Whose is who?

di _aivy_demi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Into the sea ***
Capitolo 2: *** Medikit ***
Capitolo 3: *** Skin on fire ***
Capitolo 4: *** Whose is who? ***



Capitolo 1
*** Into the sea ***




 



#Kinkybutnotreally challenge del gruppo H/C
Hurt/Comfort Italia – Fanart and Fanfiction – GRUPPO NUOVO
Prompt di Marica:
MARE
MINACCIA
SORPRESA

Situazioni dubbie e imbarazzanti in contesto H/C



 

Il progetto dell’ultimo programma creato dall’industria musicale era stato avviato nel migliore dei modi: la collaborazione di diversi gruppi di idol uniti in esibizioni comuni sul palco avrebbe portato a qualcosa di unico nel suo genere e sicuramente apprezzato dal pubblico. Choi San e Lee Felix avevano dato il meglio alle prove nonostante una iniziale diffidenza da parte di quest’ultimo, dividendo ambienti comuni, sale e palcoscenico. Gli allenamenti erano continui ed estenuanti, e alla proposta di un giorno di pausa per tutti gli artisti e lo staff fu accolta con crescente entusiasmo. Se l’erano meritato quel pomeriggio al mare, le spiagge sabbiose solitamente baciate dal sole tardo primaverile erano già godibili in previsione di una vicina estate afosa: non fosse stato per il cielo cupo, coperto, e le folate di vento improvvise, sarebbe stato un momento perfetto.
«Ehi, piccoletto, ti decidi a levarti la maglia e buttarti a mare, sì o no?» San si spogliò mostrando il fisico allenato con noncuranza, scuotendo i granelli dorati dalla chioma scura; trascinò la t-shirt oversize azzurro mare di Felix nel tentativo di sfilargliela ma aveva miseramente fallito. Correvano entrambi in direzione del mare che si stava gonfiando, il biondino davanti cercando di non inciamparsi sui propri piedi e San dietro, le braccia tese verso di lui, il sorriso furbo e ironico stampato sul volto accaldato; i piedi bagnati sul bagnasciuga li portarono verso le onde, cercando di muoversi a grandi falcate dove l’acqua ormai raggiungeva le ginocchia, salendo rabbiose contro le cosce e il busto.
Il tempo non prometteva affatto bene, nuvoloni scuri e roboanti si stavano avvicinando fin troppo rapidi, minacciando un temporale non indifferente. Felix ormai aveva l’acqua al petto ad inzuppare il cotone appiccicato alla pelle, quando venne colpito da un crampo al polpaccio: sbraitò prima di sentire la bocca riempirsi di acqua salata, agitata, improvvisamente gelida. La gamba aveva ceduto sulla sabbia instabile, in parte impossibilitata a muoversi agilmente a causa dei pantaloni che ancora stava indossando, ed era sprofondata sbilanciando il ragazzo all’indietro. San fu sorpreso di vederlo sparire sotto al flusso delle onde, corse in sua direzione acchiappandolo per le braccia e scuotendolo con forza fuori dall’acqua, certamente con più foga del dovuto: si ritrovò la testa bionda crollare sulle proprie spalle, le labbra tremule a sussurrare qualcosa di incomprensibile sputando liquido a più riprese. Gemette poi a voce alta Felix, il crampo ancora a molestarlo da una parte e San che continuava imperterrito a cercare di trascinarlo verso l’alto perdendo costantemente la presa e riacchiappandolo al volo.
Dalla spiaggia qualcuno li stava guardando perplesso, la chiara testa scarmigliata inclinata di lato a cercare di interpretare quegli ansimi lontani e i movimenti di dubbio gusto: Wooyoung, a insaputa del malessere del ragazzino e mosso da un insolito fastidio, trasse conclusioni coerentemente chiare su quanto potesse essere indecente copulare in acqua davanti a lui e al resto dei colleghi a poco più di qualche metro di distanza. Rise isterico soltanto quando i due, affannandosi nel recupero della spiaggia asciutta, mimarono ciò che era accaduto in un imbarazzato tentativo di palesare un alibi di cui non avevano bisogno.
Non loro, almeno.
Wooyoung rise ancora quando San acchiappò Felix per la maglietta completamente fradicia.
«Preso, finalmente!» Lo trascinò verso di sé strappandogli dalla testa il tessuto, strizzandone tutto l’eccesso di acqua sulla sabbia. «Ti prenderai un malanno così, asciugati un attimo prima di andare.»
Pelle pallida spruzzata di efelidi sulle spalle, un fisico minuto, asciutto, da ballerino, svettò di fronte agli occhi di Wooyoung, che voltò lo sguardo in direzione delle onde, teso. Felix rincorse San nel tentativo di recuperare la propria maglietta, inciampando sulla sabbia e maledicendo i granelli a solleticargli le piante dei piedi e le dita; correvano in circolo scatenando un’improvvisa ilarità tra i presenti, tranne Wooyoung stesso, ancora impegnato a levarsi dalla mente l’immagine impressa di un Felix curvo su se stesso, ricoperto di brividi da capo a piedi, mezzo nudo… i capelli increspati dalla salsedine attaccati alla fronte e sulle orecchie, gli occhi contrariati…
Quegli occhi…

«Woo? Dobbiamo andare, sbrigati, sta iniziando a piovere!»
Il colore di quegli occhi non l’avrebbe certo dimenticato facilmente.
E non solo quello.

 

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Capitolo 2
*** Medikit ***


 



 

#Kinkybutnotreally challenge del gruppo H/C
Hurt/Comfort Italia – Fanart and Fanfiction – GRUPPO NUOVO
Prompt di Blyth:
MICROFONO
ABRASIONE
POMATA

Situazioni dubbie e imbarazzanti in contesto H/C




L’allenamento intensivo degli ultimi giorni aveva spinto San a superare i propri limiti, arrivando a terminare il lavoro sempre più tardi tanto da raggiungere le docce degli spogliatoi completamente senza forze. Il ragazzo scaraventò in un angolo i vestiti madidi di sudore, si sarebbe impegnato a raccoglierli più avanti. L’importante era buttarsi sotto il getto dell’acqua bollente e levare via l’odore del parquet, della fatica e delle lezioni intensive dai capelli scuri e dalla pelle pallida, approfittando poi di una buona dose di pomata antinfiammatoria sulle spalle e al braccio destro, particolarmente stimolato negli ultimi giorni. Si recò rapido in camera, ciabattando furtivo con le solette di gomma umida dopo aver buttato in lavanderia i panni sporchi: lo sploch che accompagnava i suoi passi rimbombava in quello che pareva un corridoio completamente vuoto. Gioì di quella consapevolezza, non aveva granché voglia di incontrare qualcuno, ammise a se stesso sospirando. Dondolò sui talloni fermandosi nel momento in cui avvertì un passo disinvolto venire in sua direzione, e da dietro l’angolo destro sbucò il ciuffo biondo di Wooyoung, giusto accanto alla porta della stanza a letto; si bloccò, i buoni propositi di non farsi beccare andarono a farsi benedire così come il bisogno di poter riposare entro breve. Tentò di deviare il percorso ma scivolò con le solette sulle piastrelle e rovinò a terra imprecando in modo altamente colorito. Il collega si inginocchiò accanto a lui reprimendo a malapena una risata spontanea, aiutandolo ad alzarsi facendo trazione proprio sul braccio dolorante dell’amico: una seconda sequela di parole poco carine aveva accompagnato il gesto, San strinse i denti massaggiandosi i muscoli che bruciavano sotto alla pelle fresca di doccia, sentendosi tratto verso l’alto da chi lo stava trascinando all’interno della stanza senza troppa difficoltà.
«Possibile che non possa lasciarti solo per più di mezz’ora che rischi di ammazzarti? Sul serio? Dai, piazzati qui e fai silenzio.» Wooyoung non era nuovo a quel genere di trattamenti: capitava spesso a tutti loro di esagerare in allenamento e aver bisogno di un piccolo aiuto in gel per sopportare le sollecitazioni elevate alla muscolatura. Raccolse con disinvoltura il tubetto posto sulla scrivania a destra dell’entrata e invitò San a sedersi sul letto, gli si piazzò dietro allargando le ginocchia e accogliendolo tra le cosce avvolte in comodi pantaloni di tuta chiara, così da aver maggiore spazio di mobilità: spruzzò poi una dose abbondante di crema direttamente sulla spalla e sul braccio dell’altro, cominciando a massaggiare con vigore e finta noncuranza.
«Ahia…!» sibilò San tra i denti stretti, mordendo l’interno della guancia destra cercando di trattenere un altro gemito contrariato. «Lo fai apposta, vero?»
«Quanto mi conosci?» Continuava Wooyoung, accarezzando ora più docilmente il deltoide seguendone la linea fino al collo; insistette profondamente, la nervatura sembrava lottare contro il suo massaggio. Un più alto sibilo fuoriuscì dalle labbra strette dell’altro, stava tentando in ogni modo di non farsi sentire, non voleva certo fare la figura di chi non faceva altro che lamentarsi… anche se, di fatto, ci stava riuscendo benissimo.
«Oh, brucia tanto? Poverino.» Il tono canzonatorio lasciò il posto a due sopracciglia aggrottate sotto alla frangia bionda che ricadeva ormai disordinata sul volto improvvisamente serio. «E questo cos’è?» Wooyoung sfiorò la pelle del collo di San, giusto poco dietro l’orecchio, dove la zona era arrossata: dei graffi da sfregamento arrossati si mostravano su tutta la superficie.
Il moro si ritirò come scottato, il bruciore s’era fatto ancora più fastidioso ora che il braccio pulsava meno: tentò di rialzarsi dalle grinfie sadiche dell’amico che sorrideva meno, ma venne trascinato nuovamente sul morbido copriletto arancione.
«Non provarci nemmeno a scappare.» Wooyoung lo afferrò per un polso tenendolo fermo, mentre allungandosi nuovamente sulla scrivania non lontana dal letto rovistò a tentoni sulla superficie, spostandosi poi sui cassetti sottostanti alla ricerca di un disinfettante di cui era sicuro conoscere l’ubicazione – azione complessa, visto il divincolarsi dell’altro. Un sussulto di trionfo lo animò nello stringere tra le dita la boccetta. Più difficile fu recuperare qualcosa per accompagnarne l’utilizzo, e optò per un fazzoletto raccattato sempre sul mobile.
«No, no sta’ fermo, non provarci, ho detto. Cosa è successo?»
San bofonchiò qualcosa osservando il tappeto peloso di un giallo particolarmente brillante in cui aveva immerso i piedi, contandone ogni singolo filo per distrarsi: «dai la colpa a quel cazzo di microfono, durante le prove cantate della coreografia mi ha fatto ammattire.»
«E metterci un cerotto? Avvolgerci del nastro, fermarlo in qualche modo con un pezzo di scotch… Cristo, San, devo insegnarti io le cose? E pensare che sono anni che lo facciamo. Dove avevi la testa? Guarda qui, è tutto rosso… brucerà un po’, sappilo.»
«Certo che lo s…! Porca troia, ma stai scherzando? Tira via tira via tira via, brucia!»
«Stai fermo, cosa pensi di fare? Guarda che se ti agiti ti fa peggio, non ho ancora fin-» Wooyoung sentì mancare l’aria ai polmoni dopo uno scontro diretto con il gomito di San ben assestato sullo stomaco. «Ma si può sapere cosa fai?» Lo strattonò verso di sé schiacciandogli il volto sulla coscia, il naso a pochi centimetri dai lacci dei pantaloni.
«Qui, fermo.»
San non protestò e gemette ancora per il contatto con il liquido disinfettante, strizzando gli occhi e maledicendo la risolutezza del collega; gliel’avrebbe fatta pagare, certo, e con gli interessi.
«E non comportarti come un bambino, chi vuoi che ti veda, scusa?»
La porta della camera si spalancò e la zazzera bionda di Felix fece irruzione nella stanza: il ragazzo trasportava trafelato una cassetta del primo soccorso, mugugnando qualcosa come “sai, ho sentito che ti lamentavi del dolore durante gli allenamenti, quindi ho pensato ti sarebbe stato utile questo…” ma stoppò la frase nel sentir mugolare San con il volto schiacciato contro l’inguine di Wooyoung dalla stessa mano di quest’ultimo.
Il kit cadde a terra aprendosi e mostrandone il contenuto: una selezione articolata di bende, disinfettanti, cerotti, aghi e pinzette e un laccio emostatico ancora sigillato si rovesciò fino a raggiungere il tappeto colorato, così come era cascata la sensazione di utilità che aveva accompagnato i passi incerti e imbarazzati di Felix. Il ragazzo coprì con i palmi delle mani il volto che aveva assunto le più svariate tonalità dal carminio al porpora, indietreggiò colpendo lo stipite della porta e svanì nel corridoio, camminando ancora a ritroso.
San alzò la testa di scatto, sentendo un colpo terribile alla cervicale: aveva intuito cosa era accaduto dal tonfo della cassetta e dalle risate di Wooyoung. Avrebbe dovuto pensare a come scusarsi per la scena dubbia, ma aveva come l’impressione che all’amico lì presente non fosse certo dispiaciuta la cosa.

 

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Capitolo 3
*** Skin on fire ***


 




#Kinkybutnotreally challenge del gruppo H/C
Hurt/Comfort Italia – Fanart and Fanfiction – GRUPPO NUOVO
Prompt di Gi Weasley:
UNGHIE
AFFILATO
AFFETTO

Situazioni dubbie e imbarazzanti in contesto H/C





La tempesta della notte precedente fu l’ultimo inevitabile colpo ricevuto dopo piogge scroscianti, vento impetuoso e temperature più basse della media. Si era abbattuta feroce in tutta la città, non risparmiandosi affatto: i danni ingenti alle cantine e ai parcheggi sotterranei, senza contare gli innumerevoli allagamenti stradali avevano portato a un dispendio generoso di forze dell’ordine nel riorganizzare il traffico, scongiurare eventuali crolli e ristabilire dove possibile il riequilibrio del quotidiano.
Il palazzo in cui stanziavano i dormitori del gruppo non fu esente da tale violenza, anzi, il seminterrato era stato prontamente sistemato alla bene e meglio dai membri dello staff che si erano organizzati sobbarcandosi l’onere di evitare danni ulteriori, perdendo ore delle proprie vite ad asciugare, pulire, spostare e scaricare quante più cose possibili sul camion per la discarica. Si erano arrangiati come potevano, a nulla erano valse le chiamate alle autorità, le emergenze erano state divise per gravità e solo in ultimo in ordine di arrivo.
Felix e Wooyoung s’erano uniti al gruppo di gestione del trasporto di quella che ormai poteva essere definita immondizia, tanto che passarono ore ad accatastare e poi spostare di tutto verso l’esterno nel piazzale, lavorando come tanti altri con le schiene chine e i muscoli che urlavano dalla spossatezza e l’utilizzo pressante. Il furgone completamente carico lasciò lo spiazzo gremito in direzione della periferia, e con esso se ne andarono gli ultimi sforzi per liberare gli scantinati da inutili zavorre. Le strette di mano e i sorrisi forzati non si sprecarono, ognuno sapeva d’aver dato ciò che poteva e aver contribuito con grande senso del dovere al bene comune.
Felix si trascinò stancamente verso l’ascensore, ancora avvilito per l’accaduto, i chiari capelli spettinati e umidi, la sensazione di non credere ancora a ciò che aveva visto e a ciò che aveva dovuto eliminare: alcuni degli scatoloni presenti erano suoi, così come quelli degli altri membri del suo gruppo. Cose di scuola principalmente, ma anche vecchi effetti personali, qualche documento – ben pochi a dir la verità… tutto marcio. Wooyoung corse, trotterellando più che mantenendo un ritmo costante di velocità, bloccando all’ultimo l’ascensore: vi si infilò rapido sorridendo a colui che stava occupando il vano. Dondolava immerso nell’impermeabile catarifrangente che lui e il collega avevano recuperato dalla reception dello stabile, perdendo gocce liquide sul pavimento. Tentò pure di sdrammatizzare con un paio di battute con cui era solito intrattenere gli amici, ma il volto cereo di Felix mostrava soltanto un semplice concetto.
Non adesso, lasciami stare...
Il silenzio li accompagnò fino agli spogliatoi dove si sarebbero finalmente levati di dosso vestiti, nervosismo e delusione.


Wooyoung sapeva che la ferita all’avambraccio avrebbe bruciato, l’aveva tenuta nascosta come poteva ruotando leggermente l’arto verso l’interno così da non mostrare a nessuno il danno subìto. Il lieve gemito uscito dalle labbra al contatto con l’acqua calda era inevitabile, la pelle lesionata ardeva in modo infernale; il ragazzo strinse le dita a pugno conficcandosi le unghie nei palmi, tentando di trattenere il dolore e l’inevitabile fastidio. Le piccole fitte lo stavano aiutando a distrarsi nello sciacquar via il poco sangue raggrumato rimasto, contando su una provvidenziale disattenzione da parte di Felix che si stava lavando a un paio di metri di distanza. Ci sperava, ma sapeva sarebbe stato uno sforzo vano: memore dell’apprensiva emotività del collega dimostrata l’ultima volta in camera di San, non si stupì dell’intervento successivo. Due dita aggrappate al plexiglass opaco a dividere le docce attirarono la sua attenzione.
«Tutto bene?» La voce tesa del ragazzo si avvertì appena sullo scrosciare dell’acqua calda, ma Felix sapeva d’esser stato udito.
«Certo, sono solo stanco.»
Un breve assenso, e Wooyoung pensò con sollievo sarebbe finita così.
Invece no, come dimostrava l’altro nell’essere presente poco dopo in sala comune con lui, mentre tutti gli altri erano impegnati con le lezioni pomeridiane.
«Non molli, eh?» Sorrise comunque, rassegnato.
Felix si sedette sullo sgabello adiacente la penisola di legno levigato a dividere la sala dalla cucina, avvicinandosi con un paio di colpi di reni e rischiando di cadere: detestava quelle sedute così alte. «No, ti ho sentito lamentarti prima,» abbassò gli occhi scuri ad osservare la pavimentazione particolarmente intrigante in quel preciso istante, «volevo solo sapere se stessi bene, niente di più.»
Niente di più.
«Tutto a posto, grazie. Sei adorabile, sai?» Wooyoung bloccò un attimo il braccio a metà strada, pronto ad afferrare la sua mano tra le dita e stringerle in segno di gentilezza. Pensò solo in un secondo momento al significato di ciò che aveva detto, e ritirò l’arto ricostruendo un’espressione quanto meno equilibrata. «Cioè, grazie per esserti preoccupato, ecco.»
«Non sono scemo, comunque. Allunga il braccio.»
«Non serve, dai. Ehi, ehi Felix, ho detto che non… ahi!»
Le dita del ragazzo premettero all’altezza della ferita, dove la manica della maglia si tinse di macchie scure su più punti, rosso su giallo, sangue su cotone: impossibile da non notare. Felix parve sbiancare leggermente, non sopportava la vista di quel colore addosso a qualcuno. Senza dire più nulla arrotolò delicatamente il tessuto fino al gomito esponendo il risultato del lavoro delle ultime ore: escoriazioni al di sopra del polso e una ferita di tutt’altra natura poco più su.
«Come te la sei fatta?»
Wooyoung rispose con noncuranza: ci aveva fatto caso fino a un certo punto vista la mole di lavoro che ancora doveva essere smaltita nello scantinato. Se n’era accorto soltanto dopo aver visto una traccia scura sulla superficie di un vetro spaccato su più punti.
«È stato quando abbiamo spostato i frammenti delle finestre? Potevi avvertirmi, deve essere disinfettato.»
«No, guarda, lascia stare, fa niente. Sul serio, ehi… ehi?»
Felix era già sparito in bagno, seguendo il corridoio a ritroso dopo aver recuperato il necessario per pulire la ferita ed evitare ulteriori danni; si piazzò di fianco a Wooyoung, il tutto disposto ordinatamente sul tavolo pronto per essere utilizzato.
«Non ci vorrà molto.»
L’operazione durò pochi minuti, nulla più della pulizia e disinfezione e garze sterili disposte a strati sulla zona interessata; una nastrata a chiudere, e aveva finito.
«Avrei preferito bendarti, ma non so fare più di così.» Felix sembrava sinceramente avvilito per la scarsa capacità di medicazione che possedeva.
«Guarda che non mi casca mica il braccio, hai già fatto tanto. Grazie.» Sorrise Wooyoung. Era sinceramente grato a quel ragazzo che non conosceva di persona poi da molto, ma che aveva sempre rispettato nell’ambito della musica; Felix aveva nuovamente scostato lo sguardo da lui, cercando di rimettere a posto tutto distrattamente. «Hai la sindrome da crocerossina, per caso?» Rise divertito, aveva posto la domanda con leggerezza, non pensava di vederlo avvampare maggiormente; gli sfiorò la spalla richiamando la sua attenzione, concentrandosi un secondo di più su quegli occhi di un indefinito colore spruzzato da più sfumature scure e brillanti.
Staccati.
Wooyoung sembrò scottato dal suo stesso atteggiamento, ben più propenso a non mostrare alcun cambiamento nella sua reazione. Lasciò andare Felix e rimase seduto lì dov’era mentre lo vedeva allontanarsi barcollando per la spossatezza e l’ingombro degli oggetti che stava stringendo contro il petto. Cos’era stata quella sensazione di stranezza – imbarazzo – che lo aveva colto completamente alla sprovvista? Si accarezzò la garza pensando a quelle dita esili che si erano premurate di prendersi cura di lui, apprensive, forse troppo delicate, calde.


«Ehi?»
Wooyoung non fece nemmeno caso a una nuova presenza nella saletta, impegnato a cercare di focalizzarsi sui capelli chiari ancora umidi di Felix, capelli che ricadevano disordinati sulle sopracciglia e a coprire le orecchie – non aveva mai fatto caso ai due piercing che portava a quello destro, prima d’ora – e alle iridi così strane, di una tonalità che era sicuro non avrebbe mai rivisto da nessun’altra parte.
«Woo?»
E poi il rossore sugli zigomi ad accentuare le lentiggini che ricoprivano buona parte della pelle del viso – era raro per lui incontrare qualcuno con una pelle tanto chiara – lo aveva quasi messo a disagio. Perché arrossiva sempre così, Felix? In sala prove non aveva mai notato questa particolarità, neppure sotto sforzo.
«Ci sei?»
Una mano amica sventolò un paio di volte davanti a quello sguardo assorto.
«Woo?»
Wooyoung si risvegliò dalla disattenzione totale in cui si era rifugiato negli ultimi due minuti, riconoscendo San soltanto all’ultimo.
«Ho visto il ragazzino uscire di qui pieno di roba, si può sapere cosa è successo?»
«Niente di che, un incidente con una finestra.»
«Ti hanno insegnato che il vetro è affilato, vero?» San gli assestò un pugno sulla spalla, come a deriderlo ma senza vera malizia. «Quindi Felix ti ha curato ben bene, noto. Guarda che lavoro da maestro, io ti avrei schiaffato uno di quei cerottoni orribili con i disegnini e ciao. Ci tiene, si vede.»
Wooyoung cercò di assimilare le ultime parole dopo aver eliminato dalla testa la vista di un avambraccio tempestato di nastrate raffiguranti animali scemi dai colori improbabili.
«Dai, non ti ricordi l’altro giorno, quando ci ha beccati in camera e tu che tenevi la mia faccia vicino al tu-»
«Ho capito, non serve specificare, e allora?»
«La sua reazione non è stata… eccessiva, secondo te?»
Il ragazzo si picchiettò la guancia destra sovrappensiero: «no, non credo.»
«Woo, ha lasciato cadere a terra una valigetta, fatto rovesciare tutto quello che c’era dentro per coprirsi gli occhi. E ha camminato come un gambero per tutto il corridoio. Era viola in faccia, viola, non so se hai capito.»
Ricordava tutto, ma continuava a non comprendere dove volesse arrivare l’amico.
«Credo provi una qualche forma assurda di affetto per te.»

 

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Capitolo 4
*** Whose is who? ***


 




#Kinkybutnotreally challenge del gruppo H/C
Hurt/Comfort Italia – Fanart and Fanfiction – GRUPPO NUOVO
Prompt di Bloody Wolf:
CAMERINO
CADUTA
SVENIMENTO

Situazioni dubbie e imbarazzanti in contesto H/C




Il clima mite s’era ritirato già da un pezzo, lasciando il palcoscenico all’estate e a un caldo asfissiante, tremendamente umido. L’incessante utilizzo dell’aria condizionata era l’unico lasciapassare per la sala prove, costantemente occupata dai ragazzi che si stavano allenando per l’imminente esibizione – una delle ultime organizzate successivamente al programma di fusione dei due gruppi di idol. San e Wooyoung erano a conoscenza del fatto che dopo la conclusione del piccolo tour interregionale sarebbero dovuti tornare alla propria agenzia, riprendendo ritmi differenti in sale diverse e con altri insegnanti; erano stati chiari l’uno con l’altro, non avrebbero calato la qualità del lavoro per stanchezza o leggerezza, così da lasciare un bel ricordo nel cuore dei fan e soprattutto in quello dei colleghi.
E di Felix.
Essere ospiti non pesava affatto, da subito si erano trovati a loro agio senza subire ulteriore stress e questo anche grazie alla presenza costante del piccolo biondino che sbucava ovunque loro fossero. San una volta si confidò con l’amico riguardo alle continue apparizioni di Felix ma la cosa si concluse lì con un semplice «gli hai messo gli occhi addosso, per caso?» da parte di Wooyoung. Il certo che no pronunciato subito, di corsa, fece germogliare in Woo il sospetto che l’altro potesse effettivamente nutrire un certo interesse per il collega; non ci vedeva assolutamente niente di male, San era il suo migliore amico. Il problema di fondo, infatti, non era quello. Era proprio lui, e il fatto che Felix, dopo l’episodio della ferita al braccio, continuava a presentarsi con prepotenza nella sua testa.
I rossori, le parole balbettate, la disattenzione improvvisa che coglieva ogni gesto di una persona solitamente tanto precisa, erano segnali che avevano incuriosito particolarmente Wooyoung, tanto da portarlo a voler spendere quelle ultime settimane nel cercare di conoscere l’idol il più possibile. Non voleva risultare invadente ma era così facile incrociarlo per i corridoi, nelle varie stanze, in sala relax, ovunque.


«Ehi, piccoletto… dir- direi che per oggi, uff, abbiamo finito, che dici?» San ansimava per la stanchezza, i palmi delle mani a stringere le ginocchia piegate al di sotto dei pantaloni di tela grigia, la schiena inarcata che si alzava e abbassava coi ritmi serrati del respiro.
«La… la smetti di chiamarmi… così?» Le parole di Felix si scontravano in bocca con la mancanza di fiato, lottando per uscire e creare una frase di senso compiuto. Annaspava inghiottendo ripetutamente e il bordo della maglietta rossa improvvisamente sembrò stringersi sulla gola: l’ultima sessione degli allenamenti si era conclusa due ore prima ma loro si erano trattenuti per perfezionare una delle parti di punta dello spettacolo, lavorando su una serie rapida e complessa della coreografia. Il dispendio di energie era stato parecchio, ma entrambi sapevano quanto sarebbe stato importante concludere nel migliore dei modi il percorso che li aveva uniti sul palcoscenico.
Una scelta un po’ azzardata forse, dopo tanti estenuanti esercizi.
Felix si sbilanciò in avanti e cadde sulle ginocchia, trattenendosi in equilibrio soltanto con le mani aperte sul tiepido parquet: San si gettò su di lui sostenendogli il busto con un braccio e afferrandogli la spalla con l’altro, il solito sorriso strafottente strappato dal volto con rapida violenza.
«Tutto bene?» Il moro pareva agitato, più di quanto avrebbe voluto mostrare.
Felix si strofinò l’occhio in malo modo, la vista appannata non aiutava e le ciglia umide portavano il peso del sudore e non solo, alcune lacrime si stavano facendo strada senza apparente motivo.
«Piccoletto, mi stai facendo preoccupare…»
Stava tremando, accovacciato instabilmente sul legno, tentando di sollevarsi facendo perno sulla rotula, inutilmente.
«Aspetta, ti aiuto ad alzarti.» San era teso, non riusciva a capire cosa stesse accadendo: affaticamento, problemi di pressione, malessere? Qualunque cosa fosse, lo stava destabilizzando.
Il primo conato di vomito venne trattenuto a fatica. Felix incespicò un paio di volte sulle All Star nere prima di correre scoordinato verso la porta che dava agli spogliatoi, sperando in cuor suo di raggiungere per tempo il lavandino e rovesciare l’interno liquido dello stomaco in qualsiasi posto non fosse il pavimento. Riuscì ad aggrapparsi con forza alla ceramica bianca, i brividi a risalirgli voraci sulle vertebre e provocargli la pelle d’oca lungo braccia e gambe; gemette malamente, cereo in volto, poi cedette di nuovo a pochi centimetri dal tappo allentato dello scarico.
Cazzo.
San raggiunse poco dopo l’antibagno dello spogliatoio, sedendosi sulle panchine di legno che dividevano in due lo stanzone dalle piastrelle ocra consunte dal tempo e dall’uso: sospirò un paio di volte mentre i singhiozzi di Felix raggiungevano uno dopo l’altro i suoi timpani, minando il suo equilibrio e l’istinto che l’avrebbe portato ad abbracciare stretto l’altro e portarselo su quella stessa panchina, rannicchiato sul proprio petto.
Che stai pensando, proprio adesso? Fa’ qualcosa!
San si issò convinto delle proprie azioni e incurante di eventuali reazioni, sospinse la porta di legno scuro semiaperta per poi richiudersela alle spalle con delicatezza.
«Ehi…»
Va’ via
«Felix…»
Il diretto interessato non sollevò neppure il volto, era ancora rannicchiato sul lavandino.
«Ti serve qualcosa? Stai bene?» Che domanda del cazzo. Ritenta, si disse. «Posso fare qualcosa per te?» Già meglio, concluse.
La testa bionda si scosse da destra a sinistra, e da sinistra a destra. Nulla, avrebbe voluto dire Felix, solo lasciar stare, ma il sapore di succhi gastrici in bocca era tanto e tale che non riusciva a decidersi a parlare.
«Andiamo in stanza? Ti va?»
Una proposta forse accettabile, e il sì sussurrato alla terza sorsata d’acqua fredda rubata al rubinetto aperto fu sufficientemente udibile. Il ragazzo sentì una presa calda premere sull’avambraccio, e una seconda mano stringerlo alla spalla.
«Lasciati aiutare.»
Serrando occhi e mascella, così fece.
«Ce la fai?» San aveva scaricato il peso di Felix sul braccio, vedendolo barcollare e incespicare sui suoi stessi passi: aveva recuperato lo smartphone dalla tasca registrando un rapido messaggio vocale per poi rinsaldare la presa. Il corridoio pareva infinito, i due stavano superando le porte dei vari camerini, chiuse a quell’ora: all’esterno la luna sbucava solo in parte da pesanti nubi scure, cercando un’ultima volta di spiccare in cielo e illuminare a malapena la notte con lo spicchio che superava di poco il quarto. Gli altri ragazzi si erano già ritirati dopo aver cenato, come di consuetudine: San avrebbe scommesso su chi stava già aggrappato ai joypad delle consolle, o a guardare qualche film, oppure ancora a sorseggiare l’ultimo ritardatario caffè rigorosamente deca della giornata.
Ma non Wooyoung. No. San conosceva fin troppo bene le sue abitudini, visto che passavano le serate sempre comunque assieme a ridere, guardare programmi idioti o video virali sul portatile dell’amico. Incrociò le dita, sperando in un suo arrivo immediato. Fortunatamente il collega comparve di corsa dall’angolo destro nella biforcazione, inciampando quasi mentre virava in loro direzione, nel momento stesso in cui Felix si lasciò andare scontrandosi violentemente col pavimento duro, abbracciando suo malgrado il buio dietro alle palpebre e il gelo sotto al cotone dei vestiti.


«Cosa pensi dovremmo fare?» Wooyoung camminava in cerchio calpestando ripetutamente i propri passi in camerino.
Felix era collassato e lui e San lo avevano raccolto da terra per le braccia – non il modo migliore, ma l’unico a cui avevano pensato in fretta – per poi lanciarsi sulle porte di fronte, tutte uguali, contrassegnate da un numero in successione. Al terzo tentativo avevano trovato la porta aperta proprio perché Wooyoung si portava sempre dietro il mazzo di chiavi della stanza in cui alloggiava e del camerino dato in dotazione dall’agenzia: meno di dieci metri quadri sistemati in maniera ordinata, uno specchio a muro, un secondo con annesso un ripiano con cassetti, un paio di sedie accostate in un angolo e un divanetto a due posti, confortevole a sufficienza da lasciar ricadere su di esso Felix che respirava ancora a fatica. Il telo blu scuro del sofà faceva risaltare maggiormente il suo pallore evidente. San gli tolse le scarpe e sbottonò le tre chiusure della maglietta del ragazzo, intento poi a giostrarsi con i lacci dei pantaloncini chiari: stava tentando di sfilarglieli ma gli tremavano le dita.
«Si può sapere che stai facendo?»
Perché lo stai toccando così?
«Senti, Woo, sto togliendo tutti gli impicci possibili, qualsiasi cosa lo stringa o lo infastidisca va levato. Ha bisogno di spazio per respirare bene, giusto? Vieni, sfilagli la maglietta dalla testa, piano col collo, ecco, così.»
Felix era in mutande davanti a loro, il fiato corto leggermente meno pressante di qualche attimo prima, gli occhi a mezz’asta a guardare un punto imprecisato del soffitto bianco su cui svettavano i faretti a led regolabili.
«Woo, abbassa la luce.»
Obbedì quest’ultimo, giocando con il telecomandino recuperato dentro uno dei cassetti, a diminuire la gradazione di luce e colore, così da ferire il meno possibile la pazienza di tutti e gli occhi persi di chi era ancora steso. I due colleghi si guardarono nel silenzio della stanza.
«Sei arrossito?» San punzecchiò l’amico con un sorriso meno fresco rispetto al solito, «puoi anche mollarla quella maglia, sai? Non scappa.»
Wooyoung lanciò di scatto il cotone rosso che ancora stringeva tra le mani, atterrato malamente su una delle sedie presenti. «E tu che hai ancora in mano i suoi pantaloni? Sembri un maniaco.»
Risero tesi, la situazione non era certo delle migliori.
Il biondo si massaggiò le tempie, sedendosi sul pavimento accanto al divano, seguito a ruota da San: «mi spieghi cosa è successo? Perché se tra dieci minuti non migliora, io chiamo l’ospedale.»
L’altro raccontò brevemente dell’allenamento intensivo, dei cedimenti muscolari e del vomito, per poi passare allo svenimento avvenuto in corridoio giusto al suo arrivo.
Nessuno parlò più, solo i respiri che lavoravano a ritmi differenti riempivano la piccola stanza.
Il tempo parve dilatarsi mentre i due trattenevano il bisogno di riempire il silenzio con una conversazione qualsiasi, troppo impegnati a non voler disturbare Felix; il petto pareva essersi regolarizzato in quei pochi minuti, ma preferirono non fare domande e attendere fosse lui a interagire per primo.


Felix sentiva una strana quiete attorno, e una lieve fiacchezza addosso. Le luci nella stanza creavano uno strano assurdo effetto opacizzato attraverso le pupille, un miscuglio tra il viola, l’arancio e il giallo; non si pose nemmeno il problema del perché ci fosse un’atmosfera tale in un posto simile che tra l’altro non aveva ancora riconosciuto. Tentò di alzare un braccio, lo trovò intorpidito. Sapeva di aver esagerato nell’allenamento, ma non gli era chiaro come fosse arrivato lì: ricordava il pavimento della sala prove, il lavandino degli spogliatoi – quello sì, lo aveva stampato ben nitido in mente – e pure il lungo corridoio familiare dai muri grigi adiacente alle stanze occupate dai ragazzi.
Poi il vuoto, un vuoto fastidioso, non propriamente nero.
Felix voleva issarsi sui gomiti e ci provò pure, constatando quanto fosse comodo il posto dove si trovava steso. Fece fatica, inspirò e si ritrovò a sentir scricchiolare la schiena: strinse i denti e imprecò, aveva decisamente esagerato. Puntellato sugli avambracci torse il collo inghiottendo un paio di volte un sapore pastoso e acido, segnandosi mentalmente di non strafare più. Si grattò l’addome per poi rendersi conto di stare indossando soltanto le mutande e rimase ammutolito: dove diavolo erano finiti i suoi vestiti?
Doveva esserci una spiegazione, si disse, dalla bocca un respiro trattenuto per lo stupore. La testa vorticava, non era saggio per lui mettersi in piedi in quello stato. Si guardò attorno ancora assonnato, sicuramente aveva dormito e giudicando il silenzio nella struttura, doveva essere notte inoltrata: era un camerino, ne era certo, non il suo ma sicuramente in uso. Dovette impegnarsi in un grande sforzo per voltare il busto e trascinare i piedi scalzi sul pavimento – pure le scarpe erano sparite – e nell’appoggiare le piante a terra cozzò contro qualcosa. Trattenne appena un gridolino quando vide due figure accostate a quello che scoprì solo allora essere un divanetto. Si chinò con cautela riconoscendo nel ragazzo a destra Wooyoung, appoggiato con la schiena alla base del sofà, e in quello a sinistra San, scomposto con un braccio buttato sulla stoffa blu e le gambe spalancate.
Stavano dormendo.
Mormorò qualcosa in modo confuso, tentando di issarsi completamente.
Brutta idea.
Le ginocchia cedettero e cadde sbattendo sulle piastrelle, massaggiandosi il fondoschiena con vigore. Wooyoung scattò sbattendo le palpebre un paio di volte prima di ricordare come si chiamasse e dove fosse, per poi ammutolirsi e stringere convulsamente tra le braccia un Felix ancora fuori fase.
«Ma ch
«Mi hai fatto preoccupare da morire, cazzo…!» Woo non sapeva se l’avesse soltanto pensato o pure detto, non gliene importava granché. Immerse le dita nei biondi capelli spettinati dell’altro, portando il volto a pochi centimetri dal suo e pronunciando qualche parola biascicata per il sonno sull’incavo del collo di lui. Felix non seppe neppure come reagire, impalato come uno stoccafisso, gli occhi spalancati e una enorme sensazione di calore a scaldargli il petto e il corpo. La pelle d’oca che avvertiva non era data dal freddo, quelle labbra stavano mormorando sulla sua pelle e i brividi erano apparsi automaticamente.
A meno di un metro San voltò il capo nella loro direzione, mangiandosi un paio di sillabe che nascondevano un qualche significato sconosciuto a tutti e lui compreso, arricciando il naso e grattandosi lo zigomo arrossato dalla posizione scomoda: «la finite di pomiciare voi due? Vorrei dormiglieweou…» e collassò nuovamente.
Felix schiuse completamente le palpebre, le iridi illuminate da quelle parole: era impietrito, fermo, immobile, ghiacciato… avvertiva con chiarezza il battito del cuore all’impazzata e avrebbe pure tentato di scostarsi, non fosse stato per Wooyoung che si era addormentato così come era stato negli ultimi due minuti, abbracciato stretto a lui, come ad aver paura di lasciarlo andare.
«E adesso?» Sussurrò Felix a se stesso, conscio del fatto che nessun altro lo avrebbe sentito.

 

 

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