Il giglio e la spada

di OrnyWinchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


“Vi sono molto grato per questo importante dono, re Leodegrance. Questa tavola racchiude gli ideali con cui intendo ispirare i miei cavalieri, primo fra tutti l’uguaglianza di tutti coloro che vi siederanno, affinché nessuno nel mio nobile esercito possa sentirsi inferiore ad un altro.” proferì solennemente re Artù, mentre osservava ammirato la meravigliosa tavola rotonda in legno, donatagli dal suo futuro suocero, re Leodegrance di Carmelide.
 
***
 
Il giorno volgeva al termine a Camelot e, dopo i festeggiamenti che avevano accompagnato la visita del re di Carmelide e di sua figlia Ginevra, promessa sposa di re Artù, tutti si erano ormai ritirati nelle loro stanze per la notte. Soltanto la sala consigliare era ancora illuminata dalla luce delle torce e dei candelabri e potevano udirsi alcuni mormorii: Artù e Merlino, l’anziano mago suo mentore, stavano osservando compiaciuti il dono del loro ospite.
“Questa tavola è stupenda, non trovi, Merlino?”
“Sì, sire. Bisogna dire che re Leodegrance vi conosce proprio bene per avervi omaggiato di un così prestigioso simbolo dei valori di Camelot. Inoltre, anche la fattura dell’oggetto ha in sé un qualcosa di straordinario. Se non fossi sicuro che è opera del lavoro dell’uomo, avrei perfino pensato che potesse trattarsi di un manufatto magico!”
“La magia è ovunque intorno a noi; basta cercarla nelle grandi come nelle piccole cose e compiacerci di quanto di bello abbiamo ricevuto alla fine di ogni giornata.” asserì con magnificenza Artù, come a voler rimembrare una lezione appresa tempo prima.
“Parole molto sagge, sire.” gli fece eco Merlino.
“E’ uno dei primi insegnamenti che ho ricevuto dal mio educatore, quando ero poco più di un bambino.” continuò il sovrano, adducendo al mago.
“Un maestro decisamente all’altezza del suo compito. Anche se non sono passati poi molti anni da allora: lo ricordo come se fosse soltanto ieri.” replicò questo, aprendosi in un grande sorriso. “Vostro padre, re Uther, mi diede l’incarico di venirvi a prendere nella dimora di sir Ector e di suo figlio Kay, dove risiedevate al tempo, per condurvi al castello e iniziare ad impartirvi lezioni per la vostra formazione come futuro re di Camelot.”
“Già. Sir Ector e sir Kay sono sempre stati gentili con me e di tanto in tanto avevo l’occasione di dedicarmi agli addestramenti nel combattimento a corpo libero e con la spada. Ma sir Ector non era di certo la persona più adatta ad insegnarmi come governare un regno. E per quello sei arrivato tu, Merlino. Non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che mi hai permesso di conoscere e apprendere in questi anni. Sei stato e sei ancora la risorsa più preziosa che possiedo.”
“Se continuate così, sire, finirete per farmi piangere con tutte queste parole smielate.” tentò di cambiare discorso Merlino.
“Non fare il burbero, Merlino, perché so perfettamente che non lo sei e che hai un cuore immenso: sei sempre pronto ad aiutare tutti, che ti venga chiesto o meno. Senza il tuo supporto non sarei mai potuto diventare il sovrano di un regno libero dalle tirannie, dai pregiudizi e dalle ingiustizie. Se Camelot è un luogo di pace e di serenità, lo deve soprattutto alle aspirazioni e agli ideali che mi hai trasmesso.” “Mio padre, che ha regnato prima di me su queste terre, ha fortificato il regno, lo ha reso sicuro, ma ha sempre messo il comando militare davanti ad ogni cosa. Non si è mai fermato a pensare alle necessità degli altri, a guardare al loro animo e, per questo, non ha mai instaurato una connessione empatica con il popolo. Io, invece, che ho potuto contare sulla tua guida, ho imparato da subito che le qualità di un re non possono basarsi esclusivamente sulla spada, sebbene non ne possano prescindere.” spiegò Artù.
“Siete davvero in vena di complimenti, sire. Dovete sapere che ogni re è diverso, così come è diversa ogni persona. I miei insegnamenti sono stati importanti per voi perché hanno trovato un terreno fertile su cui crescere. Se il vostro animo non fosse stato recettivo, curioso e aperto alle novità, le lezioni che vi ho impartito sarebbero andate perdute: in poche parole sarebbe stato tempo perso per entrambi.” affermò Merlino in tono sicuro.
“A forza di elogiarci a vicenda, si sta facendo davvero molto tardi. Sarà meglio ritirarci.” convenne il sovrano.
“Sì, sire. Tanto potrete osservare il dono del re di Carmelide ogni volta che vorrete. La tavola è e resterà lì a lungo. Non avete motivo di consumarla con gli occhi in una notte soltanto.”
“Hai ragione, Merlino. Qualche ora di meritato riposo ci farà bene, anche perché dobbiamo impegnarci a rendere piacevole il soggiorno dei nostri ospiti, non possiamo riempirli di sbadigli.”
“Tanto più che la principessa Ginevra sarà la vostra futura moglie e non è saggio annoiarla la prima volta che visita il regno.”
“Non posso che essere d’accordo, anche se non penso di essere una persona noiosa, Merlino.”
“Oh, non lo siete, ma di tanto in tanto, quando siete troppo indaffarato o distratto dai vostri obblighi, diventate goffo e insicuro e, come dire, potreste dare quell’impressione.” disse con delicatezza Merlino, cercando di non ferire l’amor proprio del re.
 
***
 
L’indomani Artù trascorse la maggior parte del tempo mostrando a re Leodegrance e alla principessa Ginevra i luoghi più suggestivi del regno di Albione che potevano essere raggiunti a cavallo direttamente dal castello. Artù aveva potuto notare come Leodegrance guardasse con ammirazione ogni cosa che concerneva Camelot, anche se nei suoi occhi affiorava una profonda stanchezza, la stanchezza di un uomo che, dopo aver regnato per molti anni sulle terre che aveva ereditato, non aveva più nulla di nuovo da dare al suo popolo, privandolo dell’innovazione e di ogni scintilla d’ingegno che gli consentisse di progredire. Pur stimando profondamente Artù e condividendone gli ideali, era diventato incapace di lottare per essi e aveva deciso di lasciare i suoi possedimenti al giovane re, quando ne sarebbe stato il momento. E ad Artù affidava anche il bene più prezioso che aveva, sua figlia Ginevra. Mediante questo matrimonio, infatti, sperava di renderla serena e al tempo stesso di lasciare il proprio regno in ottime mani, risollevandolo dall’anonimato a cui era destinato. La principessa Ginevra, come unica figlia di Leodegrance, era stata molto vicina a suo padre e da lui aveva appreso le basi necessarie a qualunque sovrano per regnare. Tuttavia, il re aveva una mentalità piuttosto chiusa e aveva preferito che la giovane dedicasse la sua istruzione a mansioni più congeniali ad una regina, mettendo in chiaro che non le avrebbe consentito di salire al trono senza un marito al proprio fianco. A quel punto Ginevra aveva dovuto rassegnarsi all’idea e, pur essendone contrariata, con il tempo aveva accettato l’irremovibilità di Leodegrance sulla questione. L’accordo di matrimonio con re Artù, ad ogni modo, non aveva rappresentato la fine delle sue aspirazioni personali, ma era stato visto dalla principessa come una possibilità concreta di venire incontro tanto ai desideri di suo padre, quanto ai suoi. La reputazione di Artù era nota ovunque e Ginevra aveva appreso proprio dall’interessato la volontà di una regina che regnasse attivamente al suo fianco, che lo consigliasse e che non rappresentasse soltanto un trofeo da tenere in bella mostra e da esibire nelle circostanze preposte. Questo e tanti altri erano stati i motivi per cui Ginevra sentiva di poter essere appagata accanto ad Artù, oltrepassando il fatto stesso di un matrimonio combinato. Da quel momento i suoi grandi occhi color nocciola si animavano, pensando alla vita che l’avrebbe attesa a Camelot, e quella prima visita non stava deludendo affatto le sue aspettative.
Lande lussureggianti e paesaggi meravigliosi rapivano lo sguardo dei due ospiti durante il cammino, dimostrazione dell’attento operato di Artù affinché il reame crescesse energicamente in ogni suo aspetto.
“Beh, questa era solo una breve visita ai posti di maggior interesse che si trovano nei pressi del castello; se ne avremo l’occasione, mi piacerebbe condurvi in luoghi incantevoli che, tuttavia, sono più distanti e richiedono più giorni di viaggio. Comunque, cosa ne pensate? Ciò che avete visitato è stato di vostro gradimento?” chiese Artù rivolto ai due.
“Certo. Quello che ci hai mostrato, Artù, rende perfettamente giustizia alla fama che Camelot si è fatta negli altri regni. Una terra pacifica e incantata. Sono davvero molto contento che i nostri due reami abbiano rafforzato l’amicizia che li univa con questo matrimonio. Così facendo, potrò recarmi in visita spesso in questi posti splendidi.” sentenziò Leodegrance.
“Ogni volta che vorrai.” “E tu, Ginevra, ti sei divertita?”
“Sì, molto. Anche se c’è un altro luogo che mi piacerebbe visitare, se fosse possibile.”
“Dimmi pure. Di che posto si tratta?” domandò Artù, incuriosito.
“Vedi, Artù, ho sentito parlare di una radura, non molto lontano da Tintagel, dove una leggenda narra che vivano fate, gnomi e altre creature magiche della natura. Poiché è nota a tutti la magia protettrice che fa prosperare il regno di Camelot, ma non ho ancora avuto la possibilità di vederla con i miei occhi, mi piacerebbe recarmici.” spiegò la principessa.
“Ma certamente. Domani vi ci condurrò, se lo desiderate. Ma, data la distanza, dovremo restare lontano da Camelot per alcuni giorni. Tra l’altro dovete sapere che sono luoghi a me molto cari, poiché la mia defunta madre viveva nel castello di Tintagel e io stesso sono nato lì.” disse Artù, rivolgendo l’invito sia a Ginevra che a Leodegrance. “Mi piacerebbe davvero molto tornarci ancora una volta con voi, Ginevra, e farvi conoscere qualcosa in più sulla mia storia familiare.”
“Mi dispiace contraddirti, Artù, ma per me gli spostamenti a cavallo finiscono qui.” lo interruppe Leodegrance. “Sto invecchiando e preferisco rimanere a riposare. Perdonami se non mi unisco a te e a mia figlia anche in questa occasione.”
“Non c’è problema. Puoi restare al castello a riposare quanto vuoi. Darò disposizione ad alcuni uomini fidati del mio esercito di accompagnare me e Ginevra: non hai nulla di cui preoccuparti.”
“Ti ringrazio, Artù.” si scusò il re di Carmelide.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Alle prime luci dell’alba Artù, Ginevra, Merlino e alcuni dei cavalieri più vicini al re, sir Galvano, sir Lionel, sir Kay e sir Tristano, partirono alla volta di Tintagel. Il lungo cammino fu allietato dai commenti dei cavalieri su alcuni episodi particolarmente ironici accaduti durante le loro missioni. L’evento senza dubbio più strano su cui si soffermarono riguardò un gruppo di donne che avevano seminato il panico nel loro villaggio natio perché convinte di possedere grandi poteri magici. A farne le spese era stato sir Kay, che, intervenuto per mettere fine ai loro bizzarri esperimenti, era stato catturato e stava per essere sacrificato a qualche strana entità magica in cambio del potere della preveggenza per le stesse che lo avevano fatto prigioniero.
“E come siete riuscito a fuggire, sir Kay?” chiese incuriosita la principessa Ginevra.
“Ho promesso ad una di quelle donne che, in cambio della mia libertà, l’avrei condotta con me a Camelot e l’avrei aiutata a rubare i poteri a Merlino.” spiegò il cavaliere.
“Un espediente per nulla impegnativo, quindi!” rispose una divertita Ginevra, sempre più a suo agio nel gruppo.
“Come se fosse facile impossessarsi dei poteri di un mago!” bofonchiò Merlino, scuotendo la testa.
“Lo capisco, Merlino, ma questo lei non lo sapeva. Non sembrava molto sveglia, a dire il vero. Così, quando mi ha liberato, l’ho legata con le stesse corde che aveva in mano e ho consegnato lei e le sue amiche alla prigione più vicina.”
“Un risvolto illuminante che rivela la scarsa conoscenza di molti. Vivere nell’ignoranza può realmente costare la libertà!” sentenziò Merlino. “Questo genere di persone mette in cattiva luce la comunità magica e getta discredito su di essa.”
Artù, dal canto suo, utilizzò il resto del viaggio per cercare di conoscere meglio la sua futura sposa. Di certo, aveva avuto modo di apprezzarne la bellezza, l’acume e la curiosità, ma era sicuro che Ginevra fosse una donna dalle mille sfaccettature e non gli dispiaceva apprenderne qualche altra qualità o, perfino, scoprirne qualche difetto. Anche la principessa Ginevra approfittò della circostanza per saperne di più sulle origini di Artù e sulla sua infanzia. Artù le spiegò brevemente la sua storia familiare, non tralasciando di menzionare il rapporto burrascoso che lo legava alla sua sorellastra Morgana, il principale nemico giurato di Camelot, e promettendole di approfondire in seguito l’argomento.
Dopo aver viaggiato tutto il giorno, all’imbrunire iniziò a sentirsi nell’aria che li circondava un odore salmastro e si resero conto che ormai mancava poco a destinazione. Il mare dominava incontrastato il paesaggio su cui si arroccava il castello di Tintagel e, per quanto iniziasse a scendere la notte, era impossibile non notare come tutto il litorale sembrava assumere il colore turchese delle rocce locali.
Giunti al castello, furono accolti con entusiasmo dalla servitù, ansiosa di rivedere il giovane sovrano, che aveva emesso i suoi primi vagiti tra le pareti di quelle stanze, ma che in futuro era stato fatto crescere altrove e non vi aveva più fatto ritorno.
“Sire, abbiamo atteso a lungo una vostra visita. E’ con immenso piacere che vi accogliamo nel castello di Tintagel.” disse un servitore, rivolgendo ad Artù un sentito inchino. “Avete fatto buon viaggio?”
“Vi ringrazio per la calorosa accoglienza. Il viaggio è durato un intero giorno e ci ha affaticati, ma per fortuna non abbiamo incontrato ostacoli sul nostro cammino. Ad ogni modo anch’io desideravo da tempo ritornare a Tintagel, ma i miei impegni non me lo hanno permesso finora. Sono davvero molto contento di avere avuto la possibilità di questa visita.” rispose Artù, piacevolmente colpito dal grande attaccamento della servitù nei suoi confronti. “Con me ci sono la principessa Ginevra, mia futura sposa, Merlino, il mio mentore, e alcuni dei miei cavalieri più fidati.” continuò il re, presentando il resto del gruppo, mentre tutti i servitori rivolgevano un inchino all’indirizzo dei presenti.
Il grande androne del castello era ben curato e ornato con molto gusto, anche se ciascuna decorazione dava l’idea di essere nello stesso posto da tanto tempo. Nel complesso, tutte le stanze del castello erano ordinate e pulite, tenute con estrema accuratezza, dando la sensazione che ogni cosa diffondesse il gradevole odore salmastro del luogo; tuttavia, era chiaro che ciò che mancava al castello di Tintagel era un’anima pulsante, che riempisse ogni stanza di vita.
Una donna anziana si fece avanti con timore reverenziale e si rivolse ad Artù:
“Sire, non potete immaginare quale gioia avete dato a questa povera vecchia, che non desiderava altro che rivedervi prima di morire.” “Non so se ne siete al corrente, ma sono stata io a farvi nascere: ero la levatrice che ha assistito lady Igraine durante il parto. Sono stata la prima a prendervi in braccio e non potrò mai dimenticare l’emozione che ho provato nel vedere le vostre guance paffute e i vostri occhietti azzurri che si guardavano intorno.”
“Le vostre parole mi toccano molto. Non credevo che a Tintagel ci fosse ancora qualcuno che ricordasse il mio breve soggiorno qui. Sono contento che siate rimasta per tutti questi anni e mi fa ancor più piacere potervi rincontrare in un momento della mia vita di cui potrò conservare il ricordo.”
“Ho atteso a lungo il vostro ritorno, anche se non vi nascondo che i giorni sono diventati interminabili dopo la morte di vostra madre e la partenza delle vostre sorelle, sire.”
“Avete ragione, questo posto è rimasto abbandonato a se stesso troppo a lungo: farò quanto è in mio potere per riportare un po' di vivacità. E, inoltre, vi esorto a farmi visita a Camelot, se e quando vorrete.”
“Figliolo, siete diventato una persona straordinaria. Se mi sarà possibile, accetterò con gioia il vostro invito.” disse l’anziana donna.
Dopo essersi congedati dalle attenzioni della levatrice e degli altri servitori, Artù e i suoi accompagnatori fecero per ritirarsi nelle proprie stanze, in modo da poter riposare dalla stanchezza accumulata durante il lungo viaggio.
“Domattina visiteremo il luogo che ti aggrada, Ginevra. Ne ho parlato con Merlino ed è sicuro di sapere la sua esatta ubicazione. Sarà lui a condurci lì; d’altro canto è la persona più indicata in situazioni di questo genere.” spiegò Artù.
“Ti ringrazio, Artù. Sono davvero curiosa di scoprire se tutte le leggende che si narrano su quel posto sono vere. In alcuni vecchi libri che ho trovato a Carmelide si parla di meravigliosi esseri magici che invadono di splendore ogni cosa. Spero proprio che questo corrisponda al vero e che non si tratti soltanto di dicerie popolari: non riesco ad immaginare una circostanza più benevola.”
“Speriamo che sia così. A domani, Ginevra.” si congedò il re.
“A domani.”

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


Merlino condusse il re, la principessa Ginevra e i cavalieri che li accompagnavano verso un bosco isolato, difficilmente raggiungibile per chi non ne conosceva la precisa localizzazione.
“Questo bosco è noto tra i maghi per essere una fonte incontaminata di magia. Di certo, principessa Ginevra, ne avrete letto su qualche libro redatto da uno di noi. E’ raro che la gente comune si avventuri in questi luoghi. Come potete vedere, infatti, sono ben nascosti all’occhio umano e senza alcuni espedienti magici è difficile avvicinarsi al posto in questione.”
“Grazie, Merlino, per aver realizzato il mio desiderio di visitare questo luogo fatato. Fin dalla prima volta che ne ho letto, ho sognato di vederlo.” lo ringraziò Ginevra, a cui Merlino rispose con un cenno del capo.
L’accesso alla foresta era interdetto da una specie di parete rocciosa e a tutti sembrò sin da subito impossibile procedere oltre.
Tuttavia, Merlino si avvicinò alle rocce con fare disinvolto e pronunciò un incantesimo.
Ostendo magnam viam.”
Di colpo quel blocco apparentemente saldo iniziò a scricchiolare, come se stesse per sbriciolarsi, e alcuni piccoli pezzi di roccia si staccarono, cadendo giù. Il suolo fu percorso da diverse vibrazioni prima che fosse udibile un rumore ben distinto, con il quale la parete scivolò da un lato come sospinta da un turbine di vento, mostrando un varco.
“Vi avevo già detto che è proibitivo arrivare al bosco senza l’aiuto delle arti magiche. Ma sono qui per questo. Sarà meglio lasciare i cavalli e procedere a piedi.” consigliò il mago.
Il varco che si era aperto dinanzi a loro era in realtà più una sorta di porta che un tunnel profondo e, il tempo di effettuare pochi passi, si ritrovarono subito di fronte ad una radura incantata.
Ogni albero, tutti i cespugli brillavano di luce dorata e perfino l’acqua fresca che scorreva dai ruscelli aveva assunto il colore dell’oro. I fiori emanavano un profumo molto intenso e tutta l’aria ne era pervasa. Inoltre qualunque cosa sembrava avere un suo spazio, un ordine naturale prestabilito che non fosse dipeso dalla mano dell’uomo.
“Quello in cui ci troviamo è uno dei luoghi magici più sacri. Non sarebbe consigliabile condurre qui chi non ha poteri magici, ma confido che i presenti rispetteranno la solennità del posto e non danneggeranno nulla.” chiarì cautamente Merlino. “Le luci che vedete sono prodotte dalle fate, dalle ninfe e dagli spiriti che abitano questo posto. Le ninfe degli alberi, le Driadi, permettono a questa flora di crescere forte e rigogliosa; Chloris, invece, è la ninfa che si occupa di rendere i fiori che vediamo dinanzi a noi così belli e profumati.” illustrò il mago, mentre si addentravano nel bosco, indicando le cose che si mostravano davanti a loro.
“Le Naiadi si prendono cura delle acque dolci che bagnano queste terre, attingendo al potere dell’acqua per guarire chi ne ha bisogno; talvolta si radunano qui anche le ninfe marine, le Nereidi, data la vicinanza con il mare. Sono queste ninfe ad aver generato gli spiriti acquatici, le Ondine, che sono le fate più numerose che abitano le acque e che, se abbiamo fortuna, si mostreranno a noi.” continuò a spiegare Merlino, mentre tutti gli altri lo ascoltavano in rigoroso silenzio e cercavano di non alterare la quiete del posto.
Le argomentazioni del mago sulle fate e sugli spiriti che dimoravano in quella foresta coinvolsero tutti e ora l’uno ora l’altro ebbero la possibilità di vederne qualcuno; la principessa Ginevra ebbe perfino l’onore beneaugurante di ricevere in dono un omaggio floreale, inviato tramite alcuni spiritelli proprio dalla ninfa Chloris.
Quando la visita fu sul punto di volgere al termine, d’un tratto una creatura, che li osservava da dietro un frassino, si rivelò a loro.
“Chi siete? E come mai siete sbucata fuori così, all’improvviso?” chiese Artù, in tono pacato.
“Sono una ninfa che abita questi boschi da tempo immemore e sono stata incaricata di consegnarvi un messaggio quando vi sareste presentati al mio cospetto.”
Mentre Artù fece per parlare, Merlino lo fermò, prendendo la parola per primo.
“Vi chiediamo scusa se in qualche modo abbiamo disturbato la vostra dimora, non era nostra intenzione. Andremo via immediatamente e non vi recheremo più alcun fastidio.”
“Non si tratta di questo, grande mago. Il mio messaggio non è per tutti voi, ma per il re. Avvicinatevi Artù Pendragon, affinché io possa riferirvi quello che per voi è stato profetizzato.”
Nonostante il discorso criptico, Artù si fece avanti senza esitare e raggiunse la ninfa.
“Datemi il vostro messaggio, gentile creatura; sono ansioso di conoscere il suo contenuto.”
“Le vostre azioni, Artù Pendragon, si sono rivelate gloriose e giuste. Vi siete dimostrato degno di guidare il più nobile esercito della storia e di governare sul regno di Albione, una terra di pace, uguaglianza e prosperità, che molti in futuro cercheranno di emulare. Avete accolto nel vostro reame chi utilizza le arti magiche a fin di bene e, allo stesso modo, avete condannato chi le disonora con azioni spregevoli. Per questo motivo una ricompensa vi attende in questa culla della magia; avanzate e soltanto un’ultima prova vi dividerà dal vostro premio. Se la supererete, avrete dimostrato ancora una volta di non aver deluso le aspettative che sono state riposte su di voi, nobile re. Il dono che vi spetta vi sarà di grande aiuto nell’intento di mantenere l’armonia nelle terre di Albione, usatelo con saggezza.” sentenziò solennemente la ninfa e poi svanì all’improvviso.
Artù, che aveva ascoltato il messaggio con grande attenzione, riorganizzò i propri pensieri e valutò con cautela il da farsi. Gli balenò subito in mente che potesse trattarsi di una sfida pericolosa, tanto più che c’erano in gioco anche delle forze magiche. Tuttavia, le parole della ninfa erano state di elogio per la sua persona e per il suo regno, non di condanna. Pertanto, convenne che la cosa più sensata da fare era accettare con coraggio quello che ne sarebbe seguito. Così, comunicò al gruppo la propria intenzione di proseguire per affrontare la prova che gli era stata appena annunciata. I cavalieri al suo seguito manifestarono la volontà di accompagnare il re per fornire il loro aiuto in caso di bisogno, così come Merlino e la principessa Ginevra.
“Ringrazio tutti voi per la vostra lealtà e il vostro supporto. Sebbene non conosciamo la pericolosità di questa missione, intendo rispettare la decisione di ognuno di voi e, per questo motivo, non vi impedirò di seguirmi, se è ciò che desiderate fermamente.” “Vi chiedo solo una cosa in cambio. Lasciate che sia io e io soltanto ad affrontare la prova e non intervenite in alcun modo, poiché il messaggio che la creatura attendeva di riferirci era rivolto solo a me. Avete potuto udire le sue parole e sono io a dover dare prova di poter guidare il regno di Camelot. Perciò vi condurrò con me soltanto a questa condizione.”
Ognuno dei presenti accettò il volere di Artù e, rifocillatisi per qualche istante, proseguirono verso la parte più interna della foresta magica. I cavalieri, dopo una prima idea di procedere con le spade sguainate, decisero di evitare l’uso delle armi per non profanare la sacralità del luogo; Merlino conferì con loro e si ripropose di utilizzare la magia, soltanto qualora si fosse concretizzato un pericolo per le loro vite; la principessa Ginevra, che dal canto suo non possedeva arti magiche né particolari attitudini in battaglia, si limitò a racchiudere in una coda i lunghi capelli biondi e a legarli con un nastro colorato che ornava le sue vesti per avere una maggiore capacità visiva.
Procedevano spediti, parlottando di tanto in tanto, quando si trovarono in un punto della foresta in cui la vegetazione era talmente fitta che soltanto pochi raggi del sole penetravano qua e là, lasciando ampie zone nell’ombra. Fu a quel punto che un verso animalesco attirò la loro attenzione. Un orso bruno, inconsueto per statura e per stazza, si diresse verso Artù, che con prontezza estrasse la spada, ordinando agli altri di farsi indietro. L’animale, sebbene a prima vista incutesse timore, sembrava nascondere una mitezza nei comportamenti che non passò inosservata. Sfoderò gli artigli dalle zampe e fece diversi tentativi di colpire Artù; tuttavia, era come se qualcosa lo frenasse. Artù cercò di parare indietro l’animale con la spada, ma, pur non colpendolo, ad ogni sferzata l’orso reagiva con maggiore aggressività. La scena era dominata da una tensione crescente che si manifestava dall’apprensione dei presenti per la sorte di Artù e, altresì, dal duello che questi stava ingaggiando con l’animale. Era evidente come quest’ultimo rispondesse alle mosse del re con una sorta di movimento a specchio: esso reagiva agli assalti di Artù in modo perfettamente identico. In realtà, i gesti non sembravano corrispondere affatto alle intenzioni dell’orso. L’espressione del muso e la curiosità che lasciava trasparire da ogni suo sguardo non avevano niente a che vedere con la durezza di una bestia feroce che vuole annientare la sua preda. Piuttosto i suoi grandi occhi neri esprimevano interesse verso gli atteggiamenti e le reazioni del giovane re. Dopo diversi minuti in cui né il plantigrado né il cavaliere avevano assestato alcun colpo, come se prendessero tempo a studiare l’uno i comportamenti dell’altro, Artù comprese la vera essenza della prova e lasciò cadere a terra la spada.
“Cosa fate, sire? In questo modo quell’orso vi ucciderà in men che non si dica!” urlò sir Lionel in direzione del re, estraendo la sua spada e porgendogliela. “Prendete la mia spada per combattere.”
Artù rifiutò l’arma del cavaliere e disse:
“Metti via quella spada, Lionel. Non ne ho bisogno; in realtà non c’è alcun bisogno di combattere. Se quell’orso avesse voluto davvero farmi del male, avrebbe potuto ferirmi in qualunque momento. I suoi tentativi di colpirmi non sono mai stati troppo convinti. Se non vuole fare del male a me, non vedo perché dovrei essere io a farne a lui.”
Sir Lionel ripose la spada nel fodero e chiese ad Artù:
“Quali sono i vostri propositi, sire? Come intendete procedere? Se vi sbagliate, vi ucciderà.”
“Stai a vedere se mi sbaglio!” esclamò sicuro.
Il re, quindi, si avvicinò pian piano all’orso, che ringhiava e si era posizionato come se fosse sul punto di attaccare. Dopo aver stabilito una sorta di contatto visivo con l’animale, si fece più vicino fino ad arrivare ad accarezzargli una zampa. Quando tutto il gruppo ormai temeva il peggio e Merlino si apprestava ad usare un qualche incantesimo per salvare la vita ad Artù, sebbene fiducioso nelle sue azioni, l’orso perse ogni accenno di ostilità nei confronti del re e si mise a sedere. Artù, così, poté accarezzargli il muso e la morbida pelliccia del dorso. Anche il plantigrado cercò di accarezzarlo e di giocare con lui, spettinandogli la chioma bionda. Questa scena accadde sotto gli occhi increduli dei cavalieri e della principessa Ginevra, a cui Merlino con grande sollievo spiegò:
“Il mondo magico è fatto così: le cose spesso sono diverse da come sembrano in apparenza. Soltanto se analizziamo tutti gli aspetti di quello che ci circonda, possiamo realmente dire di aver compreso il senso delle cose. Per giunta quell’orso non si comporta propriamente come un essere magico, ma ricalca più o meno lo spirito giocoso degli esemplari della sua razza: non attaccano nessuno se non si sentono in pericolo.”
“E un orso come è finito qui? Vi è stato condotto con la magia?” lo interruppe Ginevra.
“No, tutto quello che dimora qui è magico, quindi anche quell’animale deve esserlo; il suo scopo in questo luogo era quello di esaminare il comportamento di Artù. Tuttavia, l’animo buono del re è stato capace di riconoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Credo che la prova si basasse su questo.”
Improvvisamente l’orso bruno scomparve davanti ai loro occhi e si udì di nuovo la voce della ninfa che aveva trasmesso il messaggio ad Artù.
“Artù Pendragon, ancora una volta vi siete dimostrato degno. Le vostre azioni sono state nobili al pari del vostro cuore. Avete dato prova di saper riconoscere il bene dal male e di comprendere i veri pericoli che possono scalfire l’animo umano. Avanzate e ricevete la ricompensa che avete meritato. Nelle vostre mani potrà fare grandi cose. Si trova lì ormai da molto tempo e aspetta che il suo legittimo possessore la raccolga. La troverete sotto i fiori del giglio bianco, che rappresentano la purezza del vostro cuore. Ora e in futuro il vostro lignaggio e quello delle persone a voi leali troveranno in questo fiore la forza e il coraggio per le grandi prove che li attenderanno. Ricevete, dunque, quello che vi spetta.”
La voce della ninfa scomparve in un eco e Artù si avvicinò alla pianta del giglio che gli era stata indicata. Scostò i fiori e alla sua vista si mostrò una spada incantata e brillante, incastonata in una roccia. Alla base della roccia Artù trovò un’ulteriore riprova che lodava la sua grandezza e quanto era destinato a fare. In una targa del colore del bronzo e dall’apparenza millenaria erano incise queste parole: “Artù, re una volta e re in futuro”.
Merlino, che gli si era avvicinato, lo esortò ad estrarre la spada.
“Artù, tutti questi segni che oggi avete trovato lungo il cammino elogiano il vostro operato e vi riconoscono una magnificenza nel cuore e nelle gesta che nessun re potrà mai eguagliare. Guardate, è il vostro destino.” disse, richiamando l’attenzione sulla targa. “Estraete la spada!”
“E’ saldamente fissata nella roccia. Cosa ti fa pensare che io ci riesca? Le mie azioni, per quanto grandi possano apparire ai più, sono comunque prive di qualunque magia. Prendere quella spada, invece, mi sembra impossibile senza il suo utilizzo.”
“Suvvia, sire, la spada è stata donata a voi e pertanto siete l’unico in grado di estrarla. Poi, se è la magia che cercate, ricordatevi dove ci troviamo e che potete trovarla tutta intorno a noi. Coraggio!”
“Va bene.”
Artù fece un lungo respiro, si avvicinò alla roccia e allungò la mano sinistra sull’elsa della spada. Fu colto da un istante di esitazione, ma scacciò immediatamente ogni turbamento lo affliggesse e, confidando in coloro i quali erano sempre stati al suo seguito per aiutarlo a costruire il regno che tutti sognavano, provò a tirare. Avendo bene impresse le parole di lode con cui erano stati celebrati i suoi valori e le sue imprese, riuscì ad estrarre la spada, che, puntando verso l’alto, inondò di luce ogni cosa nel compiacimento generale dei compagni di viaggio del re.
“Questa spada sarà una mia fedele compagna d’ora in poi e testimonierà la lealtà che voi tutti mi avete mostrato qui oggi. Non c’è gioia più grande per un re che vedere la stima impressa sui volti delle persone che gli stanno a cuore. Vi ringrazio per aver condiviso con me un momento così importante.” concluse Artù commosso.
Ginevra e i cavalieri si avvicinarono ad Artù per congratularsi con lui e per ribadire la loro piena fiducia nelle sue azioni. Il suo eroismo fu in qualche modo celebrato anche dalle creature magiche del bosco, che mostrarono al re la loro vicinanza e il loro apprezzamento mediante simbolici giochi di luci che si accendevano e si spegnevano qua e là in un tripudio di colori. Tra l’emozione di tutti, Merlino prese la parola:
“Tutti noi dobbiamo dimostrare di essere un valido aiuto per il mondo che state costruendo, sire; dobbiamo darvi prova ogni giorno della nostra lealtà e farvi da supporto per le questioni più difficoltose che si presenteranno. Avremo bisogno gli uni degli altri per superare gli ostacoli che troveremo davanti a noi e nulla ci fa più piacere che condividere con voi la strada che avete intrapreso. Il cammino sarà lungo e difficile, ma potrete contare su ognuno di noi, che si tratti dei vostri cavalieri, dei vostri affetti o di un vecchio mago che vi ha visto nascere. Ora sarà meglio riprendere il nostro viaggio perché la storia di Camelot è soltanto all’inizio ed è ancora tutta da scrivere.”

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