non riusciva a indovinare cosa fosse.
"La vasca più in basso serve a lavare i panni" spiegò lei, notando la sua confusione. "Togli i vestiti e lasciali in ammollo, io vado a prendere qualcosa della tua taglia." Ciò detto, sparì in un edificio adiacente. C'erano così tante case di pietra e legno in quel luogo, eppure non aveva visto nessun altro. Era un villaggio abbandonato? Ma tutto sembrava in buono stato di manutenzione…
Cominciò a togliersi i vestiti. All'inizio cercò di capire se ci fosse ancora qualcosa di salvabile, ma no, la morte non è mai gentile con gli indumenti. La sua camicia era lorda di sangue, i suoi pantaloni… meglio sorvolare. In quel momento avrebbe ucciso per potersi fare un bagno.
"Posso lavarmi nella vasca inferiore prima di lavare i vestiti?" Chiese ad alta voce, sperando che lei lo sentisse.
"Ma l'acqua è fredda" sembrava stupita mentre usciva da quell'edificio con dei panni in mano.
Aesar fece spallucce. "Mi lavo sempre in acqua fredda. Qui non lo fate?"
"No, qui siamo viziati e la scaldiamo, ma fai pure come vuoi" concesse lei, girandosi per pudore mentre l'elfo finiva di spogliarsi.

Aesar si immerse nella fontana, facendo strabordare un po' d'acqua. Non aveva sapone, ma potersi lavare anche solo con l'acqua era un sollievo. Dalle vasche superiori l’acqua ruscellava in quelle inferiori, creando un ricircolo che poco alla volta rimosse la sporcizia.
Cercò di pulirsi più in fretta possibile, perché il clima non era mite di notte, nemmeno nella bella stagione. Era una situazione stranissima, era appena morto e tornato in vita e ora si trovava in un cortile di un edificio umano, in ammollo in un lavatoio, con la sola compagnia di una drow e del cielo stellato sopra di lui. Assurdo.
Inoltre aveva degli strani simboli sui palmi delle mani, e ne aveva uno simile sul torace. In effetti, ricordò, la sua camicia era aperta quando si era svegliato. Quei simboli facevano parte del rituale?
Pochi minuti dopo l’elfo dei boschi si alzò e uscì dalla vasca. Sentendo il rumore di sciabordio, la ragazza gli porse un telo senza nemmeno girarsi a guardarlo.
In pochi momenti Aesar fu asciutto e vestito, anche se gli abiti che indossava gli calzavano stranamente, troppo stretti in certi punti e troppo larghi in altri. Il tessuto era caldo e abbastanza morbido, quantomeno.
“Vieni. Ti porto in infermeria. Resterai lì stanotte.”
“Ma sto bene…”
“Non lo sappiamo per certo. Seguimi, ti prometto che è confortevole.”

Era confortevole davvero. L’infermeria era un edificio a parte - Aesar non aveva mai visto un accrocchio di edifici di pietra così tutti l’uno addosso all’altro, ma la drow gli aveva spiegato che era un’ex-abbazia - e avevano dovuto scavalcare un muretto per arrivare lì. L’alternativa, a detta di lei, sarebbe stata fare tutto il giro del complesso e non ne valeva la pena.
Appena aperta la porta di legno, erano stati accolti da un piacevole tepore e un profumo di erbe essiccate. La giovane gli fece cenno di accomodarsi sul letto e andò a mettere un bollitore sul fuoco.
“Il fuoco qui è sempre acceso, è magico” si degnò di spiegare. “E c’è anche un oggetto incantato che produce acqua pura all’infinito. Sai, così non si rischiano avvelenamenti.”
“Chi potrebbe volervi avvelenare?” Domandò lui, trovando assurda quell’idea.
“Oh, be’…” lei ci pensò un momento. “Non lo so. Ma siamo drow, non tutti sono felici che viviamo qui.”
“Continui a parlare al plurale” notò lui, sedendosi infine sulla branda che lei gli aveva indicato. Era più morbida del letto che aveva in casa sua, probabilmente ne avrebbe ricavato solo un mal di schiena. “Però io non so niente di te, nemmeno il tuo nome.”
“Oh. È vero. Mi chiamo Kore. Quando parlo al plurale, intendo me e la mia famiglia.”
“Un’intera famiglia di drow vive qui?”
“Uhm. Non proprio. Solo io e mia madre siamo drow di sangue puro, mio fratello e le mie sorelle sono… sai, mezzi e mezzi. Ma io ti ho detto il mio nome, potresti ricambiare.”
“Scusa. Aesar. Il mio nome è Aesar Sarsantyr.”
“Aesarsar… scusa, sembra uno scioglilingua. È tutto il nome, o c’è anche il cognome?”
“No, Aesar è il mio nome e Sarsantyr è il mio cognome” chiarì lui. Poi realizzò una cosa, e sbiancò. “Ma tu sei una maga o qualcosa del genere? Forse non dovevo dirti il mio nome.”
“Ah, ma grazie! Che bella manifestazione di fiducia. Potevo lasciarti morto, lo sai?”
L’elfo arrossì. “S-scusa. È solo che è così difficile. Tu sei drow, e fidarmi va contro tutto quello che mi è stato insegnato.”
Kore atteggiò il volto in un broncio, ma non rispose. Invece, tolse il bollitore dal fuoco, versò l’acqua bollente in una teiera e preparò un infuso con alcune erbe.
“Senti, Aesar… non importa” sospirò lei. “Fai quello che ti pare. Domattina te ne andrai e se tutto va bene non ci vedremo mai più, quindi non mi cambia niente se ti fidi di me o no. Adesso prendi questo infuso, dovrebbe metterti un po’ di colore sulle guance. Poi me ne andrò e ti lascerò riposare. Domattina riavrai i tuoi vestiti e tanti saluti.”
Kore gli porse un bicchiere in cui aveva appena versato del liquido fumante. Aveva un buon profumo di fiori e sottobosco e cose vive. In quel momento lui ne aveva un gran bisogno.
"Che cosa sono i simboli che ho sulle mani e sul petto?" Domandò lui di punto in bianco, mentre aspettava che il suo infuso raggiungesse una temperatura accettabile.
Kore fece un'espressione strana, difficile da leggere. "Ah. Quelli. Facevano parte del rituale… li ho anche io" rivelò, mostrando il palmo di una sua mano.
Aesar notò che i simboli erano perfettamente simmetrici, e quelli sulle due mani erano uguali. Se lei si fosse messa di fronte a lui come uno specchio, i loro simboli sarebbero risultati identici, ma anche se si fosse messa accanto a lui ed una terza persona li avesse confrontati sarebbero risultati identici. Il pensiero era ridicolo, un concetto che di solito si applica solo alle parole, ma Aesar aveva la sensazione di essere diventato palindromo.
"Ah… e a che servono?"
L'elfa scura deviò lo sguardo verso le proprie dita, come se stesse valutando le sue unghie. In realtà voleva solo evitare di guardarlo negli occhi.
"Quelli ti tengono in vita" confessò.

Aesar spalancò gli occhi e raggelò.
"Come? Pensavo che mi avessi riportato in vita"
"È così" si difese lei "ma sono soltanto un'apprendista, e non avevo nessuno a cui chiedere aiuto. L'unico rituale alla mia portata era questo: condividere con te la mia energia vitale per farti tornare in vita."
"D'accordo, sono vivo, ma mi stai dicendo che non sono indipendente? Che in qualsiasi momento tu potresti… cambiare idea, cancellare tutto e io morirei?"
"N… no, questo non posso farlo. È come se avessi firmato un contratto, i simboli che abbiamo sul corpo sono sigilli. Creano un canale di energia vitale fra noi che fluisce in una direzione, da me verso te. Entrambi ci sentiremo più deboli rispetto a prima, perché l'energia vitale di una sola persona è divisa in due. Se io dovessi morire, allora tu moriresti quasi subito. Se tu dovessi morire, io smetterei di condividere la mia forza vitale e tornerei come ero prima. Questi sono i limiti del rituale."
"Quindi siamo legati a doppio filo" mormorò lui, terreo in volto.
"Non siamo legati, siamo liberi di continuare la nostra vita separatamente. Però siamo connessi, e lo saremo fino alla morte di uno dei due. Mi dispiace, questo era il meglio che potevo fare."
Aesar tacque per un lungo momento e poi prese una sorsata di infuso. Era buono, ma non ci fece caso.
"Uccidendomi ti ho tolto metà della tua vita" considerò infine. "Perché hai fatto una simile pazzia? Io per te non lo avrei fatto. Eravamo estranei."
"Ti sei ucciso per colpa mia" gli ricordò la giovane. "Ce l'hai un'idea di come mi sia sentita? Io non sono un'assassina. Non avrei potuto vivere con questo peso. E poi non ho mai detto che la nostra durata di vita si sia accorciata, vivremo per tutto il tempo che a due elfi è dato di vivere, saremo solo più fragili. Saremo più vulnerabili al freddo, alle malattie, probabilmente anche alla fatica. Per un po' sarà come vivere una vita a metà, ma credo che sapremo adattarci."
"Perdona la schiettezza, chi diamine ha inventato un rituale così poco efficiente?"
Kore tornò a fissarsi le mani.
"La magia richiede sempre un prezzo. Quando sei bravo, quel prezzo è irrisorio. Può essere una componente materiale, oppure un po' della tua fatica mentale. Quando non sei ancora esperto ma vuoi ottenere comunque grandi risultati, come richiamare qualcuno dal dannato mondo dei morti, devi accettare di pagare un prezzo molto più alto. Quel rituale è stato creato da una ragazza come me, un'apprendista. La leggenda dice che volesse riportare in vita il suo amore, e che dopo di allora vissero - fragili - ma felici e contenti. Se fossi stata più esperta avrei potuto darti di più, e risparmiare a me stessa il disagio che provo."
Aesar arrossì, un po' per la vergogna e un po' per qualcos'altro che non riuscì a identificare. "Non volevo offenderti. Hai fatto anche troppo per me" mormorò.
"Non cominciare con questa storia anche tu, mi sembra di sentire mio fratello" Kore buttò giù in un sol sorso quel che restava del suo infuso e si alzò in piedi. "È stata una mia scelta, fine del discorso. Adesso riposa, domani ti attende un viaggio impegnativo."
La drow mise la sua tazza in un catino pieno d'acqua e lo istruì di fare altrettanto quando avesse finito, poi lasciò l'infermeria.
Aesar la guardò uscire senza un fiato, ma dentro di sé era un po' a disagio. Era in un edificio di pietra, molte miglia lontano da casa sua, con persone sconosciute fra cui forse Kore era la sua unica alleata. Nonostante la stanchezza non sapeva se sarebbe riuscito a fare la reverie, la meditazione rilassante che fanno gli elfi al posto di dormire.
In quel momento desiderò che lei fosse rimasta. Si sarebbe sentito meno solo e spaesato, e poi… c'era qualcosa di allettante nell'idea di meditare accanto a lei. Quando si era risvegliato nella stanza sotterranea, dopo il rituale, aveva sentito una connessione emotiva tra loro che poi però si era affievolita ed era scomparsa mentre la loro mente cosciente prendeva il sopravvento. Forse entrare in trance insieme a lei avrebbe permesso a entrambi di sentire di nuovo quella connessione. Era stato così piacevole.

All'epoca nessuno dei due si accorse del problema: il fatto che la creatrice del rituale e il suo innamorato avessero poi vissuto felici e contenti non era una garanzia che altri lo avrebbero fatto. Anzi.

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Capitolo 28
*** 27. Spark ***


Genere: fantasy
Note: seguito di Stuck e di Sprout


27. Spark


1371 DR, cittadina costiera di Leilon

A Sharova bastava solo una scintilla. Il suo piano non era il massimo dell'eleganza, ma al momento non sapeva produrre nulla di meglio.
La bambina era nata da pochi giorni, era arrivata senza preavviso e quasi senza dolore. Era stato un buon parto, se non altro. Veloce. Non era la norma con i mezzi umani. La succube si riteneva fortunata.
Ciononostante aveva sperato di avere a disposizione un po' più di tempo. La nave che trasportava quel sacerdote di Waterdeep sarebbe arrivata da un giorno all'altro e lei non era comunque al massimo della sua forma fisica. Inoltre avere la responsabilità di una creatura fragile era una cosa che le dava sui nervi.
La neonata aveva bisogno di mangiare e di dormire, come il suo genitore umano. Che fastidio. A causa di ciò aveva dovuto reclutare una balia, e quindi tutto il paese aveva saputo subito che il lieto evento era finalmente accaduto: Leilon era una cittadina piccola, dove nessuno si faceva i fatti suoi. Sharova aveva sempre più voglia di massacrare tutti e lasciare solo delle rovine dietro di sé.
Il suo amico accolito di Lathander era stato il primo a congratularsi e ad offrirle il suo aiuto. Era stato lui a trovarle la balia, quindi si era rivelato utile dopotutto. Era anche un po' risentito che lei non lo avesse mandato a chiamare quando era giunto il momento, ma lei mentì dicendo che era accaduto di notte e che non aveva voluto disturbarlo. Alla fine era andato tutto liscio, e la bambina era sana.
Comunque secondo Sharova la neonata era una maledetta ragade. Le causava solo fastidi. Piagnucolava, la costringeva ad avere contatti sociali, produceva escrementi a ciclo continuo. Come facevano gli umani a sopportare tutto quello ogni volta che gli nasceva un pupo?
L'unico aspetto positivo della cosa era che la piccola sembrava aver ereditato molti dei tratti di Sharova: era molto bella, per quanto si potesse capire di una neonata: i suoi tratti erano perfetti e simmetrici. Aveva brucianti occhi rossi e delle minuscole ali da pipistrello sulla schiena, e le sue dita avevano dei piccoli ma ben definiti artigli al posto delle unghie. La succube aveva dato una lunga occhiata soddisfatta alla sua piccola alu-demone (così venivano chiamate le figlie di succubi e umani) e poi con un sospiro aveva usato un incantesimo per trasfigurala in una neonata umana. Non poteva permettersi che la balia oppure l'accolito si accorgessero di qualcosa.
Nel frattempo, non poteva limitarsi a fare la mamma a tempo pieno. Doveva anche pensare a un piano per mettere le mani sull'artefatto che al momento era sotto la custodia dei preti. Ma, per tornare alla sua riflessione ricorrente, non aveva bisogno di rubare la pietra magica. Le bastava una scintilla.
In pratica doveva avvicinarsi alla pietra quel tanto che bastava per fare in modo che sua figlia la toccasse. A quel punto, le energie sacrileghe della bambina avrebbero per natura attirato altre energie della stessa polarità, e la piccola mezzumana sarebbe diventata un demone completo, auspicabilmente un'altra succube.
Quello che le serviva, adesso, era un diversivo. Qualcosa che tenesse impegnati i sacerdoti mentre lei si intrufolava fra i loro ranghi e si avvicinava alla meta. Per fortuna era una maga esperta, capace di evocare creature, e nei Piani Inferiori aveva ancora qualcuno da cui riscuotere favori. E c'era qualcun altro che sicuramente avrebbe potuto persuadere con le sue arti femminili.

Tre giorni dopo la pietra magica che Sharova e il suo defunto compagno mago chiamavano Faro venne scortata fuori dal tempio di Lathander. I sacerdoti l'avevano chiusa in una cassa di metallo, un oggetto ingombrante e pesante che sembrava fatto d'oro (di cattivo gusto, secondo lei, come qualsiasi oggetto e ornamento creato dai fedeli di Lathander). Quell'oggetto emanava un'aura sacra ed era così pesante che era stato caricato su un carretto.
Un oggetto di così grande valore, anche solo per il fatto che la scatola era d'oro, avrebbe attirato facilmente briganti e altre creature di quella risma, quindi era guardato a vista dai chierici e dai pochi paladini del tempio.

Di sicuro si aspettavano qualche problema, ma non una piccola orda di demoni minori guidati da una coppia di vrock, creature abissali che parevano l'unione blasfema fra uccelli rapaci e umanoidi. I due vrock erano abbastanza intelligenti da collaborare fra loro e guidare i mani - demoni della più infima specie, pericolosi solo per il loro numero - con una strategia accettabile.

La succube assisteva allo scontro da una certa distanza, protetta da un incantesimo di invisibilità. Valutando lo stile di combattimento dei demoni capì che non sarebbero durati a lungo. Ma l'aveva previsto. Non voleva che durassero a lungo. Aveva dato loro informazioni parziali perché temeva che cercassero di soffiarle il suo premio, se avessero intuito la vera natura dell'oggetto nella cassa d'oro.
I vrock non sapevano che si sarebbero trovati contro dei chierici addestrati. Sharova aveva poco tempo per agire, ma era pronta. Lei si sarebbe concentrata sulla cassa.
Reggendo la bambina nell'incavo del gomito sinistro, puntò la mano destra verso il carretto che i chierici stavano difendendo. Un raggio verde di energia distruttiva partì dal suo dito indice, colpì il grosso bagaglio e, nonostante quello emanasse un'aura sacra, l'incantesimo della succube fu sufficiente a spezzare il metallo. La cassa avrebbe dovuto disintegrarsi, invece si fratturò e cadde in pezzi, ma l'obiettivo era comunque raggiunto. Sharova tornò visibile a causa dell'incantesimo che aveva lanciato, e con lei anche la bambina. Ma ormai era fatta. Un ultimo sforzo. Un ultimo rischio.
Sharova si gettò nella mischia, puntando direttamente alla pietra magica seminascosta dai frammenti dorati.
Doveva solo fare in modo che la bambina toccasse il Faro. Anche sbattendocela contro se necessario.
E ci riuscì. Evitando per un soffio una mazzata diretta alla sua testa, Sharova spinse il suo fagottino contro la roccia.
A quel punto percepì una scintilla che passava dall'artefatto alla neonata. L'energia stava fluendo, direttamente dai Piani Esterni, il suo intrigo aveva funzionato!
In quel momento accaddero due cose: la succube iniziò a sentire un senso di nausea, e la piccola alu-demone scoppiò a piangere. Non un pianto qualsiasi da bambino piccolo, ma proprio il grido disperato di una creatura al limite. Un grido di dolore e paura e tutto, così straziante che perfino una madre degenere come lei si sentì un pochino in colpa.
Qualcosa stava andando storto.
Fu allora che Sharova capì.
Non era la cassa dorata a emanare quell'aura di Bene, o non soltanto la cassa. La pietra era stata purificata. Questo lo sapeva già. Ma che fosse stata anche consacrata… non lo credeva possibile. Magari la semplice permanenza in quel tempio aveva influenzato la pietra e le energie che veicolava? Quando era nella torre del mago la sua influenza era sempre stata casuale, attraeva creature buone e malvagie in egual misura.
Adesso invece, la natura della pietra era cambiata. Che fosse temporaneo o definitivo, Sharova non lo sapeva, ma sapeva che il suo esperimento era fallito.
Anzi peggio, la bimba era stata contaminata.
Sharova scoccò uno sguardo di disgusto alla bambina, come se fosse un sacco di spazzatura. Che fastidio. Tanta fatica per niente.
Un sacerdote notò che la succube era distratta e, non capendo cosa fosse il fagotto urlante che aveva in braccio (l'urlo della creatura non aveva niente di umano!), tentò di nuovo di attaccarla lanciandole contro un incantesimo sacro.
Sharova gli scagliò in faccia la bambina urlante, come se fosse stata una palla di stracci. Questo distrusse la sua concentrazione, ma i suoi riflessi lo salvarono dal prendersi un'infante in piena faccia. Acchiappò al volo il fagotto, e solo allora comprese che era una creaturina. Per fortuna della piccola, i mezzi demoni sono molto più resistenti dei normali bambini umani.
Sharova approfittò di quel momento di distrazione per teletrasportarsi via.
Il suo piano, curato così a lungo, portato quasi a compimento, infine era fallito perché aveva sottovalutato gli umani. Mai una gioia.

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Capitolo 29
*** 28. Crispy ***


Genere: slice of life
Note: sequel lasco di Tavern


28. Crispy


In qualche tempo e in qualche luogo del multiverso, in una locanda molto strana

"Ascolta, c'è un tempo per ogni cosa, e quel tempo è passato da almeno due minuti. Devi girare quella pancetta."
"No, invece, non sfrigola abbastanza. La pancetta la giri una volta sola, non la devi continuamente voltare di qui e di la."
"Sinyel, no. Sul serio. Più la giri e meglio è, serve una cottura uniforme." Il bardo cercò di strapparle di mano la forchetta, ochieggiando la padella con preoccupazione.
"Non hai mai cucinato un uovo in vita tua e adesso mi dai lezioni?" La mezzelfa scoccò un'occhiataccia al cugino e lottò per conservare il possesso della forchetta, riuscendo infine a spuntarla. Ci volle solo una piccola, gentile gomitata nelle costole per farlo desistere.
"Sono pigro, non incapace. La brucerai" mugugnò lui massagiandosi la parte offesa. "La nostra povera colazione."
"Asciugati la lacrimuccia, e torna a pelare radici. Alla colazione ci pensa la professionista. La pancetta deve essere croccante."

Qualche minuto dopo, Gylas e Sinyel stavano seduti al tavolo dello staff di cucina, intenti a guardarsi in cagnesco. Maude, la taverniera, aveva preparato una buona tisana importata da un qualche Piano dove l'albero del tè aveva foglie piccanti. C'era anche del succo dal sapore dolce e avvolgente, spremuto da un frutto che cresceva solo su Monte Celestia. Tutto meraviglioso, ma non poteva cancellare il fatto che la loro pancetta fosse carbonizzata.
Il mezzelfo avrebbe volentieri detto qualcosa come 'te l'avevo detto', o anche 'croccante, le mie palle', ma sapeva che era una pessima idea provocare sua cugina: lei picchiava più forte. I suoi nocchini erano leggenda.
"Mia cara, ancora un po' di pratica e potrai cucinare per i clienti" Maude aveva sempre una parola gentile, ma fu con una certa mestizia che raccolse i loro piatti di pancetta, che non era stata toccata. Nemmeno Sinyel si era azzardata a mangiarla, era così carbonizzata che avrebbero potuto usarla per scrivere per terra.
"Ooooh, croccante!" Il loro collega Dzulum, un genasi del fuoco che lavorava lì già da un paio d'anni, intercettò i piatti prima che il loro contenuto fosse buttato nella stufa. "Molla il bottino, Maude, ho passato la notte a pulire i resti di cose che non so neanche nominare. Mi merito la colaz… cena."
Sinyel e Gylas lo fissarono attoniti e in silenzio mentre mangiava con gusto e si lanciava in lodi sperticate. Alla fine, Sinyel sfoggiò un sorrisetto fiero.
"Be', almeno lui mi supporta. Potresti prendere esempio, cugino" lo punzecchiò.
"Come no. Se tutti i nostri clienti fossero creature legate al fuoco, saresti già la cuoca migliore del Quester's Club!"
Sinyel ridacchiò, e anche Gylas si unì alla sua risata.

Ancora qualche mese e forse sarebbero riusciti a tornare a casa, lasciandosi alle spalle quella locanda piena di casi umani - e non umani - che ogni giorno vomitava nuovi incubi. Forse la pancetta non gli aveva risollevato il morale, ma quella svolta divertente sì, e ogni occasione per ridere era preziosa in quel luogo.

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Capitolo 30
*** 29. Patch ***


Genere: fantasy
Note: seguito di Collide, Open e Connect


29. Patch


1308 DR, inizio autunno, Grande Foresta

"Aesar, te ne devi andare."
Solitamente Duvainion, il druido mezzelfo, non era così scortese. Lo si poteva accusare di essere un po' freddo, ma non maleducato. Era chiaro però - sia dal suo tono che dalla mancanza di convenevoli - che aveva una certa familiarità con Aesar e che ne era esasperato.
"Devi permettermi di vederla. Ti prego! Sai che non ho cattive intenzioni, non potrei mai farle del male. Io la amo dal profondo del cuore" protestò l'elfo dei boschi con atteggiamento febbrile, ma sincero. L'elfo ultimamente era così emotivo che non avrebbe saputo mentire nemmeno se ci avesse provato.
"Sono quasi due settimane di cammino dal tuo villaggio alla casa della mia famiglia, sei qui tutti i mesi, praticamente arrivi a casa tua solo per far sapere ai tuoi compari che sei vivo e poi riparti?"
L'elfo giocherellò nervosamente con il laccio della faretra. "Non posso fare diversamente. Lei mi riempie la mente e il cuore. Sono vivo grazie a lei, sento la sua continua vicinanza spirituale eppure fisicamente siamo così lontani! Questa distanza è una tortura. Come posso stare separato da lei?"
"Aesar, ascoltami, non è un sentimento reale. Ti è stata restituita la vita, ma non la stai vivendo appieno."
"Ma questa non è la mia vita, è la vita di Kore. Io esisto perché lei ha condiviso la sua essenza vitale con me. Il mio cuore è pieno solo di amore e gratitudine, mi sembra che tutto il mio mondo giri intorno a lei. Questo sentimento è reale, tu non puoi capire. Non può essere nient'altro che amore, e non può essere nient'altro che reale. È tua sorella, dovresti sapere benissimo che è una persona amabile."
Duvainion rifletté su quelle parole, ma un fratello non è la persona giusta per stabilire se sua sorella sia amabile, perché i parenti stretti conoscono i reciproci difetti meglio dei pregi.
"Uhm. Certo. Se vuoi qualcuno che rubi il tuo mantello per ritagliarlo e farne vestiti per le bambole. Io non ho bisogno di questo tipo di negatività nella mia vita" scherzò.
"È una cosa che ha fatto quando era bambina?" Chiese l'elfo, intenerito. "Vorrei tanto sentire altre storie su di lei. Mi permetterebbe di sentirla più vicina anche quando siamo lontani."
"Non credi invece che dovresti cercare di fare l'opposto? Secondo me tu dovresti cercare di non pensare a lei. Dovresti andare avanti con la tua vita, che è tua, indipendentemente dalla sua origine. Tu sei libero. Trovati un'elfa se proprio sei affamato di amore. Una del tuo popolo, che capisca ai tuoi valori, che possa viverti accanto. Non c'è futuro per te e Kore insieme. Lei non sarebbe accettata dalla tua gente, e tu non vuoi vivere fuori dalla foresta."
"Potrei farlo!" Obiettò lui. "È vero che non sarebbe il mio ambiente, ma per Kore posso adattarmi, posso fare dei sacrifici. Lo sanno le stelle se lei non ha fatto sacrifici per me."
"E non hai pensato che forse lei non vorrebbe tutto questo? Mia sorella voleva soltanto che tu potessi ricominciare, non che tu diventassi ossessionato da lei e che rinunciassi alla tua normalità per lei."
"Non sono affatto ossessionato" l'elfo sembrava convinto e sincero, ma se era ossessionato ovviamente non poteva accorgersene "ho solo capito quello che era inevitabile capire, cioè che Kore è la persona migliore che abbia mai conosciuto e che non sarò mai felice se non potrò stare con lei. Se lei dovesse rifiutarmi, io farò tutto il possibile e anche l'impossibile per diventare la persona che lei vuole."
Duvainion si massaggiò le tempie con le mani, rimpiangendo il giorno in cui si era offerto di aiutare Kore. Perché naturalmente toccava a lui intercettare il molesto corteggiatore di sua sorella prima che uscisse dalla foresta e arrivasse alla locanda della sua famiglia. E ci riusciva, per fortuna, ci riusciva quasi sempre. L'elfo era furtivo ma Duvainion era un druido: poteva contare su una rete di spie fra gli animali della foresta.
"Kore ha cinquant'anni, è una ragazzina, non credo che l'amore sia già nei suoi pensieri. Ti rendi conto di quanto la tua insistenza sia inquietante?"
"Ha solo vent'anni meno di me, posso aspettare che maturi, non mi sognerei mai di impormi su una ragazzina. Chiedo solo di poterle parlare, di poter stare al suo fianco finché non sarà pronta…"
"Aesar, no. Non è giusto. Non la lasci in pace. Le stai facendo pagare un prezzo terribile per avere scelto di aiutarti, gli atti di gentilezza non dovrebbero essere puniti in questo modo."
"Ma non voglio altro che il suo bene! Come posso farle del male se ho delle intenzioni così pure?"
"Perché" Duvainion si sforzò di spiegargli quel concetto per l'ennesima volta, come se stesse parlando con un bambino, "lei si sente male sapendo di averti tolto la possibilità di scelta. E inoltre, non ti ama, per lei sei uno sconosciuto e lei è una sconosciuta per te. Il tuo attaccamento è morboso e sbagliato e temo che sia un effetto collaterale del rituale che ha usato."
"Non sono uno sconosciuto per lei! Lei non è una sconosciuta per me! Non dire eresie, abbiamo condiviso cose che non puoi capire, le nostre anime sono collegate."
"Aesar, senti, so che non sei una cattiva persona. Voglio darti la possibilità di rispettare il desiderio di mia sorella e, se preferisci vederla in questo modo, di rispettare i suoi tempi. Concedi anche a te stesso la possibilità di capire se la distanza ti permetterà di pensare ad altro, di rifarti una vita."
"E se non volessi cogliere questa possibilità?" L'elfo gli lanciò un'occhiata di sfida.
"Se non torni indietro subito ti ci faccio tornare a calci."
Duvainion non avrebbe voluto usare la violenza, perché capiva che l'elfo non era completamente in sé. Era colpa della scellerata idea di Kore, fare un rituale così pericoloso di cui capiva a malapena le implicazioni. Ma se lei era stata spinta a tentare quella strada pericolosa, era di nuovo per colpa di Aesar che aveva avuto la pessima idea di uccidersi davanti alla sua sensibile sorellina. Ecco forse questo era l'unico motivo per cui il mezzodrow poteva desiderare di prendere a calci l'elfo dei boschi.
Finora non erano mai arrivati alle armi, Aesar per sua stessa ammissione non voleva combattere contro un parente di Kore, perché temeva che in questo modo lei non l'avrebbe mai amato. Ancora una volta il druido riuscì ad allontanare il fastidioso pretendente con le parole e con le minacce, ma lui stava diventando sempre più insistente e Duvainion sapeva che presto sarebbe giunto il giorno in cui le parole non sarebbero più bastate.

"Due giorni fa ha tentato di nuovo" il druido fece rapporto alla sorella, qualche tempo dopo.
"E il mese scorso ci è riuscito" sospirò lei, sconsolata.
"Mi dispiace che sia riuscito a sfuggirmi. E dobbiamo mettere in conto che nei prossimi mesi la situazione peggiori. In inverno parte degli animali che mi aiutano nella sorveglianza andranno in letargo o saranno migrati al sud. Fra qualche tempo sarà molto più difficile tenerlo d'occhio."
"Senti… Io credo che dovremmo dirlo a mamma" si arrese lei.
"Ma eri contraria a dirglielo. Dicevi che si sarebbe arrabbiata."
"Oh, sono convinta che si arrabbierà. Ho toccato uno dei suoi tomi proibiti. Ma Aesar si trova in una sorta di schiavitù dell'anima e io non volevo questo. La sua libertà è più importante della rabbia di nostra madre."
Duvainion distese le labbra in un sorriso, una vista inusuale sul suo volto legnoso. Gli tornarono in mente le parole dell'elfo.
"Aesar ha un'alta opinione di te, pensa che tu sia gentile e altruista. Forse almeno questo è un sentimento sincero, perché credo che abbia ragione."
"Non lo so… mi sono immischiata nei suoi affari. Prima ho causato la sua morte e poi gli ho impedito di trovare serenità nell'aldilà, credevo di fare bene ma non penso che stia trovando serenità in questa vita quindi forse sarebbe stato meglio lasciarlo andare" Kore si sedette su una radice e si nascose il volto fra le mani. "Oh, Duv, che cosa devo fare?"
Il druido non aveva una risposta. "Credo che la tua idea di dirlo alla mamma sia valida" si avvicinò alla sorella e le scompigliò i capelli. "Sei una brava ragazza, sai quello che è giusto fare. Adesso torna a casa, non è sicuro per te rimanere qui al confine della foresta, quel matto potrebbe cercare di avvicinarsi."
"Sì, ora vado… ma non sappiamo quando mamma abbia intenzione di tornare. In realtà non so nemmeno dove lei e lo zio siano andati."
"Possiamo sempre chiamarla. Inviare un messaggio magico. Non è un rituale complesso, e sai che tornerebbe subito se pensasse che qui ci sono dei problemi."
Kore sospirò per l'ennesima volta. "Sarebbe già abbastanza brutto doverglielo dire se fosse qui. Doverla anche richiamare quando finalmente aveva deciso di prendersi un po' di tempo per se stessa, mi sembra un'aggravante."
"Sciocchezze, non aveva sicuramente intenzione di stare via più di qualche mese. Pensaci, Tinefein ha soltanto undici anni. Quanto a lungo mamma vorrà stare separata dalla sua figlia più piccola?"
"Hm, sì, anche questo è vero. È molto probabile che torni prima dell'inverno. E quando tornerà, le parleremo di Aesar."
"E se tardasse a tornare, le manderemo un messaggio" insistette Duvainion. "Non possiamo lasciare quel povero elfo in queste condizioni per troppo tempo, se la sua ossessione è davvero causata dal rituale non potrà fare altro che peggiorare."
Kore aveva l'aria di chi sta per inghiottire un limone, ma annuì. "Sì. Mamma saprà aggiustarlo."


Qualche settimana dopo, in una locanda vicino a Secomber

"Aggiustarlo?" Krystel sbatté il volume dei Rituali del Manto Grigio sul tavolo e guardò sua figlia e il giovane elfo che era venuto a trovarla. Per quella volta Duvainion aveva finto di non vederlo e l'aveva lasciato passare, sapendo che Krystel era tornata alla locanda e avrebbe risolto la situazione.
I due fratelli però avevano sottovalutato il problema. Krystel era basita per quello che sua figlia le aveva raccontato.
"Kore, ce l'hai una vaga idea di quello che hai fatto? Questo è il rituale più… più pasticciato del maledetto libro. È un rituale di necromanzia che lega due anime dietro il pretesto della resurrezione, questo ragazzo praticamente sta… non è facile da spiegare, la sua psiche sta cambiando. Le tue energie vitali condivise con lui non si limitano a garantire la sua sopravvivenza, gli stanno anche influenzando la mente. Non posso annullare l'incantesimo e basta, lui non sarebbe in grado di camminare con le sue gambe, per così dire."
Kore sbiancò, assumendo un colorito grigiastro sotto la pelle nera. "Cioè non si può fare niente?"
La strega cercò di darsi un contegno ma le sue mani stavano tremando per la rabbia.
"No, non ho detto questo. Ho detto che non posso annullare la magia che hai fatto in modo che lui continui con la sua vita. In questo momento ci sono solo due cose che posso fare. Posso sciogliere completamente il tuo incantesimo, ma questo lo farebbe morire; a quel punto potrei riportarlo in vita ma non in questo corpo. Questo corpo porta su di sé i glifi del rituale che hai compiuto e non è più… utilizzabile, per motivi che sarebbero troppo lunghi da spiegare. Sarebbe necessario distruggere questo corpo, bruciandolo magari, e poi lanciare un rituale infinitamente più difficile e costoso che riporti in vita la sua anima in un corpo creato dal nulla. Tuttavia morire due volte è un grosso shock e non posso garantire con assoluta certezza che funzionerà. La sua anima confusa potrebbe decidere di andare verso l'aldilà. Questo corso d'azioni potrebbe portare alla sua morte definitiva e perfino io mi rendo conto che sarebbe un'ingiustizia, questo ragazzo ha ancora tanti decenni da vivere."
Aesar era sbiancato quando Krystel aveva prospettato la possibilità di ucciderlo, quella era un'opzione che potendo avrebbe scartato a priori.
"E… e la seconda possibilità?" Tentò l'elfo. "Non avete detto che c'erano due cose che potevate fare?"
"Sì" Krystel raddrizzò le spalle e fissò i due giovani con sguardo duro. "La seconda opzione è che io ci metta una pezza. Non ti farò tornare esattamente come prima, ma sarai libero dalle influenze involontarie di Kore."
"Una pezza" ripeté Aesar, a bassa voce. "Ma che cosa significa esattamente?"
"Significa che non sarai più legato a mia figlia. Non posso recidere i fili che ti tengono in vita, ma posso deviarne l'origine. Non sarà più l'energia vitale di Kore a sostentarti, ma quella di qualcos'altro."
"Ah… e di chi? O cosa?"
"Questo è da vedere" Krystel avvicinò le mani finché i polpastrelli si toccarono, assumendo una posa riflessiva. "Ci sono entità a questo mondo. Gli sciamani li chiamano spiriti. Ma non mi riferisco agli spiriti dei morti. Aesar, sai che cos'è uno spirito del territorio?"
L'elfo scosse la testa. "So che qualche leggenda ne parla, ma non conosco i dettagli."
"Be', tutto questo è solo un discorso teorico, perché non possiamo fare nulla senza il consenso di uno spirito. Ma tu sei un elfo, un ranger, hai un contatto profondo con la tua foresta. Penso che potremmo trovare uno spirito di natura disposto a sacrificare una piccola parte della sua energia per te. Per noi."

Aesar era confuso e scombussolato. Era andato alla locanda dei drow, nel bel mezzo delle campagne abitate dagli umani, solo per poter vedere la sua innamorata. Era stato un lungo viaggio e sperava di trarne qualche beneficio. Invece era andato a infilarsi in una situazione potenzialmente pericolosa. La madre di Kore era tornata e non vedeva di buon occhio il loro amore. Adesso sembrava che volesse fare qualcosa per modificare la sua vita e distruggere il loro legame. Aesar non era convinto, ma Kore sembrava sollevata, e lui voleva prima di tutto che la sua amata fosse felice. La strega pretese che si mettessero tutti in cammino verso la foresta: lei, Aesar e Kore. Stava portando con sé quel tomo di magia così ambiguo, quello che poche ore prima aveva trattato male sbattendolo sul tavolo. Aveva messo nel suo zaino anche altre cose: incensi, un pugnale. Aesar non si sentiva tranquillo.
Arrivarono alle propaggini del bosco due ore dopo il tramonto. Si fermarono a riposare in quella vasta fascia di boscaglia che non è ancora il folto della foresta ma di sicuro non è più campagna. O almeno, Kore e Aesar si fermarono a riposare, Krystel si fermò lì per meditare.
Aesar non lo sapeva. Scivolò nella trance meditativa degli elfi, come ogni volta che andava a riposare, ma anziché rivivere sereni ricordi della sua vita quella notte ebbe visioni di cose strane, come dei sogni. Erano cose che andavano al di là della sua comprensione, ma gli sembrava di ricordare qualcosa con una voce profonda - o forse non era una voce, forse erano solo pensieri molto rumorosi - e creature gigantesche che si muovevano ai margini della sua sfera percettiva.
Quando si svegliò, Krystel e Kore stavano già preparando un cerchio magico.

Ad Aesar fu soltanto richiesto di sdraiarsi a terra e cercare di liberare la mente. Il vero lavoro lo avrebbero fatto loro. Krystel recitò una lunga invocazione che l'elfo non riuscì a capire, ma qualcosa si stava ammassando intorno a loro. Aesar poteva percepire una presenza immensa, un'entità che doveva essere quasi un dio.
Si sollevò un turbine di polvere e per un momento l'elfo riuscì a vedere la forma di una creatura mastodontica, dall'aspetto di un antico treant, un albero semovente.
"Cerca cinque alberi di quercia" comandò Krystel alla figlia. "Non devono per forza essere nelle vicinanze, ma devono essere nella foresta. Quando ne trovi uno, usa questo pugnale" le mise in mano l'arma rituale "e usalo per incidere di nuovo uno dei simboli che hai sulla pelle, ricalcando con precisione i segni che hai adesso come cicatrici; poi incidi lo stesso simbolo sulla corteccia. Tocca il simbolo sull'albero con quello sulla tua pelle e lascia una traccia di sangue. Alla quercia successiva, ripeti il processo con un altro dei glifi. Quando hai finito torna qui, e cerca di finire entro l'alba. Concluderò il rituale allora, e se le tue ferite guariranno senza lasciare alcuna traccia dei simboli magici, allora sapremo che lo spirito delle querce ha accettato di prendersi carico di questo sacrificio."
Aesar ascoltò avidamente quella spiegazione, ma era più di quanto potesse comprendere. Una cosa però gli era chiara: a lui non era richiesto di fare niente, se non di recitare di nuovo la parte del cadavere, della zavorra inutile.
Rivolse alla drow uno sguardo interrogativo, ma lei gli fece cenno di rimanere immobile. Infreddolito, annoiato e un po' spaventato, alla fine Aesar scivolò di nuovo nella reverie. Aveva la sgradevole sensazione di sentirsi osservato, da qualcosa di molto più grande di lui.

Quando Aesar infine si svegliò, era già sorto il sole. Si guardò intorno allarmato, per controllare se Kore fosse riuscita a tornare in tempo. Sì, lei era lì. Aveva uno sguardo concentrato, ma sembrava anche che un peso le fosse stato tolto dal cuore… e dal corpo? Non teneva forse le spalle più dritte adesso? Oppure riusciva solo a respirare meglio? Questo significava che non stava più condividendo la sua energia vitale con lui?
L'elfo si alzò a sedere, sentendosi molto più leggero e più sano di come si fosse sentito negli ultimi mesi. Il freddo della notte autunnale lo aveva lasciato un po' anchilosato, eppure si rendeva conto per istinto che si sarebbe scrollato via quel disagio in poche ore: non avrebbe sentito il freddo nelle ossa per giorni com'era successo ultimamente. Tutto considerato era molto più in forze.
"Ha funzionato?"
Kore gli mostrò i palmi delle mani: lei non recava più traccia dei glifi magici che prima connettevano le loro anime. Aesar invece quei simboli li aveva ancora.
"Ma quindi a chi… a cosa…?"
"Stanotte ho interpellato molti spiriti di natura" gli spiegò Krystel, "soprattutto quelli abbastanza grandi e abbastanza forti da sopportare un simile peso. È stato lo spirito delle querce a rispondermi. È molto potente, come tutti gli spiriti degli alberi di questa foresta. Adesso è lui a condividere la sua energia vitale con te, lo farà fino al momento della tua morte… e credo che questo patto abbia anche potenzialmente allungato la tua durata di vita."
"Patto?"
"Lo spirito vuole qualcosa in cambio. Da te. Pretende che tu gli sia devoto, che tu faccia voto di proteggere gli alberi di questa foresta."
"Cioè, vuole che io diventi un druido? Oppure posso farlo anche rimanendo un ranger?"
"È adorabile che tu creda di avere possibilità di scelta" commentò seccamente la strega. "La devozione che sentivi verso mia figlia, presto la sentirai verso la foresta, gli alberi, il tuo territorio. Sarà tuo desiderio diventare… qualunque cosa ti permetta di avere il contatto più stretto possibile con questo spirito di natura. Forse la risposta giusta per te sarà diventare un druido, forse perfino qualcosa di più. Sarà una strada che dovrai trovare da solo. Ma questo è molto più sano, per un elfo, piuttosto che essere disperatamente innamorato di una strega drow. La tua sarà una devozione religiosa e non avrai spazio nella tua vita per altri amori altrettanto grandi. Ti sarà molto difficile costruire una famiglia… ma sarai felice e sarai pienamente realizzato. Questo è il massimo che io posso darti, questa è la pezza migliore che posso mettere."
Aesar ci rifletté per un lungo momento, mentre cercava di sondare i suoi stessi sentimenti: provava ancora qualcosa per Kore, ma si trattava di gratitudine e rispetto, non di amore accecante. Adesso lo capiva, era stato stupido, non aveva riconosciuto un'ossessione. E presto avrebbe sviluppato un'ossessione identica verso… qualcosa che nella sua cultura era già rispettato e riverito. Qualcosa che gli avrebbe permesso di continuare ad avere una vita in seno alla sua gente.
"Capisco che non avrò mai più il pieno controllo dei miei sentimenti, ma capisco anche che questa soluzione è la cosa più simile alla libertà che potevate darmi" ragionò infine. "E adesso?"
"E adesso addio, Aesar Sarsantyr" gli chiarì Krystel. "Hai insegnato una terribile lezione a mia figlia, non posso biasimarti per tutto quello che è successo ma non ti voglio intorno alla mia famiglia. A mai più rivederci."
L'elfo dei boschi non poteva davvero ribattere a questo e non aveva motivo per farlo. Rivolse a Kore un ultimo inchino e un'ultima professione di gratitudine, poi si allontanò dalle due drow, ben deciso a non uscire mai più dalla Grande Foresta.

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Capitolo 31
*** 30. Slither ***


Genere: avventura
Note: missing moment di Lezioni di sopravvivenza - Primo livello

“Se speri che ti lascerò tornare all’accampamento sporca di acqua di fogna ti sbagli di grosso.” Insistette lui. “Se le cose andranno male, giù al primo livello passeremo dal corridoio allagato.”
Dee Dee gemette. Ricordava il corridoio allagato, era immerso in un’acqua cristallina, gelida e tristemente non potabile. L’ultima volta che il drow l’aveva costretta ad immergersi aveva avuto i brividi di freddo per giorni, ed era una vera ingiustizia perché non era mica colpa
sua se quella strana melma le si era avvinghiata addosso.
[Lezioni di sopravvivenza - Primo livello]


30. Slither


1363 DR, fogne di Waterdeep

La melma relitto aveva avvistato due prede, anche se una melma non ha davvero gli occhi per avvistare qualcosa. Erano passati molti giorni dall'ultima volta in cui aveva catturato qualcosa di più grosso di un topo. Il suo corpo albuminoso e appiccicoso attirava oggetti e creature che non potevano più divincolarsi dal fango che l'avvolgeva come una pellicola. Il fango in realtà era una specie di colla. Poi, con calma, la melma digeriva tutta la materia organica che le restava attaccata addosso.
Forse era per questo che, decenni prima, un qualche visionario ingegnere cittadino aveva pensato di scaricare qualcuna di quelle melme nelle fogne di Waterdeep: spurghi gratis. Materiale organico non voleva dire necessariamente vivente. Una melma come quella poteva sturare gli ingorghi, ed era utile anche per tenere sotto controllo la popolazione di ratti e parassiti. Creava dei fastidi anche al sottobosco criminale della città che aveva deciso di stabilirsi nelle fogne.
Un effetto collaterale, come sapeva bene la guardia cittadina, era che scaricare un cadavere nelle fogne era un ottimo modo per occultare le prove in tempi brevi.
Un altro effetto collaterale era quello che colpiva i poveri avventurieri. Quando le melme relitto non trovavano abbastanza cibo fra gli scarti, andavano a caccia.

Era quello che stava per imparare a sue spese una giovane innocente elfa mezza-vampira. Le fogne erano anche il suo terreno di caccia, ma lei cercava solo creature con del sangue in corpo. Stava camminando in equilibrio su una delle passerelle che costeggiavano il fiume di liquami, seguendo tracce che forse erano di goblin. Non sentì la melma che scivolava nell'acqua alle sue spalle. Non la sentì arrampicarsi, strisciando, sulla sua passerella. Perfino l'odore disgustoso della melma era coperto da quello della fogna, perché in realtà erano un tutt'uno, la melma puzzava delle cose che le restavano attaccate lì nella fogna.
Cose che presto sarebbero state spiaccicate sulla faccia e sui vestiti di Dee Dee.

"Che fchifo!" Si lamentò la ragazza, più tardi, mentre si scrostava di dosso pezzi della melma. Aveva le lacrime agli occhi, un po' per la puzza ma soprattutto per la frustrazione.
"Non lamentarti" il suo compagno di avventure, un drow dal brutto carattere, le lanciò un'occhiata severa senza smettere di insaponare i suoi vestiti. "Sei sopravvissuta e hai dell'acqua pulita a disposizione. Ringrazia il cielo che conoscevo questo posto e lavati in silenzio."
"Queft'acqua è gelida!"
"Prima ti sbrighi e prima potrai uscire" lui era irremovibile. "Puzzi come la latrina di un'intera città."
"Ma non è giufto" Dee Dee sentì le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi. "Non è ftata colpa mia."
"Invece sì. Quelle orecchie elfiche non sono lì solo per l'estetica, che comunque lascia a desiderare. Devi imparare ad ascoltare e capire i suoni che ti circondano. Perfino il leggerissimo fruscio di una melma che striscia."
Dee Dee ricacciò in gola una rispostaccia e immerse la testa sott'acqua. Doveva lavare i suoi capelli fino a renderli perfettamente lindi, o l'elfo scuro glieli avrebbe tagliati senza pietà.

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Capitolo 32
*** 31. Risk ***


Genere: fantasy
Note: sequel di Spark, prequel di Extinct


31. Risk


1375 DR, città di Waterdeep

Il tempio noto come Spire del Mattino, dedicato al dio Lathander, era uno spettacolo maestoso nella luce radente dell'alba. Costruito interamente di marmo rosa e sormontato da sette guglie di rame, argento e oro, era così splendido che perfino la piccola mezzo-demone non poteva evitare di restarne incantata. Si alzava sempre molto presto al mattino - tutti gli ospiti del tempio si svegliano sempre prima dell'alba, per essere presenti alla funzione religiosa - ma a differenza di tutti gli altri, non si recava nella cappella per entrare in preghiera. Era una cosa che la metteva un po' a disagio, com'era ovvio per qualcuno con sangue immondo nelle vene. Invece, si recava all'esterno per poter assistere allo spettacolo della cattedrale che veniva inondata dalla luce dell'alba e poco alla volta sembrava prendere vita. Il sole toccava prima le guglie di metallo, facendole risplendere, e poi accendeva il rosa delle pareti strappando quel colore delicato dal grigio della notte. Con l'alba, un edificio che sembrava solo inutilmente complicato diventava anche bello.

C'è da dire che i chierici di Lathander la assecondavano in questo suo capriccio. Non le facevano pressioni per assistere alle messe o per partecipare alle preghiere. Uno di loro la scortava sempre quando usciva dai suoi alloggi, ma sembravano tutto sommato soddisfatti di lei.
Dopo aver assistito allo spettacolo della pietra che prendeva colore nella luce, Alayne spostò lo sguardo sull'uomo che le stava accanto.
"Oggi andiamo a scuola?" Gli chiese.
"Sì. Chi te ne ha parlato?"
"È stata Chaneya, e lei sa tutto perché è una sacerdotessa. Ha detto che a scuola si imparano cose."
"È vero. C'è qualcosa che vuoi imparare, in particolare?"
La bambina ci pensò per qualche momento. "Voglio imparare a volare."
"Questo non è il tipo di cose che si imparano a scuola."
"Oh" mormorò delusa. "Ma io voglio imparare. Come posso fare per costringere i maestri ad insegnarmelo?"
Lo sguardo del chierico si indurì. "Non puoi. Non fare questo genere di domande. Le brave persone non costringono gli altri a fare cose."
Alayne ragionò su quel concetto per tutta la strada fra il tempio di Lathander e la sua nuova "scuola". Le sembrava una cosa illogica: costringere qualcuno a fare qualcosa era di sicuro il modo più veloce per ottenere quello che si voleva. Se le brave persone non lo facevano, allora le brave persone erano stupide.

"Questa è la scuola?" La alu-demone chinò il capo da un lato. "Sembra tanto un altro tempio."
"Lo è. Sei una ragazzina sveglia per la tua età." L'uomo le rivolse un'altra occhiata. "Quanti anni hai?"
"Quattro. E quindi sono grande" ribatté in un tono che diceva 'non trattarmi con sufficienza'.
Il prete decise di ignorare quello sfoggio di arroganza. "Dai, vieni."
Alayne però era stata distratta da qualcosa. In un angolo un po' defilato c'erano dei gattini che giocavano in modo buffo e davano la caccia agli insetti.
La bambina si lasciò distrarre da quella vista e si avvicinò ai gattini. Loro però, vedendola, scapparono in ogni direzione.
"Ooow" piagnucolò lei. "Perché sono andati via?"
Tomel, il chierico che l'accompagnava, addolcì un po' il suo cipiglio. Checché ne dicesse lei, era una ragazzina.
"Hanno paura delle persone. Per questo sono scappati."
"Ah." Lei ci pensò un momento. "Allora te ne devi andare."
L'uomo sospirò. "Hanno paura anche di te. Dai, adesso entriamo. Tornerai dopo a cercare i gatti."

Alayne cominciò una routine in cui ogni giorno veniva portata al tempio di Oghma, ufficialmente per studiare, ma in realtà soprattutto per essere studiata. C'era voluto del tempo per convincere suo Alto Splendore la gran sacerdotessa Ghentilara, ma alla fine anche lei aveva riconosciuto che non potevano comprendere pienamente la natura di Alayne senza l'aiuto dei chierici del dio della conoscenza.
Già tenere in vita Alayne era stata una scommessa, un rischio; ma l'idea di sopprimere una bambina, anche se mezzo demone, metteva a disagio i chierici del dio protettore dell'infanzia. Se c'era la possibilità di farla crescere con princìpi sani, facendola entrare in contatto con la sua parte umana a discapito di quella demoniaca, loro avevano il dovere morale di tentare. Per di più la piccola, da neonata, era stata esposta a energie sacre che avevano influenzato la sua natura, anche se in minima parte. Forse c'era speranza per lei.

Ogni giorno, dopo la "scuola", Alayne faceva una deviazione per andare a guardare i gattini.
"Ti piacciono così tanto?" Le chiese un giorno fratello Tomel, mentre lei osservava i piccoli felini a distanza.
"Non lo so" ammise lei dopo qualche secondo di riflessione. "Sì, sono carini, ma vorrei ucciderli."
Tomel si irrigidì. "Cosa?"
"Però se penso di farlo, sono anche un po' triste. Non so cosa fare."
Una adepta di Oghma, che era l'insegnante che si occupava dei bambini piccoli, aveva sentito il discorso e si avvicinò con discrezione.
"Come mai, Alayne?"
Tomel guardò la "collega" come se avesse perso il senno, ma una seguace di Oghma aveva un approccio diverso ai problemi: capire sempre perché.
"Uhm… non lo so." Ammise la bambina. "Non ci ho mai pensato."
"Che ne dici di rifletterci su e poi dirmelo?"
La piccola ci pensò in silenzio, poi annuì. "Sì. Ci devo riflettere" disse molto compita, dandosi arie da adulta.

"Ho capito" disse qualche giorno dopo alla sua insegnante. "Ho capito perché odio i gattini anche se mi piacciono. È perché stanno crescendo, e sono sempre meno carini. Mi fa arrabbiare. Ma se li uccido, smetteranno di esistere ed è peggio. Non lo so, però. Non so se è davvero peggio." Sporse il labbro inferiore in un broncio molto sentito. "Perché non possono restare carini e basta?"
La donna guardò Alayne con un sorriso conciliante. Tomel invece sembrava sorpreso, non credeva che ci fosse un motivo - di qualsiasi tipo - per quel sentimento irrazionale verso i gattini.
"Allora cosa ne dici di provare a disegnarli? In questo modo resteranno carini per sempre."
Alayne spalancò la bocca in un "oh" di stupore, ma poi annuì con entusiasmo. "Posso provare! Mi insegni a disegnare?"

Il primo tentativo della piccola alu-demone non riuscì un granché bello. Aveva occupato tutto un foglio di carta per il disegno di un singolo gattino, come viene naturale alle persone con un ego importante. Non fu soddisfatta del risultato.
"Non va bene!" Si arrabbiò, accartocciando la pagina. "Fa schifo! Io voglio creare cose belle" si lamentò.
"Dovrai portare un po' di pazienza, esercitarti tanto. La bravura viene con la pratica."
"Ma quei piccoli cresceranno in fretta" continuò a lamentarsi.
"Ne nasceranno altri. I gatti nascono ogni qualche mese, non si resta mai senza."
"Ah" Alayne divenne pensierosa. "Allora imparerò. Ma non posso ucciderne qualcuno, se ce ne sono tanti?"
"Non sarebbe molto giusto, ti pare? Ognuno di loro è bello a modo suo. Con che criterio vorresti decidere?"
Alayne ci pensò ancora per un po'. "Hai ragione. Non lo so. E poi tu e Tomel non volete, vero?"
"Tomel non vuole di sicuro. Io vorrei che tu fossi te stessa, ma personalmente la morte di un gattino mi renderebbe triste."
"Sarei triste anche io. Non so perché voglio ucciderli, a parte che cresceranno e diventeranno meno belli. Magari se imparo a disegnarli bene, mi passerà la voglia."
"Posso darti un consiglio? Disegnali più piccoli. Potrai far stare molti disegni su un foglio solo, e poi sui ritratti piccoli si vedono meno i difetti."

Alayne prese sul serio quel consiglio. Cominciò a disegnare tutto quello che avrebbe voluto uccidere. Erano soprattutto piccoli animali, fiori, ogni tanto perfino qualche bambino suo compagno di scuola.
Allo stesso tempo, cominciò a disegnarli sempre più piccoli.
Man mano che rifiniva la sua tecnica, Alayne aveva sempre meno bisogno di fare disegni piccoli per nascondere i difetti; faceva disegni piccoli solo per risparmiare spazio. Presto le sue miniature iniziarono a essere molto realistiche, con dovizia di particolari.
Prima dell'adolescenza era già una discreta artista, ma fu solo con la maturità sessuale che raggiunse il suo periodo artistico più florido. Se non altro, aveva un futuro come miniaturista. Era anche un lavoro che le permetteva di esercitare il controllo e la pazienza, due doti indispensabili per la passionale figlia di una succube.
Alla fine, l'abitudine che era cominciata come un mezzo per sublimare i suoi desideri violenti diventò anche un genuino interesse. Ad Alayne piaceva creare cose belle, tanto quanto le piaceva immaginare di distruggerle.

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