I figli del limbo

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettere da Hogwarts ***
Capitolo 2: *** Diagon Alley ***
Capitolo 3: *** King's Cross: si parte! ***
Capitolo 4: *** Il Cappello Parlante ha alzato il gomito (parola di Charlie Krueger) ***
Capitolo 5: *** Sei piccoli Tassorosso ***
Capitolo 6: *** Serpeverde anomali e prime lezioni ***
Capitolo 7: *** Di bacchette fuori controllo e biscotti rocciosi ***
Capitolo 8: *** Scope, un avvincino e un'amicizia che cresce ***
Capitolo 9: *** I fantasmi del passato ***
Capitolo 10: *** Raccontami ***
Capitolo 11: *** I limiti di una sfida ***
Capitolo 12: *** Colpire al cuore ***
Capitolo 13: *** Serpeverde contro Tassorosso ***
Capitolo 14: *** La festa dell'Amicizia ***
Capitolo 15: *** Ritorno dolceamaro ***
Capitolo 16: *** Natale in famiglia ***
Capitolo 17: *** Svolte (im)previste ***
Capitolo 18: *** Propositi per il nuovo anno ***
Capitolo 19: *** Cattive intenzioni ***
Capitolo 20: *** Freddo e malinconico gennaio ***
Capitolo 21: *** Cuori che battono forte ***
Capitolo 22: *** Di gatti, candeline e uova esplosive ***



Capitolo 1
*** Lettere da Hogwarts ***


Disclaimer: il mondo di Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a J.K. Rowling e questa storia non ha scopo di lucro.


Capitolo I

 
 
Lettere da Hogwarts
 




«E Ginny Weasley recupera la pluffa» strillò una ragazzina dai corti capelli ramati, appiattendosi sulla scopa. «Evita un bolide» continuò, superando per un pelo un ramo.
«Stai attenta!» urlò una voce in lontananza.
La ragazzina non vi diede ascolto e continuò la sua corsa, finché tre alti anelli non apparvero di fronte ai suoi occhi. «A noi due!» urlò al portiere. Accelerò e puntò dritto sull’altro, che gridò e si scansò rischiando di scivolare dalla scopa.
«Ma che fai?» protestò il portiere togliendosi il casco protettivo e rivelandosi un ragazzino poco più grande. Intanto ella aveva tirato la pluffa e centrato l’anello di mezzo.
«Segno» rispose la ragazzina con ovvietà. «Piuttosto tu ti sei scansato come una femminuccia! Non ti vergogni?».
«Era fallo!» ribatté l’altro sventolando il casco.
«Fallo?! Ma che dici?» replicò la ragazzina ghignando.
«Sì, non si vola con l’intento di entrare in collisione» disse con fare da saputello l’altro.
«Ma fammi il favore, Willy! Non volevo entrare in collisione con te! Volevo farti spaventare e ci sono riuscita» esclamò la ragazzina.
«Ehi voi due» li richiamò un ragazzo più grande raggiungendoli.
«Nessuno ti ha invitato, James» sbuffò la ragazzina.
«Mamma ti ha chiamato un milione di volte, forse ti deve portare al San Mungo per un controllo all’udito?» chiese sarcasticamente James.
La ragazzina gli fece la linguaccia.
«Charlotte, attenta a non farmi arrabbiare» sbottò James.
«Perché mamma ci vuole? Ci aveva dato il permesso di giocare» domandò preoccupato Willy.
«Perché ha visto Charlotte giocare in mezzo agli alberi e, tanto per cambiare, stava per andare a sbatterci contro».
«NON MI CHIAMARE CHARLOTTE» urlò la ragazzina.
«Però Charlie, perché devi fare sempre di testa tua? Non potevi giocare qui?» si lamentò Willy indicando lo spazio libero.
«No, così è noioso. Cioè dovrei giocare a tirarti solo rigori o poco più? Voglio più spazio di azione».
«Beh, mamma e papà non sono d’accordo» sentenziò James. «Ora scendete, entrambi».
Willy sbuffò, ma puntò la scopa verso terra e iniziò a scendere lentamente. «Muoviti, Charlie» la chiamò quando vide che non lo seguiva.
«Sì, infatti» borbottò James.
«Un gufo!» strillò però Charlie, notando il pennuto e ignorando i fratelli.
«Che cosa pensi di fare?!» intervenne James.
«Charlie…» sospirò Willy, vedendola correre verso il malcapitato gufo, che, naturalmente, si spaventò. «Fermati, lascialo in pace».
«Piccola peste» sibilò James.
Charlie, però, non ascoltava più nessuno: il vento le fischiava nelle orecchie a causa della velocità e gli occhi erano puntati sul pennuto. Aveva riconosciuto lo stemma sulle lettere che portava e voleva essere la prima a prenderle. Con una veloce manovra si sollevò al di sopra dell’animale, che rendendosene conto puntò verso il giardino. Proprio dove sua madre aveva apparecchiato per un thè con la sua amica, della cui venuta propria si era dimenticata. Effettivamente aveva detto a lei e Willy di rientrare a un certa ora, ma s’era dimenticata. Accidenti, solitamente era suo fratello a ricordarsi certe cose.
Il gufo fedifrago si gettò proprio sulla teiera di ceramica finissima, rovesciandone il contenuto sulla tovaglia di lino bianco e scagliandone il coperchio lontano nel prato. Allo strillo sorpreso della madre, seguì quello seccato e un po’ spaventato dell’altra donna e della figlia: il thè era finito non solo sulla tovaglia ma anche sulla veste di satin azzurro della prima e il gufo si era catapulto tra le braccia della seconda, che non la prese per nulla bene, come se non fosse una strega e non fosse perfettamente abituata alla posta via gufo.
«CHARLOTTE ELISABETH KRUEGER» gridò sua madre furiosa.
Charlie deviò con maestria ed evitò di rovinare anche lei sul tavolo, ma a differenza dei fratelli non smontò ma rimase a galleggiare a qualche metro da terra, sufficientemente lontana dalla presa materna.
«Il mio vestito! L’avevo comprato ieri alla Boutique Dupois» si lamentò la signora.
«Mi dispiace, Clarisse» si scusò immediatamente sua madre dopo averle lanciato un’occhiataccia.
Charlie non finse neanche di essere dispiaciuta: la signora Gould le stava antipatica, anche se mai quanto la figlia Matilde. Comunque, il suo interesse principale era quello di sparire prima che la madre si dedicasse totalmente a lei, ma non avrebbe mai potuto abbandonare il campo senza la sua lettera. Cercò di attirare l’attenzione di Willy, che, fortunatamente, si teneva a distanza dal piccolo ‘dramma’ e la guardava, mentre James tentava di aiutare la madre. Charlie con la mano indicò le lettere, che, una scocciata Matilde aveva quasi strappato dalla zampa del povero gufo, che, ottemperato ai suoi doveri, era filato via.
Willy la fissò con tanto d’occhi, spaventato dalla richiesta. Charlie congiunse le mani pregandolo silenziosamente. Suo fratello non sapeva dirle di no e sospirò. La ragazzina lo osservò avvicinarsi al tavolo, adocchiare i nomi sulle buste e prenderne due. Charlie scese velocemente verso di lui, ma fu una pessima mossa perché evidentemente la madre l’aveva tenuta d’occhio.
«Charlotte» sibilò allungando una mano per acciuffarla e abbandonando il tovagliolino con cui stava tamponando il vestito dell’amica.
Charlie, allora, prese al volo la lettera dalle mani di Willy e si fiondò dentro casa senza neanche scendere dalla scopa. Non fu una buona idea: investì in pieno qualcuno che stava correndo fuori, probabilmente attratto dagli schiamazzi. Stordita, impiegò qualche secondo a riconoscere l’altro: Cris.
«Scusa» gridò, recuperando la scopa e correndo verso le scale che portavano al piano di sopra. Non si fermò finché non raggiunse la stanza che cercava e vi s’infilò dentro con il fiatone, sbattendo rumorosamente la porta alle sue spalle.
«Charlie» disse una voce profonda in tono di rimprovero.
«Come fai a sapere che sono io?» ribatté la bambina, riprendendo fiato e mettendo a fuoco quello che altro non era che una piccola biblioteca. In una poltrona accanto alla finestra, vi era seduto un uomo sulla quarantina.
«C’è solo un piccolo tornado in questa casa» rispose l’uomo.
Charlie si rese conto che non la stava rimproverando, quindi si avvicinò tutta contenta. «Andavo di fretta» spiegò buttandogli le braccia intorno al collo.
«Per lo stesso motivo per il quale ho sentito tua madre urlare il tuo nome?».
«Forse, ma non sono venuta qui per questo».
«Ah, no?» replicò l’uomo sollevando un sopracciglio.
«No» confermò Charlie. «È arrivata la lettera di Hogwarts e volevo leggerla con te».
Un sorriso si aprì sul volto dell’uomo, che replicò: «Hai fatto proprio bene, su, leggila ad alta voce».
Charlie si accomodò sulle ginocchia del padre, aprì la busta e, dopo essersi schiarita la voce, lesse:
 

«SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Direttrice: Minerva McGranitt
(Ordine di Merlino, Prima Classe)
 
 
Cara signorina Krueger,
siamo lieti di informarLa che Lei ha il diritto di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l’elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio il 1° settembre. Restiamo in attesa della sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
 

Con ossequi,
Filius Vitious
Vicepreside»
 
 

Charlie gettò un urlo, degno di una banshee, una strega delle paludi, e cominciò a saltellare per la stanza. «Quando andiamo a Diagon Alley?» domandò al padre, non smettendo di muoversi neanche per un secondo.
 
L’uomo s’incupì. «Non posso venire, lo sai. Deve chiedere alla mamma quando è libera».
 
Charlie si bloccò di scatto e lo fissò delusa.  «Non vieni?».
 
«Charlie, tesoro, non posso…».
 
«L’hai già detto!» sbottò Charlie interrompendolo. «E non è vero, puoi eccome!».
 
«Eccoti, Charlotte! Sei venuta a infastidire tuo padre?». La madre era entrata in biblioteca senza preavviso, seguita da James e Willy.
 
«No, cara, mi ha solo mostrato la lettera di Hogwarts» sospirò il padre difendendola.
 
«A me è parso sentire le sue urla» commentò James, che non si faceva mai gli affaracci suoi, ma Charlie in quel momento aveva occhi solo per il padre.
 
«Nessuno ti impedisce di uscire, sei tu che hai deciso di ammuffire in questa stanza» esclamò con rabbia. Un silenzio attonito accolse le sue parole.
 
«Charlotte Elisabeth Krueger, hai superato te stessa stamattina! Fila in camera tua» intervenne sua madre, dopo essersi ripresa dalla sorpresa.
 
«Ho detto solo la verità» ribatté la ragazzina furiosa. «Lo pensate anche voi, vero?» strillò ai fratelli al limite delle lacrime.
 
«Assolutamente no» sentenziò James.
 
«Forse, ogni tanto potresti uscire con noi. Ti aiuteremmo» sussurrò Willy, fissandosi i piedi.
 
«William» sibilò la madre in tono di avvertimento.
 
«Non sgridare i ragazzi, cara. È difficile anche per loro» intervenne il padre.
 
«NON È DIFFICILE! SEI TU CHE TI COMPORTI DA STUPIDO! QUELLA MALEDIZIONE DEVE AVERTI COLPITO ANCHE IL CERVELLO, NON SOLO GLI OCCHI» urlò Charlie con tutto il fiato che aveva in gola e scappò via. Si rifugiò nella sua camera, gettandosi in lacrime sul letto.
 
 
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«Ben svegliato, dormiglione! Laurence è venuto a cercarti una decina di volte!» lo accolse sua nonna in cucina.
 
Teddy si passò una mano sul volto ancora addormentato.
 
«Neanche il viso ti sei lavato, eh?».
 
«Ho fame» borbottò il ragazzino.
 
«Ecco a te» disse sua nonna, appoggiando sul tavolo una tazza piena di una sostanza biancastra e molliccia.
 
«Porridge» commentò Teddy con una smorfia.
 
«Esattamente e vedi di finirlo tutto, o puoi scordarti di andare a giocare con Laurence».
 
«Nonna, io volevo i pancake, però!».
 
«Domani, magari».
 
Il ragazzino a malincuore si mise a mangiare, ma non perse tempo: lamentarsi con la nonna era inutile, ormai lo sapeva, e voleva andare a giocare fuori dopo giorni di pioggia.
 
«Ah, allora era buono» commentò la nonna quando il ragazzino le porse la ciotola vuota.
 
«Ho fretta» rispose egli sinceramente.
 
«Ehi, ehi, dove corri? Aspetta» lo fermò sua nonna, proprio mentre si stava catapultando fuori.
«Che c’è?».
«Questa non la vuoi leggere?» replicò ella mostrandogli una busta giallastra.
Teddy impiegò qualche secondo per comprendere, per poi gridare: «È la lettera di Hogwarts?! Perché non me l’hai detto subito? Quando è arrivata?».
La donna gliela porse e rispose pazientemente: «Perché non avresti neanche iniziato a mangiare. E comunque è arrivata stamattina. Laurence voleva venire a buttarti giù dal letto».
«E perché non gliel’hai permesso?» ribatté oltraggiato Teddy.
«Perché ti avevo detto di chiudere le luci alle dieci, ma tu sei rimasto a leggere fino a notte inoltrata, sbaglio?».
Il ragazzino boccheggiò colto in contropiede. «Ehm…».
«Appunto e sai benissimo che non sopporto i ragazzini disubbidienti».
Ted Remus Lupin era un ragazzino solitamente mite, tranquillo e giudizioso, così decise diplomaticamente di scusarsi immediatamente per non contrariare ulteriormente la nonna. Andromeda Black in Tonks sapeva essere molto severa ed era sempre meglio non provocarla più del dovuto. «Scusa, stasera andrò a letto al giusto orario. Posso andare da Laurence, ora?».
«Vai, ma ho invitato Harry per pranzo, quindi vedi di essere qui alle undici e mezza».
«Alle undici e mezza?! Ma sono le dieci! E poi Harry non verrà prima delle dodici e trenta!».
«Teddy, se vuoi andare a giocare questi sono i patti, sennò rimani qui che non mancano le faccende che puoi fare».
«No, ci vediamo alle undici e mezza» replicò Teddy e corse fuori in giardino. «A dopo».
Non impiegò molto a trovare Laurence Landerson, il suo migliore amico nonché vicino di casa.
«Ehi! Allora ti è arrivata?» gli chiese a bruciapelo l’altro ragazzino.
«Certo! Che ti credevi?» ribatté Teddy, sventolando orgogliosamente la sua lettera.
«Non vedo l’ora di partire! Potremo fare quello che vogliamo senza gli adulti tra i piedi» commentò beato Laurence. «Saremo tutti e due a Grifondoro e ci divertiremo un mondo!».
Teddy sorrise. «Tecnicamente non potremo fare tutto quello che vogliamo. Ci sono i professori ti ricordo».
«Su non fare il guastafeste! I professori non ti stanno mica appresso dicendoti di mangiare le verdure o di andare a letto a un certo orario!».
«No, questo no. Hai ragione».
«Oh, Teddy Lupin che mi dà ragione. Questa è una giornata da ricordare!».
«Che facciamo?» chiese Teddy ignorando la sua battuta.
«Andiamo al parco?» propose l’altro stringendosi nelle spalle.
«Ok» assentì Teddy. «Non vedo l’ora anch’io di partire. Il nostro quartiere è proprio noioso».
«Quando saremo più grandi potremo spostarci con l’autobus» ribatté Laurence. «Tua nonna ti ha detto quando andrete a Diagon Alley? Potremmo andarci tutti insieme».
«No, ma penso che ne parlerà con Harry. Oggi pranza con noi».
«Davvero? Posso venire dopo mangiato? Adoro il tuo padrino».
«Anche tuo padre è forte e ha più tempo libero di Harry» ribatté Teddy.
«Sì, ma deve comportarsi anche da padre. Harry è solo il tuo padrino, non si mette a rompere le scatole con paternali o simili».
Teddy avrebbe voluto ribattere in qualche modo, pur di negare le sue parole, ma purtroppo era vero: Harry non voleva neanche essere chiamato ‘papà’.
«Non è vero» borbottò, «anche Harry si arrabbia alle volte. È solo che tuo padre è più vecchio».
«Mio padre è poco più grande di Harry, non mi sembra un gran motivo» lo contraddisse Laurence. «E poi, è tua nonna che comanda, è questo che voglio dire».
«In casa tua comanda tua madre» sbuffò Teddy con una punta di cattiveria.
«Oh, sì» sospirò Laurence non rendendosi conto del fastidio che la conversazione stava recando all’amico. «Ho detto a mio padre che io sposerò una donna che mi obbedirà in tutto e per tutto e si è messo a ridere, affermando che non ne sarei contento alla fine. Non capisco perché».
Teddy si strinse nelle spalle poco interessato a simili discorsi. «Siamo arrivati» disse con sollievo, appena raggiunsero il parco. Era chiassoso come ogni mattina, ma il ragazzino aveva ben altro per la testa. Trattenne l’amico e gli sussurrò: «Ieri sera, in un libro, ho letto che esistono degli incantesimi domestici, tuo padre ci farebbe provare? Non dovrei più ordinare la mia stanza». Il signor Landerson era sempre disponibile a far loro usare la propria bacchetta per provare dei semplici incantesimi. Nonna Andromeda, invece, si rifiutava categoricamente; Harry ogni tanto lo assecondava, ma da quando era stato nominato Capitano degli Auror era sempre troppo occupato.
«Leggi troppo, amico, fattelo dire» replicò Laurence alzando gli occhi al cielo. «Comunque se vuoi possiamo chiedere a mia madre, l’ultima volta che mio padre ha provato a lavare i piatti con la magia ha dovuto comprare un servizio nuovo alla mamma».
«Va bene. Andiamo ora?» disse allettato dall’idea.
«Neanche per idea. Gli altri stanno giocando a pallone nel campetto, andiamo da loro».
«Sì, magari vi raggiungo tra un po’» ribatté Teddy per nulla convinto. Finiva sempre per farsi male quando giocava a calcio, non gli piaceva per nulla. «C’è Diana».
Laurence scosse la testa e replicò: «Divertiti con la secchiona. Pomeriggio vieni da me, però, così proviamo il nuovo gioco che mi ha comprato mio padre per la play».
«Certo» gli assicurò Teddy, con una punta d’invidia. I Landerson erano maghi da diverse generazioni, ma vivevano perfettamente integrati nel mondo babbano, se fosse stato per sua nonna, invece, non avrebbe dovuto frequentare nemmeno la scuola babbana. Fortunatamente Harry l’aveva dissuasa sottolineando l’importanza di farsi degli amici fin da piccoli e Teddy glien’era grato naturalmente. La play station, però, si era rifiutato di comprargliela anche lui, affermando che vi fossero un milione di giochi migliori; infatti aveva provato a convincerlo a giocare a calcio nella squadra del quartiere insieme a Laurence, o qualunque altro sport possibile, ma Teddy si era rifiutato categoricamente.
«Ciao» disse avvicinandosi alla ragazzina. Diana per cinque anni era stata la sua rivale. L’unica nella classe babbana a poter competere con lui o che comunque avesse interesse per farlo, ma erano sempre stati corretti l’un l’altro per cui alla fine avevano stretto amicizia. A Teddy dispiaceva non avere più la sua compagnia da settembre.
«Ciao» replicò la ragazzina che con la coda dell’occhio l’aveva visto avvicinarsi. «Sempre allergico al calcio».
Teddy arrossì: Diana era maledettamente sincera e diretta. «Le allergie non si curano, no?».
«No» assentì la ragazzina con un mezzo sorriso. «Mio padre me l’ha spiegato quando ho scoperto di non poter più mangiare le fragole» soggiunse con una smorfia.
Il ragazzino annuì vagamente, non riuscendo a capire perché i riferimenti ai genitori quel giorno gli provocavano moti di stizza e fastidio. Il padre di Diana era un medico e un uomo colto, che teneva molto all’istruzione della figlia anche al di fuori della scuola portandola nei musei o, semplicemente, in gita all’aria aperta. Nemmeno Diana aveva la play station, ma questo non contava molto. I suoi genitori erano intellettuali e avevano delle fissazioni ben precise. Comunque erano sempre gentili con gli amici della figlia e spesso li portavano con sé in queste uscite culturali e non.
«Che hai?».
«Niente» rispose in fretta il ragazzino e in tono leggermente brusco.
Diana si accigliò e annuì. «Ok, non ne vuoi parlarne. Io, però, devo dirti una cosa, ma non qui».
Questa volta fu il turno di Teddy di accigliarsi e arrossire. Aveva detto a Diana che a settembre avrebbe frequentato un collegio in Scozia e sarebbe tornato soltanto nelle vacanze di Natale, non è che voleva dichiararsi o qualcosa del genere? Laurence e qualche altro compagno dicevano che lei aveva una cotta per lui! No, non era pronto.
«Teddy, tutto bene?».
«Mia nonna ha detto che devo essere a casa alle undici e mezza» disse in fretta. Non la voleva offendere, ma non voleva neanche affrontarla.
«Ok» assentì ella. «Sono quasi le undici, ti accompagno verso casa, se per te va bene».
«Ehm, no, non è il caso…» borbottò il ragazzino e fece qualche passo indietro.
«Teddy! Ti prego, è importante. Solo qualche minuto!» lo supplicò Diana.
«Va bene» acconsentì allora il ragazzino, maledicendosi per non saper mentire meglio.
E così si avviarono in silenzio verso la villetta in cui abitava Teddy. Il ragazzino era sulle spine e avrebbe voluto correre via.
«Stamattina è venuta una persona a casa mia» esordì Diana.
«Eh?». Teddy cadde letteralmente dalle nuvole e si asciugò il sudore dal volto. Una dichiarazione di solito non iniziava in quel modo e l’amica fissava il marciapiede e non lui. Non era molto romantico.
«Ti ho detto che stamattina è venuta una persona a casa mia… Ha detto che ti conosce… che conosce la tua famiglia… credo anche per tranquillizzare i miei…» bofonchiò la ragazzina.
«Cercavano me?».
«No, usa il cervello!» sbuffò Diana. «Voleva me, è venuta a casa mia!».
«E chi era?».
«Un certo professor Horace Lumacorno».
Teddy si fermò all’improvviso e la guardò con tanto d’occhi. «Hai detto Lumacorno?».
«Lo conosci, quindi».
«L’ho incontrato una volta, mentre ero con il mio padrino» rispose Teddy. «Che ti ha detto?» le domandò ben sapendo che se Lumacorno andava in una casa babbana in pieno luglio, non era per caso.
«Molte cose» divagò Diana. «I miei non volevano crederci all’inizio, poi hanno chiamato tua nonna in aiuto».
«Mia nonna? Mia nonna era a casa».
Diana sbuffò divertita. «Infatti ha detto che dormivi così bene, che non ti saresti neanche accorto della sua assenza».
«Mia nonna dovrebbe parlare di meno» borbottò il ragazzino arrossendo.
«Allora è vero? Mio padre dice che non ci crederà finché non vedrà Diagon Alley» sussurrò Diana a voce bassissima.
«Sì, è vero» assentì Teddy. «È magnifico» disse abbracciandola di slancio. «Mi saresti mancata tantissimo!».
«E Laurence non ti mancherà?» chiese sorpresa la ragazzina.
«Anche Laurence è un mago! Magari finiremo tutti nella stessa Casa! Non è fantastico?» chiese Teddy euforico.
«Casa? Di che parli? E poi Landerson non mi sta molto simpatico».
«Lumacorno è vecchio ormai, non ti ha detto le cose più importanti! Vieni ti offro un gelato».
Presero un cono ciascuno e si sedettero su un marciapiede, lontani da orecchie indiscrete e Teddy cominciò a raccontare tutto ciò che sapeva su Hogwarts. Diana era un’ottima ascoltatrice e lo seguiva rapita.
«Allora è qui che sei! Tua nonna sta dando di matto!».
Una voce ben nota li riportò sulla terra, Teddy e Diana alzarono gli occhi su un giovane sulla trentina, occhialuto, con i capelli neri sparati da ogni parte e una cicatrice, in gran parte coperta da un ciuffo nero.
«Harry, ciao! È arrivata la lettera! E, indovina, anche Diana è una strega!» gli comunicò euforico il ragazzino, ma il suo sorriso scomparve quando vide che non era ricambiato.
«Teddy, tua nonna ti aveva detto di rientrare alle undici e mezza. Hai la minima idea di che ora sia adesso?».
«No» ammise il ragazzino a malincuore. «Ma che importanza ha?» tentò.
«Che importanza ha? Tua nonna è preoccupata! Non sapeva dove fossi!» sbottò Harry.
«Che esagerazione! Dove voleva che fossi? Questo quartiere è piccolissimo».
Una nuova occhiataccia del padrino gli suggerì che era stata la risposta sbagliata.
«È colpa mia, signore» intervenne Diana. «Teddy mi aveva detto che doveva rientrare a casa, ma l’ho distratto».
Teddy sentì la rabbia montare improvvisamente. «Che te ne frega a te?» sbottò. «Lascia che la predica me la faccia la nonna».
Harry sembrò sorpreso dalle sue parole e dal suo tono. «Sono il tuo padrino, ho tutto il diritto…».
«Sarai il mio padrino, ma non mio padre» sibilò Teddy.
Il più grande apparve ferito dall’affermazione, ma a Teddy non interessava in quel momento.
«Teddy, ma che dici… è come se fossi mio figlio…» provò Harry in tono più dolce.
«Non è vero! Non vuoi che ti chiami ‘papà’! È logico che io non sono come Jamie, Al o Lily. Non sono tuo figlio» replicò Teddy, sentendo gli occhi inumidirsi.
«I-io vado… Sono in ritardo anch’io… scusate…» borbottò Diana imbarazzata e si allontanò.
Teddy ne fu contento perché non riusciva più a trattenere le lacrime. Si morse il labbro non volendo farsi vedere da Harry, ma era difficile.
«Teddy» sospirò l’uomo, abbracciandolo. Il ragazzino provò a divincolarsi in un primo istante, poi si arrese tra quelle braccia tanto familiari e nascose il viso nel grembo del padrino. «Mi dispiace che tu mi abbia frainteso».
«Non c’è molto da fraintendere» singhiozzò Teddy.
Harry lo strinse più forte a sé e sospirò. «Ti amo Teddy e farei di tutto per te, proprio come per Jamie, Al e Lily. Sei il loro fratellone. Sei un figlio per me e Ginny. Credimi».
«Allora perché non posso chiamarti papà?».
«Quando ho accettato di essere il tuo padrino ero solo un ragazzino di diciassette anni che giocava a fare l’eroe. Non ce l’avrei mai fatta a crescerti senza l’aiuto di tua nonna e dei Weasley. Non ho voluto che mi chiamassi papà perché non ho mai voluto prendere il posto di Remus, né Ginny quello di Tonks» dichiarò Harry con voce incerta. «Sono dell’idea che nessuno può sostituire le persone alle quali abbiamo voluto bene. Non mi sarei mai sognato di chiamare Sirius papà, forse perché l’ho conosciuto tardi, ma… Senti, io non potrei mai fare a meno di te, di Jamie, di Al o di Lily. Siete unici e fantastici così come siete. Non siete interscambiabili; allo stesso modo io non posso sostituire tuo padre… sono semplicemente Harry e provò con tutte le mie forze ogni giorno a rendere felici i miei figli, tutti e quattro… e non mi riesce granché bene, ieri sera Jamie mi ha detto che è offeso con me perché non gioco più con lui…».
Teddy arrossì e tirò su con il naso. «Anch’io l’ho pensato» confessò vergognandosene. Si divincolò e questa volta Harry lo lasciò andare.
«Mi dispiace» replicò Harry. «Ieri sera ho giocato con Jamie e oggi, appena mi ha chiamato Andromeda, mi sono preso il pomeriggio libero. Te l’ho detto, cerco di fare del mio meglio».
«Il pomeriggio libero, davvero?». Gli occhi di Teddy si illuminarono e finalmente incontrarono quelli del padrino.
«Già, un pomeriggio tutto per noi. Se per te va bene, poi potremmo cenare da me, sennò Jamie chi lo sente? E, lo sai, che Al si rifiuta di mangiare se non ci sono io».
«Avevo promesso a Jamie di raccontargli la biografia di quel giocatore di Quidditch che mi ha voluto regalare».
«L’hai letto davvero?» chiese Harry stupito. «A te non interessa il Quidditch».
«Ho letto abbastanza da poter raccontare qualcosa a Jamie. Quando fa l’offeso è insopportabile. A te non le tira le caccabombe».
«Guai a lui se si permette» borbottò Harry in risposta, per poi sorridergli. «Allora il programma ti va bene?».
«Sì, ma la nonna sarà furiosa» disse Teddy, terrorizzato al pensiero.
«Oh, lo è eccome. Me ne occupo io, però». Teddy s’incupì nuovamente. «Che c’è ora?».
«Se lo avesse fatto Jamie? Non saresti così accondiscendente, ne sono sicuro. Hai detto che è come se fossi mio padre, allora comportati come tale e non come un fratello maggiore!». Teddy sapeva di star andando contro i suoi stessi interessi, ma era troppo importante per lui.
Harry, preso nuovamente in contropiede, boccheggiò, ma alla fine disse: «Se ti ricordi lo stavo facendo prima. Mi hai accusato tu stesso. Come vedi, è tutto un fraintendimento. Jamie, da quando ha imparato a camminare, lancia caccabombe addosso a chiunque non gli stia simpatico o non fa quello che vuole lui; tu non hai mai fatto una cosa del genere. Se non ti rimprovero spesso è perché non ne sento la necessità».
«Scusa» mormorò Teddy sinceramente e questa volta fu lui ad abbracciare il padrino. «Ti voglio bene».
«Anch’io» sussurrò Harry.
«So di essermi comportato male, ma ti prego parla con la nonna, come minimo mi stacca la testa» lo supplicò improvvisamente spaventato all’idea. «Ho realmente perso la cognizione del tempo e ho lasciato anche l’orologio a casa».
«La prossima volta fai più attenzione» lo ammonì Harry. «Parlerò io con la nonna, fidati di me».
Teddy annuì, ripromettendosi di non mettere mai più in dubbio l’affetto del suo padrino. Il padre di Diana poteva anche essere un medico bravissimo e quello di Laurence simpatico e un campione ai videogiochi, ma nessuno di loro aveva sconfitto un mago cattivissimo a diciassette anni e non aveva la minima voglia di vantarsene. «Certo che mi fido. Ti prometto che mi comporterò bene d’ora in avanti».
«Ci mancherebbe pure» commentò Harry divertito. «Avanti, muoviamoci o Andromeda se la prenderà anche con me».
 
 
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Alcune bambine saltavano con dei cerchi colorati ed erano veramente brave, lei non ci sarebbe mai riuscita; altre giocavano con una palla, ma a differenza dei bambini lì vicino la toccavano solo con le mani e mai con i piedi.
Avrebbe tanto voluto giocare con loro. Sì stavano divertendo tanto! Non poteva sentirle strillare a causa degli incantesimi che proteggevano la villa, ma più di una volta li aveva sentiti ridere e gridare dal giardino. Miss Shafiq, però, riteneva che quei bambini fossero ‘volgari’ e ‘maleducati’. A lei non pareva proprio.
Sospirò, chiedendosi se le avessero permesso di giocare con loro. Oh, quante volte l’aveva immaginato!
Fissò l’orologio a forma di snaso appeso alla sinistra della scrivania: segnava le tre meno cinque. Alle tre e mezza avrebbe dovuto raggiungere miss Shafiq in salone per la lezione di pianoforte. Lezione di cui avrebbe fatto decisamente a meno.
Un’idea iniziò a farsi strada nella sua mente. E se fosse uscita di nascosto e avesse chiesto a quei bambini di giocare con loro? Miss Shafiq a quell’ora riposava sempre nella camera degli ospiti e non si sarebbe accorta di nulla.
Tremò al solo pensiero. Era un comportamento sbagliato, di questo ne era certa. Nessuno le aveva mai esplicitamente vietato di giocare con i bambini, ma suo zio le aveva sempre detto di non allontanarsi da sola e senza permesso. Ma sarebbe uscita soltanto fuori nella strada, non poteva essere considerato come ‘allontanarsi’. Inoltre vedeva perfettamente i bambini dalla sua cameretta, perciò sarebbe stata visibilissima.
Si mordicchiò il labbro nervosamente e guardò nuovamente l’orario. Erano quasi le tre, se doveva farlo, doveva farlo subito, quando miss Shafiq si sarebbe alzata sarebbe stato troppo tardi.
Con il cuore in gola, abbandonò il davanzale della finestra a cui era stata appoggiata fino a quel momento e corse all’armadio. Trovò immediatamente la salopette che cercava e si sbrigò a cambiarsi. Per quanto miss Shafiq trovasse carino ed elegante il vestitino lilla che era stata costretta a indossare, perché ‘si confaceva a una signorina’ – parole di miss Shafiq stessa -, di certo non era adatto per la sua impresa.
Prima di lasciare la stanza, diede una rapida occhiata fuori dalla finestra e si assicurò che gli altri bambini stessero ancora giocando. Sarebbe stata un’enorme delusione in caso contrario!
Chiuse silenziosamente la porta alle sue spalle e si avviò verso le ampie scale di marmo che conducevano all’ingresso, qui si fermò un attimo per essere sicura che fosse libero e non la vedessero gli elfi domestici. Il cuore le batteva forte e sembrava volerle sfuggire dal petto, mentre attraversava il vasto giardino. Si nascose all’ombra degli alberi per paura che miss Shafiq la scorgesse dall’alto. Aumentò il passo e per poco non si mise a correre per raggiungere il cancello. Fortunatamente non aveva bisogno di scavalcarlo – non sarebbe mai stata tanto agile e in più non vi erano appigli sicuri -, l’incantesimo di cui era dotato riconosceva all’istante i membri della famiglia, perciò le fu sufficiente poggiare il palmo della mano sulla serratura e il cancello si aprì lentamente, ma senza il minimo cigolio.
Le grida felici dei ragazzini del villaggio la raggiunsero all’istante ed ella si sentì euforica, correndo fuori dalla proprietà senza porsi più alcun problema.
Ecco era lì a pochi metri dai suoi coetanei, come aveva desiderato un milione di volte, ma si fermò non sapendo che cosa fare esattamente. Li fissò incerta, conscia che a quel punto non le rimaneva che avvicinarsi e chieder loro di poter giocare. Dopotutto la parte più difficile avrebbe dovuto essere uscire dalla villa senza essere vista! Eppure non ne era più così sicura.
«Ehi, ci passi la palla?».
Sobbalzò, rendendosi conto che un ragazzino dai capelli biondo cenere si stava rivolgendo proprio a lei. Anzi, per essere precisi, ora la stavano fissando tutti.
Automaticamente abbassò gli occhi per l’imbarazzo e si accorse che la palla di cuoio con cui giocavano i maschi era rotolata vicino al cancello.
«Ma tu sei uscita dalla villa?» le chiese un altro ragazzino con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
«Io pensavo che non ci abitasse nessuno» commentò un altro.
«Ma no, te l’ho detto un sacco di volte! I miei mi hanno detto che ci abita un uomo di mezz’età da solo e ogni giorno lo va a trovare una signora, forse la donna delle pulizie» intervenne con tono saccente una ragazzina.
Chi era la donna delle pulizie? Una sola donna frequentava quotidianamente la villa ed era miss Shafiq. Il pensiero che l’avessero scambiata con la donna delle pulizie la fece scoppiare a ridere.
«Che hai da ridere?» le domandò il secondo ragazzino.
«Quella è la mia istitutrice, non la donna delle pulizie!» spiegò ella divertita.
«Come ti chiami?» le chiese un ragazzo più grande, seduto su una panchina, fino a poco prima intento a leggere un libro.
«Charis Williamson» rispose prontamente la ragazzina.  A sorpresa gli altri ragazzini si presentarono a loro volta.
«Allora, ce la passi la palla?» chiese Karl Harris.
«Oh, certo» mormorò Charis e fece per prenderla da terra.
«No, con un calcio» le disse Henry Braians.
«Con un calcio?» replicò perplessa la ragazzina. All’assenso dei ragazzi, obbedì. Decisamente impresse più forza del necessario al pallone ed esso schizzò –i ragazzini tentarono invano di fermarla – dritta addosso al più grande del gruppo che si era rimesso a leggere.
«Scusa» strillò Charis coprendosi la bocca con le mani e correndo da lui. Il libro gli era volato dalle mani, così come gli occhiali. «Non volevo, non ho mai preso a calci un pallone».
Qualcuno rise a quell’affermazione, mentre Shawn si limitò a tirar loro la palla e recuperare gli occhiali.
«Sono rotti, mi dispiace» insisté Charis torcendosi le mani.
«Colpa mia, i miei mi hanno detto un miliardo di volte di non mettermi a leggere dove giocano. Non è la prima volta che si rompono» sospirò il ragazzino.
«No, no è colpa mia. Sono proprio sbadata, miss Shafiq me lo dice spesso» mormorò Charis con le lacrime agli occhi.
«Ehi, Charis, vieni a giocare con noi?» la chiamò Alexis Green.
«Vai» la esortò Shawn.
«Ti devo ripagare gli occhiali. Il problema è che mio zio non sa che sono qui… io non volevo dirglielo, ma non ho i soldi…» esclamò sinceramente Charis.
«Sul serio, non ti preoccupare. Non c’è bisogno che lo dici a tuo zio. Mia madre li sistemerà in un batter d’occhio» replicò Shawn. «Vai a giocare con le ragazze».
Charis lo ringraziò e raggiunse le altre ragazze.
«Giochiamo insieme a pallavolo? Con te siamo in sei e possiamo fare due squadre» l’accolse Alexis.
«Come si gioca?» chiese Charis.
«Non sai giocare?» domandò stupita un’altra ragazzina.
Charis negò.
«E a scuola a che giocate? Cricket? O avete le squadre di calcio femminili?» domandò Alexis.
«Ma dove vai a scuola? Qui tutte giocano a pallavolo, perché non c’è spazio per altri sport. I maschi giocano in cortile» intervenne Eleanor Chase.
«Io ho studiato a casa con la mia istitutrice, miss Shafiq».
«Ah, ecco cos’è un’istitutrice. Una maestra!» commentò Alexis.
«Vabbè le regole te le spieghiamo noi» soggiunse Eleanor. «Sei nella mia squadra».
«Usiamo il recinto del giardino come rete» decise Alexis.
«Ma non è proprietà privata?» chiese Charis titubante.
«Ma no, è casa di Karl. I suoi lo sanno che giochiamo qui» rispose Eleanor gentilmente, mentre le altre ridevano.
I propositi di Charis di rientrare in tempo per la lezione di pianoforte erano stati dimenticati già da un po’ e la bambina continuò a giocare allegramente senza badare al trascorrere del tempo. Non poteva dire di aver compreso perfettamente tutte le regole di quel nuovo gioco, ma s’impegnò molto lanciandosi per non lasciare che la palla toccasse l’asfalto tanto che una volta si sbucciò anche un ginocchio, ma le altre erano piene di simili ‘ferite’ per cui ella si adeguò e ben presto se ne dimenticò.
Molto più tardi, un giovane, con una tuta beige, si avvicinò loro e li scrutò per qualche secondo, tanto che Henry e gli altri si bloccarono e gli chiesero, un po’ aggressivamente, chi fosse e cosa volesse dalle loro amiche. Quello sobbalzò e si scusò. «Sto cercando Charis Williamson. Sei tu?» chiese rivolto proprio a Charis.
«Che vuoi da lei?» domandò Karl.
«Suo zio la sta cercando» replicò il giovane, minimamente toccato dall’atteggiamento minaccioso dei ragazzini.
Charis sgranò gli occhi e, terrorizzata, si accorse che era lì da tempo: il sole era basso sull’orizzonte. E suo zio avrebbe dovuto essere a lavoro. Deglutì.
Il giovane le si avvicinò e batté due dita sulla targhetta che aveva sulla maglia: Squadra Speciale Magica. Charis si disse che probabilmente era l’unica a poter leggere la scritta. «Credo che tu abbia fatto prendere un bel colpo ai tuoi familiari. È meglio che saluti e rientri con me».
La ragazzina arrossì violentemente e annuì, percependo le lacrime premere per uscire. «Ciao» sussurrò alle ragazze. «Grazie per avermi fatto giocare con voi».
«Vieni domani?» le domandò Eleanor.
«Non credo» mormorò, per poi salutare anche i ragazzi, ma quando cercò Shawn con gli occhi si accorse che era già andato via. Peccato, gli era parso così cortese e carino!
Charis seguì l’agente della Squadra Speciale Magica piangendo silenziosamente. In giardino il ragazzo le mise una mano sulla spalla: «Su, stai tranquilla. Tutti i bambini fanno certe sciocchezze. Anch’io quand’ero piccolo scappavo spesso e volentieri per giocare con i miei amici, talvolta ho saltato le lezioni a Hogwarts per bighellonare nel parco!».
«E i tuoi si arrabbiavano?».
«Oh, sì» rise il ragazzo, ma vedendo nuove lacrime sul viso della ragazzina, si affrettò ad aggiungere: «Vedrai alla fine i genitori perdonano sempre». Decisamente non era bravo a consolare e preferì tacere per non peggiorare la situazione, Charis gli fu comunque grata per averci provata.
«Oh, signorina, sta bene!» strillò un elfo attaccandosi alle sue gambe, appena varcarono la soglia della porta.
«Sì, Tammy» mormorò Charis, non volendo che l’elfo richiamasse l’attenzione di tutti all’ingresso. Non che avrebbe potuto evitare il momento a lungo.
«Dai, la devo accompagnare dal tuo padrone» borbottò l’agente.
L’elfo annuì e, dopo essersi inchinato tre volte, scomparve.
Charis seguì l’agente nel salone della villa. Su una poltrona giaceva miss Shafiq, che gemeva mentre un’elfa le faceva aria con un ampio ventaglio; suo zio andava avanti e indietro, ignorando un uomo particolarmente anziano che tentava di calmarlo.
«Signori». Il giovane agente della Squadra Speciale Magica attirò la loro attenzione.
«Charis!» gridò suo zio, correndo da lei e abbracciandola stretta. La ragazzina avrebbe voluto dirgli tante cose, ma scoppiò in lacrime e nascose la testa sulla sua spalla.
«Sta bene» tentò l’agente. «Era qui fuori a giocare con altri bambini».
«Che cosa?!» sbottò indignata miss Shafiq che, a quanto pareva, non stava veramente male.
«Te l’avevo detto, amico mio, che non era necessario preoccuparsi» intervenne il più anziano. «Io e Tennynson andiamo via».
«Ti ringrazio di essere venuto. Ho avuto così paura che ho pensato subito al peggio» disse lo zio, allungando la mano e stringendo quella del Capitano della Squadra Speciale Magica.
Charis si strinse allo zio e non fece caso ai convenevoli con gli agenti, ma non poté non sentire miss Shafiq quando si rivolse allo zio in tono furioso: «Spero, signor Williamson, che provvederà a punire severamente la bambina».
«Non si preoccupi, miss Shafiq, come le ho ripetutamente assicurato so come educare mia nipote».
«E come le ho ripetutamente fatto notare che, a mio modesto ma esperto parere, lei non è sufficientemente preparato per allevare una signorina e sta commettendo dei clamorosi errori».
«Non ne dubito» assentì l’uomo, accarezzando la testa di Charis. «Sapevo che ne avrei commessi parecchi fin dal primo momento in cui mi è stata affidata, ma spero che, quando sarà grande, mi perdonerà. Oggi si è spaventata molto anche lei, ritengo che sia meglio che torni a casa. Ci vediamo lunedì».
«Ma oggi è soltanto giovedì, signor Williamson».
«Prenderò un paio di giorni al lavoro, non si preoccupi. Ci vediamo lunedì».
Miss Shafiq non sembrò contenta del brusco congedo e si ritirò rigidamente.
Lo zio prese in braccio Charis e la ragazzina mise le braccia intorno al suo collo, ma non ruppe il silenzio. L’uomo l’appoggiò sulla scrivania del suo studio e la fissò turbato. «Ma che ti è saltato in mente oggi?».
Charis gli raccontò del suo desiderio di giocare con gli altri bambini e della decisione di approfittare del pisolino dell’istitutrice; gli descrisse le regole della pallavolo, gli disse dell’incidente con Shawn e di quanto fossero simpatici quei ragazzini. «Quelli che mi piacciono di più, però, sono Shawn ed Eleanor» concluse lanciandogli un’occhiata afflitta. «Mi dispiace averti fatto arrabbiare».
«Non sono arrabbiato» sospirò lo zio. «Mi sono spaventato da morire quando miss Shafiq mi ha chiamato e mi ha detto che eri sparita. Fortunatamente il Capitano Potter mi ha subito dato il permesso di venire».
«Non lo faccio più, zio Adam, promesso» mormorò Charis con nuove lacrime.
«Ma perché non mi hai detto che volevi andare a giocare con i ragazzini del villaggio?».
Charis si strinse nelle spalle. «Pensavo che non mi avresti dato il permesso. So di aver sbagliato oggi. Mi punirai severamente come ha ti ha detto miss Shafiq?».
L’uomo sospirò e si passò una mano tra i capelli, legati come sempre in una coda. «Domani scriverò a miss Shafiq e le dirò che per il resto delle vacanze deciderai tu come gestire il tuo tempo, puoi andare a giocare anche con i ragazzini babbani».
«Davvero?» chiese incredula Charis. Cioè conosceva la bontà dello zio, che tentava di accontentarla ogni qual volta ne avesse la possibilità, ma questa volta si aspettava che si sarebbe arrabbiato terribilmente.
«Già» confermò Adam Williamson scorrendo la posta arrivata quel giorno e tirando fuori dal blocco una busta giallastra. «È arrivata la lettera di Hogwarts, signorina». Charis la prese e l’aprì senza proferir parola. «Non dici nulla?» la esortò lo zio. «Vedrai, lì troverai moltissimi ragazzi della tua età con cui fare amicizia».
«Sarà bello» concordò la ragazzina.
«Senti, signorina, ricordati che quello che è accaduto oggi non deve replicarsi, è chiaro? O ti assicuro che non la passerai liscia». Charis annuì e gli lanciò le braccia al collo. «Ti voglio bene zio Adam».
«Anch’io» mormorò Adam, scoccandole un bacio sulla testa. Non sarebbe mai riuscito a essere severo con lei! Poteva parlare quanto voleva la Shafiq accusandolo di viziarla, ma Charis era una bambina dolcissima, sensibile e tranquilla e, per avere solo undici anni, aveva perso già troppo.

 
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Era pomeriggio inoltrato di una calda giornata di luglio e cinque ragazzine sedevano sotto il portico di una villetta, tre su un dondolo e due sui gradini.
«Il gelato di Brewers Lane è il migliore del mondo» dichiarò una di loro.
«Dovresti starci attenta, però. Tra qualche anno finirai per ingrassare come mia sorella» intervenne un’altra.
«Dai, lasciala in pace, Caroline» sbuffò una delle due stravaccate sui gradini.
«Oh, ma è vero» insisté Caroline.
«Mio padre è un nutrizionista, se dovesse accadere può andare da lui» esclamò un’altra.
«Samantha, per favore, devi sempre fare pubblicità a tuo padre?» chiese scocciata Caroline. «E poi Zoey non siamo tutte menefreghiste come te».
«Certo che gli faccio pubblicità. È con i suoi soldi che mi compro i vestiti firmati» commentò Samantha alzando gli occhi al cielo.
«Io da grande farò la stilista e farò vestiti adatti anche per le più grassottelle» dichiarò la ragazzina sui gradini vicino a Zoey.
«Dalila, lo sappiamo che sei dolce» sospirò la più minuta del gruppo.
«Certo, Chris. Non lo fa perché ci sono più grassi che magri e ci guadagna di più» ironizzò Caroline. Le ragazzine scoppiarono a ridere.
Zoey sorrise a quei discorsi sconclusionati, pensando al primo anno di scuola quando Dalila, Caroline e lei non facevano che litigare. Ora erano un gruppo inseparabile e adorava trascorrere il suo tempo con loro. A settembre sarebbero andate tutte e cinque alla scuola media migliore di Richmond, sebbene avessero dovuto faticare per mesi per convincere suo padre e quello di Chris che avrebbero preferito mandarle in una scuola di Londra che riteneva di gran lunga migliore.
«Buonasera».
Le ragazzine sobbalzarono alla vista di un uomo sulla trentina e a Caroline scappò una risatina, Samantha le diede una gomitata. Zoey si mise a sedere in modo più composto, poiché non l’aveva mai visto, ma accadeva che il padre incontrasse i clienti a casa e si arrabbiava parecchio quando ella si comportava – a parere suo, s’intende – in modo maleducato, perciò si obbligò a rispondere: «Buonasera. Cerca mio padre?».
«Tu sei Zoey Turner?».
«Sì, signore, sono io».
L’uomo le sorrise e le porse la mano. «Mi chiamo Neville Paciock e sono un professore. In effetti sono venuto a parlare con i tuoi genitori, sono in casa?».
Zoey boccheggiò un attimo per la sorpresa, poi si costrinse a rispondere educatamente – se era nei guai, non era il caso di peggiorare la situazione -: «Sì, signore, mia madre è in casa. Mio padre rientrerà senz’altro a breve. Vuole accomodarsi?».
«Sì, grazie».
La ragazzina fece segnò alle amiche di aspettarla fuori, infatti, appena accompagnò l’uomo dalla madre, corse subito da loro.
«Un professore? Ma che hai combinato ancora prima che inizi la scuola?» sbottò incredula Chris.
«Forse quelli della scuola media hanno visto il tuo profilo» ipotizzò Samantha.
«Già, forse ti sei messa troppe volte nei guai per una scuola di élite come quella di Richmond» soggiunse Dalila.
«Non ho fatto nulla!» sbuffò Zoey. «Comunque mia mamma ha detto che devo tornare dentro. Vi chiamo dopo cena e vi faccio sapere, ok?».
«Mi raccomando non ti dimenticare» le gridò Caroline, proprio mentre chiudeva la porta di casa.
Sua madre aveva fatto accomodare il professor Paciock in salotto e lì li raggiunse.
«Oh, ecco Zoey» mormorò nervosamente sua madre. La ragazzina la squadrò, ma non le apparve arrabbiata. D’altronde che avrebbe mai potuto aver combinato se la scuola non era ancora iniziata? «Siediti, io vado a prendere il thè» le disse la madre.
Zoey obbedì e diede un’occhiata di sfuggita all’insegnante. Chi cavolo era?
«Allora, Zoey stai trascorrendo buone vacanze?».
«Sì, grazie, signore» rispose ella laconicamente. Comprendeva perfettamente che quello era stato solo un tentativo di rompere il ghiaccio, ma non era intenzionata a sbottonarsi troppo senza prima sapere chi aveva realmente di fronte. «Allora, dove insegna?» replicò.
«Oh». Per un attimo l’uomo apparve impacciato per la domanda a quanto pare inaspettata. «In una scuola scozzese».
«Scozzese?» ripeté stolidamente Zoey. Che cosa voleva un professore scozzese da lei?
«Sì, la scuola dove insegno si trova in Scozia» confermò il professore nervosamente.
«Ecco il thè» annunciò sua madre, rientrando nel salone con una vassoio in mano. «Vuole zucchero, professore? Latte?».
«Solo un po’ di zucchero, grazie, signora. Oh, non si preoccupi tanto».
In quell’istante si sentì il rumore di una serratura e dei passi nell’ingresso.
«Sono a casa» disse una voce maschile.
«Oh, è arrivato mio marito. Mi scusi un momento, professore» disse la donna e si allontanò.
«Che cosa c’entro io con una scuola scozzese? I miei mi hanno già iscritto alla Richmond Middle School. Insieme alle mie amiche». Era meglio mettere le mani avanti: aveva litigato per settimane con suo padre che voleva mandarla alla Lady Margaret School di Londra e l’apparizione improvvisa di questo professore le puzzava d’inganno.
«Capisco, ma è meglio parlarne quando arrivano i tuoi genitori» rispose l’insegnante sorseggiando il thè senza molta convinzione.
«Buonasera». Zoey sbuffò all’ingresso del padre: non avrebbe potuto torchiare l’uomo da sola!
Il professore si alzò e strinse la mano dell’altro.
«È un piacere conoscerla, signor Turner. Come sua moglie le avrà senz’altro accennato, mi chiamo Neville Paciock e sono un professore».
«Sì, sì mi ha accennato, ma, sinceramente, siamo entrambi sorpresi dalla sua visita. Mia moglie mi ha anche detto che lei non è un insegnante della Richmond Middle School, alla quale abbiamo iscritto nostra figlia. Non comprendo come potremmo esserle utili».
Bene, almeno suo padre era andato dritto al punto.
«Vedete, la scuola dove insegno accoglie studenti con determinate qualità…».
«Oh, non me lo dica! Ho capito tutto! È stata quella stupida di Paula Porter, la preside della Richmond Primary School. Guardi, non le faccio perdere ulteriore tempo, mia figlia è vivace, molto vivace se proprio vuole, ma andrà in una scuola normale e imparerà a controllarsi» sbottò la signora Turner interrompendolo.
«Ehm, no signora, veramente non conosco la signora Porter. Sono qui per conto soltanto della mia Scuola» spiegò Neville Paciock.
«Mi scusi» intervenne il signor Turner, «noi non abbiamo fatto alcuna richiesta, se permette, questa situazione è molto strana».
«Me ne rendo conto, ma sono qui per spiegarvi». Paciock si passò una mano sulla fronte sudata. A Zoey non sembrava una gran minaccia. «Come ho detto poco fa, Hogwarts, la mia Scuola, ammette solamente studenti con determinate qualità. Ora, vi prego di essere sinceri, sono mai capitati eventi strani intorno a Zoey? Non so, qualcosa che non siete riusciti a spiegarvi razionalmente?».
«Che sta dicendo?» brontolò il signor Turner infastidito.
Il cervello di Zoey, però, era scattato a quelle parole e diversi ricordi le erano tornati alla mente. «La sua ‘scuola’ sarebbe un laboratorio che usa cavie umane?». Quella vecchia paura di essere considerata ‘strana’ dai suoi amici le fece battere il cuore.
«Zoey, va’ in camera tua. Ci parliamo noi con il signore» sbottò suo padre imperioso.
La ragazzina, però, non aveva alcuna intenzione di dargli retta. Erano anni che si chiedeva come riusciva a compiere quelle che lei definiva le sue piccole ‘imprese’ – far diventare verde vomito i capelli di Patricia Stanford, perché l’aveva fatta arrabbiare o quando aveva fatto inciampare quel secchione di Eustace Easton in una pozzanghera – e adesso sentiva di essere vicina alla soluzione.
«No. Hogwarts è una Scuola. Dalla tua reazione, direi che non mi sono sbagliato» insisté Neville Paciock, questa volta sicuro di sè. Le sorrise incoraggiante.
«Zoey, ho detto vai in camera tua!» ordinò suo padre a denti stretti.
Col cavolo, avrebbe avuto le sue risposte! «E se è una scuola, che cosa si fa?».
«Ti verrà insegnato a usare i tuoi poteri».
«Basta così! Sono tutte baggianate, esca da casa mia. L’avverto, chiamo la polizia» minacciò il signor Turner.
«No, fermi tutti!» gridò Zoey. «Ve l’ho sempre detto che so fare delle cose e voi non mi avete dato mai retta!».
«Ma che diavolo dici?» sbottò sua madre.
«Ecco, state a vedere». Tentò di raccogliere la sua rabbia al pensiero che ancora una volta i suoi volevano far passare le sue capacità come fantasie infantili, in tal modo avrebbe dovuto tentare di nasconderle a tutti gli altri e far finta di nulla. Aprì gli occhi che aveva chiuso per concentrarsi e gli puntò su uno dei vasi ornamentali del salone. Quello scoppiò. «Sì, l’ho sempre odiato!».
«Era una dioscorea elephantipes! E tu l’hai fatta saltare in aria!» sbottò Neville Paciock.
«Era una pianta orribile, faceva dei fiorellini minuscoli» ribatté Zoey.
«Era una pianta rara!» sibilò palesemente oltraggiato il professore.
«E anche costosa» sbuffò il signor Turner.
«L’ho fatta scoppiare io» dichiarò Zoey esultante.
«Lei ci sta dicendo che dovremmo mandare nostra figlia in una scuola nella quale le verrà insegnato a far esplodere vasi cinesi costosi e piante altrettanto rare?» chiese con voce acuta e leggermente isterica la signora Turner.
«Assolutamente no» ribatté Neville. «Le verrà insegnato a curare e a rispettare le piante, questo glielo posso assicurare visto che insegno Erbologia». E qui incenerì la ragazzina, che gli rivolse uno sguardo colpevole. «Comunque a Hogwarts imparerà a controllare i suoi poteri. Se volete, posso darvi una dimostrazione di magia».
«Sììì» strillò Zoey prima che i suoi genitori potessero dire alcunché.
Neville Paciock estrasse la bacchetta e la puntò sui resti del vaso. «Reparo».
«Oh». Il vaso era tornato perfettamente integro. «Me lo insegna?» chiese Zoey eccitata. Quella roba l’avrebbe salvata da un sacco di guai.
«Non è il momento, ma lo imparerai se verrai a Hogwarts. Questa è la tua lettera di ammissione».
Zoey prese la busta giallastra e si sorprese che fosse fatta di pergamena e non di carta. I suoi genitori, trasecolati, si era seduti sul divano vicino a lei.
«Capisco che abbiate già programmato il futuro scolastico di Zoey, ma credo che dobbiate riflettervi seriamente di nuovo. I poteri magici cresceranno con lei ed è fondamentale che impari a controllarli. È una strega, da quello che ho visto abbastanza potente, per cui ha bisogno di essere seguita».
«Ho un sacco di domande» dichiarò Zoey dopo aver letto la lettera e averla passata ai suoi genitori.
«Va bene, tenterò di essere esauriente» rispose Neville Paciock, visibilmente più tranquillo dopo aver mollato la bomba.
«Che cosa significa ‘posta via gufo’?».
«È il metodo di distribuzione postale dei maghi. Usiamo veramente i gufi, ma non ti preoccupare di questo, darò io la risposta alla professoressa McGranitt».
«E davvero qualcuno vorrebbe un rospo come animale domestico, sono nauseanti!».
«Io ne avevo uno di nome Oscar».
«Oh, ehm scusi» borbottò Zoey. Possibile che non ne dicesse una giusta? E aveva fatto esplodere la pianta e lui era il professore di Erbologia, ci mancava solo il rospo!
«Scusi… io… sono un po’ confuso…» borbottò il signor Turner fissando nervosamente il bastoncino nelle mani dell’insegnante.
«Ha ragione, mi scusi lei». Neville rimise la bacchetta in tasca e si alzò. «Se per voi va bene, tornerò il secondo sabato di agosto e vi accompagnerò a Diagon Alley, l’unico posto di Londra nel quale Zoey potrà trovare tutto quello che le serve per la Scuola».
«Aspetti, ma possono venire anche le miei amiche. Sono ricche, non si preoccupi, possono benissimo pagare la retta» lo fermò Zoey.
«Hogwarts non è a pagamento. Le famiglie si devono far carico della divisa, dei libri e di tutto il materiale necessario» spiegò Neville Paciock.
«Quindi le miei amiche potranno venire?» insisté Zoey.
«Hogwarts ammette maghi e streghe dagli undici ai diciassette anni» rispose pazientemente il professore.
«Le mie amiche sanno essere delle vere streghe».
«Ma hanno o non hanno i tuoi stessi poteri?».
«Io… io sono sicura di sì…» mormorò testardamente Zoey.
«Sono di questo quartiere?».
«Sì, andrà anche a casa loro?».
«Temo di no, mi è stata assegnata la zona di Londra e a Richmond sei l’unica streghetta di undici anni».
«Ma io non posso venire a Hogwarts senza di loro».
«Temo proprio che dovrai farlo, ma sono sicuro che ti farai tanti nuovi amici» sospirò Neville Paciock, poi si congedò.
 
 
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«Enan, per favore, vai a chiamare tuo zio giù al villaggio. La cena è quasi pronta».
«Sì, nonna» replicò Enan intento a togliersi gli stivali, seduto sul gradino della porta di casa.
«Ecco le tue scarpe».
«Grazie» disse il ragazzino, indossandole rapidamente.
«Mi raccomando, non perdere tempo. Sai che tuo nonno odia i ritardatari».
Enan le sorrise e le promise di fare in fretta. Era un ragazzino di undici anni, dai folti capelli neri e con una corporatura robusta grazie ai lavori quotidiani che compiva nella riserva e la sua pelle era ben colorita proprio per la sua tendenza a trascorrere molto tempo all’aria aperta.
Corse lungo il sentiero che dalla fattoria conduceva a Craighouse, il villaggio principale dell’isola di Jura sulla quale viveva con la sua famiglia.  Fortunatamente non era molto distante perché egli era già abbastanza stanco dalla giornata appena trascorsa.
Suo zio, Alistair Macfusty, aveva uno studio medico – o almeno era così che lo chiamavano i Babbani -, in cui esercitava la sua professione di medimago. Naturalmente, a un certo orario avrebbe dovuto chiudere la sera, ma si attardava sempre vuoi perché gli abitanti del villaggio lo cercavano o lo intrattenevano chiacchierando, vuoi per concludere una ricerca o qualcosa di simile. Per lo più lavorava da solo, con l’unica eccezione della moglie, Selene, che solitamente gli faceva da segretaria, ma in quel periodo era incinta per cui rimaneva a casa a riposarsi. Ora che erano in vacanza, però, gli dava una mano Blair, cugino di Enan, che non amava minimamente i lavori pesanti della fattoria, perciò ogni scusa era buona per defilarsi. Soprattutto, Blair non amava le creature magiche e la famiglia Ma cfusty si occupava di draghi da generazioni. Blair era stato smistato a Corvonero e negli ultimi due anni aveva conseguito voti molto alti in tutte le discipline, roba, come diceva sempre nonno Donel, non si vedeva da quando andava a Scuola Alistair. Per questo motivo il nonno, nonostante lo zio Iagan, il padre di Blair, non approvasse, sollevava lo studioso nipote da ogni incarico perché potesse leggere e studiare tranquillamente, assolutamente convinto che questi avrebbe fatto strada se gliene avessero dato l’opportunità.
Enan giunse allo studio, che poi altro non era che una capanna in legno di due stanze, proprio mentre usciva un vecchietto. Salutò educatamente ed entrò nel piccolo ingresso che fungeva da sala d’attesa, sentì delle voci sommesse e raggiunse zio e cugino nell’altra stanza.
«Ciao» esordì attirando l’attenzione su di sé. Lo zio stava mettendo in ordine e Blair osservava concentrato un microscopio babbano. Enan si accigliò leggermente, perché lo zio non gli aveva mai permesso di giocarci.
«Ciao, Enan» lo salutò zio Alistair. Blair mosse leggermente la mano, ma non alzò il capo. «Ti ha mandato nonna?».
«Sì, ha detto che la cena è quasi pronta».
«Ottimo, sbrighiamoci Blair, tuo nonno odia che si arrivi in ritardo ai pasti» commentò zio Alistair riempiendo la borsa, nella quale teneva tutto il necessario per il pronto soccorso.
«Sì, ma mi devi spiegare come si distinguono i diversi tipi di tessuto» ribatté il ragazzino più grande.
Enan si avvicinò curioso. «Posso guardare anch’io?».
Blair sbuffò ma si spostò. «Devi mettere l’occhio qui». Enan obbedì ma vide tutto molto sfocato. «Cosa dovrei vedere? Non vedo nulla» si lamentò.
«Blair l’ha regolato in base alla sua vista» spiegò pazientemente Alistair. «Adesso andiamo o nonno si arrabbia».
I due ragazzini a malincuore lo seguirono fuori dallo studio e attesero che chiudesse la porta a chiave.
«Mi è arrivata la lettera di Hogwarts» annunciò Enan, tutto contento, mentre si avviavano.
«Complimenti» gli disse sinceramente lo zio.
«Magnifico! Ora potremmo andare a Diagon Alley» strillò felice Blair.
«Shhh, abbassa la voce» lo richiamò Alistair. «Vuoi farti sentire dai Babbani?».
«Tanto mica capiscono» si difese Blair.
«Ti aiuto a portare la borsa?» si offrì, invece, Enan.
«No, sei sfinito, te lo leggo in faccia. Non poteva venire una delle ragazze a chiamarci?».
«A me fa piacere» replicò Enan stringendosi nelle spalle. Ed era vero anche se non vedeva l’ora di arrivare a casa.
«Con chi andremo a Diagon Alley quest’anno?» domandò Blair.
«Non lo so. Io sicuramente non posso muovermi da qui. Ti darò la solita lista con quello che mi serve».
«Certo, tranquillo» replicò Blair, orgoglioso della fiducia dello zio.
«Va tutto bene da noi?» chiese Alistair a Enan.
«Tutto come al solito. Fagan e Donel hanno litigato e il nonno è furioso».
«Sono arrivati alle bacchette?».
«No, hanno combattuto alla babbana».
Alistair sbuffò: «Non si smentiscono mai. E dire che Evander vorrebbe trovare una moglie a Donel, ma è ancora così immaturo!».
Donel aveva diciotto anni e si era diplomato a Hogwarts un mese prima; era il più grande tra i ragazzi ma anche il più insopportabile. Non mancava mai di ricordare che Enan vivesse della bontà dei suoi zii e del nonno: se loro non l’avessero voluto, non avrebbe avuto nessuno.
Il ragazzino sospirò mestamente: la sera sorgevano pensieri tristi fin troppo facilmente. Scorse le luci della fattoria con piacere e corse, lasciando indietro Blair e lo zio: appena fu in cucina abbracciò la madre, che aveva appena finito di apparecchiare la tavola. Ella gli sorrise dolcemente e lo sollecitò ad andare a lavarsi le mani.
Per fortuna la casa era molto grande e non avrebbe mai contenuto tutta la famiglia Macfusty! I nonni avevano avuto ben otto figli, cinque maschi e tre femmine e ora abitavano tutti lì con le relative famiglie, a eccezione della zia Callen, trasferitasi a Londra dopo il matrimonio con Andrew MacGregor; la zia Lyla che viveva sull’isola di Skye; lo zio Akira, simpaticissimo a suo parere, che aveva deciso di continuare gli studi dopo Hogwarts e adesso lavorava come magiavvocato a Londra, dove viveva con la famiglia. Nonostante la loro assenza, comunque, la casa continuava a essere molto affollata.
«Ehi, bastardino, dai la precedenza» sibilò Donel Macfusty spingendolo e facendolo ruzzolare sul pavimento del bagno. Enan si vantava di essere molto più forte di tutti i coetanei che vivevano al villaggio, ma Donel, non solo aveva sette anni più di lui, ma era anche un energumeno, tutto muscoli e molto poco cervello.
«Lascialo in pace» intervenne Blair, che basso e magro com’era non era certo una gran minaccia, ma Enan gliene fu comunque grato e si rimise in piedi. «Nonno non vuole che lo chiami in quel modo».
«Sta zitto, quattr’occhi» lo redarguì Donel, per poi rivolgersi nuovamente a Enan, la sua vittima preferita. Il ragazzino tentò di difendersi, ma il più grande lo prese di peso e lo gettò nella vasca. «Puzzi da morire, permettimi di aiutarti».
Un getto d’acqua colpì violentemente il ragazzino impotente. All’improvviso, quando pensava che sarebbe affogato, il getto si fermò e poté riprendere a respirare.
«Zio, stavamo solo giocando» sentì Donel giustificarsi con qualcuno, ma il rumore sordo di uno schiaffo fece intuire a Enan che le scuse non erano servite a un bel nulla. Si strofinò gli occhi per focalizzare il mondo attorno a sé.
«Stai bene?» gli chiese Blair preoccupato, facendo capolino nel suo campo visivo. Vicino al Corvonero vi era lo zio Aiden che rimproverava Donel.
«Fila di là, stavolta tuo nonno ti ammazza» sibilò lo zio Aiden. «Vai anche tu Blair, sono tutti a tavola».
Blair lanciò un’ultima occhiata a Enan e obbedì. Quest’ultimo si rimise in piedi tutto gocciolante e con un poco di fatica uscì dalla vasca, rischiando di scivolare solo un paio di volte durante il processo.
«Ti asciugo con la magia» gli disse lo zio. Il ragazzino lo lasciò fare, senza guardarlo negli occhi.
La loro era una famiglia patriarcale di vecchio stampo, di quelle che forse non esistevano più e in casa funzionava tutto in modo gerarchico: il nonno comandava su tutti, persino sui figli ormai adulti – qualcuno diceva che lo zio Akira se ne fosse andato a Londra perché era uno spirito libero e non voleva alcuna intromissione nella sua vita -, ma non era un tiranno perché permetteva a figli e nipoti di intraprendere la strada desiderata, ma certamente non tollerava l’indisciplina e la mancanza di rispetto; generalmente toccava ai i figli educare i nipoti e il nonno interveniva solo in casi eccezionali; gli zii a loro volta potevano dare qualche scappellotto o schiaffo ai nipoti, se lo ritenevano opportuno e in assenza dei fratelli, solo per riportare l’ordine sul momento. Enan, però, era un caso straordinario: non aveva il padre, così tutti gli zii si sentivano in dovere di contribuire alla sua eduzione. E questo non era quasi mai divertente.
«Lavati le mani e andiamo a cenare» gli ordinò lo zio Aiden, appena fu completamente asciutto. «E dopo cena porta questi vestiti in lavanderia, sono sudici. La doccia te l’ha già fatta Donel».
Enan si affrettò a obbedire. «Nonno si arrabbierà anche con me?» chiese preoccupato.
«No, solo con Donel. Oggi ha superato se stesso» lo rassicurò Aiden, mentre uscivano dal bagno.
«Fagan?». Fagan era il figlio di zio Aiden ed era uno dei cugini preferiti di Enan.
«A letto senza cena. Gli avrò detto un milione di volte di non reagire alle provocazioni di Donel».
Enan non commentò, anche perché avevano raggiunto la sala da pranzo. Si scusò sommessamente per il ritardo, ma zio Aiden si chinò sul padre e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, probabilmente quello che era accaduto in bagno, vista l’occhiata che l’anziano rivolse al più grande dei nipoti, così il ragazzino poté scivolare nel posto accanto alla madre senza che nessuno gli dicesse nulla.
«Che è successo?» gli sussurrò la madre, dopo avergli riempito il piatto.
«Donel faceva il cretino» bofonchiò Enan, che non voleva farla preoccupare.
«Nonno ha deciso che verremo io e Aiden a Diagon Alley con voi ragazzi, sei contento?».
A Enan si illuminarono gli occhi: certo che era contento! Lanciò un’occhiata grata al nonno, che, intento a discutere con lo zio Evander non lo vide: l’aveva supplicato di farlo andare con la mamma e lui l’aveva accontentato!
La cena trascorse tranquillamente e chiassosa come sempre, visto che si avvicendavano tante voci in contemporanea. Appena il nonno diede loro il permesso di alzarsi, Enan, anziché andare nel salone, dove poteva giocare con i cugini fino all’ora di andare a letto, diede la buonanotte alla mamma e corse all’ultimo piano dove si trovava la sua camera, che condivideva con Blair, Fagan e Corey, il secondogenito di zio Alistair.
Come aveva immaginato, c’era soltanto Fagan, sdraiato sul letto e intento a sfogliare una rivista di Quidditch.
«Fagan» lo chiamò, avvicinandosi.
«Ehilà Enan» replicò il diciassettenne, senza alzare gli occhi dal giornale.
«Ti ho portato un panino» sussurrò il più piccolo in tono complice.
Fagan gettò la rivista sul materasso e gli regalò piena attenzione. Enan lo tirò fuori dalla tasca dove l’aveva nascosto dopo averlo avvolto nel suo fazzoletto.
«Sei un mito! Stavo morendo di fame!» trillò Fagan riconoscente.
Enan sorrise soddisfatto di essere stato d’aiuto al cugino.
«È con le olive! Il mio preferito» commentò Fagan dopo averlo addentato. «Amico, ti devo un favore enorme». Enan l’aveva scelto apposta e si sedette sul letto, sperando che il cugino rispondesse alle sue domande su Hogwarts, appena finito di mangiare. «Comunque, mi fa rabbia che Donel l’abbia passata liscia come al solito. Ha convinto zio Evander che è colpa mia e lui si è solo difeso. Ma quando mai? Spero che gli sia andata storta la cena!» sbottò il più grande dopo aver deglutito.
Enan scosse la testa e gli raccontò quello che gli aveva fatto in bagno.
«Meno male che l’ha beccato mio padre! Zio Evander sarebbe stato capace di prendersela con te. Quell’idiota, poteva affogarti! Spero che il nonno gliela faccia pagare!».
«Eccovi qua». Zio Alistair entrò all’improvviso e li fece saltare entrambi. Fagan provò a mettersi in bocca il resto del panino, ma era troppo grosso. «Se fossi in te, metterei bocconi più piccoli in bocca. Sono abbastanza stanco stasera, senza dover occuparmi anche di te che rischi il soffocamento» esclamò Alistair scuotendo la testa. «Enan, mi ha mandato tua mamma. Sei corso via e non ha potuto parlarti. Ti sei dimenticato di toglierti quei vestiti sporchi?».
«Oh, oh sì» mormorò il ragazzino in tono colpevole.
«Avevi troppo fretta di portare il cibo a tuo cugino?».
«Senti, zio…» cominciò Fagan.
«Non m’interessa» lo zittì Alistair. «Non sai neanche quante volte ho portato la cena di nascosto a tuo padre». Fagan sorrise e si rimise a mangiare, questa volta più in fretta, caso mai qualcun altro avesse deciso di invadere la privacy della loro camera. «Enan, non stare lì impalato» soggiunse Alistair schioccandogli le dita davanti. «Mettiti il pigiama, porterò io vestiti sporchi in lavanderia».
«Sul serio?» chiese sollevato il ragazzino. La lavanderia non era altro che un capannone attaccato alla cucina e per raggiungerlo avrebbe dovuto rifare nuovamente tutte le scale e si sentiva letteralmente sfinito.
«Sì, sbrigati. Aiden mi ha sfidato a una partita a carte e se non scendo penserà che ho paura di perdere».
I due ragazzi ridacchiarono. Enan si cambiò in fretta. «Grazie, zio».
«Di nulla. Buonanotte, ragazzi».
«Buonanotte, zio» replicarono i due.
«Stai sicuro che a Hogwarts non andremo a letto così presto» commentò Fagan, appena furono soli.
Enan si ricordò il suo proposito di interrogarlo. «Posso farti delle domande sulla Scuola?» chiese titubante.
«Sicuro, ma mettiti nel tuo letto, così, se ti addormenti, non c’è problema».
«Grazie, Fagan, sei il migliore!».
«Lo so, lo so, non c’è bisogno di ricordarmelo» scherzò il più grande.
 
 
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«Mark, portami una birra» urlò suo padre dal salotto.
Il ragazzino sospirò. «Arrivo» gridò in risposta. Finì di asciugare l’ultimo piatto e lo ripose nella credenza insieme agli altri. «Devo buttare fuori la spazzatura» gridò nuovamente.
«Sbrigati!».
Il ragazzino prese il sacco dell’immondizia, contento di poter prendere tempo, ma meno di dover uscire fuori: era una mite serata estiva, ma il loro non era un quartiere tranquillo e la notte lo inquietava particolarmente. Prese un bel respiro e uscì dalla porta della cucina. I lampioni della via non erano ancora stati aggiustati e la strada era deserta – il che era una fortuna -, così Mark si trascinò dietro il sacco fino al marciapiede e, con parecchia fatica, lo gettò nel contenitore.
Mark aveva undici anni, compiuti da poche settimane, ed era piccolo e mingherlino per la sua età. Vide una macchina avvicinarsi e si nascose dietro la staccionata del suo giardino. Accidenti! Aveva dimenticato lo scherzetto di sua sorella ed era uscito di casa senza coprirsi la testa. Se l’avesse visto il vicino, sarebbero stati guai! In quel momento aveva due bellissime orecchie d’asino, fin troppe realistiche per essere confuse con un paio finte.
Eh, già, Mark e la sua famiglia erano maghi, ma, vivendo in mezzo ai Babbani, dovevano stare ben attenti a non infrangere lo Statuto Internazionale di Sicurezza.
Attese che il vicino, dopo aver parcheggiato, entrasse in casa; solo dopo fece altrettanto. Suo padre sentì il rumore della porta che si chiudeva e lo chiamò: «Allora? Quanto ci metti?».
Il ragazzino sospirò e andò in salotto. «Mi sono dimenticato che Alexis mi ha trasfigurato le orecchie e mi sono dovuto nascondere quando è arrivato il signor Patterson» spiegò.
Il padre, come ogni sera, era stravaccato sulla poltrona di fronte alla televisione e si guardava una partita di rugby – sebbene non ne comprendesse neanche le regole base -, sul tavolino accanto a lui c’erano già tre bottiglie di birra vuote.
«Allora, questa birra?».
«Stamattina sono arrivate le lettere da Hogwarts» disse eludendo volutamente la domanda e porgendogli un foglio di pergamena spiegazzato.
«Lo so, tua sorella è stata nominata Capitano della squadra di Quidditch» replicò suo padre prendendo la pergamena e scorrendola rapidamente, per poi abbassare il volume della televisione. Ciò sorprese molto Mark, che, comunque, non lo reputò un buon segno. «Jay non è stato nominato Prefetto, ma non mi meraviglia». Il ragazzino non replicò, non ritenendo opportuno esprimere il proprio parere in merito: suo fratello era apatico e sembrava che l’unica cosa al mondo che lo interessasse fossero i videogames, in compagnia dei quali trascorreva ogni vacanza chiuso in camera e sembrava allergico persino ai libri di fiabe dei bambini nei quali vi erano più immagini che parole. «Dovresti prendere esempio da Alexis» continuò suo padre. Mark percepiva il suo sguardo addosso, ma tenne gli occhi fissi sulle sue vecchie scarpe da tennis. «Bada bene che non tollererò da parte tua lo stesso comportamento che hai tenuto alla scuola babbana. Mi vergognerei profondamente se ottenessi voti così scarsi a Hogwarts! Io sono stato Prefetto e Caposcuola!». Ancora una volta Mark tacque, ben intenzionato a non discutere con il padre. «Neanche la scuola estiva ti è servita a qualcosa! Tua sorella ha fatto proprio bene a farti crescere quelle orecchie da somaro». L’asprezza delle parole paterne ferì il ragazzino. Non riteneva di essere ignorante: aveva letto molti libri, sapeva leggere fluentemente e correttamente a differenza di molti suoi compagni di classe e di norma comprendeva quasi tutto quello che studiava. Il disastro alla scuola babbana dipendeva da svariate altre cause. «Riprenditi la tua lettera, non avevo alcun dubbio che saresti stato ammesso: sono anni che assisto all’incidenti causati dalla tua magia accidentale!» sbottò suo padre lanciandogli la pergamena, Mark l’afferrò al volo. «Proprio per questo mi aspetto il meglio da te. Sarai un Grifondoro magnifico e dopo la Scuola, entrerai al Ministero… Un posto di prima classe, non da quattro soldi!». Il tono di voce si era alzato gradualmente e Mark aveva sollevato gli occhi su di lui, spaventato: alle volte la birra lo rallegrava, ma quella era una serata no. Pensò alla birra nel frigorifero e una morsa gli strinse lo stomaco: aveva scelto un pessimo giorno per attuare il suo piano. «Non mi ripeterò sull’argomento: stai attento a come ti comporterai a Hogwarts, perché non la passerai liscia. È chiaro?».
«Sì, signore» rispose Mark atono. Come se l’avesse mai passata liscia! Ogni volta che Alexis era a casa trovava un modo di metterlo nei guai e di convincere loro padre a punirlo in qualche modo! Chissà se a Hogwarts avrebbe potuto evitarla? Certo che, se fosse stato smistato a Grifondoro, non sarebbe sfuggito dalle sue grinfie.
«Bene» brontolò suo padre. «Ora, dimmi, somaro che non sei altro, per avere una birra ti devo fare una richiesta scritta con il timbro del Ministero?».
«No, signore, vado subito a prenderla» mormorò affranto il ragazzino. Filò in cucina, ben deciso ad aprire una nuova confezione di birra: suo padre era troppo arrabbiato quella sera; ma, ahimè, quando aprì lo sportello si rese conto che erano rimaste solo tre bottiglie. Quelle modificate. Deglutì, consapevole di essersi messo in un mare di guai e non avendo la minima idea su come uscirne. Il cuore gli batteva all’impazzata. Che avrebbe dovuto fare? Tornare di là e confessare, sperando di essere perdonato? L’umore del padre non gli lasciava grandi speranze. Svuotare le bottiglie, buttarle e dire al padre che le birre erano finite e, a causa delle orecchie d’asino, non era potuto uscire a comprarle? Quella appariva la soluzione migliore: non avrebbe potuto prendersela con lui. Eppure non era bravo a mentire e questo avrebbe potuto fregarlo. Nonostante ciò, in quel modo erano maggiori le possibilità di cavarsela senza neanche una sgridata. Eppure una parte di lui gli suggeriva di andare avanti con il suo piano. Aveva agito in piena coscienza e credeva di essere nel giusto, sebbene suo padre non sarebbe mai stato d’accordo.
«Quanto ci metti, accidenti! Vediamo se mi devo alzare io!» gridò suo padre dalla sua postazione nel salotto.
Mark prese un bel respiro e decise che l’avrebbe fatto. Non l’avrebbe mica ammazzato per un paio di bottiglie di birre, no? E poi voleva il figlio Grifondoro? E lo avrebbe avuto!
«Eccomi!» annunciò dopo aver preso una bottiglia e gettato il tappo rovinato. Raggiunse suo padre, con gli occhi fissi sulla televisione, e gli porse la tanto agognata bevanda. «Tieni, te l’ho pure aperta».
L’uomo grugnì in risposta e si prese la birra.
«Buonanotte» gli augurò Mark, non desiderando essere presente quando suo padre avrebbe scoperto che cos’aveva combinato.
«Notte» borbottò quest’ultimo, intento a dedicarsi alla sua attività serale preferita: lo zapping.
Il ragazzino batté in ritirata velocemente e si chiuse nella sua camera. Il cuore batteva a mille, mentre si accucciava sul letto e tendeva le orecchie asinine per carpire ogni rumore proveniente dal salotto. Gli sembrò di sentire un’imprecazione e si chiese se avrebbe potuto funzionare fingere di dormire. Si strinse al cuscino, ben sapendo che suo padre sarebbe venuto a chiedergli spiegazioni a breve. Non ebbe neanche il coraggio di alzarsi e recuperare il romanzo che stava leggendo.
Non dovette attendere molto, che la porta della sua stanza si spalancò: «Che diavolo è questa storia?» strillò l’uomo, agitando la bottiglia di birra che gli aveva consegnato prima.
E se gli avesse detto che era un errore del produttore? No, la sua faccia in quel momento doveva essere terrorizzata e non gli avrebbe creduto; inoltre non era proprio il caso che il padre litigasse con i Babbani.
«Cosa?». Provò comunque a fare il finto tonto, ma dalla gola gli uscì uno squittio acuto, tutto tranne che credibile.
«C’è dell’acqua al posto della birra!» sibilò l’uomo, avvicinandosi e afferrandolo per una delle orecchie d’asino.
«No, mi fai male!» si lamentò, ma non ottenne alcun effetto.
«Dimmi la verità».
«Ho buttato la birra nel lavandino e ho riempito le ultime tre bottiglie d’acqua».
«E ti sembra uno scherzo divertente?! Le ho pagate quelle birre, non le ho trovate per strada!».
Mark piagnucolò perché l’orecchio iniziava a fargli veramente male, perciò non osò rispondergli che sarebbe stato meglio che non gli avesse spesi in quel modo i loro pochi soldi. Provò a rabbonirlo, spiegandogli perché l’aveva fatto: «Non è uno scherzo!» strillò. «Ho letto su un libro che l’alcool fa male, se bevuto in eccesso». E, per inciso, suo padre si scolava parecchi litri di birra a settimana e ogni tanto –anche troppo spesso – si concedeva del buon whisky incendiario, come diceva lui. «Non voglio che muori».
Suo padre mollò la presa, apparentemente sorpreso dalle sue parole. «Ma che accidenti dici?».
«Ti dico che è così, se non mi credi perché non lo chiedi a un medimago?» ribatté Mark, massaggiandosi l’orecchio.
Suo padre lo fulminò con lo sguardo. «Non prendo lezioni da un ragazzino!» tuonò. «Lo sai qual è il problema?». Il ragazzino non fiatò. «Leggi troppi libri!».
Mark lo fissò a bocca aperta, mentre s’impossessava del romanzo sulla scrivania. «No, è della biblioteca! Lo devo restituire! Se non lo faccio, non potrò più prenderne in prestito e dovrò pagare una multa! E se non la pago, non mi faranno più entrare!» gridò disperato, tentando di riprendersi il libro dalle mani del padre.
«Meglio! Non ci devi più andare! Dammi la tessera!» replicò suo padre urlando.
Il ragazzino sgranò gli occhi e scosse la testa: avrebbe potuto fargli quello che voleva, anche strappargli quelle ridicole orecchie da asino, ma la tessera della biblioteca non gliel’avrebbe mai consegnata.
«Dammela!» ordinò di nuovo l’uomo, ma vendendo la sua testardaggine chiamò: «Alexis, vieni qui!».
Sua sorella non si fece attendere: adorava troppo vederlo nei guai.
«Che c’è papà?» cinguettò tutta contenta.
«Usa la magia e vedi dove tuo fratello nasconde quella maledetta tessera della biblioteca».
«Oh, sì, stai tranquillo». Alexis, purtroppo maggiorenne e perfettamente capace di usare i suoi poteri, estrasse la bacchetta e con un ghigno pronunciò: «Accio tessera!».
«Nooo» gridò Mark scoppiando a piangere, mentre la carta plastificata volava fuori dalla sua tasca. Quella tessera era l’oggetto più prezioso che possedeva e, adesso, non l’avrebbe più rivista.
Sentì a malapena le parole di scherno di Alexis e quelle di rimprovero del padre. Quando loro uscirono dalla camera, si gettò sul letto sfogandosi, senza notare che non era solo: le urla avevano attirato suo fratello Jay.
«Guardami negli occhi» gli disse il ragazzo dopo averlo lasciato sfogare per un po’. Mark, stranito, obbedì.
Le immagini di una vasta biblioteca, piena di libri dall’aria antichissima, lo colpirono all’istante: era frequentata da molti ragazzi che indossavano la stessa veste nere, seduti nei vari tavoli intenti a studiare o bisbigliare tra loro.
Il contatto visivo s’interruppe improvvisamente proprio com’era iniziato e Mark fissò stupito il fratello, che non lo guardava più negli occhi.
«Poco più di un mese» gli disse Jay, avviandosi verso la porta. «Poco più di un mese e sarai a Hogwarts, dopodiché la biblioteca di Jaywick ti sembrerà ancora più squallida di quello che è. E nessuno ti potrà impedire di entrarci».
Il ragazzino per lo stupore aveva smesso di piangere.
«Tieni duro, eh» concluse Jay. «Notte».
«Notte» sussurrò Mark con voce roca e a malapena udibile.

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Capitolo 2
*** Diagon Alley ***


Capitolo secondo
 
Diagon Alley
 


Teddy era ben deciso a godersi quell’estate prima che tutto cambiasse. Sua nonna gli aveva detto di essere troppo melodrammatico, ma il ragazzino era convinto che iniziare Hogwarts avrebbe tracciato una linea netta con il passato: cominciare la propria istruzione magica era qualcosa di serio. I cugini più piccoli – nonna Molly, la mamma di Ginny, l’aveva praticamente adottato e lo trattava come tutti gli altri nipoti – lo invidiavano e lo bombardavano di domande. Da una parte ne era molto lusingato, dall’altra aveva una paura assurda: sarebbe stato lontano da casa per la prima volta nella sua vita e avrebbe dovuto dimostrare di essere all’altezza della fama dei suoi genitori. Comunque aveva deciso di non pensarci più fino al primo settembre e, appunto, godersi quanto rimaneva delle vacanze.
Trascorse un paio di settimane alla Tana giocando e cacciando gnomi con gli altri nel giardino; saltuariamente Harry o lo zio George, proprietario di un fantastico negozio di scherzi, Tiri Vispi Weasley, permettevano a lui, Victoire, di nove anni, e a Domi –Dominique sorella minore di Victoire – di usare le loro scope e svolazzare, sempre bassi per non essere visti dai Babbani, in uno spiazzo coperto da alberi alti.
Nonna Molly si premurò di cucinare tutti i suoi piatti preferiti e Teddy non si fece pregare mangiando triple porzioni di tutto. La nonna, chissà perché, pensava sempre che fossero troppo magri e non solo loro bambini, ma anche gli zii! Per questo spesso si beccava occhiatacce più o meno amorevoli dalle nuore.
Quell’estate tornò in Inghilterra anche Charlie Weasley, secondogenito di Molly e Arthur Weasley, insieme alla famiglia e la confusione alla Tana fu completa. Charlie, come a tutti gli altri nipoti, regalò a Teddy una scatola di legno sul cui coperchio era inciso un ungaro spinato. Il suo padrino si ritrovò, probabilmente per la milionesima volta – era la storia preferita da tutti i ragazzi – a raccontare della volta in cui era stato costretto ad affrontare proprio quel drago.
Come ogni anno il compleanno di Harry fu festeggiato alla Tana, che a Teddy parve ancora più piccola del solito a causa di tutti gli invitati, ma i festeggiamenti furono sconvolti dalla zia Fleur che decise di partorire proprio quel giorno e dalla nascita del piccolo Louis.
All’inizio di agosto Teddy andò al mare con Harry, Ginny e i piccoli James, Albus e Lily rispettivamente di quattro, tre e un anno. Si divertì molto.
Alla fine, però, il momento di tornare a casa sua giunse, ma tutto sommato Teddy ne fu contento: la nonna gli era mancata terribilmente e Vic e Domi erano partiti per la Francia, nonostante zio Bill fosse molto contrario visto che Louis era ancora troppo piccolo. Teddy mantenne il suo proposito di divertirsi e coinvolse Laurence, sempre pronto, e Diana che aveva sempre centinaia di domande da far loro su Hogwarts e sul mondo magico.
La terza settimana di agosto, però, avvenne quello che i tre aspettavano con ansia dal momento in cui avevano ricevuto la lettera di Hogwarts – probabilmente Teddy e Laurence anche da prima -: andare a Diagon Alley.
Harry e Ginny, dopo aver lasciato i figli alla Tana, suonarono al campanello di casa Tonks e un Teddy sovraeccitato gli aprì.
«Sei pronto?» gli chiese Harry divertito.
«Prontissimo. Anche Laurence e Diana lo sono. Saranno qui a momenti» rispose il ragazzino lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
«Teddy!» lo richiamò la nonna mentre sfrecciava fuori per andare incontro agli amici. «Hai preso una felpa?».
«Si muore di caldo» replicò il ragazzino dopo aver abbracciato Diana e dato il cinque a Laurence, che nel frattempo erano sopraggiunti.
«È in piedi dall’alba» sbuffò Andromeda, ma solo Harry e Ginny colsero un luccichio strano, ma prima che potessero chiedere spiegazioni ella aggiunse a voce più bassa in modo che solo loro potessero sentire: «Dora fece anche così… Che assurdità».
Harry si scambiò un’occhiata con Ginny, ma nessuno dei due commentò.
«Allora andiamo?» li esortò Teddy.
Avevano deciso di andare a Londra con le macchine in modo da non traumatizzare eccessivamente i signori Webster, che gliene erano stati molto grati.
«Vai piano, per l’amor di Merlino» si raccomandò la mamma di Laurence con il marito, il quale sorrise in modo così malandrino che Harry distolse lo sguardo prima di scoppiare a ridere.
Il viaggio in macchina fu tranquillo e, fortunatamente, beccarono un po’ di fila solo per entrare a Londra. I ragazzi erano saliti tutti e tre sulla macchina dei Webster, per cui si erano evitati un interrogatorio in piena regola, ma Harry e Ginny furono molto più sollevati quando si riunirono e l’eccitazione dei ragazzi coinvolse anche loro. Sulla macchina Andromeda era stata molto silenziosa e persa nei suoi pensieri e i coniugi Potter non avevano avuto il coraggio di aprir bocca.
«Questo è il Paiolo Magico» spiegò Harry ai genitori di Diana. «Voi non potete vederlo, ma Diana, sì, vero?».
La bambina annuì parecchio tesa e agitata.
«Bene, allora prendi per mano i tuoi genitori e guidali all’interno, dopo non avranno problemi».
I signori Webster erano giustamente frastornati – e ancora non avevano visto nulla! - ma si lasciarono prendere per mano da Diana e la seguirono in silenzio. Dietro di loro entrarono anche Teddy, Andromeda, i Potter e i Landerson.
Da qualche anno Hannah Abbott, la moglie di Neville Paciock, aveva preso in gestione il pub e, appena li vide, li raggiunse raggiante salutandoli. È vero che da studenti, appartenendo a due Case diversi non si erano frequentati molto, ma da quando aveva sposato Neville si vedevano molto spesso.
«Come state?» chiese sorridente.
Harry e Ginny ricambiarono l’affettuoso sorriso e poi le presentarono gli amici. Teddy si lasciò abbracciare senza problemi visto che conosceva la donna da anni. Mentre si dirigevano sul retro del locale, Laurence ebbe la pessima idea di raccontare a Diana che la signora appena conosciuta era la moglie di un loro insegnante. Diana, già tesa, si agitò non poco alla scoperta. Teddy scosse la testa non comprendendo il perché Laurence mettesse tanto in mostra le sue conoscenze, naturalmente superiori, sul mondo magico. Gli diede una gomitata e lo tirò indietro.
«La lasci in pace?».
«Oh, per una volta che ne so più di lei! Lasciami divertire. Appena quella arriva a Hogwarts s’impara mezza biblioteca prima di Natale e io sarò il solito stupido della classe!».
Teddy sospirò e desistette anche perché Harry aveva aperto il passaggio e davanti ai loro occhi si apriva una Diagon Alley rumorosa e colorata. I suoi capelli, non incantati in nessun modo questa volta, virarono al rosa per quanto era emozionato. Era stato altre volte lì insieme a Harry o alla nonna, ma quella volta era diversa da tutte le altre.
I tre ragazzini corsero in avanti, nonostante gli ammonimenti degli adulti.
Harry fece cenno al signor Landerson di seguire i ragazzi e lui rimase indietro con Ginny: Andromeda si era bloccata appena aveva visto i capelli di Teddy cambiare colore.
«Andromeda» disse dolcemente, «tutto bene?».
«Dora aveva dei capelli rosa proprio come quelli di Teddy e… il giorno che comprò la sua prima bacchetta… io e Ted non riuscivamo a tenerla tranquilla… ero sicura che quel giorno l’avremmo persa nella folla… non voleva star ferma un secondo…».
«Nonna, che c’è? Perché non vi muovete?» chiese Teddy, tornato indietro quasi saltellando, e fissandoli con sospetto.
«Niente, andiamo Teddy» intervenne Ginny spingendolo avanti.
Ad Andromeda per un attimo era sembrato veramente di rivedere quella pestifera bambina di undici anni che si rifiutava di ascoltare lei e Ted e che continuava a blaterare qualcosa sullo smistamento. Harry le strinse il braccio e la costrinse a guardarlo, mostrandole un viso duro e gli occhi tristi.
«Va tutto bene» sospirò Andromeda. «Andiamo, prima che Teddy corra di nuovo qui».
La strada selciata curvò rivelando la via principale, di cui non si vedeva, però, la fine.
Anche Harry non poté fare a meno di pensare al passato: la prima volta che era stato lì sembrava appartenere a un’altra vita. Ginny gli strinse la mano.
«Mi salutavano tutti e mi stringevano la mano e io non sapevo chi fossero e non capivo» sussurrò certo che la moglie avrebbe compreso.
«Questo non è cambiato» sbuffò Ginny dopo che diversi maghi li rallentarono per stringere la mano a entrambi. Qualcuno osò perfino fare qualche riferimento a Teddy chiedendosi chi fosse tra i due ragazzini che facevano parte del gruppo; altri invece riconobbero i poteri da Metamorphomagus che il bambino aveva ereditato dalla madre.
Harry fece una smorfia, ma intervenne deciso quando un uomo più ardito si avvicinò a stringere la mano a Teddy. Da quel momento rimase vicino a lui, sperando che questo fosse sufficiente ad allontanare simili attenzioni.
«Chi era quell’uomo?».
«Non lo so» bofonchiò Harry contrariato. «Non ci pensare. Da dove volete iniziare?».
«Dalla bacchetta» risposero in coro Teddy e Laurence. Diana annuì timidamente.
«Allora andiamo da Olivander» commentò Harry.
«Ma c’è il figlio adesso?» gli chiese il signor Landerson.
«Sì, ma che io sappia ancora lui va in negozio» replicò Harry.
Arrivati all’antico negozio furono i tre ragazzi a entrare per primi. Uno scampanellio attirò l’attenzione di un uomo anziano che, fino a quel momento, si trovava sul retro.
«Signor Potter» esclamò flebilmente il vecchio riconoscendo Harry, che, a sua volta, si avvicinò e gli strinse la mano calorosamente.
«Signor Olivander, le presento il mio figlioccio, Teddy Lupin». Teddy l’aveva raggiunto e diede la mano al fabbricante di bacchette di cui tanto aveva sentito parlare. Il ragazzino si sentiva molto orgoglioso quando il padrino lo presentava ai suoi amici e conoscenti.
«Oh, il figlio di Remus Lupin e Ninfadora Tonks» esclamò all’istante il signor Olivander scrutandolo per un attimo. Ecco questo citare all’improvviso i suoi genitori, non piaceva proprio a Teddy. «Mi ricordo quando sono venuti a comprare la loro prima bacchetta» continuò incurante il fabbricante di bacchette perso in un mondo di ricordi. «Suo padre ha scelto una bacchetta di tasso con crine di unicorno e sua madre una di agrifoglio e corda di cuore di drago… certo ho detto ‘ha scelto’, ma è la bacchetta a scegliere il mago». Un attacco di tosse lo costrinse a interrompersi e Harry e il signor Landerson gli consigliarono di sedersi.
«No, no tranquilli» biascicò Olivander dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua. «È la vecchiaia».
Teddy tirò una gomitata a Laurence che sembrava pronto a fare qualche stupida considerazione.
Harry, per conto suo, si era inquietato ripensando alla prima volta in cui era entrato in quel negozio e all’occasione in cui aveva salvato la vita al vecchio mago; perciò appena Olivander mostrò di sentirsi bene spinse avanti Diana per fargli cambiare argomento. «Lei è Diana Webster, è la prima strega della sua famiglia, signor Olivander, e non vede l’ora di avere la sua bacchetta».
«Naturalmente, naturalmente» sospirò Olivander con un tremolante sorriso. Diana osservò con ansia i gesti dell’uomo: le prese le misure con un metro che si muoveva da solo e nel frattempo iniziò, lentamente, a tirare fuori scatoline dagli scaffali. Dopo un paio di tentativi infruttuosi, la ragazzina non resistette e gli pose tutte le domande che aveva trattenuto fino a quel momento. Il fabbricante apparve quasi divertito e rispose; infine, a colpo sicuro, prese un’altra bacchetta e gliela porse:
«Acero, crine di unicorno, sufficientemente flessibile, quindici pollici». Diana sorrise nel stringerla con la destra e non vi fu alcun dubbio che fosse perfetta per lei. «Sono sicuro che lei, signorina, diventerà una grande strega».
La ragazzina arrossì, ma non perse il suo sorriso. Laurence, a un cenno di Teddy, prese il suo posto. Teddy sapeva che l’amico stava fremendo.
Laurence fu un osso duro, ma alla fine Olivander trovò la bacchetta perfetta per lui: abete, corda di cuore di drago, leggermente flessibile, quindici pollici e un quarto.
«Bene, signor Lupin, tocca a lei».
Teddy timoroso avanzò e si pose di fronte al vecchio. A differenza di Diana, non fu turbato dal metro magico, ma comunque sentì la preoccupazione salire: e se nessuna bacchetta l’avesse scelto? Oh, no, questa era un’ipotesi stupida: era stato ammesso a Hogwarts e gli toccava una bacchetta come ogni altro mago!
«Provi questa: acacia, cuore di corda di drago, rigida, nove pollici». Il signor Olivander lo riscosse dai suoi pensieri porgendogli una bacchetta corta e spessa. Teddy la prese ma percepiva che non era quella giusta. «Su, provi ad agitarla» lo esortò il vecchio. Il ragazzino, sentendo gli occhi di tutti su di lui, obbedì ma, avendo fatto scoppiare un vaso sul bancone, la restituì all’istante.
«No, no, decisamente no» bofonchiò Olivander più a sé stesso che a Teddy. Si diresse verso gli scaffali e tornò con un paio di scatole. «Allora provi abete, cuore di corda di drago, flessibile, dieci pollici».
Questa volta gli scaffali presero fuoco, Diana gridò spaventata e Olivander dovette intervenire prima che anche le altre bacchette finissero in cenere.
«Per favore, non le punti contro gli scaffali» lo supplicò Olivander detergendosi il sudore sulla fronte. Teddy annuì meccanicamente, sentendo una risatina in sottofondo. Laurence. Dopo un quarto d’ora, però, nessuna bacchetta lo aveva ancora scelto e il panico si stava impadronendo di Teddy, tanto quanto la noia di Laurence.
«Mi chiedo se possa andar bene questa» sospirò a un certo punto il signor Olivander pensieroso. «Sorbo, dodici pollici e tre quarti, piuma di fenice, molto flessibile».
Teddy la prese sempre più depresso, ma, appena la sfiorò, percepì un fiotto di calore espandersi nel suo petto e si ritrovò a sorridere.
«Perfetto» esclamò soddisfatto Olivander. «Quella bacchetta è rimasta invenduta per molti anni. Evidentemente aspettava lei, signor Lupin». Teddy lo fissò trasecolato a quel pensiero. «Il sorbo è un legno buono, se mai venisse piegato a compiere incantesimi oscuri si distruggerebbe».
Teddy fu molto orgoglioso nel sentire quelle parole: i suoi genitori erano morti combattendo un mago oscuro e lui, mai e poi mai, si sarebbe macchiato di un simile crimine. E la sua bacchetta, che da quel momento in poi sarebbe stata sua fedele compagna, la pensava allo stesso modo.
Harry gli strinse leggermente la spalla prima di andare a pagare.
La tappa successiva fu il Ghirigoro. Diana adorò la libreria magica e Teddy le mostrò ogni sezione, felice di poter condividere la sua passione con la lettura con una coetanea e non con la zia Hermione per una volta. Se fosse stato per loro sarebbero rimasti lì dentro in eterno, ma Laurence a un certo punto crollò e li minacciò di far saltare in aria il negozio con una magia involontaria. Naturalmente, né Teddy né Diana gli credettero, ma decisero di non volere l’incendio di qualche povero libro sulla coscienza. Alla cassa, però, i loro genitori non furono molto contenti visto che risultarono molti più libri di quanti ve ne fossero sulla lista. Andromeda costrinse Teddy a sceglierne solo uno, ma Harry intervenne e ci scapparono ben tre libri nuovi; i signori Webster, invece, sebbene perplessi accontentarono la figlia poiché anche loro volevano conoscere quel nuovo mondo. La signora Landerson si lamentò del contrario in quanto se fosse stato per il figlio non avrebbe acquistato neanche i manuali scolastici!
Se fosse dipeso da loro, nessuno dei tre avrebbe perso minimamente tempo da Madame McClan, ma le madri e nonna Andromeda vollero assicurarsi che la divisa calzasse loro a pennello, così come gli altri indumenti che ritennero basilare comperare.
Laurence non vedeva l’ora di andare al negozio di Quidditch e da Tiri Vispi Weasley, ma gli adulti per ovvi motivi li lasciarono per ultimi.
«Allora vuoi un gufo o un altro animale?» chiese Harry al figlioccio, mentre si dirigevano al Serraglio Stregato.
«Oh» Teddy non ci aveva pensato molto, visto che non nutriva un particolare interesse per gli animali.
«Direi un gufo, così potrà scriverci» intervenne nonna Andromeda.
Teddy fece spallucce poco interessato alla questione. Sì e no un quarto d’ora dopo uscì dal negozio tenendo in mano una gabbietta, al cui interno un gufetto, piccolo e dal piumato chiaro, dormicchiava.
«Potevi sceglierne uno più grande» borbottò la nonna leggermente contrariata.
«A me piace. E la signora ha detto che crescerà» ribatté Teddy, più contento di quanto avesse mai immaginato all’idea di possedere un animaletto di cui prendersi cura.
Laurence aveva comprato un gufo reale che, di certo, piaceva di più alla nonna; invece Diana, dopo averci pensato a lungo, aveva optato per una gattina.
«Lo chiamerò Leone!» annunciò fiero Laurence oscillando la gabbia.
«Se non stai fermo, lo ucciderai prima del tempo» intervenne sua madre esasperata.
«La mia gattina si chiama Clarisse» decise Diana, accarezzando il cucciolo ogni due secondi e costringendo tutti a fermarsi per aspettarla.
«Che razza di nome è Clarisse?!» sbottò Laurence.
«È un nome» ribatté la ragazzina punta sul vivo.
«È un nome di persona, non di animale» s’intestardì il ragazzino.
«Oh, adesso c’è differenza?».
«Tu come lo chiami il tuo gufetto?».
Teddy si voltò verso Harry, mentre gli amici continuavano a litigare. «Ramoso» rispose dopo averci pensato su un attimo.
Questa volta fu Andromeda a stringere il braccio di Harry e ad ammonirlo a non lasciarsi andare ai ricordi, mentre Ginny annuiva mestamente.
Finalmente per la felicità di Laurence si recarono da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch e poi da Tiri Vispi Weasley. I ragazzini si divertirono molto, ma anche gli adulti si rilassarono e si lasciarono coinvolgere dalla loro spensieratezza e allegria.
 
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Charis si nascose dietro lo zio, mentre questi salutava dei conoscenti. Non le piaceva avere a che fare con degli estranei, però lo zio era molto conosciuto nel mondo magico.
«E lei è la figlia di tuo fratello?».
Alla fine gli domandavano sempre questo. E Charis tentava di ignorarli fingendo di non aver sentito e che se ne andassero in fretta. Lo zio Adam, però, alle volte la tirava fuori dal suo nascondiglio e la presentava; altre, probabilmente non gradendo l’interlocutore annuiva e glissava velocemente sull’argomento. Fortunatamente, fu una di quelle volte.
«Già, ora scusami, ma dobbiamo andare a fare spese per la Scuola». Charis si tranquillizzò appena si allontanarono. «Dammi la mano e non ti allontanare» le raccomandò lo zio, come ogni volta che uscivano insieme. «Allora, hai portato la lista vero?».
«Certo» sorrise Charis, tirandola fuori dalla tasca e sventolandogliela davanti.
«Bene, cominciamo dal primo punto allora».
«La divisa» rispose prontamente la ragazzina.
«Allora andiamo da Madame McClan».
Charis fece una smorfia: odiava andare nel negozio di abbigliamento. «Non possiamo andare prima a comprare i libri o la bacchetta?».
«Seguiamo l’ordine, per favore o finirà che ci dimenticheremo qualcosa» bofonchiò suo zio, tirando fuori un foglietto dalla tasca del suo mantello. «Sambi mi ha elencato un sacco di roba che ti serve». Sambi era la loro elfa domestica.
«Non mi piace Madame McClan» s’imputò la ragazzina, sperando di convincere lo zio.
«Perché mai? È la miglior sarta di Diagon Alley» ribatté l’uomo nervosamente: per quel genere di cose era necessaria una donna, per Merlino come avrebbe fatto a sopravvivere a quella giornata? Forse avrebbe dovuto mettere da parte l’orgoglio e chiedere aiuto a miss Shafiq o a qualche collega. Ah, ma ormai era fatta.
«Perché ogni volta ti convince a comprarmi quei vestiti tutto fiocchi e merletti» rispose quasi piagnucolando Charis. Non si sentiva per nulla a suo agio con quelle vesti, per quanto miss Shafiq ritenesse che fossero perfette per una signorina come lei.
«Ti prometto che potrai scegliere tu, ok?».
«Davvero?» si assicurò Charis.
«Sì, ma ora andiamo» borbottò l’uomo.
Tutto sommato da Madame McClan andò meglio di quanto zio e nipote avessero temuto: la divisa di Hogwarts naturalmente era uguale per tutti gli studenti, perciò Charis non ebbe nulla di cui lamentarsi. La bambina si lasciò prendere mitemente le misure. Adam la fissò orgoglioso e leggermente commosso nella veste nera che, un tempo, anche lui aveva indossato e che conservava gelosamente.
«Zio, sulla cravatta c’è solo lo stemma di Hogwarts» lo richiamò Charis. «Perché non sono stata ancora smistata?».
«Sì, infatti».
«Sarò una Corvonero come te?» chiese ancora la ragazzina, mentre Madame McClan le stringeva la manica.
«Può darsi» replicò Adam. «Sarà il Cappello Parlante a decidere, lo sai».
La questione smistamento cadde lì per il momento, ma Charis aveva ancora parecchi dubbi e lo zio se ne accorse.
La seconda parte degli acquisti fu leggermente più complicata per Adam che si limitò a consegnare la lista di Sambi a Madame McClan in una silenziosa richiesta di aiuto. Un momento di tensione si creò nel momento in cui la donna tirò fuori alcune capi d’intimo pieni di merletti. Il viso contrariato e arrossato di Charis, però, fu un avvertimento sufficiente per lo zio che intervenne chiedendo qualcosa di più semplice sebbene comunque di qualità.
«Non è andata tanto male» sospirò Adam sollevato, uscendo dal negozio.
«Grazie di avermi fatto scegliere il pigiama con le fatine» rispose Charis più che contenta.
Adam ridacchiò e si diede dello stupido: Charis aveva undici anni e iniziava a essere perfettamente in grado di scegliere per sé, non doveva dimenticarlo.
«Ora andiamo in libreria» dichiarò la ragazzina scorrendo la lista della Scuola. «Posso prendere qualche romanzo di Ombrosus che mi manca?».
«Sì, naturalmente» concesse Adam senza neanche soffermarsi a riflettere sulla richiesta della nipote. Nonostante fosse sollevato per aver archiviato la parte riguardante il guardaroba della bambina, una sensazione fastidiosa si stava facendo strada in lui.
Comprarono i libri della Scuola e Charis impiegò molto tempo per scegliersi tre romanzi. Infine si diressero alla farmacia per comprare un kit di pozioni adatto a uno studente del primo anno e poi ad acquistare il calderone.
«Zio, che c’è?» domandò all’improvviso Charis, mentre si avviavano verso il negozio di bacchette.
«Eh? Nulla» borbottò Adam riscuotendosi dai suoi pensieri. Quella sensazione fastidiosa era aumentata.
«Sei arrabbiato con me per qualcosa?» si preoccupò Charis.
Ma che espressione aveva in viso? Si sforzò di sorridere, ma Charis non sembrò molto convinta. Per non rovinarle la giornata, si decise a dirle la verità. «Scusa, è che mi è venuta in mente la volta in cui tuo padre ha comprato la sua prima bacchetta». Charis lo fissò e non disse nulla. La bambina sembrava soffrirci ogni volta che i genitori venivano nominati, ma Adam, sebbene impedisse agli estranei di toccare la questione, si costringeva a farlo lui stesso, ritenendo fondamentale che la nipotina conoscesse i qualche modo i propri genitori.
«Era molto eccitato e, nonostante i tuoi nonni gli dicessero di non allontanarsi, lui correva da ogni parte. Merlino, quanto era vivace».
Charis sorrise leggermente. «Anche tu però» commentò ricordandosi altri racconti dello zio.
«Oh, sì. Era… era il mio complice migliore…» sospirò tentando di mantenere ferma la voce. 
«È bello avere un fratello» mormorò Charis pensierosa. Nelle ultime settimane si era divertita molto con i bambini babbani del quartiere e quasi le dispiaceva di dover partire per Hogwarts. In modo particolare le stava simpatico Shawn, nonostante stesse sempre sulle sue, visto che era il più grande del gruppo.
«Molto» confermò Adam. «Vedrai, sono sicuro che troverai degli amici fantastici a Scuola, che diventeranno come fratelli».
«Potrò invitarli a casa durante le vacanze?» domandò felice la ragazzina. I suoi nuovi amici l’avevano invitata più volta a fare merenda da loro, ma ella non aveva potuto ricambiare visto che la villa era piena di artefatti magici, senza contare Sambi.
«Certamente» rispose all’istante Adam. «Avanti, compriamo la bacchetta. È quasi ora di pranzo».
Charis rimase delusa nel vedere l’uomo che gli accolse nel negozio: non aveva nulla a che fare con il vecchio fabbricante di bacchette di cui tanto gli aveva narrato lo zio.
«Buongiorno» disse distaccato l’uomo.
Suo zio gli strinse la mano e gli chiese del padre.
«Oh, ormai è vecchio. Si ostina a venir in negozio…» borbottò contrariato Olivander.
Charis s’imbronciò leggermente: che sfortuna, proprio lei non l’aveva beccato.
«Allora, signorina quando sei nata?».
«Il 3 maggio 1998» rispose prontamente, chiedendosi che cosa c’entrasse. Cercò lo zio con gli occhi, che replicò con un’alzata di spalle silenziosa. Che delusione! Niente metro che la misurava autonomamente!
L’uomo le fece provare diverse bacchette, ma Charis rischiò più volte di distruggere il negozio e si spaventò parecchio, specialmente quando diede fuoco alle tendine di una finestrella che dava su una via laterale. Lo zio appariva infastidito, ma rimase in un ostinato silenzio.
Evidentemente il giovane Olivander non era bravo quanto il padre; ma quando sbuffò grattandosi la testa, Charis disperò di aver mai una bacchetta tutta sua. Si rivolse allo zio supplicandolo con gli occhi.
Adam, per conto suo, era sempre più irritato: che quell’uomo fosse un incapace, l’aveva capito molto prima della nipotina; ma egli non aveva alcuna idea sul modo in cui una bacchetta scegliesse il mago, per cui non sapeva come comportarsi.
«Impossibile» borbottò l’uomo per darsi un contegno, ma il risultato fu decisamente il contrario. «È nata a maggio per cui il ciliegio dovrebbe essere il legno adatto a lei».
«Cambi legno, evidentemente si sta sbagliando» sbottò Adam non riuscendo a trattenersi.
Olivander lo guardò malissimo. «Bene, allora proveremo un po’ tutti i legni, se è quello che crede!».
Charis vide lo zio rabbuiarsi, segno che si stava arrabbiando sul serio e desiderò trovare la bacchetta al più presto, così avrebbero potuto continuare a divertirsi insieme. Aveva persino promesso che l’avrebbe portata a pranzare al Paiolo Magico.
Purtroppo nonostante i suoi buoni propositi, trascorse più di un’ora prima che una bacchetta di salice, crine di unicorno, flessibile, dodici pollici e mezzo, la scegliesse.
«Mi dispiace» mormorò Charis, quando uscirono dal negozio.
Adam sorrise e scosse la testa. «Non è colpa tua. Vedi, quando ti dico che è importante impegnarsi e far bene i propri compiti? In caso contrario si finisce come quell’uomo. E non ci ha fatto proprio una bella figura».
La ragazzina annuì distrattamente e gli prese la mano mentre si avviavano nuovamente lungo la via affollata. Diagon Alley pullulava di studenti di Hogwarts come ogni fine agosto; che fossero studenti lo si capiva da parole mormorate o strillate con divertimento, alcuni indossavano mantelli con il simbolo della propria Casa, altri sventolavano le liste dei libri. Per un po’ Charis ne sbirciò i volti, specialmente dei più piccoli, chiedendosi se qualcuno di loro sarebbe stato suo compagno. Se sarebbe stato suo amico.
«Ecco, il Serraglio Stregato. Vieni».
«Non lo voglio un gufo» lo contraddisse ella riscuotendosi dai suoi pensieri.
«I gufi sono utili» ribatté lo zio.
«Ma non mi piacciono!».
«Non devi giocarci, devi spedirci la posta».
«Non lo voglio» ribatté la ragazzina testardamente.
Adam sospirò, chiedendosi perché sua nipote doveva rendere difficile anche qualcosa di così semplice. «Tutti vogliono un gufo. Io e tuo padre non vedevamo l’ora di possederne uno tutto nostro».
«Io invece non lo voglio».
Adam si fermò e la fissò infastidito. «Ho deciso che ti comprerò un gufo. Punto» sbottò. «Se non vuoi vederlo, non lo guardare. A Hogwarts starà nella Guferia e non ti darà alcuna noia. E smettila di fare i capricci per ogni cosa o comincerò a pensare che forse miss Shafiq ha ragione».
Charis lo fissò a occhi sgranati per un attimo, poi, mentre si riempivano di lacrime, gli abbassò in modo da non farsi vedere dallo zio. «Scusa» mormorò. Adam annuì e insieme entrarono nel negozio. La ragazzina a quel punto tentò di essere collaborativa e, alla richiesta di sceglierne lei uno, s’interessò il minimo per non fare innervosire ancora di più lo zio.
«Quello?» provò incerta indicandoli un gufetto dal piumato chiaro e gli occhi grandi come palline.
«È una civetta» le disse lo zio. «Ma va bene. Possiamo prenderla».
La ragazzina assentì immediatamente pur di uscire da lì: probabilmente non aveva familiarità con gli animali, ma si sentiva fissare da un’infinità di occhi, gabbie con creature a volte sconosciute erano accatastate in tutta, apparentemente, piccola area e si rischiava di urtarle passando; alcune lucertole grosse – come si chiamavano? -schioccavano la lingua più lunga del normale. E come se non bastasse l’odore la soffocava, perciò fu ben felice quando tornarono all’esterno.
«Abbiamo preso tutto quello che c’è sulla lista, mi sembra» disse Adam ricontrollandola per l’ennesima volta. «C’è qualche negozio che vuoi vedere? Non so, magari quello di Quidditch o Tiri Vispi Weasley?».
«No, grazie» mormorò Charis giochicchiando con alcuni sassolini.
«Ok, allora andiamo a mangiare qualcosa al Paiolo Magico? Dopo prenderemo il gelato da Fortebraccio come ti avevo promesso».
«Va bene» rispose la ragazzina.
Adam sospirò e le sorrise, chiedendosi in cuor suo se non avesse sbagliato qualcosa: perché si era impuntato su uno stupido animale? Era un Auror, per Merlino, e aveva deciso decenni prima di non sposarsi e tutto quello che ne conseguiva. Poi, però, era arrivata Charis. Dopo più di dieci anni continuava a non avere la minima idea su come comportassi con lei, ma non l’avrebbe mai affidata a nessun altro: era sua nipote e, per quanto fosse totalmente incapace nel ruolo di genitore, suo fratello si aspettava quello da lui e non l’avrebbe deluso, indipendentemente da quanti errori potesse compiere nel farlo. Discutere con un undicenne per un gufo a Diagon Alley! Se solo l’avessero visto i suoi uomini o, peggio ancora, le reclute dell’Accademia l’avrebbero scambiato per qualcun altro: non permetteva a nessuno di contraddirlo.
«Zio» lo chiamò dolcemente Charis, quando giunsero sul retro del Paiolo Magico.
«Che c’è?».
«Perdonami, non volevo fare i capricci».
Adam ricambiò l’abbracciò della bambina e sorrise, dandole un bacio sulla fronte.
 
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«E quindi con la magia può cambiarmi anche il colore del vestito?» domandò Zoey, tirando leggermente il fiocco che teneva alla vita. «Avrei voluto comprarlo rosso, ma non c’era la taglia e mi sono dovuta accontentare del blu… È più elegante, naturalmente, ma trovo che mi spegne un po’…». Neville si passò una mano tra i capelli di fronte a quella parlantina. «L’ho comprato in un negozio bellissimo di Piccadilly Circus. Lo conosce? Se ha figlie femmine dovrebbe» insisté la ragazzina.
«Zoey, smettila» la riprese il padre, per poi rivolgersi all’insegnante. «Professore, mi scusi. È una chiacchierona».
«Non si preoccupi. È normale che sia emozionata nello scoprire un nuovo mondo» replicò gentilmente Neville.
«Oh, non s’illuda. Fa sempre così» borbottò la signora Turner.
«Allora, si può cambiare il colore del vestito?».
«Zoey!» dissero in coro i signori Turner.
«Sì, si può fare, ma lo imparerai al momento giusto» rispose, invece, Neville pazientemente. «E sì, ho due figlie femmine, ma sono ancora troppo piccole». Diede un’occhiata d’incoraggiamento ai signori Turner: dopotutto fino a poche settimane prima credevano di essere una normalissima famiglia borghese con un’unica figlia fin troppo socievole e già fiondata nell’adolescenza. «Adesso, è meglio che andiamo» soggiunse guidandoli all’interno del Paiolo Magico.
«È incredibile» bofonchiò il signor Turner. «Sono passato di qui infinite volte e non ho mai visto questo locale».
«È protetto dalla magia in modo che solo i maghi possano averne accesso» spiegò Neville.
«Senta» iniziò il signor Turner incerto, «alla scuola elementare io e mia moglie venivamo convocati… non dico tutti i giorni… ma spesso, molto spesso…».
«L’insegnante di Zoey a un certo punto ha minacciato di farci pagare le aspirine per il mal di testa» soggiunse la moglie.
«Insomma, noi riteniamo fondamentali i rapporti scuola-famiglia, ma se questa Hogwarts è in Scozia… può comprendere che per noi sarebbe quanto mai difficoltoso…».
«Oh, non si preoccupi» rispose all’istante Neville con un sorriso. «Solitamente i genitori vengono convocati a seguito di azioni molto gravi. Normalmente la Preside o i Direttori delle Case si limitano a tenere informati i genitori degli allievi che non rispettano le regole».
I coniugi Turner non sembrarono pienamente convinti, ma per il momento preferirono non insistere.
«Ma come sono vestiti? Ho già dovuto litigare con le mie amiche, se mi devo vestire come un pagliaccio, non ci vengo a imparare la magia!».
Le parole di Zoey attirarono l’attenzione degli adulti sugli avventori del locale. Erano circa le nove del mattino, ma era già molto affollato.
«Zoey, non cominciare!» sbottò il padre rimproverandola.
«Ma che ho detto!» replicò la ragazzina. «Avete visto che anche gli uomini indossano i vestiti? Come le donne!» soggiunse abbassando la voce.
Neville ridacchiò. «Non sono vestiti, o almeno non come li intendi tu. Sono vestiti tradizionali da mago, ma, se ti guardi ben intorno, vedrai che sono tutte persone anziane. Ormai i giovani indossano tutti vestiti più moderni e di foggia babbana».
«Sono comunque brutti» borbottò la ragazzina a mezza voce, ignorando le occhiatacce dei genitori.
Il professore li condusse nel cortile sul retro e poi, estraendo la bacchetta, colpì alcuni mattoni sul muro.
«Oh» sospirò Zoey vedendo il muro aprirsi e formare un arco. Almeno era rimasta senza parole. E sorprendentemente lo rimase mentre compivano i primi passi lungo l’affollata strada di Diagon Alley.
«Ora non posso non crederci» bofonchiò il signor Turner non si sa bene se a sé stesso o alla moglie, che si limitò ad annuire altrettanto attonita. Passeggiarono per un po’ osservando tutte le vetrine con sguardi incantati, Neville non disse nulla permettendo loro di ambientarsi in quel nuovo mondo.
«Forse dovremmo iniziare a comprare il materiale» disse a un certo punto il signor Turner.
«Sì» assentì Neville. «Prima però dovrebbe cambiare i soldi. Le sterline non servono qui».
«I maghi hanno una valuta diversa?» replicò perplesso il signor Turner.
«Esattamente, vi accompagno alla banca, la Gringott» rispose Neville indicando un edificio imponente e bianchissimo in fondo alla via.
«Quello cos’è?» strillò inorridita Zoey.
«Shhh, per l’amor di Merlino» borbottò frettolosamente Neville. «Quello è un folletto. I folletti custodiscono la banca e non sono per nulla amichevoli. Ti prego, qualunque domanda tu abbia, trattieniti finché non saremo fuori, ok?».
«Ok» assentì Zoey. «E questa?» chiese indicando una scritta sulla porta d’argento che immetteva all’interno. «Che c’è?» aggiunse in risposta all’occhiataccia dei tre adulti. «Non siamo ancora dentro».
«Straniero, entra, ma tieni in gran conto
quel che ti aspetta se sarai ingordo
perché chi prende ma non guadagna
pagherà cara la magagna.
Quindi se cerchi nel sotterraneo
un tesoro che ti è estraneo
ladro avvisato mezzo salvato:
più del tesoro non va cercato».
 
Lesse il signor Turner a bassa voce, non riuscendo a rimproverare la figlia per la sua curiosità. Dove stavano entrando?
 
«Sotterranei?» soggiunse preoccupata la signora Turner.
«Non preoccupatevi» replicò Neville. «Rimarremo nella sala principale. Nei sotterranei ci sono le camere blindate». Fortunatamente per fare i cambi non vi era una fila lunga e si sbrigarono abbastanza velocemente. «Le monete d’oro sono galeoni. Diciassette falci, quelle d’argento, fanno un galeone; ventinove zellini, quelle di bronzo, formano un falci» spiegò ai Turner; suggerendo ai due coniugi più o meno quanto li sarebbe servito per tutte le spese.
«Sono inquietanti questi folletti» dichiarò Zoey appena furono nuovamente in mezzo alla folla e ben lontani dall’ingresso della banca.
«Abbastanza» concordò Neville. «Da quale negozio iniziamo?».
«Voglio la bacchetta» trillò Zoey eccitata.
«Allora il negozio migliore è senz’altro quello di Olivander».
Pochi minuti dopo giunsero al negozio dalla vetrina più sobria e molto meno colorata delle altre che si affacciavano sulla via principale.
«Veramente dal 382 a.C.? Il proprietario è così vecchio?» sbottò Zoey incredula.
«L’attività viene tramandata di padre in figlio e, sì, effettivamente è molto antica. Il proprietario è anziano, ma lo affianca il figlio» replicò Neville.
«Uh, quanta polvere» si lamentò la ragazzina mettendo piede nella bottega e arricciando il naso infastidita.
«È allergica?» domandò Neville ai signori Turner.
«No, ma a lungo andare la irrita e inizia a starnutire» rispose la signora.
«Buongiorno» li accolse un uomo ben vestito e leggermente stempiato. Doveva avere più di cinquant’anni. «Sono Gervaise Olivander e sono a vostra disposizione. Allora, immagino che la signorina sia qui per la sua prima bacchetta, dico bene?».
«Sì» rispose prontamente Zoey, per nulla intimidita.
A Neville la cordialità di Gervaise Olivander apparve falsa, ma non disse nulla sperando di non impiegare troppo tempo.
«Allora, signorina, quando sei nata?».
«Il dieci gennaio 1998» rispose prontamente Zoey. «Perché?».
«Perché secondo l’oroscopo celtico ogni periodo dell’anno è associato a un albero, così spesso il legno della bacchetta è scelto proprio in associazione alla data di nascita del futuro possessore» spiegò Olivander iniziando a tirare fuori dagli scaffali alcune custodie dalla forma allungata.
«Suo padre non credeva in questa teoria. Diceva sempre che è la bacchetta a scegliere il mago» non riuscì a trattenersi Neville.
«Io non sono mio padre» rispose freddamente Olivander, sebbene mantenesse il sorriso falso con cui li aveva accolti. «Bene, il suo legno è…» tirò un foglietto dalla tasca per verificare probabilmente la correttezza delle sue parole. «Il frassino». Neville si grattò la nuca imbarazzato: Gervaise Olivander in quel momento sembrava proprio uno studente intento a sbirciare la risposta giusta su un bigliettino. «Prova questa. Agitala» continuò Olivander porgendo la prima bacchetta alla ragazzina.
Zoey non se lo fece ripetere due volte e l’agitò con foga. Il vetro della vetrina andò in frantumi sotto gli occhi scioccati dei signori Turner. Olivander l’aggiustò con un movimento secco della propria bacchetta e ne passò un’altra alla ragazzina. Questa volta a farne le spese fu una vecchia sedia in un angolo.
Dopo vari tentativi, Neville non si trattenne più. «Si fermi, per favore. O vuole distruggere l’intero negozio? Non si rende conto che il frassino non può andare bene per una ragazzina come Zoey?».
«E lei chi crede di essere per insegnarmi il mio mestiere?» sbottò Olivander perdendo tutta la sua falsa cortesia.
«Uno studioso di erbologia» ribatté Neville a tono. «E le dico che la sua teoria celtica fa acqua da tutte le parti. Non sono un esperto di bacchette, ma di fronte all’evidenza dovrebbe ammettere di star sbagliando. O faremo notte».
«Che succede?». Nella stanza fece il suo lento e faticoso ingresso un signore molto anziano con gli occhi lucidi e deboli. Zoey non avrebbe saputo stabilirne l’età, ma sperò di cuore che risolvesse la questione perché si stava spazientendo.
«Signor Olivander» salutò Neville con deferenza.
«Padre» disse Gervaise Olivander a denti stretti.
«Oh, Neville Paciock» disse il più anziano stringendogli la mano. «Scusate, non riesco più a stare all’in piedi troppo a lungo» mormorò flebilmente cercando con lo sguardo la sedia che Zoey aveva distrutto durante i primi tentativi. Neville si fece avanti all’istante, riparò la sedia e lo aiutò a sedersi. «Grazie, grazie» quasi sussurrò il vecchio. «Mi ricordo ancora quando lei venne a comprare la sua bacchetta… era già grande, dico bene? Prima ha ereditato quella di suo padre…». Neville annuì. «Di solito non è un bene ereditare le bacchette… non funzionano bene… dev’essere la bacchetta a scegliere il mago…».
«Infatti ho avuto molte meno difficoltà con questa» mormorò Neville scrutando la sua bacchetta di ciliegio e rigirandosela tra le mani.
«I signori, però, non me li ricordo… Non sono maghi, vero? Prego sempre che la vecchiaia mi lasci intatta almeno la memoria» riprese l’anziano Olivander.
«Oh, sì non si preoccupi. I signori Turner sono Babbani, accompagnano la figlia, Zoey, a comprare la sua prima bacchetta».
Il più vecchio annuì e con la magia attirò a sé un metro e iniziò a prendere le misure della ragazzina, mentre il figlio sbuffava palesemente; dopo averci riflettuto si rivolse a quest’ultimo: «Prendi quella di corniolo, crine di unicorno, flessibile, tredici pollici».
«Lei sa a memoria tutta le bacchette che si trovano in negozio?» esclamò meravigliata la bambina.
«E quelle che ho venduto» assentì l’anziano. «Prova questa».
Zoey obbedì, fissandolo ancora stupita. Appena impugnò la bacchetta sorrise. «È tipo calda!».
«Ottimo» sospirò sollevato Neville.
Pagarono e ringraziarono calorosamente il signor Olivander.
«Potremmo prendere la divisa?» chiese la signora Turner.
«Oh, che noia» sbuffò Zoey.
«Prima o poi dovrai farlo» le disse Neville gentilmente. «A meno che tu non voglia andare a comprare i libri».
«No, no, niente libri. Vada per la divisa».
Il signor Turner alzò gli occhi al cielo, ma nessuno dei tre adulti commentò.
«Il miglior negozio è sicuramente quello di Madame McClan» disse Neville.
Zoey, però, non aveva intenzione di lasciar chiacchierare gli adulti in pace per tutto il tragitto e diede voce a molte domande, che non si esaurivano mai.
«Eccoci» annunciò Neville.
«Forse è meglio che noi aspettiamo fuori» propose il signor Turner alla moglie.
«Sì, me ne occupo io» concordò ella.
«Vendete anche vestiti normali o solo divise?» chiese immediatamente Zoey alla commessa che si era avvicinata per servirla.
«Sì, ma soprattutto li cuciamo su misura» rispose la giovane.
«No» disse con fermezza la signora Turner.
«No cosa?» si lamentò Zoey. «Non ti ho ancora chiesto nulla!».
«Compreremo solo quello che serve per Hogwarts stamattina. Ti prego, è già abbastanza difficile così. Ti prometto che andremo a fare shopping insieme prima che tu parta, ma per oggi no».
«Promesso?» replicò Zoey con gli occhi luccicanti.
«Promesso».
«Signorina, venga. Indossi questa» disse la commessa che le aveva portato una tunica nera.
Zoey con una smorfia obbedì.
«Salga sullo sgabellino, così posso sistemarla» riprese la commessa.
«Neanche a te piace, vero?».
Zoey si voltò e vide una coetanea e la raggiunse tutta contenta. «Ciao, mi chiamo Zoey. E no, di solito indosso vestiti diversi».
«Piacere, io sono Charlie Krueger» replicò l’altra porgendole la mano.
«Charlotte, stai tirando tutto! Lascia lavorare le signore!» la rimproverò una signora che attendeva in disparte. Probabilmente la madre. La signora Turner dovette pensarla allo stesso modo perché si presentò.
«Charlie» sibilò la ragazzina, lanciando un’occhiataccia alla madre.
«Sei anche tu del primo anno?» le chiese emozionata Zoey. Finalmente avrebbe conosciuto qualche altra ragazza come lei! Ancora non sapeva come far pace con le amiche che l’avevano accusato di averle tradite, ma sperava almeno di far amicizia in quel nuovo mondo.
«Sì. Non vedo l’ora!» trillò Charlie.
«Signorina, la prego» disse in tono esasperato la ragazza che le stava stringendo la manica.
Poco dopo furono raggiunti da un’altra ragazzina in compagnia della madre.
«Gould» sibilò Charlie riconoscendola.
«Krueger» replicò l’altra in modo altrettanto aspro.
«Ragazze, un po’ di educazione» le esortò la signora Krueger sbuffando prima di salutare con trasporto l’altra signora.
«Tu chi sei?» indagò la nuova arrivata fissando Zoey.
«Zoey».
«Zoey e poi? Non ce l’hai un cognome?».
«Sta zitta, Gould. Non cominciare» sbottò Charlie minacciandola con un dito e facendo sbuffare la commessa.
«Voglio solo sapere se è all’altezza di parlare con me».
«Che?» sbottò Zoey: quella ragazzina le stava già antipatica.
«Non hai diritto di giudicare, Gould» sibilò invece Charlie. «Il tuo sangue è più sporco di non so cosa! La tua famiglia è andata a rintanarsi in America come tanti sorci codardi appena è scoppiata la guerra».
«Charlotte Krueger, come osi parlare così!» esclamò la madre fulminandola con lo sguardo.
«Come osi?!» sibilò la Gould. «La mia famiglia è Purosangue da generazioni!».
Charlie si liberò dalle mani della commessa con uno strattone e saltò addosso alla Gould, che cadde all’indietro strillando. Zoey le fissò per un attimo e poi intervenne dando manforte alla prima.
Le donne strillarono, ma solo la signora Turner fece qualche tentativo concreto di separarle. Le urla attirarono Neville e il signor Turner che entrarono di corsa e divisero le tre litiganti.
Zoey e Charlie esibivano i visi graffiati come se fossero state appena aggredite da un gatto, mentre la Gould aveva un bell’occhio nero e piangeva disperata.
«Ma si può sapere che cosa vi è preso?» sbottò Neville trasecolato.
«Quella lì parla troppo» sibilò Charlie.
«E tu sei un animale! Mi sei saltata addosso!» ribatté la Gould tra le lacrime. «E lei, chi si crede di essere per intromettersi?» aggiunse stizzita fissando Neville.
«Direttore di Grifondoro e professore di Erbologia. In sintesi da settembre sarò un tuo insegnante» rispose Neville contrariato.
«Io sarò una Grifondoro, proprio come mio padre» strillò Charlie, dimenticandosi della lite.
«Se tuo padre avesse evitato di fare l’eroe, adesso si troverebbe qui con te» buttò lì la Gould.
Gli occhi di Charlie lampeggiarono, ma Neville, fin troppo abituato, fu lesto a trattenerla. A quel punto, però, anche le madri, seppur amiche, iniziarono a litigare.
Neville invitò silenziosamente Madame McClan, accorsa per verificare che cosa stesse accadendo, e le sue ragazze a muoversi e concludere il loro lavoro.
«Ma che è successo?» sospirò la signora Turner, fuori dal negozio.
«Le avevo detto che mia figlia è irrequieta. Intendevo questo» sbottò invece il signor Turner, arrabbiato.
«Che colpa ne ho io? E quella lì che ci ha provocate».
«In realtà non ha provocato te» la contraddisse la madre.
«Non importa. So che saremo ottime amiche. Che cos’è Grifondoro, professore?».
Neville si passò una mano sulla fronte sudata e sospirò: «Non si preoccupi signor Turner, come potrà immaginare, non è anomalo aver a che vedere con litigi tra i ragazzi per cui, se fosse accaduto a Hogwarts, ci saremmo limitati ad avvertirvi». Dopodiché raccontò la storia della Scuola alla ragazzina, che apparve ancor più eccitata all’idea dello Smistamento.
«Sarò senz’altro una Grifondoro! Sono sicura che io e Charlie saremo amiche per la pelle».
«Sarà meraviglioso avervi entrambe nella mia Casa» sospirò ironicamente Neville, suscitando persino delle risatine nervose da parte dei signori Turner.
Al Ghirigoro persero pochissimo tempo e ne giro di un’oretta e mezza avevano concluso le spese.
«Un attimo» li fermò Zoey rileggendo la lista. «Qui c’è scritto che possiamo portare un animale».
Neville annuì.
«Voglio una gattina» dichiarò la ragazzina. Ne nacque una discussione animata: i genitori - come darli torto, non ritenevano che la bambina se ne sarebbe occupata e che insieme avrebbe definitivamente distrutto la casa - ma infine cedettero perché Zoey si mise a piangere affermando che volevano mandarla in una Scuola in Scozia sola soletta senza neanche un piccolissimo cucciolo. Quanto alla veridicità delle lacrime, Neville ebbe parecchi dubbi.
 
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«Enan, non ti allontanare» lo richiamò la madre.
Il ragazzino ritornò sui suoi passi e le sorrise, non volendo farsi sgridare proprio quel giorno. Era emozionatissimo: per la prima volta in undici anni si era allontanato dall’isola di Jura. Ancora incredulo, osservava ogni minimo dettaglio dell’affollatissima Diagon Alley.
«Voglio comprare anch’io la bacchetta!» sbottò sua cugina Bonny, pestando i piedi.
Lo zio Aiden le lanciò un’occhiataccia. «Sei troppo piccola. Ti ho portato con noi, ma non fare i capricci».
Bonny mise il broncio ma non si azzardò a insistere. Enan le rivolse un sorrisino incoraggiante, ma non servì a molto, perciò decise di lasciarla perdere: alle volte era proprio capricciosa, dopotutto pochi di loro potevano vantarsi di essere andati a Londra prima della lettera di Hogwarts ed ella era stata accontentata quando la sera prima aveva fatto una scenata. Il nonno non ne era stato per nulla felice, ma lo zio Aiden aveva ceduto. A Enan, però, non interessava, ma piuttosto lo infastidiva l’idea che ci fosse anche Donel, il quale aveva convinto –almeno apparentemente – il nonno di voler mettere la testa a posto e perciò si era proposto di accompagnare i cugini a far compere. Era un gran bugiardo: appena arrivati al Paiolo Magico, aveva raggiunto una ragazza e si era dileguato con lei, nonostante i richiami dello zio Aiden. Poco male, la sua assenza non turbava nessuno.
Sua madre e lo zio avevano dato il permesso a Fagan e Artek, fratello minore di Donel, di girare da soli; mentre Enan, Blair, Bonny e Mary, sorella di Donel e Artek, erano rimasti tutti insieme.
«Ecco Olivander» disse sua madre Lilias ed Enan, fino a quel momento intento a fissare dei maghi dall’aria strana, si volse verso di lei e sorrise.
«Enan, vuoi entrare da solo con tua madre?» gli chiese lo zio.
Il ragazzino colse la richiesta silenziosa di Blair e rispose: «No, no, possono venire anche loro».
«Bene» assentì lo zio, prima di rivolgersi alla figlia: «Bonny, non una sola lamentala, chiaro?».
La bambina non rispose, ma Enan fu sicuro che avesse colto eccome il messaggio e non avrebbe dato fastidio.
«Grazie» gli sussurrò Blair, mentre entravano. Enan annuì: sapeva quanto il cugino si annoiasse ad attendere e non aveva motivo per non farlo assistere.
«Quanto ci hai messo tu?» gli chiese mordicchiandosi un labbro. Per fortuna, Donel non era presente e non avrebbe rischiato di fare figuracce di fronte a lui, ma Mary, chiacchierona com’era, l’avrebbe sicuramente raccontato a tutti.
«Un po’» ammise Blair. «Stai tranquillo, però».
«Vieni, Enan» lo chiamò la madre, mettendogli una braccio sulle spalle e spingendolo avanti.
«È lui che deve comprare la prima bacchetta» disse lo zio Aiden a un signore molto anziano, che sorrideva benevolo.
«Bene, bene, vediamo un po’ ragazzo».
Enan rimase immobile mentre un metro magico prendeva le misure del suo braccio sinistro, ma sobbalzò quando, provando una bacchetta, diede fuoco a un registro sul bancone. Mary e Bonny ridacchiarono, al contrario Blair assisteva con la solita concentrazione di quando tentava di comprendere qualcosa.
«Tieni, prova questa» gli disse il fabbricante di bacchette.
Il ragazzino appena la prese, comprese che fosse quella giusta per lui.
«Ottimo, ottimo» commentò il signor Olivander, particolarmente soddisfatto. «Castagno, mediamente flessibile, quindici pollici, piuma di fwooper».
«Fwooper?» ripeté stupito Blair non riuscendo a trattenersi.
Enan osservò il legno scuro con le sue eleganti venature e alzò il capo sull’uomo.
«Non è un nucleo che utilizzo di solito» sospirò questi. «Ma molti anni fa un amico mi portò delle piume e decisi di fare qualche esperimento. Due bacchette, entrambe di castagno, riuscirono bene. La tua e un’altra. E sai a chi appartiene?».
«No, signore» rispose perplesso il ragazzino.
«A mio padre». Tutti i ragazzi si voltarono verso lo zio Aiden, che appariva turbato.
«Esattamente!» trillò il signor Olivander con gli occhi luccicanti. «Oh, sono passati moltissimi anni, ma me lo ricordo ancora!». Infine si rivolse nuovamente a Enan. «Sono sicuro che renderai tuo nonno molto orgoglioso. Sarai il suo degno erede!».
Quelle parole furono come un fulmine a ciel sereno ed Enan pensò che la terra si sarebbe aperta e l’avrebbe inghiottito. Il che sarebbe stato meglio, ma naturalmente non accadde. Incrociò lo sguardo della madre ed ella si sforzò di sorridergli.
Quando Donel avesse sentito quella storia… Enan ispirò forte appena furono fuori dal polveroso negozio. Suo cugino sarebbe diventato ancora più insopportabile: era lui l’erede, lui era destinato a divenire l’erede della famiglia. Non Enan.
Blair e Mary lo fissavano straniti, ma nessuno, men che meno gli adulti commentarono. Così si recarono prima da Madame McClan e poi in libreria. I suoi cugini più grandi, entrambi Corvonero, persero molto tempo, ma il ragazzino evitò di lamentarsi anche perché trovò un bellissimo libro illustrato sui cavalli alati. Adorava i cavalli alati!
«Se vuoi puoi prenderlo». Enan sobbalzò, non essendosi accorto della presenza dello zio alle sue spalle. «Però vieni, Lilias è riuscita a convincere quei due a darsi una mossa».
«Grazie» mormorò euforico.
«Enan, avresti potuto anche interessarti dei tuoi libri» lo accolse la madre con una punta di rimprovero nella voce. Il ragazzino rispose con una smorfia, specialmente al pensiero che quei libri avrebbe dovuto studiarli. Non gli piaceva proprio per nulla studiare! «Vedi di usarli quando sarai a Scuola» borbottò la madre.
«Vedrai non ti darà pensieri» intervenne a sorpresa lo zio, dandogli una pacca sulla spalla. Enan annuì e si dileguò raggiungendo i cugini.
«Che libro hai comprato?» gli domandò subito Blair.
Enan glielo mostrò, ma l’altro, non amando le creature magiche, storse la bocca.
Dopo un’oretta conclusero tutte le spese ed era quasi il momento di riunirsi con Artek e Fagan. Avevano in programma di cenare al Paiolo Magico con gli zii Akira, Callen e Lyla che non vedevano quasi mai.
«Manca solo una cosa» disse Aiden.
«Cosa?» replicò all’istante Blair che aveva controllato minimo un migliaio di volte di non aver dimenticato nulla di quello che lo zio Alistair gli aveva chiesto di comprare.
«Un animale per Enan, naturalmente» rispose Lilias.
Il ragazzino la fissò sorpreso, non credendo alle sue orecchie.
«Beh, perché quella faccia? Lo sai come la pensa tuo nonno» esclamò lo zio Aiden con una scrollata di spalle.
Sì, lo sapeva, ma gli era passato completamente di mente: suo nonno a ogni nipote che iniziava Hogwarts regalava un animale a loro scelta, in tal modo, secondo lui, non avrebbero perso le abitudini acquisite in precedenza sebbene fossero lontani dalla riserva.
«Andiamo al Serraglio Stregato?» domandò allora, non stando più nella pelle. Aveva notato il negozio ore prima, ma sua madre gli aveva detto che dovevano sbrigare altre commissioni.
«Naturalmente, è sicuramente il migliore di Diagon Alley» dichiarò Aiden.
«Sai già cosa vuoi?» gli chiese Bonny palesemente invidiosa. «Io prenderei un topo».
«Che schifo» borbottò Mary che, quando era toccato a lei, aveva scelto un bellissimo gufo reale.
«Non lo so» ammise Enan. «Posso dare un’occhiata?» replicò rivolto alla madre e allo zio.
«Purché non tu ci metta una vita» rispose sua madre con un sorriso.
«Anche perché ci aspettano per cena» soggiunse Aiden.
«Ricordati che puoi portare soltanto un gufo, un rospo o un gatto a Scuola» gli disse Blair.
Per Enan la limitazione non era un gran problema: se suo cugino odiava gli animali, a lui sarebbero andati bene anche una manciata di vermicoli.
«Entriamo?» disse non stando più nella pelle appena furono fuori dal negozio.
«Non è il caso che entriamo tutti» rispose Aiden, probabilmente prevedendo un capriccio da parte di Bonny e ben deciso a evitarlo. «Entra con lui Lilias. Blair se tu vuoi qualche animale va’ con loro».
Enan per poco non scoppiò a ridere di fronte all’espressione del cugino.
«Io? Ma non sono al primo anno».
«Non ne hai mai preso uno».
«No, no, grazie» borbottò il ragazzino.
«Posso dare un’occhiata, zio, per favore?» gli chiese Mary.
«Va bene, ma obbedisci a zia Lilias» concesse Aiden, ignorando le lamentele di Bonny.
«Io rimango qui» disse subito Blair prima che qualcuno glielo chiedesse.
E così finalmente entrarono. Enan quasi si mise a saltellare per la felicità: era pieno di creature magiche. Una più bella dell’altra.
«Posso fare qualcosa per voi?» chiese gentilmente la commessa.
«La ringrazio, ma mio figlio vorrebbe prima dare un’occhiata» rispose Lilias.
Enan era estasiato e sarebbe rimasto volentieri lì dentro anche più di quanto Blair e Mary si erano trattenuti al Ghirigoro. Lo zio e la madre, però, erano stati chiari: non doveva metterci troppo. Blair aveva detto che poteva scegliere tra un gatto, un gufo e un rospo, perciò decise di concentrarsi solo su questi animali. Scartò immediatamente i rospi, perché non gli andavano particolarmente a genio e comunque avrebbe potuto benissimo catturarne a volontà nello stagno vicino alla fattoria; ignorò anche il reparto dedicato ai gatti, poiché preferiva di gran lunga cani e crup. A quel punto rimaneva solo l’opzione gufo. Il Serraglio Stregato proponeva decisamente un ventaglio di scelta sufficientemente ampio, ma appena vide una candida civetta se ne innamorò all’istante e non ebbe alcun dubbio.
«Questa» comunicò alla madre.
«Sei un vero intenditore» lo elogiò sorpresa la commessa. «Per lei va bene, signora?».
«Sì, certo» confermò Lilias notando l’euforia crescente del figlio.
«Grazie, grazie» trillò il ragazzino uscendo dal negozio. «È bellissima!».
«Se non ci fossero zio Alistair e zio Akira, penserei di essere stato adottato» bofonchiò Blair vedendo la civetta. «Tienimela lontano!».
Zio Aiden rise e poi si congratulò con Enan per la bella scelta. «Sai già come chiamarla?».
«No, devo pensarci» rispose Enan. I nomi nella loro famiglia non venivano mai scelti a caso. Per esempio Fagan in gaelico significava ‘gioioso’, Alistair ‘protettore degli uomini’ oppure Donel ‘dominatore assoluto’. Tutti i Macfusty fin da bambini imparavano il gaelico oltre che l’inglese.
Enan significava ‘di significato sconosciuto’ e tutti erano convinti, compreso lui, che il nonno l’avesse scelto perché non si conosceva l’identità di suo padre. Lilias si era sempre rifiutata di dirlo.
«Ehi, sveglia, parlo con te». Fagan gli stava sventolando una mano davanti agli occhi. «Com’è andato il pomeriggio?».
«Fantastico!» rispose Enan, raccontandogli ogni cosa, mentre si avviavano verso il Paiolo Magico.
«Ti ho preso questo» gli sussurrò Fagan, porgendogli una busta. Enan l’aprì e vide uno zaino. «Ma…».
«Ma, niente» lo zittì Fagan. «Si usano molto ultimamente. Ho sentito dire a Donel che ti avrebbe dato il suo vecchio. Fidati, meglio senza, che accettare qualcosa da lui».
«Siamo in ritardo, avanti muovetevi e siate educati» li ammonì zio Aiden richiamandoli. «Voi quattro aspettate».
Fagan gli rivolse un’occhiata interrogativa, ma Enan non seppe rispondergli. Mary, Bonny e Blair sembravano altrettanto perplessi di essere stati trattenuti.
«Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato, zio?» chiese Blair.
«No» rispose Aiden. «Ascoltatemi bene, però: non una sola parola su quello che ha detto Olivander a Enan. È meglio che rimanga fra di noi».
Blair e Bonny assentirono all’istante, probabilmente perché il primo aveva già compreso più di quanto lo zio avesse detto; mentre la bambina sapeva bene che era meglio non disobbedire al padre.
«Non mi puoi obbligare» disse, invece, Mary. «Lo racconterò a mio padre e non puoi impedirmelo».
Lo zio la fulminò con lo sguardo. «Fai come vuoi, ma mi aspetto che non una sola parola in merito uscirà dalla tua bocca durante la cena. Ricordati che, finché non torneremo a casa, sei sotto la mia responsabilità e devi obbedirmi».
Mary annuì a malincuore.
Enan non disse nulla. Il resto della serata fu tranquillo e persino lui dimenticò la conversazione. Non vedeva gli zii dalle vacanze pasquali e fu molto contento, specialmente per le attenzioni dello zio Akira, visto che le zie non lo consideravano per nulla.
 
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«È un po’ larga» tentò timorosamente Mark.
«Per chi mi hai preso? Per una sarta?» ribatté sua sorella Alexis.
«Non la puoi stringere un po’ con la magia?».
«Non lo so fare» replicò la ragazza. «Potrei strapparla».
Mark non le credette, ma ormai aveva imparato che contraddirla non portava mai a nulla di buono. «Papà» chiamò giocandosi la sua ultima carta.
L’uomo alzò lo sguardo dal giornale che sfogliava distrattamente e grugnì. «Se si strappa, non avrai nulla da indossare».
Mark abbassò lo sguardò su di sé e osservò la divisa di Hogwarts che stava provando: era appartenuta a Jay e, proprio per questo, era di almeno due taglie in più del necessario. Sentì un groppo in gola al pensiero che avrebbero riso tutti di lui.
«Se mettessi su un po’ di carne, non sarebbe male» lo derise Alexis. «Ora toglila, o la rovinerai, imbranato come sei».
Il ragazzino sospirò e obbedì. Se ne andò in camera sua e si cambiò lentamente, tentando di scacciare dalla mente l’idea che i suoi nuovi compagni l’avrebbero preso in giro e allontanato proprio come alla scuola babbana. Ogni sua speranza, che Hogwarts sarebbe stata una svolta positiva, stava scemando velocemente. Sprofondò mestamente sulla sedia della scrivania e diede un’occhiata ai libri che Jay gli aveva consegnato quel pomeriggio. Erano stati comprati anni prima, quando Alexis aveva iniziato la Scuola. I libri di seconda, o meglio terza mano, non avrebbero dovuto essere un problema, se solo i suoi fratelli li avessero tenuti bene! Li aveva già visionati tutti. Alexis aveva l’abitudine di conversare con le amiche scrivendo sui bordi dei manuali e gli aveva detto chiaramente che non doveva neanche pensare di cancellarli. Magnifico. Certo è che li aveva tenuti meglio di Jay. A quanto pare suo fratello, non avendo altro da fare durante le lezioni – seguire evidentemente non era stata una sua priorità – aveva praticamente divelto tutte le copertine.
Mark sospirò, ben sapendo che le recriminazioni fossero inutili e si sarebbero potute ritorcere contro di lui, così, di buona lena e armato di magiscotch, si ingegnò per sistemarli al meglio.
I suoi fratelli non parlavano molto con lui, meno che mai della Scuola, ma dalle condizioni di quei libri il ragazzino comprese che suo fratello dovesse odiare la storia profondamente. Infatti quel libro in particolare era quasi inutilizzabile: mancavano pagine, alcune erano strappate e altre erano state ricoperte di inchiostro colorato. Gemette. Come avrebbe fatto a studiare?
Suo padre gli aveva già ripetuto numerose volte che non avrebbe accettato risultati scarsi come quelli della scuola elementare, ma come avrebbe potuto fare? Non gli aveva neanche comprato il calderone, il telescopio, la bilancia e le provette di vetro presenti nella lista, asserendo che gliele avrebbero passate i fratelli al momento giusto perché tanto non avrebbero potuto mai avere Pozioni o Astronomia alla stessa ora. Probabilmente no, ma Mark sapeva che Alexis avrebbe approfittato della situazione per farlo finire nei guai con i professori.
«Mark, vieni qua!» lo chiamò suo padre.
Il ragazzino obbedì all’istante e trovò il padre e i fratelli in cucina. Alexis lo fissava con uno strano ghigno, che l’avesse messo nei guai in qualche modo? Jay, invece, mangiava apparentemente incurante di quanto accadeva intorno a lui.
«Tieni, era di tuo nonno».
Il ragazzino perplesso prese la custodia dalla forma allungata e l’aprì: era una bacchetta magica. La fissò senza comprendere.
«È tua, provala» lo esortò suo padre.
Quelle parole gli fecero più male di un pugno nello stomaco: sua? Perché? Gli occhi gli si inumidirono, ma si costrinse a concentrarsi e impugnò la bacchetta, scuotendola senza molta convinzione. La sedia di fronte a lui prese fuoco. Mark strillò e per lo spavento cadde seduto all’indietro. Alexis si affrettò a spegnere il piccolo incendio e a riparare la sedia. Jay lo fissava stralunato.
Mark osò incrociare lo sguardo paterno e si rese conto che il padre era furioso.
«Non l’ho fatto apposta» mormorò.
«Rimettila nella custodia e posala nel baule. Guai a te se la tocchi prima di aver messo piede in classe e su richiesta esplicita di un insegnante» ringhiò suo padre. Mark lo osservò alzarsi dalla sedia, recuperare una birra e dirigersi verso il salotto.
«Aspetta». Non aveva idea da dove fosse venuto fuori tutto quel coraggio, ma quando il padre si voltò verso di lui accigliato, tremò non sapendo che dire. Alla fine mormorò: «È ostile, non puoi comprarmene una?».
«No, non posso. Per quest’anno devi avere pazienza».
Mark lo sbirciò incredulo. «Ma hai comprato la scopa da corsa ad Alexis». Le parole gli scapparono e ne fu inorridito. Indietreggiò spaventato, ma suo padre non mosse un passo verso di lui.
«Tua sorella è diventata Capitano di Grifondoro, non poteva continuare a usare le scope della Scuola».
«Non è giusto». Che cavolo gli era preso? Perché non riusciva a tenere la lingua a freno quella sera? Di sfuggita colse l’espressione scioccata di Jay e quella furiosa di Alexis. Non osò nemmeno guardare il padre.
«Vai in camera tua Mark. Non voglio sentire altre polemiche per stasera».
Il ragazzino tremante non se lo fece ripetere. Corse nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si era sbagliato: non sarebbe stato come alla scuola babbana, sarebbe stato peggio.
Si buttò sul letto e pianse finché il sonno e la stanchezza non ebbero la meglio. Tuttavia, quella notte, si svegliò di soprassalto. Aveva la sensazione di aver fatto un brutto sogno, ma non ricordava nulla. Il suo cuore, però, batteva all’impazzata. Non era la prima volta che succedeva. Si alzò e, passeggiando per la stanza, tentò di tranquillizzarsi, ma i pensieri e le amarezze della giornata gli erano tornate tutte alla mente e, unite alla paura di non sapere perché il suo cuore sembrasse improvvisamente volergli saltare via dal petto, non lo aiutavano. Tentò di concentrarsi su qualcosa di bello, su qualche storia che aveva letto in biblioteca, cercò persino di illudersi che avrebbe potuto trovare delle valide soluzioni ai suoi problemi una volta giunto a Hogwarts. Impiegò diverso tempo a calmarsi. Solo quando si sentì più tranquillo, si sdraiò di nuovo, sperando nella clemenza del sonno.

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Capitolo 3
*** King's Cross: si parte! ***


Capitolo terzo
 
King’s Cross: si parte!
 
La mattina del primo settembre – probabilmente il giorno più atteso da ogni giovane mago – era finalmente giunta e Teddy era emozionatissimo. Il ragazzino, con i capelli tra il rosso e il rosa, girava freneticamente per casa verificando di aver preso tutto quello che gli sarebbe servito a Hogwarts, nonostante sua nonna gli avesse assicurato di aver controllato ella stessa il baule.
«Teddy, per l’amor di Merlino, stai fermo due secondi! Mi stai facendo girare la testa!» borbottò Andromeda Tonks, intenta a sfogliare La Gazzetta del Profeta di quel giorno.
Il ragazzino allora corse nella sua stanza e si diede un’ultima occhiata intorno, sua nonna, se l’avesse visto, avrebbe detto che era troppo sentimentale. Probabilmente lo era realmente, ma era vero anche che non avrebbe rivisto quella casa per i successivi tre mesi e mezzo.
Guardò l’ora sul suo orologio da polso e decise che era il momento di scendere al piano di sotto: aveva appuntamento con Diana e Laurence per le nove e non stava più nella pelle. Harry e la nonna gli avevano raccomandato di indossare vestiti babbani, in quanto si sarebbero recati in stazione con la macchina per venire incontro ai signori Webster, che avevano fin troppi motivi per essere in ansia quel giorno senza necessità di provare persino i mezzi di trasporto magici. Teddy si guardò allo specchio: indossava i soliti jeans, leggermente scoloriti sulle ginocchia – la nonna avrebbe voluto buttarli, ma il ragazzino gliel’aveva impedito perché andavano molto di moda tra i coetanei babbani e Diana riteneva che gli stessero bene -, una polo blu – questa nuova di zecca, scelta personalmente da Ginny -, un paio di semplici converse rosse e il cardigan realizzato a mano da nonna Molly. Tutto sommato, capelli a parte, avrebbe potuto benissimo essere scambiato per un semplice undicenne babbano. Chi avrebbe mai potuto dire che lui era un mago? La nonna, vedendolo a colazione, aveva storto il naso: non aveva nulla contro i Babbani, ma non apprezzava quel genere di abbigliamento.
Teddy, sempre più eccitato, prese il baule e iniziò a trascinarlo in corridoio e poi giù per le scale.
«Che stai facendo?» sbottò sua nonna, scegliendo proprio quel momento per apparire in fondo alle scale. «Lo porto giù con la… Teddy!».
Il baule era sfuggito dalle mani del ragazzino ed era scivolato a capofitto verso il piano di sotto. Fortunatamente, Andromeda fu rapida a reagire, si scansò dalla traiettoria del pesante bagaglio e con un gesto della bacchetta ne rallentò la corsa, proprio pochi secondi prima che si schiantasse contro la cristalliera.
Il ragazzino sorresse lo sguardo furioso della nonna, chiedendosi come uscire da quel guaio. A salvarlo fu il campanello. «Vado io» gridò Teddy, correndo giù e superando la donna per raggiungere l’ingresso. Aprì la porta di slancio, pensando fosse Laurence, ma diverse braccine sottili gli si attaccarono alle gambe e lo fecero cadere. Una risata divertita si levò in sottofondo.
«Dai, liberatelo» intervenne una voce femminile ben nota.
Teddy si raddrizzò quel tanto che poté, visto che Lily aveva deciso di sedersi sulle sue gambe e lo fissava con la sua boccuccia sdentata e tentava di allungare la manina verso i suoi capelli colorati.
Harry si abbassò e prese la bambina in braccio, la quale mise subito il broncio. «Ora viene anche Teddy» le disse il padre.
«Voi due lasciate alzare Teddy ed entrate in casa a salutare Andromeda» ordinò Ginny agli altri due figli.
Teddy aiutò Al ad alzarsi e lo vide trotterellare dietro ai genitori. «Jamie, levati» disse all’altro bambino che gli si era appiccicato al braccio.
«No!».
«Come no? Fammi alzare!».
«No!».
«Ehilà, comodo?».
«Laurence, non rompere» sbottò Teddy, ignorando il suo migliore amico, apparso sulla soglia di casa. «James, non farmi arrabbiare!» minacciò il più piccolo, ma questi strinse la presa.
«Ciao! Che state facendo? Credevo non dovessimo fare tardi…».
Il volto di Teddy andò in fiamme, quando apparve persino Diana. Si erano per caso messi d’accordo?
«Teddy, vuol rimanere qui» sghignazzò Laurence.
«Idiota» sibilò Teddy e si alzò, tirando anche James di peso. «Non voglio rimanere qui!». Il più piccolo mollò la presa. «Oh, bene, ti sei deciso…» ma poi Teddy tacque vedendo lo sguardo arrabbiato che James gli rivolse prima di correre in salotto. «Che gli ho fatto?».
«Beh, gli mancherai, no?» replicò Diana come se fosse ovvio.
Ah, Teddy proprio non ci aveva pensato e se ne vergognò.
«Sei pronto? I nostri genitori ci stanno aspettando» lo chiamò Laurence.
«Sì, sì. Vado a chiamare Harry e gli altri».
«Teddy, James è un bambino, vedrai che gli passerà» gli disse gentilmente Diana.
«Grazie».
«Allora, sei pronto?» lo accolse sorridente Harry.
«Sì e lo sono anche Diana e Laurence. Ci aspettano fuori».
«Bene, andiamo, noi è il caso di farci attendere» dichiarò Andromeda recuperando la borsa e un cappello.
«Devi proprio metterlo?» chiese Teddy contrariato: quel cappello andava di moda un secolo prima!
«Tu, zitto. Hai già fatto abbastanza per stamattina» lo redarguì la nonna.
Harry ridacchiò e gli circondò le spalle con un braccio. «La cristalliera, eh?». Il ragazzino si lasciò scappare un risolino nervoso, mentre controllava che la nonna non li potesse sentire. «Adesso, al baule ci penso io. Raggiungi i tuoi amici».
«Ma James…?». Teddy non sapeva come porre la domanda.
«Jamie capirà e poi Natale arriverà più velocemente di quanto crediate».
Il ragazzino sorrise al padrino e corse fuori, non notando lo sguardo commosso degli adulti né lo scambio di battute, mentre si avviavano alla macchina.
«Per fortuna, indosserà la divisa solo sul treno» sussurrò Harry alla moglie.
«Remus e Tonks sarebbero molto fieri di lui».
Harry le strinse la mano e annuì. «Allora, tutti a bordo» annunciò, mettendo Lily nel seggiolino. Jamie giocava ancora a fare l’offeso, così Al ne approfittò per attirare le attenzioni del fratellone per tutto il viaggio verso Londra; Lily, invece, era nella posizione giusta per allungare la manina e tirare i capelli rossi di Teddy. Arrivati alla stazione di King’s Cross il gruppetto si ricongiunse con i Webster i Landerson. Teddy affiancò gli amici, tenendo per mano Albus. James iniziò a infastidire Laurence e Diana, il perché lo sapeva solo lui.
«Dai, smettila» sbottò Teddy, mentre il bambino tentava di tirare le trecce della sua amica e la insultava a mezza voce, per non essere sentito dalla madre.
Giunti al passaggio tra i binari nove e dieci, Laurence e il padre passarono per primi, seguiti immediatamente dalla madre.
I signori Webster palesemente sottopressione si rivolsero a Harry, che, pazientemente, ripeté quanto aveva già detto loro il signor Landerson. Diana, mostrandosi coraggiosa, prese il carrello e corse verso il muro sotto gli occhi esterrefatti dei genitori, che furono costretti a seguirla. Teddy fu fiero di lei: aveva appena fatto il passo decisivo per entrare nel loro mondo, il mondo che le spettava di diritto.
Ginny e Andromeda attraversarono la barriera subito dopo, portando con loro Al, Lily e un capriccioso James.
Teddy strinse nervosamente l’impugnatura carrello e fissò il muro davanti a lui. Non aveva paura di andare a sbatterci contro, ma cominciava a essere veramente spaventato da quello che sarebbe accaduto dopo.
Harry gli strinse la spalla. «Avanti, ora non ci sta guardando nessuno».
Il ragazzino si sentì rincuorato da quel gesto e annuì, prese un bel respiro e corse verso la barriera. Al momento dell’impatto, che effettivamente non ci fu, chiuse gli occhi e quando gli riaprì la piattaforma 9 e ¾ apparve di fronte ai suoi occhi: una locomotiva rosso fuoco sbuffava vapore limitando la visuale, ma il chiasso dei ragazzi con genitori e animaletti domestici vari non era minimamente attutito.
Harry, insieme ai padri di Diana e Laurence, cercò uno scompartimento liberò e caricò il baule del figlioccio.
Alla fine si riunirono per un ultimo saluto. Teddy era sempre più agitato, un po’ perché aveva visto dei giornalisti tentare di avvicinarsi a loro, ma erano subito stati respinti da alcuni uomini in borghese e al ragazzino non erano sfuggite le occhiate d’intesa con il suo padrino, e anche perché vedere gli altri ragazzi e i suoi stessi amici salutare i genitori era stato un pugno nello stomaco. Era consapevole di avere una famiglia enorme che gli voleva bene, ma non era la stessa cosa e ora capiva ancora meglio il discorso che gli aveva fatto Harry qualche settimana prima. Si avvicinò al suo padrino e lo abbracciò di slancio, sperando di non scoppiare a piangere.
«Tutto bene, Teddy?» gli sussurrò Harry.
«No. Perché loro non sono qui?». La domanda gli era sfuggita senza che potesse farci nulla. Sentì Harry irrigidirsi e se ne pentì, ma questi non disse nulla e lo strinse a sé con forza.
«Ci sono cose che ci si sente di dover fare. I tuoi hanno deciso di combattere, non si sarebbero mai nascosti» rispose sinceramente Harry. «Troverai tanti altri amici fantastici a Hogwarts, vedrai».
Teddy annuì e si staccò, per salutare Ginny, la nonna e i bambini. Non poteva permettersi di crollare in presenza di tanta gente, non era nel suo carattere.
«No!» urlò James, interrompendo le ennesime raccomandazioni di Andromeda e Teddy gliene fu grato.
Teddy si piegò in modo di essere alla stessa altezza del bambino. «Torno presto, vado a imparare a fare le magie, così poi te le insegno».
Gli occhi del bambino si illuminarono. «Promesso?».
«Sì».
«Torni presto?».
«Apriremo insieme i regali di Natale come ogni anno» rispose Teddy e James sembrò contento e soddisfatto.
Teddy, Diana e Laurence salirono sul treno e raggiunsero il loro scompartimento, affacciandosi poi dal finestrino per continuare a salutare.
 
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«Enan, sbrigati. Non vorrai perdere il treno?».
«Certo che no! Arrivo, mamma» rispose il ragazzino afferrando la gabbia della sua civetta e correndo fuori dalla stanza.
Lo aspettavano tutti all’ingresso del Paiolo Magico.
«Eccitato?» lo accolse Fagan, divertito.
Enan annuì, continuando a guardarsi intorno. Erano giunti a Londra il giorno prima e avevano dormito al Paiolo Magico. Nelle ultime settimane il ragazzino era stato ben due volte a Londra e ne era entusiasta, sebbene preferisse la tranquillità della sua isola. Si avviò rimanendo accanto al cugino, che di certo non era agitato, visto che era la settima volta che partiva per Hogwarts!
Per raggiungere la stazione a piedi impiegarono una mezz’oretta.
«Oh». Enan quasi si sentì sopraffatto nell’entrare in quell’immenso edificio e ancor di più vedendo i treni. La madre dovette richiamarlo più volte perché non rimanesse indietro e si perdesse nella folla.
Artek e Fagan fecero a gara a chi attraversasse per primo il passaggio, mentre Enan rimase indietro insieme alla madre. Era molto nervoso.
«Passiamo insieme?» chiese allora alla madre. In quel momento si sentì veramente patetico: non ci voleva molto ad attraversare la barriera! Sua madre annuì e appoggiò le sue mani sulle sue.
«Pronto?» gli chiese. Era nervosa anche lei. Il ricordo della breve chiacchierata del pomeriggio prima con il nonno ritornò prepotentemente alla mente del ragazzino.
 
«Enan, vieni un attimo nel mio studio».
La voce autoritaria del nonno riscosse Enan, intento a controllare di aver messo tutto il necessario dentro il baule. Non dovette rispondere, se il vecchio Donel Macfusty chiamava c’era poco da discutere: lo sapevano i figli, lo sapevano a maggior ragione i nipoti. Perciò il ragazzino scese al primo piano e raggiunse lo studio, che altro non era che una stanza nella quale il nonno conservava i documenti della famiglia e della fattoria: era un ambiente piccolo, occupato da una larga scrivania, due sedie dallo schienale rigido e degli scaffali addossati al muro.
«Eccomi, nonno» disse Enan entrando.
L’anziano continuò a leggere una pergamena per qualche secondo, poi si grattò il mento distrattamente.
«Odio, la burocrazia. Il Ministero vuol fare un’ispezione… spero almeno che mandino qualcuno competente, l’ultima volta uno si stava facendo divorare… Enan, entra, non stare sulla porta». La prima parte del discorso era stato un borbottio seccato, l’ultima parte era stata decisamente un ordine.
Enan obbedì e si pose all’in piedi tra le sedie e gli scaffali.
«Siete pronti a partire?».
«Sì, nonno. Stavo ricontrollando di aver preso tutto, prima che Fagan porti i bauli all’ingresso».
«Bene» commentò l’anziano. «Non voglio che perdiate la passaporta per Londra, sarebbe una scocciatura enorme». Si alzò e si avvicinò al nipote, fissandolo dritto negli occhi. Enan distolse lo sguardo, ma una mano sotto il mento lo costrinse a rialzarlo nuovamente. Il ragazzino sentì il cuore battere a mille, incapace di cogliere i pensieri del nonno. Si chiese se dovesse dire qualcosa, ma tacque ancora.
«Fatti onore a Hogwarts. Non deludermi e soprattutto non deludere tua madre».
Enan deglutì e si costrinse ad annuire. «Farò del mio meglio» sussurrò chiedendosi che cosa intendesse il nonno: non aveva mai preteso un particolare successo accademico da parte dei figli o dei nipoti, perché ora gli faceva quel discorso?
«Bene». Il nonno sembrò contento di quella risposta e gli diede un buffetto affettuoso. «Se hai bisogno di qualcosa, scrivimi».
 
«Enan» lo richiamò dolcemente la madre, ora leggermente preoccupata.
«Sì, tranquilla. Sono pronto».
E, una volta raggiunti i cugini e gli zii sul binario 9 e ¾, Enan aveva promesso a sé stesso di non deludere mai sua madre.
«Mi mancherai» mormorò Lilias abbracciandolo.
Enan sospirò e annuì. «Anche tu, ma Natale arriverà presto».
 
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«È un muro di mattoni! Siamo sicuri che non sia uno scherzo!?».
Zoey sbuffò e si voltò verso il padre: come poteva avere ancora dei dubbi? Ne aveva avuti un’infinità anche lei, ma dopo aver visto Diagon Alley erano spariti tutti.
«È così che ha detto il professor Paciock» tagliò corto la ragazzina, prima che sua madre potesse replicare. Sospirò e puntò la barriera. Aveva litigato con le sue amiche, che poi tanto amiche non le sembravano più ora: aveva tentato loro di raccontare la verità, ma non le avevano creduto e ritenevano che fosse soltanto una scusa bislacca per nascondere il fatto che i suoi genitori l’avessero iscritta in quella scuola di Londra che tanto volevano, perciò l’avevano accusata di tradimento. C’era stata male per giorni, ma se quel muro di mattoni la separava dalla sua nuova scuola, non avrebbe rinunciato e non sarebbe tornata indietro per paura di sfracellarsi. «Dovete venire con me, o rimarrete fuori».
I signori Turner, titubanti, affiancarono la figlia. Zoey impaziente prese le loro mani e le appoggiò sull’impugnatura del carrello. «Al mio tre corriamo» dichiarò allora, sorpresa che la stessero veramente ascoltando. «Uno… due… tre!».
Zoey chiuse gli occhi e trattenne il fiato, ignorando le urla dei suoi genitori. Non vi fu alcun impatto.
Riaprì gli occhi e rimase senza parole: una locomotiva scarlatta occupava già il binario e molti ragazzi affollavano la piattaforma, alcuni vestiti in modo strano proprio come le persone che aveva visto al Paiolo Magico.
La ragazzina si voltò verso i suoi genitori e li trovò a bocca spalancata che si stringevano tra di loro totalmente increduli. Ella, per conto suo, tirò un sospiro di sollievo e cominciò a guardarsi intorno, tentando di non perdersi nulla di quella nuova avventura. Magari avrebbe anche rincontrato Charlie, la ragazzina conosciuta a Diagon Alley. Tentò di allungare il collo, ma c’erano così tanti ragazzi e ragazze di età diverse, che rinunciò quasi subito. Se non l’avesse rivista sul treno, sicuramente a Scuola ci sarebbe riuscita, in fondo erano dello stesso anno per quello che aveva capito.
«Zoey». La voce della madre era quasi un sussurro.
«Avete visto? È tutto ok. È tutto come l’aveva descritto il professor Paciock».
«Già» sospirò suo padre. «Dai, cerchiamo un posto per te, così ti aiuto a caricare il baule».
Impiegarono un po’ di tempo a trovare uno scompartimento libero.
«L’anno prossimo verremo prima» borbottò sua madre.
Il signor Turner caricò il baule su una retina. «Penso che ci saranno dei facchini in quella Scuola, no? O al massimo potrai chiedere a qualche ragazzo più grande di aiutarti all’arrivo…» bofonchiò.
«Non ti preoccupare. Troverò senz’altro un modo».
«Non mi preoccupo» rispose inaspettatamente suo padre. «So che te la caverai benissimo. Semplicemente avevo creduto che questo momento sarebbe arrivato non prima di altri sei-sette anni, quando ti saresti iscritta all’università…».
«A Natale sarò di nuovo qui. Ho già un’idea di quello che voglio come regalo» ribatté Zoey con un ampio sorriso. «Vi manderò una lista completa naturalmente».
«Non ne avevamo dubbi» sbuffò sua madre.
«Scrivici, mi raccomando. E non solo la lista dei regali che vuoi» intervenne suo padre, mentre tutti e tre tornavano sulla piattaforma – la signora Turner non aveva resistito alla curiosità di osservare il treno dall’interno - «Sul serio, eh. Se non puoi stasera stessa, domani mattina scrivici».
«Giusto o staremo in pensiero» soggiunse la signora Turner.
«Va bene, tanto avete capito come funziona la posta via gufo?».
«In teoria sì, ma abbiamo bisogno di un po’ di pratica» rispose suo padre.
«Tranquilli, vi racconterò ogni cosa!».
«Certo, ogni cosa» replicò ironico il signor Turner. «Piuttosto, promettimi di non distruggere la Scuola».
«Esagerato».
«Promettimelo».
«Lo prometto, lo prometto» sbuffò Zoey.
Infine arrivò il momento dei saluti veri e propri. La ragazzina abbracciò entrambi i genitori, conscia che le sarebbero mancati e probabilmente se ne sarebbe resa conto soltanto quella sera, ma comunque eccitata e non vedendo l’ora di partire.
«Se dovessi trovarti male o dovessero trattarti male, verrò a prenderti, babbano o meno» le sussurrò suo padre, mentre saliva sul treno.
Zoey sorrise.
 
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Quel primo settembre 2009 sarebbe rimasto indelebile nella mente della famiglia Krueger: non perché l’ultimogenita, Charlotte, sarebbe partita per Hogwarts per la prima volta e nemmeno perché era l’ultimo viaggio del primogenito, James, nominato persino Caposcuola, ma perché per la prima volta da più di dieci anni il giudice Krueger era uscito di casa.
La famigliola contava di non aver problemi con giornalisti invadenti perché quel giorno sarebbe partito per Hogwarts Ted Lupin, niente meno che il figlioccio di Harry Potter, per cui i giornalisti avrebbero riversato le loro energie sul povero ragazzino.
Charlie era particolarmente contenta e soddisfatta per aver convinto il padre ad accompagnarla. Era riuscita a lasciare senza parole persino quell’antipatico di James!
Cris, il maggiordomo, li seguiva a rispettosa distanza: in teoria avrebbe dovuto guidare il giudice, ma i figli si erano rifiutati e a turno James e Willy conducevano il padre. Charlie trotterellava accanto a loro, così come la madre radiosa come la ragazzina non l’aveva mai vista. Questo confermava a Charlie che gli adulti erano inutilmente complicati.
Il binario era affollatissimo, proprio come gli anni precedenti. Charlie vi era stata già diverse volta, ma questa sarebbe stata diversa: sarebbe partita con la bellissima locomotiva scarlatta.
«Sei pronta, Charlie?» le chiese suo padre, quando si fermarono.
«Prontissima. Spero solo di aver preso tutto».
«In caso contrario, Cris ti manderà quello che hai dimenticato».
«Caro, c’è tuo cugino Rudolph».
Charlie gemette.
«Su, Charlie, sii educata» la esortò il padre.
La ragazzina non aveva nulla contro il cugino Rudolph, anzi assomigliava al padre sia caratterialmente che fisicamente, sebbene fosse più rigido e severo; quelle che non sopportava erano le figlie del cugino, specialmente le due più grandi. Salutò educatamente, come le era stato richiesto, ma avrebbe tanto voluto defilarsi.
«Quindi, quest’anno verrai anche tu a Hogwarts!» disse Josephine, la maggiore delle tre sorelle.
«Già». Charlie aveva sempre creduto che i Corvonero dovessero essere intelligenti, ma evidentemente sua cugina doveva aver corrotto il Cappello Parlante in qualche modo.
«Non vedo l’ora che arrivi anche il mio turno» sospirò sognante Kloe, di nove anni.
Charlie annuì distrattamente, pregando di essere salvata da quella situazione così noiosa. Lanciò un’occhiata alla cuginetta più piccola, che si nascondeva dietro le gambe del padre e le sorrideva nervosamente. Cecilia era una bambina adorabile, chissà come faceva a sopportare delle sorelle del genere. Ah, già lei sopportava James, quindi doveva esserci una via d’uscita per tutti.
«Josephine, sono sicura che sarai un’ottima guida per Charlotte».
Sua madre non aveva detto quelle parole, non poteva averle dette!
Charlie si voltò verso la donna e la fulminò con gli occhi, ma fu bellamente ignorata.
«Ma certo, Alexandra, ne sarò lieta».
Charlie ringhiò a voce bassa, chiedendosi quanto avrebbe resistito senza tirare una delle caccabombe che aveva nascosto nel baule sulla testa di quella smorfiosa di Josephine. Non poteva andare peggio di così! Oh, oh, l’aveva pensato davvero? La voce squillante della signora Gould, le ricordò che non c’era limite al peggio.
Matilde Gould le rivolse un sorriso acido e rimase appiccicata a un’altra ragazzina, vagamente nota a Charlie.
«Oh, Alexandra cara, ti ricordi di Elisabeth Foster?».
«Naturalmente!» trillò la signora Krueger, con quella vocetta da ‘alta società’ che Charlie tanto odiava poiché era convinta che sua madre non fosse così tanto stupida. «Tuo fratello non ha potuto accompagnarti, tesoro?». Voce melensa, altra cosa che Charlie non sopportava.
«No, il Campionato sta per iniziare ed è in ritiro con la squadra» rispose Elisabeth Foster contrariata.
Squadra? Campionato? Qualcosa si mosse nella memoria di Charlie, che si voltò verso Willy.
«Non ti ricordi?» le sussurrò lui, affiancandola. «Suo fratello gioca nel Portree Pride».
«Oh». Ecco perché quel nome non le era nuovo! Charlie fissò la coetanea con rinnovato interesse.
«Perché non troviamo uno scompartimento per tutte? Così le ragazze potranno conoscersi meglio durante il viaggio». Stava scherzando? Sua madre aveva deciso di aver così tante idee brillanti proprio quel giorno? «Cris!».
Il maggiordomo si mise a lavoro.
Charlie pensò di rifiutarsi di lasciargli prendere il baule, poi decise che una volta sul treno avrebbe avuto mille possibilità per fuggire a quella compagnia. Improvvisamente neanche Elisabeth Foster appariva un buon motivo per sorbirsi una viaggio del genere.
«Charlie».
La ragazzina corse dal padre, comprendendo che volesse salutarla lontano da tante orecchie indiscrete.
«Mi mancherai» gli disse subito.
«Anche tu» replicò suo padre sorridendo bonariamente. «La casa sarà troppo silenziosa».
«Ma tu tornerai a lavoro adesso, no?».
L’uomo si passò una mano sulla guancia rasata e sospirò. «Non ne sono sicuro ancora. Il Wizengamot ha già fatto a meno di me, ma ti prometto che smetterò di trascorrere le giornate in biblioteca».
«Bene, mi devi raccontare tutto però».
«Certo, anche tu. Cris mi leggerà le tue lettere come ha sempre fatto con quelle dei tuoi fratelli».
«Ti scriverò stasera stessa, appena arriverò nella Torre di Grifondoro, te lo prometto».
«Ci conto» ribatté suo padre. «Spero, però, di non ricevere lettere dal direttore della tua Casa, eh».
«Questo non te lo posso promettere».
«Charlie» sospirò l’uomo. «Cerca di comportarti bene».
«Ci proverò».
«Meglio di niente» si arrese suo padre. «Fa’ buon viaggio» soggiunse abbracciandola.
Charlie ricambiò la stretta, poi corse a salutare al volo anche la madre, Rudolph e le cugine più piccole. Ignorò la signora Gould nonostante i rimproveri della madre.
Il treno fischiò mentre i ragazzi salivano sul treno e l’eccitazione di Charlie aumentò notevolmente.
 
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«Charis, mi dispiace, non avrei dovuto usare la Materializzazione Congiunta» sospirò Adam Williamson, tenendo la testa della nipotina, che, bianca come un cencio, vomitava la colazione in un’aiuola.
«Non fa niente» mormorò la ragazzina flebilmente.
«Va meglio?».
«Sì».
«Dobbiamo andare» disse allora Adam, trattenendo un’imprecazione quando il treno fischiò per l’ennesima volta.
Charis gli diede la mano e a passo svelto si inoltrarono nella folla, tentando di raggiungere il treno.
«Ti aiuto». Adam issò il baule sul treno, scusandosi per la millesima volta per il ritardo e la materializzazione. Non avevano neanche il tempo di cercare insieme uno scompartimento.
«Non fa niente zio, sul serio» replicò Charis agitata.
«Sicura? Non è tutto a posto, lo vedo dalla tua faccia».
«Ho… paura» sussurrò la ragazzina a voce bassissima.
Adam la sentì ugualmente e si abbassò alla sua altezza. «Andrà tutto bene, fidati. Hogwarts è fantastica. Per qualunque problema i professori ti sapranno aiutare e farai finalmente amicizia con ragazzini della tua età. Vedrai, è normale essere spaventati quando si inizia qualcosa di nuovo».
Charis annuì poco convinta e gli buttò le braccia al collo, scoppiando in lacrime. «Verrai a trovarmi?».
«I genitori non vengono a trovare i figli di solito, i tuoi compagni ti prenderebbero in giro».
«Non m’interessa».
«Vedremo, va bene?».
Il treno fischiò di nuovo attirando l’attenzione dei ritardatari e spingendo i genitori rimasti sul binario a nuovi saluti.
«Va bene» sospirò Charis, ben sapendo di non poter ottenere nulla di più.
«Adesso, sali. O perderai il treno!».
Charis obbedì.
Adam ebbe un tuffo al cuore vedendo quella figurina piccola e fragile, infagottata in una nuovissima divisa di Hogwarts, fissarlo con gli occhi rossi. Dovette trattenersi per non prenderla in braccio e portarla via da lì: era per il suo bene. A Hogwarts avrebbe trovato la sua strada, come ogni mago.
 
 
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«Siamo in ritardo!» sbottò Alexis scendendo dalla macchina e saltellando quasi sul posto. «Perderemo il treno e sarà colpa tua, Mark!».
Il ragazzino si voltò a fissarla incredulo. Naturalmente, era sempre colpa sua.
«Sbrigatevi, anziché lamentarvi» sbottò loro padre. «Jay, stai ancora mangiando!?».
«Sono pronto, sono pronto» bofonchiò il quindicenne con la bocca piena.
«Mark, prendi il tuo baule, io devo portare quello di tua sorella».
Il ragazzino gemette e tentò di trascinare il bagaglio su per le scale della stazione.
«Sei lento» lo redarguì Alexis.
Mark era nervosissimo e si morse la lingua per non dire qualcosa che l’avrebbe messo nei guai.
Una volta messi i bauli nei carrelli si misero a correre in mezzo alla folla tra i vari binari e fu davvero orribile: Mark rischiò di sbandare un paio di volte e altrettante, se non di più, di perdere di vista la sua famiglia; arrivò alla barriera del binario 9 e ¾ in tempo per vedere Alexis sparire, immediatamente seguita da Jay.
«Tocca te» disse suo padre. «Se perdi il treno, mica ti ci porto io a Scuola».
Mark non aveva alcun dubbio su questo. Prese un bel respiro e corse verso il muro. Dall’altro lato, i suoi fratelli erano già corsi verso il treno. Per un attimo ne rimase deluso, sentendosi smarrito in un posto totalmente nuovo per lui.
«Ti sei incantato, per la miseria!?» imprecò suo padre, apparso alle sue spalle.
Allora il ragazzino si mosse verso la locomotiva, sempre più incerto e spaventato. All’improvviso riapparvero i suoi fratelli, già liberatisi dei bauli, e salutarono rapidamente il padre.
«Mark, vedi di comportarti bene, ci siamo capiti?».
«Sì, signore» replicò automaticamente il ragazzino.
«E vedi di non mettermi in imbarazzo con i miei compagni» soggiunse Alexis. «Ho una reputazione io».
Mark non aveva idea di come avrebbe potuto metterla in imbarazzo, ma non osò ribattere.
«Sì, infatti tua sorella è il Capitano della squadra di Grifondoro!» disse il padre. «Ora, salite. Il treno sta per partire».
Mark si affrettò dietro i fratelli e suo padre chiuse la porta alle sue spalle. In quell’istante la locomotiva si mosse. Era veramente partito per Hogwarts. Con un sospiro fece per avviarsi lungo il corridoio dietro ai fratelli, ma Alexis si voltò di scatto e gli puntò contro un dito.
«Allora non hai capito niente! Devi starci lontano!».
Il ragazzino la fissò incerto: aveva detto di non metterla in imbarazzo, no di non seguirla. E comunque aveva parlato per sé, non per Jay, che continuava a rimanere in silenzio fissandosi i piedi.
«Ma so io cosa fare con te!».
Alexis si lanciò contro di lui e lo afferrò per il colletto della maglietta. «Mollami» la supplicò, terrorizzato da quello che gli avrebbe fatto. La ragazza lo trascinò per qualche metro, poi aprì una porta e lo spinse all’interno di un piccolo bagno.
«Goditi il viaggio» gli sibilò ella con cattiveria.
«No!» gridò Mark, ma Alexis lo chiuse dentro, probabilmente usando una magia visto che lui, nonostante ripetuti tentativi, non riuscì a riaprire la porta. Stanco, si lasciò scivolare a terra, appoggiando la schiena alla porta e nascondendo la testa tra le ginocchia. Se quello era l’inizio, non nutriva alcuna speranza per il seguito.
 
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Charis si appoggiò con le spalle alla parete e sospirò: era partita realmente e sarebbe stata lontano da suo zio per mesi! Guardò il baule e si disse di non poter rimanere lì, ma di dover trovare uno scompartimento come le aveva suggerito lo zio.
«Mi permetti di darti una mano?».
Quella voce le fece sollevare gli occhi di scatto. «Shawn!» strillò meravigliata.
«Ciao» replicò gentilmente il ragazzo, spostandosi gli occhiali con un gesto impacciato. «Vuoi sederti nel mio scompartimento? Credo di doverti delle spiegazioni».
«Sì, grazie» mormorò Charis imbarazzata.
Shawn sorrise e prese il baule per il manico. «Questo lo porto io, tranquilla».
«Grazie».
«Vieni, è qui vicino».
Charis lo seguì in silenzio.
«Eccoci» annunciò Shawn, poi servendosi della magia fece levitare il baule nel portabagagli.
«Oh, sei bravissimo».
Shawn arrossì. «Oh, no. È un semplicissimo incantesimo di levitazione. Vedrai a halloween saprai farlo anche tu».
«Speriamo» mormorò la ragazzina prendendo posto di fronte a lui.
«Come speriamo? Fidati, è molto più facile di quel che sembra e il professor Vitious è bravissimo!».
Per qualche secondo cadde un silenzio imbarazzato, poi Charis si prese di coraggio e gli chiese: «Allora, ehm, quindi sei un mago…».
«Ehm, già… scusa se non te l’ho detto… ma c’erano sempre gli altri e avevo paura che mi sentissero, così ho deciso di aspettare fino a oggi…».
«Aspetta, ma tu come sapevi che io sono una strega?».
Shawn sorrise. «I miei genitori lavorano al Ministero, quindi conoscono tuo zio».
«Ah, ecco» replicò Charis. «E che lavoro fanno?».
«Mio padre lavora nell’Ufficio Applicazione Legge sulla Magia, mentre mia madre in quello dei trasporti magici. Tu zio, invece, è un Auror, dico bene?».
«Sì» rispose la ragazzina, ma notando il luccichio negli occhi dell’amico aggiunse: «Da grande vuoi fare l’Auror?».
«Forse… non so… sarebbe bello…» bofonchiò Shawn arrossendo.
Charis sorrise e tirò fuori l’album da disegno dallo zaino. «Ti dispiace se disegno un po’?».
«No, fa’ pure. Io mi sono portato un libro».
Trascorsero quasi un paio di ore in totale silenzio, se non si contavano gli schiamazzi provenienti dal corridoio, ma verso l’una giunse la signora del carrello e Shawn offrì a Charis una brioche di zucca e un pacco di cioccorane.
«Ehilà». La porta dello scompartimento si aprì una seconda volta rivelando un ragazzo decisamente più grande, che indossava i colori di Serpeverde e una spilletta argentata riluceva sul suo petto. I Serpeverde avevano una brutta fama e Charis s’inquietò un po’ vedendolo.
«Ciao». La reazione tranquilla di Shawn tranquillizzò in parte la ragazzina, che continuò a fissare il nuovo arrivato. «Charis, ti presento mio fratello Austin. Austin, ti presento la mia amica Charis».
«Oh, quindi tu sei la famosa Charis! Shawn ti ha nominato un milione di volte quest’estate. Piacere di conoscerti».
Charis rossissima in volto strinse la mano che il ragazzo le aveva allungato. Shawn ora fissava il fratello maggiore con sguardo indignato.
Austin ghignò palesemente divertito. «Raggiungo i miei compagni, ci si vede a Scuola».
«Scusalo» borbottò Shawn fissando con ostinazione fuori dal finestrino.
«Tranquillo» bofonchiò Charis altrettanto imbarazzata. «Anch’io ho parlato di te a mio zio» mormorò innocentemente.
Shawn sorrise leggermente e, per cambiare discorso, chiese: «Sai giocare a sparaschiocco?».
«Sì, mio zio me l’ha insegnato».
«Ti va una partita?».
«Sì, ok».
 
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«Ehi, Angel, giusto? Tu che cosa sai delle Case? Come avviene lo Smistamento?». Zoey, messa da parte la figurina dell’ennesima cioccorana, pose questa domanda a un ragazzino minuscolo con cui condivideva lo scompartimento.
Gli altri ragazzi, Nati Babbani come lei, abbandonarono le figurine delle cioccorane –diventate il loro principale interesse nell’ultima ora e mezza – e si voltarono verso di loro.
«In che senso come avviene lo Smistamento?» chiese perplesso un ragazzino di nome Samuel Harper.
«Beh, in qualche modo ti smistano, no?» ribatté Zoey come se fosse ovvio.
«Infatti, voi maschi siete proprio lenti» aggiunse Ida Fischer in tono di sopportazione. Samuel le fece la linguaccia e il verso.
Angel, per conto suo, si raddrizzò sul sedile e posò il libro che stava leggendo sulle ginocchia. «Non lo so» ammise dopo un attimo di riflessione.
«Come non lo sai!? Hai detto di non essere un Nato Babbano» disse Ida Fischer.
«È complicato» borbottò Angel, stringendo il libro con forza.
«Cosa? Lo smistamento?» chiese preoccupata un’altra ragazzina di nome Hannah.
«O tu?» buttò lì con una certa superbia Ida Fischer.
«Ehi, non sei simpatica» sbottò Samuel.
«Che cos’è? Stupida solidarietà maschile?» ribatté Ida.
«Stupida sarai tu» si alterò il ragazzino.
«Dateci un taglio» sbottò Danila Allen. «Angel, potresti rispondere? Così questi due non si azzannano…».
«Vivo con mia nonna, ma lei è una magonò, perciò non ha mai frequentato Hogwarts».
«Che significa ‘magonò’?» domandò Hannah.
«Praticamente è il contrario di Nato Babbano. Il magonò è figlio di maghi, ma non ha poteri magici» rispose Angel.
«Quindi non sai come funziona lo smistamento?» sbuffò Ida delusa.
«No, mi dispiace» mormorò Angel.
«Secondo voi, quanto manca per arrivare a Hogwarts?».
«Samuel, l’avrai chiesto già trenta volte negli ultimi trenta minuti» sbottò infastidita Ida Fischer.
«Non è vero!» ribatté il ragazzino. «E tu mi stai già antipatica. Spero proprio che saremo in due Case diverse».
«Almeno su questo siamo d’accordo: non vorrei mai essere associata a uno come te».
Zoey sbuffò, pensando che a lei sarebbe piaciuto stare nella stessa Casa di Samuel: sembrava proprio simpatico. Si stravaccò meglio sul sedile e sbirciò fuori dal finestrino. Ormai il sole stava per tramontare. Fino a quel momento Zoey era molto contenta avendo conosciuto tanti ragazzini della sua età, inoltre aveva assaggiato tutti i dolci magici che poteva e aveva iniziato la sua collezione di figurine dei Maghi e delle Streghe più famose.
«Hannah» chiamò. La ragazzina dai lunghi capelli biondi si voltò sorridente verso di lei. «Me la fai una foto così, per favore?».
«Certo!» rispose Hannah sollevando la sua macchina fotografica. Era un modello molto vecchio.
«Anche a me» saltò su Ida.
«La faccio a tutti, se volete». Persino Samuel si mostrò contento e la ragazzina si sbizzarrì.
«Sei stata un genio a portarla» commentò a un certo punto Zoey. «Così potremo mandare un sacco di foto ai nostri genitori».
 
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«Grande, Enan!» gridò Fagan, battendogli il cinque.
Il ragazzino ricambiò orgoglioso. Suo cugino non solo l’aveva invitato nello scompartimento dei Grifondoro del settimo anno, ma lui e i suoi amici gli avevano permesso di giocare con loro a sparaschiocco.
«Sarai un fantastico Grifondoro, ne sono sicuro!» aggiunse Philippe Easton, aumentando maggiormente l’orgoglio del ragazzino.
 «Potrebbe anche essere un Serpeverde, voi Grifondoro siete così noiosi» intervenne l’unica ragazza del gruppo.
Philippe Easton e un altro ragazzo fecero finta di vomitare.
«Suvvia, Louise, basta mio cugino Donel come Serpeverde» rispose Fagan con un sorrisetto divertito per la reazione dei suoi amici.
Ed ecco, ancora una volta, quella strana sensazione che aveva colto Enan all’inizio del viaggio e in particolar modo nell’istante in cui Fagan gli aveva presentato Louise. Il ragazzino s’incupì leggermente e appoggiò la testa al finestrino. Il sole ormai era basso sull’orizzonte. Il ragazzino non avrebbe saputo dire quale fosse il problema, ma percepiva che Fagan fosse diversa dal solito, eppure era stato gentile e simpatico come sempre.
«Ehi, ti senti bene? Vuoi uscire in corridoio? Sicuramente è più tranquillo di questo scompartimento».
La proposta di Fagan colse Enan allo sprovvista, ma questi accettò immediatamente rendendosi conto per la prima volta che iniziava a mancargli l’aria. Suo cugino si scusò con gli amici e lo seguì in corridoio.
«Come facevi a sapere che avevo bisogno d’aria?» gli domandò subito Enan.
Fagan fece una smorfia e si appoggiò con le spalle alle pareti. «Ci sono passato».
«Vuoi dire che è colpa dell’emozione?».
«In parte, ma non solo» rispose il più grande. «È l’ambiente che ti soffoca».
Il ragazzino scosse la testa: «Non capisco. È forte il treno, non c’ero mai salito».
«Non è questo» sospirò Fagan. «Sei abituato alla nostra isola, agli spazi aperti».
«Oh». Enan non ci aveva pensato, ma si ricordò di aver colto con sollievo la proposta del cugino di sedersi vicino al finestrino. «Ma tanto tra poco arriviamo, no?».
«Sì, sì, te l’ho detto per cena saremo al castello» replicò Fagan. «Ti abituerai» tagliò corto dopo un attimo di silenzio.
«Mi abituerò a cosa?».
«Alla routine di Hogwarts» rispose laconicamente l’altro. «Io torno dentro, tu fatti pure un giro».
Enan annuì distrattamente e sospirò.
 
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«Accidenti!» sbottò Mark a bassa voce. Tanto ci aveva giocato, che era riuscito ad allargare lo strappo sul ginocchio dei jeans.
Non sapeva da quanto tempo fosse rinchiuso in quel bagno – fortunatamente molto più pulito in quelli della scuola elementare in cui i suoi compagni lo rinchiudevano per gioco -, non aveva un orologio e si era vergognato da morire di battere sulla porta e attirare l’attenzione su di sé. In più se sua sorella fosse stata là vicino si sarebbe arrabbiata probabilmente. Aveva tentato di cambiare posizione più volte, stando anche all’in piedi, ma alla fine profondamente annoiato si era gettato nuovamente a terra aveva appoggiato le spalle alla porta.
Si rese conto che era stata una pessima idea, soltanto quando qualcuno aprì da fuori all’improvviso e lui cadde all’indietro. Tre paia d’occhi lo fissarono straniti.
«Perché ti sei chiuso nel bagno?» chiese a bruciapelo l’unica ragazza presente. «E perché non hai risposto quando abbiamo bussato?».
Il panico minacciò di impossessarsi del ragazzino, che si affrettò a rialzarsi. Non aveva sentito bussare: probabilmente Alexis aveva incantato la porta insonorizzandola. Mark, però, non rispose sia perché non aveva la minima idea di come spiegare una cosa del genere sia perché aveva riconosciuto la spilla sulla divisa della ragazza. Dire che era terrorizzato, sarebbe stato poco.
«Mi sa che l’hai spaventato, Elly».
«Zitto, Bobby».
Mark fissava intensamente il pavimento, perciò non avrebbe potuto dire che espressione avesse la Caposcuola, ma il tono della sua voce appariva abbastanza autoritario.
Elly pose una mano sotto il mento del ragazzino e lo costrinse a guardala o almeno ci provò, perché Mark fissò con forza un punto alle spalle della ragazza pur di evitarne gli occhi.
«Sei del primo anno, vero?».
Mark deglutì e annuì silenziosamente.
«Chi ti ha chiuso in quel bagno?».
Il ragazzino tremò al solo pensiero di quello che sarebbe accaduto se avesse detto la verità alla Caposcuola: come minimo sua sorella l’avrebbe ucciso. Alla reazione di suo padre, invece, non voleva proprio pensare.
«Non piangere. Non ti obbligherò a dirmelo» lo sorprese la ragazza. Il ragazzino si asciugò le lacrime che gli erano sfuggite, tentando di calmarsi. «Mi chiamo Eleanor Montgomery, ma di solito mi faccio chiamare Elly. Tu come ti chiami?».
«Mark» mormorò il ragazzino.
«Proprio un bel nome» commentò Elly con un sorriso. «Ti va di venire nel nostro scompartimento? I miei amici sono così golosi che hanno comprato una quantità esagerata di cioccorane e naturalmente non le hanno ancora mangiate».
Ancora una volta Mark si limitò ad annuire.
«Bene, loro sono Robert, detto Bobby» disse Elly indicando un ragazzo alto e bruno, «e Lucas». L’altro ragazzo, biondo, rimasto in silenzio per tutta la conversazione, gli sorrise e fece un cenno con la mano in segno di saluto.
«Dove hai lasciato il baule?» chiese a un certo punto Bobby. «Il sole sta tramontando, tra non molto saremo a Hogwarts».
Mark si voltò automaticamente indietro.
«Non c’era nulla nel corridoio» disse Elly intuendo i suoi pensieri.
«I-io n-non s-so dove sia il mio baule» balbettò fuori di sé. L’aveva preso Jay? L’aveva preso Alexis? Sua sorella voleva fargli uno scherzo? Gliel’avevano rubato? Oh Merlino, suo padre l’avrebbe ucciso.
«Dove l’hai visto l’ultima volta?» chiese Lucas parlando per la prima volta.
«Nel corridoio, no? Prima che ti chiudessero in bagno» intervenne Bobby perspicace.
«Sì» sussurrò affranto Mark.
«Chi c’era con te?» gli chiese Elly.
«I miei fratelli» rispose Mark senza pensare.
«E non ti hanno aiutato?» ribatté Bobby, beccandosi un’occhiataccia da Elly.
«Allora l’avranno preso senz’altro loro» commentò la ragazza. «Stai tranquillo, però, siamo su un treno in movimento il tuo baule sarà qui da qualche parte e, ora, Bobby e Lucas, andranno a cercarlo, vero ragazzi?».
«Come si chiamano i tuoi fratelli?» chiese Lucas.
«Alexis e Jay Becker» mormorò Mark.
Lucas gemette alla prospettiva, mentre Bobby sbuffò. «Ricordami di chiedere alla Preside perché ha nominato te Caposcuola e non me. Sei una tiranna».
Elly gli rivolse un gran sorriso e gli superò spingendo avanti Mark.  «Tranquillo, sono contenti di aiutarti, Bobby è un bravo Prefetto, ma io ho voti più alti in alcune materie per questo sono la Caposcuola». Poi ci pensò su e aggiunse: «E anche perché ho più senso pratico probabilmente. Quando non riuscivano ad aprire la porta del bagno, sono corsi a cercarmi».
Mark si lasciò condurre in uno scompartimento leggermente caotico, occupato da una sola persona.
«Oh, allora sei ancora viva. Pensavo che qualche Grifondoro ti avesse tirato uno scherzo».
«Abby, so cavarmela da sola» sbuffò Elly. «Piuttosto che avete combinato in questo scompartimento? Bobby mi sentirà!».
«Chi c’è con te?» chiese la ragazza ignorandola.
Elly alzò gli occhi al cielo. «Lui è Mark, ci farà compagnia per il resto del viaggio. Perché non gli lanci una cioccorana?».
«Non è fuori luogo tirare il cibo?».
«È una cioccolata incartata. Non è come iniziare una battaglia di cibo in Sala Grande» ribatté Elly.
Mark colse il ghigno divertito di Abby, mentre ella gli tirava la cioccorana e il ragazzino si chiese se l’avesse fatto veramente. Comunque non fece domande e si sedette accanto alla Caposcuola.
«Grazie» mormorò scartando il dolce.
La cioccolata sembrò scaldarlo, ma forse era l’ambiente in sé: lo scompartimento era caldo e accogliente, il sedile era comodissimo – certo dopo aver trascorso ore sul pavimento duro e scomodo di un bagno, non ci voleva molto -, le ragazze discutevano animatamente tra loro, ridendo spesso, in più lo riempivano di dolci e piccole attenzioni. Stava così bene, che a un certo punto si assopì senza neanche accorgersene.
 
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«Allora, ragazzina, in che Casa vorresti essere smistata?».
Charlie sbuffò e fissò il ragazzo che le aveva rivolto la domanda. «Secondo te?».
Gli altri risero.
La ragazzina, appena salita sul treno, era scappata lontano dai suoi fratelli – per Willy le dispiaceva, ma non poteva rischiare di farsi catturare -, da Matilde Gould e da quella Elisabeth Foster. Non avrebbe mai sopportato il viaggio in loro compagnia. Aveva vagato per un po’ senza trovare uno scompartimento libero e poi alla ricerca di persone simpatiche alle quali chiedere ospitalità. Il caso aveva voluto che trovasse alcuni ragazzi con la divisa di Grifondoro e, senza pensarci un attimo, si era catapultata nel loro scompartimento.
«Non lo so…» finse di pensarci uno dei ragazzi, che si chiamava Artek Macfusty. «Forse Serpeverde? Hai la lingua abbastanza lunga».
«Assolutamente no!» gridò Charlie alzandosi in piedi e puntando un dito verso il ragazzo.
«Attento, Artek che la ragazzina ti morde» rise un ragazzo di nome Christian Anders.
«Mordo sul serio, quindi non mi provocherei se fossi in voi» minacciò Charlie, incurante del fatto che la circondasse un gruppo di ragazzi tra i sedici e i diciassette anni.
«Va bene, va bene. Fammi indovinare» disse Christian alzando le mani in segno di resa. «Sarai una di noi?».
«Bravo, tu mi piaci!» esclamò Charlie, provocando una serie di sghignazzamenti da parte degli altri ragazzi. «L’anno prossimo entrerò in squadra e vi farò vincere la Coppa del Quidditch! Piuttosto chi è il Capitano?».
«Ah, nota dolente» strillò Artek Macfusty in tono melodrammatico.
«Perché?» chiese Charlie. «Non è bravo?».
«Sta zitto, idiota» sbottò Christian allungando un calcio al compagno. «Vuoi farmi cacciare dalla squadra prima ancora di arrivare al castello?».
«Perché, chi è?» insisté Charlie.
«Oh, la conoscerai se sarai smistata nella nostra Casa» rispose Artek, ignorando il volto cupo di Christian.
«Io sarò smistata a Grifondoro, non se» sibilò la ragazzina.
«Beh, il nostro Capitano è Alexis Becker. Christian è arrabbiato perché si aspettava lui la spilla».
«Sono migliore di lei, sia a scuola sia in campo. Manderà in rovina la squadra» bofonchiò palesemente arrabbiato Christian.
«Oh, no non ti preoccupare» s’intromise Charlie. «Se non sarà un bravo Capitano, la metteremo fuori gioco».
«Stai scherzando?» ribatté basito Christian.
«Oh, Merlino, ma lo sai che ti adoro?» gridò invece Artek. «Non vedo l’ora che tu sia ufficialmente dei nostri!».
«Questo è un posto di matti» borbottò Christian. «Artek sei un Prefetto per Merlino!».
«Ti regalo la spilla quando vuoi» replicò l’altro. «Allora, Charlie, che ne dici se progettiamo qualche scherzetto per quell’antipatica di Becker? Tu mi sembri una dalle idee brillanti».
«Oh, sì. Ho giusto una scorta di caccabombe super-esplosive che vorrei provare» trillò Charlie tutta contenta.
«Sono tutt’orecchi, dimmi un po’ come le vorresti usare» disse altrettanto felice Artek.
«Tutti matti, tutti matti» borbottò Christian passandosi una mano sulla faccia.
 
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«L’ho messa bene? Mi sembra un po’ storta» si lamentò Diana tirando nervosamente il nodo della cravatta.
«Smettila, è solo una stupida cravatta» sbottò Laurence seccato.
«Non si tratta della cravatta» sibilò la ragazzina. «Hai mai sentito parlare di ‘prima impressione’?».
«No, che è? Si mangia?» ribatté l’altro.
«Teddy, dì qualcosa!» sbuffò la ragazzina.
Teddy cercò di fissare il proprio riflesso nel vetro del finestrino, ma era inutile: ormai era buio pesto. «Sì, è vero. La prima impressione è importante» disse distrattamente.
«Secchioni» borbottò Laurence.
«Allacciati la cravatta per bene» esclamò Teddy voltandosi e guardandolo con attenzione.
«Fai sul serio?» ribatté trasecolato l’amico.
«Assolutamente sì. Tua madre mi ha fatto giurare che avresti indossato la divisa per bene, almeno la prima sera».
«E se non voglio?».
«Mi ha detto di legarti al sedile, se necessario».
«Questa poi. Non so se è peggio che il mio migliore amico si allei con mia madre o che mia madre che sia allei con il mio migliore amico!».
«Non è importante» replicò Teddy avvicinandosi al compagno.
«Che intenzioni hai?» domandò Laurence perplesso.
Teddy gli si gettò addosso e lo placcò sul sedile, ignorando le sue grida sdegnate.
«Forza, Diana, sistemagli la cravatta e anche il colletto».
«Tradimento, tradimento, tradimento!» urlò Laurence a squarciagola.
Non impiegheranno che pochi minuti a mettere in ordine la divisa dell’amico, ma fecero abbastanza chiasso da non sentire la porta dello scompartimento aprirsi, perciò sobbalzarono tutti e tre al suono improvviso di una voce sconosciuta.
«Sanguesporco! Dovevo immaginarlo, solo loro sono così rozzi».
«Che hai detto?! Ripetilo se hai il coraggio!» gridò Laurence estraendo la bacchetta e puntandola verso la voce. Teddy e Diana si voltarono.
Sulla porta vi erano due ragazzini che li fissavano ghignando: uno aveva la carnagione chiarissima e i capelli biondi; l’altro al contrario era bruno e più scuro di pelle.
«Abbassa la bacchetta, pivello, non la sai usare» disse sempre lo stesso ragazzo.
«Non credo sia il caso di litigare, finiremmo nei guai prima ancora di arrivare a Scuola» intervenne diplomaticamente Teddy. Quei ragazzi non gli piacevano, ma conosceva a sufficienza Laurence per sapere che la situazione si sarebbe evoluta in una zuffa se non se ne fossero andati immediatamente.
«Ma io so chi sei!» disse a un certo punto il biondino. «Oh, tu sei il figlioccio di Harry Potter! Ti dispiace, se non mi inchino? La puzza di sanguesporco basta a nausearmi».
E Laurence perse la pazienza. Teddy se lo aspettava e lo bloccò prima che colpisse uno dei due ragazzini. «Smettila, non è il caso di metterci nei guai il primo giorno!».
«Oh, che bravo bambino» ironizzò l’altro. «Forse dovremmo prendere esempio da loro, che ne dici Thomas?».
«Forse dovremmo presentarci, così saprebbero con chi hanno a che fare».
«Giusto! Sei più intelligente di quanto pensassi» esclamò il ragazzo biondo. «Allora, signori, avete l’onore di parlare con Antonin Dolohov».
Laurence sputò ai piedi di Antonin, che indietreggiò disgustato. «E tu chi saresti? Un simile sfregio potrei accettarlo soltanto da uno membro delle Sacre Ventotto!».
«Laurence Landerson» ringhiò il ragazzino. «E ricordati questo nome, perché sarà il tuo peggior incubo per i prossimi sette anni!».
Dolohov e il suo amico ridacchiarono.
«Io sono Thomas Mulciber» si presentò il bruno.
«Altro bellissimo cognome» commentò Laurence sputando anche addosso a lui.
«La vostra amichetta chi è?» chiese Dolohov, che non sembrava intenzionato ad andarsene, anzi allungò una mano verso il viso di Diana.
«Ehi, manteniamo le distanze. Non vi schifavate persino del nostro odore?» intervenne Teddy schiaffeggiando la mano di Dolohov.
«Che succede qui?».
Un ragazzo alto e dinoccolato apparve alle spalle di Dolohov e Mulciber.
«Questi ragazzi ci stavano dando fastidio» squittì spaventata Diana.
Teddy s’irrigidì leggermente: quel ragazzo era un Prefetto di Corvonero e non era detto che sarebbe andato a loro favore, d’altronde Laurence non c’era andato piano anche se non li aveva sfiorati con un dito.
«Non è vero, stavamo soltanto facendo conoscenza» ribatté prontamente Dolohov.
«Bene, allora andate. A momenti saremo a Hogsmeade» affermò il ragazzo, ma più che una costatazione apparve un ordine e i due ragazzini furono abbastanza saggi da obbedire.
«Li hai lasciati andare impunemente?! Lo dirò alla Preside!» urlò Laurence furioso. Teddy lo mollò per la sorpresa e lo fissò: mai Laurence Landerson aveva minacciato di rivolgersi alle autorità costituita e si conoscevano dall’asilo. «Ci ha chiamato sanguesporco».
«Ma che significa?» domandò titubante Diana.
«È un insulto per quelli che non hanno i genitori maghi… i Nati Babbani, insomma…» rispose il Prefetto.
«Ah… una persona come me, quindi…» mormorò mestamente Diana.
«È una cosa stupida» disse Teddy per consolarla.
«Ed anche severamente vietata» soggiunse il Prefetto. «Una volta a Hogwarts, riferirò al Vicepreside».
«Oh, bene» commentò Laurence rilassandosi e lisciandosi la divisa.
«Mi chiamo Brian McCallister, se doveste aver bisogno di aiuto non avete che da chiedermelo. Ora devo andare. Ci vediamo a Scuola».

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Capitolo 4
*** Il Cappello Parlante ha alzato il gomito (parola di Charlie Krueger) ***


Capitolo quarto


 
Il Cappello Parlante ha alzato il gomito (parola di Charlie Krueger)
 


 
«Mark… Mark… Siamo quasi arrivati».
Il ragazzino si riscosse a quella voce, ma impiegò qualche secondo a ricordarsi dove e con chi si trovasse in quel momento. Appena focalizzò la situazione, sobbalzò e si allontanò dalla Caposcuola, fissandola, senza pensare, dritta negli occhi. Fu un attimo e una serie di ricordi non suoi lo travolsero: Elly discuteva animatamente con quello che, evidentemente, era il Caposcuola di Grifondoro… poi Bobby e Lucas la abbracciavano sorridenti sulla piattaforma del binario 9 e ¾… una bambina minuta passava delle bende a un uomo intento a medicarsi un braccio…
«Che stai facendo?».
Il contatto visivo si ruppe e Mark si sentì gelare: com’era potuto accadere?
«Che c’è?» chiese il Prefetto Bobby alzando la testa da una rivista di Quidditch.
Mark, con il cuore in gola, corse fuori dallo scompartimento ignorando i richiami dei compagni più grandi.
Sarebbe stato espulso! Espulso prima ancora di mettere piede a Scuola! Probabilmente avrebbe battuto ogni record e suo padre l’avrebbe ucciso!
Si appoggiò con le spalle a una parete. Il treno continuava la sua corsa imperterrito, come se non fosse accaduto nulla. Invece era andato tutto a rotoli, ancora prima di iniziare.
«Mark».
Il ragazzino sobbalzò, tanto che per un attimo pensò che il cuore gli sarebbe schizzato fuori dal petto come un bolide: davanti a lui c’erano Bobby e Lucas.
«Fra pochi minuti saremo a Hogsmeade, devi assolutamente indossare la divisa» disse Bobby.
Mark non rispose, non comprendendo: che importanza aveva, se l’avrebbero espulso? Mantenne la testa china e non notò lo scambiò di sguardi fra i due ragazzi più grandi.
«Senti, non so che cos’è successo prima» riprovò Bobby, «ma Elly ci ha raccomandato di trovarti e farti indossare la divisa».
«Meglio non contrariare Elly» bofonchiò Lucas.
«Sì, infatti» concordò Bobby. «Vieni?».
Il ragazzino li seguì meccanicamente e, quando vide che le ragazze non erano più nello scompartimento, si sentì leggermente meglio: non voleva affrontare la Caposcuola.
«Sbrigati» lo incitò Lucas.
«Stai bene?» gli chiese   a   un certo punto Bobby. Mark annuì automaticamente, tentando di allacciarsi la cravatta. «Ti aiuto». Il ragazzino lo lasciò fare e nel mentre si accorse che il treno stava iniziando a rallentare.
«I bagagli ce li portano direttamente al castello, noi non dobbiamo preoccuparcene. Andiamo, forza» disse Lucas.
La locomotiva si fermò. I corridoi erano affollati di studenti, ma era uno spettacolo differente da quello della mattina: ora indossavano tutti la divisa e sembravano un unico corpo.
Mark si sentiva le gambe deboli e tremanti, completamente disorientato e smarrito in mezzo a tanta confusione. L’aria fresca della sera gli sferzò il viso e un brivido gli salì lungo la schiena. I suoi fratelli erano nella folla, lontani non diversamente da come lo erano a casa dopotutto.
«Primo anno! Primo anno!».
Non aveva idea da dove provenisse quella voce profonda e un po’ cavernosa.
«Ehi». Bobby gli strinse la spalla e si abbassò leggermente in modo di farsi sentire in mezzo al clamore. «Lì c’è Hagrid, vi guiderà lui da questo momento in poi».
Mark annuì, nonostante non riuscisse a focalizzare questo Hagrid; perciò fu sollevato e grato a Bobby che non lo lasciò solo, finché non raggiunse l’insegnante in questione, attorno a quale si stavano già radunando altri ragazzini. A quel punto non poté non chiedersi come avesse potuto non vederlo prima! Dopotutto aveva sentito Alexis parlarne più volte, e non in termini lusinghevoli, e sapeva che era un mezzogigante.
«Ci si vede in giro» si congedò Bobby battendogli una mano sulla spalla.
 
*
 
«Ma come fa a essere così grasso?» sussurrò Zoey a Hannah Carson la più vicina a lei, che a sua volta fissava l’insegnante, presentatosi come Hagrid, con un’espressione timorosa.
A rispondere, però, non fu quest’ultima ma un’altra ragazzina: «È un mezzogigante. Non so se sia meglio o peggio di una sanguesporco come te».
Zoey si voltò di scatto, sebbene non ne avesse bisogno, avendola già riconosciuta dalla voce.
«Sta zitta, Gould, o ti affogo nel Lago Nero».
«Charlie!» strillò contenta Zoey riconoscendola.
«Quale lago?» chiese perplessa Hannah.
«Sanguesporco» sibilò con disprezzo la Gould e si allontanò.
«Me la pagherà» commentò Charlie a denti stretti. «Qui non c’è mia madre che mi controlla».
«Ti darò una mano» si offrì Zoey all’istante. «Ma che vuol dire quella parola?».
«Ehi, voi laggiù, stiamo andando!» le chiamò Hagrid.
«Lascia perdere» replicò semplicemente Charlie incamminandosi. «Comunque, di lago qui ce n’è uno solo: il Lago Nero» aggiunse come se fosse ovvio rivolta ad Hannah.
«E che c’entriamo noi con il Lago Nero?» le chiese Zoey.
«Quelli del primo anno arrivano al castello attraversando il lago in barca».
«Non mi piace molto l’acqua» borbottò Zoey più a se stessa che agli altri.
«Tranquilla, non è pericoloso» la rassicurò Charlie con un ampio sorriso.
«E lui?» sussurrò Hannah a voce bassissima accennando a Hagrid.
«Prima ha abbracciato un ragazzino» commentò Zoey perplessa.
«Oh, quello è Teddy Lupin» s’intromise la Gould, che a quanto pare si era mantenuta abbastanza vicina da ascoltarle. «Sentite me, quello sarà il cocco dei professori… dopotutto sappiamo chi è il suo padrino…».
«Chi è il suo padrino?» domandò Zoey.
«Spero che, quando cadrai nel Lago Nero, la piovra gigante ti faccia a pezzettini prima di mangiarti» sibilò Charlie con altrettanta cattiveria.
«Aspetta, una piovra gigante!?» strillò Hannah spaventata.
«Attenzione» gli riscosse Hagrid con il suo vocione, «alla prossima curva vedrete una prima veduta di Hogwarts!».
Un coro di oooh si levò dai ragazzini del primo anno alla vista del castello illuminato, che dominava il paesaggio.
Poco dopo raggiunsero una sponda del lago, dove vi erano una serie di barchette. «Salite, ma mi raccomando solo quattro per barca. Solo quattro!» raccomandò loro Hagrid.
«Salgo con te» disse Zoey a Charlie.
«Va bene, ma io salgo con la Gould» rispose ella, spingendo di lato una compagna.
Zoey annuì chiedendosi che cosa avesse in mente.
Matilde Gould, impegnata a chiacchierare con un coetaneo dai tratti orientali, si accorse delle manovre di Charlie solo quando ormai le barche si erano staccate dalla riva.
 
Era una magnifica serata di inizio settembre e la luna illuminava soffusamente il lago. Charis rimpianse di aver lasciato l’album da disegno nel baule: ne sarebbe nato un disegno bellissimo. La compagnia di Shawn l’aveva tranquillizzata parecchio e non vedeva l’ora di rivederlo. Chissà se sarebbero capiti nella stessa Casa! L’unico problema era che ella non si sentiva per nulla coraggiosa.
«Stanotte ci saranno sicuramente i mooncalf» sospirò un ragazzino seduto vicino a lei. «Mio nonno mi ha detto che ce ne sono parecchi nella foresta. È ingiusto che agli studenti sia vietato l’ingresso!».
«Beh, puoi sempre andarci» intervenne una ragazzina. «Basta che non ti fai beccare o divorare da qualche animale…».
«Penso che mio nonno mi ucciderebbe, se mi beccassero! E poi come si fa a sgattaiolare fuori?».
«Questo ancora non lo so, ma se vuoi te lo spiegherò quando lo scoprirò» replicò la ragazzina. «Comunque il mio nome è Edith».
«Piacere. Io mi chiamo Enan».
«Io sono Charis» mormorò la ragazzina vedendo lo sguardo dei due spostarsi su di lei.
Il quarto membro del gruppetto si presentò come Leonard Faller.
 
Teddy aveva occupato una barchetta con Diana, Laurence e Peter Lux, un ragazzino che conosceva già da tempo. L’emozione sembrava aumentare man mano che si avvicinavano al castello, ma nonostante tutto non poté non rimanere affascinato alla vista del paesaggio.
«Non è bellissima la luna stasera?» domandò Diana.
«Mi sembra che per te tutto sia bellissimo stasera» la punzecchiò Laurence, nonostante i suoi occhi brillassero e fosse il primo a non riuscire a nascondere l’emozione.
La luna. Teddy la fissò, ignorando completamente il battibecco tra gli amici. Il ricordo del padre gli sovvenne e l’ambiente si velò di tristezza: come poteva apprezzare un paesaggio che suo padre aveva temuto, probabilmente odiato?
«Teddy, tutto bene?» gli chiese Diana perspicace come al solito.
Il ragazzino deglutì e distolse gli occhi dal terribile satellite naturale e annuì vagamente, puntando gli occhi in un punto non illuminato del lago.
 
A poca distanza, Charlie non era altrettanto tranquilla e riflessiva. La Gould la fissava preoccupata dal momento in cui l’aveva notata.
«Si può sapere che diavolo vuoi?» sbottò a un certo punto Matilde, mal sopportando la tensione.
«Chi io?» replicò Charlie facendo la finta tonta. Zoey la osservò interessata chiedendosi se avrebbe trasformato i suoi capelli in serpenti o in un colore assurdo. Charlie si piegò verso la Gould e ghignò: «Vorrei solo dimostrarti che i Grifondoro mantengono sempre le loro promesse». Detto ciò le diede uno spintone tale da farla cadere in acqua. Zoey si ritrovò a urlare insieme alla Gould e all’altro ragazzino, poiché la barca aveva oscillato paurosamente al gesto improvviso, minacciando di rovesciarsi.
«Sei impazzita?» strillò atterrito il ragazzino.
«Attenzione, il Lago è inquinato» gridò Charlie incurante delle grida terrorizzate della compagna, che solo il coetaneo tentava di aiutare. Per conto suo Zoey stava tentando di calmarsi: aveva avuto una paura tremenda cadere anche lei.
«Si può sapere come hai fatto a cadere?» tuonò Hagrid raggiungendoli e mettendo in salvo la ragazzina.
«È stata lei!» gridò la Gould oltraggiata e completamente fradicia.
«Io?! Ma come puoi dirmi una cosa del genere?» ribatté Charlie all’istante.
«Ti ho visto» accusò a sua volta l’altro ragazzino.
«Io non ho visto niente» disse, invece, Zoey complice.
Hagrid si grattò il testone ispido e scosse la testa. «Siamo in ritardo. Deciderà la Preside di chi è la colpa».
 
Mark scendendo dalla barca si chiese se buttare una ragazza nel lago fosse più grave di quello che aveva fatto lui, probabilmente sì, ma non è che questo lo consolasse particolarmente.
«Attento a dove vai!» sbottò un compagno che aveva urtato inavvertitamente.
«Scusa» mormorò timoroso. Più andava avanti, più non aveva idea di che cosa dovesse aspettarsi. E non aveva speranza che fosse qualcosa di buono.
 Si trovavano in una specie di porto sotterraneo, che sarebbe stato completamente buio se il professor Hagrid non avesse avuto una lanterna.
«Seguitemi e fate attenzione a dove mettete i piedi».
Si arrampicarono lungo un passaggio nella roccia, finché non raggiunsero la parte del parco su cui si apriva l’ingresso. Lì li attendeva un mago molto basso e canuto. Mark capì che quello doveva essere il vicepreside, di cui sua sorella non parlava bene: in realtà sua sorella disprezzava quasi tutti i suoi professori.
«Buonasera a tutti!» li accolse il mago con un leggero sorriso. Aveva una vocetta stridula e acuta. «Grazie, Hagrid».
Hagrid fece un cenno e augurò buona fortuna ai ragazzi, infine li precedette all’interno.
«Seguitemi!». I ragazzini obbedirono e molti, non solo i Nati Babbani, rimasero a bocca aperta nel costatare quanto la Sala d’Ingresso fosse ampia. Il piccolo professore, però, li guidò in una saletta vuota. «Avvicinatevi, avvicinatevi».
Un brusio si levò dai ragazzi.
«Ascoltatemi, tra poco, prima del banchetto, ci sarà la cerimonia dello Smistamento». I ragazzini si acquietarono e lo fissarono in attesa. Zoey, per quanto era emozionata, quasi saltellava sul posto; Charlie era leggermente annoiata e avrebbe voluto procedere direttamente allo Smistamento senza troppe chiacchiere inutili; Teddy, tra Diana e Laurence, tentò di concentrarsi per non rischiare di perdersi qualcosa di importante; Enan rimase ai margini del gruppo perché non era abituato a tanto affollamento in piccoli spazi; Charis, in prima fila, ascoltava attentamente tanto quanto Teddy; infine Mark, sballottato vicino alla parete, si fissava i piedi tentando di ascoltare. «A Hogwarts ci sono quattro Case: Corvonero, Grifondoro, Tassorosso e Serpeverde. E da questa sera in poi, la vostra Casa sarà anche la vostra famiglia. Ogni successo che otterrete le farà ottenere punti, al contrario ogni qualvolta vi comporterete male, ne perderà. Alla fine dell’anno la Casa con più punti vincerà la Coppa delle Case» fece una pausa per lasciar loro il tempo di elaborare le informazioni.
«Posso farle una domanda, signore?».
Tutti, compresi Teddy e Laurence, si voltarono verso Diana che divenne molto rossa.
«Naturalmente» replicò il professore.
«Avremo un libro con le regole… o qualcosa del genere… cioè come facciamo a conoscerle…» bofonchiò la ragazzina mal sopportando tutti quelli sguardi addosso. Molti commentarono tra loro abbassa voce. Laurence la fissava come se fosse matta.
«Non ti preoccupare, a questo penseranno i Direttori delle Case, inoltre Capiscuola e Prefetti saranno sempre a vostra disposizione» rispose il professor Vitious. «Ci sono altre domande?». Nessuno rispose. «Bene, vado a controllare se siamo pronti per la Cerimonia. Attendete qui in silenzio, per cortesia».
«Posso farle una domanda, signore?». Tutti si voltarono verso Matilde Gould, completamente fradicia e più acida che mai. Diana arrossì ancor di più, per quanto fosse possibile, e balbettò qualcosa di non intellegibile comprendendo che la ragazza le stesse facendo il verso.
«Sai che sei un bel pulcino bagnato?».
Teddy richiuse la bocca aperta per difendere l’amica e fissò sorpreso Laurence.
La Gould gli lanciò a sua volta un’occhiataccia. «Non ho chiesto il tuo parere».
«Nemmeno noi» sibilò Laurence testardamente.
Qualunque cosa stesse per ribattere la Gould non lo seppero mai, visto che un colpo di tosse attirò la loro attenzione. Vitious era tornato e li fissava accigliato. Evidentemente doveva avere abbastanza esperienza da considerare il volto arrossato di Diana, quasi con le lacrime agli occhi, lo spazio che si era aperto fra loro e Laurence e la Gould che si guardavano male, per quello che erano.
«Siamo pronti per la Cerimonia dello Smistamento. Mettetevi in fila per due».
L’operazione richiese diversi secondi, anche perché, prima di uscire dalla saletta, il professore volle assicurarsi che fossero perfettamente in ordine.
Teddy intenzionato a mettersi con Diana fu sorprendentemente spinto via da Laurence e allora affiancò Peter Lux.
Charlie prese per mano Zoey e la tirò vicino a sé. «Le faremo vedere i sorci verdi a quell’oca, va bene?».
«Contaci» replicò Zoey.
«Voi due, sbrigatevi!».
Enan era rimasto a fissare scioccato un compagno che gli assomigliava fin troppo.
«Avanti, muoviti» disse un ragazzino biondo dall’aria snob e antipatica.
Enan finì ultimo nella fila, accanto a un ragazzino con i capelli rossi che tutto contento si presentò come Samuel. Rispose, ma la testa era totalmente rivolta al ragazzino uguale a lui.
Charis guardò di sottecchi la sua compagna che, però, non la degnò di uno sguardo.
Mark, inquieto, si rese conto di essere rimasto da solo. Il professore lo chiamò e lo fece mettere davanti a tutti. La sua solita fortuna!
Finalmente gli studenti del primo anno furono guidati fuori dalla saletta fino alla Sala Grande.  Molti rimasero a bocca aperta, strabiliati alla vista del soffitto stellato, e si affrettarono a indicarlo ai vicini.
«È solo un incantesimo» sussurrò alteramente la ragazzina vicino a Charis, come se   considerasse infantile la reazione dei compagni. Charis sapeva bene che non era veramente il cielo, ma era comunque molto bello. Come si poteva non rimanerne affascinati?
Teddy, per conto suo, puntò gli occhi sulla Tavola delle Autorità e gli fece un certo effetto vedere tutti i professori schierati nei loro abiti migliori. Al centro in uno scranno leggermente più alto sedeva Minerva McGranitt, la Preside, che si alzò appena loro furono più vicini, pronta ad accoglierli. Si sentì nervoso più che mai: quanti prima di loro avevano percorso quel corridoio? Quanti avevano atteso con ansia di essere affidati a una Casa o all’altra? Quanti avevano calcato lo stesso pavimento con il peso di dover rispondere alle aspettative delle proprie famiglie? Che cosa aveva provato sua madre bambina? Sicuramente con una famiglia come la sua alle spalle, sarà stata eccitata e desiderosa di mettersi alla prova; e suo padre? Remus Lupin era entrato lì dentro con un fardello enorme, terrorizzato dall’idea di rovinare l’opportunità che gli era stata donata tanto inaspettatamente. E Teddy, in quel frangente, si sentiva molto più vicino a suo padre: tutti lo conosceva per quello che avevano compiuto i suoi genitori e, specialmente, il suo padrino ed egli voleva esserne pienamente all’altezza. Sospirò mentre si radunavano di fronte al tavolo dei professori. Forse Harry e Ron avevano ragione ad affermare che si ponesse troppe domande per un ragazzino di undici anni.
«Benvenuti!» gli accolse la Preside con un leggero sorriso. Harry gli aveva detto che sorrideva di rado, perciò sorrise automaticamente a sua volta, conscio che, qualunque cosa sarebbe accaduto, Hogwarts sarebbe stata una seconda casa. «Diamo il via alla Cerimonia dello Smistamento».
«Che cos’è?» sussurrò Zoey a Charlie, indicando un vecchio cappello appoggiato su uno sgabello.
«Sta a vedere» replicò l’amica con un ghigno.
Lo strappo sulla tesa del cappello si aprì e quello iniziò a cantare.
«Visto?» chiese Charlie, quando la canzone finì.
«Straordinario».
«È il Cappello Parlante» spiegò allora Charlie.
«Adesso vi chiamerò in ordine alfabetico, quando arriva il vostro turno siete pregati di sedervi sullo sgabello e indossare il Cappello Parlante, infine prenderete posto al tavolo della Casa in cui siete stati smistati».
Mark dondolò nervosamente sul posto, consapevole di essere uno dei primi.
«Allen Danila» chiamò il professor Vitious.
Lo Smistamento era iniziato.
Una ragazzina smilza, ma alta, uscì dal gruppo e si fece avanti, senza mostrare particolare nervosismo. Si sedette e il professor le mise il Cappello in testa, che finì per scivolare e coprirle il viso. Molti trattennero il fiato in attesa di scoprire quello che sarebbe successo.
«Grifondoro!» trillò il Cappello Parlante poco dopo.
«È come se lo strappo fosse la sua bocca!» gridò Zoey sorpresa, ma le sue parole furono a malapena sentite da Charlie, visto che i Grifondoro applaudirono e festeggiarono rumorosamente la prima compagna dell’anno.
Charlie, comunque, era troppo eccitata per rispondere e batteva le mani con foga, sentendosi già parte di quella Casa.
«Audley Jason» chiamò Vitious appena i Grifondoro si quietarono.
Anche in questo caso il Cappello Parlante fu abbastanza rapido e il tavolo di Grifondoro si ritrovò festeggiare per la seconda volta, gli studenti delle altre Case applaudivano a loro volta ma senza particolare enfasi.
«Becker Mark».
Il ragazzino rimase impietrito sentendo pronunciare il suo nome, per un attimo ebbe la tentazione di nascondersi da qualche parte. Entrando in Sala Grande aveva cercato i fratelli e li aveva individuati al loro tavolo. Prese un bel respiro e si fece avanti, rischiando di inciampare nella veste troppo lunga. Dei risolini lo accompagnarono fino allo sgabello e fu contento quando il Cappello Parlante gli oscurò la vista. Strinse i bordi dello sgabello con forza.
«Mmm». Quella voce improvvisa lo colse di sorpresa e sobbalzò. «Sono stupito».
Mark non capiva di cosa il Cappello dovesse stupirsi, non c’era nulla in lui degno di nota. Non positivamente comunque.
«È questo che pensi, eh? La legilmanzia è un dono, però, non una maledizione».
Se fosse stato un dono suo padre l’avrebbe voluto più bene, elogiato come faceva con Alexis: essere bravi a Quidditch era un dono, non leggere nella mente degli altri.
«Ti sbagli, il tuo è un grande dono… devi solo imparare a usarlo al meglio… sei così pieno di tristezza… ho visto pochi come te… ma tu sei buono, vero?».
Buono? No, decisamente non lo era. Se leggeva nella mente, avrebbe dovuto vedere in quanti guai si era cacciato in undici anni.
«Oh, no, la bontà è un’altra cosa». Questa frase sembrò quasi un sussurro, una carezza.
Mandami a Grifondoro lo pregò, terrorizzato dalla reazione del padre in caso contrario. Mark, però, sapeva di non essere coraggioso.
«Esistono tante forme di coraggio, mio caro…» disse il Cappello Parlante. «Non ho dubbi su quale Casa sia migliore per te. Sii forte e buona fortuna». Il ragazzino entrò in panico comprendendo che il momento era giunto. «TASSOROSSO!».
Il professor Vitious gli tolse il Cappello e Mark si alzò meccanicamente. Il secondo tavolo da sinistra accanto a quello dei Grifondoro, applaudiva più forte degli altri. Si diresse in quella direzione, senza voltarsi indietro: non voleva vedere la faccia dei suoi fratelli. Aveva avuto ragione: niente stava migliorando, anzi.
«Burke Edward».
Mark si disinteressò allo Smistamento prendendo posto proprio alla fine del tavolo e senza rispondere al sorriso di Bobby e Lucas, che l’avevano riconosciuto, e a quello di Elly, che lo fissava con attenzione.
«SERPEVERDE».
«Ci avrei scommesso» sussurrò Laurence con fare saputo.
«Perché?» gli chiese Diana.
«La sua famiglia ha una fama oscura e tutti i maghi oscuri sono stati Serpeverde».
«Mia nonna era Serpeverde» sibilò Teddy, lanciandogli un’occhiataccia.
«Si tratta di un’eccezione» ribatté Laurence con una scrollata di spalle.
In quel mentre Hannah Carson venne smistata a Grifondoro.
«Che bello! Secondo te finiremo insieme?».
«Certo, Zoey, non devi neanche chiederlo» rispose Charlie con sicumera.
Grace Chapman fu la prima Corvonero dell’anno e il secondo tavolo a sinistra scoppiò in un fragoroso applauso, a lei seguì Antonin Dolohov che, con piacere di Laurence e Teddy, si unì ai Serpeverde. Seguirono altri quattro ragazzi prima che Vitious chiamasse: «Foster Elisabeth».
«Spero che sia una Grifondoro» sussurrò Charlie. «Non sembra male, non voglio che la Gould la rovini».
Purtroppo, però, il Cappello Parlante la mandò tra i Serpeverde, dove poco dopo la raggiunse proprio Matilde Gould.
«Pazienza» sospirò Charlie.
«Ma potremmo comunque essere amiche» provò Zoey.
«Non credo proprio. Sarebbe innaturale» bofonchiò Charlie come se l’amica avesse appena detto un’assurdità.
Samuel Harper fu smistato a Grifondoro e finalmente fu il turno di Charlie. «Ci vediamo al tavolo dei Grifondoro» sussurrò alla nuova amica prima di avviarsi.
Ehi, bello, mandami tra i Grifondoro, forza pensò con arroganza appena il Cappello le scivolò sulla testa.
«La tua arroganza te ne renderebbe degna, effettivamente».
Non mi piace il condizionale. Avanti, sbrigati, insisté Charlie. Aveva atteso per undici anni quel momento ed ella odiava aspettare.
«Vedo qualcos’altro oltre l’arroganza e il coraggio…» ribatté, invece, il Cappello.
Sì, la lealtà e lo sprezzo del pericolo.
«Non solo…».
Non rispetto le regole?
«Non credo che Godric Grifondoro lo considerasse al pari di una virtù… comunque non intendevo questo… tieni molto alle persone a cui vuoi bene e faresti qualunque cosa per loro…».
È, ovvio. Mi ci mandi o no a Grifondoro?
«Sei indisponente!».
Lo so. Avanti, dì quella parola! Che ci vuole?
«Non ci vuole niente!» ribatté il Cappello visibilmente contrariato. «Ecco ti accontento… TASSOROSSO!».
Charlie rimase impietrita, neanche avessero usato su di lei un Petrificus Totalus, e non si mosse nemmeno quando il professore le tolse il Cappello. Aveva sentito bene? Che cos’era un incubo? Quello stupido vecchio Cappello aveva davvero osato fare una cosa del genere?
«No!» sbottò allora la ragazzina, riprendendo il Cappello dalle mani del professore. L’applauso si spense rapidamente e la ragazzina ebbe gli occhi dell’intero corpo studentesco su di lei.
«S-signorina Krueger…!» balbettò il professor Vitious trasecolato.
«Non ho finito con questo stupido Cappello!» ribatté Charlie fuori di sé e ricalcandoselo sul capo con veemenza. Ora, sentimi bene, pensò vedi di mettermi nella Casa giusta. Anche se ti sto antipatica non puoi fare certi scherzi! pensò minacciosa.
Il Cappello Parlante rimase ostinatamente muto.
«Basta!» sbottò Vitious tirandoglielo via. «Prendi posto!».
«Questo Cappello ha alzato il gomito. Il suo giudizio è alterato!» strillò facendo scoppiare a ridere gran parte degli studenti. I Tassorosso apparivano molto contrariati, ma a lei non interessava, raggiunse il loro tavolo e si lasciò cadere sulla panca accanto a Mark, che la fissava a occhi sgranati e a bocca aperta.
«Beh, che hai visto? Chiudi la bocca!» gli sibilò Charlie, facendolo sobbalzare.
«Scusa» mormorò il ragazzino tornando a fissare il piatto vuoto davanti a lui.
«Landerson Laurence» chiamò nel frattempo il professor Vitious.
Il ragazzino fu smistato a Grifondoro poco dopo, suscitando un ringhio sommesso di Charlie. Mark le lanciò un’occhiata di sottecchi e si scostò leggermente da lei.
«Lupin Ted».
Un lieve mormorio si sollevò nella sala. Come Teddy si era aspettato, tutti conoscevano la sua storia in quella stanza. Sollevò gli occhi sul tavolo dei professori e vide la Preside fissarlo attentamente, Hagrid salutarlo in modo tutt’altro che discreto con la mano e Neville Paciock, un caro amico di Harry e Ginny, fargli l’occhiolino. Ciò lo rincuorò.
Si lasciò scivolare sullo sgabello e, per pochi secondi, ebbe una visuale completa sulla Sala Grande: tutti i ragazzi più grandi lo fissavano con curiosità, i suoi coetanei, invece, gli restituivano espressioni per lo più vacue o tese, probabilmente speculari alla sua. Fu comunque un attimo, il Cappello gli coprì il viso e tutto divenne buio.
«Oh, vedo una mente contrastata».
Teddy sobbalzò leggermente. Aveva pensato a lungo a quel momento, vi aveva fantasticato, vi aveva riflettuto: ma in quel momento non aveva la minima idea di come comportarsi. E soprattutto non era più sicuro di voler andare a Grifondoro come suo padre e il suo padrino. Se avesse provato a influenzare la decisione del Cappello Parlante non sarebbe stato corretto, no? Non avrebbe scelto la Casa giusta per lui, no?
«Oh, sì decisamente una mente contrastata».
Contrastata? Ma che significava?
Il Cappello Parlante ridacchiò, turbando il ragazzino.
«Hai molte qualità: sei intelligente, coraggioso… però ciò che mi sorprende di più è il tuo spirito di abnegazione…».
Teddy era sempre più confuso.
Il Cappello ridacchiò nuovamente. «Non ti preoccupare, sono sicuro che la Casa giusta per te sia TASSOROSSO».
L’ultima parola l’aveva urlata. Il ragazzino deglutì e si sentì quasi stordito dal fragoroso applauso che i suoi nuovi compagni gli riservarono. Raggiunse il suo tavolo e automaticamente sorrise a chi lo accoglieva e strinse le mani che gli porgevano persino i più grandi.
Charlotte Krueger, la ragazzina smistata poco prima di lui, gli rivolse un’occhiata scontenta, probabilmente nella speranza che Teddy condividesse il suo odio per il cappellaccio. Il ragazzino, però, si ritrovò ben presto a sorridere: in fondo Tassorosso era stata la Casa della madre.
Nel frattempo il professor Vitious aveva chiamato Peter Lux. Teddy cercò Laurence al tavolo dei Grifondoro e quando incrociò il suo sguardo colse un lieve smarrimento, che l’amico dissimulò immediatamente con uno dei suoi soliti ghigni diverti; Diana, invece, attendeva ancora il suo turno, in piedi di fronte al tavolo dei professori e gli sorrise incoraggiante, ma, in quell’istante, probabilmente era lei ad aver bisogno di sostegno.
«GRIFONDORO!» ruggì il Cappello Parlante.
«Macfusty Enan» chiamò il professore, quando gli applausi per Peter si spensero.
Teddy strabuzzò gli occhi vedendolo e non aveva bisogno di Laurence che gesticolava con foga per attirare la sua attenzione: quel ragazzino era identico al Thomas Mulciber che gli aveva minacciati sul treno insieme a Dolohov.
Enan era totalmente incurante dei pensieri degli altri ragazzini e attendeva con ansia il verdetto: gli sarebbe molto piaciuto essere un Grifondoro come Fagan. Di finire a Corvonero come Blair non lo pensava neanche: non gli piaceva per nulla la Scuola.
«Mmm sei un ragazzino interessante».
Beh, di certo non avrebbe mai usato quell’aggettivo per descriversi.
«Sei coraggioso, impulsivo… adori gli animali…».
Quella di certo non era una dote compatibile con le Case di Hogwarts, che lui sapesse.
«Oh, questo non è un problema… sai che ti dico? Ti troverai bene a TASSOROSSO!».
Tassorosso? Forse aveva ragione la ragazzina che prima aveva detto che il Cappello aveva bevuto. Nonostante questi pensieri Enan, leggermente confuso dall’inaspettato smistamento, si unì ai suoi nuovi compagni.
«Ciao» sussurrò prendendo posto. Solitamente non era un tipo introverso, ma era più abituato alla compagnia degli animali che a quella dei suoi coetanei. In più anche loro erano strani: l’unica ragazzina del gruppo lo fissava arrabbiata, come se fosse colpa sua se si trovavano in quella Casa; uno dei ragazzi gli rivolse uno sguardo preoccupato, come se temesse di essere attaccato da un momento all’altro; infine Teddy Lupin, famoso per essere il figlioccio di Harry Potter, lo stava scrutando intensamente e con sospetto. «Ehm, che c’è?».
«Sei identico a un ragazzo che ho conosciuto in treno» rispose Teddy senza cambiare espressione.
«Forse era uno dei miei cugini» tentò Enan scrollando le spalle.
«No, era identico. La tua copia» insisté Teddy.
«Un altro Grifondoro. Quel Cappello mi odia» ringhiò Charlie, incurante del loro scambio di battute.
«Thomas Mulciber».
«Eccolo, è lui!» quasi strillò Teddy indicandolo a Enan.
«Cavoli, è vero» s’intromise Charlie così sorpresa da dimenticarsi di essere furiosa. «Hai un gemello».
«No, non ho fratelli» mormorò Enan sconvolto. Era lo stesso ragazzino che aveva notato prima, mentre si mettevano in fila. Erano simili come due gocce d’acqua!
«Lui è leggermente più chiaro» commentò Teddy.
«Non è possibile che non siate fratelli. Non prenderci in giro» sbuffò Charlie.
«SERPEVERDE».
«Questo non mi sorprende» borbottò Teddy.
Lo Smistamento si protrasse ancora per un po’ prima che arrivasse il turno di Zoey. A differenza dei compagni, ella non era per nulla agitata, anzi era molto contenta di essere stata finalmente chiamata, visto che non sopportava attendere e grazie al suo cognome aveva dovuto farlo già parecchio. Quasi saltellò fino allo sgabello e sorrise sia a Vitious sia a Paciock, che aveva individuato al tavolo dei professori.
«Quanto entuasiamo».
Si era appena messa il Cappello e quasi cadde dallo sgabello quando sentì quella vocina nella sua testa. Perché sì, ne era certa, era nella sua testa. Insomma aveva capito che parlasse, ma non fino a quel punto.
Sei magico pensò, trattenendosi a stento dal dirlo ad alta voce.
«Direi di sì» ridacchiò il Cappello.
Che forza pensò la ragazzina sempre più euforica.
«Vediamo un po’… hai coraggio e molta incoscienza…».
Sono solo curiosa… borbottò Zoey.
«Un bel po’» ribatté il Cappello. «Hai anche un cuore d’oro però…».
Quanti altri oggetti nel castello pensano come te?
«Io sono l’unico!» sbuffò indignato il Cappello.
Non volevo offenderti… però ho visto delle immagini muoversi…
«Sai che ti dico? Starai benissimo a TASSOROSSO».
Zoey fu sorpresa da quell’improvvisa decisione, avrebbe continuato a chiacchierare volentieri con il Cappello, non l’aveva mai con il pensiero! Avrebbe dovuto imparare a farlo, così gli insegnanti non l’avrebbero rimproverata durante le lezioni. Corse letteralmente verso il suo tavolo, suscitando parecchie risatine.
«Siamo insieme» trillò contenta abbracciando di slancio Charlie e lasciandola senza parole. «Non è fantastico?».
«Avremmo dovuto essere insieme a Grifondoro» sbuffò Charlie.
«Una Casa vale l’altra, no? Basta che siamo insieme, no?» insisté, però, Zoey.
A quelle parole Charlie quasi si strozzò con la sua stessa saliva e i ragazzi risero nonostante le sue occhiatacce.
«Certo, stai tranquilla» rispose al posto suo Teddy presentandosi, prima di voltarsi e seguire lo smistamento di Diana.
Il Cappello fu velocissimo e la mandò a Corvonero.
Teddy le sorrise d’istinto, ma in realtà era molto dispiaciuto di non essere con nessuno dei suoi amici. Certo, era stupido starci male, perché tanto la loro amicizia non ne avrebbe risentito: se lo erano promessi su sollecitazione di Diana, che non condivideva minimamente la sicurezza di Laurence, che sarebbe finiti tutti e tre a Grifondoro. E aveva avuto ragione, tanto per cambiare.
«Beh, vorrà dire che dimostreremo che il Cappello si è sbagliato» sbuffò Charlie.
«Williamson Charis».
Charis, con il cuore in gola, prese posto e attese. Sperando che il Cappello si sbrigasse: odiava trovassi al centro dell’attenzione. Non importava più la Casa in cui l’avrebbe smistata, bastava che facesse in fretta.
«Hai paura?».
No pensò Charis. Ma fai in fretta pensò supplicandolo.
«Come vuoi… allora TASSOROSSO».
La ragazzina sollevata che tutto fosse finito effettivamente in fretta, raggiunse il festante tavolo dei Tassorosso e sorrise imbarazzata ai compagni.
Poco dopo Angel Willis si unì ai Corvonero ed Edith Yaxley ai Serperverde.
Il professor Vitious portò via sgabello e Cappello.
Anche per quell’anno il Cappello Parlante aveva compiuto il proprio dovere.

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Capitolo 5
*** Sei piccoli Tassorosso ***


Capitolo quinto
 
 
Sei piccoli Tassorosso
 


La Preside McGranitt si alzò dal suo scranno e fece tintinnare un cucchiaino contro un calice d’oro. Il silenzio fu immediato e gli studenti le rivolsero sguardi più o meno interessati.
«Buonasera a tutti. Benvenuti i nuovi studenti e bentornati tutti gli altri» disse con un leggero sorriso, che, difficilmente, i ragazzi più grandi le avevano mai visto se non in quelle rare occasioni. «Prima di dare inizio al nostro splendido banchetto, vi ricordo che la Foresta Proibita è chiamata così perché è vietato entrarvi… mi sembra così lampante che mi chiedo come sia possibile che debba ripeterlo ogni anno…». Qualcuno dei ragazzini del primo anno ridacchiò, ma nessuno dei più grandi ne ebbe il coraggio. «Non si può usare la magia al di fuori delle classi ed è vietato qualsiasi duello magico o babbano… Spero che ve lo ricordiate… Buon appetito». A un suo gesto le pietanze apparvero sui tavoli.
«Wow» strillò Zoey facendo un balzo indietro. «S-sono apparse dal nulla?» domandò riprendendosi dalla sorpresa e indicando le portate dall’aria succulenta.
Charlie, gettatasi su un vassoio di costolette, sollevò la testa quel tanto che bastava per lanciarle un’occhiata interrogativa. Mark e Teddy le rivolsero la propria attenzione; mentre Enan si riempì il piatto di salsicce e patate con lo sguardo rivolto al tavolo dei Serpeverde e apparentemente incurante dei loro discorsi.
Charis le sorrise gentilmente e chiese: «In che senso?».
«Come in che senso?!» ribatté Zoey. «Il cibo prima non c’era e ora c’è!».
«È una magia, no?» replicò Teddy accigliandosi.
«Quindi voi maghi non morite mai di fame?» insisté Zoey, a quanto pare più colpita da quello che da ogni altra magia vista fino a quel momento.
Mark non disse nulla, ma era molto perplesso da quelle considerazioni: a casa sua doveva cucinare sempre perché vi fosse qualcosa di commestibile ai pasti, certo che suo padre non poteva usare la magia e sua sorella era diventata maggiorenne da poco e adorava troppo vederlo faticare per dargli una mano.
«Mia nonna cucina» borbottò Teddy meditabondo. «Non fa mai apparire il cibo dal nulla».
Zoey si rivolse a Charis sperando che almeno ella sapesse risponderle, ma la compagna si strinse nelle spalle: «A casa mia cucinano gli elfi domestici».
«Elfi domestici? Come Legolas del Signore degli Anelli?» proruppe Zoey.
«Ma che te ne frega da dove viene il cibo? E chi sarebbe questo Legolas?» esclamò Charlie dopo aver ingoiato un grosso boccone di carne.
«I Babbani muoiono di fame!» sbottò Zoey indignata. «Devo assolutamente imparare l’incantesimo. Sai quanti bambini potrei salvare? Voi maghi siete egoisti!» gettò la forchetta, che aveva preso imitando i compagni, e li fissò arrabbiata.
«Non siamo egoisti» ribatté infastidita Charlie. «Non so di che cosa stai parlando! Se dobbiamo salvare qualcuno, puoi contare su di me… ma potremmo farlo dopo cena?».
«E comunque ci sono delle regole» borbottò Teddy. «Non possiamo immischiarci negli affari dei Babbani».
«Che importanza hanno le leggi quando ci sono di mezzo delle vite umane?» replicò Zoey.
«Ragazzi, va tutto bene?». Una ragazza più grande era silenziosamente scivolata accanto a Charis, che sobbalzò. «Ho notato che state discutendo».
Teddy ne osservò il volto dai lineamenti un po’ infantili, ma dagli occhi gentili e le sorrise automaticamente.
«Voi maghi create il cibo dal nulla e lasciate morire di fame i bambini babbani!» accusò Zoey senza mezzi termini.
Teddy si chiese se sarebbe stato utile insegnarle a riconoscere le gerarchie del castello, o sarebbe stato totalmente una perdita di tempo: la ragazza aveva la spilla da Prefetto appuntata al petto. Tacque per non fare la figura del pedante o del secchione, come tanto amava chiamarlo Laurence.
«Mi chiamo Emily Dawson» si presentò la Prefetta. «Immagino che tu sia una Nata Babbana, dico bene?».
«Sì, è un problema?» ribatté all’istante Zoey. Charlie abbandonò il vassoio di cui stava esaminando il contenuto e le guardò.
«No, anch’io sono una Nata Babbana» rispose Emily. «E comunque siamo entrambe streghe indipendentemente dalle nostre origini. Farai l’abitudine a questo nuovo mondo… Per quanto riguarda il cibo, per vostra norma e regola, è una delle eccezioni alle leggi di Gamp: non si può creare dal nulla. Sotto di noi ci sono le cucine e il cibo viene da lì con un incantesimo».
«Oh» commentò sorpresa Zoey.
«Come funziona l’incantesimo?» domandò Teddy curioso.
«In cucina ci sono quattro tavoli, cinque con quello dei professori, posti nella medesima direzione di questi… gli elfi vi appoggiano il cibo e quello poi appare qui in Sala Grande… Agli studenti è vietato l’ingresso in cucina, per cui vi sarei grata se facesse finta che non vi abbia detto nulla».
«Allora anche i Tassorosso infrangono le regole» commentò Charlie, prevenendo ogni altra domanda di Teddy sull’incantesimo.
«Direi proprio di sì» rispose Emily ridacchiando. «E ti svelo un altro segreto» soggiunse piegandosi in avanti verso la ragazzina che l’ascoltava con tanto d’occhi. «I Corvonero non fanno sempre i compiti e a volte li copiano».
Teddy, Charis e persino Mark non riuscirono a trattenere un sorrisetto divertito; Charlie per conto suo cadde quasi dalla panca. «Cosa?! Tu mi prendi in giro!».
«No, dovresti avere meno pregiudizi sulle Case» l’ammonì Emily. «Noi Tassorosso saremo anche buoni di cuore, ma ciò non vuol dire che la nostra condotta sia sempre irreprensibile. E, a proposito di questo, molti nostri compagni non hanno apprezzato la scenata che hai fatto per essere stata smistata nella nostra Casa e pensano di vendicarsi. Non ci abbiamo fatto per nulla una bella figura. Gli altri studenti ci prenderanno in giro per mesi!».
«Tutta la mia famiglia è stata a Grifondoro» borbottò Charlie iniziando a maltrattare con foga una salsiccia. Non fu chiaro a nessuno se fosse il suo modo di scusarsi.
«Beh, guardati le spalle» si limitò a dire Emily alzandosi. «Buona cena».
«Non rimani con noi?» la fermò Teddy, al quale la Prefetta era stata subito simpatica.
«Ho detto ai miei compagni che sarei tornata» replicò ella. «Ci vediamo più tardi in Sala Comune. E mi raccomando, la nostra Caposcuola è molto severa… ignorate quello che ho detto sul fatto che i Tassorosso non rispettano le regole».
«È buono» trillò Zoey, decisasi finalmente a mangiare. «Non mi avete detto cosa sono gli elfi».
«Gli elfi domestici sono delle creature vincolate magicamente a un mago, il padrone, e in virtù di questo vincolo sono obbligate a obbedirgli» rispose Teddy pazientemente.
«Sono degli schiavi!» sbottò nuovamente indignata Zoey, sventolando una forchettata di patate che si sparsero sul tavolo e una colpì persino Enan in volto che si voltò a guardarli interrogativo.
«Bentornato tra noi» lo derise Charlie. «Ti conviene mangiare o non rimarrà nulla».
«Tu stai mangiando tutto» non riuscì a trattenersi Teddy.
«Devo crescere» rispose la ragazzina facendogli la linguaccia.
«Chiudi la bocca mentre mangi» la rimbeccò Teddy disgustato.
«Noi li trattiamo bene i nostri elfi» mormorò timidamente Charis rivolta a Zoey. «Il Ministero è molto attento negli ultimi anni».
«Infatti» intervenne Charlie, «i miei mi adorano».
«Vorrei tanto conoscere un elfo. Legolas è bellissimo» continuò Zoey con occhi sognanti.
«Ma insomma chi è questo Legolas?» domandò Charlie per la seconda volta.
«Non lo conosci?» ribatté Zoey stupita.
«È letteratura babbana» rispose Teddy, che, avendo frequentato una scuola babbana, aveva una certa esperienza. «Ehm, gli elfi domestici di solito non sono proprio una bellezza».
«Enan, ti chiami così giusto?» disse a un certo punto Charlie. «Smetti di fissare i Serpeverde? Vedrai che scopriremo perché quello di assomiglia tanto».
«Ma non sono affari tuoi» disse Teddy sconvolto da tanta invadenza.
«E come facciamo a scoprirlo?» domandò Enan perplesso.
«Non lo so, un modo lo troviamo, tranquillo» rispose Charlie con un largo sorriso.
 
La cena procedette tranquillamente finché i fantasmi non fecero il loro ingresso in Sala Grande per dare il benvenuto ai nuovi studenti.
«O mio Dio» urlò Zoey attaccandosi istintivamente al braccio più vicino, quello di Mark. Il ragazzino, non essendo particolarmente abituato al contatto fisico, sobbalzò e se ne sorprese: dopotutto chi avrebbe mai cercato protezione da lui? Nessuno osava avvicinarlo alla scuola babbana e poi lì c’era Enan, palesemente più forte, e sarebbe stato più normale cercare aiuto a quest’ultimo.
«Sono solo fantasmi» provò a tranquillizzarla Teddy. «Ce ne sono tanti a Hogwarts».
«Benvenuti nuovi Tassorosso!» trillò un fantasma che indossava un saio e sorrideva benevolo. Si mise a galleggiare proprio sopra il tavolo. Zoey lo fissava a occhi sgranati.
«Sei un monaco». Quest’ultima non tardò a recuperare la voce.
«Un frate» mormorò a malapena udibile Mark.
«Monaco, frate, è uguale» intervenne Charlie.
«Non lo è» insisté Mark, non sapendo da dove stesse tirando fuori quella voglia di discutere di un simile argomento. «I monaci preferiscono l’isolamento e la preghiera; i frati stanno nelle città vicino al popolo».
«Esatto!». Il fantasma sembrò contento di quella definizione. Mark arrossì e chinò il capo sul suo piatto. «Sono sicuro che Tassorosso farà grandi cose quest’anno!».
«Come ti chiami?» gli chiese Zoey, il cui spavento era decisamente passato ed era pronta a fare domande a ruota libera come suo solito.
«Sono noto come Frate Grasso» rispose egli allargando maggiormente il suo sorriso bonario.
«E non ti offendi se ti chiamiamo così?» domandò Charis timidamente.
«Oh, no, bambina mia».
«E i fantasmi delle altre Case come si chiamano?».
Il Frate Grasso ridacchiò di fronte all’entusiasmo di Zoey.
«Quello dev’essere il Barone Sanguinario. Mio fratello Willy me ne ha parlato» disse Charlie indicando un fantasma vicino al tavolo dei Serpeverde. Aveva l’aspetto cupo e delle catene intorno al corpo.
«Lui sì che è spettrale» commentò Zoey abbassando la voce, come se avesse timore a farsi sentire.
«Lasciatelo in pace. È un cuore inquieto» intervenne il Frate Grasso. «Se avete bisogno, cercatemi, miei piccoli Tassorosso». E poi svolazzò via.
«Quello invece è Nick-Quasi-Senza-Testa» continuò Charlie. «Il fantasma di Grifondoro».
«Come quasi senza testa?».
«Mio cugino mi ha detto che il boia non è riuscito a tagliargliela per bene» rispose Enan.
Charis e Zoey fecero una smorfia disgustata al solo pensiero.
«E Corvonero?». Zoey quasi si alzò nella speranza di vedere qualche altro interessante soggetto spettrale galleggiare sul tavolo blu-bronzeo.
«Mio cugino mi ha detto che il loro fantasma è molto riservato. Lo chiamano Dama Grigia. Si dice che sia stato il Barone Sanguinario a ucciderla» raccontò Enan.
«Figo» commentarono in coro Zoey e Charlie.
«È terribile» mormorò invece Charis.
Mark era d’accordo con lei, ma non disse nulla.
«Avevo capito che tuo cugino fosse un Grifondoro» commentò perplesso Teddy.
«Oh, ma io ho un sacco di cugini» spiegò Enan. «Quelli a Hogwarts quest’anno sono cinque: tre Grifondoro e due Corvonero».
«Wow» commentò Zoey. «Io sono figlia unica».
«Beh, anch’io lo sono» replicò Enan con un’alzata di spalle.
«Ma hai tanti cugini».
«Fidati, troppi fratelli non sono un bene. Io per esempio ne ho due: Willy e James. Di James ne farei a meno» sentenziò Charlie.
«Pure io sono figlio unico, ma ho tanti cugini» disse Teddy.
«Io sono figlia unica come te Zoey» mormorò Charis sorridendo alla compagna.
Mark non si unì alla conversazione ma si voltò verso il tavolo dei Grifondoro: Jay si stava ingozzando, mentre Alexis rideva e scherzava con i suoi compagni mettendo in mostra qualcosa, probabilmente la spilla da Capitano. A lui avere fratelli non dispiaceva, ma avrebbe preferito che gli volessero bene.
«I dolci!» gridò Zoey.
Effettivamente erano apparsi così tanti dolci che nessun undicenne avrebbe potuto rimanerne indifferente.
«Ora sì che sono sazia» sospirò Charlie dopo essersi riempita ben bene. «E possiamo parlare di cose importanti» soggiunse chinandosi in avanti e fissando Teddy intensamente.
Il ragazzino si ritrasse istintivamente. «Che c’è?».
«Com’è Harry Potter dal vivo?» domandò la ragazzina a bruciapelo.
«Chi è Harry Potter?» esclamò Zoey. Mark, Enan e Charis li squadrarono leggermente turbati.
«In che senso?» borbottò Teddy contrariato, rompendo il leggero velo di tensione calato su di loro.
«Come in che senso? Stiamo parlando di Harry Potter!» ribatté Charlie apparente incapace di cogliere il nervosismo del compagno. «È così forte come dicono? E, soprattutto, posso avere un autografo di Ginny Weasley?».
«No, Ginny non fa autografi e nemmeno Harry» sbottò Teddy infastidito.
«Ehi, ragazzi, tutto bene? Tocca a me accompagnarvi in Sala Comune». Emily Dawson era apparsa alle loro spalle, spezzando definitivamente quel momento di tensione. I ragazzini, presi dalla discussione, non si erano accorti che tutti si stavano alzando. Probabilmente la Preside li aveva congedati.
«Sì, tutto bene» rispose Teddy lanciando un’occhiataccia a Charlie.
«Ma che ho fatto?» sussurrò quest’ultima.
«Sei stata un po’ invadente» mormorò Charis con espressione contrita.
«Ma chi è Harry Potter?» insisté Zoey confusa.
«Lo scoprirai a Storia della Magia» tagliò corto Emily che aveva colto il rossore sul volto di Teddy e i suoi capelli cangianti tra il nero e il rosso.
«Non mi piace la storia» borbottò Zoey in risposta.
«E ti pareva» borbottò Emily. «Forza, mettetevi in fila o la Caposcuola se la prenderà con me».
«Non sei l’unica del settimo anno che segue le lezioni di Storia della Magia?».
«Fagan!» esclamò Enan contento, regalando al cugino, apparso improvvisamente al loro fianco, un enorme sorriso.
«Che volete?» borbottò Emily squadrando i nuovi arrivati, specialmente i due Grifondoro più grandi.
Infatti con Fagan Macfusty vi erano anche Artek e Blair. Enan li salutò contento, tanto che per un attimo si dimenticò persino di Mulciber.
«Calma, calma Dawson, vogliamo solo salutare nostro cugino» disse Fagan diplomaticamente.
Enan li presentò immediatamente ai suoi compagni, notando gli sguardi languidi che alcune Tassorosso lanciavano a Fagan e Artek.
Teddy ne approfittò per cercare Diana e Laurence, rendendosi conto che entrambi avevano già tentare di attirare la sua attenzione. L’amico gli rivolse un’occhiata da ‘era ora’ e gli fece segno che si sarebbero visti l’indomani; mentre Diana gli sorrise leggermente affrettandosi a seguire il suo Prefetto.
Charlie sfuggì dal controllo di Emily e, insieme a Zoey, corse al tavolo dei Grifondoro urtando vari ragazzi sul suo cammino. La Prefetta tentò di richiamarla, ignorando le battutine di Fagan e Artek.
«Charlotte, è mai possibile che cominci a farci disperare dalla prima sera?» intervenne una voce seccata.
«James» mormorò Emily, che le aveva seguite, visibilmente imbarazzata.
«Buonasera» replicò il ragazzo con la consueta pomposità. «Ti chiedo scusa per il comportamento di mia sorella».
«Non ti preoccupare» borbottò la ragazza guardandosi intorno nervosamente.
«La Montgomery è uscita qualche minuto fa in compagnia di McBridge» ghignò Artek.
«Volevo solo salutare Willy» sbuffò Charlie, che aveva abbracciato di slancio l’altro fratello. «Quanto la fate lunga».
«Charlotte, ora sei a Hogwarts e non puoi…».
«Ma vai al quel paese» sbottò la ragazzina. «E non mi chiamare Charlotte!».
«Dawson, ti conviene occuparti dei tuoi Tassorosso» disse rigidamente James Krueger. «E voi due smettetela» soggiunse stizzito rivolgendosi a Fagan e Artek che sghignazzavano.
Mark, Teddy, Enan e Charis aveva atteso tranquillamente il ritorno di Emily e, vedendo la sua espressione esasperata, tentarono di essere collaborativi.
«Seguitemi» sospirò la ragazza. «Voi due davanti, per favore» soggiunse rivolta a Charlie e Zoey.
«Dove stiamo andando?» domandò quest’ultima.
«Nella nostra Sala Comune».
«I Grifondoro stanno in una torre» borbottò Charlie arricciando il naso, mentre Emily li guidavano verso una scala e poi nel seminterrato.
«Stiamo in una cantina» borbottò Zoey.
Teddy si chiese se fossero in grado di tacere per qualche secondo e scambiò un’occhiata complice con Charis, che sembrava essere riservata come lui.
Enan osservava intorno a sé tutto contento. «Qui ci sono anche le cucine? Me l’ha detto Fagan».
«I tuoi cugini sono bravissimi a rispettare le regole» ribatté ironica Emily. «La nostra Sala Comune non è una cantina».
«Non sarà mai bella quanto quella dei Grifondoro» sentenziò Charlie.
Mark rimase in silenzio, ma era leggermente più tranquillo lontano dalla Sala Grande gremita e soprattutto dagli occhi dei suoi fratelli.
«Siamo arrivati» sospirò Emily, fermandosi di fronte a una serie di botti accatastate in una nicchia di pietra.
«Una cantina» bofonchiò Charlie derisoria.
«Ascoltatemi con attenzione» disse la Prefetta in tono ammonitorio, fissando specialmente Charlie. «Questo è il ritmo di Tosca Tassorosso». Ella colpì con le nocche della mano la seconda botte dal basso della seconda fila, che si aprì di fronte ai loro occhi più o meno stupiti. «Imparerete a farlo».
«Che succede se sbagliamo?» le chiese Teddy.
Emily ghignò. «Si apre un’altra botte e ti inonda di aceto».
Teddy fece una smorfia.
«Che idiozia» commentò Charlie alzando gli occhi al cielo.
«Che schifo» proruppe Zoey.
Come al solito Charis e Mark tacquero, ma fissarono preoccupati le botti.
«Seguitemi» riprese Emily entrando nel cunicolo terroso. Charlie e Zoey si lamentarono ancora, ma nessuno diede loro retta. «Ecco, benvenuti nella nostra Sala Comune».
«Oh» sospirò Charis appena entrò.
«Niente di eccezionale» sbuffò Charlie a braccia incrociate e senza neanche guardarsi intorno.
La Sala era a pianta circolare, con i soffitti bassi e dall’aria rustica. In un vasto caminetto, sovrastato da un dipinto di Tosca Tassorosso, scoppiettava un allegro fuocherello. L’ambiente era disseminato di divani e poltrone imbottite rivestite di giallo e nero. I tavoli e le sedie, con tanto di cuscini, erano di legno chiarissimo e all’apparenza delicato. Sui davanzali di piccole finestre rotonde vi erano molte piantine decorative che contribuivano a conferire una sensazione di calda accoglienza.
«Bella» esclamò Teddy rilassato. «Voi che dite?».
Enan annuì, mentre Mark sorrise trovando veramente piacevole quell’atmosfera.
«Benvenuti». Una voce nuova per tutti, tranne che per Mark che impallidì, li costrinse a voltarsi. «Per piacere, accomodatevi un attimo perché vorrei parlarvi. Vi prometto che sarò breve». I ragazzi obbedirono osservando con curiosità la ragazza. «Mi chiamo Eleanor Montgomery e sono la Caposcuola di Tassorosso».
«Come se non l’avessero capito da soli» borbottò un ragazzo che Mark riconobbe come Bobby.
Elly gli lanciò un’occhiataccia e riprese: «Vi presento i nostri Prefetti: Robert Johnson del settimo anno come me».
«Bobby» precisò il ragazzo facendo un lieve cenno di saluto ai nuovi Tassorosso.
«Emily Dawson l’avete già conosciuta… poi abbiamo Corbin Savage, entrambi del sesto anno». La prima sorrise, mentre il secondo si limitò a un serioso cenno. «Infine i gemelli Lancaster, Dorian e Amelia». Concluse Elly. «Ho ritenuto opportuno presentarveli perché, di qualunque cosa doveste aver bisogno, non dovrete farvi alcun problema a rivolgervi a uno di noi… inoltre… e lo dico davanti a tutti, la spilla che abbiamo non è fonte di superiorità e se qualcuno di noi dovesse abusare del potere conferitogli, voi avrete il diritto e il dovere di farlo presente o a un altro di noi o direttamente a un insegnante, è chiaro?».
Teddy la fissò positivamente stupito e annuì convinto.
«Molto bene, allora credo sia arrivato il momento di andare a letto» annunciò la Caposcuola. «A destra trovate l’ingresso del Dormitorio delle ragazze, a sinistra quello dei ragazzi. Che non vi venga in mente di andare in giro per la Scuola dopo il coprifuoco, mi raccomando» aggiunse indicando poi due porte rotonde in fondo alla Sala Comune. «Mark Becker, vorrei parlare con te. Gli altri possono andare».
«E se non volessimo?» s’impuntò Charlie, mentre gli altri si alzavano.
«Hagrid ha comunicato ai professori quello che è accaduto durante la traversata del Lago Nero e la scenata da te messa in atto durante lo Smistamento è la ciliegina sulla torta, se fossi in te non attirerei ulteriormente l’attenzione dalla prima sera» rispose Elly.
«Dai, vediamo com’è la nostra stanza» intervenne Zoey prima che Charlie se ne uscisse con qualche rispostaccia.
«Buonanotte» disse Elly con un tono che non ammetteva repliche.
«Vi accompagno» disse gentilmente Emily alle ragazzine.
«Sarò felice di farvi da guida» propose a sua volta Bobby a Teddy ed Enan che lo seguirono di buon grado.
Mark contorse le mani in grembo nervosamente e si fissò i piedi. Il divano si abbassò e il ragazzino percepì la presenza di Elly accanto a lui. Ora la Sala Comune era perfettamente silenziosa.
«Mi vuoi espellere?» mormorò il ragazzino non riuscendo a trattenersi.
«No. E comunque non ho questo potere» rispose la ragazza pacatamente. Mark non osò sollevare gli occhi su di lei. Era troppo spaventato. «Quello che è successo sul treno è grave: sei penetrato nella mia mente. Nel nome di Merlino, come hai fatto? Ci vogliono anni e anni di studio». Aveva mantenuto il tono della voce basso, ma le sue parole erano diventate sempre più concitate.
Il ragazzino sentì il battito del cuore accelerare, non avendo la minima idea di come dovesse rispondere: suo padre gli aveva sempre detto di non raccontarlo a nessuno, ma come poteva mentire alla Caposcuola? Specialmente dopo quello che era accaduto!
«Sono un legilimens naturale» mormorò a voce bassissima, ma Elly lo udì ugualmente.
La ragazza rifletté qualche secondo e poi sospirò: «È incredibile… ma non credo possa esistere un’altra motivazione perché a undici anni tu sappia fare una magia del genere! I professori lo sanno?».
«No, no. Mio padre mi ha ordinato di non dirlo a nessuno» replicò in fretta Mark sempre più terrorizzato.
«Ma tu sai usare questo potere?» domandò Elly colta da un’illuminazione.
«No» ammise Mark. «Non c’è un modo di usarlo, no? Devo solo evitare il contatto visivo» aggiunse ripetendo quello che gli era stato inculcato per anni.
«Che idiozia, certo che si può. È un potere… ah, non so manco definirlo… ma, Mark, non nasce un legilimens naturale da un sacco di tempo! Devi dirlo ai professori! Sono sicura che il professor Vitious o la professoressa McGranitt sarebbero in grado di aiutarti. Non puoi mica passare la vita a evitare lo sguardo delle altre persone!».
«No, ti prego, non dirlo a nessuno!» quasi piagnucolò il ragazzino. «Mio padre mi ucciderebbe!».
«Mark, i professori devono saperlo! Hai bisogno di aiuto!».
«Ti prego» la supplicò lui con le lacrime agli occhi.
«Va bene» sospirò Elly, sorprendendolo. «Però promettimi di pensare a quello che ti ho detto. Me lo prometti?».
«Sì, lo prometto» rispose istintivamente Mark.
«In qualità di Caposcuola sono tenuta a ricordarti che non devi far uso del tuo potere né sugli altri studenti né sui professori, che se ne accorgerebbero senz’altro. E ti avverto che non mi sfugge nulla e se mai dovessi aver solo sentore che non hai mantenuto fede al nostro accordo, non avrò alcuna remora a denunciarti alla Preside, è chiaro?».
«Sì» mormorò mestamente Mark.
«Un’ultima cosa: sei hai bisogno di aiuto, non esitare a cercarmi. Non ti nascondo che non provo una grande simpatia per i tuoi fratelli… i miei genitori mi ucciderebbero se mi comportarsi come hanno fatto loro oggi sul treno».
Il ragazzino annuì, sperando che lo lasciasse andare al più presto.
«Va’ pure adesso. Ci vediamo domani mattina. Buonanotte».
«Grazie» mormorò Mark. «Buonanotte». E quasi corse verso l’entrata del suo Dormitorio, ma non gli sfuggì il sorriso tra il dolce e comprensivo della Caposcuola. Tirò un sospiro di sollievo soltanto quando si chiuse la porta alle spalle, ma a quel punto gli sovvenne una nuova difficoltà tanto che ebbe la tentazione di tornare indietro nella speranza di trovare ancora Elly in Sala Comune: non aveva la minima idea di quale fosse la sua camera. Prese un bel respiro e s’intimò di non farsi prendere dal panico e ragionare, ci mancava solo di passare per stupido davanti ai suoi nuovi compagni fin dalla prima sera. Se non lo pensassero già. Compì qualche passo nel corridoio e si rese conto che, appese accanto alle porte che si aprivano sul corridoio, vi erano delle targhette. Si avvicinò, lesse la prima e comprese che vi erano elencati i nomi dei proprietari della stanza. Lesse attentamente varie targhette finché non trovò quella su cui era scritto: Allievi del Primo Anno.
Ebbe un attimo di titubanza e poi entrò. Teddy ed Enan interruppero per un momento le loro chiacchiere e lo salutarono.
«Tutto bene?» chiese Teddy.
«Che voleva da te la Caposcuola?» domandò curioso Enan.
«Voleva parlarmi di una cosa» borbottò Mark dopo aver annuito in risposta a Teddy.
«Hanno portato i bauli qui. Che forza. Teddy dice che sono stati gli elfi domestici. Sarebbe comodissimo averne una squadra a casa, no?».
«Magari» borbottò Mark al pensiero che le faccende fossero sbrigate da qualcuno che non fosse lui.
«Mia zia Hermione non approverebbe mai. Lei ha fondato un’associazione a salvaguardia degli elfi domestici» disse Teddy.
«Ho sentito dire qualcosa ai miei zii» commentò Enan buttandosi sul suo letto. «Fagan mi ha detto che possiamo andare a dormire all’ora che vogliamo».
«In teoria non ci conviene andare troppo tardi perché non riusciremo a seguire le lezioni del mattino» ribatté Teddy assennatamente. «Mark, noi abbiamo scelto questi letti, ma se tu non sei d’accoro, dillo».
«Oh». Il ragazzino fu decisamente stupito da quella premura e scosse la testa. «No, va bene, grazie».
«È un peccato che non possiamo andare in cucina» sospirò Enan.
«Non mi dire che hai ancora fame!» sbottò Teddy.
«Sto crescendo» replicò Enan, imitando Charlie. «Ho sempre fame».
Persino Mark non riuscì a trattenersi e si unì alla risata degli altri due.
 

*
 

«Era una vita che non saltavo così sul letto!» strillò Charlie euforica.
«A chi lo dici! E questi letti sono comodissimi» le fece eco Zoey. «E mia madre pensava che ci sarebbero state brandine stile militare».
Charis ridacchiò e si lasciò cadere seduta sul proprio letto.
«Certo che i Babbani hanno idee strane su noi maghi» commentò Charlie.
«Gli strani siete voi per noi» replicò Zoey. «Quando impariamo a volare?».
«Ci saranno delle lezioni apposite» rispose Charis.
«Io lo so già fare» cantilenò Charlie. «Me l’ha insegnato Chris, il maggiordomo di mio padre».
«Non vedo l’ora! Sarà fantastico» trillò Zoey con voce sognante. «Basta, non ce la faccio più» soggiunse buttandosi sul letto.
«Ho vinto!» gridò felice Charlie.
«Vinto? Quando abbiamo detto che era una gara?» si lamentò Zoey.
Charlie ghignò e poi si rivolse a Charis: «Tu non parli mai».
«Non è vero, ho parlato poco fa» si difese la ragazzina.
«Parli poco».
«Ma che dovrei dire?».
«Quello che ti pare. Io lo faccio sempre».
Zoey rise e poi indicò il pigiama di Charlie. «Le palline sul tuo pigiama si muovono».
«Palline? Quali palline. Oh, per le mutande di Merlino, devo insegnarti le basi» ribatté Charlie portandosi una mano sulla fronte con fare melodrammatico.
«Sono boccini d’oro» mormorò Charis divertita.
«E che sono?».
«Lascia che ti spieghi la bellezza, la poesia del Quidditch» quasi urlò Charlie, saltando giù dal letto e iniziando a svuotare il baule alla ricerca delle riviste che aveva messo di nascosto dalla madre.
Zoey le si avvicinò e tirò la maglia per vedere meglio i fantomatici boccini d’oro che sfrecciavano sullo sfondo scarlatto.
«Io vado a letto» borbottò Charis. «Buonanotte».
Le altre non l’ascoltarono neanche, tanto erano prese dalla loro conversazione sul Quidditch.

 
*
 

Avevano chiacchierato per un po’, Enan aveva parlato più di tutti in realtà raccontando storie fantastiche sui draghi della riserva gestita dalla sua famiglia. Roba da fiaba o da romanzo. Mark l’aveva trovato meraviglioso e si era bevuto ogni parola, come un assetato, e per un po’ si era dimenticato ogni paura. Adesso, però, Enan e Teddy si era addormentati, ma lui proprio non ci riusciva o almeno aveva dormito per pochissimo tempo e si era svegliato con il cuore che gli batteva a mille. Eppure non ricordava di aver sognato qualcosa di particolare.
Aveva sperato che almeno a Hogwarts quel fastidio gli avrebbe dato pace, invece eccolo di nuovo e dalla prima sera.
No, no, doveva calmarsi o sarebbe stato peggio. La soluzione migliore sarebbe stata quella di camminare un po’ come faceva a casa, ma qui avrebbe rischiato di svegliare i compagni. Si mise a sedere e si guardò intorno incerto finché non adocchiò la brocca d’acqua sul comodino di Teddy. Si avvicinò piano piano per non svegliarlo e si riempì un calice.
Il battito accelerato non sembrava volersi placare e la camera iniziava ad apparirgli improvvisamente troppo piccola, perciò decise di tornare in Sala Comune. Fortunatamente la trovò vuota.
Camminò per un po’ avanti e indietro osservando nei dettagli quella che sarebbe stata la sua casa per i successivi sette anni e questo lo rincuorò: era un bel posto, tranquillo e accogliente.
Quando fu più calmo si adagiò su un divano con l’intenzione di salire in camera di lì a poco, ma il sonno ebbe la meglio e il ragazzino si addormentò.

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Capitolo 6
*** Serpeverde anomali e prime lezioni ***


Capitolo sesto
 


 

 
Serpeverde anomali e prime lezioni
 
 



 
«Dove sarà?» borbottò Enan ancora assonnato. «Già in Sala Grande?».
«Non credo» replicò Teddy pensieroso. «Il suo zaino era sul baule».
«Potrebbe esserselo dimenticato».
Teddy si strinse nelle spalle ed entrò nella Sala Comune; sorrise spontaneamente alla vista della sala circolare trionfante nel sole del primo mattino. Le piante pendenti dal soffitto rilucevano e altre addirittura stavano… ballando? «Enan, hai visto?» chiese a mezza voce indicando quello strano spettacolo. In undici anni aveva visto quadri, specchi e chissà cos’altro parlare, ma mai un essere vegetale.
«Sì, mi sa che Mark ha dormito qui. È con la Caposcuola… la ragazza di ieri sera, mi fa paura… andiamo da lui…» ribatté Enan, con lo sguardo fisso da tutt’altra parte.
Teddy distolse gli occhi dalla strana ballerina e si voltò stranito. «Cosa?».
«Vieni» replicò semplicemente il compagno.
I due ragazzini raggiunsero Mark ed Elly che parlavano a bassa voce. «Buongiorno» disse Teddy annunciando la loro presenza, mentre Enan lanciava occhiate sospette alla Caposcuola.
«Avete litigato ieri sera?» domandò Elly a bruciapelo.
«No!» rispose precipitosamente Enan.
La ragazza si accigliò. «E per quale altro motivo avrebbe dovuto dormire in Sala Comune?» chiese fissando Mark, Enan e Teddy uno alla volta.
«Siamo andati a letto insieme, senza litigare, ma stamattina non l’abbiamo trovato» spiegò Teddy con calma.
«Non riuscivo a dormire, tutto qui» mormorò Mark.
Elly continuò a scrutarlo sospettosa, ma annuì. «Beh, prossimamente cerca di rimanere nel tuo letto. È sicuramente più comodo del divano. Ora vai a cambiarti o rischiate di fare tardi il primo giorno».
«Noi vorremmo andare in Guferia per spedire una lettera, potresti spiegarci come raggiungerla?» le domandò gentilmente Teddy, stringendo nella mano destra le due pergamene su cui aveva scritto velocemente.
«Aspettate Mark, poi o io o uno dei Prefetti vi accompagneremo».
«Va bene, grazie».
Mark non si fece attendere e si preparò rapidamente.
«Sei lento» lo accusò Enan.
Teddy ridacchiò. «Sei stato veloce, tranquillo» lo rassicurò cogliendo il suo sguardo mortificato. «Devi scrivere anche tu qualcosa ai tuoi?».
Mark scosse la testa.
«Non sono curiosi di sapere in che Casa sei finito?» gli chiese Enan.
«Gliel’avranno già detto i miei fratelli» replicò il ragazzino e si avviò alla porta con gli occhi bassi, rendendo chiaro che fosse meglio chiudere l’argomento.
In Sala Comune trovarono Charis che andò subito loro incontro.
«Buongiorno» li accolse timidamente.
«Ciao» trillò Enan.
«Buongiorno» replicò Teddy sorridendole.
Il saluto di Mark fu più sommesso, ma la ragazzina non parve prendersela.
«Dove sono Charlie e Zoey?» le domandò Teddy, guardandosi intorno sospettoso: quelle due erano capaci di apparire all’improvviso alle sue spalle e farlo spaventare davanti a tutti.
«Hanno detto che vogliono dormire ancora un po’» sospirò Charis, lasciando intendere che pazientemente aveva tentato di svegliarle e convincerle a seguirla, ma invano.
«Ci faranno perdere punti dal primo giorno!» sbuffò Teddy contrariato.
Charis si strinse nelle spalle impotente. «Corbin ci sta aspettando» disse indicando un ragazzo poco distante, intento a chiacchierare. «Ci mostrerà il percorso più breve per raggiungere la Guferia e poi la Sala Grande».
«Oh, bene, grazie» disse Teddy.
Il Prefetto Corbin Savage era un ragazzo di poche parole e, oltre a presentarsi, non fiatò finché non raggiunsero la meta.
«Ecco, questa è la Guferia. Avete dei gufi? In caso contrario potete usare quelli della Scuola».
«Non ti preoccupare» rispose Teddy, notando Ramoso volare immediatamente verso di lui. «Ciao» gli sussurrò.
Enan chiamò la sua civetta con un leggero fischio. «Ciao, bella. Ti piace questa Guferia o ti manca quella di casa?» gli chiese accarezzandola.
Anche la civetta di Charis raggiunse la padroncina, ma ella non ne fu particolarmente felice. Corbin se ne accorse e si offrì di darle una mano.
«Se fai così, non legherete mai» le disse Enan in tono di rimprovero.
«Non mi piacciono molto gli animali» bofonchiò ella in risposta. «Grazie, Corbin» soggiunse rivolta al ragazzo più grande, mentre la civetta volava via portando con sé la lettera per lo zio, che aveva scribacchiato rapidamente quella mattina.
Enan le rivolse un’occhiata corrucciata e per nulla amichevole. «Che l’hai comprata a fare?».
«Mi ha costretto mio zio» replicò Charis timidamente.
«Non la pressare» borbottò Teddy vedendo la compagna a disagio.
«Non a tutti piacciono gli animali e, comunque, finché starà qui starà bene» intervenne Corbin Savage cogliendo la tensione.
«Non starà bene senza affetto» disse testardamente Enan.
«Andiamo a fare colazione» esclamò il Prefetto, forse temendo un litigio. «Stai bene?».
Charis, Enan e Teddy si voltarono verso Mark, al quale Corbin si era rivolto. Effettivamente Mark era rimasto in silenzio per tutto il tempo.
«Sì» mormorò, ma non sembrava molto convinto.
«Dai, ora andiamo a fare colazione» commentò sorridente Enan. «Non ci vedo dalla fame».
Teddy fissò Mark per qualche secondo, consapevole che non dovesse essere il cibo il suo problema.
Erano ormai a metà di una scalinata, quando una vocetta femminile e ancora infantile attirò la loro attenzione. «Teddyyy!».
In cima alle scale c’era Diana e Teddy le sorrise spontaneamente. Sembrava star bene, a parte un po’ di agitazione più che giustificabile.
L’aspettarono e Teddy la presentò agli altri.
«Allora com’è andata la prima notte?» le chiese Teddy.
«Bene, la Sala Comune è molto bella. C’è una libreria enorme! È fantastica! Peccato che tu non possa vederla!» trillò tutto d’un fiato.
«Anche la nostra Sala Comune è molto bella. Stamattina ho visto una pianta ballare!» replicò Teddy, felice di poter raccontare a qualcuno quella storia.
«E ti sorprendi? Pensavo che conoscessi tutto del mondo della magia!» replicò Diana.
«Non ho mai visto una pianta ballerina» insisté.
«Sul serio?» chiese stupito Mark.
«Sì, non l’hai vista?».
«Secondo me te lo stai inventando» intervenne Enan.
«No, l’ho vista! Corbin?!».
Il Prefetto ridacchiò e annuì. «Oh, sì, beh alcune piante ballano, altre parlano persino».
I cinque ragazzini lo fissarono a bocca aperta.
«Le piante non parlano!» s’imputò Enan.
«Ti dico di sì» ribatté Corbin. «Se non ci credi pomeriggio te le presento».
«Tanto non è vero» borbottò Enan.
«Ma perché non dovrebbe? Esiste la magia» sospirò estasiata Diana. «Che cosa c’è di tanto strano in una pianta che parla? Lo fanno anche gli animali?».
«Solo alcuni» rispose prontamente Enan.
«Mi piacerebbe tanto vederne uno» disse subito la ragazzina con gli occhi luccicanti.
«Meglio di no» intervenne Corbin. «Alcuni sono pericolosi».
«È vero che c’è una colonia di acromantule nella foresta?» domandò Enan.
«Sì, ma sei un po’ troppo entusiasta all’idea. Ricordati che la Foresta Proibita è proibita, come ha detto la Preside ieri sera».
Enan non appariva molto d’accordo, ma fortunatamente pensò bene di non insistere con il Prefetto.
Grazie a Corbin non impiegarono molto a raggiungere la scalinata principale e quindi la Sala Grande. Teddy, però, temeva profondamente il momento in cui si sarebbero ritrovati da soli: dubitava fortemente di saper ritrovare la strada per il proprio dormitorio.
«Che c’è?». La voce timida e cortese di Charis riscosse Teddy dai suoi pensieri. La ragazzina parlava con Mark, fermatosi e rimasto indietro. Teddy ne seguì lo sguardo e vide che era puntato su un gruppetto di ragazzi decisamente più grandi che stazionava sulla soglia della Sala Grande.
«Niente» biascicò Mark, mentre una ragazza di Grifondoro si staccava dal gruppo.
«Dobbiamo parlare Mark» disse quest’ultima senza neanche salutare.
«I ragazzi sono con me. La Caposcuola mi ha chiesto di accompagnarli in Sala Grande» intervenne Corbin infastidito.
«Sinceramente, me ne frega ben poco di quello che dice la Montgomery. E, comunque, lui è mio fratello, ergo ho tutti il diritto di parlargli quando e come voglio» ribatté la ragazza. «Vieni» soggiunse, tirando Mark lontano dai suoi compagni.
Il ragazzino con il cuore in gola non si oppose. Non seppe se dovesse tranquillizzarsi o meno vedendo che Alexis lo stava trascinando verso loro fratello Jay.
«Ciao» dissero in coro i due ragazzi senza neanche guardarsi negli occhi.
«Ma che ciao e ciao» sbottò Alexis irritata. «Come hai potuto non farti smistare a Grifondoro! Sei veramente irrecuperabile!».
«Ha deciso il Cappello Parlante» mormorò Mark tentando di difendersi.
«No, la colpa non è di quello stupido cappellaccio» sibilò sua sorella abbassandosi alla sua altezza. «La colpa è tua, sempre tua! Sei solo uno smidollato. Ci mancava solo la vergogna di vederti nella Casa dei mollaccioni, degli stupidi… anche se, pensandoci, avremmo dovuto aspettarcelo…».
«Non sono stupidi i Tassorosso» provò Mark pensando a Elly.
«Oh, sì che lo sono. E tu sei il re degli stupidi» ribatté Alexis spingendolo contro il muro.
Mark gemette, ma non replicò più.
«Aspetta che lo sappia nostro padre. Non mi pare che ti avesse chiesto molto! Finisci a Grifondoro! Avrebbe dovuto tenerti a casa, io lo sapevo! Ma non ha voluto sentire ragione. Dopotutto come biasimarlo? Non averti tra i piedi per qualche mese dev’essere una liberazione». Quelle parole ferirono Mark, ma ancora non fiatò. «Ti ucciderà appena lo saprà».
«Gli hai scritto?» sussurrò.
«Oh, sì. Ieri sera. In questo momento l’avrà già saputo o comunque manca poco» replicò Alexis sadicamente divertita.
«Tassorosso è una buona Casa» mormorò il ragazzino più a sé stesso che ai fratelli.
«Idiozie» sbottò Alexis. «Nemmeno la Preside ci crede. Lei è Grifondoro fino in fondo. L’imparzialità è solo di facciata».
«Dai, Alexis, andiamo. Paciock tra poco distribuirà gli orari» intervenne Jay.
«Paciock può aspettare, devo prima chiarire un paio di cose con il nostro fratellino» replicò Alexis. Mark si strinse al muro, ma ella eliminò la distanza che li separava e lo prese per i capelli.
«Ahi, Alexis, mi fai male».
«Ascoltami bene, ragazzino. Lo so che sei stupido, ma per il tuo bene non dimenticare quello che ti sto per dire» sibilò Alexis, stringendo la presa e sollevando nuove lamentale da parte del più piccolo.
«Alexis, se ci vede qualcuno finiamo nei guai» borbottò Jay.
«Non andare in giro a dire che sono tua sorella. Ho una reputazione». Quello era un vero e proprio controsenso, visto che l’aveva appena detto ella stessa a Corbin Savage, lo sapevano anche Elly, Lucas e Bobby, infine avevano lo stesso cognome, ma Mark non osò farglielo notare. «E vedi di non mettermi in imbarazzo in nessun modo. Hai capito?» concluse, accompagnando le ultime parole con uno schiaffo.
«Alexis» la richiamò Jay agitato.
«Ok, ok, andiamo. Gira lontano dal tavolo dei Grifondoro» soggiunse sua sorella prima di voltargli le spalle e dirigersi verso la Sala Grande come se nulla fosse.
«È meglio se l’ascolti» gli sussurrò Jay, accennando un lieve sorriso. «Divertiti».
Mark non rispose nemmeno troppo scioccato per la ‘chiacchierata’ con la sorella maggiore. No sul serio, perché non aveva dei fratelli normali che si preoccupavano per lui come aveva visto fare ai fratelli di Charlie o ai cugini di Enan la sera prima? Vero anche che il Caposcuola di Grifondoro l’aveva spaventato, ma almeno sembrava aver a cuore la sorellina. Si sfiorò la guancia calda e probabilmente arrossata, poi, con un sospiro, si decise a entrare.
In un primo momento si sentì smarrito: la Sala Grande era affollata e chiassosa, ancora più della sera precedente. Impiegò diversi minuti prima d’individuare la chioma colorata di Teddy. Non aveva mai conosciuto un metamorphomagus, ma si stava rivelando decisamente utile. Si lasciò scivolare nel posto vuoto accanto a Diana e scrutò i due Grifondoro che, entusiasti, discutevano con Teddy.
«Ehi, tutto ok?» gli chiese quest’ultimo, accigliandosi leggermente.
«Sì, sì» bofonchiò Mark, contento che Teddy, Charis e Diana erano discreti e non avrebbero indagato ulteriormente. «Enan?».
«Al tavolo dei Grifondoro. È andato a salutare i suoi cugini» rispose Teddy. «Ti presento Laurence Landerson, il mio migliore amico, e Samuel Harper».
«Piacere, Mark» replicò.
«Amico, mi sembra che tu abbia bisogno di una bella svegliata» strillò Laurence.
«Pensiamo di fare un giro per la Scuola dopo le lezioni, che ne dite?» propose Samuel.
«Ma se ci segnano i compiti…» iniziò Teddy, poi colse le occhiate scioccate dei due Grifondoro e lasciò perdere. «Vedremo».
«Il Cappello Parlante non funziona, fattelo dire» commentò Laurence. «Tu saresti stato bene tra i Corvonero insieme a Diana e le tue amiche… quelle che ieri sera sono corse via nonostante i richiami della vostra Prefetta…».
«Eccole, quelle appena arrivate» intervenne Samuel in aiuto.
«Zoey e Charlie» disse Teddy.
«Sì, loro. Beh, quelle sono Grifondoro nate. Insomma hanno buttato una nel Lago Nero» sussurrò Laurence in tono cospiratorio, come se l’avvenimento non fosse ormai sulla bocca di tutta la Scuola.
«Buongiorno!».
Charis quasi si affogò con il succo di zucca alla vista di Shawn. «Ciao».
«Il professor Paciock vuole che andate a prendervi personalmente l’orario delle lezioni» comunicò Shawn a Samuel e Laurence. I due sbuffarono e, a malincuore, salutarono e si affrettarono a raggiungere il loro Direttore.
Nel frattempo Charlie e Zoey si era sedute e avventate sulla colazione, bofonchiando dei saluti frettolosi e assonnati. «Gentile da parte vostra presentarvi». Una voce secca e severa fece sobbalzare tutti, persino Shawn. Un uomo anziano, dall’aria sciupata e completamente canuto, li fissava attentamente. «Lattes, non ricordavo che fossi un Tassorosso».
«Mi scusi, signore, ero solo venuto a salutare un’amica».
«Allora torna al tuo posto, anche perché le lezioni cominceranno a momenti» lo zittì l’insegnante. Shawn salutò e si dileguò come richiesto. «Voi due, avete causato confusione prima ancora di mettere piede al castello e, in più, arrivate in Sala Grande alle nove meno dieci. State iniziando veramente male!».
Charlie lo guardò malissimo, ma Zoey, non sapendo ancora come comportarsi con gli insegnanti di una scuola di magia, assunse un’aria preoccupata.
«La scusi, professor McBridge, mia sorella ancora non ha compreso il modo in cui si deve comportare a Hogwarts».
Decisamente quella mattina il tavolo dei Tassorosso era molto frequentato: James Krueger, con alle spalle il fratello Willy, si ergeva in tutta la sua altezza mandando il petto in fuori e mostrando il suo distintivo da Caposcuola.
«Allora, temo, che presto dovrò disturbare i vostri genitori» commentò il professore. «Ecco i vostri orari, mi raccomando la puntualità e spero per voi di non ricevere lamentale dai miei colleghi. Buona giornata».
«C’eravamo perse, comunque» borbottò Zoey.
«Perché non avete chiesto informazioni?» replicò James Krueger.
«Ma ti vuoi fare gli affaracci tuoi?» sibilò Charlie.
«Ti conviene stare attenta!» ribatté il più grande. «I professori ancora non hanno deciso se sei o no responsabile della caduta nel Lago Nero di Matilde Gould».
«Non hanno prove».
«Vedi di comportarti bene» sibilò James prima di andarsene visibilmente irritato.
«I professori non hanno prove, ma mamma capirà subito che sei stata tu» sospirò Willy.
«Ma mamma non lo sa, no?».
Willy sembrò a disagio e fece qualche passo indietro. «James gli ha scritto» sussurrò, ma non a voce abbastanza bassa da non farsi sentire.
Zoey fu rapida e bloccò Charlie che stava per lanciare un calide d’oro contro il povero ragazzo.
«Ma sei impazzita!?» sbottò Teddy. «C’è pure la Preside!».
I ragazzi si voltarono per un attimo verso il tavolo dei professori, ma con loro sollievo nessuno sembrava fare caso a loro.
«E dimmi un po’, avete anche detto che sono stata smistata a Tassorosso?» domandò Charlie fulminando il fratello con gli occhi.
«Sì, ma qual è il problema? Pensavi di tenerglielo nascosto?».
«Sono affari miei».
«Ragazzi, che avete? Non dovremmo andare a lezione?» intervenne Enan appena sopraggiunto e guardandoli sorpreso, probabilmente rendendosi conto della tensione creatasi.
«Sì, andiamo. Che abbiamo?» chiese Charlie alzandosi senza neanche guardare Willy.
«Dai, Charlie, non fare così».
«Sparisci!» gli sibilò la ragazzina avviandosi a grandi passi fuori dalla Sala Grande. Teddy, Charis, Zoey, Mark ed Enan dovettero quasi correre per raggiungerla.
Willy, però, non si diede per vinto e li seguì. «Che avete alla prima ora?».
«Storia della Magia» rispose Enan con una smorfia dopo aver dato un’occhiata al suo orario.
«Sai dov’è l’aula?» ne approfittò Teddy, sebbene temesse uno scoppio d’ira da parte di Charlie.
«Certo, vi accompagno» rispose prontamente il più grande. «Senti Charlie, per favore, dimmi qual è il problema».
«Il problema è», sibilò la ragazzina fermandosi senza preavviso, e Zoey quasi le cadde addosso, «che non volevo che papà sapesse che non sono una Grifondoro come tutta la nostra famiglia!».
«Io sono un Corvonero» le ricordò Willy, mentre riprendevano a camminare.
Charlie scrollò le spalle.
«A papà non interessa» insisté Willy.
La ragazzina non replicò e nessuno osò rompere il silenzio creatosi finché non raggiunsero l’aula, proprio poco prima che suonasse la campanella.
«Devo correre, sono in ritardo. Buon prima giorno a tutti».
Mark lo guardò correre via con una stretta al cuore: né Alexis né Jay si erano mai preoccupati per lui in quel modo.
«Vieni» lo chiamò Charis, riscuotendolo e facendogli notare che gli altri erano già entrati.
Zoey e Charlie avevano già occupato due banchi in ultima fila, mentre Teddy si era seduto al primo. Charis si mosse verso di lui, ma un Grifondoro la precedette e, dopo aver salutato Teddy, che evidentemente già conosceva, prese posto vicino a lui.
«Oh, scusa, stavi venendo tu a sederti qui?» le chiese notandola.
Charis arrossì e scosse la testa. «No, tranquillo» mormorò occupando l’altro banco in prima fila.
«Mi chiamo Peter, Peter Lux» si presentò il Grifondoro porgendole la mano. «Sicura che non vuoi stare vicino a Teddy?».
«Sì, sì, grazie».
Enan, invece, non sembrava troppo contento del suo posto al centro della seconda fila. «Mark, mi fai sedere vicino alla finestra, ti prego?».
Mark assentì proprio mentre il professore di Storia della Magia entrò attraversando il muro. Il libro gli cadde dalle mani per lo spavento, ma il tonfo fu coperto dallo strillo di Zoey e di qualche altro ragazzino.
«Che figata» si percepì udibilissima la voce di Samuel Harper.
«Dai» esortò Enan affinché concludessero lo scambio.
Di tutto quel caos il ben emerito professor Cuthbert Rüf non se ne accorse neanche e chiamò l’appello.
«Non li avevi visti i fantasmi ieri sera?» sussurrò Charlie a Zoey.
«Sì, ma lui è un professore» replicò strabiliata la ragazzina. «Che forza! Ci sono anche vampiri o altri mostri?».
«Non credo. E comunque non è forte per nulla. Willy mi ha detto che lui è il professore più pesante e noioso della Scuola. E Willy è un Corvonero!».
Zoey in un primo momento non le credette, insomma come poteva essere noioso un professore fantasma? Ma, man mano che la lezione procedette, dovette ricredersi. La classe sprofondò nel torpore più totale, addirittura alcuni Grifondoro si appisolarono; altri chiacchieravano, altri ancora come Enan sembravano persi nei loro pensieri. Solo Teddy, Charis, Peter Lux e Mark sembravano intenzionati a rimanere svegli e prendere appunti. Zoey si disse che non sarebbe sopravvissuta a un’ora in quel modo e propose a Charlie di giocare a tris.
Il suono della campanella fu accolta con sollievo da molti, altri si lamentarono per essere stati svegliati di soprassalto.
«Che rottura di pluffe!» sbuffò Charlie uscendo lentamente dalla classe e stiracchiandosi.
«Non avete preso neanche un appunto?» chiese Teddy accigliato, beccandosi in cambio un’occhiata scandalizzata da Charlie, una intontita da Zoey e una smarrita da Enan.
«Tu non sei normale» borbottò Charlie. «Nessuno prende appunti a Storia della Magia».
Teddy arrossì e le rispose per le rime. Mark non osò unirsi alla conversazione, anche perché dubitava che il suo parere interessasse a qualcuno, ma lui aveva trovato la l’argomento interessante, certo che sarebbe stato di gran lunga meglio se il professor non avesse usato un tono tanto soporifero alle nove del mattino!
«Sul serio, Teddy,» s’intromise Enan. «Ammettilo è stato pesante. Non puoi trovare bella Storia della Magia».
Il ragazzino fu messo alle strette da quell’affermazione e boccheggiò, facendo sorridere Charlie, Zoey ed Enan.
«Ma che c’entra! Anche se non mi piace, bisogna studiarla» borbottò, ma se ne pentì quasi subito perché era sua nonna che parlava in quel modo! Quasi inorridì di se stesso.
«Oh, l’ha ammesso. Evviva!» strillò Charlie facendo voltare molti ragazzi più grandi che affollavano il corridoio nel cambio dell’ora.
«Sapete dov’è l’aula di Incantesimi?» domandò Charis per toglierlo dall’imbarazzo.
Teddy le rivolse uno sguardo grato.
«No, ma possiamo rimediare» ribatté Charlie. «EHI TU, EHI!».
I compagni la scrutarono come se fosse matta: aveva appena attirato l’attenzione del Caposcuola di Serpeverde chiamandolo ‘ehi tu’.
Il ragazzo si avvicinò loro con un sopracciglio alzato. «Parli con me?».
«Sì» rispose serenamente Charlie. «Accompagnaci nell’aula di Incantesimi».
Teddy si disse che Laurence avesse perfettamente ragione: il Cappello Parlante andava sostituito. Quella ragazzina non aveva il minimo senso del pericolo.
«E sentiamo, volete anche un the e delle brioche di zucca?» replicò il Caposcuola palesemente sarcastico.
«Veramente preferirei del succo di zucca e delle cioccorane» ribatté candidamente Charlie.
«Tu sei la ragazzina che ha buttato nel Lago Nero una Serpeverde?».
«Non ci sono prove e tecnicamente non era ancora una Serpeverde».
«Ehm…» intervenne incerto Teddy, conscio che non sarebbe andata bene per loro se Charlie avesse continuato su quella linea. «Potresti aiutarci, per favore?».
Il Caposcuola focalizzò l’attenzione su di lui e commentò: «Wow allora esistono i Tassorosso che ancora sanno chiedere ‘per favore’».
«Io sono una Grifondoro mancata e lo dimostrerò» dichiarò Charlie gonfiando il petto, proprio mentre suonava la campanella.
«Bene, piccola arrogante, conserva un po’ del tuo coraggio per spiegare al professor Vitious perché siete in ritardo».
«Non ci aiuti?» esclamò Teddy, odiandosi per il suo tono stridulo e quasi spaventato.
«Ne farei volentieri a meno, ma rientra nei miei compiti. Seguitemi» rispose il ragazzo, lanciando un’occhiata seccata a Charlie. Effettivamente li accompagnò dritto fino all’aula richiesta.  «Ecco» disse. «E la prossima volta non osate chiamarmi ‘ehi tu’, perché non vi risponderò».
«E come ti chiami?» mormorò Charis arrossendo e sorprendendo tutti. «Così la prossima volta ti chiamiamo per nome» aggiunse a mo’ di spiegazione.
Mark, Teddy ed Enan le rivolsero un’occhiata scettica: perché mai avrebbero dovuto chiedere aiuto a un Serpeverde? Solo Merlino sapeva che cosa fosse passato per la mente di Charlie poco prima.
«Bertram Delaney» rispose il ragazzo.
«Mi chiamo Charis Williamson» mormorò la ragazzina in risposta. «E loro sono Teddy, Enan, Mark, Charlie e Zoey» soggiunse indicandoli uno alla volta.
«Come osi dare il mio nome a uno spocchioso Serpeverde?» sbottò Charlie lanciandole un’occhiataccia.
«Non credo di essere io lo spocchioso qui» sbuffò il Caposcuola, poi fece una mossa inaspettata ed entrò in aula prima di loro. «Professor Vitious, buongiorno» disse sorridente.
Il professore d’Incantesimi aveva dei goblin per antenati, o almeno così aveva spiegato Hermione a Teddy, e questo spiegava la bassissima statura.
«I ragazzi avevano difficoltà a trovare la classe e li ho dato una mano».
«Grazie, grazie, Delaney va’ pure ora. Ragazzi prendete posto».
Mark rimase impressionato da quello che aveva appena visto e Teddy dovette spingerlo verso il fondo della classe, visto che i Corvonero aveva già occupato la parte anteriore. Alexis e suo padre avevano sempre parlato molto male dei Serpeverde, eppure quel ragazzo non gli era sembrato cattivo. Visto come gli aveva risposto Charlie avrebbe potuto toglierli una valanga di punti o vendicarsi, invece li aveva persino giustificati con il professore. Mark si volse verso Teddy e notò che anche lui era soprappensiero.
La lezione fu molto più leggera della precedente. Il professor Vitious chiamò l’appello e presentò il programma che avrebbero affrontato insieme quell’anno. I ragazzi furono delusi nello scoprire che avrebbero iniziato la parte pratica solo verso la fine di ottobre. Charlie addirittura sbuffò sonoramente, ma il professore fece finta di non notarla.
Vitious a differenza di Rüf non assegnò compiti e Charlie e Zoey dichiararono alla fine della lezione che fosse il loro insegnante preferito.
Teddy scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, prima di andare a salutare Diana; Charis sorrise e commentò: «Ma se ancora abbiamo conosciuto solo due insegnanti».
«Ti ricordo che io li conosco tutti grazie ai racconti dei miei fratelli» replicò Charlie. «E, a proposito, preparatevi, perché la professoressa di Trasfigurazione è l’incubo della Scuola».
Charis e Mark assunsero un’aria preoccupata nel vederla così seria per la prima volta; persino Zoey si accigliò.
«Scherzi?» chiese incerta quest’ultima.
«No» rispose asciutta la ragazzina e si avviò verso l’uscita e nel mentre afferrò Teddy per un braccio e lo trascinò con sé.
«Ehi, ma che fai?! Stavo parlando!».
«Dobbiamo andare a Trasfigurazione, mister Perfettino. Si dice che l’ultimo che ha osato arrivare in ritardo…».
«Ti prego» sbottò Teddy divincolandosi, «non mi raccontare fesserie».
Charlie scoppiò a ridere. «Allora non sei tanto scemo» commentò schioccando le dita di fronte ai visi di Charis e Mark che la fissavano scioccati.
«Stava scherzando» borbottò Teddy a beneficio di questi ultimi.
«Allora la prof non è così terribile» sospirò Zoey.
«No, su quello era serissima».
«Sì, anche i miei cugini mi hanno raccontato qualcosa» disse Enan.
Chiesero indicazioni a più studenti e trovarono l’aula proprio mentre la professoressa faceva cenno ai Grifondoro, con cui avrebbero condiviso la lezione, di entrare.
«Non mi piacciono i ritardatari» disse rigidamente.
«Non siamo arrivati in ritardo. Siamo puntualissimi» la contraddisse Charlie, che parlava sempre prima di pensare.
«Ci scusi, professoressa» esclamò Teddy, facendo finta che quella scriteriata che l’avrebbe, ahimè, accompagnato per i prossimi sette anni non avesse aperto bocca tanto spudoratamente, «abbiamo avuto difficoltà a trovare l’aula».
«Ho consigliato al professor Lumacorno di fornire a tutti i Serpeverde del primo anno una mappa della Scuola, che li guidasse per i primi giorni. Forse avrebbe dovuto pensarci anche il vostro Direttore» replicò la professoressa stizzita. «Ne parlerò con la Preside. Ora entrate».
I sei Tassorosso non se lo fecero ripetere. Con grande scorno di Charlie, il cui sguardo era assassino, e di Zoey, i furbi Grifondoro avevano gentilmente lasciato loro le prime due file.
Fu subito chiaro che Candida Macklin fosse fatta di una pasta totalmente diversa dai professori conosciuti fino a quel momento, tanto che, mentre presentava il programma, nessuno osò fiatare. In più iniziò persino a spiegare come trasformare un fiammifero in un ago.
«Domani ci eserciteremo. Studiate l’incantesimo Acutus e fate una ricerca sulla storia della Trasfigurazione. Non accetto giustificazioni» concluse la professoressa proprio mentre suonava la campanella.
«Ho scritto un sacco» sospirò Teddy flettendo la mano, mentre rimettevano i libri negli zaini.
«E dobbiamo trovare la Sala Grande» gemette Mark, altrettanto stanco tanto da non riuscire a trattenersi.
Teddy s’impensierì e annuì, poi a voce bassa, in modo che solo i due compagni potessero sentirlo disse: «E se chiedessimo alla professoressa una di quelle mappe? Sarebbe più semplice e non dovremmo rincorrere i ragazzi più grandi in cerca di aiuto».
«Ma non è la nostra Direttrice» sussurrò in risposta Charis.
Mark non fiatò: la mappa sarebbe stata senz’altro utile, ma non gli sembrava il caso di chiedere nulla alla professoressa.
«E nemmeno dei Serpeverde» replicò Teddy. «Ci provo io» decise, male che vada se ne sarebbe assunto la responsabilità. Non che gli piacesse l’idea di mettersi nei guai il primo giorno…
La professoressa era ancora seduta alla cattedra, probabilmente, in attesa che uscissero tutti. Teddy prese un bel respiro e si avvicinò. Charis e Mark lo seguirono incerti.
«Lupin» lo apostrofò all’istante la donna. Aveva una buona memoria o si ricordava il suo nome solo per via dei suoi genitori? «Sei un metamorphomagus» disse. O forse era per questo che si ricordava di lui. «Insegno a Hogwarts da circa undici anni, ma non mi era mai capitato. D’altronde i maghi con questo potere sono estremamente rari». Teddy in realtà non aveva la minima idea di che cosa replicare. Probabilmente avrebbe dovuto interloquire raccontando di aver ereditato il suo potere dalla madre, dopotutto una conversazione funzionava in quel modo, ma non aveva la minima voglia di parlare della madre né tanto meno l’espressione severa e rigida dalla donna gli faceva venire voglia di chiacchierare. La professoressa, però, lo tolse dall’imbarazzo di dover dire qualcosa. «Non sai ancora controllare il tuo potere». Altra costatazione, che, però, non mise minimamente a proprio agio il ragazzino che aveva una vaga idea di dover avere i capelli di tutti i colori in quel momento.
«Mio nonna ha detto che avrei imparato a Hogwarts a controllarlo» mormorò in propria difesa. Non poteva fargliene una colpa no?
«Sì, ogni cosa a suo tempo. Più avanti faremo qualche lezione extra e presto riuscirai a padroneggiarlo».
Lezioni extra, pensò inorridito Teddy, con lei? «Veramente non volevo parlarle di questo, professoressa» si costrinse a dire.
«Ma io sì». Giusto, non faceva una piega. «E di che cosa volete parlarmi?».
«Le volevo chiedere se per caso potesse dare anche a noi una mappa così non avremmo difficoltà a spostarci tra le classi».
«Temo non sia possibile. Con il professor Lumacorno abbiamo realizzato un numero di mappe perfettamente congruo ai ragazzi smistati ieri sera a Serpeverde».
«Ah, va bene, grazie, professoressa».
«Però potreste sempre chiedere ai vostri compagni di darvene una, dopotutto possono sempre usarne una in due».
Chiederle ai Serpeverde? Sì, vabbè. Magari proprio a quel Dolohov che l’aveva minacciato in treno!
«Va bene, grazie, professoressa» tagliò corto Teddy, ben conscio che mai e poi mai avrebbe chiesto qualcosa ai Serpeverde.
«Buon pranzo» li congedò ella.
«Che fine avete fatto?» li accolse veementemente Charlie in corridoio.
«Stavamo…» iniziò a spiegare Teddy, ma ella lo interruppe.
«Enan sta male, ma voi secchioni eravate troppo occupati a prendere appunti».
Mark la fissò sorpreso visto che nella cerchia dei secchioni stava includendo anche lui.
«Ma che diavolo c’entra!» sbottò Teddy. «Come se fosse reato seguire la lezione! E se stava male perché non ci hai chiamato o l'hai detto alla professoressa?».
«Io non parlo con i professori» ribatté Charlie come se fosse ovvio.
«Oh, giusto, lo fai solo per rispondere loro male! E perdere punti!».
«Ehm scusate» li richiamò Charis. «Forse dovremmo pensare a Enan».
Teddy lanciò un’occhiataccia a Charlie e a passo sostenuto raggiunse i compagni. Enan aveva una brutta cera e respirava faticosamente.
«Che ti senti?».
«Ho bisogno d’aria» borbottò il ragazzino.
«Bene, allora usciamo nel parco» decise Charlie.
Impiegarono un bel po’ a raggiungere la Sala d’Ingresso visto che alle scale piace cambiare e, nonostante le imprecazioni di Charlie, furono costretti a cambiare strada e chiedere più volte indicazioni quando si resero conto di non sapere più dove fossero.
Enan riprese fiato solo quando furono nel vasto parco e gradualmente riprese un po’ di colore.
«Ma che ti è preso?» gli chiese Zoey.
«Sei allergico alla Macklin?» chiese Charlie scherzando.
«Non sono abituato a stare al chiuso per tanto tempo. Fagan mi aveva avvertito, ma non pensavo che mi sarei sentito così…».
«Dove abiti?» gli domandò Zoey curiosa.
«Sull’isola di Jura, nelle Ebridi».
«La tua famiglia custodisce una delle riserve di draghi più antiche della Gran Bretagna, vero?» lo interrogò Charlie altrettanto curiosa. Persino Mark, Teddy e Charis si misero in ascolto.
«Sì, ma abbiamo anche altri animali e io sto gran parte della giornata con mio nonno e i miei zii e li aiuto ad accudirli… Per questo mi piacerebbe tanto entrare nella Foresta Proibita, devo esserci esemplari bellissimi! Fagan mi ha detto che non c’è entrato, ma a lui non piacciono gli animali tanto quanto piacciono a me».
«Se vuoi entrare nella foresta io sono a disposizione» esclamò Charlie. «Anche ora, tu Zoey?».
«Ehm, non mi piacciono molto gli animali selvatici» rispose ella leggermente disgustata.
«Prendila come una prova di coraggio!».
«Non credo che nessuno di noi dovrebbe entrare nella foresta» disse assennatamente Teddy.
«Giusto, il secchione non vuole».
Teddy la guardò male e la ignorò. «Se vuoi ti presento Hagrid, è il guardiacaccia e insegna Cura delle Creature Magiche, lui può farti vedere le creature».
«Davvero?» saltò su Enan fissandolo un po’ follemente.
«Sì, venerdì pomeriggio andrò a prendere un thè a casa sua, puoi venire se vuoi… Anzi, potete venire tutti. Sarà contento di conoscervi».
«Sei sicuro… non ci ha invitati» intervenne Charis.
«Oh, sì, tranquilla. Conosco Hagrid da sempre».
«Bene, ora mi sento meglio e ho fame!» disse Enan tutto contento.
I Tassorosso risero e si sbrigarono a correre dietro di lui. Persino Mark si lasciò sfuggire un sorriso, rilassato dal venticello fresco di settembre, che scompigliava giocosamente i loro capelli e increspava leggermente la superficie del Lago Nero. A guardare un simile paesaggio ci si poteva dimenticare anche del resto.

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Capitolo 7
*** Di bacchette fuori controllo e biscotti rocciosi ***


Capitolo settimo
 




 
Di bacchette fuori controllo e biscotti rocciosi
 
 



Il giorno dopo Charlie e Zoey erano per certi versi meno entusiaste: avevano trascorso il pomeriggio precedente vicino al Lago Nero dopo un giro di ricognizione allo stadio di Quidditch (Charlie era convinta che un Capitano furbo avrebbe dovuto far allenare la propria squadra ogni momento possibile, però, dopo il, a suo dire, disastroso Smistamento, non aveva avuto ancora il coraggio di parlare con i Grifondoro conosciuti in treno) e non avevano svolto i compiti assegnati dalla professoressa Macklin;  avevano chiacchierato per gran parte della notte e, conseguentemente, quella mattina avevano faticato ad alzarsi e scendere in Sala Grande per la colazione.
«Ho sonno» si lagnò Charlie, suscitando sbuffi seccati e risatine da parte dei compagni che si chiedevano quante volte ancora avrebbero dovuto sorbirsi quella lamentela.
«Dai, Teddy, fammi copiare la tua ricerca» supplicò, invece, Zoey per la millesima volta, più preoccupata di mettersi nei guai fin da subito che dalle ore di sonno perse.
«No, avresti dovuto farla da sola!» ribatté il ragazzino.
Allora Zoey si voltò speranzosa verso gli altri compagni.
«Non ditele di sì» li ammonì Teddy.
«Solo per questa volta» cedette Charis con uno sguardo di scuse al compagno.
«La Macklin è pericolosa» dichiarò Teddy scuotendo la testa. «Peggio per voi».
Enan colse l’occhiata turbata di Mark e gli sussurrò incoraggiante: «Tranquillo, non ho mica copiato parola per parola. È tanto per consegnarle qualcosa. Charlie ha ragione: non c’è nulla di più crudele che assegnare compiti il primo giorno».
«Per fortuna abbiamo iniziato di mercoledì, così il week end è in arrivo» sospirò Zoey mentre litigava con la piuma e l’inchiostro. «Ma dico, una normale penna, no?».
«Una penna normale?» replicò Charis. «Quella è normalissima».
«Intende le penne babbane» intervenne Teddy. «E comunque esistono le piume autoinchiostranti, se ti infastidisce tanto l’inchiostro».
«Hai sempre la risposta pronta tu, eh?» borbottò Charlie.
Teddy le lanciò un’occhiataccia. «Io vado. Non ho intenzione di arrivare in ritardo a lezione. Charis dovresti riprenderti il tema e venire con me».
La ragazzina lo fissò incerta.
«Faccio in fretta» disse Zoey. «Magari se mi detti…».
«Grazie, Teddy. Arriviamo subito» sospirò infine Charis, scegliendo di aiutare l’amica nonostante avesse una paura terribile della reazione della professoressa di Trasfigurazione se le avesse scoperte.
Teddy scosse la testa. «Voi venite con me?» chiese rivolto ai ragazzi.
Mark ed Enan recuperarono le borse e lo seguirono, ognuno perso nei propri pensieri. Anche Teddy non era da meno, quella mattina, arrivato in Sala Grande, aveva salutato Diana e Laurence ma poi i due ragazzi erano andati a far colazione con i compagni di Casa. Sapeva che era giusto che Diana si ambientasse, ma Laurence sembrava veramente entusiasta di Samuel Harper. Quel ragazzino era troppo vivace, avrebbe messo sicuramente Laurence nei guai!
«A che pensate?» chiese ai compagni per di distrarsi.
«Vorrei capire chi è quel Serpeverde… quello identico a me…» rispose Enan.
«Hai provato a chiedere ai tuoi familiari?» replicò Teddy.
«No».
«E come mai? Sicuramente loro sapranno darti una risposta».
«Non lo so» sospirò Enan. «Lo stavo per fare… poi… qualcosa mi ha trattenuto…».
«Nella prossima lettera chiediglielo. Quel ragazzo e i suoi compagni non mi piacciono. È la scelta più responsabile farlo presente ai tuoi».
Enan non ne era per nulla convinto: quel ragazzo lo inquietava fortemente.
«E tu Mark dovresti andare in infermieria» sentenziò Teddy proprio mentre raggiungevano l’aula di Trasfigurazione.
Mark sobbalzò. «C-cosa?».
«Dovresti andare da Madama Chips e dirle che non ti senti bene» ripeté pazientemente Teddy.
«Sto bene» replicò frettolosamente Mark.
«Se non dormi la notte, non credo» commentò Enan, felice di cambiare discorso.
«I-io… i-io…».
«Madama Chips è bravissima» insisté Teddy. «Me l’ha detto il mio padrino. Lui si faceva male spesso giocando a Quidditch».
«Non è necessario» buttò lì Mark, tentando di calmarsi. «Ora sto bene».
Teddy sospirò. «Senti promettimi che ci andrai, se dovessi sentirti di nuovo male». Aveva abbassato la voce perché erano arrivati anche i Grifondoro, Charlie, Zoey e Charis. E Mark gliene fu grato. «Prometti» insisté, mentre suonava la campanella e la professoressa apriva la porta dell’aula.
«Promesso» si arrese Mark più che altro per chiudere il discorso.
Teddy sorrise ed entrò in classe.
La professoressa Macklin raccolse i temi e distribuì un fiammifero ciascuno. «Ricordate quello che ho spiegato ieri? Lux?».
Il primo quart’ora fu dedicato a un ripasso e questo comportò la perdita di parecchi punti per entrambe le Case, anche se di più per Grifondoro. Teddy fu abbastanza orgoglioso delle sue risposte e Charis se la cavò egregiamente. E con sua grande sorpresa persino Mark, balbettii a parte, fece una bella figura. Non che la Macklin si sperticasse in lodi, ma almeno avevano evitato un richiamo per non aver studiato.
Il resto della lezione fu, invece, dedicato all’esercitazione pratica.
Teddy, eccitato per quella prima prova di magia, fallì i primi tentativi proprio perché non riusciva a concentrarsi, ma nessuno riuscì a trasformare il proprio fiammifero in un ago al primo colpo.
Enan, dopo i primi infruttuosi tentativi, si lasciò affascinare dal panorama oltre la finestra, completamente dimentico della lezione.
Mark, invece, osservò i compagni per diversi minuti, specialmente Teddy che sembrava il più propositivo, ma non li imitò subito. Per la prima volta da settimane aveva estratto la bacchetta magica dalla custodia, ma l’immagine della sedia che andava a fuoco lo paralizzava. E se avesse dato fuoco alla classe? O peggio ancora ai capelli di Charis, seduta davanti a lui? Suo padre gli aveva detto di non toccarla finché non gli fosse stato richiesto esplicitamente da un insegnante, ma anche in quel momento il ragazzino percepiva che ci fosse qualcosa di sbagliato: la bacchetta era ostile e sembrava sfidarlo a usarla.
Gli occhi di falco della professoressa, che passava tra i banchi - per correggere la presa della bacchetta, la pronuncia dell’incantesimo o, semplicemente, per assicurarsi che lavorassero e non guardassero fuori dalla finestra come Enan -, non lo aiutavano.
«Allora, Becker, vogliamo lavorare?».
Mark non sollevò nemmeno gli occhi e continuò a fissare il fiammifero terrorizzato. Magari avrebbe compiuto una magia involontaria e si sarebbe trasformato da solo.
«Becker, sei con noi?». La professoressa si era avvicinata. «Prova l’incantesimo come vi ho mostrato». Il ragazzino non si mosse, né fiato. «Becker». L’inflessione minacciosa con cui aveva pronunciato il suo nome e il mormorio che si levava dai compagni lo costrinse a muoversi. Puntò la bacchetta verso il fiammifero.
«A-a-cutuus». Era stato poco più di un balbettio, ma la bacchetta si divincolò nelle sue mani ed emise uno spruzzo d’acqua che colpì in pieno la povera Charis. «Scusa!» strillò lasciando cadere la bacchetta, che emise delle scintille preoccupanti.
Il ragazzino si sentì sprofondare rendendosi conto che tutti lo stavano fissando in silenzio. La Macklin l’avrebbe ucciso. Sentì gli occhi inumidirsi e sperò che la professoressa l’avrebbe cacciato dalla classe, almeno si sarebbe evitato anche quell’umiliazione.
«Hai comprato quella bacchetta da Olivander?».
La domanda dell’insegnante lo colse del tutto impreparato. «N-no, professoressa».
«No?» insisté la donna.
«Era di mio nonno» mormorò.
«Allora devi procurartene un’altra. Quella bacchetta non ti riconosce come suo padrone. Non puoi usarla» sentenziò la professoressa. «Becker, prendi il manuale. Per il resto dell’ora leggerai il capitolo dedicato a quest’incantesimo e ne farai il riassunto. È pericoloso per te e per gli altri usare quella bacchetta…. Voi altri tornate al lavoro! Che avete da guardare?».
Mark nascose la testa dietro il libro in modo che nessuno lo vedesse piangere: e dove la prendeva una bacchetta nuova? In un simile stato d’animo si estraniò completamente da quello che accadeva in aula e non si accorse che Teddy finalmente andò vicino a trasformare il suo fiammifero in un ago perfetto e la professoressa gli fece ripetere l’esercizio finché non fu ci riuscì.
Alla fine della lezione anche Charis e qualche Grifondoro erano riusciti a cambiare qualcosa nei loro fiammiferi.
«Ehi, tutto bene?».
Mark alzò gli occhi su Charis che l’aveva affiancato mentre uscivano dalla classe. Era perfettamente asciutta grazie all’intervento della professoressa. «Scusami, non volevo».
«Tranquillo» sorrise lei. «Ma tu stai bene?» gli chiese nuovamente.
«Sì, sì».
 
 

Charis non era per nulla convinta e, dalle occhiate di Teddy ed Enan, comprese che anche loro non lo erano. Però in quel momento non avevano la minima idea di come aiutarlo.
«Ciao».
Era così persa nei suoi pensieri che sobbalzò quando una coetanea con la divisa di Serpeverde le si rivolse.
«Ciao» replicò incerta.
«Mi chiamo Caroline Shafiq» si presentò quella.
Charis la fissò sorpresa, ma poi le strinse la mano. «Io sono Charis Williamson».
«Piacere. La professoressa Macklin mi ha chiesto di darvi la mia mappa. Io non ho problemi, tranquilla. La condivido con Edith… la ragazza che sta parlando con Burke… oh, ecco il professore, speriamo bene…».
Charis la seguì con lo sguardo mentre raggiungeva i compagni di Casa.
«Che voleva?» le chiese Teddy.
La ragazzina gli mostrò la mappa e gli ripetè le parole di Caroline.
«Gli Shafiq sono Purosangue. Purosangue e Serpeverde sono una pessima accoppiata» commentò Charlie superandoli.
«È stata gentile però» tentò Charis.
«Già» replicò Teddy, che non riusciva a comprendere se era quello che voleva dirgli Harry ammonendolo a non farsi guidare dai pregiudizi.
Era la prima volta che facevano lezione con i Serpeverde e visto il modo in cui alcuni di loro li squadravano, pienamente ricambiati da Charlie e Zoey, Charis ne avrebbe fatto a meno.
La ragazzina preso posto accanto a Teddy al primo banco e attese nervosamente l’inizio della lezione. Ma era un nervosismo diverso da quello suscitato dalla Macklin: McBridge era il loro Direttore, in più non le aveva fatto una grande impressione e Charlie ne aveva parlato molto male in base ai racconti dei fratelli.
«Buongiorno a tutti» disse l’insegnante squadrandoli con uno strano cipiglio. «Non mi piace questa disposizione dei posti».
Charis si guardò intorno e notò che loro e i Serpeverde si erano seduti ai lati opposti dell’aula. Sicuramente, in base alla politica contro il pregiudizi, il professore li avrebbe costretti a mescolarsi. E dopo aver conosciuto Caroline forse non sarebbe stato così male, come avrebbe potuto pensare fino a qualche giorno prima.
«Signorina Williamson, signorino Lupin, potete rimanere al vostro posto».
Charis, che già stava per prendere la borsa, lo fissò sorpresa. Ma come?
«E anche tu, signorino Macfusty, ma tu Becker spostati nell’ultimo banco in fondo vicino alla parete». Forse fu un’impressione di Charis, ma le sembrò che l’insegnante non avesse degnato Mark di un solo sguardo. «Accanto al signorino Macfusty voglio la signorina Gould».
Matilde Gould si lamentò con gran piacere di Charlie.
«Mi creda signorina, è meglio così… Faccia come le ho detto…. Signorine Turner e Krueger, voi potete rimanere insieme…». Charis fu contenta per loro, ma le successive parole del docente fecero sorgere un tic nervoso sulla faccia di Charlie. «…ma spostatevi al primo banco, al posto vostro vadano Yaxley e Mulciber».
«Ha detto primo banco, signore?». Charlie fu apparentemente cortese, ma era evidente che al posto di quel ‘signore’ avrebbe voluto usare un insulto.
«Sì, avanti sbrigatevi».
Zoey trascinò Charlie al loro nuovo banco per evitare problemi.
«Dolohov accanto a Becker».
Antonin Dolohov non si lamentò ma riservò una tale espressione di disprezzo al nuovo compagno di banco che questi sembrò sul punto di svenire.
«Signorine Shafiq e Foster al secondo banco, grazie» continuò imperterrito l’uomo, apparentemente inconsapevole della situazione esplosiva che stava creando. «Infine Burke e il signorino Ning Li in terza fila. Questi posti rimarranno così fino a fine anno. Non accetto polemiche. Chi si lamenterà o si permetterà di cambiare posto senza il mio permesso, sarà punito».
Era un silenzio orripilato quello che seguì, non certo di rispetto.
A quel punto il professore iniziò a illustrare il programma che avrebbero svolto quell’anno e alla fine dell’ora la campanella fu colta con un sollievo da tutti i ragazzi.
Charis si rese conto che Mark fosse ancora più depresso, nonostante non avesse dovuto più usare la bacchetta.
«Stanotte abbiamo Astronomia e domani non avremo comunque bisogno della bacchetta, perciò i tuoi hanno tutto il week end per fartene avere una nuova» gli disse incoraggiante.
Mark, però, sbiancò ancora di più a quelle parole ed ebbe un conato di vomito così forte che dovette correre nel bagno più vicino.
Charis si scambiò un’occhiata con Teddy che le disse: «Ci penso io, tranquilla». Trovò il compagno in lacrime, lo aiutò ad alzarsi e sciacquarsi il viso.
«Che succede?» gli chiese gentilmente. Mark scosse la testa come a negare che vi fosse un problema. «Dolohov ti ha dato fastidio? Era lui a disturbarti, vero? Tutte le volte che il professore vi ha richiamati».
Mark annuì, sebbene pensasse che il compagno, per quanto gentile, non sarebbe mai stato in grado di aiutarlo.
«Che ti ha detto?» insisté, però, Teddy. «Non ne vuoi parlare?» sospirò di fronte al silenzio dell’altro. «Va bene, dai vieni, fuori c’è Charis».
La ragazzina si avvicinò immediatamente e prese per mano Mark, che arrossì. «Andiamo un po’ in Sala Comune prima di pranzo?».
I due ragazzi accettarono.
 
Quella notte ebbero la prima lezione di Astronomia, che piacque molto a Enan sebbene si fosse lamentato di non vedere tante stelle quante ne vedeva da casa sua. Il giovane professore gli spiegò che era a causa dell’inquinamento e anzi se ne vedevano molte più da lì che da zone come quella di Londra.
Seguivano Astronomia con i Corvonero e Teddy riuscì a trascorrere un po’ di tempo con Diana, che ancora non aveva legato particolarmente con i compagni, a parte un certo Angel Willis che presentò ai Tassorosso.
«Lo sapete che in questa torre c’è stato un omicidio molti anni fa?» sussurrò Charlie, alla fine della lezione, facendo rabbrividire i compagni.
«Idiozie» replicò Enan ricomponendosi.
«È la verità. Qui è stato ucciso Albus Silente per mano di Severus Piton» ribatté Charlie.
Questo Harry non l’aveva raccontato a Teddy, che avrebbe preferito di gran lunga non saperlo. Alle prossime lezioni di Astronomia sarebbe stato difficile non ricordarlo. Charlie ridacchiò contenta di averli spaventati.
 
Al ritorno in Sala Comune, però, Mark ebbe nuovamente le palpitazioni e si rifugiò vicino al grande caminetto come aveva fatto la sera precedente, sperando di svegliarsi in tempo per non essere visto da nessuno.
A svegliarlo, però, ci pensò Teddy per evitare l’intervento della Caposcuola.
«Ricordati quello che mi hai promesso» gli disse soltanto, mentre tornavano in camera.

 
*
 

Zoey quel venerdì mattina era molto felice: i suoi erano riusciti a risponderle senza troppe difficoltà e Charlie le aveva promesso che avrebbero trascorso l’intero week end a esplorare la Scuola e organizzare scherzi contro i Serpeverde. Perché la nuova amica ce l’avesse tanto proprio con quei ragazzi non l’aveva ancora compreso pienamente, ma pazienza: l’avrebbe seguita ugualmente. Quando le sue amiche di Richmond le avevano voltato le spalle, c’era rimasta molto male. Nonostante sapesse come la pensassero, aveva chiesto ai suoi genitori di consegnar loro dei biglietti da parte sua. Non avrebbero risposto, non così presto. Però non avrebbe rinunciato facilmente: avrebbe continuato a scriverli e a Natale le avrebbe affrontate di persona.
«Siamo arrivate in anticipo, com’è possibile?».
Zoey sorrise alle parole di Charlie. «È una bella giornata» provò ad ammansirla. «È bello fare lezione fuori una volta tanto. Alla scuola babbana non succedeva, a meno che non andassimo allo zoo o al museo… al museo era terribilmente noioso…».
«Che cos’è lo zoo?».
«Oh, è un posto dove mettono in mostra molti animali… animali feroci anche, tipo la tigre o il leone…».
«Forte! Mi piacerebbe vederlo».
«E da voi non c’è un posto del genere?».
Charlie fece spallucce. «Credo sia illegale. Insomma i nostri animali feroci… mmm la chimera? L’acromantula? Sono classificati come ammazzamaghi, non credo che qualcuno avrebbe il coraggio di metterli in gabbia e se lo fa di solito non ha il permesso del Ministero».
«Ehi sfigati!».
Zoey e Charlie si voltarono per osservare i nuovi arrivati. Il ragazzino biondo che aveva appena parlato era Antonin Dolohov.
«Sfigati sarete voi» ribatté all’istante la prima.
«Silenzio, mezzosangue» sibilò Dolohov.
«Come osi?!» strillò Charlie, che per buona misura, nonostante fosse più piccola rispetto a lui, lo spintonò.
«Ferma!» intervenne Teddy. «Stai facendo il loro gioco. Ignoralo».
«Ma loro ci vogliono mettere i piedi in testa!» s’intromise Zoey, pronta a dare manforte a Charlie nonostante non avesse compreso l’insulto.
«Dai, Charlie!» disse Enan, tirando la ragazzina per il braccio con l’intento di allontanarla dal Serpeverde.
«Il professore» li avvertì Charis.
I Serpeverde si voltarono verso Neville Paciock che stava sopraggiungendo.
«Che sta succedendo qui?».
Charlie fissò in cagnesco Dolohov, che con arroganza scrollò le spalle, ma proprio mentre Neville apriva la bocca per rimproverarlo, intervenne Edward Burke: «Nulla di importante, signore». Gettò un’occhiata ai Tassorosso, ma loro non sembravano della stessa opinione.
«Hanno chiamato Zoey mezzosangue!» sibilò Charlie.
A quel punto Dolohov negò e i due cominciarono a battibeccare e a loro si aggiungessero i compagni a difesa dell’uno o dell’altro.
«Non capisco chi vi credete di essere!» sbottò a un certo punto Teddy con in capelli tra il nero e il rosso. Mai un buon segno per chi lo conosceva abbastanza. E Neville Paciock lo sapeva. «Mia nonna è una Black. Io sono l’ultimo erede dei Black. Non ho nulla di meno di voi! Lo dite solo perché non sapete su cosa attaccarci».
Dolohov, Burke e Mulciber si zittirono e lo fissarono per un attimo prima di scoppiare a ridere. Gli altri, Serpeverde e Tassorosso, lo osservavano sorpresi.
«Questa poi» borbottò Charlie.
«Che ho detto? È la verità» mormorò Teddy ora incerto e guardando Neville in cerca di aiuto.
Il giovane professore era altrettanto basito, ma non fece in tempo a rispondergli che Dolohov sbottò: «La conosco la tua famiglia. Tua nonna è stata diseredata dopo aver disonorato la Casata dei Black. Tu non sei un bel niente. Al massimo l’erede dei Black è Draco Malfoy».
Charlie strinse le braccia al petto, infastidita da quella conversazione. Zoey non aveva idea di che cosa dire o fare: c’era una tensione assurda in quel momento e lei non ne comprendeva la causa.
«Sono tutte sciocchezze» sbottò infine il professor Paciock.
Zoey notò che era nervoso, quasi arrabbiato, ben diverso da come l’aveva conosciuto lei quell’estate.
«Mia nonna è una brava persona. Tu sei un bugiardo» scattò Teddy, pallido e scosso.
«Basta così» ammonì l’insegnante. «Trenta punti in meno a Serpeverde e riferirò al vostro Direttore il tuo comportamento Dolohov. Adesso seguitemi dentro la serra, la campanella è suonata da un pezzo, se non l’aveste sentita».
«Ma…» si lamentò Teddy.
«Niente ma» lo tacitò Paciock, aprendo la porta della serra e facendo loro segno di entrare e prendere posto.
Zoey, come aveva immaginato, trovò Erbologia estremamente noiosa, in più, essendo schizzinosa, odiava doversi sporcare con la terra e, peggio ancora, con il fertilizzante. Perciò fu sollevata al suono della campanella che segnava l’inizio dell’intervallo, anche perché la tensione con i Serpeverde non si era spezzata e Charlie e Teddy non avevano smesso di lanciare occhiatacce puntualmente ricambiate da Dolohov e amici. Ciò che, però, stupiva molto di più la ragazzina era che la sua amica non avesse ancora escogitato nulla.
«Vieni» le sussurrò Charlie, trascinandola fuori dalla serra.
«Hai un piano?» le chiese Zoey eccitata. Non sopportava i bulli.
«Oh, sì. Sbrigati, prima che si allontanino».
Si fermarono vicino a una fontanella, che probabilmente il professore usava per lavarsi le mani o per innaffiare le piante – o i maghi avevano altri modi? -.
Charlie non perse tempo e bagno il terreno circostante, già umido.
«Che stai facendo?» chiese un po’ schifata Zoey, vedendola impastare la terra con le mani.
Charlie le rivolse un ghigno saputo e replicò: «Guarda». Prese un pugno di fanghiglia e tirò.
«Cavoli che mira» sussurrò Zoey ammirata: aveva colpito la guancia di Matilde Gould.
«Carica!» strillò Charlie.
Zoey non ci pensò neanche un secondo e iniziò ad aiutarla. Tutte le Serpeverdi cominciarono a gridare e, alcune più fini, a lanciare improperi.
Se la stavano cavando alla grande, senza lasciar loro neanche il tempo di difendersi, ma, all’improvviso, le loro palle di fango furono intercettate da una barriera invisibile. La ragazzina alzò gli occhi e vide che il professor Paciock le fissava trucemente a braccia conserte e con la bacchetta stretta in pugno. In qualche modo capì che barriera invisibile e bacchetta dovevano essere connesse.
«Ops» mormorò.
Persino Charlie si fermò.
«Ora andremo a fare due chiacchiere con il vostro Direttore» sentenziò Neville Paciock con un tono che non ammetteva repliche.
 

 
*
 

«Avanti, siete lenti! Sbrigatevi!» Gli esortò Enan, che non stava più nella pelle all’idea di conoscere finalmente Hagrid. I suoi cugini gli avevano raccontato un sacco di storie straordinarie sul guardiacaccia e professore di Cura delle Creature Magiche! Teddy aveva mantenuto la promessa e li stava portando con sé a prendere il thè con Hagrid. Oh, Fagan sarebbe stato invidiosissimo appena gliel’ avesse raccontato! Peccato che i suoi compagni non fossero altrettanto entusiasti: Charlie e Zoey non erano potute andare perché McBridge le aveva punite per lo scherzo alle Serpeverdi di quella mattina e dovevano mettere in ordine alcune serre sotto la sorveglianza del professor Paciock; Teddy era palesemente di cattivo umore e rispondeva a monosillabi - era stato impossibile comprendere che cosa gli stesse passando per la testa, forse si stava chiedendo se la storia di sua nonna fosse vera o solo una brutta bugia di Dolohov -; Charis gli stava appiccicata nel tentativo di consolarlo, ma non sembrava ottenere risultati; infine Mark li seguiva mogio e pallido. Enan trovava quel ragazzino strano, aveva provato a confrontarlo con Blair, ma nemmeno suo cugino era così timido e chiuso. Decisamente non era abituato a coetanei tanto silenziosi e tristi. Lo affiancò e mormorò: «Dovresti dare un bel pugno ai Serpeverde che ti prendono in giro».
Mark mantenne lo sguardo basso – altra cosa che Enan non capiva – ma non rispose.
«Sul serio. Così ti rispetteranno».
«È contro le regole» borbottò Mark mentre raggiungevano la capanna di Hagrid.
Era un’altra bellissima giornata di settembre ed Enan non vedeva l’ora di godersi il week end prima che arrivassero il freddo e il brutto tempo, altro che lezioni e compiti.
«Non fa niente» replicò pazientemente. «Ci sono cose più importanti».
«Venite?» li chiamò Teddy.
«Certo!» trillò Enan, decidendo che non era il momento di convincere il compagno a confrontarsi alla babbana con i Serpeverde.
Teddy bussò alla porta ed Enan gli si appiccò addosso.
«Ehilà, Teddy sei arrivato!» tuonò il mezzogigante con un enorme sorriso che spuntava dalla barba ispida.
«Ciao, Hagrid. Ho portato degli amici, spero che non ti dispiaccia».
«Certo che no! Forza, entrate e sedetevi».
I ragazzini obbedirono all’istante.
Charis, però, strillò quando un bestione bavoso si buttò su di lei.
«Tranquilla, è solo Loki… Su, su, sta buono… Devi stargli simpatica se ti ha subito salutato!» esclamò Hagrid.
Charis mezza scioccata non replicò. Probabilmente avrebbe preferito non avere quell’onore e andò a sedersi il più lontano possibile dal cagnone, anche se il problema non si poneva: Enan fuori di sé dalla gioia si era gettato su Loki e aveva iniziato a riempirlo di coccole e attenzioni.
«Hagrid, ti presento Charis, Mark ed Enan… Enan desiderava molto conoscerti…».
Enan non arrossì alla presentazione del compagno, ma rivolse un enorme sorriso all’omone e annuì con foga.
Hagrid ridacchiò. «E come mai?» chiese mentre preparava il thé.
Charis e Teddy si scambiarono un’occhiata e per la prima volta da ore il volto del ragazzino si aprì in un sorriso divertito. Enan, però, ignorò entrambi. «È che mi manca casa… Teddy mi ha detto che lei può farmi vedere gli animali della foresta, professore…».
Hagrid arrossì leggermente e Teddy ridacchiò.
«Che ho detto?» domandò stranito Enan, smettendo di grattare Loki dietro le orecchie.
«Chiamami solo Hagrid» gli disse l’omone facendogli l’occhiolino. «Avvicinatevi, il thè è pronto».
«Lui è un Macfusty» disse Teddy con un ghigno e la reazione di Hagrid non lo deluse.
«Veramente?! Oh, che bello, sai che adoro i draghi? Una volta un mercante me ne diede uno… o meglio lo vinsi a carte… Harry te l’ha raccontato?».
Teddy sorseggiò il thè e annuì. «Oh, sì, tante volte. Jamie adora quella storia».
Hagrid ridacchiò.
«La voglio sapere anch’io» supplicò Enan curioso. E così Hagrid e Teddy alternandosi raccontarono di come Hagrid avesse fatto schiudere l’uovo vinto e avesse chiamato il draghetto Norberto, di come quest’ultimo fosse stato accudito a turno anche da Harry Potter, Ron Weasley e Hermione Granger, di come avessero scritto a Charlie Weasley e fossero stati miseramente beccati in giro di notte dal terribile Gazza dopo aver consegnato il drago e di come anni dopo Charlie Weasley avesse loro rivelato che il dorsorugoso di Norvegia era una femmina e aveva persino deposto delle uova! Gli occhi di Enan brillavano e il ragazzino non vedeva l’ora di raccontare quella storia al nonno, sicuro che l’avrebbe gradita tantissimo anche lui. Perso nei suoi pensieri prese un biscotto dal vassoio, non notando minimamente le occhiate di avvertimento di Charis e Teddy, e lo morse.
«Ti piacciono? Li ho fatti io?» gli chiese Hagrid.
Tralasciando il fatto che gli si stesse per spezzare un canino, Enan si costrinse a sorridere e annuire. «Sì, grazie».
«Dev’essere bellissimo vivere in una riserva per draghi» disse Hagrid con i piccoli occhi neri che brillavano tanto quelli del ragazzino, che si accorse di suscitare nel guardiacaccia un interesse simile a quello che provava lui nei suoi confronti.
«Oh, sì, ma ci sono moltissimi altri animali!» esclamò e si gettò in una disamina della sua vita alla riserva, rendendosi conto di quanto effettivamente già gli mancasse. A un certo punto smise di parlare perché un groppo gli era salito in gola.
«Oh, tranquillo» vociò Hagrid dandogli una pacca sulla spalla tale che, se non ci fosse stato Loki, sarebbe finito dritto sul pavimento di legno. «Ti faccio conoscere un po’ di miei amici e vedrai che sentirai meno la mancanza di casa… Ma senti non è che potresti mostrarmi qualcuno dei bellissimi esemplari che avete alla riserva?».
«Ma certo! Sono sicuro che al nonno starai subito simpatico!» strillò Enan felicissimo. Avrebbe voluto indagare sugli amici che avrebbe presto conosciuto, anzi avrebbe voluto conoscerli immediatamente, ma Hagrid cambiò argomento in modo da coinvolgere nella discussione anche Charis, Teddy e Mark.
«Allora, Teddy, te l’aspettavi di essere smistato a Tassorosso?».
Enan vide l’amico scrollare le spalle.
«Insomma… per lungo tempo ho pensato che sarei stato un Grifondoro come mio padre e Harry…».
«Meno male che non ti sei fissato come Charlie» mormorò Charis timidamente.
«Oh, oh» disse Hagrid, «Charlie sarebbe la ragazzina che ha strappato il Cappello Parlante dalle mani del professor Vitious? La stessa che si dice abbia buttato la compagna nel Lago Nero?».
I ragazzini scoppiarono a ridere.
«Sì, lei» confermò Enan, già adorando Hagrid che si era unito alla risata generale.
«Un bel peperino, decisamente. Perché non l’hai portata? Mi sarebbe piaciuto conoscerla».
«È in punizione con Neville» sospirò Teddy scuotendo la testa.
«È riuscita a mettersi nei guai con Neville dopo due giorni di lezione? Un record! Quel ragazzo è un bonaccione!».
Enan gli raccontò dell’attacco alle Serpeverdi e Hagrid ridacchiò.
«E tu non dici nulla?». Hagrid si rivolse a Mark che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, quasi come se non ci fosse, sebbene palesemente avesse gradito i racconti di Hagrid ed Enan.
«È timido» gli andò in aiuto Teddy.
«Già anche troppo» borbottò Enan, rammentando il discorso di prima.
«Senti, Hagrid» disse Teddy divenendo serio di colpo, «è vero che mia nonna è stata diseredata?».
«Mmm». Enan si rese conto del cambio di umore del nuovo amico e si chiese perché Teddy avesse dovuto rovinare l’atmosfera. «È una storia vecchia» borbottò Hagrid.
«Quindi è vero?». Teddy era desolato tanto da sembrare sul punto di scoppiare in lacrime. Anche Hagrid se ne accorse.
«Sì, è vera. Ma i Black non erano una bella famiglia, tua nonna è stata molto più felice dopo» bofonchiò Hagrid a disagio.
«L’hanno diseredata!» sbottò Teddy con le lacrime agli occhi. «Deve aver fatto qualcosa di brutto!».
«Teddy, io non so tutta la storia» si affrettò a spiegare Hagrid. «So solo che si è innamorata di tuo nonno, ma siccome era un Nato Babbano ha dovuto scegliere tra lui e la sua famiglia. La tua nonna è una brava persona».
A quel punto Teddy scoppiò a piangere, probabilmente per la tensione accumulata per tutto il giorno, e si nascose tra le braccia di Hagrid che tentò goffamente di consolarlo.
Enan non era abituato a vedere piangere i maschi, ma si ripromise che non si sarebbe mai permesso di prendere in giro l’amico per quel crollo; in più apprezzò ancora di più Hagrid: nonostante fosse grande e grosso doveva avere un cuore altrettanto grande.
Ricacciò indietro la nostalgia provata in precedenza, rendendosi conto che, anche se lontano da casa, aveva trovato altre persone che l’avrebbero voluto bene.


 
*



 «Mark! È la terza sera di fila! Ricordati che me l’hai promesso!» disse Teddy con fermezza.
Il compagno lo fissò spaventato, anche perché non gli era mai accaduto di avere le palpitazioni per tre sere di fila.
«Vai da Madama Chips» disse Enan supportando Teddy. «Guarda che mi stai spaventando» aggiunse sinceramente.
«Sì, infatti. Non è normale» rincarò Teddy.
Mark annuì.
«Dai, ti accompagniamo» disse Enan.
I dormitori era silenziosi, dopotutto era quasi mezzanotte. Erano andati a letto abbastanza presto: Enan era crollato quasi subito, Mark aveva impiegato un po’ di tempo, ma Teddy non aveva preso sonno e per questo si era subito accorto che Mark si era svegliato e non si sentiva bene di nuovo.
«Voi sapete dov’è l’infermeria?» sussurrò Enan.
«La troveremo» rispose solamente Teddy.
Mark era agitassimo e questo peggiorava sicuramente la situazione: sembrava che il cuore volesse schizzargli fuori dal petto e, sinceramente, avrebbe preferito che rimanesse dov’era.
«Dove credete di andare a quest’ora voi tre?».
Mark impallidì più di quanto non lo fosse già. Elly li fissava in attesa di una risposta.
«Mark non si sente bene» disse Teddy con la voce lievemente incrinata, che suonava strana nel silenzio della notte.
Elly si chinò sul ragazzino e lo scrutò con attenzione. «Hai una brutta cera. Che ti senti?».
«Mi batte forte il cuore» mormorò Mark incespicando nelle parole.
«E gli è successo anche ieri e l’altro ieri» aggiunse Enan.
«E perché non l’avete detto prima?».
«N-non v-volevo» biascicò Mark, che non voleva che i compagni venissero sgridati per colpa sua. Erano stati così carini con lui in quei pochi giorni. Enan aveva persino insultato un altro ragazzo che l’aveva preso in giro per la divisa sformata – uno dei tanti. Non l’avevano preso in giro per nulla ed erano stati pazienti.
Elly fece un smorfia. «Ti accompagno io da Madama Chips, voi due tornate pure a letto».
«Ma…» provò Teddy.
«Me ne occupo io. Non vi preoccupate. Forza, rientrate in Sala Comune. Il coprifuoco è scattato da un pezzo».
Teddy ed Enan accettarono a malincuore e diedero una pacca sulle spalle a Mark prima di obbedire. Il ragazzino fu quasi sorpreso da quel contatto affettuoso, ma mai quanto dal braccio che Elly gli pose sulle spalle. Non avrebbe saputo dire se dipendesse dal suo stato d’animo o se il castello di notte, illuminato da torce poste a intervalli regolari, fosse veramente così inquietante.
«Eccoci» annunciò Elly dopo un po’. Mark l’aveva seguita per inerzia e quindi non sapeva in quale punto del castello si trovassero. «Tranquillo, Madama Chips è bravissima».
L’infermieria non piacque tanto a Mark: i lettini in fila e il bianco predominante lo misero a disagio. Non gli piacevano gli ospedali. Elly lo fece sedere con gentilezza su uno dei letti.
«Vado ad avvertire Madama Chips» gli disse avviandosi verso quello che doveva essere l’ufficio dell’infermiera.
Tornò poco dopo in compagnia di una signora con i capelli grigi striati di bianco e lo sguardo leggermente burbero. Era in vestaglia.
«Non volevo svegliarla, mi scusi» bofonchiò affranto Mark. Odiava attirare l’attenzione su di sé.
«Sciocchezze» tuonò la donna. «È compito mio prendermi cura degli studenti di questa Scuola. Che cosa ti senti?».
«Mi b-batte f-forte il cuore» mormorò.
«Non è la prima volta» s’intromise Elly.
Mark avrebbe voluto sprofondare e sparire. «S-sto bene» tentò alzandosi di scatto.
«Questo lo devo stabilire io» disse Madama Chips con fermezza, spingendolo di nuovo sul letto. «Puoi andare Montgomery».
Mark continuò a fissare il pavimento e stringersi convulsamente le mani in grembo. E non si mosse nemmeno alla fugace carezza che Elly lasciò sulla sua guancia.
«Guardami» disse Madama Chips con la voce molto più morbida di quella che aveva usato in precendenza.
Mark scosse la testa e serrò gli occhi. Non poteva rischiare di rivelare il proprio segreto. In quel momento si sentiva troppo vulnerabile.
«Va bene, allora sdraiati».
Il ragazzino s’irrigidì, ma poi, sempre più agitato, obbedì con gli occhi sempre più chiusi.
«Senti dolore da qualche parte?».
«N-no» si obbligò a rispondere. «Solo il cuore batte f-forte».
«Va bene, stai tranquillo, ora ti visito… Sei del primo anno, vero? Sei un Nato Babbano?».
«No».
Le mani dell’infermieria gli sciolsero la stretta, in cui aveva legato le braccia, in modo fermo ma gentile. Mark non si mosse mentre ella lo visitava minuziosamente. Ora in lui stava sorgendo la paura di stare male sul serio e la preoccupazione di Enan, Teddy ed Elly stava assumendo un significato diverso.
Dopo quello che gli parve un tempo infinito, Madama Chips disse: «Il tuo cuore è sanissimo, così come te… certo sei palesemente sottopeso per la tua età… ma stai bene… cerca di rilassarti, sei tesissimo…». Il ragazzino quasi sospirò al contatto gentile della donna che gli strofinava le braccia. «Ascoltami, le palpitazioni di solito ti vengono la sera quando ti sdrai oppure dopo un po’ che ti sei addormentato?».
«Di solito mi sveglio con il cuore che batte forte».
«Mmm» mormorò Madama Chips, «non è qualcosa che accade ai bambini. Solitamente mi ritrovo ad affrontare questo disturbo con i ragazzi più grandi nel periodo dei G.U.F.O. e dei M.A.G.O. Le cause di solito sono l’ansia, l’alimentazione pesante, un’intensa attività sportiva… ma soprattutto ansia… ora perché un ragazzino dovrebbe essere ansioso? Per la Scuola? È normale essere spaventati all’inizio…».
Mark, ascoltando attentamente, aveva leggermente socchiuso gli occhi, stando ben attento a non puntarli mai in quelli di lei.
Madama Chips appellò un’ampolla e ne verso il contenuto in un calice evocato appositamente. Il ragazzino si disse che doveva essere una strega molto brava. «Su, bevi, è una pozione calmante. Ti aiuterà a riposare».
Mark odiava le medicine e non era abituato alle pozioni curative, ma obbedì e svuotò il calice quasi in un sorso.
«Bene» riprese l’infermiera appoggiando il calice vuoto sul comodino accanto al letto, «vedrai ora riuscirai a riposare bene. Hai delle occhiaie! Perché non sei venuto prima da me?». Le ultime parole furono dette in evidente tono di rimprovero.
«Non era importante» bofonchiò il ragazzino.
«Non era importante! Ma certo che lo è!».
«Ma ha detto che non è una cosa grave» mormorò.
«No, ma ti faceva stare male. Guardati sei così minuto e sciupato! Non fa bene non dormire la notte, specialmente alla tua età!».
Mark non replicò e non si oppose neanche quando l’infermiera lo spinse sotto le lenzuola, avvisandolo che per quella notte avrebbe dormito lì. Cominciava a sentire le palpebre pesanti.
«Dormi» sussurrò dolcemente Madama Chips o almeno così sembrò al ragazzino nel dormiveglia. «Non esiste cura migliore».
 

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Capitolo 8
*** Scope, un avvincino e un'amicizia che cresce ***


Capitolo ottavo




 
 
Scope, un avvincino e un’amicizia che cresce
 
 
 
Il martedì successivo i Tassorosso del primo anno affrontarono la loro prima lezione di Pozioni con il professor Lumacorno.
Teddy aveva già conosciuto l’insegnante qualche anno prima, mentre passeggiava a Diagon Alley con Harry. All’epoca era piccolo e aveva classificato l’uomo come un vecchietto grasso e simpatico, che aveva insistito per offrirgli un gelato da Florian Fortebraccio. Ora percepiva un profondo imbarazzo al solo ricordo di quell’episodio. Da quello che gli aveva raccontato il suo padrino e dal sorriso decisamente inquietante con cui il professore aveva accolto il suo ingresso in aula, il ragazzino era sicuro che quell’episodio non era stato dimenticato nemmeno dall’altro. Sì naturalmente non era successo nulla di che, ma Teddy odiava essere al centro dell’attenzione e quel giorno lo sarebbe stato più che mai. Ne era certo.
«Dov’è Mark?» gli sussurrò Enan, mentre prendevano posto.
Teddy si accigliò e si guardò intorno. Totalmente perso all’idea di dover rimanere nella stessa stanza con Horace Lumacorno per due ore, non si era accorto dell’assenza del compagno.
«Benvenuti, benvenuti» trillò Lumacorno tutto contento e i suoi baffi da tricheco fremettero. «Io sono Horace Lumacorno, il vostro insegnante di Pozioni e Direttore di Serpeverde… almeno per ora…».
«Come ‘per ora’ signore? Serpeverde non potrebbe fare a meno di lei!» strillò un ragazzino dalla seconda fila.
«Ruffiano» sibilò Enan disgustato. E Teddy fu d’accordo con lui, ma dopotutto non si aspettava altro da uno come Antonin Dolohov.
«Suvvia, signor Dolohov, ho un certa età in fondo e la professoressa Macklin sarà una perfetta sostituta» rispose Lumacorno lusingato, sebbene fissasse il ragazzino con sospetto. «È il momento di conoscerci!» trillò il professore. «Anche se alcuni di voi non hanno bisogno di presentazione» soggiunse con un’occhiata eloquente a Teddy, che avrebbe voluto sprofondare. Lumacorno prese il registro e chiamò: «Becker Mark».
«Dov’è?» sussurrò Charis. Teddy non seppe risponderle, ma anche lui cominciava a preoccuparsi seriamente: Mark non era il tipo che saltava le lezioni o almeno non gli era parso. Vero anche che si conoscevano ancora da troppo poco tempo.
Nel frattempo il professore continuava a chiamare l’appello e Teddy si rese conto che ad alcuni studenti rivolgeva dei sorrisi smaglianti, compresi lui e Charis – il sorriso a lui rivolto fu così ampio che Teddy ebbe il forte impulso di nascondere la testa in un calderone, visto che buttarsi dalla finestra era escluso trovandosi nei sotterranei del castello -, altri ricevevano occhiate di sufficienza, altri ancora non venivano neanche guardati. Aveva appena chiamato Yaxley Edith che Mark irruppe in classe con il fiatone. Teddy si tese in avanti per osservarlo meglio: aveva il viso arrossato, probabilmente aveva corso per raggiungere l’aula, e gli occhi umidi, che nulla c’entravano con la corsa. Che gli era successo adesso?
«M-mi s-scusi per il ritardo» mormorò Mark flebilmente, fissando il pavimento.
Teddy si chiese se il compagno stesse pregando tutte le divinità che conosceva affinché il pavimento di pietra si aprisse e lo inghiottisse.
«Poiché è la nostra prima lezione, chiuderò un occhio, signor Becker, ma che non accada di nuovo» disse quasi freddamente Lumacorno facendogli un vago cenno con la mano verso i banchi.
Mark li individuò quasi subito e si pilotò verso di loro. Teddy non gli disse nulla mentre prendeva posto tra lui ed Enan.
«Bene, bene» riprese il professore ora con aria benevola. Che cos’aveva contro Mark? Teddy non riusciva a credere che fosse solo per il ritardo. «Ho preparato qualche pozioncina per darvi un assaggio di quello che impareremo insieme nei prossimi sette anni... Sono tutte al di là della vostra portata, ma magari siete in grado di riconoscerle. Stupitemi! Signorino Ning, per favore, scoperchia il calderone vicino a te». Il Serpeverde obbedì prontamente e Lumacorno invitò gli altri studenti ad accostarsi in modo da poter osservare la pozione. «Alzi la mano chi la riconosce» aggiunse battendo le mani come se stesse facendo un gioco bellissimo.
Contento lui, pensò Teddy.
Ning Li ed Edward Burke alzarono la mano e l’insegnante gongolò. Teddy si chiese se stessero bluffando. Come potevano riconoscere pozioni di livello avanzato? Il ragazzino rimase a bocca aperta quando si accorse che anche Charis aveva alzato la mano.
«Signorina Williamson, che cosa c’è nel calderone secondo te?».
«Veritaserum, signore» rispose timidamente la ragazzina.
Teddy si concentrò sul contenuto del calderone: a lui sembrava acqua. Magari era un trucco e non c’era alcuna pozione.
«Ottimo, ottimo, signorina. E da cosa l’hai riconosciuto? Dal colore?». Il professore sembrava molto soddisfatto anche se la risposta non era stata fornita da uno dei suoi Serpeverde.
Charis arrossì. «In verità, signore, mio zio me l’ha mostrato più volte e ho imparato a riconoscerlo… Sembra acqua…» mormorò imbarazzata.
«Sì, si potrebbe confondere. Complimenti, signorina Williamson, dieci punti per Tassorosso!».
I Serpeverde apparvero scocciati, ma Teddy riteneva che fosse corretto che un Direttore non favorisse gli studenti della propria Casa.
«Spostiamoci, spostiamoci. Vediamo il calderone del tuo tavolo, signorina Shafiq». Caroline Shafiq non sembrava particolarmente colpita dalla lezione, ma scettica obbedì.  «Allora chi la riconosce?».
Ancora una volta le mani di Ning Li e Charis scattarono in aria. Teddy era trasecolato: come facevano? Si sentiva in difetto e quella situazione lo infastidiva parecchio. Laurence l’avrebbe preso in giro in eterno se gliel’avesse raccontato, ma avrebbe potuto parlarne con Diana.
«Sì, signor Ning?».
«È la Pozione Polisucco, signore. Permette di assumere le sembianze di un’altra persona» rispose con sicumera il ragazzino.
«Ottimo, dieci punti a Serpeverde! Signorina Gould, può scoperchiare il calderone?».
Matilde Gould quasi inciampò per raggiungere celermente il proprio tavolo. Oppure c’era lo zampino di Charlie che ghignava poco distante. Ormai Teddy si aspettava qualsiasi azione dalla compagna.
Questa volta furono Edward Burke e Ning Li ad alzare la mano.
«Distillato della Morte Vivente» rispose Burke appena gli fu concesso il permesso di parlare.
«Esattamente» replicò Lumacorno colpito. «Non mi aspettavo che qualcuno lo riconoscesse! Quindici punti a Serpeverde». A Teddy non sfuggì una lieve inquietudine negli occhi dell’insegnante mentre pronunciava quelle parole. «Signor Lupin sarebbe così gentile da…».
Teddy si riscosse dai suoi pensieri e per un attimo non comprese, poi, dandosi dello stupido, capì che si riferiva all’ultimo calderone, quello al loro tavolo. «Certo, signore» borbottò pur di darsi un tono.
Il ragazzino eseguì la richiesta e per un momento rimase scioccato: gli sembrò di essere tornato alla Tana… uno dei tanti pomeriggi trascorsi con Vic e gli altri a giocare… Che roba era? Una pozione della Memoria? Un po’ intontito si volse verso il professore.
In principio nessuno diede segno di riconoscere la pozione. Forse gli altri ragazzini si sentivano intontiti e inebriati proprio come Teddy.
«Allora, su, non mi deludete proprio ora» li esortò il professore.
Teddy tornò a fissare il liquido e comprese di aver già visto quella pozione. «È un filtro d’amore?» mormorò incerto senza neanche alzare la mano.
«Oh, oh, signor Lupin! Mi chiedevo quando avrebbe mostrato il talento che ha sicuramente ereditato dal suo padrino!» strillò Lumacorno. «Sì, è un filtro d’amore! Per la precisione il più potente di tutti! Si ricorda come si chiama?».
«Amortentia» rispose Teddy, per nulla contento di tutta quell’attenzione.
«L’Amortentia! Bastano poche gocce e puff siete belli che fregati signori! Una volta il tuo padrino Harry mi ha portato un suo amico che aveva ingerito un filtro dell’amore, per giunta scaduto… oh, oh, ancora me lo ricordo! Stateci attenti, mi raccomando! E ricordate che i filtri d’amore sono vietati a Hogwarts. Dieci meritatissimi punti per Tassorosso, signor Lupin!».
Aveva intenzione di continuare così tutto l’anno? Insomma era necessario tirare fuori il nome di Harry ogni due parole? Teddy era già esasperato ed era sicuro che non avrebbe retto fino a giugno.
«Bene, bene, siete una classe promettente. Ora vi illustrerò il programma che affronteremo quest’anno».
«Signore» intervenne Ning Li. «Il calderone sulla sua cattedra non contiene anche una pozione?».
«Oh, cielo come ho potuto dimenticarmene! Sì, signor Ning, hai ragione. Venite tutti qui vicino a me».
Teddy e gli altri ragazzi si spostarono ancora una volta, ma il Tassorosso era già seccato da quell’atteggiamento teatrale del professore. Che Harry l’avesse avvertito non era servito a nulla.
«Ecco, che mi dite?».
Teddy non si sforzò neanche di osservare il liquido dorato: erano le stesse pozioni che anni prima aveva mostrato a Harry e ai suoi compagni. Ma, per Merlino, loro erano al sesto anno! A che gioco giocava Lumacorno? Alzò la mano e il professore gli concesse la parola all’istante. «Felix Felicis, nota anche come Fortuna Liquida».
«Esattamente» strillò Lumacorno battendo le mani. «Dieci punti a Tassorosso. E da cosa l’hai riconosciuta?».
«Me ne ha parlato il mio padrino» sospirò ed era la verità in fondo. Peccato che Lumacorno si lanciò nel racconto del perfetto Distillato della Morte Vivente realizzato da Harry Potter e l’ampolla di Felix Felicis da lui ricevuta in premio. «Sono sicuro che anche tu hai un grande talento!».
E con questo Teddy avrebbe davvero voluto essere un Animagus e trasformarsi in uno struzzo. Sarebbe stato molto comodo in quelle situazioni. Questa Harry gliel’avrebbe pagata!
«Anche noi avremo in premio una boccetta di Felix Felicis?» chiese Ning Li bramosamente.
«No, siete un po’ troppo piccoli, non credi signor Ning?» replicò bonariamente il professore con un gesto ammonitore che nessuno prese realmente sul serio. «Per voi ho in serbo qualcos’altro, ma prima dovrete stupirmi! Cercate la ricetta della Pozione Scacciabrufoli nel vostro manuale e strabiliatemi ancora! Avete un’ora da adesso».
Teddy sospirò, sentendosi in trappola in quell’aula come neanche a Storia della Magia e gli sembrò quasi di comprendere il senso di soffocamento provato da Enan. Il giovane Tassorosso non aveva mai distillato una pozione, ma saltuariamente aveva aiutato la nonna. Egli, però, dovette risolvere prima un problema ben più grave: Mark era sprovvisto di calderone e del Kit base di pozioni. Lumacorno, che girava tra i banchi per dare indicazioni e suggerimenti, se ne avvide immediatamente e sembrò ancora più seccato che per il ritardo.
Teddy decise d’intervenire per evitare all’amico una pesante ramanzina e forse una punizione a nemmeno una settimana dall’inizio della Scuola. «Signore, sono sicuro che il mio compagno abbia avuto solo qualche difficoltà e non volesse mancarle di rispetto». Il professore non sembrò indispettito dal suo intervento non richiesto, ma lo fissò scetticamente, così il ragazzino diede una pacca sul braccio di Mark intimandogli di parlare.
«I-io d-devo dividere il calderone con i miei fratelli, ma Alexis… cioè mia sorella… non me l’ha dato…». Il ragazzino sembrava sul punto di scoppiare in lacrime, mentre la maggior parte dei Serpeverde ridacchiava.
«Sapevo che non l’aveva fatto apposto!» s’intromise all’istante Teddy. «Mark è un bravo ragazzo». Sorrise al professore, sperando che funzionasse. Fosse stato un altro insegnante, probabilmente non avrebbe avuto il coraggio di comportarsi in quel modo, ma, da quello che gli aveva raccontato Harry, Lumacorno era il tipo da cedere facilmente con i propri ‘pupilli’. E almeno per ora Teddy era convinto di essere in quell’elenco, sebbene non per meriti suoi. E tanto valeva approfittarne per tirare fuori dai guai Mark, che, di certo, colpe non ne aveva.
«Non ne può usare uno della Scuola?» mormorò Charis. Teddy non sapeva se avesse compreso che genere di persona era l’insegnante, ma le fu grato per il suo intervento. Alle sue parole, infatti, Lumacorno sembrò addolcirsi maggiormente.
«Oh, sì ce ne sono. Suvvia, tra fratelli qualche baruffa è più che normale. Vieni a prendere il calderone e gli ingredienti che ti serviranno».
Teddy non era d’accordo: le baruffe erano quelle tra James e Albus, che si bisticciavano per l’ultimo biscotto o per un giocattolo; in nessun modo poteva pensare che un fratello potesse deliberatamente tentare di mettere nei guai l’altro. Era sicuro che in futuro Harry e Ginny non avrebbero mai ammesso un comportamento del genere, visto che già si arrabbiavano quando James e Lily tentavano di dare ad Al la colpa dei loro pasticci. Comunque Mark non era finito nei guai e al momento era la cosa più importante. Al resto ci avrebbero pensato con calma.
Il resto della lezione trascorse tranquillamente e tutti i ragazzi s’impegnarono al massimo spronati dal premio segreto. Alla fine dell’ora concessa tutti fissarono Lumacorno con il fiato sospeso in attesa che annunciasse il fortunato vincitore.
«Non c’è male, non c’è male» commentò il professore tornando alla cattedra e fronteggiando l’intera classe. «Il migliore, però, è senz’altro il signor Ning».
I Tassorosso non furono per nulla contenti, specialmente quando scoprirono che il premio era una scatola di dolci di Mielandia, il negozio di dolciumi più famoso di Hogsmeade.
 



*
 


Madama Bumb assomigliava a un falco, ma era una bella donna. Questo fu il primo pensiero di Zoey osservando l’insegnante di Volo incedere tra Tassorosso e Grifondoro schierati in due file, una di fronte all’altra. E gli occhi, gli occhi era gialli come quelli dei gatti. Non avrebbe saputo dire perché, ma le piacque a primo acchito.
Di fronte a ogni ragazzo vi era una scopa. Zoey ancora non ci credeva che potessero volare e non stava più nella pelle. Quel posto risultava sempre più incredibile man mano che trascorrevano i giorni.
«Buongiorno a tutti e benvenuti alla vostra prima lezione di Volo!».
I ragazzini salutarono a loro volta e Zoey si rese conto di non essere l’unica eccitata. Samuel Harper di Grifondoro, per esempio, saltellava sul posto.
«Guidare una scopa non è semplice e soprattutto potrebbe essere pericoloso per coloro che mancano di esperienza, perciò pretendo da parte vostra la massima attenzione e non tollererò disubbidienze ai miei ordini. È chiaro?». Un coro di «Sì, Madama Bumb», «Sì, signora», «Sì, professoressa» si levò dai ragazzi. L’insegnante apparve soddisfatta e riprese: «Bene, adesso stendete la mano destra sulla vostra scopa e dite ‘Su! ’. Mi raccomando con convinzione».
Zoey si affrettò a obbedire. «Su!», ma il suo manico di scopa si limitò a tremolare. Che cos’era uno scherzo? Perché non potevano prenderla in mano e basta?
«Se sei insicura, la scopa lo sente».
Zoey si voltò verso Charlie e notò che l’amica teneva il suo manico di scopa ben stretto nella mano.  «Ce l’hai fatta!».
«Ci mancava pure! Cris mi ha insegnato ad andare sulla scopa a sei anni!».
«Chi è Cris?».
«Il mio maggiordomo» replicò Charlie. «Poi te lo presento. Ora riprova con più sentimento».
«Su!». Questa volta la scopa si sollevò di qualche centimetro e Zoey sussultò sempre più eccitata.
«Concentrati» sussurrò Charlie, come se non volesse disturbarla in un frangente tanto delicato.
«Su!». E questa volta la scopa volò dritta nelle mani della ragazzina che saltellò entusiasta. «Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!».
«Grande!» commentò Charlie con un ampio sorriso.
In attesa di nuove istruzioni, Zoey si guardò intorno e vide che non tutti avevano avuto la sua stessa fortuna: Mark fissava la sua scopa con aria supplice, Hannah Carson, di Grifondoro, ripeteva ‘Su! ’ con aria sempre più esasperata e annoiata – sicuramente non vi era la minima convinzione in lei che la scopa si sarebbe mai sollevata -; Britney Palmer, sempre di Grifondoro, non sembrava neanche provarci ed era imbronciata. Gli altri, invece, sembravano come lei bramosi di passare alla fase successiva. Madama Bumb dovette intervenire per aiutare i tre rimasti indietro, ma ebbe il suo bel da fare soprattutto per spingere Britney a collaborare e Mark ad avere una minima fiducia in sé stesso. Quando finalmente tutti ebbero il proprio manico di scopa in mano, la professoressa mostrò loro come montare sulla scopa senza scivolare all’indietro e poi passò in rassegna la classe per verificare la correttezza della posizione. Fu il momento in cui, e Zoey se ne rese perfettamente conto, alcuni ragazzi provenienti da famiglie di maghi ebbero l’opportunità di mettersi in mostra: sapevano già come salire su una scopa, per loro era una sciocchezza. Persino Teddy non ebbe alcuna difficoltà, nonostante sembrasse un vero e proprio secchione ed Enan per la prima volta appariva realmente eccitato e attento durante una lezione. La ragazzina per conto suo si sentiva molto insicura e accolse con sollievo l’aiuto dell’insegnante.
«Bene, al suono del fischietto, datevi una spinta forte con i piedi. Tenetevi stretti e alzatevi per un metro circa, poi tornata giù inclinandovi leggermente in avanti». Come volare subito? Zoey si spaventò tanto da rimanere immobile al fischio, mentre accanto a lei i suoi compagni eseguivano l’esercizio stabilito, con eccezione di Mark che non si mosse minimamente e di Charlie che superò abbondantemente il metro di altezza e, gettando un urlo liberatorio, si librò liberamente nel cielo. Probabilmente fu l’espressione estasiata sul viso dell’amica che spinse Zoey a mettere da parte ogni remora e sollevarsi a sua volta.
«Signorina Krueger!» gridò furiosa Madama Bumb. «Avevo detto un metro! Scendi immediatamente!».
«Ma io so volare! Ed è bellissimo! Un vero stadio da Quidditch!» replicò la ragazzina.
Zoey l’ammirò moltissimo in quel momento e avrebbe voluto raggiungerla, ma aveva troppa paura di salire così in alto. E se fosse caduta?
«Signorina Krueger scendi immediatamente! Quindici punti in meno a Tassorosso!».
«Scendo, scendo» strillò Charlie di malavoglia.
«Non si smentisce mai» sbottò Teddy a poca distanza da Zoey.
Zoey, invece, adorava questo tratto di Charlie visto che alla scuola babbana era sempre lei quella che trascinava gli altri. Non vedeva l’ora di raccontare ai suoi che era riuscita a volare su una scopa! Volare! Inclinarsi in avanti e scendere fu facilissimo, così come riprendere nuovamente quota. Adorava la magia.
Charlie si beccò una ramanzina infinita da Madama Bumb e una punizione, ma quello che sembrò infastidire di più la ragazzina fu dover andarsi a sedere a bordo campo per il resto della lezione. Zoey si appuntò mentalmente che l’insegnante di Volo non era una con cui si scherzava. Eppure non doveva essere una persona cattiva, considerata la delicatezza con cui poco dopo tentò di tranquillizzare Mark e a spingerlo a levarsi in volo come i compagni.
Se c’era un compagno che Zoey non riusciva proprio a comprendere quello era Mark. Non capiva perché lei era di famiglia babbana e i suoi, nonostante le comprensibili difficoltà, aveva accettato di avere una strega per figlia; mentre Mark, proveniente da una famiglia di maghi, aveva tanti problemi. Perché non aveva una bacchetta funzionante o il materiale per le lezioni di Pozioni? Nonostante fossero trascorse ormai quasi tre settimane dall’inizio della Scuola, i signori Becker non avevano ancora comprato una bacchetta al figlio, che entrava in crisi a ogni lezione di Trasfigurazione, alla quale presto si sarebbe aggiunta quella di Incantesimi in quanto il professor Vitious aveva annunciato che da lì a qualche settimana avrebbero iniziato a lavorare sulla parte pratica.
Zoey ricambiò il sorriso incerto che il compagno le rivolse quando finalmente riuscì a sollevarsi da terra.


 
*
 


La disposizione dei posti durante la lezione di Difesa contro le Arti Oscure aveva fatto scoccare le prime scintille fin dalla seconda lezione e alla fine di settembre la situazione era sempre più preoccupante. L’unico che sembrava – o non voleva – rendersene conto era proprio il professor McBridge.
In più le lezioni con il loro Direttore erano più noiose di quelle di Storie della Magia e questo era tutto dire. Charlie ne era profondamente delusa: non facevano altro che leggere il libro di testo. Nient’altro! Nemmeno un semplicissimo Incantesimo di Disarmo!
Unico elemento positivo era l’essere riuscita a superare i suoi pregiudizi nei confronti dei Serpeverde – o almeno verso alcuni di loro – e fare amicizia con Caroline Shafiq ed Elisabeth Foster con le quali lei e Zoey giocavano a ogni lezione, così da non annoiarsi eccessivamente. Peggio andava a Enan che continuava a squadrarsi con Thomas Mulciber, seduto proprio dietro di lui, ma nessuno dei due aveva ancora fatto il primo passo verso l’altro; Mark era vittima costante delle angherie di Dolohov e dei suoi amici, il tutto sotto gli occhi indifferenti del professore. Ma Charlie e Zoey si stavano già organizzando per dare una lezione a Dolohov e compari.
«C’è la E?» sussurrò Elisabeth, distraendola dai suoi pensieri.
«No, non c’è» rispose tutta contenta aggiungendo un braccio al fantoccio schizzato sul foglio. «Presto sarai bella che impiccata» soggiunse soddisfatta.
«Non cantare vittoria» sbuffò la Serpeverde concentrandosi per scoprire la parola. «Non è che è una parolaccia?».
«Può darsi» replicò Charlie divertita.
«Becker!» la voce acuta del professore le fece sobbalzare e le spinse a voltarsi verso il fondo della classe.
Charlie si morse la lingua per non dare dell’imbecille al professore – dopotutto, come gentilmente le aveva fatto notare James non più tardi di quella mattina, era riuscita a beccarsi una punizione a settimana dall’inizio della Scuola e insultare un docente l’avrebbe senz’altro aiutata a mantenere quella ‘linea di condotta’, così definita da suo padre nell’ultima lettera.
Il banco di Mark era vuoto: borsellino e libro giacevano ai piedi di Edward Burke e solo uno stupido non avrebbe inteso quanto doveva essere accaduto. McBridge si limitò a togliere punti a Tassorosso e a mettere in punizione il ragazzino, che sembrava ormai rassegnato a sopportare qualunque prepotenza.
Ed era questo che Charlie non comprendeva del compagno: non si ribellava mai. Un atteggiamento decisamente inconcepibile per lei. La ragazzina strinse i pugni e decise di vendicarsi. In quel momento non poteva farlo direttamente su Dolohov, ma avrebbe colpito una delle sue amichette. Sventolò una mano e attirò l’attenzione di Edith Yaxley – altra mancata Grifondoro – e le fece capire di voler cambiare posto. Il professore troppo occupato a rimproverare e umiliare Mark, per non si quale sadico piacere, non si accorse di nulla neanche quando effettivamente si scambiarono.
«Che vuoi qui?» borbottò bruscamente Thomas Mulciber.
«Non un fiato» sibilò in risposta la ragazzina. «O stavolta ti faccio male sul serio».
Mulciber non sembrava aver dimenticato il calcio ricevuto in parti delicate neanche una settimana prima e la fissò terrorizzato. Bene, non avrebbe parlato. Matilde Gould si stava divertendo troppo insieme agli altri Serpeverde e non si accorse della sua presenza. Enan non disse nulla, ma le rifilò uno sguardo tra il preoccupato e il curioso.
Come previsto, l’insegnante, conclusa l’immeritata ed esagerata strigliata a Mark, tornò alla cattedra senza neanche guardarli e ordinò a Edward Burke di riprendere a leggere.
Charlie attese che la classe piombasse nuovamente nel torpore precedente ed estrasse un paio di forbici dalla tasca della divisa. Sotto gli occhi scioccati di Thomas Mulciber, si allungò in avanti e tagliò una grossa ciocca di capelli alla Gould, che sentendosi toccata sobbalzò ma solo dopo aver visto i suoi meravigliosi capelli sul pavimento – parole sue s’intende – si mise a urlare istericamente.
La Tassorosso sorrise sadicamente di fronte alle lacrime della Serpeverde e ai tentativi dell’insegnante di riportare la ragazzina all’ordine e comprendere che cosa fosse accaduto.
 

 
*


 
L’autunno ormai aveva preso piede e l’estate iniziava a essere soltanto un ricordo. Nell’ultima settimana aveva piovuto molto e quando finalmente il cielo era tornato sereno, le chiome una volta splendenti della foresta avevano assunto il colori chiari e malinconici dell’autunno. Il parco era disseminato di foglie secche, tanto che il professor Paciock qualche giorno prima aveva trovato divertente portarli fino al confine con la Foresta Proibita per studiare meglio gli alberi presenti e imparare a riconoscerli anche dalla forma delle foglie. Quel giorno il cielo era nuovamente cupo: le nuvole si stavano ammassando e presto avrebbe sicuramente piovuto. Ancora. Ciò significava dover rimanere all’interno del castello.
«Macfusty!».
Enan si riscosse, ricordandosi di essere in classe.
«Scusi» mormorò rivolgendo un’occhiata colpevole al professor Vitious.
«Avanti, prova anche tu il movimento del polso».
«Sì, signore».
Svogliatamente si esercitò come i compagni, sebbene trovasse il tutto estremamente noioso. Sapeva, però, che non era il caso di farsi richiamare nuovamente dall’insegnante. Ormai probabilmente tutti gli insegnanti avevano notato la sua tendenza a distrarsi e a estraniarsi. Naturalmente a nessuno piaceva quel suo atteggiamento. Ma non lo faceva mica apposta! Loro non si immaginavano neanche quanto gli mancasse la sua bellissima isola e la libertà di correre all’aria aperta.
 «Attento, stai sbagliando» gli sussurrò Teddy.
Puntò gli occhi su di lui e osservò i suoi movimenti, poi tentò di imitarli sempre senza alcun entusiasmo. Nulla da meravigliarsi se accolse il suono del campanello con sollievo. Raccolse in fretta la borsa e i libri e si fiondò fuori dalla classe senza neanche aspettare gli amici. Doveva raggiungere la capanna di Hagrid prima che il temporale scoppiasse. Doveva battere la pioggia. Doveva essere più veloce. Si scontrò con gli altri studenti che a quell’ora affollavano i corridoi, ma non si fermò a chiedere scusa. Se l’avesse fatto avrebbe perso.
Corse a perdifiato ignorando persino il richiamo del professor Paciock che tornava al castello. Ignorò le goccioline che cominciarono a bagnargli la testa. No, il temporale non l’avrebbe fregato.
Effettivamente riuscì ad arrivare alla capanna appena in tempo. Bussò e Hagrid gli aprì con Loki già pronto a fare le feste all’ospite in atteso.
«Ciao» strillò Enan tutto contento.
«Mica ti aspettavo. Sei un bel matto, guarda come piove!».
Enan si buttò su una sedia con Loki alle calcagna, non facendo neanche caso alla pioggia che batteva violentemente contro i vetri. Ce l’aveva fatta! Ce l’aveva fatta: aveva battuto il temporale! Era arrivato da Hagrid prima che la tempesta si scatenasse.
«Odio la pioggia! Ti costringe a stare in casa!» si lamentò il ragazzino accarezzando allegramente il cagnone.
Hagrid ridacchiò e scosse la testa. «Dovresti essere al castello, sai? Aspetta che ti preparo un thè».
«Non ne potevo più di stare al castello! Stamattina abbiamo avuto Erbologia, è vero, ma dopo pranzo abbiamo avuto Storia della Magia! Ti rendi conto? Credo di aver dormito almeno mezz’ora!».
Hagrid gli porse un’enorme tazza leggermente sbeccata e ridacchiò alle sue parole.
«È stata un settimana pesante, eh?».
«Lo puoi ben dire! I professori non fanno che spiegare e segnare compiti, spiegare e segnare compiti! All’infinito, ma non si annoiano!?».
«È il loro lavoro» replicò Hagrid saggiamente. «E poi dovete impararle le cose no?».
«Mio nonno me ne ha insegnante un sacco, ma non mi ha mai chiesto di fare saggi, relazioni, ricerche, temi o riassunti!» si lagnò, invece, Enan. «Non sai quanti compiti ci segna ogni volta la Macklin! La verità è che i professori non hanno nulla da fare la sera e quindi si divertono a correggere i compiti e a mettere brutti voti… soprattutto a mettere brutti voti!».
Hagrid sorrise e lo lasciò sfogare, poi gli disse: «Vuoi vedere qualcosa di interessante?».
Enan quasi saltò giù dalla sedia. «Cosa? Sì, certo! Ma non sta piovendo?».
«Non dobbiamo mica uscire!». Il mezzogigante si alzò e recuperò qualcosa che Enan non fu capace di identificare perché ricoperto da una panno. «Che cos’è? Che cos’è?» strillò eccitato.
«Un avvincino. L’ho trovato vicino al Lago Nero. Dev’essersi avvicinato troppo e qualche stupido ragazzino ci ha giocato. Ora lo devo curare, prima di liberarlo. Vuoi darmi una mano?».
«E me lo chiedi?» trillò Enan estasiato alla vista del demone acquatico. Sembrava particolarmente incattivito probabilmente a causa della ferita alla testa e dell’essere stato il giochino di un essere umano.
«L’hai mai fatto?».
«No. Ho medicato molti animali, ma mai un avvincino».
«Allora segui le mie indicazioni».
Enan seguì alla lettera le istruzioni e nel giro di mezz’ora la piccola creatura stava molto meglio.
«Sei stato bravissimo!» ruggì Hagrid dandogli una pacca sulle spalle.
Il ragazzino sorrise raggiante: quando era in quella capanna sentiva di meno la mancanza di casa.
 


 
*
 



«Molto bene ragazzi, nelle scorse lezioni ci siamo esercitati a lungo sul movimento da compiere con la bacchetta, perciò credo sia arrivato il momento di passare alla pratica».
La vocetta acuta e stridula del professor Vitious risuonò nella classe in una cupa mattina di fine ottobre. Corvonero e Tassorosso del primo anno furono subito entusiasti all’idea di compiere finalmente qualche incantesimo. A eccezione di Trasfigurazione fino ad allora non ne avevano avuto grande possibilità.
L’unico a non esserne felice era Mark, seduto accanto a Charis. Alla prospettiva il ragazzino gemette, ma solo la compagna sembrò fare caso al suo stato d’animo tanto da poggiargli una mano sul braccio con fare incoraggiante. A Mark la ragazzina piaceva: era sempre così silenziosa e timida, ma non mancava mai di aiutare gli altri – Charlie e Zoey ne approfittavano abbondantemente – senza mai aspettarsi qualcosa in cambio. La gentilezza e la premura con cui lo trattavano lei, Teddy e persino Enan lo avevano spiazzato, ma con il trascorrere del tempo lo rendevano un po’ più sicuro di sè. Mark doveva anche ammettere che dopo aver conosciuto Madama Chips stava leggermente meglio: era andata a trovarla altre due volte ed ella lo aveva sempre tranquillizzato e confortato, in tal modo le sue crisi si erano ridotte nonostante i problemi con quella stupida bacchetta.
Il professore distribuì una piuma ciascuno. «Cominciamo con qualcosa di molto leggero. Forza, provate a farla levitare… così… Wingardium Leviosa…». La piuma poggiata sulla cattedra galleggiò sopra la sua testa.
Mark osservò i suoi compagni affrettarsi a eseguire l’incantesimo. Che avrebbe dovuto fare? Le uniche due volte in cui aveva provato a usare la bacchetta a Trasfigurazione era andata male – prima aveva inzuppato la povera Charis, poi aveva praticamente dato fuoco al proprio banco -, ma non voleva compiere pasticci anche a Incantesimi. Si stava impegnando molto in tutte le materie e con sua grande sorpresa si era reso conto che gli insegnanti, a differenza di quelli babbani, non lo ostacolavano ma, al contrario, lo spronavamo e incoraggiavano a far meglio e, cosa più assurda di tutte, lui ci riusciva, riusciva a raggiungere buoni risultati! Alcuni professori, quali Paciock, Vitious e Madama Bumb, l’avevano preso persino a ben volere. La Macklin era neutrale, letteralmente: non lo rimproverava aspramente come altri ragazzi che non studiavano o non facevano i compiti, valutava il suo lavoro in maniera abbastanza positiva, ma lo scrutava sempre infastidita durante le esercitazioni – a dire la verità dopo i primi due disastri gli aveva anche vietato di toccare la bacchetta finché non l’avesse sostituita. Il professor Nichols di Astronomia non lo considerava proprio come in realtà non considerava nessun altro, sembrava perennemente annoiato a lezione, ma l’aveva intravisto con i ragazzi più grandi e sembrava tutt’altra persona. Willy, il fratello di Charlie, aveva detto che Nichols faceva così perché non sopportava i bambini e tutto sommato non aveva particolarmente piacere a insegnare a Hogwarts. A Mark non stava particolarmente simpatico, ma almeno non faceva assolutamente nulla per farsi odiare, a differenza di McBridge che l’aveva preso di mira e per giunta era il loro Direttore. Lumacorno lo ignorava, il che tutto sommato poteva essere ritenuto un bene visto quanto Teddy e Charis si imbarazzavano a essere sempre al centro dell’attenzione a Pozioni.  La materia che Mark preferiva era senz’altro Storia della Magia, lì otteneva ottimi risultati senza sforzarsi come per Pozioni o Trasfigurazione.
«Becker, problemi?».
Il ragazzino sobbalzò, non avendo sentito il professore avvicinarsi. Alzò la testa, ma come sempre fissò un punto del viso che non fossero gli occhi. Non sapeva che cosa rispondere. Se avesse tirato fuori la bacchetta, avrebbe combinato guai e non voleva far arrabbiare proprio Vitious né deluderlo, ma non poteva nemmeno rifiutarsi di eseguire la richiesta di un insegnante! Chinò il capo e fissò il banco.
«Becker, dov’è la tua bacchetta?».
Se gli avesse detto che l’aveva dimenticata in Dormitorio? L’avrebbe mandato a recuperarla? Sarebbe stato inutile allora. L’avrebbe punito o gli avrebbe tolto punti? Così avrebbe comunque mandato all’aria il lavoro compiuto fino a quel momento. In più mentire a un insegnante non era un’azione grave?
«Credo che Mark abbia qualche problema con la sua bacchetta» pigolò timidamente Charis.
Il cuore del ragazzino ebbe un tuffo. Mark s’irrigidì scrutando ostinatamente la superficie lignea del banco, senza veramente vederla.
«Ah, sì? Che genere di problemi? Mostramela».
Era un tono molto diverso da quello della Macklin, ma Mark sapeva che era pur sempre la richiesta esplicita di un insegnante e non poteva disubbidire, così tirò fuori la custodia dallo zaino e l’appoggiò sul banco, poi l’aprì e afferrò la bacchetta. Aveva compiuto questi gesti con deliberata lentezza, come sperando che questa piccola attenzione avrebbe mutato i sentimenti dell’oggetto nei suoi confronti. Vana speranza! Appena strinse la bacchetta nella mano destra essa spruzzò delle scintille rosse che fecero indietreggiare sia Vitious sia Charis e lui la mollò sul banco spaventato. La bacchetta non gradì ed emise una fiammata che l’avrebbe seriamente ustionato se non si fosse tirato istintivamente indietro con la sedia.
«Non. Lo. Fare. Mai. Più» sbottò il professor irritato dopo aver spento il fuoco.
«Non l’ho fatto apposta» piagnucolò Mark. Ecco non ne faceva una giusta: ora anche Vitious l’avrebbe odiato. Forse McBridge e Alexis avevano ragione a dire che era un inutile incapace. «È ostile» aggiunse come se quello potesse giustificarlo.
«A maggior ragione, non la lanciare più in quel modo» replicò il professore severamente. «Le bacchette tendono a incanalare una piccola parte della magia del proprietario, avresti potuto farti molto male!».
«N-non lo s-sapevo» mormorò affranto.
Il tono di Vitious si addolcì. «È meglio che tu la riponga. Hai già studiato bene la teoria di quest’incantesimo e non ritengo che tu debba andare avanti da solo, ma confido che saprai comportati in modo adeguato per il resto della lezione e non dare disturbo ai tuoi compagni».
«Sì, signore» rispose flebilmente Mark.
Alla fine della lezione il professore disse: «Molto bene, siete stati tutti molto bravi. Continueremo a esercitarci nella prossima lezione con qualcosa di più pesante di una piuma. Mi raccomando rileggete con attenzione il capitolo sull’Incantesimo di Levitazione e non esercitatevi da soli… Potete andare. Becker, tu aspetta un attimo».
Perché? Non aveva fiatato per tutta l’ora ed era stato a braccia conserte per tutto il tempo (l’insegnante babbana era fissata con questa cosa) e non aveva disturbato nessuno! Aveva sperato di poter scappar via e chiudersi nella propria stanza per tutto il week end!
Attese che il resto dei compagni uscisse – avrebbe preferito evitare di essere rimproverato davanti a tutti – e si avvicinò mogiamente alla cattedra. Vitious era seduto come sempre su una pila di cuscini e metteva in ordine il registro e i compiti che gli erano stati consegnati quel giorno.
Mark si domandò se dovesse dire qualcosa, probabilmente avrebbe dovuto scusarsi di nuovo. Alla fine decise di tacere e attendere che l’insegnante parlasse per primo: aveva un nodo in gola e pensava che se avesse aperto la bocca sarebbe scoppiato a piangere. Enan lo aveva pregato di smettere di farlo in continuazione perché in caso contrario presto l’avrebbero soprannominato tutti il Frignone o in qualche altro modo peggiore.
«Allora Mark perché non hai sostituito la bacchetta? La professoressa Macklin te l’ha detto più di un mese fa. Temo che tu non comprenda ancora la gravità della situazione, eppure prima ti sei spaventato».
«M-mi dispiace, signore. Farò meglio» sussurrò, trattenendo le lacrime.
«Non puoi fare meglio se la tua bacchetta non ti riconosce come suo padrone».
«M’impegnerò di più» tentò Mark disperato. Lo voleva espellere? Lo voleva rimandare a casa? Ma lui cominciava a trovarsi bene: la biblioteca di Hogwarts era veramente fantastica proprio come gli aveva raccontato Jay, adorava le lezioni di Storia della Magia, Charis era così dolce e si sentiva così bene con lei, Teddy era arguto e cortese, Enan simpatico e aveva sempre storie fantastiche sui draghi o altre creature magiche. Non voleva, non voleva rinunciare a tutto quello.
«Non funziona così» sospirò Vitious pazientemente. «Le bacchette sono manufatti magici incredibilmente potenti e non si piegano al dominio di un mago facilmente. No, non è questione d’impegno. Devi procurarti una bacchetta che vada bene per te e anche al più presto o rimarrai indietro».
«P-posso esercitarmi di più e…».
«No» lo interruppe bruscamente l’insegnante. «Non voglio che tocchi più quella bacchetta, è chiaro? O sarò costretto a prendere provvedimenti seri».
Il tono severo del professore colpì profondamente Mark, che vistosi in trappola – non poteva assolutamente avere una bacchetta nuova, ma non voleva neanche lasciare Hogwarts – sollevò gli occhi pieni di lacrime a stento trattenute su di lui. Fu un attimo, la debolezza di un momento, ma si dimenticò la sua regola d’oro: non guardare mai le persone negli occhi.
«La prego…». Per una manciata di secondi si rivide lanciare la bacchetta sul banco e scansare appena in tempo la fiammata, poi, all’improvviso, un muro nebuloso ma compatto si levò e lo respinse violentemente. E a quel punto una serie di suoi ricordi fluirono liberamente: Alexis che lo minacciava fuori dalla Sala Grande il secondo giorno di Scuola, lo Smistamento, la sedia in fiamme e il capriccio perché il padre aveva comprato la scopa ad Alexis e non la bacchetta a lui, le orecchie d’asino, una delle tante punizioni ricevute alla scuola babbana… A Mark sembrò essere in balia di quel flusso e quasi fu sorpreso quando finì e tornò stordito a fissare lucidamente il professore di fronte a sé che ne ricambiava lo sguardo scioccato. Mark finalmente comprese quello che era accaduto: aveva violato la mente del suo insegnante! La consapevolezza di ciò si depositò come un macigno sul suo petto: sarebbe stato espulso. Non c’erano dubbi. Respirò a fatica per qualche secondo, poi fece l’unica cosa che gli venne in mente: scappare.




 
*
 




Charis sorrise. «Grazie Shawn, sei davvero bravo in Pozioni!».
«Sì, infatti» concordò Teddy altrettanto grato dell’aiuto ricevuto dal ragazzo più grande.
Charis trovava sempre più gentile e simpatico Shawn, rammaricandosi di non averlo conosciuto negli anni precedenti. Sarebbe stato bello stringere amicizia con un altro mago prima di Hogwarts e probabilmente, grazie a lui, si sarebbe avvicinata prima anche agli altri bambini del quartiere.
Erano in biblioteca già da qualche ora, nonostante fosse sabato pomeriggio, ma il tempo era terribile e tanto valeva approfittarne per anticipare i compiti della settimana successiva.
«Che facciamo ora? Storia della Magia? Non possiamo rimandarla ancora, il saggio è per lunedì» sospirò Teddy.
«Ah! Di questa proprio non voglio saperne nulla» borbottò Shawn fingendosi terrorizzato.
Charis ridacchiò insieme ai due ragazzi. «Nemmeno a te piace?» gli chiese poi.
«No» replicò Shawn. «È noiosa».
«Non abbiamo altra scelta» costatò la ragazzina rivolta a Teddy, dopo aver sorriso a Shawn che si rimise a lavorare alla sua relazione per la Macklin.
«Oh, che bravi! State facendo i compiti!».
I tre ragazzi si voltarono meravigliati verso Horace Lumacorno. Charis pensò che per essere un Serpeverde era coraggioso: parlare con un tono tanto squillante nel territorio di Madama Pince equivaleva a un suicidio. O forse i professori non dovevano sottostare a quelle regole, visto che la bibliotecaria si limitò a lanciare un’occhiataccia nella loro direzione.
«Ehm, sì signore» mormorò Teddy, mantenendo bassa la voce.
Charis non era felice d’incontrare Lumacorno al di fuori delle lezioni, mal sopportando il suo modo differente di trattare gli allievi. Né lei né Teddy erano particolarmente brillanti in Pozioni, sebbene comunque se la cavassero decentemente, ma il professore non perdeva occasione di lodarli ed elogiarli davanti a tutti. E il perché non sfuggiva a nessuno: i genitori di Teddy avevano dato la vita durante la battaglia di Hogwarts e i suoi erano stati uccisi dai Mangiamorte. Un motivo terribile insomma.
«Bravi, bravi!» trillò l’insegnante allargando il suo sorriso. «Ma ci vuole anche una pausa ogni tanto! Venerdì prossimo mi piacerebbe avervi nelle mie stanze per una cenetta tranquilla. Vi presenterò dei simpatici e brillanti compagni, se già non li conoscete già». E qui ridacchiò. «Vero, signor Lattes?».
«Oh, signore, io e Charis abitiamo nello stesso quartiere».
«Oh, oh, è bello quando le famiglie magiche riescono a riunirsi in una città» commentò Lumacorno. «Allora, posso contare di avervi tutti e tre come miei ospiti?».
Charis avrebbe voluto dire no, ma riuscì a trattenersi considerandola una risposta maleducata.
«Sì, ne saremo lieti» rispose per tutti Shawn.
«Non mi sembra una grande idea» sussurrò Charis appena il professore fu più lontano.
«‘Ne saremo felici? ’ Davvero?» borbottò Teddy.
«Volevate rifiutare il primo invito?» replicò Shawn. «Non era il caso. Più avanti potrete trovare delle scuse, ma, vi avverto, sa essere tenace, per cui meglio accontentarlo per una volta».
Charis non aveva alcuna intenzione di non seguire il consiglio del più grande, ma fu comunque sollevata quando costatò che Teddy era d’accordo.
Ripresero a studiare di buona lena, spinti dal desiderio di metter al più presto da parte i libri di Storia della Magia, ma circa un’oretta dopo furono nuovamente interrotti.
Charis avevano notato il professor Vitious farsi strada tra tavoli e studenti con pile traballanti di libri tra le braccia, ma fu stupita quando si fermò vicino a loro.
«Buonasera, ragazzi».
Charis si chiese se era normale che i professori controllassero gli studenti in biblioteca. L’idea la innervosiva parecchio.
«Buonasera, signore» risposero i tre ragazzi.
«Mi dispiace disturbarvi, ma mi chiedevo come sta Mark Becker. Non l’ho visto in Sala Grande né ieri sera, né oggi».
Charis scambiò un’occhiata veloce con Teddy. Mark si era rinchiuso in camera dopo la lezione d’Incantesimi del giorno precedente senza dar loro spiegazioni e avevano dovuto faticare a lungo per capire che era successo qualcosa quando il professore l’aveva trattenuto in classe. Qualcosa di grave, visto che era sicuro che sarebbe stato espulso. Non sapendo a chi chiedere – di certo non al loro Direttore – e non volendo peggiorare la situazione, si erano risolti ad attendere gli sviluppi della situazione o che finalmente il compagno decidesse di confidarsi con loro. Ora non sapevano come comportarsi.
Il professore colse la loro esitazione. «Se il vostro compagno sta male, dovete dirlo».
Dopo quella che sembrò un’eternità Teddy sospirò: «Non mangia da ieri. È sconvolto, ma non ha voluto dirci perché».
Vitious s’incupì, ma a parte questo non apparve particolarmente sorpreso. Come se già sapesse.
«Professore» pigolò allora Charis, «Mark non è cattivo. Se ieri ha fatto qualcosa di sbagliato, lo perdoni». Si sentì stupida non appena pronunciò quelle parole: era pur sempre un insegnante, non suo zio e se il compagno aveva violato le regole c’era ben poco da supplicare.
«Infatti» intervenne immediatamente Teddy. «Credo che i suoi non possano permettersi una bacchetta nuova e per questo che ancora non ha scritto a casa come gli ha più volte detto la professoressa Macklin».
Non aggiunse altro, ma Charis ricordava l’accordo che lei stessa aveva stretto quella mattina con i compagni: avrebbero comprato loro la bacchetta nuova a Mark. Il problema non era di natura economica – a parte Enan, tutti loro erano sicuri di poter ottenere i soldi necessari da genitori e tutori senza particolari difficoltà -, ma logistica: come e dove avrebbero dovuto comprare la bacchetta se non potevano uscire dal castello? L’unica soluzione sarebbe stata aspettare Natale, ma Mark avrebbe dovuto essere presente, non potevano comprargli una bacchetta in sua assenza e comunque alle vacanze mancavano quasi due mesi.
Vitious li aveva ascoltati pazientemente e quasi sorrise di fronte ai loro tentativi di aiutare Mark. «Dite al vostro compagno che voglio vederlo a cena questa sera o sarò costretto a parlare con il vostro Direttore. Inoltre per lunedì mi aspetto da parte sua una ricerca approfondita sulle bacchette magiche, almeno due rotoli di pergamena. Infine ditegli che, quando se la sentirà di parlare di quello che è accaduto ieri, io sarò felice di farlo, ma convincetelo a farlo al più presto. È molto importante».
«Va bene, signore» assentì Teddy compito.
«Che facciamo?» bisbigliò Charis appena Vitious non fu più a portata di orecchie.
«Che domande! Andiamo a parlargli subito» rispose Teddy alzandosi. «Due rotoli di pergamena!» quasi strillò nemmeno dovesse scriverli lui. «Deve iniziare subito o non finirà mai per lunedì! Per fortuna stamattina ha fatto un po’ di compiti! Andiamo, su. Avrò bisogno di aiuto per tranquillizzarlo».
«Ma secondo te che è successo ieri?».
«Non lo so» sospirò Teddy. «Ma non credo che gli abbia semplicemente risposto male. Dev’essere qualcosa di più serio».
Charis annuì concorde.

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Capitolo 9
*** I fantasmi del passato ***


Capitolo nono






 
I fantasmi del passato
 


 
«Come hai potuto mancarla? Sei un idiota!».
«Charlie, forse stai esagerando» tentò Zoey.
«No! Non capisci, queste mozzarelle non sconfiggeranno mai Grifondoro, figuriamoci Serpeverde».
«Ma i più forti non erano i Grifondoro?» chiese Zoey confusa.
«Certo. Non li hai visti come si allenavano ieri? I Serpeverde, però, sono scorretti e si mangeranno la nostra ridicola squadra in un sol boccone».
«A me non sembra che se la stiano cavando tanto male».
«Non sei abbastanza esperta» ribatté Charlie. «Volano troppo lenti e hanno delle scope da corsa preistoriche… Cosa sei, mezza cieca? Non vedi il boccino a un centimetro dal tuo naso!? Chi è l’incompetente che ti ha preso in squadra?». Non che non lo sapesse: aveva indagato su Peter Andrews, Capitano dei Tassorosso da quell’anno, e su tutti i membri della squadra. Non era solo incompetente, ma anche sordo il loro Capitano visto che ignorava ogni sua provocazione da almeno un’ora.
«La puoi smettere?» domandò all’improvviso un ragazzo svolazzando sopra di loro.
Zoey sgranò gli occhi, ma Charlie non si scompose: era Lucas Burns uno dei tirapiedi della loro Caposcuola. «Di fare che?» ribatté a tono.
«Di gracchiare come una gallina a cui stanno tirando il collo».
«Che cosa?!» sbottò la ragazzina alzandosi in piedi. Zoey la fiancheggiò all’istante.
«Se sai fare di meglio, dimostralo» continuò il ragazzo.
«Puoi starne certo!».
«Charlie? Che intenzioni hai?» provò a chiedere Zoey mentre la seguiva di corsa giù dagli spalti.
«Di dimostrare a queste mozzarelle come si gioca a Quidditch».
Charlie era veramente furiosa: non solo non era stata smistata a Grifondoro, ma doveva anche tollerare una simile squadra di schiappe! Non sarebbe sopravvissuta alla vergogna una volta iniziato il Campionato. Doveva dare una svegliata ai suoi, ahimè, compagni di Casa, perciò si diresse a passi svelti verso il magazzino delle scope e scelse quella all’apparenza meno scadente. Peccato che sua madre l’avesse beccata mentre nascondeva il proprio manico di scopa nel baule e gliel’avesse sequestrato.
«Buona fortuna» le disse Zoey, appena furono a bordo campo.
Charlie apprezzò la gentilezza della nuova amica e anche che non provasse a dissuaderla come avrebbe sicuramente fatto quel noioso di Teddy Lupin o la fin troppo diligente Charis Williamson. «A noi due» disse a denti stretti, fissando Andrews, prima di decollare. In aria si sentì subito bene, era meraviglioso. Avrebbe dimostrato di essere di gran lunga migliore di Caroline Sylvester, l’imbranata cacciatrice. S’inserì in uno scambio tra la Sylvester e Samantha Field intercettando la pluffa. Vi furono delle urla indignate, ma ella le ignorò fiondandosi verso gli anelli protetti dal Prefetto Corbin Savage, riuscendo anche a evitare egregiamente un bolide precedentemente scagliato dalla battitrice Sarah Walters. In realtà mentre l’adrenalina cresceva e si avvicinava agli anelli, si dimenticò anche della rabbia: stava giocando in un vero campo da Quidditch e non nel giardino di casa sua! Fece per tirare, ma scartò all’istante riuscendo perfettamente a ingannare il portiere che si gettò a difesa dell’anello di sinistra, mentre ella tranquillamente scagliò con forza la pluffa in quello di destra.
«Goal! Avete visto come si segna?».
La Field e la Sylvester la raggiunsero gridando, evidentemente troppo preoccupate per la figuraccia che le aveva fatto fare che per la loro incapacità in quello sport.
«Siete delle oche starnazzanti» dichiarò Charlie a braccia conserte. «So giocare meglio di voi, tocca a me il posto il squadra».
«Ti piacerebbe, eh? Peccato per te che io merito il posto che ricopro» replicò la Field irritata con una testardaggine simile a quella della più piccola.
La Sylvester, invece, sembrava leggermente in preda a un attacco isterico visto che cercava di strappare via la mazza a Lucas Burns, che si era avvicinato per assistere alla scena.
«Ah, sì? Dimostralo allora» replicò Charlie con gli occhi fissi sulla Fields, ignorando totalmente l’altra cacciatrice per dimostrare che non la temeva minimamente.
«Facciamo una gara a chi segna più goals» propose la Field.
«Ci sto».
«Non farete un bel niente invece».
«Ma Capitano!» si lamentò la Field.
Peter Andrews aveva finalmente deciso d’intervenire. «Se sei interessata a entrare in squadra, l’anno prossimo potrai fare il provino, ora scendi e riponi la scopa al suo posto».
«Hai solo paura che dimostri che le tue scelte sono state sbagliate».
«Io l’ammazzo» sbottò la Field. «Capitano, permettimi di darle una lezione».
«No. Agli studenti del primo anno è vietato entrare a far parte delle squadre di Quidditch. È il regolamento» dichiarò indifferente Andrews. «E Sam, non voglio che tu accetti sfide da chicchessia, mancheresti di serietà».
«Ti conviene obbedire» suggerì Lucas Burns.
«Neanche per sogno» s’impuntò Charlie.
«Farò rapporto, non ti conviene peggiorare la tua situazione» intervenne Andrews, senza neanche guardarla.
«Oh, sai che paura. McBridge se ne frega di me».
«Lo dirò a Madama Bumb» replicò il Capitano lanciando la pluffa a Sam, come se nulla fosse accaduto.
Charlie sgranò gli occhi e imprecò: quello era un colpo basso. Quell'arpia dell’insegnante di Volo ce l’aveva con lei. Fuori di sé dalla rabbia, atterrò violentemente frenando con i piedi e sollevando terriccio, erba e polvere.
«Dai, pensa che tra poco sarà Halloween» le disse immediatamente Zoey provando a distrarla.
La ragazzina, però, era furiosa: Peter Andrews gliel’avrebbe pagata cara.


 
*
 
 
«Mangia. Hai sentito Vitious e Madama Chips, non devi saltare i pasti» disse gentilmente Charis.
Mark la osservò con tanto d’occhi mentre la ragazzina gli riempiva la tazza di latte e gli porgeva una brioche di zucca. Non ricordava che nessuno fosse stato mai così buono e sollecito nei suoi confronti. Eppure i suoi compagni, che conosceva da nemmeno due mesi, si prodigavano per lui: Teddy e Charis l’avevano aiutato a trovare i libri per scrivere la ricerca richiesta dal professor Vitious e avevano trascorso un’intera domenica a fargli compagnia finché non aveva concluso il compito; Enan lo difendeva sempre dai Serpeverde che lo infastidivano, ma nonostante fosse molto più forte di lui non aveva mai compiuto un gesto prepotente, certo spesso e volentieri gli chiedeva di copiare i compiti – cosa che Teddy biasimava terribilmente – ma sempre con cortesia ed educazione. Charis, però, era la migliore di tutti: lo abbracciava con una spontaneità e, a volte, irruenza che ancora dopo settimane lo lasciavano basito.
«Grazie» le disse e diede un morso alla brioche in modo che ella non stesse in pensiero e si dedicasse alla propria colazione.
Mark mangiò tranquillamente e con appetito finché un rumoroso fruscio di ali non sovrastò il brusio mattutino della Sala Grande. Il ragazzino non alzò nemmeno gli occhi, ben conscio che non avrebbe ricevuto nessuna lettera: ogni tanto scriveva al padre, ma questi di solito troppo occupato con il lavoro non rispondeva; per quello che sapeva lui non scriveva neanche ad Alexis e Jay, ma quella era una magra consolazione.
Stranamente, però, un allocco atterrò proprio di fronte a lui quasi rovesciando una brocca di succo di zucca.
«Che gufo pasticcione» borbottò Charlie bloccando la brocca con una rapido gesto e sputacchiando pezzetti di bacon da una parte all’altra. «Oh, oh» aggiunse notando la lettera scarlatta legata alla zampa della creatura.
«Ma che hai visto?» sbottò Zoey intervenendo in aiuto dell’amica che si era affogata con la pancetta. «Che c’è?» insisté notando l’espressione mutata di tutti i suoi compagni.
Mark deglutì incapace di muoversi mentre il gufo allungava eloquentemente la zampetta verso di lui. La busta aveva iniziato a fumare.
«Prendila ed esci da qui» suggerì Teddy in tono urgente.
Mark, però, fissava la lettera ipnotizzato e non era ancora capace di muoversi.
«Che cavolo fai?» sbottò Charlie sbrigandosi a sciogliere la lettera. Il gufo sembrò sollevato e volò via. «Vattene» strillò lanciandogli la busta addosso, ma il ragazzino si scansò.
«Che cos’è?» provò a chiedere di nuovo Zoey fissandoli come se fossero pazzi, ma anche questa volta fu ignorata.
«Troppo tardi» mormorò Teddy, mentre la lettera quasi scoppiava. Zoey urlò a quella vista, ma il suo grido si perse tra quelle del mittente.
«UNA COSA… UNA TE NE AVEVO CHIESTA! E TU HAI AVUTO IL CORAGGIO DI DISOBBERDIMI NEMMENO A DUE MESI DALL’INIZIO DELLA SCUOLA…».
Mark avrebbe voluto sprofondare, mentre la voce di suo padre risuonava nella Sala Grande. Provò addirittura a tapparsi le orecchie, come se attutendo il suono, avrebbe potuto farlo scomparire insieme all’imbarazzo.
«TI AVEVO ORDINATO DI COMPORTARTI BENE E STUDIARE!» Quelle erano due cose, pensò Mark desolato pigiando di più le mani sulle orecchie, man mano che percepiva le risatine aumentare intorno a lui. «NON HAI FATTO NESSUNA DELLE DUE COSE! CHE COSA CREDEVI CHE NON SAREI VENUTO A SAPERLO? EH, TI CREDI COSÌ FURBO? VEDI DI DARTI UNA REGOLATA O TI AGGIUSTO IO A NATALE».
La lettera si ridusse in cenere dentro la tazza di latte del ragazzino.
«Che diavolo era?» sbottò Zoey sconvolta.
«Una strillettera» rispose Charlie. «Una forma di tortura che da generazioni i genitori perpetrano nei confronti dei figli».
Mark mantenne la testa bassa sul tavolo, senza neanche vederlo a causa degli occhi pieni di lacrime.
«Va tutto bene» gli sussurrò Charis ansiosa.
«È assurdo» intervenne Enan per la prima volta. «Di che cavolo ti rimprovera tuo padre? Tu ti comporti bene e hai buoni voti. Ma è impazzito?».
«Dipende che cosa gli hanno raccontato» dichiarò Teddy. Persino Mark, sorpreso dal suo tono freddo, sollevò gli occhi e notò che fissava con insistenza il tavolo dei professori. Fu solo un secondo ma McBridge incrociò il suo sguardo e ghignò soddisfatto.
«Dici che è stato lui?» sbottò Charlie.
«Hai visto come ha guardato Mark?» replicò Teddy con amarezza.
«Ma è un professore! Il nostro Direttore!» esclamò Zoey, che proprio non riusciva a comprendere: lei era stata mal vista da quasi tutti i suoi insegnanti alla scuola babbana, ma c’era da dire che non era mai stata una studentessa modello, anzi la sua attività prediletta era fare i chiodi a insegnanti e collaboratori scolastici; Mark, invece, era un bravo ragazzo e molti professori avevano mostrato chiaramente di apprezzarlo.
«Magari è per la questione della bacchetta» propose Charlie.
«No, non credo» scosse la testa Teddy. «Non usiamo mai la magia a Difesa contro le Arti Oscure. Gli unici che avrebbero potuto lamentarsi sono la Macklin e Vitious, ma entrambi sanno che non è colpa di Mark».
Al ragazzino poco importavano quelle congetture, essendo totalmente incapace di riordinare le idee e spostarsi da quella panca su cui gli sembrava di essersi incollato.
«Tu, vieni con me». A strapparlo da quella posizione fu Alexis con uno strattone.
«Ehi» intervennero Enan e Charlie indignati.
«È mio fratello» sentenziò ella. «Non azzardatevi a muovervi da qui».
Mark si lasciò trascinare fuori senza emettere un fiato. Ora che voleva da lui? Provava a evitarla costantemente, tanto che aveva chiesto a Bobby l’orario del settimo anno; quando non era in classe si chiudeva in biblioteca o in Sala Comune e tentava di andare a mangiare quando erano presenti anche i professori. Fino a quel momento aveva funzionato, ma evidentemente Alexis non n’era contenta.
«Hai messo in imbarazzo me e Jay, brutto scemo» gli strillò nelle orecchie. Mark strinse gli occhi in reazione allo scrollamento che seguì. Alexis era veramente forte grazie agli allenamenti di Quidditch.
«Scusa» biascicò ben sapendo che fosse completamente inutile.
«Scusa un corno!» ribatté ella prevedibilmente, tirandogli i capelli e trascinandolo in un affranto della Sala d’Ingresso.
«Ti prego, Alexis» la supplicò disperato: era stanco. Dopo quella strillettera l'avrebbero preso in giro ancora di più e se l’avessero visto mentre veniva maltrattato dalla sorella sarebbe stato peggio.
«Tu mi supplichi? Questa sì che è bella! Perché pensi di meritarti qualcosa? Almeno supplica come si deve» sbottò spingendolo a terra in ginocchio.
Mark gemette totalmente umiliato.
«Cinquanta punti in meno a Grifondoro».
Il ragazzino a quella voce avrebbe voluto scomparire.
«Come osi?» sbottò Alexis mollando i capelli di Mark, che rimase immobile troppo stordito e frastornato per quanto stava accadendo.
«Sono una Caposcuola» ribatté Elly, che evidentemente li aveva seguiti fuori dalla Sala Grande.
«Senti un po’, Montgomery, sei solo una stupida, vedi di non metterti in mezzo nelle questioni che non ti riguardano». Mark la vide sguainare la bacchetta ed emise un verso strozzato, preoccupato per Elly.
La Caposcuola, però, non apparve minimamente impensierita e anche ella estrasse la propria bacchetta.
«Beh, che sta succedendo qua? Becker, Montgomery, riponete all’istante le bacchette» sbottò una voce all’improvviso. «E voi altri non fermatevi, andate in classe».
Il ragazzino si rese conto che la colazione era finita e centinaia di occhi fissavano la strana scena.
Le due ragazze obbedirono immediatamente all’ordine del professor Paciock.
«Professore, stavo semplicemente parlando con mio fratello e Montgomery si è intromessa, minacciandomi e togliendomi ingiustamente punti».
«Ingiustamente!» sbottò Elly palesemente furiosa. «Stavi minacciando e maltrattando tuo fratello, che tra l’altro appartiene alla mia Casa. E sei stata tu a mettere mano alla bacchetta per prima».
«Basta così» ordinò Paciock, tacitando la replica di Alexis. «Mark stai bene? Puoi dirmi che cos’è successo?».
Mark, come prima con Alexis, non oppose la minima resistenza quando l’insegnante lo aiutò a sollevarsi.
«Dillo al professore che la Montgomery è solo una bugiarda».
Il ragazzino era terrorizzato, ma, fortunatamente, non commise l’errore di guardare qualcuno negli occhi, anzi tenne i suoi fissi sul pavimento di pietra. Non ci voleva molto a cogliere la minaccia sottesa alle parole di sua sorella, ma dall’altra non solo non voleva mentire a Paciock, ma meno che mai a danno di Elly.
«Mark?» lo chiamò nuovamente il professore.
«Alexis è venuta come una furia al nostro tavolo e ha trascinato via Mark» intervenne Enan. Mark non si era accorto della presenza dei suoi compagni.
«Mark, che lezione hai ora?».
Il ragazzino fu sorpreso da quella domanda dell’insegnante, ma mormorò: «Storia della Magia, signore».
«E te la senti di andarci? O preferisci che ti accompagni da Madama Chips?».
«Me la sento» bisbigliò: non voleva perdersi la sua materia preferita e non voleva affrontare le domande dell’infermiera, per quanto potesse essere premurosa e sollecita con lui.
«Bene, allora andate, siete in ritardo. Dite al professor Rüf che eravate con me».
«Grazie, signore» mormorò Mark sorpreso.
La giornata trascorse lentamente e Mark fece una gran fatica a concentrarsi sulle lezioni. Non sapeva come si era risolta la questione tra Elly e Alexis e a chi delle due alla fine il professor Paciock avesse creduto.
«Vieni con me?».
Enan lo riscosse dai suoi pensieri. «Dove?» gli chiese.
«A seguire Mulciber naturalmente. Mi sono stancato di andarci da solo».
Effettivamente da qualche giorno Enan trascorreva il proprio tempo libero più a inseguire il Serpeverde che con Hagrid. «Ma i compiti per domani?».
«Li hai anticipati» replicò Enan.
«Trasfigurazione no, oggi ha segnato una ricerca…».
«Solo un paio d’ore, ti prego».
Mark non seppe perché, forse voleva solo rilassarsi, ma accettò.
«Ottimo, andiamo, loro avevano Incantesimi adesso».
 
*
 
Enan scarabocchiò la pergamena sempre più annoiato.
La voce lenta e monotona di Ning Li continuava a sciorinare dati che non interessavano a nessuno, chissà poi perché McBridge si ostinasse a far imparare loro il manuale a memoria senza un minimo di pratica. All’esplicita domanda di Teddy aveva risposto che non era necessario imparare a combattere, poiché la teoria era sufficiente. Enan – e non era l’unico – era in totale disaccordo: anche un Babbano avrebbe potuto imparare la teoria e a che serviva se non sapevano applicarla?
Matilde Gould, accanto a lui, stava usando il trucco più vecchio del mondo: aveva posto il manuale sopra una rivista di moda e leggeva tranquillamente e avidamente quest’ultima. Charis e Teddy, seduti davanti a loro, si sforzavano, diligenti com’erano, di seguire ma entrambi sembravano annoiati e le occhiate che la ragazzina rivolgeva alla finestra erano sempre più numerose.
Enan, però, aveva rinunciato a quel passatempo sia perché ormai i professori l’avevano beccato fin troppe volte e ora lo tenevano d’occhio sia perché pioveva a dirotto e c’era ben poco d’ammirare. All’improvviso un brivido gli corse lungo le spalle e si voltò di scatto.
«Perché avete aperto la finestra? Siete matti?» sbottò, tentando di mantenere la voce più bassa possibile, rivolto alla Yaxley e a Mulciber.
La Serpeverde gli rivolse un’occhiata vaga e assonnata, chiaro segno che probabilmente non avesse compreso nemmeno le sue parole.
«Sta zitto» intimò invece Mulciber.
Ma quanto puoi risultare credibile se ti sembra di specchiarti? Erano identici e questo stava logorando Enan che non riusciva a pensare ad altro. Eppure Mulciber non aveva detto una sola parola. Possibile che lui sapesse? Ormai lo seguiva anche in bagno, quando non si trovava nella sua Sala Comune, ma non una volta aveva scoperto qualcosa di utile: come diceva Teddy, Burke, Ning Li e Mulciber non erano che gregari, l’unico e solo capo era Dolohov e a lui spettava parlare. Enan si sentiva fortunato perché, per quanto dovesse risultare noioso alla lunga, sia Teddy sia Mark lo ascoltavano quando la sera nella loro camera si sfogava per non aver ancora compreso perché un ragazzino identico a lui era apparso all’improvviso dopo undici anni. Certo, Zoey gli aveva comunicato una bislacca teoria babbana secondo la quale ogni persona ha un sosia da qualche parte nel mondo; teoria poi confermata dall’amica Corvonero di Teddy, ma quest’ultima non la trovava per nulla convincente e nemmeno lui a dirla tutta. Sentiva che c’era qualcosa che lo legava a Mulciber. Qualcosa più della mera somiglianza fisica.
«Ehi, ma che stai facendo?». Era rimasto imbambolato, come sempre, a fissarlo, ma il gesto assurdo compiuto dall’altro l’aveva riscosso totalmente.
«Ti fai gli affari tuoi?» replicò Mulciber, sporgendosi di lato e prendendo qualcosa lanciata da Dolohov.
«Fermo!» sbottò Enan, comprendendo finalmente che quel cretino stava buttando un quaderno, a lui ben noto, fuori dalla finestra. «È di Mark». Non si premurò neanche di abbassare la voce e storse il braccio all’altro: potevano essere uguali, ma mentre lui era cresciuto all’aria aperta e lavorando, l’altro era pallidino e molle – non per nulla si nascondeva dietro Dolohov.
«Macfusty, lascia andare immediatamente il tuo compagno!».
Enan s’irritò: era mai possibile che quell’uomo intervenisse sempre al momento sbagliato traendo le conclusioni più errate possibili?
«Veramente, professore, Mulciber e Dolohov stanno tirando le cose di Mark fuori dalla finestra!».
«Ah, c’è il signor Becker di mezzo! Lo dovevo immaginare!».
Ma era matto? Pensò seccato Enan. «Signore, le ho appena detto che Dolohov e Mulciber fanno i prepotenti con lui! Che c’entra Mark?».
McBridge scosse la testa con fare melodrammatico – avrebbe potuto anche ricordare i modi teatrali di Lumacorno, se non avesse avuto un’espressione folle, mancava solo che gli occhi iniziassero a roteare. Enan lo trovò spaventoso e si appiattì leggermente contro il banco, nonostante tra lui e il professore ci fosse la Gould.
«C’entra! Il sangue non mente mai! Io lo sapevo che saresti stato una piaga come i tuoi fratelli! Lo sapevo!» quasi gridò l’insegnante a Mark.
Ora tutta la classe fissava la scena e, a parte i soliti quattro scemi, anche le Serpeverdi erano turbate.
«Il sangue non perdona» continuò a vaneggiare McBridge.
«Professore, che c’entra?» tentò Teddy in tono conciliante, in fondo era l’unico che probabilmente avrebbe potuto fare quello che voleva a Difesa contro le Arti Oscure cavandosela senza un rimprovero. «Mark non è i suoi fratelli. Sono molto diversi ed è anche un Tassorosso».
Enan pensò che fosse una mossa geniale ricordare al professore che il ragazzino che tanto odiava apparteneva alla sua Casa, ma evidentemente McBridge non era dello stesso parere.
«No, no, Lupin, il sangue non mente mai!» esclamò con rabbia il professore. «Becker, sei in punizione per aver interrotto la lezione. Io ci ho provato a scrivere a tuo padre, ma è stato inutile, lo so… Ning Li, riprendi a leggere».
Il Serpeverde obbedì all’istante, dopotutto lui e i suoi compari la stavano facendo franca, no?
Enan sedette automaticamente e strinse i pugni fissando il suo manuale senza neanche vederlo. Non era giusto, non era giusto! Lanciò un’occhiataccia all’insegnante e notò che gli dava le spalle mentre seguiva la lettura dalle spalle del Serpeverde. Non aveva mai tollerato che gli mettessero i piedi in testa, anche quando era suo cugino Donel a fare il prepotente con lui, riusciva, se non con la forza, con la furbizia a vendicarsi. E ora avrebbe dovuto sottostare a quegli stupidi Serpeverde? Aveva promesso alla madre che si sarebbe comportato bene, certo, ma il loro Direttore non meritava il minimo rispetto. Il nonno diceva sempre che il rispetto non si acquisisce per nascita ma bisogna meritarselo.
Si voltò di scatto verso Mulciber. «E ora che vuoi?» lo apostrofò immediatamente quest’ultimo.
Enan non rispose ma con un rapido gesto raccolse libri, pergamene, piume e borsellino del suo sosia e con un gesto rapido lanciò tutto giù dalla finestra.
«Ehi!» urlò indignato Mulciber. Alcune pergamene furono sballottate dalla tempesta per qualche secondo poi sparirono nel buio del temporale. «Professore, ha visto?».
McBridge li fissava paonazzo. Enan non avrebbe saputo dire quando si era voltato verso di loro.
«Mulciber, stai disturbando» esclamò l’insegnante.
Enan, ormai convinto della pazzia dell’uomo, sperò di cavarsela.
«Macfusty mi ha buttato tutte le cose dalla finestra!» sbottò il ragazzino.
«Mulciber, non…» cominciò McBridge, ma i Serpeverde a differenza dei Tassorosso avevano ormai compreso quali contromisure prendere.
«Lo dirò al professore Lumacorno» minacciò Mulciber.
McBridge divenne paonazzo. «Qui dentro vale solo la mia autorità» biascicò come se stesse per strozzarsi.
«E allora faccia qualcosa, professore» sbottò Mulciber. «Uno dei suoi Tassorosso mi ha lanciato il materiale scolastico dalla finestra!».
«Cinque punti in meno a Tassorosso» si costrinse a dire il professore. «E punizione per te Macfusty, sicuramente la compagnia di Becker ti fa male».
Enan lo fissò con rabbia, ma si risedette. Aveva ottenuto la sua vendetta e gli bastava, ma riteneva terribilmente ingiusto che i Serpeverde potessero appellarsi a Lumacorno, mentre loro non avevano nessuno visto che era il loro Direttore a maltrattarli.
 



*
 



«E levati, brutta stupida!».
Lo spintone fece perdere l’equilibrio a Charis, che cadde nel terreno fangoso. La ragazzina sospirò rassegnata all’atteggiamento di Matilde Gould ed Elisabeth Foster che sembravano avercela sempre con lei. Ma per cosa poi, se non si erano mai parlate? Charlie lanciò un urlo belluino di sfida e rincorse la Serpeverdi insieme a Zoey.
«Ti serve aiuto?» le chiese Caroline Shafiq.
Charis prese la mano gentilmente offerta dall’altra ragazzina. «Sto bene» mormorò docilmente anche a beneficio di Teddy, Mark ed Enan che erano sopraggiunti.
«Sono solo delle stupide prepotenti» commentò Edith Yaxley con quella sua espressione perennemente annoiata.
La Tassorosso annuì senza sapere che cosa dire, fortunatamente in quel momento il professor Paciock aprì la porta della serra e li invitò a entrare. Come tutti gli altri Tassorosso, Charis occupò la postazione più vicina a quella centrale del professore. D’altronde vi era arma più efficace contro i bulli? E a Erbologia i Serpeverde non potevano permettersi di comportarsi come a Pozioni o a Difesa contro le Arti Oscure: ormai tutti sapevano che Neville Paciock non era tipo da favoritismi. La notizia che il Direttore dei Grifondoro avesse dato ragione alla Caposcuola di Tassorosso e non al Capitano della sua squadra, dopo la lite di qualche giorno prima, si era diffusa rapidamente per tutta la Scuola. Alexis non si era più avvicinata al fratellino, ma Mark era certo che si sarebbe vendicata.
«Stai bene, Charis?».
La voce calda e gentile di Paciock la distolse dai suoi pensieri. Annuì rendendosi conto che Teddy aveva denunciato quanto accaduto pochi minuti prima fuori dalla serra. Il professore tolse dieci punti a Serpeverde e le ripulì anche la divisa, cosa di cui Charis gli fu infinitamente grata visto che in caso contrario avrebbe dovuto aspettare un bel po’ prima di poter andare a cambiarsi in Dormitorio.
Le lezioni di Erbologia erano sempre tranquille, tanto che persino Mark sorrideva ed era rilassato. Paciock metteva sempre tutti al proprio agio ed era raro che alzasse la voce, persino quando rimproverava – Charis l’aveva visto più volte avvicinarsi a Enan e invitarlo pacatamente a concentrarsi di più -. Se i professori fossero stati tutti come lui, la Scuola sarebbe stata ancora meglio.


 
*
 


«Oh, signor Lupin, signorina Williamson, sono felice che siate venuti». Teddy sorrise più per educazione che per altro, certo che anche Charis si stesse comportando allo stesso modo. Lumacorno non diede segno di avvedersene e quasi li trascinò all’interno dello studio magicamente ingrandito – il Tassorosso non poteva credere che gli studi dei professori fossero normalmente tanto ampi -, laddove era già radunato un folto gruppetto di ragazzi elegantemente vestiti.  «Con alcuni già vi conoscete» ridacchiò il professore, contento come un bambino alla propria festa di compleanno. «Il signor Miller è un Grifondoro del vostro anno, la sua famiglia sforna Auror potenti da generazioni». Teddy salutò l’altro ragazzo con un cenno: seguivano insieme Volo, Trasfigurazione e Storia della Magia, quindi sì aveva avuto modo di conoscerlo, ma gli era sembrato solo un pallone gonfiato. E ora, vedendolo impettito in un vestito fin troppo elegante per un ragazzino della loro età ritenne di non essersi sbagliato. «Edward Burke». Altro cenno, qui solo perché c’era il professore, ma dopo quello che era accaduto a Difesa contro le Arti Oscure due giorni prima la tensione tra Serpeverde e Tassorosso era alle stelle. «Ning Li. Suo padre è un magiambasciatore e una delle persone più ricche della Cina». Altra smorfia, qui Teddy si chiese se Lumacorno facesse o fosse tonto: non capiva che non potevano vedersi? «E queste bellissime signorine sono Elisabeth Foster, suo fratello gioca nella nazionale inglese di Quidditch e quando era qui a Scuola era un eccellente pozionista, Matilde Gould e Caroline Shafiq». Al ragazzino non sfuggì l’occhiata che la Gould e la Foster rivolsero a Charis e ricambiò sfidandole a muovere un solo dito contro l’amica.
Le presentazioni, purtroppo, non finirono lì, l’insegnante entusiasta li presentò anche i più grandi, che da come li osservava dovevano essere suoi pupilli da anni. Teddy non voleva essere guardato in quel modo da lì a qualche anno. No che non fosse ambizioso o non apprezzasse gli elogi degli insegnanti, ma non sopportava che l’interesse di Lumacorno non nascesse dal suo talento in Pozioni – pressoché inesistente – ma dalla fama dei suoi genitori e specialmente da quella di Harry. Essere Teddy Lupin non era merito suo, come nulla aveva a che fare con le imprese compiute quando era a malapena un poppante.
Nel frattempo Shawn Lattes li aveva raggiunti e sembrava molto contento di vedere Charis, nonostante i due Tassorosso fossero gli unici a indossare la divisa. «Oh, dimenticavo che il signor Lattes lo conoscete già» trillò Lumacorno. Teddy comprese che sarebbe stato difficile scrollassero di dosso. «Ma forse non suo fratello Austin, un genio delle Pozioni!». L’insegnante tirò letteralmente a sé un ragazzo sui sedici anni che casualmente passava vicino a loro.
Austin sorrise loro e fece l’occhiolino a Charis. «Ci siamo già conosciuti sul treno».
«Bene, bene. I genitori di Austin e Shawn ricoprono incarichi importanti al Ministero e sono certo che anche loro otterranno grandi successi». I due fratelli si schermirono.
Teddy perse il conto di quante persone l’insegnante li presentò quella sera o quanto meno non avrebbe mai ricordato i titoli dei loro genitori. Fu sorpreso di trovare lì anche il Capitano della loro squadra di Quidditch, chissà che avrebbe detto Charlie! Sembrava che il ragazzo avesse un ottimo rendimento scolastico, per quanto si vociferasse che avesse ottenuto il ruolo di Capitano solo perché i suoi genitori erano giocatori professionisti di fama mondiale. E naturalmente Charlie era la prima a crederci fermamente.
Lumacorno aveva organizzato una vera e propria cenetta. Teddy e Charis fecero in modo di sedersi vicini al lungo tavolo. Il meccanismo per ordinare le pietanze era lo stesso usato al Torneo Tremaghi di cui gli aveva raccontato Harry. Zia Hermione non avrebbe approvato quell’inutile sfruttamento degli elfi domestici.
Per un attimo Teddy si rilassò e gustò le costolette di maiale ordinate, ma pochi minuti dopo l’inizio della cena si rese conto di aver abbassato la guardia troppo presto: Lumacorno più che al cibo era interessato a loro e uno per uno poneva domande su di loro e sulle loro famiglie. Questo gioco lo faceva solo con quelli del primo anno, segno che già gli altri li conosceva.
«Questa è una cena informale» li sussurrò James Krueger come se fossero amici. «Deciderà chi invitare prossimamente alle cenette più intime».
Uh, che bello! Teddy non vedeva l’ora. Il ragazzino intercettò lo sguardo di Charis e si rese conto che, nonostante le attenzioni di Shawn, era a disagio per quella situazione.
«Mi sembra anche strano che abbia invitato un Burke» commentò ancora James Krueger. «Insomma se la sua famiglia non è mai stata incriminata per magia oscura, i sospetti ci sono stati eccome e Lumacorno vi sta alla larga di solito».
«Elisabeth, cara, tu abiti con tuo fratello, vero?».
«Sì, signore».
«Beh, dev’essere senz’altro bello, insomma un Campione della sua fama!». Alcune ragazze più grandi risero scioccamente. A Teddy non sembrò strano che a Elisabeth queste considerazioni non piacquero. «Ma come mai se posso saperlo?».
«Perché vivo con mio fratello?» replicò sorpresa Elisabeth. «Perché i miei sono stati arrestati in Sud America per contrabbando di oggetti oscuri».
Le sue parole gelarono la tavolata ed ella ne apparve quasi contenta. Persino Lumacorno rimase a bocca aperta e si affrettò a passare a Mark Miller che tutto orgoglioso cominciò a sciorinare gli Ordini di Merlino ottenuti dai suoi genitori e dai suoi parenti.
«Che stupida ragazzina» commentò James, «lo fa apposta per mettere in cattiva luce il fratello. L’ho letto su una rivista di Quidditch». Teddy non replicò, ma considerò che anche l’integerrimo Caposcuola di Grifondoro aveva una grossa pecca se dava credito a pettegolezzi sui giocatori di Quidditch. Sui giornali si scriveva di tutto e di più, Harry gliel’aveva insegnato fin da quando era piccolo: era fondamentale discernere la verità dalle invenzioni e non pronunciare giudizi senza averlo fatto.
«Io conosco la sorella maggiore. È del mio anno, ma di Corvonero» intervenne Shawn. «Ed è una bravissima ragazza».
«Mi sembra che Elisabeth si faccia trascinare troppo dalla Gould» intervenne Charis accennando alla ragazza che approfittava del suo turno per vantarsi della propria famiglia.
«Chi è causa del suo mal, pianga se stesso» borbottò Teddy, beccandosi un’occhiataccia dall’amica. «Che c’è? È un proverbio babbano».
«Sì, ma non è carino».
«È la verità» ribatté Teddy testardamente.
«Sono d’accordo» intervenne a sorpresa Austin Lattes. «Essere a Serpeverde non significa comportarsi da sbruffona o in modo acido. Sono questi elementi che alimentano la nostra cattiva fama».
«Il vostro Caposcuola?» chiese Teddy ricordandosi del Serpeverde che era stato gentile con loro il primo giorno di lezione.
«Perché non c’è, dici? Per quanto sia bravo, Lumacorno non crede che farà grandi cose in futuro».
«Ma è Caposcuola!» replicò Charis esterrefatta.
«I Caposcuola li nomina la Preside, così come i Prefetti. Il fatto che Lumacorno abbia approvato, non significa nulla» spiegò Austin.
«Ah, Ted Lupin, immagino lo conosciate tutti, vero, signori?». Teddy sobbalzò quando l’attenzione dell’insegnante, e quindi di tutti i presenti, si spostò su di lui. «Come sta Harry? Immagino ti abbia scritto».
Il ragazzino tentò di mantenere la calma e annuì. «Sì, Harry mi scrive quasi una volta a settimana». In realtà anche di più, ma a quella gente non interessava. «Sta bene» aggiunse, rammentando l’intera domanda e per non rimanere in silenzio e fare la figura dello stupido.
«E che ne dice del fatto che sei stato smistato a Tassorosso e non a Grifondoro?» domandò un ragazzo di cui Teddy non ricordava il nome, ma avrebbe voluto strozzarlo. Gli affari propri, no?
«Oh, cielo, signor Dans, lei sempre dritto al punto?» replicò divertito Lumacorno.
Teddy non sapeva se stesse recitando o meno, ma gli diede ugualmente fastidio in quanto comprese che sarebbe stato lui stesso a porre il medesimo quesito di lì a poco.
«Curiosità legittima» replicò il ragazzo con sicumera. «Sono pur sempre un Grifondoro».
Teddy, accortosi che tutti attendevano una risposta, si costrinse a rispondere ma valutando con calma le parole da pronunciare, anche perché non poteva insultare quel Dans alla presenza di Lumacorno. O forse sì: se l’avesse preso per un maleducato, non l’avrebbe più invitato a quelle stupide cene? Nah, avere il figlioccio di Harry Potter nella propria collezione era troppo allettante per rinunciarci. In più nonna Andromeda non ne sarebbe stata per nulla contenta.  «Mi ha fatto i complimenti. Harry, per quanto sia naturalmente affezionato alla Casa di Grifondoro, considera anche tutte le altre valide. Inoltre anche mia madre è stata una Tassorosso e non posso che esserne felice». Gli occhi di Lumacorno brillarono a quelle parole e persino Austin e James gli indirizzarono un impercettibile cenno d’assenso.
«Oh, oh, signor Lupin, lei farà una grande carriera al Ministero! Ne sono sicuro» trillò Lumacorno.
«Professore, se permette» intervenne Austin Lattes, «direi che un brindisi all’armonia tra le Case è d’obbligo a questo punto».
«Ma certo!».
Brindarono a quello e molto altro, visto che i ragazzi più grandi tentavano di mettersi in mostra. Teddy per conto suo fece, come si suol dire, buon viso a cattivo gioco, ma la sua mente si lambiccava sulle ultime parole del professore: lui al Ministero? Non aveva mai veramente pensato a che cosa avrebbe fatto da grande, ma non era tanto questo il punto quanto il fatto che il professore l’avesse apprezzato per quel che era e non per la sua famiglia per la prima volta in due mesi. Questa costatazione lo inorgoglì che vide la serata in tutt’altra luce e tentò persino di divertirsi.
 



 
*
 



«E quindi non si fa ‘dolcetto o scherzetto’?».
«No, Zoey» sbuffò Teddy.
«Ma si può sapere che sarebbe?» chiese Charlie.
Zoey la fissò con occhi luccicanti e rispose: «Ci si traveste e si va in giro per il quartiere, suonando a ogni porta e chiedendo appunto ‘dolcetto o scherzetto’. La gente di solito si prepara i dolci, perché non vuole scherzi. E alla fine della serata torni a casa con un sacco di dolci».
«I Babbani non si possono permettere i dolci?» domandò Charlie confusa.
«Non è questo! È una tradizione di Halloween» replicò Zoey che non comprendeva come l’amica non rimanesse estasiata alla sola idea.
«È un modo per far vedere i costumi» intervenne Teddy. «E i dolci servono per ammansire i ‘mostricciatoli’».
«E che scherzi si fanno di solito?» chiese Enan.
«Oh, dipende, i ragazzi più grandi di solito lanciano uova marce o riempiono di carta igienica le macchine e le staccionate».
«Wow, sembra divertente» commentò Charlie entusiasmandosi.
«La legge babbana punisce simili manifestazioni, si tratta di vandalismo» borbottò Teddy allungando il braccio verso il vassoio dei biscotti al cioccolato.
«Sempre noioso, eh?» sibilò Charlie. «James mi ha raccontato della cena di ieri sera. Lupin di qua, Lupin di là… Complimenti, hai fatto colpo. Preferirebbe te a me come fratello…».
«Io…». Teddy non sapeva come replicare.
Zoey, però, non aveva intenzione di far cambiare loro argomento, di Lumacorno le importava ben poco. «Insomma, i maghi come diamine festeggiano Halloween?».
«Beh, ci sarà il banchetto stasera e se ti guardi intorno è tutto decorato. Hai visto che zucche enormi?» replicò Teddy.
Zoey annuì. Le aveva notate eccome: appena aveva messo piede in Sala Grande aveva adorato ancora di più il mondo della magia, ma adesso cominciava a essere delusa. «E basta? Niente feste in maschera?».
«No, niente» rispose Charlie stringendosi nelle spalle. «Figurati se una come la McGranitt autorizzerebbe mai una cosa divertente come una festa in maschera».
Zoey sbuffò per nulla contenta e fissò truce il suo succo di zucca: per la prima volta le mancava il mondo babbano. Non ascoltò Teddy e Charis che s’informavano della punizione scontata da Mark ed Enan con il loro Direttore, dopotutto quante ne avevano avute lei e Charlie in quei due mesi? Infinite. E né loro né gli altri avevano fatto tutte quelle storie di Mark, che sembrava uno zombie. Con lo sguardo cercò la Preside seduta al centro del tavolo dei professori come ogni giorno: parlava tranquillamente con Vitious e Paciock e ridacchiava, sembrava addirittura una persona normale! Non un tiranno che impediva ogni divertimento a dei poveri e innocenti studenti. Nemmeno a Richmond gli insegnanti erano tanto severi. A Hogwarts si studiava soltanto e quando lei e Charlie provavano a divertirsi finivano nei guai.
«Si può sapere che hai?». Charlie aveva abbandonato la sua terza porzione di bacon e la fissava preoccupata.
Le sue amiche non rispondevano a nessuno dei suoi bigliettini, nonostante i genitori le avessero assicurato di averli consegnati direttamente nelle loro mani. Aveva condiviso ogni cosa con loro, perché riteneva che le migliori amiche si comportassero in quel modo e ora loro non le parlavano. Ma che colpa ne aveva se era una strega e loro no? E aveva raccontato anche la verità, nonostante Paciock le avesse detto che le leggi magiche erano molto rigide in merito. Una parte di lei aveva sperato di farsi immediatamente delle amiche appena giunta a Hogwarts e in fondo era stato così, ma con nessuna, a parte Charlie, si sentiva vicina quanto con quelle lasciate a Richmond. Charis aveva un carattere troppo differente dal suo: troppo diligente e studiosa, troppo gentile con tutti anche con chi non se lo meritava, troppo poco attenta al suo aspetto esteriore e alla moda. Charlie, però, era vivace e allegra come lei e non si abbatteva per quisquiglie come compiti e verifiche, né tollerava che gli altri le mettessero i piedi in testa, nemmeno a lei interessava la moda ma a questo con il tempo avrebbe potuto porre rimedio.
«C’è che Halloween è noioso qui, mi aspettavo qualcosa di straordinario, no qualche zucca extra large».
«Willy mi ha raccontato che durante il banchetto di solito si esibiscono i fantasmi e più di una volta anche degli scheletri danzanti».
«Mmm non è che sia la fine del mondo».
«Possiamo movimentare noi la giornata, se vuoi» propose Charlie. «Sai cosa considero ingiusto io? Che i ragazzi dal terzo anno in su andranno a Hogsmeade oggi».
«Hogsmeade? Cos’è?».
 «Il villaggio vicino alla Scuola. Noi siamo troppo piccole» sbuffò palesemente irritata dall’essere considerata ‘troppo piccola’ per qualcosa. «C’è un negozio di caramelle enorme e poi c’è la Stamberga Strillante, si dice che sia infestata dagli spiriti».
«Infestata dagli spiriti?» replicò Zoey.
«Già, così dicono» confermò Charlie. «Possiamo fare una prova di coraggio» aggiunse illuminandosi per quell’improvvisa trovata geniale.
«Prova di coraggio?».
«Già. Entriamo nella Stamberga Strillante e dimostriamo quanto siamo coraggiose».
«Sì! Coinvolgiamo anche gli altri?».
«Va bene» assentì Charlie, poi si rivolse ai compagni «Ragazzi, prova di coraggio degna di Halloween».
«Eh?» chiese Enan che stava per addormentarsi sulla tazza di tè.
«Oh, Merlino benedetto» sbuffò invece Teddy «Che cosa vi è balenato in mente adesso?».
«Entreremo nella Stamberga Strillante e dimostreremo che non ci sono spiriti» trillò Zoey contentissima.
«O, se ci sono, li sconfiggeremo» soggiunse Charlie.
Mark e Charis la fissarono straniti come a chiedersi se avessero sentito bene; Enan espresse immediatamente la sua perplessità: «E come ci entriamo lì dentro?».
«In nessuno modo» sbottò Teddy stringendo con rabbia un cucchiaino. «Noi non andremo in quel posto».
La sua voce era così furiosa che Zoey se ne sorprese. «Sei un fifone!» lo provocò all’istante Charlie. «Ma noi non abbiamo bisogno del tuo permesso, ci andremo anche senza di te».
«Invece no» sibilò Teddy sporgendosi verso di lei.
«E ce lo impedirai tu?» ribatté Charlie.
«Ti giuro su Oliver Baston che lo dirò al professor Paciock!» quasi gridò il ragazzino, tanto da attirare l’attenzione di altri Tassorosso, persino della Caposcuola che lanciò loro un’occhiata sospettosa.
Charlie era paonazza. Zoey sapeva bene chi era Baston poiché il suo poster faceva bella vista sul muro della loro camera.
«Non oseresti» ringhiò Charlie.
«Invece sì. Ho sangue Grifondoro nelle vene tanto quanto te».
«Non esagerate» provò Charis, probabilmente preoccupata che la discussione degenerasse. Zoey non le dava torto questa volta: Charlie era normalmente impulsava, ma un Teddy così arrabbiato era insolito e perciò imprevedibile.
«Sangue Grifondoro! Ma per favore, sei solo un fifone» insisté Charlie con foga.
«Non sono un fifone e te lo dimostrerò» sbottò Teddy. «Sono pronto a sostenere qualunque prova di coraggio tu voglia, ma lasciamo perdere la Stamberga Strillante».
«Ah, sì? Bene, allora entreremo nella Foresta Probita».
«Ma sei impazzita?» sbottò Charis.
«No. E chi ha troppa paura può rimanersene al sicuro al castello» ribatté Charlie lanciando un’occhiata eloquente a Teddy.
«Va bene, ma usciremo prima del banchetto» disse il ragazzino.
«Ok, tanto alle quattro e mezza sarà già buio» accettò Charlie.
 
 
 


Quel pomeriggio i sei Tassorosso si radunarono fuori dal portone e si avviarono in silenzio verso i margini della Foresta Proibita.
«Perché dobbiamo camminare al buio?» sussurrò spaventata Charis.
«Potrebbero vederci» rispose Zoey alzando gli occhi al cielo. «E poi non abbiamo torce. Non ho pensato di portarne».
«Non abbiamo bisogno di torce» esclamò Teddy sdegnoso. «Siamo maghi».
Charis, Enan e Mark lo fissarono sorpresi da quell’atteggiamento tanto insolito.
Zoey non lo calcolò: era un maschio ed era stato toccato nell’orgoglio, niente di strano.
«Perché tu conosci l’incantesimo per illuminare?» domandò Charlie
«Io non parto all’avventura senza il giusto equipaggiamento» replicò il ragazzino con lo stesso tono di prima. «E comunque l’incantesimo è il Lumos».
Charlie gli fece il verso.
«Secchione» borbottò Zoey, chiedendosi perché dovesse essere così antipatico: come se imparare un libro a memoria e sciorinarlo davanti ai professori rendesse migliori degli altri.
Tacquero finché non raggiunsero la foresta. «È molto buio lì» mormorò Charis.
«Per forza, non ci sono le luci del castello e la luna non penetra perché gli alberi sono troppo folti» spiegò Charlie. «Ma mister Secchione ha già la soluzione, mi pare».
«Saremo espulsi se ci beccano?» piagnucolò Mark.
«Paura?» strillarono in coro Zoey e Charlie.
«Smettetela o ci sentirà Hagrid» sbottò Enan fulminandole.
«Sì, ho paura del buio» confessò Charis palesemente turbata.
«Non voglio essere espulso» dichiarò Mark.
«Non saremo espulsi» tagliò corto Teddy. «Ci beccheremo una bella punizione. Tutto qui».
«Tutto qui?» replicò Charis con una vocetta stridula.
«Possiamo andare ora?» chiese Charlie con sufficienza.
«Sì, infatti. Non vorrete fare tardi al banchetto» li incitò Zoey con un grande sorriso. «Avanti, Mark, un po’ di coraggio» soggiunse tutta contenta tirandolo tra gli alberi.
«Quell’incantesimo, Secchione?».
«Lumos» pronunciò Teddy e la punta della sua bacchetta s’illuminò. «Forse non ti farebbe male studiare un po’».
Charlie strinse i denti e imitò perfettamente parole e gesti dell’altro e la sua bacchetta s’illuminò. «Visto? Non ho bisogno di leggere libri polverosi».
Charis, Enan, Zoey e Mark li circondarono per imparare a loro volta il nuovo incantesimo.
«Ottimo, ora possiamo andare» dichiarò Zoey.
«Seguitemi, la foresta può essere pericolosa se non sapete dove andare».
«Perché tu lo sai?» ribatté ironico Teddy scrutando Charlie.
«Certo. Non sei il solo che si è preparato».
Vagarono per un po’ in totale silenzio. I sei ragazzini, nessuno escluso, sobbalzavano quasi a ogni rumore.
«Sei sicura che conosci la strada?» mormorò Charis terrorizzata. E come darle torto? Si sentivano ululati in lontananza e altri versi difficilmente identificabili.
«No che non lo sa» sbottò Teddy. «È matta».
«Eccoci» disse lei insinuandosi in un cespuglio stranamente curato. Zoey la seguì curiosa e leggermente spaventata: quella sì che era un’avventura da brivido. «Questo è il sentiero che cercavo».
«Dove porta?» domandò Enan.
«Vedrete» replicò la ragazzina. «Zoey, non rimpiangerai più quella stupida festicciola che i Babbani spacciano per Halloween».
Zoey per conto suo non ne aveva dubbi: nessuna delle sue amiche avrebbe accettato di affrontare una prova del genere.
Tacquero ancora mentre procedevano lungo il rigoglioso sentiero.
«È magico» borbottò Teddy. «Questo sentiero è protetto da una magia potente. Charlie dove stiamo andando?». La sua voce risuonò nel silenzio della notte.
La ragazzina rispose solo dopo diversi minuti. «A profanare un cimitero».
«C’è un cimitero in questa foresta?» sbottò Enan deglutendo.
«Profonare?» strillò Mark.
«Torniamo indietro» supplicò Charis attaccandosi al braccio di Enan.
Teddy rimase stranamente zitto.
«Che ne dici?» chiese Charlie a Zoey.
«Questo sì che è festeggiare Halloween come si deve» acconsentì Zoey nascondendo un brivido di paura.
«Siamo quasi arrivati» disse allora Charlie aumentando il passo. Nessuno voleva rimanere lì da solo, perciò a malincuore la seguirono. All’improvviso il sentiero si aprì in una radura di medie dimensioni, nella quale le lapidi erano poste ordinatamente in cerchi concentrici e al centro svettava un monumento di marmo bianco che rappresentava tre donne bellissime: la prima teneva in mano il triskele, simbolo celtico della pace; la seconda proteggeva con il suo mantello le diverse razze: maghi, babbani, elfi domestici, folletti, centauri e addirittura fantasmi; la terza, invece, teneva in una mano, sollevata in alto, una bilancia i cui piatti erano perfettamente allineati; nell’altra una lunga pergamena.
I Tassorosso rimasero paralizzati a quella vista e nessuno, neanche Charlie mosse un passo in avanti.
«Quella statua ci sta fissando?» mormorò Zoey in tono piagnucoloso. Ora iniziava a non divertirsi più tanto.
«Non dire così» si lamentò Charis.
Mark era bianco come un cencio e non proferiva parola, ma si guardava intorno nervosamente.
Enan deglutì un paio di volte e infine borbottò: «La parte della profanazione la possiamo accantonare?».
«Questo non è un cimitero qualsiasi» disse Teddy con gli occhi fissi sulla statua. «È la Radura degli Eroi».
«La che?» chiese Charlie.
«Ci hai portati qui senza nemmeno sapere che posto fosse?» gridò Teddy, che apparve più furioso di quella mattina.
«Che importanza ha come si chiama questo posto?» ribatté Charlie a sua difesa.
Teddy respirò affannosamente.
«Ci sono spiriti maligni?» domandò Zoey curiosa.
«Qui ci sono i cinquanta caduti della Battaglia di Hogwarts. Non ce ne stanno spiriti maligni» sibilò Teddy.
«Quindi ci sono anche i tuoi genitori?».
La mancanza di tatto di Charlie fece definitivamente perdere la pazienza al ragazzino che spinse la compagna e corse via.
«Deficiente» sbuffò Charlie rialzandosi. «Non può andare in giro per la Foresta da solo».
Zoey si disse che da lì in avanti avrebbe dovuto fare attenzione ai suoi desideri: nel mondo della magia, i mostri e cose simili erano veri e non finzioni.
«Meno male che non c’è la luna piena» ansimò Enan.
«Perché?» biascicò Zoey.
«Lupi mannari».
Decisamente avrebbe dovuto fare più attenzione in futuro. «Teddy, fermati» chiamò il compagno, dopotutto ella voleva solo giocare e non avrebbe sopportato che qualcuno si facesse male per colpa sua.
Raggiunsero Teddy poco lontano dal sentiero: era seduto per terra e singhiozzava. Charis fece per avvicinarsi, ma il ragazzino l’allontanò con una mano. «Se sei così brava, portarci fuori da qui» sibilò rivolto a Charlie.
E così tornarono al castello, mescolandosi tra i ragazzi che tornavano da Hogsmeade evitando di farsi beccare dagli insegnanti o da Prefetti e Caposcuola. Al banchetto furono tutti e sei taciturni, persi nei pensieri e non smettendo di pensare a quanto accaduto. A malapena gli scheletri danzanti e i fantasmi riuscirono ad attirare la loro attenzione, tanto che si beccarono più di un’occhiata indagatrice da parte di Elly Montgomery.
«Alla fine c’è andata bene, no?» tentò Enan lasciandosi andare a una risatina nervosa, mentre sciamavano fuori dalla Sala Grande insieme agli altri studenti.
«Ma non avevate detto che i maghi non si mascherano?» domandò Zoey all’improvviso, squadrando tre persone che si avvicinavano e indossavano una tunica nera e delle maschere d’argento.
«Non ho detto questo, ma che la McGranitt…» iniziò Charlie ma voltandosi e vedendo i tre tacque.
«Oh, Merlino. Come sono entrati?» tremò Enan estraendo la bacchetta.
Charlie e Teddy fecero altrettanto. Charis li fissava paralizzata, mentre Mark non aveva la bacchetta con sé, visto che aveva promesso al professor Vitious di non usarla più.
Straordinariamente Charlie e Teddy si posero spalla a spalla pronti a combattere. Altri nel corridoio li videro e strillarono, ma i tre individui puntavano su loro tre.
«Allora, Secchione, conosci qualche incantesimo utile?».
«Mai come in questo momento ho trovato le lezioni di McBridge tanto inutili».
«Exsperlliamus». Una voce forte e chiara risuonò alle loro spalle. Ciò che stupì tutti gli studenti presenti fu che non solo le bacchette dei tre sedicenti Mangiamorte volarono via, ma questi inciamparono spaccandosi in due, letteralmente.
«Ma che diavolo…?» borbottò Charlie fissando dei corpi arrabattarsi nelle vesti.
I Caposcuola di Tassorosso e Serpeverde li liberarono, rivelando niente meno che Dolohov, Burke, Ning Li, Mulciber e altri due ragazzini presumibilmente della stessa Casa.
«Merlino, ci salvi» mormorò Bertram Delaney, mentre sopraggiungeva la Preside, che con un’occhiata sembrò capire ogni cosa.
«Andiamo via di qui» disse Enan.
Zoey si voltò verso di lui non comprendendo: non erano loro nei guai, ma i Serpeverde e sarebbe stato divertente ascoltare la ramanzina della McGranitt.
«Charis sta male» borbottò Mark timidamente, tentando di tenere la compagna che, nel caos, aveva rimesso tutta la cena.
«La portiamo in infermeria?» chiese Zoey non comprendendo la serietà sul volto dei compagni.
«No, andiamo in Dormitorio» decise Teddy, aiutando Mark con Charis.

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Capitolo 10
*** Raccontami ***


Capitolo decimo  
 
 




 
Raccontami
 
 



 
«In Sala Comune ho trovato del succo di zucca» annunciò Enan.
«Succo di zucca?» sbuffò Teddy, assicurandosi che Charis stesse comoda sul suo letto.
«Mi dispiace, Charis» disse Enan gentilmente, mentre le porgeva un calice pieno. «Non posso andare nelle cucine».
«Sei solo un fifone» sbottò Charlie alzandosi di scatto da uno dei letti.
«Sono tutti in Sala Comune» ribatté Enan punto sul vivo. «Caposcuola e Prefetti, specialmente. Elly è furiosa».
«Non fa niente, grazie» mormorò Charis.
«Scommettiamo che vado e torno senza farmi beccare?» dichiarò Charlie avviandosi verso la porta.
«Accidenti, non mi sembra il momento» sbottò Teddy palesemente stizzito.
«Nessuno si muove di qui! Ora risponderete alle mie domande!».
Teddy e Charlie che si fissavano in cagnesco, Enan che, sollecito, teneva il calice a Charis le cui mani tremavano, Mark, seduto sul proprio baule, tutti fissarono Zoey come se fosse impazzita.
«Perché mi guardate in quel modo?» strillò Zoey. «Vi siete lasciati terrorizzare da quei quattro idioti travestiti – Charis addirittura si è sentita male! – siete pallidi neanche aveste visto un fantasma… siete abituati ai fantasmi! Si può sapere che diavolo avete?». Li fissò a braccia incrociate come a sfidarli a darle torto.
Appena rientrati in Sala Comune si erano precipitati nella stanza dei ragazzi e la prima preoccupazione di tutti era stata Charis, perciò non avevano ancora discusso di quanto accaduto.
Gli altri cinque Tassorosso distolsero lo sguardo – Teddy e Charlie persero il loro cipiglio combattivo – e trovarono improvvisamente interessanti le loro mani o le loro scarpe.
«Allora?» insisté Zoey trasecolata dal loro comportamento.
«Non si tratta semplicemente di uno scherzo» sospirò Enan.
«Come no?» replicò Zoey. «I Serpeverde l’hanno fatto apposta per spaventarci».
«Sì, ok, volevano spaventarci» assentì Enan torcendosi le mani. «Però è stato un scherzo… insomma…».
«Di cattivo gusto» bofonchiò Teddy intento a incenerire il tappeto con gli occhi.
«Tu forse non lo sai, ma molti anni fa c’è stato un mago molto cattivo che ha causato distruzione e sofferenze» riprese Enan con una strana gravità nel suo tono.
«Undici anni fa» specificò Teddy con amarezza.
«Sì, praticamente lo stesso anno in cui siamo nati noi» convenne Enan.
«E che c’entra lo scherzo dei Serpeverde con questo mago cattivo?» chiese Zoey.
«I suoi seguaci si vestivano in quel modo» spiegò Teddy. «Ho trovato degli articoli di giornale in camera di mia nonna».
«La gente è ancora terrorizzata. È stato come rivederli… i loro vestiti erano fin troppo fedeli…» soggiunse Enan.
«Ma questo mago cattivo non è stato sconfitto?» domandò Zoey iniziando a preoccuparsi.
«Sì. Il 2 maggio 1998» rispose Enan. «E i suoi seguaci sono stati arrestati».
«Quindi non c’è problema» dichiarò Zoey, alla quale continuava a sfuggire il perché i suoi compagni avessero reagito in quel modo. Persino Charlie! «Non mi vorrete dire che avete paura di qualcosa che è accaduta quando noi eravamo a malapena nati?». L’occhiataccia di Teddy la costrinse a fare un passo indietro: quel ragazzino era imprevedibile!
«In un modo o nell’altro ne siamo tutti coinvolti» replicò Charlie a sorpresa. «I nostri genitori lo erano… tutti i maghi inglesi erano coinvolti…».
«Coinvolti in che modo?» Chiese Zoey in un sussurro cominciando a intuire la profondità della reazione degli amici.
«La mia famiglia non ha partecipato attivamente» iniziò a raccontare Enan. «Vivendo sull’isola di Jura, era isolata e mio nonno ha deciso di non prendere posizione. So che ci sono stati degli scontri… cioè ho sentito i miei zii accennare qualcosa ogni tanto…».
«Che genere di scontri?» lo incalzò Zoey perplessa.
Enan si strinse nelle spalle. «Credo che i Mangiamorte – così si chiamano i seguaci di quel mago oscuro – volessero servirsi dei draghi, proprio come hanno fatto con i giganti…».
«Giganti?!» quasi strillò Zoey.
«I giganti hanno fatto molti danni persino nel mondo babbano» intervenne Teddy. «Se chiedi ai tuoi genitori, si ricorderanno senz’altro di fatti strani e tragici accaduti tra il 1997 e il 1998».
Zoey deglutì e sedette sul baule più vicino.
«I tuoi zii si sono difesi» ipotizzò Charlie.
Enan annuì. «Diciamo che li è andata bene, anche perché i draghi non sono facili da domare e i Mangiamorte hanno rinunciato ben presto».
«Ma se la guerra è stata brutta» cominciò Zoey tentando di mettere in ordine le idee, «perché i Serpeverde hanno ideato quello scherzo?».
Charlie sbuffò. «Perché? Perché sono tutti figli di Mangiamorte».
«Letteralmente o è un insulto?» domandò Zoey.
«Letteralmente» rispose Charlie. «Prendi Antonin Dolohov, suo nonno è rinchiuso ad Azkaban con non so quanti omicidi sulla coscienza… Edith Yaxley, anche nella sua famiglia ci sono stati diversi Mangiamorte… Stessa cosa vale per Thomas Mulciber…».
«Diciamo che quel mago oscuro si circondava soprattutto di purosangue ed era un ex-Serpeverde… la Casa di Salazar Serpeverde ha una fama oscura proprio per questo e perché la maggior parte dei maghi oscuri è cresciuta tra le sue fila» soggiunse Teddy.
«Tu sei identico a Mulciber, però» disse Zoey puntando il dito contro Enan.
«Non so perché» sospirò Enan. «Ho provato a seguirlo… è venuto anche Mark con me… ma non ne parla mai con Burke e Dolohov…».
«Figuriamoci» bofonchiò Teddy. «Dolohov è troppo preso da sé stesso».
«Ma una spiegazione dev’esserci» disse Zoey.
«E vorrei tanto conoscerla» replicò Enan mestamente. «Non è per nulla divertente ritrovarsi all’improvviso nello stesso ambiente con uno identico a te».
«Sei ben deciso a non rivolgerti a tua madre?» domandò Teddy.
«Sì, non mi sembra il caso».
«Scusa, ma tu non conosci tuo padre, giusto?» insisté sull’argomento Zoey.
«No, non so neanche come si chiami. Mia madre non l’ha mai detto neanche a mio nonno e ai miei zii» rispose Enan.
«E se fosse questo a unirti a Thomas Mulciber?».
Per la seconda volta quella sera tutti puntarono gli occhi su Zoey.
«Io…».
«Sono solo supposizioni» esclamò Teddy notando l’espressione sconvolta dell’amico.
«Sì, ma sono verosimili» commentò Charlie. «Non sei d’accordo, Enan? Magari Mulciber era tra quei Mangiamorte mandati per convincere tuo nonno a collaborare, ha visto tua madre e…».
«Charlie!» sbottò Teddy.
«Che c’è? Erano abbastanza cattivi!» ribatté la ragazzina.
«Mia madre non era lì».
«Come scusa?» domandò Charlie.
«Non era lì» ripeté Enan. «Aveva discusso con mio nonno e con i miei zii e se n’era andata a Londra. Non so a fare che… non parla mai di quel periodo e quando provo a fare domande non mi risponde mai…».
«E poi?» chiese Zoey.
«Poi cosa?».
«Quando è tornata da tuo nonno?».
«Io era nato da pochissimo» rispose Enan.
«Quindi ha conosciuto tuo padre a Londra» dedusse Zoey.
«Probabilmente» concordò Enan.
«Dovremmo provare a fare delle ricerche…».
«No, Zoey» la bloccò Teddy. «Quelli erano anni confusi, che cosa vuoi cercare?».
«Non avete l’anagrafe voi maghi?» ribatté la ragazzina.
«Giusto, ha ragione. Potremmo vedere i dati di Enan!» convenne Charlie. «Non puoi chiederlo al tuo padrino? È il Capitano degli Auror, può fare questo e altro».
«Non può approfittarsi della sua posizione!» ribatté Teddy infastidito dal fatto che Charlie avesse tirato nuovamente in ballo Harry.
«Ma perché vivi con il tuo padrino?» domandò Zoey sempre più curiosa.
«Vivo con mia nonna. Solo ogni tanto vado dal mio padrino» borbottò Teddy.
«Ma perché?» insisté Zoey.
«Come perché?» replicò Charlie. «La raduna degli Eroi dove siamo stati pomeriggio, non ti dice nulla?».
«Scusa» mormorò all’istante Zoey. «È che con tutte queste informazioni inizio a confondermi. Quindi i tuoi genitori sono stati uccisi dal mago cattivo?».
Teddy annuì. «È successo durante l’ultima battaglia, svoltasi qui a Hogwarts…ma non sono stati uccisi da lui in persona, ma dai suoi seguaci…».
«E il tuo padrino è famoso perché…?» chiese Zoey.
«Perché è stato lui a soli diciassette anni a sconfiggere Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato» rispose Charlie entusiasta.
«A diciassette anni?!» ripeté Zoey palesemente meravigliata.
«È famoso per questo motivo» disse Enan.
«E anche perché a solo un anno è sopravvissuto all’Anatema che uccide!» continuò a raccontare Charlie.
«L’Anatema che uccide?».
«Zoey» intervenne Teddy con gravità, «esistono incantesimi molto pericolosi… alcuni uccidono e non esistono controincantesimi, anche se naturalmente sono vietati».
«Pensavo che la magia fosse divertente… insomma…» mormorò Zoey turbata.
«La magia non è né buona né cattiva» disse Teddy saggiamente. «Sono i maghi a decidere se usarla per fare del bene o meno».
«Anche i tuoi genitori hanno partecipato alla battaglia di Hogwarts?» chiese Zoey a Charis addolcendo il tono.
Charis si strinse nella coperta che Enan le aveva appoggiato sulle spalle e scosse la testa. «Mio padre è stato ucciso prima dai Mangiamorte. Era contrario al regime e questo naturalmente non andava bene a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato».
«Perché lo chiamate con questo nome così lungo?» borbottò Zoey.
«Perché la gente era così terrorizzata da aver paura persino di pronunciare il suo nome» sospirò Teddy.
«E qual è il suo vero nome?» insisté Zoey. Mark incassò ancora di più la testa nelle spalle, Charis ed Enan sgranarono gli occhi, Teddy si mordicchiò il labbro inferiore e persino Charlie si mostrò palesemente inquieta. «Che c’è? Avete paura anche voi?».
«Io non ho paura di nulla» sbottò nervosamente Charlie. «Lord Voldermort… questo era il suo nome» borbottò abbassando la voce.
Un silenzio teso accolse le sue parole.
«Non credo che ci sia nulla di male ad aver paura di un mostro» mormorò all’improvviso Teddy con gli occhi leggermente lucidi.
«No, certo che no» concordò Charlie senza guardare nessuno in volto.
«Mio zio non parla molto della guerra. Ogni tanto mi fa vedere delle foto… di quando lui e mio padre erano ragazzi… prima di partire per Hogwarts me ne ha mostrate parecchie…» disse all’improvviso Charis.
«E tua madre?».
«Charlie!» sbottò Teddy rabbiosamente.
«Che c’è? È solo una domanda, ormai che siamo qui» ribatté la ragazzina fermamente.
«Lei non ha superato il parto» bofonchiò Charis senza guardare nessuno in volto.
«Mark, stai bene?» non riuscì a trattenersi Enan che aveva visto l’amico sobbalzare.
Mark squittì un sì che non convinse nessuno.
«Abitavamo già a casa di mio zio. Lui è un Auror e la sua villa era più sicura di molte altre abitazioni» raccontò Charis.
«Harry mi ha raccontato qualcosa» intervenne Teddy, «era così all’epoca».
«E tuo zio ti vuole bene?» sussurrò Mark.
Charis lo guardò palesemente confusa. «Perché non dovrebbe?».
Mark fece per parlare, poi scosse la testa e tornò a torcersi convulsamente le mani.
«A questo punto manchiamo io e Mark» disse Charlie.
«Per fare cosa?» replicò Enan perplesso.
«Avete parlato delle vostre famiglie» rispose Charlie. «Tocca a noi».
«La tua famiglia ha combattuto?» chiese Zoey.
«Certo! Mio padre non si unì all’Ordine della Fenice, ma si oppose sempre al regime di C- Voldermort» iniziò a raccontare fieramente Charlie. «Né durante la prima né durante la seconda guerra magica».
«Quante guerre ci sono state?» domandò Zoey basita.
«Due» sospirò Charlie. «La prima negli anni settanta-ottanta e la seconda negli anni novanta».
«Precisamente la prima guerra è finita nel 1981 e poi c’è stato un lungo periodo di pace» specificò Teddy.
«E che cos’è l’Ordine della Fenice?» chiese ancora Zoey.
«Una specie di associazione segreta fondata da Albus Silente durante la prima guerra magica e riformata durante la seconda. Era composto da uomini coraggiosi che si opponevano a Voldermort e ai suoi seguaci» spiegò Teddy.
«Ma molti si opposero al regime anche senza farne parte» soggiunse Charlie e Charis annuì.
«La Gould ti ha detto che se tuo padre non avesse fatto il coraggioso, sarebbe stato a Diagon Alley con te. Anche lui è stato… insomma…» bofonchiò Zoey senza riuscire a porre all’amica la domanda direttamente.
«Che scema la Gould» sbottò Enan.
«No!» rispose frettolosamente Charlie. «Mio padre sta benissimo! Cioè più o meno… Durante uno scontro con i Mangiamorte è stato colpito agli occhi da una maledizione molto potente… È un purosangue, ricco e conosciuto, quindi, anche durante la guerra, è riuscito a farsi curare dai migliori medimaghi… ma…» e qui Charlie prese un bel respiro e apparve agli occhi dei suoi compagni più fragile di quanto sembrasse di solito, «non hanno trovato la contromaledizione… il massimo che sono riusciti a fare è stato rallentarne gli effetti. Mio padre ha cercato di fare tutto come sempre, anche perché lui e mia madre hanno sperato fino all’ultimo di trovare una soluzione, consultando anche medimaghi stranieri… poi, quando avevo all’incirca sei anni, ha perso completamente la vista. Per lui è stato un colpo e si è chiuso in casa».
Zoey l’abbracciò di slancio sorprendendola.
Charlie non era un tipo sdolcinato, ma sorrise e ricambiò la stretta. «Ecco perché non sopporto i Serpeverde» dichiarò appena sciolsero l’abbraccio.
«I Serpeverde di ora non hanno colpa di quello che è accaduto undici anni fa» mormorò Teddy fissandola severamente.
«Cazzate! Non lo vedi Dolohov? Lui è contento delle gesta della sua famiglia» quasi ringhiò Charlie puntandogli gli occhi addosso. «Se ne avesse l’occasione, le imiterebbe».
«È solo uno sbruffone» ribatté Teddy.
«E tu sei un ingenuo».
«Io non…».
«Smettetela, non è la serata adatta» li redarguì Enan con fermezza.
«Scusate» borbottò Teddy.
Charlie scosse la testa e disse: «Fate male a fidarvi dei Serpeverde, ve ne accorgerete. Io vi ho avvertito».
«Mi dispiace per tuo padre» disse gentilmente Charis.
«Ha ricominciato a uscire. Mi ha accompagnato a King’s Cross e nell’ultima lettera mi ha assicurato che ha ripreso a frequentare il Ministero» sorrise Charlie. «È in grado di fare tutto» aggiunse orgogliosamente.
«E tu Mark?».
Il ragazzino sobbalzò e fissò Zoey interrogativo. «Io cosa?».
«I tuoi hanno fatto parte dell’Ordine della Fenice? O hanno combattuto per fatti propri?».
Mark aggrottò la fronte. «Io… Io non lo so…».
«Come non lo sai?» insisté Zoey.
«Non ti hanno raccontato nulla?» soggiunse Charlie.
«A nessuno piace ricordare la guerra» intervenne Teddy in aiuto dell’amico che sembrava profondamente a disagio.
«Ma ne parlano lo stesso» lo tacitò Charlie.
«Io non so nulla… magari non hanno fatto proprio niente…» bofonchiò Mark probabilmente sperando che cambiassero discorso o che quanto meno lo lasciassero in pace.
«Secondo me qualcosa l’hanno fatta» borbottò Teddy.
«Harry ti ha raccontato qualcosa?» chiese subito Charlie.
«Ma come ti permetti a chiamarlo Harry? Per caso è tuo fratello?» sibilò Teddy.
«Magari!» ribatté Charlie.
Enan alzò gli occhi al cielo per l’ennesimo battibecco tra i due, mentre Charis ridacchiò.
«Harry non mi ha detto nulla, ma io a differenza di te osservo e rifletto!» dichiarò saccentemente Teddy.
«Uh, il secchione riflette! E dove ti ha portato la tua profonda riflessione?» ironizzò Charlie.
«Il professor McBridge ci tratta diversamente, l’avete notato?».
«Cavoli, per arrivare a una simile deduzione bisogna possedere un alto quoziente intellettivo! Vuoi che m’inchini?».
Teddy fulminò Charlie con lo sguardo, ma poi la ignorò ostentatamente. «McBridge tratta bene me, Charis, Charlie, Zoey ed Enan ma non Mark. Similmente tratta bene Matilde Gould, Ning Li e Caroline Shafiq. I Gould e gli Shafiq non hanno avuto nulla a che fare con i Mangiamorte e con la magia oscura, me l’ha detto Harry» disse, facendo finta di non sentire il verso di trionfo emesso da Charlie al nome del suo padrino. «Al contrario ignora o maltratta Burke, Dolohov, Mulciber e Yaxley. Ma ancora più importante è che in quest’ultima lista rientra anche Elisabeth Foster dalla cena di Lumacorno, non da prima».
«Cioè da quando ha detto che i suoi genitori sono stati arrestati per attività oscura?» chiese Charis che sembrava seguire perfettamente il suo ragionamento, mentre gli altri apparivano ancora perplessi.
«Esattamente» assentì Teddy, che aveva iniziato a girare per la stanza.
«Dove vuoi andare a parare?» gli chiese Charlie.
«C’è qualcosa nel passato di Mark che a McBridge non piace… senza offesa Mark».
«Ma gli altri professori…?» tentò Zoey.
«Gli altri professori hanno un comportamento diverso da quello di McBridge» replicò Teddy.
«Ma» cominciò Mark incerto, «qualcosa di che genere?».
Teddy si mordicchiò il labbro, palesemente dubbioso sulla risposta da dare, ma Charlie, tanto per cambiare, non si fece problemi: «Qualcosa di illegale o peggio ancora di oscuro, naturalmente!».
Le sue parole colpirono profondamente Mark che fissò i compagni esterrefatto.
«Non traiamo conclusioni affrettate» borbottò Teddy.
«Sei stato tu ad arrivare a queste conclusioni» ribatté Charlie. «E, mi sa, che hai ragione».
«Sicuro di non sapere nulla?» domandò Zoey a Mark. «Non ha sentito parlare i tuoi per caso? Qualche parola buttata lì che magari per te non aveva senso».
«No, mai» sussurrò Mark inquieto. «Io… vado a dormire». Si alzò e si buttò sul letto interamente vestito, premurandosi di tirare le tende del baldacchino.
«Non è una risposta questa!» sbottò Charlie.
«Lascialo in pace» sbottò Enan mettendosi tra il letto di Mark e la ragazzina.
«È meglio andare a dormire. È stata una giornata lunga» mormorò Teddy.
Nonostante le proteste di Charlie e Zoey, le ragazze lasciarono la camera e Teddy e Enan, senza commentare oltre, si augurarono la buonanotte.
Quella conversazione, forse non lunga ma certamente intensa, sarebbe stata difficile da dimenticare e sicuramente avrebbe contribuito a saldare la loro amicizia molto più di quanto i sei Tassorosso avrebbero potuto credere in quel momento.

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Capitolo 11
*** I limiti di una sfida ***


Capitolo undicesimo






 
 
 
I limiti di una sfida
 
 
 



I Grifondoro erano sicuramente i più chiassosi e non sembrava importarli nulla che fosse lunedì mattina, da questo punto di vista Zoey non poteva dar torto a Charlie se venerava quella Casa. I Corvonero erano più silenziosi e qualcuno stava persino ripetendo. Sul serio? Zoey scosse la testa: il loro cervello doveva avere una conformazione particolare se riuscivano a leggere mentre facevano colazione e, soprattutto, di lunedì mattina! Lasciò vagare lo sguardo fino al tavolo dei Serpeverde e notò subito che c’era qualcosa di strano: erano silenziosi – mai quanto i Corvonero e per fortuna nessuno di loro stava studiando –, ma bisbigliavano concitatamente tra loro, lanciando di tanto in tanto occhiate fugaci agli altri studenti e al tavolo dei professori.
«Che hanno i Serpeverde?» domandò ai compagni.
Teddy, intento a mangiare una brioche di zucca con la mano sinistra e a scrivere con la destra da quando si erano seduti in Sala Grande, – non stava studiando, ma scrivendo una lettera al suo padrino, Charlie se ne era accertata immediatamente – sollevò gli occhi e seguì il suo sguardo.
Charlie si cacciò in bocca una grossa cucchiaiata di porridge e fece altrettanto. Enan, Mark e Charis si voltarono di scatto.
«Così vi vedono» commentò Charlie alzando gli occhi al cielo.
Charis e Mark tornarono a voltarsi verso di loro imbarazzati, ma Enan non distolse lo sguardo: «Non vedo Thomas Mulciber».
«Hai una vera fissazione per quel ragazzo» sospirò Zoey non riuscendo a trattenersi.
«Vorrei vederti, se all’improvviso apparisse una ragazza identica a te» ribatté Enan, ripercorrendo con lo sguardo il tavolo dei Serpeverde.
«Non ci sono neanche Dolohov e Burke» intervenne Teddy.
«Dicono che i professori si sono arrabbiati moltissimo per lo scherzo di Halloween» sussurrò Mark a sorpresa.
«Dicono? Chi?» chiese Charlie sorpresa.
Effettivamente gli studenti avevano discusso per tutto il fine settimana dello scherzo, ma gli insegnanti – a parte la sfuriata della McGranitt nella Sala d’Ingresso, che a quanto si diceva era stata terrificante -, non si erano espressi. Naturalmente i Serpeverde dovevano essere a conoscenza della sorte dei loro compagni. «Sicuramente non l’avranno passata liscia» disse duramente Teddy.
«La loro clessidra era quasi priva di smeraldi» aggiunse Charlie con un sorriso sadico.
«E ce lo dici ora?» le chiese Teddy sorpreso.
«Avevo fame e sonno, non puoi pretendere che appena mi alzi di lunedì mattina io abbia le forze per esultare adeguatamente».
«Wow, il cibo è più importante della tua guerra con i Serpeverde! Che scoperta, sono sconvolto!» commentò Teddy suscitando le risatine dei compagni.
«Idiota» replicò Charlie lanciandogli un’occhiataccia.  «Tu che ne sai?» chiese di nuovo a Mark.
Zoey vide il ragazzino arrossire e si chiese se l’amica avrebbe dovuto metterlo sotto torchio per avere delle risposte di senso compiuto o avrebbe collaborato prima che suonasse la campanella di sua spontanea volontà.
«Elly ne parlava con Bobby e Lucas» spiegò Mark in un sussurro.
«Tu passi troppo tempo con la Caposcuola» dichiarò Zoey sinceramente preoccupata. Alla scuola babbana i bambini che si facevano amici delle autorità – di solito gli insegnanti – erano tutto tranne che affidabili.
«Concordo» disse subito Charlie.
«P-perché?» domandò balbettando Mark.
«Perché è una Caposcuola! Lavora per la Preside!» spiegò Charlie piegandosi in avanti.
Zoey li fissò seria: era proprio quella la sua preoccupazione!
«Ecco, non vedevo l’ora di sentire quale perla di saggezza avresti sparato stamattina» sbottò Teddy alzando gli occhi al cielo. «E poi sarei io l’idiota».
«Solo i lecchini fanno amicizia con i professori o con i galoppini dei professori» disse Zoey con convinzione accorrendo all’istante in aiuto dell’amica.
«Ecco, infatti. E la Montgomery è una galoppina della McGranitt» dichiarò solennemente Charlie.
Mark sembrava turbato da quelle parole.
«Che stupidaggini! Se Eleanor Montgomery è stata nominata Caposcuola, significa che è un’ottima studentessa sia per il profitto sia per la condotta».
Zoey rivolse un’occhiata disgustata a Teddy. «Sei serio?».
«Lascia perdere» le consiglio, però, Charlie. «Dobbiamo affrontare un problema più grande».
«Quale?» chiese perplessa Zoey.
«Come quale!? Dobbiamo escogitare una giusta vendetta per i Serpeverde» dichiarò Charlie.
«Hai ragione!» esclamò Zoey. Come aveva potuto non pensarci!
«Ma quale vendetta?» s’intromise Teddy.
«Sono già stati puniti» soggiunse Charis.
«Ma per favore, la punizione dei professori non è sufficiente» ribatté Charlie.
«Ma non sai nemmeno come sono stati puniti!» sbottò Teddy esasperato. «La loro clessidra è quasi vuota, l’hai detto tu stessa! È già un’ottima cosa».
«Subiranno la nostra vendetta» replicò imperterrita Charlie.
«Noi non ci nascondiamo dietro le gonne dei professori e i Serpeverde devono saperlo» dichiarò Zoey, battendo poi il cinque a Charlie.
«La vendetta è una pessima idea» tentò Charis.
«La vendetta è un’ottima idea» dissero in coro Charlie e Zoey.
«Charis ha ragione. La McGranitt non è un tipo da sfidare: la prossima clessidra a essere a zero sarà la nostra, se non vi date una calmata» sbottò Teddy.
«Ognuno fa quello che crede giusto» tagliò corto Charlie alzandosi.
Zoey scosse la testa in direzione di Teddy e Charis e seguì l’amica.



 
 
*
 
 



«Fifona, fermati!». L’urlo di guerra di Charlie risuonò nel corridoio deserto.
Samantha Field, chiamata da tutti i Tassorosso Sam, si voltò perplessa. Almeno finché non la riconobbe. «Senti, ragazzina, io non sono una fifona!».
«Allora accetta la mia sfida» replicò Charlie con fermezza.
«Forse devi schiaffeggiarla con un guanto».
Charlie, così come Sam, si voltò basita verso Zoey.
«Perché mai dovrebbe schiaffeggiarmi con un guanto?» sbottò Sam.
«Voi maghi non lo usate per sfidare i vostri nemici? Tempo fa hanno fatto una puntata fantastica dei Simpson dove…».
«Chi sono i Simpson?» la interruppe Charlie sempre più stranita.
«Sei una Nata Babbana?» comprese Sam.
«Sì, problemi?».
«Merlino benedetto, quanto siete suscettibili» sbuffò Sam. «No, nessun problema, ma non ho idea di che cosa tu stia parlando».
«L’idea del guanto, però, mi piace» commentò Charlie. «Se ti schiaffeggio, accetti la mia sfida?».
Sam imprecò. «Sei fissata! Hai sentito Peter? Non vuole!».
«E chissenefrega?» replicò Charlie.
«È il Capitano!».
«Ooooh» ironizzò Charlie. «E che ti fa, se ti scopre? Sempre se ti scopre! Voglio una sfida tra noi due, mica bisogna dirglielo».
«Rischio il posto in squadra».
«Non ci credo» la zittì Charlie. «Andrews sarebbe uno scemo. Sei brava tutto sommato. Poi rimarrebbe solo con Caroline Sylvester e lei è proprio scema».
«Tu non conosci Peter» replicò Sam. «È molto severo».
«Se fosse un bravo Capitano penserebbe prima al bene della squadra, poi a simili sciocchezze. Accetti o no la sfida?».
«E va bene» sospirò Sam. «Ma come facciamo a non farci beccare da Peter? L’accesso al campo da Quidditch è vietato se non durante gli allenamenti, le partite e le lezioni di Volo. Madama Bumb non ci darà mai il permesso!».
«Non potete sfidarvi durante l’allenamento di un’altra squadra?» chiese Zoey.
«A parte il fatto che non ci vorrebbero» ribatté Sam. «E poi Peter lo verrebbe a sapere».
«Ok, allora dovremmo sfidarci di notte» disse Charlie come se fosse la cosa più normale del mondo.
«Sei pazza? Se ci beccano, finiremo in guai assurdi! Non possiamo mica uscire di notte! E poi non ci sarebbe sufficiente luce» replicò Sam.
«Allora di mattina, durante le lezioni. O hai anche paura di giocarti le lezioni?».
«Potreste prendere una di quelle merendine marinare di cui parlano tutti e fare finta di stare male» propose Zoey.
Sam esitò.
«Hai paura?» la provocò Charlie.
«No» sbottò Sam veementemente. «Vada per le merendine marinare».
«Perfetto! Allora domani mattina alle nove e mezza?» la incalzò ancora Charlie.
«Va bene» sospirò Sam. «Ma chi farà da portiere? Non possiamo certo chiedere a Corbin».
Charlie sbuffò: il loro portiere, Corbin Savage, era anche uno dei Prefetti del quinto anno e sarebbe stata una pazzia coinvolgerlo o anche solo metterlo al corrente della loro sfida. «Ne dobbiamo trovare un altro, ma bravo o la sfida non varrebbe!».
Sam strinse le braccia al petto e sospirò: «L’unico a cui potremmo chiedere è Fabian Brown».
«Chi è?» chiese Zoey.
«Il portiere di Grifondoro!» strillò Charlie con gli occhi luccicanti. «Come ho fatto a non pensarci?».
«Il fatto che tu conosca tutti i nomi dei membri della squadra di Grifondoro, dopo nemmeno un mese di Scuola, è preoccupante» commentò Sam.
«Dai, chiediamoglielo subito» trillò Charlie tutta contenta. «Lo troviamo in Sala Grande?» la prese per mano e fece per trascinarla via.
Sam sbuffò e la seguì, un po’ camminando un po’ facendosi trascinare: probabilmente stava iniziando a pensare che fosse una pessima idea assecondare una ragazzina del primo anno che vantava di aver spinto una compagna nel Lago Nero proprio la prima sera a Hogwarts.
«Dovresti avvicinarti tu» le consigliò Sam. «Tutti sanno della tua passione per i Grifondoro, se lo facessi io sarebbe molto strano… però, Charlie, ascolta, Brown non è esattamente un tipo affidabile. Se solo non avessi irritato tanto Peter durante l’allenamento, adesso potrei chiedergli di farci fare questa sfida durante il prossimo allenamento».
«Non voglio la grazia di Andrews e poi tutti i Grifondoro sono affidabili» replicò Charlie.
«Non è vero, è solo un pregiudizio» sospirò Sam.
«Lascia stare» sbuffò Charlie. «Ci vediamo domani mattina alle nove e mezza al campo di Quidditch, se non ti presenterai saprò che sei una codarda».
«È tu sei terribilmente testarda» sbottò Sam irritata, prima di raggiungere il loro tavolo e sedersi in modo da dar loro le spalle.
Charlie la ignorò e si mosse a passo sicuro verso Christian Anders e Artek Macfusty che aveva conosciuto in treno.
«Oh, piccola Tassorosso, cosa ti porta al nostro tavolo?» l’accolse Artek con un ghigno divertito.
«Non mi chiamare ancora piccola Tassorosso o prendo a calci i tuoi gioielli di famiglia».
I ragazzi sghignazzarono, perfino il più serioso Christian, qualche ragazza la guardò male.
«Chiedo, venia» replicò Artek alzando le mani in alto in segno di resa. «Cosa possiamo fare per te?».
«Voglio conoscere il vostro portiere, Fabian Brown, per favore».
«E perché mai?» le chiese sorpreso Christian.
«Questioni personali».
«Se fossi un po’ più grande direi…» iniziò Artek, ma fu interrotto da una gomitata di Christian.
«È piccola, non essere stupido».
«Allora, chi è?» insisté Charlie guardando tutti i ragazzi intenti a cenare.
«Ha cenato presto oggi» rispose Christian. «È in punizione con Gazza».
«Dove?».
«Credo debba lucidare i trofei della Sala Trofei… Aspetta, ma non puoi andare!».
Charlie, naturalmente, lo ignorò e corse fuori dalla Sala Grande con Zoey alle calcagna.
«Ma tu sai dove stiamo andando?» le gridò dietro l’amica.
Charlie fu costretta a fermarsi. «No».
Vagarono per un po’, finché per fortuna non incontrarono Nick-Quasi-Senza-Testa che fu contento di guidarle fino alla Sala Trofei.
«Te lo dico io, che i Grifondoro sono i migliori! Ci scommetto che il Frate Grasso ci avrebbe fatto mille domande!» commentò Charlie prima di aprire la porta.
Non erano mai state lì, ma la Sala naturalmente era piena di Trofei e riconoscimenti che rilucevano leggermente alla luce fioca di alcune lampade.
«Accidenti, e voi chi siete?» sbottò un ragazzo alto.
Charlie sgranò gli occhi: era veramente carino! Scosse la testa e si costrinse a ignorare i suoi capelli castani adorabilmente arruffati. Oh, Merlino come aveva potuto pensare una cosa del genere?
«Mi chiamo Charlie, piacere. E lei è la mia amica Zoey».
«Piacere» strillò Zoey.
Il ragazzo le squadrò accigliato. «Che cavolo ci fate qui? Mi avete fatto prendere un colpo! Stavo fumando in pace e ho sentito aprire la porta! Pensavo fosse Gazza e ho buttato una sigaretta mezza fumata! Ora come mi ripagate?».
«Ehm, mi dispiace?» Charlie non sapeva che altro dire: il suo discorso l’aveva presa in contropiede, ma lei non era un tipo che si arrendeva facilmente. «Veramente vorremmo chiederti un favore».
«Un favore? A me? Che cosa mai potrei fare per due Tassorosso del primo anno?».
«No, no. Il favore è per me e Sam Field e lei sta al quarto anno». Perché quel ragazzo la metteva tanto a disagio?
«Field? La cacciatrice?».
«Sì, lei» confermò subito Charlie.
«Questa poi! E che favore dovrei farvi?» chiese con un tono che Charlie non capiva se fosse ironico o serio.
«Io e Sam ci dobbiamo sfidare per vedere chi è la cacciatrice più brava, tu dovresti fare da portiere e, naturalmente, da arbitro. Domani mattina al campo da Quidditch alle nove e mezza. Ci stai? O è un problema per te giocarti le lezioni?».
Fabian Brown rise. «Non avevo mai sentito una storia più assurda! Tu sei quella che ha buttato una compagna nel Lago Nero?».
«Sì, sono io» replicò Charlie, sperando di colpirlo. «E Zoey mi ha coperto».
«Non è un problema per me saltare le lezioni».
«Fantastico, grazie!» disse contenta Charlie. «Ah, naturalmente, nessuno deve sapere nulla. Soprattutto Peter Andrews».
«Voi volete sfidarmi in orario di lezioni, senza il permesso di usare il campo e senza che il vostro Capitano lo sappia?».
«Esattamente, ero certa che avresti capito» sorrise Charlie. «Ci vediamo domani allora, perché se Gazza ci becca qui…».
«Non così in fretta. Non ho ancora detto di sì».
L’entusiasmo di Charlie si sgonfiò leggermente. «Ma hai detto che non è un problema per te saltare le lezioni».
«No, infatti, ma voglio qualcosa in cambio».
«Che cosa?».
«Intanto la tua bacchetta, grazie».
Charlie, preoccupata, gliela consegnò.
«Magnifico» esultò il ragazzo e pronunciando un incantesimo non verbale nel giro di cinque minuti aveva lucidato tutti i trofei, che ora luccicavano. «Molte e grazie. Il vostro arrivo è stato provvidenziale, se fosse stato per la McGranitt sarei dovuto rimanere qui tutta la notte a lucidare un trofeo alla volta. Una vera seccatura!».
«Che cosa hai fatto?» gli chiese Zoey.
«Oh, niente di che, ho spaccato il naso a un Serpeverde».
«Ma è fantastico! Complimenti!» replicò Charlie.
Il ragazzo sorrise. «Ci vediamo domani mattina, nel frattempo penserò a che cosa voglio in cambio da te e dalla Field».
«Perfetto» accettò Charlie. «A domani!».
A quel punto si diressero il più velocemente possibile in Sala Grande per cenare. Charlie sapeva che Sam non sarebbe stata per nulla felice di quell’accordo.
 
 
Il martedì mattina alla prima ora i Tassorosso del primo anno avevano Pozioni e non fu per nulla difficile per Charlie ingoiare di nascosto una merendina marinara e farsi spedire in infermeria da un Lumacorno tutt’altro che desideroso di vederla dare di stomaco nella sua aula.
Charlie e Zoey non avevano raccontato nulla a Charis e ai ragazzi, consapevoli che non avrebbero mai approvato, specialmente quel secchione di Teddy; ma, allo stesso, per non attirare troppo l’attenzione avevano concordato che Charlie sarebbe andata da sola. Zoey, naturalmente, ne era dispiaciuta – un’avventura nel mondo magico sarebbe stata il massimo – ma era conscia del fatto che dovessero rischiare il meno possibile.
Charlie giunse al campo di Quidditch in perfetto orario e scorse subito Fabian Brown letteralmente sdraiato sull’erba, ma di Sam nessuna traccia.
«Alla buon’ora, mi stavo per addormentare» l’accolse il ragazzo, mettendosi seduto a gambe incrociate.
«Beh, se mi fossi sentita male subito non sarebbe stato credibile» borbottò Charlie.
Fabian si strinse nelle spalle. «Chi hai adesso?».
«Lumacorno».
Il Grifondoro sbuffò. «Non ci vuole niente a fregare il vecchio babbeo! Poi tuo padre non è il giudice Krueger? Ci manca solo che Lumacorno si prostri ai tuoi piedi».
La ragazzina non replicò, anche se avrebbe voluto: era vero, Lumacorno e McBridge avevano una certa predilezione per lei. Vero anche che Lumacorno cominciava a finire le giustificazioni al suo comportamento durante le lezioni.
«La tua amica verrà?» chiese Fabian accendendosi una sigaretta.
«Verrà» rispose Charlie, sebbene non ne fosse per nulla sicura e probabilmente Fabian se ne accorse perché gli rivolse un sorrisetto derisorio. «Sai che quella roba fa male?» gli chiese pur di contrariarlo.
Fabian si strinse nelle spalle. Quel gesto cominciava a dare sui nervi a Charlie.
«Buongiorno a tutti».
Sam era giunta alle loro spalle e li fissava a braccia conserte.
«Ci hai messo una vita! Ci voleva così tanto a far finta di star male?» l’accolse Charlie imbronciata.
«Dovevo recuperare la scopa in Dormitorio».
La scopa! Ecco, lei e Zoey avevano pensato a tutto tranne alla scopa!
«Ne ho portate due» sbuffò Sam. «Non ci avevi pensato, vero?». Charlie la osservò sorpresa. «È una delle ultime Nimbus, così non potrai lamentarti che ho una scopa migliore di te e ho vinto per questo. Andiamo a cambiarci».
Charlie la seguì verso gli spogliatoi. «Chi te l’ha data?».
Sam arrossì. «L’ho presa di nascosto a Caroline Sylvester… Stai avendo davvero una brutta influenza su di me».
«Cavoli, complimenti» esclamò Charlie ammirata.
Sam scosse la testa e entrò negli spogliatoi. «Ecco, questa è una vecchia casacca, non c’è nessuna scritta o segni di appartenenza a una Casa. Così saremo meno riconoscibili a distanza».
«Fabian Brown indossa la divisa di Grifondoro».
«A lui piace essere riconosciuto» borbottò Sam. «Dai, sbrigati».
Circa dieci minuti dopo Charlie si levò in volo e respirò la fresca aria di novembre a pieni polmoni. Adorava volare.
«Quali sono le regole?» chiese Fabian Brown posizionandosi vicino agli anelli. «Fissate un punteggio o volete andare a oltranza?».
«Prima dell’intervallo dobbiamo smettere o ci beccheranno» rispose Sam. «E poi ho Trasfigurazione prima di pranzo e non voglio saltarla».
«Quindi?» insisté Fabian Brown.
«Quindi giochiamo fino a dieci minuti prima dell’intervallo» decise Charlie. «Chi segna più goals, vince».
«Almeno un quarto d’ora prima dell’intervallo» intervenne Sam. «O non avremo il tempo di cambiarci».
«Come vuoi» concesse Charlie minimamente preoccupata dalle conseguenze: l’adrenalina stava salendo.
«Per me va bene. Sarà divertente» ghignò Fabian, lanciando la pluffa in aria.
E così la sfida iniziò.
Charlie si gettò in avanti, sicura che avrebbe preso la pluffa per prima, ma sorprendentemente Sam la batté sul tempo, allora strinse i denti e si appiattì sulla scopa per tallonarla e rubarle la palla. Riuscì a costringerla a dirigersi dalla parte opposta rispetto agli anelli protetti da Fabian pur di svicolarsi da lei. Charlie non sfiorò nemmeno la pluffa.
Sam si fiondò verso terra, ma quando Charlie fece per seguirla, sterzò di scatto e si diresse verso Fabian.
Charlie, presa completamente alla sprovvista, ebbe un attimo di tentennamento prima di correrle dietro; ma nel frattempo Sam era già di fronte agli anelli.
Il suo tiro fu decisamente forte e diretto all’anello di sinistra, probabilmente volendo approfittare del fatto che il Grifondoro svolazzasse a destra. Fabian, però, reagì rapidamente e allontanò la pluffa con una manata.
Il primo tiro era andato male, ma Charlie era decisamente ammirata: Sam era più brava di quanto le fosse sembrato durante l’allenamento.
«Abbiamo appena iniziato» sospirò la ragazza frustrata lanciando un’occhiataccia a Fabian.
Il Grifondoro per tutta risposta rise. «Non mi hai mai segnato l’anno scorso».
«Sono migliorata» sbottò infastidita Sam, spostandosi alla ricerca della pluffa.
Charlie, rimasta incantata, si scosse e si guardò intorno: la palla era caduta sugli spalti. Si fiondò a riprenderla e questa volta riuscì a conquistarla. Sam le fu subito addosso. Per un attimo Charlie entrò nel panico perché non riuscì a superarla né a destra né a sinistra e si sentì bloccata.
Non era come giocare nel giardino di casa con Willy. Sam era stata ammessa nella squadra di Quidditch dei Tassorosso. Sam non era Willy. Giocare a Quidditch era ben altra cosa.
La sua distrazione le costò cara e Sam le rubò la pluffa, fiondandosi nuovamente verso gli anelli. Ancora una volta Fabian parò.
Charlie decise che non si sarebbe arresa: non avrebbe mai vinto quella sfida, perché ancora non era abbastanza allenata quanto la compagna, ma avrebbe combattuto fino alla fine.
Il resto del tempo fu una gran faticaccia: Sam non le permise quasi mai di prendere la pluffa e quelle poche volte in cui ebbe la possibilità di lanciare, Fabian parò sempre.
A Sam non andò meglio e il ghigno del Grifondoro si accentuò sempre più.
«Non sapete fare di meglio, Tassorosso?» le provocò a un certo punto.
Charlie era tutta sudata e si spostò i capelli dalla fronte. Fabian Brown l’aveva incantata la sera prima, ma era veramente insopportabile. Quanto avrebbe voluto togliergli quel sorrisetto ironico dalla faccia.
Miracolosamente si appropriò della pluffa al rinvio di Fabian, ma questa volta se la sarebbe giocata bene. Sam la tallonava. E questo era un bene. Charlie puntò dritta all’anello all’estrema sinistra e allungò la mano all’indietro preparandosi al tiro; naturalmente Fabian si spostò immediatamente pronto a intercettarlo. La ragazzina, però, lanciò di lato. Sam presa di sorpresa recuperò la pluffa per un pelo e, comprendendo le intenzioni della compagna, la spedì nell’anello di destra.
Questa volta Fabian Brown era stato spiazzato.
Charlie sospirò per la fatica, ma sorrise: il Quidditch era un gioco di squadra dopotutto.
Nessuno ebbe il tempo di dire o fare alcunché perché un fischio fin troppo familiare squarciò l’aria.
Rimasero immobili, quasi sperando di esserselo immaginato.
«Scendete, immediatamente voi tre!».
Charlie azzardò un’occhiata sotto di sé e vide Madama Bumb sbracciarsi nella loro direzione.
«Beccati» mormorò Fabian Brown, non perdendo la sua aria divertita.
Charlie sbuffò e decise di obbedire, seguendo i più grandi. Sam era pallidissima. Un cuor di leone non c’è che dire!
«Che cosa vi è saltato in mente?» urlò Madama Bumb appena furono di fronte a lei.
Charlie si chiese che cosa avesse da urlare: erano a pochi passi da lei, in più non avevano fatto male a nessuno!
«Dal signor Brown e dalla signorina Krueger mi aspettavo questo e altro, ma lei, signorina Field, mi ha veramente delusa!» continuò a strillare l’insegnante.
Charlie le rivolse una smorfia tra l’infastidito e l’annoiato. Sam non replicò e tenne gli occhi fissi a terra. «È stata una mia idea» disse allora la più piccola. «Volevo mettere alla prova la mia bravura, ma Peter Andrews non me l’ha permesso durante l’allenamento e allora ho sfidato Sam di nascosto».
«E, naturalmente, lei ha accettato, signorina Field».
«Mi dispiace, professoressa» mormorò Sam.
«Stavamo solo giocando» borbottò Fabian Brown.
«Per usare il campo di Quidditch ci vuole un permesso, a maggior ragione durante l’orario scolastico, signor Brown. Voi ce l’avete?».
«No, signora» rispose Sam per tutti.
«Come immaginavo. Venite, vedremo che cosa ne pensano i vostri Direttori. Che ne dice, signor Brown, il professor Paciock la prossima volta vorrà giocare con lei anziché fare lezione?».
Fabian Brown alzò gli occhi al cielo.
«E sia più educato» lo rimproverò allora Madama Bumb.
«Il professor Paciock probabilmente non vorrà giocare a Quidditch con noi, ma sicuramente a McBridge non fare né caldo né freddo» sbottò Charlie incapace di tacere.
Madama Bumb si fermò e si voltò a guardarla con i suoi occhi da falco. «Non ho capito».
«Invece sì» replicò Charlie fregandosene di essere irrispettosa. «McBridge è un’ameba, non un direttore. Se la prende con i figli o i parenti dei Mangiamorte per ogni fesseria o anche senza motivo, ma gli altri possono anche ballare il tip tap sulla scrivania della Preside e a lui non frega niente».
Fabian scoppiò a ridere di cuore, mentre Sam la fissò come se fosse impazzita.
«Trenta punti in meno per Tassorosso. La tua maleducazione è inaudita! Come osi parlare così di un professore, per giunta del tuo Direttore!» si arrabbiò Madama Bumb. Charlie non replicò e riprese a seguirla insieme agli altri. «Molto bene, allora vi porterò dal professor Vitiuos».
Charlie si morse la lingua: la pensava come lei, era ovvio, ma non l’avrebbe mai ammesso. Gli adulti erano così ipocriti!
Erano ormai all’interno del castello, quando suonò la campanella dell’intervallo e la professoressa li condusse – stando ben attenta che non battessero in ritirata, mescolandosi agli altri studenti. Chissà perché sembrava convinta che Charlie e Fabian l’avrebbero fatto e non si preoccupò minimamente di Sam – fino all’aula di Incantesimi. «Non vi muovete da qui» ordinò prima di entrare in classe per parlare con il collega.
«Tu sei pazza!» sbottò Sam, ma la sua voce era piagnucolosa, quindi non ebbe l’effetto voluto.
Charlie si accigliò. «Ho detto solo la verità».
«Sei stata grande» approvò Fabian.
«Ok, va bene, è vero che McBridge si comporta male» le concesse Sam. «Ma, Merlino benedetto, che ci salvi lui, come ti è saltato in mente di dirlo a Madama Bumb?».
«Si chiama giustizia» intervenne Fabian sempre divertito. «Paciock mi avrebbe punito, mentre Charlie avrebbe confuso così tanto McBridge che ve la sareste cavata senza neanche una sgridata».
Sam lanciò un’occhiataccia a entrambi e si appoggiò al muro.
«Comunque» sussurrò Fabian quando Madama Bumb li chiamò, «ricordatevi che mi dovete un favore. Mi farò sentire quanto prima».
«Cosa?» sbuffò Sam.
«Ne parliamo dopo» replicò Charlie, in quel momento dovevano affrontare Vitiuos.
 
 



 
*
 
 



«Ehi, frignone, vieni qui».
Mark deglutì, ma continuò a camminare spalleggiato da Teddy ed Enan.
«Vedi, che parlo con te» sbottò Dolohov.
Mark si sentì tirare per il colletto e il fiato gli si mozzò. Le grida indignate di Teddy ed Enan risuonarono nel corridoio, mentre Mulciber lo sbatteva contro il muro.
Un paio di ragazzi di Serpeverde più grandi tennero a distanza i suoi amici e Mark si ritrovò faccia a faccia con Dolohov.
Mulciber gli strappò lo zaino dalle spalle e lo lanciò a Burke che lo svuotò sul pavimento.
«Siete dei fifoni» urlò Enan! «Cinque contro tre è scorretto!». Enan diede un morso al ragazzo che lo bloccava e iniziarono ad azzuffarsi.
Dolohov ignorò i suoi complici e si dedicò a Mark, che tremava terrorizzato.
«Ecco, questo è il riassunto di Difesa contro le Arti Oscure» disse Burke, porgendo la pergamena al suo capo.
«No, dai… l-lo devo consegnare tra poco…» biascicò Mark.
«Lo so bene, ma tanto lo sappiamo entrambi che fa schifo, no? Sarà solo un’altra insufficienza. Dico bene?».
«S-sì» balbettò Mark, sperando che lo lasciasse in pace.
«Quindi fai un favore a McBridge e a te stesso, mangiatelo». Dolohov accartocciò la pergamena e gliela ficcò in bocca. Mark tossì ed ebbe un conato di vomito. «Mastica!» ordinò Dolohov, mentre Burke e Mulciber sghignazzavano in sottofondo, come un pubblico ben addestrato.
Mark era impietrito e riusciva a malapena a respirare, così scoppiò in lacrime. In quel momento Enan atterrò il suo avversario e puntò sull’altro, che, per difendersi, fu costretto a mollare Teddy.
Dolohov comprese che l’aria era cambiata e si sbrigò ad allontanarsi con i suoi compagni.
«Vigliacchi!» gli urlò dietro Enan, ma non pensò nemmeno per un attimo di seguirli e raggiunse Mark insieme a Teddy.
Mark si tirò fuori la pergamena dalla bocca, sentendosi schifoso, perciò non alzò minimamente lo sguardo.
La campanella suonò, facendoli sobbalzare tutti e tre.
«Accidenti!» sbottò Enan. «Avanti, McBridge s’infurierà».
Tutti e tre sapevano che l’insegnante se la sarebbe presa soltanto con Mark, ma nessuno lo disse ad alta voce.
«Becker, sei in ritardo, dieci punti in meno a Tassorosso».
Buongiorno, pensò Teddy, sedendosi accanto a Charis e chiedendosi che cosa sarebbe successo se lui ed Enan avessero attirato l’attenzione del professore: della serie “Ci siamo anche noi!”. Ma McBridge, naturalmente, aveva visto solo Mark. Il che potrebbe essere considerato un bene, visto che così avevano perso soltanto dieci e non trenta punti; ma alla lunga non avrebbe certo aiutato l’autostima già inesistente di Mark, che, rassegnato e spaventato, sedette, sul bordo della sedia, accanto a Dolohov. Probabilmente quella era la tortura peggiore che il professore potesse riservargli.
«Che è successo?» gli sussurrò Charis.
«Dolohov» rispose soltanto Teddy imbronciato. Si erano separati alla fine della lezione precedente, perché la MacKlin l’aveva trattenuto ed Enan e Mark l’avevano aspettato fuori dall’aula. Quel comportamento di McBridge, però, lo portava a pensare che in fondo Charlie e Zoey non avessero torto a volersi vendicare dei Serpeverde: Dolohov e i suoi amici non sembravano essere rimasti particolarmente colpiti dalla strigliata ricevuta per lo scherzo di Halloween, né loro né gli altri Serpeverde che li spalleggiavano.
Teddy finse di seguire la lezione per il resto dell’ora, ormai stava prendendo quell’abitudine ma non se ne vergognava: il libro avrebbe potuto leggerselo da solo comodamente sdraiato su uno dei divani della Sala Comune. Difesa contro le Arti Oscure avrebbe dovuto essere ben altro e Harry, in una delle ultime lettere, gli aveva assicurato di aver ragione ma di aver pazienza con McBridge. Non sapeva quanto ancora sarebbe durata questa pazienza, tanto che vedendo Charlie tirare delle palline di carta sui capelli del professore, sorrise con una punta di cattiveria.
«Oggi, Dolohov, sembra più cattivo del solito» mormorò Charis, riscuotendolo dai suoi pensieri. 
Teddy seguì il suo sguardo e vide il Serpeverde intento a fare i chiodi a Mark. Strinse i denti, cercando di mantenere la calma. Non c’era da chiedersi quanto avrebbe retto Mark: il ragazzino sembrava incapace di reagire in alcun modo.
«Che facciamo?» chiese Charis visibilmente preoccupata.
Teddy tornò a fissare il manuale e rifletté, alla fine le rispose: «Alla fine dell’ora andrò a parlargli».
Charis sgranò gli occhi. «Parlargli?».
«Sì, come le persone normali. Niente scherzi e niente violenza. Ha undici anni, non cinque. Dovrà pur capire».
«Sì, ma…». Charis era scettica. «Tu pensi che se… se gli diciamo… cosa?».
«Che si sta comportando male e che Mark ci sta male» rispose Teddy.
«Ok, se noi gli diciamo questo, lui capirà?».
«Beh, magari non gliel’hanno mai insegnato… Insomma, io e te non lo faremmo mai perché ci hanno detto che è sbagliato…».
Charis lo ascoltò attentamente, poi annuì. «Credo tu abbia ragione».
Tacquero per il resto dell’ora: McBridge non li avrebbe mai rimproverati e non avrebbe tolto punti a Tassorosso, ma era meglio non rischiare.
Al suono della campanella, i Serpeverde si fiondarono immediatamente fuori dall’aula, ma Teddy se l’aspettava e li corse dietro.
«Dolohov, aspetta! Devo parlarti!».
Il Serpeverde si fermò in mezzo agli studenti che affollavano il corridoio. «Lupin, che vuoi?».
Enan e Charis lo raggiunsero pochi secondi dopo.
«Volevo parlarti di quello che è successo prima della lezione di Difesa contro le Arti Oscure» disse Teddy serio.
Dolohov ridacchiò. «Vuoi parlarne? O vuoi una replica?».
«Voglio discuterne con te e i tuoi amici» ripeté Teddy, mantenendosi calmo.
«Va bene, ti ascolto» rispose Dolohov sempre con un tono divertito.
«Il tuo atteggiamento nei confronti di Mark è gravissimo. Si chiama bullismo, lo sai?».
Dolohov e Mulciber scoppiarono a ridere. «E quindi?» chiese il primo.
«Teddy» mormorò Enan, ma il Metamorphomagus lo ignorò.
«Non c’è nulla da ridere. Non puoi umiliare un’altra persona a tuo piacimento, solo perché è più debole e non reagisce. Anzi dovresti provare ad aiutarla e…».
«Smettila di farneticare, Lupin» lo interruppe Dolohov. «Chi te l’ha insegnata questa bella lezioncina? Io non ragiono così: la vita è una lotta per la sopravvivenza e sopravvive solo chi è più forte».
«Non è vero, non funziona così» s’innervosì Teddy.
«Sì, invece. È Sempre così! Perché non chiedi al tuo amichetto, che cos’ha fatto suo padre durante la guerra? Eh, non lo sapete, vero?».
Teddy deglutì. «Non ha importanza, lui non è responsabile…».
«Stronzate» sbottò Dolohov. «Se è necessario, ognuno pensa a sé stesso e si salva la pelle».
«No, c’è chi si è sacrificato per salvare gli altri» alzò la voce Teddy.
«Ah, giusto, i tuoi genitori» sbuffò Dolohov con derisione.
«Non nominare i miei genitori» ribatté Teddy rabbiosamente.
«Harry Potter e tua nonna ti hanno insegnato tante belle cose, vedo… ma te l’hanno detto chi li ha uccisi?».
«Di che parli?» borbottò Teddy preso in contropiede.
«Sai, chi ha ucciso i tuoi genitori?» gli domandò Dolohov ora serio in volto.
«No, Harry e la nonna dicono che non è importante perché…».
«Non è importante? Ne sei sicuro?» lo redarguì Dolohov.
«Ora, basta» intervenne Enan. «Smettetela tutti e due. Dai, Teddy, andiamo».
«È stato mio nonno a uccidere tuo padre e io sono fiero di essere suo nipote».
Teddy ebbe un tuffo al cuore a quelle parole, ma, dopo averle registrate e comprese pienamente, si gettò sull’altro, o almeno lo avrebbe fatto se Enan non lo avesse trattenuto.
«Mollami!» urlò. «Mollami!».
«No, c’è Mrs. Purr, andiamocene» sbottò Enan saldando la presa.
«Mollami!» gridò di nuovo Teddy cercando di liberarsi, ma l’amico era molto più forte.
«Siete dei fifoni» esclamò Dolohov sorridente, contento dell’effetto ottenuto con le sue parole.
«Io non ho paura» strillò Teddy. «Ti sfido a duello Antonin Dolohov. Un vero duello tra maghi! Vendicherò mio padre!».
«Ma che dici?» chiese Charis sconvolta.
«Accetto. Il mio secondo sarà Burke. Il tuo?».
Teddy smise di scalciare ed Enan lo liberò. «Va bene» disse quest’ultimo alla richiesta silenziosa dell’amico, ma era visibilmente sconsolato.
«Il mio sarà Enan».
«Perfetto. Sabato a mezzanotte nel parco» aggiunse Dolohov allungando la mano. «Parola di mago».
«Parola di mago» rispose Teddy, stringendogli la mano.
 
 
 



 
*
 
 



 
«Sei contenta, adesso?».
Era venerdì sera e i Tassorosso si stavano rilassando in Sala Comune prima di andare a dormire: Mark leggeva un romanzo trovato in biblioteca; Teddy e Charis giocavano con gli Scacchi dei Maghi; Enan, Charlie e Zoey sfogliavano insieme una rivista di Quidditch.
La voce irata e più alta del normale di Sam Field li fece sobbalzare. Charis sollevò la testa verso di lei e si rese conto che aveva occhi solo per Charlie. Chissà perché la cosa non la sorprendesse.
«Che vuoi da me?» domandò Charlie.
«Non giocherò domani pomeriggio! Ma chi mi ha mandato a darti ascolto!». Sam aveva le lacrime agli occhi ed era furiosa.
«Come l’ha saputo Andrews?».
Sam fissò Charlie come se fosse stupida. «Gliel’ha detto Madama Bumb, tu che dici?».
«Ma quella non si fa mai gli affari suoi?».
Sam ignorò la considerazione e le disse: «Domani contro Corvonero giocherà Diana Sylvester e, ti dico solo, che gioca peggio di sua sorella».
«Peter è davvero un pessimo Capitano» commentò Charlie.
«No, non è Peter il problema. Sei tu che non hai alcun rispetto per la tua Casa. Il Cappello Parlante non ti ha smistato a Grifondoro, fattene una ragione o, quanto meno, non danneggiare i Tassorosso».
Charlie sembrava aver appena ricevuto uno schiaffo in pieno volto.
Charis sospirò e disse a Teddy: «Devo parlarti, andiamo in camera tua, prima che Charlie scoppi?».
Teddy annuì all’istante, per nulla desideroso di assistere alla reazione della compagna.
«Che c’è?» domandò Teddy, appena furono nella camera dei ragazzi e dopo aver invitato l’amica a sedersi sul suo letto.
Charis lo ringraziò con un lieve sorriso e sospirò: quello che voleva dirgli non era per nulla semplice e non sapeva come avrebbe reagito. Solitamente era assennato e ragionevole, ma quella storia del duello stava diventando un’ossessione. «Senti… ehm… posso dirti il mio parere sulla discussione con Dolohov e sul duello?».
Teddy s’irrigidì, ma annuì. «Certo, ti ascolto. Anche se Enan mi ha già detto che con i bulli non servono a molto quel tipo di ‘chiacchierate’, mi sono reso solo ridicolo».
«Non è di questo che ti voglio parlare… e, comunque, non credo che tu abbia sbagliato totalmente con il tuo discorso… Io… Io credo che tu stia sbagliando a impuntarti sulla storia del duello». Buttò fuori l’ultima frase tutta d’un fiato.
«Sbagliando? Riguardo a cosa? Dolohov si comporta male e poi è mio diritto vendicarmi».
«Il punto è questo: sei sicuro che la vendetta sia la scelta migliore?».
«Sì» tagliò corto Teddy, distogliendo gli occhi da lei.
«Scusa, ma io non credo che tua nonna e il tuo padrino sarebbero d’accordo».
Teddy s’imbronciò. «Non importa. È mio diritto. Dolohov deve pagare. Hai sentito: lui ne va fiero. Gli farò passare la voglia di ridere».
«Teddy, io non…».
«Charis, fidati, è la cosa giusta. Ora, scusa, devo tornare da Enan: dobbiamo consultare ancora un paio di libri presi in prestito in biblioteca».
Charis sospirò e lo seguì: quella storia avrebbe portato solo guai, ne era sicura.
 
*
 
 
Enan sospirò mentre si dirigeva da solo verso gli spalti: si era separato dagli altri per augurare buona fortuna ai cugini che quella mattina avrebbero affrontato Serpeverde nella partita inaugurale del Torneo di Quidditch. Era certamente emozionato visto che era la sua prima partita a Hogwarts, ma il pensiero del duello imminente lo turbava e non poco. Charis, prima di colazione, l’aveva torturato tentando di convincerlo a far ragionare Teddy. Aveva ragione: il duello era una pessima idea per un’infinità di motivi. Il problema è che non potevano tirarsi indietro: Teddy aveva dato la sua parola di mago. Aveva provato a spiegarlo a Charis, ma l’amica si era arrabbiata affermando che era un’idiozia.
Raggiunse i compagni e sedette accanto a loro, tentando di farsi coinvolgere dall’entusiasmo di Zoey e di Charlie, sebbene quest’ultima fosse sottotono: decisamente Samantha Field aveva toccato un tasto delicato. Addirittura Charlie, la sera prima, non aveva replicato e se n’era andata a letto molto prima del solito.
Teddy sembrava il più sicuro di tutti e sedeva dritto, esibendo con orgoglio la sua sciarpa di Tassorosso.
Enan sospirò e decise di rilassarsi: avrebbero affrontato insieme qualunque cosa sarebbe accaduta, era inutile preoccuparsene in anticipo.

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Capitolo 12
*** Colpire al cuore ***


Capitolo dodicesimo






 
 
 
Colpire al cuore
 





 
 
Teddy si strinse il mantello al petto, più per la tensione che per il freddo. Procedette in silenzio senza nemmeno voltarsi verso Enan, ne percepiva la presenza al suo fianco e tanto bastava per il momento. Si fermò poco dopo, dove il corridoio svoltava e tese l’orecchio. Silenzio. Il seminterrato era in totale silenzio. Prefetti e Caposcuola di Tassorosso quella sera non erano di turno, ma comunque la ronda notturna stava per finire.
I due ragazzini salirono a passo svelto le scale che conducevano al piano terra e si fermarono all’ultimo gradino per verificare che non vi fosse nessuno. Entrambi avevano sentito parecchie storie sul custode, Argus Gazza, e sulla sua gatta Mrs. Purr: sembravano avere un fiuto eccezionale per cogliere gli studenti proprio nell’atto di violare le regole. Né Enan né Teddy erano desiderosi di metterli alla prova.
Filò tutto liscio finché non raggiunsero la Sala d’Ingresso, quando un fracasso terribile fece sobbalzare i due Tassorosso.
«Che cos’era?» chiese Enan con il cuore in gola.
«Abbassa la voce» lo redarguì Teddy, spingendolo all’ombra delle clessidre. Non il migliore dei nascondigli, ma meglio che rimanere completamente allo scoperto. Attesero con ansia di sentire dei passi, magari un miagolio, ma il castello sembrava essere ripiombato nel consueto silenzio notturno.
«Cos’era secondo te?» domandò nuovamente Enan.
«Sembrava un’armatura. Qualcuno deve averla urtata».
Enan si accigliò. «Ma chi?».
«Qualcuno che soffre d’insonnia» ipotizzò Teddy, ignorando lo sguardo scettico e preoccupato dell’amico: effettivamente non vi era alcuna spiegazione logica, visto che le armature erano pesanti ed erano poste su dei piedistalli, quindi per buttarle giù bisognava metterci almeno un minimo di forza. E rischiavi anche di farti male. O comunque bisognava andarci a sbattere ed erano difficili da non vedere, anche perché i corridoi della Scuola erano illuminati da torce anche di notte in alcuni tratti. «Ma secondo te Dolohov verrà?».
«Perché non dovrebbe?» replicò Enan avviandosi verso il portone d’ingresso.
«Non so… Il mio padrino mi ha raccontato una cosa che gli è accaduta al suo primo anno…» borbottò Teddy, seguendolo.
«La porta è aperta» disse Enan tra il sollevato e il sorpreso.
«Non dovrebbe essere chiusa?» replicò altrettanto stupito Teddy.
«Ma non lo è» insisté Enan teso.
«Dobbiamo dirlo a un professore?». La parte responsabile di Teddy ebbe un piccolo guizzo per la prima volta da giorni, ma l’occhiata che gli rifilò Enan fu abbastanza significativa: era il momento peggiore.
«E come gli spieghi la nostra presenza qui?».
Teddy si strinse nelle spalle. «Andiamo? Magari l’ha lasciata Dolohov».
«Forse» concesse Enan. «Ma come avrà fatto ad aprirla? Pensavo fosse chiusa magicamente e che avremmo avuto difficoltà».
Teddy si accigliò. «Non lo so, ma ci conviene andare. Non ha senso stare qui».
Appena furono fuori nel parco l’aria fredda li sferzò il viso e i due rabbrividirono.
«Che cosa dicevi del tuo padrino prima?» chiese Enan.
«Al primo anno Draco Malfoy lo ha sfidato a duello. Avrebbero dovuto incontrarsi nella Sala Trofei, ma Malfoy ha fatto la spia sperando che Harry e Ron, il suo migliore amico, venissero beccati».
«Magnifico» gemette Enan. «E tu pensi che Dolohov possa aver fatto lo stesso? Ma ha dato la sua parola di mago».
«Non so quanto valga per lui la parola di mago».
La prospettiva era decisamente pessima, perciò avanzarono in silenzio sobbalzando al minimo scricchiolio o fruscio.
Sorprendentemente, però, sul luogo dell’appuntamento, Antonin Dolohov li attendeva altezzoso, al suo fianco come al solito c’erano Thomas Mulciber ed Edward Burke.
Enan e Mulciber si squadrano: anche al buio, era come guardarsi allo specchio.
«Eccovi, pensavo che aveste troppa paura per presentarvi».
«Noi non abbiamo paura» ribatté Teddy a denti stretti, rimpiangendo il calore della sua camera.
«E poi abbiamo dato la nostra parola» soggiunse Enan.
«Ah, allora anche voi avete sangue Grifondoro come quella svitata della Krueger?» commentò Dolohov.
«Esistono tante forme di coraggio» disse saggiamente Teddy.
«Per esempio?» lo provocò Dolohov.
«Per esempio vendicare i miei genitori» sbottò Teddy estraendo la bacchetta. «Non siamo qui per chiacchierare. Noi non siamo amici».
Dolohov ghignò e annuì. «Sono pronto».
Enan indietreggiò, ma rimase alle spalle dell’amico; altrettanto fecero Mulciber e Burke.
«Rispettate le regole» disse Enan con voce roca, rivolto specialmente al Serpeverde di cui non si fidava minimamente.
Teddy ispirò, mentre voltava le spalle all’avversario contando tre passi.
«Al mio tre» riprese Enan, la cui voce risuonava nella notte lunare. «Uno… due…». Teddy fremette, stringendo la bacchetta con forza. «…tre!».
Teddy e Dolohov si fronteggiarono.
«Aguamenti!». Teddy, impaziente e teso com’era, ignorò il primo consiglio letto su Tecnica e Arte del Duello: studiare l’avversario e possibilmente non attaccare per primo. E lui ed Enan l’avevano ripetuto un sacco di volte! Uno spruzzo d’acqua colpì in pieno il volto Dolohov, che sputò di lato e fissò il Tassorosso con rabbia, pronunciando delle parole che Teddy non comprese. Immediatamente si sollevò un vortice di terra che lo inglobò. Il ragazzino dovette coprirsi il volto con le mani per proteggersi gli occhi, sebbene non poté evitare di essere graffiato da pezzetti di pietra e rametti.
Enan urlò, ma alla sua voce sembrò che se ne aggiungessero altre più o meno note.
«Idiota, usa il Finite Incantatem».
Teddy riconobbe distintamente la gentilezza di Charlie Krueger, ma il suo cervello registrò lentamente il suggerimento e quando lo mise in pratica gli occhi gli bruciavano e a stento mise a fuoco Dolohov e i suoi amici che ridevano.
«Vuoi arrenderti, Lupin?».
Teddy strinse la bacchetta con rabbia: non gliel’avrebbe mai data vinta. «Mangialumache» sibilò, ma Dolohov lo scansò.
«La mira!» sbottò Charlie.
E Teddy commise l’ennesimo errore: si voltò verso di lei e diede le spalle all’avversario. «Ma che…?». Non c’era solo Charlie, ma anche Charis, Diana, Laurence e Samuel.
«Non ti distrarre» urlò Samuel.
«Voltati!» gridò a sua volta Laurence indicando freneticamente i Serpeverde.
Teddy si voltò proprio in tempo per beccarsi una pietra nello stomaco. Rimase senza fiato per il dolore e cadde sulle ginocchia. Diana e Charis urlarono all’unisono, probabilmente stavano per mettersi a piangere.
«Reagisci, Teddy!» lo esortò Laurence.
«Vuoi che intervenga il tuo secondo?» lo provocò Dolohov. «Per me va bene. Sono generoso io».
Teddy strinse i denti, si alzò e nel farlo pronunciò: «Incendio».
L’orlo della divisa del Serpeverde prese fuoco e il ragazzino imprecò a gran voce.
«Bella mossa!» strillò compiaciuta Charlie.
«Grande!» concordò Laurence.
«È pericoloso» piagnucolò Diana.
«Aspetta che ti aiuto, Dolohov» disse sarcastico Teddy, esaltandosi dell’improvviso vantaggio e delle urla dei compagni. «Aguamenti!». Per la seconda volta un getto d’acqua colpì Dolohov che finì seduto a terra, ma stringendo ancora la bacchetta.
«Flipendo!» ripeté anche Dolohov concentrandosi su una pietra che colpì Teddy sullo zigomo destro.
Il Serpeverde tremava palesemente per il freddo, ma Teddy era ormai furioso e senza neanche toccarsi la guancia sanguinante sbottò: «Experlliamus!». La bacchetta volò dalle mani del Serpeverde. «Ho vinto».
«Al diavolo la magia» sbuffò Dolohov lanciandosi sul Tassorosso. «Ti cambio i connotati».
Mulciber lo prese come un segnale e si lanciò a sua volta, Burke tentennò ma poi si unì alla zuffa; Enan e Laurence non fecero attendere il loro supporto a Teddy che, non essendo abituato alle risse, si trovava in netto svantaggio ma sentiva ancora una furia dentro di lui che lo spingeva a colpire alla cieca con l’unica speranza di far del male a Dolohov. Laurence ed Enan se la cavavano molto meglio, anche se Burke era decisamente ancora più inadatto di Teddy alle risse.
Teddy incassò un pugno e ricambiò mordendo la mano di Dolohov. Non aveva occhi che per lui. Si sarebbe vendicato. Doveva vendicarsi.
«Ehi, ehi, smettetela» sbottò una voce agitata.
«Statti un po’ fermo, Enan» aggiunse un vocione altrettanto noto.
Teddy aveva a malapena contezza del fatto che gli altri due erano stati divisi: lui continuava a colpire ogni centimetro di Dolohov, il quale però sembrava molto meno affaticato di lui.
«Basta, Teddy!» gridò Neville Paciock, circondandolo con le braccia e trascinandolo lontano dal Serpeverde, che fu a sua volta trattenuto da quello che, a fatica, Teddy inquadrò, alla luce fioca della luna, come Hagrid. «Calmati!».
«No» sbottò Teddy continuando a lottare per liberarsi. «Lo distruggo… lo uccido…».
«Non dirle nemmeno queste cose!» lo rimproverò Neville. «Ma che ti prende?».
«È meglio rientrare» borbottò Hagrid.
Non fu esattamente semplice: Teddy diede del filo da torcere a Neville per tutto il breve tragitto. «Ma, insomma, che ti prendi?» sbuffò Neville, appena furono nella calda Sala d’Ingresso. Era molto arrabbiato, questo lo notarono tutti i ragazzi. «Calmati!» intimò.
Teddy sbuffò e si fermò più per stanchezza che per altro, ma continuò a occhieggiare male Dolohov.
«Si può sapere che vi è saltato in mente? Vi stavate picchiando e avete violato il coprifuoco!» li sgridò Neville guardandoli uno per uno.
Enan distolse gli occhi: non l’aveva mai visto così alterato. Effettivamente avevano esagerato. Durante il duello aveva avuto molto paura, non avendo considerato veramente quanto avrebbe potuto essere pericoloso: Teddy e Dolohov avevano usato incantesimi che non avrebbero nemmeno dovuto conoscere. Avrebbero potuto farsi veramente male con quel lancio di sassi oppure appiccare un incendio.
«Avete anche usato la magia?» chiese Neville a denti stretti indicando la divisa bruciata di Dolohov.
«Certo. Siamo maghi, mica babbani» rispose il Serpeverde irrispettosamente.
Neville lo fulminò con lo sguardo.
«Neville, sono solo dei ragazzi. Sono sicuro che Teddy e i suoi amici hanno una spiegazione» intervenne Hagrid ed Enan avrebbe voluto abbracciarlo!
Neville fece una smorfia e passò lo sguardo dal collega ai ragazzi. «Non mi aspettavo un comportamento del genere da dei ragazzini del primo anno. Ho visto una propensione alla violenza che non avrei voluto mai vedere» esclamò con fermezza. «Soprattutto non me l’aspettavo da alcuni di voi» soggiunse guardando Teddy, Charis, Diana ed Enan. «Posso sapere perché?».
«Suo nonno ha ucciso mio padre e io ho il diritto di vendicarmi» rispose Teddy freddamente.
La tensione era di nuovo salita e sembrava fare di nuovo freddo. Sul volto di Neville era balenata la sorpresa, sicuramente non si aspettava una risposta del genere. Hagrid guardò male i Serpeverde.
«Vero» ghignò Dolohov come se trovasse divertente quella situazione. «Dovresti ringraziarmi, però, per averti detto la verità. E la sai un’altra cosa?».
«Silenzio, Dolohov» intervenne severamente Neville.
«Bellatrix Lestrange ha ucciso tua madre» aggiunse Dolohov ignorando il richiamo del docente. «Il tuo caro padrino e tua nonna ti hanno raccontato un sacco di bugie».
«Dolohov. Hai superato il limite questa sera. Informerò immediatamente il professor Lumacorno» decretò Neville a denti stretti.
«Anche i professori mentono. Vero, professore? Non ha mai detto a Teddy che Bellatrix Lestrange ha tolto i genitori anche a lei?».
Neville impallidì terribilmente e Teddy alzò finalmente gli occhi su di lui.
Un silenzio surreale si estese tra di loro. Enan iniziava a spaventarsi sia per la piega che stava prendendo la situazione e il furore negli occhi di Paciock sia per l’espressione di Antonin Dolohov: non provava il minimo pentimento per le sue parole.
«Neville» tentò Hagrid vedendo l’espressione sconvolta del più giovane.
«Ringrazia di non essere mio figlio, Dolohov» mormorò Neville. «Hagrid, accompagnali dalla professoressa McGranitt».
Enan sentì il cuore battere all’impazzata vedendolo andar via. Gettò un’occhiata a Teddy e vide che anche lui seguiva il professore con lo sguardo: i suoi occhi, però, erano spenti. Decisamente il suo amico aveva ricevuto un bel colpo.
«Dovresti vergognarti» bofonchiò Hagrid in direzione del Serpeverde. «Seguitemi».
I ragazzini lo seguirono sbigottiti.
«Hagrid» tentò Enan. Se l’avesse ascoltato forse sarebbe riuscito a togliere dai guai le ragazze, in fondo non avevano fatto nulla.
«Non è il momento» replicò Hagrid scuotendo il suo testone.
«Hagrid» riprovò Enan. «Le ragazze non hanno colpa, lasciale tornare il Sala Comune».
«Scordatelo, Macfusty, qui andiamo a fondo tutti» s’intromise Dolohov.
Enan avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma era già abbastanza nei guai.
Hagrid non rispose nemmeno e nessuno fiatò finché non giunsero di fronte a due gargoyle davvero brutti.  «Abissino» disse Hagrid e le statue si spostarono per farli passare, rivelando una scala a chiocciola.
Enan deglutì al pensiero che mai si sarebbe aspettato di scoprire l’ubicazione della presidenza a tre mesi dall’inizio della scuola e all’una e mezza di notte.
La scala si mosse a spirale verso l’alto e loro rimasero immobili in attesa.
«Sembra una scala mobile» bisbigliò Zoey.
Enan ignorò la spiegazione che ne seguì. Per quale assurdo motivo le ragazze si erano lasciate coinvolgere? Non si meravigliava di Charlie e Zoey, che avevano dato di matto quando Teddy aveva detto loro che non voleva nessun altro con lui oltre Enan. Avrebbe dovuto prevederlo che li avrebbero seguiti. Laurence era il migliore amico di Teddy già prima di Hogwarts e naturalmente aveva voluto essere presente, dopotutto aveva mostrato chiaramente di essersela presa perché non era stato scelto come secondo. Samuel Harper stava diventando un tutt’uno con Laurence. Per quale motivo Charis e la Corvonero amica di Teddy fossero andate nel parco, beh quello era un mistero. Enan proprio non lo capiva.
Hagrid li superò ed entrò per primo nell’ufficio.
La McGranitt era seduta alla scrivania e fu parecchio sorpresa di vederli. Indossava una vestaglia scozzese e sembrava leggere dei documenti al lume di una candela. Alla loro vista con gesto della mano – senza bacchetta! – illuminò più ampiamente la stanza circolare. I ragazzi così poterono vedere una serie di quadri alle sue spalle, i cui soggetti dormiva profondamente.
Hagrid si avvicinò alla Preside e le raccontò quello che era accaduto.
L’espressione della donna si fece sempre più severa man mano che ascoltava ogni cosa. Enan notò come le sue labbra sembrassero divenire sempre più sottili.
«Datemi una spiegazione» disse la McGranitt imperiosamente. Nessuno fiatò. Dolohov aveva smesso di ghignare: evidentemente almeno la McGranitt li incuteva timore. Burke e Mulciber sembravano terrorizzati. Teddy fissava il pavimento, Enan capì che non poteva contare su di lui e decise, prima che Charlie aprisse la bocca a sproposito, prese la parola e raccontò tutto, sotto l’occhiata scioccata di Charlie e Zoey e dei Serpeverde: di come Dolohov avesse rivelato le azioni di suo nonno a Teddy, di come Teddy l’avesse sfidato a duello, del duello, della zuffa, delle ragazze, della discussione con Paciock. Tutto, sembrava un fiume in piena. Si spaventò di sé stesso: come gli era saltato in mente? Ma come aveva potuto raccontare tutto alla Preside? I suoi cugini l’avrebbero insultato. La paura faceva brutti effetti. Guardò la Preside terrorizzato. Aprì la bocca per ritrattare, ma non aveva idea di che cosa dire.
«Sono scioccata» disse la Preside dopo qualche momento di riflessione. «Voi ragazze perché eravate lì?».
Diana, balbettando, prese la parola e spiegò che lei e Charis fossero molto spaventate e avessero voluto assicurarsi che Teddy ed Enan non si facessero male.
«Quello che è accaduto è inaudito. Simili comportamenti non sono ammessi a Hogwarts. Non solo avete violato il coprifuoco, ma siete usciti in cortile per sfidarvi a duello, avete usato la magia fuori dalle lezioni e con il chiaro scopo di farvi del male, infine vi siete azzuffati. Senza contare il comportamento irrispettoso e indegno che avete tenuto con il professor Paciock».
«Veramente quello è stato Dolohov».
«Silenzio, signorina Krueger. Proprio tu che violi le regole della Scuola da quando sei arrivata, dovresti tacere».
Charlie s’imbronciò, ma si trattenne dal replicare.
«Signor Lupin, non dici nulla a tua discolpa? Credevo che fossi molto più giudizioso, sono profondamente delusa».
Teddy sollevò leggermente la testa verso la donna ed Enan ebbe di nuovo quella sensazione che gli occhi dell’amico fossero spenti.
Sembrò accorgersene anche la McGranitt che non insisté.
«Dovreste vergognarvi tutti» esclamò fissandoli uno a uno. Nessuno riuscì a sostenere il suo sguardo. «Scriverò immediatamente alle vostre famiglie per informarle del vostro deplorevole comportamento. Macfusty, Mulciber, Burke, Landerson siete in punizione per due settimane per esservi azzuffati; Lupin, Dolohov, voi sarete in punizione fino all’inizio delle vacanze di Natale e spero vi passi la voglia di duellare. Krueger, Turner, Webster, Williamson, Harper siete in punizione per aver violato il coprifuoco. Ognuno di voi perde cinquanta punti ciascuno».
Charlie sembrò scioccata dall’ultima affermazione. Cosa si aspettasse Enan non lo sapeva.
«La punizione vi sarà comunicata dai vostri Direttori. Andate e riflette sul vostro pessimo comportamento. Vi avverto, se vi ritroverete in questa posizione, Lupin e Dolohov, vi espellerò. Hagrid, per favore, accompagnali».
 
 



 
*
 



Il lunedì seguente colse dei Tassorosso ancora molto provati e profondamente tristi per quanto era accaduto. Il giorno prima si erano beccati una predica anche dalla loro Caposcuola che, come l’intera Casa, era furiosa per la perdita di ben duecentocinquanta punti, cioè quasi tutti quelli che erano riusciti a conquistare dall’inizio dell’anno. Tutti gli altri Tassorosso li fissavano malamente e molti dei più grandi si sentivano in diritto di rimproverarli a loro volta, perciò i ragazzi avevano trascorso quasi tutta la domenica nelle loro camere a studiare in modo da evitare gli sguardi accusatori.
Quella che, stranamente, sembrava soffrire di più per quella situazione era Charlie. Charis aveva deciso di etichettarla come Crisi da Smistamento: Charlie non aveva dimenticato le accuse di Samantha Fields, così come le ricordava l’intera Casa e, nonostante non fosse la sola e anzi Teddy fosse ben più colpevole, tutti ce l’avevano soprattutto con lei. Charis non lo trovava giusto, in più i Tassorosso avrebbero dovuto essere quelli buoni e dolci.
Laurence e Samuel, quella mattina, ridevano e scherzavano al tavolo dei Grifondoro, eccitati per l’avventura vissuta e i loro compagni non sembravano troppo preoccupati per i punti persi. Diana era palesemente turbata e si vergognava di essere stata coinvolta, ma Charis sapeva che avrebbe sempre appoggiato Teddy.
Teddy era completamente apatico, avevano dovuto costringerlo a mangiare e a studiare il giorno prima e quella mattina ad alzarsi e recarsi in Sala Grande per la colazione.
Charis invidiava Laurence per non aver fatto una piega alla strillettera ricevuta da casa e di come continuasse a mangiare come se nulla fosse, al contrario Charlie si era allontanata con Zoey. Charis mal sopportando il clima al tavolo dei Tassorosso si alzò e raggiunse Shawn a quello di Grifondoro. «Ciao» lo salutò timidamente. Non l’aveva visto per nulla in quei giorni.
«Ehi, tutto bene?» l’accolse lui gentilmente.
«Insomma» sospirò la ragazzina,
«Hai fatto colazione?» le chiese Shawn.
«Sì».
«Allora andiamo a fare una passeggiata prima dell’inizio delle lezioni. Voi che avete alla prima ora?».
«Incantesimi» rispose Charis seguendolo fuori dalla Sala Grande.
«Si può sapere che cos’è successo sabato? Ne ho sentite di tutti i colori. C’è chi dice che avete offeso Paciock. Un mio compagno l’ha visto ieri e ha detto che era intrattabile. A me sembra assurdo».
Charis fece una smorfia e gli raccontò ogni cosa.
«Cavoli, Lupin ha proprio perso la testa! Tuo zio che ti ha detto? Non ti ha mandato una strillettera, no?».
«No. Per un attimo ne ho avuto paura» confessò Charis. «Mi ha scritto, però, vuole che gli spieghi che cosa stessi pensando e che gli racconti quanto è accaduto. Non è per nulla contento, anche lui si è mostrato deluso».
Shawn le poggiò una mano sulle spalle e le sorrise: «Tutti possono commettere degli errori. Stai tranquilla».
«Al posto di Lupin, che avresti fatto?» chiese dopo un po’ Shawn.
«In che senso?» replicò Charis non riuscendo a comprendere.
«La vendetta, dico. Se Dolohov ti avesse rivelato chi ha ucciso i tuoi genitori, tu come avresti reagito?».
Shawn si era bloccato in un passaggio completamente deserto e la fissava seriamente. Gli occhi di Charis si riempirono di lacrime. «Non mi interessa» disse dopo un po’. «Non mi restituirebbe i miei genitori sapere chi ha ucciso mio padre. Era una guerra, no? Mio zio dice che nessuno è buono. Anche lui ha ucciso. Ha ucciso dei Mangiamorte e loro avevano una famiglia, no?».
Shawn strinse i pugni e annuì. «Hai un cuore grande, Charis» le sussurrò.
La ragazzina si strinse nelle spalle e sembrava ancora più piccola in quel momento.
«Anche Teddy è buono» si sentì in dovere di aggiungere.
«Mia madre dice che tutti i bambini sono buoni, sono gli adulti che li insegnano a essere cattivi» commentò Shawn. «Charis, mi prometti una cosa?».
«Cosa?».
«Se ti trovassi nella stessa posizione di Lupin, verrai da me?».
Charis gli sorrise. «Te lo prometto, grazie, Shawn».
«Avanti, ti accompagno a Incantesimi. Non è proprio il caso che tu arrivi in ritardo proprio oggi. Sai, perché si dice che Paciock fosse intrattabile ieri?».
«Per quello che ha detto Dolohov?».
«Non solo. Voci dicono che Paciock e McBridge abbiano litigato pesantemente ieri».
«Sul serio?» ribatté Charis sgranando gli occhi.
«Sì, Lumacorno ha provato a mettere pace, ma non so quanto sia servito. Stamattina, secondo alcune mie compagne, Paciock non ha salutato McBridge e sicuramente la Preside è stata informata».
«Ma perché avrebbero litigato?».
«Per voi».
«Noi?».
«Per la vostra punizione, diciamo».
«Non erano d’accordo?» chiese perplessa Charis.
«A quanto pare McBridge ha contestato la decisione della McGranitt. Se fosse per lui espellerebbe direttamente i tre Serpeverde, invece Lupin sarebbe innocente e così voi».
«Stai scherzando? Non può essere così folle» non riuscì trattenersi, ma erano ormai in prossimità dell’aula d’Incantesimi e Shawn le fece cenno di abbassare la voce.
«Fatto sta che ha fatto infuriare Paciock» disse Shawn. «A proposito, è meglio che io vada. Ho Erbologia la prima ora e ho paura non sarà minimamente condiscendente».
«Buona lezione» mormorò Charis.
Lui ricambiò e scappò via.
Quella storia era veramente assurda, chissà che cosa ne pensavano gli altri.
 



 
*
 



Era trascorsa ormai una settimana dal fatidico e disastroso duello, Enan sospirò e prese posto nell’aula d’Incantesimi. I loro compagni di Casa non si erano calmati e continuavano a prendere di mira Charlie, che stranamente non si ribellava. Zoey le stava appiccicata come una guardia del corpo, ma non capiva nemmeno lei che cosa accadesse all’amica.
Teddy era sempre apatico e non partecipava più alle lezioni con il precedente entusiasmo e questo non era un bene visto che Mark e Charis facevano molta fatica a recuperare da soli i punti persi. Persino Enan stesso si stava impegnando per rimediare a quanto combinato, quanto meno cercando di non distrarsi troppo in classe e tentando di prendere voti decenti. Alla fine loro Tassorosso stavano scontando la punizione con Gazza pulendo i bagni e non era per nulla divertente.
Enan sospirò: quel giorno per giunta il tempo era molto brutto e non sarebbe potuto andare da Hagrid durante l’intervallo. Appoggiò la guancia sul palmo della mano destra, ma senza aver voglia veramente di ascoltare Vitiuos. Incantesimi era una lezione interessante solo quando facevano pratica, in caso contrario era noiosa come tutte le altre. Ed Enan odiava star seduto e immobile.
Mark, accanto a lui, prendeva appunti tranquillamente e sembrava addirittura soddisfatto. Ma come faceva? Certo, era contento che almeno in quelle ore potesse stare tranquillo: i Corvonero erano solitamente troppo impegnati a seguire per disturbare e comunque Vitiuos non l’avrebbe permesso.
Charlie era ancora mezza depressa e rimuginava in continuazione, il che probabilmente avrebbe dovuto essere fonte di preoccupazione, ma Enan era già occupato con Teddy e Mark, che continuava a essere bersaglio dei Serpeverde. Zoey, però, le stava accanto, tranne ora che era impegnata a chiacchierare, nonostante fosse già stata richiamata più volte dal professore.
«Signorina Turner! Silenzio!» sbottò Vitiuos per l’ennesima volta.  «Cinque punti in meno a Tassorosso».
Charis, seduta accanto a Diana Webster, lanciò un’occhiataccia alla compagna: insomma non facevano in tempo a recuperare punti che lei li perdeva!
Enan fissò il professore che riprese a mostrar loro il corretto movimento per lanciare l’incantesimo Lumos: dopo il loro duello c’erano state molte voci sul litigio tra McBridge e Paciock, che a quanto pareva era avvenuto veramente. La Preside doveva aver dato ragione a Paciock, in caso contrario loro Tassorosso non avrebbero scontato la punizione con Gazza, ma con il loro Direttore. Nessuno sapeva, però, come avesse reagito Vitiuos, che per giunta era vicepreside, visto che in quel guaio era stata coinvolta anche una sua Corvonero. Enan aveva trovato il coraggio e aveva chiesto direttamente a Diana che aveva risposto soltanto di essere stata rimproverata dal suo Direttore e di aver aiutato Madama Pince a sistemare i libri per un pomeriggio. Tutto sommato a lei era andata bene. E comunque lei poteva far conto sul suo Direttore, loro no ed Enan non capiva perché. Aveva provato a parlarne con Teddy, ma lui non voleva saper nulla in quel periodo.
In realtà le possibilità erano molto poche o almeno così gli sembrava: o era pazzo, o nascondeva qualcosa o tutte e due. Qualche settimana prima l’aveva ipotizzato anche Teddy: c’era qualcosa nel passato di Oswald McBridge che lo spingeva a comportarsi in quel modo. E c’era un’unica soluzione, per quanto non gli piacesse: cercare informazioni su di lui in biblioteca, magari in vecchi giornali, oppure negli archivi della Scuola.
«Macfusty!» sbottò Vitiuos palesemente esasperato.
Enan sobbalzò, rendendosi conto di essersi completamente estraniato dalla realtà, e borbottò delle scuse.
 



 
*
 



Era abituato alle detenzioni della scuola babbana: qualunque cosa era sempre colpa sua. Vero che ogni tanto aveva compiuto delle magie accidentali, ma certo gli insegnanti non potevano saperlo e comunque erano involontari. Naturalmente non si era illuso che a Hogwarts sarebbe stato diverso tra Alexis che lo perseguitava e il professor McBridge. All’inizio, anche grazie a Elly e ai suoi amici, aveva osato pensare che a Tassorosso sarebbe stato bene. Ora, e di questo si vergognava, avrebbe preferito essere un Corvonero e potersi rivolgere a un professore come Vitiuos.  McBridge ce l’aveva con lui a priori, ma come i Serpeverde si nascondevano dietro Lumacorno, lui avrebbe potuto nascondersi dietro Vitiuos invece no, doveva tollerare.
Sospirò e finì di spazzare. Avrebbe tanto voluto andare a cenare con gli altri, ma prima doveva lavare i banchi e quando avrebbe finito gli altri non sarebbero stati più in Sala Grande: Teddy ed Enan dovevano scontare la loro punizione con Gazza. A quel punto sarebbe stato meglio raggiungere Charis in biblioteca o in Sala Comune e fare i compiti: in Sala Grande da solo non ci sarebbe andato.
Le palline e gli areoplanini li avevano lanciati Charlie, Zoey, Caroline Shafiq e Edith Yaxley che avevano dato il via a una vera e propria guerra con Dolohov e Mulciber, ma naturalmente McBridge se l’era presa con lui e gli aveva intimato di non lasciare la classe finché non avesse rimesso tutto in ordine.
Elly tentava in ogni modo di consolarlo e alla fine gli aveva suggerito di andare da Vitiuos, che anche se non era il loro Direttore era comunque il vicepreside.
Impiegò più di mezz’ora a rimettere in ordine per bene e quando lasciò l’aula di Difesa contro le Arti Oscure, Mark era stanco e aveva il morale a terra.
Naturalmente, fortunato com’era, incontrò la squadra di Quidditch di Grifondoro al completo, molti sembravano di cattivo umore, in effetti erano bagnati e sudici di fango, e lo ignorarono. Alexis gli lanciò la solita occhiataccia, ma quando era in compagnia non perdeva tempo con lui.
Fabian Brown, però, lo guardò e iniziò a sghignazzare e attirò l’attenzione degli altri su di lui. Alcuni iniziarono a ridacchiare a loro volta. Alexis sembrò arrabbiarsi e intimò al fratello di sparire. Mark sospirò e tremò: si sarebbe vendicata alla prima occasione! Ma che cosa aveva fatto adesso?
Si allontanò a passo svelto in modo da non vedere più i Grifondoro, quando si trovò in un corridoio isolato sospirò e si appoggiò a un muro. Non poteva continuare in quel modo: stava tremando dalla paura. Lui voleva far bene, si stava impegnando con tutto se stesso benché ne dicesse McBridge e credesse suo padre, ma i suoi voti in Incantesimi e Trasfigurazione si erano abbassati perché non aveva fatto alcuna esercitazione pratica, ma non poteva chiedere la bacchetta nuova a suo padre: non gliel’avrebbe mai comprata; altrettanto mediocri erano i risultati in Pozioni perché spesso gli mancavano gli ingredienti o il calderone visto che Alexis non si ricordava mai di darglielo, per quello poteva contare solo su Jay, e il professore sembrava non avere la minima pazienza con lui; l’unica materia in cui andava veramente bene era Erbologia, nelle ore del professor Paciock si sentiva veramente tranquillo. Astronomia non gli piaceva e finiva per imparare a memoria, ma a Nichols non interessava veramente. Altra materia in cui andava abbastanza bene era Storia della Magia, ma Rüf ricordava a malapena il suo nome, quindi non aiutava granché la sua autostima.
Non poteva continuare in quel modo, Madama Chips, Elly e Charis glielo ripetevano in continuazione. Elly, però, aveva ragione: se voleva che la situazione cambiasse, doveva almeno provarci. Avrebbe potuto essere peggio di così? Probabilmente sì, ma avrebbe potuto anche andare meglio.
Prese un bel respiro e si staccò dal muro: ci avrebbe provato.
Si diresse al settimo piano lentamente in preda ai dubbi. E se si fosse arrabbiato? No, se avesse voluto espellerlo l’avrebbe già fatto, che senso avrebbe avuto aspettare? In più aveva detto a Charis e Teddy che lo aspettava quando si sarebbe sentito pronto. Era la sua possibilità e non poteva sprecarla. Certo avrebbe potuto parlarne con Paciock, ma comunque avrebbe dovuto raccontargli di essere un Legilimens naturale e non sapevano se ce l’avrebbe fatta.
Con il cuore a mille si fermò davanti alla porta dell’ufficio di Vitiuos, prese un bel respiro e bussò.
«Avanti» la risposta giunse immediata e ciò gli permise di non darsela a gambe. Forse era un bene: probabilmente non avrebbe trovato di nuovo il coraggio di farlo. «Oh, signor Becker, entra, entra» lo accolse il professore seduto sulla consueta torre di cuscini. Mark balbettò un saluto, ma i suoi i piedi si rifiutarono di muoversi dalla soglia.
Vitiuos si sistemò gli occhialetti sul naso e pacatamente gli disse: «Chiudi la porta e vieni a sederti».
Mark deglutì e obbedì. Nel farlo diede le spalle al professore, che lo fermò prima che si sedesse. «Aspetta» con un movimento della bacchetta appellò un foglio di carta appiccicato sulle sue spalle. Mark non se n’era nemmeno accorto, ma probabilmente ve l’aveva appiccicato Dolohov nell’ultima pacca, tutt’altro che amichevole, che gli aveva dato sulle spalle.
«Mi dispiace, non l’avevo visto» si scusò tenendo gli occhi bassi.
«Sai, chi è stato?» gli chiese il professore. Sul foglio c’era scritto semplicemente Sono uno scemo. Molto originale.
Mark si dondolò sul posto, ma non fiatò: non aveva motivo di proteggere Dolohov, ma arrivato a quel punto aveva perso tutto il suo coraggio ed era troppo spaventato per parlare.
«Siediti, Mark» lo invitò il professore. Mark sedette automaticamente, ma tenendo gli occhi fissi sulle mani strette in grembo. «Non aver paura a guardarmi, credo di essere sufficientemente versato nell’Occlumanzia».
Mark non sapeva cosa fosse l’Occlumanzia, ma alzò la testa senza guardarlo negli occhi.
«Sai cos’è l’Occlumanzia?» chiese argutamente Vitious.
«No, signore» mormorò fiocamente Mark con la voce tremante.
«È una branca molto complessa della magia che permette di proteggere la mente da incursioni esterne. Non sono un esperto, ma sarà sufficiente per ora».
«Quindi è così che si protegge mio padre» chiese Mark sorpreso. «I suoi occhi sono vuoti e non riesco a leggere nella sua mente».
«Leggere nella sua mente non è esattamente un concetto corretto. Di lettura della mente ne parlano i Babbani, è molto più complesso» disse il professore intrecciando le mani. «Comunque sì, mi ricordo di tuo padre, era un bravo studente, alquanto competitivo. Era un Corvonero, lo sai?».
Mark fu colto nuovamente di sorpresa. «Un Corvonero?».
«Esattamente, non te l’ha detto?».
«No, ero convinto che fosse stato un Grifondoro».
«Perché i tuoi fratelli maggiori sono Grifondoro?».
«Sì… no… non solo…» borbottò Mark incerto. «Lui voleva che fossi un Grifondoro» confessò infine. Vitiuos si accigliò e Mark si diede dello stupido. «Non dovevo dirlo, scusi».
«Oh, non ti preoccupare» sorrise leggermente Vitiuos. «Così come non devi preoccuparti di essere stato smistato in una Casa diversa da quella che si aspettava lui».
Mark annuì e biascicò: «Sì, signore» più per educazione che per altro.
Vitiuos sembrò capirlo, ma stranamente il suo sorriso sembrò accentuarsi. «Va bene, che ne dici se affrontiamo quanto abbiamo lasciato in sospeso finora?».
«Io non volevo leggerle la mente… cioè quello che ho fatto…» disse all’istante il ragazzino iniziando ad agitarsi di nuovo.
«Lo so» intervenne il professore. «È normale che tu non sappia gestire un simile potere, ma ciò non significa che tu non debba imparare».
«Mio padre non vuole» disse Mark dispiaciuto. «Dice che non lo deve sapere nessuno». E ora lo sapevano Elly e Vitiuos. E il professore non avrebbe avvertito la Preside e i suoi colleghi? Suo padre l’avrebbe ucciso.
«Mark, sarò sincero con te, io sono disposto ad aiutarti così come la professoressa McGranitt, ma se tu ti rifiuti dovremo prendere provvedimenti. Il tuo è un potere molto potente. Ci sono stati molti Legilimens potenti nel secolo scorso, ma nessuno di loro è nato con questo talento. Nessuno ha un dono del genere da secoli. Come ogni potere può essere usato per il bene e per il male. E il compito della Scuola è quello d’insegnarti a usarlo per il bene. Lasciati aiutare Mark, non te ne pentirai».
Mark deglutì sentendo gli occhi inumidirsi: Vitiuos aveva parlato con fermezza ma senza rabbia o cattiveria. «I-io…» tentò ma le parole sembravano non volergli uscire dalla bocca. «I-io… h-ho paura…» buttò fuori alla fine senza sapere se avesse più paura di suo padre, di quel dono che non sapeva gestire, di Vitiuos, del Ministero, di Alexis… il respiro accelerò al solo pensiero.
«Mark» lo chiamò il professore e finalmente il ragazzino incrociò il suo sguardo, come promesso non accadde nulla. «Non c’è nulla di male nell’avere paura, l’importante è non farsi dominare da essa, ma saperla controllare; allora diventa una buona consigliera e spinge verso la prudenza». Mark abbassò la testa il tempo per passarsi una mano sugli occhi. «Ti fidi, Mark?».
«Sì, signore» mormorò il ragazzino.
«Bene, vedrai, diventerai un grande mago» sorrise Vitious.
Mark lo fissò incredulo.



*
 
 



Quello era decisamente un pomeriggio inusuale, Zoey non avrebbe mai pensato di recarsi in Biblioteca di sua spontanea volontà e di trascinarsi anche Charlie, che era diventata una musona. Certo non era il posto adatto per darle una svegliata, ma era necessario e lei era molto curiosa: Enan, a pranzo, aveva detto loro di voler indagare sul loro Direttore e avevano accettato tutti. Gli unici non entusiasti erano stati Charlie e Teddy persi nei loro pensieri e Mark che aveva paura di essere scoperto, ma allo stesso tempo era quello che voleva sapere più di tutti. Certo poi era sparito e a quanto pareva non gli avrebbe aiutati.
«Perché fa così?» si lamentò per la millesima volta, spaventata più che altro dalla mole di libri presenti in quel posto, per lei soffocante e troppo polveroso.
«Non lo so, sono preoccupato» ammise Enan, chiudendo il libro di Pozioni con un sospiro. Per fortuna, Teddy, prima di andare a rintanarsi in Sala Comune, gli aveva permesso di dare un’occhiata al suo tema o non ne sarebbe più venuto fuori.
«Aspetta, non ho finito di copiare» lo fermò Charlie, proprio mentre si stava alzando.
«Secondo voi è il caso di chiedere a Madama Pince?» domandò Charis pensierosa, riponendo i libri nello zaino.
«No» rispose Diana mordicchiandosi il labbro inferiore. Aveva deciso di unirsi a loro, perché era preoccupata per Teddy e in più si trovava a suo agio. «Farebbe domande».
«Non potremmo dirle che è per una ricerca di Storia della Magia?» propose Zoey, che non comprendeva quale fosse il problema, sebbene la bibliotecaria non stesse simpatica nemmeno a lei.
«Non credo funzionerebbe» bisbigliò Charis.
«La guerra contro Lord Voldermort non fa parte del programma del primo anno, ma si studia soltanto al settimo, massimo sesto anno» disse Diana.
«Come fai a saperlo?» chiese sorpresa Zoey.
«È una Corvonero» borbottò Charlie alzando gli occhi al cielo e restituendo il tema di Pozioni a Enan.
«C’è Mark» annunciò Diana indicando il ragazzino che si faceva strada tra i tavoli colmi di libri e puntava verso di loro.
«Ciao» mormorò Mark.
Zoey lo scrutò e notò che aveva gli occhi rossi. Ma piangeva sempre?
«Dov’eri?» gli domandò Charlie a bruciapelo.
Mark arrossì sentendo gli occhi di tutti su di lui e tenne i suoi puntati sul tavolo. «Dal professor Vitious».
«Come mai?» chiese sorpresa Diana.
«Dovevo parlargli».
«Va bene» intervenne Enan, battendo le mani, ma pentendosene subito all’occhiataccia che rivolse loro Madama Pince.
«Non è umana» borbottò Charlie. «Non può sentire sempre tutto».
«Smettila» la tacitò Enan. «Se ci butta fuori, non potremo fare nulla».
«Da dove iniziamo?» chiese Zoey sempre più curiosa.
«Io direi dall’emeroteca» replicò Diana.
«Dalla che?» chiesero in coro Charlie e Zoey beccandosi un’occhiataccia da tutti per aver alzato la voce.
«La raccolta dei giornali vecchi. Di solito nelle biblioteche c’è» spiegò Diana con fare saccente.
«E come facciamo a sapere dove si trova?» commentò Enan. «Dovremmo chiederlo a Madama Pince».
«Ma a Hogwarts non ci sono gli annuari?» sussurrò Zoey.
«Annuari?» chiese perplessa Charis.
«Nelle scuole babbane li realizzano» intervenne Diana. «Sono una specie di album fotografici con tutti gli studenti, le classi, vincitori di premi o riconoscimenti… una cosa simile…».
«Beh c’è la Sala Trofei» ragionò Enan.
«Non dire quelle due parole» sibilò Charlie.
Enan trattenne a stento un sorrisetto: Charlie, Charis e Zoey avevano trascorso ore intere a lucidare ogni singolo trofeo sotto lo sguardo arcigno di Gazza. E a quanto sembrava nessuna delle tre lo aveva dimenticato, visto che persino Charis fece una smorfia.
«In realtà potrebbe essere utile» disse Diana. «Che altro c’è lì dentro?».
«Gli elenchi di Prefetti e Caposcuola degli anni passati» rispose Charlie.
«Sarebbe utile per scoprire qualcosa in più sul professore» considerò Diana. «Gli studenti possono dare un’occhiata?».
«Non mi prendete in considerazione» mise le mani avanti Charlie. «Io non ci tornò lì».
«Nemmeno io» concordò Zoey.
«Io preferirei non farlo» mormorò Charlie supplichevole.
«Ragazzi!». Elly Montgomery li fece sobbalzare. «Ma che diavolo state facendo? Madama Pince sta per venire qui. Non vorrete perdere altri punti?!».
Sul volto dei ragazzini si delineò un’espressione colpevole.
«Elly, vogliamo solo capire perché McBridge ce l’ha tanto con me. Tu sai dov’è l’emeroteca?» le chiese Mark.
Charlie si sbatté una mano sul viso teatralmente. Zoey avrebbe voluto dileguarsi: ma che problemi mentali aveva quel ragazzino?!
«Il professor McBridge» lo richiamò Elly, più per prendere tempo che per altro. «Non mi sembra una buona idea» borbottò infine.
«Ma un motivo deve pur esserci» tentò Enan. «Non lo pensi anche tu?».
Elly sospirò: sì, lo pensava eccome. Era palese! «Vi mostro l’emeroteca e come cercare i giornali, ma, Mark, promettimi che mi racconterai quello che scoprirete».
«Te lo prometto» dichiarò Mark senza esitare. Si fidava di lei.
La Caposcuola fece loro strada tra gli scaffali e Diana ne approfittò per chiederle della Sala Trofei. «Beh, non c’è nessun divieto particolare, ma non vi conviene entrarci di nascosto».
«Ci accompagni?» chiese allora Diana con gli occhi luccicanti.
«Vedremo. Ora non posso, però. Ho una riunione con gli altri Capiscuola. Domani magari».
Elly si congedò, raccomandando loro di essere il più giudiziosi possibili.
I ragazzini si misero subito a lavoro, ma cominciarono subito a scoraggiarsi: la quantità di materiale sul solo 1998 era spaventosa.
«Non ce la faremo stasera» sospirò Enan.
«Abbiamo tempo fino alle otto» disse Diana.
«Dovremmo cenare» le ricordò Charlie.
«No, io devo andare. Sono in punizione con Gazza, ricordate?» sbuffò Enan.
«Mi raccomando, lo specchio del bagno delle ragazze del primo piano era un po’ opaco stamattina» celiò Charlie.
Enan le rispose con un gestaccio e salutò gli altri.
«Andiamo a cenare?» propose allora Charlie.
Zoey annuì, già seccata da quel tipo di attività.
«Io rimango ancora un po’» replicò Diana, che invece trovava infinitamente interessante sfogliare quei giornali vecchi, che per lei, di origini babbane, avevano un secondo fascino: raccontavano una storia che in fondo non conosceva veramente se non qualche pettegolezzo e racconto affrettato ascoltato dopo lo scherzo realizzato dai Serpeverde a Halloween.
«Ti aiuto io» si propose Mark.
«Forse avrebbero dovuto smistare anche lui a Corvonero» celiò Zoey appena furono fuori dalla biblioteca godendosi la possibilità di parlare nuovamente ad alta voce.
«Non parlarmi di smistamento» ribatté Charlie rabbuiandosi.
 



 
*
 



 
«Se finisco di nuovo nei guai, me la paghi».
Charlie ignorò l’ennesima lamentela di Sam Fields e controllò che non vi fosse nessuno prima di svoltare nel corridoio che, secondo la descrizione di Fabian Brown, avrebbe dovuto condurle alla Sala Comune di Serpeverde.
«E domani abbiamo anche lezione!».
«Puoi stare zitta?» sbottò Charlie. «Se non la smetti, ci beccheranno di sicuro».
Sam si morse la lingua e la guardò malissimo; Charlie, contenta che finalmente avesse chiuso la bocca, tornò a fare attenzione al loro percorso.
«Sei sicura che questa sia la strada giusta?» le domandò Sam.
«No, sei tu quella al quarto anno».
Sam si passò una mano sul volto stanco. «Stai scherzando? Io non sono mai uscita di notte e soprattutto non ho mai avuto motivo di cercare il dormitorio di Serpeverde!».
«Bene, allora, non ho idea di dove siamo» confessò Charlie sperando che l’altra non scoppiasse in lacrime.
«Ti odio, Charlie Krueger».
«Mantengo solo la parola data» replicò in un sospiro Charlie.
«Non avresti dovuto fare accordi con Brown, non è un tipo affidabile».
Charlie si strinse nelle spalle: l’aveva capito, ma era convinta che i Grifondoro fossero tutti sinceri, audaci e cavallereschi, ma a quanto pareva si era sbagliata di grosso e doveva rivedere tutte le sue convinzioni.
Un miagolio fin troppo familiare fece gelare entrambe sul posto. «Siamo spacciate» sbottò Sam palesemente sul punto di mettersi a piangere.
«Tesoruccio, hai fiutato qualche studente fuori dal letto?».
Gazza.
Charlie non aveva alcuna intenzione di attenderlo. «Andiamo» sussurrò tirando la compagna dalla parte opposta dove proveniva la voce del custode. Vagare in un posto sconosciuto, senza tenere un punto di riferimento era certamente una pessima idea, ma peggio sarebbe stato farsi catturare.
Cambiò più volte strada, perdendosi definitivamente nei sotterranei. Sam ormai piangeva disperatamente e Mrs. Purr sembrava essere stata creata per fiutare appositamente gli studenti che violavano le regole! Di una sola cosa era certa: non si sarebbe arresa!
«Di qua». Delle braccia tirarono Charlie oltre un arazzo, che nascondeva un passaggio.
Il ragazzino che l’aveva tirata le fece cenno di tacere con un dito sulla bocca e le guidò. Charlie non avrebbe saputo dire di che Casa fosse, visto che indossava semplicemente un pigiama di lana blu a motivi scozzesi. Sembrava sapersi muovere con una certa scioltezza in quei sotterranei.
Fortunatamente Gazza non li aveva seguiti o almeno così sembrava.
Il ragazzino superò un altro arrazzo e questa volta uscirono in quello che sembrava un vecchio magazzino, visto tutto il vecchiume accumulato e la grande quantità di polvere.
Charlie starnutì.
«Che fanno due Tassorosso da queste parti?» chiese il ragazzino con un sorriso divertito. «Oh, aspettate, vi conosco, tu sei Charlie Krueger, ormai sei piuttosto famosa e non solo tra quelli del primo anno; mentre tu sei Samantha Fields, cacciatrice dei Tassorosso. Non dovreste andare in giro di notte indossando la divisa».
Le due ragazze lo fissarono stupite.
«Come fai a conoscerci?» chiese Sam.
«Tu non sei del primo anno» dichiarò, invece, Charlie: non aveva idea di quale fosse la sua Casa, ma di certo non l’aveva mai visto a lezione.
«Sono al secondo anno» replicò il ragazzino. «Mi chiamo, Robin, piacere. Ah, comunque io sono tutto. Mi piace essere informato su chi mi circonda… sapete, è un modo per proteggersi».
«Che fai in giro nei sotterranei a quest’ora?» gli domandò Sam.
«Bisogna conoscere il proprio territorio. Mi piace esplorare» rispose Robin.
«Il proprio territorio? Sei un Serpeverde?» intuì Charlie.
«Sì». Robin incrociò le braccia al petto e le osservò meglio. «Voi? Che fate da queste parti?».
«Cercavamo la tua Sala Comune» confessò Charlie.
«Mmm di solito gli scherzi li architettano i Grifondoro, non i Tassorosso». In effetti lo scherzo che avrebbero dovuto mettere in atto era stato ideato da Fabian Brown, ma Charlie non commentò. «Naturalmente non vi aiuterò a colpire la mia Casa, ma se volete posso accompagnarvi nella vostra Sala Comune».
«Va bene, grazie» accettò a malincuore Charlie.
 
«Sei stato gentile» mormorò Sam quando raggiunsero le botti che celavano l’ingresso della Sala Comune di Tassorosso.
«Come fai a sapere che la nostra Sala Comune è qui?» chiese Charlie sospettosa.
«Sono l’unico Serpeverde della mia famiglia e, te l’ho detto, mi piace esplorare e conoscere ogni angolo del posto in cui vivo» spiegò gentilmente Robin.
«Beh, grazie» bofonchiò Charlie troppo stupita da quello strano ragazzino.
«È stato un piacere. E, la prossima volta, che mediterete uno scherzo, vi consiglio di studiare bene il territorio nemico». Robin fece loro l’occhiolino e si dileguò.
«Che tipo!» sbottò Charlie.
«Come facciamo con Brown?» le chiese Sam, appena furono al sicuro nella loro Sala Comune ed essersi assicurate che non vi fosse nessuno. Sarebbe stata una bella sfortuna trovare la loro Caposcuola ancora sveglia!
«Non lo so. Ci penseremo domani» sospirò Charlie esausta e con il pensiero fisso su Robin, il Serpeverde.
 

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Capitolo 13
*** Serpeverde contro Tassorosso ***


Capitolo tredicesimo
 
 






 
Serpeverde contro

Tassorosso
 
 






«Colpiscila più forte» suggerì Enan. «Guarda, ti faccio vedere». Prese una biglia, la posizionò con attenzione sul tappeto giallo e le diede un tocco secco con il dito. «Visto? Il tiro non dev’essere né troppo forte né troppo debole».
Dopo cena si erano ritirati in camera, avevano concluso i compiti per il giorno dopo e ripassato qualcosa, poi si erano messi a giocare a gobbiglie in attesa che Teddy tornasse dalla sua punizione.
Enan aveva vinto tutte le partite giocate fino a quel momento e tentava di aiutare Mark, che stranamente non vi aveva mai giocato. Non capiva proprio la famiglia dell’amico: avrebbe potuto anche comprendere le difficoltà economiche, ma quasi tutti i bambini maghi avevano un set di gobbiglie anche se del valore di pochi falci. Era un gioco semplice. Più conosceva Mark più si chiedeva come fosse cresciuto e si dispiaceva per lui. Si era lamentato più volte di non avere un padre, ma tutto sommato tra sua madre, i nonni e i suoi zii non gli era mai mancato nulla, anzi: aveva dei giochi tutti suoi e altri doveva condividerli con i suoi cugini, era cresciuto all’aria aperta e su un’isola meravigliosa. Per alcuni ragazzi Hogwarts rappresentava la libertà, ma lui la libertà sapeva bene cosa fosse e non erano quelle mura che li circondavano quotidianamente.
«Facciamo un’altra partita?» chiese.
Mark annuì.
Proprio mentre iniziavano, entrò Teddy.
«Ehi» disse Enan alzando una mano in segno di saluto. «Tutto bene?».
Teddy fece una smorfia e si strinse nelle spalle.
Enan e Mark ripresero a giocare, mentre Teddy andava a lavarsi. «Ragazzi» li chiamò quest’ultimo avvicinandosi, appena rientrò in camera. «Vi devo» prese un bel respiro, «delle scuse… soprattutto a te, Enan, ti ho messo nei guai».
«Non dire fesserie. Sono venuto con te perché volevo, non mi hai obbligato. Mi sa, però, che ti devi scusare con Laurence: se l’è presa perché hai scelto me e non lui come secondo. Ultimamente mi lancia sempre delle occhiatacce».
Teddy sospirò e annuì.
«Gazza è stato tanto terribile oggi?» chiese Enan.
«Come al solito» replicò Teddy.
«Hai risposto alla lettera del tuo padrino?».
Teddy gli lanciò un’occhiataccia e scosse la testa. «No, non lo farò».
«Teddy, ragiona».
«No! Mi hanno mentito».
«Gli adulti non ritengono di doverci dire la verità» borbottò Mark mancando per un soffio la biglia di Enan.
«Alle volte lo fanno per proteggerci» disse Enan, che odiava dover essere la voce giudiziosa della compagnia. «E poi non ti hanno propriamente mentito, si tratta di un’omissione».
«Sai che differenza» borbottò Teddy.
«Fa eccome differenza» insisté Enan. «Neanche mia mamma mi ha detto chi è mio padre e, quando lo scoprirò, non l’accuserò di avermi mentito».
«Non è la stessa cosa».
«Lo è» s’intestardì  Enan.
Teddy sbuffò. «Come vuoi, ma io non sono d’accordo. Ho, però, intenzione di chiedere scusa a Neville… Ora vado a letto, buonanotte».
Enan e Mark ricambiarono, ma si trattennero ancora un po’ a giocare.
Enan si sdraiò dopo un po’, ma rimase a fissare il soffitto: i pensieri che aveva tentato di scacciare fino a quel momento, gli si affollarono nelle mente. Le ricerche in biblioteca non avevano dato ancora alcun esito, nonostante l’aiuto di Elly: c’erano fin troppi giornali e riviste del 1998; in più era probabile che qualunque cosa riguardasse McBridge non fosse in prima pagina, perciò erano costretti a leggere ogni articolo ed era un lavoro lungo e tedioso. Inoltre Thomas Mulciber stava diventando una fissazione: perché era identico a lui? Era mai possibile che fosse solo una coincidenza e che la teoria dei babbani sull’esistenza dei sosia fosse veritiera? Doveva parlargli, decisamente era l’unica soluzione. Presa quella decisione, si abbandonò a un sonno agitato.
La mattina dopo Enan si sentiva uno straccio e aveva tutto tranne che voglia di andare a lezione.
«A che ora siete andati a letto?» chiese Teddy sospettoso.
Mark si strinse nelle spalle. «Appena abbiamo finito la partita. Neanche un quarto d’ora dopo di te».
«Ho fatto fatica ad addormentarmi» spiegò Enan sbadigliando.
Teddy gli rivolse un’occhiata solidale prima di entrare nell’aula di Trasfigurazione.
Per Enan fu un’ora lunghissima, perché non riuscì proprio a concentrarsi e la Macklin lo richiamò più volte.
«Beh, ora abbiamo Difesa contro le Arti Oscure, non è che sia meglio» borbottò Charis.
«Grazie, ora mi sento meglio» sbuffò Enan, il quale però aveva in testa soltanto Thomas Mulciber e quasi si fiondò in classe. Nessuno prestava attenzione durante le ore di McBridge, perciò Enan non ebbe difficoltà ad affrontare il Serpeverde. «Mulciber, dobbiamo parlare» annunciò voltandosi.
«Io e te?» replicò annoiato il ragazzino, ma sembrava contento di avere una qualsiasi distrazione.
«Certo» sbottò Enan tentando di mantenere il tono basso. «Siamo identici, te ne sei accorto?». Andò dritto al punto, non amava i giri di parole. Mulciber smise di scarabocchiare il banco e lo fissò. «Che sei scemo l’avevo capito, ma non fino a questo punto» lo provocò Enan.
«Me ne sono accorto» replicò laconicamente Mulciber continuando a fissarlo.
«E ti sei chiesto perché?» insisté Enan.
«Certo».
«E?». Enan si chiese se l’altro si comportasse in quel modo con uno scopo preciso o fosse solo stupido.
«Cosa?» replicò Mulciber.
Enan era sul punto di scoppiare. «Come cosa? Voglio sapere perché, tu no?».
«McBridge vi sta guardando» bisbigliò Edith Yaxley che trovava la loro discussione un ottimo diversivo.
«Sì, lo voglio sapere».
«I tuoi non ti hanno detto nulla?».
«Mio padre è in carcere» replicò Mulciber come se fosse ovvio. «E non ho mai conosciuto mia madre».
Enan deglutì: Mulciber non aveva mai conosciuto sua madre, era solo un caso?
«E con chi vivi?»c chiese la Yaxley curiosa.
«Con i miei zii» rispose Mulciber.
«Che cosa ti hanno risposto quando hai chiesto di tua madre?» domandò Enan sentendo la gola secca e il cuore accelerare il battito.
«Per un po’ hanno ignorato la domanda, poi mio zio mi ha detto che non poteva rispondere».
«Perché?».
«Perché così ha deciso mio padre, a quanto pare».
«E non hai provato a cercare dei documenti? Che so, il certificato di nascita?».
«No» ammise Mulciber. «Tu?».
«Sì, ma mio nonno mi ha beccato e si arrabbiato un sacco perché ho messo le mani nei suoi documenti. Gli ho spiegato che volevo vedere il certificato, ma lui mi ha detto di non averlo: la mamma non l’ha portato con sé». Enan sospirò, ricordava bene quell’episodio: suo cugino Evander l’aveva pesantemente deriso perché non si sapeva di chi fosse figlio e lui aveva deciso che l’avrebbe scoperto.
«Allora indagate» suggerì la Yaxley. «Insomma tu» e indicò Enan, «non hai mai conosciuto tuo padre e tu», qui indicò Mulciber, «non hai mai conosciuto tua madre. È logico che c’è qualcosa sotto, sono troppe coincidenze».
«Puoi farti gli affari tuoi?» chiese Mulciber alla compagna di Casa.
«Indagheremo» rispose invece Enan. «Vero?» aggiunse rivolto a Mulciber.
«Ok, va bene».
«Dovreste partire dalle basi. Dove e quando siete nati?» s’intromise ancora la Yaxley.
«15 marzo 1998 a Londra» rispose Mulciber.
Enan lo scrutò sempre più turbato. «Anch’io sono nato il 15 marzo a Londra».
Rimasero in silenzio per il resto dell’ora: Enan aveva scoperto anche più di quanto si aspettasse. La parola ‘gemelli’ lo perseguitò per tutta la lezione.
Alla fine dell’ora Enan raccolse i libri velocemente e li lanciò nello zaino. Aveva assolutamente bisogno di prendere una boccata d’aria, magari avrebbe anche saltato la lezione di Volo per seguire di nascosto una di quelle di Hagrid.
Le urla e gli schiamazzi dei suoi compagni, però, lo costrinsero a voltarsi proprio mentre stava per fiondarsi fuori dall’aula.
Enan sgranò gli occhi incredulo per la scena che gli si profilò davanti: Mark non riusciva a staccarsi dalla sedia, letteralmente. Teddy e Charis l’avevano raggiunto; Charlie e Zoey inveivano contro i Serpeverde. Il professor McBridge li ignorò e lasciò l’aula come se nulla fosse. Perché godeva tanto a veder Mark umiliato? Non poteva esserci alcun motivo valido nel loro passato che giustificasse un simile comportamento.
«Aspetta, ti aiuto» intervenne Ning Li.
Teddy, furioso, gli puntò contro la bacchetta.
«Diffindo» disse Dolohov approfittando della distrazione di Teddy.
L’incantesimo squarciò la divisa di Mark, creando un vero e proprio buco dal quale si vedevano un paio di slip colorati. L’intera classe scoppiò a ridere. Mark divenne rosso in viso e rimase immobile.
Teddy lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall’aula, mentre Charlie minacciava vendetta.
Enan sospirò e li seguì.
 
*
 
Nei giorni successivi tutta la Scuola venne a conoscenza dello scherzo dei Serpeverde ai danni di Mark, che dovette sopportare le prese in giro non sono dei suoi compagni ma anche di studenti più grandi. Elly, profondamente dispiaciuta, se ne lamentò con il professor Vitious, che, però, non poté aiutarli non avendo altre prove oltre la loro parola. L’unico che avrebbe potuto prendere provvedimenti era McBridge, ma naturalmente negò tutto.
Charlie era abbastanza furiosa per quella situazione e, naturalmente, si prodigò per organizzare una vendetta: questa volta anziché agire impulsivamente accettò l’aiuto di Teddy, Enan, Zoey e Charis.
«Sei sicura che funzionerà?» chiese Charlie a Zoey. Si trovavano nascoste dietro un arazzo vicino al bagno dei Prefetti. Quel giorno non sarebbero stati solo i Serpeverde a provare la furia dei Tassorosso.
«Sì, l’ho visto fare un sacco di volte nei film».
In quei giorni avevano studiato bene le abitudini di Fabian Brown e finalmente avrebbero colpito: Charlie odiava l’attesa.
All’improvviso percepirono dei passi sempre più vicini e poi delle voci.
«Eccoli» sussurrò eccitata Zoey. «Finalmente l’abbiamo beccato».
In effetti quello era il terzo appostamento della settimana. Fabian Brown aveva l’abitudine di recarsi nel bagno dei Prefetti con delle ragazze, almeno un paio di volte alla settimana.
Charlie annuì e sbirciò dietro l’arazzo: era proprio lui in compagnia di una bionda. Li osservarono mentre entravano nel bagno. Dopo una decina di minuti uscirono anche loro allo scoperto.
L’ingresso al bagno dei Prefetti avveniva solo dopo aver pronunciato una parola d’ordine, che Enan aveva ottenuto da suo cugino Artek. Di certo Charlie non avrebbe potuto chiederlo a suo fratello James; né Mark a sua sorella, sebbene per ragioni differenti.
«Barnaba» sussurrò Charlie e la porta si aprì. Le due entrarono il più silenziosamente possibile. Il bagno era in penombra.
«Oh, che romantico» sussurrò Zoey.
Charlie simulò un conato di vomito. Per tutto il perimetro della vasca c’erano una serie di candele profumate, unica fonte d’illuminazione del bagno. I due ragazzi, immersi nell’acqua, davano loro le spalle.
Zoey indicò i vestiti gettati alla rinfusa sul bordo della vasca.
Charlie annuì e le fece cenno di tacere, poi estrasse la bacchetta e sussurrò: «Wingardium Leviosa».
I vestiti si sollevarono, ma non si mossero verso di loro. Charlie imprecò mentalmente. Compì qualche passo avanti e li prese, poi tornò immediatamente nella parte in ombra.
Le due ragazzine uscirono dal bagno e si nascosero nuovamente dietro l’arazzo. Ora dovevo solo attendere.
Era quasi l’una e mezza quando un’insonnolita Charlie notò la testa di Fabian Brown far capolino fuori dalla porta. Che stesse verificando se potessero uscire anche nudi? Trattenne a stento una risata: considerata la sua fedina penale, probabilmente sarebbe stato espulso se fosse stato beccato non solo in giro dopo il coprifuoco, ma anche completamente nudo.
Scosse Zoey che si era appisolata e insieme si palesarono. Dovevano fare in fretta per non essere beccate e dedicarsi alla seconda parte della loro missione.
«Ciao, Fabian» cinguettò Charlie come se nulla fosse. Il Grifondoro sgranò gli occhi. «Hai perso qualcosa?».
Fabian Brown ringhiò comprendendo subito di essere vittima di uno scherzo. «Restituiscimi i vestiti, immediatamente».
«A un patto» disse Charlie, delusa di non poter giocare ancora con lui.
«Quale?».
«Non chiederai più nulla a me e Sam Fields».
«E va bene, accidenti a quando ho fatto affari con te».
«Ottimo» commentò Charlie. «Ecco a voi». Lanciò i vestiti che si sparpagliarono nel corridoio.
Fabian Brown imprecò sonoramente e le due Tassorosso scapparono via scosse da risate non del tutto silenziose.
Charlie e Zoey si nascosero dietro un arazzo finché non si furono calmate.
«Un’idea meravigliosa» disse Charlie.
«Già, ma sarebbe stato molto meglio in pieno giorno».
Charlie ridacchiò e tirò fuori un plico di fogli dallo zaino, che aveva portato con sé. «Forza, distribuiamo questi e poi andiamo a dormire».
Il più velocemente possibile, in quanto entrambe molto stanche, affissero i fogli in tutta la scuola: nelle aule, nei corridoi e in Sala Grande addirittura li distribuirono sui tavoli degli studenti e su quello dei professori.
Quella mattina Hogwarts si sarebbe svegliata tappezzata dell’immagine di Antonin Dolohov a testa in giù con tanto di mutande a cuoricini.
 
*
 
Charis sospirò e strinse la cinghia dello zaino.
«Tutto bene?».
La ragazzina s’illuminò all’arrivo di Shawn. Il Grifondoro era con i suoi compagni, ma fece loro segno di entrare in Sala Grande e si fermò con lei.
«Insomma».
«Che è successo?» s’informò Shawn.
«Non hai visto il disegno di Dolohov?».
Il Grifondoro scoppiò a ridere: «Sicuro! La scuola è tappezzata».
«L’ho fatto io» confessò la Tassorosso.
Shawn la fissò sorpreso per qualche secondo, poi sorrise. «Cavoli, sei ancora più brava di quanto credessi».
«Non credo che mio zio sarebbe felice di ricevere una nuova lettera dalla McGranitt».
Shawn si chinò su di lei. «Ma dai, come potrebbero scoprire che sei stata tu?».
Charis si strinse nella spalle. «Non lo so, ma ho paura».
Shawn si mordicchiò il labbro, poi disse: «Senti, possiamo fare così: parlo con Austin, lui è un Prefetto, saprà senz’altro che cosa sanno o non sanno i professori e, in caso, può confondere le acque… comunque Dolohov se lo meritava».
Charis gli fu grata per la sua gentilezza e disponibilità, gli scoccò un bacio sulla guancia  e corse via.
Quel pomeriggio sul tardi la Tassorosso si recò nella Sala Ingresso, dove l’attendevano già Diana Webster, l’amica di Teddy, e Brian McCallister, Prefetto di Corvonero che si era proposto di aiutarle. Charis salutò timidamente e si avviarono insieme.
«È gentile da parte tua» disse Diana al Prefetto.
«Non ho di meglio da fare» replicò il ragazzo stringendosi nelle spalle.
«Non devi studiare per i G.U.F.O.?».
«Manca ancora molto» disse Brian.
Non dissero più nulla finché non raggiunsero la Sala Trofei. I tre ragazzi guardarono ogni trofeo sperando di vedere il nome del loro professore spuntare da qualche parte.
«Oh, ma questo è il padrino di Teddy?» chiese sorpresa Diana indicando una targa.
Charis si avvicinò e lesse l’iscrizione: Harry Potter e Ron Weasley per i Servigi Resi alla a Scuola. 1993.
«Sì, Harry Potter» disse Brian. «Forza, controlliamo il registro dei Prefetti e Capiscuola».
«E in che anno sarà stato studente McBridge?» chiese Diana.
«Controlliamo dalla seconda metà del ‘900 in poi» disse Brian.
Effettivamente, con molta pazienza, scoprirono che McBridge era stato Prefetto all’inizi degli anni ’70.
«Non so a che cosa vi possa servire però» sbuffò Brian.
Diana e Charis si strinsero nelle spalle e lo ringraziarono per il suo aiuto.
Quella sera Charis si attardò in Sala Comune a disegnare, Charlie e Zoey erano simpatiche, ma erano anche molto rumorose. La Sala si svuotò lentamente, ma lei non ci fece troppo caso. A mezzanotte passata, però, un rumore improvviso la spaventò. Si voltò verso l’ingresso e, sorpresa, vide Teddy trascinarsi fuori dal tunnel.
Il ragazzino cadde in avanti imprecando.
«Che ti è successo?». Charis corse da lui.
«Incantesimo delle Pastoie» sospirò Teddy pallido e visibilmente stanco.
Charis si accigliò: aveva riconosciuto l’incantesimo, quello che non tornava era ben altro. «Chi è stato?». Non era anormale vedere dei ragazzini impastoiati per i corridoi, molti lo trovavano divertente, ma Teddy, in teoria, aveva trascorso le ultime ore insieme al custode della Scuola, Argus Gazza.
«Dolohov, naturalmente» sbuffò Teddy. «Ha approfittato di una momentanea assenza di Gazza, al quale non è fregato niente della mia situazione».
Charis sospirò, ben sapendo quanto il custode odiasse gli studenti.
«Ehm, Charis, conosci il controincantesimo?» chiese Teddy imbarazzato e le sue guance si colorarono leggermente di rosso.
«Oh, sì, me l’ha insegnato Shawn… quando l’hanno usato contro di me…». Fu il suo turno di sentirsi imbarazzata, poi, per darsi un contegno, estrasse la bacchetta e pronunciò il giusto incantesimo.
«Grazie» mormorò Teddy sgranchendosi le gambe.
 
 
*
 
 
«Che hai?» chiese Charlie.
«No, niente».
Charlie fissò Zoey accigliandosi: la sua amica era strana da qualche giorno, ogni tanto la sorprendeva a guardare fuori dalla finestra o nel vuoto con un’espressione triste. Non riusciva a comprenderne il motivo però. «Sicura?».
«Sì, sì» replicò Zoey evitando il suo sguardo.
«Sul serio? E dai, che ti prende?» insisté Charlie.
Zoey sospirò. «Le mie amiche non hanno risposto a nessuna delle mie lettere fino a ora. Le ho mandate ai miei e ho chiesto loro di consegnargliele… Non è servito a nulla… Mi manca tanto casa…». Non avrebbe voluto confessarglielo e se n’era già pentita: e se se la fosse presa? Non voleva perdere anche lei.
Charlie divenne pensierosa. «Sono solo delle stupide. Insomma la magia è una cosa forte, no? Dovrebbero essere contente per te».
Zoey si strinse nelle spalle e con un sospiro fissò il professor Vitious che stava spiegando.
«Che facciamo per vendicarci di Dolohov? Non avrebbe dovuto attaccare Teddy».
«Da quando siete così amici?».
«Facciamo parte della stessa Casa, la nostra seconda famiglia, no?» bofonchiò Charlie.
Zoey sorrise, felice di distrarsi dai brutti pensieri. «Non saprei, l’abbiamo già umiliato una volta. Attacchiamo uno dei suoi?».
«Mulciber?».
«Magari Ning Li, è un lecchino».
Charlie s’illuminò. «Hai ragione, sarà lui la nostra vittima».
«Hai qualche idea?».
«No» ammise Charlie.
Rimasero in silenzio per un po’, fingendo di seguire la lezione.
«Forse ho un’idea» disse Zoey uscendo dalla classe.
«Ottimo, sono tutta orecchi».
«Alexis Becker ha chiuso Mark in un bagno sul treno, secondo te quello schizzinoso di Ning Li quanto apprezzerebbe?».
Charlie scoppiò a ridere. «Va bene, ma lo chiudiamo nel bagno delle ragazze».
«Semplice, ma geniale» concordò Zoey. «Ma come lo attiriamo lì?».
Charlie ci pensò su un attimo e rispose: «Facciamoci aiutare dai ragazzi».
«Enan» disse Zoey. «Non credo che Teddy e Mark collaborerebbero».
«Già, hai ragione».
Le ragazzine raggiunsero il compagno e lo convinsero a parlare lontano da orecchie indiscrete.
«Che intenzioni avete?» chiese sospettoso Enan.
Charlie gli raccontò tutto.
«Non vuoi vendicare Teddy?» lo provocò Zoey. «Se lo meritano».
«Anche per come trattano Mark».
«Ok, va bene» assentì Enan. «Come faccio ad attirarlo in bagno?».
«Questo è un problema tuo» replicò Charlie. «Mica possiamo fare sempre tutto noi».
Enan alzò gli occhi al cielo e annuì.
«Bene, ci vediamo tra un po’».
Le due ragazzine assentirono e andarono a nascondersi in uno dei cubicoli del bagno del primo piano. Nemmeno cinque minuti dopo Enan entrò correndo, seguito proprio da Ning Li, e lanciò nel gabinetto qualcosa.
«Accidenti, Macfusty! Questa me la pagherai cara!».
Enan si fece da parte per lasciar passare il Serpeverde; a quel punto le ragazzine uscirono allo scoperto e Charlie chiuse a chiave il bagno.
«Ehi!» gridò indignato Ning Li.
«Salutaci, Dolohov» replicò Charlie.
«Quando uscirai da lì» aggiunse Zoey.
Tutti e tre scoppiarono in una sonora risata e scapparono via.
Zoey, per la felicità di Charlie, tornò a sorridere, anche se non aveva ancora dimenticato le sue amiche e la nostalgia la coglieva soprattutto la notte. Qualche sera dopo lo scherzo a Ning Li, fu costretta a trattenersi in Sala Comune per terminare i compiti con l’aiuto di Mark. Stranamente Charlie e Charis erano sparite subito dopo cena.
«Aspetta, non abbiamo finito» borbottò Mark.
Zoey sbuffò. «Ma che dici? Certo che abbiamo finito».
«Ma potremmo anticipare i compiti per dopodomani».
«Sei impazzito?» sbottò Zoey. «Sono le dieci di sera».
Mark balbettò.
«Mi nascondi qualcosa?».
«N-no».
«Sì, non sai mentire!».
«Oh, ti prego, Charlie mi ha minacciato» bofonchiò il ragazzino.
Zoey si accigliò: allora era vero! Le sue compagne le stavano nascondendo qualcosa! «Buonanotte, Mark» sbottò la ragazzina, lasciando il compagno intento a borbottare qualcosa sul fatto che Charlie lo avrebbe ucciso. Zoey  corse nella sua stanza e aprì la porta con veemenza, ma rimase a bocca aperta. Charis e Charlie avevano coperto il pavimento con i patchwork dei letti e sopra vi avevano appoggiato dei cuscini; di lato vi era una quantità sorprendente di dolci e patatine.
«Cosa?».
«Sorpresa!» disse Charis con il suo sorriso timido.
Charlie alzò gli occhi al cielo. «Mark non è stato capace di trattenerti ancora un po’».
«Mi ha proposto di anticipare i compiti» ridacchiò Zoey tentando di comprendere che cosa stesse accadendo.
Charlie si sbatté una mano in faccia. «Che incapace!».
«Dai, lui ci ha provato» lo difese Charis. «E poi eravamo pronte».
«Mi occuperò di lui domani» concesse Charlie, poi sorrise a Zoey. «Sorpresa».
«Non capisco» confessò Zoey.
«Visto che ti manca casa, ho pensato di fare qualcosa che facevi con le tue vecchie amiche».
Zoey era senza parole.
«Ho chiesto aiuto a quelle tue amiche Corvonero Nate Babbane, mi hanno detto che i pigiama party sono forti».
«Abbiamo fatto del nostro meglio» aggiunse Charis.
Zoey scoppiò in lacrime e le abbracciò di slancio.
«Quindi sei contenta?» chiese Charlie perplessa.
«Sì, lo è. A volte la gente si commuove» le spiegò Charis pazientemente facendo ridacchiare le altre.
«È una sorpresa magnifica».
 
 
*
 
 
Mark si aggiustò la cravatta, tentando di sembrare più presentabile di quant’era in realtà. Aveva appena finito di fare i compiti con Charis e Teddy e, nonostante la stanchezza, lo attendeva una lezione con il professor Vitious. Ormai era meno imbarazzato rispetto alla prima volta, ma lavorare sulla concentrazione, basilare per chiudere la mente e controllare il suo potere, era molto difficile. Si avviò lungo il corridoio piuttosto affollato, d’altronde mancava ancora un’ora al coprifuoco e i ragazzi più grandi avevano avuto la gita a Hogsmeade. Nel castello si respirava aria natalizia e professori e Prefetti avevano iniziato a decorarlo. Nei giorni precedenti vi era stata anche la prima nevicata e faceva sempre più freddo. Il sopraggiungere del Natale, però, aveva portato con sé un ulteriore cruccio per Mark: il loro Direttore pretendeva di sapere se sarebbero rimasti o meno a Hogwarts per le vacanze e Mark non sapeva come comportarsi. Una parte di lui era conscio che avrebbe dovuto trascorrere il Natale con la sua famiglia; ma Alexis lo odiava, suo padre era arrabbiato con lui e il ragazzino dubitava che avrebbero festeggiato molto diversamente rispetto agli anni precedenti. Hogwarts lo attirava moltissimo. Nel dubbio aveva scritto al padre, magari questa sarebbe stata la volta buona che gli avrebbe risposta, dopotutto, non considerando la strillettera – e lui voleva dimenticarla -, non gli aveva mai scritto da settembre.
All’improvviso uno spintone lo fece cadere, alzò il viso e incrociò lo sguardo divertito di Mulciber. Enan gli aveva raccontato che finalmente era riuscito a confrontarsi con il Serpeverde, ma quest’ultimo non sembrava minimamente cambiato, anzi sembrava più arrabbiato e cattivo del solito.
«Oh, Becker, non riesci nemmeno a stare in piedi».
Non era la prima volta che Dolohov lo derideva davanti a tutti e subito intorno a loro si radunarono gli studenti presenti, pronti a divertirsi un po’ ai danni del Tassorosso.
Mark fece per rialzarsi, ma Mulciber lo spinse di nuovo sul pavimento di pietra.
«Stai giù, quelli come te devono strisciare» sibilò Dolohov.
Il Tassorosso non replicò: alla Scuola babbana era molto peggio ed erano anni, ormai, che aveva rinunciato a reagire.
«Hai fatto la doccia oggi, Becker?» chiese Ning Li ghignando.
Mark deglutì consapevole che il Serpeverde non desiderasse altro che vendicarsi per lo scherzo subito pochi giorni prima. Tacque ancora: non si aspettavano veramente una risposta e, comunque, l’avrebbero deriso qualunque cosa avesse detto.
«Aqua eructo» pronunciò Ning Li.
Uno spruzzo d’acqua colpì in pieno Mark che finì contro il muro. Il ragazzino tossì e respirò affannosamente. Come conosceva quell’incantesimo?
Qualcuno strillo, ma gli altri risero divertiti.
«Che succede qui?».
Una vocetta stridula ben nota si levò al di sopra della confusione e tutti scapparono via. Come sempre. L’unico miglioramento rispetto alla scuola babbana era stato che gli insegnanti – McBridge escluso naturalmente – non se la prendessero con lui per partito preso e lui in quel momento era palesemente la vittima.
Mark evitò l’occhiata indagatrice del professor Vitious e si alzò per darsi un contegno – anche se, bagnato com’era, era ben difficile.
«Sono stati Dolohov e i suoi amici?» chiese il professore continuando a scrutarlo.
Mark chinò il capo e disse: «Non fa niente».
Vitious sbuffò: «Questo dovrei stabilirlo io». Poi puntò la bacchetta contro di lui e con un soffio d’aria calda lo asciugò in pochi minuti. «Vieni».
Mark lo seguì in silenzio e prese posto sulla solita sedia di fronte alla scrivania, mentre il professore faceva altrettanto arrampicandosi su una pila di cuscini.
«Quanto durerà ancora questa storia?». Il Tassorosso fissò il professore: di che parlava? «Allora?».
«Non ho capito, signore» mormorò incerto Mark.
«Secondo te, noi insegnanti non ci siamo accorti che voi Tassorosso avete intrapreso una gara di dispetti – se possiamo chiamarli così – con i Serpeverde nelle ultime settimane?».
Mark ricambiò lo sguardo sorpreso dalle sue parole. Che avrebbe dovuto rispondere? In realtà non si era posto nemmeno il problema, il suo obiettivo era tenere la testa bassa, evitare Alexis e sopravvivere. Naturalmente era perfettamente conscio delle intenzioni bellicose di Charlie, Zoey ed Enan, ma non aveva riflettuto su quali avrebbero potuto essere le conseguenze nel tempo: dopotutto gli insegnanti il più delle volte non avevano nemmeno scoperto i colpevoli.
«Non lo so» mormorò il ragazzino, sperando che non insistesse.
Il professor Vitious sospirò. «Dì ai tuoi amici che vi stiamo osservando e che nessuno si vendichi di quello che è accaduto prima. Questa situazione deve finire adesso o non vi piaceranno le conseguenze». Era strano vedere Vitious tanto serio, perciò Mark deglutì spaventato e annuì. «Bene, mettiamoci al lavoro».
 
*
 
 
Teddy fissò la porta incerto. Sapeva di doverlo fare e avrebbe dovuto farlo molto prima: però all’inizio era troppo arrabbiato e scosso, poi era subentrato l’imbarazzo. Prese un bel respiro e si decise a bussare.
«Avanti».
Per un attimo aveva sperato che non ci fosse nessuno, invece doveva farsi coraggio. Aprì la porta e fece capolino all’interno. «Ciao» sussurrò. «Se ti disturbo, me ne vado» disse con tono sommesso.
Neville Paciock lo scrutò per un attimo, poi sorrise. «Entra, Teddy».
Il ragazzino obbedì e chiuse la porta dietro di sé. Si avvicinò alla scrivania e qui dondolò mordicchiandosi il labbro.
«Siediti» lo invitò Neville.
«Non posso stare molto, mi… mi aspetta Gazza…» borbottò distogliendo lo sguardo e pentendosi delle sue parole.
«Come posso aiutarti?» chiese gentilmente Neville ignorando il suo imbarazzo.
«I-io» iniziò il ragazzino. «Io ti chiedo scusa».
Neville sorrise dolcemente. «Teddy».
«No, sul serio. Mi vergogno per quello che è successo quella notte. Le parole di Dolohov mi hanno reso cieco, non volevo che… insomma, mi dispiace per quello che ti ha detto…».
Neville si grattò la testa e sospirò. «Già, quella notte hai esagerato, però comprendo benissimo il tuo stato d’animo».
«Anche tu sai quello che si prova, vero?» azzardò Teddy. Non aveva fatto altro che rimuginare su quello che aveva scoperto da quando era arrivato a Hogwarts.
Neville s’incupì. «Diciamo di sì».
«Tu non provi il desiderio di vendicarti? Io non riesco più nemmeno a guardare Dolohov… vorrei…».
«Cosa?» lo interruppe Neville con durezza.
«Vendicarmi».
«Pensavo fossi pentito!».
«È cattivo, non merita perdono».
Neville sbuffò. «Non è così che funziona».
«Però il professor McBridge odia Mark e non lo nasconde! Non vedo perché se lo dico io non va bene».
«Ma non va bene nemmeno il comportamento di McBridge!» sbottò Neville arrabbiandosi.
«Lo so che Mark non ha colpa di qualunque cosa abbiano fatto i suoi familiari, ma Mark è buono, Dolohov no».
«E chi sei tu per decidere chi è buono e chi è cattivo, eh? Da quando sei diventato giudice?».
Teddy deglutì: quella situazione aveva preso una piega decisamente inaspettata. «I miei genitori hanno dato la loro vita contro quelli come Dolohov».
«Sei solo un ragazzino che si riempie la bocca di parole più grandi di lui». Teddy fu profondamente colpito da quelle parole e dall’asprezza con cui erano state pronunciate. Strinse i denti e si alzò: non aveva nessuna intenzione di continuare quella conversazione.  «Dove vai?».
«Me ne vado» replicò Teddy in tono sostenuto.
«E con quale permesso? Sono pur sempre il tuo insegnante e pretendo rispetto. Torna a sederti».
Teddy gli rivolse un’occhiata incredula e confusa. «Io non…».
Neville sospirò per l’ennesima volta. «Scusami, non volevo essere troppo severo. Il punto è che le guerre sono brutte, fattelo dire da chi ne ha vissuta una… Non va bene questa rabbia che ti porti dentro. Hai parlato con Harry?».
«No, con lui non ci parlo».
«Teddy, ragiona. Il tuo padrino sa…».
«Lui si è vendicato. Lui l’avrebbe fatto alla mia età, invece mi ha rimproverato proprio come la nonna!». Ecco la verità: non era soltanto per le omissioni che era arrabbiato, ma anche per la reazione di Harry. «Ron me l’ha detto: quando Harry pensava che Sirius Black avesse tradito i suoi, l’ha attaccato senza bacchetta magica… a mani nude… E, ora, viene a fare la morale a me!».
Neville sbuffò: se Hermione avesse saputo che ancora una volta Ron aveva parlato a sproposito, si sarebbe infuriata. «Il fatto che Harry si sia comportato in un determinato modo, non significa che sia giusto. È il tuo padrino e tu lo adori, è normale, ma anche lui commette degli errori».
«Ma non è stato punito per quello che ha fatto».
Preso in contropiede, Neville boccheggiò e si passò una mano sul volto. Colpito e affondato! «Giusto» non poté fare a meno di affermare. «Sai che fai? A Natale farglielo presente».
Teddy sorrise vedendo che Neville non era più arrabbiato come prima.
«Quindi posso non andare da Gazza?».
Neville sventolò un dito davanti al suo volto. «Molto furbo, molto. Secondo me, però, la punizione ti fa bene e, se pensi che sia ingiusto, potresti sempre chiedere a Harry di venire ad aiutarti. Vuoi che gli scrivo?».
«Se venisse ad aiutarmi, ci farei pace».
Entrambi ridacchiarono e Neville gli porse una mano. «Sei molto intelligente, promettimi che penserai a quello che ti ho detto».
«Va bene» assentì il ragazzino stringendogli la mano.
«C’è altro che ti preoccupa? Sappi che, finché non farai pace con Harry, puoi contare su di me».
«Grazie» disse sinceramente Teddy. «In verità sono preoccupato per Mark, il professor McBridge è veramente cattivo».
Neville si accigliò. «Che cosa fa di preciso durante le sue ore?».
Teddy cominciò a raccontare, ma a un certo punto fu interrotto dal professor Lumacorno che entrò nell’ufficio senza neanche bussare.
«Neville, vieni per favore».
«Che è successo?» chiese perplesso il professore.
«Vieni. Scusaci, Teddy».
Il ragazzino annuì e seguì fuori i due insegnanti.
«Ehi, Teddy». Si voltò verso Enan che era apparso improvvisamente alle sue spalle, probabilmente fino a qualche secondo prima era stato nascosto dietro un arazzo. «Ti stavo cercando».
«Perché?».
«Charis è in infermeria».
«Cosa? Che ha?».
«Dolohov e i suoi se la sono presa con lei, mentre era in biblioteca. Quanto meno alcuni ragazzi del quarto anno dicono di aver visto dei ragazzini di Serpeverde sul posto, i professori stanno indagando. Madama Pince è furiosa».
«Che le hanno fatto?».
«Hanno incantato dei libri – probabilmente Ning Li – e i libri l’hanno attaccata. Un volume particolarmente pesante l’ha presa in testa e lei ha perso conoscenza».
Teddy sgranò gli occhi. «Come sta?».
«Non lo so, andiamo a vedere».
Madama Chips non li fece entrare, affermando che Charis avesse bisogno di riposo e calma, ma li rassicurò sulle condizioni dell’amica.
«Ma perché?» non poté fare a meno di chiedersi Teddy.
«Perché cosa?» replicò Enan.
«Noi non ci siamo vendicati dello scherzo a Mark, abbiamo seguito l’avvertimento di Vitious».
«Ma a loro mica interessa» sospirò Enan. «Piuttosto avranno pensato che ci fossimo arresi e che era il momento del colpo di grazia. Te lo dico io, da domani se ne andranno in giro trionfanti».
Teddy annuì. «E noi?».
«Non lo so» ammise Enan. «Ma stanno per iniziare le vacanze e non ci conviene metterci nei guai adesso o i nostri familiari ci faranno a pezzi, altro che regali».
«Già. Non voglio pensare all’accoglienza che mi riserverà la nonna» bofonchiò Teddy. «Che avete scoperto su McBridge?».
«Poco» confessò Enan. «Odio le ricerche in biblioteca, quel posto sa di chiuso. Mark è sempre impegnato a studiare o con le lezioni extra di Vitious. Charis non può fare tutto da sola».
«Mi dispiace non essere stato d’aiuto».
«Tranquillo, un periodo no capita a tutti» replicò Enan dandogli una pacca sulle spalle.
«Grazie, Enan».
 
*
 
Nevicava ancora. Presto l’intero parco sarebbe stato ricoperto da una bianca coltre di neve. Un gruppo di ragazzini, a occhio dei primi anni, si stava sfidando in una battaglia di palle di neve. Sfiorò il vetro della finestra e sorrise leggermente: l’eco gioioso delle loro risate arrivava fin lì. Si strinse lo scialle scarlatto al petto e sospirò: la tranquillità e la spensieratezza di quei ragazzi dipendevano anche da lei durante il periodo scolastico e, Merlino solo lo sapeva, quanto a volte fosse difficile.
Qualcuno bussò. Lei si ricompose e si allontanò dalla finestra. «Avanti» disse, poi prese posto dietro la scrivania ingombra di carta.
Dieci ragazzini entrarono e salutarono sommessamente.
«Ci ha fatto chiamare, professoressa McGranitt?» chiese il Serpeverde dai tratti orientali. Minerva ricordava perfettamente il suo nome, Ning Li, e sapeva che il padre era un eminente membro del Ministero cinese, di stanza a Londra. Non aveva mai parlato con lui. I suoi colleghi, specialmente Horace Lumacorno, le avevano riferito che era un ragazzino di talento, ma che palesemente avesse già iniziato la sua educazione magica prima di recarsi a Hogwarts.
«Sì, signor Ning Li» replicò asciutta continuando a scrutarli attentamente. Accanto a Ning Li, vi erano gli altri Serpeverde: Antonin Dolohov, il leader del gruppo, Thomas Mulciber ed Edward Burke. I Tassorosso si erano radunati dalla parte opposta. «Immagino che sappiate il motivo della vostra convocazione». I ragazzi azzardarono delle occhiate l’un l’altro; Teddy Lupin fulminò Dolohov, che, però, rimase impassibile. Minerva era ben conscia di che cosa frullasse per la mente del giovane Tassorosso in quel momento: se fossero stati soli, avrebbe accusato il Serpeverde per la situazione in cui si trovavano. «Allora?» insisté tentando di far appello a tutta la sua pazienza.
«P-per g-gli s-scherzi che ci siamo scambiati nelle ultime settimane» balbettò Mark Becker.
Minerva l’osservò con attenzione: i capelli castani gli ricadevano disordinatamente sulla fronte, i suoi occhi erano sgranati e impauriti e aveva delle occhiaie non troppo profonde; in generale sembrava meno fragile di quando era arrivato a settembre, ma era ancora molto vulnerabile, si vedeva e, Filius, il docente che aveva più confidenza con lui in quel momento, gliel’aveva confermato. Doveva ammettere che quel ragazzino la incuriosiva e non poco: un legilimens naturale era certamente qualcosa di straordinario e lui sembrava di buon cuore, toccava alla Scuola guidarlo in modo che usasse i suoi poteri al meglio. «Grazie, signor Becker. Non credevo di aver posto una domanda difficile, dopotutto».
«Ma noi non abbiamo fatto nulla» si lamentò all’istante Charlie Krueger. «Sono stati loro a mandare in infermeria Charis».
Minerva alzò una mano per fermare la replica di Ning Li e si rivolse alla Tassorosso. «Purtroppo, la signorina Williamson non ha visto i suoi aggressori e non posso prendere provvedimenti in merito».
«Ma lo sanno tutti che…».
«Come sta, signorina Williamson?» chiese la McGranitt ignorando Charlie.
«Bene, grazie» rispose timidamente Charis.
La Preside annuì. Quella ragazzina era molto timida, ma altrettanto talentuosa da quello che le era stato riferito. Conosceva perfettamente Adam Williamson e più volte l’uomo le aveva già scritto mostrandosi preoccupato per la nipote.
«Se non puo’ stabilire di chi sia la colpa, perché ci ha convocato?».
Antonin Dolohov. Quel ragazzino era la sua costante preoccupazione da settimane. Era fin troppo arrogante e sicuro di sé. Neanche James Potter e Sirius Black le si rivolgevano con tanta sfrontatezza a undici anni. E ciò che la turbava era che Dolohov fosse stato educato in quel modo, ma con quell’atteggiamento avrebbe avuto fin troppi problemi. La reazione di Teddy Lupin non era altro che lo specchio di come avrebbe reagito l’intera società magica che, non volendo altro che dimenticare il passato, non avrebbe esitato a condannare il discendente di una famiglia di Mangiamorte.
«Cinque punti in meno per la tua mancanza di rispetto» sentenziò Minerva. «Vi ho convocato per avvertirvi che con il vostro atteggiamento avete esaurito la pazienza del corpo docenti. Nessuna guerra tra Case è approvata né lo sarà in futuro, perciò regolatevi di conseguenza. Rifletteteci bene durante le vacanze, perché da gennaio in poi se persevererete nella vostra condotta, saranno attuati provvedimenti severi. Sono stata chiara?». I ragazzini annuirono sommessamente. «Molto bene. Ora recatevi in Sala Grande per la cena. Ho un annuncio da fare a tutta la Scuola».
Li congedò e si appoggiò allo schienale della sua poltrona appena rimase sola.
«È così simile a suo padre».
Minerva sospirò, ma non commentò: Albus si riferiva senz’altro al giovane Lupin. Dopo il duello con cui avrebbe dovuto vendicare i suoi genitori, si era come spento e aveva abbandonato il ruolo di leader tenuto fin dal primo giorno, ma sembrava che i suoi compagni non l’avessero accettato. Harry e Neville le avevano sempre detto che era un ragazzo assennato, ma lei fino a quel momento aveva visto il suo lato impulsivo e la tendenza ad autocommiserarsi e torturarsi da solo tipica di Remus Lupin.
Sperò ardentemente che i due gruppi ascoltassero il suo consiglio, altrimenti avrebbe mantenuto la sua minaccia. Si alzò pronta ad affrontare l’intera Scuola.
Aveva avvertito i Direttori di dover dare un annuncio, perciò non si stupì di trovare la Sala Grande più affollata del solito. Si diresse al suo tavolo e immediatamente attirò l’attenzione degli studenti. La sala piombò nel silenzio più assoluto.
«Buonasera» esordì. «Non ruberò molto tempo alla vostra cena o alle vostre attività serali, voglio solo annunciarvi che, da quest’anno, l’ultimo giorno prima dell’inizio delle vacanze natalizie, si terrà la Festa dell’Amicizia». Un leggero brusio si sollevò dai ragazzi, così fu costretta ad alzare il tono della voce. «L’obiettivo è quello di favorire l’amicizia tra le Case, perciò quella sera non dovrete indossare la divisa né nessun altro accessorio che indichi la vostra appartenenza a una Casa o un’altra».
L’annuncio ammutolì non solo i ragazzi, ma anche i suoi colleghi.

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Capitolo 14
*** La festa dell'Amicizia ***


Capitolo quattordicesimo
 







 
La festa dell’Amicizia
 
 




L’ufficio del professor Lumacorno doveva essere stato ampliato con la magia. Teddy non conosceva tutti gli uffici degli insegnanti – per fortuna -, ma a rigor di logica non avrebbero dovuto essere così grandi. Vero anche che nessun insegnante si prendeva la briga di organizzare feste private. Nessuno tranne Horace Lumacorno, naturalmente.
Teddy avrebbe preferito restarsene in Sala Comune con Mark, ma non aveva trovato una valida scusa da propinare al professore. Anche se, quest’ultimo, aveva annunciato che quella sera aveva in serbo una sorpresa per loro e il ragazzino e i suoi amici erano alquanto curiosi.
Teddy per l’occasione aveva indossato una veste elegante inviatagli dalla nonna – accompagnata da raccomandazioni di comportarsi bene.
«Secondo te che cos’è la sorpresa?» gli chiese Charis, anche lei vestita elegante, mano nella mano con Shawn Lattes che si era autonominato suo cavaliere.
«Non ne ho idea» rispose il ragazzino.
«Avrà sicuramente invitato qualche personaggio famoso. Di solito lo fa a Natale. Magari qualche vecchio allievo, tanto per vantarsi un po’» disse Shawn.
«Ehi! Io scommetto che sarà Viktor Krum!» gridò Laurence Landerson attirando l’attenzione di altri studenti nel corridoio.
Teddy alzò gli occhi al cielo.
«Perché proprio Krum? Non è stato allievo di Lumacorno» commentò sorpreso Shawn, che non conosceva il compagno di Casa.
«Che fai qui?» gli chiese Teddy sospettoso: Lumacorno non lo vedeva certo di buon occhio – e come dargli torto, considerati i disastri che aveva combinato a Pozioni nelle ultime settimane.
Il ragazzino sorrise e indicò Diana Webster, poco distante da loro. «Sono generoso, non potevo mica lasciarla sola nelle grinfie di Lumacorno».
Teddy strabuzzò gli occhi e Charis ridacchiò. «Tu e Diana non potete vedervi! Avrei potuto accompagnarla io! Non è necessario essere in coppia stasera, per fortuna».
«Ma ero in debito con lei» replicò Laurence come se fosse ovvio. «Per via della punizione, no?».
«No» disse Teddy avendo difficoltà a seguire il suo discorso. «Diana era lì di sua volontà quella notte».
«Sì, ma che c’entra? Lei è la secchiona, quindi è colpa mia» ripeté Laurence, raggiungendola.
«Non ha senso» borbottò Teddy, ma nessuno gli diede ascolto. Avrebbe preferito non ricordare la punizione, che aveva finito di scontare solo il giorno prima. In quelle settimane aveva mantenuto un profilo basso e tentato d’ignorare le provocazioni dei Serpeverde.
«Perché te ne stai sulla porta, Lupin? Ti hanno degradato da studente più promettente dell’anno a portiere?».
Ecco appunto. Teddy prese un bel respiro e fissò Antonin Dolohov dritto negli occhi.  «Che fai qui? Credevo che a Lumacorno i nipoti dei Mangiamorte non piacessero» ribatté a tono.
Dolohov gli lanciò un’occhiata di sfida. «Non sono così sciocco da attaccar briga in un posto dove ci sono tanti testimoni».
«Forse non sei così coraggioso» replicò Teddy.
All’improvviso qualcuno si schiarì la voce e i ragazzini furono costretti a spostare la loro attenzione: il professor Lumacorno li fissava incerto, ma ciò che colpì Teddy furono le due coppie dietro di lui.
«Signor Dolohov, come mai qui?» chiese Lumacorno.
«Sono l’accompagnatore della signorina Gould».
Nonostante la sua attenzione fosse tutta per gli ospiti, Teddy non poté non lanciare un’occhiata alla ragazzina in questione che si pose accanto al compagno di Casa. Bah, quella sera erano tutti impazziti.
«Ah, molto bene. Allora, accomodatevi, non rimanete sulla porta».
L’espressione di Lumacorno era quella di uno che si è appena mangiato un limone.
Teddy seguì i Serpeverde all’interno.
«Buonasera, buonasera a tutti!» trillò Lumacorno con il suo consueto tono da teatro. «Vi ho promesso una sorpresa, o sbaglio? Ebbene, guardate un po’ chi mi accompagna!». Gli studenti scoppiarono in acclamazioni sorprese. «Eh, sì, Harry Potter e la moglie Ginny, Hermione e Ronald Weasley».
Teddy gemette.
«Oh, perché non me l’hai detto?» gli urlò Charlie nell’orecchio.
Teddy si accigliò e la squadrò: «Che hai addosso?».
«Stai zitto, se non vuoi essere affatturato» replicò lei tirando i merletti del vestito. «Mio fratello James mi ha ricattato».
«Carino» ridacchiò e si beccò un pugno dalla compagnia. «Ahia!».
«Avresti dovuto dirmi che sarebbe venuta Ginny Potter! Non mi sarei vestita in modo così ridicolo».
Teddy si guardò bene dal fare altri commenti sui suoi vestiti.
«Ora presentamela» ordinò Charlie.
Il ragazzino fece una smorfia: non aveva voglia di affrontare il suo padrino. Non sarebbe dovuto andare a quella festa. Sbirciò gli ospiti e vide che erano accerchiati da un gruppo di studenti curiosi. «Appena si liberano un po’» borbottò.
«Ok, non mi freghi però».
Teddy sbuffò e, con Charlie appiccicata, si diresse al tavolo del buffet e si riempì un piatto.
Dopo un po’ furono raggiunti da Harry e Ginny. Il ragazzino per prendere tempo spinse avanti Charlie. «Vi presento Charlie, una mia compagna di Casa. Sai, Ginny, non vedeva l’ora di conoscerti».
Ginny sorrise e Charlie per poco non le saltò addosso. Dopotutto non era una ragazzina timida.
«Ho la divisa di quando giocavi nelle Holyhead!» strillò Charlie. «Mi firmi la pluffa? E la divisa? Ti fai una foto con me?».
Teddy si chiese se l’avrebbe mandata a quel paese, ma Ginny assentì e si lasciò trascinare via dall’esuberante Tassorosso.
«Finalmente soli» disse Harry. «O vuoi provare a evitarmi ancora?»
Teddy incrociò le braccia al petto e sfuggì il suo sguardo. «Non ci vediamo da settembre, come potrei averti evitato?».
«Le mie lettere sì, però. Le hai almeno lette?».
«Può darsi».
«Ti va se facciamo una passeggiata?».
«Tanto comandi tu, no?».
Harry sbuffò, ma non desistette. «Ho proprio voglia di rivedere la Sala Grande addobbata! Hagrid ha portato i soliti dodici abeti?».
«Sì» rispose a malincuore.
Quando furono nel corridoio deserto, Harry gli mise un braccio sulle spalle. Teddy s’irrigidì, ma non si divincolò: per quanto potesse essere arrabbiato, il suo padrino gli era mancato.
Harry non disse nulla e rispettò il suo silenzio per tutto il tragitto. Fortunatamente la Sala Grande era quasi deserta ormai. Harry non ebbe problemi a stringere la mano a un gruppetto di ritardatari e scambiò qualche parola con la professoressa McGranitt. Teddy fu sollevato che non parlarono di lui. Sarebbe stato imbarazzante!
Dopodiché Harry lo guidò nelle cucine. «La mia Sala Comune è qui» borbottò Teddy indicando le botti. «Non ho bisogno che tu mi dica dove sono le cucine».
Harry roteò gli occhi e disse: «Da quand’è che sei diventato così permaloso?».
«Non sono permaloso» ribatté Teddy scontrosamente.
Harry fece il solletico alla pera del ritratto rivelando così l’ingresso alle cucine di Hogwarts. Molti elfi si affollarono all’istante intorno a loro, salutandoli calorosamente.
«Ci preparereste una cioccolata calda con tanti biscotti al cioccolato, per piacere?» chiese loro Harry.
Gli elfi domestici, sebbene fossero impegnati a rassettare la cucina dopo la cena, fecero a gara a servirli. Teddy si accomodò al tavolo che, a occhio, doveva corrispondere a quello di Tassorosso nella Sala Grande e lanciò un’occhiata di sfida al padrino.
Harry sorrise e prese posto di fronte a lui.
«Non ti senti ‘mollaccione’ a sederti al tavolo dei Tassorosso?».
«Allora, non sei permaloso, hai solo voglia di provocarmi stasera» replicò Harry, sorridendo agli elfi che gli misero davanti una tazza fumante di cioccolata.
Teddy si strinse nelle spalle. «Non sei deluso che io sia un Tassorosso?».
Harry sbuffò. «Ancora con questa storia? Credevo fosse chiaro! Che ti prende, Teddy? Per me potresti anche essere un Serpeverde».
Il ragazzino fece una smorfia e prese una manciata di biscotti.
«Lo sai che George ha scommesso sulla Casa nella quale saresti stato smistato?».
«Davvero?» replicò il Tassorosso alzando gli occhi dalla sua tazza.
«Già. Naturalmente Molly non lo sa» specificò Harry.
«E chi ha vinto?».
«Oh, Charlie».
«Charlie?» ripeté sorpreso il ragazzino: vedeva lo zio solo un paio di volte l’anno, in quanto lavorava in una riserva di draghi in Romania e non si sarebbe mai aspettato che lui lo conoscesse più degli altri. «Ha tirato a indovinare?».
Harry ridacchiò. «È la stessa accusa che gli ha rivolto George, ma Charlie ci ha assicurato che non è vero».
«No? E come l’avrebbe capito?».
«Era molto amico di tua madre a Scuola e, secondo lui, tu le assomigli tanto».
Teddy deglutì e, pur di non parlare, bevve un lungo sorso di cioccolata calda, rischiando di scottarsi.
«E tu?».
«Io cosa?» domandò Harry.
«Tu cos’hai scommesso?».
«Corvonero» rispose Harry scoppiando a ridere di fronte alla sua espressione. «Alle volte sei così saccente, che ti avrei visto bene tra di loro. Tua nonna, invece, sperava che fossi un Serpeverde».
«Magnifico» borbottò Teddy. «Forse dovrei chiedere a zio Charlie di prendermi con sé».
«Non ci provare» lo ammonì Harry non riuscendo a trattenere un sorrisetto. «Ho sentito dire che zia Jane sia poco incline ad assecondare i capricci dei bambini».
«Io non sono un bambino!».
Harry si limitò a ridacchiare e a dedicarsi alla sua cioccolata. Quando finirono entrambi, ringraziarono e augurarono buon Natale agli elfi.
«Nevica» disse Harry osservando il paesaggio notturno fuori dalla finestra.
Teddy era stanco e si appoggiò al muro freddo per osservare meglio il suo padrino. «Sei arrabbiato con me?».
«Non più» rispose Harry. «Quando tua nonna mi ha mostrato la lettera della McGranitt, mi sono arrabbiato».
«Mi dispiace di essermi comportato in quel modo».
«Ma non di esserti battuto con quel ragazzino, vero?».
«Hai parlato con Neville?».
«Già, ma non sono potuto venire a darti una mano con i bagni».
«Ce l’ho fatta da solo» mormorò Teddy, ma non aveva più voglia di provocarlo.
«Smetti di cercare qualcosa che non puoi avere».
«Di che parli?».
«Della vendetta, Teddy».
Il ragazzino chinò il capo e strinse i pugni. «Ma…».
«Teddy, ragiona. Quel ragazzino è solo un prepotente, imbevuto di convinzioni che gli sono state trasmesse dalla sua famiglia, ma quando suo nonno ha ucciso tuo padre, lui non parlava nemmeno. Non otterrai nulla, rivalendoti su di lui. Ti abbasserai solo al suo livello. E fidati, i tuoi genitori sono stati vendicati: Dolohov è in prigione ed è troppo vecchio per nuocere a qualcuno, mentre Bellatrix Lestrange è stata uccisa quella notte stessa».
«Da chi?».
Harry lo fissò severamente e il ragazzino temette che non avrebbe ricevuto risposta. «Da Molly».
Teddy sgranò gli occhi. «Molly Weasley? Nonna Molly?».
«Sì, ma non lo dire a nessuno. I tuoi cugini non lo sanno e nemmeno James, Albus e Lily. Chiaro?».
Teddy annuì, sconvolto per la scoperta ma felice che Harry l’avesse ritenuto abbastanza grande da saperlo.
«Non ti volevamo mentire, ma solo proteggere e la tua reazione ha dimostrato che non eri pronto a scoprirlo». Il ragazzino si staccò dal muro e si gettò tra le braccia del padrino, che lo strinse a sé. «Va tutto bene» sussurrò Harry accarezzandogli la testa.
«Mi dispiace».
«Lo so. Quel ragazzino ti ha ferito».
Teddy era contento che il suo padrino lo capisse. «Nonna, però, mi ucciderà appena metto piede in casa».
Harry rise e gli scompigliò i capelli. «Tranquillo, la McGranitt ti ha punito a sufficienza. Te la caverai con qualche occhiataccia».
«Grazie» disse Teddy sinceramente. «Ora che facciamo?».
«Ora torniamo da Lumacorno o Ginny mi butterà fuori di casa».
Teddy scoppiò a ridere.
«Sì, sì, ridi tu».
 
 
 
*
 
 
«E Krueger prende la pluffa, si prepara al tiro e…».
«Ops» borbottò Enan nascondendo la testa in un cuscino giallo, mentre la Caposcuola si voltava furiosa verso di loro: Charlie, anziché colpire i suoi anelli immaginari, aveva preso in pieno il tavolo presso il quale Elly e i suoi compagni stavano studiando e aveva rovesciato un paio di boccette d’inchiostro.
Zoey scoppiò a ridere di fronte all’espressione arrabbiata della Caposcuola.
«Posso spiegare» disse subito Charlie.
Mark si nascose dietro al manuale d’Incantesimi.
Teddy e Charis s’interrogavano a vicenda sulle pozioni studiate fino a quel momento e ignorarono i tentativi di Charlie di movimentare la domenica pomeriggio.
Zoey si chiese perché dovessero essere tanto noiosi.
«Ah, sì, e come?» chiese severamente Elly, stringendo la pluffa tra le mani.
«Ieri sera ho conosciuto Ginny Potter e mi ha raccontato di quando ha segnato all’ultimo secondo…».
«Questa non è una motivazione valida per mettersi a giocare a Quidditch in Sala Comune» la interruppe Elly.
«Fuori nevica» replicò Charlie.
«Infatti ci avete vietato di uscire in cortile» intervenne Zoey intenzionata ad aiutare l’amica.
«Non è colpa mia se c’è maltempo» disse Elly, la cui espressione fugava ogni dubbi sul suo desiderio di vederle molto lontane dalla Sala Comune. «Qui, però, dovete accontentarvi di attività più tranquille».
Zoey scoppiò a ridere di fronte alle smorfie di Charlie.
La Caposcuola sbuffò e disse: «La pluffa è sequestrata».
«COSA? NON PUOI!».
L’urlo di Charlie attirò l’attenzione di tutti i Tassorosso, Teddy strillò facendosi da parte quando la compagna saltò sul divano dov’era seduto per raggiungere Elly.
«Sì, che posso» sbottò la Caposcuola sempre più arrabbiata.
«Tu non capisci niente!» continuò Charlie imperterrita. «Quella pluffa l’ha firmata Ginny Potter in persona! Non sei degna di toccarla».
«Te la restituirò quando la farai firmare dalla Preside in persona» replicò Elly, dando loro le spalle e avviandosi verso i suoi compagni. Molti ridevano.
«Ci vado subito» strillò Charlie.
«Ma dove vai, stai qui» la bloccò Teddy. «Scherzava. Non puoi chiedere una cosa del genere alla McGranitt!».
«Sì, evita» le consigliò Zoey. «A chi credi che darà ragione? A te o alla Caposcuola?».
Charlie sbuffò e si buttò sul divano, costringendo Mark a spostarsi per non essere schiacciato. «NON È GIUSTO!» gridò.
«Se non la smetti, non te la restituirà prima di partire» disse Enan sperando di farla ragionare.
«Ah, proposito», intervenne Zoey nel tentativo di cambiare discorso, «conoscete il film Genitori in trappola?».
«Il titolo mi sembra familiare» borbottò Teddy infastidito.
«Io, Charis ed Enan non abbiamo la televisione» ricordò Charlie.
«Lo conosco. È divertente» mormorò Mark.
«La tua famiglia di pazzi ti faceva vedere la tv?» chiese Zoey sorpresa.
«Zoey!» gridarono in coro Charis e Teddy.  Mark arrossì e distolse lo sguardo.
«Che c’è?».
«Sei insensibile» sbottò Teddy. «Non si dicono queste cose».
«Quando mio padre era lavoro e i miei fratelli a Hogwarts, non avevo molto da fare: o leggevo o guardavo la televisione» spiegò Mark.
«Senti, dobbiamo finire di ripassare» disse Teddy sventolando il libro. «Qual è il punto?».
«Non vi viene nulla in mente?» replicò Zoey.
«Oh, uno dei tuoi piani geniali? Racconta!» la sollecitò Charlie.
«Beh, praticamente nel film le due gemelle non si erano mai incontrate, poi in un campo estivo succede. Dopo i primi disaccordi, cominciano a capire che oltre alle somiglianze fisiche, c’è altro: i loro genitori. Così capiscono di essere sorelle. Alla fine del campo estivo, si scambiano per conoscere il genitore non avuto fino a quel momento».
Il silenzio seguì le sue parole.
«Cavoli» mormorò dopo un po’ Enan.
«No» intervenne Teddy. «Non l’ascoltare: è un film! La realtà è diversa».
«Sta, zitto tu» sbottò Charlie. «Questa è la soluzione, Enan!».
«Vorreste che Enan e Mulciber si scambino?» chiese Charis.
«Esattamente! È geniale!» commentò Charlie.
Zoey fu felice della sua approvazione.
«Ci penso» disse Enan, tacitando le proteste di Teddy. «Vado in camera».
«Complimenti» borbottò Teddy lanciando un’occhiataccia a Zoey e Charlie. Loro non si scomposero.
«Un’altra cosa» trillò Zoey.
«Un’altra?» sbottò Teddy, che aveva già ripreso il manuale di Pozioni in mano.
«Che fate a Natale?».
Teddy alzò gli occhi al soffitto da cui pendevano nastri colorati e galleggiavano delle candele.   «Sicuramente, sarò alla Tana».
Anche Charis e Charlie assicurarono che avrebbero trascorso le festività in famiglia.
«E tu Mark?» chiese Teddy.
«A casa anch’io» mormorò il ragazzino.
«Se non vuoi stare con tua sorella, puoi venire da me» propose a sorpresa Charlie.
«Beh, sì, anche da me» assicurò Teddy.
Charis lo invitò a sua volta.
Zoey pronunciò il medesimo invito, ma per quel poco che conosceva Mark, era sicura sarebbe stato inutile.
«No, no, grazie».
Mark era a disagio e, prima che potessero aggiungere altro, augurò loro la buonanotte e se ne andò in dormitorio.
«Andiamo anche noi? Non ce la faccio a stare qui e vedere la Montgomery» disse Charlie a Zoey.
«Sì, ok» assentì la ragazzina, che aveva voglia di divertirsi un po’.
 
 
 
*
 
 
 
L’ultimo giorno prima delle vacanze, Mark si sentiva molto nervoso al pensiero che presto avrebbe rivisto il padre. In più a casa non avrebbe potuto evitare Alexis, come ormai aveva imparato a fare.
«Tutto bene?» gli chiese Teddy.
«Sì, sì» si affrettò a sussurrare per non farsi sentire dal professor Lumacorno.
A Mark non piaceva per nulla Pozioni e il fatto che Alexis cercasse di metterlo nei guai non consegnandogli il calderone quando toccava a lui, lo rendeva sempre nervoso. Solitamente il professore non mancava di rivolgergli occhiate infastidite e, nel caso, togliere anche punti a Tassorosso. Quel giorno, però, era stato diverso: Lumacorno si era rivolto a lui in maniera gentile e quasi allegra – un’allegria a suo parere fuori luogo e che, di solito, riservava ai suoi prediletti –, non l’aveva rimproverato e gli aveva permesso di lavorare con Teddy. La scusa era stata che a Natale si è tutti più buoni, ma dalle occhiate, quasi bramose, che l’insegnante continuava a lanciargli, Mark aveva dei dubbi.
Nonostante questo strano comportamento di Lumacorno, le due ore trascorsero molto velocemente e i Tassorosso presero posto in un’aula al secondo piano, messa loro a disposizione in quanto non potevano uscire all’esterno a causa della neve e del freddo intenso.  
«Non era strano il professore oggi?» chiese Mark agli amici.
«Lumacorno è sempre strano» borbottò Enan mangiando un grosso pezzo di cioccolata, facente parte della scorta fornitagli dai suoi cugini all’ultima gita a Hogsmeade.
«Non era strano» disse Teddy quasi divertito. «Ti stava valutando».
«Ma come!? Ha detto che non avrebbe messo voti!» esclamò Mark preoccupato.
«Sì, infatti» sbottò Enan. «Non può fare così».
Teddy sbuffò. «Non valutare in quel senso. Ti stava osservando, Mark, soppesando».
«Non capisco» ammise il ragazzino.
«Nemmeno io» disse Enan.
«Ma secondo voi la McGranitt non ha detto a tutti i professori quella cosa?».
«Quale cosa?» replicò Enan.
«Quella capacità di Mark» ribatté Teddy abbassando ancora di più la voce per non farsi sentire dagli altri ragazzi presenti nell’aula.
Mark non ci aveva proprio pensato e fissò l’amico spaventato. Tutto sommato era logico: la Preside doveva avvertire tutti i professori. Anche se a lui non piaceva.
«Quella cosa non è da poco» insisté Teddy. «Scommetto quello che volete che al prossimo incontro del Lumaclub sarò invitato anche Mark!».
Il ragazzino gemette alla sola idea. Per il resto dell’intervallo si estraniò dalle chiacchiere dei due compagni e rilesse la lettera ricevuta a colazione. Suo padre finalmente gli aveva scritto, anche se solo poche righe, affermando che naturalmente doveva tornare a casa per le vacanze. Personalmente, il ragazzino non lo riteneva scontato, ma l’ultimo dei suoi desideri era contraddire il padre.
«Dai, andiamo» disse Teddy a un certo punto.
Mark recuperò lo zaino pronto a seguirlo.
«Dobbiamo proprio? È l’ultimo giorno prima delle vacanze!» si lamentò Enan.
«Non credo che alla professoressa interessi» replicò Teddy.
«Infatti è un’arpia, lei non conosce il vero significato del Natale, la bontà…».
«Dacci un taglio» sbottò Teddy ridacchiando.
Anche Mark sorrise.
«Dovrete trascinarmi!» decise Enan.
«E va bene» disse Teddy tirandolo per un braccio. «Mark, prendi l’altro».
Mark obbedì divertito, mentre Enan continuava a lamentarsi.
«Siete perfidi anche voi!» si lagnò il ragazzino, quando finalmente si mise in piedi e li seguì. «Babbo Natale non vi porterà regali».
«Ah, sì?» ribatté Teddy. «Mi sembra che quello che non voleva andare a lezione fossi tu».
Enan gli fece la linguaccia.
Mark sorrise ancora: a volte in loro compagnia si sentiva così leggero e felice!
Quando entrarono in classe la professoressa MacKlin era già seduta alla cattedra e rispose ai loro saluti con la solita fermezza. Charis li rivolse un sorriso di sollievo: non doveva essere divertente arrivare per prima e stare in classe da sola con l’insegnante. A maggior ragione se la professoressa in questione era Candida MacKlin.
Alla spicciolata giunsero anche i Grifondoro e proprio al suono della campanella entrarono anche Charlie e Zoey, beccandosi un’occhiataccia dall’insegnante, che però, stranamente, non le rimproverò, ma si rivolse a tutta la classe: «Ora, che siamo tutti», esordì ghignando, «ho pensato, per concludere bene questa prima parte dell’anno, di fare una verifica scritta sul programma svolto».
«Oggi?» chiese Charlie.
Mark fissò il banco, terrorizzato all’idea che la compagna facesse infuriare la professoressa come molte altre volte.
«Esattamente, Krueger».
«Ma non può» intervenne Zoey. «Non ci ha avvertito».
La MacKlin la fulminò con lo sguardo. «Credevo fosse chiaro che dovete essere sempre preparati».
«Ma domani iniziano le vacanze» si lamentò Jason Audley di Grifondoro.
«Ne sono a conoscenza» replicò la MacKlin. «A proposito di questo, vorrei ricordarvi di aprirli i libri e di non lasciarli a Hogwarts fino al vostro ritorno».
«Professoressa, mia madre è un’avvocatessa e dice che i compiti a sorpresa sono illegali» intervenne Hannah Carson.
Mark si chiese perché la professoressa, solitamente inflessibile, li stesse assecondando nelle loro lamentele.
«Gli insegnanti di Hogwarts godono di piena autonomia, Carson» rispose la MacKlin annoiata. «Ora, permettimi Turner», disse tacitando la protesta di Zoey, «non ho problemi ad ascoltarvi per tutta l’ora, ma non vi farò recuperare il tempo che state perdendo. Se, invece, questa è la vostra tattica per trascorrere l’ora senza lavorare, sappiate che mi limiterò a valutare la verifica come se me l’aveste consegnata in bianco».
Mark sollevò gli occhi dal banco e la fissò: ecco dov’era la trappola!
Nessuno fiatò mentre l’insegnante distribuiva le pergamene con le domande.
«Questo è profondamente ingiusto» disse Charlie scorrendo le domande.
«Venite a Scuola per imparare, Krueger. Non c’è nulla d’ingiusto».
Mark con un sospiro diede un’occhiata alla verifica e quasi sorrise nel rendersi conto di conoscere le risposte e si mise a lavoro.
«Turner, Krueger e Carson se non tacete, vi ritiro la verifica».
Mark ignorò gli sbuffi infastiditi di Charlie e continuò a scrivere.
«Mark», sussurrò a un certo punto Enan, «fammi leggere».
Il ragazzino lanciò un’occhiata alla MacKlin che passeggiava tra i banchi, si raddrizzò e spostò leggermente il foglio verso destra.
«Palmer, siediti composta» sibilò la MacKlin a un certo punto. La Grifondoro si era alzata in punta di piedi pur di leggere il compito di Peter Lux. «Oggi, siete davvero impossibili! Lo comunicherò ai vostri Direttori».
Magnifico, pensò Mark che sperava di non vedere il proprio Direttore fino a gennaio: li avrebbe rimproverati? I direttori come si comportavano in questi casi?
Alla fine dell’ora tutti consegnarono la verifica e uscirono dalla classe, chi lamentandosi della professoressa chi pensando al pranzo.
Enan mise un braccio intono al collo di Mark, che sussultò sorpreso. «Grazie, sei la mia salvezza!».
Mark arrossì.
«Sì, grazie, Mark» disse inaspettatamente Teddy che, però, sembrava infastidito.
«E dai, Teddy, non essere esagerato» lo redarguì Enan. «Hai pensato un brutto periodo, è logico che Trasfigurazione non fosse tra i tuoi pensieri».
«No, che non lo è» replicò il ragazzino, i cui capelli erano tra il rosso e il nero.
«Pensate che la professoressa parlerà veramente con McBridge?» chiese Charis avvicinandosi e, probabilmente, mal interpretando le loro espressioni.
«Secondo me sì» replicò Enan. «Una che fa una verifica l’ultimo giorno prima delle vacanze, figurati se non ci fa anche rapporto».
«E McBridge che farà?» chiese Mark preoccupato all’idea che potesse mandare una nuova lettera a casa.
«Non m’interessa» replicò Teddy. «Andiamo a mangiare».
«Che ha?» chiese perplesso Laurence Landerson che gli aveva raggiunti.
«Non sapeva alcune domande e gliele ho passate io» sospirò Enan.
«E tu le sapevi?» chiese sorpreso Laurence.
Enan gli lanciò un’occhiataccia. «Io le ho copiate da Mark» ammise sinceramente.
«Ah, ok» commentò Laurence. «Beh, allora vado a stuzzicare un po’ il mio secchione preferito».
Mark sgranò gli occhi. «Forse non avresti dovuto dirglielo».
«Laurence è geloso di me. Non sia mai che tenga un segreto con Teddy» replicò Enan. «Su, andiamo a mangiare anche noi. Non vedo l’ora di andare da Hagrid pomeriggio. Vuoi venire con me?».
«No, mi aspetta il professor Vitious, grazie».
«Ah, giusto. Fate sempre esercizi di concentrazione?».
«Sì, ma a gennaio dovremmo cominciare con qualcosa di diverso».
La lezione con Vitious fu impegnativa come di consueto, ma il professore sembrò apprezzare i miglioramenti del ragazzino.
«Mi raccomando, continua a esercitarti, specialmente la sera prima di dormire».
«Sì, professore».
«Buon Natale, Mark».
Il ragazzino sorrise leggermente per la gentilezza dell’insegnante. «Grazie, professore, auguri anche a lei».
Sentendosi stanco, Mark rientrò subito in Sala Comune, sperando che Enan e Teddy avessero preso qualche cosa da mangiare. Quella sera la Sala Comune era molto affollata e chiassosa, il ragazzino sorrise e tentò d’individuare i suoi compagni: li scorse in compagnia di Elly, che non sembrava molto contenta.
«Ciao» mormorò raggiungendoli.
«Ciao, Mark. Ti aspettavo» replicò Elly.
Il ragazzino prese posto accanto a Enan, che gli fece una smorfia.
«La professoressa MacKlin si è lamentata con il nostro Direttore perché ultimamente studiate di meno e stamattina eravate irrequieti durante la verifica. E con irrequieti intendo che cercavate di copiare, anche quelli dai quali non se lo sarebbe aspettata».
Mark fu sollevato dal fatto che McBridge non si fosse preso la briga di andare a rimproverarli, Teddy al contrario sembrava ancora più depresso di qualche ora prima. Era dispiaciuto per l’amico e lo comprendeva: fino a quel momento era stato il migliore in Trasfigurazione, dover chiedere aiuto all’improvviso doveva aver ferito il suo orgoglio.
«McBridge aveva altro da fare e noi dovremmo ascoltare la tua predica?» chiese in tono alquanto insolente Charlie.
Elly assottigliò gli occhi e sibilò: «Non mi provocare, ragazzina».
«Non ho paura di te» replicò Charlie.
Mark si chiese perché dovesse sempre comportarsi in quel modo con le persone più grandi.
«Cinque punti in meno per Tassorosso».
«Cosa?» sbottò Charlie. «Certo che sei stupida! Non puoi togliere punti alla tua Casa».
«Sì, che posso e, se non ti dai una calmata, ti becchi una punizione».
Charlie divenne paonazza per la rabbia, alla fine sbuffò: «Ah, sì? Allora mettimi in punizione, se ci tieni tanto!».
«Molto bene», replicò Elly arrabbiata, «Allora, ti aspetto domani pomeriggio».
«Domani pomeriggio?» ripeté Charlie sgonfiandosi.
«Sì, alle tre in punto».
«Ho già un impegno domani» tentò Charlie che sembrava aver perso la baldanza di prima. Mark e gli altri la fissarono sorpresi: non si era mai comportata in quel modo.
«Avresti dovuto pensarci prima» ribatté Elly severamente. «Quanto a voi altri, comportatevi bene e studiate. Le regole della Scuola valgono anche a Natale».
I ragazzini annuirono compuntamente, anche perché nessuno di loro avrebbe voluto provocare ulteriormente la Caposcuola.
«Beh, ci è andata bene» sospirò sollevato Enan.
Teddy si passò una mano tra i capelli e annuì.
«Bene, un’accidenti!» sbottò Charlie alzandosi e avviandosi a grandi passi al proprio Dormitorio.
«Ma che le prende?» replicò Enan sorpreso da quella reazione.
«Non lo so, vado da lei» disse Zoey.
Charis tentennò poi le seguì.
«Forse è meglio che andiamo anche noi» borbottò Teddy.
«Ma è prestissimo! E domani non abbiamo lezione!» protestò Enan. «Sul serio, Teddy, non succede niente se ogni tanto non sei il migliore».
«Sì, lo so, ma ho sonno».
Enan sbuffò mentre lo osservava allontanarsi.
Mark era molto stanco, ma per accontentarlo giocò una partita a sparaschiocco.
 
 
*
 
 
Si rigirò nel letto un paio di volte, ma alla fine si rassegnò al fatto che il sonno l’avesse abbandonata. Si mise a sedere e scrutò l’orologio sul comodino: era prestissimo! Sorpresa si rese conto che c’era una busta sconosciuta.
Alla signorina Charlotte Krueger.
Storse la bocca chiedendosi se si trattasse di uno scherzo e chi, ancora, osasse chiamarla con il suo nome completo.
L’aprì e srotolò la pergamena custodita all’interno. Scorse le prima parole e mugugnò: erano le istruzioni per il Ballo dell’Amicizia.
Annoiata, gettò pergamena e busta sul comodino e tornò a sdraiarsi.
Non le piaceva alzarsi presto, a meno che non fosse per fare qualcosa di divertente. Naturalmente era colpa della Montgomery. Come aveva potuto quella stupida metterla in punizione proprio quel giorno? Senza curarsi del fatto che avesse già dei progetti! E non poteva nemmeno rimandarli. Dopotutto che le avrebbe fatto la Montgomery se avesse saltato la punizione? L’avrebbe riferito a McBridge? Una perdita di tempo: quel professore non la rimproverava mai. Se, invece, avesse rinunciato ai suoi progetti, avrebbe rischiato molto di più: l’amicizia di Zoey.
Era la prima volta che aveva un’amica tutta sua e, benché Zoey avesse un interesse discutibile per la moda e i trucchi, era molto simpatica e coraggiosa.
La nostalgia che aveva Zoey di casa sua e del suo mondo era motivo di cruccio per Charlie, che si era ripromessa di mostrare all’amica quanto potesse essere fantastico il mondo magico. D’altronde con quelle lezioni noiose che dovevano frequentare ogni giorno, come avrebbe potuto scoprirlo?
Ai ragazzi più grandi era stata concessa una gita a Hogsmeade, quindi al castello sarebbero rimasti solo loro e quelli del secondo anno.
Charlie avrebbe voluto trascinare l’amica di nascosto al villaggio, ma a quel punto ci sarebbero stati troppi testimoni, perciò aveva deciso di organizzare qualcosa al castello.
Aveva pensato di portarla nel Bagno dei Prefetti, perché, in base a quanto le era stato raccontato da James e dai cugini di Enan, sarebbe sicuramente piaciuto a Zoey. Dopo sarebbero andate in Sala Grande per colazione e, una volta sazie, avrebbero cercato la famosa Stanza delle Necessità. Zoey sarebbe stata sicuramente colpita. Nel pomeriggio, invece, le avrebbe presentato sua cugina Josephine, che era sì una stupida smorfiosa ma era bravissima a pettinare i capelli con la magia. Infine si era fatta inviare due bellissimi vestiti della madre. Era sicura che Zoey sarebbe stata felicissima!
La Montgomery, però, le aveva rovinato il piano. Era assurdo che fosse così confusa! Di che cavolo aveva paura? Charlie sbuffò e tirò un pugno sul cuscino. La verità è che il giorno dopo sarebbe tornata a casa e voleva godersi il tempo con suo padre ed evitare conflitti; in più non voleva perdere altri punti.
Sbuffò ancora in preda al nervoso. Come avrebbe dovuto comportarsi? Mark e Teddy che cosa avrebbero fatto al posto suo? Non era possibile che si ponesse una domanda simile! Lei non ragionava come loro.
Spostò le coperte e si alzò: avrebbe chiesto direttamente a loro. Anzi solo a Mark, che sembrava così amico della Caposcuola! Si avviò a passo di marcia verso il dormitorio maschile: avrebbe dovuto risolvere quella situazione al più presto. In Sala Comune non c’era nessuno, d’altronde chi era il pazzo che il primo giorno di vacanze si alzava a quell’ora? Solo lei! Ed era colpa della Montgomery!
Non ebbe difficoltà a trovare la stanza dei ragazzi e spalancò la porta con forza. I tre addormentati non se ne accorsero neanche. Charlie si pentì di non avere una macchina fotografica: Enan dormiva tutto raggomitolato e abbracciato al cuscino. Ridacchiò e individuò Mark.
Sembrava ancora più piccolo sotto tutte quelle coperte. Comunque aveva troppo bisogno di lui, così, ignorando i sensi di colpa – Mark non le aveva mai fatto nulla ˗, lo scosse. Il ragazzino si svegliò di soprassalto, la fissò per qualche secondo, poi sobbalzò e arretrò contro la spalliera.
Charlie gli fece segno di tacere poggiando un dito sulle labbra e sedette sul bordo del letto. «Mi devi fare un favore».
«Ora?» replicò confuso il ragazzino.
«Sì» rispose lei. «Devi convincere la tua amica che non posso stare con lei oggi».
Mark impiegò qualche secondo a comprendere. «Cosa?».
«Zitto, che svegli tutti» lo redarguì Charlie.
Enan si era rigirato nel letto, mentre Teddy aveva continuato a dormire tranquillamente.
«Ma non posso» sussurrò Mark.
«Sì, che puoi. È tua amica!».
«Che c’entra? Io non posso mica dirle quello che può o non può fare!».
«Devi farmelo per favore» ribatté Charlie. «Non posso finire nei guai prima di tornare a casa».
«Allora sconta la punizione» disse Mark.
«No, non posso! Non capisci?».
«Che impegni hai?».
Charlie sospirò e gli raccontò tutto. «Ora capisci?».
«Sì» sospirò Mark.
«Le parlerai?».
«Sì, ma non ti prometto…».
«Grazie! Ci vediamo dopo» lo interruppe.
Charlie era contenta: ora che aveva risolto il problema, poteva tornarsene a letto almeno fino alle dieci.
In camera Zoey e Charis dormivano ancora per fortuna, così si sdraiò e si addormentò velocemente.
La prima parte del piano era filata liscia, come aveva immaginato Zoey aveva adorato il Bagno dei Prefetti e ammesso di non aver mai visto nulla del genere a Londra; mentre la colazione era stata abbondante e natalizia. Chissà com’era il Natale a Hogwarts?
«Quindi questa stanza è magica?» le chiese eccitata Zoey.
«Sì» confermò Charlie. «Uno dei cugini di Enan mi ha spiegato come trovarla».
«Quindi che cosa dobbiamo fare?» domandò Zoey appena raggiunsero l’aula di Trasfigurazione.
«Dobbiamo picchiettare i mattoni sul muro e dire la parola magica».
«Forte. Qual è?».
«Sesamo» disse Charlie ripetendo il movimento che le era stato insegnato, ma non accadde nulla. «Ci riprovo».
«Vabbè dai, non fa nulla» disse Zoey preoccupata che l’amica si stesse intestardendo e quasi prendendo a pugni il muro. Erano nel territorio della MacKlin.
«Deve funzionare! Sto sbagliando qualcosa!».
«Non stai sbagliando nulla».
Le due ragazze si voltarono verso Teddy appena uscito dall’aula di Trasfigurazione.
«E tu che fai qui?» gli chiese Charlie.
«Dovevo parlare con la professoressa» rispose Teddy. «La Stanza delle Necessità non si trova qui. Ho provato a dirtelo ieri sera a cena, ma tu mi hai ignorato».
«Ma i cugini di Enan…».
«Ti stavano prendendo in giro» sorrise Teddy.
«E dove sarebbe allora?» sbottò Charlie, appuntandosi di vendicarsi al ritorno a Hogwarts.
«Al settimo piano, venite».
Teddy le guidò fino all’arazzo di Barnaba il Babbeo e indicò la parete bianca di fronte. «Dovete camminare avanti e indietro per tre volte, pensando intensamente a quello che vi serve».
«È uno scherzo?» indagò Charlie.
«No, me l’ha detto Harry. È qui che si riuniva l’Esercito di Silente».
«Fantastico» disse Charlie per poi fare quello che gli aveva suggerito. Teddy nel frattempo spiegò a Zoey cosa fosse l’Esercito di Silente.
«Wow».
L’urlo di Charlie attirò l’attenzione degli altri due Tassorosso.
«La maniglia!» gridò ancora Charlie.
«Sì, l’abbiamo vista» ridacchiò Teddy avvicinandosi.
«No, tu, no».
«Come no?».
«È solo per me e Zoey. Tu puoi tornarci un’altra volta».
«Ma…».
«Niente ma, su».
Teddy sbuffò e se ne andò seccato.
Charlie fece passare prima Zoey. «Che ne dici?».
«Oh».
Charlie la seguì e osservò soddisfatta la stanza: era un’elegante sala da ballo con tanto di tavolino e poltrone per prendere il thè.
«È meraviglioso».
«Diciamo» borbottò Charlie che odiava quel genere di ambienti.
«Ci sono anche dei vestiti bellissimi».
Charlie si accigliò: forse aveva esagerato. Nonostante ciò non poté fare a meno di accontentarla e indossarne uno e giocare a prendere il thè come le signore. Sua madre non avrebbe mai dovuto vedere le foto di quella giornata!
Quando finalmente uscirono da lì, Zoey era molto felice e questo consolò Charlie, finché Mark non corse loro incontro.
«Charlie! Dov’eri finita?».
«Nella Stanza delle Necessità» replicò lei.
«La Stanza delle Necessità?» ripeté Mark perplesso. «Poi me lo spieghi. Sei in ritardo per la punizione!».
Charlie lo fulminò con lo sguardo. «Non hai parlato con la Montgomery?!».
«Sì, ma mi ha detto che non gliene frega niente e, se avessi protestato ancora, ti avrei fatto compagnia».
«E tu?».
«Sono stato zitto, naturalmente» rispose Mark, poi comprendendo quello che aveva detto aggiunse: «Non voglio finire nei guai».
«La Montgomery è una stupida».
«No, è solo stanca e nervosa. E tu sfidi la sua autorità».
Charlie imprecò e tentò di tirargli un calcio.
«Ehi!» si lamentò Mark.
«Ti avevo detto che era importante!».
«Non ho potuto fare niente».
«Ma per favore! Sei solo un fifone!».
«E va bene, vado a parlarle di nuovo» disse Mark.
«Ecco bravo, grazie».
«Che facciamo noi ora?» le chiese Zoey.
«Ti presento mia cugina Josephine».
«La Corvonero antipatica?».
«Sì, ma è molto brava con gli incantesimi che truccano e acconciano».
Zoey si divertì un mondo per tutta il pomeriggio e apprezzò molto il vestito scelto dalla madre di Charlie.
«Domani sul treno lanciamo delle caccabombe ai Serpeverde?».
A Charlie si illuminarono gli occhi e l’abbracciò di slancio: Zoey era fantastica, pazienza se le piacevano anche i vestiti e i trucchi.
 
 
*
 
 
Charis avvicinò le sue compagne a braccia incrociate.
«Oh, che bel vestito!» disse contenta Zoey vedendola.
«Sì, grazie» replicò Charis e poi si voltò verso Charlie. «Come hai potuto?».
«Non ho fatto nulla!» si difese Charlie. «Sono stata tutto il tempo con Zoey e quella stupida di mia cugina».
«Appunto!» replicò Charis. Non si arrabbiava spessp, ma quando lo faceva non si calmava facilmente. «Mark ha lucidato armature per tutto il pomeriggio, da solo!».
«Cosa? Ma non gliel’ho chiesto!» ribatté sorpresa Charlie. «Doveva solo convincere la sua amica Montgomery che l’avrei scontata un altro giorno la punizione. Se quella è così stronza da…».
«Mark si è fatto dire quale fosse la punizione e si è presentato da Gazza al tuo posto. E per Gazza uno studente vale l’altro» raccontò Charis. «Non è stato giusto, quindi ora fai qualcosa».
Charlie sbuffò, ma annuì.
Charis si accontentò e andò a cercare Shawn, che parlava con alcuni amici.
La Sala Grande era magnifica quella sera: dodici abeti erano posti sui due lati lunghi, ma ghirlande colorate erano sia all’ingresso sia dietro il tavolo dei professori; il soffitto era puntellato di candele, che apparivano come tanti puntini luminosi.
I quattro lunghi tavoli delle Case erano stati sostituiti da tanti tavolini rotondi con delle tovaglie rosse e al centro delle stelle di Natale.
Il messaggio trovato quella mattina sul comodino indicava anche il tavolo di appartenenza: gli insegnanti li avevano mescolati in modo che non avessero la tentazione di sedersi con gli amici e soprattutto con ragazzi esclusivamente della propria Casa.
«I professori hanno avuta molta pazienza a decorare la Sala» disse a Shawn.
«Prefetti e Caposcuola hanno dato una mano» replicò il Grifondoro. «Tu dove sei seduta?».
«Tavolo numero 15».
«Mi sa che stasera daremo i numeri. Come il gioco babbano. Hai presente la tombola?».
«No, che cos’è?».
«A Natale vedrai, di solito con gli altri ci giochiamo sempre. Chiedi il permesso a tuo zio».
«Non so se…».
«Ma, sì, perché dovrebbe dirti di no? Se vuoi dico a mia madre di parlarci lei».
«Va bene, grazie» mormorò Charis eccitata all’idea di rivedere gli amici babbani.
Shawn l’accompagnò al suo tavolo.
«Tu dove sei?».
«Centotre» ridacchiò il ragazzo.
Charis vide che uno dei dieci posti del tavolo era già occupato e rimase spiazzata.
Edward Burke fece una smorfia e alzò una mano in segno di saluto.
La ragazzina sorrise leggermente e salutò a mezza voce: ora la richiesta della Preside stava diventando chiara in tutta la sua portata. Non aveva niente contro i Serpeverde, non per nulla fu contenta quando Bertram Delaney, il Caposcuola verdeargento, si aggiunse a loro, ma non poteva dimenticare i dispetti degli ultimi tempi di Burke e dei suoi amici.
Charis non conosceva gli altri ragazzi che presero posto con loro, ma si presentò a sua volta quando Delaney li sollecitò a conoscersi, considerando che avrebbero dovuto cenare insieme.
Quando tutti presero, la Preside si alzò e attirò la loro attenzione. «Buonasera a tutti! Mi fa piacere che abbiate seguito le mie indicazioni. Ognuno di noi ha cara la propria Casa di appartenenza e mi rendo conto che questa festa possa sembrarvi insolita, ma ho ritenuto opportuno ricordarvi che Hogwarts ha una sola anima e non dobbiamo ricordarcene solo nei momenti di bisogno. Vi auguro buon divertito, naturalmente nel rispetto delle regole e di chi vi sta intorno».
«Patate al forno e pollo» scandì chiaramente Bertram Delaney fissando il proprio piatto.
Charis sgranò gli occhi: nel piatto del Caposcuola era apparso tutto quello che era stato chiesto. La ragazzina e gli altri imitarono immediatamente il Serpeverde.
La Tassorosso cercò con lo sguardo gli amici, ma intravide solo la chioma colorata di Teddy che chiacchierava tranquillamente con Austin Lattes, il fratello di Shawn.
La cena trascorse tra le risate e le chiacchiere dei ragazzi, che non ebbero troppi problemi a interagire con compagni di età e di Case diverse.
In alcuni casi l’assegnazione dei tavoli si rivelò persino interessante: Charlie, per esempio, aveva ritrovato Robin, lo strano Serpeverde che aveva aiutato lei e Sam Fields a ritrovare la loro Sala Comune, e Peter Andrews, l’antipatico Capitano della squadra di Quidditch di Tassorosso, che cercò di provocare per tutta la cena.
Dopo aver mangiato, fu messa della musica anche se a volume non troppo elevato e alcuni ragazzi più grandi ne approfittarono per ballare; i più piccoli per lo più si radunarono a gruppetti per chiacchierare o giocare.
Charis raggiunse Teddy per salutare Austin.
«Ma tu lo sapevi?» le chiese Teddy.
«Cosa?».
Il ragazzino le indicò un punto ai margini della pista da ballo improvvisata. Charis rimase perplessa: «Ma quelli sono i tuoi amici Laurence e Diana?».
«Già» replicò Teddy basito. «E stanno ballando. Ho paura che Laurence sia stato incantato».
«A me sembra che stia bene».
«Laurence non sopporta Diana e odia ballare».
Charis si strinse nelle spalle. «Domani torniamo a casa, se è stato incantato i suoi lo vedranno».
«Avviciniamoci» decise Teddy.
Così raggiunsero i due compagni, che li videro e sorrisero.
«Ballate? Insieme?» chiese loro Teddy.
«Ho perso una scommessa» disse subito Laurence. «Lo sai che odio ballare».
«E su che cosa avete scommesso?».
«Una data di Storia della Magia» replicò Laurence con un’alzata di spalle.
Diana ridacchiò.
«Beh, scusate, sono un Grifondoro devo mantenere la parola data».
«Non capisco» disse Teddy.
«Che cosa?» chiese Charis che non comprendeva perché si fosse fissato tanto con quella storia.
«Laurence fa schifo in Storia della Magia, perché ha scommesso con Diana su una cosa simile?».
«Per gioco?» rispose Charis.
Teddy non sembrava molto convinto, ma annuì.
«Che facciamo?».
«Samuel Harper ha organizzato un torneo di gobbiglie fuori».
«Ok, sembra divertente».
 
 
 
*
 
 
Enan gridò quando le carte scoppiarono bruciacchiandogli la camicia. Gli altri risero.
«Sei fuori, Macfusty» disse un Grifondoro del secondo anno.
Il ragazzino annuì e lasciò il posto a un compagno che voleva tentare. Durante la cena aveva intravisto Hagrid e gli sarebbe piaciuto farsi raccontare qualche altro aneddoto sul vecchio professore di Cura delle Creature Magiche.
«Enan!».
Charlie lo raggiunse e gli chiese: «Dov’è Charis?».
«Non lo so. Giocavo a sparaschiocco. Perché?».
«Dovevo dirle una cosa» sbuffò Charlie. «La dico a te e gliela riferisci tu, ok?».
«Non glielo puoi dire dopo?».
«No, mi stanno aspettando» replicò lei indicando un ragazzino con la mano.
«Chi è?».
«Robin. Sta al secondo anno, Serpeverde. È simpatico».
«Da quand’è che frequenti i Serpeverde?».
«Non lo frequento» replicò Charlie infastidita. «Allora, lo riferisci o no questo messaggio a Charis?».
«Se ci tieni tanto».
«Dille che ho parlato con la Montgomery e le ho confessato tutto…».
«Di che parli?».
«È una storia lunga» tagliò corto lei. «Ho chiesto anche scusa a Mark. Mi sono beccata una doppia punizione al ritorno delle vacanze».
«Complimenti» disse sarcastico Enan.
«Ci vediamo domani mattina» replicò Charlie ignorandolo.
«A domani».
Il ragazzino si guardò intorno per decidere che cosa fare.
«Ehi, Macfusty» lo chiamò un compagno di Artek. «Stiamo andando a fare una partita a palle di neve. Vieni?».
«Oh, perché no? Sembra divertente».
Enan si avviò verso l’Ingresso, ma fu bloccato da Thomas Mulciber che lo trascinò in un angolo tranquillo.
«Che vuoi?».
«Ci ho riflettuto a lungo» disse Mulciber. «Voglio conoscere mia madre».
Enan lo fissò a occhi sgranati. «Cosa?».
«Hai capito. Voglio conoscerla».
«Non so se mi viene a prendere alla stazione».
«E se non viene?».
«Non lo so, magari potresti venire a casa mia durante le vacanze».
«Così tutti vedono che siamo identici».
«Prima o poi lo scopriranno».
«E se ci dividono? Voglio conoscere mia madre!».
«L’hai già detto!» sbottò Enan.
«E quindi?».
Enan ci aveva pensato anche, ma la sua mente si era bloccata su quel film babbano. Sospirò e lo raccontò a Mulciber.
«Vuoi che ci scambiamo?».
«Non lo so» ammise Enan, anche perché in fondo era quello che ci avrebbe guadagnato di meno: non avrebbe rivisto sua madre dopo mesi e non avrebbe mai incontrato suo padre rinchiuso in prigione.
«Va bene».
«Eh?». Non si aspettava che l’altro accettasse tanto velocemente. «Ma è una pazzia!».
«Voglio conoscere mia madre» ripeté nuovamente. «Hai paura di finire nei guai?».
Enan sapeva che voleva provocarlo, ma in questo caso era inutile: era troppo folle! «Non possiamo, tu non…».
«Io voglio…».
«Ho capito» sbottò Enan. «Ma io non sono sicuro di voler conoscere i tuoi zii».
«Se siamo gemelli, sono anche i tuoi».
«Sì, ma… Non so…». Insomma di zii ne aveva un’infinità e non ne aveva mai sentito la mancanza.
«Sono solo due settimane!» insisté Mulciber.
Enan si mordicchiò il labbro: il Serpeverde sembrava sincero. «Ma tu non conosci i miei» tentò di ragionare. «Ci scopriranno subito».
«Come hanno fatto in quel film babbano?».
Enan si passò una mano tra i capelli e disse: «Le gemelle si sono preparate in anticipo. Andiamo a sederci, ho molte cose da dirti».
«Ok» assentì Mulciber che sembrava più concentrato in quel momento che a lezione.
Enan raccontò di suo nonno, dei suoi zii e dei suoi cugini; gli descrisse la casa e le varie abitudini della famiglia. «Ah, dobbiamo scambiarci i vestiti. Mia mamma se ne accorgerebbe subito».
«Domani mattina sul treno?».
«Mi sembra la cosa migliore. Meno persone lo sanno, meglio è».
«Non lo dirò a nessuno».
«No, vabbè, ai tuoi amici lo puoi dire. Io lo dirò ai miei, insomma potrebbero aiutarci».
«Dillo a chi vuoi, io non lo dico a nessuno».
«Ehm, come vuoi» mormorò Enan, dispiaciuto per lui. «Allora, parlami dei tuoi… degli zii…».
Mulciber si strinse nelle spalle. «Non sono male. Rompono un po’, sai regole, studiare… come tutti gli adulti… Che vuoi che ti dica?».
Enan provò a essere paziente: aveva parlato per più di un’ora della sua famiglia e lui gli chiedeva che cosa volesse sapere?! «Come si chiamano? Che lavoro fanno?».
«Robert e Amelia. Lo zio lavora al Ministero, non so che cosa fa…».
«Non sai che lavoro fa?».
«Lavora al Ministero» ripeté Mulciber. «Mia zia è una guaritrice».
«E i tuoi cugini?».
«Michelle ha nove anni, Benji sei. Michelle è dispettosa, antipatica e fa sempre guai; Benji è succube di sua sorella. Che altro vuoi sapere?».
«Com’è la casa?».
«Una villetta con un giardino. Alla fine di un villaggio babbano».
Enan si chiese perché dovesse tirargli di forza le informazioni. «C’è qualcosa di particolare che dovrei sapere? Forse qualche regola?».
«Parla poco con tutti e vai tranquillo».
Magnifico! In che guaio si era messo?!

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Capitolo 15
*** Ritorno dolceamaro ***





Capitolo quindicesimo
 
 







 
Ritorno dolceamaro
 
 





Mark, sempre più inquieto, si appoggiò sul sedile tentando di concentrarsi sulla discussione dei compagni.
«Sei sicuro di volerlo fare?» chiese Teddy, palesemente preoccupato. I suoi capelli si erano scuriti da quando Enan aveva raccontato loro l’accordo stretto la sera prima con Thomas Mulciber. «Mi sembra una pazzia. Non sai che tipo di persone sono».
«Se hanno cresciuto Mulciber…» borbottò Zoey.
«E i Mulciber non hanno una bella fama, anzi: il padre di Mulciber è ad Azkaban» aggiunse Charlie, stranamente seria.
«Nemmeno tu sei d’accordo?» esclamò Enan.
Charlie sbuffò. «L’idea è buona, ma quella gente potrebbe essere veramente pericolosa».
«A me non piace per niente, non lo fare Enan» di Charis spaventata.
«Ma loro non saprebbero che Enan non è Thomas!» intervenne Zoey. «Non farebbero mai del male a loro nipote».
«Questo è anche vero» concordò Charlie.
«Non ho una soluzione migliore» sospirò Enan. «E Thomas vuole conoscere mia… nostra… insomma vuole conoscere la mia famiglia. E io voglio cercare i certificati di nascita».
«Ma magari tua madre ti ha tenuto ogni cosa nascosta perché tuo padre e la sua famiglia sono pericolosi!» commentò Teddy.
«E se anche fosse?» replicò Enan, tormentato da quel dubbio e anche dalla consapevolezza che non avrebbe rivisto la madre e, di conseguenza, avrebbe dovuto attendere fino a giugno!
«Potresti essere in pericolo!».
«Beh, quando Dolohov ti ha detto chi ha ucciso i tuoi genitori, hai tenuto il broncio al tuo padrino per settimane» disse Charlie.
Teddy la fissò con rabbia: «Non è la stessa cosa».
«Sì, che lo è».
«No, che non lo è».
«Smettetela!» sbottò Zoey.
«Ho dato la mia parola a Thomas, lo farò» sentenziò allora Enan.
Il silenzio scese sullo scompartimento per un po’, ognuno dei ragazzi si perse nei propri pensieri e nelle proprie paure.
«Ragazzi» disse all’improvviso Enan. «Io e Thomas abbiamo pensato che è meglio scambiarci già sul treno: ci cambieremo in un bagno e…».
«Mulciber non verrà qui, vero?» lo interruppe Charlie.
«I miei cugini vi conoscono, si aspetteranno di vedermi con voi e dopo non avremo la possibilità di scambiarci».
«Non lo voglio qui».
«Non possiamo fare altrimenti».
«Dì ai tuoi cugini che abbiamo litigato» propose Charlie.
«E basta, Charlie, sopporteremo Mulciber per mezz’ora» disse Teddy e tutti lo guardarono sorpresi.
«Grazie» gli disse sinceramente Enan.
«Sarà per questo che il Cappello mi ha smistato in Tassorosso» sospirò il ragazzino, stiracchiandosi e fissando il cielo buio.
«Allora, che farete a Natale?» chiese Zoey per allentare la tensione in attesa dell’arrivo del Serpeverde. «I miei hanno detto che posso invitarvi qualche volta. Vi va?».
«Certo» disse ancora infastidita Charlie.
«Devo chiedere a mia nonna» replicò Teddy.
«Grazie per l’invito» mormorò, invece, Charis leggermente imbarazzata.
«Ma, scusa», intervenne Charlie, «ma tu con il padrino che hai non puoi fare quello che vuoi?».
Teddy alzò gli occhi al cielo, contrariato. «Ma che c’entra?».
«C’entra, è giovanissimo! E poi è Harry Potter! Puoi fare quello che vuoi!».
«Sì, come no» borbottò Teddy.
In quel momento sopraggiunse Mulciber.
I cinque Tassorosso lo fissarono sconvolti: Thomas Mulciber con la divisa giallo-nera era fuori da normale, ma il problema era che, se non avessero saputo la verità, avrebbero potuto scambiarlo veramente per Enan.
«Eccovi, non vi trovavo» disse seccato.
Quell’espressione era totalmente estranea allo spensierato e allegro Enan, chissà quanto sarebbe durata la loro copertura.
I ragazzini lo salutarono sommessamente, ma da quel momento in poi rimasero in silenzio fino all’arrivo alla stazione di King’s Cross.
Scesero insieme salutandosi e augurandosi buon Natale – furono costretti a mostrarsi gentili anche con Mulciber per essere credibili ˗ e cercarono le rispettive famiglie.
 
 
Enan era sempre più insicuro della decisione presa: in compagnia di Dolohov e Burke si era sentito a disagio per tutto l’ultimo tratto. Sinceramente non comprendeva come Mulciber potesse sopportarli: Dolohov era arrogante, antipatico e prepotente persino con quelli che avrebbero dovuto essere suoi amici; Burke era snob, taciturno e sottomesso, molto intelligente ma non in grado di esprimere la sua opinione.
Per fortuna, però, lui e Mulciber si erano scambiati proprio alla fine del viaggio.
Quando scese dal treno, indossando una veste da mago che gli dava fastidio – a casa indossava abiti di foggia babbana, perché erano molto più comodi per lavorare nella riserva ˗, automaticamente cercò con gli occhi i suoi cugini e, dopo qualche minuto, adocchiò la madre percependo una stretta al cuore. S’immobilizzò, mentre gli altri studenti lo superavano e si facevano largo nella calca. Proprio in quel momento Mulciber si avvicinò a sua madre e lei lo abbracciò. Enan fu costretto a distogliere lo sguardo colmo di lacrime e si calcò il cappuccio del mantello sulla testa: non voleva che la madre lo vedesse. Si sentì smarrito e solo: forse avrebbe dovuto lasciar perdere, raggiungere la madre, gli zii e i cugini prima che prendessero la passaporta per tornare a casa.
«Thomas! Accidenti, ti ho chiamato un sacco di volte! Non sei nemmeno arrivato e inizi a farmi perdere la pazienza!».
Un uomo alto e giovane gli strinse la spalla. Enan si voltò a fissarlo spaventato: chi era? Lo zio di Mulciber?
«Beh, che hai? Perché stai piangendo?».
Enan, anziché rispondere, pianse più forte: non era da lui! Lui non piangeva mai! Era il ragazzino più forte dell’isola e tutti l’ammiravano! Che cosa gli era accaduto?
L’espressione dell’uomo divenne perplessa. «Andiamocene» borbottò.
Per un attimo Enan oppose resistenza.
«Ma che hai?» sbottò Robert Mulciber.
Il ragazzino non rispose, ma lo seguì: era tardi ormai, doveva seguire il suo piano. S’impose di calmarsi, mentre si allontanavano dalla stazione. In suo aiuto venne la smaterializzazione, che lo mise sottosopra. Lo zio lo aiutò a rialzarsi continuando a fissarlo stranito. Si trovavano in un bel giardino innevato, ma sotto la neve emergevano degli alberi e delle aiuole gelide, che dovevano essere floridi nella bella stagione. Come aveva fatto alla stazione, l’uomo si occupò del suo baule, ma questa volta usò la magia. Enan lo osservò in silenzio e lo seguì intimorito per quello che avrebbe visto all’interno della villetta.
«Siamo tornati!» annunciò Robert nell’ingresso.
Un’ondata di calore accolse piacevolmente Enan, che si rilassò. Almeno Mulciber non viveva in un castello cupo e freddo, come avevano ipotizzato Zoey e Charlie. Inoltre un buon odore colpì immediatamente le sue narici.
«La cena è quasi pronta» rispose una voce femminile.
L’uomo esiliò il baule al piano di sopra e si avviò lungo il corridoio. Enan incerto lo seguì.
«Thomas! Come stai?» chiese la donna dopo aver baciato quello che doveva essere il marito.
Enan aveva pensato che Mulciber avesse degli elfi domestici o dei camerieri, ma a quanto sembrava quelli erano i suoi zii.
La donna era di mezz’età, ma ancora molto arzilla e con un’espressione decisa e vivace. Le si avvicinò incerto e le sorrise. Era stata una pessima idea quella dello scambio, ma almeno non sembravano dei pazzi.
«Perché non vai di sopra a cambiarti e metterti comodo? Mangeremo tra una mezz’oretta massimo».
Enan annuì e meccanicamente tornò nel corridoio; mentre usciva dalla cucina sentì lo zio Robert dire: «Stasera è strano. Alla stazione non mi rispondeva e l’ho trovato che piangeva».
«Piangeva?».
Il ragazzino si allontanò troppo imbarazzato per ascoltare una conversazione del genere e salì le scale, non avendo ben idea di dove andare. Aveva disegnato rapidamente la propria casa e il circondario perché Mulciber non si perdesse, ma quello stupido non si era preoccupato di fare altrettanto.
Vagò smarrito per il corridoio, finché non si decise ad affacciarsi a una porta semichiusa da cui provenivano delle voci infantili. «Ciao» mormorò.
«Ah, vattene!» strillò una bambina dai lunghi capelli castano chiaro.
Enan fece appena in tempo a evitare un cuscino, che batté contro il muro alle sue spalle. «Ehi» si lamentò.
«Ehi, cosa?» rispose a tono la bambina. Gli ricordò molto Charlie. «Perché non sei rimasto a Hogwarts?».
«Ciao» mormorò il più piccolo.
«Ciao, Benji» replicò Enan felice di aver convinto Mulciber a dirgli almeno i nomi dei suoi familiari.
«Non parlargli» sbottò Michelle. «Non ti ricordi che ti ha distrutto l’aquilone quest’estate?».
Michelle si avvicinò e gli sbatté la porta in faccia.
Enan sospirò e si disse che sarebbe stato molto difficile. Sperando che non salisse nessuno da sotto, sbirciò dietro ogni porta finché non trovò una stanza che doveva essere quella di Mulciber: era molto ordinata, d’altronde era stato a Hogwarts per mesi, un pesante copriletto blu copriva il letto vicino alla finestra, vi erano alcuni poster di giocatori di Quidditch e nella libreria c’erano persino dei bei modellini di scope da corsa. La finestra era grande e di giorno doveva illuminare tutta la camera. Il ragazzino incerto sedette sul letto e si coprì il volto con le mani.
«Thomas».
Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse rimasto in quella posizione, ma sobbalzò al suono della voce della zia.
«Stai bene?».
«Sì» rispose in fretta.
«E allora perché non ti sei cambiato?».
«Prendo una veste» disse Enan muovendosi verso il baule di Thomas.
«Ma, no, mettiti qualcosa di comodo» lo contraddisse la zia andando all’armadio e tirando fuori una felpa e un paio di pantaloni di tuta.
Il ragazzino prese quei vestiti con un certo sollievo.
«Sei sicuro di star bene?».
Enan annuì.
«Allora cambiati, lavati le mani e scendi giù».
Enan obbedì meccanicamente, anche perché non aveva idea di come comportarsi.
Il profumo che aveva percepito entrando in casa rispondeva perfettamente all’ottimo sapore dello stufato che la donna gli mise abbondantemente nel piatto. Meno piacevole furono gli sguardi minacciosi che gli rivolse Michelle per tutto il tempo. Per avere nove anni incuteva timore. Benjamin invece sembrava molto più tranquillo e silenzioso.
Alla fine della cena, i due bambini corsero a giocare in salotto sul tappeto vicino al camino acceso. Enan si prese del tempo per osservare la stanza: vi era un albero di Natale nell’angolo vicino al camino e alla base vi erano già diversi pacchetti. Il ragazzino si appoggiò al divano di pelle chiara senza il coraggio di sedersi e fissò per un po’ i più piccoli, Michelle non gli avrebbe mai permesso di unirsi a loro.
«Thomas, dobbiamo parlare».
Enan si voltò verso lo zio Robert così velocemente da farsi male al collo. Quando un adulto usava quel tono non era mai un bene. Eppure non aveva fatto nulla da quando era arrivato! Non avendo altra scelta, lo seguì in quello che doveva essere il suo studio.
«Io lo so a che gioco stai giocando e sappi che non funzionerà».
Il ragazzino lo fissò perplesso: non sembrava aver capito che lui non era Thomas, perciò di che cosa lo stava accusando?
Lo zio Robert sembrò infastidirsi. «Non fare il finto tonto! Ho ricevuto la lettera della Preside e quelle di Lumacorno!».
Oh, oh, era per quello che era arrabbiato! Avrebbe dovuto immaginarlo!
«I tuoi voti sono pessimi e sul tuo comportamento non ho nemmeno parole» continuò l’uomo.
Eh, bravo, Mulciber, pensò seccato Enan. Si era impegnato tanto per raggiungere dei risultati decenti a Scuola e si beccava la ramanzina destinata a quello stupido Serpeverde.
«Ringrazia che fra due giorni sarà Natale, ma se non ti metti a studiare seriamente durante queste vacanze, faremo i conti. È chiaro?».
«Sì, signore» rispose meccanicamente Enan. Mulciber gliel’avrebbe pagata.
«Domani mattina andrai con tua zia e i tuoi cugini a Diagon Alley e ti comporterai bene».
«Sì, signore» ripeté Enan. Avrebbe potuto andargli peggio, no?
Lo zio Robert lo fissò stranito per qualche minuto. «Sei avvertito» concluse. «Ora fila a letto».
Sollevato Enan gli augurò la buona notte, lasciandolo ancora più perplesso. Ma che genere di rapporti aveva Mulciber con i suoi zii? Fu comunque un sollievo momentaneo perché quando si rintanò sotto il piumone, la nostalgia lo colse e trascorse parte della notte a fissare la luna, convinto che quella che si vedeva dalla sua camera a Jura fosse molto più luminosa.
 
 
 
*
 
 
Teddy salutò Mulciber ma quello lo ignorò.
«Lascia stare» gli sussurrò Charis. Zoey e Charlie si erano già mescolate alla folla.
Teddy annuì e tentò di farsi largo in mezzo agli altri studenti alla ricerca di Harry e degli altri.
«Guarda!» strillò Charis per farsi sentire al di sopra della confusione. «Mio zio e il tuo padrino sono lì insieme».
Il ragazzino impiegò qualche secondo prima di focalizzare il punto indicatogli dall’amica, poi i due Tassorosso si avviarono insieme in quella direzione.
«Zio» trillò Charis gettandosi tra le sue braccia.
Teddy ebbe un momento di titubanza: dov’erano gli altri? Harry era solo. Si aspettava di trovare tutta la famiglia alla stazione e di dover parare uno degli assalti di James. Abbracciò rapidamente il suo padrino, che gli scompigliò anche i capelli.
«Dove sono gli altri?» non riuscì a trattenersi.
«A casa».
«Beh, sì i bambini sono piccoli no? Fa freddo…».
Harry lo fissò scettico e poi sorrise ponendogli un braccio attorno al collo. «Vengo direttamente dal Ministero. Lo sai che sotto Natale faccio sempre qualche straordinario in modo da poter stare con voi più tempo. Ginny e Andromeda ti stanno preparando una cenetta di bentornato».
Teddy sorrise e si diede dello stupido.
«Auguri, Teddy!» disse Charis abbracciandolo e baciandolo sulla guancia.
Il ragazzino ricambiò gli auguri e strinse la mano anche all’Auror Williamson, poi si congedarono.
«Quindi mangiamo da te stasera?» chiese a Harry appena rimasero soli.
«No, a casa tua. Preparati perché Jamie, Al e Lily ti stanno attendendo con ansia per una missione importante».
«Una missione importante?» ripeté Teddy.
«Sì, tua nonna ha voluto aspettarti per decorare la casa».
«Non ha ancora fatto l’albero?». Teddy era stupito, ma allo stesso tempo contento.
«No, tocca a te farlo. Tua nonna dice che non può sempre fare tutto lei».
Il ragazzino ridacchiò.
I due si diressero verso la saletta della stazione dov’era sito un camino usato proprio per gli spostamenti. Teddy fu il primo a usarlo e scandì la destinazione, come gli era stato insegnato.
Appena arrivò ˗ più propriamente scivolò sul tappeto ˗ fu accolto da gridolini e circondato dalle tre piccole pesti.
«Teddiii».
«Ciao, ragazzi» esclamò il ragazzino entusiasta. Lily gli stampò un bacio appiccicoso sulla guancia.
«Abbiamo rubato i biscotti» gli comunicò James porgendogliene uno mezzo sbriciolato, probabilmente l’aveva tenuto in serbo per lui stretto nel pugno.
«Sono stati loro» specificò Al puntando il dito.
Lily gli fece la linguaccia.
Teddy rise e fermò James che si stava per lanciare sul fratellino.
«James Sirius Potter».
«Ciao, Ginny» saltò su Teddy e l’abbracciò, evitando a Jamie una meritata ramanzina.
La donna ricambiò la stretta e gli diede un bacio sulla testa; pochi secondi dopo il ragazzino si ritrovò tra le braccia della nonna.
«Non soffocatelo» scherzò Harry, che li aveva raggiunti.
«Albero» gli disse Al sventolando delle palline rosse.
«Oh, sì» replicò Teddy, felice di essere tornato a casa.
«Forse è meglio che sali su a cambiarti, così ceniamo» suggerì la nonna.
«Ho una fame» ammise il ragazzino e annunciò ai piccoli che la missione albero sarebbe stata rimandata al dopo cena. Salì al piano di sopra di corsa con l’intenzione di cambiarsi e sciacquarsi velocemente il viso.
«Non hai mangiato nulla sul treno?» gli chiese Harry portandogli il baule in camera.
«Sì, ma sono trascorse ore».
Harry ridacchiò. «Allora, sbrigati. Andromeda e Ginny hanno preparato i tuoi piatti preferiti».
«Magnifico» s’illuminò il ragazzino.
La cena fu sontuosa e Teddy, appena finì, si adagiò alla spalliera della sedia, beandosi di quell’atmosfera familiare. Non si era reso conto che gli mancasse tanto.
«Andiamo!» ordinò James tirandolo per un braccio. Albus li raggiunse immediatamente, desideroso di essere coinvolto. Teddy obbedì all’istante e prese Lily in braccio, che allungava le braccine verso di lui e strillava.
L’abete, anche se spoglio, troneggiava già nell’angolo vicino al caminetto, che emanava un piacevole tepore. In attesa del suo arrivo, i tre bambini avevano già disseminato metà delle decorazioni sul divano e sul tappeto.
«Voi due mettete le palline nella parte bassa» istruì Al e James, che scattarono subito.
«Lily, io e te le mettiamo in alto».
La bambina ridacchiò contenta.
Teddy si rese conto che sarebbe stato più difficile del previsto: Lily era più pesante di quanto ricordasse, mentre Jamie fregava le palline ad Al, impedendogli di appenderle. Fortunatamente gli adulti accorsero in loro aiuto; in particolare Harry, invece, prese in braccio Lily in modo che Teddy potesse rilassarsi un pochino. In questo modo non impiegarono molto a concludere il lavoro, anche perché Ginny intervenne perentoriamente sia per dividere Jamie e Al, sia per impedire che il primo legasse il secondo con i nastri dorati.
Inoltre Harry insegnò a Teddy alcuni incantesimi per decorare meglio il salotto anche nei punti più alti, poi si spostarono in cucina, dove per concludere la serata, la nonna preparò la cioccolata calda per tutti.
La decorazione che piaceva di più a Teddy era un’enorme slitta di Babbo Natale che la nonna ogni anno metteva sulle mensole del camino. Era così ben fatta, che sembrava quasi vera.
«Teddy» lo chiamò Harry poggiandogli una mano sulla spalla, «si è fatto tardi, noi andiamo».
«Di già?» chiese sorpreso, reprimendo a stento uno sbadiglio.
La nonna gli lanciò un’occhiataccia. «È quasi mezzanotte».
«Dobbiamo mettere a letto le pesti» disse Ginny.
Effettivamente James, Albus e Lily si erano addormentati sul divano già da un po’. Teddy annuì consapevole di non poter pretendere di più.
«Ci vediamo domani pomeriggio alla Tana» disse Harry salutandolo, prima di prendersi Al e Jamie in braccio.
Teddy ricambiò i saluti e poi sorrise alla nonna appena rimasero soli.
Andromeda lo fissò severamente, poi si sciolse anche lei in un sorriso. «Dai, andiamo a letto. Sono stanca».
«Domani andiamo a Diagon Alley, devo comprare tutti i regali… Vic non mi parlerà più se non le regalo nulla…».
La nonna alzò gli occhi al cielo. «Stai tranquillo, troveremo qualcosa di adatto a Victoire».
Teddy si preparò rapidamente per andare a letto e, anche se non l’avrebbe ammesso, fu felice che la nonna si trattenne con lui, finché non si addormentò.
 
 
*
 
 
«Ma i miei possono passare senza di me?» chiese Zoey guardandosi intorno e alzandosi sulla punta dei piedi per vedere oltre le teste dei ragazzi più grandi e degli adulti.
«No» gridò in risposta Charlie in mezzo alla confusione.
Zoey si bloccò completamente smarrita.
«Che c’è?» le chiese Charlie.
«Come faccio a trovarli?».
«Charlie».
James Krueger apparve all’improvviso alle loro spalle.
«E tu che vuoi?».
«Ci sono i nostri genitori lì» rispose il ragazzo lanciandole un’occhiataccia.
«Oh, bene. Vieni Zoey».
La ragazzina si lasciò trascinare dall’amica fino ai signori Krueger e si presentò più timidamente di quanto fosse di solito. I genitori di Charlie furono molto gentili e l’accompagnarono fino al passaggio del binario 9 e ¾. Zoey impiegò pochi secondi per individuare i propri genitori che, non sapendo bene come comportarsi, la stavano aspettando tra i binari nove e dieci.
«Mamma! Papà!» strillò correndo verso di loro.
«Principessa!» gridò suo padre prendendola a volo. «Oh, oh, ma sei cresciuta» costatò il signor Turner, costretto a metterla giù.
Zoey sorrise. «Oh, sì la cucina a Hogwarts è ottima». Osservò i due adulti per qualche secondo e costatò che erano sempre gli stessi. «Vi presento Charlie, vi ho parlato di lei nelle mie lettere».
Le due famiglie fecero conoscenza e il signor Turner insisté per offrire un aperitivo, così si spostarono tutti in un piccolo locale poco distante dalla stazione. Per Zoey era incredibile e si sentì rasserenata: aveva paura di dover vivere a metà tra i due mondi, specialmente dopo che le sue amiche si erano rifiutate di parlarle, ma vedere i suoi e la famiglia di Charlie insieme le stava dimostrando di essersi sbagliata.
La signora Krueger, sebbene palesemente spiazzata, accettò persino l’invito per il the dalla signora Turner. Le due ragazzine, naturalmente, furono le più felici e Charlie concesse persino un abbraccio a Zoey, quando si salutarono.
«Indovina dove ho prenotato la cena?» le domandò suo padre.
Zoey rifletté per un attimo e poi saltellò. «No! Mi prendi in giro?».
«Certo che no. Dobbiamo festeggiare il tuo ritorno».
«Vi sono mancata tanto?» chiese nonostante conoscesse la risposta.
«Tantissimo» rispose suo padre.
«Non che ci siano mancate tue notizie, ufficiali e non» borbottò sua madre.
Zoey le regalò il suo miglior sorriso innocente.
«Ti sei fatta riconoscere subito» insisté sua madre non lasciandosi ingannare, conoscendola anche troppo bene. «E mi sembra che tu abbia trovato pure una complice alla tua altezza».
«Su questo non ci sono dubbi» replicò la ragazzina prendendo posto nel sedile posteriore della macchina del padre.
«Su, amore, è appena tornata. Rimandiamo le raccomandazioni alla fine delle vacanze».
«Come vuoi» borbottò sua madre.
La ragazzina si rilassò e cominciò a raccontare di quanto fosse bella la Scuola, del Dormitorio e dei compagni.
«I professori come sono?» le chiese la madre, approfittando di un momento di pausa.
Zoey, per conto suo, era troppo estasiata dalla possibilità di entrare nel suo ristorante preferito, uno dei più eleganti di Londra. Lei e le sue amiche avevano osservato un sacco di volte le foto sui giornali e avevano immaginato quando, vestite molto elegantemente, vi avrebbero fatto il loro ingresso. Avrebbe potuto parlare per un’ora almeno per raccontar loro i rivestimenti in marmo, la sala sfarzosa, i cristalli… Le sembrava di non aver abbastanza occhi per guardare ogni cosa. Per non parlare degli abiti eleganti degli altri clienti!
«Mi avreste dovuto far tornare a casa a cambiare!» si lamentò.
«Stai bene così» la rassicurò suo padre.
«Vedo che le tue capacità di ascolto sono migliorate tantissimo» sbuffò sua madre.
Ma Zoey, ancora una volta, non li stava più ascoltando: il ricordo che le sue amiche non volessero nemmeno vederla, le aveva procurato una stretta allo stomaco. Ordinò distrattamente, non riuscendo a godersi né il cibo né l’ambiente con quel pensiero fisso. «Siete riusciti a parlare con le ragazze?».
I suoi genitori si scambiarono uno sguardo pensieroso, alla fine sua madre rispose: «Pensano che tu sia una bugiarda».
La ragazzina, nonostante sé lo aspettasse, sentì gli occhi bruciarle e si concentrò sul brodo nel piatto.
«Zoey…» tentò suo padre.
Lei annuì e si sforzò di sorridere: Charlie si sarebbe arrabbiata e aveva fatto di tutto per farla sentire a proprio agio a Hogwarts!
«Domani mattina andrò a trovarle, così potremo parlare di persona e poi andiamo a fare shopping. Ci accompagni mamma?».
«Sì, mi sembra proprio un bel programma».
Da quel momento in poi Zoey cercò di godersi la cena e rispose anche alle domande di sua madre sui professori e le materie. Insultò più volte McBridge ˗ ottenendo l’appoggio dei suoi nel condannarne il comportamento nei confronti di Mark ˗, ma non si soffermò su tutti i rimproveri ricevuti dalla McKlin.
Quando, sul tardi, rientrarono a casa Zoey approvò le decorazioni esterne e interne. La sua preferita era sempre stata il Babbo Natale che cantava Jingle Bells nella parte centrale del giardino. All’interno il salotto era pieno di lucine colorate.
«Ho lasciato gli adesivi per i vetri sul tavolo, così li puoi attaccare dove vuoi» disse la madre.
Zoey non se lo fece ripetere due volte, anche perché era troppo eccitata e non aveva alcuna voglia di andare a dormire. Alla fine, dopo aver sbatacchiato i pacchi sotto l’albero sperando di intuire che cosa contenessero, si arrese alla stanchezza che in fondo provava e andò a letto. Appena appoggiò la testa sul cuscino, si addormentò.
 
 
 
 
 
*
 
 
Charlie si aggrappò mal volentieri al braccio della madre per smaterializzarsi. Cadde nella neve, ma incurante si rialzò e corse dal padre, che si era smaterializzato con Chris.
«Allora, come stai?». Aveva un milione di domande da fargli. Si erano scritti più volte in quei mesi, ma lei voleva sentirselo dire dalla sua voce che era tornato a lavorare.
«Tutto bene, Charlie. E tu? Il viaggio è stato tranquillo?».
La ragazzina ripensò a quante volte aveva immaginato di buttare giù dal treno Thomas Mulciber, ma sorrise e annuì: «Sì, grazie. Come va al Ministero?».
«Charlie, smetti di fare il terzo grado a tuo padre» la rimproverò sua madre. «Fila di sopra a cambiarti e a lavarti le mani. Tra poco la cena sarà servita».
Charlie s’imbronciò e si allontanò dall’ingresso, ma non salì al piano di sopra: corse in salotto. Si fermò sulla soglia e sospirò: era perfettamente ordinato come sempre, unica differenza era l’imponente abete che svettava lungo la parete destra. Era decorato con fili argentati e dei cuori di puro ghiaccio. Proprio come aveva predetto Matilde Gould. Perché quell’anno andava di moda in quel modo.
Delusa strinse le braccia al petto e fissò l’albero chiedendosi se fosse il caso d’incendiarlo a poco più di un giorno da Natale.
«Signorina».
Sobbalzò e lanciò un’occhiataccia a Chris, che non si scompose.
«Che vuoi?» gli chiese seccata.
«Tua madre mi manda a dirti che sta perdendo la pazienza. Ti conviene sbrigarti».
«Mia madre!» borbottò la ragazzina.
«Si può sapere perché sei già contrariata e non sei qui da nemmeno dieci minuti?».
«L’albero chi l’ha fatto? Gli elfi?».
«Come ogni anno» sospirò Chris intuendone i pensieri.
Charlie lo spinse leggermente e si avviò a passo di marcia verso la sua stanza, dove chiuse la porta con stizza. Storse la bocca nel costatare quanto fosse perfettamente ordinata. Gli elfi avevano provveduto a portarle il baule, così lei lo aprì e cominciò a lanciare i vestiti dappertutto. Nel farlo i suoi occhi caddero sulla parete di fronte dove facevano bella vista di sé gli stendardi di Grifondoro. Deglutì. Abbandonò i suoi propositi di mettere sottosopra la camera, recuperò una sedia e cominciò a staccare gli stendardi dalla parete e, dopo un attimo di titubanza, li gettò nel cestino. La vita era proprio strana: non aveva mai pensato che l’avrebbe fatto, né, meno che mai, che lei non sarebbe stata smistata a Grifondoro.
Si sedette sul letto sconfortata e agguantò il suo orsetto preferito: suo padre gliel’aveva acquistato molti anni prima a Diagon Alley. Neanche a dirlo indossava la divisa di Quidditch di Grifondoro. «E ora?» si chiese.
«Charlie, sei pronta?» domandò Will irrompendo nella camera.
«Sì» rispose lei senza nemmeno guardarlo.
«Come no. Hai ancora il mantello addosso». Il ragazzino si premurò di chiudere la porta e andare a sedersi accanto a lei. «Che succede?».
«Come faccio con Godric?».
Will osservò il peluche per un attimo, poi rispose: «Possiamo cambiargli la maglia».
«Ma si chiama Godric» si lamentò la ragazzina.
«E allora? Mica Godric è un nome che i Grifondoro si sono comprati! Puoi chiamare il tuo orso Godric, ma renderlo un Tassorosso. Proprio come te».
«È una cosa assurda» borbottò Charlie.
«Proprio come te».
«Quanto sei stupido» sbottò Charlie dandogli uno spintone, anche perché quella conversazione stava diventando troppo sdolcinata.
«Tu di più».
Charlie mise da parte Godric e saltò sul fratello.
«Ehi… No… non il s-solletico… C-harlie…ahahahah».
«Non ti mollerò mai!» sghignazzò lei.
«Che state facendo?».
I due fratelli si separarono e ricambiarono lo sguardo della madre, ritta sulla soglia. «Mi sembrava di avervi detto che la cena era quasi pronta. William, da te non me l’aspettavo».
Willy si alzò e si rassettò le vesti. «Scendiamo subito, scusaci. Vieni, Charlie?».
«Tua sorella non è pronta, tanto per cambiare. Comincia ad andare tu in sala da pranzo. Vostro padre e vostro fratello sono già a tavola».
«Figuriamoci, James il perfettino!».
«Non ti farebbe male assomigliargli un po’» la redarguì la madre.
Charlie fece finta di vomitare.
«Signorina, se non vuoi andare a letto senza cena, ti conviene sbrigarti. Ti voglio a tavola entro dieci minuti o non ti scomodare a scendere».
La ragazzina la fissò trucemente finché si chiuse la porta alle spalle. Per un attimo pensò di mandarla a quel paese e starsene in camera, ma il suo stomaco gorgogliò non lasciandole scelta. Così allo scadere del tempo concessole ˗ che esagerazione poi! ˗, fece il suo ingresso nella sala da pranzo. Willy le sorrise.
«Grazie di averci degnato della tua presenza» l’accolse freddamente sua madre. «Chris, per piacere, possiamo iniziare».
«Sì, signora».
Charlie prese a malincuore posto accanto a Willy, percependo un forte senso di nostalgia: nemmeno ventiquattr’ore prima c’era stata la Festa dell’Amicizia. Non le era mancata per nulla l’etichetta che era costretta a seguire a casa. Willy le poggiò il tovagliolo sulle gambe, prima che qualcuno la rimproverasse. Perché lui chinava sempre il capo? Era lei quella sbagliata?
Scrutò il brodino di carne che Chris le aveva messo davanti e sospirò. Ne sorbì meccanicamente qualche cucchiaio: era saporito come sempre, eppure le stava passando la fame. Le mancava troppo il brusio della Sala Grande e le chiacchierate con Zoey e gli altri. Era una tristezza ascoltare suo padre che disquisiva con James sul Ministero ˗ a lei, però, non aveva risposto ˗ e la mamma fare il terzo grado a Willy sulla Scuola e lui rispondere come un bravo soldatino.
«Charlie, a te non lo chiedo, ti sei ambientata fin troppo bene a Scuola» sbuffò la madre attirando la sua attenzione, quando ormai stavano per terminare il secondo.
La ragazzina ignorò il suo tono di rimprovero e rispose: «Infatti. Sono anche la prima della classe».
«Dovresti abbassare un po’ la cresta, signorina» proruppe sua madre.
«Io ci ho provato» borbottò James, beccandosi un’occhiataccia dalla sorellina.
Charlie si alzò di scatto strofinando la sedia. «Ho sonno, me ne vado a letto».
«Non ti azzardare a muoverti da lì» sibilò sua madre. «La cena non è ancora finita».
«Io non ho più fame» sentenziò lanciando il tovagliolo su Willy.
Ignorando i richiami materni, corse al piano di sopra e si chiuse nella sua stanza. Le mancava la sua vita a Hogwarts. La sua vita, non quella organizzata passo passo da sua madre. Prese a pugni il cuscino per un po’, poi si sdraiò e fissò il cielo stellato sul soffitto. Era finto, naturalmente, ma molti anni prima le aveva appiccicate lei con suo padre. Ore dopo la porta si aprì e Charlie si voltò sperando che fosse Willy, ma rimase delusa: era Chris. Si girò nel letto dandogli le spalle. «Che vuoi?».
«Stai bene? Tu padre è preoccupato, non è da te saltare la cena».
«E perché non è venuto lui?».
«Sai benissimo che…».
«No, non lo so» sbottò voltandosi verso di lui. «Essere cieco non gli impedisce di vivere! È tornato al Ministero e non viene nella mia stanza!».
Chris sospirò, ma cambiò argomento. «Domani i tuoi genitori e i tuoi fratelli andranno a fare una passeggiata per le ultime compere… tra l’altro i tuoi fratelli hanno bisogno di un nuovo vestito per la festa di domani sera… tua madre ha deciso che tu rimarrai a casa per punizione».
Charlie strinse i denti e sibilò: «Che me ne frega? Meglio!». Erano anni che suo padre non andava in giro con loro e adesso la lasciavano da sola! Peggio per loro se non la volevano, era reciproco: lei, ora, aveva un’altra famiglia. Si ricordò, però, di non aver comprato nulla ai suoi amici. «Chris, compreresti dei regali per me?».
«Certo, preparami pure la lista».
«Sei il migliore» sentenziò la ragazzina abbracciandolo. «Quando scapperò di casa, tu mi aiuterai, vero?».
Chris sgranò gli occhi sorpreso, poi scosse la testa. «No, signorina, non è necessario. Scappano di casa i bambini che pensano che nessuno gli voglia bene, ma, te lo assicuro, anche se non sembra, i tuoi genitori te ne vogliono».
«Sarà» borbottò Charlie. «Troverò altri complici».
Il maggiordomo sospirò. «Buonanotte, Charlie».
«Buonanotte» ricambiò lei.
 
 
 
 
*
 
 
«Tutto bene?».
Charis ispirò l’aria fredda della sera e impiegò qualche minuto prima di annuire. «Sì, tranquillo zio». Si sarebbe mai abituata alla materializzazione?
«Padroncina!» strillò Tammy appena lei entrò nella villa.
«Tammy!». La ragazzina strinse l’elfo tra le braccia.
«Attenta a non soffocarlo» ridacchiò Adam Williamson.
«Signorina, Tammy ha decorato la casa, ma non l’albero. Tammy ha pensato che la padroncina volesse farlo lei».
L’elfo domestico si contorse le mani preoccupato.
«Certo che voglio!» trillò Charis, poi si voltò verso lo zio. «Ma che ha Tammy?».
L’uomo sbuffò. «Io avrei voluto farti trovare tutto perfettamente decorato, ma Tammy non ha voluto».
«L’hai rimproverato?» chiese lei a occhi sgranati.
«No» borbottò Adam alzando gli occhi al cielo.
«Sarò felicissima di decorare l’albero» dichiarò la ragazzina abbracciando nuovamente l’elfo.
«Prima mangiamo qualcosa però. Dal quartiere generale sono venuto direttamente alla stazione» disse Adam. «Charis, fatti una doccia veloce, ok?».
«Va bene, zio. Sarò velocissima».
Charis corse al piano di sopra, contenta di essere tornata a casa: lo zio e Tammy le erano mancati parecchio. Adorava trattenersi sotto lo scroscio dell’acqua calda a lungo, ma quella sera si lavò rapidamente per non far attendere troppo lo zio. Sul suo letto trovò una sorpresa: un pigiama nuovo con la slitta di Babbo Natale che si muoveva in un cielo stellato. Era meraviglioso! Lo indossò all’istante e chiamò Tammy perché l’aiutasse ad asciugarsi i capelli con la magia.
«Mi sta bene, vero?» gli chiese subito.
«Oh, sì, signorina. Il padrone era sicuro che le sarebbe piaciuto».
Charis gli regalò un enorme sorriso e si sedette a gambe incrociate sul letto, mentre lui le asciugava i capelli.
«Cosa c’è per cena?».
«Tutti i tuoi piatti preferiti» rispose l’elfo. «E il gelato setteveli e fiordilatte».
«Davvero? Sei l’elfo migliore del mondo!» trillò la ragazzina baciandolo sulla guancia.
Charis si spazzolò i capelli, poi raggiunse lo zio che l’attendeva leggendo il giornale.
«Eccomi! Grazie mille per il pigiama. È fantastico!» gli disse scoccandogli un bacio sulla guancia.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto».
La cena trascorse tranquillamente e la ragazzina raccontò quello che era accaduto in quei mesi, soffermandosi anche sul duello notturno di Teddy con i Serpeverde per ribadire il perché del proprio comportamento. Una volta concluso il pasto, si spostarono in salotto dove il caminetto scoppiettava allegramente e riscaldava l’ambiente.
«Tammy, zio, mi aiutate?» chiese Charis cominciando a tirare fuori le palline da uno scatolone. «Insieme sarà più divertente».
Adam Williamson aveva ripreso in mano il giornale, ma non sarebbe mai riuscito a resistere agli occhi della nipotina.
«Padroncina non credo sia il caso» borbottò Tammy.
«Tammy, non azzardarti a defilarti» lo fermò Adam. «Charis ci vuole entrambi».
La ragazzina si sarebbe messa a saltellare, se fosse stata un po’ più estroversa: gli anni precedenti aveva decorato l’albero da sola sotto il controllo della Shafiq.
«La signorina Shafiq?» chiese allo zio, ricordandosi di lei.
«Mmm» mormorò l’uomo impegnato a pescare delle renne dallo scatolo. «A casa sua, no?».
«Sì, certo. Intendevo se dopo Natale verrà come al solito».
«Hai bisogno di lei?» chiese Adam. «Per i compiti?».
Charis, sorpresa, riflette qualche secondo. «No, non dovrei avere difficoltà».
«Allora non vedo perché dovremmo chiamare la signorina Shafiq».
La ragazzina si bloccò e lo fissò sempre più sorpresa.
«Qual è il problema, Charis?».
Lei non seppe rispondere. Semplicemente non si sarebbe mai aspettata tanti cambiamenti tutti insieme.
«Charis» disse Adam con un sorriso e iniziando ad avvolgerla con un nastro dorato. «Sei una ragazzina giudiziosa, sono sicuro che farai la brava con Tammy mentre sarò a lavoro».
Lei lo abbracciò stretto, poi avvolse anche lo zio e Tammy con i fili colorati.
Tra una risata e l’altra impiegarono non poco tempo a finire l’albero, ma il risultato rallegrò tutti e tre.  Tammy preparò la cioccolata calda per tutti e Charis si accucciò sul divano accanto allo zio.
«Mi racconti una storia?».
«Non sei abbastanza grande per leggertela da sola?».
«Sì, ma non è la stessa cosa».
«E va bene, pronta?».
«Sì» rispose Charis mettendosi comoda e tirandosi meglio il plaid fino al collo.
«Ok, allora, c’era una volta…».
 
*
 
«Muoviti» sbottò Alexis apparendo all’improvviso.
Mark incrociò lo sguardo di Elly, ma lo distolse subito: lei era con la sua famiglia, avrebbe dovuto salutarla sul treno. Aveva perso la sua occasione.
«Sì, Alexis».
Jay trascinava il suo baule distrattamente.
«Aspettate».
«Oddio, Montgomery ma scassi le…».
«Evita» sbottò Elly zittendola. «Volevo solo farvi gli auguri».
«Auguri anche a te» rispose Jay.
«Ma che auguri e auguri» gridò Alexis. «Devi stare lontana da me. Ciaoo! Andiamo o vi lascio qui».
Mark sospirò chiedendosi perché suo padre non fosse andato a prenderli, ma non sciupò la possibilità e abbracciò velocemente Elly. Lei sì che sarebbe stata una sorella fantastica! «Buon Natale» mormorò.
«Buon Natale, Mark. Ci rivediamo tra qualche settimana».
Il ragazzino sorrise poi si accorse che la sorella si era veramente allontanata e la rincorse. Jay lo chiamò per fortuna, in caso contrario non li avrebbe visti in quella confusione.
«È inutile che lo chiami» disse Alexis. «Tanto con me non torna».
«Che dici?» borbottò Jay.
Mark la fissò sperando che stesse scherzando, ma una strana sensazione si fece strada dentro di lui.
«Prenditi un autobus o un treno, Mark. Oppure chiedi aiuti alla tua amichetta Caposcuola».
«Alexis» provò Mark, ma la ragazza afferrò Jay per un braccio e i due scomparvero davanti ai suoi occhi. L’avevano lasciato da solo a King’s Cross. Sicuramente era uno scherzo, così decise di aspettare lì sua sorella. Il binario, però, cominciò a svuotarsi e di lei non c’era traccia.
Il panico cominciò a impadronirsi di lui, ma si spostò alla ricerca di qualche volto noto: tutti i suoi amici, però, erano già andati via. Allora attraversò la barriera e raggiunse il lato babbano, dove vi era molta più vitalità poiché vi erano turisti, gli ultimi pendolari o altre persone che si spostavano per le feste in arrivo.
Deglutì e si avviò verso la biglietteria. Attese sempre più spaventato e teso il proprio turno.
«S-scusi il prossimo autobus per Jaywick?».
«Jaywick?».
«Sì».
«Dovrebbe partirne uno tra cinque minuti. È diretto a Clacton, ma si fermerà anche a Jaywick».
«Grazie, buon Natale» rispose Mark correndo via, per quanto glielo permettesse il baule pesante. Sarebbe stato meglio se fosse rimasto a Hogwarts. Scendere i gradini della stazione fu terribile, ma alla fine ci riuscì. Sullo spiazzale, però, c’erano ben tre autobus. Qual era quello giusto? Avrebbe fatto in tempo a controllare tutti e tre?
«Scusi, signore» disse a un poliziotto lì vicino. «Lei sa quale va a Clacton?».
Il poliziotto si avvicinò e gli chiese: «Sei solo?».
Cavolo, avrebbe dovuto prevederlo! «Sull’autobus c’è mia sorella, che è grande» mentì a malincuore. «Ma io mi sono separato da lei per andare al bar. Sarà arrabbiatissima».
«Mi sembra il minimo» replicò il poliziotto lanciandogli un’occhiata di rimprovero. «Ti aiuto».
Mark colse il rimprovero in silenzio e lasciò che prendesse il baule.
«Accidenti, quanto pesa» borbottò il poliziotto.
«Frequento un collegio in Scozia» spiegò il ragazzino, sperando che non ponesse ulteriori domande.
«Eccolo, è questo» gli disse l’agente riponendo il baule nel portabagagli.
Mark lo ringraziò e salì sull’autobus proprio mentre stava partendo.
«Ehi, ragazzino, ce l’hai il biglietto?» lo fermò l’autista.
Sperò che il poliziotto non sentisse. «No, quanto costa?».
«Cinque sterline».
«Non le ho» ammise sconsolato. Non aveva neanche un centesimo.
«Allora scendi».
«La prego non so come altro andare a casa» lo supplicò il ragazzino con le lacrime agli occhi.
«Io non posso aiutarti» replicò l’autista, che però sembrò dispiaciuto.
Mark trattenne un singhiozzo e fece per scendere.
«Aspettate, pago io il biglietto. Lo lasci salire». Un giovane si alzò dalla metà dell’autobus e venne avanti porgendo la banconota all’autista.
«Va bene» disse l’uomo e diede il biglietto a Mark incredulo.
«La ringrazio» disse scoppiando in lacrime.
Il più grande lo invitò a sedersi accanto a lui e l’autobus partì.
«Io non so come restituirle i soldi» mormorò Mark imbarazzato.
«Come ti chiami?».
«Mark».
«Piacere, Mark. Io mi chiamo Simon. Non voglio che tu mi restituisca i soldi. Sono solo cinque sterline. Diciamo che ho fatto una buona azione natalizia. Dove sei diretto?».
«Grazie» disse di cuore il ragazzino. «Vado a Jaywick».
«Io vado a Clacton dalla mia famiglia».
Trascorsero il resto del viaggio in silenzio e Mark si appisolò un paio di volte.
«Ehi, ragazzino, ci siamo».
«Eh?». Mark si stropicciò gli occhi.
«Sei arrivato» ripeté Simon. «Buon Natale».
«Grazie» ripeté Mark sapendo di essere stato molto fortunato. Salutò anche l’autista e scese. Rabbrividì nell’aria della sera, ben consapevole di doversi fare un bel tragitto a piedi per raggiungere i Brooklands, l’aria più povera della città. Rischiò più volte di scivolare sulla neve fresca, ma finalmente arrivò a casa.
«Oh, ma guarda chi c’è» lo accolse Alexis intenta a guardare la televisione.
«Stai bene?» disse Jay, che sembrò sollevato.
«Sì».
«Pensavo che fossi ancora a King’s Cross a piangere».
Mark era troppo stanco per replicare: sarebbe stato meglio ritornarsene a Hogwarts di filato. Almeno lì avrebbe trovato qualcuno che gli avrebbe voluto bene. Anche solo gli elfi domestici.
Jay, palesemente dispiaciuto, lo aiutò a salire il baule in camera.
«Dov’è papà?» gli chiese.
«Al lavoro. Dovrebbe tornare tra poco».
Mark non si sorprese: suo padre faceva spesso straordinari. Si mise il pigiama, cercando di scaldarsi dopo tutto il freddo che aveva preso. Infine scese in cucina proprio mentre suo padre spuntava dal camino.
Alexis lo salutò subito. A Mark e Jay fu dedicato poco più di un cenno, ma nessuno dei due gli si avvicinò. Il più piccolo era troppo scosso per elemosinare un po’ di affetto.
«Noi abbiamo cenato. Tutti e tre» specificò Alexis. «La tua cena è in caldo».
«Grazie» borbottò suo padre.
Mark strinse i denti e se ne tornò in camera. Perché sua sorella lo odiava così tanto? Perché lo incolpava di qualcosa che non aveva scelto?! Si rintanò sotto le coperte rimpiangendo la sua stanza nel Dormitorio di Tassorosso e la compagnia di Enan e Teddy. Chiuse gli occhi sperando che quell’incubo finisse al più presto.

 

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Capitolo 16
*** Natale in famiglia ***


Capitolo sedicesimo




 
 
 
Natale in famiglia
 
 




Mark rabbrividì per il freddo e sospirò: tutte le finestre della casa erano spalancate e le sue mani bagnate erano intirizzite. Per fortuna, aveva ormai finito di pulire i vetri – con l’unica eccezione della camera di Jay, ma quella era totalmente off-limits: il fratello stava giocando alla play, probabilmente intenzionato a recuperare in poche ore il tempo perso a Hogwarts.
Sembrava che suo padre non avesse pulito nemmeno una volta da quando erano partiti; non faceva fatica a immaginare le sue giornate: usciva presto, poco dopo il suono della sveglia ˗ il tempo di lavarsi e vestirsi per lo più, la mattina non faceva nemmeno colazione ˗, rientrava a casa la sera giusto per buttarsi sul divano, bere qualche birra e mangiucchiare qualcosa di dubbia salubrità, per poi trascinarsi a letto.
Quella sera, però, sarebbero venuti a cena i nonni e avrebbero dato di matto se avessero trovato la casa in quelle condizioni; perciò il padre aveva loro ordinato di rimettere tutto in ordine entro il pomeriggio. Peccato che, appena l’uomo aveva usato il camino per andare al Ministero, Alexis era corsa a prepararsi perché le amiche la aspettavano a Diagon Alley e Jay si era chiuso in camera a giocare. E naturalmente era toccato a lui tutto il lavoro.
La consapevolezza che sarebbe stato meglio rimanere a Hogwarts era sempre più forte.
Ormai era fatta. Con un sospiro si rimise a lavoro. Nel pomeriggio l’intera casa brillava ˗ tranne la camera di Jay, naturalmente ˗ e Alexis era tornata bramosa di rivedere i nonni dopo tanto tempo. A Mark non erano mancati per nulla.
Il ragazzino ebbe appena il tempo di andare al piano di sopra a cambiarsi ˗ con i vestiti smessi di Jay sembrava sempre un sacco di patate ˗, prima che suonassero alla porta.
«Apri» gli gridò Alexis, che stava finendo di truccarsi. Jay non diede segni di aver sentito, ma d’altronde da quella mattina aveva aperto bocca solo per chiedergli di portargli altre patatine e schifezze varie.
Mark avrebbe preferito rintanarsi in camera sua piuttosto che incontrare i nonni, ma, dopo aver preso un bel respiro, aprì la porta e se li ritrovò davanti.
Suo nonno era alto e imponente, ancora abbastanza in forma nonostante l’età, quel giorno indossava il suo impermeabile grigio, che lo faceva assomigliare tanto agli investigatori di Scotland Yard della televisione. La nonna, accanto al marito, aveva assunto una strana smorfia vedendolo – come chi ha appena ingerito un limone particolarmente acido ˗, quella che assumeva sempre guardandolo. «Buon pomeriggio» mormorò, spostandosi di lato per fargli passare.
«Ciao!» strillò Alexis scendendo di corsa le scale.
Le espressioni dei due anziani cambiarono all’istante ed entrambi abbracciarono calorosamente la nipote. Mark non aveva ricevuto nemmeno un ‘ciao’ in risposta. Lanciò un’occhiata ai due trolley lasciati sulla soglia e li trascinò all’interno, prima che gli venisse chiesto.
«Mark, prepara il tè» gli ordinò Alexis.
Il ragazzino annuì e si mise al lavoro. Jay sopraggiunse quando stava per servire il tè, così aggiunse una tazza per lui. Appoggiò il vassoio sul tavolo e solo a quel punto sua sorella fece caso a lui. «Porta di sopra i bagagli dei nonni».
Ancora una volta assentì senza protestare, almeno aveva una scusa per allontanarsi. Alla cena avrebbe pensato la nonna e di certo non l’avrebbe voluto tra i piedi. In più Alexis era sempre felice di aiutarla.
«Si vede che ci sei tu nonno» commentò all’improvviso la ragazza. Mark stava già cercando di trascinare il trolley su per le scale. Ma che ci aveva messo dentro? Piombo? Effettivamente al nonno piaceva il tiro al piattello. Sperò che non si fosse portato l’attrezzatura e soprattutto il fucile. Anni prima aveva provato a insegnare qualcosa a Jay, ma il ragazzo si era sempre mostrato restio a qualsiasi tipo di sport.
«Perché, tesoro?».
«Mark, obbedisce all’istante».
Il ragazzino serrò la mascella e si affrettò, ma il trolley pesava troppo e sarebbe dovuto tornare indietro a prendere l’altro.
«Vostro padre è troppo buono, ve lo dico io. Se abitassimo ancora insieme…».
Mark deglutì per la minaccia sottesa e compì l’ultimo sforzo, poi rapidamente tirò fuori le ruote e lo trascinò nella sua camera – che sarebbe stata dei nonni per i prossimi giorni. Qui si prese un momento per calmarsi e passarsi una mano sugli occhi pieni di lacrime. Nessuno doveva vederlo piangere o sarebbero stati guai. Infine, tornò giù e prese anche il secondo trolley.
Guardò la stanza perfettamente in ordine e spinse il suo baule in un angolo, poi si rintanò nella camera del padre: i suoi nonni, dopo il tè, sicuramente sarebbero saliti a sistemarsi e lui non aveva voglia di occupare lo stesso spazio. Aveva recuperato il libro di Trasfigurazione, pergamene e qualche piuma e, a quel punto, si posizionò allo scrittoio paterno. Enan, Charlie e Zoey si sarebbero sentiti male al solo pensiero che lui stesse studiando la Vigilia di Natale. Teddy e Charis, invece, avrebbero capito, ne era sicuro: alle volte era molto meglio studiare e non pensare. Fortunatamente nessuno lo disturbò finché non rientrò suo padre da lavoro. Erano a malapena le sei, ma sicuramente non voleva fare cattiva figura con i suoceri.
«Tu qui sei?».
Mark, concentrato, non l’aveva sentito. Sobbalzò e sbavò leggermente la pergamena. Meno male che era solo la brutta copia, in caso contrario chi l’avrebbe sentita la McKlin?
«Sì, ho lasciato la stanza ai nonni come mi hai chiesto».
«Mmm» replicò lui recuperando alcuni indumenti dai cassetti, probabilmente intenzionato a farsi la doccia.
«Posso rimanere qui un altro po’?» mormorò il ragazzino incerto. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che avessero parlato faccia a faccia. Dopo la strillettera, mai. Deglutì. Non aveva alcuna voglia di riprendere l’argomento.
«Fai quello che vuoi» disse suo padre lasciando la camera.
Mark riprese fiato e si dedicò alla conclusione del tema. Quando suo padre tornò alla ricerca di una veste elegante per la serata, il ragazzino sollevò a malapena lo sguardo dal manuale di Trasfigurazione che stava rileggendo. Perse, però, completamente la concentrazione. Il suo cuore aveva cominciato a battere più rapidamente e un senso di soffocamento si fece largo in lui: aveva paura.
Aveva paura di suo padre, che era sempre stato distante, ma lo stava diventando sempre di più; aveva paura dei nonni che avevano praticamente conquistato il resto della casa. Voleva tornare a Hogwarts.
Si mordicchiò le labbra per non scoppiare a piangere.
«Mark!».
Si voltò di scatto verso il padre, che forse l’aveva chiamato più volte.
«Alexis dice che è pronto. Vatti a lavare le mani, è possibile che tu non sappia ancora usare la piuma?».
Il ragazzino mormorò delle scuse e si defilò. Raggiunse la cucina, proprio mentre tutti stavano per prendere posto. I nonni lo notarono e gli riservarono una delle loro occhiatacce. Perché suo padre gli aveva detto di andare a cenare? Se fosse rimasto in camera, sarebbero stati tutti più contenti. Comunque, per gran parte della cena, nessuno fece caso a lui tanto che la nonna si ‘dimenticò’ persino di servirlo e fu costretto a far da solo.
Si accorsero di lui solo quando accidentalmente urtò il bicchiere di Jay, nel quale il nonno aveva versato del vino. Sulla tovaglia bianca si allargò una chiazza rossa. Gli insulti strillati di Alexis e dei nonni si mescolarono, ma Mark se ne fece un’idea. Suo padre riportò l’ordine dandogli uno scappellotto e affermando che avrebbe rassettato lui la cucina. Mark strinse i denti, ma questa volta sentì una vampata di rabbia: se non lo volevano, perché lo tenevano lì? Se avesse scelto di rimanere a Hogwarts per le vacanze nessuno l’avrebbe cacciato.
Rassettare fu un tormento: di solito i piatti erano pochissimi, perché nessuno di loro aveva particolare desiderio di cucinare, quella sera invece sembravano infiniti. Per un attimo Mark ebbe il timore che Alexis li avesse incantati, ma, fortunatamente, riuscì a terminare. A quel punto, stanco com’era avrebbe voluto soltanto andarsene a letto, ma non poteva: il suo letto era il divano e tutti erano lì seduti intenti a festeggiare. Stanco e nervoso si ritirò nuovamente nella camera del padre e crollò quasi subito in un sonno profondo. A un certo punto, però, venne scosso da qualcuno. Infreddolito, si rese conto che era proprio il padre.
«Puoi andare giù, ora. I nonni sono saliti».
Non lo guardava nemmeno. Strinse i denti ancora una volta e obbedì, avrebbe perso tempo a chiedergli di dormire lì con lui.
Aveva sempre saputo di non essere come i suoi fratelli, anzi lui aveva una colpa che non avrebbe mai potuto espiare veramente; eppure ora gli risultava tutto intollerabile. Perché? Che cos’era cambiato?
Si trascinò per le scale e si buttò sul divano, rendendosi conto di essersi dimenticato le coperte, ma lasciò perdere e cercò di scaldarsi alla brace rimasta nel camino e stringendosi le braccia. Probabilmente si assopì per un po’, perché un rumore lo fece sobbalzare all’improvviso. Con il cuore in gola si voltò verso le scale: forse suo nonno voleva dargli quella lezione che, a suo dire, suo padre non era in grado di dargli. Non c’era nessuno. Il rumore, però, era persistente. Deglutì e si voltò verso la finestra ancora scura. Si spaventò, ma dopo qualche minuto si rese conto che erano due gufi. Si alzò di scatto e spalancò le ante.
Un gufo bellissimo e imponente teneva per le zampe un lembo di un sacco di medie dimensioni, l’altro era sostenuto da un gufetto più piccolo, che riconobbe come quello di Charis. Con il cuore in gola tese le orecchie, ma dal piano di sopra non proveniva alcun rumore. Un fiotto di felicità l’aveva investito all’improvviso e accarezzò i due gufi. Quello più grande si ritrasse e volò via appena libero, quello di Charis invece sembrò contento delle attenzioni e finì per addormentarsi. Con le mani tremanti Mark aprì il sacco e scrutò all’interno: c’erano diversi pacchetti colorati. Sorrise sempre più felice. Non aveva mai avuto tanti regali! Tirò fuori il primo pacco con una carta blu notte e con delle stelline in movimento. All’interno c’era una bellissima scatola di legno con vari intarsi era piatta e quadrata, insieme scivolò fuori una busta bianca che stranamente tintinnò sul pavimento. La prese e lesse:
 
Ciao Mark!
Spero che il regalo ti piaccia. L’ha scelto Willy. Dopotutto tra secchioni ci si capisce, no? Io comunque nella busta ho aggiunto dei soldi. Puoi usarli prendere il Nottetempo, se non vuoi stare più lì. Nell’altro bigliettino ti spiego come si fa. Me l’ha detto Cris, quindi puoi stare tranquillo.
Buon Natale!
Charlie
 
Con il cuore in gola, per il suggerimento sottinteso dell’amica, mise la busta da parte e aprì la scatola. Il suo cuore fece un salto: era una scacchiera in legno! Doveva essere costata una fortuna! Charlie era pazza. Anche i pezzi erano intarsiati e molto belli. Finalmente erano tutti suoi e non si sarebbero ribellati a ogni suo comando, come quelli di Charis o di Teddy.
Estrasse un altro pacchetto, questa volta una bustina colorata e morbida. Anche in questo caso il biglietto era all’interno.
 
Caro Mark,
avrei voluto consegnarti questo pacchetto sul treno o alla stazione, ma non avevo considerato la presenza dei tuoi fratelli. Così ho chiesto a Lupin e lui ha detto che stavano già pensando come farti avere i loro, così gli ho affidato il mio. Spero che tu stia bene.
Un abbraccio,
Elly.
Buon Natale!
 
Mark si strinse al petto la lettera, desiderando che Elly fosse lì con lui. Le voleva così bene! Si concentrò sul regalo e sorrise: guanti, cappello e sciarpa, rigorosamente giallo-neri. Li provò subito e fu felice di avere qualcosa della taglia giusta. Tolse i guanti, perché non gli impedissero i movimenti, e il cappello, ma tenne la sciarpa intorno al collo. Faceva sempre più freddo, anche se eccitato a malapena lo percepiva.
Prese un altro pacchetto, questa volta più pesante e solido. Che cosa poteva essere? In questo caso c’era un adesivo colorato: Per Mark da Zoey. Buon Natale. Lo scartò e si ritrovò di fronte a una scatola di cartone, la aprì e sorpreso costatò che erano un paio di scarpe. Bellissime! Le provò e si rese conto che gli stavano. Zoey aveva davvero buon gusto.
Cominciò però a sentirsi in colpa: i suoi amici gli avevano fatto dei regali, per giunta costosissimi! E lui non ci aveva nemmeno pensato.
Tese l’orecchio, ma non sentì nulla. Prese un altro pacchetto. Quello di Teddy. C’era un biglietto colorato d’auguri appiccicato fuori. Rimase a bocca aperta: erano delle piume, semplici ma autoinchiostranti, di diversi colori. E poi un maglione strano. Teddy aveva scritto che glielo mandava sua nonna Molly: era stato realizzato a mano, era giallo con dei libri sul davanti. Era proprio carino.
Il successivo regalo era rettangolare e di medie dimensioni. Ipotizzò che fosse un libro, ma quando lo scartò, scoprì che era un diario. Molto bello. Così avrebbe smesso di scrivere i compiti sui foglietti. Charis era sempre così gentile e premurosa.
L’ultimo pacchetto era di Enan: un sacchetto di gobbiglie! Tutto per lui! In più c’era una lettera in cui oltre agli auguri, si lamentava per la sua situazione.
Era troppo contento. Sorrise. Ma poi si chiese che cosa avrebbero fatto Alexis e i nonni se avessero visto tutti quei regali. Deglutì. Avrebbero potuto prenderglieli, ma non lo avrebbe sopportato. Ma come avrebbe dovuto nasconderli? Li rimise tutti nel sacco, temendo di rompere qualcosa. Poi prese dei pezzetti di pergamena e ringraziò uno per uno gli amici. Avrebbe voluto ricambiare i loro regali, ma, a parte i soldi che gli aveva mandato Charlie, non aveva nemmeno uno zellino.
Alla fine decise di nascondere il sacco nel piccolo bagno di servizio: non funzionava bene e non ci andava quasi nessuno.


 
 
*
 



Teddy si svegliò di soprassalto e per un attimo si guardò intorno smarrito. Era sicuro di aver sentito qualcosa. Si mise a sedere, ma nel farlo sfiorò qualcosa con il braccio. Strillò e, per la fretta, cadde a sedere sul pavimento.
«Buon Natale!» gridò una specie di gnomo saltando fuori dalle sue coperte.
Il ragazzino impiegò qualche secondo a riconoscere James Sirius Potter con un cappellino a sonagli rosso degno di Pix, il poltergeist della Scuola.
«Che succede?». Una bambina fece capolino nella stanza mostrando un’espressione incuriosita.
«Niente di nuovo, Vic» borbottò Teddy ignorando le grida del piccolo che alzava la voce per farsi sentire.
«Oh, quello è uno dei regali di zio George. Secondo lui gli dona. Freddie e Lucy ne hanno uno uguale. Zio Percy, però, non è contento: avrebbe voluto vestirla da angioletto».
Victoire aveva parlato senza nemmeno riprendere fiato. Teddy era convinto che volesse approfittare di quei pochi giorni di vacanza per raccontargli per filo e per segno tutto quello che era accaduto da settembre. Già gli doleva la testa.
«Ci scommetto» replicò rialzandosi e andando a fare il solletico a Jamie, che gridò ancora più forte. Vic si aggiunse divertita.
Quando Jamie urlò che si arrendeva, Teddy lo mandò via insieme a Vic, così da potersi cambiare. Possibile che fosse l’ultimo ad alzarsi?
Sceso al piano di sotto e si rese conto che lo stavano aspettando tutti eccitati all’idea di scartare i regali. L’albero, che troneggiava in un angolo del piccolo soggiorno della Tana, era strapieno. Era tradizione che li scartassero tutti insieme la mattina di Natale.
Teddy augurò buon Natale a tutti i presenti e fu stritolato in un abbraccio da nonna Molly. Gli altri abbracci degli altri parenti in confronto furono molto più sobri, ma ottenne un’enorme tazza di cioccolata calda e marshmallows.
A quel punto si unì agli altri bambini che lo attendevano con ansia seduti sul tappeto davanti al fuoco.
I grandi si avvicinarono per scartarli insieme a loro e aiutare i più piccoli che avevano ancora qualche difficoltà.
Teddy iniziò da quello di nonna Andromeda: una veste elegante. La ringraziò e scacciò dalla mente il momento in cui avrebbe dovuto indossarla a una delle cene del professor Lumacorno. Sentì Harry ridacchiare in sottofondo. In seguito, aprì il regalo del suo padrino e impiegò qualche secondo a comprendere cosa fosse.
«È un portabacchette di pelle di drago» spiegò Harry. «Aspetta, ti mostro come si usa». Gli spostò la manica del pigiama, scoprendo il braccio e lentamente legò i lacci intorno al polso e all’avambraccio. «Vanno di moda adesso. Così non si rischia di perderla negli zaini o che…».
«…che incendino i didietro…» soggiunse zio Ron.
«Impossibile» decretò la piccola Molly fissandolo con tanto d’occhi.
«Fidati, è vero» replicò Ron facendole l’occhiolino.
«Ron, non raccontare panzane ai bambini» intervenne zio Percy pomposamente.
Gli adulti cominciarono a battibeccare e Teddy decise di tornare ai suoi regali. Nel mucchio scovò quello di zio Bill: una cravatta dai colori accessi. Strabuzzò gli occhi: sicuramente l’aveva scelta zia Fleur. Si guardò intorno e vide che anche gli altri l’avevano ricevuta, o meglio i più piccoli avevano un farfallino. Ad Al qualcuno l’aveva messo e sembrava adorabile. James se lo era messo in testa facendo ridere tutti.
«Teddy, apri il mio».
Il ragazzino fissò Vic, che indossava un vestitino di lana rosso, molto simile a quello di Dominique e Molly. Ma a lei stava meglio, forse perché più grande.
«Certo. Aspetta, però». Si avvicinò al mucchio e dopo aver rovistato un po’ trovò il suo per Vic. «Tieni».
Il volto della bambina si illuminò.
Teddy scartò trovandovi un braccialetto: una striscia di pelle con sopra dei tassi un po’ sgorbi, degli anelli spessi e gialli e un tasso argentato.
«L’ho fatto io» mormorò Vic che pendeva dalle sue labbra. «Nonna mi ha aiutato a incidere i tassi, ma non sono stata molto brava… lei ha detto che tu avresti apprezzato… io volevo che li facesse tutti lei…».
«Grazie» Teddy le diede un bacio sulla guancia e la zittì. «Il mio ti piace?».
«Sì, tantissimo» dandogli un bacio a sua volta.
«Così nei prossimi mesi ti sentirai meno sola».
Vic s’intristì leggermente al pensiero che le vacanze prima o poi sarebbero finite e Teddy sarebbe tornato a Hogwarts, ma annuì.
Il ragazzino le aveva regalato un album di fotografie dedicato a loro e ai cugini.
Da nonna Molly aveva ricevuto il tradizionale maglione. Jamie, Al e Lily gli avevano regalato un pacco pieno di dolci per Hogwarts. Si sarebbero fatti una scorpacciata in Dormitorio. Zio George, invece, una scatola di prodotti Tiri Vispi Weasley, che evitò di pubblicizzare troppo. Zia Hermione un libro. Zio Charlie una scatola intarsiata di legno con al centro un Dorsorugoso di Norvegia.
Charlie gli aveva regalato “Come non diventare un noioso Prefetto”. Se ne impossessò subito George che cercò di declamare alcuni passi a Percy. Zoey una felpa blu, carina. Enan un drago in miniatura che ruggiva, che subito attirò l’attenzione dei più piccoli. Charis un libro di Trasfigurazione sui Metamorphomagus. Infine, Diana un romanzo e Laurence un gioco da tavola.
Una volta scartati tutti i regali, i bambini uscirono nel giardino innevato per sfidarsi in una battaglia di palle di neve in attesa dell’ora di pranzo. Harry, zio George, zio Ron e zio Bill si aggiunsero a loro. A un certo punto, zio George, Freddie e Roxi usarono la magia così gli altri risposero al fuoco. Finirono per causare una piccola tormenta. Fu divertente vedere nonna Molly sgridare Harry e i figli ormai adulti.
I bambini, però, discussero per un po’ tra loro su chi avesse vinto.
Nonna Molly aveva preparato, come di consueto, un pranzo molto abbondante e non permise a nessuno dei convitati di alzarsi da tavola finché non si fosse servito almeno un paio di volte di tutte le portate. Appena liberi i bambini corsero di nuovo in giardino, ma appena fece buio furono costretti a rientrare.  Non fu un problema, perché si radunarono tutti intorno al camino pronti ad ascoltare le storie di nonno Arthur e a provare i nuovi giochi che avevano ricevuto.
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 


Enan si passò una mano tra i capelli, tentando di sistemarli al meglio. Ormai aveva imparato che i film erano solo film e la realtà diversa: era stata una pessima idea scambiarsi. Aveva provato a scrivere a Mulciber, ma non gli aveva risposto. Si guardò allo specchio e sospirò: sua madre sarebbe stata felicissima di vederlo in quel modo, i suoi cugini l’avrebbero preso in giro per sempre. Era proprio un damerino. E non poteva nemmeno lamentarsi: la zia Amelia era stata gentilissima con lui, anche se quei modi gli avevano provocato una maggiore nostalgia di casa. Perché Mulciber gli aveva descritto i suoi zii come insopportabili? Lo zio lo metteva un po’ in soggezione, specialmente dopo gli avvertimenti della prima sera, ma era sempre stato molto gioviale e l’aveva visto giocare spesso con Michelle e Benjamin. Personalmente, Enan manteneva un po’ le distanze ben conscio che Michelle non accettava la sua presenza.
Gli zii gli avevano fatto ben due regali, tra l’altro molto costosi: un mantello di lana con la fodera di seta, verde smeraldo (qui era stato molto bravo a trattenere i conati di vomito, ma fortunatamente non c’erano serpenti ricamati) e una mazza da battitore da professionisti. A quanto pare Mulciber la desiderava. Suo zio gli aveva raccomandato di prendersene cura, perché non era un giocattolo. Non c’erano problemi per Enan: l’aveva messa sullo scaffale della libreria in bella mostra e non aveva alcuna intenzione di usarla. Il Quidditch era uno sport interessante ed emozionante, ma preferiva giocare a calcio con i bambini babbani dell’isola. Non gli sembrava di avere un equilibrio tale che gli permettesse di volare e tirare una palla allo stesso tempo.
Sospirò di nuovo e si tirò un po’ la cravatta blu, aveva evitato quella verde: per fortuna la zia lo lasciava abbastanza libero di vestirsi.
La sera prima avevano cenato presso i genitori della zia, ma, a quanto gli era sembrato, loro non lo vedevano di buon occhio. Aveva cercato di essere cordiale, ma poi un’assurda timidezza si era impadronita insolitamente di lui ed era stato taciturno per tutta la sera. Atteggiamento che aveva in parte mantenuto quella mattina quando avevano scartato i regali. Era stato in disparte, mentre Michelle e Benji giocavano. Pur di fare qualcosa si era subito proposto quando la zia aveva chiesto un aiuto per apparecchiare la tavola. Non l’aveva mai fatto a dire la verità, a casa sua c’erano un’infinità di donne tra la nonna, le zie e le cugine e non avevano mai bisogno di aiuto. Solo Blair stava con loro perché non sopportava gli animali, quindi collaborava in casa. La zia Amelia, però, era stata molto paziente e gli aveva spiegato come fare. Enan aveva apprezzato la sua gentilezza, dopotutto le aveva fatto perdere molto tempo. Altro che aiutarla! Una volta concluso, l’aveva mandato a cambiarsi prima che arrivassero i parenti.
«Thomas». La zia fece capolino dalla porta. «Tutto bene?». Sembrava preoccupata.
«Sì, grazie» si affrettò a rispondere. Si sentiva sempre più a disagio in quella casa che non era sua e nella quale si era introdotto con l’inganno.
«Sicuro? È da quando sei tornato che sei strano». La donna gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla fronte. «Sembri un po’ caldo, forse hai qualche linea di febbre».
Enan vide uno spiraglio: se avesse avuto la febbre magari non l’avrebbe costretto a incontrare tutti i parenti e gli avrebbe permesso di rimanere in camera. Ma che cosa sarebbe cambiato? Quella non era la sua stanza. Voleva rinchiudersi in quelle quattro mura fino al sei gennaio? Che grande soluzione! In più non aveva ancora avuto la possibilità di cercare i documenti che gli servivano. Gli zii, però, erano sempre stati in casa.
«Forse un po’» decise di approfittarne, ma se ne pentì quasi subito: la zia era una medimaga e, naturalmente, gli misurò la temperatura.
«No, è perfetta. Ti fa male la gola?».
«No» si affrettò a rispondere, non era il caso di fingere di star male.
«E allora che hai?».
«Niente» rispose stringendosi nelle spalle. «Andiamo?».
La zia gli riservò un’occhiata indagatrice, poi annuì.
Erano già arrivati tutti e si sforzò di essere cortese, ma senza particolare entusiasmo. Non era la sua famiglia quella.
 
 
*
 
 


«Zoey, sei pronta?» chiamò il signor Turner dal salotto.
La ragazzina si diede un’ultima occhiata allo specchio e lo raggiunse correndo. «Sì, eccomi». Sorrise e girò su sé stessa in modo che il padre potesse ammirarla.
«Sei bellissima, come sempre».
Zoey gli diede un bacio sulla guancia e si accorse che era nervoso. «Tutto bene?».
«Sì, certo».
Gli rivolse un’espressione scettica. «Sul serio, che problema c’è?» chiese con apprensione. Avevano invitato Charlie e la sua famiglia a prendere il tè e Zoey non stava più nella pelle. Non voleva che nulla rovinasse quel momento. Il suo tentativo di ricucire con le amiche era fallito, ma lei non aveva ancora intenzione di arrendersi: un’amicizia, durata per anni come la loro, poteva veramente finire così?
«Oh, Zoey. Verranno dei maghi qui! Certo che sono nervoso!» sbottò suo padre.
«Ma hai detto che potevo invitarli».
«Sì!» replicò lui cominciando a camminare avanti e indietro. «Io e tua madre vogliamo conoscere le persone con cui hai vissuto per mesi e continuerai a farlo!».
«Allora qual è il problema?» insisté non riuscendo a capire.
«Nessuno» sbuffò il signor Turner. «Sono solo preoccupato».
«Ragazzi, siete pronti?» chiese la signora Turner entrando in cucina. «Oh, che siete eleganti!».
A Zoey era sempre piaciuto essere elegante, ma non voleva esagerare con Charlie che adorava le tute da Quidditch.
«Zoey, vuoi venire a vedere quello che ho preparato insieme al tè? Ma sei sicura che il tè va bene? Forse i Krueger avrebbero preferito qualcos’altro».
Zoey si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. «I maghi bevono il tè come tutti gli inglesi». Era il colmo che sua madre volesse la sua approvazione, quando aveva preparato miliardi di tè per amici e parenti! «Va tutto bene» si costrinse ad aggiungere, «dovete comportarvi come sempre».
I due adulti annuirono, sebbene ancora non sembrassero convintissimi. Non per nulla, al suono del campanello, sobbalzarono entrambi neanche fosse stato un colpo di pistola.
«Apro io» mormorò la signora Turner.
Zoey alzò gli occhi al cielo e la seguì.
«Charlie!» gridò quasi coprendo i saluti tra gli adulti. Abbracciò l’amica: le era mancata tantissimo!
«Ehi, ehi, non ci vediamo da un paio di giorni soltanto!» disse Charlie, che non amava le smancerie.
«Sì, infatti, non so come farò d’estate».
«Come vuoi fare?» replicò l’altra pratica, mentre entrava in casa. «Ci organizziamo e ci vediamo. Potresti venire da me, abbiamo una bellissima villa in Cornovaglia».
«Sarebbe bello!» assentì Zoey. «Comunque di solito i miei organizzano qualche viaggio, magari potresti venire con noi».
«Viaggi dove?».
«L’anno scorso siamo andati a Mosca. Non mi è piaciuta, faceva freddo come qui. Anzi di più. Così poi siamo andati dai miei nonni che abitano vicino al mare. Ho detto ai miei che quest’anno voglio assolutamente abbronzarmi di più. Odio essere così pallida».
«Potrebbe essere divertente».
Zoey sorrise e andò a salutare i signori Krueger augurando loro buon Natale. Poi si scambiò i regali con la sua amica.  I suoi genitori avevano insistito per prendere un pensierino anche a Willy e James e lei aveva accettato per quieto vivere: come spiegare ai grandi che James era un insopportabile Caposcuola petulante e spione? Meglio prendergli un libro a caso.
Trascinò Charlie nella sua camera per mostrargliela e qui si confidò con lei sul comportamento delle amiche. Ancora non riusciva a dire ex. Le si strinse il cuore al pensiero che quel Natale sarebbe stato completamente diverso dai precedenti: solitamente il pomeriggio si riunivano a casa di una di loro, per lo più a casa di Zoey, e giocavano insieme dopo essersi scambiate i regali. Quell’anno non le avevano nemmeno fatto gli auguri. Aveva comprato dei regali per loro, ma giacevano sulla scrivania in attesa di una decisione.
«Portiamoglieli».
«Cosa?».
«Le situazioni si affrontano di petto».
«Lo so» sbuffò Zoey. «Sono andata da loro, ma non mi vogliono nemmeno ascoltare».
«Beh, faremo in modo che lo facciano. E senza buone maniere».
«Tu dici?».
«Sì. Quanto vuoi soffrire ancora per loro?».
Zoey assentì: non voleva tornare a Hogwarts con quel peso. «I tuoi ti faranno venire?».
«Portiamo Willy con noi. Al massimo ci aspetta fuori. Così non protesteranno molto».
Intanto, in salotto gli adulti avevano cominciato a prendere il tè. Il signor Krueger, accompagnato come sempre da Cris, discuteva amabilmente con il signor Turner e James, che doveva sempre comportarsi da grande, di legge. Alle due ragazzine sembrò che stessero confrontando la giurisprudenza magica e quella babbana. Si scambiarono un’occhiata annoiata.
Le signore, invece, discutevano di moda. Zoey sorrise: lo sapeva che si sarebbero subito trovati in sintonia. Lei e Charlie si batterono il cinque, prima di raggiungere Willy che sbocconcellava qualche pasticcino con aria profondamente annoiata.
«Se per voi va bene, porto Charlie e Willy a vedere il quartiere» esordì Zoey.
«Ma è buio» protestò subito il signor Turner.
Zoey si morse la lingua e non rispose che avevano inventato l’elettricità, non sarebbe valso a proprio favore.
«Non stiamo via molto. Voglio presentare a Charlie Sam e alle altre».
Alla fine i genitori capitolarono e loro corsero via prima che potessero cambiare idea.
«Allora, da chi iniziamo?» chiese Charlie.
«Io che c’entro?» domandò invece Willy infreddolito.
«Figurati se mi avrebbero lasciato uscire sola» rispose sua sorella.
«Da Samantha» rispose Zoey. «Siamo amiche dall’asilo. Con Dalila e Caroline siamo diventate amiche alle elementari».
«E la quinta?».
«Chris? Lei è figlia della migliore amica di mia madre, quindi siamo state quasi costrette a fare amicizia».
«Che vuol dire? Anche mia madre avrebbe voluto che fossi amica di Matilde Gould. Ma mi ci vedi?».
«Non è la stessa cosa» replicò Zoey. «La Gould è antipatica. Chris è molto dolce e brava. Sai quanti compiti mi ha fatto e mi ha passato?».
«Sì, però, è la figlia della migliore amica di tua madre! Tua madre non ha detto niente per questo suo comportamento?».
Zoey si strinse nelle spalle. «Lei mi ha detto che si sono parlate, ma si sente in colpa per non poterle raccontare della magia… Comunque con Chris non ho parlato, perché era già dai nonni, ma dovrebbe essere tornata».
Charlie fece una smorfia, ma non replicò.
«Sam ti piacerà. Ama lo sport proprio come te. Amerebbe il Quidditch».
Charlie, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era un po’ gelosa di queste amiche babbane di Zoey. Lei non aveva mai avuto vere amiche prima di Hogwarts, perché aveva sempre snobbato le figlie delle amiche di sua madre. Per lo più il suo compagno di giochi era stato Willy e poi Cris, quando il fratello era partito per Hogwarts.
La villetta di Sam era poco distante, per cui non impiegarono nemmeno dieci minuti a raggiungerla. Zoey, forte della presenza di Charlie al suo fianco, suonò il campanello e augurò immediatamente buon Natale alla madre dell’amica.
«Ciao, Zoey» disse distrattamente la donna. «Perché sei qui?».
Non era mai stata troppo ospitale o affettuosa, perciò la ragazzina non si fece impressionare. «Vorrei parlare con Sam, per favore».
«Samantha è a casa di Caroline, non lo sai?».
«No, grazie».
Si congedarono e tornarono sul marciapiede innevato.
«Caroline abita molto distante da qui?» chiese Charlie.
«No» si limitò a rispondere Zoey. Si erano riunite senza di lei! Perché non le avevano detto nulla? Perché non avevano tentato di far pace? L’avevano esclusa e basta.
La villetta di Caroline era tutta illuminata da piccole luci colorate che si accendevano a intermittenza e, sul tetto, c’era un enorme Babbo Natale con la sua slitta. Zoey sbirciò dall’ampia finestra, che sapeva dare sul soggiorno, e vide le sue amiche riunite intorno a un basso tavolino intente a giocare insieme. Deglutì.
«Dai» le sussurrò Charlie.
Zoey strinse i denti e suonò il campanello, sperando che questa fosse la volta buona. Venne ad aprire la domestica, era nuova e non la riconobbe. «Buonasera, sono un’amica di Caroline. Posso entrare?».
«Aspettare un attimo» disse ella con un forte accento straniero e, dopo aver squadrato i tre ragazzi, chiuse la porta.
Zoey sentì una stretta al cuore: per anni era entrata in quella casa senza formalità.
La domestica ritornò dopo qualche minuto. «La signorina non conosce lei».
«Non è vero. È una bugiarda!» sbottò Zoey. «Esci fuori e affrontami» gridò verso l’interno, ma la donna la bloccò con il suo corpo e non per permise di compiere un solo passo.
A quel punto, Zoey comprese che era finita: non avrebbe supplicato la loro amicizia. Prima di scoppiare in lacrime, prese i pacchetti destinati alle ex amiche e li consegnò alla domestica.
Cominciò a camminare a passo svelto sulla neve, rischiando di scivolare diverse volte. I fratelli Krueger la seguirono in silenzio. Impiegò un po’ di tempo a calmarsi. Alla fine, Charlie le chiese: «Vuoi tentare con l’altra?».
«Chi?».
«Chris».
La cameriera non aveva voluto il regalo di Chris, perché la signorina non c’era.
Zoey si strinse nelle spalle. Aveva senso ormai?
«Proviamo» la sollecitò Charlie.
Zoey sospirò e annuì. Proseguirono in silenzio. Willy e Charlie commentavano le luminarie del quartiere, ma a Zoey non sembrava neanche Natale. Per la terza volta quella sera suonò il campanello di una delle villette che l’avevano vista crescere. Quella addirittura muovere i primi passi. Sperò di non pentirsene.
Aprì un signore alto e distinto. «Zoey! Che piacere vederti! Ma sei cresciuta!».
La ragazzina sorrise timidamente: non era sua abitudine, ma in quei mesi trascorsi al castello, tutto sembrava essere cambiato.
Il padre dell’amica, però, l’abbracciò e sorrise agli altri due ragazzi, poi li invitò a entrare in casa. La madre di Chris li raggiunse subito e anche lei si mostrò calorosa come sempre.
«Io ho portato un regalo a Chris».
«Ma che gentile!» disse la signora. «Chris è in camera. Perché non salite voi?».
Conosceva bene quella casa, ma sulla soglia della stanza dell’amica si fermò incerta. «Ciao» mormorò.
Chris, intenta a leggere, sobbalzò e la fissò sgranando gli occhi.
«Se vuoi me ne vado» disse Zoey sulla difensiva.
«No» si affrettò a rispondere lei, riponendo il libro e alzandosi dal letto. «Ciao».
Zoey le presentò Charlie e Willy.
«Pensavo di trovarti da Caroline» buttò lì, tanto valeva saper subito che intenzioni avesse Chris.
Sorprendentemente la ragazzina assunse un’aria corrucciata e si spostò nervosamente gli occhiali sul naso. «Sono tornata da casa dei nonni solo da qualche ora».
Zoey non comprendeva il problema: era sempre stato così, semplicemente Chris si aggiungeva a loro più tardi. «Quindi tra poco vai?». Chris non era mai stata troppo attenta alla moda, doveva sempre occuparsi Zoey di lei.
Chris sospirò e scosse la testa. «Senti, Zoey, in questi mesi sono cambiate un po’ di cose».
«L’avevo capito. Quello che non capisco è che cosa».
«La scuola media è diversa».
«Immagino. E allora?» le chiese impaziente.
«All’inizio ce l’avevano tutte con te… anch’io, perché mi sentivo abbandonata… Le altre mi hanno sempre accettata solo perché c’eri tu…». Zoey non la interruppe, ben sapendo che era vero. «Poi le altre hanno cominciato a fare amicizia… e non mi piacciono alcune ragazze che frequentano… diciamo che ci siamo allontanate…».
«Mi dispiace».
Chris si strinse nelle spalle.
Zoey era sicura che non le stesse raccontando tutto, ma non era sicura di essere pronta.
«Stasera ceniamo a casa vostra, lo sai?» chiese timorosa Chris.
«No, mia madre si sarà dimenticata». La paura di avere dei maghi per il tè doveva aver avuto il sopravvento anche sulla mente più organizzata. «Allora il regalo te lo do dopo?».
«Sì, ok» sorrise Chris.
«Allora a dopo».
I tre tornarono a casa solo un po’ più leggeri. Prima di salutarsi Charlie tirò Zoey da parte: «Seriamente, non ti meritano. L’amicizia non finisce così facilmente».
Zoey sapeva che aveva ragione, ma ci sarebbe voluto un po’ prima che il dolore, seppur nascosto dietro la rabbia, scomparisse.
 
 



 
*
 
 



«Buon Natale» augurò timidamente Charis. Suo zio le aveva dato il permesso di andare da Shawn il pomeriggio di Natale e lei ne era molto contenta.
«Ciao, Charis. Tanti auguri anche a te!» ricambiò il Grifondoro con la consueta gentilezza. «Accomodati».
La villetta in cui abitava la famiglia Lattes era identica a tutte le altre della via, con l’unica enorme differenza, naturalmente, che lì vivevano dei maghi. Shawn assomigliava molto a sua madre, fu quello il primo pensiero di Charis.
«È un piacere conoscerti, tesoro. Shawn ci ha parlato molto di te».
«È un piacere anche per me, signora» mormorò la ragazzina, tentando di ricordarsi quanto le aveva insegnato miss Shafiq per non fare cattiva figura.
Il signor Lattes, impegnato in una partita a carte con alcuni amici, si alzò per darle la mano e il benvenuto, dopodiché la lasciò nelle mani della moglie.
Shawn le mostrò tutta la casa, piccola ma accogliente. Austin, il fratello maggiore dell’amico, era uscito con degli amici per cui non ebbe modo di ricontrarlo.
«Allora, Shawn» disse la signora Lattes, «io sto uscendo. Austin tornerà per cena, tuo padre è in salotto con gli amici. La sala da pranzo è tutta vostra, ma mi raccomando: comportatevi bene e mettete tutto in ordine quando finite».
«Sì, signora» borbottò Shawn con l’aria di chi aveva già sentito quelle raccomandazioni un milione di volte.
Charis salutò la signora e si rivolse all’amico: «Ma non hai paura di invitare gli altri a casa tua? Insomma sono babbani». Se lo chiedeva da quando Shawn le aveva detto che si sarebbero visti a casa sua per giocare tutti insieme.
«No, tranquilla. Non vedi? Qui non c’è nulla di magico. I miei hanno scelto di integrarsi perfettamente. Le cose magiche le teniamo nelle nostre stanze, infatti i miei non vogliono che portiamo nessuno di sopra».
«Ma tu mi hai mostrato tutta la casa».
Shawn scoppiò a ridere. «Charis, ricordi di essere una strega?».
La ragazzina annuì e si diede della stupida. In quel momento suonò il campanello. «Ecco gli altri».
Charis lo seguì in corridoi e si emozionò a rivedere i ragazzini con cui aveva giocato in estate. Qualcuno sembrava un po’ più alto, ma per lo più erano sempre gli stessi.
Alexis Green l’abbracciò di slancio. «Come stai?».
Charis pigolò una risposta. Alexis era la più grande delle ragazze, aveva tredici anni. Sembrava sapere sempre tutto e questo metteva Charis in soggezione.
Poi salutò Eleanor Chase che fu altrettanto affettuosa. Eleanor aveva la sua stessa età, così come Erika Stills con la quale però aveva legato di meno.
Karl Harris e Henry Braians avevano entrambi tredici anni e a Charis parvero ancora più alti di quell’estate.
Shawn li guidò nella sala da pranzo e, da perfetto padrone di casa, offrì loro della cioccolata calda, biscotti al cioccolato e pasticcini vari. La merenda fu accompagnata dalle chiacchiere entusiaste dei ragazzi.
«Sono entrata nella squadra di calcio» annunciò tutta contenta Alexis. «Nel vostro collegio c’è una squadra di calcio femminile?».
Charis la fissò sorpresa e si rivolse a Shawn in cerca d’aiuto.
«È complicato» rispose il ragazzo. «Ve l’ho detto tante volte. Charis poi ha appena iniziato, quindi deve capire come funzionano mille cose».
Avere Shawn accanto era bello, lui fu in grado di mostrarle come si poteva parlare di tutto senza dire che Hogwarts era una scuola di magia. Era anche divertente: la McKlin divenne un’insopportabile professoressa di matematica, mentre madama Bumb di ginnastica.
In seguito occuparono l’intero pomeriggio dedicandosi a diversi giochi da tavola, che Charis non aveva mai visto e non conosceva e, fortunatamente, le domande su Hogwarts diminuirono.
Fu una serata molto strana, ma divertente.

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Capitolo 17
*** Svolte (im)previste ***


Capitolo diciassettesimo
 




 
 
 
Svolte (im)previste
 
 
 




Enan avanzò deciso nel corridoio: era il momento che aspettava, quello per cui aveva messo in piedi quella messinscena. I suoi ‘zii’ erano a lavoro e i suoi ‘cugini’ nel salone a giocare. Li avevano lasciati soli, ritenendo che ‘Thomas’ fosse maturato abbastanza da poter badare i ‘cugini’ per qualche ora. Quasi gli dispiaceva tradire la loro fiducia in quel modo, ma lui non era Thomas e doveva scoprire quale fosse la verità. Aveva atteso fin troppo.
Si guardò intorno e poi aprì la porta dello studio di suo zio. Con il cuore in gola costatò per la millesima volta di essere solo nel corridoio. Entrò, assottigliando gli occhi per vedere meglio nonostante la penombra, causata dalle tapparelle abbassate.
Non c’erano schedari come a casa, perciò decise di perquisire prima i cassetti della scrivania. Fortunatamente era molto ordinata, ma ciò non facilitò comunque il suo compito: dove venivano conservati di solito i certificati di nascita?
Nel primo cassetto c’erano delle agende, piume, boccette d’inchiostro, ma nulla che potesse solo assomigliare all’oggetto della sua ricerca. Nel secondo, c’erano un blocco di carta intestata e una scatola di legno. La tirò fuori e l’aprì. Con il cuore in gola si accorse che erano ritagli di giornale. Di uno riuscì a leggere la data: 1998. Ma alcuni erano anche più vecchi. E tutti riguardavano l’ascesa di Colui-che-Non-Deve-Essere-Nominato e la famiglia Mulciber.
«Che stai facendo?».
Per la paura lasciò cadere la scatola a terra e i suoi piedi si ricoprirono di ritagli. Dalla porta lo fissava Michelle scioccata. La ragazzina teneva in mano la mazza che Enan aveva ricevuto per Natale.
Enan la fissò con occhi sgranati.
«Chi sei?» sibilò Michelle minacciandolo con la mazza.
«Come chi sono? Sono Thomas» tentò di sorridere.
«Tu non sei Thomas» replicò la ragazzina. «Dimmi la verità o te ne farò pentire».
Il ragazzino strillò quando la mazza oscillò a pochi centimetri dal suo petto. «Mi chiamo Enan. Enan Macfusty».
«E chi saresti?».
«Sono un compagno di Scuola di Thomas. Puoi abbassare la mazza?».
«Come faccio a sapere che non stai mentendo ancora?».
Bella domanda. Si fissarono per un attimo, poi Michelle tentò nuovamente di colpirlo. Enan che, per fortuna, aveva buoni riflessi indietreggiò appena in tempo, ma inciampò nella sedia e cadde a terra trascinandosela con sé. Il rumore mise in allarme Benji, che chiamò dal piano di sotto. Michelle troneggiava su di lui, brandendo ancora quella benedetta mazza e sembrava ben intenzionata a non mancare nuovamente bersaglio.
«Aspetta» borbottò Enan, tentando di pensare in fretta. «Come vuoi che te lo dimostri?».
«Questo è un problema tuo» sentenziò la bambina di nove anni con logica impeccabile.
«Lascia che ti racconti».
«Uffa, va bene» assentì Michelle, palesemente dispiaciuta di non poter procedere con la mazza.
Enan si sedette alzando le mani in segno di resa, come aveva visto più volte in alcuni fumetti babbani che circolavano al villaggio, poi iniziò a raccontare di quando aveva visto per la prima volta Thomas la prima sera a Hogwarts, di come fosse diventata una fissazione e di come fosse ben deciso a scoprire la verità.
«La parte su quanto sia odioso e vigliacco Thomas è sicuramente vera, ma questa cosa dei gemelli? Come faccio a crederti?».
«Aiutami a cercare il certificato di nascita» sospirò Enan. «Quella sarà la prova».
«Va bene, allora sicuramente sono…».
Le parole le morirono in gola: Benji strillava felice per il ritorno del padre.
Enan si rialzò in fretta.
«Se ci trova qui, ci ammazza» borbottò Michelle guardandosi intorno. «Raccogli quella roba, muoviti».
Enan si sbrigò a obbedire.
Michelle lo trascinò nella sua camera e solo lì presero fiato. Si fissarono per un attimo e poi Enan, sorridendo, le porse la mano: «Amici?».
«Ok, ma la mazza la tengo io e se…».
Enan sollevò nuovamente le mani in alto. «Sì, tranquilla».
In quel momento lo zio entrò in camera: «Tutto bene, ragazzi?».
«Tutto bene, papà» rispose Michelle con tono falsamente angelico e nascondendo la mazza dietro la schiena.
Il padre la fissò scettico, ma sembrò volersi illudere di quell’apparente tregua tra i due cugini.
La serata trascorse tranquilla e, finalmente, Enan si sentì accolto da Michelle e Benji. In lui, però, c’era il cocente desiderio di scoprire la verità: ogni volta che gli sembrava di esserci vicino, si allontanava. Era così frustrante.
 
 
*
 
 
 
«Ti odio» borbottò Charlie per la millesima volta. E sua madre, per la millesima volta, la ignorò.
L’aveva costretta a indossare un vestito di lana, che non solo la pizzicava tutta, ma era anche orribile e scomodo. Zoey le aveva detto che i Babbani avevano il Telefono Azzurro, chissà se avrebbero risposto anche a una strega.
Il vestito, però, non era la cosa peggiore, Oh, no, la crudeltà di sua madre era andata oltre: la stava trascinando a casa di Matilde Gould, perché coltivasse delle buone amicizie. Sua madre aveva pessimi gusti.
Per giunta, quel fedifrago di suo fratello Willy era riuscito a defilarsi con la scusa dei compiti. Ci aveva provato anche lei, ma la madre non le aveva creduto. Che rabbia!
«Eccoci. Muoviti e comportati bene».
Charlie le fece una boccaccia e colse il labbro di Chris, al volante, piegarsi in quello che sarebbe stato ben più di un sorriso se non fosse stata presente la ‘signora’. Gli regalò una linguaccia tanto per ringraziarlo del suo mancato sostegno e scese di malavoglia dalla macchina.
Un elfo domestico aprì loro la porta, ma furono subito raggiunti dalla leziosa signora Gould, che scoccò due sonori baci sulle guance di Charlie. Poteva vomitare ora? Si guardò bene dal chiederlo alla madre.
Si disse che poteva sopportare Matilde per un paio d’ore, poi sarebbero tornate a casa e sarebbe stato tutto un brutto ricordo.
Il suo proposito durò finché non entrò nel salone della sfarzosa villa dei Gould: era un raduno di Serpeverde. No, non ce l’avrebbe fatta.
Matilde le venne incontro con il suo sorriso più falso e Charlie cercò di ricambiare, perché ora era in minoranza numerica e doveva studiare gli avversari.
«Oh, sono contenta che Charlotte sia venuta» cinguettò la signora Gould accomodandosi sul divano con l’amica. «Mia figlia ha invitato anche altri compagni di Hogwarts. È bello che i ragazzi possano coltivare le loro amicizie anche durante le vacanze».
«Sì, sono sicura che Charlotte si divertirà».
Stronza, pensò la ragazzina non trattenendo un’occhiataccia alla madre.
«Matilde, tesoro, perché non salite in camera? Così puoi mostrare la nuova bambola di porcellana che ti abbiamo regalato per Natale».
Bambola di porcella? Charlie odiava quella collezione. «Perché, invece, non usciamo in giardino a contemplare le rose?» balbettò.
Sua madre le lanciò un’occhiataccia.
«Ma non essere sciocca, fa troppo freddo fuori» rispose la signora Gould, con una certa impazienza nella voce. «Su, andate».
Chissà quale pettegolezzo doveva raccontare, se aveva tanta fretta di liberarsi di loro.
Charlie colse lo sguardo divertito e cattivo di Matilde, ma il suo orgoglio non le avrebbe permesso di andare a supplicare sua madre – la stessa che l’aveva trascinata in quella casa con la forza – perché era terrorizzata da quelle orribili bambole.
«Giochi anche tu con le bambole, Edward?» chiese tentando di darsi un contegno, mentre salivano le scale di legno chiaro e lucido.
Edward Burke arrossì e si affrettò a negare.
«Lui prenderà il tè con noi, come un rampollo che si rispetti».
Charlie fece una smorfia, ma notò che Burke si limitò ad abbassare lo sguardo. Evidentemente, non solo non sapeva farsi rispettare da Dolohov, ma nemmeno dalle sue compagne di Casa.
Elisabeth Foster ridacchiò e le lanciò un’occhiata interessata. Edith Yaxley, invece, aveva un’espressione annoiata in viso. Evidentemente Charlie non era stata l’unica a essere stata obbligata a star lì.
Conosceva a menadito la villa e la cameretta di Matilde. La stanza era ampia, sembrava quasi uguale alle illustrazioni sui libri di fiabe: tanto rosa ˗ ora con qualche tratto di verde ˗, letto a baldacchino come quello di Hogwarts ˗ sul quale vi era una moltitudine di cuscini a forma di cuore e di peluche ˗, un’ampia finestra che si affacciava sul giardino innevato, una scrivania di legno chiaro completamente sgombro, una porta che conduceva al suo bagno personale e una al suo guardaroba, infine una libreria di medie dimensioni dove c’erano più sue foto che libri. Al centro della stanza c’era un tavolino già preparato per il tè. Forse ne avrebbero bevuto uno vero e non giocato alle ‘signore’ come quando erano più piccole ossia fino all’inverno precedente.
Edward sedette sulla sedia rigida della scrivania, sempre più imbronciato. Edith e Elisabeth sul letto. Matilde iniziò a parlare a ruota libera: l’esatta fotocopia della madre.
Charlie si affacciò annoiata alla finestra, provando a ignorare la coetanea intenta a tirare fuori tutte quelle orribili bambole di porcellana e allinearle sul cuscino del letto.
«Charlie, ti piace? Mio padre me l’ha portata dalla Germania».
La ragazzina si limitò a un lieve cenno del capo, senza nemmeno voltarsi. A Matilde, però, non bastò e le si avvicinò con quella cosa.
«Non è educato comportarsi così in casa d’altri» insinuò Matilde. «Dove sono finite le tue buone maniere?».
No, non la sopportava, ma doveva resistere se non voleva finire nuovamente nei guai: le vacanze erano fin troppo brevi.
«Perché non la prendi in braccio?».
Charlie le rifilò un’occhiataccia tale da costringerla a indietreggiare. «Non mi piacciono le tue stupide bambole».
«Non sai quanto le ha pagate mio padre… È che ormai sei abituata con quei tuoi amici straccioni… come si chiama? Ah, Becker. Sembra un cagnolino abbandonato».
Nessuno rise e la tensione nella stanza si fece sentire.
«Decapito la tua bambola» sibilò Charlie.
«Cosa?».
«Se non la allontani, la decapito».
«E come?» chiese interessata Edith Yaxley.
Charlie si guardò intorno, poi indicò la finestra.
Matilde si strinse al petto la bambola e la fissò inorridita. «Mio padre…».
«Chissenefrega di tuo padre».
«Lo dici solo perché il mio non è disabile».
Charlie strinse le mani a pugno, pronta a colpire, poi decise di ricambiare con la stessa moneta: «Almeno, anche se cieco, è veramente mio padre».
Matilde sgranò gli occhi e sembrò non trovare più divertente quel gioco.
«Che vuol dire?» chiese Elisabeth Foster.
«Significa che il signor Gould è il marito di sua madre, non suo padre» disse Edith Yaxley.
Charlie si disse che il metodo “Serpeverde” non fosse particolarmente soddisfacente: si sentiva a disagio dopo aver pronunciato quelle parole.
«Non ci ha perso nulla» intervenne a sorpresa Edward Burke. «Almeno lui fa finta di volerle bene. Non basta mettere al mondo un figlio per essere un buon genitore».
La Tassorosso lo fissò basita e così anche Elisabeth, gli altri non reagirono in alcun modo.
«Già, mio padre non mi ha mai regalato una bambola… nemmeno di pezza» borbottò Edith Yaxley.
Il disagio di Charlie aumentò: quelli erano i suoi nemici, non doveva provare compassione per loro.
I pensieri tristi furono interrotti da uno degli elfi di casa Gould, che servì loro il tè. Da quel momento in poi ripresero a far finta di essere gli eredi delle loro famiglie e non dei ragazzi di undici anni. Con esclusione di Elisabeth e di Charlie, che non potevano veramente comprendere la sofferenza dei compagni.
 
*
 
 
Zoey sedette sul letto di Chris a gambe incrociate, guardandosi intorno con un leggero velo di tristezza: solo pochi mesi prima era stato tutto diverso. Non riusciva ancora a farsene veramente una ragione. Sua madre aveva detto che ferite del genere impiegano tempo a rimarginarsi e, a volte, persino anni. Brutalmente sincera. Recuperò un peluche a forma di Topolino e se lo strinse tra le braccia.
«Zoey» tentò Chris abbandonando la penna.
La ragazzina si asciugò gli occhi, troppo orgogliosa per piangere davanti agli altri. Ormai trascorreva quasi tutti i pomeriggi a casa della sua amica, perché non voleva star da sola quando i suoi erano a lavoro.
«Sto bene» mormorò. «Continua, ho promesso a tua madre che non ti avrei disturbato, mentre fai i compiti».
La madre di Chris era abbastanza severa per la scuola, infatti anche quando erano ancora tutte amiche, Chris le raggiungeva sempre dopo aver svolto tutti i compiti, che loro puntualmente copiavano.
Chris, incerta, tornò alla sua traduzione di francese, ma dopo un po’ l’abbandonò. «Non riesco a vederti così».
Zoey scosse la testa, senza sapere che cosa dire.
«Che cosa vuoi che facciamo? Lo so che non sono all’altezza delle altre».
«Non è vero, non è questo».
Chris fece una smorfia scettica. «E quale sarebbe?».
«Forse Charlie ha ragione, dovrei vendicarmi e poi chiudere la questione per sempre».
«Vendicarti come? Uno dei tuoi scherzi?» chiese leggermente preoccupata. Sapevano entrambe come finivano gli scherzi di Zoey, di solito.
«Sì, e se lo ricorderanno» assentì la ragazzina. «Mi aiuterai?».
«Sì» rispose Chris dopo un attimo di tentennamento.
«Chiederò anche a Charlie, magari potrà portare qualche prodotto Tiri Vispi Weasley… i Weasley hanno un negozio di scherzi strepitoso. Dovresti vederlo!».
«Ma quindi il mondo della magia…».
«Esiste ed è fantastico! A Hogwarts ci sono fantasmi e quadri che parlano!».
«Forte!» esclamò Chris con gli occhi che le brillavano. «E sai spostare gli oggetti con la forza del pensiero? Come la Matilde di Dahl?».
«Con la forza del pensiero no, ma c’è l’incantesimo di levitazione».
«Oh» sospirò Chris estasiata. «Perché non mi porti con te?».
«Non sei una strega» mormorò Zoey dispiaciuta.
Chris s’intristì, ma annuì. «Sì, giusto. Funziona sempre così. Oh, quanto sarei voluta nascere strega anch’io!».
«Sarebbe stato bello averti a Hogwarts» replicò sinceramente Zoey abbracciandola.
«Senti, ma quei Tiri Vispi Weasley di cui parlavi sono prodotti magici?» chiese Chris dopo aver sciolto l’abbraccio.
«Sì».
«E me li farai provare?».
«Penso che non ci saranno problemi» rispose Zoey eccitata.
«Evvai!» strillò Chris saltellando per la stanza.
Zoey sorrise. «Ti conviene finire francese, se vogliamo andare al cinema».
«Giusto! Faccio in fretta».
Zoey si stravaccò sul letto, questa volta più agguerrita.
 
 
 
*
 
 
 
«Ce la fai?».
«Sì» mormorò Charis, brandendo con passo vacillante una pala. Fino a quel momento aveva creduto che servisse solo a scavare buche nel giardino.
Shawn scoppiò a ridere.
Charis arrossì, ma non volle consegnare la pala all’amico. «Fammi fare».
«Come vuoi» sorrise il ragazzo, tornando a spalare la neve nel vialetto. «Non sei obbligata ad aiutarmi però».
«Non è un problema. Mi diverte».
«Contenta tu. Io ne farei a meno, ma se non trovano il vialetto spalato chi li sente i miei?».
«Austin non ti aiuta?».
«È più grande ed è Serpeverde».
«Quindi?» chiese Charis, che non aveva esperienza di fratelli maggiori.
«Quindi è particolarmente bravo a defilarsi».
«Ma non è giusto».
«È la legge del più forte» disse Shawn divertito.
«Ma i tuoi non possono approvare» s’indignò Charis.
Shawn smise di spalare per un attimo e le sorrise: «Non lo sanno, ma tra fratelli ci dev’essere solidarietà».
«Come quando lascio copiare i miei compiti a Zoey e Charlie?».
«Sì, esattamente».
«Zoey e Charlie mi ringraziano».
«A volte lo fa anche Austin. I fratelli maggiori, però, sono molto orgogliosi».
«Mi piacerebbe avere un fratello» sospirò la ragazzina.
«Più grande o più piccolo?».
Charis si strinse nelle spalle.
«Posso prestarti Austin, se vuoi. Gli stai simpatica».
«Non credo ci guadagnerebbe molto. Non riesco nemmeno a sollevare questa cosa».
Shawn rise e le tolse lo strumento dalle mani. «È che sei ancora piccola e gracile».
Charis assunse un’espressione dispiaciuta.
«Non fare il broncio. Sei adorabile e apprezzo la tua compagnia».
«Grazie».
«E comunque, Austin aiuta me se necessario».
«Com’è vivere con un Serpeverde?» chiese Charis dopo un po’.
«Si sopravvive».
«Questa cosa della rivalità tra Serpeverde e Grifondoro non riesco a capirla».
Shawn si strinse nelle spalle. «Risale ai Fondatori, conosci la leggenda no?».
«Sì, il litigio tra Godric Grifondoro e Salazar Serpeverde».
«Già, poi la guerra ha anche inasprito il tutto, indipendentemente da quello che dicono i professori. Sai, ammiro molto il professor Paciock: nonostante lui abbia vissuto la guerra, tratta i Serpeverde, figli e nipoti dei Mangiamorte, allo stesso modo di tutti gli altri studenti…».
«Ma è un insegnante…».
«No, Charis» disse serio Shawn fermandosi. «Il perdono non è per tutti. McBridge non è un insegnante? Eppure non ha perdonato».
«Perdonato, cosa?» chiese sorpresa Charis. Con gli altri aveva indagato sul suo Direttore, ma non aveva scoperto nulla. Non aveva pensato di chiedere al Grifondoro.
«Non so molto» mormorò il ragazzo abbassando la voce, «ma ha perso tutta la sua famiglia tra la prima e la seconda guerra magica. Per questo non può vedere i figli dei Mangiamorte».
Qualcosa sul passato di McBridge l’avevano intuita, soprattutto dalle parole del padrino di Teddy. Eppure qualcosa continuava a non tornare. «Ma Mark? Perché ce l’ha con lui e i suoi fratelli?».
«Becker? Quel ragazzino dall’aspetto malaticcio?».
«Sì, sai qualcosa?».
«No, posso chiedere ai miei se vuoi».
«Sì, grazie».
«Dai, qui abbiamo finito, andiamo a berci una cioccolata calda».
Charis lo seguì all’interno dell’abitazione, ma nella sua mente riecheggiavano le parole pronunciate poco prima dall’amico: Il perdono non è per tutti. Che ruolo aveva la famiglia di Mark nella distruzione di quella di McBridge?
 
 
*
 
 
«Ma a Hogwarts a che ora si cena?».
Teddy sprofondò nel cuscino del divano e sospirò: erano ore che Victoire lo torturava con i suoi “A Hogwarts…?”. Le voleva molto bene e avevano sempre giocato insieme senza problemi, ma in quei giorni lo stava annoiando.
«Dipende» borbottò.
«Da cosa?».
«Dai compiti, per esempio».
«Eh, sì, cara Victoire, iniziare Hogwarts rappresenta l’assunzione di nuove responsabilità, una nuova fase nella vita di ogni mago».
Teddy si sollevò quel tanto che bastava per lanciare un’occhiata scettica allo zio Percy, che, sfortunatamente, si sedette vicino a loro.
«E, dimmi, Teddy, come ti stai trovando?».
«Bene, grazie» mormorò cercando velocemente una scusa per filarsela.
«I tuoi compagni? Sono bravi ragazzi? Sai, è molto importante scegliere bene la propria compagnia… potrebbe portare sulla cattiva strada».
«Sono bravi ragazzi» tagliò corto il ragazzino, raddrizzandosi.
«Eh, ho sentito che la figlia del giudice Krueger è a Tassorosso, primo anno come te, la conoscerai senz’altro… il giudice quest’anno è tornato a lavoro… nomina spesso la figlia… dev’essere una ragazzina deliziosa… No?».
Teddy trattenne un sorrisetto: a Charlie non sarebbe piaciuto sentirsi etichettare come ‘ragazzina deliziosa’. «Sì, una brava ragazza».
«Non è quella che ha buttato un’altra studentessa nel Lago Nero?» intervenne Victoire, alla quale per qualche motivo davano fastidio tutti i compagni di Teddy, ma voleva che il ragazzino le raccontasse ogni cosa di loro.
«Impossibile» borbottò zio Percy. «Victoire non sai quello che dici».
«Beh, in realtà è vero» disse Teddy.
«Disdicevole, ma sicuramente lo farà per ottenere attenzioni… in fondo, una situazione familiare come la sua… non è facile per un bambino…».
Zio Percy non era mai coerente e rigirava tutto a proprio favore: Teddy non era così stupido da mettersi a discutere con lui.
«E c’è anche la nipote dell’Auror Williamson, no?».
«Sì, Charis è molto intelligente e timida» rispose Teddy, sperando che si stancasse. Sembrava di essere a una cena di Lumacorno.
«Poi c’è un McFusty… e? Quanti ragazzi siete?».
«Tre. Oltre me ed Enan, c’è Mark Becker».
«Becker, hai detto?» chiese zio Percy accigliandosi.
«Sì, perché? Conosci suo padre? Lavora al Ministero» si affrettò a rispondere Teddy: forse quella conversazione sarebbe stata utile.
Percy fece una smorfia e s’incupì. «Di vista» rispose rigidamente.
«Il professor McBridge odia Mark e i suoi fratelli. Lui non sa perché, ma secondo noi centra con i Mangiamorte».
Ora, Percy sembrava a disagio, come tutti quando si parlava della guerra e forse si era pentito di aver di aver iniziato quel discorso. «È difficile…».
«Cos’è difficile?» chiese Ron gettandosi sulla poltrona più vicina. Con lui c’era Harry e non sembrò felice di quanto gli riferì il cognato.
«Non credo sia importante» sentenziò Harry.
«Cosa? Sì, che è importante» sbottò Teddy. «Non puoi nascondermi tutto».
«Questi non sono affari tuoi, Teddy» disse Harry con fermezza.
Il ragazzino sbuffò e si rivolse a Victoire: «Dai, andiamo di sopra. Lasciamo gli adulti ai loro segreti». Prima di andarsene fece una linguaccia a Harry, che non si scompose.
 
 
 
 
*
 
 
 
 
Le braci ardenti illuminavano cupamente la stanza e creavano ombre inquietanti. Mark c’era abituato e non si preoccupò, anche perché a volte la realtà fa abbastanza paura da sé. Si strinse la coperta addosso sperando di ottenerne chissà quale calore; eppure il problema più grave non era il freddo esterno, ma quello interiore: sentiva una profonda mancanza dei suoi amici e di Hogwarts, tanto che quella vita ormai era intollerabile.
Suo padre lavorava tutto il giorno, come al solito, ma i nonni si erano letteralmente accampati in casa loro e sembravano ben intenzionati a non andarsene presto e a godersi i nipoti per tutte le vacanze. Due dei loro nipoti.
Mark evitava costantemente di stare nella stessa stanza dei suoi nonni e di Alexis, ma non ne poteva più di vivere con quell’ansia. Gli erano persino tornati gli attacchi di tachicardia.
Continuava a chiedersi perché suo padre l’avesse costretto a tornare a casa per le vacanze, se non gliene fregava nulla di lui.
Di una sola cosa era certo: quella situazione stava diventando troppo.
Ripensò alla lettera di Charlie e di come l’amica gli avesse suggerito chiaramente la strada da seguire: lei, però, era tendenzialmente irresponsabile e combinaguai, non certo un modello; ma il suo comportarsi bene, dove l’aveva condotto? Da nessuna parte. I suoi familiari lo consideravano meno di nulla.
Charlie aveva ragione: doveva agire.
Si alzò, ignorando i brividi di freddo, e si recò nel piccolo bagno di servizio, che non usava quasi nessuno. Lì aveva nascosto i suoi regali di Natale e, quella mattina, anche la sua bacchetta. Deglutì, consapevole della gravità della sua decisione.
Prese il sacco e raggiunse l’ingresso con il cuore in gola. La casa, però, era immersa nel silenzio. Indossò il giubbotto, cappello, guanti e sciarpa, poi uscì nella notte.
Fuori faceva molto freddo e la strada era ricoperta di neve, tanto che rischiò di scivolare ripetutamente.
Il quartiere dove viveva non era esattamente tranquillo di giorno, di notte ancora di meno. Mark avanzò faticosamente temendo che qualche malintenzionato lo aggredisse all’improvviso o che qualcuno lo andasse a cercare. Naturalmente, la prima opzione era quella più probabile.
 
Si allontanò da casa il più possibile e si fermò in uno spiazzo deserto. A questo punto estrasse la bacchetta, che fremette nelle sue mani. Aveva promesso a Vitious che non l’avrebbe più usata, ma non poteva fare altrimenti. Charlie era stata chiara.
Tese la bacchetta davanti a sé, ma quella non lo sopportava più di quanto non lo sopportassero i suoi familiari. Ci fu uno scoppio, ma Mark non ebbe il tempo di preoccuparsene, perché si ritrovò a terra sulla neve con un terribile dolore al braccio. Gemette. Doveva aver svegliato l’intero quartiere!
«Hai chiamato tu il Nottetempo?».
Gli scappò un urlo e fissò spaventato un giovane, ma soprattutto l’autobus violaceo su cui si trovava.
«Ma sei ferito».
«N-no, no» mormorò stringendosi il braccio e tentando di nasconderlo.
«Come no? Quello è sangue».
Mark seguì il suo sguardo e vide la neve chiazzata di rosso. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e il dolore intensificarsi. Borbottò qualcosa di poco comprensibile sulla bacchetta.
«Vieni, ti portiamo al San Mungo» sbuffò quello.
Il ragazzino pensò di fare resistenza, ma il freddo, la stanchezza e la debolezza ebbero la meglio: la vista gli si annebbiò e perse conoscenza.
Quando si svegliò, si ritrovò in una stanza calda, bianca e da un fastidioso odore di disinfettante.  Tentò di sedersi, spaventato da quella nuova situazione del tutto inaspettata.
«Ciao». Fissò l’uomo con il camice verde acqua, che tranquillamente sedette sul letto accanto a lui. «Mi chiamo Anthony Goldstain, tu?».
Mark era terrorizzato e non rispose.
«Stai bene. Sei stato colpito da un incantesimo diffindo molto potente, dovrai tenere ancora la fasciatura… vedrai in un paio di giorni il tuo braccio ritornerà come nuovo».
Il ragazzino per la prima volta osò abbassare lo sguardo sul suo braccio: effettivamente era fasciato. Inoltre, non indossava più i suoi vestiti, ma una specie di pigiama verdastro, di una taglia o due più grande del necessario.
«Allora, come ti chiami?» gli domandò nuovamente il medimago.
«Mark» si costrinse a rispondere il ragazzino: non voleva che chiamasse suo padre.
«Piacere, Mark» replicò Goldstain. «Che facevi alle due di notte in una strada deserta?».
Ecco, quello era il genere di domande a cui non voleva rispondere. Fissò con ostinazione il lenzuolo.
«Va bene, dai, riposati. Magari ne parliamo più tardi, eh?».
Mark sollevò leggermente lo sguardo, incredulo che lo lasciasse andare così facilmente. Dormì qualche ora, ma senza continuità e in perenne ansia di veder spuntare il padre da un momento all’altro. Non voleva nemmeno pensare alle conseguenze delle sue azioni.
La mattina dopo un’infermiera andò a controllarlo e a portargli la colazione, ma Mark non toccò nulla nonostante le insistenze di quest’ultima.
Poco dopo, il guaritore della notte si fece rivedere senza camice. Mark sgranò gli occhi vedendo chi lo accompagnava.
«Buongiorno, Mark».
Il ragazzino ricambiò il saluto, ma sembrò più un guaito.
Vi fu un momento di silenzio, alla fine rotto da Goldstain. «Come le ho detto, professoressa, Mark sta bene, ma non ho avuto modo di contattare la famiglia».
Minerva McGranitt lanciò un’occhiata al ragazzino e poi si rivolse al medimago. «La situazione è molto complessa, ha fatto bene a chiamarmi. Prendiamo noi in custodia il ragazzo, se per lei va bene».
Gli adulti scambiarono qualche altra battuta, infine Goldstain si congedò.
«Che cos’è successo stanotte?».
Mark non ebbe il coraggio di tacere come aveva fatto con Goldstain e raccontò alla preside il suo tentativo di scappare di casa.
«Immaginavo» commentò lanciando un’occhiata all’uomo accanto a lei, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo. «Ho provato a parlare con tuo padre, ma essendo lui irragionevole e poco incline al dialogo, mi ritrovo costretta a prendere dei provvedimenti».
Il ragazzino la fissò terrorizzato: lo voleva espellere?
«Mark, ti presento Barnabas Becker, tuo nonno».

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Capitolo 18
*** Propositi per il nuovo anno ***


Capitolo diciottesimo
 


 
Propositi per il nuovo anno
 




«Mi raccomando, eh… Vedete di fare i compiti e di non giocare tutta la mattina».
«Stia tranquilla, signora» replicò con un sorriso enorme Teddy, immediatamente imitato da Laurence.
«Come no» sbuffò la signora. «Quando torno, mi farete vedere quello che avete fatto».
Laurence alzò gli occhi al cielo e Teddy gli diede una gomitata.
«Ci vediamo più tardi».
«Buona giornata, signora Landerson».
«Ciao, mammina».
«Ciao, mammina?» gli fece il verso Teddy appena furono soli.
«Che c’è?».
«Un manuale su come non farsi scoprire… ecco che cosa ti farà diventare ricco».
«Perché no? Potrei scrivere un manuale su come combinare guai a Hogwarts senza farsi beccare».
Teddy roteò gli occhi e decise di chiudere lì la questione.
«Ehi, conosci qualcuno migliore di me?».
«Mio zio George…».
«Ma lui è un genio, non conta».
«Il mio padrino».
«Lui è Harry Potter, la passava liscia solo per questo».
«I primi Malandrini».
«Loro si facevano beccare».
«La loro bravura è insindacabile».
«Sicuramente, su questo siamo d’accordo» convenne Laurence buttandosi sul divano e afferrando il joystick.
«Fermo lì».
«Oh, dai, non vorrai studiare veramente?».
«Dovremo fare qualcosa. Tua mamma manterrà la promessa» ribatté Teddy. «E comunque siamo qui per pianificare».
«Facciamo una partitina prima».
«Mi vergogno di te!» sbottò Teddy. «Da quando la play è più importante di dare una lezione ai Serpeverde?».
«Siamo in vacanza» si strinse nelle spalle il Grifondoro.
«Appunto, dobbiamo prepararci! Appena possibile incontreremo anche Charlie».
Laurence lo fissò con attenzione, passandosi il joystick tra le mani.
«Che c’è?». Teddy ricambiò lo sguardo, confuso per l’improvvisa serietà dell’amico.
Il Grifondoro sospirò: «Tu non sei così».
«Così come?».
«Così» insisté Laurence allargando le braccia. «Tu non pianifichi scherzi».
Teddy si strinse instintivamente nelle spalle. Forse Laurence aveva ragione: a settembre non l’avrebbe mai pensata in quel modo e non avrebbe cercato di trascinare l’amico in piani assurdi che avrebbero portato solo guai. Eppure sentiva di doverlo fare, che fosse giusto o sbagliato. Indipendentemente dalle minacce della professoressa McGranitt. Sedette sul divano accanto a Laurence e strinse le mani a pugno. «Comprendimi. Lo devo fare».
«Per quello che Dolohov ha detto sui tuoi genitori?».
«Ti pare poco?».
Laurence scosse la testa. «Non devi permettergli di avere tutto questo potere su di te».
«Questa te l’ha detta Diana».
«Non è vero! Ho una testa».
«Sì, certo».
«Beh, non ha importanza se l’ha detto Diana o se l’ho detto io. Cosa cambia?».
Teddy sollevò gli occhi al soffitto e si accasciò sul divano. Non faceva alcuna differenza: Dolohov stava condizionando la sua vita e questo non gli piaceva.
Laurence gli lanciò il secondo joystick. «Partita».
Questa volta il Tassorosso non si lamentò. I suoi piani di battaglia e i compiti potevano ancora aspettare, in fondo Laurence aveva ragione: erano in vacanza.
 
 
 
*
 
 
 
Mark strinse con forza il piumone colorato e si guardò intorno: per l’ennesima volta nel giro di pochi mesi era in un posto a lui sconosciuto. Questa volta, però, a differenza di Hogwarts, non comprendeva proprio se fosse positivo o meno. Dopo undici anni aveva conosciuto il nonno paterno ed era andato a vivere da lui per le vacanze. Il tutto dopo essere scappato di casa. Gli strinse lo stomaco al pensiero che da lì a una settimana avrebbe dovuto rivedere i suoi fratelli.
Sicuramente non poteva lamentarsi: suo nonno gli aveva comprato dei vestiti nuovi, materiale di cancelleria tutto suo, un calderone – Lumacorno avrebbe avuto un motivo in meno per rimproverarlo –, e, soprattutto, una bacchetta magica. Una bacchetta nuova. Tutta sua. Ancora non riusciva a crederci.
Eppure percepiva uno strano senso di vuoto al petto, probabilmente perché fino a qualche giorno prima aveva profondamente sperato che suo padre gli volesse bene. Un po’ come succedeva nei film o nei romanzi. Tutti trovavano una famiglia alla fine. E lui? A questo punto era particolarmente confuso. E, soprattutto, avrebbe preferito tornare a Hogwarts e trovarsi al sicuro nella sua stanza dai gialli patchwork.
«Mark, sei pronto? Sono arrivati gli ospiti».
Il ragazzino si voltò verso il nonno, che era un uomo alto e imponente. I suoi capelli erano corti, quasi rasati tanto da sembrare più un Auror in pensione che un magistrato.  
«Sì» mormorò. Non sapeva nemmeno come chiamarlo. Nonno? Lo conosceva solo da pochi giorni, molti dei quali li aveva trascorsi al San Mungo.
Il nonno lo osservò, anzi analizzò, come per assicurarsi che fosse in ordine. Non voleva fare cattiva figura con i suoi amici? Mark sarebbe rimasto volentieri in quella stanza, che non riusciva a sentire sua. Troppo poco tempo? In fondo vi aveva dormito solo per una notte, no? Eppure tutto sembrava così sfuggente e provvisorio. Quell’incertezza lo attanagliava.
«Questo cos’è?» chiese Barnabas Becker, prendendo tra due dita il vecchio libro di Storia della Magia che il nipote aveva appoggiato sul letto.
«Il mio manuale di Storia della Magia» rispose sommessamente Mark, timoroso di farlo arrabbiare in qualche modo.
Il nonno lo sfogliò criticamente – le pagine erano per lo più staccate o incollate malamente con lo scotch – e la sua espressione divenne sempre più disgustata.
«Tu vai a Scuola con questi libri?».
Mark strinse le mani tra loro e rispose a bassa voce: «Non tutti».
«Perché non me l’hai detto?». Era infastidito.
Il ragazzino evitò lo sguardo del più grande e borbottò una risposta: «Si leggono».
«Vieni giù» disse – sembrò quasi un ordine dal tono ˗ il nonno, probabilmente stabilendo che non avesse alcun senso insistere sull’argomento.
Mark lo seguì docilmente e per un attimo i suoi occhi caddero sul loro riflesso in un vecchio specchio sull’anta dell’armadio. Un ragazzino minuto dal volto pallido, vestito elegantemente, ammiccò verso di lui.
Chi era?
 
Al piano di sotto, in un fine salotto che fino a quel momento aveva solo sbirciato, sedevano alcuni signori ben vestiti. Mark si bloccò sulla soglia. Non sembravano cattivi, pochi secondi prima del loro arrivo stavano ridendo e conversando tranquillamente, ma vedendoli si erano zittiti e si erano voltati verso di loro.
Barnabas appoggiò un braccio sulle esili spalle del nipote e lo spinse delicatamente all’interno.
«Vi presento Mark».
Il ragazzino sorrise e strinse debolmente le mani di quei signori. Per quello che comprese i due uomini e una delle signore erano stati giudici del Wizengamot proprio come il nonno ed erano tutti ex Corvonero. Le altre due donne, mogli dei due giudici, gli ricordarono la fragilità e la delicatezza di Charis, ma avevano anche un che di maestoso nella loro compostezza.
Fortunatamente, dopo le presentazioni, l’attenzione degli adulti si spostò da lui e gliene fu profondamente grato. Giochicchiò con un cuscino finché Bay, l’elfo di casa, non servì loro l’aperitivo. Il suo sapeva di frutta e aveva un colore più intenso rispetto a quello degli adulti. Il gusto era molto buono. Osò osservare i presenti. Erano così tranquilli e sembravano conoscersi da sempre che non potevano essere semplici colleghi di lavoro. Suo padre non parlava mai dei suoi. Beh, lui non parlava nemmeno del suo lavoro, eppure presso la Divisione Bestie dovevano esserci missioni interessanti, almeno qualche volta, non solo scartoffie da firmare e compilare. Suo padre non aveva mai parlato nemmeno del nonno e il nonno non era mai andato a trovarli. Che cos’era successo tra loro? Forse al nonno non piaceva che il papà avesse sposato una babbana?
Le sue riflessioni furono interrotte da una nuova apparizione di Bay che invitò tutti a recarsi in sala per la cena. Un enorme tacchino torreggiava al centro della tavola rivestita da una tovaglia rossa. Mark quasi ebbe paura di sedersi con il rischio di rovesciare uno dei tanti calici di vetro. Sembrava quasi di essere in una fiaba.
Il tacchino era ripieno di salsa ai mirtilli, che suscitò non pochi ricordi ai presenti.
«Ricordi quando hai provato a cucinarla tu?» ridacchiò il signor Robert Knarl rivolto all’unica signora da sola, Lucretia Turings.
La donna storse la bocca, poco divertita dalle risatine degli altri. «Non ho mai preteso di avere alcuna capacità culinaria» replicò, portando alla bocca una forchettata di tacchino con incredibile eleganza.
Quella sera Mark si rese conto di non trovare altri aggettivi che si addicessero alla signora Lucretia. In lei sembrava tutto perfetto. Quasi una regina. Che fosse imparentata con la famiglia reale? Gli altri man mano che procedette la serata divennero più umani: il signor Robert e il signor Humbert ebbero diverse crisi di risatine, probabilmente a causa del vino. Persino il nonno aveva il viso arrossato!
Dopo cena, si spostarono nuovamente tutti in salotto dove Bay servì il Christmas Pudding. A Mark non piaceva, ma il nonno lo sollecitò a mangiarne almeno un po’. La signora Lucretia s’intromise e raccontò la storia delle monetine portafortuna.
«Con tuo nonno, però, non vale» intervenne il signor Hubert.
«Già, fa mettere a Bay tutti gli spiccioli che ci sono in casa» aggiunse il signor Robert.
«Non è spilorcio come te» borbottò la moglie di quest’ultimo ridacchiando con l’altra signora.
«A modo suo vorrebbe aiutare la fortuna» affermò con gravità la signora Lucretia.
Mark non capì se la signora lo considerasse qualcosa di buono o meno, così come ancor meno comprese lo sguardo che lei e il nonno si scambiarono. Comunque non impiegò molto a trovare la sua monetina e, con sua grande sorpresa, Bay gli servì un budino al cioccolato.
Si rigirò la monetina tra le mani, mentre il nonno e i suoi amici sedevano intorno a un piccolo tavolino rotondo e iniziavano a giocare a poker.
«Dovresti insegnare come si gioca a Mark».
Il ragazzino si mosse leggermente dalla sua posizione, quasi speranzoso, ma il nonno scosse la testa: «I bambini non giocano a poker».
Mark cercò di nascondere la delusione e si dedicò al suo budino.
Dopo un paio di partite, la signora Lucretia disse: «Forse ora dovremmo fare giochi per bambini, non è molto educato da parte nostra escludere Mark».
Barnabas annuì e indicò a Mark una delle ante in basso del mobile a muro. «Vedi lì sotto, Mark. Prendi un gioco che ti piace».
Il ragazzino sorpreso e titubante seguì le sue istruzioni, mentre Humbert esclamava: «Per le mutande di Merlino, non mi dire che ancora li conservi? Mia moglie ha fatto piazza pulita».
«Ai ragazzi di oggi non piacciono i giochi vecchi, ma quelle diavolerie babbane» borbottò la signora chiamata in causa. «E poi andiamo noi negli Stati Uniti a trovare i bambini».
A Mark interessavano ben poco quei commenti: quel mobile sembrava il paradiso! Era diviso in tre scomparti ed erano strapieni di giochi da tavola, magici e babbani. Non riusciva a crederci. SparaSchiocco, Carte Autorimescolanti, un sacchetto di gobbiglie, una bellissima scacchiera in legno, scarabeo, taboo, Once Upon a Time (non lo conosceva nemmeno, ma dalle spiegazioni sembrava fortissimo), e molti altri. Dopo un momento d’indecisione prese il mazzo di SparaSchiocco e un po’ trepidante raggiunse il tavolino attorno al quale si erano radunati gli adulti.
«Oh, è una vita che non ci gioco» esclamò il signor Robert, ma non appariva dispiaciuto.
Con grande sorpresa di Mark nessuno si lamentò della sua scelta e giocarono insieme fino a pochi minuti prima della mezzanotte, quando il nonno lo invitò a riporre le carte e Bay portò dei bicchieri per lo spumante. La signora Lucretia sedette sullo sgabello di un pianoforte, che Mark non aveva nemmeno notato. La osservò rapito mentre sollevava il coperchio e scopriva i tasti bianchi e neri, ma soprattutto lo colpì la danza delle sue dita lunghe e sottili sulla tastiera all’altro allo scoccare della mezzanotte.  Suonava senza aver bisogno dello spartito. Era bravissima.
Mark riconobbe la canzone, perché alla scuola babbana l’avevano cantata qualche volta, “Auld Lang Syne”.
Le voci dei presenti si levarono accompagnando quella fine e delicata della signora Lucretia.
Dopo il brindisi si divisero in piccoli gruppetti, e quest’ultima sedette accanto a Mark. «Ti è piaciuta il brano?».
«Sì, moltissimo».
«Sai che è stato tratto da un poema dello scrittore scozzese Robert Burns e che risale al 1788».
«No». Mark scosse la testa leggermente.
«É una specie d’inno all’unità, la riconciliazione e il coraggio di guardare al futuro».
 
Quella notte, quando andarono a letto, Mark non ebbe quasi difficoltà ad addormentarsi. Per la prima volta da giorni.
 
 
 
*
 
 
 
«Benji, hai capito?» ripeté per la millesima volta Michelle.
Enan li fissava nervosamente.
Il più piccolo sbuffò. «Sì, Mich! Devo controllare che nessuno dei grandi salga su».
«E se succede?».
«Vi avverto».
«Bravo» approvò Michelle.
«Dai, andiamo» la sollecitò Enan. Era il primo gennaio e forse finalmente avrebbe trovato una risposta alle sue domande.
Avevano pianificato tutto nel dettaglio nei giorni precedenti e avevano deciso che sarebbe stato meglio attuare il loro piano proprio quel giorno, perché i genitori di Michelle sarebbero stati impegnati a intrattenere gli amici invitati per festeggiare il nuovo anno.
Benjì trascinò alcuni cuscini vicino alla porta, che separava il salotto dal corridoio in cui si trovavano le scale che portano al piano superiore, e svuotò una scatola di costruzioni.
Enan e Michelle si scambiarono un’occhiata e si diressero al piano superiore. Qui regnava il silenzio, a eccezione di qualche eco di risate provenienti dal salone. Lo studio dello zio era in penombra a causa delle persiane socchiuse, ma era perfettamente in ordine come di consueto.
«La chiave dovrebbe essere in uno dei cassetti» sussurrò Michelle, avviandosi verso la scrivania. La bambina impiegò qualche secondo a rovistare, ma poi ne emerse con una chiave di ottone in mano. «Eccola».
Enan era sempre più nervoso e la osservò correre verso il mobile a muro di fronte a loro. Avrebbero trovato quello che desiderava? E poi? Stava sbagliando? Teddy gli aveva detto tante volte di parlarne con sua madre e suo nonno. Eppure lui aveva scelto di non accettare quei consigli e aveva persino deciso di scambiarsi con Thomas.
«Vieni o no?» lo chiamò Michelle.
Il ragazzino si riscosse e la raggiunse, mentre lei tirava fuori una serie di cartelle di carta. Ognuna di esse era etichettata con un nome di un membro della famiglia. Michelle appoggiò sul pavimento quella di Thomas. Enan lanciò uno sguardo alla porta, ma era ancora tutto silenzioso.
«Sei pronto?».
Enan avrebbe voluto negare: aveva veramente paura di scoprire la verità. Deglutì e annuì. Non poteva tornare indietro. S’inginocchiò accanto a lei e l’aiuto a distinguere il certificato di nascita tra gli altri documenti.
«Ecco dev’essere questo» disse fermando la cuginetta.
Entrambi chinarono la testa.
«Madre. Lilias McFusty» lesse Michelle. Era scritto nero su bianco sul certificato di nascita di Thomas.
Cercarono ancora, ma quello di Enan non c’era.
Thomas era suo fratello. Il suo gemello. Per qualche motivo, però, i Mulciber avevano deciso che solo Thomas doveva esistere.
Michelle gli disse qualcosa che Enan non comprese, allora la bambina rimise tutto in ordine e delicatamente lo prese per mano conducendolo via da lì.
«Per quello che vale, sei più simpatico di Thomas».
Enan non le rispose.
 
*
 
Charis sorrise alla vista di alcuni dei suoi amici riuniti nel suo salotto. Le dispiaceva per gli altri, ma suo zio era stato categorico sulla necessità di non invitare babbani a causa di vecchi artefatti magici disseminati per la villa.
«Comunque è fantastico» esclamò Charlie allungando le gambe sul tavolino di fronte. «In assenza di tuo zio, sei l’unica padrona qui. A casa mia c’è sempre qualcuno che mi ordina che cosa fare».
«Giusto. Potresti dare anche una super festa» aggiunse Zoey.
Charis sgranò gli occhi.
«Non credo» intervenne Shawn in suo aiuto. «Suo zio torna a casa prima o poi, non abita da sola qui».
«E immagino che se lei facesse una cosa del genere, non la lascerebbe più sola» soggiunse Teddy scuotendo la testa.
«Potremmo provare» ridacchiò Laurence.
«No» affermò Charis con voce più alta del solito.
«Stiamo scherzando» la rassicurò Charlie. «Per chi mi hai preso? Per Matilde Gould? Una festa, io? E magari impazzirei per vestirmi elegante? Per non essere vestita come le altre? Neanche per sogno».
Il discorso proruppe come un fiume in piena, segno che la ragazzina non fosse così estranea a quel mondo che descriveva con così tanto disgusto; purtroppo nell’enfasi non si accorse dell’espressione dispiaciuta che passò sul volto di Zoey nell’esatto momento in cui pronunciava quelle parole.
«Sicuramente siamo qui per altro» intervenne Laurence. «O io e Teddy non saremmo certo venuti a parlare di trucchi».
«Giusto. Ordine del giorno numero 1» riprese più calma Charlie. «Informazioni su Mark e la sua famiglia».
«Il mio padrino non vuole dire nulla. Dice che non sono affari nostri» borbottò Teddy ancora contrariato.
Charlie scosse la testa. «È diventato un adulto».
«Toccherà anche a noi» le ricordò Teddy roteando gli occhi.
«No se troverò un modo di evitarlo».
Tutta la fissarono, ma considerarono meno pericoloso non indagare in merito.
«Shawn?». Charis si rivolse speranzosa all’amico, ma il Grifondoro scosse la testa dispiaciuto.
«Mi dispiace, appena i miei genitori hanno scoperto perché chiedessi queste informazioni si sono rifiutati di rispondermi».
«Che scemo» commentò Charlie.
«Non è colpa sua» cercò di difenderlo Charis.
«Non si dice mai la verità agli adulti» intervenne Zoey, felice di essere nuovamente d’accordo con Charlie. «È una regola base».
«Nessuno ha scoperto qualcosa?» chiese Teddy per evitare la discussione che sicuramente sarebbe scoppiata.
Tutti negarono. Charlie e Zoey lanciarono un’occhiata sprezzante a Shawn, che le ignorò.
«Secondo ordine del giorno: pianificazione scherzi. Materiali?».
«Mio zio George mi ha regalato uno dei suoi kit».
Charlie sgranò gli occhi.
«Ti prego non sbavare» borbottò Teddy.
La ragazzina lo ignorò e si gettò sullo scatolone che il compagno aveva posto sul tappeto. «Pasticetti svenevoli, fondenti febbricitanti, pasticche vomitose, torroni sanguinolenti».
«Sembri zio Paperone in mezzo alle sue monete» ridacchiò Laurence, ma, fu costretto a spiegare la citazione a Charis e a Charlie.
«Non vedo l’ora di usarli a Scuola».
«Chi ti dice che te li darò?».
«Non oseresti» sibilò Charlie.
Teddy sollevò un sopracciglio.
«Non puoi farci la morale, Teddy» intervenne Zoey. «Anche tu vuoi continuare la guerra contro i Serpeverde nonostante gli ordini della McGranitt».
Un silenzio teso seguì quelle parole.
«Siete sicuri di volerlo fare?» mormorò Shawn.
«Che c’è? I Grifondoro non sono coraggiosi di solito?» lo provocò Charlie.
«Essere coraggiosi non significa essere stupidi» ribatté Shawn.
«Noi saremmo stupidi?!» saltò su Charlie subito imitata da Zoey.
«Smettetela» le richiamò Laurence annoiato. «Perché dovete fare sempre scena? Siamo tutti qui, no? Ce l’abbiamo tutti con i Serpeverde».
«Ragazzi, seriamente, non dovete sfidare la McGranitt» insisté Shawn.
Charlie roteò gli occhi. «Di che hai paura?».
«Io niente. Lo dico per voi» replicò Shawn. «Dopo la guerra la politica è stata quella di promuovere la solidarietà tra le Case. Né la Preside né gli altri professori vi permetteranno di continuare la vostra guerra. Finirete in guai seri».
«Ma per favore» sbottò Charlie, «e perché nessuno fa nulla per McBridge? Bullizza gli studenti e non mi sembra che qualcuno gli abbia tolto il posto e lo stipendio. Noi facciamo solo giustizia».
Charis era sempre più pallida e si fissava le dite delle mani. Laurence e Teddy avevano assunto un’espressione dura. Zoey annuì alle parole dell’amica.
«Davvero, Shawn, è solo giustizia» affermò convinto Teddy.
Il Grifondoro più grande scosse la testa. «Siete dei ragazzini, la colpa ricadrà su di voi».
«Vattene» sibilò Charlie. «Non sei il benvenuto».
«Charlie!» sbottò Charis alzandosi in piedi. «Non è vero!».
Nessuno degli altri la sostenne.
Shawn sbuffò. «Non ti preoccupare, Charis. Ci vediamo domani». Poi aggiunse rivolto agli altri: «Io vi ho avvertito».
Charis lo seguì all’ingresso e si scusò più volte.
«Non ti fare trascinare» mormorò Shawn. «McBridge è insopportabile è vero, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciarlo. Quelli con cui se la prende hanno troppa paura. Sono veramente figli o nipoti di Mangiamorte e pensano che debbano vantarsi di questo o che sia una colpa da espiare».
«Ma non è giusto! Siamo solo ragazzi».
«Già, ma sono eredità pesanti».
Charis distolse lo sguardo, perché gli occhi le si erano riempiti di lacrime. «Io non voglio avere voti alti perché mio padre era un Auror e…».
«Hai ragione» concordò Shawn. «Non è giusto, ma non è attaccando i Serpeverde che risolverete il problema, anzi».
Charis annuì distrattamente e chiese: «Dovremmo attaccare direttamente McBridge?».
Shawn sgranò gli occhi. «Sei pazza? È pur sempre un professore!».
«E allora? Dobbiamo subire in silenzio?» insisté asciugandosi una lacrima che le era colata lungo la guancia.
«No» sbottò Shawn dispiaciuto dalla piega che aveva preso quella conversazione. «Io… Penso che dovremmo parlarne con il professor Paciock».
«Il direttore di Grifondoro?».
Shawn si strinse nelle spalle. «Beh, non so se Vitious capirebbe».
Charis non ne aveva la minima idea. «Perché è vecchio?».
«Non lo so» borbottò il ragazzo. «Di solito Paciock ci ascolta».
La Tassorosso non seppe che cosa replicare e i due si salutarono.
Charis sospirò e appoggiò le spalle alla porta d’ingresso. Chi aveva ragione? Shawn o Charlie?
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
Zoey si specchiò e approvò la sua immagine. «Sono pronta» disse rivolta a Charlie, che si era stravaccata sul letto dell’amica con l’intenzione di capire come funzionasse il Nintendo.
«Un attimo».
«Charlie!».
«Ma questi Pokémon…».
Zoey sollevò gli occhi al cielo. «Più tardi».
«È assurdo che non si possano usare questi aggeggi a Hogwarts» borbottò Charlie appoggiando il Nintendo sulla scrivania. «Dove andiamo?».
«Al centro commerciale. Chris ha detto che si sarebbero viste tutte lì oggi pomeriggio. È una nostra tradizione: il primo giro dell’anno con gli sconti».
«Capito» replicò Charlie. «Hai una passaporta?».
Zoey si accigliò e poi le sorrise in modo malandrino. «Prenderemo l’autobus naturalmente».
«Mmm come il Nottetempo?».
«Cos’è il Nottetempo?» ribatté Zoey, mentre si stringeva al petto il cappotto bordeaux per proteggersi dal freddo di gennaio.
Charlie glielo spiegò brevemente.
«Una specie, solo meno spettacolare» replicò allora Zoey.
Le due ragazze percorsero il breve tratto che le separava dalla fermata. Non attesero molto l’autobus per Londra.
Zoey tentò di descrivere all’amica tutte le zone che attraversarono prima di raggiungere il Westfield Stratford City.
«È uno dei più grandi d’Europa, ci credi?».
Charlie si guardò intorno smarrita: si sentiva un puntino. Era difficile trovare posti così grandi nel mondo dei maghi. Al massimo uno stadio da Quidditch, ma nemmeno lì aveva mai provato la stessa sensazione.
Zoey per conto suo era troppo eccitata all’idea di poter condividere con l’amica quel posto, probabilmente ancor di più che per la vendetta pianificata ai danni delle ex amiche.
«L’appuntamento è da Prada». Se avesse detto qualsiasi altro nome per Charlie sarebbe stato lo stesso, non per nulla la ragazzina si limitò ad annuire. «Siamo arrivate in anticipo. Sicuramente loro saranno accompagnate dalla madre di Sam, che adora lo shopping».
«Non mi avevi detto che ci sarebbe stata la madre».
«Non ci sarà. Le lascerà all’ingresso e andrà con le sue amiche».
«Mmm ok».
Zoey la prese per mano e quasi la trascinò da Prada. Avrebbe tanto voluto che anche Charlie si entusiasmasse di fronte a tanta bellezza, ma la ragazzina sembrava più che altro sconvolta dalla folla e da tante novità.
«Ma a quanti galeoni corrispondono duecento sterline?» chiese Charlie fissando criticamente il cartellino attaccato a una borsa.
«Boh. Non toccare, però, la commessa ci guarda male».
«Ma tu compri qui di solito?».
«Qualche volta».
Charlie si accigliò ma non commentò.
«Non possiamo fare lo scherzo qui, lo sai, vero?».
«Non sono stupida» replicò Charlie.
«Eccole». Zoey sgranò gli occhi e tirò l’amica dietro una serie di manichini particolarmente eleganti. Una stretta di nostalgia le strinse lo stomaco e tentò vanamente di scacciarla. Nonostante provasse questa strana sensazione, lei e Charlie seguirono le altre ragazzine in vari negozi.
«Anche i Babbani sono ricchi, eh» borbottò Charlie dopo che Sam e le altre comprarono diversi capi da Abercrombie.
«Ci sono gli sconti».
«Costano un sacco… se non ho sbagliato i calcoli».
Zoey sollevò le spalle. «I soldi sono dei nostri genitori».
«È una risposta degna di Matilde Gould» buttò lì Charlie.
Zoey ne rimase ferita, ma non ribatté.
Il loro pedinamento terminò soltanto quando giunsero al McDonald’s.
Avevano vagliato diverse possibili vendette, la più divertente prevedeva offrire alle traditrici delle mou mollelingua, ma sarebbe stato pericoloso. Alla fine avevano optato per qualcosa di molto più banale.
Charlie e Zoey presero da un tavolo due bottigliette, una di ketchup e una di senape, e si avvicinarono alle altre. Chris appena le vide impallidì e si allontanò. Le altre impiegarono qualche secondo a comprendere. Sam fu la prima a riprendersi.
«Che cazzo fai?» sbottò.
«Mi avete voltato le spalle, nonostante io abbia provato a dirvi la verità» quasi strillò Zoey. Il loro abbandono l’aveva ferita terribilmente. «Siete delle stronze e non avrei mai dovuto donarvi la mia amicizia! Sono andata in collegio? Sì. Ho provato a spiegarvi come stavano le cose e voi mi avete voltato le spalle! Pensate che io sia stata contenta di andarmene a chilometri di distanza all’improvviso? Vi ho pensato un sacco! Vi odio!». Fece una pausa quasi sperando che loro si scusassero.
«Sei solo una bugiarda» proruppe Sam.
Zoey tirò fuori il ketchup, che aveva nascosto dietro la schiena, e spruzzò Sam per prima; Charlie fece lo stesso con la senape colpendo Dalila. Dopo un momento di sorpresa Sam si riprese e fu la prima a partire al contrattacco.
La baraonda durò probabilmente cinque minuti o ancora di meno. Furono divisi dagli addetti del fast food, che le scortarono fuori quasi di peso intimando loro di non farsi rivedere.
Zoey seppe che quella era la fine della loro amicizia.
Charlie le diede una pacca sulle spalle con la mano sporca di maionese e le sorrise incoraggiante.

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Capitolo 19
*** Cattive intenzioni ***


Capitolo diciannovesimo


 
 
Cattive intenzioni
 



Mark sospirò: aveva paura, ma doveva porre quella domanda al nonno. Era l’unica possibilità di ottenere una risposta. Sicuramente nessun altro si sarebbe preso la briga di rispondergli.
Si lisciò la divisa nuova di zecca che il nonno gli aveva comprato pochi giorni prima. Si sentiva confuso e in colpa, ma anche sollevato perché almeno a Scuola non l’avrebbero più chiamato ‘sacco di patate’ (uno dei soprannomi più educati).
In quei pochi giorni che aveva trascorso in quella casa, aveva iniziato a conoscere il nonno e a sentirsi leggermente tranquillo; ma era tutto terribilmente strano, sembrava quasi un sogno.
In realtà non avevano nemmeno parlato molto, loro due. Si erano fatti compagnia in silenzio. Il nonno si era premurato di comprargli il materiale per la Scuola, verificare che svolgesse i compiti assegnati, che mangiasse… Tante piccole attenzioni che Mark aveva sempre desiderato. Nemmeno con lui, però, il ragazzino si era confidato e il nonno stesso era sempre stato molto riservato.
Per questo motivo il ragazzino sentiva di star per spezzare quell’equilibrio che avevano costruito fino a quel momento. Avanzò incerto verso il più anziano, seduto al tavolo della cucina e intento a leggere la “Gazzetta del profeta”.
«Nonno» pigolò, conscio che non sarebbe potuto tornare indietro. E se si fosse arrabbiato? Se avesse smesso di essere gentile con lui?
«Mmm» borbottò quello non distogliendo gli occhi da un articolo che stava leggendo.
«Posso farti una domanda?» buttò fuori Mark. Non poteva aspettare: presto sarebbero dovuti andare a King’s Cross e avrebbe perso quell’opportunità.
Il nonno non rispose subito, ma dopo qualche secondo ripiegò il giornale e si volse verso di lui. «Dimmi».
Ora che aveva la sua attenzione, il ragazzino iniziò a tremare e non seppe più da dove cominciare. Il respiro accelerò e cominciò a sudare. Conosceva quelle sensazioni e ormai sapeva dar loro anche un nome: attacco di panico. Non poteva, non poteva, non riusciva nemmeno a proferir parola. Forse scappare di sopra sarebbe stata una soluzione, si sarebbe calmato e poi avrebbe detto al nonno che non era nulla di importante.
Quest’ultimo, però, lo attirò a sé appoggiandogli le mani sulle spalle. Il contatto sorprese per un attimo Mark: fino a quel momento il contatto fisico tra loro due era stato nullo. Come se tutti e due avessero avuto troppa paura di avvicinarsi all’altro. Mark sicuramente ne aveva avuta. Il contatto però non gli dispiacque: era una stretta salda, ma non brusca come quella dei nonni materni, di Alexis o di suo padre.
Sentì le lacrime affiorare ai suoi occhi e non riuscì a scacciarle.
«Che c’è Mark?».
Ma nonostante la vicinanza, il ragazzino non riusciva ancora a parlare e trattenne a stento un singhiozzo. Fuori dalla Scuola nessuno era stato gentile con lui. Mai. E talvolta aveva anche paura quando i grandi sembravano cortesi. Aveva imparato a non aspettarsi nulla di buono.
«Mark, non abbiamo fretta. Che cosa vuoi sapere?».
Il ragazzino tentò di fare ampi respiri come gli aveva detto Madama Chips e alla fine mormorò a tratti: «Tu e papà». Prese un altro respiro. «Avete litigato». Respiro. «Perché». E qui la voce gli tremò rischiando di perdere nuovamente il controllo. «Mamma era una babbana?». Chiuse gli occhi aspettandosi uno schiaffo, ma le sue parole furono accolte solo dal silenzio. Allora azzardò un’occhiata al nonno, che lo fissava con un’espressione strana: sembrava addolorato, infastidito e triste allo stesso tempo.
«Che cosa ti ha raccontato tuo padre di me?». La domanda fu pronunciata dal nonno senza che lo guardasse negli occhi, improvvisamente il tavolo era diventato per lui molto interessante.
«Niente» mormorò allora Mark. «Non mi ha mai parlato di te» osò aggiungere.
A quel punto il vecchio sollevò lo sguardo su di lui, la bocca storta in una strana espressione che scomparve quasi subito, ma egli rafforzò la stretta sulle braccia del nipote. «Non ho nulla contro i Babbani. La mia amica Lucretia è babbana di nascita».
Mark sgranò gli occhi. «Non l’avrei mai detto». Le parole gli sfuggirono di bocca prima che potesse riflettere. «Pensavo fosse una Purosangue».
Il nonno fece una smorfia. «Anche questo è un pregiudizio».
«Io non..» Mark sgranò gli occhi: non voleva dire quello… ma forse indirettamente l’aveva detto.
«Lascia stare. Purtroppo alcuni pregiudizi ci vengono inculcati dalla società in cui viviamo… le immagini che vengono costruite intorno a noi… e non ce ne rendiamo nemmeno conto…» sospirò il nonno. «Ascoltami» aggiunse costringendolo a guardarlo negli occhi. Per fortuna era bravo nell’Occlumanzia. «Non ho mai avuto nulla contro tua madre… forse i consuoceri, ma quelli non puoi sceglierli… ma lasciamo stare… era una brava ragazza, coraggiosa visto in tempi che correvano… Io e tuo padre abbiamo litigato per questioni politiche».
Mark non comprese: in che senso questioni politiche? Erano di due partiti diversi? Ma nel mondo magico non esistevano laburisti e conservatori come in quello babbano. Certo il ministro Schackelebolt aveva i suoi oppositori sicuramente, aveva sentito i ragazzi più grandi parlarne, aveva sentito suo padre lamentarsi e non condividere le scelte dell’attuale governo magico, ma suo padre quelle poche volte che leggeva i giornali si lamentava sempre… «In che senso?» trovò il coraggio di chiedere.
Suo nonno lo lasciò e si alzò, apparentemente per versarsi dell’acqua in un bicchiere, ma il ragazzino ebbe ancora l’impressione che non volesse guardarlo in volto.
«Erano tempi duri. Il Ministero della Magia era profondamente corrotto, molto di più di ora… i Mangiamorte e Colui-che-non-deve-essere-nominato avevano preso il potere… L’avrai sentito no? Tuo padre lavorava già al Ministero a quel tempo. Tutti noi, nessuno escluso, abbiamo dovuto scegliere da che parte stare».
In realtà quella non era una risposta chiara, ma Mark, mentre lo osservava bere, incastrò alcuni tasselli di quel puzzle terribile: due fazioni, scelte da fare, McBridge che trattava male lui e i suoi fratelli, suo padre non poteva usare la bacchetta magica se non quando era a lavoro, era stato ad Azkaban per anni dopo la sua nascita… «Papà è stato un Mangiamorte?» chiese con una sicurezza che non sapeva di possedere.
A suo nonno sfuggì il bicchiere dalle mani, cadde sul pavimento e si frantumò. Il suono sembrò rimbombare nella casa.
«No» rispose rocamente, come se avesse qualcosa in gola. Nel frattempo si abbassò leggermente come a raccogliere il vetro, poi cambiò idea ed estrasse la bacchetta. Il bicchiere tornò come nuovo.
«Ma…» protestò Mark volendo raccontargli di McBridge, ma il nonno lo interruppe.
«Non esistevano solo Mangiamorte e persone oneste, Mark. Come oggi non esistono persone solo buone e cattive. Nessuno di noi è così. Esiste anche il grigio. Ognuno di noi commette errori. In ognuno di noi ci sono delle ombre». Lasciò perdere il bicchiere e fissò un vecchio ritratto posto sulla parete: ritraeva due persone vestite elegantemente, dietro di loro si stagliava un albero di Natale. L’uomo era sicuramente il nonno, molto più giovane; Mark non la conosceva, ma in cuor suo comprese che la donna, invece, era sua nonna. La foto però sembrava incompleta, come se mancasse qualcuno.
«Tuo padre non è stato mai un Mangiamorte» ripeté il nonno che aveva riportato lo sguardo su di lui. «Ma ha commesso molti altri errori e a volte perdonare è difficile».
Mark non seppe come replicare, ma comprese che la conversazione era conclusa.
«Prendi il cappotto, dobbiamo andare o perderai il treno».
Per recarsi alla stazione usarono la Metropolvere. Il nonno gli ripulì il cappotto dalla cenere, ma rimase in silenzio e con un’espressione cupa. Era arrabbiato con lui per aver rivangato quelli che erano ricordi dolorosi? Avrebbe voluto fermarlo, parlargli ancora, confessargli che aveva sempre più paura. Aveva paura di ricontrare la sua famiglia dopo essere scappato. Quei giorni erano sembrati una meravigliosa parentesi e adesso avrebbe dovuto affrontare la realtà. Da solo. E non ne aveva né il coraggio né la forza.
Si arrestò di scatto appena intravide Alexis tra la folla. Si nascose dietro una colonna. Il nonno compì ancora qualche passo prima di rendersi conto che non era più al suo fianco.
«Mark?» chiamò incerto.
Il ragazzino fece capolino da dietro la colonna.
«Che fai? Sbrigati».
Mark instintivamente scosse la testa e chiuse gli occhi. Ora il nonno si sarebbe veramente arrabbiato, ma le sue gambe non ci pensavano nemmeno a muoversi.
«Questa poi…» lo sentì borbottare prima che si avvicinasse e ne percepisse la presenza a pochi centimetri da lui. «Che hai?».
Il ragazzino rimase in ostinato silenzio anche perché si stava nuovamente agitando.
«Non vuoi andare a Scuola?» gli chiese perplesso. «Ehi, ehi, respira» soggiunse vedendolo nuovamente in crisi. A quel punto compì un gesto che colpì profondamente il ragazzino: lo strinse a sé, tra le sue braccia. A parte quei pochissimi amici che aveva a Scuola, nessuno l’aveva mai abbracciato. Nessun adulto. «Va tutto bene, ci sono io qui con te». Quelle parole suonarono sincere e Mark si sentì meglio. «Però se non mi dici che hai, non posso aiutarti».
«Alexis» mormorò flebilmente, sperando che il nonno non interrompesse mai quell’abbraccio. «Ho visto Alexis» specificò.
Il nonno sospirò e gli accarezzò la testa. Dopo qualche secondo disse: «Prima o poi dovrai parlare con i tuoi fratelli e con tuo padre».
«No!». Lo disse con forza e fu lui a circondare la vita massiccia del nonno con le sue esili braccia. «Ti prego, io non…». Non sapeva nemmeno come continuare la frase e di cosa lo pregasse precisamente. Le lacrime, che prima aveva trattenuto, fluirono liberamente.
I due rimasero lì intrecciati nei loro dolori. In silenzio. Ignorando totalmente la confusione intorno a loro.
Solo quando il treno fischiò chiamando gli ultimi ritardatari, il nonno si divincolò dalla stretta di Mark. Il quale tremò consapevole di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
«Mark» sussurrò il nonno. «Ora devi andare. Chiederò alla professoressa McGranitt di farti tornare da me per le vacanze di Pasqua. Scrivimi, guai a te se passa una settimana senza una lettera, chiaro?».
Il ragazzino annuì. Il nonno lo baciò sulla fronte e poi lo sospinse sul treno. La porta si richiuse alle sue spalle e il treno iniziò a muoversi.
L’idillio era finito, sarebbe ricominciato l’inferno.
 
*
 
Charis si strinse il mantello addosso: quel giorno faceva davvero un gran freddo.
«Mi stai ascoltando?» sbuffò suo zio.
La ragazzina si voltò verso di lui e assunse un’aria colpevole: «Ehm, pensavo».
«Mmm» lo zio la fissò con attenzione e strinse le braccia al petto. «Signorina, vedi di non farti trascinare ancora da quelle teste calde dei tuoi amici».
Charis seguì il suo sguardo e osservò per un attimo Teddy, Samuel Harper, Laurence Landerson e Diana Webster, uno vicino all’altro. I tre ragazzi discutevano concitatamente tra loro e Diana li fissava con disapprovazione. La ragazzina poteva immaginare quale fosse l’argomento che tanto li coinvolgeva e non poté fare a meno di pensare, come più volte in quei giorni, al professore Oswald McBridge. Si rigirò verso lo zio, che ora sembrava in attesa di una sua risposta. Ma che avrebbe dovuto dirgli? Se avesse promesso che si sarebbe comportata bene, allora avrebbe sicuramente mentito perché di problemi ce ne sarebbero stati e lo sapeva. Il punto è che suo zio si aspettava che si comportasse bene.
«Charis? Ma che ti passa per la testa?».
Avevano provato a parlarne, ma la ragazzina era sempre rimasta sul vago tanto da far anche innervosire lo zio.
«Nulla» mormorò senza guardarlo negli occhi. Non gli aveva raccontato nulla, perché era un adulto e in fondo in quanto tale avrebbe cercato prove su prove (tra l’altro era un Auror); magari avrebbe glissato sul problema affermando che il professor McBridge fosse solo severo e le sue preferenze fossero solo un’impressione. Ecco perché Shawn aveva detto che sarebbe stato meglio parlarne con il professor Paciock, perché forse lui li avrebbe ascoltati al di là di ogni pregiudizio. Non tutti gli adulti erano uguali, qualcuno riusciva a comprendere di più e a non dimenticarsi com’è essere piccoli. Lei era sempre più convinta che suo zio se ne fosse dimenticato.
 
A poca distanza, nel frattempo, in una conversazione altrettanto spinosa e sgradevole era stato costretto anche Teddy, che faceva del suo meglio per ignorare la nonna e il padrino di fronte a lui. Separatamente avevano già provato a parlare con lui durante le vacanze. Provato. Perché il ragazzino aveva fatto di tutto per evitare Harry. A quanto pare avevano trovato il modo di fregarlo. Insieme.
«Teddy, noi comprendiamo quanto per te sia difficile» iniziò Harry palesemente desideroso di parlare con tranquillità. La nonna sbuffò, probabilmente ella non voleva concedere nessuna attenuante al nipote e considerava Harry troppo buono come sempre.
Teddy, però, non era più lo stesso ragazzino di mesi prima: non riusciva proprio a non pensare a Dolohov e ai suoi amici. Talvolta, in cuor suo, si chiedeva se McBridge non avesse tutti i torti a trattare in quel modo i figli e i nipoti dei Mangiamorte. Si sentiva in colpa, naturalmente, pensando a Mark, che era suo amico ed era buono. Le belle parole di Harry, però, e i rimproveri della nonna non l’aiutavano: quella gente aveva volontariamente fatto del male ai suoi genitori, non era pentita e se ne vantava. Perché avrebbe dovuto perdonare? O essere superiore?
Eppure Harry e la nonna avrebbero dovuto comprendere! Anche loro avevano perso tanto! Come potevano sorridere ed essere gentili con Charis, sapendo che anche i genitori della ragazzina avevano trovato la loro fine a causa dei Mangiamorte? Come?
«Teddy, ascolta, per favore» sospirò Harry tentando di richiamare la sua attenzione. «Che cosa c’è? Perché non ne parli con noi?».
In quel momento il treno fischiò e il ragazzino tentò di scivolare di lato e scappare in quella direzione, ma la nonna lo bloccò.
«E no, signorino, ora senti me!» sbottò Andromeda Tonks. «Non so che grilli ti siano venuti per la testa, ma sei ancora un ragazzino e vedi di comportarti come tale! Studia e rispetta le regole. Punto. Chiaro?».
Teddy alzò gli occhi al cielo: era quello il problema? Studia e rispetta le regole? E a che cosa sarebbe servito? «Sì, ok, posso andare?».
Sembrava che la nonna volesse mangiarselo, ma per fortuna il treno fischiò ancora.
«Deve andare» intervenne Harry, cupamente. «Scrivi, mi raccomando».
Il ragazzino lo ignorò e, libero dalla stretta della nonna, corse verso il treno. Si girò solo il tempo necessario per far loro un cenno con la mano. Per un attimo si sentì in colpa e nostalgico, in fondo li avrebbe rivisti soltanto in estate, ma scacciò la sensazione: loro si rifiutavano di capire.
 
 
*
 
Christine si guardava intorno con gli occhi fuori dalle orbite.
«Beh, almeno tu hai la prova che non sono una bugiarda» dichiarò Zoey fissando la locomotiva rossa con un tale orgoglio quasi che l’avesse costruita lei pezzo per pezzo.
«No, non sei una bugiarda» ripeté meccanicamente Chris. «Sicura, che non posso venire con te?».
«No» sospirò Zoey intristendosi. Avevano pensato di nasconderla nel baule, ma con quale scopo? I genitori di Chris avrebbero dato di matto non trovandola, l’amica avrebbe dovuto vivere nascosta a Scuola e lì non avrebbe potuto imparare un bel nulla.
«Tornerai a Pasqua?».
«Non lo so… Penso di sì».
«Speriamo».
Zoey le si avvicinò e le mise un braccio intorno al collo: era Chris quella che ci aveva rimesso di più. Zoey aveva trovato degli amici a Hogwarts; Chris si era allontanata da tutte le loro amiche fin dall’inizio della sesta classe e non riusciva a legare con i nuovi compagni.
«Ti posso scrivere?».
«Certo, porta le lettere ai miei. Loro stanno diventando proprio bravi con i gufi».
«Va bene, grazie».
«Ragazzeeee!». Charlie Krueger era arrivata e buona parte della stazione l’aveva notato.
Zoey e Chris sorrisero all’espressione esasperata della signora Krueger.
«Pronta per ricominciare?».
«Sì, poi tra pochi giorni compirò gli anni».
«Me lo ricordo, ho già in mente come potremmo festeggiare» dichiarò Charlie.
Per un attimo Zoey e Chris si scambiarono un’occhiata carica di ricordi: entrambe avevano pensato alla festa dell’anno precedente, quando ancora erano tutte e quattro amiche.
«Tutto bene?» chiese Charlie accorgendosi dello scambio silenzioso tra le due.
«Sì, certo» sorrise Zoey tentando di non pensarci: l’aveva fatto fin troppo durante le vacanze e alla fine si era chiesta se, anche senza Hogwarts, si sarebbero allontanate lo stesso lei e le sue amiche. Non lo sapeva, ma ora non le riconosceva più.
«Non vedo l’ora di essere lontana da qui. A Scuola sarà più semplice evitare James» borbottò Charlie.
Le tre ragazzine salirono insieme sul treno per cercare uno scompartimento libero, dove poi avrebbero atteso gli altri compagni.
Chris era sempre più estasiata. Zoey le presentò qualche compagna Nata Babbana.
Alla fine, però, fu l’ora di partire e degli ultimi saluti. Chris abbracciò sia Zoey sia Charlie e poi si nascose dietro i signori Turner.
Ancora una volta il treno prese velocità, mentre Zoey cercava di salutare i suoi sul binario, ma non era come a settembre: ora sapeva cosa aspettarsi, aveva risolto, anche se non come avrebbe voluto, con le sue amiche e, soprattutto, sapeva di appartenere a Hogwarts.
 
 
 
 
*
 
Enan avanzò tra la folla della stazione. Urtò alcuni passanti senza nemmeno avvedersene e a malapena sentì il richiamo dello zio.
Stranamente, almeno per gli zii, Michelle e Benji avevano insistito per accompagnare il cugino e salutarlo.
Mich l’aveva tormentato per tutti i giorni successivi alla loro scoperta, ma il ragazzino si era chiuso in sé stesso. Aveva avuto un po’ di tranquillità dagli adulti grazie alla scusa dei compiti delle vacanze, ma anche gli zii erano stati increduli per il suo comportamento. Entrambi avevano provato a parlargli, prima separatamente poi insieme. Fino a quella mattina, lui aveva risposto solo a mugugni.
In quei giorni aveva dormito poco e male: perché i Mulciber non l’avevano voluto? I suoi zii sembravano persone per bene, eppure avevano scelto tra due bambini! In più Thomas non aveva più risposto alle sue lettere. Che cosa aveva combinato?
Voleva parlargli, ma cercò disperatamente sua madre tra la folla. Gli mancava terribilmente, anche se arrabbiato per tutta quella storia. Lei lo sapeva di aver partorito due gemelli. Perché? Voleva proteggerlo? Perché a lui sì e a Thomas no?
Perché diavolo gli adulti dovevano essere così complicati!? Sbuffò furioso, triste e amareggiato.
Sua madre non si vedeva da nessuna parte. Costrinse gli zii a percorrere tutto il binario, con l’appoggio di Mich e Benji che insistevano di voler vedere tutta la locomotiva.
«Ora basta, ragazzi. Dobbiamo trovare uno scompartimento per Thomas» esclamò a un certo punto lo zio.
Enan lo ignorò ancora, continuando a guardarsi intorno freneticamente. Non era andata, non era andata a King’s Cross. Non avrebbe rivisto sua madre fino alle vacanze estive. Percepì le lacrime premere e faticò a scacciarle.
«Thomas, ma c’è qualche problema a Scuola? Qualcuno ti dà fastidio?».
Enan fissò disperatamente il pavimento di pietra. Avrebbe voluto urlare di fronte alla gentilezza della zia. Urlare lì davanti a tutti che erano stati loro adulti a fargli del male e che voleva sua mamma. Per fortuna, evitò di rendersi ridicolo.
«Thomas» strillò Mich gettandosi su di lui e sottraendolo alle attenzioni della madre e a bassa voce aggiunse: «a destra, vicino a quel pilastro».
Enan si voltò di scatto e intravide Thomas che arrivava di corsa con i cugini. Il gruppo si gettò sulla locomotiva che stava per partire. Thomas indossava la divisa di Tassorosso. Thomas non l’aveva nemmeno cercato! Che aveva per la testa?
«Thomas, devi andare».
Quasi ringhiò alla zia. Lui non era Thomas. Salutò forzatamente, ma non promise a Michelle di rispondere alle sue lettere e la bambina ci rimase male.
Una volta nello scompartimento corse nella direzione dove erano saliti Thomas e i suoi cugini.
Lo beccò quasi subito, lo placcò e lo trascinò in un bagno poco distante, ignorando le lamentale dei presenti: loro vedevano innanzitutto un Serpeverde. Ma c’era dell’altro.
Enan si sentiva ribollire di rabbia, spinse l’altro con il muro opposto e chiuse la porta dietro di sé.
«Ridammi i miei vestiti, Thomas Mulciber» sibilò riuscendo a mantenere a stento la voce bassa. Sicuramente li avevano seguiti.
«No».
«Cosa?». La risposta lo spiazzò tanto che la sua rabbia quasi si smorzò. Sapeva che la loro conversazione sarebbe stata difficile, ma scambiarsi le divise non aveva mai rappresentato un ostacolo per Enan.
«No. Mi sta bene».
«Essere un Tassorosso?».
«Essere te».
Enan era incredulo, ma fu pronto a spingerlo bruscamente indietro quando l’altro tentò di uscire dal bagno come se niente fosse. «Io sono un Tassorosso, tu sei un Serpeverde». Era assurdo doverglielo ricordare.
«Non m’interessano le Case» lo sorprese ancora Thomas. «Io voglio essere Enan Macfusty».
Quella risposta era ancora più assurda!
«Io sono Enan».
«Dimostralo».
Enan era incredulo. «Dammi quella cavolo di divisa». Non gli interessava proprio dimostrare qualcosa, men che meno una così ovvia.
Thomas lo spinse di lato con una forza inaspettata e lo prese di sorpresa. Enan, però, si riprese subito e lo inseguì nel corridoio ancora affollato. Afferrò il Serpeverde per la tunica e lo atterrò, saltandogli di sopra. «Ora mi darai questa divisa!».
«Aiuto! Aiuto!».
Lui chiamava aiuto! Enan non si lasciò intenerire e cominciò a tirargli la divisa in modo da riappropriarsene. Non riuscendoci, estrasse la bacchetta e tagliuzzò la veste, suscitando le grida dell’altro.
«Sei impazzito?» sbottò Elly Montgomery, accompagnata da Lucas, Bobby e Austin Lattes, Prefetto di Serpeverde.
«Mollami!» urlò Enan. «Mi deve restituire la divisa».
Nel frattempo erano sopraggiunti anche i suoi cugini Artek e Fagan, che fissavano la scena preoccupati. Tutti i ragazzi più grandi si trovavano di fronte a quanto solo sfiorato nei mesi precedenti: quei due ragazzini erano identici; il problema non si era posto finché Enan, Tassorosso, indossava la sua bella divisa e si accompagnava con Teddy e gli altri compagni e, similmente, Thomas Mulciber si muoveva con il suo bello stemma verde-argento e i suoi prepotenti compari a partire da Dolohov. Adesso i due ragazzi erano lì davanti a loro, senza i loro rispettivi amici, e si accusavano a vicenda di indossare la divisa sbagliata. Quella situazione non poteva più essere ignorata.
Bobby e Lucas facevano fatica a trattenere un Enan furioso.
«Elly, che facciamo?» chiese Austin Lattes.
La ragazza sospirò. «Prenditi il Serpeverde. Noi ci portiamo il Tassorosso…».
«No!» urlò Enan. «Sono io il Tassorosso! Ci siamo scambiati! Lui non vuole restituirmi la divisa».
«Non è vero. È un bugiardo» strillò allo stesso tempo Thomas.
«Da quanto tempo vi siete scambiati?» domandò Fagan.
«Dall’inizio delle vacanze di Natale, ci siamo scambiati sul treno» rispose Enan.
«Non è vero» ripeté Thomas, avvicinandosi ai cugini.
In quel momento apparve anche Blair, che lanciò un’occhiata a Fagan.
«Non potete essere tutti e due Enan» sbuffò Elly. «Riconoscete con certezza vostro cugino?».
«Che ci fosse qualcosa di strano, l’avevo notato» borbottò Fagan. «Ma questo…».
Blair annuì al suo fianco.
«Facciamo come ho detto prima» decise Elly.
Enan e Thomas protestarono di nuovo, ma questa volta non servì a nulla. Mentre il treno filava verso Nord, il primo fu trascinato via da Austin Lattes, mentre il secondo seguì Bobby, Lucas ed Elly.
Quel Serpeverde del cavolo stava cercando di fregarlo.
 
 
*
 
 
«Dove sono gli altri?» chiese Charlie.
Lei e Zoey erano state raggiunte da Teddy e Charis, ma non c’era ombra di Enan e Mark. Avevano atteso pazientemente fino all’ora di pranzo, ma adesso cominciavano a inquietarsi.
«Pensate sia successo qualcosa?» ribatté preoccupata Charis.
«No, magari non ci hanno trovato» provò Zoey.
«Mmm» mormorò Teddy. «Non ce lo vedo Enan a non trovarci».
«Andiamo a cercarli?» propose Charis.
«Prima decidiamo cosa fare. Teddy, io penso che, mentre cerchiamo Mark e Enan, potremmo fare una sorpresina ai Serpeverde».
Charis sgranò gli occhi, mentre Zoey annuì alle parole di Charlie, segno che doveva già saperlo.
«Va bene, io ho portato questo» rispose Teddy per poi aprire il suo baule ed estrarre, con qualche difficoltà, una scatola.
«No, no, non me lo dire» strillò Charlie quasi gettandosi su di lui.
«Invece, sì. Un assortimento dei prodotti Tiri Vispi Weasley, gentilmente offerti da George Weasley in persona».
Charlie era in un brodo di giuggiole.
Teddy tirò fuori dalla scatola i vari doni dello zio.
«Usiamo la polvere buiopesto peruviano» propose subito Charlie. «Solo un pizzico».
«Vediamo se le Serpi hanno paura del buio» aggiunse Zoey.
«Non mi sembra una buona idea» mormorò Charis, ma fu ignorata.
«E ci sono anche caccabombe» disse Teddy. «Alcuni petardi magici…».
«Potremmo usarne uno al buio, ai Serpeverde prenderebbe un colpo» disse Zoey, che non amava affatto le caccabombe.
«I petardi sono pericolosi, soprattutto al buio» borbottò Charis, ben sapendo che non le avrebbero dato retta.
Infatti, Charlie, Zoey e Teddy non diedero nemmeno segno di ascoltarla troppo intenti a osservare la piantina del treno – disegno alquanto improbabile di Charlie, che non aveva tracciato nemmeno un vagone dritto ˗ e a cospirare tra loro.
«Non verrò con voi» sentenziò Charis quando i tre compagni arrotolarono il loro piano di guerra e si prepararono a uscire.
Nemmeno Teddy le rispose e i tre si avviarono con sicurezza fuori dallo scompartimento. Il Tassorosso aveva deciso che non avrebbe avuto la minima pietà per i Serpeverde, perché non la meritavano. Non meritavano alcun rispetto. Zio Ron aveva ragione a essere sempre scettico nei loro confronti e dei loro immaginari rimorsi. I Serpeverde andavano puniti.
Le amiche erano mosse da sentimenti diversi: Charlie, come Teddy, era vissuta con la consapevolezza di quello che era accaduto durante la guerra, ma a differenza del compagno aveva ogni giorno sotto gli occhi gli effetti delle azioni dei Mangiamorte e dei problemi che avevano creato nella sua famiglia; Zoey non conosceva quel passato, ma non avrebbe mai lasciato solo un amico per codardia. La lealtà per lei era fondamentale.
Impiegarono almeno una decina di minuti a trovare la zona del treno in cui si erano seduti i loro nemici.
«Avviciniamoci allo scompartimento» sussurrò Charlie.
Gli altri due annuirono: Zoey lanciò un pugno di polvere buiopesto a ridosso della porta a vetri e Teddy accese il petardo.
Il ragazzino di quel momento avrebbe ricordato il forte scoppio, seguito da rumori di vetro in frantumi legato a un grido di dolore che lo raggelò. Si coprì le orecchie sperando di scacciare quei suoni e si piegò su stesso quasi spaventato da quel buio che loro stessi avevano creato. L’odore di polvere bruciata gli impregnò le narici.
Sentì qualcuno tirarlo per mano, ma, solo dopo essersi fatto trascinare per un tempo per lui indefinito, si accorse di tenere serrati gli occhi. Li riaprì e colse le occhiate sconvolte di Charlie e Zoey.
Qualcosa era andato storto? Che cosa?
«Teddy, hai direzionato bene il petardo?» sussurrò, come se non avesse più voce, Charlie.
Erano chiusi in un bagno del treno.
«Certo che domande» replicò il ragazzino, ma la sua voce sfumò in una chiara mancanza di sicurezza.
«Vabbè ma era solo un petardo, no?» tentò Zoey.
«Non vedevo» ammise allora Teddy. «Non l’avevo calcolato».
Rimasero nel bagno per quello che rimaneva del viaggio. In silenzio.
Quando il treno si fermò raggiunsero il loro scompartimento velocemente e qui trovarono Charis; poi scesero insieme. Sulla banchina vi era confusione. Cercarono di avvicinarsi per vedere meglio. Alcuni Prefetti issavano sulla carrozza qualcuno.
«Che è successo?» chiese Zoey a un ragazzo poco più grande lì vicino.
«Qualcuno ha tirato un petardo e ha colpito il finestrino del corridoio… quel ragazzino passava in quel momento…».
Teddy, che aveva sentito, si voltò verso le compagne. Zoey ricambiò il suo sguardo terrorizzata. Charlie teneva gli occhi fissi sulla carrozza, che già si stava allontanando.
«Robin» mormorò. Lei aveva riconosciuto il giovane Serpeverde.

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Capitolo 20
*** Freddo e malinconico gennaio ***


Capitolo ventesimo

 
 
Freddo e malinconico gennaio
 


Enan, appena entrato nell’ufficio della professoressa McGranitt, si era seduto e aveva fissato con ostinazione il pavimento di pietra, ignorando completamente la presenza della Preside e di Thomas.
Sua nonna avrebbe detto “tutti i nodi alla fine vengono al pettine” e probabilmente lo stava anche pensando. La Preside aveva convocato d’urgenza le loro famiglie. Enan era teso, ma anche bramoso: finalmente avrebbe avuto la spiegazione che attendeva da undici anni! Chi era suo padre? Interrogativo principale al quale si aggiungevano quelli sui Mulciber.
Strinse con forza le mani ai bordi della sedia. Una parte di lui, che stava cercando di ignorare, aveva paura della reazione del nonno: l’aveva ingannato mandando Thomas a casa durante le vacanze, suo nonno che era sempre restio ad accogliere estranei nella riserva – non per cattiveria, ma per timore che l’intruso potesse farsi del male e potesse farne ai draghi ˗, aveva sicuramente deluso lui e la mamma indagando sull’identità del padre nonostante gli fosse stato detto più volte di non sfiorare nemmeno l’argomento. Ed era proprio questo a suscitare in lui la rabbia. Non era mai stato così arrabbiato in vita sua. Nemmeno con suo cugino Donel. Sua madre e suo nonno gli avevano nascosto non solo un padre, ma anche un fratello. Un fratello gemello. E adesso magari l’avrebbero anche rimproverato! Charlie aveva proprio ragione: gli adulti erano soltanto degli ipocriti.
Quando sentì bussare, sollevò immediatamente lo sguardo – gli occhi rossi di un pianto silenzioso e orgoglioso – e fulminò tutti quei saggi adulti che entrarono dietro il professore Vitious. Era colpa loro. Avevano giocato con la vita di due bambini.
Per poco non scoppiò a piangere quando incrociò gli occhi della madre. Non la vedeva da settembre. Eppure adesso sembrava esserci un abisso tra di loro. La verità era veramente pericolosa.
Il nonno, però, e i signori Mulciber sgranarono gli occhi alla vista dei due ragazzini identici; Lilias Macfusty si bloccò e impallidì, come se avesse visto un fantasma.
In quel momento un peso immenso si depositò sul cuore di Enan: sua madre non aveva mai raccontato nulla ai suoi genitori e ai suoi fratelli. Aveva tenuto quel segreto dentro il suo cuore per tutto quel tempo. Ma com’è possibile che nemmeno i Mulciber sapessero nulla del ragazzo cresciuto?
La McGranitt si alzò e andò loro incontro. «Buonasera». Diede loro la mano ed evocò delle sedie. «Mi dispiace avervi disturbato a quest’ora tarda, ma purtroppo, come potete vedere, si è creata una situazione che non può essere ignorata».
«Mamma» strillò Thomas, gettandosi tra le braccia di Lilias.
Enan sgranò gli occhi e per un attimo rimase troppo paralizzato per poter agire; superata la sorpresa saltò su e cercò di strappare Thomas dalla madre. Sua madre!  Naturalmente il Serpeverde si difese, cercando di allontanarlo con gomitate e manate.
All’improvviso delle braccia forti li separarono. Suo nonno lo trascinò lontano da Thomas e lo trattenne, perché continuava a scalciare. Thomas rimase appiccicato a una Lilias, completamente scioccata.
Non che gli altri non li osservassero in silenzio. Solo il nonno aveva avuto lo spirito di reagire.
«È proprio quello che vi stavo dicendo» sibilò la McGranitt furiosa. «Non ho intenzione di accettare un comportamento simile. Hanno litigato anche sul treno».
Enan scalciava per liberarsi dalla stretta ferrea del nonno: «Mollala» urlò impotente. «È mia madre, non tua! Sei solo uno schifoso Serpeverde!».
«Basta!» sbottò la Preside. «Non è mia abitudine intromettermi in questioni familiari, ma a questo punto vorrei capire che cosa sta accadendo oppure sarò costretta a mandare entrambi i ragazzi a casa, se non sono in grado di relazionarsi in modo adeguato tra loro».
Più che i richiami sibilati del nonno, quelle parole tacitarono Enan. Non voleva essere espulso, ma non voleva nemmeno perdere la sua mamma.
«Mi dispiace, professoressa» intervenne lo zio di Thomas, «ma sono sconvolto. Mio fratello mi ha chiesto di prendermi cura del suo erede quando è stato arrestato, ma non mi hai rivelato l’identità della madre… né meno che mai l’esistenza di altri bambini…».
Le sue parole confermarono quanto Enan aveva già intuito. Sentì le lacrime fluire liberamente lungo le sue guance e smise di fare resistenza.
«Lilias, è il momento che ci racconti la verità».
Enan distolse gli occhi di fronte all’espressione addolorata della madre, i suoi occhi acquosi – aveva imparato nel corso del tempo a trattenere i suoi sentimenti, in fondo i fratelli erano un po’ orsi, la madre anziana e le sorelle le avevano voltato le spalle – accarezzava distrattamente il capo di Thomas.
E se avesse sbagliato? Se undici anni prima avesse scelto il figlio sbagliato? E se ora avesse preferito Thomas a lui? Si appoggiò al petto del nonno, sperando che almeno lui non lo abbandonasse. E se Thomas era stato più bravo di lui durante le vacanze? Un miglior guardiadraghi?
«A Londra, un giorno, ho conosciuto un uomo… era un po’ più grande di me… ma sembrava simpatico, gentile… Non sapevo chi fosse…» mormorò Lilias faticosamente e senza guardare nessuno in volto. «Abbiamo iniziato a frequentarci… solo quando sono rimasta incinta, lui mi ha rivelato chi era… ero spaventata, ma ormai aspettavo suo figlio e sono rimasta al suo fianco… Poi al parto abbiamo scoperto che erano due gemelli… Lui non voleva, perché diceva che l’erede doveva essere uno solo… poi… quel giorno, ho capito che si era servito di me per avere un erede… Mi ha detto che non ero abbastanza pura per lui… che non si doveva sapere che ero io la madre di suo figlio… Uno solo… Ha scelto quello che alla nascita sembrava più forte e mi ha concesso di portami l’altro… Mi ha minacciato e ha minacciato il bambino… Mi ha detto che saremmo stati tutti bene, se mi fossi dimenticato di lui e dell’altro bambino… Avevo paura, anche per i gemelli… e me ne sono tornata a casa… Per mesi non ho avuto pace, poi ho saputo che era stato arrestato, ma non sapevo come cercare il bambino… Ho lasciato le cose come stavano… Non ho avuto il coraggio di…».
Le sue parole caddero ancora una volta in un silenzio pesante.
«Quindi i ragazzi sono gemelli» intervenne la McGranitt con la sua consueta razionalità. «Voi siete in grado di distinguerli? I ragazzi si sono scambiati anche le divise».
«Lui è Enan» disse con fermezza Donel Macfusty, che aveva allentato la stretta sul nipote.
Il ragazzino si sorprese della sicurezza del nonno.
«Non è vero» saltò su Thomas, ma sembrava smarrito e spaventato.
Enan non disse nulla sentendosi al sicuro tra le braccia del nonno.
«Mi ero reso conto che ci fosse qualcosa che non andava… non sembrava Enan, ma non potevo immaginare questo…».
«Thomas…» tentò lo zio.
«Io voglio mia mamma» disse disperato il Serpeverde.
«Non scappo più» sussurrò Lilias.
Enan deglutì incapace d’intuire che cosa sarebbe accaduto a quel punto.
«Vieni, Enan?».
Il ragazzino non si mosse al richiamo della madre, ma la fissò in silenzio. Il nonno gli diede una spintarella eloquente.
Lilias provò a sorridergli quando lui fu più vicino.
«Mi dispiace, ragazzi, voglio bene a entrambi».
Ma Enan scosse la testa con forza. Non voleva sentire. Lì dentro si sentiva soffocare. Lanciò un’occhiata alla madre e fuggì. Ignorò i richiami, spalancò la porta e scese a capofitto le scale. Riprese fiato solo quando fu nella Sala Comune di Tassorosso.
 
 
*
 
 
Charlie fissò la porta e fece marcia indietro. Ripercosse il corridoio per quella che forse era la decima volta e si andò a nascondere dietro un’armatura. In realtà non era nemmeno scattato il coprifuoco e per una volta non stava violando alcuna regola. Eppure la sua coscienza rimordeva e sapeva bene anche perché: il suo scherzo era andato oltre questa volta, esattamente come più volte gli adulti avevano predetto. Chris, suo padre, suo madre, James, i professori. Tutti. A lei non era mai importato. E allora perché ora le dispiaceva?
Robin.
Da quella sera le notizie erano rimbalzate per il castello, come al solito spesso montate e completamente distorte. Lei, Teddy e Zoey erano d’accordo che nessuno avrebbe saputo nulla. Nessuno li aveva visti sul treno, di conseguenza nessuno poteva incolparli. La McGranitt aveva blaterato sulla responsabilità e la maturità di assumersi le proprie colpe, ma era troppo facile a parole: loro tre avevano troppi precedenti e probabilmente sarebbero stati sospesi. No, grazie. Solo poco prima di prendere il treno suo padre le aveva rivolto una predica infinita sul modo di comportarsi a scuola. E lei? Nemmeno una settimana dopo faceva i bagagli e se ne tornava a casa? Come minimo sua madre avrebbe preso veramente in considerazione di mandarla a Beauxbatons. Per imparare le buone maniere.
In realtà, non le dispiaceva proprio per la McGranitt né si era veramente pentita di aver cercato di colpire i Serpeverde. Diciamo che si sentiva in colpa perché aveva ferito Robin, che non aveva nessuna responsabilità.
Sbuffò e si raddrizzò: doveva andare a verificare con i suoi occhi come stava il Serpeverde. Ripercosse per l’ennesima volta il corridoio che portava all’infermeria e stavolta vi entrò con il cuore in gola. Madama Chips doveva ancora essere a cena con i professori, Charlie aveva controllato prima di decidersi a muoversi. Entrò in punta di piedi, profondamente desiderosa di voltarsi indietro e andarsene. Forse sarebbe dovuta tornare di mattina. O, meglio ancora, aspettare che Robin venisse dimesso. No, no, questo no. Doveva parlare con lui prima, lontano da orecchie indiscrete e dal traffico della scuola.
«Charlie?».
La ragazzina sobbalzò e sollevò la testa. L’infermeria era in penombra e, per quello che poteva vedere, c’era solo un letto occupato. Quello di Robin.
S’immobilizzò per un attimo, quel tanto che bastava per valutare le condizioni dell’amico: era seduto e teneva tra le mani una rivista di Quidditch. Tutto sommato non sembrava né moribondo né cieco.
«Ciao» mormorò. Da quando tentennava? E davanti a un Serpeverde? Sembrava quasi Charis.
«Ciao. Sono contento che tu sia venuta, mi annoio terribilmente. Madama Chips non mi perde di vista un attimo, non posso compiere nessuna esplorazione».
«Ma stai bene?» chiese titubante la ragazzina, avvicinandosi al letto.
«Sì, dai. Madama Chips mi ha rimesso in sesto abbastanza facilmente. Per fortuna, il vetro non mi ha colpito gli occhi».
«Per fortuna» sospirò Charlie.
«Tutto bene? Sei pallidissima. Se venuta a trovare me o Madama Chips?» scherzò Robin.
«Te» borbottò Charlie e per darsi un contegno prese posto sul letto accanto a quello del ragazzino.
«Sicura?» le chiese riponendo la rivista sul comodino.
«Sì» ribatté lei. «E tu sei sicuro di stare bene?».
«Al cento per cento, ma spero che Madama Chips mi tenga qui anche domani… sai, ho una verifica con la McKlin».
L’ultima parte l’aveva sussurrata, ma Charlie l’aveva sentito e non era riuscita a trattenere un leggero sorriso. Era tutto apposto! Aveva trascorso un sacco di tempo a lambiccarsi il cervello! Se solo fosse andata prima a trovarlo! Eppure c’era ancora qualcosa che la turbava.
«Ma tu sai chi è stato?».
Robin scosse la testa e si strinse nelle spalle. «Che importanza ha?».
«Non sei arrabbiato?».
«Preoccupato» replicò il ragazzino. «Voglio dire se qualcuno ce l’ha con me, voglio saperlo».
«Nessuno ce l’ha con te» ribatté Charlie con forza, prima di accorgersi che in realtà lei non avrebbe dovuto saperlo.
«Come lo sai?».
Charlie sbuffò. «Siamo stati noi» confessò.
«Noi chi?» chiese Robin perplesso.
«Io, Teddy e Zoey».
«Vuoi farmi fuori? Ora proverai a soffocarmi con il cuscino come nei film babbani?» domandò quasi interessato alla prospettiva, come se non stesse parlando di sé stesso.
«No… io… cosa?».
«Ah, già che sei una purosangue» replicò Robin stiracchiandosi. «Roba babbana… Allora, posso sapere che vi ho fatto?».
«Nulla, te l’ho detto» ribatté Charlie. E a quel punto gli raccontò nel dettaglio quello che era accaduto. «Sei arrabbiato?» gli chiese appena concluse.
«No, almeno sono tranquillo».
«Lo dirai alla McGranitt?». Zoey e Teddy non sarebbero stati contenti.
«Certo che no!» esclamò Robin raddrizzandosi. «Per chi mi hai preso? Non sono mica uno spione. Mi offendi».
«Scusa».
«Scuse accettate» sorrise Robin. «Mi avete fatto saltare quasi una settimana di scuola… ma la prossima volta avvertimi per favore, così me ne sto alla larga quando farete uno scherzo…».
«D’accordo» assentì Charlie, sentendosi finalmente più leggera. Si attardò in infermeria finché non fu Madama Chips a cacciarla poco prima dello scattare del coprifuoco.
 
 
*
 
Zoey si specchiò con attenzione: era cresciuta? Non si sentiva molto più alta dell’anno precedente, ma sicuramente la sua vita era cambiata notevolmente. Quel giorno compiva dodici anni e per la prima volta avrebbe festeggiato lontano dalla sua famiglia e dalle sue amiche. Sospirò e si costrinse a sorridere: quello era un nuovo capitolo della sua vita e non era nemmeno male. Insomma, era una strega, aveva i poteri magici! Certo, come le diceva sempre il professor Vitious, avrebbe dovuto impegnarsi di più per imparare gli incantesimi, ma quelli erano dettagli.
Lasciò il bagno e trovò Charlie e Charis ad attenderla, entrambe la abbracciarono e le augurano buon compleanno. Insieme raggiunsero la Sala Grande per la colazione.
«Com’è che siete già in piedi?» chiese Teddy sorpreso, dopo averle fatto gli auguri.
«Oggi è il mio giorno e voglio godermelo» replicò la ragazzina.
Teddy continuò a fissarla non del tutto convinto, ma poi alla fine si strinse nelle spalle e tornò alla sua colazione.
«E tu perché ti sei alzato così presto?» gli chiese. Era domenica, quindi vi era ben pochi studenti già svegli.
«La McKlin mi aspetta per una lezione extra».
«Di domenica?» replicarono le due ragazze in coro.
«A quanto pare».
Poco dopo furono raggiunte da Mark, che guardava intorno inquieto. Il ragazzino salutò e fece gli auguri a Zoey.
«Dov’è Enan?» chiese Teddy.
«Non vuole uscire dalla camera» replicò Mark.
«Ancora?» commentò Charlie.
In effetti, il giorno precedente l’aveva trascorso all’interno del Dormitorio e non era da lui. L’Enan che avevano imparato a conoscere prima di Natale, amava l’aria aperta e non sarebbe rimasto all’interno del castello più tempo del necessario. Addirittura il primo giorno di lezioni dopo le vacanze si era rifiutato di alzarsi, ma i ragazzi gli avevano riportato le parole di Vitious: la tolleranza sarebbe durata solo un giorno. E con sollievo di tutti loro, Enan il giorno dopo aveva ripreso le normali attività. O almeno si trascinava da una classe all’altra con un atteggiamento apatico.
Zoey avrebbe voluto aiutare i suoi amici, ma non sapeva da dove iniziare. Ogni riflessione fu interrotta dall’arrivo dei gufi. Al loro tavolo ne planò uno che portava con sé un’enorme scatola e sembrava stremato.
Mark e Charis immediatamente gli diedero da bere e lo aiutarono a sgranocchiare qualche striscia di bacon.
Zoey si era gettata direttamente sul pacco: all’interno aveva trovato alcuni regali ben impacchettati e diverse lettere. Avrebbe voluto stringere la scatola a sé e saltellare per la Sala, ma non poteva rovinare così la sua reputazione. C’erano una lettera dai genitori e una da Chris. Si prese il tempo di leggerle con calma e assaporarsi quel momento, nonostante la curiosità di scoprire che cosa le avessero regalato.
In realtà, vi erano le solite informazioni: i suoi le raccontavano delle ultime notizie, ma dato che si erano lasciati da pochi giorni non vi erano molte novità; similmente Chris si confidava con lei su quanto poco si trovasse bene alla Richmond e quanto le mancasse. Doveva darle qualche consiglio su come farsi qualche amico. Non era possibile che fossero tutti antipatici o cattivi. Finalmente si dedicò ai regali. Chris le aveva mandato una maglietta e una foto che avevano scatto insieme durante le vacanze, l’avrebbe messa sul comodino della sua stanza; i suoi, invece, un orologio da polso, la cui fascetta era piena di perline. Lo indossò contenta, perché era quello che lei e la mamma avevano visto insieme quando erano uscite a fare shopping.
«Che facciamo?» chiese dopo aver rimirato i suoi regali.
«Io vado dalla McKlin» replicò Teddy alzandosi palesemente seccato. «Ci vediamo a pranzo… spero…».
«Il solito melodrammatico» borbottò Charlie.
Zoey in realtà non poteva dar torto al loro amico e non lo invidiava per nulla: la domenica era stata creata per riposare ed era orribile trascorrerla con la loro severa professoressa di Trasfigurazione.
«Io, invece, porto la colazione a Enan e poi vado in biblioteca a studiare» disse Mark, alzandosi a propria volta. Lo fissarono inorridite. Si guardò bene dall’invitarle a fargli compagnia.
«Non è che vuoi studiare anche tu?» chiese Zoey a Charis.
«No, ho finito i compiti ieri, così possiamo passare la giornata insieme».
«Grande, Charis!».
«Io direi di andare a fare una battaglia a palle di neve» disse Charlie. Zoey ne fu entusiasta e le tre ragazzine trascorsero la mattinata nel cortile. All’ora di pranzo ritrovarono i ragazzi al tavolo dei Tassorosso. Ancora una volta Enan non c’era.
Instintivamente si voltarono verso il tavolo dei Serpeverde. Zoey non ebbe difficoltà a individuare Thomas Mulciber. Ormai osservarlo era diventato un’abitudine. Tanto Enan sembrava cupo e arrabbiato, tanto il Serpeverde sembrava felice come non era mai stato, anche se continuava a essere un cagnolino di Dolohov.
Mangiarono inondati dalle chiacchiere di Charlie e di Zoey stessa, a cui timidamente ogni tanto si aggiungevano anche Mark e Charis. Teddy, in quanto a cupezza, avrebbe potuto fare a gara con Enan e sembrava ben lontano da lì. Zoey era sorpresa che il compagno non si fosse presentato alla McGranitt come autore dello scherzo ai danni di Robin e non avesse dato il tormento a lei e a Charlie perché facessero altrettanto. Era cambiato dall’inizio dell’anno e la ragazzina sentiva che il cambiamento non era avvenuto in bene, perché l’amico era triste e arrabbiato.
Dopo pranzo fu trascinata via da Charlie fino alla Sala Comune. Era sicura che l’amica avesse organizzato qualcosa per lei, ma non sapeva cosa.
Sul suo letto vi era un pacchetto e Charlie e Charis, che le aveva seguite, la esortarono ad aprirlo. Con sua sorpresa vi trovò un cappuccio, una sciarpa e un paio di guanti di lana finissima e bianchi come la neve.
«Bene, sistematevi, Charis. Io devo fare una cosa» istruì Charlie catapultandosi verso la porta.
«Dove vai?» chiese sorpresa quest’ultima. Zoey si disse che non faceva parte del piano.
«Devo picchiare Enan, ma voi aspettatemi in Sala Comune» ribatté lei come se fosse tutto sotto controllo.
«Dobbiamo preoccuparci?» domandò Charis a Zoey.
La ragazzina ci pensò un attimo e poi scosse la testa. «Enan ha bisogno di una scossa. Toccherebbe a Teddy, ma non mi sembra in grado di aiutare nemmeno sé stesso».
Su questo non c’erano dubbi.
«Che dobbiamo fare?».
«Aspettare» si strinse nelle spalle Charis. «Oh, ehm, sistemarti i capelli se vuoi e insomma quelle cose lì…».
Zoey roteò gli occhi, ma annuì. Dovevano avere in mente qualcosa per lei, quindi doveva prepararsi bene. «Devo tenermi la divisa?».
«Non abbiamo scelta» replicò Charis, appoggiandosi sul suo letto.
«Chi erano quelle ragazze stamattina?» approfittò per chiederle, mentre sceglieva dei colori che si adattassero sia al regalo delle amiche sia alla divisa.
Charis sobbalzò e sembrò sorpresa dalla domanda. «Nessuno».
Zoey si accigliò. «Come nessuno? Erano quattro e parlavano proprio con te».
Charis si strinse nelle spalle e per evitare altre domande si chiuse in bagno. Zoey fissò sorpresa la porta chiusa che le divideva e si disse che l’amica stesse nascondendo qualcosa. Appena fu pronta scesero insieme in Sala Comune. Altri ragazzi le fecero gli auguri. Charlie le stava già aspettando e le accolse con un gran sorriso. «Andiamo!».
Zoey, emozionata e curiosa, si lasciò condurre dalle due amiche nel parco innevato e ormai illuminato solo dall’ultima luce del tramonto. Arrivarono alla capanna di Hagrid che era quasi buio, qui l’aspettavano un bel po’ di amici e compagni che l’accolsero battendo le mani.
Hagrid lasciò andare alcuni animaletti che sembravano lucciole e il piccolo spiazzo s’illuminò in modo molto romantico. Inoltre, Charlie e Charis distribuirono dei braccialetti che al buio era fluorescenti e facevano giochi di luce sulla neve.
A quel punto misero un po’ di musica, ma non troppo alta.
«Un ballo delle nevi» le disse Charis eccitata quanto lei.
«Questa volta non è stata solo una mia idea, ma soprattutto di Charis» spiegò Charlie. «I bracciali me li ha mandati Chris».
Con sua sorpresa alla festa c’erano quasi tutti i ragazzi del primo anno. Persino Teddy ed Enan sembrarono perdere la loro aria imbronciata per un po’.
Zoey era felice di quel magico compleanno.
 
 
*
 
Erano trascorse solo poche settimane dal loro rientro a Scuola, ma Mark rimpiangeva terribilmente i giorni trascorsi con il nonno. A volte, però, sembravano essere stati solo un sogno. Le sue giornate erano diventate un incubo, una sfida di sopravvivenza: evitare i suoi fratelli, o meglio evitare Alexis; le lezioni di McBridge; quelle extra con Vitious, durante le quali era diventato ancora più importante saper usare l’Occlumanzia, perché il professore non vedesse tutto quello che stava provando. Il più delle volte, però, era solo agitato, non si concentrava e non lo guardava nemmeno negli occhi. Fortunatamente, il professore Vitious non era troppo severo e si stava limitando a osservarne lo strano comportamento, tutt’altro che migliorato rispetto a prima delle vacanze di Natale.
Per quanto riguardava Alexis, era diventato particolarmente bravo a evitarla: la mattina si alzava presto, faceva colazione e poi si rintanava in biblioteca. Sua sorella si alzava sempre tardi e sicuramente entrava in biblioteca solo se costretta, in più per fortuna il Quidditch assorbiva le sue energie. Jay lo incrociava ogni tanto, ma si limitavano a un cenno con la mano. Era scappato, quindi non lo volevano più.
McBridge invece era un grosso problema. Durante le ultime settimane era peggiorato, altro che a Natale erano tutti più buoni, lui sembrava diventato più cattivo. E con lui i Serpeverde che ne approfittavano. Durante l’ultima lezione l’aveva rimproverato per i compiti che riteneva non fossero stati svolti in maniera corretta; eppure Mark era abbastanza sicuro in questo caso, perché Teddy l’aveva aiutato e corretto, così come durante le vacanze l’aveva aiutato il nonno, ma anche quei compiti erano stati valutati negativamente. Sembrava che ogni cosa non andasse bene a McBridge. Mark tentava di non fiatare né muoversi, ma lui trovava comunque un modo per togliergli dei punti. Senza contare che con Dolohov come compagno di banco era quasi impossibile non attirare l’attenzione. Qualunque cosa era colpa sua. Persino Charlie e Zoey avevano cominciato a non disturbare durante le sue lezioni per evitare che la colpa ricadesse su Mark.
Tutto inutile. Il problema era proprio il ragazzino.
Sembrava che progressivamente la cattiveria di McBridge stesse aumentando. Perché? Aveva capito che centrasse suo padre. La sera del rientro aveva raccontato a Teddy la conversazione con il nonno e lui gli aveva risposto che a questo punto suo padre, lavorando al Ministero, doveva aver in qualche modo appoggiato i Mangiamorte. Il punto era come? Comunque l’argomento era rimasto in sospeso, perché poi era arrivato Enan completamente sconvolto e avevano dovuto preoccuparsi di lui. La mattina successiva aveva parlato con Charis e lei le aveva detto che avrebbero potuto controllare i giornali del 1997 e del 1998 in biblioteca, in base a quello che aveva detto il nonno, avrebbero potuto così restringere il campo della loro ricerca. Ma poi anche Charis era diventata strana. Si guardava intorno nei corridoi, come se volesse evitare qualcuno. Conosceva quell’atteggiamento, perché era anche il suo.
«Ehi, Becker».
Quella voce lo fece irrigidire e si voltò di scatto, perché non conveniva dare le spalle ad Antonin Dolohov.
«Guarda che cosa mi è arrivato» disse tutto contento.
Mark sgranò gli occhi osservando il detonatore abbindolante che sventolava e non aveva dubbi che l’avrebbe utilizzato durante l’ora di Difesa contro le Arti Oscure. E con chi se la sarebbe presa McBridge? Per i Serpeverde era diventata una sfida metterlo nei guai con idee sempre nuove e originali. Dolohov gli diede una spallata e lo superò.
«Attento, che rischi di arrivare in ritardo».
Mark sentì il cuore battere all’impazzata, quando si rese conto che aveva ragione! Stava per suonare la campanella, ma lui si era attardato in biblioteca nella speranza che Charis lo raggiungesse. Per un attimo il chiasso della Scuola divenne ovattato e il panico di dover affrontare ancora McBridge lo assalì.
Quando suonò la campanella, sapeva che da lì non si sarebbe mai mosso da solo.
«Mark? Stai bene?».
Quella voce peggiorò notevolmente il suo stato, avrebbe voluto scappare ma sentiva le gambe molli neanche fossero state colpite da una fattura.
«Ti accompagno in infermeria».
All’inizio sembrò più una domanda, ma poi Mark si sentì stringere il braccio e si lasciò guidare dall’ultima persona che pensava l’avrebbe aiutato.
Madama Chips fu solerte come sempre, ma di poche parole: gli diede della pozione calmante e lo invitò a riposarsi.
Solo quando la pozione cominciò a far effetto, Mark si rese conto che per quel giorno avrebbe saltato la lezione con McBridge e che forse Jay non lo odiava così tanto se l’aveva aiutato e non lasciato da solo in un corridoio in preda a un attacco di panico.
 
 
 
*
 
Teddy fissò distrattamente i fiocchi di neve che volteggiavano elegantemente fuori dalla finestra. Una volta l’avrebbe considerato uno spettacolo meraviglioso, ma dentro di lui si era spezzato qualcosa in quei mesi. Accolse con sollievo il suono della campanella, che annunciava la fine delle lezioni per quel giorno. Sospirò, raccolse il suo materiale e si avviò lungo i corridoi senza aspettare gli altri. Anche perché voleva mettere le distanze tra lui e i Serpeverde il più velocemente possibile. Dolohov. Ormai era il suo pensiero fisso. Non riusciva nemmeno ad aiutare Enan che, a causa di quello che aveva scoperto, era completamente distrutto. Il suo amico, però, non era che la conferma di quello che aveva capito: gli adulti sono inaffidabili, proprio come aveva sempre affermato Charlie.
«Teddy!».
Riconobbe la voce squillante, ma proseguì imperterrito verso la Sala Grande desideroso di mangiare.
«Ehi, ma che fai, ti ho chiamato più volte!» sbottò Diana Webster raggiungendolo. Con lei c’era Laurence Landerson, straordinariamente senza i suoi compagni Grifondoro.
«Non ho sentito» mentì.
Diana fece una smorfia, probabilmente non credendogli. «Dobbiamo parlare».
«Credevo avessimo già chiarito che…» sbottò irritato dall’insistenza dell’amica: erano settimane che lo stressava con la storia dello scherzo che aveva ferito Robin Peters di Serpeverde. Persino Laurence alla fine le aveva dato ragione. Secondo loro il Teddy che conoscevano, si sarebbe assunto le proprie responsabilità.
Appunto, il Teddy che conoscevano loro. Il vecchio Teddy. Adesso il nuovo lui non si sarebbe mai fatto mettere i piedi in testa da nessuno, meno che mai dai Serpeverde. In più Robin stava bene e non aveva senso finire nei guai, soprattutto dopo le ultime minacce della McGranitt.
«Mi dispiace dirtelo, ma non sei al centro dell’attenzione» ribatté a tono Diana interrompendolo. «Vieni».
Raggiunsero un corridoio ormai vuoto e Teddy li fissò in attesa. «Allora?».
Diana lanciò un’occhiata titubante a Laurence, che si strinse nelle spalle.
«Ho preso una punizione da McBridge».
«E quindi?». Teddy non riusciva a comprendere quale fosse il problema: Laurence si comportava spesso male e si metteva nei guai, non era una novità. Vero anche che McBridge se la prendeva solo con chi non sopportava e Laurence non era tra quelli. «Che hai fatto?» ritrattò la domanda.
«Mi sono rifiutato di leggere e l’ho insultato».
«Perché?». Le lezioni di Difesa dei Corvonero e dei Grifondoro erano di gran lunga più tranquille di quelle che coinvolgevano i Tassorosso e i Serpeverde e per quello che ne sapeva lui di solito filavano lisce. Si pentì immediatamente di aver posto quella domanda: lo sapeva perché. Per Laurence era sempre stato un problema leggere ad alta voce, anche alla scuola babbana. Molti dei loro compagni lo prendevano in giro per questo e lui, per recuperare ai loro occhi, si sentiva in diritto di fare il pagliaccio. «Scusa, volevo dire, perché l’hai insultato?».
«Perché insisteva nel farlo leggere, anche se lui ha detto che gli faceva male la gola» spiegò Diana, visto che Laurence aveva rivolto l’attenzione al paesaggio fuori da una finestra lì vicino. Quella del mal di gola era una delle scuse ricorrenti, Teddy sapeva che prima o poi sarebbe stata inutile. «E i miei compagni hanno cominciato a sghignazzare» ammise imbarazzata.
Teddy sbuffò: i tanto maturi e studiosi Corvonero evidentemente sapevano essere molto sciocchi. «Tranquillo, li daremo una lezione» disse avvicinandosi al compagno e dandogli una pacca sulla spalla.
Laurence si voltò e Teddy si accorse che aveva gli occhi rossi.
«Non essere stupido!» sbottò Diana fulminandolo. «Che soluzione è? Vuoi passare il tempo dando una lezione a tutti quelli che ti infastidiscono? Non ti riconosco più Teddy Lupin».
Il ragazzino si gonfiò pronto a risponderle per le rime, ma fu proceduto da Laurence che gli porse una pergamena tutta spiegazzata. La prese, ma impiegò qualche secondo a rendersi conto che era l’ultimo tema di Incantesimi dell’amico: era pieno di segni rossi, ma erano errori di ortografia. Deglutì rendendosi conto che per la prima volta Laurence gli mostrava un suo compito, di solito anche alla scuola babbana si era sempre rifiutato e Teddy aveva deciso di rispettarlo.
Diana lo fissava a braccia conserte. «Vuoi dare una lezione anche al professor Vitious o troviamo una soluzione intelligente?».
Teddy avrebbe voluto ribattere, ma per la prima volta da settimane si sentì in colpa: Laurence, il suo amico da tempo immemore, sempre ridente e coraggioso, aveva nascosto a lungo quelle difficoltà che lo tormentavano.
«Beh, potremmo aiutarlo a ripassare le regole di ortografia» borbottò allora.
Diana scosse la testa. «Teddy, non capisci, non è solo questo».
«Beh, sì, Laurence è distratto, ma è normale per lui, no?».
«È quello che credono i miei genitori» si dondolò sul posto Laurence. «Ma Diana dice che non è una spiegazione sufficiente».
«Teddy, il tema l’ho scritto io. Laurence l’ha ricopiato in bella parola per parola».
Il ragazzino riguardò ancora l’elaborato: non era possibile. Neanche il ragazzo più distratto del mondo avrebbe commesso tutti quegli errori copiando, tra l’altro da Diana che quando si trattava di spelling alla scuola babbana lo metteva a dura prova.
«E quindi che facciamo?» chiese Teddy confuso e sorpreso anche dal fatto che Diana avesse svolto i compiti al posto del Grifondoro. A quanto pare non era l’unico che era cambiato da settembre.
«Dobbiamo parlarne con un insegnante».
«Non puoi andare da un professore e dire che ha scritto tu il tema per Laurence. Sarebbe assurdo!» ribatté Teddy.
«Ho scritto ai miei genitori» replicò Diana ignorandolo. «Secondo mio padre probabilmente si tratta di un disturbo dell’apprendimento».
Il Tassorosso non aveva idea di che cosa stesse parlando la ragazzina, ma ribatté a propria volta: «Se ci fosse stato un problema, i professori l’avrebbero già capito».
«Ma i maghi magari ne sanno poco di queste cose» rispose Diana. «Sono anni che i Babbani studiano i disturbi dell’apprendimento. Qui non ho mai sentito parlare nessuno di dislessia, per esempio».
«Ma la nostra maestra…» protestò ancora il ragazzino.
«Avanti dai, dopo cinque anni, non ti sei reso conto che per lei era più comodo pensare che Laurence fosse solo indisciplinato e distratto?».
Teddy era completamente stralunato: dov’era finita la timida Diana?
«Teddy» lo chiamò Laurence che, assurdamente, sembrava aver incamerato la timidezza dell’amica. «Diana vuole parlarne con il professor Paciock, vieni anche tu?».
«Certo».
 
 
 
*
 
Charis sospirò e si rintanò in biblioteca, dopo essersi assicurata di non essere seguita. Era la fine di gennaio e quell’inverno si stava rivelando particolarmente rigido. La Tassorosso accolse con sollievo il silenzio che regnava almeno lì. Si era allontanata con l’intenzione di studiare, ma anche cercare qualcosa sulla famiglia di Mark. I suoi compagni non le avevano dato molta retta, ma non si sorprendeva: Enan era l’ombra di sé stesso ultimamente, era sempre triste ed evitava persino i suoi cugini; Teddy era strano e trascorreva molto tempo con Laurence Landerson e Diana Webster, i suoi amici prima di Hogwarts; Charlie e Zoey naturalmente erano allergiche alla biblioteca; Mark, il solo che l’avrebbe accompagnata volentieri, aveva una lezione extra con il professor Vitious.
Si recò immediatamente nell’emeroteca, conscia che dopo cena i ragazzi più grandi avrebbero affollato la biblioteca e ci sarebbero stati troppi occhi indiscreti. Non ebbe difficoltà a trovare le annate de La Gazzetta del Profeta che le interessava, ma ancora una volta le apparve un’impresa ben più complessa di quanto si sarebbe aspettata. Decise pazientemente di cominciare dai numeri di agosto 1997 e si strinse il cuore: la foto di un uomo con i capelli che ricordavano la criniera di un leone occupava tutta la prima pagina. Rufus Scringeour, il Ministro della Magia assassinato e sostituito da un fantoccio di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Per un attimo si bloccò: suo zio probabilmente non avrebbe voluto e gliel’avrebbe vietato. E a dire tutta la verità, aveva paura anche lei: e se avesse incontrato il nome di suo padre? Negli ultimi numeri del 1998 sicuramente sarebbe apparso il suo nome.
«Oh, oh, guarda chi c’è qui» disse una voce che, purtroppo, aveva imparato a riconoscere.
«La Tassina legge giornali vecchi, ma non è capace di comprendere nemmeno un ordine».
Charis si voltò lentamente e, come si aspettava, se le ritrovò di fronte tutte e quattro. Erano Corvonero del quarto anno che da qualche settimana le davano il tormento: Isla Capell, Ava Byron, Bethany Sallow e Megan Fernsby.
«Ciao» borbottò cercando una via d’uscita.
«Allora, perché non ci hai ascoltate?» chiese Megan.
Charis aveva paura di risponderle, quelle quattro la terrorizzavano come nessuno; nemmeno miss Shafiq la inquietava tanto. Inoltre, le avevano chiesto qualcosa di assurdo: stare lontana da Shawn! Ma lui era uno dei suoi amici più cari. Non aveva intenzione di evitarlo per loro!
«Forse le dovremmo spiegare cosa succede a non ascoltarci» intervenne Ava di fronte al suo silenzio.
Instintivamente Charis si trasse indietro, ma le ragazze più grandi non puntarono le bacchette su di lei.
«No!» gridò rendendosi conto di quello che stava per accadere, ma fu inutile. Per qualche secondo non si capì nulla, mentre le copie di centinaia di riviste svolazzavano nell’aria e alcune addirittura persero delle pagine.
Naturalmente, le Corvonero diedero la colpa a Charis quando una furiosa Madama Pince le raggiunse. Charis provò a balbettare delle scuse, ma la donna l’afferrò per la collottola della divisa e la trascinò dal suo Direttore. Aveva sempre pensato che la bibliotecaria fosse temibile, ma adesso sembrava sul punto di emettere fiamme dalle narici. Non che le potesse dare torto, considerando il disastro in biblioteca, come minimo ci sarebbero voluti giorni per rimettere tutto in ordine.
Nell’ufficio del professor McBridge, però, la situazione prese una piega ancora più assurda. Charis si appiattì contro il muro a occhi sgranati osservando i due adulti furiosi urlare uno contro l’altro. E ancora una volta non poté biasimare Madama Pince: McBridge aveva accolto il suo racconto su quanto avvenuto con un gesto vago della mano, affermando che sicuramente non era colpa di Charis; anzi molto più probabilmente c’erano dei Serpeverde nascosti da qualche parte e la bibliotecaria non li aveva visti.
Era sempre più palese che quell’uomo avesse qualche problema, forse finalmente se ne sarebbero accorti anche gli altri insegnanti.

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Capitolo 21
*** Cuori che battono forte ***


Capitolo ventunesimo


 
 
Cuori che battono forte
 
 
 
Charis sospirò e si stropicciò gli occhi. Ma quanti numeri di Trasfigurazione Oggi erano stati pubblicati? Erano giorni che tentava di rimettere in ordine quella rivista! Si guardò intorno impotente: era trascorsa una settimana, ma l’emeroteca era ancora un disastro. Aveva tentato di dividere le riviste in base al titolo, ma erano comunque troppe.
«Williamson, puoi andartene».
Accolse con sollievo le parole di Madama Pince, nonostante la sua freddezza. Quella donna non poteva più vederla e, naturalmente, non poteva nemmeno darle torto. Stancamente recuperò lo zaino e si avviò fuori dalla biblioteca, con il peso di quei giorni sulle spalle e il pensiero fisso sui compiti che ancora doveva in gran parte svolgere. Nel corridoio, però, urtò qualcuno. «Mi dispiace» strillò, poi si rese conto che era Shawn e abbassò lo sguardo.
«Ti stavo aspettando» disse il ragazzo.
Charis continuò a fissare il pavimento di pietra. «Devo andare a studiare… io…».
«Puoi benissimo dedicarmi qualche minuto. Ti accompagno».
«Ma il coprifuoco…».
«Ancora mancano dieci minuti… Charis, che ti ho fatto? Sono giorni che mi eviti…».
«Nulla» mormorò dopo qualche minuto la ragazzina. Shawn l’aveva seguita fino al piano inferiore e non sembrava preoccuparsi di essere tanto lontano dalla sua Sala Comune.
«Perché mi eviti allora?».
«Non ti evito».
«Charis» sbottò esasperato il Grifondoro.
«Scusami».
«Mi fai capire?».
Charis si fermò e senza guardarlo negli occhi rispose: «Delle ragazze di Corvonero mi hanno detto di starti lontano… All’inizio ho provato a ignorarle, ma loro hanno cominciato a insultarmi o a spingermi nei corridoi… Ma mi sembrava assurdo evitarti, perché me lo dicevano loro… Poi in biblioteca hanno fatto quel disastro… Non lo so… mi sono spaventata e… scusami». Charis scoppiò in lacrime.
«Ma…». Shawn impiegò qualche secondo a trovare le parole. «Perché non me ne hai parlato subito? Perché ti sei presa la colpa per il macello in biblioteca?».
«Non lo so» pianse più forte Charis. «Ho avuto paura. Tu non hai visto Madama Pince e McBridge litigare… Poi è arrivato Vitious e… non lo so… non sono riuscita a spiccicare parola… ».
Shawn sospirò. «Che vogliono quelle da me?».
«Non lo so… credo che tu gli piaccia… Credo siano invidiose del fatto che trascorro del tempo con te…».
«Seriamente?» chiese sorpreso il ragazzo. «Ma chi sono? Le conosco?».
«Sono del tuo anno» replicò Charis tirando su con il naso.
«Delle Corvonero del mio anno?» ribatté Shawn meditabondo. «Oh, no, non mi dire che sono la Fernsby e il suo gruppetto…».
Charis annuì.
Shawn si passò una mano tra i capelli. «Ora andiamo a parlarne con il professor Vitious».
Charis sgranò gli occhi e scosse la testa.
«Come no?».
«Che devo dirgli? Quella sera non ho risposto alle sue domande».
«Eri spaventata!».
La ragazzina chinò gli occhi, ma non si oppose quando lui le prese la mano per condurla all’ufficio del vicepreside.
«Mio zio è furioso» gli raccontò. «Vitious gli ha scritto per dirgli dell’emeroteca…».
«Almeno a tuo zio potevi spiegare la verità».
«Non gli ho nemmeno risposto».
«Seriamente?» borbottò Shawn che, durante le vacanze, aveva dimostrato chiaramente di essere in soggezione alla presenza dell’Auror Williamson.
«Sì, e lui mi ha mandato un’altra lettera… Non mi aveva mai detto quelle cose… È davvero arrabbiato…».
Shawn sospirò. «Ma anche tu come ti viene in mente di prenderti la colpa di una cosa del genere? Ho sentito Madama Pince dire che alcune riviste risalivano a secoli fa e sono andate in parte distrutte!».
«Non ho pensato in quel momento» piagnucolò Charis.
Insieme raggiunsero lo studio del professore e Shawn bussò. Fu dato immediatamente loro il permesso di entrare. Il professor Vitious era in compagnia di un Mark alquanto stanco e palesemente prostrato.
«Signorina Williamson, signor Lattes, non vi aspettavo a quest’ora».
«Vorremo parlarle, signore» replicò Shawn.
Vitious annuì e congedò Mark, che sembrò alquanto sollevato e scappò via. Il professore lo seguì con lo sguardo e poi a sorpresa si rivolse a Charis. «Che cos’ha Becker in questo periodo?».
Charis non si aspettava quella domanda e boccheggiò; alla fine decise di rispondere in modo vago: «È preoccupato per i suoi fratelli e per lo studio».
Il professore si accigliò, ma non indagò oltre. «Di che cosa volete parlarmi?».
«Charis le vorrebbe raccontare che cos’è successo la settimana scorsa in biblioteca, professore».
In realtà, Charis avrebbe voluto essere al sicuro nella sua camera in quel momento.
«Sono molto curioso di sentire la tua versione, signorina Williamson. Sinceramente sono rimasto molto sorpreso da quanto le ragazze di Corvonero e Madama Pince mi hanno riferito, non trovo un motivo logico perché l’avresti fatto. Un comportamento del genere è ben lontano dalla prova di te che avevi dato fino a questo momento… Ho scritto a tuo zio anche per questo motivo e lui condivide le mie preoccupazioni».
«Dai, Charis» sussurrò Shawn per incoraggiarla.
La ragazzina si mordicchiò il labbro e tentò di raddrizzarsi sulla sedia come le aveva insegnato miss Shafiq. «Non sono stata io» mormorò. «Stavo facendo delle ricerche, quando sono arrivate quelle ragazze».
«Che ricerche?» domandò Vitious.
Charis sapeva di dover mentire, ma sinceramente non voleva costruire castelli di bugie che poi magari le sarebbero rovinati addosso. «Cercavo informazioni sul padre di Mark».
Il professore apparve sorpreso. «E per quale motivo?».
«Vuole sapere che cosa faceva durante la guerra, ma tutti gli adulti a cui l’abbiamo chiesto si sono rifiutati di risponderci… Teddy ci ha provato anche con il suo padrino…».
«A volte è meglio che alcune cose rimangano nel passato, non credi?» replicò allora Vitious. «La verità fa male e talvolta è superflua».
La ragazzina era basita: «In che senso superflua?».
«Becker che cosa otterrebbe a rivangare il passato in questo momento? I suoi problemi sono nel presente». Charis non poteva raccontargli anche di McBridge, non riteneva corretto spifferare tutti i problemi dell’amico: aveva già parlato troppo. Scambiò una rapida occhiata con Shawn, che sembrò concordare perché non commentò. «Allora, che inerenza hanno le tue ricerche con quello che è successo?».
«Nulla» ammise la ragazzina e titubante gli raccontò delle minacce delle Corvonero e di come si fosse spaventata quella sera.
Il professore l’ascolto attentamente e rifletté qualche secondo prima di parlare. «Domani mattina parlerò nuovamente con Madama Pince e le tue compagne di Corvonero e vedremo come affrontare questa situazione».
 
*
 
Teddy si passò una mano tra i capelli nel vano tentativo di apparire più ordinato: quella notte si era addormentato tardi e, naturalmente, aveva faticato ad alzarsi quella mattina. Tra l’altro l’idea di due ore di Pozioni in compagnia dei Serpeverde per iniziare la giornata non era sicuramente quello che una persona normale si sarebbe mai augurata. Non lui comunque.
«Ragazzi» sbottò Charlie fissando lui, Mark ed Enan, «le lezioni sono già deprimenti di suo, non metteteci pure il vostro muso».
L’unico che diede segno di sentirla fu Mark, che le rivolse uno sguardo rassegnato: Pozioni non era una materia che lo faceva impazzire, anche se ora fortunatamente aveva tutto il materiale necessario.
Teddy ed Enan avevano fissato la loro attenzione sui due Serpeverde che tormentavano i loro pensieri.
«Oh, i Tassorosso» li accolse Antonin Dolohov notandoli.
Thomas Mulciber rivolse loro uno sguardo incerto.
I sei Tassorosso si avvicinarono all’aula di Pozioni in silenzio. Charis e Mark ricambiarono i saluti di Edith Yaxley e Caroline Shafiq, ignorando gli altri che si fissavano in cagnesco.
«Dai, Antonin, il professore sarà qui a momenti» intervenne Edward Burke temendo che, come al solito, il compagno si sarebbe scontrato con i Tassorosso. Entrambi avevano perso fin troppi punti ultimamente.
A Teddy, però, non interessava nulla: ogni qualvolta si trovava Dolohov di fronte, perdeva ogni buon senso.
«Ma lo sapete che stasera ci sarà la luna piena?» chiese a gran voce Dolohov. «Lupin, andrai a fare un giro nel parco stanotte?». Lui e Thomas si misero a ululare scioccamente.
«Io ti spacco la faccia» ringhiò Teddy lanciandosi sull’altro, ma sorprendentemente fu Charlie a trattenerlo.
«C’è Lumacorno» sussurrò lei semplicemente.
«A tempo debito daremo loro la lezione che meritano» aggiunse Zoey al loro fianco.
Ricambiarono fiocamente il saluto del professore ed entrarono in aula dopo i Serpeverde.
«Teddy, lo so che è difficile, ma concentrati sulla lezione» mormorò Charis sedendosi accanto a lui.
Il ragazzino la fissò per qualche secondo: l’amica aveva delle belle occhiaie per merito di un gruppetto di stupide Corvonero che l’avevano messa in un bel pasticcio e che non la stavano aiutando più di tanto a rimediarlo.
Teddy distolse lo sguardo e lo rivolse a Lumacorno, che aveva iniziato a spiegare. Charis era perfetta per la loro Casa. Ma lui? Negli ultimi tempi si sentiva sempre a disagio. Decise di ascoltare il consiglio dell’amica e s’impegnò a distillare la pozione del giorno. Stranamente a poco a poco si rilassò, dimenticandosi quasi di chi lo circondava.
«Lo sai, Ted» attirò la sua attenzione Lumacorno, che come sempre girava tra i banchi e non mancava di elogiare i suoi pupilli, «quando sei concentrato, assomigli davvero a tuo padre… Oh, sì, me lo ricordo ancora… sempre in compagnia dei suoi amici…» gli fece l’occhiolino e passò oltre.
Il ragazzino spalancò la bocca sconcertato da quelle parole: si era aspettato che il professore tirasse in ballo Harry, come sempre da mesi; invece, l’aveva paragonato a suo padre. Suo padre.
«Attento» lo fermò Charis, mentre stava aggiungendo altra bava di lumaca nel calderone.
Riprese a lavorare, mentre un fiotto di calore si espandeva nel suo petto. Lumacorno era stato il professore di suo padre. Secondo Lumacorno lui assomigliava a suo padre! Non ricordava che suo padre avesse fatto parte del Lumaclub. Doveva assolutamente chiederlo a Harry si disse, mentre versava la sua pozione in una fiala per consegnarla all’insegnante alla fine della lezione.
Harry.
Avevano litigato. O meglio era lui ad avercela con il suo padrino. E non l’aveva ancora perdonato. Però avrebbe tanto voluto sapere qualcos’altro su suo padre. Suo padre studente. Chissà se Lumacorno aveva insegnato anche a sua madre.
Charlie lo trascinò fuori dall’aula, perché l’intervallo non durava molto e loro dovevano progettare uno scherzo ai danni di Dolohov e dei suoi amici. Il ragazzino, però, non le ascoltò veramente. Nelle ultime settimane altri pensieri si erano aggiunti ai precedenti. Quanto aveva trascurato quello che riteneva il suo migliore amico? Quanto si prendeva realmente cura dei suoi amici? Lumacorno aveva detto che assomigliava a suo padre, che stava sempre in compagnia dei Malandrini; però, Harry gli aveva raccontato tante volte la loro storia e lui era sempre più convinto di non essere un buon amico. Si stava preoccupando per Enan? Per Mark? Per Charis? No, pensava solo a sé stesso. Se non fosse stato per Diana, avrebbe ignorato anche Laurence con cui era cresciuto.
Inoltre, la conversazione con Paciock l’aveva sorpreso. Conosceva Neville da prima di Hogwarts, perché lui e la moglie erano cari amici di Harry e Ginny, quindi non avrebbe dovuto essere sorpreso della sua umanità e umiltà: aveva ammesso di non conoscere i disturbi di cui parlava Diana, ma aveva accettato di leggere la lettera del signor Webster in cui ne parlava; in seguito aveva convocato i genitori di Laurence per condividere quelle informazioni e chiedere il loro parere. Non era ancora stata trovata una soluzione, ma Laurence era già più tranquillo, perché non si sentiva più solo ad affrontare quanto l’aveva tormentato fino a quel momento.
Neville gli aveva fatto sentire la mancanza di Harry, ma non voleva ancora ammetterlo. Cosa aveva spinto il Cappello Parlante a mandarlo tra i Tassorosso se peccava tanto di orgoglio?
«Ci stai ascoltando?» lo chiamò Zoey.
Teddy annuì distrattamente. Avrebbe tanto voluto chiedere a Lumacorno di parlargli di suo padre da studente. Ne avrebbe trovato il coraggio?
 
*
 
«Sveglia! Sveglia!» strillò Zoey saltando dal letto di Charlie a quello di Charis. Nessuna delle due ragazzine, però, sembrava intenzionata ad alzarsi.
«Che hai?» borbottò Charis facendo capolino da sotto le coperte.
«Come che ho? Oggi è San Valentino! La festa degli innamorati!».
Charis emise una specie di gemito e tornò a nascondersi sotto il suo caldo patchwork.
«Avanti, su! Charlie è una giornata speciale».
Zoey con un sospiro dovette costatare che nessuna delle due voleva alzarsi dal letto. In circostanze normali sarebbe stata d’accordo, in fondo erano le sette e mezza di domenica mattina; ma quella non era una domenica qualsiasi! Era San Valentino!
Recuperò il mantello e scese in Sala Comune. Era un po’ delusa, ma se lo aspettava: nessuna delle due amiche si era mostrata entusiasta di fronte al suo piano, anche se Charlie l’aveva accompagnata dal professore McBridge per chiedergli il permesso di mettere in atto il suo progetto. Il loro Direttore era sembrato straordinariamente contento della loro proposta, aveva iniziato a pronunciare un discorso non del tutto chiaro sull’amore e sulla necessità di volersi bene. Zoey l’aveva rivalutato, mentre Charlie era sempre più convinta che gli mancasse qualche rotella.
A Zoey non interessava lo stato di salute mentale di McBridge, ma di poter attuare quanto aveva pensato per rendere quella giornata favolosa. Fortunatamente, a differenza di Charlie e Charis, alcune compagne, con cui aveva stretto amicizia in quei mesi, si erano mostrate molto più interessate e intenzionate ad aiutarla.
«Dove stai andando?».
La voce sospettosa della Caposcuola la bloccò proprio all’ingresso della Sala.
Si voltò verso di lei con un enorme sorriso. «Ho avuto un’idea fantastica per festeggiare San Valentino! Vado in Sala Grande per fare colazione e sistemare gli ultimi dettagli con le mie amiche» strillò tutta contenta e corse via prima che una basita Eleanor Montgomery ritrovasse la parola.
In Sala Grande già l’attendevano Hannah Carson e Britney Palmer di Grifondoro, le raggiunse e sedette con loro. Anche le Grifondoro di quell’anno, come loro Tassorosso, erano solo in tre, ma Dalila Allen, proprio come Charlie e Charis, non condivideva minimamente la loro idea. Cominciarono a mangiare con gusto ed emozionate. Ben presto furono raggiunte da Ida Fisher, Laila Powerful, Grace Chapman e Louise Sullivan di Corvonero. Era strano per Zoey avere a che fare con quelle quattro. Aveva conosciuto Ida e Laila fin dall’inizio della Scuola e, forti delle loro comuni origini, avevano mantenuto i rapporti in quel mondo per loro da scoprire; ma Grace e Louise non le frequentava di solito: erano troppo secchione e giudiziose. Erano state loro a spingerla a chiedere il permesso a un insegnante e le aveva accontentate. Diana Webster, la Corvonero amica di Teddy, era arrossita e si era rifiutata di collaborare. Le uniche che Charlie aveva tentennato a coinvolgere erano le Serpeverdi, perché era consapevole di quanto Charlie odiasse Matilde Gould. Aveva tentato con Edith Yaxley e Caroline Shafiq, ma quelle due erano così simili a Charlie che le avevano riso in faccia. La mancanza di Serpeverde nel gruppo, però, era stato un problema da risolvere. Alla fine, grazie a Robin Peters, aveva conosciuto Annael Capell, una Serpeverde del secondo anno, che si era mostrata felice e disponibile di collaborare con loro. Lei fu l’ultima ad arrivare e stranamente non commentò la loro scelta di sedersi al tavolo dei Grifondoro. A quell’ora in Sala Grande vi erano pochissimi studenti e qualche professore.
«Avete preparato le scatole?» chiese Zoey.
Hannah e Britney tirarono fuori da sotto il tavolo una scatola rossa decorata con cuori dorati. «Vi piace?» domandò la prima. Le altre ragazze annuirono.
«La nostra è blu» disse Laila, estraendola con fatica dallo zaino dove l’aveva fatta entrare di forza.
Annael ne aveva portata una verde con tanti piccoli cuoricini argentati.
Zoey, per conto suo, aveva ricoperto la propria con una carta lucida dorata e aveva aggiunto sulla parte centrale di uno dei due lati lunghi un tasso racchiuso in un cuore. Le altre le fecero i complimenti e lei si schermì felice. «Bene, quindi, queste le metteremo vicino alle clessidre, non troppo in vista né troppo nascoste» ricapitolò.
Le ragazzine annuirono. Conclusero la colazione e posizionarono le scatole come prestabilito. Zoey, al suo rientro in Sala Comune, costatò felicemente che gran parte dei Tassorosso era in piedi, così decise di annunciare a tutti la sua splendida idea.
«In una scatola vicino alla nostra clessidra potrete inserire un biglietto di auguri di San Valentino indirizzato a un Tassorosso o a qualunque persona della Scuola! Io e le altre ragazze vi promettiamo che smisteremo ordinatamente i vostri messaggi senza leggerli. Avete tempo fino alle sedici, perché dovremo recuperare le scatole e distribuire i messaggi prima del coprifuoco».
I compagni la fissarono in silenzio, alla fine, quando compresero che era seria, qualcuno rise, qualcuno arrossì, qualcun altro la fissò incredulo.
«E dai, non mi dite che non avete una piccola cotta! O quella ragazza o quel ragazzo che non avete nemmeno il coraggio di avvicinare! O con cui balbettate appena lo vedete… Questa è la vostra occasione!».
Un brusio sempre più forte si levò dagli studenti radunati, che ben presto cominciarono a discuterne tra loro e la ragazzina sorrise soddisfatta. Si disse che avrebbe potuto tentare di svegliare Charlie e Charis.  Chissà se i ragazzi si erano già alzati, ma lì non li vedeva.
«Hai il permesso?» sbuffò una voce vicino a lei.
Zoey sobbalzò non avendo sentito la Montgomery avvicinarsi. «Certo, ho chiesto il permesso al professor McBridge e lui ne è stato contento».
«Mi prendi in giro?» ribatté la Caposcuola.
«No, te lo giuro. C’era anche Charlie con me. Non l’avevo mai visto così».
«Da felice è ancora più inquietante» commentò Charlie apparendo alle loro spalle.
«Ti sei svegliata!» strillò Zoey felice.
«Sì, ho appuntamento con Landerson e altri per giocare a Quidditch».
Zoey cercò di non far trapelare la sua delusione. «Charis?».
La ragazzina si avvicinò a loro e si strinse nelle spalle. «Scusa Zoey, devo proprio studiare, per sistemare l’emeroteca ho perso un sacco di tempo».
La Caposcuola sospirò e si allontanò.
Zoey sbuffò ma non insisté; per trascorrere il tempo – avrebbe voluto che fossero già le quattro! – andò a bussare alla porta dei ragazzi. Teddy le diede il permesso di entrare.
Erano tutti e tre vestiti, ma stravaccati sui loro letti.
«Ah, sei tu» l’accolse Teddy riportando lo sguardo sul tomo che aveva davanti. Vecchio, logoro e massiccio.
«Che leggi?» chiese ignorando il suo tono.
«Un libro sui duelli».
Inevitabilmente il pensiero della ragazzina andò al duello tra maghi di qualche mese prima. Era stata una pessima idea e sperava che il compagno si dedicasse ad altro. Posò il suo sguardo sugli altri due. Enan era seduto e lanciava e riprendeva una pluffa quasi meccanicamente. Era l’unico suono nella stanza. Mark, invece, studiava a sua volta un altro tomo che sembrava ancora più fragile di quello di Teddy.
«Parla di Legilimanzia» le disse precedendo la sua domanda. «Me l’ha prestato il professor Vitious. Che cosa possiamo fare per te?» aggiunse gentilmente.
«Io e le ragazze abbiamo messo in atto il nostro progetto» replicò. «Pensavo volesse saperlo».
«Come no, ho proprio un bigliettino a forma di cuore nascosto sotto il letto» sbottò sarcasticamente Enan continuando a giocare con la pluffa.
Zoey sbuffò: ma perché era tutti così poco collaborativi? San Valentino era la festa di chi si voleva bene!
«Sai come dicevano alla mia Scuola babbana?» le domandò Teddy.
La ragazzina roteò gli occhi, conscia delle battutine e delle frasi tipiche di San Valentino che circolavano tra i Babbani. «Cosa?».
«Che San Valentino è la festa di ogni cretino, che crede di essere amato e poi viene fregato».
Enan scoppiò a ridere, una risata inquietante che fermò anche la replica di Zoey. Teddy sbiancò, probabilmente rendendosi conto in ritardo di quello avrebbe potuto implicare quello che aveva detto. Persino Mark abbandonò la sua lettura.
«Enan» tentò Teddy. «È una cosa stupida, la dicevano tutti per scherzare… volevo solo far irritare Zoey…».
«Ma è la verità!» sbottò Enan, alzandosi dal letto. «Alla fine l’amore ti frega sempre».
«L’amore di una madre, no» mormorò Zoey.
«Pure quello» sibilò Enan avviandosi verso la porta.
«Dove vai?» gli chiese Teddy.
«A passare del tempo con gli unici esseri viventi che non ti tradiscono» ribatté, sbattendosi la porta alle spalle.
«Dove va?» domandò Zoey.
«Probabilmente da Hagrid» sospirò Teddy, dispiaciuto per quello che aveva detto.
«Comunque, vado via. Raggiungo le altre ragazze» sbuffò Zoey, seccata dalla loro testardaggine. E così, per quel giorno, ignorò i suoi compagni e trascorse il pranzo e il pomeriggio con le ragazzine delle altre Case. Tutte non stavano nella pelle al pensiero che presto avrebbero potuto aprire le scatole e distribuire i bigliettini.
Zoey alla Scuola babbana ne riceveva sempre qualcuno, non quanto alcune sue amiche, ma era sempre contenta lo stesso. Ora sì sentiva un po’ preoccupata: l’avrebbero ignorata oppure considerata poco femminile perché andava in giro con Charlie a fare scherzi stupidi?
«Allora, Zoey?».
«Cosa?» chiese non avendo sentito la domanda.
«Dico a te piace qualcuno?» chiese Annael.
«No» ammise sinceramente. C’erano tanti ragazzi carini nella Scuola, ma nessuno l’aveva colpita particolarmente. Probabilmente, il mondo della magia così fantastico e nuovo ai suoi occhi aveva preteso tutta la sua attenzione in quei mesi.
«Ragazze, venite subito» strillò Grace Chapman di Corvonero.
«Che succede?» chiese allarmata Hannah Carson.
«Dolohov e i suoi amici hanno fatto saltare in aria la scatola dei Serpeverde e vogliono fare lo stesso con le altre!».
A quelle parole corsero tutte nella Sala d’Ingresso. Effettivamente Dolohov, Burke e Mulciber si ergevano di fronte a Ida Fisher e Laila Powerful, quest’ultima quasi in lacrime.
«Che problemi hai ora?» sbottò Zoey fronteggiandolo. Al suo fianco si posero Hannah Carson e Britney Palmer.
«Oh, Turner, dov’è Krueger? Si è stancata di una stupida Nata Babbana?».
Zoey arrossì furiosa e la sua bacchetta emise scintille rosse.
«Non sai fare altro» commentò accigliato Edward Burke.
«Figurati, nemmeno copiando da Lupin riesce a prendere la sufficienza».
Gli occhi della Tassorosso saettarono. «Questo non è vero!».
«Ah, no, Mulciber che dici» lo riprese Dolohov. «Quello è Landerson, stupido Grifondoro». I due Serpeverde risero stupidamente.
Zoey strillò: «Stupeficium».
Dolohov fu sospinto a terra e gemette.
Gli altri due Serpeverde la fissarono sorpresi.
«Cavoli, Zoey, me lo devi insegnare» sospirò Britney.
La Tassorosso non era sicura che l’effetto dell’incantesimo fosse solo quello di spingere a terra l’avversario – Dolohov si stava già rialzando, ma fu comunque contenta. Lei e Zoey avevano iniziato a leggere il manuale di Difesa contro le Arti Oscure per fatti loro, dando particolare attenzione agli incantesimi offensivi.
«Everte Statim» ruggì Dolohov.
Zoey fu sbalzata con violenza contro lo sgabello che reggeva la scatola dei Grifondoro, altre lettere si unirono a quelle già sul pavimento. Le salirono le lacrime agli occhi sia per il dolore sia per l’ingiustizia.
«Beh, che succede qui?».
Hannah, Britney e Annael si erano gettate alla babbana su Dolohov che cercava di allontanarle.
Tutti si voltarono e incrociarono gli occhi del professor Paciock, ammantato nel suo solito mantello. Probabilmente era appena rientrato dalle serre.
Zoey si rimise in piedi a fatica, mentre le Grifondoro e le Corvonero facevano a gara per raccontare al professore quello che era successo. Naturalmente, i Serpeverde tentavano di intervenire.
«Basta così» sbottò Paciock, che era solo più confuso. «Venite nel mio ufficio».
Zoey roteò gli occhi e lo seguì. Solo in quel momento si accorse che sulla soglia si era fermato un gruppetto di ragazzini. Charlie le rivolse uno sguardo serio, accanto a lei anche Landerson, Harper, Dalila Allen, la Shafiq e la Yaxley sembravano arrabbiati.
Fortunatamente, l’ufficio di Paciock non era distante o la Tassorosso non ce l’avrebbe fatta. Lo scontro con il pavimento le aveva fatto più male di quanto avesse creduto in un primo momento. Lei e le altre ragazze si addossarono da un lato della stanza e lasciarono i tre Serpeverde da soli.
Paciock, lungimirante, inviò un patronus agli altri Direttori e si sedette dietro la scrivania massaggiandosi le tempie.
La Tassorosso si disse che il professore avrebbe preferito trascorrere quella giornata con la moglie. Chissà se si sarebbero visti almeno per una cena romantica. Presa da curiosità, fu sul punto di chiederglielo, ma l’arrivo dei professori Lumacorno e McBridge glielo impedì. Il professore Lumacorno lasciò vagare lo sguardo sui ragazzi presenti e si fermò con disappunto su Dolohov, Mulciber e Burke; McBridge rimase rigidamente sulla soglia dopo essersi chiuso la porta alle spalle.
«Neville, perché ci hai chiamato? Filius verrà tra poco» disse Lumacorno.
«Ho trovato questi ragazzi che bisticciavano nella Sala d’Ingresso. Turner era a terra, mentre Palmer, Carson e Capell attaccavano Dolohov alla babbana» riferì Neville. «Alla mia richiesta di spiegazioni, naturalmente, si sono incolpati a vicenda».
«Possiamo sapere perché avete litigato?» chiese gentilmente il professore Lumacorno. «Una alla volta» aggiunse, considerando che avevano ricominciato a urlarsi contro.
Zoey prese la parola e disse che i Serpeverde avevano distrutto il loro progetto. Le scapparono delle lacrime.
«Che progetto?» chiese Neville.
La Tassorosso era stranita. Come faceva a non ricordarlo? «Quello per San Valentino, no?». Ma, vedendo il professore continuare a non capire, gli raccontò tutto.
«Con il permesso di chi?» chiese la vocetta stridula del professor Vitious che era sopraggiunto in tempo per ascoltarla.
Le sue compagne, specialmente le Corvonero, le lanciarono un’occhiata stranita.
«Il vostro, no?» mormorò Zoey incerta.
«Il nostro? Non ricordo di aver mai sentito parlare di questa storia prima d’ora» replicò Vitious.
«Io ho chiesto il permesso al professor McBridge» disse sorpresa Zoey. Per una volta che aveva rispettato le regole! «E il professor ha detto che andava bene e che ve l’avrebbe riferito».
«Ah, sì, è vero» intervenne McBridge. «È una bella idea. Naturalmente, i Serpeverde hanno cercato di portare scompiglio».
«Mi occuperò io di Dolohov, Burke e Mulciber» sospirò il professor Lumacorno.
«Sì, ma anche le signorine Turner, Carson, Palmer e Capell vanno punite per il loro comportamento» disse Vitious lanciando un’occhiata eloquente ai colleghi.
Neville annuì.
«Si sono solo difese» intervenne il professor McBridge.
«A me sembra che abbia attaccato per prima la signorina Turner» ribatté Vitious. «Ho capito male?».
«No, signore» replicò Zoey a testa alta. Era un po’ strano essersi messa nei guai senza Charlie. «È ingiusto quello che Dolohov ha fatto. Ci siamo impegnate molto, solo per rendere questo giorno speciale per tutti…».
«I Serpeverde…» iniziò McBridge.
«Scusami, Osvald, credo che questa conversazione dovremmo continuarla in privato» lo fermò Vitious.
«Io credo che a questo punto le ragazze potrebbero portare al termine il loro compito» intervenne Neville. «In fondo, lite a parte, avevano delle buone intenzioni».
Zoey non credette alle sue orecchie.
Vitious assentì. «Per me va bene».
Anche il professore Lumacorno fu d’accordo; così, congedate, le ragazze si allontanarono velocemente, consce che i tre professori fossero sul punto di litigare.
«E ora come facciamo? Le lettere saranno volate dappertutto!» disse Annael.
Zoey non rispose, troppo seccata per quanto accaduto.
Quando raggiunsero la Sala d’Ingresso, però scoprirono che Charlie, Edith Yaxley, Caroline Shafiq, Samuel Harper, Laurence Landerson e Danila Allen avevano rimesso tutto in ordine.
«Non mi hai detto che il tuo piano comprendeva un duello con Dolohov, in caso contrario sarei rimasta» l’accolse Charlie con un ghigno.
«Qui è tutto a posto» comunicò Caroline Shafiq. «Noi andiamo a farci una doccia prima di cena».
«Ci siamo permesse di dividere le lettere in base alla Casa del destinatario, così ora potete direttamente distribuirle nelle Sale Comuni o non so quale fosse la vostra idea…».
«Grazie, Charlie!» strillò Zoey con le lacrime agli occhi. Alla sua amica non interessava nulla di San Valentino, eppure si era presa del tempo per aiutarla. L’abbracciò di slancio.
«Sono tutta sudata» borbottò Charlie sempre allergica ai gesti troppo espansivi e affettuosi.
A quel punto le ragazze si divisero e nuovamente emozionate distribuirono i bigliettini ai loro compagni di Casa.
Quella sera sul tardi, Zoey sedette accanto a Charlie sul divano della Sala Comune. L’amica stava finendo di copiare i compiti da Charis.
«Tutto bene?» le chiese distrattamente Charlie.
«Sì, ho un ultimo bigliettino da consegnare» le rispose.
«Ancora?».
«Già, tieni».
Charlie sollevò il capo e la fissò interdetta, mentre le porgeva un foglio di pergamena colorato ripiegato in due.
 
*
 
«Charlie, che ti sei messa?» chiese perplessa Zoey.
L’amica sorrise e girò su sé stessa: aveva un’enorme sciarpa stretta al collo con i colori della loro Casa; ma non era quello il problema, no. Charlie quella mattina aveva chiesto trucchi in prestito a Zoey e ad altre ragazze più grandi, adesso il suo viso era per metà giallo e metà nero.
«Ho finito quel coso che mi hai dato, poi te lo ricompro».
Zoey sospirò e decise di non commentare oltre: erano giorni che Charlie parlava di quella partita. Tassorosso avrebbe affrontato Grifondoro, probabilmente l’ultima possibilità per rimanere in corsa per la Coppa.
Charlie aveva perseguitato Penelope Pawel del secondo anno, perché riteneva che la ragazza rappresentasse l’unica possibilità per la loro squadra di vincere: se avesse preso il boccino prima del Cercatore di Grifondoro, avrebbero vinto. La ragazzina aveva avuto quasi una crisi isterica la sera prima e ancora una volta Charlie e Peter Andrews, il loro Capitano, avevano avuto da ridire. O meglio, Peter l’aveva rimproverata e poi ne aveva ignorato le polemiche, finché la Caposcuola non era intervenuta per riportare la pace in Sala Comune.
«Tu per chi tifi?» Charlie chiese subito a Charis prima di lasciarle il tempo di sedersi al loro tavolo.
«Per Tassorosso, naturalmente» replicò Charis seccata.
Charlie aveva stressato anche lei in quei giorni, almeno finché non l’aveva minacciata di non farle più copiare i compiti. Il problema improvvisamente era diventata la sua amicizia con Shawn Lattes, perché il ragazzo era il Cercatore di Grifondoro.
Fecero tranquillamente colazione e, quando Charlie vide Andrews richiamare l’attenzione della squadra, decise di andare anche lei allo stadio anche se un po’ in anticipo. Zoey la seguì, sebbene non sembrasse particolarmente entusiasta di sacrificare il sabato mattina per una partita di Quidditch.
«Charlie! Charlie!».
«Muoviamoci» disse la ragazzina quasi trascinando Zoey nel parco.
«Per quanto hai intenzione di evitarlo?» le chiese esasperata.
«Per sempre».
Era da San Valentino che Charlie evitava Robin Peters, perché le aveva inviato un bigliettino d’auguri. Zoey non comprendeva la reazione dell’amica, personalmente era stata lusingata dai bigliettini che aveva ricevuto.
Charlie avrebbe voluto seguire la squadra negli spogliatoi, ma Andrews non gliel’avrebbe permesso, per ciò le due Tassorosso si diressero sugli spalti.
«Fa freddo» si lamentò Zoey, chiedendosi come si potesse pensare a inseguire pluffe e boccini su una scopa quando tutto intorno era ricolmo di neve e il cielo minacciava una nuova nevicata.
Charlie non replicò troppo presa dal vagliare gli schemi che la loro squadra avrebbe potuto impiegare per avere qualche possibilità in più di sconfiggere Grifondoro. Zoey fu sollevata quando furono raggiunte da Teddy, Enan e Mark pronti per tifare per Tassorosso e si lasciarono coinvolgere dagli sproloqui della compagna. Persino Charis poco prima dell’inizio le raggiunse. E Zoey capì che era come quando giocava la squadra di calcio della Scuola: era una questione di appartenenza, non di sport.
Le due squadre entrarono in due file ordinate alle spalle di Madama Bumb; i due Capitani, Alexis Becker e Peter Andrews, si avvicinarono e si strinsero la mano. Allora Madama Bumb fece segno ai ragazzi di salire sulle scope, poi liberò bolidi e boccino. Infine, lanciò la pluffa in aria. La partita era iniziata.
«Andrews si impossessa della pluffa, supera Becker e poi passa la pluffa a Field» gridò un Grifondoro del quarto anno che faceva la cronaca.
«Vaiiii» strillò Charlie saltando sul sedile e ignorando i richiami preoccupati di Zoey.
Persino Teddy ed Enan sembrarono risvegliarsi un po’.
La pluffa era passata di nuovo a Andrews, il quale aveva fatto la finta di passarla a Caroline Sylvester; purtroppo Fabian Brown non cadde nell’inganno e parò senza problemi.
«Riprendetevi quella cavolo di pluffa» sbottò Charlie, mentre i Grifondoro partivano all’attacco. Fortunatamente anche Corbin Savage era bravo e bloccò il primo tentativo di segnare degli avversari. «Pawel datti una mossa!».
Dopo circa cinque minuti, però, Grifondoro andò in vantaggio grazie a Christian Anders. La folla rosso-oro scoppiò in un boato assordante. Le imprecazioni originali di Charlie si persero nel fracasso.
Tassorosso non tardò a reagire e Samantha Field pareggiò di lì a pochi minuti.
«Grande! Grande! Fagliela vedere a quel cretino di Brown!».
La partita, però, fu presto dominata dai Grifondoro: i loro battitori, Fagan e Artek Macfusty, cominciarono a prendere di mira tutti i cacciatori di Tassorosso, che ebbero difficoltà a opporsi.
«Se prendiamo il boccino possiamo ancora vincere?» chiese Zoey tentando di attirare l’attenzione dell’amica.
Charlie sospirò e si sedette accanto a lei. «Insomma, stiamo perdendo 50 a 20. Se prendessimo ora il boccino, vinceremmo proprio di misura… ma meglio di niente…».
«E quante possibilità abbiamo?».
«Guardate Lattes» gemette Teddy indicando il Grifondoro filare verso l’alto.
«Dov’è la Pawel?» ringhiò Charlie, per poi darsi una manata in faccia. La ragazzina di Tassorosso si era accorta in ritardo del movimento di Lattes e, nonostante si fosse posta subito all’inseguimento, era troppo tardi.
«Grifondoro vince per 200 a 20!» gridò il cronista.
Charlie si accasciò sul sedile. «L’anno prossimo entrerò in squadra. La Sylvester è proprio un peso inutile».
«Le facciamo uno scherzo?» propose Zoey per tirarla su di morale.
«Oh, sì» si rianimò Charlie.
 
*
 
Enan colse con sollievo la fine della lezione di Trasfigurazione e, senza attendere i compagni, corse via desideroso di andare da Hagrid prima che facesse buio. Corse nella neve e non si curò nemmeno dello sferzante vento freddo. Tremando bussò alla porta del guardiacaccia e professore di Cura delle Creature Magiche.
«Enan!» lo accolse quello felice. «Sono contento che sei venuto».
«Grazie». Il ragazzino sorrise spontaneamente: erano settimane che non andava a trovarlo e solo in quel momento si accorse di quanto gli fosse mancato. «Qual è il problema? Nella lettera dicevi che avevi bisogno di me».
«Oh, sì. Ho trovato un cucciolo di Kneazle ed è ferito».
«Un cucciolo di Kneazle?» ripeté sorpreso Enan.
«Esatto, sicuramente sarà scappato a qualcuno a Hogsmeade, dovremo cercarne il padrone» replicò Hagrid appoggiando una cesta a terra vicino a lui.
Subito Enan si sdraiò e cominciò delicatamente ad accarezzare la creatura. Hagrid gli passò una cassettina con tutto l’occorrente per curarne la zampina.
«Ti preparo un thè» disse Hagrid.
Quando Enan concluse la medicazione, sedette sulla poltrona con il Kneazle tra le braccia. «È adorabile».
In quel momento bussarono alla porta e il mezzogigante aprì. Enan ebbe appena il tempo di adagiare la povera creatura nella cesta e bloccare l’assalto del cugino.
«Fagan… che cos… ahi, mi fai male…».
«Vi lascio parlare soli» borbottò Hagrid.
«Mi stai staccando l’orecchio» si lamentò Enan.
«L’intenzione è quella» replicò Fagan. «Sono settimane che ci eviti, accidenti! Ti dobbiamo tendere gli agguati!».
«Fagan, mi sa che gli stai facendo male davvero» borbottò Blair preoccupato.
«E va bene».
Enan gemette e cercò di mettere una certa distanza tra il suo orecchio dolorante e il cugino. «Che cosa vuoi?».
«Capire che caspita sta succedendo nella nostra famiglia! Nonno mi ha scritto un sacco di volte dicendomi che ignori le sue lettere!».
Il ragazzino si sedette su una delle sedie di legno e sbuffò, incapace di dire alcunché. Si limitò a massaggiarsi l’orecchio.
Fagan sospirò e si sedette sulla poltrona che fino a quel momento aveva occupato il cuginetto. «Senti, raccontaci quello che è successo. Dall’inizio. Noi non ci stiamo capendo più nulla e gli adulti nelle lettere non ci spiegano più nulla… Persino zia Lilias mi ha scritto…».
«Ti ha scritto mia mamma?» chiese sorpreso Enan.
«Sì, non le rispondi e non sa come stai».
«Come devo stare» borbottò, anche se scoprire che la madre si stava preoccupando per lui lo fece sentire meglio.
«Dai, Enan, spiegaci» insisté Blair.
E così il Tassorosso cominciò a raccontare: l’ossessione per Thomas Mulciber, la decisione di scambiarsi come in un film babbano, la scoperta a casa Mulciber, l’incontro nell’ufficio della McGranitt.
«Accidenti, chi l’avrebbe mai detto» mormorò Fagan. «Zia Lilias è sempre stata misteriosa sull’identità di tuo padre, ma non avrei mai immaginato tutto questo».
«Nemmeno io» sospirò Enan.
«Secondo me, ti vuole bene» sussurrò Blair. «Vuole bene sia a te sia a Thomas».
Il Tassorosso giochicchiò con un lembo del suo mantello e non rispose.
«Senti» disse invece Fagan, «per te è difficile da digerire, ma se ti chiudi in te stesso è peggio… Torna a parlare con i tuoi amici, a dare una mano ad Hagrid… Non puoi non vivere…».
«Ma ho paura!» sbottò Enan alzando la voce.
«Di cosa?».
«Che Thomas prenda il mio posto».
«Che idiota» sbottò Fagan. «Pensi che quel damerino possa sostituirti? Non sai quanti danni ha fatto alla riserva in due settimane! Nonno cominciava a pensare che fossi malato o qualcosa del genere… Quando quel cretino ha visto il suo primo drago, stava per svenire…».
«Davvero?».
«Davvero» confermò il Grifondoro. «È il tuo gemello, ma non è te».
Enan a quelle parole sentì sciogliere il nodo che gli aveva stretto lo stomaco per giorni.
«Ti vogliamo bene» aggiunse Blair abbracciandolo. Il Tassorosso ricambiò e lanciò un’occhiata a Fagan che gli fece l’occhiolino.
«Non ti offendere, se non ti abbraccio. Troppe sdolcinatezze…».
Enan liberatosi dall’abbraccio di Blair diede il cinque a Fagan.
«Ora, fai il bravo bambino, torni in dormitorio e rispondi a quelle benedette lettere, va bene?».
«E se dicessi alla mamma che mi hai quasi staccato un orecchio?» lo provocò Enan.
«Che ti sei rammollito, veramente?» ribatté il cugino più grande. «Ti è già passato… E comunque non ti azzardare, ho una reputazione io, mi manca solo una strillettera di mio padre…».
Il ragazzino sorrise, sentendosi più leggero. Fagan non era un tipo delicato, ma ci teneva a lui da sempre, non per nulla era il suo cugino preferito. Quando più tardi rientrò in camera, portando con sé il piccolo Kneazle – Hagrid non era stato pienamente d’accordo, anche se lui aveva detto che così avrebbe potuto curarlo meglio – si lasciò cadere sul tappeto vicino al suo baule, nel quale aveva nascosto tutte le lettere ricevute nelle ultime settimane. Sospirò, recuperò due pergamene e scrisse ai nonni e a Michelle, che sicuramente era terribilmente delusa di non aver ricevuto alcuna risposta dal nuovo cugino.
Non era ancora pronto per scrivere alla madre né, meno che mai, ad affrontare Thomas Mulciber.
 
*
 
Mark sospirò e si sistemò meglio lo zaino sulle spalle. Sarebbe stato più saggio riporlo in Dormitorio, ma si era trattenuto a lungo in biblioteca per completare i compiti e ora rischiava di arrivare in ritardo dal professor Vitious. Rabbrividì e gettò un’occhiata fuori da una finestra: buio pesto. Chissà quando sarebbero tornate le belle giornate.
«Mark».
Il ragazzino si fermò e si voltò. Sorrise a Elly che avanzava verso di lui. «Ciao» le disse sempre felice di vederla. Quella sera, però, la Caposcuola era molto seria e non ricambiò il suo sorriso.
«Il professor McBridge vuole vederci».
Mark sgranò gli occhi e deglutì. «Devo andare dal professor Vitious» replicò sperando di poter scappare. Aveva un’idea abbastanza chiara del motivo della convocazione, anche se non comprendeva la presenza di Elly, e non aveva la minima intenzione di affrontare il suo Direttore.
«Andrai dopo» ribatté lei inesorabile. «Il professore McBridge è stato categorico e sembrava furioso… È successo qualcosa che non so?».
Il ragazzino fissò il pavimento di pietra terrorizzato.
«Mark» insisté Elly.
Lui sollevò il capo, senza guardarla negli occhi, e le rivolse uno sguardo angosciato e spaventato. «Sono due settimane che salto le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure. Gli altri gli hanno detto che non stavo bene».
Elly lo fulminò. «Sei impazzito?! Due settimane!».
Mark sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non era impazzito, ma avrebbe dato tutto ciò che era in suo possesso pur di evitare il professore e le sue lezioni. Peccato che non avesse considerato le conseguenze.
«Questa storia ha preso una piega assurda» sbottò la Caposcuola. «Andiamo e facciamola finita».
Il ragazzino non si mosse dal punto in cui si trovava ed Elly se ne accorse e si fermò. Per una volta le sembrò sul punto di perdere la pazienza anche con lui, ma la ragazza si avvicinò e gli sussurrò: «Mark, ci sono io con te. Troveremo una soluzione, ma non possiamo scappare. I problemi si affrontano o non si risolveranno mai».
Mark fu tentato di dirle che a lui andava bene nascondersi sotto il piumone nella sua stanza, ma la seguì con il cuore in gola. Giunsero troppo velocemente all’ufficio di McBridge ed Elly bussò.
«Buonasera, professore» salutò lei educatamente appena fu dato loro il permesso di entrare. Mark per conto suo biasciò qualcosa di non chiaro.
«Non è una buona sera, signorina Montgomery» replicò il professore. Aveva lo sguardo folle che riservava solo a Mark, ma stranamente questa volta era rivolto a Elly. Il ragazzino fece un passo indietro e ci mancò poco che non si nascondesse dietro all’amica. «Credevo che lei conoscesse i suoi doveri di Caposcuola. Forse avrei dovuto convincere la Preside che il signor Johnson sarebbe stato più idoneo per questo incarico».
Elly serrò la mascella e impiegò qualche secondo a replicare. «Le posso assicurare che sto cercando di ottemperare al meglio al mio compito di Caposcuola, potrei sapere che errori ho commesso per deluderla a tal punto?». La sua voce era ferma e rigida, per nulla pentita.
«E me lo chiede!» ringhiò McBridge. «Non lo sa! Non sa che cosa fanno i suoi compagni, quelli che lei dovrebbe controllare».
Mark avrebbe voluto scomparire: il professore stava rimproverando Elly per qualcosa che aveva fatto lui!
«Le chiedo scusa, signore, ma continuo a non comprendere».
«Non capisce!» alzò la voce il professore. «Lui» gridò indicando Mark, «salta le mie lezioni da settimane! Sta male! Si è preso anche delle merendine marinare! E lei non ne sa nulla! O peggio, forse lo copre?».
«No, signore» replicò sempre rigidamente Elly «Le posso assicurare che non copro i miei compagni quando si comportano male».
«Non mi prenda in giro!» sibilò McBridge.
Mark era sempre più spaventato e non capiva come Elly potesse rimanere imperturbabile di fronte a quell’uomo.
«Mi dispiace, signore, ritengo di aver fatto del mio meglio».
«Non l’ha fatto» sibilò con cattiveria McBridge. «Temo che domani mattina sarò costretto a parlare con la Preside per provvedere alla sua sostituzione».
«Ma è colpa mia» sbottò Mark, non sapendo nemmeno da dove avesse tirato fuori quel coraggio. «Ho sbagliato io. Elly non lo sapeva!».
Gli occhi furiosi di McBridge si spostarono su di lui. «Per lei chiederò direttamente una sospensione» sibilò. «Ho già scritto una lettera a entrambe le vostre famiglie. Ora andatevene».
Mark era impietrito, ma Elly lo prese per un braccio e lo trascinò fuori. Solo quando furono molto distanti da lì, si fermarono.
«Mi dispiace» sussurrò il ragazzino con le lacrime agli occhi.
«Devi andare dal professor Vitious» replicò Elly. «Ne parleremo in un altro momento». Mark non seppe che cosa replicare e si lasciò guidare fino all’ufficio del professore d’Incantesimi. «Asciugati il viso» gli disse l’amica porgendogli un fazzoletto. Solo quando fu leggermente più calmo lo lasciò solo.
Mark bussò ed entrò, tenendo gli occhi bassi.
«Becker» lo accolse subito Vitious, sollevando gli occhi da un plico di compiti. «Pensavo non saresti più venuto».
«Le chiedo scusa, professore» mormorò. «Sono stato convocato dal mio Direttore».
«Come mai?» gli chiese il professore riponendo la piuma e porgendogli tutta la sua attenzione. «Siediti». Il ragazzino obbedì meccanicamente e ritardò la risposta. «Tutto bene?» insisté Vitious.
Mark comprese che doveva essere sincero e aiutare Elly, Vitious l’avrebbe sicuramente ascoltato. «Professore, la prego, io mi sono comportato molto male, ma Elly non ha colpa, per favore» disse angosciato e pronto a scoppiare a piangere di nuovo.
Vitious si accigliò. «Non capisco, Mark, che cos’hai fatto?».
Il Tassorosso tentò di ricacciare indietro le lacrime e rispose: «Ho finto di stare male durante tutte le ultime lezioni di Difesa contro le Arti Oscure e le ho saltate… Stavo bene, sono stato in camera a studiare…».
Il professore sospirò. «È molto grave saltare le lezioni, lo sai, vero?».
«Sì, signore» replicò Mark all’istante con voce tremolante. «Ma è solo colpa mia, Elly non ha colpa».
«Elly sarebbe la signorina…?».
«Montgomery» rispose Mark, rendendosi conto che i professori al massimo chiamavano l’amica Eleanor e non con un diminutivo.
«La Caposcuola di Tassorosso» assentì Vitious. «Non capisco che cosa c’entri lei con il tuo comportamento».
«Nulla» disse il ragazzino. «Ma il professor McBridge pensa che lei non abbia saputo svolgere i suoi compiti e chiederà alla Preside di toglierle la spilla… Ma lei non ha colpa… L’ha scoperto solo stasera… Non poteva saperlo, ho sempre cercato di non farmi vedere da nessuno quando tornavo in Dormitorio…».
Vitious si passò una mano sul viso, riflettendo. «Mark, perché hai saltato le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure? Non è un comportamento da te. O almeno non hai mai saltato le mie lezioni». Il ragazzino si fissò la veste scura e non rispose. «Mark?».
Alla fine il Tassorosso non riuscì più a trattenersi e scoppiando a piangere gli raccontò di come quelle lezioni fossero diventate per lui un vero incubo.
Più tardi, quando fu più tranquillo, il professore lo accompagnò alla Sala Comune di Tassorosso, ma Mark non avrebbe saputo dire se gli avesse creduto. La Sala era ancora gremita, ma non vide Elly né i suoi amici da nessuna parte, così si ritirò in camera. Teddy ed Enan erano ancora svegli e subito gli andarono incontro.
«Che cavolo è successo?» chiese il primo.
«Hai una faccia» commentò il secondo.
Mark aprì la bocca, ma poi la richiuse e abbracciò di slancio i due amici: aveva bisogno di affetto. I due sorpresi ricambiarono la stretta.

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Capitolo 22
*** Di gatti, candeline e uova esplosive ***


Capitolo ventiduesimo





 
 
Di gatti, candeline e uova esplosive
 
 
 


«Sei sicura?» sussurrò Zoey.
«Certo. Di che hai paura?».
«Non è come fare uno scherzo a Lumacorno» replicò l’amica. «Poi lui è pazzo, quando ci ha beccato travestite da fantasmi per spaventarlo…».
«Ti prego» borbottò Charlie. «Era il primo mese di Scuola, eravamo alle prime armi… E tu sei inciampata nel lenzuolo…».
«Però lui ha riso».
«Di noi».
«E ci ha offerto una cioccolata calda».
«Senti, Zoey, Lumacorno è un vecchio rimbambito. McBridge è diverso, quindi facciamo attenzione».
«Appunto» ribatté Zoey tentando di mantenere la voce bassa. «Anche tu hai detto che non ci sta con la testa… E ora, di notte, noi gli tendiamo un agguato».
«Hai preso il posto di Teddy?».
Zoey roteò gli occhi e rinunciò.
«È solo un po’ di polvere pruriginosa» disse Charlie.
«Mmm… comunque arriverà a breve, di solito dopo cena si ritira nella sua camera».
«Ma i professori come passano il tempo la sera?» chiese Charlie.
Zoey si strinse nelle spalle. «Leggono?».
Charlie replicò con una smorfia disgustata. A quel punto rimasero in silenzio in attesa. Erano nascoste in uno stretto passaggio segreto, pronte ad agire. In realtà, non avevano mai commesso uno scherzo ai danni di un professore, se non si considerava la pagliacciata con il lenzuolo. Avevano sempre avuto un limite, indipendentemente da cosa ne pensassero gli adulti. Eppure adesso era diverso: McBridge aveva ferito e umiliato Mark e quello non era giusto. Era andato oltre anche lui. Finalmente percepirono dei passi avvicinarsi. Entrambe si tesero. Indossavano un mantello senza alcuna insegna e avevano calato i cappucci sulla testa per non essere riconosciute.
«Pronta?».
«Adesso». Charlie uscì allo scoperto e lanciò un pugno di polvere pruriginosa sul professore. Solo che nella tensione non avevano considerato che non erano solo un paio di passi quelli che si era avvicinati, ma due. Quattro considerando le zampe di un gatto scheletrico.
«Fermatevi!» urlò Gazza, mentre McBridge cominciava a grattarsi. «Oh, ve ne pentirete»,
Le due Tassorosso si diedero alla fuga, ma il Custode, nonostante l’età avanzata, sembrava ancora un campione nella sua specialità: inseguire e tormentare gli studenti. Corsero a perdifiato lungo una scalinata, che decise di muoversi all’improvviso, purtroppo quando Gazza le aveva ormai raggiunte.
«Sto per vomitare l’arrosto» sbottò Zoey.
«Non…». La replica di Charlie si perse nello scontro con un ragazzo che era apparso inaspettatamente.
«Che cavolo…».
«Siamo spacciate» sbuffò Zoey.
«Venite con me».
Le due ragazzine seguirono Robin Peters che le trascinò lungo un corridoio deserto e poi, prima che Gazza svoltasse l’angolo, tirò verso l’alto il braccio di un’armatura. Si aprì un incavo nel muro, stretto ma sufficiente per farli scivolare dentro appena in tempo. Strisciarono nel muro per un tempo che parve infinto, ma probabilmente nemmeno un paio di minuti, poi finalmente uscirono in una stanza minuscola nella quale entravano a malapena tutti e tre.
«Dove siamo?» domandò Zoey riprendendo fiato.
«Una specie di ripostiglio».
Charlie starnutì. «Questo spiega la polvere».
«Com’è possibile che mi trovi sempre in mezzo a un vostro scherzo?» chiese invece Robin.
«Io con te non ci parlo» si ricordò Charlie dirigendosi verso la porta.
«Vi ho salvate da Gazza» sbottò Robin. «Potresti almeno spiegarmi che ti ho fatto».
Charlie lo fulminò. «E lo chiedi pure?».
«Abbassa la voce» la richiamò Zoey, che non voleva ricominciare a scappare.
«Sì!» ribatté il Serpeverde indignato.
«Come hai osato inviare a me un bigliettino per San Valentino!».
Robin sgranò gli occhi. «Cosa avrei fatto io?».
«Non negare!».
«L’ho visto anch’io» borbottò Zoey.
«Non ti ho mandato un bel niente».
«Abbi almeno il coraggio di ammetterlo» lo redarguì Charlie.
Robin scosse la testa. «Te lo giuro, non ti ho inviato nulla».
Charlie sbuffò e si avviò fuori dal ripostiglio senza guardarsi alle spalle, Zoey la seguì. Almeno lo scherzo a McBridge era stato un successo, ma un senso di amarezza non abbandonava comunque Charlie.
 
*
 
Quel lunedì dopo pranzo Mark, non avendo alcuna scelta, si avviò verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure con i suoi compagni. Charis gli prese la mano e gli rivolse un’occhiata incoraggiante. I suoi amici erano con lui, lo sapeva, ma dentro l’aula l’avrebbero lasciato solo e non potevano comportarsi diversamente o sarebbe stato peggio.
Non era ben chiaro che piega avrebbe preso la situazione. Mark non aveva ricevuto alcuna comunicazione né era stato convocato dalla Preside. Il venerdì mattina, successivo alla sfuriata di McBridge, quasi tutti i professori avevano abbandonato la colazione prima del consueto. Girava voce che si fossero riuniti, la maggior parte degli studenti ipotizzava le motivazioni più disparate; i sei Tassorosso erano quelli più vicini alla verità: sicuramente c’entrava la storia di Mark.
Il ragazzino era riuscito a parlare con Elly, la quale era stata convocata il venerdì sera. La Caposcuola non aveva rivelato il contenuto della conversazione, ma la spilla svettava ancora sul suo petto.
Mark si era rintanato nel loro Dormitorio, temendo una convocazione da un momento all’altro; alla fine lui e i compagni si erano convinti che la Preside avrebbe rimandato ogni decisione al lunedì mattina, ma anche in questo caso erano rimasti nell’incertezza: la mattinata era stata normale. Il professor Vitious non aveva minimamente accennato nulla; allo stesso modo il professor Paciock e il professor Rüf non erano sembrati preoccupati. Va bene, forse il comportamento del professore di Storia della Magia non era particolarmente indicativo, considerando che era un fantasma e, oltre le guerre di secoli prima, nulla sembrava turbarlo. Ora, però, avrebbero avuto lezione proprio con McBridge.
I Tassorosso, pur di evitare problemi inutili, avevano lasciato la Sala Grande con largo anticipo e giunsero fuori dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure con un quarto d’ora di anticipo. Erano tutti preoccupati per motivi diversi: Mark ovviamente temeva il trattamento che il professore gli avrebbe riservato; gli altri non volevano che l’amico fosse ulteriormente umiliato e maltrattato.
«Veramente non avete fatto i compiti?» mormorò Charlie, ripensando a quello che gli amici avevano detto a tavola. Per lei era normale non consegnarli o copiarli all’ultimo minuto, ma era sorpresa dal fatto che né Teddy né Charis avessero svolto i propri.
«I Babbani la chiamano disobbedienza civile» ripeté per la millesima volta Teddy, lanciandole un’occhiataccia. «La smetti di chiederlo?».
Tra i sei solo Mark aveva svolto il riassunto assegnato dal professore, perché era già fin troppo nei guai. Caroline Shafiq ed Edith Yaxley avevano promesso di unirsi alla loro protesta silenziosa. Naturalmente gli altri Serpeverde non li avrebbero appoggiati, perciò non avevano nemmeno provato a chiederglielo. In realtà, Teddy ed Enan avevano tentato di coinvolgere gli studenti più grandi, ma la maggior parte sembrava averli presi per matti. E i loro compagni li guardavano male, perché Tassorosso aveva già perso parecchi punti.
«E quel gatto di chi è?» chiese all’improvviso Enan.
Mark penso allo kneazle nella loro camera e sospirò: l’amico era proprio fissato con gli animali.
«Sarà di qualcuno» replicò incurante Teddy.
«Non mi nominare i gatti» borbottò Charlie. Né lei né Zoey avevano dimenticato Mrs. Purr.
«È particolare» insisté Enan osservandolo. «Sembra un soriano, ma ha dei segni vicino agli occhi».
«Arrivano i Serpeverde» annunciò Charlie.
Il gatto stranamente si avvicinò loro. «Ehi, vuoi fare amicizia?» chiese tutto contento Enan, ma quando tentò di accarezzarlo quello si tirò indietro palesemente infastidito.
«Guarda che ti graffia» lo avvertì Mark, che non aveva bisogno di altri problemi.
Quando i Serpeverde furono più vicini, però, il gatto si avvicinò di nuovo. «Vuoi nasconderti?» gli chiese Enan abbassando la voce. «Facciamo così: scuoti la coda, se ho ragione».
Mark gli rivolse uno sguardo preoccupato, così come Charis. Teddy, Charlie e Zoey avevano formato una specie di barriera. I Serpeverde, però, rimasero a distanza. Mark lo sapeva ormai: non volevano rovinarsi il divertimento che avrebbero avuto durante l’ora successiva.
Il gatto, dopo un attimo di esitazione, mosse la coda.
«Avete visto? Mi capisce».
«Enan, per Merlino, smettila» sibilò Teddy.
All’arrivo del professore, però, il gatto tentò d’insinuarsi all’interno dell’aula. «Vuoi entrare, eh?».
«Smettila» lo richiamò anche Charis, lasciando passare i Serpeverde. «Abbiamo detto niente guai».
Il gatto aveva mosso di nuovo la coda.
«Visto?».
«Sta solo scodinzolando» sbuffò la ragazzina.
«Non è un cane» ribatté Enan. «Vieni, distraiamo il professore».
Charis non riuscì a opporsi. Mark li fissò stranito, mentre si avvicinavano alla cattedra. Enan s’inventò una domanda sul primo argomento che gli venne in mente, McBridge li osservò sorpresi: durante le ore si limitavano a leggere il manuale, nessuno poneva mai domande. La ragazzina, però, rivolse al compagno un’occhiata scioccata, si scusò con il professore e lo trascinò via. Mark si accorse che il gatto era sparito. Sicuramente Enan se l’era sognato. Insomma, un gatto che comprende il linguaggio umano in quel modo! Comunque non ebbe modo di preoccuparsene, perché Dolohov cominciò a fargli i chiodi. Quel giorno aveva semplicemente una piuma, ma si divertiva a solleticarlo sul collo e sulle orecchie. Non sopportava il solletico, perciò cercò di bloccarlo, mentre Teddy leggeva con voce monotona.
«Fermati, Lupin, sembra che Becker conosca già l’argomento. Ce lo spiegherà lui».
Mark sbiancò alle parole del professore: a differenza dei compagni aveva studiato e si era fatto aiutare anche da Elly, ma quello era un capitolo nuovo. Si trattava di un incantesimo offensivo che produceva una specie di vortice di luce.
«Non lo sai, vero?» sibilò McBridge. «Sei solo uno stupido, vero? Dove sarebbe il tuo talento naturale, eh? USALO».
Il ragazzino lo fissò sorpreso, persino i Serpeverde apparivano turbati.
«Professore, non abbiamo studiato ancora questo incantesimo» gli ricordò Teddy a denti stretti.
«Zitto, Lupin… Cinquanta punti in meno a Tassorosso per la tua stupidità, questa è una scuola di magia! Forse hai sbagliato posto, non credi?».
Mark fissava il libro senza vederlo, il professore nel frattempo si avvicinava. «Tu non meriti di stare qui».
Il ragazzino sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
«Dopo quello che ha fatto tuo padre…».
Mark sollevò gli occhi di scatto a quelle parole e scorse il volto contratto dalla rabbia del professore: era fuori di sé.
«Basta così». Mark si voltò di scatto, come gran parte della classe. In fondo all’aula c’era la Preside: Minerva McGranitt aveva lo sguardo fisso su McBridge.  «La lezione è sospesa. Andate».
«Minerva, questa è la mia lezione» sbottò McBridge sempre più sconvolto.
«Ho bisogno di parlarle, professore. Adesso».
I Serpeverde furono i primi a lasciare l’aula, probabilmente temendo che la Preside cambiasse idea; i Tassorosso erano titubanti.
«Andatevene» ordinò la McGranitt.
Mark svicolò passando dietro la donna, per non avvicinarsi troppo a McBridge e raggiunse gli altri. Insieme si allontanarono dalla classe il più velocemente possibile. Caroline Shafiq ed Edith Yaxley li raggiunsero per commentare l’accaduto.
«Da dov’è uscita fuori?» sbottò Caroline.
«Secondo me ha usato un incantesimo di Disillusione» disse Edith.
Teddy annuì, così come Charlie: era un incantesimo complesso, ma la McGranitt doveva essere capace di quello e altro.
«Era il gatto». Tutti si fermarono e fissarono Enan. Delle risate nervose si levarono lentamente. «Sono serio. L’ho visto. Il gatto si è trasformato in lei… cioè… avete capito…».
Non gli credettero. Mark per conto suo non si unì alle loro chiacchiere: che cosa aveva fatto suo padre di così terribile?
«Non pensare alle sue parole» mormorò Charis, accorgendosi del suo stato d’animo.
Il ragazzino scosse la testa e li seguì stancamente.
 
*
 
Charis appoggiò lo zaino sotto il tavolo non avendo avuto il tempo di passare dal Dormitorio e salutò gli amici. Stranamente quella domenica sera sembravano tutti più rilassati, persino i ragazzi che erano stati i più cupi e agitati negli ultimi mesi erano più tranquilli. Nell’ultima settimana non avevano nemmeno avuto lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Il professore sembrava quasi essere sparito e nessuno sapeva nulla, nonostante le consuete ipotesi, una più assurda dell’altra.
«Comunque» disse Enan a un certo punto, «ho parlato con Hagrid del gatto».
«Ancora?» sbuffò Charlie alzando gli occhi al cielo.
Zoey ridacchiò.
Charis sorrise teneramente all’amico che quando si trattava di animali non rifletteva più.
«Avete mai sentito parlare di Animagus?» chiese Enan insistendo sull’argomento nonostante lo scetticismo dei compagni.
«Sì» rispose Teddy a sorpresa. «Che c’entra?».
«La McGranitt è un Animagus» sussurrò.
«Ma che dici?» sbottò Teddy.
«Che cos’è un Animagus?» domandò Charlie perplessa.
«Un mago o una strega che può trasformarsi in un animale».
«Quindi una trasfigurazione» borbottò Charlie.
«È più complesso. Solo maghi molto abili possono riuscirci» mormorò Teddy improvvisamente soprappensiero.
All’improvviso, però, la Preside McGranitt si alzò dal tavolo dei professori e richiamò la loro attenzione.
«Vi chiedo solo un attimo» esordì. «Come ormai ben sapete, il professor McBridge è stato assente nell’ultima settimana… Purtroppo vi devo comunicare che almeno fino alla fine dell’anno scolastico non riuscirà a riprendere l’insegnamento». Un mormorio si levò dalla Sala Grande.
I sei Tassorosso si scambiarono un’occhiata scioccata.
«Permettetemi di presentarvi la professoressa Else Cohen, che sostituirà il professor McBridge».
Tutti si piegarono in avanti o cercarono di alzarsi in punta di piedi per vederla meglio.
«Inoltre, colgo l’occasione per comunicare ai Tassorosso che l’incarico di Direttore della loro Casa è stato per il momento assegnato al professore Finch-Fletchley».
A quel punto la Preside concluse il discorso augurando loro la buona notte.
Charis fissò di sottecchi i compagni: persino Charlie e Zoey erano troppo sorprese per commentare.
«Ragazzi», attirò la loro attenzione la Caposcuola, «dopo cena tornate subito in Dormitorio, il professor Finch-Fletchley vorrebbe parlarci».
«Ma che cosa insegna?» le chiese Teddy.
«Babbanologia. È bravo» replicò lei con un sorriso. Sembrava contenta di quella novità.
Così dopo aver mangiato, i sei si recarono in Sala Comune, che quella sera sembrò ancora più affollata e rumorosa del solito.
«Secondo voi com’è la nuova prof?» chiese Zoey.
«Lo scopriremo domani» sospirò Teddy.
«Peggio di McBridge non può essere» borbottò Charlie.
Charis si strinse nelle spalle: sperava davvero che la situazione migliorasse.
Verso le nove un uomo sulla trentina entrò nella Sala Comune e improvvisamente tutti si zittirono.
«Buonasera a tutti, ragazzi» esclamò il professore sorridendo. «Per chi non mi conoscesse, mi chiamo Justin Finch-Fletchley e insegno Babbanologia dall’anno scorso… A essere sincero, non mi aspettavo di essere nominato Direttore, ma tenterò di fare del mio meglio. Per qualunque cosa, sono a vostra disposizione… E sono sicuro che la Caposcuola e i Prefetti mi aiuteranno a far andare tutto per il meglio…».
Elly si era avvicinata e si limitò ad annuire; sparsi per la Sala c’erano anche gli altri Prefetti che assentirono a loro volta.
«Molto bene» disse Finch-Fletchley battendo le mani. «Allora tornate pure alle vostre attività, buona serata».
Con sorpresa dei sei piccoli Tassorosso, però, il professore non solo non se ne andò ma si avvicinò a loro guidato da Elly.
«Mark Becker?» chiese.
Charis osservò l’amico sbiancare e alzarsi un po’ tremante.
«Ho bisogno di parlare con te, per piacere. Vieni?».
Il ragazzino annuì meccanicamente e lo seguì.
Charis preoccupata raggiunse Elly, che era tornata dai suoi compagni del settimo anno. «Sarà severo con lui?» le domandò. Nessuno di loro dimenticava la strillettera che qualche giorno prima l’amico aveva ricevuto dal padre.
La Caposcuola sorrise leggermente e scosse la testa. «Non ti preoccupare, Charis. Il professor Finch-Fletchley è molto bravo… Forse lo conoscerete al terzo anno, se sceglierete la sua materia… Mark, però, ha saltato le lezioni di Difesa e sapeva che ne avrebbe dovuto rendere conto…».
«Sì, ma…» si mordicchiò il labbro la ragazzina.
«Sul serio, in un anno e mezzo non ho mai visto il professore perdere la pazienza… Non lo farà con Mark…».
Charis sospirò e la ringraziò. Tornò dagli altri e riferì quanto scoperto.
 
Il pomeriggio successivo i Tassorosso si recarono puntuali alla lezione di Difesa contro le Arti Oscure. La professoressa Cohen era già in classe e rivolse loro un rigido saluto. Charis prese posto accanto a Teddy come al solito e lanciò un’occhiata rapida a Mark, che raggiungeva il suo banco. La sera prima avevano aspettato con ansia il ritorno del ragazzino in Sala Comune. Fortunatamente, Finch-Fletchley era stato molto tranquillo, da quello che aveva loro raccontato Mark avevano più che altro scambiato qualche parola sugli ultimi avvenimenti e il ragazzino aveva assicurato al loro nuovo Direttore che non aveva la minima intenzione di saltare ancora le lezioni.
I Serpeverde arrivarono alla spicciolata al suono della campanella. Quando finalmente furono tutti presenti la professoressa si alzò e si pose davanti alla cattedra fissandoli uno a uno per qualche secondo; poi chiamò l’appello.
«So che avete svolto gran parte del programma, ma solo dal punto di vista teorico… Ritengo che dovremmo riprendere alcuni argomenti partendo questa volta dalla pratica».
Persino Charlie appariva particolarmente attenta; Charis per conto suo non era molto entusiasta: molto meglio studiare dal libro.
«Allora, lì in fondo, Dolohov, se hai finito di disturbare, definisci l’incantesimo di Disarmo». Tutti si voltarono di scatto e a Charis non sfuggì la piuma che il Serpeverde aveva in mano. «Ma prima», aggiunse la professoressa, «consegnami la piuma…». Dopo un attimo di esitazione il ragazzino obbedì. «Come pensavo. Un prodotto Tiri Vispi Weasley. Proibito. Venti punti in meno per Serpeverde… Allora, questa definizione?».
«L’incantesimo di Disarmo serve per disarmare l’avversario» rispose il ragazzino contrariato dall’improvviso cambiamento.
«Sì, potrebbe andare bene come definizione… Qual è la formula?».
«Non lo ricordo, professoressa» ammise Dolohov dopo qualche secondo di silenzio.
«Allora, forse è meglio che tu e la signorina Turner facciate cambio… Là dietro, secondo me ti distrai troppo facilmente…».
Charis colse il ghigno sul volto di Charlie e si chiese se l’amica avrebbe restituito al Serpeverde tutte le cattiverie che negli ultimi mesi aveva fatto a Mark.
A quel punto la professoressa li fece alzare e accostò i banchi alle pareti. «Chi sa rispondere alla mia domanda?».
Le mani di Enan, Teddy, Mark e straordinariamente quelle di Zoey e Charlie si sollevarono. «Becker?».
«E-experlliamus» mormorò.
«Molto bene. Ora, in base a come siete seduti, mettetevi in coppia. A turno cercherete di disarmarvi… Credo sia superfluo dirlo, ma non dovete usare nessun altro incantesimo».
Nonostante le preoccupazioni iniziali, Charis non ebbe difficoltà ad apprendere l’incantesimo, soprattutto grazie alla tranquillità di Teddy in coppia con lei. Al suono della campanella sospirò sollevata: forse si sarebbe finalmente sistemato ogni problema. Era persino riuscita a chiarirsi con lo zio e raccontargli quanto le era accaduto negli ultimi tempi.
 
*
 
«Enan».
Il ragazzino si voltò di scatto verso Hagrid e gli rivolse un enorme sorriso. «Ehi, come stai? Facciamo qualcosa insieme?».
Hagrid sorrise leggermente, ma sembrava preoccupato per qualcosa.
«Che succede?» gli chiese Enan accorgendosene.
«Ho trovato la proprietaria dello kneazle».
«Ah». Enan era profondamente deluso. Si era affezionato alla creatura e aveva cominciato a sperare che non avrebbero mai trovato il proprietario, anche se si era sentito incredibilmente egoista: poteva solo immaginare come si stesse sentendo.
Hagrid gli diede una pacca sulle spalle. «Lo sapevi che sarebbe successo».
«Posso venire con te? Voglio conoscerlo».
«Non lo so, Enan… Sta a Hogsmeade… Bisogna chiedere il permesso…».
«Ti prego, ti prego» lo supplicò seguendolo per tutto il corridoio.
«E va bene» sbottò Hagrid. «Chiederò alla Preside, ma non ti prometto nulla…».
«Ti adoro!» lo abbracciò Enan.
«Oh, oh, per così poco. Aspettami all’ingresso».
Enan assentì, corse dagli amici in biblioteca, comunicò loro la novità e recuperò la cesta con il piccolo kneazle nel Dormitorio; alla fine, a passo svelto, si diresse nella Sala d’Ingresso, ma purtroppo Hagrid non era ancora arrivato. Dopotutto convincere la Preside non doveva essere semplice. Trascorse più di mezz’ora prima che Hagrid lo raggiungesse in compagnia del nuovo Direttore di Tassorosso. Per un attimo il ragazzino si preoccupò, ma i due insegnanti sembravano tranquilli e chiacchieravano tra loro.
«Eccoci, Enan, il professor Finch-Fletchley verrà con noi».
«Quindi posso venire?» chiese eccitato.
«Sì, ma non ti allontanare, per l’amore di Merlino, o la McGranitt vorrà le nostre teste» commentò il professore di Babbanologia.
«Farò il bravo, giuro» disse sorridendo.
Per quanto ormai fossero quasi a metà marzo, le giornate continuavano a essere brevi e fredde. Enan si strinse addosso il mantello, ma tutto ciò non scalfì minimamente il suo entusiasmo. Era da dicembre che non usciva dai cancelli della Scuola e farlo a quell’ora faceva tutt’altro effetto. Procedette in silenzio affianco ad Hagrid, ascoltando distrattamente i discorsi dei due professori. Appena giunsero all’inizio dell’High Street di Hogsmeade rimase a bocca aperta, perché non ci era mai stato: era un piccolo villaggio ancora innevato proprio come il parco di Hogwarts, ma sembrava quasi una cartolina. Osservò con attenzione ogni negozio e cercò di sbirciare nelle vetrine illuminate. «Dove andiamo?» chiese ricordandosi di Mielandia, tanto decantato dai cugini.
«Da Mondomago. Il cucciolo è della nipote del proprietario».
Non era mai andato in quel negozio, ma lo colpì all’istante per la grande quantità di merce esposta di varia natura.
«Siria!».
Enan, attirato da uno scaffale colmo di spioscopi, sobbalzò e si voltò verso la bambina che aveva strillato. Si avvicinò proprio mentre Hagrid le consegnava la cesta. Percepì una stretta al cuore e si pentì di essere andato lì. Compì qualche passo indietro con l’intenzione di aspettare fuori, ma la bambina lo assaltò.
«Hai curato tu Siria, quindi?».
«Ehm sì».
«Grazie» lei lo abbracciò e gli scoccò un bacio sulla guancia.
Enan la fissò sorpreso e sorrise leggermente. «Figurati» replicò.
«Io mi chiamo Annabel» continuò la bambina. «Sperò che a Hogwarts saremo amici».
«Sì, sicuramente. Io sono Enan».
«Tra meno di due anni verrò anche io a Hogwarts» insisté Annabel. «Sei un Tassorosso, vero?» gli chiese indicando la sciarpa ben stretta intorno al collo del ragazzino.
«Sì».
«Allora spero di esserlo anch’io».
Enan tornò al castello particolarmente felice e ringraziò i due professori prima di correre in Dormitorio, dove assillò i compagni per tutta la serata raccontando quella piccola avventura.
 
Qualche giorno dopo, fu molto meno felice: si era dimenticato di fare i compiti di Trasfigurazione per due volte di fila e la professoressa McKlin non gliel’aveva perdonato. Sospirò e lanciò un’occhiata alla finestra buia dell’aula di Trasfigurazione, poi riportò gli occhi sul suo tema. Un tema extra. Non solo ne aveva dovuti recuperare due - e la professoressa gli aveva chiaramente detto che si sarebbe accorta se avesse copiato da uno dei compagni -, ma per punizione gliene aveva segnato un altro! Peccato che lui non ricordasse nulla di quell’argomento e non fosse ben sicuro di che cosa avesse scribacchiato nell’ultima ora e mezza; però, la McKlin era stata chiara: non si sarebbe mosso da lì, se non avesse concluso dignitosamente il compito. Si affrettò a consegnarlo alla professoressa, sperando di andarsene al più presto via da lì. La donna prese la pergamena e la lesse con attenzione. Enan trattenne uno sbuffo: aveva sperato che non l’avrebbe letto subito. Era spacciato: aveva scritto tutto quello che si ricordava, senza nemmeno rileggere.
«Avevi il manuale e altri libri a tua disposizione e non ne hai aperto uno. Sei superficiale, Macfusty» lo rimproverò dopo aver messo da parte il tema. Era annoiato, che per lui era ben diverso. «Beh, direi che tu possa ricominciare dall’inizio, in fondo il tempo non ci manca».
Enan sgranò gli occhi. «Ma professoressa…» tentò.
«Macfusty, credo che debba solo metterti a studiare seriamente» lo interruppe lei, prima di tornare a correggere dei compiti.
Il Tassorosso rimase lì impalato, senza alcuna intenzione di tornare a sedersi. «Professoressa, per favore, oggi è il mio compleanno. Compio dodici anni».
La McKlin tornò a fissarlo accigliata.
«Per favore» insisté.
«Macfusty, vedi di consegnarmi questo tema rifatto e gli altri due entro giovedì».
«Ho fatto il tema per domani e ho recuperato gli altri due» le assicurò.
«Spero per te che tu non abbia copiato dai tuoi compagni».
«No, signora. Ho lavorato da solo».
«Va bene, vai».
Enan non credeva a tanta fortuna, salutò e scappò via prima che la professoressa cambiasse idea. In effetti, aveva studiato tutto il finesettimana con Charis, Mark e Teddy. Ora voleva solo godersi almeno la sera del suo compleanno. Quella mattina aveva discusso con Zoey perché era assolutamente ingiusto che il compleanno dell’amica fosse stato di domenica, mentre il suo di lunedì. Di lunedì! Con la Cohen che li faceva sgobbare tanto quanto la McKlin!
«Eccoti, dove diavolo eri?» sbottò Fagan incrociandolo nel corridoio del primo piano. «Ti abbiamo cercato per tutto il castello».
«Ero in punizione con la McKlin, nell’aula di Trasfigurazione. Gli altri lo sapevano».
«Vabbè non importa, vieni con noi. Si sta facendo tardi».
«Dove andiamo?» chiese perplesso Enan.
«Stanza delle Necessità o Stanza che Va e viene» rispose Fagan.
«Viene chiamata anche con tanti altri nomi» aggiunse Blair. «Perché eri in punizione?».
«Non ho fatto i compiti» borbottò, sperando che il cugino non volesse fargli la predica da buon Corvonero.
«E bravo lo scemo, non potevi almeno copiarli?».
«Mi sono scordato» ammise Enan. «Ora che sta arrivando la primavera non riesco a stare dentro il castello».
«Ma tra poco ci saranno gli esami».
«Blair!» gridarono in coro Fagan ed Enan.
«Ok, ok, scusate, fate quello che volete. Io lo dicevo per voi».
«Che facciamo nella Stanza delle Necessità?». Ricordava di averne sentito parlare a Teddy e a Charlie.
«Devi soffiare le candeline, naturalmente».
Enan sorrise. «Davvero?».
«Certo! Come ogni compleanno che si rispetti!».
«Pensavo che dopo tutto quello che è successo…».
«Beh, le cose non saranno le stesse, no? Ora siete in due». Il Tassorosso si accigliò, ma non replicò. «Ma per il resto non vedo che cosa dovrebbe cambiare… A proposito, ho sbirciato uno dei regali che ti hanno mandato da casa… Penso proprio che mio padre abbia seguito il mio suggerimento… Non vedo l’ora che lo apri…».
«Zio Aiden mi ha mandato un regalo?».
«Niente, la McKlin ha un brutto effetto sui tuoi neuroni» borbottò Fagan. Persino Blair ridacchiò. «Certo. Tutti gli zii ti hanno mandato un regalo. Ripeto: un compleanno è un compleanno anche se a Hogwarts!».
«Ma siccome non mi hanno scritto, io pensavo…».
«Ah, per questo… Questa è colpa mia. Abbiamo organizzato la festa, quindi mi sono fatto inviare tutti i regali… Scusa…».
Enan sorrise contento: aveva creduto che i suoi familiari non gli avessero scritto, perché erano arrabbiati, invece continuavano a pensarlo. Nella Stanza delle Necessità c’erano i suoi amici, tutti i suoi cugini e Thomas. Stranamente le uniche Serpeverdi presenti erano Caroline Shafiq ed Edith Yaxley, che non era sicuro se fossero lì per lui o per il compagno di Casa.
«Non avete invitato Burke e Dolohov?» chiese a Fagan.
«Thomas non ha voluto e poi quei due ci avrebbero messo nei guai».
«Nei guai?».
«Non abbiamo il permesso di stare qui» replicò con ovvietà Fagan. «Dai, sbrigati, vogliamo la torta».
Su un tavolo ricoperto da una tovaglia blu troneggiavano due torte, rispettivamente a forma di uno e di due; su entrambe c’erano dodici candeline.
«Avanti» li esortò Artek, «esprimete un desiderio e soffiate le candeline».
«Mi hanno prestato una macchina fotografica» disse entusiasta Zoey facendosi spazio per fotografarli.
Enan lanciò un’occhiata a Thomas, che per pochi secondi ricambiò, poi si concentrò nuovamente sulla torta.
Voglio che la mia famiglia sia felice, pensò intensamente; poi soffiò.
I presenti applaudirono. Mary, la sorellina Corvonero, di Donel e Artek, con l’aiuto di Charis tagliò la torta e Fagan le aiutò a distribuirla.
«Auguri» mormorò a Thomas.
«Anche a te» replicò palesemente imbarazzato il Serpeverde.
Charis si avvicinò e scoccò un bacio sulla guancia a entrambi, che arrossirono.
«Allora, che facciamo?» chiese Enan al Serpeverde appena furono di nuovo soli.
Thomas si strinse nelle spalle. «Non lo so. A me i grandi non hanno detto nulla, a te?».
«Nemmeno a me, ma non intendevo questo… Cosa facciamo io e te, adesso? Qui a Hogwarts».
Thomas non sapeva che cosa replicare.
«Senti» prese in mano la situazione Enan, «proviamo a comportarci come persone normali… Insomma, i fratelli non stanno sempre appiccicati, no? Quindi possiamo stare con i nostri amici… Ma magari ogni tanto giochiamo a gobbiglie insieme… Penso che quando torneremo a casa ci faranno passare molto tempo insieme… Dobbiamo abituarci…».
«Va bene, ma voi non piacete ad Antonin».
«E Dolohov non piace a me e ai miei amici» replicò Enan. «Ma non dobbiamo stare tutti insieme per forza».
«Ok».
«Ragazzi, venite ad aprire i regali?» li chiamò Artek.
«Questo è di mio padre» urlò Fagan porgendogli un pacco dalla forma inconfondibile.
Enan sgranò gli occhi: quella era sicuro una scopa da corsa. Una scopa tutta sua!
Gli zii Macfusty avevano mandato un pensierino anche a Thomas; così come i Mulciber avevano inviato a Enan un set di vestiti di foggia babbana: jeans, maglietta, felpa e persino un paio di scarpe.
«È anche da parte mia» borbottò Thomas. «Sono tutti firmati».
Il Tassorosso fissò gli indumenti scioccato: fino a quel momento - esclusa la divisa di Hogwarts - aveva quasi sempre indossato vecchi vestiti di Fagan e Artek; anche se era ancora più stupito dal fatto che il Serpeverde avesse avuto quel pensiero.
«Grazie. Io non ho… Scusami, io non ci ho pensato…».
«Non ti preoccupare» replicò lui stringendosi nelle spalle. «Il nonno e la mamma mi hanno mandato una scopa da corsa come la tua e un paio di guanti di pelle… Non vedo l’ora che arrivi l’anno prossimo per fare i provini…».
Si trattennero nella Stanza delle Necessità fino alle nove, quando il coprifuoco scattò anche per i più grandi; allora Fagan e Artek si premurarono di accompagnare i più piccoli in modo che non fossero beccati da Prefetti, Caposcuola o dai professori.
Molto più tardi, quando si nascose dietro le gialle cortine del suo letto, Enan rimirò il regalo della madre: una medaglietta a forma di drago – l’aveva vista a tutti i suoi cugini più grandi. Con un po’ di fatica l’allacciò al collo e, dopo mesi, finalmente si accinse a scriverle. Era stato davvero sciocco e ora non vedeva l’ora di recuperare il tempo perduto.
 
*
 
Teddy si fissò allo specchio e sospirò. Aveva indossato la sua veste più elegante, trovando come al solito strano non indossare la divisa, ma il professore Lumacorno si era raccomandato. Aveva deciso di dare quella festa per celebrare l’equinozio di primavera. Naturalmente solo i membri del Lumaclub erano invitati. Questi privilegi l’avevano sempre seccato, anche perché lui era invitato per Harry e per quello che era successo durante la guerra, non per il suo talento. Mark, per esempio, era al centro delle attenzioni di Lumacorno perché era un legilimens naturale. Erano pochi quelli che potevano vantarsi di essere considerati solo per le loro capacità. Comunque quella sera era particolarmente desideroso di andarci: ne avrebbe approfittato per porre le domande che più desiderava al professore.
Quell’incontro, però, sarebbe stato diverso dai precedenti: Lumacorno l’aveva organizzato insieme al professor Nicholls di Astronomia ed Hagrid; inoltre, si sarebbe svolto nel parco. In Sala Comune trovò Charis, Charlie e Mark già pronti; Enan e Zoey erano sprofondati su un divano e li salutarono.
«Secondo me sarà meno peggio delle altre volte» disse Teddy tentando di tirare su Charlie.
Quando arrivarono si accorsero che, poco distante da una sponda del Lago Nero, era stato acceso un falò. Gli altri invitati si muovevano nei dintorni in un gioco curioso di ombre. Teddy individuò Elly Montgomery e si avvicinò insieme ai compagni.
«Ciao. Che sta succedendo?».
«Lumacorno è impazzito definitivamente?» sussurrò Charlie beccandosi un’occhiataccia dalla Caposcuola.
«Gli antichi Celti il giorno dell’equinozio di primavera festeggiavano la festa di Ostara, che in un certo senso è diventata la nostra Pasqua. Si festeggia la rinascita della natura, in fondo è questa la primavera, no? Le sacerdotesse celtiche di solito accendevano dei falò, come questo, perché il fuoco rappresenta la purificazione».
Teddy la ringraziò e si andò a prendere da bere e da mangiare da un piccolo buffet allestito sotto una quercia imponente. Sicuramente Lumacorno non aveva rinunciato alle comodità. Comunque fu più interessante del solito perché il professor Nicholls mostrò loro le stelle e osservarono il cielo con attenzione. Persino Charlie per una volta non si addormentò. Quando i due professori li congedarono, il Tassorosso fece un cenno agli amici, attese che Lumacorno rimanesse solo e lo affiancò.
«Oh, Ted, non dovresti attardarti fuori dalla Sala Comune a quest’ora».
«Posso farle una domanda, signore?».
Il professore si bloccò di scatto e, alla luce pallida delle loro bacchette, sembrò sbiancare. «È tardi» borbottò.
«La prego, professore. Non voglio chiederglielo davanti agli altri».
«Perché, che sarà mai?» mugugnò Lumacorno affrettando il passo.
«Mi vergogno» ammise il ragazzino.
Il professore si fermò nuovamente sui gradini dell’ingresso, estrasse un fazzoletto e cominciò a tamponarsi la fronte. Che stesse male? Era una notte fredda, come poteva sentire caldo? «Va bene» assentì, sembrando quasi spaventato.
Teddy non comprese quella reazione, ma non volle rinunciare a quell’occasione. «Potrebbe parlarmi di mio padre da studente?».
Sul volto di Lumacorno balenò la sorpresa e sembrò riprendere colore. «Ah, questo, certo, certo!».
Che cosa si aspettava che gli volesse chiedere?
«Harry me ne ha parlato, ma lui l’ha conosciuto quando è stato professore di Difesa contro le Arti Oscure e poi quando ha fatto parte dell’Ordine della Fenice… Io, però, vorrei sapere qualcos’altro… Lei mi ha detto che gli assomiglio, professore».
Il sorriso di Lumacorno divenne quasi dolce. «Va bene, Ted, vieni con me».
Seguì il professore nel suo ufficio e accettò la tisana calda che gli offrì. Sedette su una delle due poltrone vicine al fuoco.
«Beh, da dove iniziare… tuo padre stava sempre in compagnia di James Potter, Sirius Black e Peter Minus… Diciamo che Black e Potter si facevano notare di più…».
Teddy si lasciò cullare dalla voce del vecchio professore. Comprese che l’uomo non avesse mai dato particolarmente credito al giovane Remus, probabilmente perché era un lupo mannaro, ma il ragazzino cominciava a capire che i pregiudizi del suo insegnante non erano esattamente cattivi: per esempio quando Mark non aveva il materiale, perché Alexis non glielo prestava, si limitava a rimproverarlo ma non l’aveva mai preso di mira come McBridge. In più in quel momento si stava palesemente sforzando di ricordare qualche episodio che riguardasse uno studente che non aveva amato, ma che in fondo si era rivelato un eroe.
«E di mia mamma non sa nulla?» gli chiese quando finì di parlare.
«Oh, no, mi dispiace… Sono andato in pensione prima e quando sono tornato in servizio, lei era già un’Auror a tutti gli effetti… L’ho vista qualche volta qui a Scuola, di sfuggita… e quella notte della battaglia… ma niente più di un saluto…».
«Grazie, professore».
«Per così poco, Ted… Piuttosto dovresti chiedere alla professoressa McGranitt, lei è stata la direttrice della sua Casa, e al professor Vitious… Loro saprebbero raccontarti molto di più… Anche di tua madre…».
Teddy non sapeva se ne avrebbe trovato il coraggio, ma fu grato al professore che sembrava capire la sua necessità di sapere.
 
*
 
«Quindi che fate a Pasqua?» chiese Zoey curiosa.
«Io vado a casa» disse Teddy. «Tornerò martedì».
«Io sto qui» mormorò Mark. «Nemmeno Jay e Alexis torneranno. Jay mi ha detto che, secondo papà, lui dovrebbe approfittarne per studiare per i G.U.F.O.».
«Non mi sembra molto preoccupato» borbottò Teddy lanciando un’occhiata al tavolo dei Grifondoro.
Mark scosse la testa palesemente preoccupato per il fratello.
«Cosa sono i G.U.F.O.?» chiese perplessa Zoey.
«Degli esami che si fanno al quinto anno; in base a quanto prendi, puoi scegliere quali materie seguire gli ultimi due anni… Poi ci sono i M.A.G.O. alla fine del settimo anno» spiegò Teddy. «I risultati sono importanti per il lavoro che si vuole fare dopo la Scuola».
«E voi sapete già che cosa volete fare?» domandò ancora Zoey perplessa.
«L’Auror» risposero in coro Teddy e Charlie, che si squadrarono sorpresi.
«Io voglio diventare magizoologo» disse, invece, Enan dopo aver ingoiato un grosso boccone di bacon.
Charis e Mark dissero che non avevano ancora nessuna idea.
«Io rimango qui» disse Charlie. «James deve studiare per i M.A.G.O., io voglio evitarmi le prediche di mia madre… Credo che Willy tornerà a casa perché nessuno dei suoi compagni rimane…».
«Io rimango. Mio nonno pensa che abbiamo ancora bisogno di tempo per digerire le novità e mi ha sollecitato a trascorre più tempo con Thomas».
«Io torno a casa» comunicò, invece, Charis.
«Dobbiamo sistemare il piano per il primo aprile» ricordò Zoey a Charlie.
«Che piano?» chiese Teddy stringendo gli occhi con fare minaccioso.
«Niente che ti interessi» lo tacciò subito Zoey. «Piuttosto, siete pronti ad augurare buona Pasqua ai Serpeverde… al tuo caro Dolohov…?».
Teddy sospirò e annuì, sperava solo che non li avrebbero beccati o sua nonna l’avrebbe tormentato per tutte le vacanze. Se tutto fosse andato per il meglio, l’unico a sapere dello scherzo sarebbe stato George Weasley, che gentilmente l’aveva finanziato.
«Sta arrivando la posta» esclamò Zoey in fibrillazione. I bulletti non le erano mai piaciuti, in più questo tipo di vendette avevano un che di soddisfacente. «Cercate di non fissare troppo il tavolo dei Serpeverde» richiamò i compagni.
«Bisogna insegnarvi proprio tutto» aggiunse Charlie bevendo lentamente l’ultimo sorso della sua tazza di latte.
«Ecco, l’allocco gli ha consegnato il pacco» disse Zoey sollevando gli occhi dal suo piatto quel tanto che bastava per cogliere i movimenti di Dolohov. «Il gufo è volato via, contento Enan?».
«Che poi non si sarebbe fatto nulla» bofonchiò Charlie.
«Non è detto. Si sarebbe sicuramente spaventato e…».
«Sta zitto» borbottò Zoey. «Sta aprendo il pacco».
A quel punto anche Charlie alzò lo sguardo non riuscendo a trattenersi. Dolohov aveva appena tirato fuori dalla sua confezione un bellissimo uovo di cioccolata ben decorato.
I Sei Tassorosso lo fissarono in attesa.
All’improvviso uno scoppio scosse la Sala Grande: Dolohov, Burke, Mulciber e diversi Serpeverde nei paraggi erano ricoperti di cioccolato fuso.
«La vendetta è davvero dolce» commentò Charlie.
«Buona Pasqua, Serpeverde» sussurrò Zoey.

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