Con tutto l'amore che posso

di coopercroft
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il paradiso di Dante ***
Capitolo 3: *** Alex ***
Capitolo 4: *** Venere, il terzo cielo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Puoi coltivare la tua rosa con passione, nutrirla, dissetarla, proteggerla.

Ma se non mondi il terreno, ci sarà sempre un contorto, stupido tarassaco, che spunterà e crescerà.

Quel piccolo insignificante fiore giallo, oscurerà la tua rosa.

E sarà colpa tua.

La cura non è un vantaggio.                         

                                                    *********************************

Isola di Sherrinford, un giorno qualsiasi.

 

Mycroft fissava gli occhi azzurri di suo fratello, 

la sua mano stretta sull'impugnatura dell'arma,

la canna puntata verso il suo cuore.

Sapeva che quello era il suo ultimo giorno di vita, ma era consapevole che Sherlock e John dovevano vivere.

Avrebbe pagato il conto a Eurus per averla tenuta nascosta tutti quegli anni.

Prese un lungo respiro. L' ultimo.

"Addio, fratello mio."

Lo sparo.

Il dolore.

L'oscurità.

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Capitolo 2
*** Il paradiso di Dante ***


Quando Mycroft riaprì gli occhi, non capì subito in che posto fosse. Era seduto, la schiena appoggiata a una roccia di una piccola isola brulla con qualche arbusto e pochi alberi, circondata da acqua di un azzurro intenso. Vicino a lui c'erano delle altre persone con la stessa aria stupita e trasognata. Le guardò e si sentì solidale, come se gli appartenessero. Ebbe la strana percezione di essere morto.

Tutto sommato si sentiva bene. Anzi benissimo. Nessun dolore, nessun tormento, nessun rimpianto. Era decisamente sereno come non lo era mai stato. Notò le sue scarpe lucide e costose, macchiate di rosso e gli venne una gran voglia di toglierle. Le sfilò insieme ai calzini, rimase a piedi nudi a godere l'aria che gli giocava tra le dita dei piedi.

Fu allora che vide la giacca del completo tre pezzi forata al centro del petto, la stoffa strappata. La scostò, la sua camicia preziosa era macchiata di rosso. Un rosso vivo, ancora pulsante. La cravatta irrimediabilmente lacerata.

Eppure non sentiva dolore, il suo cuore spezzato si era fermato. Quel buco nel cuore glielo aveva fatto Sherlock. Il suo amato fratello. Ora ricordava: era morto per mano sua, con l'arma che gli aveva fornito Eurus a Sherrinford: l'imposizione della scelta tra amicizia e famiglia. E John Watson era molto di più.

Strinse le labbra sottili e si massaggiò il petto. Poi sorrise, infondo lo aveva voluto lui, si era offerto per rendere a Sherlock la cosa più facile. Si era reso conto che John era la sua famiglia e lui non ne faceva più parte. Il suo compito era finito.

Si alzò in piedi, si tolse la giacca, il gilè, via la cravatta, aprì la camicia lasciando che pendesse di fuori, camminò scalzo fino alla riva.

Non era più in vita, era un fantasma, ecco perché era lì. Si guardò intorno, quel posto gli ricordava i suoi studi scolastici della Divina Commedia. Scosse la testa, pensando che l'aldilà era già stato scritto secoli prima.

Aveva sempre pensato di finire all'inferno, ma a quello dantesco, proprio no. Ora avrebbe pagato la sua inutile vita con atroci sofferenze. Sarebbe finito fra i dannati, quelli che non avevano avuto tempo per gli affetti, quelli che non avevano creato legami, né dato amore...

Si avvicinò all'acqua e vide sotto di lui il buio dei gironi infernali, il vociare angoscioso della dannazione, avvertì l'odore della punizione eterna. E rabbrividì, la sua vita non era stata un granché di beatitudine. Era rassegnato, si strinse nella camicia strappata e sporca di sangue e gemette per il freddo.

Fece altri due passi e fu attirato dal calore che veniva dall'alto. Volse lo sguardo: una energia luminosa, accecante, avvolgeva corpi fluttuanti nell'aria che respiravano e si nutrivano di quello splendore abbagliante. Era il paradiso, la ricompensa, il bisogno di pace.

Si fermò, la luce alla sommità di quel cielo terso lo attirava. Era tutto così bello, così assolutamente appagante.

Non sapeva perché era nel mezzo, in quella specie di attesa. 

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Capitolo 3
*** Alex ***


Vide una figura in lontananza che si stagliava in controluce. Aspettò che lo raggiungesse. Sentiva che lo voleva, lo completava e accresceva il suo senso di quiete.

"Ciao, Mycroft, mi riconosci?" Una voce di adolescente lo chiamò. Lo fissò, la mano a proteggere gli occhi dal riverbero della luce. "Mi assomigli, sembri me quando avevo tredici anni." Rise, si protese in avanti per toccarlo. "Ero bello in carne, allora."

"Già, eri un bel ragazzone voglioso di amore. Sono la tua essenza, Myc." Holmes abbassò la testa, la scosse piano, aveva compreso. "Posso chiamarti Alex? È il mio secondo nome, nessuno mi ha mai chiamato Alexander. Anche se mi sarebbe piaciuto."

"Va bene, Myc." Alex lo prese per mano.

"Vorresti vedere dove siamo? Questo è il paradiso. Il dono che ti è stato fatto per la tua vita."

Mycroft sbuffò sorpreso, lo guardò con tenerezza. "Non ero così buono in vita da meritarmelo. Forse chi comanda qui sopra si è sbagliato." Indicò la luce abbagliante sopra le loro teste, quel volteggiare di anime attirate dalla serenità che emetteva. Una leggera inquietudine gli passò sulla fronte, i ricordi terreni tornarono prepotenti.

Alex allungò la sua mano e lo accarezzò al centro del petto. La sua camicia ritornò di un bianco croccante, pulita come il suo cuore sanato. "Perché mi fai questo? Non lo merito, ne ho combinate di cose sbagliate."

"Tu pensi questo? E perché senti di avere sbagliato?" La mano del ragazzo si strinse alla sua.

Mycroft si rivide bambino. Per sette lunghi anni era rimasto da solo, coccolato da suo padre Siger e da Violet. Un ragazzino forse un po' introverso, ma con un'intelligenza veloce, stimolata dalla madre, una matematica esplosiva.

"Mamma era una mente brillante, l'adoravo. Speravo di diventare come lei." Si girò a guardare Alex, gli sorrise. "Poi arrivò Sherlock e io cambiai."

Lui sussurrò inclinando la testa riccia. "Un fratello inaspettato che ti fece crescere di colpo e ti riempì di responsabilità." Holmes si fermò, si sedette in un piccolo ritaglio di erba prossimo alla riva, Alex lo seguì e gli si accoccolò vicino.

"Mamma lavorava sempre più spesso, mi presi cura di lui. Sherlock fu il mio scopo di vita, l'amore fraterno che ti cambia." Il ragazzo si strofinò sulla sua spalla, lo ascoltò silenzioso.

"Ma non fu lo stesso per Eurus, lei arrivò un anno dopo e scombinò i delicati equilibri della famiglia." Holmes aggrottò la fronte, si fece serio. "Eurus piangeva sempre, era inconsolabile. Nessuno sembrava capirla."

Si voltò a guardarlo colpevole. "Non fui un bravo fratello con lei."

Alex sospirò, lo accarezzò sulla spalla. "Sì, che lo fosti, eri un ragazzino, come potevi capire il suo disagio."

Mycroft affondò la mano nella terra umida e strappò un ciuffo di tenera erba.

"Avrei dovuto starle vicino, ma ero preso dall'irruenza di Sherlock e non la capii." Il ragazzo rise. "Ti dai sempre tutte le colpe, non c'eri soltanto tu."

Si scosse, si alzò in piedi lasciò cadere la terra dalle mani, le pulì con vigore. "Tu lo sai quello che successe. Aveva sei anni quando uccise Victor, il piccolo amico di Sherlock e incendiò Musgrave. E fu rinchiusa." Holmes scosse la testa, avvertiva il dolore fisico al centro del petto. Alex si sollevò e gli posò la mano sulla spalla per lenirgli la sofferenza.

"Non tormentarti, non fu colpa tua. Sherlock perse la memoria e i tuoi genitori si accordarono con lo zio Rudy di tacergli tutto. Tu fosti obbligato a farlo."

Rimase al suo fianco e aspettò. Mycroft ripercorreva la sua vita e non trovava altro che delusioni.

"È quello che sono diventato dopo che non mi fa meritare di essere qui." Quasi gridò, mentre sentiva dentro il corpo tutta la angoscia di Sherlock, la rabbia nei suoi confronti per il suo abbandono, quando aveva seguito lo zio a Londra per diventare l'uomo di ghiaccio.

"Come ho potuto farlo, Alex? Come ho potuto lasciarlo? Guarda dov'era finito!" L'acqua stagnante gli restituì l'immagine di Sherlock che giaceva in una vecchia stanza abbandonata in overdose. Sfinito e tormentato.

"Ma tu c'eri Myc, ci sei sempre stato. Qualunque cosa ti gridasse contro." Mycroft si portò le mani sul volto pallido, come a nascondere le sue mancanze, e pianse come non aveva mai fatto in vita. Ma con la consapevolezza che non avrebbe potuto fare di più. Aveva aiutato suo fratello con dedizione e amore, ma non era stato in grado di cambiare le sue scelte. Alex lo sorresse, le mani sulle spalle lo stringevano con forza. "Non fu mai colpa tua Myc. Mai."

"Oh, tu mi giustifichi sempre." Si asciugò le lacrime con la manica della sua linda camicia.

Fissò Alex, in preda all'angoscia. "Allora perché continuai a tenere segregata Eurus? Perché ho fatto soffrire i miei genitori? Perché non aiutai Sherlock a ricordare? Fu un abominio quello che feci. Li coprii di menzogne."

Alex sorrise, staccò una foglia da una pianta rigogliosa che sembrava venire dal nulla, l'unica in quel posto sterile. Gliela appoggiò sulla mano. "Le foglie possono sembrare inutili, ma proteggono l'albero e lo fanno prosperare. Così hai fatto tu Myc. Hai protetto la tua famiglia. Con costanza e non chiedendo nulla in cambio. Perché ritenevi che fosse giusto." Holmes lo guardò confuso. "Ma il mio albero è spoglio e arido, non ho amato nessun'altro, chi potrebbe piangermi?"

"Lo credi veramente?" Lo riprese per mano e gli indicò l'acqua piatta."  Vide Anthea con le lacrime che le bagnavano il volto. Si stupì. "Alex, percepisco il suo dolore. Lei mi voleva bene!"

"Come tutti gli altri Myc, come i cuori che soffrono la tua mancanza e ti piangono." E li vide, quei volti che in vita gli erano stati attorno, riflessi nello specchio d'acqua.

C'era Sherlock a Sherrinford, che stringeva forte nelle mani il suo orologio da taschino, con John e i suoi genitori davanti a Eurus, viva e segregata, che non dava più nessun moto di vita.

Sorrise a quel gesto gentile del fratello, la dolcezza del loro ricordo lo avvolse e lo sanò.

"Hai seminato amore Myc, a modo tuo. Ma ciò che ti ha portato qui è il tuo sacrificio finale. Quando a Sherrinford, ti sei offerto per salvare la vita di Watson. E dare a Sherlock la possibilità di avere quello che tanto desiderava. Una famiglia con John e Rosie."

Era consapevole del suo gesto, sapeva perché gli aveva dato la vita, afferrò il braccio di Alex. "Ma perché sento l'oscurità dentro al suo cuore? Dovrebbe essere felice. E invece...la sua mente vacilla." Il ragazzo si liberò, fece alcuni passi.

Parlò di spalle, tremando. "Lui ha fatto una scelta Myc. Un uomo ha il libero arbitrio, tutti lo possediamo. E quello che ci riscatta o ci condanna. Tu ti sei sacrificato per amore." Alex abbassò le spalle e si girò fissandolo con gli occhi lucidi. "Lui ha deciso diversamente. E ti ha ucciso."

Sentì il gelo affondare nella sua anima, Mycroft gridò tutto il suo disappunto. "Non aveva alternativa! Che poteva fare d'altro?"

Alex rimase immobile, le lacrime che gli scendevano copiose, sul quel volto di adolescente imberbe che era stato.

"Amarti Mycroft e amare John. Non rivolgere quell'arma verso nessuno dei due."

"Ma Eurus ci avrebbe uccisi tutti!" Gridò sconvolto, ma realizzando la scelta malaugurata del fratello.

Alex respirò profondamente. "Non lo sai quello che sarebbe potuto succedere. Ora lui si è dannato."

Avvertì un forte dolore al torace e contrasse la mascella. Sentì nitido lo sparo di quel giorno, la lacerazione acuta al centro del petto, la devastante sensazione di spasimo che si irradiava fino al cervello.

Il sangue che gli riempiva la bocca, il freddo che avanzava, il volto di suo fratello che si annebbiava mentre lo sorreggeva e lo appoggiava a terra. E Sherlock piangeva e gridava il suo nome, così forte da stordirlo, pregando di perdonarlo.

Fu l'ultima cosa che sentì. Era morto così, con gli occhi grigi aperti, rivolti al soffitto di quella fredda cella, senza potergli dire che lo assolveva. E che perdonava anche la pazzia di Eurus. 

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Capitolo 4
*** Venere, il terzo cielo ***


"Alex non voglio che soffra, l'ho voluto io, non merita tutto questo."

Il ragazzino si irrigidì. "Nemmeno tu lo meritavi. Si chiama rimorso ed è la conseguenza della sua scelta."

Si accucciò a bagnarsi le mani nel fiume. "Sapeva a cosa andava incontro. Eri suo fratello Myc, la sua famiglia. Come può ora guardare in faccia John e non pensare a te?"

Mycroft si contorse nel rimpianto. "Non posso restare qui se lui soffre. Io l'ho dannato costringendolo a quella decisione."

"Smettila di darti delle colpe che non ti appartengono! Non funziona così,  era l'amore verso di te che doveva contare più del raziocinio." Mycroft improvvisamente capì: amore e ragionamento, sacrificio e vita. 

"Fa che possa aiutarlo, Alex, ti prego. Non avrei mai pace." Lui lo fissò quasi colpito da tanto affetto.

"Come puoi amarlo così tanto? Sei sicuro di lui Mycroft? Sei sicuro del suo amore fraterno? Non mi sembra te lo abbia mai dimostrato. Ti ha gridato che John era la sua famiglia."

Myc si strinse le tempie con le mani pallide e magre, sapeva che era vero.

"Un altro sacrificio da parte tua non lo redimerebbe, è lui che deve dimostrarti amore e pentimento. Non tu."

Alex si alzò e lo raggiunse guardandolo fisso negli occhi grigi." Ha la vita davanti per espiare, per capire quello che ha commesso. E fare quel gesto che lo potrà riscattare, ma dipenderà da lui."

Il ragazzo gli appoggiò la mano aperta sul cuore. Mycroft avvertì che il dono fatto a suo fratello aveva cancellato gli sbagli commessi per troppa sicurezza, per orgoglio, per superficialità. Una leggera brezza gli accarezzò il volto, gli scompigliò i capelli, la camicia bianca svolazzò ribelle.

"È lui che ti pensa e che soffre. È consapevole del fratello premuroso che eri." Sorrise dolcemente, con quel viso paffuto e sincero come era stato lui da bambino, un ragazzino bisognoso di affetto che invece non ne aveva mai ricevuto.

Holmes sapeva che era giusto, Sherlock avrebbe espiato, avrebbe vissuto con il rimorso. Ma alla fine avrebbe reso la sua morte una vittoria. Alex abbassò la testa silenzioso, gli occhi colmi di dolcezza: gli concesse quell'ultimo dono. Si voltò per raggiungere la riva.

Mycroft comprese, con la mente volò al ricordo del suo orologio che da quando era morto suo fratello portava sempre con sé. Sherlock era sempre stato sensibile e intelligente, avrebbe capito.

Si volse quieto a guardare Alex sulla riva che immergeva i piedi nel fiume. "Vieni Myc, l'acqua laverà tutta la tristezza che porti nel cuore."

Lo raggiunse, gli si sedette a fianco. I suoi piedi entrarono nell'acqua fresca, così piacevolmente rassicurante.

"Il tuo amore ti fa onore, la tua dedizione è stata appagante. La tua redenzione è piena. Ora godrai del paradiso." L'uomo rigoroso che era stato svanì, il suo tempo era compiuto.

Il ragazzo lo baciò sulla guancia. "Sei stato un bravo fratello, Mycroft Holmes. Sherlock espierà le sue colpe e tornerà da te. Avrà il tempo di capire, Eurus non è del tutto perduta, e lui potrebbe compiere quel miracolo fraterno che lo riscatterebbe."

Alex lo abbracciò forte, e Myc lo ricambiò. "Ti condurrò dove ti spetta per l'amore che hai dato: il terzo cielo, quello di Venere, la sposa dell'amore in tutte le sue forme. È il posto che ti attende. Per aver amato gli altri più di te stesso."

Una dolcezza infinita lo avvolse, la gioia aprì la sua mente mentre guardava verso l'alto quel vortice di anime che si nutrivano nella luce. L'amore stesso entrò nel suo corpo che divenne lucente. Un senso di benessere assoluto cancellò ogni angoscia, tutta la sua vita terrena svanì.

Alex si ricongiunse al suo essere, e si librarono indivisibili verso la luce che li reclamava.

Mycroft divenne parte dell'armonia celeste. Ciò che era stato, la sua vera essenza, ora viveva nel ricordo delle persone che lo avevano avuto. Dell'amore che aveva seminato.

 

In quel preciso istante, Sherlock sussultò nel sonno. Si svegliò, John dormiva al suo fianco, Rosie nella stanza accanto. Era la sua nuova famiglia, quella che gli aveva regalato Mycroft.

Sul comodino vide l'orologio di suo fratello brillare, illuminato da una luce sottile che filtrava dalla finestra allo spuntare dell'alba. Lo aveva portato sempre con sé, ma si era fermato nello stesso giorno che aveva spezzato il cuore a Myc.

Nel silenzio sentì un leggero ticchettio, l'orologio era stranamente aperto, la catena sporgeva di sotto e ciondolava appena. Aveva ripreso a funzionare. Le lacrime gli scesero lente, poi singhiozzò, la sensazione di angoscia e rimorso che aveva provato in quei giorni si allentò. Un soffio leggero sembrò lambirlo. E si sorprese a sorridere, mentre stringeva al petto quell'orologio che gli era così caro. "Grazie Micky.."

Ora aveva la certezza che Mycroft stesse bene.

Era in pace, in qualsiasi paradiso fosse, e gli aveva concesso quel perdono che solo un fratello amorevole qual'era stato, poteva donargli. 

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