Upstream

di Chirubi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Downstream - Windy with 50% Gravity ***
Capitolo 2: *** II. Static - Sunny with 100% Gravity ***
Capitolo 3: *** III. Upstream - Cloudy with a chance of 1% Gravity ***



Capitolo 1
*** I. Downstream - Windy with 50% Gravity ***


Upstream:

in the opposite direction

from that in

which a stream

or river flows;

nearer to the source.

 

«Ti prego, allenati con me!»
Ochaco Uraraka aveva chinato profondamente il capo come a voler abbozzare un inchino, sotto lo sguardo impassibile di Katsuki.
Una folata di vento primaverile accorse a smuovere i capelli della giovane, ammutolita in una sorta di stasi e tensione palpabile. Il tempo parve quasi congelato come se tutta la vita del pianeta si fosse ridotta a loro due, in piedi in un corridoio deserto della U.A..
Lo Sports Festival si era concluso da poco proprio col trionfo del biondino, riluttante anche solo alla ricezione della medaglia d’oro per non essere riuscito a scontrarsi con Izuku nel corso della competizione.
D’altro canto si poteva dire che il momento più impresso nella sua memoria fosse stato proprio lo scontro con Ochaco al primo round. Non Kirishima, non Tokoyami, non Todoroki.

«Alzati, Faccia Tonda, sei imbarazzante.»

La redarguì quasi con disprezzo; per quanto l’inchino potesse essere un’usanza intrinsecamente giapponese e Bakugō fosse conscio della sua posizione all’interno della classe, lo infastidì più del dovuto. Non glielo avrebbe mai detto apertamente, ma quella schermaglia le aveva fatto guadagnare il suo rispetto. Non c’era bisogno di ingessarsi in tali formalità.
La ragazza sollevò il volto manifestando un’espressione triste, quasi ferita. Non si aspettava che l’intemperanza di lui potesse svanire da un momento all’altro, ma in cuor suo aveva nutrito delle aspettative più incoraggianti su come Katsuki avesse potuto accogliere la sua richiesta.

Richiesta che avrebbe accettato senza troppi giri di parole, se Uraraka non gli si fosse presentata al cospetto con la forza persuasiva di una gazzella ferita.

Le loro iridi si incrociarono, ma la brunetta distolse subito lo sguardo.
Sembrava quasi un paradosso il modo in cui lo avesse affrontato a viso scoperto al festival e come, a distanza di a malapena quattro giorni, tremasse alla sola idea di chiedergli di allenarsi insieme.

Anche lei non lo avrebbe mai detto, ma dietro quell’insolito atteggiamento impaurito si nascondeva il bisogno di imparare dai suoi errori e fragilità, bisogno dettato dalla fotografia del sorriso dei suoi genitori stampata nella memoria.

Strinse forte i pugni, tornando a fronteggiare i suoi occhi piccoli e vermigli.
«Voglio allenarmi con te, Bakugō. Quello che è successo al festival mi ha aperto gli occhi, per questo non accetterò un no come risposta. Forse non sarò mai come te, ma io voglio davvero diventare più forte.»
Eccola, la stessa determinazione del primo round. Le stesse sopracciglia buffe inarcate, lo stesso fuoco nelle iridi color nocciola. La stessa voglia di spaccare tutto.

Il biondo sbuffò dal naso e sorrise di sbieco, manifestando un sentimento indecifrabile, e le voltò le spalle per allontanarsi.

«Domani dopo le lezioni, alla radura nel bosco. Non dire niente a nessuno, non voglio rotture di palle.»

 

 

«Allora, Faccia Tonda? Non ti vuoi ancora arrendere?»
Katsuki stava facendo vorticare delle manette su un dito, le stesse che aveva portato Ochaco come aiuto per rendere l’allenamento un po’ più equo.
Tolto questo particolare, la situazione era un vero e proprio déjà vu di cinque giorni prima: Bakugō non stava sorridendo sornione come avrebbe fatto con qualsiasi altro avversario, al contrario. La visione di Uraraka con mezza canottiera strappata e piena di graffi lo turbò, ma del resto era stata lei a chiedere di allenarsi insieme e sapeva a cosa sarebbe andata incontro.
Era affannata, con una mano appoggiata al suolo per cercare una stabilità via via sempre più flebile.

Eppure il ragazzo le aveva concesso di portare oggetti esterni e aveva scelto la radura come campo proprio per facilitarla, ma in meno di dieci minuti lo scontro aveva preso la piega prevista.

Ochaco era intelligente e aveva saputo sfruttare bene il suo quirk in sintonia con l’ambiente circostante, ma la disparità nella loro forza era troppa e non importava quanti alberi, ceppi, rami e polvere potesse sollevare, il biondo li avrebbe sempre saputi allontanare a suon di esplosioni.

«Non… ancora…»

La vista della ragazza si annebbiò sempre di più, finché l’avversario non divenne una macchiolina blu prima che i suoi occhi si chiudessero del tutto, facendola crollare a terra in stato di dormiveglia.
Contemporaneamente al suo impatto col suolo, un albero con un tronco parzialmente reciso disegnava un arco in rapida discesa verso il suo corpo, mosso da una violenta raffica di vento.

«Uraraka!»

Per la seconda volta in tre mesi la chiamò per cognome.

L’arbusto era a quarantacinque gradi e stava guadagnando velocità, Ochaco non ce l’avrebbe fatta se non avesse fatto qualcosa per portarla in salvo.
«Quanto cazzo mi dai sui nervi, maledetta!»
Non fu tanto lei di per sé ad innescargli l’imprecazione irruente, quanto il fatto di doverla attivamente salvare. Lui, l’antitesi vivente del lavoro di squadra e la violenza personificata.
Bakugō strinse i denti così forte che avrebbe potuto romperli e scattò in avanti, aiutandosi con la spinta data dal suo quirk.
Scivolò sul terreno, spingendo rozzamente la giovane e riuscendo ad uscirne in prima persona illeso per un pelo; i fitti rami dell’albero sembrarono frenarne l’impatto, prima di sgretolarsi come granelli di sabbia al vento.
Katsuki si rese conto di star ancora stringendo il corpo della compagna di classe per proteggerla da rami e polvere, ma forte del suo stato di incoscienza non temette che potesse essere percepito come strano.
La sollevò con le braccia scrutandone un’ultima volta il volto e le mani, segnati da innumerevoli graffi e tagli; aveva un’espressione turbata e stanca, ma sarebbero bastate un paio d’ore da Recovery Girl per farla riprendere.
Ochaco sapeva dall’inizio come sarebbe andata e aveva voluto comunque provare a superare i suoi limiti, incarnando il “Plus Ultra” con una grinta anche superiore a quella del ragazzo, già motivato da una sua potenza innata; potenza di cui Ochaco, invece, non disponeva.
Le rivolse una smorfia a metà tra il fastidio e la comprensione, prima di volgere uno sguardo alla U.A. che si stagliava maestosa dalle cime degli alberi.
«Stupida Faccia Tonda.»

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Capitolo 2
*** II. Static - Sunny with 100% Gravity ***


Da: Faccia Tonda
Ore: 19:56
Ehi, Bakugō! Ho un favore da chiederti, posso chiamarti?

A: Faccia Tonda
Ore: 20:01
Solo se è una cosa veloce, Faccia Tonda. Mi sto allenando, non ho tempo da perdere con le stronzate.

Da: Faccia Tonda
Ore: 20:04
Grazie! Faccio subito, promesso!

A: Faccia Tonda
Ore: 20:16
Sarà la prima e l’ultima volta, intesi? Se racconti cazzate alle tue amiche sono fatti tuoi. E se ne fai parola con qualcuno ti incenerisco.

Da: Faccia Tonda
Ore: 20:19
Ehi, guarda che tu così ci hai guadagnato i miei appunti per sempre! L’appuntamento è domani alle 17 al bar, non fare tardi! Ciao ciaoooo!

Nonostante Faccia Tonda non sia tra le prime della classe, organizza gli appunti con precisione. Sfruttarla mi farà guadagnare del tempo per allenarmi. È solo per questo che lo faccio, non me ne frega niente di queste cazzate da ragazzine.
«Eccoti qui, Kacchan!»
Nell’udire la voce cinguettante di Ochaco, Bakugō interruppe il suo flusso di coscienza, smise di scorrere distratto i messaggi del giorno prima e ripose il cellulare in una tasca.
Quando alzò lo sguardo su di lei, sembrò non disprezzarne il vestiario: indossava una camicetta bianca piuttosto sbottonata, una gonna nera svolazzante e aveva legato i capelli con delle semplici mollette rosa. Al suo seguito c’erano due ragazze, le amiche della prefettura di Mie che per quella giornata avrebbero dovuto credere che Katsuki fosse il suo ragazzo.
Non sapevo che sarebbero mai venute qui, per questo ho detto di avere un ragazzo.
Loro hanno tutto e inoltre sono delle vere pettegole, non volevo fare una brutta figura.
Non ci sono né Deku né Iida domani, ti prego di aiutarmi, Bakugō!

Due settimane prima la richiesta di allenarsi insieme, poi il finto fidanzamento, poi venir chiamato “Kacchan”.
Nonostante stessero entrando in confidenza, non è che Ochaco si stesse prendendo il dito con tutta la mano?
Ad ogni modo poco importava, si trattava pur sempre di un affare: due ore di noia mortale in cambio di ritrovarsi la fatica dimezzata con lo studio per i prossimi tre anni.
«Ehi, Faccia Tonda. Sei in ritardo, dove cazzo eri finita?»
La brunetta trasalì, spalancando gli occhi.
Non che ci fosse da stupirsi, Katsuki Bakugō non si sarebbe potuto comportare diversamente del resto, però una parte di lei aveva sperato in un atteggiamento un minimo più consono alla situazione.
«Uhm… Lui è Katsuki Bakugō, il mio amato ragazzo! Ci siamo conosciuti qui alla U.A.!», ciangottò, prendendo con poca naturalezza il biondino sottobraccio.
«Ehm… Io sono Shiro e lei è Akemi, molto piacere. Vogliate scusarci un attimo», la più bassa delle due ospiti sorrise freddamente e afferrò la mano dell’altra; soffocarono un risolino e si defilarono all’interno del bar.
Che Ochaco fosse una pessima bugiarda era palese e la scarsa cooperatività del compagno di classe non fece altro che accentuare la situazione.
A quest’ultimo non sarebbe neanche importato più di tanto, se solo non avesse visto lo sguardo della ragazza abbassarsi ed intorbidirsi.
Stringeva forte un lembo della gonna ed iniziò a tremare, come se fosse potuta scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Per quanto poco cavaliere potesse essere Katsuki, sapeva di non poter continuare a vedere una persona che rispettava profondamente in quelle condizioni.
Si alzò dalla sedia ed entrò anche lui all’interno del bar per pagare quanto avesse ordinato in attesa delle ragazze e portare Ochaco via, ma delle voci familiari attirarono la sua attenzione.
«Hai visto, Shiro? Uraraka non solo non è tra i migliori della classe, ma gira ancora con quel telefono vecchissimo.»
«Vogliamo parlare del suo finto ragazzo? Che imbarazzo! Mi stavo chiedendo quanto lo avesse pagato, prima di ricordarmi quanto sia povera!»
Esplosero in una risata pressoché sincrona, prima di uscire e trovarsi il biondino davanti.
Sussultarono e restarono pietrificate di fronte a quello sguardo vermiglio e pericoloso.
«Cosa cazzo state dicendo di Uraraka, troie?», sbraitò, bloccando il passaggio di una delle ragazze piantando un braccio al muro, «È quella con più grinta e potenziale della classe e la sto allenando personalmente. Non me ne frega un cazzo di quanti soldi abbiate voi, dopo il diploma potrete solamente farle le scarpe. Ha un quirk eccezionale, sarà una grandissima eroina.»
Gli avventori del posto si voltarono verso di lui, alcuni spaventati da quella voce tuonante ed altri invece in preda all’ammirazione per il vincitore dello U.A. Sports Festival.
«Bakugō, cosa…?»
Ochaco sobbalzò alla vista degli occhi iniettati di sangue del compagno, eguagliabili solo a quando se la prendeva con Deku o Todoroki.
Nella poca lucidità ripensò alla loro battaglia al festival, agli allenamenti delle ultime settimane, addirittura al sorriso dolce e motivato della ragazza di quando riusciva ad utilizzare il proprio quirk su di lui; niente e nessuno avrebbe dovuto o potuto sminuire i suoi sforzi immani, non dinanzi a chi Uraraka la stava coltivando con cura come un’orchidea.
«Inoltre…»
Si girò verso di lei guardandola negli occhi con un’intensità quasi da brividi e le circondò i fianchi con un braccio, suscitandole un lieve sussulto.
«… è davvero la mia ragazza. E proprio perché le voglio bene non le permetterò di continuare a frequentare merda come voi.»
Lasciò scivolare la mano sul suo polso e la trascinò via, non senza incontrare un minimo di resistenza da parte sua.
Restarono in silenzio per un paio di centinaia di metri, prima di fermarsi in un viale affollato.
Si cercarono con lo sguardo per un lungo, interminabile istante.
Ochaco pareva cristallizzata, con una mano stretta sul petto e l’altra ancora stretta nella morsa del biondo.
«Faccia Tonda, promettimi…», quest’ultimo grugnì, rafforzando la presa, «… che non te la farai più con quelle bastarde».
L’eroina iniziò a tremare, ma non più dalla paura.
Il suo cuore viaggiava ad un numero di battiti inedito, quasi preoccupante.
Era la sua mano grande e forte intorno al suo polso esile, erano quei minuscoli rubini incastonati nelle sue pupille, era lui.
Ochaco Uraraka aveva appena realizzato che da Katsuki Bakugō non esistesse una via di fuga.

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Capitolo 3
*** III. Upstream - Cloudy with a chance of 1% Gravity ***


«Volevi vedermi?»
Bakugō si morse la lingua un attimo prima di cedere all’epiteto con cui aveva chiamato Uraraka negli ultimi mesi, come a decretare che non fosse più necessario.
Erano passate altre due settimane dall’inconveniente in caffetteria e si poteva considerare la loro un’amicizia a tutti gli effetti: continuavano ad allenarsi insieme tutti i giorni, studiavano insieme, passavano la pausa pranzo insieme. Non che il biondino avesse dimenticato Kaminari e Kirishima e non che la brunetta avesse dimenticato Tsuyu, Iida e Deku, la reciproca compagnia era un piacevole riempitivo.
Ad Ochaco tuttavia le parole “amicizia” e “compagnia” iniziavano a star strette.
Quanto successo nell’ultimo mese, soprattutto l’evento di due settimane prima e l’aver saputo da Recovery Girl di essere stata salvata da Katsuki durante il loro primo allenamento, aveva silenziosamente gettato le basi per un’infatuazione. E nonostante l’eroe vantasse un’intelligenza nettamente superiore alla media ancora non era ancora riuscito a capire il motivo per cui la ragazza avesse iniziato a comportarsi in modo pressappoco bizzarro. Si limitò a notare il suo essere un po’ più distratta a lezione e il fatto che ogni tanto quando si voltasse verso di lei ella sembrasse andare nel panico.
«Non muoverti. Chiudi gli occhi.»
La voce soffice e delicata della ragazza gli solleticò un orecchio, seguita subito da un suono metallico.
«Quelle sono…? Cosa cazzo vuoi fare!?», Bakugō fece per girarsi, ma Ochaco gli bloccò le spalle.
«Bakugō, ti fidi di me?»
Le sue parole erano dolci e al contempo serie, perfettamente dicotomiche.
Il giovane non le rispose, si limitò a rilassare i muscoli; si irrigidì di nuovo subito dopo, quando avvertì i freddi anelli d’acciaio stringersi su entrambi i polsi.
«Sì, sono le manette che porto all’allenamento, è per tenerti fermo. Mi hai insegnato tu a coglierti di sorpresa», ridacchiò, facendo perdere al suo timbro tutta la compostezza mantenuta con rigore fino a quel momento.
Katsuki si fidava di lei ed era perfettamente conscio del fatto che non gli avrebbe mai fatto del male — considerando che avrebbe potuto sciogliere le manette con il suo quirk in men che non si dica se solo avesse voluto. Decise di attendere in silenzio che piega avrebbe preso la situazione.
Una fioca luce rosa gli accarezzò di sbieco le guance, segno che Uraraka stesse armeggiando con la sua unicità alle sue spalle. Notò che non gli avesse toccato la pelle, ma le manette.
«Non ti spaventare, sto per farti fluttuare di due metri.»
Emise un profondo respiro e lo sollevò per le manette, suscitando il suo fastidio nonostante il preavviso.
Nonostante fosse arrivato il momento di dichiararsi, l’eroina tacque.
Si limitò ad osservarlo dal basso, forzando un sorriso malinconico per darsi coraggio ma restando ugualmente in silenzio.
Le parole le si fermavano in gola, come se avesse perso del tutto l’uso della voce.
Cosa avrebbe dovuto dire? Avrebbe dovuto girarci intorno? Essere diretta? Lasciar stare tutto e non dirgli niente? Avrebbe dovuto direttamente baciarlo?
Le possibilità erano infinite ma il tempo a disposizione no.
Bakugō sbuffò vistosamente e decise che fosse arrivato il momento di prendere le redini della situazione.
«Senti, so che non puoi usare il tuo quirk troppo a lungo senza sentirti male. E poi non voglio restare qui appeso, datti una mossa che mi sto rompendo il cazzo», esordì, sfidandola e manifestando un cenno d’apprensione sia per lei che per se stesso, «Tanto ormai ho capito cosa vuoi. Fallo e basta».
Sebbene non avesse colto i segnali precedenti, a quel punto era chiaro cosa gli volesse comunicare. Si tradì con un ghigno benevolo, indice del fatto che ne fosse quantomeno compiaciuto.
Ochaco si levò in volo per raggiungerlo, ad un palmo di naso dal suo volto. Ricambiò la sfida con un sorriso furbo e quasi sollevato nel ricevere una risposta così positiva ed invitante.
«Allora… chiudi gli occhi.»
Katsuki eseguì l’ordine senza batter ciglio, impaziente, e non ebbe neanche un attimo per formulare un pensiero prima che la ragazza gli schioccasse un bacio sulle labbra.
Fugace, delicato, morbido.
Forse un po’ troppo fugace.
«Ehi», protestò con uno sguardo torvo, «Se pensi che mi farò andar bene solo questo dopo essere stato appeso come un salame ti sbagli di grosso. Dammi un bacio come si deve, subito».
Nonostante si fosse visibilmente ammorbidito con lei nel corso dei mesi, Bakugō sarebbe sempre stato così intemperante e superbo.
Uraraka aggrottò le sopracciglia e appoggiò i pugni sui fianchi.
«E va bene, ma solo perché lo voglio io.»
Appoggiò nuovamente le labbra alle sue, schiudendole per cercare la lingua dell’amato con la propria, e venne accolta da qualcosa di simile ad un uragano.
Il contrasto tra il suo contatto delicato e quello irruente del ragazzo la colse di sorpresa, suscitandole un mugolio soffocato contro la sua bocca.
Nessuno dei due fino a quel momento aveva avuto modo di provare l’esperienza di un bacio, ma che fosse il modo giusto o sbagliato in quel momento non importava.
«Tolgo le manette, tienimi in volo.»
Bakugō iniziò ad armeggiare con lo strumento, dimostrando come per lui non avesse mai rappresentato un vero impedimento, e attese che Ochaco gli sfiorasse una spalla.
Con le mani finalmente libere, il ragazzo le cinse i fianchi mormorando un “Finalmente” e la avvicinò bruscamente a sé, avventandosi sulle sue labbra soffici come se avesse avuto fame per tutto quel tempo e avesse appena iniziato a mangiare.
Era troppo presto affinché Katsuki potesse prendere anche solo lontanamente in considerazione di fare qualcosa di così melenso come dichiararsi, ma almeno a se stesso non poté fare a meno di ammettere quanto la presenza di Ochaco avesse portato qualcosa nella sua vita; era il contrappeso di giovialità e leggerezza in una bilancia che aveva conosciuto solo rabbia e odio.
Tuttavia, per quanto potesse essere piacevole quel momento, c’era qualcosa che desirava ancor di più.
«Uraraka», la chiamò con voce roca, solleticandole le labbra con il respiro.
«Sì?», pigolò lei, spalancando le iridi mentre il cuore le perdeva un battito.
«Quando cazzo scendiamo da qui?»
Lo strepitio di Bakugō riecheggiò per tutto il campus della U.A..

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