The Castle

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Grazie mille a Sonietta74 per aver revisionato questa mini-fic in tempo record, correggendo i refusi. Buon Halloween!
 
"Ti amo... ti amo...", mormorò sfiorandole il naso con il suo, socchiudendo le palpebre. Avvertì il respiro veloce di Candy solleticargli le labbra e d'istinto se le leccò, mentre lei chiudeva gli occhi in attesa.

Un'attesa cui Albert mise fine senza indugio.

Con passione, con fervore, posando la bocca sulla sua in un tocco dapprima leggero, ma quasi subito più esigente. Lei gli intrecciò le mani nei capelli e Albert fece risalire le proprie dalle spalle alla pelle morbida del collo, fino a posarsi sulle guance.

Sentiva il corpo di Candy proteso contro il suo e, senza neanche rendersene conto, cominciò a inclinarla sull'erba dove erano seduti.

Su quel prato cui l'aveva condotta per dichiararsi e metterle alfine l'anello al dito.

Il piano originario era salire in cima al ramo più alto di un albero per osservare insieme le stelle, ma alcune nubi scure avevano cominciato ad addensarsi e lui aveva perso la testa quando aveva incontrato i suoi occhi luminosi fissarlo pieni di aspettativa. E la mano, posata sul petto mentre ansimava per la corsa.

L'aveva semplicemente tirata giù con sé, per calmare anche i battiti del proprio cuore impazzito. E non solo per la corsa.

Era stato come cadere in una favola, dove non esistevano l'aria frizzante o il vento teso, dove l'unica realtà erano le parole appassionate finalmente a fior di labbra che sancivano la loro unione.

E ora quel bacio, quel bacio possessivo dove le bocche si aprivano, esplorandosi senza vergogna, dove anima e corpo cominciavano a fondersi. E le mani scivolavano pretenziose sulle schiene. E il respiro diventava una ricerca urgente di aria prima di ricominciare tutto da capo.

La parte razionale della mente gli inviava segnali diversi: in lontananza cominciò a sentire il rombo dei tuoni e, soprattutto, dovevano fermarsi. Adesso. Prima che il desiderio crescente, che lo stava trasportando fin troppo lontano, gli ottenebrasse i sensi in maniera irreversibile.

Ma era così difficile farlo, quando Candy era deliziosamente arresa sotto al suo corpo! E rispondeva a quel bacio emulando i suoi gesti con quello che sembrava essere puro istinto!

E ora che s'inarcava contro di lui, strappandogli un basso gemito, emettendone uno anche lei quando il contatto tra loro divenne totale.

Perché aveva aspettato tanto a dichiararsi a lei, sciocco che non era altro? Se lo chiese mentre le labbra incontravano alfine il collo liscio di Candy, catturando il punto in cui il suo cuore pulsava a una velocità che gli fece perdere quasi del tutto la testa.

Se fosse stato più coraggioso, a quell'ora sarebbero già stati fidanzati in via ufficiale o persino sposati e non avrebbe dovuto ascoltare le urla di allarme nella propria testa imporgli di smetterla, prima che fosse troppo tardi.

Ci pensò la natura a interromperli.

Quando le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere su di loro, Albert si rese conto del potenziale pericolo cui stava esponendo Candy e se stesso. Un pericolo ben peggiore di quello di lasciarsi andare a un'esplorazione troppo ardente.

Staccandosi da lei ancora col fiato corto, l'ardore che veniva sostituito dal panico, Albert l'aiutò a rialzarsi: "Dobbiamo andare via di qui. Sta arrivando un temporale".

Candy si rimise in piedi barcollando e lui l'abbracciò brevemente dandole un altro bacio a fior di labbra, scostandole i capelli in disordine dal volto e dalla fronte.

Le afferrò la mano e la strinse forte, cominciando a correre con lei attraverso le file di alberi, un senso di urgenza che aumentava a ogni lampo che illuminava il bosco quasi a giorno.

Come? Come diavolo aveva potuto ignorare i segnali del tempo mettendo a rischio le loro vite?! Non aveva alcuna scusante, nonostante i momenti appassionati che avevano vissuto e l'amore finalmente sancito.

La pioggia era diventata battente e l'erba scivolosa, ma lui manteneva salda la presa sulla mano e sul polso di Candy.

"Albert!", gridò lei con un tono che gli gelò il sangue nelle vene.

Quando si volse, con i capelli fradici che gli sbattevano sugli occhi, vide il fulmine abbattersi e smise di pensare. Seguì l'istinto.

Quello stesso istinto che gli aveva quasi fatto commettere una dolce follia solo una manciata di minuti prima.

In quel caso, però, la priorità era proteggere lei. La sua Candy. La sua futura moglie, compagna di vita, amante.

Si gettò su di lei, proteggendola col proprio corpo. L'abbraccio non aveva nulla della passione che stava per travolgerli e caddero in modo scomposto sul terreno. Il rumore forte del legno spezzato subito dopo il fulmine sembrava riempire il mondo, coprendo le loro urla.

La coprì totalmente sperando che il tronco cadesse lontano da loro, stringendola forte.

Il dolore che seguì fu come una tenebra che gli tolse tutta l'aria dai polmoni e gli attraversò gli arti strappandogli un grido feroce.

E svaniva la vita, scivolandogli via come le gocce implacabili di quella pioggia assassina; si arrestava il respiro, mozzato di netto; rallentava il cuore, incapace di sostenere una fiammella di vita in quel corpo danneggiato in modo irrimediabile; si spegneva la luce negli occhi che cercavano di cogliere per l'ultima volta il colore di quelli della donna amata, il cui singulto strozzato gli indicò che lo avrebbe seguito a breve.

Schiacciati insieme sotto al tronco di un albero, nell'ultimo abbraccio che Dio gli avrebbe concesso.
 
- §-
 
Aprì gli occhi, un verso gutturale pieno di orrore che gli risaliva dalle viscere. Mosse le mani a tentoni nell'oscurità, sentendo la schiena in fiamme e si rese conto che era appoggiato a un muro di mattoni.

Restavano il rumore della pioggia in lontananza e il freddo umido che gli entrava fin nelle ossa.

Un lampo alla sua sinistra gli fece tornare l'anima nel corpo, soprattutto quando vide che lei era viva. Soppresse l'impulso di abbracciarla, ricordando poco a poco gli eventi di quella strana giornata e rendendosi conto che erano ancora intrappolati nei sotterranei.

La torcia tremò tra le mani di Candy, che aveva ancora la sua giacca sulle spalle: "Albert? Che c'è? L'hai sognato anche tu?".

"Io...". Era ancora senza fiato e tremava per il freddo e il terrore.

"Non era un sogno", disse una terza voce facendoli voltare nello stesso momento.

Una voce dolce, musicale, che lo aveva accompagnato fin quasi all'adolescenza prima di tacere per sempre.

La voce di sua sorella.

Sbattendo le palpebre, rendendosi appena conto che Candy si era voltata per puntare la torcia nella sua direzione con un ansito stupito, Albert si ritrovò a fissare Rosemary.

Forse, dopotutto, lui e Candy erano davvero morti.

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Capitolo 2
*** Cap. 1 ***


Albert gettò con noncuranza una vecchia giacca nella sacca, chiedendosi perché mai dovesse sentirsi obbligato a fare una cosa così stupida con tutto il lavoro che c'era da fare. Sbuffò frustrato, passandosi le dita tra i capelli che si erano già allungati troppo, scostandoli lontani dalla fronte.

Sedette di peso sul letto e aprì il cassetto del comodino, prendendo la scatolina di velluto rosso con delicatezza. Se la pose su un ginocchio e la aprì, rivelando lo splendido eppure semplice anello di diamanti che era stato di sua madre. Aveva aperto la cassaforte di famiglia un paio di giorni prima, con il cuore che batteva forte per l'implicazione che quel gesto aveva sul proprio futuro: voleva proporsi a Candy.

Ma come farlo? E quando? E, soprattutto, stava precorrendo i tempi visto che non si erano mai dichiarati apertamente? C'erano volte in cui pensava che non ce ne sarebbe stato bisogno, perché le cose erano già chiare come il sole, tra loro.

Una mattina si era persino alzato dal letto con tutta l'intenzione di sfruttare la domenica festiva per andare alla Casa di Pony a parlare con lei una volta per tutte. Ma, una volta arrivato a destinazione, aveva tirato fuori il cestino da pic-nic dove c'erano sufficienti panini e frutta da non dover dividere nulla e avevano parlato del più e del meno, ridendo e scherzando come amici.

Quando la sera era risalito in macchina si sarebbe preso a pugni da solo.

Vigliacco, sono stato un vero vigliacco...

Lui, il patriarca degli Ardlay, non riusciva a trovare il dannato coraggio di fare quel piccolo passo per timore di un rifiuto. E se avesse travisato gli sguardi carichi di aspettativa di Candy e avesse rovinato una bella amicizia?

Amicizia.

Oh, come amava e allo stesso tempo odiava quel termine che gli andava stretto come il suo vecchio kilt da diciassettenne!

Con un sospiro, Albert richiuse la scatolina in un gesto secco, rigirandosela tra le mani come se potesse trarne supporto.

Possibile che quella strana richiesta della zia Elroy fosse una specie di segnale che gli indicava che doveva aspettare? No, era una sciocchezza, una superstizione che non gli si addiceva affatto.

Eppure non gli andava proprio di mettersi a cercare una vecchia proprietà polverosa sperduta chissà dove, anche se significava fare una bella escursione nei boschi. Non se significava procrastinare ancora quella decisione così importante!

Davvero lo avrei fatto, stavolta?

"Perché devo andarci io? Siamo a fine mese, vanno ricontrollati i bilanci e nel fine settimana ho... un impegno", aveva detto alla zia.

"Non mi fido degli altri e tu sei molto più in gamba dei nostri servitori nel riconoscere il valore reale di una proprietà. Inoltre è un'occasione per uscire un po' dal tuo ufficio e prenderti una pausa", aveva risposto lei sconvolgendolo.

Aveva spalancato gli occhi, incredulo. "E da quando in qua preferisci che io me ne vada in giro per i boschi invece di lavorare?". Evitò di ricordarle che tutti i fine settimana, se si trovava a Chicago, fuggiva letteralmente da Candy o la invitava a Lakewood.

La donna si era schiarita la voce e sembrava a disagio: "Ti ho visto lavorare molto, ultimamente, e non voglio che ti ammali come è successo a tuo padre. Inoltre è lavoro anche questo: se la proprietà può essere recuperata potremmo ristrutturarla e farne una sala per i ricevimenti più esclusivi".

Albert si era portato due dita sul ponte del naso, in un gesto stanco: "Va bene, zia, mi fa piacere fare una passeggiata fin laggiù, ma non questo sabato. Se mi dai un paio di settimane io...".

"No! Devi andarci prima possibile!". La frase, perentoria e in cui aveva persino colto una nota di panico, lo aveva quasi fatto sobbalzare. "Puoi andare con Archibald e Georges il giorno dopo il ballo di beneficenza, visto che ci troveremo già tutti a Lakewood".

Albert se n'era del tutto dimenticato, assorbito com'era sull'apertura della nuova banca a Pittsburg e dai suoi dubbi riguardo Candy. Lei poteva essere presente al ballo e non avrebbe avuto bisogno di viaggiare fino alla Casa di Pony, perché si sarebbe trattenuta con loro almeno fino alla domenica sera, come accadeva di solito in quelle occasioni!
Ma se davvero doveva portare a termine quell'impegno come avrebbe fatto? Doveva trovare il momento più adatto per rimanere solo con lei. E con la zia, Georges, Archie e Annie nelle vicinanze non sarebbe stato facile. Come minimo avrebbe dovuto muoversi con il favore delle tenebre, invitandola a seguirlo in piena notte per poterle parlare in pace!

Io e Candy, nella notte stellata... potrebbe essere davvero una buona idea!

Spinto comunque da un impulso irrefrenabile aveva preso l'anello con sé, ma la verità era che non sapeva quando avrebbe potuto darglielo perché doveva essere certo che non sarebbero stati interrotti. Era già successo il giorno in cui le aveva rivelato di essere il suo Principe della Collina e ancora scherzavano sul fatto che un momento così importante fosse stato interrotto da un colpo di clacson.

Se doveva chiederle la mano voleva avere solo i suoni della natura intorno a sé e nessuno che li disturbasse.

"Se solo potessi portarti con me da sola...", mormorò alla scatolina. In realtà ne aveva tutto il titolo, visto che era il padrone di casa e il patriarca, ma non era educato nei confronti degli altri ospiti, senza contare che la zia Elroy avrebbe di certo fatto storie.

L'idea di dichiararsi in piena notte sotto le stelle e magari sulla cima di uno degli alberi del bosco lo solleticò ancora una volta e si disse che doveva prenderla in seria considerazione.

Perlomeno, con la scusa di non lasciare indietro le ragazze aveva coinvolto in quella piccola avventura anche Annie e la stessa Candy. Così sarebbero stati insieme e avrebbero fatto qualcosa di diverso dalle solite cavalcate o escursioni in riva al lago.

Si passò l'oggetto da una mano all'altra e quando udì bussare si affrettò a riporlo nel cassetto, prima di invitare il visitatore a entrare: doveva già essere ora di partire.
Archie comparve sulla porta, con una borsa a tracolla, vestito con un paio di pantaloni comodi e una delle sue solite camicie di seta bianche. Alzò un sopracciglio e lo apostrofò: "Andiamo in mezzo ai boschi, non a un ballo di gala", disse con un sorrisetto.

Lui raddrizzò le spalle: "Lo so, infatti non indosso la giacca o dei pantaloni eleganti, ma devo pur sempre mantenere un certo stile, visto che ci sono anche le ragazze".
Lo squadrò con sguardo significativo e Albert sorrise apertamente: "Non cambierai mai, Archie", disse scuotendo la testa e alzandosi con la sacca sulla spalla.

"Neanche tu, Albert il vagabondo", rise Archie dandogli una pacca sulla schiena.

Mentre uscivano dalla stanza per raggiungere gli altri nell'atrio, pensò che la gita poteva anche rivelarsi divertente.

D'altronde, aveva ancora tempo per chiedere a Candy di sposarlo.
 
- §-
 
Elroy Ardlay scostò la tenda per guardare da dietro i vetri i nipoti che si allontanavano di buon passo con Georges e le due ragazze e sospirò. Un sudore freddo le colava lungo le tempie e la mano stringeva forte il fazzoletto che aveva in mano.

"Dio onnipotente, proteggili tu", mormorò con un filo di voce, prima di emettere un grido di puro orrore quando udì bussare.

"Avanti!", tuonò con il cuore che sembrava voler uscire dal petto. Stava davvero rischiando la salute, in quegli ultimi giorni.

La cameriera si inchinò deferente e annunciò che i signori erano appena partiti.

"Sì, lo so, grazie. Ora puoi ritirarti, Molly", la liquidò tornando a rivolgere gli occhi alla finestra.

"Signora, è sicura di stare bene? Mi scusi se glielo domando, ma mi sembra un po' pallida...", disse quella con una vocina imbarazzata.

La donna si voltò di scatto, temendo quasi che la cameriera potesse leggerle dentro e si affrettò a negare e a liquidarla.

"Sto benissimo, grazie!".

Quando fu da sola, si concesse di lasciarsi cadere sulla poltrona vicino al tavolino del tè con una mano sul petto, prendendo respiri profondi per calmarsi.

Senza che lo potesse impedire, la sua mente le ripropose il dramma che stava vivendo da due settimane a quella parte. Tutto era cominciato come un sogno piuttosto vivido, dal quale si era svegliata con il ricordo vago di suo fratello defunto che si raccomandava di non dimenticare il castello.

Sulle prime non aveva dato peso a quell'incontro onirico ma aveva ricordato che, in effetti, un castello esisteva davvero. Si trovava abbandonato nei boschi di Lakewood e ricordava di averlo visitato da bambina con la grande mano del padre che stringeva la sua mentre lui scuoteva la testa: "Questa proprietà è in rovina, bisogna abbatterla", aveva detto con voce profonda alle persone che erano lì accanto. Le sembrava persino di sentire ancora l'erba alta che le solleticava le caviglie sotto la gonna del vestito.
Ma poi, quando si stava appena affacciando all'adolescenza, suo padre si era ammalato senza più fare nulla. Era morto giovane e lei era rimasta sola con un fratellino piccolo e gli adulti della famiglia, perché sua madre lo aveva seguito un anno dopo, sconvolta dal dolore.

Il piccolo castello era rimasto lì e lei se n'era del tutto dimenticata.

Perché mai William tornava nei suoi sogni per ricordarglielo proprio ora? La risposta era arrivata con gli incubi delle notti che avevano seguito il primo sogno vago.
Erano così vividi che ogni volta si svegliava col batticuore e il fiato corto. Una notte aveva avuto bisogno di farsi preparare un tè al gelsomino per calmarsi.
Durante la prima settimana non faceva che vedere il nipote William uscire in piena notte insieme a Candice e sparire nel folto della vegetazione. Poco dopo, nubi scure si addensavano su di loro e il sogno finiva lasciandola con un senso di vivo allarme.

Poi si erano aggiunti gli eventi successivi ed erano quelli che l'avevano riempita di orrore.

"Sono incubi, sono solo incubi, non hai mai creduto a queste cose, controllati, per l'amor di Dio!", aveva mormorato alla stanza vuota.

Era arrivata al punto da temere il calar del sole perché non voleva addormentarsi e ricadere nell'incubo. L'incubo nel quale Candice e William morivano colpiti da un albero su cui si era abbattuto un fulmine.

Stanno correndo tenendosi per mano.

Devono essersi accorti che il temporale improvviso li ha colti nel pieno del bosco e vogliono tornare indietro perché sanno che è pericoloso. Ma qui le file di alberi sono fitte e non è facile starne lontani.

E accade l'evento tanto temuto.

Il fulmine squarcia uno dei tronchi e William grida il nome di lei, gettandosi senza indugio su Candy. Cadono a terra, rotolando sull'erba in maniera che sarebbe quasi indecente se non ci fosse un pericolo incombente.

Il rumore della pioggia sembra annullarsi dinnanzi a quello, potente e sinistro, del legno che si spezza e rovina sulla schiena del suo unico nipote diretto.

Ma il suono del suo urlo è quello che la strazia nel profondo, perché è un urlo di morte.

Sotto al suo corpo già immobile, Candice emette un sussulto e il nome di Albert esce come un singulto appena percettibile assieme a un rivolo di sangue, prima che i suoi occhi aperti e ciechi perdano la luce.

Elroy si portò le mani al viso tentando di ricacciare indietro le lacrime, fallendo. Per essere un sogno o un incubo era rimasta sconvolta a tal punto che si era ritrovata a pregare più di una volta, inginocchiata ai piedi del letto.

Finché non era arrivato suo fratello, prima in sogno e quindi anche mentre era sveglia.

"Nostro padre voleva abbattere il castello, ma io non ero d'accordo. Ora è tempo che sia mio figlio a decidere. Ma devi fare presto, prima che arrivi il temporale".

Quelle erano state le uniche parole che le aveva rivolto mentre lei, sull'orlo di un attacco cardiaco, lo vedeva ritto in piedi tra l'armadio e la porta della stanza, nel completo nero che indossava quando lo avevano tumulato.

La lotta tra la ragione e i timori superstiziosi era terminata lì. Ci erano voluti lunghi minuti prima che riuscisse a respirare di nuovo normalmente e l'alba aveva rischiarato il cielo sulla sua decisione di parlare al nipote non appena si fosse fatto giorno.

Ancora adesso non capiva come fossero collegati il castello e quell'incubo che l'aveva tormentata a lungo, ma era certa che William non avrebbe mai fatto qualcosa che avrebbe nuociuto al suo unico figlio rimasto in vita.

La notte successiva, dopo avergli dato disposizioni per quel fine settimana dopo il ballo, suo fratello era tornato sorprendendola di nuovo mentre pregava, distesa sotto le coperte con un rosario tra le mani.

Non aveva avuto neanche il tempo di aprire bocca che lui aveva detto solo: "Ben fatto. Ora riposa, sorella mia". Le aveva posato una mano sulla fronte e lei si era addormentata.

E non aveva più fatto alcun sogno.
 
- §-
 
"Hai notato niente di strano nella zia Elroy, ultimamente?", stava chiedendo Archie ad Albert, mentre Candy aiutava Annie a sistemare la sua borsa perché non la intralciasse nei movimenti.

Lui alzò le spalle con noncuranza: "Mi sembra sempre la solita, a dire il vero, ma devo dire che prima del ricevimento ho avuto l'impressione che fosse molto stanca, come se non riposasse bene. La cosa più strana è stata questa sua richiesta improvvisa".

Candy aveva visto la zia Elroy la sera prima e doveva dire che le era apparsa un po' invecchiata rispetto all'ultima volta, qualche ruga in più che approfondiva il cipiglio sulla fronte. Ma il suo istinto d'infermiera fu subito all'erta: "Viene sempre seguita dal dottor Leonard per la sua nevralgia?", chiese.

Albert le sorrise rallentando il passo: "Sì, è stata da lui all'inizio del mese. Sei molto gentile a chiederlo, Candy".

Perché diamine stava arrossendo, ora? E perché abbassava il capo come se lo sguardo grato di Albert le fosse arrivato fin nell'anima?

Calmati, Candy, è solo Albert!

"Il castello si trova alla fine del bosco, quindi?", intervenne Annie rivolta a Georges, come se avesse notato il suo imbarazzo e volesse dissiparlo.

"Esattamente, signorina Brighton", ribatté lui. Per l'occasione, aveva smesso il solito completo elegante e aveva indossato dei morbidi pantaloni marroni e un maglione di tonalità più scura con una giacca rossa poggiata sulle spalle. Quando lo aveva visto aveva stentato a riconoscerlo ed era stato lui ad arrossire un poco, nel momento in cui aveva dichiarato che sembrava molto più giovane. Erano scoppiati tutti a ridere.

"E come mai non lo vediamo? Oltre a non esserci un sentiero per arrivare con l'auto, dev'essere anche piuttosto lontano", si lamentò Archie con una nota di disappunto.

"Oh, no, in realtà una volta che ci saremo lasciati il bosco alle spalle potremmo cominciare a scorgerlo visto che sorge su un'altura", spiegò lui. "La verità è che è molto piccolo per essere un castello".

"E anche molto vecchio", gli fece eco Albert alzando lo sguardo verso il cielo in cui si rincorrevano grandi nuvole bianche.

"Dai, non può essere più vecchio dei nostri antenati del secolo scorso!", rise Archie, dando il braccio ad Annie in un punto del sentiero un po' dissestato.

Albert si fermò socchiudendo gli occhi come se stesse riflettendo, passandosi la sacca da una spalla all'altra. Se non fosse che Poupee non c'era, Candy avrebbe detto di trovarsi davanti al giovane vagabondo smemorato che una volta aveva inseguito in un parco alla periferia di Chicago.

Cosa sarebbe accaduto se non lo avessi rincorso, allora? Forse non saremmo qui, oggi...

"A essere precisi, se i documenti che ho consultato dicono il vero, parte di quel castello ha origine addirittura nel Seicento", disse riprendendo a camminare con passo spedito e distogliendola da quell'ipotesi poco felice.

Candy spalancò gli occhi, incredula: "Vuoi dire che è una costruzione del diciassettesimo secolo?".

"No", dissero all'unisono Georges e Albert, facendoli fermare tutti con quella semplice risposta.

Archie e Annie per poco non le rovinarono sulla schiena e tutti gli occhi erano puntati su loro due, che fecero qualche passo prima di rendersi conto che nessuno li seguiva.
"Bene, visto che sembrate tutti molto interessati alla storia del castello cercherò di riportarvi le poche notizie che ho letto in biblioteca ieri pomeriggio". Albert lasciò cadere la sacca, sedette sull'erba a gambe incrociate e tutti lo imitarono.

"Mancano solo un fuoco acceso e le stelle", ridacchiò Annie.

"E magari qualche marshmallow", aggiunse Archie dandole il gomito.

Georges si schiarì la voce e fece cenno ad Albert di parlare. Lui chiuse gli occhi, come concentrandosi per capire da dove cominciare e iniziò: "La storia degli Ardlay affonda le sue radici nel quindicesimo secolo: a quanto pare i primi insediamenti a Edimburgo risalgono addirittura a prima che l'America venisse scoperta".

Archie emise un fischio, guadagnandosi un'occhiataccia da Annie, che sembrava già rapita dalla storia.

"Pare che i primi esponenti della famiglia si fossero stabiliti, a momenti alterni, nel *Castello di Edimburgo. E non portavano ancora il nostro cognome. Se non ricordo male il clan di allora era quello degli attuali **Anderson conosciuti anche come i MacAndrews, dai quali abbiamo ereditato in parte i colori del tartan".

Alla menzione del tartan, Candy sentì distintamente le guance scaldarsi perché i loro occhi si erano incontrati. Non avevano parlato a nessuno del loro piccolo segreto della Collina di Pony, di quell'incontro quando erano ancora ragazzini.

Il mio Principe della Collina...

Albert ebbe solo un momento di esitazione prima di continuare: "Il castello è molto antico, come sapete, e le sue origini potrebbero risalire persino al settimo secolo, l'anno Seicento per l'appunto. Certo, ha subìto parecchie trasformazioni e ristrutturazioni nel tempo ma alcune fondamenta sono davvero arcaiche".

Archie sporse le labbra come se volesse emettere un altro fischio e si trattenne all'ultimo istante.

"Però continuo a non capire come tutto questo sia collegato con il castello che stiamo andando a visitare e che si trova a miglia di distanza da Edimburgo", chiese Annie.
Albert prese un profondo sospiro: "Tutto ha origine da una guerra tra clan. Quando il ramo della famiglia Ardlay assunse il nome odierno per mancanza di discendenti maschi, dividendosi di fatto dagli Anderson, la fortezza di Edimburgo divenne teatro di violenti scontri per il possesso dei territori. Scott Ardlay era uno degli esponenti che lottava in prima linea e, proprio nel periodo in cui i combattimenti presero piede, stava vivendo una storia d'amore clandestina con una delle servitrici della famiglia rivale".

Tutti emisero un ansito stupito e persino Georges inclinò la testa da un lato come se fosse sorpreso: a quanto pareva non ne sapeva nulla nemmeno lui.

Albert parve quasi in difficoltà quando proseguì la storia e a Candy fu subito chiaro il perché.

"La donna, di cui non conosciamo il nome, fu scoperta insieme a Lord Scott Ardlay nei sotterranei del castello di Edimburgo. Era rimasta ferita durante gli scontri per proteggere la matriarca del suo clan e tutti la credevano morta: in realtà si era nascosta dal suo amante perché portava in grembo il loro bambino".

Lei e Annie emisero una specie di piccolo urlo, mentre gli uomini tacevano con gli occhi spalancati, di sicuro altrettanto colpiti da quella rivelazione. Albert prese alcuni steli d'erba e cominciò a tormentarli fino a strapparli.

"Trattandosi di una donna di basso lignaggio e per di più legata a un clan rivale, fu insultata e malmenata mentre Scott era impegnato in battaglia, quindi rinchiusa di nuovo nei sotterranei. Quando lui tornò... era ancora viva ma agonizzante e morì fra le sue braccia". La voce di Albert divenne triste, pervasa da quel dolore come se lo stesse avvertendo. E Candy aveva le lacrime agli occhi.

Dio mio, quanto dolore...

"L'uomo impazzì, si rivoltò contro la sua stessa famiglia. E fu ucciso. Al suo posto prese il comando il fratello minore, che pure gli era molto affezionato. Quando la lotta tra clan terminò, decise di recarsi nei sotterranei che erano stati teatro di tanta sofferenza e non gli fu difficile individuare il luogo in cui la donna tanto amata da suo fratello era morta. Si adoperò quindi per rimuovere quei mattoni sporchi di sangue, ripulirli e conservarli finché non potessero rinascere in modo simbolico a nuova vita: quella vita che era stata tolta a tre esseri innocenti, di cui uno non ancora nato".

Candy si asciugò gli occhi, scorgendo Annie che si scioglieva nell'abbraccio di Archie e desiderando d'improvviso fare lo stesso con Albert. La domanda, che aveva a fior di labbra, la fece invece Georges: "Sta cercando di dirci che quei mattoni sono arrivati fino a noi quando gli Ardlay si sono trasferiti in America? Sapevo che erano stati utilizzati per costruire una parte del castello, ma non credevo ci fosse una storia del genere dietro".

Albert annuì con vigore, smettendo di strappare i fili d'erba: "Sì. Lord William Logan Ardlay fu forse il primo a trasferirsi in queste zone e i mattoni gli erano stati tramandati come un cimelio di famiglia molto importante. Se i documenti sono corretti, dovrebbe trattarsi del nonno di mio padre e della zia Elroy, il mio trisavolo. Siamo alla fine del Settecento, forse i primi dell' Ottocento".

"Quindi anche i territori di Lakewood sono stati acquisiti persino prima del secolo scorso", commentò Georges, stupito.

"Sì, e sospetto che proprio in virtù di quella storia sfortunata il mio antenato abbia ordinato di costruire un piccolo castello in onore di quella tragica perdita, usando quei mattoni per una parte del basamento. E siccome si tratta di una delle parti più antiche del castello originario che sorge a Edimburgo, potrebbero benissimo risalire all'anno Seicento o giù di lì". Albert si batté una mano su un ginocchio, cominciando a rialzarsi e sancendo la fine di quella storia sconvolgente. "Acceleriamo il passo, ora, potrebbe piovere più tardi", concluse alzando di nuovo gli occhi al cielo.

"Ma se il cielo è azzurro e c'è persino il sole!", commentò sbalordito Archie.

Albert si girò a guardarlo da sopra una spalla: "Dimentichi che ho vissuto all'aperto per molto tempo e posso cogliere i cambiamenti del tempo prima ancora che si verifichino. Lo sentite questo vento a tratti teso e l'odore di umidità?". Gli fece l'occhiolino e Candy e gli altri si apprestarono a seguirlo senza dire altro.

Dopo aver sentito quella storia, sospettò che avrebbero visitato quel castello con occhi diversi.
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* https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Edimburgo#I_primi_abitanti
**https://clan.com/family/anderson?fbclid=IwAR17ph8Z9-WSXSIkFg4GBw2XbsWCNBR8L5I-IpkSaONFwhyb-gz8Gim182A
(ho immaginato che gli Anderson, che esistono veramente, potessero aver dato origine a una ramificazione che ha portato alla creazione del cognome Ardlay: ad esempio perché una delle famiglie avesse un'unica figlia femmina che si è sposata con un Ardlay. Ovviamente, si tratta di una mia licenza creativa e non intende arrecare offesa al clan esistente)
 

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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***


"Non riesco a credere che porti un machete in quello zaino!", ripeté Archie lottando contro le erbacce usando invece il coltello più piccolo.

Albert fece saettare il braccio e, con un gesto secco, tranciò un fascio di steli verdi che gli arrivava al petto. Rise di cuore all'ennesima esclamazione di stupore del nipote: "Mi sembra di aver già vissuto una scena simile", disse divertito.

Il nipote alzò gli occhi al cielo, detergendosi il sudore con il braccio e riprendendo il suo lavoro: "Oh, no, credimi: il giorno della tua presentazione ci ho messo più di mezza giornata a realizzare che lo smemorato amico di Candy fosse anche il prozio William".

"Ricordo bene la faccia che hai fatto e quante volte hai voluto sentire la mia storia", aggiunse fermandosi per guardare alle loro spalle.

Georges era davanti a Candy e Annie e stava facendo strada attraverso il varco che stavano aprendo lui e Archie. Si propose di dargli il cambio e il ragazzo accettò di buon grado, borbottando per la sua camicia irrimediabilmente rovinata.

"Te l'avevo detto che avresti dovuto mettere qualcosa di più comodo!", lo rimbeccò Annie.

Sentì Candy ridere mentre si voltava di nuovo per guardare le basse guglie stagliarsi contro il cielo: "Litigate già come marito e moglie", disse allegra.

Chiuse gli occhi: se Archie aveva trovato il coraggio di fare il grande passo, allora poteva farcela anche lui,  nonostante le loro storie fossero diverse.

Procedettero tra le erbacce fin quasi all'entrata principale, dove li accolse un giardino anteriore che un tempo doveva essere stato delizioso. Nascosti tra l'erba alta, c'erano un tavolo e delle sedute lavorate nella pietra, mentre sul lato opposto del sentiero d'entrata si trovava un piccolo stagno, che una volta doveva essere un laghetto artificiale ben tenuto.

Albert schioccò la lingua sul palato, contrariato: se lo stato di abbandono del giardino rispecchiava anche quello all'interno, allora c'era davvero poco da fare. Oppure molto.
"Sei sicuro di voler entrare lì dentro?", gli chiese Archie tappandosi il naso dopo essersi accostato all'ex laghetto. L'acqua era così sporca e mefitica che l'odore fece arricciare il naso persino a lui. Sospettò che, oltre alla vegetazione, dentro ci fosse finito anche qualche piccolo animale che non era più riuscito a uscirne.

"Per forza, ormai siamo qui e andremo fino in fondo. Ma preferirei che le ragazze rimanessero qui fuori, magari lontane da quella pozza", ridacchiò indicandola e vedendo le due portarsi una mano davanti alla bocca e al naso.

Anche Georges sembrò d'accordo con lui: "Entreremo noi due e il signorino Archibald può restare qui con le signorine", si offrì.

"E perché dovremmo rimanere fuori?", ribatté Candy.

"Giusto, vogliamo venire anche noi!", le fece eco Annie.

"Potrebbe essere pericoloso, qualche trave pericolante potrebbe colpirvi, oppure il pavimento sprofondare e...".

Mentre Archie cercava di far capire alle ragazze quanto potesse rivelarsi rischioso entrare, Albert abbracciò con lo sguardo quel piccolo castello di cui aveva scoperto la triste storia solo il pomeriggio precedente. All'inizio aveva pensato che potesse trattarsi di una leggenda, ma man mano che leggeva i documenti ingialliti che aveva trovato in biblioteca aveva capito che era una storia realmente accaduta.

Chi aveva innalzato quel piccolo castello gli aveva dato un aspetto medievale solo in parte, perché sulla sinistra c'era un torrione principale circondato da torrette più piccole dalle classiche guglie; sulla destra, invece, gli ricordava molto la sua capanna nel bosco, col tetto spiovente e il comignolo di un caminetto che spuntava di lato.

Nel complesso era molto grazioso, ma poteva vedere che le erbacce intorno e l'edera che cresceva sui muri, oltre a quel giardino abbandonato da decenni, non erano i problemi maggiori. Nessuna delle finestre sulla facciata aveva un vetro integro: in alcuni casi, alcuni spuntoni di vetro sporgevano ancora sulle cornici.

La porta principale, di cui aveva la chiave nella tasca, era fatiscente e non era affatto sicuro che la serratura si sarebbe sbloccata con facilità.

"Magari crolla sotto al suo stesso peso", borbottò tirando fuori la chiave e facendosela saltellare sul palmo della mano.

"Diceva, signorino William?". Georges gli si accostò e vide che stava passando in rassegna con lo sguardo le stesse cose che aveva appena osservato lui.

"Pensavo che siamo fortunati se la porta non ci cade sui piedi", rispose facendogli un cenno con la testa e incamminandosi.

"E noi?", si sovrapposero le voci di Annie e Candy.

Albert si volse a mezzo busto: "Restate qui fuori con Archie", ripeté con voce gentile ma ferma.

Le loro deboli proteste furono coperte dal cigolio sinistro e prolungato che emise il portone quando lo aprì. Non cadde ai loro piedi, né rovinò all'interno di quell'atrio polveroso.
Ma gli ricordò il lamento di una gazzella ferita a morte da un leone della savana africana.
 
- §-
 
Candy si sentiva nervosa come quando, una decina di anni prima, Anthony, Stair e Archie le avevano raccontato la leggenda del fantasma che abitava nella villa degli Ardlay e lei aveva creduto di scorgerlo appena fuori dalla stanza dove Eliza e Neal l'avevano rinchiusa per farle uno scherzo.

Nonostante la storia raccontata da Albert fosse molto triste, un senso di allarme e apprensione le strinse il petto quando lo vide entrare in quel castello con Georges.

Albert non ha parlato di fantasmi, quindi perché sono così in ansia?

"Candy, vieni a sederti qui!", la chiamo Annie indicandole una panca di pietra che Archie aveva liberato dalle erbacce col machete di Albert.

Sospirò frustrata e si risolse a raggiungere i due amici.

"Che hai? Non dirmi che sei preoccupata per loro!", le chiese Archie accomodandosi su un'altra panca più grande con Annie accanto.

Si morse il labbro, giocherellando con la gonna del vestito: "Voi non l'avvertite?", chiese a bassa voce, senza avere il coraggio di guardarli.

"Cosa?", domandarono quasi all'unisono.

"Questa... questa specie di aura di tristezza che avvolge il castello! Questo silenzio innaturale come se i rumori della natura non arrivassero fin qui! Non si sentono nemmeno cantare gli uccelli". Quando ebbe finito di parlare, alzò lo sguardo su di loro e quasi si pentì di aver espresso i suoi timori ad alta voce.

Penseranno che sono impazzita. Magari è davvero così...

I due sorrisero e si fissarono per un istante, poi Annie disse: "Candy, ammetto che la storia che ci ha raccontato Albert ha colpito molto anche me, però non dobbiamo lasciarci influenzare da qualcosa che è accaduto secoli fa".

"Ma io...".

"Non è che sei semplicemente in pena per Albert che è entrato senza lasciarti andare con lui?", le domandò con un sorrisetto malizioso.

Suo malgrado, Candy arrossì: "Ma figurati, certo che no!".

Se potessi correrei dentro solo per accertarmi che è tutto frutto della mia fantasia.

Accanto a lei, Archie si alzò d'improvviso in piedi guardandosi intorno e lanciando occhiate occasionali anche agli alberi nelle vicinanze.

"Cosa c'è?", gli domandò Annie accostandosi a lui.

"Sai, Candy non ha tutti i torti. Ascolta". Chiuse gli occhi e Candy trattenne il respiro, concentrandosi sul silenzio che aveva già notato poco prima. Imitò il gesto di Archie, escludendo persino la vista per captare eventuali suoni.

E quel silenzio che sembrava assordarla fu interrotto dal bisbiglio stupefatto di Annie: "Hai ragione, non si ode proprio nulla".

Se lo avvertono anche loro, allora... allora...

I loro occhi s'incontrarono e Candy riprese a respirare, con un po' d'affanno: "Visto? Ve l'avevo detto io che c'è qualcosa di strano!", si fomentò alzandosi e cominciando a camminare, tenendosi ben lontana dallo specchio d'acqua stagnante.

I passi in avvicinamento le indicarono che anche loro si stavano muovendo. Per la prima volta, Candy provò quasi una punta d'invidia per Archie e Annie, così affiatati e a un passo dal matrimonio. Non che lei e Albert non fossero uniti, ma cominciava a chiedersi quando il loro rapporto sarebbe evoluto un poco.

Ormai il suo cuore aveva ben chiaro da tempo chi ci fosse nel proprio destino da sempre, solo che lei era stata troppo cieca per vederlo. Era come se fosse stata immersa in una nebbia che la rendeva insensibile a tutto ciò che non fosse il ricordo doloroso di Terry. Proprio come quella, invisibile, che aleggiava lì intorno.

Non aveva udito né visto con quanta cura Albert l'avesse consolata e avesse asciugato le sue lacrime finché non era scomparso. Non si era resa conto della devozione e dell'amore disinteressato che le aveva sempre dimostrato, relegandoli a sentimenti di profonda amicizia.

No, il suo rapporto con Albert era divenuto, col tempo, molto più di questo.

I loro cuori e le loro anime erano collegati  da un filo invisibile che li aveva uniti fin da quel giorno sulla Collina di Pony, quando...

"Signorino William?", la voce allarmata di Georges che si affacciava dalla porta principale la fece sobbalzare, interrompendo il filo dei ricordi.

"Georges, che è successo?", chiese Archie allarmato, raggiungendolo mentre lei si portava una mano al petto dove il cuore aveva preso a battere forte.

L'uomo si schiarì la voce, come se fosse a disagio e non volesse allarmare i presenti. Ma Candy era già allarmata, ai limiti del panico. Si vedeva che Georges era preoccupato dal cipiglio che gli aggrottava la fronte.

"Nulla, credevo solo che William fosse qui fuori con voi", disse gelandole il sangue nelle vene.

"Ma, scusa, non era dentro con te?", intervenne Annie avvicinandosi.

"Sì, però ci siamo divisi per visitare meglio il castello e lui si è recato nell'ala ovest, mentre io ispezionavo i piani superiori", spiegò tornando al suo solito tono controllato. "Ma quando sono entrato nel torrione per raggiungerlo non l'ho trovato da nessuna parte e l'ala est è ancora chiusa, quindi pensavo di trovarlo qui con voi".

I piedi si mossero prima ancora che Candy potesse rendersi conto che stava entrando lei stessa a cercare Albert: aveva una brutta sensazione e intendeva assicurarsi di persona che lui stesse bene.

Il braccio di Archie la bloccò prima che potesse entrare: "No, Candy, Albert non mi perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa lì dentro".

Candy sbatté le palpebre. Nell'angolo più sinistro e irrazionale del suo cervello, le parve quasi che lui ne parlasse come se si trattasse di una persona defunta. S'impose di reagire a quella strana superstizione che non le pareva fare altro che aumentare, ma gli scostò comunque il braccio con decisione: "Invece entrerò e lo cercherò anche io", s'impuntò.

"E io verrò con te", s'intromise Annie accostandosi.

Archie la chiamò per nome, sconvolto, tentando di convincerla a restare fuori almeno lei, santo cielo! Candy non li ascoltava più ed era già entrata superando un perplesso Georges, che disse debolmente: "La prego, signorina, non credo che...".

"Albeeeert!", gridò lei portandosi le mani a coppa ai lati del viso, rompendo con tutte le proprie forze quel silenzio inquietante che si aggiungeva all'oscurità del castello.
 
- §-
 
Albert si bloccò con la torcia elettrica puntata davanti a sé, udendo quello che sembrava un richiamo. E, se l'udito non lo tradiva, la voce sembrava proprio quella di Candy.

Impossibile, me lo sono immaginato.

Guardò in alto spostando il fascio di luce e vide il soffitto basso a volta fatto di mattoni: poteva darsi che si trovasse in corrispondenza dell'atrio o dell'ala est. Magari, non trovandolo, Georges aveva chiesto aiuto agli altri per cercarlo ma gli sembrò improbabile.

Certo, era pur vero che era finito lì sotto in modo così repentino che il pover'uomo doveva essere molto preoccupato per lui. Però possibile che non avesse trovato il passaggio segreto che portava alle torri? Georges era pragmatico quanto lui ed era certo che fosse in grado di trovare a sua volta il meccanismo di apertura nel muro, anche se gli si era richiuso alle spalle.

Non era stato gradevole sentirsi praticamente in trappola e non capiva come mai i precedenti proprietari avessero concepito un passaggio così strano. E perché murare l'accesso alle torri, poi? Non che la scala a chiocciola che s'inerpicava ai piani alti fosse molto rassicurante, ma un tempo doveva essere molto più salda.

Scosse la testa, avanzando per raggiungere l'altra ala della casa e  vedere se trovava un modo per risalire: la caviglia gli faceva più male e pulsava a ogni passo, forse si stava già gonfiando e doveva sbrigarsi a togliere gli stivali prima di non riuscire più a farlo.

Ma prima doveva uscire di lì e non lo avrebbe fatto da dove era caduto.

In fondo al corridoio stretto, gli parve di scorgere quello che sembrava l'accesso a uno spazio più largo e meno claustrofobico di quello nel quale si trovava ora.

Rifletté di nuovo sulla stranezza della situazione: possibile che nonostante i suoi richiami nessuno lo avesse udito? Eppure lui aveva sentito bene il grido di Candy e non credeva fosse una pia illusione.

Inoltre, quando il pavimento vicino alla scala a chiocciola si era letteralmente aperto ai suoi piedi mentre saggiava la stabilità del vecchio corrimano in ferro battuto, doveva aver fatto un bel po' di rumore.

In quel momento Georges doveva essere ai piani superiori e gli altri ancora fuori in giardino. Eppure...

Eppure mi sembrava di aver gridato abbastanza forte per farmi sentire.

E perché nel momento in cui, ancora dolorante dopo la caduta, aveva guardato in alto con la luce della torcia non aveva visto altro che nudi mattoni di un soffitto come quello che lo sovrastava ora? Possibile che fosse precipitato in un altro passaggio segreto che gli si era richiuso sopra la testa?

"Che razza di diavolerie si sono inventati e per quale motivo?", mormorò nello spazio angusto. Gli tornarono in mente i mattoni con i quali era stato in parte costruito il castello e si domandò se fosse un escamotage per celarli agli occhi degli altri. Ma non gli veniva in mente alcun motivo valido per spiegare una decisione simile.

Stanco di pensare e dolorante per essere atterrato in mezzo a dei mobili accatastati storcendosi persino una caviglia, Albert sopraggiunse infine all'apertura alla fine del corridoio.

E la torcia gli cadde dalle mani con un gran rumore, rompendosi.
 
- §-
 
 "È molto strano", disse Candy aggrottando le sopracciglia e guardandosi ancora intorno. La piccola serie di finestre rotte illuminava abbastanza bene l'ambiente da rendere chiaro che non portava da nessuna parte.

"Da qui si dovrebbe accedere a delle scale che portano ai piani superiori delle torri, ma non si vede altro che questo muro con i supporti per le torce di legno", rispose Annie toccandone uno arrugginito che cigolò come se stesse per staccarsi.

"Ci sono!", esclamò poggiando le mani a quel muro. "Dobbiamo cercare un passaggio segreto! Magari Albert ne ha scoperto uno ed è rimasto intrappolato dall'altra parte".
"Oppure è nell'ala est dove sono andati Archie e Georges e noi siamo ferme qui a fare le esploratrici del mistero", ridacchiò lei tastandolo dal lato opposto.

"Hai sentito cosa ha detto Georges quando siamo andati da quella parte? Le porte di accesso erano tutte chiuse e non è plausibile che Albert sia andato in esplorazione da quel lato senza lasciarne aperta almeno una per segnalare la sua presenza", ribatté battendo le nocche sui mattoni per scoprire delle irregolarità, un suono diverso o qualunque cosa potesse far pensare a un passaggio nascosto.

Procedettero così per qualche istante, dai lati opposti, convergendo man mano verso il centro.

Candy batté per l'ennesima volta le nocche sul muro e sentì qualcosa di strano: un calore sulle dita, un rumore nelle profondità del muro e la netta sensazione che il suo corpo venisse attratto nella direzione in cui si stava aprendo.

Spalancò gli occhi e si volse verso Annie per avvisarla che aveva trovato il passaggio ma riuscì a emettere solo un breve grido, cogliendo appena lo sguardo spaventato della ragazza e il proprio nome pronunciato con una nota di panico.

La mano di Annie si allungò, ma lei era già dall'altro lato, che cercava di non perdere l'equilibrio, le braccia protese in avanti e i piedi che inciampavano su un'irregolarità del pavimento.

Candy ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo verso l'alto, poggiandosi al corrimano di ferro da cui si diramava una lunga scala a chiocciola. Colse i gradini aggrovigliarsi in una spirale e perdersi in cima, appena illuminati da una finestrella alta prima di precipitare.

Il pavimento le si era aperto sotto i piedi e lei gridò mulinando le braccia per cercare un appiglio. Toccò per un breve momento uno dei mattoni di quella sorta di botola e contrasse le dita cercando di aggrapparsi ma scivolò senza poter fare presa.

Il corpo impattò contro qualcosa di duro come il legno e lo scricchiolio che seguì le indicò che ci aveva visto giusto. Anche se 'vedere' non era proprio il termine che avrebbe usato: lì sotto era nero come la pece.

Dopo essersi accertata di non avere altro che qualche livido e che la parte più offesa era il suo fondoschiena, Candy alzò il volto, incuriosita. Dove diamine era finita la botola da cui era appena caduta come un sacco di patate?! Possibile che si trattasse di una trappola che si richiudeva sulle teste dei malcapitati?

Immersa nell'oscurità, si mosse a tentoni, incontrando le parti acuminate del legno spezzato: un tavolo? Una vecchia credenza? Qualunque cosa avessero accatastato in quei sotterranei, Candy non riuscì a vederla e si ricordò solo dopo attimi di frustrazione che doveva avere una torcia nella tasca della gonna: sperava solo che non si fosse rotta con la caduta.

Le sue dita la trovarono quasi subito e riuscì ad accenderla al secondo tentativo, tanto le tremavano le mani gelide. La luce fioca le ricordò che la pila era quasi esaurita e lei aveva quella di ricambio nella borsa che aveva lasciato di sopra.

"Sei davvero un genio, Candy!", disse a se stessa.

Individuò un corridoio stretto fatto di mattoni nudi, con il soffitto arcuato nel quale non trovò alcuna traccia del passaggio che l'aveva fatta cadere sin lì. Puntò il fascio intorno a sé, cominciando ad alzarsi dalle macerie con gesti lenti e controllati: si trattava di un vecchio tavolo spezzato in due. Lei si trovava sulla metà di destra e, aggrottando le sopracciglia, cominciò a sospettare che fosse già rotto prima che precipitasse.

Qualcun altro è caduto qui prima di me e deve averlo spezzato.

"Albert!", esclamò avvertendo una debole eco.

Si alzò in piedi e si accorse di essere a una specie di bivio: sulla sinistra c'era un ambiente un poco più largo, ingombro di quelle che sembravano altre suppellettili abbandonate lì da anni.

O da secoli...

Davanti, invece, si snodava un lungo corridoio anche più stretto di quello in cui si trovava ora. Puntò la torcia e vide che si perdeva a sua volta nell'oscurità.

Possibile che Albert si fosse avventurato lì per cercare una via d'uscita? Quando era entrato nel castello aveva con sé la sacca ed era sicura che, oltre al machete che tanto aveva impressionato Archie, dentro vi fosse anche una torcia.

Dovette fare appello a tutto il proprio coraggio per imporsi di imboccare quel passaggio con la poca luce che aveva ma, proprio quando stava per incamminarsi, udì un suono di passi provenire proprio dalle profondità del corridoio.

Per poco non le cadde la torcia dalla mano.

"C-chi è là? Albert?!". La voce le tremava anche se cercava di razionalizzare. Ma come razionalizzare quel suono scomposto di passi e l'ansimare pesante che lo accompagnava? E la sagoma che cominciò ad apparire, curva, nel buio, senza la minima fonte di luce a illuminarla?

Candy chiuse gli occhi, lasciò alfine cadere la torcia e si portò le mani al viso, urlando terrorizzata quando la figura fu abbastanza vicina da costringerla a indietreggiare ancora fino al muro, rovinandole addosso di peso.
 

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Capitolo 4
*** Cap. 3 ***


La torcia rotta giaceva di certo ai suoi piedi, ma Albert non ne aveva più bisogno.

Nella sala da ballo c'erano lampadari di cristallo che illuminavano le coppie intente in un valzer che non aveva mai sentito. Sbatté le palpebre, certo di avere le allucinazioni: forse aveva battuto la testa e ora stava sognando. Sì, doveva essere così.

Come spiegare, altrimenti, la visione di quei volti privi di lineamenti

come fantasmi

che si muovevano quasi senza fare rumore?

E come spiegare la musica incalzante senza la presenza di un'orchestra?

Ma, soprattutto, come accettare la vista dei suoi genitori che danzavano come fossero ancora vivi?

Aveva ricordi lontani ma indelebili del padre perché era vissuto fino ai suoi otto anni. Ma non aveva conosciuto sua madre se non attraverso i dipinti, perché era morta poco dopo averlo dato alla luce. E ora eccoli là, le uniche due figure che riusciva a distinguere in quel ballo bizzarro, allacciati mentre si guardavano negli occhi con qualcosa che sfiorava l'adorazione.

Così simili a lui e Candy quando avevano ballato insieme.

William C. Ardlay indossava un completo scuro, un cilindro nero a coprirgli il capo, ma senza nascondere i capelli biondi che gli adornavano le guance in due lunghe basette. Sua madre Priscilla, invece, aveva un ampio abito color champagne che ondeggiava a ogni movimento. I capelli, trattenuti da un semplice fermaglio dorato, sembravano risplendere come fili d'oro; poté notare la mano guantata di suo padre indugiare in una breve carezza, intrecciandosi su una ciocca dietro la schiena.

"Sei bellissima, mia cara. La gravidanza ti rende ancora più deliziosa". Il suono della voce che non udiva da più di vent'anni gli fece salire le lacrime agli occhi.

Ma fu quando sentì finalmente la voce di sua madre che Albert fu sopraffatto dalla commozione.

"Tu mi aduli, William... non sono certo leggiadra come durante il nostro ultimo ballo".

Un violino finemente accordato, il canto di un colibrì, il suono fresco di una cascata di ruscello... non aveva paragoni migliori per definire la voce della donna che gli aveva dato la vita sacrificando la propria.

"Madre... padre...", mormorò in un singhiozzo, desiderando che il sogno o l'allucinazione durasse il più possibile. Dall'età giovane dei due poté dire che il leggero rigonfiamento che spuntava sul ventre di Priscilla Ardlay riguardasse sua sorella e non lui.

La musica cessò e i genitori si volsero a guardarlo nel medesimo istante: cosa gli avrebbero detto? Gli avrebbero parlato? E lui poteva conversare con loro come fossero vivi?

Forse sono morto io e questo è il Paradiso...

"Non piangere, figlio mio", mormorò sua madre avvicinandosi e allungando una mano per asciugargli le lacrime che gli scendevano sul viso.

La mano era calda, tangibile, ma quando alzò la propria per toccarla lei la ritrasse. Suo padre gli stava sorridendo.

"Sei cresciuto molto, figliolo. Ormai sei tu il capofamiglia e puoi prendere le decisioni al posto di tua zia Elroy", dichiarò con il tono deciso che non aveva dimenticato.

Albert si passò un braccio sugli occhi, cercando di ricomporsi: "Cosa sta succedendo?", chiese cercando di restituire loro il sorriso, riempiendosi gli occhi della loro immagine.
I due si guardarono con aria complice, come se stessero avendo una muta conversazione.

"Vogliamo solo che tu sia felice, tesoro", disse la donna volgendo su di lui le iridi identiche alle proprie.

E finalmente riuscì ad afferrarla, la mano di sua madre, portandola alle labbra per darle un bacio struggente. Un bacio che conteneva tutti quelli che non aveva mai potuto darle. E gli abbracci, e i sorrisi e l'affetto che non aveva avuto modo di esprimerle.

Altre lacrime coprirono la pelle morbida che stringeva come se non volesse più lasciarla andare e fu d'impulso che le disse, con voce rotta: "Ti prego, dopo Rosemary non cercare di avere altri figli. Non morire a causa mia".

Quando riaprì le palpebre serrate, vide gli occhi pieni di dolore di lei brillare per il pianto: "Non ripetere mai più un'assurdità simile", disse con voce bassa e tremante.

"Tua madre ha ragione. Non dire sciocchezze, William Albert!". Il tono duro del padre lo colpì ma gli fece anche comprendere che non c'era modo di tornare indietro.

Ma allora perché sono qui, davanti a me?

"Sii coraggioso come sei sempre stato, Albert. Il tuo destino si compirà solo se tu lo vorrai davvero". La voce ora sembrava provenire più da lontano e anche la luce sembrava più debole.

"Madre?", la richiamò allungando un braccio e incontrando solo il vuoto, passandole attraverso.

"Coraggio, Albert", intervenne William senior togliendosi il cilindro come se lo stesse salutando, iniziando a svanire anche lui.

"No, non andate!", disse Albert allarmato, facendo un passo verso di loro.

"Segui il tuo cuore", fu l'ultima frase che udì dalla voce mai ascoltata di Priscilla Ardlay, il palmo della mano sinistra poggiato per un breve istante all'altezza del suo petto.

Mamma, papà, tornate qui! Non lasciatemi di nuovo solo! Avrebbe voluto gridare il bambino che era dentro Albert e che aveva soppiantato l'uomo di fronte alla visione dei genitori defunti.

Ma fu solo un verso strozzato che gli uscì dalla gola mentre cadeva in ginocchio con le mani a terra, scosso da singhiozzi silenti e profondi. Tornò l'oscurità ma lui se ne rese conto a malapena, tentando di ricordarsi quando era stata l'ultima volta che aveva pianto così miseramente.

Fu la comparsa di un'altra luce, molto più fioca della precedente a farlo tornare se stesso, quasi fosse ridiventato di nuovo adulto.

Alzò il viso e vide quello che doveva essere il vero aspetto di quei sotterranei dove poco prima c'era una sala da ballo: pareti nude, con torce appese che emanavano una luce arancione e sinistra.

Quando sono arrivato qui era tutto buio, come è possibile?

Alzandosi in piedi con il corpo e il cuore intorpiditi dal dolore, Albert zoppicò verso quella sorta di cantina umida appena conscio delle stilettate che s'irradiavano lungo la gamba destra.

Un passo, due. Al terzo passo udì un lamento lontano, appena dietro a una pila di casse di legno marcio. Si appoggiò al muro: sembrava la voce di una donna e pareva davvero sofferente. Ma non credeva si trattasse di sua madre.

"Dov'è, cosa le avete fatto?!", tuonò un uomo dalla parte opposta, dove intravide delle scale in pietra.

I suoi passi veloci erano pervasi dall'eco ma Albert fu comunque sorpreso quando si ritrovò d'improvviso faccia a faccia con il volto stravolto di un ragazzo che di certo era più giovane di lui.

Ma non fu questo a farlo inorridire.

Il suo capo, deformato in modo orribile, sanguinava e da un lato della testa poté vedere quella che senza ombra di dubbio era materia cerebrale. Gli occhi, blu come la notte, sembravano lampeggiare d'ira e la bocca si spalancò gridando: "Dov'è la mia Sophia?!".

Fu più di quanto Albert potesse sopportare.

Rivedere i suoi genitori era stato strano ma liberatorio. Ma trovarsi al cospetto di uno spettro infuriato e mutilato spezzò le ultime fila della ragione e si precipitò semplicemente lontano da lì, ripercorrendo il corridoio appena attraversato col respiro pesante.

E zoppicando nel buio pesto che lo accompagnò finché crollò addosso a qualcuno che stava gridando.
 
- §-
 
"Candy? Sei tu? Mi dispiace! Ti sei fatta male?".

Questa voce...

Era Albert che le era praticamente caduto addosso, avvolgendole un braccio dietro la schiena all'ultimo istante per attutire l'impatto? La sua torcia era caduta e rotolata in un angolo lontano ma il fascio di luce, seppure debole, le fece distinguere i capelli biondi dell'uomo mentre si rialzava aiutandola a mettersi seduta.

Candy lo avrebbe riconosciuto lo stesso, perché la solidità del suo torace e il profumo che le ricordava la legna appena tagliata erano i medesimi di ognuno dei loro abbracci.
"Sto bene", mormorò un po' in imbarazzo.

"Sicura? Mi sembrava...".

"Sto bene, davvero, non preoccuparti", lo tranquillizzò.

 Albert si mosse per raggiungere la torcia poco distante da loro, allungando un braccio e poggiando la schiena al muro. Lei lo imitò.

"Come hai fatto a finire quaggiù?", chiesero a una voce, scoppiando a ridere subito dopo.

Albert fece un cenno con una mano, invitandola a cominciare: "Ti stavo venendo a cercare, perché Georges è uscito fuori dicendo che non ti trovava più da nessuna parte. Io e Annie siamo venute nella zona delle torri e abbiamo scoperto il passaggio segreto. Subito dopo il pavimento si è aperto e... ma credo sia la stessa cosa che è accaduta a te", disse guardandolo e notando che aveva gli occhi un po' arrossati.

Che diamine gli è accaduto? Se non lo conoscessi direi che ha pianto...

Lui annuì, voltandosi di profilo: "Quando mi sono ritrovato quaggiù ho pensato che dovevo trovare un'altra via d'uscita, così mi sono incamminato per il corridoio". Aggrottò le sopracciglia, facendo ondeggiare il pomo d'Adamo come se stesse deglutendo, indeciso su come continuare.

Candy si sporse un poco per guardarlo: "E...? Sembravi inseguito da tutti i diavoli dell'Inferno, scusa se te lo dico". Rise un poco, sperando di sciogliere un po' di quell'anomala tensione che vedeva in lui.

Albert si volse ancora, mostrandole i suoi occhi limpidi e mozzandole il fiato: le parve di nuovo il ragazzo smemorato che occupava la stanza numero zero del Santa Joanna.
"Niente, non c'è niente di là. Solo topi. Ma la mia torcia si è rotta e voglio controllare se per caso... magari ci sono davvero delle scale...". La sua voce risuonava incerta e lei sbatté le palpebre, sicura che le stesse in parte mentendo.

"Stavi fuggendo dai topi, Albert? Perdonami, ma fatico a crederlo...", lo apostrofò alzando un sopracciglio.

"Non stavo fuggendo", rispose sembrando quasi urtato da quell'affermazione. Si chinò un poco e tentò di togliersi uno degli stivali con una smorfia di dolore. "Accidenti!".

Solo allora, nell'oscurità appena rischiarata dalla torcia posta in mezzo a loro, Candy notò il suo viso sofferente mentre si toccava la caviglia.

"Ti sei fatto male? Fammi vedere!", disse con tono urgente, mentre l'infermiera che era in lei prendeva il sopravvento.

"Credo di aver preso una storta quando sono caduto qui, nulla di grave", rispose cercando di nuovo di togliere lo stivale.

"Ti aiuto", dichiarò decisa, inginocchiandosi di fronte a lui e afferrandolo per il piede. Fece scivolare una mano all'altezza del tallone e l'altra in punta.

"Non... c'è bisogno, faccio da solo", protestò lui.

"Andiamo, non fare il bambino, ti ricordo che ho una certa esperienza con gli stivali ribelli", ridacchiò facendogli l'occhiolino.

"Sì ma... abbiamo camminato a lungo e... insomma...". A Candy parve persino che arrossisse e le fece quasi tenerezza.

"Non importa, sono un'infermiera, non dimenticarlo!". E, detto ciò, tirò con tutte le sue forze mentre lui spingeva indietro la gamba con una smorfia. 

Ci vollero quattro tentativi prima che, finalmente, lo stivale le finisse in grembo e la caviglia gonfia di Albert fosse visibile già sotto al calzino.

Albert sembrava a disagio e dolorante ma parve fare di tutto per non darlo a vedere: "Dunque, signora infermiera, quanto è grave?", chiese.

Candy aggrottò le sopracciglia tastando la pelle gonfia e arrossata e, quando lui dichiarò di sentire un po' di dolore in risposta alla pressione, cominciò a riflettere.

"Non credo ci sia nulla di rotto...", cominciò.

"...se non il tavolo su cui sono precipitato". Bene, aveva voglia di scherzare: buon segno.

"... ma solo un medico potrà dirlo. E ci sarebbe bisogno di ghiaccio, ma qui a parte l'umidità e qualche vecchio mobile non ne troveremo di certo. Per cui...".

Rifletté velocemente e cercò nelle tasche: il suo fazzoletto era troppo piccolo, così chiese ad Albert se ne avesse uno anche lui. Strappò alcune strisce di stoffa da entrambi e cominciò a fasciare la caviglia per immobilizzarla, quindi gli fece indossare di nuovo la calza per avvolgerla ancora meglio.

"Grazie, Candy. Non meritavo tanta gentilezza dopo esserti rovinato addosso in quel modo", disse con un sorriso nella voce.

Lei lo fissò con attenzione. Forse il viso tirato e pallido poteva essere dovuto alla luce scarsa o magari al dolore che cercava di dissimulare. Ma il fatto che sembrasse davvero spaventato da qualcosa quando era spuntato da quel corridoio continuava a martellarle il cervello.

Albert non si era mai spaventato di nulla, aveva persino affrontato un leone come se stesse trattando con un gattino.

Quindi, cosa diamine aveva visto alla fine di quel corridoio che lo aveva fatto correre su una caviglia slogata?

Nonostante fosse terrorizzata dall'idea, Candy decise di metterlo alla prova. "Posso lasciarti al buio per un po'? Mi sembra che abbiamo una torcia sola", gli disse cominciando ad alzarsi in piedi.

"Dove vuoi andare?", le chiese con una nota di panico che non le sfuggì.

"Hai detto che laggiù forse ci sono delle scale. Voglio andare a controllare".

"No". Candy aveva appena fatto in tempo a finire la frase che lui era già in piedi, poggiando parzialmente la caviglia offesa, con un cipiglio deciso che aveva visto solo in poche occasioni.

"Albert, non possiamo rimanere qui!", ribatté evitando ancora il fulcro del problema.

"Certo che no, ma non ti lascerò andare lì da sola", dichiarò chinandosi per prendere la torcia e saggiando la sua stabilità con un paio di passi zoppicanti.

"Tu ci sei andato da solo e senza neanche una luce", gli ricordò Candy.

"Ce l'avevo la luce, mi è... caduta", spiegò passandosi una mano tra i capelli.

Lei sospirò, scuotendo la testa: "Albert, io ti conosco da tanto tempo e questo comportamento non è da te! Per favore, dimmi cosa c'era di così pericoloso laggiù da farti correre a quel modo".

Lui si congelò per un attimo con il capo chino da un lato, gli occhi socchiusi come se riflettesse, quindi disse piano: "Non stavo correndo, ma ti confesso che non vedevo l'ora di andarmene. Quando sono arrivato qui la caviglia mi faceva molto male e sono inciampato".

"Cosa hai visto, Albert?", riformulò la domanda con voce tremula, quasi temendo la risposta. Cominciava ad avere dei sospetti, vista la stranezza dei passaggi nei quali erano caduti, ma non voleva né poteva portarli a livello cosciente perché era troppo spaventoso.

Invece, lui si volse per guardarla negli occhi e disse esattamente ciò che temeva, con tono fermo e controllato, come se parlasse del tempo: "Ho visto un fantasma". Fece un risolino nervoso. "Anzi, a dire il vero ne ho visti almeno tre".

I sensi cominciarono a venirle meno e, stavolta, fu lei ad accasciarsi direttamente fra le braccia pronte del suo principe.
 
- §-
 
Con Candy tra le braccia, Albert sedette di nuovo e le sostenne la testa nell'incavo del destro.

Perché gliel'ho detto in quel modo?!

Scosse il capo, ripetendosi che se i sotterranei erano davvero infestati lo avrebbe comunque scoperto da sola.

Quello che non capiva era cosa ci facessero lì i suoi genitori assieme a quello che, ne era quasi certo, doveva essere Lord Scott Ardlay in persona.

Mentre realizzava quel pensiero, Albert si rese conto di quali ragionamenti assurdi stesse tentando di fare: lui, così pragmatico e realista, che si concedeva solo di sognare la natura e i viaggi intorno al mondo. E che non aveva mai creduto a nulla di più soprannaturale che non fosse il Dio che lo aveva ricondotto da Candy mentre era senza memoria, a miglia da Chicago.

Perlomeno fino a mezzora prima.

Per quanto fosse strano quel castello e drammatica la storia a esso legata, non aveva pensato per un solo istante che potessero esserci delle strane apparizioni.

Magari ho immaginato tutto...

Eppure, l'emozione che lo aveva pervaso vedendo i genitori era tangibile tutt'ora e lo riempiva, al contrario della seconda visione, di un gran senso di pace. Aveva anche ben capito il messaggio che volevano dargli, pur se sul momento era stato tanto commosso che era regredito di diversi anni e avrebbe voluto stare con loro ancora un po'.

Dando dei piccoli colpi alle guance di Candy, chiamandola con gentilezza per nome, Albert ritenne una fortuna che ad avere l'apparizione peggiore fosse stato lui e non la ragazza.

Per un istante rabbrividì, immaginando in quale barbaro modo avessero assassinato il poveretto per ridurlo... in quello stato. Subito dopo, gli balenò alla mente il proprio incidente avvenuto in Italia e rifletté che poteva andargli molto peggio.

La mia testa sarebbe potuta esplodere, invece ho solo perso la memoria.

Non andava bene, si disse mentre Candy emetteva un lieve lamento muovendosi tra le sue braccia. Era lì da poco più di un'ora e già faceva pensieri assurdi se non persino lugubri!

Certo, aveva pur visto degli spettri, ma non doveva perdere il filo, soprattutto perché lei aveva bisogno che fosse forte.

Candy aprì gli occhi e le sorrise, sperando che la luce sempre più fioca della torcia fosse sufficiente a rassicurarla.

Per un attimo, sotto al suo sguardo smarrito, ad Albert parve di nuovo la ragazzina che aveva salvato dalla cascata: "Ehi, non hai alcuna scusante per svenire di nuovo: non ho né barba né occhiali, adesso", scherzò riferendosi a quel loro primo incontro.

Ma lei non colse il lato divertente della cosa e gli si rannicchiò sul petto tremando come una foglia: "Di...dimmi che stavi scherzando!".

La strinse volentieri, sospirando: "Mi spiace, Candy, vorrei poterti dire che è così ma... no, non stavo scherzando. Potrei mai farlo su una cosa simile?".

Alzò su di lui il viso spaventato e pallido, le palpebre spalancate come se stesse vedendo a sua volta un fantasma: "Non potevano essere persone vere?", chiese come se volesse convincere se stessa.

Albert la prese con gentilezza per le spalle: "Candy, mi conosci: sai che non sono un tipo che si suggestiona con facilità. Ma, a meno che non siamo entrambi già all'altro mondo... mi spieghi come avrei potuto vedere i miei genitori?".

E un uomo che urlava nonostante avesse la testa sfondata. Ma quello lo avrebbe tenuto per sé.

Lei si portò una mano alla bocca con un ansito strozzato: "Hai... hai visto...?".

Annuì: "Sì, Candy, e ti assicuro che non sono impazzito, né ubriaco. Ho persino sentito la mano di mia madre che mi toccava. Sembrava così reale...". Chiuse gli occhi, perdendosi di nuovo in quell'emozione.

Lei non disse più nulla, ma lo abbracciò come se volesse dargli un muto conforto e gliene fu grato.

Albert sentì la solidità del corpo di Candy contro il proprio e pensò che il cuore gli sarebbe balzato dal petto: era certo che lei lo sentisse battere forte contro il viso. Di certo immaginava che fosse per aver rivisto i genitori e in parte era vero. Ma lui sapeva anche che una parte di sé adorava stringerla come se fosse quello il suo posto. Come fosse già sua.

Aprì la bocca, deciso a dare finalmente voce ai sentimenti che stavano davvero per traboccargli dall'anima, quando la torcia si spense, gettandoli nel buio.

Per lui non sarebbe stato un grosso problema dichiararsi nell'oscurità, anche se avrebbe voluto vedere il suo bel viso mentre parlava e soprattutto trovarsi all'aperto e non in uno scantinato, ma Candy sembrava di nuovo terrorizzata. Il suo corpo si tese e gli s'incollò di nuovo addosso tremando.

Non che gli dispiacesse.

"Stai tranquilla, adesso cerco la mia sacca e vediamo se trovo la pila di ricambio", le disse chinando il capo perché lo udisse meglio.

"Non... non mi lasciare", mormorò lei stringendosi di più.

Albert chiuse gli occhi, affondando il naso nei suoi capelli che profumavano di rose e pensò che sarebbe potuto rimanere così per sempre.

"Non ti lascerò mai, Candy. Non avere paura", le rispose in tono vibrante, imprimendovi tutte le frasi non dette.

La tenne contro di sé finché non smise di tremare e avanzò inginocchiato e a tastoni fino a dove c'era il tavolo rotto e quindi il sacco. Mosse le mani con cautela per non ferirsi con il legno marcio e finalmente toccò il tessuto teso.

"Lo hai trovato?", gli fece eco Candy da dietro.

"Sì, dovrei... eccola!". Toccò l'oggetto cilindrico in fondo alla sacca e lo tirò fuori. Prese anche la borsa e la portò con sé. Mentre tornava indietro batté la caviglia slogata su un angolo del tavolo e strinse i denti soffocando un'imprecazione.

Nel silenzio, lei dovette sentire il verso strozzato perché gli chiese subito cosa fosse accaduto.

"Nulla, nulla... sto arrivando, cerca di aprire la torcia". Dopo un paio di tentativi, la luce tornò a illuminare la stanza e li raggiunse il boato del vento.

"Come è possibile?", commentò Albert guardandosi attorno.

"Cosa?".

"Il rumore del vento... lo senti? Pare proprio che nessuno riesca a udire noi ma da qui possiamo ascoltare persino i rumori che provengono da fuori". Spostò il fascio di luce sul soffitto e poi davanti a loro, proiettando sul muro lunghe ombre che avevano qualcosa di spettrale a loro volta.

"Io non sentivo i rumori della natura nemmeno in giardino", disse Candy lentamente, annuendo piano. "E se ne sono accorti anche Annie e Archie. È come se tutto il castello fosse circondato da... non lo so, un'aura magica. E i fantasmi!". D'improvviso, parve ricordarsi di quel particolare macabro e gli si strinse di nuovo al braccio.

Potrei abituarmi a questo...

"Penso di averti sentita urlare il mio nome, prima che finissi quaggiù, sai?", confessò voltandosi a guardarla.

"Davvero?", fece lei in un sussurro, fissandolo con gli occhi spalancati come una bambina.

Annuì, stringendola più forte con un braccio e rimase per qualche istante così, riflettendo e guardando verso il corridoio, illuminandolo: "Candy, devo tornare di là ma sarai tu a dover rimanere al buio. Pensi di...".

"Andiamo insieme, oppure ci vado io. Tu hai una caviglia slogata", protestò subito come riprendendo coraggio.

"Sai benissimo che non mi fermerò per una storta e comunque posso camminare", rispose, cominciando ad alzarsi. "E poi potrebbero esserci... altre apparizioni".

Candy si alzò in piedi a sua volta: "Ci sarai tu, quindi non ho paura", disse risoluta riempiendolo di orgoglio, anche se non sapeva quanto stesse fingendo.

Albert rivide il capo pieno di sangue di Lord Scott che gli urlava a pochi pollici dal viso e tentò, senza successo, di dissuaderla, finché non fu costretto ad assecondarla.

Così, con Candy sottobraccio, si avviò zoppicando nel corridoio umido, sperando di ritrovare al massimo i suoi genitori volteggiare in un valzer di oltre trent'anni prima e non uomini selvaggiamente uccisi.

Ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato così.
 

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Capitolo 5
*** Cap. 4 ***


"Hai detto che i fantasmi erano tre", disse Candy quando furono quasi arrivati e avvertì il corpo di Albert irrigidirsi.

Erano quasi alla fine del corridoio stretto.

"Sì, l'ho detto", rispose lui infine, come se non gli piacesse ammetterlo.

Alzò il capo per guardarlo senza lasciare la presa sul braccio e, nella penombra, il suo profilo appariva teso.

"Chi era? Forse... Anthony? O Stair?".

Albert scosse la testa: "No, credo si trattasse di Lord Scott Ardlay", disse in tono cupo. "Guarda, siamo arrivati", aggiunse subito dopo, troncando la risposta.

Candy si fermò, fissando il fascio di luce che lui stava muovendo per individuare un corridoio più largo e, a prima vista, speculare a quello cieco che avevano lasciato. I mattoni nudi e le ragnatele erano anche lì ma non vide le scale di cui Albert le aveva parlato.

"Dunque anche quella era una visione...", mormorò come in risposta al suo pensiero.

Avanzarono di qualche passo e si accorse che lui zoppicava più di prima. Ogni volta che metteva il piede sul pavimento, faceva una leggera smorfia di dolore. Si fermarono accanto ad alcune casse di legno accatastate in un angolo e lei si chinò per esaminare la caviglia.

"Stai fermo un attimo e punta la luce qui, per favore, voglio controllarti", disse tastando la pelle con cautela.

Lui eseguì e non emise un lamento, ma capì dal respiro improvviso che prese e trattenne che il suo tocco leggero gli aveva fatto male. Mentre lo esaminava e si rendeva conto che il gonfiore era aumentato, Candy si accorse che Albert stava controllando il luogo, anche se la luce diretta la stava puntando in basso.

"Stavo pensando che le scale potrebbero essere dietro a un altro passaggio segreto... ahi!", concluse quando esercitò una lieve pressione.

"Hai detto bene, tu pensa e io controllo. Siediti qui da qualche parte e fammi luce, che ispeziono il muro", dichiarò in tono pratico, rialzandosi in piedi.

"Ma...".

"Niente ma! L'edema è peggiorato e se non vuoi rimanere seduto per il prossimo mese ti consiglio di riposare un poco", lo rimproverò come fosse un bambino disobbediente. Il terrore per quello che le aveva confessato poc'anzi era ancora latente e, a dirla tutta, non aveva elaborato la portata delle sue affermazioni.

Albert era sempre stato un uomo concreto e con i piedi per terra, che non riusciva mai a fermarsi in un posto se non era costretto. Sentirlo parlare di fantasmi era una cosa così fuori dalla norma che il suo cervello aveva metabolizzato il fatto solo per metà, facendole perdere i sensi sul momento ma consentendole anche di trovare una nuova forza dentro di sé.

Era accanto ad Albert in una situazione surreale, che se gliel'avessero raccontata non vi avrebbe mai creduto. Ma si sentiva al sicuro vicino a lui e si appoggiava al suo principe senza però mancare di supportarlo.

Fu quindi con estrema soddisfazione che lo vide sedersi come gli aveva chiesto e indicarle la porzione di muro nella quale aveva scorto le famose scale.

"Prima mi è apparsa una sala da ballo illuminata. Poi, quando mia madre e mio padre sono spariti lo scantinato era... diverso. Simile a questo, ma con delle torce sul muro e queste scale che... un momento!", interruppe il racconto raddrizzando la schiena.

"Cosa ti è venuto in mente?", chiese Candy voltandosi e smettendo di battere le nocche sui mattoni.

"Forse è un evento del passato in un luogo diverso, come è stato per il ricevimento. Magari stavo vedendo lo scantinato del Castello di Edimburgo", ipotizzò portando una mano sotto al mento.

Si voltò del tutto per fronteggiarlo, aggrottando le sopracciglia: "Raccontami come è andata: Lord Scott ti ha parlato dopo aver sceso le scale?".
Di nuovo, vide Albert indurire i lineamenti in un'espressione seria, la mano che reggeva la torcia si abbassò un poco.

"Oh, andiamo, non sverrò di nuovo sentendo parlare di un fantasma, te lo prometto! E poi una volta ne ho visto uno anche io!", dichiarò per indurlo ad aprirsi.

"Stai scherzando?", domandò lui con un piccolo sorriso.

Candy gli narrò brevemente della leggenda che le avevano raccontato Anthony, Archie e Stair poco dopo il suo arrivo e durante un ballo. Concluse con il dispetto che le aveva fatto Eliza e con l'apparizione dello strano uomo col cilindro e il mantello.

Albert fece una faccia strana, a metà tra il serio e il faceto e disse: "Chissà, avrei potuto anche essere io quel fantasma".

Candy spalancò gli occhi, indignata: "Albert, smettila di scherzare e dimmi di Lord Scott, piuttosto!".

Lui fece un respiro profondo e raccontò: "Dietro queste casse ho sentito il lamento di una donna: a quanto pare sono l'unico elemento in comune fra i due luoghi. Poi ho udito il richiamo di qualcuno che cercava una certa Sophia".

"Allora è così che si chiamava", disse tristemente, ricominciando a controllare il muro. Dopo aver tastato tutta la parete si arrese. "Qui non c'è nulla, a questo punto verifico anche le altre pareti. Seguimi con la torcia, per favore".

Terminato il perimetro, Candy sedette pesantemente accanto ad Albert, poggiando il capo sulla sua spalla. Nonostante la situazione poco felice, s'inebriò del suo odore maschile e si rilassò a tal punto che per poco non si addormentò.

"Se ti appisoli qui potrei anche portarti in braccio, ma rischierei che la mia infermiera mi sgridi se sforzo il mio povero piede slogato". La sua voce era un sussurro roco nell'orecchio che le rimandò l'alito caldo di Albert.

Represse un brivido gradevole mentre si staccava un poco: "Scusa, è che stamattina mi sono alzata presto per non farmi rimproverare dalla zia Elroy e tutte queste emozioni...". Si strinse nelle spalle, tirando fuori la lingua in un gesto birichino.

"Tranquilla, non c'è problema, ma credo che dovremmo tornare di là. Qui mi sembra persino più freddo e umido e tu stai tremando". Non se n'era quasi accorta finché non glielo aveva fatto notare e, dopo un diniego iniziale, accettò la sua giacca sulle spalle prima di ritornare al primo scantinato.

"E adesso che facciamo?", chiese ad Albert, quando si fu seduto di nuovo.

"Riposerò un poco il piede e poi controllerò meglio questo luogo. Se l'altro scantinato non ha alcun passaggio e il corridoio di collegamento nemmeno, deve per forza essercene uno qui. Ho intenzione di accatastare un po' di quei mobili e arrampicarmi fino al soffitto per vedere se riesco a sbloccare il meccanismo originario".

Candy si limitò a scoccargli un'occhiata in tralice, ma doveva dire che non aveva tutti i torti: l'uscita doveva trovarsi lì, magari proprio sulle loro teste.

"Se mi lasci ispezionare la stanza ti permetterò di controllare il soffitto, visto che sei più alto. Ma lascia che ti dica che non mi piace l'idea di saperti arrampicato su un cumulo di legno marcio con quella caviglia", rimbeccò.

Lo sguardo di Albert divenne dolce e intenso e Candy vi si perse. D'improvviso, l'atmosfera leggera era mutata in un momento profondo scandito solo dagli occhi del suo principe e dalla sua voce profonda che le diceva: "Grazie, Candy. Sei molto cara a preoccuparti così per me".

"Io... io...". Al momento, aveva perso l'uso della parola, troppo calamitata dal suo viso e dalla mano che le saliva sulla guancia. Non esisteva il freddo, non esisteva il rumore della pioggia che, in modo alquanto bizzarro, era l'unico che udissero lì sotto. E non esisteva neanche la fine del suo discorso: cosa stava per dire, poi? Che un'infermiera si comportava così con i propri pazienti? Che loro erano amici ed era normale che si preoccupasse per lui?

Sciocchezze.

Candy sapeva benissimo che l'impulso di socchiudere gli occhi e avvicinarsi al suo volto mentre anche lui lo stava facendo non aveva nulla a che fare né con la propria professione né con l'amicizia.

Voleva un bacio da Albert. Voleva che finalmente lui facesse quel salto, così che lei...

Il boato del tuono li fece sobbalzare nel medesimo istante e l'incanto si spezzò.

"Si è fatta sera e sta piovendo, ormai ci staranno cercando", disse Albert allontanandosi un poco, la voce velata da una strana emozione che non seppe decifrare.

"Controllo queste mura e ti aiuto con i mobili", rispose alzandosi in piedi.

Fino a pochi istanti prima era pronta a baciarlo. Ora, Candy si sentiva bruciare le guance per l'imbarazzo.
 
- §-
 
Il piede sinistro era puntellato su una tavola di legno poggiata su una console di cui aveva accuratamente saggiato le gambe già rotte, limandole quanto possibile con un coltellino per renderla stabile. Il mobile, a sua volta, era stato bilanciato su un lungo tavolo basso che scricchiolava un po' ma sembrava reggere il peso. Nonostante ciò, Albert dovette sollevarsi sulla punta sentendosi quasi come una gru di quelle che aveva visto in Africa. O come un improbabile ballerino classico.

Candy non faceva altro che ripetergli che doveva stare attento e lui le aveva già risposto che era l'ultima persona a dovergli fare un appunto simile, visto quello che combinava sugli alberi.

Era un dato di fatto, però, che i mobili erano molto antichi e in parte marci e sarebbe bastato un nonnulla perché tutta quell'impalcatura improvvisata crollasse sotto al suo peso. Immaginò la zia Elroy avere un attacco di cuore solo a saperlo lassù.

Albert passò più volte i palmi nella zona da dove lui e Candy erano precipitati, anche se avevano discusso a lungo su quale fosse quella giusta. Eppure, nessun mattone si mosse.

Abbassò le braccia, riprendendo fiato: "Facciamo così: spostiamo tutto un po' a sinistra e riproviamo". La debole protesta di lei non lo fermò e, insieme, spinsero i mobili dove aveva indicato.

Ripeterono l'operazione altre tre volte prima di arrendersi.

Albert appoggiò ancora una volta la schiena al muro, la caviglia che pulsava a ogni battito cardiaco. L'aveva dovuta usare più volte per salire e scendere e ora il dolore era davvero notevole, ma non voleva far preoccupare Candy, così cercò di sopportarlo.

"C'è solo una cosa da fare, a questo punto", disse lei aggrottando le sopracciglia e sedendogli accanto.

"Ovvero?", chiese voltandosi e alzando un sopracciglio.

La verità era che confidava molto in Candy: poteva svenire davanti a una storia di fantasmi ma mostrare una forza d'animo invidiabile.

Sulle prime, quindi,  rimase perplesso quando lei si limitò a urlare a squarciagola una richiesta di aiuto, la voce che rimbombava sulle pareti quasi assordandolo. Facendo un sorrisetto divertito, però, decise di imitarla: continuava a sentire i tuoni e la pioggia, quindi per quale motivo gli altri non dovevano sentire loro? Di certo non se n'erano andati abbandonandoli lì!

La voce acuta di Candy e la sua più baritonale, però, non sortirono alcun effetto e smisero quando cominciò a mancare per il tanto gridare.

"Uffa, questo è assurdo! Qualunque sortilegio ci sia in questo castello pare proprio che voglia farci restare qui chissà per quanto tempo!", sbuffò lei incrociando le braccia.
Albert la guardò per un istante, indeciso se confessarle che a lui non dispiaceva affatto. Voleva tanto rimanere solo con lei per darle l'anello che pareva quasi che le entità del castello si fossero accordate per accontentarlo. Peccato che si trovassero in uno scantinato buio e umido. E che lui avesse lasciato l'anello a casa.

Sospirò e le disse: "Candy, perché non provi a dormire un po'? Eri molto stanca se non sbaglio...".

La ragazza si voltò a guardarlo, gli occhi verdi brillavano nella luce della torcia e le mani erano strette sulla sua giacca.

"Hai freddo?", le chiese avvicinandosi a lei con l'intenzione di stringerla in un abbraccio. Incredibilmente, lei arrossì.

"Non molto, la tua giacca è molto calda... tu, piuttosto...".

"Io sto bene", ribatté deciso.

"... e la caviglia?".

"Va meglio", mentì con un sorriso.

"Bugiardo", lo scoprì subito Candy, dandogli un leggero pugno sul braccio. "Va bene, mi appisolo un po'. Spegni la torcia, però, se non ti serve. Almeno risparmieremo la batteria".

"Agli ordini!", rispose facendole il saluto militare e vedendola ridacchiare.

Un clic e la figura della sua piccola Candy non era più visibile.

Ma conosceva a memoria ogni più piccola conformazione del suo viso così caro, dai lineamenti delicati come quelli di una ragazzina eppure più adulti man mano che passavano gli anni. Le labbra, ancora più piene, il naso leggermente schiacciato intorno al quale le lentiggini, anche se più sbiadite, continuavano a conferirle quell'aria sbarazzina. E il verde luminoso dei suoi occhi, che potevano brillare di lacrime o di intelligenza e scrutargli fin dentro l'anima in un solo istante. I capelli ricci le ricadevano dorati come un manto le poche volte che li scioglieva e, quando accadeva, gliene era silenziosamente grato. Sarebbe stato così facile e meraviglioso affondarvi le dita!
Candy non era di una bellezza canonica e statuaria, ma fresca e spontanea: il corpo piccolo ma ben formato, le curve non troppo pronunciate ma deliziosamente visibili sotto all'abito che la fasciava...

Albert scosse la testa, rimproverandosi per quei pensieri poco casti che stava facendo. Ma l'amava, l'amava con tutto se stesso e la desiderava come non aveva mai desiderato nessuna donna. Era cresciuta davanti ai suoi occhi, trasformandosi da bambina spaventata in ragazza indipendente, sbocciando nell'anima e nel corpo.
Il sentimento che aveva maturato nei suoi confronti era stato altrettanto graduale, come un fiore che apra i petali solo quando è maturo. E dall'istinto di protezione all'amore maturo il passo, seppure non breve, c'era stato e ora lui se ne sentiva travolto.

Poggiò il capo al muro, maledicendo la situazione surreale nella quale erano finiti e appuntandosi in un angolo della mente che, la prossima volta che la zia Elroy gli avesse fatto una richiesta, sarebbe stato meno conciliante. Certo, non poteva raccontarle cosa fosse accaduto dentro a quel vecchio castello. Anzi, sarebbe stato meglio che tenessero per loro quel segreto, lui e Candy. Non solo non avrebbero creduto a una parola, ma li avrebbero presi per due che avessero battuto la testa.

La stanchezza di quella giornata cominciò a invadergli le membra e, nonostante la caviglia gli mandasse stilettate puntuali lungo tutta la gamba, il sonno lo pervase come un manto. Aveva freddo senza giacca, non poteva negarlo e il temporale che stava imperversando sulle loro teste rendeva l'ambiente ancora più umido.

Ma era felice di averla data a Candy e si accontentò di tirare le maniche fino a coprirsi le mani, che stavano diventando gelide.

Ci ripensò, e con la sinistra cercò e strinse quella destra di Candy.

Gli occhi si fecero pesanti e, alla fine, anche Albert si addormentò.

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Capitolo 6
*** Cap. 5 ***


Candy fu catapultata fuori dal sogno dal gemito basso e spaventato di Albert e, d'istinto, afferrò la torcia per accenderla: era la prima volta che lo vedeva così terrorizzato. Neanche quando le era caduto addosso dopo aver visto un fantasma le era apparso tanto vulnerabile.

Negli occhi, però, poté cogliere lo stesso orrore che l'aveva pervasa nel suo incubo e si azzardò a chiedergli: "Albert? Che c'è? L'hai sognato anche tu?".

Stava tremando e si rimproverò di non aver condiviso con lui la giacca: "Io...", disse passandosi una mano tra i capelli.

"Non era un sogno". La voce di una donna alla sua sinistra la gelò e Candy si voltò di scatto, cominciando a sua volta a tremare. E non solo per il freddo.

La figura sembrava eterea, eppure venne colpita dal fascio di luce. Sapeva benissimo che si trovava al cospetto di un fantasma, ma stranamente non aveva paura. Capì quasi subito il motivo: aveva già visto la donna nei dipinti che le aveva mostrato Albert a Lakewood e ne fu commossa.

"Rose...". Il mormorio di Albert al suo fianco le indicò che anche lui lo era.

"Qui siete al sicuro, non dovete temere. Quella realtà è stata scongiurata grazie alle preghiere di Lord William Logan Ardlay, che ha fatto costruire questo posto", spiegò con voce dolce.

Rosemary indossava un vestito molto semplice color verde chiaro, simile a quelli che lei adorava mettere per stare comoda e correre in mezzo ai prati. Fu colpita dal suo viso che era bello in maniera unica eppure portava in sé i lineamenti di Anthony e dello stesso Albert, a cominciare dal colore del grano dei lunghi capelli lisci e degli occhi chiari come il cielo estivo.

Sembrava così serena e viva che Candy avrebbe voluto chiederle un'infinità di cose, ma le parole rimasero bloccate in un nodo che le stringeva la gola. Non riusciva proprio a staccare lo sguardo da lei, ma sentì Albert parlare.

"Vuoi dire che se non fossimo caduti qui sotto saremmo stati vittime del temporale?", chiese.

Lei annuì e Candy trattenne un ansito: "Ma... è terribile!", mormorò cercando di ricordare anche la prima parte del sogno. Quando accadde, desistette dal proposito di chiedere a Rosemary come ci fossero finiti, in mezzo al bosco mentre pioveva e per giunta in piena notte.

Albert mi stava baciando... e io ricambiavo i suoi baci! E... oh, posso ancora sentirne il calore del corpo stretto al mio, il profumo della sua pelle, la sensazione delle sue mani che mi accarezzano ovunque...

"Rose, che preghiera ha fatto Lord Logan per salvarci la vita?", domandò Albert.

La donna sorrise: "Ha chiesto che le fondamenta su cui è stato costruito questo piccolo castello fossero benedette dall'amore, perché dessero vita a un edificio ove regnassero sempre pace e armonia. Desiderava riscattare il sangue innocente che vi è stato versato".

A quelle parole, e ricordando la storia raccontata da Albert, Candy non poté fare a meno di sentire le lacrime salirle agli occhi: "È così ingiusto quello che è accaduto a quelle povere persone!", disse con voce rotta. "Spero che ovunque siano possano ritrovarsi".

Attraverso il velo delle lacrime non versate, Candy poté vedere il volto di Rosemary divenire triste. "Purtroppo non è così, cara Candy", le rispose in modo diretto. Fu una sensazione strana ma bellissima sentire il proprio nome pronunciato dalla sorella di Albert.

Si volse per guardarlo e si scambiarono uno sguardo interrogativo.

"Purtroppo Sophia giace in una fossa comune destinata ai soldati nemici caduti in battaglia, mentre Lord Scott è stato sepolto in un anonimo cimitero di Edimburgo. Le loro anime non trovano pace e si cercano con disperazione da secoli. Ora sono legate alle fondamenta di questo castello".

La voce bassa di Albert le arrivò in un mormorio: "Ora capisco...".

"La stava cercando... Lord Scott cercava la sua Sophia!", esclamò guardandolo di nuovo e ricominciando a tremare.

Lui si limitò ad annuire con i lineamenti contratti in un cipiglio. Rosemary lo chiamò e Albert alzò gli occhi su di lei.

"Fratello mio, ti ricordi cosa ti dissi quando mi innamorai di Vincent?", domandò inclinando un poco il capo e facendo ondeggiare i bellissimi capelli.

Albert deglutì un paio di volte, poi rispose con voce stentata: "Che la felicità non dipende dai soldi o dal prestigio sociale, ma dalla possibilità di vivere con la persona che si ama. Eri pronta a rinunciare al tuo cognome per lui".

Rendendosi conto di quanta emozione stesse cercando di trattenere, Candy gli afferrò il braccio e si strinse ad Albert, donandogli conforto. Ormai anche lei era in lacrime e non l'aveva nemmeno conosciuta. Però era come se fossero anime affini ed era certa che sarebbero state ottime amiche se solo...

"Proprio così. So che il tuo cuore la pensa proprio come me, quindi non sprecare la tua occasione. Quando sarà ora di uscire dal castello il legame sarà sancito e i vostri destini uniti per sempre. Tenetevi per mano, come avete sempre fatto e tutto andrà bene...". La voce di Rosemary stava svanendo e anche lei appariva più diafana.

D'istinto, sia lei che Albert allungarono un braccio nell'inutile tentativo di fermarla ma lei scomparve con un sorriso rivolgendole un ultimo saluto: "Ti voglio bente, piccolo Bert. Ciao, dolce Candy, sei una ragazza fantastica, abbi cura di lui".

"Oh, Rosemary", mormorò Candy singhiozzando. Alle sue spalle, le parve di vedere altre due figure, quelle di un uomo e di una donna. Nonostante le lacrime che l'accecavano, li riconobbe all'istante, pur se conosceva anche loro dai dipinti.

La parete di mattoni ricomparve e delle sagome non rimase traccia.

Candy singhiozzò stringendosi al braccio di Albert e, quando fu di nuovo in grado di parlare, gli chiese: "Quelli dietro a Rosemary erano tua madre e tuo padre, vero?".

Lui sorrise con gli occhi pieni di lacrime e una gli scese lungo la guancia: "Sì, erano loro", rispose afono, asciugandola con un dito. "A quanto pare mancano solo Anthony e Stair e posso dire di aver incontrato tutta la mia famiglia, oggi".

Lei ricambiò il sorriso e gli si strinse in un abbraccio, condividendo l'emozione traboccante che era riuscita a far vacillare persino un uomo incrollabile come lui.
Quando avvertì il suo cuore e la sua respirazione tornare regolari al pari dei propri, Candy cominciò a riflettere sulle implicazioni di quello che aveva detto Rosemary e si allontanò un poco da Albert, imbarazzata.

Lui chinò il capo per guardarla: "Candy...". S'interruppe, come ricordandosi di qualcosa e si spostò per toccarsi la caviglia. "Non mi fa più male!", disse stupito.
Soggiogata dal mix di emozioni, lasciò che il suo lato pragmatico prevalesse e si dispose a controllare il piede di Albert, rimuovendo la calza e controllando la fasciatura: la caviglia si era sgonfiata tanto che le bende si erano persino allentate. Le tolse del tutto e non rilevò alcun tipo di trauma.

Come se non ci fosse mai stata una distorsione.

"Ma... questo è un miracolo!", esclamò alzando il viso per incontrare i suoi occhi.

"Ed è l'ennesima riprova che almeno Rose e gli altri non li abbiamo sognati", ribatté lui sistemandosi l'orlo dei pantaloni e rimettendosi lo stivale.

Restò per un attimo chino sulla propria gamba, prima di alzarsi in piedi per fare qualche passo. Si fermò, allargò le braccia e sorrise ancora: "Come nuovo", disse mentre lei batteva le mani.

Il silenzio calò di nuovo tra loro.

Candy sapeva che stavano vivendo momenti particolari, che erano in un sotterraneo dove con tutta probabilità vagavano ancora anime tormentate. Ma capì anche che era il momento della verità. Rosemary aveva parlato di un legame che sarebbe stato sancito una volta usciti dal castello.

Ciò significava forse che Albert...

"Ascoltami, Candy". Ecco, le aveva appena preso le mani e di nuovo aveva posato su di lei quello sguardo limpido che le mozzava il fiato.

E lei smise di respirare. In quello scantinato umido dove avevano visto i fantasmi di Rosemary e dei genitori di lui. Dove c'erano passaggi segreti che sembravano essere stati creati apposta per strapparli a un destino crudele. Dove Lord Scott e la sua Sophia si cercavano senza trovarsi. E dove si udiva solo il rumore del temporale.

Lì, Albert stava alfine per rivelarle i suoi sentimenti.

In un luogo tanto strano quanto inospitale, ma che valeva molto più di qualunque prato assolato potessero desiderare.

Perché il sole li illuminava da dentro.

"Mi sei sempre stata molto cara e ti ho voluto bene fin dal primo momento in cui ti ho vista su quella collina", cominciò sembrando quasi incerto su cosa dire di preciso. E lo amò ancora di più per questo. "Quando ti ho rivista alla cascata... mi sono ricordato subito di te, anche se la conferma mi è arrivata dalla spilla che portavi al collo. Ero davvero felice nel sapere che l'avevi conservata come un caro ricordo assieme alla croce di Miss Pony. Durante gli anni ho avuto modo di vedere quella ragazzina diventare una donna forte e coraggiosa, nonostante le avversità e le lacrime versate".

E le sentiva, quelle lacrime salirle agli occhi. Ma si trattava di lacrime di pura gioia. Candy riprese a respirare, un po' affannata, temendo che persino il battito del proprio cuore fosse troppo forte e coprisse le parole di Albert.

"Candy", riprese avvicinando le mani al suo petto, stringendole più forte. "Ho avuto modo molte volte di ringraziarti per quello che hai fatto per me quando ho perso la memoria. Ti ho anche detto che non volevo allontanarmi dal calore che condividevamo in quell'appartamento e questo è stato uno dei motivi principali per cui non me ne sono andato subito, una volta recuperata la memoria. Quello che non ti ho detto...".

Prese un respiro profondo e tremante, come per darsi coraggio e Candy gli si avvicinò un poco, inducendolo con lo sguardo a continuare.

Dimmelo, Albert, ho bisogno di sentirtelo dire!

"Non ti ho mai detto quanto ti amassi, già allora... forse persino da prima di partire per l'Africa. Quando ti ho rivista a Londra eri appena adolescente e... c'era Terence. Io volevo fare quel viaggio da tanto tempo e non c'era momento migliore per riordinare le idee. Oggi benedico l'esplosione di quel treno, Candy, perché ha fatto tabula rasa di tutti i miei dubbi e incertezze e mi ha permesso di lasciarmi andare. Ti amo, Candy, e quello che vorrei è solo passare la mia vita al tuo fianco".

Il cuore stava per esplodere, ne era certa. Le lacrime le scesero finalmente sulle guance, scontrandosi con un sorriso che divenne una risata breve e a malapena contenuta.

"Candy", proseguì avvicinandola ancora di più a sé. "So che non ho con me un...". In quella, troncò la frase e si accigliò, lasciandole le mani e allontanandosi di un passo, cercando qualcosa nella tasca dei pantaloni. Ne trasse una piccola scatola e, mentre lei soffocava una piccola esclamazione, lui sembrava non credere ai propri occhi.
"Impossibile...", mormorò come a se stesso, "ero più che certo di averlo lasciato nel cassetto del comodino prima di uscire".

Restò qualche istante a osservare l'oggetto nella sua mano tentando di capacitarsi che fosse davvero lì, quindi si riscosse e si lasciò cadere su un ginocchio, aprendo la scatola.

"Oh, no, Albert, non c'è bisogno che tu...", protestò debolmente, il riso e il pianto che ancora si rincorrevano dentro e fuori di lei.

"Sì, invece. Lascia che lo faccia per bene come ho sempre sognato", ribatté facendole l'occhiolino.

Candy raddrizzò la schiena, lasciò che le prendesse la mano e lo ascoltò.

Albert si schiarì la voce: "Candice White... Candy... mia dolce Candy, mi faresti l'onore di diventare mia moglie?".

Lasciò che il sorriso si allargasse e che l'emozione la travolgesse prima di dire piano e poi urlare: "Sì... sì! Sì, mio principe! Ti amo tanto anch'io!".

L'espressione di pura gioia sul volto di Albert fu qualcosa che non aveva mai visto e ne fu felice e orgogliosa. Lui si alzò in piedi e cominciò a infilarle l'anello all'anulare. A metà dell'operazione si bloccò e i loro sguardi s'incontrarono.

"Potresti confermarmi che vuoi sposare Albert e non il tuo principe?", domandò con un sorrisetto malizioso.

Candy rise, scuotendo la testa: "Oh, ma siete la stessa persona! E va bene: sì, Albert, è proprio te che voglio sposare, con tutte le tue personalità. Con i tuoi sorrisi e le tue tristezze. Con le tue gioie e i tuoi dolori. Tu sei il mio Albert e io ti amo con tutto il cuore!".

Furono parole che le uscirono dall'anima e indussero lui a terminare di metterle l'anello per poi stringerla forte fra le braccia.

Era meraviglioso, sublime trovarsi alfine in quel calore così familiare sapendo che ora condividevano gli stessi sentimenti.

Albert allentò un poco la stretta, inducendola ad alzare il viso verso di lui.

Ora, finalmente, mi bacerà!

La sua mano le scostò con un gesto gentile i capelli dalla guancia e l'altra la raggiunse per foggiarle a coppa il viso. Non aveva mai visto quello sguardo serio e concentrato, su di lui

ardente

e ne fu colpita quasi fosse una sorta di scossa elettrica che la scrutasse fin dentro l'anima.

Le loro labbra si schiusero nello stesso istante, Candy si sentì come uno specchio che emulasse ogni singolo gesto di Albert. Persino quello di socchiudere le palpebre e di inclinare un po' la testa di lato.

Si avvicinarono tanto che sentiva il suo respiro caldo sulle labbra, anelandone il tocco come fosse ossigeno.

Fu allora che comparve il fantasma di Lord Scott Ardlay.
 
- §-
 
"Dov'è la mia Sophia?!", gridò lo spettro con la testa gravemente ferita, spezzando il momento romantico.

Albert, d'istinto strinse a sé Candy, certo che pur essendo un'infermiera sarebbe rimasta impressionata da una visione tanto macabra.

"Non guardarlo", le intimò all'orecchio, spostando con la punta della scarpa la torcia che era rimasta a terra e aveva dato loro un po' di luce fino a quel momento. Ma, come a ogni apparizione, i fantasmi sembravano portarne con sé a sufficienza perché loro potessero distinguerli.

"Perché? Albert, che succede? Vuole farci del male?". La voce tremante gli arrivò soffocata dalla sua stretta.

"Io non...", cominciò, ma Lord Scott fece qualcosa che solo uno spirito inquieto o un poltergeist poteva fare: alzò un braccio, ripetendo la domanda a voce più alta e una forza sovrumana lo divise da Candy.

Albert emise un'esclamazione di stupore e Candy, con un gesto che reputò istintivo, alzò il capo per guardarlo dopo essere caduta seduta a terra.

Lui sbatté la schiena sul muro che aveva dietro di sé. In quell'istante Candy emise un grido di puro orrore e dietro allo spettro comparvero delle sagome familiari. Vide le mani eteree nella luce cercare di tirarlo indietro, quasi stessero lottando per riportarlo al mondo cui apparteneva.

Nonostante tutto, non poté impedirsi di parlare: "La tua Sophia non è qui. E neanche tu dovresti essere qui. Ti prometto che provvederò personalmente a riunirvi, in Scozia. Ma ora, per favore... torna da dove sei venuto".

Il suo tono suonò appena incerto. Non era abituato a mettersi a discutere con dei fantasmi mutilati e sanguinolenti vittime di atroci sofferenze. Una parte di lui aveva pietà di quell'uomo che aveva cessato di vivere da secoli e il cui spirito era ancora tormentato. Ma l'altra voleva difendere la sua Candy da quella visione orribile e placare anche la sua ira.

In tutta risposta, l'uomo divenne una maschera se possibile ancor più orripilante, contraendo i lineamenti sporchi di sangue in un cipiglio rabbioso. Dietro di sé, il muro tremò e decine di mattoni vennero divelti e lanciati in aria come proiettili mortali.

Senza pensarci due volte, Albert si gettò su Candy, facendole scudo col proprio corpo, rivivendo con orrore il sogno in cui a colpirli era un albero. Rosemary aveva parlato loro come se il pericolo fosse scampato, eppure lui era pronto a morire per la donna che amava e che ora tremava forte tra le proprie braccia chiuse.

Attese l'impatto dei mattoni sul corpo, sulla testa, ovunque, ma non accadde nulla.

"Dovresti ascoltare lo zio William. Quello che dice lui è sempre legge, da quando ero piccolo!".

Questa voce...

Sorpreso, alzò gli occhi per incontrare il volto di Stair, che aveva nominato solo poco prima. Gli occhiali gli erano scivolati un po' sul naso e i capelli scuri erano spettinati come se stesse lottando contro Scott: invece, si era solo frapposto fra lui e loro due come uno scudo, ma al contempo facendo ricadere i mattoni lontano dai loro corpi.
Era leggermente di profilo e ansimava come se stesse facendo uno sforzo enorme.

Oh, caro Stair...

Udì il nome del nipote sussurrato da Candy in un ansito e sciolse le braccia da lei per guardarla: "Stai bene?", le chiese.

I suoi occhi non erano concentrati ed era impallidita molto. Le labbra tremavano. Alla loro sinistra, Lord Scott cadde in ginocchio e mormorò qualcosa che non comprese. Il corpo di luce di Stair si rilassò quando l'altro spettro parve tranquillizzarsi.

Si voltò del tutto e li raggiunse, chinandosi: "Tutto a posto?", domandò con un sorriso.

Albert, preda di una giostra di emozioni che pareva infinita, annuì, incapace di parlare e Candy fece un gesto così repentino che lui non fece in tempo a fermarla.

Di slanciò, lasciò le proprie braccia per gettarsi in quelle dell'amico.

Per un attimo immaginò che gli sarebbe passata attraverso, cadendo a terra e ritrovandosi troppo vicina a Lord Scott, che era ancora a testa china. Invece, Stair la accolse come fosse davvero di carne e ossa.

Ho sentito la mano di mia madre sul petto.

Vederli così uniti, lei che singhiozzava stringendolo e ripetendo il suo nome, gli provocò emozioni contrastanti. Dolcezza, commozione, tristezza e... paura. La paura irrazionale che Stair potesse decidere di portarla con sé.

Aveva appena formulato quel pensiero e stava cercando di respingerlo con un brivido quando Candy si accasciò gelandogli il sangue nelle vene.

Se lei muore, voglio morire anche io...

La raggiunse per toccarla e incontrò gli occhi di Stair: "Tranquillo, Albert. Candy si sveglierà presto".

Quasi si vergognò per aver pensato che Stair volesse farle del male e si rese anche conto che lui gli aveva letto nel pensiero. D'altronde, a quel punto, tutto era possibile.
"Mi dispiace", disse sicuro di essere arrossito, mentre prendeva Candy fra le braccia e la adagiava in un angolo con la giacca avvolta sulle spalle.

"Non dispiacerti, zio William", ribatté facendogli l'occhiolino per averlo chiamato con quel nome: forse si divertiva come Candy a prenderlo in giro. "Anche tu sei abbastanza sconvolto". Di nuovo, Albert annuì. Non si fidava della propria voce: quel giorno, gli pareva di avere un nodo in gola che non ne voleva sapere di andare giù. Vedere tutti i suoi cari dopo essersi rassegnato ad averli persi si stava rivelando l'esperienza più forte della sua vita.

E ne aveva passate tante.

"Lord Scott Ardlay". Si stupì di come la voce di Stair apparisse profonda e adulta. Non ricordava di aver mai sentito quel tono, quando era in vita. "Alzati e comportati da uomo. Questo castello è stato eretto dai tuoi discendenti e dagli antenati miei e di Albert per consentirti di trovare la pace. Trovo ingiusto e molto triste quello che ti è accaduto, ma è ora di riposare e abbandonare questo mondo. Sono certo che lo zio riuscirà a fare ciò che ti ha promesso".

Stair si volse come a chiedergli conferma e lui si affrettò a rispondere: "Certo, hai la mia parola d'onore".

Lo spettro si alzò in piedi con movimenti lenti, come se provasse dolore o stanchezza: "Tu puoi capirmi molto bene, perché hai nel cuore qualcosa di molto grande. Lo stesso sentimento che univa me e Sophia".

"È così", aggiunse facendo qualche passo verso di lui e allungando il braccio destro, con l'intenzione di suggellare il patto con una stretta di mano, come avrebbe fatto con un uomo vivo. "Se vi farà trovare la pace, ti giuro che farò tutto ciò che è nelle mie possibilità per ritrovare i vostri resti in Scozia e darvi una degna sepoltura fianco a fianco".

Lord Scott lo guardò con titubanza, uno degli occhi azzurri incassato nel cranio sfigurato. Albert cercò di non concentrarsi su quel particolare e lasciò che le loro mani si stringessero. Anche la sua era calda e solida.

Mentre ancora erano così uniti, qualcosa in lui cambiò: era come se il capo si stesse rigenerando. Il sangue sparì, la forma tornò a essere quella giusta e lo sguardo era quello di un uomo fiero e, soprattutto, vivo.

"Grazie, Lord William. Hai un'anima molto bella. E anche la tua signora e la tua famiglia. Non siete come... come era la mia...". Il sorriso sincero e i capelli di un biondo solo appena più scuro del proprio, gli fecero davvero sentire che nelle loro vene scorreva il medesimo sangue.

La stretta sulla mano diminuì quando il fantasma di Lord Scott cominciò a svanire, fino a lasciare solo il vuoto. Albert lasciò ricadere il braccio, certo che prima o poi avrebbe perso i sensi anche lui. Ma si fece forza e guardò Stair per l'ultima volta: anche lui stava sparendo. Avrebbe avuto tante di quelle cose da dirgli!

"Abbi cura di lei, Albert. Lo sapevo che eravate destinati a finire insieme". La voce era poco più di un'eco e i contorni quasi indefinibili.

"Cosa... come... aspetta!". Allungò il braccio ma incontrò il vuoto.

Una riunione di famiglia breve ma intensa...

Mancava solo una persona all'appello e Albert si disse che, se Dio gli avesse concesso di rivederlo, gli avrebbe chiesto personalmente perdono. Per il momento, voleva solo vedere come stesse Candy.

E stava per ripetere l'operazione di quando era svenuta l'ultima volta, dandole piccoli colpi sulla guancia. Ma, con un sorriso, si disse che aveva appena acquisito il diritto a usare un altro metodo che reputava decisamente migliore.

Si inginocchiò accanto a lei e la baciò.
                                                                                        
 

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Capitolo 7
*** Cap. 6 ***


Candy aprì gli occhi lentamente, certa di stare ancora sognando. Li spalancò e si rese conto che no, non era un sogno: Albert stava davvero premendo le labbra sulle proprie!

Sono tiepide, morbide...

Eppure ricordava che erano stati interrotti da quell'apparizione orrenda, poi era arrivato Stair e...

Il sussultò che ebbe dovette indicare ad Albert che si era riavuta e lui si staccò: "Bene, ecco che la mia bella addormentata si sveglia di nuovo".

Candy guardò il suo principe azzurro e gli regalò un piccolo sorriso: "Se ogni volta mi svegli così, mi addormenterò più spesso".

Lui ridacchiò e gli chiese di Lord Scott e di Stair. Dalla luce che proiettava la torcia sul muro rotto accanto a loro dedusse che i due fantasmi non fossero più lì.

"Ho promesso a Lord Scott che lo farò riunire a Sophia, in Scozia. E a Stair che avrei avuto cura di te". La sua voce dolce suonava pregna di emozione e Candy sentì subito le lacrime inondarle gli occhi.

Stavano condividendo momenti intensi rivedendo le persone care che li avevano lasciati e al contempo godendo del loro amore appena sbocciato.

"Scusami... mi hai appena dato il nostro primo bacio e io piango come una bambina", disse asciugandosi gli occhi, mentre lui le carezzava i capelli.

"Non preoccuparti, tesoro, sei più che giustificata. E comunque il vero primo bacio dobbiamo ancora condividerlo", mormorò guardandola come aveva fatto poco prima che venissero interrotti.

Deglutì, imbarazzata ma desiderosa di sentire appieno il contatto con quelle labbra virili, avvertendo come amplificati i battiti del proprio cuore e tutti i sentimenti che si rincorrevano dentro di lei.

E accadde.

E fu glorioso.

La bocca di Albert premette con gentilezza contro la sua, in una carezza che le trasmise un brivido. Le labbra si cercarono reciprocamente, socchiudendosi e Candy credette che sarebbe svenuta di nuovo quando sentì la punta della sua lingua solleticarle la bocca.

Seguendo l'istinto, intrecciò le mani tra i capelli di lui e, con una leggera pressione sulla nuca, lo tirò più vicino. Il bacio divenne ardente e famelico, facendola vacillare.
Per fortuna era ancora seduta a terra o le gambe non le avrebbero retto.

I loro respiri accelerarono, si mescolarono e Candy imitò il gesto ardito di Albert. Quando lo fece, udì l'uomo emettere un lieve gemito di apprezzamento e ne sfuggì uno anche a lei.

Le mani di lui erano scese sulla schiena, mentre le proprie dal collo raggiungevano le spalle.

Smisero solo nel momento in cui dovettero riprendere ossigeno per respirare e Candy adorò l'espressione soddisfatta sul viso di Albert. Pensò di averne stampata in volto una molto simile.

Scambiarono un ultimo bacio, più casto del precedente e Albert le chiese: "Stai meglio?".

"Decisamente", rispose ridacchiando e unendo la fronte alla sua.

"L'ho sempre detto che sei molto più carina quando ridi che quando piangi". Candy spalancò gli occhi, il sorriso che abbandonava le sue labbra. Dietro ad Albert comparve una luce quasi accecante.

E non era stato il suo principe a parlare, ma Anthony.

I lineamenti di Albert passarono dallo stupore alla comprensione. Chiuse per un attimo gli occhi e si rialzò, voltandosi per guardare il suo unico nipote diretto: "E tu mi hai rubato la battuta, lo sai?", gli rispose facendogli l'occhiolino.

Candy si alzò in piedi a sua volta, la giacca le scivolò via dalle spalle.

Non sentiva più freddo. Non era solo felice per aver trovato, alfine, l'amore vero. Era grata al Cielo perché le era stato permesso di rivedere il suo dolce Anthony ancora una volta.
 
- §-
 
Albert ricordò il giorno in cui Georges aveva bussato alla porta della sua capanna nel bosco, pallido e tremante, per dargli la notizia dell'incidente.

Ne era rimasto devastato.

Era come se avesse fatto un torto a sua sorella permettendo che il suo unico figlio, tutto ciò che rimaneva di lei, perisse in maniera così ingiusta e crudele.

E aveva permesso che morisse a soli quindici anni, quando si stava appena affacciando alla vita.

Aveva sognato che suo nipote avesse un futuro luminoso, studiando alla Saint Paul School insieme agli altri e sì, magari innamorandosi di Candy come sapeva stesse avvenendo.

Forse, se fosse sopravvissuto, lui non si sarebbe mai innamorato di quella ragazzina.

Ora, mentre guardava Candy mormorargli quanto fosse felice di rivederlo e triste perché l'aveva lasciata troppo presto, avrebbe solo voluto che ricomparisse Rosemary per chiedere perdono anche a lei. Era così sconvolto che sul momento non ci aveva pensato.

Anthony carezzò con dolcezza la guancia di Candy: ora che era più grande di lui, erano praticamente alla stessa altezza e Albert rabbrividì: Anthony non sarebbe mai cresciuto e sentì di nuovo il nodo stringergli la gola.

"Ora basta con i sensi di colpa, zio Bert: li avete superati entrambi e non ti permetterò di tornare sui tuoi passi". Aveva preso una mano a Candy e aveva allungato l'altra per afferrare la sua. In un gesto, le unì perché si stringessero, facendo poi un passo indietro.

Albert ne rimase stupito e anche Candy sembrava arrossire tra le lacrime che le rigavano le guance.

Anche lui mi legge nella mente... certo...

Gli regalò un lieve sorriso, tentando con tutte le proprie forze di trovare le parole e di non far tremare la voce: "Ci sono rimpianti che ci porteremo dietro per tutta la vita. Anche se so che si è trattato di un incidente, voglio chiederti perdono, Anthony. E chiederlo anche a Rose...". La voce si spezzò, suo malgrado e spostò lo sguardo a terra, la mano di Candy che stringeva ancor più forte la sua.

"Non ho niente da perdonarti. Ma ho qualcosa da chiedervi", continuò col suo tono tranquillo, posando le mani sulle loro spalle.

"Puoi chiedere quello che vuoi, Anthony", disse Candy asciugandosi gli occhi e accostandosi di più a lui, come a volergli trasmettere il calore di cui aveva bisogno in quel momento.

"Dovete essere felici, sempre, senza più ombre del passato. Il vostro destino era già scritto. L'unico mio rimpianto è quello di non averti mai potuto rivelare l'identità del tuo principe, Candy. Ma, anche se ci è voluto del tempo, direi che è andata bene lo stesso", terminò facendo l'occhiolino. "Sai che la prima volta che mi ha visto mi ha scambiato per te?", gli chiese divertito.

"Sì, me l'ha raccontato", rispose con un sorriso, asciugandosi l'angolo dell'occhio con le nocche. "Da ragazzo dovevo somigliarti molto".

"Eravate quasi identici! Anche se il colore dei capelli e degli occhi differiva un po'...", ammise Candy scrutandoli come per confrontarli.

Se non fosse che Anthony era un fantasma bloccato all'età di quindici anni, Albert avrebbe potuto dire che erano gradevolmente riuniti a chiacchierare del passato.

Anthony tornò serio e Albert capì che stava di nuovo per lasciarli: "È ora che usciate di qua", disse fissandoli. "Ormai è quasi l'alba, il temporale è cessato e lassù sono così preoccupati che hanno organizzato una seduta spiritica".

"Che cosa?!", sbottò Candy voltandosi a guardarlo. Anche lui rimase basito. Cercò di immaginare il pragmatico Georges e il composto Archie attorno a un tavolino a evocare fantasmi per chiedere loro che fine avessero fatto e quasi gli venne da ridere.

"Lord Scott vi ha aperto il passaggio, prima. Il meccanismo ora è di nuovo visibile. Nei decenni precedenti era stato murato per impedire al suo spirito inquieto di disturbare gli abitanti. Ma ora che gli avete promesso di riunirlo alla sua Sophia andrà tutto bene. Zio, se deciderete di restaurare il castello dopo aver sistemato questa faccenda, ci saranno persone che potranno vivere momenti felici, qui". Mentre parlava, anche Anthony cominciò a svanire.

Persone che potranno vivere momenti felici... forse anche io e Candy...

"Oh, no, ti prego, non andartene anche tu!", lo pregò Candy sciogliendo un poco la stretta sulla sua mano.

"Il mio tempo qui è finito. Un giorno ci riuniremo, Candy e Albert... vi amo immensamente!".

"Anche noi ti amiamo, Anthony. Mio giovane, dolce Anthony", mormorò Albert certo che lo avrebbe udito. Nonostante il velo delle lacrime, vide il suo sorriso finché non scomparve e strinse a sé Candy che singhiozzava di nuovo.

Erano stati tutti incontri pieni di emozione e di certo quei mattoni e la storia legata a Lord Scott si erano rivelati una sorta di passaggio tra i due mondi. Ma ora non c'era più nulla da fare in quello scantinato.

Albert si chinò per prendere la torcia da terra, che già si stava affievolendo e la puntò sul muro dal quale erano saltati i mattoni. Quindi la alzò sul soffitto e vide quello che non c'era fino a un'ora prima: una botola.

"Ma è il punto da dove siamo caduti!", ansimò Candy alzando il capo nella stessa direzione.

"Già, pare che dovremo arrampicarci entrambi, stavolta", le rispose con un sorriso.
 
- §-
 
"Al mio tre: uno, due...".

"Tre!", conclusero insieme, spingendo il muro accanto alla scala a chiocciola.

E, come era accaduto la prima volta, Candy si sentì quasi proiettata dall'altro lato mentre il passaggio segreto si apriva e lei e Albert uscivano nell'ala ovest del castello.

Fecero appena in tempo a ritrovare l'equilibrio e prendersi per mano che vennero travolti da Annie, Archie e persino Georges. Quest'ultimo si era alzato dalla sedia rovesciando il tavolino tondo al quale erano seduti tutti e tre e li raggiunse dietro ad Annie che stava abbracciando lei e Archie che aveva messo le mani sulle spalle di Albert come per accertarsi che fosse vero.

"Cosa è successo? Dove eravate?! Per l'amor di Dio, siete scomparsi per l'intera notte, non vi trovavamo da nessuna parte!", ansimava Georges, stravolto come non lo aveva mai visto.

Candy diede qualche pacca rassicurante sulle spalle di Annie che piangeva disperata tra le proprie braccia e Albert rispose: "Siamo rimasti bloccati nei sotterranei ma abbiamo trovato il modo di aprire la botola e... eccoci qui", disse allargando le braccia.

"Oh, Candy, è stato terribile... quei... quegli spettri orrendi...". Le parole di Annie la gelarono.

"Tesoro, lascia stare...", la interruppe Archie, come se non volesse che rivelasse troppo.

Candy fissò lo sguardo sul tavolino piccolo e rotondo accanto al muro e ripensò alle parole di Anthony: avevano davvero tentato di mettersi in contatto con gli spiriti per capire dove fossero? E avevano avuto risposta?

Annie si staccò un po' dal suo abbraccio e Candy la guardò con comprensione: "Annie, hai visto il fantasma di Lord Scott?", domandò rivolta anche agli altri.

Archie abbassò lo sguardo e anche Georges parve in difficoltà. Albert gli rivolse un'occhiata significativa, alzando un sopracciglio come per indurlo a parlare.

"In realtà abbiamo visto sia il suo che quello della donna chiamata Sophia". Era un leggero rossore quello che gli imporporava le guance? "Erano orrendamente sfigurati, soprattutto Lord Scott".

"Lo sappiamo, Georges, ho visto il mio antenato. Gli ho promesso che li riunirò in Scozia, dove si trovano". L'espressione di stupore di Georges fu grande.

Cadde un silenzio complice tra loro e Candy lo ruppe domandando: "Perché, però, Sophia si è rivelata solo a voi? Noi non l'abbiamo vista, vero Albert?". Si volse verso di lui, che scosse la testa.

Fu Annie a sembrare in imbarazzo, mentre chinava il capo e Archie la tirava un po' più vicina a sé. "Veramente... ha parlato solo con me, anche se l'abbiamo vista tutti. La prima volta sono svenuta. La seconda... beh, mi ha detto che avrei avuto una bambina e che quando accadrà vorrebbe che la chiamassi come voleva chiamare la sua".

Candy spalancò gli occhi: "Oh, Annie, vuoi dire...?!".

"No!", dissero all'unisono lei e Archie, gesticolando con le mani. "Parlava del futuro, di dopo che ci sposeremo!", concluse lei portando le mani al viso arrossato.

"Ah... certo, scusate", rispose con un sorrisetto.

Parlando delle rispettive apparizioni, si resero conto che c'erano delle questioni in sospeso che i due amanti sfortunati non erano riusciti a risolvere. Oltre a voler essere seppelliti nello stesso luogo, avrebbero benedetto Annie e Archie con una figlia femmina che avrebbero chiamato Emily.

Con grande emozione, Albert rivelò di aver rivisto i suoi genitori e Rosemary, e che poi si erano palesati anche Stair e Anthony. Fu un momento molto commovente che portò un nuovo, composto silenzio.

Stavolta fu Archie a romperlo: "Però non capisco: cosa c'entrano Lord Scott Ardlay e la sua amata con mio fratello e gli altri? Loro non sono legati ai mattoni dei sotterranei".
Albert prese un profondo respiro e li guardò uno ad uno, raccontando. Ma il suo sguardo indugiò più volte su Georges quando iniziò: "Rosemary ci ha detto che Lord William Logan Ardlay, quando è venuto qui, ha costruito il castello cercando di esorcizzare la triste vicenda di Lord Scott, pregando perché i suoi occupanti fossero sempre felici".

"Continuo a non capire, signorino William", mormorò Georges che pareva colpito dalla menzione della donna.

Il suo principe la guardò e tra loro passò una muta ma chiara conversazione.

Dobbiamo rivelare tutto?

Non ci vedo nulla di male.

Ma... fino a che punto?

Solo ciò che è necessario, per ora...

E così Albert raccontò del sogno che avevano fatto e di come, secondo i desideri di Lord Scott prima e dei suoi discendenti poi, di certo Rose e gli altri erano comparsi per garantire a lui e Candy un futuro, visti i tragici eventi che li avrebbero colti.

"Mia sorella non l'ha detto in modo esplicito, ma suppongo che il muro che è stato eretto per tenere lontano lo spirito inquieto di Lord Scott sia stato in qualche modo "forzato" da lei e dai nostri genitori creando dei passaggi che abbiamo trovato solo io e Candy. Intrappolati là sotto, ci siamo trovati ben lontani dal bosco ma al contempo abbiamo promesso di sistemare le cose in Scozia. Così tutto sarà come dovrebbe essere: noi due siamo qui e Sophia e Scott saranno presto riuniti".

Sui volti dei presenti si disegnò prima l'orrore, quindi lo stupore e infine la comprensione. Annie si accostò di nuovo al muro e aggrottò le sopracciglia: "E infatti il passaggio è scomparso. Quei sotterranei sono inaccessibili, noi abbiamo cercato ovunque sia in casa che in giardino".

Albert annuì: "Io penso che abbiano murato l'ala ovest, ma che una botola inizialmente ci fosse. C'erano delle casse e dei vecchi mobili là sotto".

Mentre lui parlava con Georges per comunicargli le sue idee per la ristrutturazione e accennava anche al viaggio in Scozia, Candy chiese ad Annie e ad Archie della seduta spiritica.

"Beh, non c'è molto da dire", fece spallucce lui. Voi eravate scomparsi e Lord Scott continuava a chiedere dove fosse la sua Sophia. Persino io mi sono spaventato a morte e non ho mai visto Georges così pallido. Insomma, era evidente che c'erano forze soprannaturali, così abbiamo cercato nella vecchia biblioteca e abbiamo trovato un modo per comunicare con gli spiriti. O, almeno, questo era il piano...". S'interruppe, guardando Annie.

Lei arrossì: "Io sono svenuta almeno tre volte e alla fine nessuno spettro, a parte Lord Scott e Sophia, si è mostrato a noi per dirci dove foste. Quello che ci hai raccontato è orribile, Candy, avete corso un pericolo enorme". I suoi occhi scuri si riempirono di nuove lacrime e Candy fu lesta ad abbracciarla.

"Su, ora smetti di piangere, Annie. Non è successo niente. Anthony e gli altri hanno fatto in modo che fosse così...". La sua frase rimase sospesa, mentre guardava Albert parlare a bassa voce con Georges.

...e i nostri amici hanno anche fatto in modo che finalmente ci rivelassimo i rispettivi sentimenti. Ma di questo, cara amica mia, ne parleremo in un altro momento.

Tuttavia, non appena formulò quel pensiero, Candy sentì l'ansito stupefatto di Annie: "E questo? Prima non l'avevo notato! Sembra... sembra proprio un anello di fidanzamento!".

Candy restò senza parole e anche Albert e Georges tacquero alla vista del piccolo ma delizioso anello di diamanti che adornava il suo anulare.

A quanto pareva, dovevano proprio raccontare quella parte della storia.
 
- §-
 
Elroy Ardlay lasciò che William si congedasse e poggiò la testa allo schienale della poltrona.

Era sfinita, dentro di lei si rincorrevano sentimenti contrastanti e non sempre gradevoli. Ma, tutto sommato, era abbastanza serena.

Suo nipote, l'unico diretto che le fosse rimasto, il patriarca della famiglia era vivo. Sano e salvo grazie agli antenati ed era stato molto emozionante condividere con lui quella parte della storia.

Non credeva che suo fratello e persino la compianta Rosemary si sarebbero palesati a lui e Candice in quei sotterranei e dovette più volte nascondere le proprie lacrime in un fazzoletto, specie quando lo sentì raccontare di Anthony e Stair, così giovani e dal destino così avverso.

Nondimeno, aveva scorto le lacrime negli occhi cristallini di William e aveva capito che c'erano momenti nei quali la rigidità e la compostezza potevano essere sopraffatte da ciò che albergava nel cuore.

Era stato anche per quel motivo che si era scoperta con lui fino a confessare cosa l'avesse davvero spinta a chiedergli di visitare la proprietà con tanta fretta.

Aveva passato ore orribili nell'attesa, nell'incertezza, nel timore che fosse accaduto comunque l'inevitabile e vari scenari le erano comparsi davanti agli occhi, vividi come sogni lucidi: William e gli altri che restavano fuori dal castello e venivano sorpresi dal temporale; suo nipote che si allontanava comunque con Candice nel bosco; gli spiriti inquieti del castello che si vendicavano per qualche oscuro motivo sulla sua famiglia.

A un certo punto della notte, quando stava per obbligare l'autista a recarsi fino alla proprietà anche se era pericoloso, le era apparso di nuovo suo fratello. Non aveva parlato molto, ma le aveva mostrato William e Candice che dormivano vicini nei sotterranei del castello e aveva sorriso.

Allora, aveva capito che erano in salvo.

Quando finalmente, alla piena luce del sole del mattino, William aveva bussato alla sua porta, aveva fatto qualcosa che non si sarebbe mai sognata di fare di lì a mille anni: gli si era gettata di slancio fra le braccia e lo aveva stretto forte.

Dopo la prima reazione sconvolta, lui aveva compreso che la sua preoccupazione andava al di là dell'ordinario ed era stata costretta a confessare che William senior le era comparso in sogno, parlandole. E suo nipote aveva detto una frase che li aveva portati a conversare per le due ore successive.

"Non credo si sia trattato di un sogno, zia".

Verso la fine di quella lunga chiacchierata sul filo dei ricordi e della commozione, suo nipote le aveva detto l'ultima verità: aveva chiesto la mano di Candice.
Una smorfia le si dipinse sul viso quando ricordò quel particolare e si alzò di scatto dalla poltrona per aprire la finestra e ricevere il sole tiepido sul viso, traendo un profondo respiro.

Persino gli spiriti di Rosemary, Anthony e Stair avevano dato la loro benedizione e lei era solo un essere umano fragile e imperfetto: che diritto aveva di separarli?
Certo, c'erano decine di motivi e non si era risparmiata dallo spiegarli a William: l'estrazione sociale della ragazza, come prima cosa; ma anche il fatto che non avesse un'educazione adeguata, che lavorasse come infermiera e che fosse, sopra ogni cosa, la figlia adottiva degli Ardlay.

"Sono tutti elementi facilmente risolvibili o senza alcuna importanza", aveva risposto la voce calma del nipote, che si era messo a guardare attraverso i vetri della medesima finestra alla quale si trovava lei ora. I raggi del sole creavano dei riflessi dorati sui suoi capelli, rendendolo così simile al suo compianto fratello che le si strinse il cuore.

"Le origini di Candice non hanno alcuna importanza, per me. Sai quanto l'estrazione sociale conti poco, anzi, nulla nel valore di una persona. E Candy è una donna dai principi morali e dall'educazione impeccabili. Ti ricordo anche che è stata lei quella che, senza avere nessun tornaconto, guidata solo dall'affetto, mi ha salvato quando ero senza memoria. Nessuna signorina dell'alta società guarderà mai così profondamente alla mia anima e non ai soldi o alla mia posizione sociale come Candy, che mi ha conosciuto quando ero solo un vagabondo sconosciuto e privo d'identità". Aveva fatto una pausa prima di concludere, trasmettendole un brivido. "E io l'amo da così tanto tempo che non credevo possibile ci sarebbe stata una possibilità per noi, un giorno. Non potrei essere più felice, zia. Sono disposto a rinunciare a tutto per Candy".

Si era voltato a guardarla, lo sguardo fiero e deciso: "L'adozione può essere revocata oggi stesso. Quindi, vedi, zia? Non c'è davvero alcun problema!".

Esausta e troppo felice di rivederlo per ribattere, aveva semplicemente accettato la cosa senza più fare storie. La realtà era che se l'era aspettato. Aveva capito che prima o poi sarebbe accaduto, non era sciocca né cieca e bisognava essere davvero ottusi per non accorgersi degli sguardi di adorazione che, seppure ben mascherati, Candice e William si lanciavano quando erano insieme.

"La storia si ripete, fratello mio. Anche colei che hai scelto tu e l'uomo con cui si è sposata Rosemary non erano di estrazione sociale adeguata. Ma siete stati felici e, tutto sommato, la nostra famiglia splende ancora come questo sole", mormorò chiudendo gli occhi e sentendosi, per la prima volta dopo tanti anni, in pace con se stessa e con il mondo.

"Ben detto, sorella".

La voce proveniva dalle sue spalle e la fece voltare di colpo, una mano sul petto e le palpebre spalancate.

"William?".

Elroy non seppe mai se lo aveva immaginato, ma fu certa, per un breve istante, di aver rivisto ancora il sorriso e gli occhi chiari di suo fratello prima che sparissero in un riflesso sul muro.

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


"I lavori di ristrutturazione inizieranno già la prossima settimana, al nostro ritorno li seguirò personalmente. Se ne sta occupando Georges", disse Albert affacciandosi al ponte della nave che li stava portando in Scozia.

Al suo fianco, Candy prese un respiro profondo.

"Non mi pare ancora vero che tornerò in Scozia al fianco del mio principe della collina", disse trasmettendogli l'ennesimo brivido.

"Candy...", cominciò con un sorriso contrito.

"Oh, dai, lasciamelo dire ogni tanto!", lo pregò attaccandosi al suo braccio e guardandolo con espressione supplicante.

Per tutta risposta, le prese il volto tra le mani con delicatezza e le sfiorò le labbra con le proprie: erano leggermente fredde.

"Dovremmo rientrare", le disse stringendosela al petto per scaldarla. "Siamo in mezzo all'oceano e la temperatura non è proprio mite".

Candy gli sorrise e annuì.

Mentre si recavano alle cabine, gli chiese: "Sono stati già individuati i luoghi di sepoltura?".

Albert la invitò a sedere su uno dei divanetti interni al corridoio e le spiegò: "Sì, Sophia è in quella fossa comune poco distante dal castello, mentre Lord Scott riposa in un cimitero poco fuori città: nonostante tutto, gli hanno riservato perlomeno un luogo degno in cui riposare. La mia idea è quella di recuperare i resti della donna e tumularla accanto a lui".

Candy prese un respiro tremante: "Sono d'accordo. Quei due poveretti si inseguono da secoli e meritano di avere il loro lieto fine".

Lui le alzò con gentilezza il viso, perdendosi nei suoi occhi: "E il nostro, di lieto fine?".

Le braccia di Candy serpeggiarono intorno al torace e lo strinsero forte: "Noi siamo già destinati a restare uniti per l'eternità".

Ricambiando l'abbraccio, Albert pensò che era vero. I loro destini erano uniti in maniera indissolubile.


 
Se amate anche voi i finali lieti, NON leggete oltre. Al contrario, se avete coraggio e siete a pieno nello spirito di Halloween, abbiate il fegato di leggere anche il resto...

 
- §-
 
 
Archie vide due figure in lontananza sorridere tenendosi per mano e, quando li riconobbe, per poco non perse i sensi.

"Li hai visti anche tu?", chiese Annie tremando e quasi stritolandogli il braccio.

Lui annuì, la gola secca e le parole intrappolate. La coppia era svanita oltre la fila di lapidi e lui si mise a fissare quella che aveva davanti, ove finalmente figuravano i nomi di Lord Scott Ardlay e della sua amata Sophia.

Il corpo di Annie sussultò e lui capì che stava piangendo: sicuramente stava pensando a un'altra lapide simile che avevano eretto a Lakewood, solo poche settimane prima.
Abbracciò la fidanzata, cullandola con dolcezza. Versò lui stesso lacrime silenziose e, quando fu in grado, le parlò: "Ssst, Annie, lo so. Ma li hai visti anche sulla nave: sono felici, si sono accertati che portassimo a termine questa missione. Magari lo faranno anche con i lavori al castello".

"Ma... Lord Logan... voleva che tutti fossero felici, e loro... loro...", singhiozzò stringendo la manica della sua giacca.

"E loro lo sono, anche se in un altra vita", mormorò con voce roca. "Proprio come Scott e Sophia".

E, come in una macabra giostra che non smetteva di girare, Archie rivisse gli eventi che erano accaduti in quel castello, rigirandoseli nella mente ancora e ancora. Come se così potesse finalmente capacitarsi che fosse tutto vero. Come se potesse accettarlo.

Quando avevano rivisto Candy e Albert erano stati più che sicuri che fossero sani e salvi. Diamine, avevano sentito la solidità dei loro corpi, che erano tangibili quanto il proprio.

Era stato nel momento in cui erano usciti fuori dal castello che la realtà li aveva colpiti come un macigno.

Attraverso di loro, filtrava la luce del sole. E la cosa incredibile era stata che persino loro sembravano sconvolti, come se fossero convinti di essere ancora vivi.

Lui era rimasto gelato, sostenendo Annie che tremava quasi come in quel momento. Georges era caduto in ginocchio con un lamento di dolore.

Una donna dai lunghi capelli biondi era apparsa accanto alla coppia e tutti l'avevano guardata con stupore e ammirazione in egual misura. Era andata senza esitazioni proprio verso Georges e, quando lui aveva mormorato il suo nome, Archie ricordò il dipinto in cui l'aveva vista: era Rosemary.

"Alzati, Georges, dovrai essere molto coraggioso e portare a termine ciò che ti ha chiesto Albert poco fa con l'aiuto di Archie: il castello deve essere ristrutturato e Lord Scott e Sophia riuniti". L'uomo si era alzato con gesti lenti e incerti e le aveva baciato la mano con una devozione che non aveva mai visto in lui.

Archie non sapeva più se guardare Albert e Candy, che parevano ancora increduli, o il fantasma di Rosemary.

Quello che era accaduto dopo era stato così straziante che gli era parso un incubo a occhi aperti. Un incubo nel quale la sorella di Albert spiegava loro che la felicità di cui parlava Lord Logan non si verificava necessariamente nella vita terrena e Scott e Sophia ne erano un esempio, perché nonostante fossero morti erano infelici da secoli.
"Voi avete avuto modo di unirvi", aveva spiegato accennando all'anello di Candy, "e quando tutto sarà sistemato vi ricongiungerete a tutti noi".

Intendeva Stair, Anthony e gli altri che Candy e Albert avevano incontrato nei sotterranei, credendo fossero mere apparizioni.

Nel momento in cui la donna aveva cominciato a svanire, anche loro due si erano fatti più eterei, ma Archie non avrebbe mai dimenticato le loro mani allacciate, i loro sorrisi leggeri sotto lo sguardo di scuse.

Come se fosse stata colpa loro essere morti letteralmente di freddo negli scantinati.

Ma il momento peggiore era stato quando erano tornati a casa.

La zia Elroy era convinta che suo nipote e Candy fossero vivi e che ci fosse un fidanzamento da organizzare. Sotto i loro occhi inorriditi, aveva chiesto se ne fossero a conoscenza ed era stato allora che era venuta a galla un'altra verità sconvolgente.

Aveva incontrato e parlato col fantasma di Albert che le aveva confessato di aver chiesto la mano a Candy.

La poveretta era rimasta svenuta a lungo prima di riaversi e, quando era accaduto, pareva di nuovo calma. Aveva parlato loro facendogli tornare le lacrime agli occhi per l'assurdità della situazione e per la tristezza che provava.

Aveva sognato Albert mentre era priva di sensi.

"Nel mio sogno, William... Albert si è scusato per non avermi detto tutta la verità". Era la prima volta che lo chiamava con il nome che lui aveva amato. "Dice di aver voluto la mia benedizione per unirsi a Candice, anche se non sarà in questo mondo e che riposeranno in pace quando tutto quello che ha chiesto Lord Scott sarà compiuto". La donna aveva ricominciato a singhiozzare, la voce rotta, le spalle che si scuotevano e lui era stato sicuro che avrebbero perso anche lei per il dolore.

"Ma ci hanno detto che i sotterranei dovevano salvarli da un incidente nel bosco! Dovevano essere al sicuro!", aveva strillato Annie tra le lacrime, fuori di sé.

Annichilito, aveva udito la voce di Georges, velata di dolore e rassegnazione rispondere al posto della zia, che sembrava non avere più parole.
"Io credo che, se ho interpretato correttamente quella visione, non era comunque in quel bosco che doveva finire tra loro. Quando li abbiamo visti, la signorina Candice aveva al dito un anello e sospetto che lo troveremo sul suo corpo o... su quello del signorino William, quando andremo a prenderli". Aveva fatto una pausa per ricomporsi e Annie e la zia avevano cominciato a piangere più forte. Con gli occhi lucidi, aveva continuato: "Non solo il loro amore è stato suggellato senza eventi tragici, ma hanno potuto comunque ascoltare la storia di Lord Scott e noi possiamo rendere felici due coppie nella loro vita ultraterrena".

Alle labbra gli era salita una domanda scontata ma cruciale e l'aveva fatta con voce rotta dal pianto: "Perché non consentire loro di salvarsi, però? C'erano i genitori e la sorella di Albert, mio fratello e Anthony con loro... perché... perché morire così, per il freddo?".

Mentre infine si scioglieva in lacrime, la voce ora pacata della zia aveva risposto, rauca ma senza esitazioni: "Perché il loro destino, forse, era già segnato e neanche mio fratello può interferire con i piani di Dio. Ma hanno fatto in modo che accadesse in modo diverso, meno violento. E sono contenta di aver visto felice mio nipote".

La riesumazione dei corpi, le mani unite come le avevano viste nei loro spiriti, la giacca di Albert sulle spalle di lei. E quell'anello, nella tasca dei pantaloni di lui che avevano deciso di metterle al dito. Li avevano sepolti vicini e il dolore era stato immenso.

Anche quando lui e Annie si erano resi conto che potevano ancora vederli, durante la pianificazione del loro viaggio in Scozia e persino sulla nave, ad Archie era parso di vivere nella nebbia di un incubo. Non si dava pace. Non poteva credere che anche la dolce amica che una volta lo aveva fatto andare alla deriva con la sua barchetta al portale dell'acqua e che il vagabondo smemorato che si era rivelato suo zio fossero morti.

Insieme, coronando il loro amore che non sarebbe mai stato coronato davvero.

E che non avrebbe mai visto discendenti.

Spalancando gli occhi, Archie vide l'ultimo pezzo del puzzle andare al proprio posto. Annie dovette accorgersi che si era irrigidito, perché alzò su di lui il viso umido di lacrime.
"Che c'è? Sono ancora qui?", chiese speranzosa, guardandosi attorno.

Lui scosse la testa: "No. Ho appena capito perché Sophia sia venuta da noi e ci abbia chiesto di dare il suo nome alla figlia che avrebbe dovuto avere. Sapeva che loro non avrebbero potuto mai farlo. E io che avevo pensato... che magari, che so, avrebbero avuto un erede maschio".

Annie contrasse i lineamenti in una smorfia di dolore: "Avrei tanto voluto vederli finalmente uniti e felici...".

Mentre terminava di dire quella frase, una luce irruppe dalle nuvole di quel pomeriggio uggioso di Glasgow e mostrò loro qualcosa di sorprendente. Una visione di un futuro in un'altra vita o semplicemente ciò che stava accadendo in un mondo a loro inaccessibile.

Candy e Albert, vestiti da sposi che danzavano in una sontuosa sala da ballo, dove poté scorgere le figure dei loro antenati e dei cari più prossimi. E, se gli occhi non lo ingannavano, anche quelle di Lord Scott e della sua Sophia.

Il tutto non durò che pochi istanti ma Archie smise di respirare e Annie trattenne un verso strozzato. Poi tornarono a vedere solo il cimitero e le lapidi.

Due sagome, in lontananza, tenevano le mani ancora allacciate.
 

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