L'enigma del Fayyum

di mask89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo I

 “Questa storia partecipa a “Luoghi dell’Orrore” indetto sul gruppo facebook Il Giardino di Efp


PROMPT 14: Egitto.

• Piramide di paura;

• Vestirsi da mummia;

• Maledizione.

«Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato[1].» Pronunciò febbrilmente la voce che giungeva dal confessionale. «Perdonami Padre di tutti noi. Rimetti i miei debiti, come io li rimetto ai miei debitori e liberami da ogni male.»

La fioca luce lunare, che attraversava le strette finestre ogivali istoriate, rischiarava il volto emaciato dell’uomo che era lì seduto. Dalle tempie, rivoli di sudore scendevano veloci verso le guance, profondamente scavate, per poi proseguire il loro percorso al di sotto del collarino bianco slacciato. 

«Abbi pietà del tuo figlio, che si è smarrito su questa terra alla ricerca della vana gloria. Riaccoglilo nel suo gregge e riammettilo alla tua mensa, perché possa essere salvato e godere della tua grazia eterna.»

Le mani stringevano nervosamente il bordo del piano in legno d’olivo. Il rumore della porta che scricchiolava aprendosi, proveniente dall’ingresso principale della chiesa, fece sobbalzare il chierico.

«Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome…»

Il pesante incedere riecheggiava tetramente per tutta la cattedrale, facendo sobbalzare violentemente l’uomo ad ogni passo.

«venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra…»

L’alta figura avanzava lentamente lungo la navata centrale, quasi scivolando agilmente tra i molteplici coni d’ombra.

 

«Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e non abbandonarci alla tentazione…»

L’ultimo verso della preghiera morì nella gola del prete. Una paura primordiale si impossessò di lui, quando vide l’essere dinnanzi a sé. Provò con tutte le sue forze a non tremare, ma era impossibile. Gli occhi rossi, che spuntavano ferini sotto lo strato di bende, lo fissavano intensamente; mentre, sul volto dell’enorme figura, l’unica parte risparmiata dalla lercia fasciatura, si andava componendo un sorriso schernitore e malvagio.

«Continua.» Disse mellifluo il misterioso interlocutore.

«…ma liberaci dal male.»

Una risata crudele rimbombò per tutto l’edificio. Poi il silenzio. Solo una serie di gemiti strozzati interrompeva quello strano silenzio. Lentamente, la strana creatura si alzò da sopra l’uomo, che giaceva immobile a terra. Con il dorso della mano destra si pulì la bocca imbrattata; il sangue fresco brillava sinistramente sotto la luce della luna.

«Amen.» Proferì ironico, per poi sparire nel nulla.

 

Il ronzio del ventilatore rompeva l’asettica monotonia dell’ufficio. Un uomo dai capelli sale e pepe era seduto comodamente sulla poltrona. Sfogliava, con aria concentrata, l’antico volume posto sulla scrivania. Con gli occhi scorreva velocemente le fitte righe, mentre con la mano destra prendeva appunti sul taccuino. Solo l’insistente bussare lo distolse dal suo lavoro.  Guardò di traverso l’uscio in mogano del suo studio. Odiava essere interrotto nel bel mezzo della ricerca. Chiuse velocemente il tomo e di controvoglia si avvicinò alla fonte della sua imprevista distrazione.

«Padre Ferrua, scusi il disturbo…»

«Non è scusata. Cosa vuole?»

La donna non fece caso al tono duro e irritato dell’uomo, era abituata alle sue uscite poco eleganti, quando veniva distolto dal suo lavoro.

«Ho provato a chiamarla ripetutamente, ma il telefono del suo ufficio era staccato.»

«Lo so. Ho tolto il plug per non essere disturbato da nessuno, compresa la segretaria del dipartimento.»

«Non era mia intenzione disturbarla, ma è importante.»

«E cosa sarebbe questa cosa così importante?» ribatté acido il presbitero.

«L’interpol.»

«È uno scherzo?»

«Nessuno scherzo. Mi segua, la stanno aspettando nell’ufficio del direttore. Hanno chiesto espressamente di lei.»

La direzione era inondata dalla luce del sole. Il direttore del dipartimento di archeologia era seduto al solito posto, mentre intratteneva i suoi inattesi ospiti. Padre Ferrua si fermò un attimo a guardare quella scena atipica, prima di rivelare la sua presenza. Guardò il volto del vecchio professore Biancofiore. Non aveva la solita espressione gioviale e rilassata, anzi tradiva tensione e preoccupazione. Gli sembrava invecchiato di dieci anni. L’uomo con cui aveva consumato la colazione, gli sembrava un lontano ricordo. Le rughe sembravano più marcate e gli occhi, solitamente di un azzurro cristallino, apparivano ora più cupi.

«Giovanni, sei arrivato! Non avevo sentito aprire la porta. Entra, questi signori ti stanno aspettando.»

«Professore Biancofiore, è successo qualcosa?»

«Non che la riguardi direttamente Padre, ma speriamo di avere qualche informazione in più da lei.» Disse il più anziano dei due. «Che maleducato, non mi sono presentato, sono l’agente Orlandi e questo è il mio collega Amendola.»  Il poliziotto più giovane si limitò a salutarlo con un cenno della testa.

«Non capisco che informazioni possa avere in mio possesso tanto da scomodare l’Interpol.»

«Questo lo lasci decidere a noi. Se la Santa Sede ci ha fatto il suo nome un motivo ci sarà. In che rapporti era con Padre Marcello Tosi?»

«In che senso era? Perché parlate di Padre Tosi al passato?»

«Qui le domande le facciamo noi.» Si intromise l’agente più giovane.

«Calma Amendola, non stiamo facendo un interrogatorio, ma una chiacchierata amichevole. Padre Ferrua ha tutto il diritto di porci delle domande; dopotutto siamo piombati alla Pontificia Accademia di Archeologia senza nessun preavviso. La sua osservazione è giusta Padre» disse Orlandi, volgendo il suo sguardo a Ferrua «parlo al passato, perché Padre Tosi è stato barbaramente ucciso la scorsa notte, all’interno della cattedrale di San Marco del Cairo.»

«Cosa? Non può essere vero?!

«Purtroppo, le assicuro che non mento. Come ben sa il Vaticano ha ben poca autorità in Egitto. La sede episcopale è vacante dagli anni settanta, per questo ha chiesto all’Interpol di indagare sulla morte di Tosi. Non c’è un’indagine ufficiale. Siamo qui a titolo di favore.»

«Capisco.» Rispose amareggiato Ferrua «Padre Tosi è, o meglio era, il mio padre spirituale. Se non fosse per lui ora non sarei qui.»

«Sappiamo i suoi trascorsi non facili. Padre Tosi l’ha salvata. Ecco perché siamo qui, aveva un rapporto molto intimo con la vittima. Sa dirci se qualcuno avesse qualche conto in sospeso con Tosi? Se avesse qualche nemico?»

«No, nessuno. Era una persona mite, nessuno avrebbe mai desiderato la sua morte.»

«Sa il motivo per il quale fosse in Egitto?»

«Sì. Stava seguendo uno scavo presso l’Oasi del Fayyum. Una piramide mai esplorata prima, se non ricordo male. Si era unito ad una missione internazionale.»

«Conosce i componenti?»

«Si, Padre Tosi mi ha parlato di loro, sono tutti accademici di notevole importanza. Ci dovrebbero essere anche i loro migliori assistenti

«E Padre Tosi ha portato qualcuno con sé?

«No. Mi aveva chiesto di accompagnarlo, ma ho rifiutato.»

«Per quale ragione, se è possibile saperlo?

«Al momento sono molto occupato con lo studio delle iscrizioni mitraiche di Roma. Il viaggio in Egitto avrebbe rallentato il mio lavoro; inoltre, non sono esperto in egittologia, contrariamente a Padre Tosi.»

«Capisco. Penso che per il momento possa bastare; se dovesse venirle in mente qualcosa      non esiti a contattarmi. Le lascio il mio numero, può chiamarmi in qualsiasi momento.» Gli porse il bigliettino da visita.

Ferrua osservò i due agenti varcare la porta. Fissò a lungo il direttore del dipartimento, senza proferire parola. Fu l’anziano uomo ad interrompere lo strano silenzio che si era creato tra loro.

«Vuoi andare al Cairo, vero?»

«Sì.» Rispose laconico.

«Va a casa e prepara il necessario. Al biglietto e all’albergo ci penserà Silvia. Contatterò la nostra sede presente nella capitale egizia, per darti tutto il supporto possibile. Non cacciarti nei guai, intesi?»

«Non garantisco nulla.»

 Il direttore sospirò pesantemente, mentre si lasciava sprofondare nella poltrona. Cosa diavolo era successo in Egitto?



[1] Salmi 32, 1.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo II

Aveva provato a riposare durante le tre ore di volo che separavano Roma da Il Cairo, ma il cervello non voleva sentire ragioni. Formulava ipotesi su ipotesi sulla morte di Padre Tosi, nessuna riusciva a soddisfarlo. Chi poteva voler morto la sua guida spirituale? Era la persona più mite al mondo. Mai una lite con nessuno, sempre alla ricerca della mediazione e della pace, mai una cattiveria su qualcuno; perfino nell’ambito accademico, dove perfidia e invidia erano all’ordine del giorno. C’era qualcosa che non tornava in tutto questo, probabilmente visionare il corpo gli avrebbe dato qualche informazione in più. La voce dell’assistente di volo lo distolse dai suoi pensieri. A breve sarebbero iniziate le manovre di atterraggio.

Inspirò lentamente, per cercare di calmare i suoi nervi. Pensava di essersi lasciato tutto alle spalle; ma, a quanto pare, il suo passato tornava a fargli visita nel momento più inaspettato. La morte del suo amico lo costringeva a reindossare i panni, che pensava di aver completamente dismesso; ma glielo doveva. Lo aveva salvato. Fare luce sulla sua morte era il minimo che potesse fare per ripagare, in minima parte, l’enorme debito di riconoscenza che aveva nei suoi confronti. I diversi sobbalzi del mezzo gli fecero capire di essere finalmente arrivato a destinazione.

Nonostante fosse ottobre inoltrato, la temperatura era decisamente elevata. I caldi venti del deserto rendevano la capitale egizia torrida, malgrado fosse autunno. Ferrua accese il telefono; dovette aspettare qualche secondo prima che il suo smartphone potesse agganciarsi alla rete locale. Attivare il roaming internazionale, poco prima di imbarcarsi, gli era costato parecchio, ma era del tutto sicuro che la Pontificia Accademia  potesse sostenere una spesa di quel calibro. Provò a vedere se ci fosse qualche linea che portasse dall’aeroporto al centro; ma, gli orari delle corse lo fecero desistere, sarebbe irrimediabilmente arrivato in ritardo al suo appuntamento. Uscì dal terminal alla ricerca di un taxi. Scartò immediatamente l’idea di salire su qualche tassì collettivo, voleva godersi ancora qualche attimo di pace e serenità, prima di immergersi del tutto in quel caso. Alzò la mano nella speranza che qualche tassista accogliesse la sua richiesta, desiderio che fu subito esaudito, considerata l’enorme quantità di auto presenti in quel posto.

L’impatto con il traffico del Cairo fu a dir poco traumatico; quello romano era da considerarsi solo un piccolo ingorgo a confronto. Veicoli di ogni tipo: auto, bus, moto, pulmini, camion, che scorrevano pigramente lungo le arterie cittadine. I semafori, nonostante la loro presenza, venivano completamente ignorati, alla stregua di qualsiasi arredo urbano di cui nessuno sembrava accorgersi. Solo gli accigliati vigili, con il fischietto perennemente in bocca, riuscivano ad assicurare il corretto transito delle vetture verso svariate direzioni. Nessuno osava disobbedire ai loro muti ordini. 

«Polizia molto severa, signore.»

Padre Ferrua distolse lo sguardo dal traffico e lo rivolse verso il tassista; probabilmente la sua espressione doveva essere molto eloquente, per far scaturire quel commento. La pelle olivastra era madida di sudore, nonostante nel taxi fosse accesa l’aria condizionata.

«Gestire tutto questo traffico non deve essere facile.»

«Normale amministrazione, signore. Ormai qui siamo abituati. Da dove viene?»

«Roma.» Rispose laconico.

«Ah, la capitale del mondo. La città che riuscì a trasformare l’Egitto in una provincia.»

«Ma non una provincia qualsiasi…»

«Solo per motivi economici, signore.»

«Siamo quasi arrivati!» Disse brusco, per interrompere il discorso.

«Sì, siamo quasi vicino alla destinazione.»

La moschea di Muhammad Ali si ergeva imponente sulla collina del Moukkattam. I fari che illuminavano la facciata la rendevano ancora più maestosa. L’avrebbe visitata molto volentieri, ma non aveva moltissimo tempo a disposizione.

Ferrua prese il telefono e impostò la meta sul navigatore. Il “bar dei Quattro Venti” non distava più di un paio di minuti a piedi. Gli intricati e colorati vicoli del suk brulicavano di persone. Cercare di non urtare qualcuno era un’impresa quasi impossibile, ma nessuno dei passanti faceva caso a quei fortuiti scontri fisici. Trovò la sua destinazione sulla destra. L’interno del bar era rischiarato a malapena dalla luce dei lampadari. Aguzzò la vista e trovò la persona che cercava seduta al tavolo in fondo alla sala; la camicia bianca, assieme ai folti capelli rossi, spiccavano nella semioscurità. Si avvicinò con circospezione, però nessuno fece caso alla sua presenza in quel posto.

«Robert Haack?»

«In persona. Lei è Padre Giovanni Ferrua?»

«Sono io. È un piacere conoscerla.»

«Lo è anche per me. Diamoci del tu, va bene?»

«Va benissimo.»

«È stato un viaggio piacevole?»

«Abbastanza, anche se il traffico è una cosa folle.»

«Un paio di settimane e si abituerà!»

«Spero di restare meno, ad essere sincero.»

«Glielo auguro, ma i tempi della burocrazia egiziana sono molto prolissi.»

«Conosco alcuni metodi che accorciano questi tempi.»

«Sicuro di essere un uomo di chiesa?» Scherzò l’irlandese.

«Sono alquanto atipico per essere un prete. Quando sarà possibile vedere il corpo di Padre Tosi e quando potremo andare presso gli scavi che stava seguendo?»

«Il corpo sarà possibile visionarlo domani. Per gli scavi potremo partire una volta che avrai finito all’obitorio. Sono all’incirca due ore di macchina.»

«Perfetto! Ci vediamo direttamente sul posto?»

«No, ti porto io. Rischieresti di perderti o di spendere tutti i tuoi soldi con i taxi.»

«Ti ringrazio. Se per te non è un problema vado in albergo. È stata una giornata lunga. Trovarsi da Roma al Cairo nel giro di mezza giornata è stato alquanto provante.»

«Immagino. A domani, Padre.»

«A domani! E grazie ancora.»

 

L’odore della formaldeide e del disinfettante frustò violentemente il suo olfatto. Odiava gli ospedali e detestava ancor di più le camere mortuarie, nonostante fosse molto avvezzo alla morte. Robert lo precedeva di qualche metro; lo vedeva muoversi con disinvoltura tra quei squallidi corridoi, rivestiti di piastrelle color verde sbiadito e dalla luce fioca. I neon emettevano un fastidioso ronzio, che faceva aumentare a dismisura la sua irritazione. Si impose di rimanere calmo. Doveva sopportare tutto per Padre Tosi, per ciò che lui aveva fatto nei suoi confronti.

Il medico legale era un uomo minuto. I pochi capelli brizzolati, riuniti in un solitario ciuffo sopra la fronte, unici superstiti della calvizie che lo aveva colpito, gli donavano un’aria comica. Il camice, di due taglie più grandi, lo faceva apparire più trasandato che mai. Ferrua sospirò costernato. Il suo sesto senso, che raramente si sbagliava, lo mise in guardia: con molta probabilità avrebbe avuto a che fare con un incompetente. Vide Robert parlare con il medico. Il suo arabo era un po’ arrugginito, ma da quello che era riuscito a carpire, la conversazione tra i due non stava andando molto bene. Il piccolo uomo stava inventando una serie di scuse, poco plausibili, per non farli entrare nell’obitorio, nonostante ne avessero tutto il diritto. Comprese cosa fare; si ritrovò a sperare che quella sottospecie di medico conoscesse un po’ d'inglese.

«Dottor Abdel, ci sta facendo solo perdere tempo. Quanto vuole?»

«Giovanni, cosa diamine stai dicendo?»

«L’ovvietà Robert! È chiaro che vuole dei soldi e sa anche bene che se chiamassimo la polizia non arriverebbe. Giusto?»

«Esattamente!» Rispose sorridendo il medico, mettendo in mostra i suoi denti gialli.

«Quindi, quanto vuole?»

«9.000 sterline[1]

«A quanto pare è un uomo esoso…affare fatto! Ecco a lei.» Ferrua prese dal portafoglio le banconote e gliele porse. «È stato un piacere.»

«Oh, il piacere è stato tutto mio.» Rispose l’uomo, con gli occhi che gli brillavano dinanzi a quella somma.

Robert attese che il medico entrasse nell’obitorio, prima di riprendere a parlare.

«Ma sei impazzito? Corruzione? 500 euro?»

«Avresti preferito restare a discutere con quell’omuncolo all’infinito?»

«Avremmo potuto chiamare la polizia!»

«Ma hai notato dove siamo?»

«In un ospedale!»

«Esatto! E per la cronaca ci sono telecamere ovunque, eppure non si è minimamente preoccupato di chiederci una tangente e di intascare i soldi. La polizia sa sicuramente. E sai cosa? Non gli interessa!»

«Cazzo! 500 euro!»

«Sono soldi miei, quindi non è un problema. Padre Tosi ne vale molti di più. Ora, se permetti, vorrei entrare.»

Il dottor Abdel aveva già estratto la salma dalla cella frigorifera. Ferrua notò che il corpo del suo padre spirituale era ancora imbrattato di sangue. Il suo presagio si era rivelato giusto: quella sottospecie di medico non si era neanche degnato di effettuare un’autopsia e neanche di ripulire il corpo. Iniziò ad esaminare il cadavere. Nel bel mezzo del petto, all’altezza del cuore, vi era uno squarcio; con suo orrore si accorse che l’organo mancava. Si fece forza e guardò meglio. Da come erano state recise le arterie e le vene, poté desumere che il muscolo cardiaco del suo mentore gli era stato letteralmente strappato dal petto; inoltre, il poco sangue intorno alla ferita, gli fece intuire che il cuore era stato tolto poco dopo la morte. Cercò di trattenere l’ondata di sdegno che lo stava per investire. Doveva mantenersi lucido. Continuò ad analizzare il corpo. Sul collo notò degli strani fori a livello della giugulare. Erano chiaramente i segni di un morso. Attorno alla ferita vi era del sangue rappreso. Il suo essere razionale lo portava ad escludere una teoria impossibile, altrimenti avrebbe ipotizzato che quella fosse l’opera di un vampiro. Continuò la sua ricerca, ma non trovò nulla di interessante. Una volta finito, guardò per un’ultima volta il corpo di Padre Tosi. Mentre usciva, giurò a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per prendere quel pazzo omicida, che aveva osato ridurre il suo amico in quello stato.



[1] Sterlina egizia.

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