Dark Sirio

di _Atlas_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Intermezzo ***
Capitolo 12: *** Capitolo X ***
Capitolo 13: *** Capitolo XI ***
Capitolo 14: *** Capitolo XII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 16: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XV ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVII - Parte prima ***
Capitolo 20: *** Capitolo XVII - parte seconda ***
Capitolo 21: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 22: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 23: *** Capitolo XX ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXV ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo
 
 
  
  
 
 
«Com’è accaduto?»
«Indietro, restate indietro!»
«Era solo un ragazzo…»
 
 
 
 
 
Come un solitario corpo celeste attratto dal campo gravitazionale di un buco nero, ho spinto la mia esistenza sull’orizzonte degli eventi senza calcolarne il rischio, senza tenere conto delle conseguenze, e cioè che prima o poi la gravità mi avrebbe impedito di mettermi in salvo, intrappolandomi per sempre nell’oscurità.
Mi chiedo se non sia un caso che, in una notte come questa, non ci siano stelle.
Mi chiedo se sia possibile, in un universo alternativo, che al posto dell’ambulanza e degli agenti di polizia ci sia solo un gruppo di adolescenti, sbronzi e scanzonati, che gridano verso il cielo.
Mi chiedo se sia possibile, in quello stesso universo, vedere il ghigno soddisfatto sul volto di Jake mentre strimpella su una Fender Stratocaster un vecchio successo dei Clash.
Mi rispondo che sì, può essere possibile, ma io mi troverei sempre qui, davanti a un’ambulanza e agli agenti di polizia, davanti a un corpo esanime col volto sfigurato e sporco di sangue, risucchiato in un luogo lontano dal quale è impossibile fare ritorno.
 
È un luogo dove regna il caos e dove il battito del mio cuore si mescola al rumore della pioggia, alle sirene dell’ambulanza, a una voce che grida il mio nome e che mi impongo di ignorare.
 
«Axel!»
 
 
 
  
 _______
 
 
 
 
NdA
Ciao a tutti,
dopo quasi un anno e mezzo di lavoro più o meno costante, riesco finalmente a pubblicare il prologo di un progetto a cui tengo tantissimo e che mi fa piacere condividere con voi.
Il primo capitolo della storia verrà pubblicato a breve, e nelle note vi riporterò il link alla colonna sonora che mi ha accompagnato in questi mesi e che è strettamente legata alla vicenda; inoltre, come già segnalato negli avvertimenti, saranno presenti tematiche piuttosto delicate che rappresentano un po’ il fulcro della storia stessa, quindi vi chiedo, nell’eventualità, di prestare attenzione a questo aspetto della storia (e su cui mi chiarirò meglio con i prossimi aggiornamenti).
 
Detto questo, spero di avervi incuriosito e che possiate seguirmi in futuro; ci tengo inoltre a ringraziare _Lightning_, ovvero la mia beta, nonché amica, nonché sopportatrice instancabile di deliri, paranoie e altre mirabolanti stranezze della sottoscritta. Senza le sue minacce questa storia sarebbe ancora una bozza chiusa in un quaderno <3
 
E grazie anche a voi che vi siete fermati a leggere,
a presto!
 
 _Atlas_

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***



Capitolo I
 
 
 
  

 
 
21 gennaio 2015, New York City

 
Le iridi cristalline nuotarono nella penombra della stanza alla ricerca di un appiglio, di un qualsiasi dettaglio insignificante che lo avrebbe stappato dalla morsa del suo incubo.
L’eco delle sirene gli rimbombava ancora nella testa mentre passava in rassegna tutto ciò che incontravano le sue pupille: il lampadario a sospensione attaccato al soffitto, le imposte che affacciavano su una New York City ancora addormentata, il vecchio poster di Pulp Fiction attaccato alla parete. Dio, forse un Big Kahuna Burger1 gli avrebbe fatto resettare la memoria e spedire nei meandri dell’inconscio l’eco dannata di quell’ambulanza.
Un quadrante luminoso sul comodino gli ricordò che erano le quattro del mattino, un orario sconsigliato persino per un toast; e a pensarci bene non aveva neanche fame, voleva solo dimenticare, un’attività che negli ultimi diciotto anni gli era riuscita piuttosto bene, se non considerava troppo i suoi problemi d’ansia e le sue crisi depressive.
Con un gesto secco si scostò le lenzuola di dosso, scoprendo il torace nudo su cui ancora si intravedevano i segni degli allenamenti passati, e rimase seduto a bordo del letto in attesa di un’idea migliore.
Un quarto d’ora più tardi si ritrovò in cucina, in procinto di bere la prima tazza di caffè della giornata.
Il panico, se mai si fosse trattato di quello, si era ritirato in un’anticamera remota del suo cervello che avrebbe volentieri chiuso a chiave, eppure, quando sul tavolo del salone trovò il dodicesimo volume di Dark Sirio ancora fresco di stampa, non si fece troppi problemi a rendergli di nuovo il fiato corto.
Inspirò ed espirò lentamente, come quelle stupide sedute di meditazione gli avevano insegnato a fare, e a poco a poco riprese il controllo, anche se adesso avrebbe volentieri vomitato le viscere.
Pochi istanti dopo un dolce aroma di caffè si diffuse tra le pareti del suo attico, mettendo distanza tra lui e i suoi pensieri scomodi.
Il potere della caffeina reimpostò la normalità e per un po’ tornò ad essere semplicemente Axel Newell, un fumettista newyorkese di ottima fama, pluripremiato e acclamato da pubblico e critica di tutti gli Stati Uniti, con un passato travagliato dal quale era partito per mettere egregiamente a posto la sua vita.
O almeno così riportavano i titoli dei giornali, che dimostravano sempre un curioso interesse per la vita privata degli artisti, soprattutto se questi erano orfani, tormentati, o entrambe le cose.
All’ultimo piano di un grattacielo, dall’altra parte di Madison Avenue, riconobbe la sagoma di un uomo appollaiato al tavolo della cucina, insonne come lui e con una rivista tra le mani, e si chiese se stesse leggendo proprio qualche dettaglio insignificante della sua biografia, magari in vista della conferenza che si sarebbe tenuta da lì a poche ore al primo piano della Barnes&Noble2 sulla 5th Avenue.
Incrociò il proprio riflesso sulle vetrate a strapiombo sulla città e seguì il contorno spettinato dei suoi capelli e della sua barba, finendo per seguire le sue spalle appena incurvate verso l’interno, nell’atto di proteggere qualcosa o forse solo per estrema pigrizia. Fu distratto dalla luce rossa e intermittente della segreteria telefonica, che quasi di certo pregava di essere ascoltata da ore.
«Axel, ma dove ti sei cacciato?»
La voce spazientita della sua agente gli fece accartocciare il viso in un’espressione colpevole non appena schiacciò il pulsante di avvio.
«Non che la cosa mi sorprenda, intendiamoci, ma almeno la sera prima di una conferenza stampa gradirei che rispondessi al telefono.»
Axel preferì non chiedersi che fine avesse fatto il suo smartphone, anche se ricordava di essersi addormentato con la musica alle orecchie, quindi era probabile che a quest’ora giacesse con la batteria a zero raggomitolato tra le lenzuola.
«A ogni modo, la conferenza di domani è anticipata di un’ora, quindi diciamo che il karma ti ha giocato un brutto scherzo. Mi auguro che questo messaggio venga ascoltato prima di domattina, altrimenti credo scoprirai in ritardo il perché all’improvviso ti sei ritrovato a corto di un agente letterario.»
Ci fu una breve pausa, poi la donna riprese a parlare e concluse il suo messaggio: «Cerca di dormire,  domani quelli della New Douglas ti daranno filo da torcere. Buonanotte.»
Tipico di Loraine, in quanto agente era la donna più capace e specializzata che avesse mai conosciuto, ma in quanto essere umano era in grado toccare vette di perfidia estreme, e non solo perché aveva minacciato di tagliarsi fuori una volta per tutte, ma principalmente perché gli aveva appena augurato una buonanotte dopo un elenco di almeno sette notizie che non avrebbe mai voluto ricevere, prima tra tutte la presenza di giornalisti della New Douglas a una conferenza stampa a cui lui per primo non avrebbe voluto partecipare.
Sulla copertina lucida di Dark Sirio, appena sopra la figura di un uomo col volto sfregiato, primeggiavano in caratteri dorati il suo nome e il suo cognome. Non fu un caso che, leggendoli, l’ossigeno gli morì in gola  riportando a galla il sapore del caffè.
Si trascinò in bagno spinto dalla morsa del panico e con mani tremanti trafficò sulle mensole fino a quando non trovò il flacone di Diazepam3, con la confezione ancora integra abbandonata su un vecchio stereo. Litigò qualche minuto con la chiusura ermetica, dopodiché si portò in bocca un paio di pasticche, aiutandosi con l’acqua del lavandino per deglutirle.
Non seppe quantificare il tempo che trascorse davanti allo specchio; si perse nella sua stessa immagine come un Narciso di un mondo parallelo che ripudiava e detestava ogni lineamento del suo viso, finché non si ritrovò sotto il getto ghiacciato della doccia e Cecilia Ann dei Pixies come sottofondo.
 
 
 
 
 
______
 
 
 
Note:
1. Catena fittizia di fast food apparsa nei film di Tarantino, tra cui Pulp Fiction.
2. Una delle più famose catene di librerie degli Stati Uniti.
3. Psicofarmaco utilizzato per curare soprattutto i disturbi d’ansia.

 
 
 
 
NdA
Salve a tutti,
sono felice di poter pubblicare finalmente il primo capitolo di questa storia, sperando possa piacervi e accendere di più la vostra curiosità. Approfitto quindi per ringraziare le persone che finora hanno messo la storia nelle seguite e chi ha speso un po’ del suo tempo per darmi le sue prime impressioni. E grazie come sempre a _Lightning_ per il suo supporto costante <3
 
IMPORTANTE: come avrete notato inizia ad esserci qualche accenno su temi piuttosto delicati, qui riguardanti il disturbo d’ansia e l’utilizzo (in questo caso scorretto) degli psicofarmaci. Ci tengo a precisare che nel testo il punto di vista appartiene a una persona che NON prende seriamente il proprio stato di salute, ricorrendo a medicinali in maniera de tutto ERRATA e screditando rimedi in realtà spesso efficaci, come appunto la meditazione.
Qualora vi trovaste in una situazione simile, è bene rivolgersi a uno specialista.
 
Parlando invece di cose più leggere, qui di seguito vi allego il link di quella che considero la colonna sonora di Dark Sirio, a cui col tempo potrebbero aggiungersi nuovi brani:  Dark Sirio Soundtrack
 
Perdonate le note infinite, ma mi premeva molto chiarire alcuni aspetti di cui in ogni caso parlerò anche in futuro, onde evitare incomprensioni.
Grazie a chi è passato di qui, spero a presto con il nuovo capitolo! :)
 
_Atlas_

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***



Capitolo II
 
 
 



 
 
«Posso fingere un attacco improvviso di…non so, dissenteria?»
Una mano si adagiò con fermezza sul suo braccio e ancor prima che lo obbligasse a voltarsi, Axel riconobbe la presenza della sua agente a un passo da lui.
«Preferirei che fingessi di tenere alla tua immagine pubblica, almeno per un paio d’ore» gli intimò Loraine. Indossava un elegante tailleur color panna che metteva in risalto i suoi capelli argentati e la sua espressione signorile oscurata da un velo di fastidio.
«Vuoi dire alla tua immagine pubblica?» domandò Axel sollevando un sopracciglio.
«Precisamente» confermò la donna «Perciò niente battutine da liceale, niente citazioni di sitcom datate e…»
«Friends è sempre attuale, Loraine» la interruppe rischiando di strozzarsi con il chewing-gum che stava cercando di nasconderle.
«…e fai sparire quel chewing-gum, per l’amore del cielo» concluse. I suoi occhi nocciola lo squadrarono minacciosi e come sempre Axel ebbe la fugace visione di una madre esasperata per il comportamento del figlio.
«Hai trenta secondi, dopodiché salirai su quel palco e ti comporterai da adulto. Intesi?»
Girò i tacchi senza aspettare risposta e Axel la seguì con lo sguardo fin quando non sparì dietro gli scaffali dedicati ai classici del genere fumettistico. Tra un volume e l’altro intravide i giornalisti in attesa del suo arrivo, con Thompson e McNeill della New Douglas in prima fila con lo sguardo soddisfatto di chi già sapeva in che modo ribaltare la buona riuscita di quella conferenza.
Qualcosa fece scattare il pulsante di emergenza nascosto nell’anticamera della sua testa e all’improvviso  fu come essere torturato da due persone diverse nello stesso momento: una che gli tappava il naso e un’altra che gli riempiva la bocca con cucchiai di sabbia.
Cercò di regolare la respirazione, ma l’applauso che si scatenò nella sala gli ricordò che era il momento di entrare in scena.
 
 
 
*
 
 
 
L’ossigeno riprese a circolargli nei polmoni un po’ alla volta, anche se la sabbia che aveva in bocca adesso si era trasformata in colla, impedendogli di rispondere con scioltezza alle domande del pubblico.
Loraine, seduta al suo fianco davanti a un grande tavolo rettangolare, gli allungò un bicchiere d’acqua che scolò come se non bevesse da anni, ma servì a poco e qualche giornalista decise di approfittarne.
Quando il microfono andò nelle mani di Robert Thompson, Axel serrò d’istinto la mascella.
«Signor Newell, non crede che questo volume contenga scene piuttosto esplicite per il suo pubblico? I ragazzini tendono ad immedesimarsi nei personaggi che amano e non sono sicuro che immedesimarsi in un pluriomicida sia una buona cosa. Qual è la sua opinione?»
«La mia opinione?» prese tempo Axel, versandosi un altro bicchiere d’acqua.
Il giornalista accavallò le gambe e lo squadrò con curiosità, pronto a cogliere ogni sfumatura della sua risposta.
«Uh, io non credo che i ragazzini siano così imbecilli» rispose alzando appena le spalle «A differenza forse di qualche adulto.»
Sentì Loraine sospirare al suo fianco, ma al momento era concentrato a mantenere regolare il suo respiro e a non cadere nella trappola del giornalista.
Quello sembrò soddisfatto della sua risposta, ma portò avanti la discussione.
«Sicuramente il pubblico giovanile apprezzerà questa sua dichiarazione, ma ciò non toglie che Dark Sirio abbia raddoppiato le sue scene di violenza esplicita, per non parlare della presenza di tematiche delicate quali droga, sesso, alcol…Potrebbero vietarlo ai minori di diciotto anni, ci ha mai pensato?»
«Be’, a dire il vero no» ammise Axel, prendendosi qualche momento per riflettere «Ma non è un problema che mi riguarda, ad essere onesti.»
«No?» chiese Thompson sollevando un sopracciglio «Le vendite si dimezzerebbero»
«Saremo pronti a correre questo rischio, nell’eventualità» si intromise Loraine, che aveva previsto un attacco simile da parte della New Douglas.
Axel gliene fu grato, anche perché aveva perso di nuovo il controllo sul respiro e si sentiva la testa leggera.
«Signor Newell» intervenne a quel punto Clark McNeill, a cui il collega aveva passato il microfono «C’è una questione che da diverso tempo mi preme chiarire: ormai sono diciotto anni che seguiamo le avventure di Damon Rivera – o Dark Sirio, come è più noto – e il suo desiderio di vendetta è diventato insaziabile. Perciò mi chiedo, arriveremo mai a un epilogo o siamo destinati a rincorrere una giustizia utopica?»
La colla nella bocca di Axel divenne cemento e per lunghi istanti non sembrò in grado di reagire. Rimase fermò a riflettere sul significato di quelle parole e sulle sfumature che soltanto lui in quella sala era in grado di cogliere e che erano oscure persino a chi gli aveva appena rivolto la domanda.Provò a deglutire, ma era come se un nodo invisibile gli si fosse piantato in gola.
Loraine doveva aver colto parte del problema, perché gli sembrò che lo stesse guardando preoccupata con la coda dell’occhio.
«Vuoi rispondere?»
«Sì…sì, tranquilla» mentì, riuscendo persino a sorridere. Si schiarì la voce e si avvicinò al proprio microfono.
«Credo…sì, Dark Sirio avrà senza’altro un epilogo, ma ecco…è difficile dire quando questo accadrà» rispose con voce graffiata, come se le corde vocali faticassero a fargli pronunciare quelle parole.
«Me ne rendo conto,» valutò il giornalista, per nulla pentito di averlo messo in difficoltà e quasi lieto di poterlo fare ancora «ma vendicare la morte di una persona è una soluzione narrativa che può durare un paio d’anni, non di più. Il suo eroe invece sembra quasi ossessionato dal suo obiettivo, come se fosse una questione tra se stesso e il suo alter ego, e non più una legata all’assassinio del suo amico. Mi sbaglio?»
Le vertigini avevano assalito Axel molto prima che il giornalista finisse la sua domanda, facendo ondeggiare gli scaffali e le pareti della libreria e sdoppiando i volti delle persone che adesso lo guardavano sconcertate.
«Si sente bene?»
«Signor Newell?»
Qualcuno gli sfiorò il braccio, ma lui lo ritrasse come se si fosse scottato.
«Axel?»
 
 
 
L’acqua ghiacciata lo riportò alla realtà senza però fargli ricordare come diavolo ci fosse arrivato nelle toilettes della Barnes&Noble. Continuò a sciacquarsi la pelle accaldata del viso riprendendo poco a poco a respirare, una routine semplice ma funzionale che aveva acquisito col tempo. Acqua fredda e respiri profondi, e prima o poi il panico sarebbe svanito.
Quando sollevò il viso per guardarsi allo specchio, i suoi occhi incrociarono la figura esile di Loraine, alle sue spalle, con le braccia conserte e un’espressione a metà tra il preoccupato e il nervoso.
«Stai meglio?»
La carta assorbente gli asciugò solo parte del viso, poi finì dritta nel cestino dell’immondizia.
«Sto meglio, sì. Torniamo dagli sciacalli?»
Loraine gli bloccò la via di fuga prima che raggiungesse la porta e lo guardò severa.
«Dimmi che prendi ancora le medicine.»
Le sue parole gli provocarono una debole fitta al centro del petto che si costrinse ad ignorare.
«Prendo ancora le medicine» la accontentò con voce piatta, ma conscio che non se la sarebbe bevuta.
«Axel, si tratta della tua carriera, nonché della tua vita. Lo capisci questo?»
«Lo capisco, ma ad essere sincero non so se m’importa. Ora possiamo andare? Devo finire di rovinare la mia carriera, nonché la mia vita» disse acido, cercando di superarla. La donna però lo fermò di nuovo e stavolta c’era un’ombra di rabbia a scurirle il volto.
«Sta’ a sentire, Axel, non mi interessa della tua vita privata, ma la mia carriera dipende anche da te e se non intendi collaborare sarò davvero costretta a tagliarmi fuori. Siamo intesi?»
«Non posso controllare i miei attacchi di panico» le rispose a quel punto con foga «soprattutto se ci sono Cip e Ciop a pungolarmi l’inconscio con un taglierino!»
«La New Douglas ti attacca da anni! Ormai dovresti saperlo che il loro obiettivo è affondare la tua immagine e ogni volta sembra che tu voglia aiutarli a farlo.»
Axel si strofinò gli occhi con i polpastrelli cercando mentalmente una via di fuga. Non la trovò, e alla fine si arrese.
«Ho dormito male, stanotte. Si può dire che non abbia dormito affatto e sì, forse dovrei prendere seriamente la faccenda degli attacchi di panico e farmi prescrivere dei medicinali più…funzionali.»
«Basterebbe prenderli, Axel. E magari parlare con qual-»
«Per favore no.» la bloccò all’istante, «Non dirlo. Non parlerò con uno psicologo,  né con uno psicoterapeuta o un guru della meditazione. Prenderò le medicine del buon umore e cercherò di trattarti meglio, dopodiché infiocchetterò un epilogo per la New Douglas e mi dedicherò alle illustrazioni per bambini. Che ne pensi?»
«Della tua salute mentale o del tuo sarcasmo inappropriato?»
Loraine cercò di mantenere la sua espressione severa, ma ad Axel non sfuggì il lieve sorriso che le inclinò appena le labbra verso l’alto. Suo malgrado sorrise anche lui.
 
  
*
 
 
Una luce grigiastra lo accolse non appena varcò la soglia di casa. Le vetrate che affacciavano sulla Madison erano decorate con minuscole gocce di pioggia e di tanto in tanto riflettevano il bagliore di qualche fulmine di un temporale in avvicinamento.
Per un momento pensò di essere stato trasportato in una vignetta di Dark Sirio, o forse erano solo i postumi delle conferenza stampa più disastrosa della sua vita e dello scarso entusiasmo generale per ciò che aveva presentato.
Quel giornalista della New Douglas aveva ragione, Dark Sirio aveva bisogno di un epilogo; lui, invece, aveva bisogno di ricalibrare la sua vita e darle di nuovo un senso, o quel buco nero nel quale era sprofondato lo avrebbe spinto ancora più a fondo, risucchiandolo per sempre nel labirinto oscuro dalla sua mente.
Il materasso accolse i muscoli stanchi del suo corpo non appena vi si buttò sopra a peso morto. Era esausto, e l’idea di passare altre due settimane saltando da una libreria all’altra per incontrare altri giornalisti, fotografi e per lo più giovani in attesa di una sua firma gli faceva contorcere lo stomaco, soprattutto dopo la sua perfomance di quel mattino.
I giornalisti della New Douglas erano rimasti sconcertati quando si era ripresentato in sala, stordito e pallido come un cencio, probabilmente annotandosi di riportare anche quell’ episodio tra una critica e l’altra del loro prossimo articolo. La cosa non avrebbe stupito Axel, che era ormai abituato al trattamento che riservava per lui quella testata giornalistica e in particolare Thompson e McNeill; agli esordi della sua carriera lo avevano osannato come avrebbero fatto con un ragazzo prodigio, mentre adesso si divertivano a scrivere pettegolezzi sul suo rapporto con Loraine Armstrong, tutto ciò aggiunto ovviamente alle critiche feroci e spesso poco argomentate su ciò che negli anni lo aveva affermato come uno dei fumettisti più amati dal pubblico.
Smise di rimuginare su quelle questioni solo quando si rese conto di avere lo sguardo incollato al soffitto da almeno venti minuti. Si sarebbe dovuto alzare, farsi una doccia e dormire, soprattutto dormire, invece rimase lì, fermo, a rimuginare ancora.
L’eco dell’ambulanza gli risuonò ancora nella testa e non sapeva se era reale - mentre sfrecciava veloce lungo la Madison - o frutto della sua immaginazione vulnerabile.
 
 
 
 ______
 
 
 
 
 
NdA
Buonasera a tutti :)
Riesco ad aggiornare con puntualità con un capitolo ancora di stallo ma che contiene già molte allusioni a ciò che verrà affrontato più avanti; un passo alla volta e presto vi troverete nel cuore della storia (già dal prossimo capitolo ci saranno richiami più evidenti al passato di Axel).
 
Ringrazio tantissimo chi finora è passato di qui, chi per leggere e chi per commentare: non mi aspettavo di ricevere recensioni e sapere che abbiate speso del tempo per darmi la vostra opinione è per me un grande incentivo per continuare a scrivere, quindi grazie grazie grazie <3
Uno spupazzamento virtuale come sempre va alla mia beta _Lightning_ (se amate Star Wars e l’universo Marvel passate assolutamente dal suo profilo, è un ordine).
 
Un saluto affettuoso e al prossimo aggiornamento!
 
_Atlas_

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 
 
 


 
 
7 Gennaio 1997, Mismar (Georgia)

«Sono cinque dollari e sessanta» scandì Axel dopo aver battuto in cassa un flacone di detersivo e una confezione di guanti in lattice. La signora Brown, sforando di dieci minuti l’orario di chiusura del locale, prese a trafficare col suo portafoglio alla ricerca di qualche moneta e Axel ne approfittò per cambiare stazione radiofonica, smanettando sullo stereo alle sue spalle e interrompendo la sequenza di cattive notizie trasmesse dalla NPR. Fermò la sua ricerca quando riconobbe un pezzo degli Smashing Pumpkins tra una frequenza e l’altra, e un attimo dopo nel piccolo alimentari di Earl si sparsero le note di 1979.
«Tieni, ragazzo» lo richiamò la signora Brown, guardandolo spazientita mentre gli allungava una manciata di monete. Non era una novità che la donna fosse di cattivo umore, ma era già tanto che non si fosse lamentata, come suo solito, dei prezzi in aumento del negozio, che in realtà erano gli stessi di quando vi era entrata per la prima volta, circa cinque anni prima. Earl, il proprietario, aveva smesso di rispondere ai suoi reclami già da tempo, incassando le sue critiche e pregando Axel di fare lo stesso, tanto, sosteneva, era come convincere un cieco che l’erba fosse verde e non rosa shocking come l’aveva sempre immaginata. Una similitudine piuttosto bizzarra, riteneva Axel, ma Earl non era mai stato un tipo che la gente comune definirebbe “normale”, quindi annuiva e obbediva agli ordini.
Aveva iniziato a lavorare nel suo negozio un paio di anni prima, quando la morte di suo zio Davis lo aveva obbligato a rimboccarsi le maniche e aumentare il suo conto in banca per pagarsi bollette e tasse universitarie. Lo stipendio non era certo altissimo, ma aggiunto ai suoi risparmi gli permetteva di sopravvivere senza tirare troppo la cinghia.
La signora Brown nel frattempo aveva lasciato il negozio e Axel era già in procinto di chiudere la cassa e abbassare la saracinesca, quando il campanellino alla porta d’ingresso anticipò l’entrata di altri clienti.
«…e poi ci sarà anche Angie Sanders, non hai davvero nessun motivo per darmi buca» squillò contrariata una voce maschile. Axel stava per informare il ragazzo ancora fermo sulla soglia  che da lì a poco avrebbe chiuso, ma la cascata di capelli rossi che comparve dietro di lui gli incollò la lingua al palato lasciandolo a corto di parole.
«Angie Sanders? Quella per cui ho rischiato di finire in galera per colpa di quindici grammi di erba?»
Axel si accorse di avere gli occhi fissi su di lei solo quando la giovane volse lo sguardo nella sua direzione, forse per accertarsi che chi era dall’altra parte non avesse sentito le sue parole . Il suo aspetto decisamente poco austero parve tranquillizzarla, quindi gli rivolse un sorriso e tornò a girarsi.
«Sì, proprio lei,» confermò il ragazzo scrutando con attenzione le poche corsie del negozio «ma pare che abbia smesso di infrangere la legge. Ehi, ma non hanno gel per capelli, qui?»
«Pare? Mi ha infilato di nascosto dell’erba nella borsa, se mi avessero beccata…»
«…ti saresti fatta un paio di notti al fresco, ma invece sei ancora pulita e ti sei persino fumata un po’ di roba buona senza pagare. Direi che quella che ci ha rimesso è lei, no? Comunque non posso credere che non abbiano il gel, come accidenti faccio domani?»
«Tu sei tutto scemo, Jake» gli rispose la ragazza prendendo un barattolo di gel da uno scaffale e piazzandoglielo in mano.
Da dietro la cassa, Axel li sentiva battibeccare animatamente senza avere la forza di avvisarli sulla chiusura del negozio. C’era qualcosa, nel rivolgersi ai suoi coetanei con addosso un grembiule da cassiere, che lo metteva terribilmente a disagio; non che in genere fosse un ragazzo molto loquace, ma spesso pensava che quel grembiule avesse su di lui un effetto del tutto opposto a quello che il costume di Spider-Man aveva su Peter Parker.
Nel frattempo l’orologio in cassa segnava le venti passate e Axel tirò un sospiro di sollievo quando vide i due clienti avvicinarsi per pagare. Il primo stava ancora cercando di convincere la ragazza a seguirlo da qualche parte.
«Cosa non ti è chiaro della parola “no”
«Ssst, ascolta» le disse lui mettendole un indice sulle labbra mentre lei posizionava gli acquisti sul nastro della cassa «Smashing Pumpkins. Suoneremo anche questi domani. Sicura di non voler venire?» ammiccò accennando alle ultime note di 1979.
La giovane gli scostò le dita dal volto e portò gli occhi al cielo volgendo ad Axel un sorriso esasperato.
«Puoi fare in fretta? Prima vado a casa e prima mi libero di lui.»
Impacciato, ricambiò il sorriso e l’idea di dirle che avrebbe dovuto chiudere almeno un quarto d’ora prima svanì proprio come era arrivata.
«Oh, andiamo!» si lamentò il ragazzo. Col giubbotto di pelle e i capelli raccolti in un ciuffo che gli pendeva sulla fronte, sembrava appena tornato da una passeggiata negli anni Ottanta. « È il mio primo concerto dell’anno, mi farebbe piacere avere un po’ di sostegno da parte tua. Tu che ne pensi? Non ho ragione?»
Il cuore di Axel sobbalzò un paio di volte quando si rese conto che quelle domande erano rivolte a lui.
«Io? Uh, non vi stavo seguendo…» mentì abbassando lo sguardo e affrettandosi a passare sul ricevitore il barattolo di gel e una confezione di Doritos  «Sono tre dol-»
«No, aspetta» lo fermò il ragazzo «Puoi darmi anche un pacchetto di Lucky Strike? Rosse, se ce l’hai.»
Axel annuì e iniziò a trafficare sullo scaffale al suo fianco, mentre i due riprendevano a parlare.
«Non c’è bisogno che importuni la gente per convincermi a venire, sai?»
«Lo faresti anche tu se fossi la chitarrista di una band che intende sfondare.»
«Quindi il successo dei Losers Club dipende da me? Cielo, siete messi bene!»
«Sono otto dollari» si intromise Axel dopo aver battuto in cassa le sigarette e iniziando a sentirsi a disagio. Per fortuna la loro discussione sembrava essere giunta a un punto morto, con una vittoria schiacciante per la giovane ragazza dai capelli rossi.
«Fa’ come ti pare» borbottò il suo amico «ma sappi che quando aprirò i concerti dei Pearl Jam non ti venderò nessun biglietto sottobanco.» Fu con orrore che Axel lo vide avvicinarsi al suo grembiule per leggervi il suo nome sull’etichetta: «Ti chiami Axel, giusto? Stessa cosa vale per te, ma se dovessi cambiare idea il concerto inizierà domani sera alle dieci, nello scantinato del Lenox Blues. Hai presente? Non è lontano da qui.»
Distratto dai battiti fuori tempo del suo cuore, Axel ebbe giusto il tempo di ricordare i lineamenti afroamericani di un signore sulla cinquantina da cui ogni tanto andava a bersi un paio di birre; sua moglie, Margaret, era la proprietaria ufficiale del Lenox Blues, il locale più ambito dalle band emergenti di Mismar.
«Piantala di spaventare la gente, Jake» si scusò per lui la ragazza, pagando in fretta il conto per entrambi e rivolgendo ad Axel un lieve sorriso «Grazie per la pazienza, la prossima volta lo costringerò ad aspettarmi fuori» aggiunse a mo’ di scuse.
Axel non rispose e si limitò a ricambiare il sorriso, dopodiché li vide entrambi allontanarsi dal locale accennando un ultimo saluto con la mano.
«Au revoir!» gli urlò da lontano Jake.
 
 
 *
 
  
Nel vecchio sottotetto di zio Davis il picchiettio della pioggia proveniente dalle tegole era l’unica compagnia sonora di Axel, dalla quale a poco a poco si lasciò avvolgere del tutto.
La polvere di carboncino aveva lasciato l’impronta delle sue dita accanto al volto spigoloso di Damon Rivera; Axel ricalcò con cura il solco tra le due sopracciglia e gli zigomi alti che accentuavano l’espressione tesa del suo personaggio, un ex avvocato nelle vesti di un anti-eroe che inseguiva la mafia americana cercando vendetta. Dark Sirio agiva di notte smascherando i criminali di una New York distopica,  depressa, lontana anni luce dal sogno americano che l’aveva alimentata per anni; una città che aveva annientato la speranza di chi credeva nel futuro, abbandonandolo nell’oblio o nelle mani di chi non lo avrebbe lasciato vivere tanto a lungo.
Così era morto anche Kai Alden Arp, ucciso dal proiettile di una Heckler&Koch P7 destinato al suo amico Damon.
Axel aveva dedicato mesi alla stesura di quella trama, ma a volte sentiva ancora l’impulso di cancellarla interamente e ripartire da capo, cancellando passaggi poco originali o troppo complessi da raccontare per mezzo di un disegno. Anche adesso, sepolto da migliaia di bozze alla luce di un neon sull’orlo del collasso, provò l’impulso di stracciare tutto e abbandonare definitivamente il progetto.
 
 
 *
 
 
21 gennaio 2015, New York City
 
Diciotto anni non erano serviti a cancellare quell’ impulso post-adolescenziale e a tratti sembrava persino che ce l’avessero messa tutta per rafforzarlo, anche se gli eventi sembravano andare sempre nella direzione opposta.
Quei primi giorni del ’97 Axel li ricordava confusi, caotici, privi di quell’abitudinaria realtà che aveva sempre vissuto. Allora non ci aveva prestato molta attenzione, ma adesso percepiva in modo perfettamente chiaro quanto ogni piccolo evento di quei giorni, persino il più insignificante, gli stesse a poco a poco facendo imboccare la strada che lo aveva condotto dove si trovava adesso.
I capelli rossi di Jenna, quel pacchetto di Lucky Strike, l’invito a un concerto che aveva deciso di ignorare; i primi bozzetti di Dark Sirio e il concorso indetto dalla C.A.M., quello che gli aveva reso la vita un piccolo paradiso alimentato dalle fiamme dell’inferno.
«Non posso credere che frequentiamo lo stesso istituto, com’è possibile che non ci siamo mai incrociati?»
La voce di Jake aveva sempre lo stesso suono quando la necessità di ricordarla superava la voglia di dimenticarla per sempre. Era allegra, scanzonata e sempre piena di gentilezza, tutte qualità che erano aumentate quando si erano scoperti colleghi di università. Di quel momento Axel ricordava l’angoscia di essere riconosciuto come il commesso sfigato di un mini-market e di come Jake non sembrasse affatto sconvolto da quel particolare, ma semplicemente lieto di averlo incontrato.
Se solo fosse stata una persona più attenta, perspicace, avrebbe colto subito tutti i segnali che Jake aveva lanciato involontariamente nell’inconscia speranza che qualcuno potesse comprenderli, ma già in quel momento, intorno a loro, la forza di gravità era talmente potente che Axel non aveva avuto il tempo di rendersi conto che ad attenderlo all’orizzonte c’era qualcosa di molto diverso da ciò che immaginava.

 
 
 
______
 
 
Note:
1. La NPR (National Public Radio) è un ente indipendente americano che realizza programmi radiofonici trasmessi a livello nazionale.
 

 
 
 
 
NdA
Buonassssera :D
Con un po’ di ritardo, ecco il salto nel passato che vi avevo anticipato. Questi flashback continueranno ad essere presenti nella storia, ma non in maniera eccessiva perché ho l’impressione che spezzino un po’ troppo la narrazione, anche se in alcuni casi (molto più avanti) saranno fondamentali u.u
 
Come al solito, oltre a ringraziare la mia beta _Lightning_, ringrazio voi che passate di qui a leggere e a commentare <3
Purtroppo – o per fortuna – ho ripreso a lavorare, quindi gli aggiornamenti non saranno sempre puntuali, anche se mi sto sforzando a inserirli tra un impegno e l’altro…ma arriveranno sempre, questo ve lo garantisco :D
 
Un saluto e alla prossima,
 
_Atlas_
 

 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***



Capitolo IV

 
 



 

 
15 Gennaio 1997, Mismar (Georgia)

Axel rimase interdetto quando Jake allungò il braccio per stringergli la mano, la sua presenza aveva generato un enorme squarcio nella sua mente affollata e per un momento aveva percepito i suoi pensieri schizzare via in tutte le direzioni, come spinti dalla forza di un potente uragano.
«Sei iscritto anche tu al concorso?»
Axel deglutì, ricordandosi il motivo per cui si trovava nell’atrio della Comic’s Academy of  Mismar da oltre un quarto d’ora, immobile davanti a un manifesto che prometteva la pubblicazione del suo fumetto se solo avesse dato prova del suo talento. Impiegò una manciata di secondi in più del necessario per cogliere appieno la domanda di Jake.
«S-sì. Cioè, no…ma mi piacerebbe, credo. Ci sto pensando» mentì «Tu sei iscritto?»
Il ragazzo accennò a un elenco di nominativi esposto sulla parete e fece scorrere l’indice fino al numero settantatre: «Jake Steamones. Sono io, anche se al momento non ho neanche la sottotrama di un fumetto» disse «Mi farò venire in mente qualcosa all’ultimo.»
«Be’, manca ancora qualche mese alla fine di giugno» gli fece notare Axel, chiedendosi se tutto quel tempo sarebbe bastato a se stesso per prendere una decisione e aggiungere il proprio nome a quell’elenco.
«Appunto» convenne Jake «Parlando d’altro, ti sei perso un gran concerto l’altra sera. Il Lenox Blues era al completo e anche Jenna si è divertita, anche se mi farà pesare fino alla morte che l’abbia lasciata sola.»
«Jenna sarebbe…»
«La mia ragazza, quella che l’altra sera ha evitato che ti rapissi e ti portassi al concerto con la forza.»
Axel percepì nodi di scosse elettriche al centro dello stomaco e la familiare sensazione di veder sfumare davanti a sé una speranza non ancora concretizzatasi.
«Mi dispiace, ho avuto un impegno e…» lasciò morire la frase, sforzandosi di trovare una giustificazione credibile se mai Jake avesse voluto indagare oltre. Non lo fece, ma non si diede neanche per vinto.
«Nessun problema, in effetti non è una mossa saggia invitare sconosciuti ai propri concerti, rischi solo di fare la figura dello sbruffone. Ma ora non sei più uno sconosciuto, no?»
«Ci sarà un altro concerto?»
«Tra sei giorni, sempre nel locale degli Henderson. Ci sarà anche Jenna, ma solo se mi garantisci che verrai, altrimenti toccherà a te restare solo.»
 
Axel non ricordò in che modo riuscì a trascinarsi di propria volontà, sei giorni più tardi dal suo ufficiale incontro con Jake, davanti all’entrata del Lenox Blues, soprattutto dopo essersi detto più volte che declinare anche quel secondo invito sarebbe stata la cosa più giusta da fare.
Dalla parte opposta della strada riconobbe il profilo scuro e tarchiato di Darryl Henderson impegnato ad allontanare la moglie da quella che sembrava una discussione molto accesa con un gruppo di ragazzi. Avanzando di qualche metro, Axel si rese conto che Margaret, una donna dall’animo estremamente gentile quanto austero, si stava in realtà accertando che i suoi clienti comprendessero in quali condizioni avrebbero dovuto lasciare il locale quella notte.
«L’altra volta ho raccolto i cocci di due lampadari! Se aspirate a questo tipo di carriera farete bene a risparmiare, piccoli rockettari delinquenti, i lampadari del Bridgestone Arena non costano mica cinque dollari!»
«Vieni via, Maggie» cercò di allontanarla Darryl «A furia di gridare in questo modo ti esploderanno le corde vocali.»
«Vorrà dire che mi pagheranno anche quelle!»
Axel rivolse un sorriso divertito al signor Henderson, che ricambiò con la mano il saluto mentre si affrettava a trascinare le moglie nella seconda entrata del locale, un pub di tutto rispetto nel quale aveva stilato la primissima trama di Dark Sirio. Cinque anni addietro, Darryl era stata la prima persona a offrirgli un alcolico, una Firestone Walker1 di oltre tredici gradi che lo aveva fatto crollare sul bancone dopo neanche venti minuti. Darryl aveva detto che era solo questione di tempo e che presto avrebbe dovuto trattenerlo per evitare che ci rimettesse il fegato ogni sabato sera, e in effetti passarono giusto un paio di mesi prima che si ritrovassero entrambi a sorseggiare birra fino a tarda notte, Axel con un palato ancora inesperto e Darryl con quello di chi sapeva di dover fare in fretta ad assaporare ogni goccia di alcol per evitare le ire della moglie. Solo in un paio di occasioni la situazione era sfuggita di mano: la prima aveva coinvolto unicamente Axel ed era stata la sera del 6 aprile del ’94, l’indomani del suicidio di Kurt Cobain; la seconda aveva coinvolto entrambi e accadde sei mesi più tardi. Fu la notte in cui Davis Newell morì nel suo letto d’ospedale per le conseguenze di un tumore incurabile, la notte in cui Darryl Henderson perse il suo migliore amico e la notte in cui Axel rimase solo al mondo.
«Puoi contare su di noi, ragazzo» gli aveva detto Margaret il giorno del funerale, ma l’alcol scorreva ancora nelle sue vene in quei momenti e lui aveva annuito senza neanche averla sentita.
Il vociare animato all’ingresso del Lenox Blues lo riportò alla realtà e Axel si ritrovò immerso da un folto gruppo di suoi coetanei e di ragazzi poco più grandi di lui. Rimase fermo con le mani nelle tasche dei jeans, incerto su cosa fare e dove andare e guardandosi intorno sperando che Jake arrivasse da un momento all’altro.
«Ehi, Axel!»
Fu Jenna ad arrivare al suo posto, con una reflex appesa al collo e i capelli rossi che le ricadevano sul viso. La vide farsi largo tra la calca sempre più numerosa di fronte al locale per poi raggiungerlo nell’angolo dove si era appartato sperando di passare inosservato.
«Non pensavo di trovarti davvero qui, Jake racconta sempre un sacco di balle…»
Axel si limitò a sorriderle per celare l’imbarazzo di parlare con quella che a tutti gli effetti era per lui una sconosciuta. Una sconosciuta con dei capelli meravigliosi e due smeraldi incastonati negli occhi.
«Comunque io sono Jenna, spero che anche sul mio nome sia stato sincero.»
«Direi di sì» confermò, e la sua espressione fu abbastanza sorpresa da convincere la giovane ad approfondire quel discorso.
«Ha il vizio di confondere la gente e non perde occasione per storpiarmi il nome, una volta a un concerto ha urlato “Questa è per te, Brenda!”, prima di scatenarsi nell’assolo di Touch Me dei Doors.»
«Brenda è un nome carino…»
«Sì, ma solo se appartiene a Brenda Walsh2. Vieni, entriamo.»
Axel si lasciò guidare all’interno del locale, un fondo di oltre trecento metri quadri con le pareti tappezzate di locandine, fotografie di artisti musicali di svariato genere e scritte al neon sgargianti. A ridosso di una parete c’era un palco al cui centro era posizionata una batteria che riportava incisa la scritta “Losers Club”, un chiaro omaggio al più famoso romanzo di Stephen King.
Il resto della sala era già gremito di gente in attesa dello spettacolo e tra il tintinnio delle bottiglie di birra e qualche risata già poco lucida Axel riuscì a distinguere qualche chiacchiera sulla band che si sarebbe esibita.
«Che genere di musica fanno?» domandò a Jenna, che nel frattempo si guardava intorno con aria circospetta.
«Se fosse per Jake suonerebbero solo i Clash, ma oltre alle cover hanno dei pezzi originali che non sono niente male, se ti piace il rock» gli rispose mentre si spostava dall’altra parte del locale con aria un po’ seccata. Axel la seguì senza battere ciglio.
 «Non odiarmi, sto solo cercando di capire da quale angolo riesco a scattare foto migliori» si giustificò la giovane avvicinandosi la Reflex agli occhi «Da qui dovrebbe andare…»
Nel frattempo la gente appostata davanti al palco stava a poco a poco aumentando e nel giro di mezz’ora erano tutti addossati l’uno sull’altro in attesa della band. Axel e Jenna erano appostati su una parete laterale molto più indietro della calca, ma in un punto in cui la visuale era particolarmente sgombra da sagome di braccia alzate o capelli cespugliosi.
«Tra una decina di minuti dovrebbero iniziare» annunciò Jenna dando un’occhiata all’orologio e provando ancora una volta la messa a fuoco della Reflex.
Axel avrebbe voluto chiederle se la sua fosse una semplice passione, un hobby come un altro a cui amava dedicare del tempo, o se stesse studiando per un’eventuale carriera futura, ma le parole che uscirono dalla sua bocca si persero tra le urla e gli schiamazzi del pubblico non appena i Losers Club salirono sul palco per dare inizio alla serata. Tra le centinaia di corpi ammassati che scalpitavano nelle prime file, Axel intravide un giovane dai capelli biondo cenere prendere posto dietro la batteria, un ragazzo piuttosto alto imbracciare una chitarra e piazzarsi davanti a un microfono e infine Jake, con addosso una Fender Statocaster e la sua aria da nostalgico punk rocker degli anni Ottanta.
«È arrivato Joe Strummer!3» sentì urlare Jenna al suo fianco.
Il flash della Reflex si confuse per un istante tra le luci psichedeliche del locale, immortalando per sempre il primo ricordo felice che Axel ebbe dei suoi vent’anni; un’istantanea sfocata che la sua memoria custodì con gelosia per molto tempo, con estrema cura, fino al giorno in cui l’urgenza di dimenticare non divenne la sua unica necessità.
 

 
Quella sera stessa i suoi ricordi felici si triplicarono. Al termine del concerto venne trascinato in quello che Jake aveva presentato come suo personale camerino, ma che in definitiva era solo due metri per tre di pavimento circondato da una tenda marrone che un tempo avrebbe dovuto essere bianca. Ma Axel non ci aveva fatto caso e se anche avesse voluto farlo la parlantina di Jake lo avrebbe comunque distratto dopo appena una manciata di secondi.
«Se quel palo telegrafico di Jimmy non mi avesse scontrato avrei fatto un assolo perfetto, ma purtroppo Jimmy è un idiota, perciò…»
«Ti sento!» sbraitò una voce maschile poco lontano da loro.
«Fottiti!» fu la risposta.
Axel si ricordò di un momento di confusione sul palco che aveva coinvolto Jake e il cantante della band, ma era talmente avvolto dall’atmosfera che non aveva fatto minimamente caso all’errore di cui parlavano.
«Allora,» continuò poi Jake sfregandosi le mani e guardandoli speranzoso «a chi devo fare un autografo?»
«Per ora ne facciamo a meno, ma grazie del pensiero» intervenne Jenna, cercando di districarsi con le dita le onde dei capelli «Me ne ha già fatti circa duecento, da quando lo conosco» aggiunse poi, parlando direttamente nell’orecchio di Axel. Lui trattenne un sorriso e ignorò la scossa che attraversò la sua spina dorsale quando percepì sul collo il suo fiato leggero.
«Ehi! Siete già così intimi?» domandò Jake.
Axel percepì un vuoto al centro del petto e sgranò gli occhi con l’aria di chi era stato appena beccato a rubare in una gioielleria sotto lo sguardo di tutti i clienti.
«N-no! Assolutamente, non mi permetterai mai» si affettò a precisare allontanandosi di mezzo passo dalla ragazza, come a sottolineare meglio quel concetto.
«Come se la cosa ti riguardasse, poi» aggiunse lei con uno sbuffo.
Jake rivolse a entrambi uno sguardo così eloquente che Axel se ne sentì schiacciare.
«Piantala, Jake. Non ho bisogno di una guarda del corpo.»
«Okay, okay…errore mio, spero che vostra grazia vorrà perdonarmi.»
Fu allora che Axel si rese conto di quanto fosse bizzarra quella discussione, e non solo perché il sarcasmo di Jake era decisamente sopra le righe. C’era qualcosa che non gli tornava, qualcosa che per qualche giorno gli aveva fatto provato una scintilla di speranza e che dopo solo poche ore si era ridotta in frantumi.
«Scusate, non capisco. Voi non…non state insieme?» percepì le sue guance andare in fiamme e fu pronto a morire dalla vergogna per quel piccolo azzardo, ma, se possibile, la reazione dei due ragazzi lo lasciò ancora più sconvolto. Jake prese a sghignazzare sotto i baffi, mentre Jenna aveva ridotto gli occhi a due palle da biliardo.
«Insieme?! Io e lui??» chiese allibita.
«Uhm, io credevo…Lui mi ha detto che…» cercò di spiegare indicando Jake, che nel frattempo aveva preso a ridere con più trasporto.
«Cosa?!» questa volta, con sguardo truce, si voltò direttamente verso Jake «Gli hai detto che stiamo insieme?»
Il suo tono virò sullo stridulo e a quel punto persino per Axel fu impossibile trattenere le risate, da una parte realmente divertito dallo scherzo di Jake e dall’altra sollevato per una scoperta che ancora aveva paura di accettare e prendere in considerazione.
La sensazione di serenità che lo pervase in quel momento fu quella che più si avvicinava alla sua personale idea di felicità, un cocktail agrodolce condiviso con le giuste persone, un’ottima colonna sonora e il desiderio che sarebbe durata per sempre.
 
 
  
_____________
 
 
 
Note:
1. Birra artigianale americana.
2. Una delle celebri protagoniste di Beverly Hills 90210, interpretata da Shannen Doherty.
3. Frontman dei Clash, morto nel 2002.
 

 
 
NdA
Hello! :)
Toccata e fuga da queste parti per pubblicare il nuovo aggiornamento e ringraziarvi del sostegno che mi state dando con lettura, recensioni e aggiunte alle varie liste.
Spero che anche questo flashback sia risultato scorrevole e che vi abbia intrattenuto; col prossimo capitolo entreremo un po’ di più nel vivo della storia e confesso di essere emozionata, perché è proprio da quello che ho costruito la trama di questa storia, ormai cinque anni fa.
 
Chiudo qui la parentesi nostalgica e mi smaterializzo, augurandovi un buon inizio settimana <3
 
_Atlas_

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***



Capitolo V
 
 

 
 
 

 
 
Febbraio 2015, New York City

«Cazzo...porca putt-»
Il resto dell’imprecazione gli rimase incastrata tra i denti mentre cercava di non farsi scappare dalle labbra le chiavi del suo attico e non far rovinare a terra  tutto ciò che stringeva tra le braccia: buste della spesa, chiavi della macchina, ombrello e cappotto inzuppato di pioggia dalla prima all’ultima cucitura.  Il telefono, immerso nella tasca bagnata dei jeans, prese a squillare proprio in quel momento.
«Pronto!» sbottò con fastidio una volta varcata la soglia di casa.
Axel percepì una nota di austerità nel silenzio che seguì e non ebbe bisogno di chiedersi chi ci fosse dall’altra parte della cornetta.
«Loraine?»
«Ovvio, un altro ti avrebbe già sbattuto il telefono in faccia» replicò la donna in tono acido.
«Sì, scusa. È che…» si guardò intorno con aria seccata e si sprimacciò i vestiti umidi «…lascia perdere. Perché hai chiamato?»
«Ci sono aggiornamenti sul fronte vendite.»
«Oh, bene! Cioè male, suppongo. Come siamo messi?»
Il sospiro pesante di Loraine solleticò l’orecchio di Axel. «Poteva andare peggio, per mia fortuna la tua immaginazione attira ancora molta gente.»
«La New Douglas come l’ha presa?» chiese mentre si lasciava sprofondare sul divano, sfogliando pigramente la sua copia di Dark Sirio. Il risultato delle vendite lo lasciava indifferente da quando aveva visto per la prima volta il proprio nome su uno scaffale della libreria, e di certo non per questioni morali. Non poteva negare di essere rassicurato dalla propria agiatezza economica, ma era anche vero che prima dell’uscita di ogni nuovo volume desiderava scavarsi una voragine nel terreno e seppellirsi vivo, anche se ciò non sarebbe comunque servito a cancellare le sue iniziali dagli scaffali delle librerie.
Loraine sembrava essersi accorta del problema, anche se aveva deciso di liquidarlo come un tipico caso di paranoia da scrittore insicuro, del resto in oltre trent’anni di carriera non era certo una novità per lei.
«Direi bene, tutto sommato. McNeill insiste sulla necessità di un epilogo e…Axel? Devo confessarti di non essere del tutto in disaccordo col suo punto di vista.»
Il silenzio tornò a insinuarsi nella loro conversazione, questa volta con una nota più pesante, a tratti opprimente.
«Non fraintendermi,» riprese l’agente «Dark Sirio è un capolavoro ed era da tempo che l’industria del fumetto non vedeva numeri di vendita così alti, ma non può continuare per sempre. Dopo diciotto anni rischia di diventare una storia banale, capisci cosa intendo?»
Axel si strofinò le palpebre cercando inutilmente di alleviare lo stress. «Capisco» disse sforzandosi di sembrare neutrale sulla questione.
«Che ne pensi?» indagò però la donna.
«Be’, credo di doverci riflettere. Non che abbia mai pensato di continuare in eterno, ma non ho mai davvero immaginato un finale» mentì.
Il finale, l’unico e il solo di cui Dark Sirio aveva bisogno, esisteva da quasi vent’anni: uno scarabocchio sigillato in un vecchio cassetto del quale ormai aveva perso la chiave.
«Direi che abbiamo ancora del tempo, non devi scriverlo domani» gli venne incontro Loraine.
Axel era d’accordo, ma il peso che gli si adagiò sul petto la pensava diversamente, sussurrandogli migliaia di altre cose che avrebbe preferito non sentire.
«Ne riparliamo, d’accordo?»

 
*

 
 
Non ne riparlarono.
Due settimane trascorsero lente, come se il tempo avesse deciso di punto in bianco di stravolgere la percezione che Axel aveva dei minuti e delle ore. Le giornate proseguivano con un andamento irregolare e a volte si sentiva come quando a dieci anni si divertiva a schiacciare i tasti del suo videoregistratore, riavvolgendo il nastro di un cartone animato per rivederne migliaia di volte la stessa scena. Ma se allora era l’amata videocassetta di Oliver&Company a scaldargli le emozioni, adesso l’unica scena che continuava a rivedere aveva se stesso come protagonista, incastrato in una storia maledetta che, per un tragico scherzo del destino, si era ritrovato anche a scrivere.
Non era un caso che l’assassino di Kai Alden Arp girava a piede libero da un ventennio, così come non era un caso che il senso di colpa di Damon Rivera fosse diventato il vero protagonista della vicenda, a dispetto della sete di vendetta con cui era stato presentato per la prima volta il personaggio. Era stato un giornalista della New Douglas a mettere Axel di fronte a quella evidenza, e se l’improvvisa nota di umana fragilità aveva messo sotto una nuova luce Dark Sirio, per Axel aveva rappresentato l’ennesima conferma di quanto la sua immaginazione e la sua vita proseguissero di pari passo.
Nemmeno la tempesta di neve di quella settimana riuscì a strapparlo dalla morsa dei suoi stessi ragionamenti.
I tetti imbiancati di New York avevano congelato il suo stato d’animo per poco più di mezza giornata, il tempo necessario per trovare finalmente una collocazione alle cianfrusaglie donategli dai suoi lettori durante il tour nelle librerie, svuotare la casella di posta elettronica e in particolare liberarsi delle e-mail che la C.A.M. si ostinava a inviargli, a periodi alterni e regolari, per complimentarsi del suo successo. Spesso Loraine rispondeva a quei messaggi al suo posto e ancora più spesso lo pregava di presentarsi di persona davanti a chi, tanti anni prima, aveva creduto in lui. Axel si divertiva a rispondere alle sue pressioni con battutacce e sguardi inorriditi, come se il suo fosse il capriccio di uno scrittore presuntuoso e del tutto dimentico del proprio passato, ma la realtà era che erano entrambi consapevoli, chi più e chi meno, di cosa rappresentassero davvero quelle mura accademiche e, in particolare, quella città.
 
 
 
 
«Stia attento!»
«Scusate» mormorò rischiando di travolgere una coppia di turisti all’incrocio di Madison Avenue.
Il ghiaccio sul marciapiede, per quanto scomodo e pericoloso, lo costringeva a concentrarsi su pensieri meno invadenti; se ne accorse non appena mise piede fuori casa, reagendo d’impulso e in modo inaspettato a un attacco di panico giunto di sorpresa che normalmente lo avrebbe costretto a barricarsi per giorni dentro il suo appartamento.
Il freddo gli si insinuò tra le tasche del giubbotto di pelle facendolo rabbrividire, ma ancora una volta preferì i tre gradi sotto lo zero a quello che avrebbe trovato se fosse tornato indietro, senza contare che erano passate settimane dall’ultima volta che si era concesso una passeggiata a New York in totale libertà. In quella occasione si era preso una sbronza colossale in un pub nei pressi di Times Square, una tradizione che si riservava ogni 31 dicembre allo scoccare della mezzanotte e, più in generale, in quei periodi dell’anno in cui New York brulicava di turisti e lasciava poco spazio ai paparazzi.
Nel mondo parallelo che aveva creato, anche Damon Rivera aveva perso la sua libertà, ma mentre Dark Sirio fiutava e cercava vendetta, lui restava in ombra al cospetto dei suoi nemici invisibili e spietati.
Spesso si chiedeva cosa sarebbe successo se per un giorno avesse vissuto la vita del personaggio che era nato dentro di sé.
«Non cambierebbe niente» mormorò a bassa voce, prima che il telefono gli iniziasse a vibrare in tasca.
«Dimmi» rispose dopo aver dato una rapida occhiata al display.
«Devo darti una notizia, e sono sicura che il tuo odio nei mie confronti crescerà in maniera esponenziale» disse Loraine saltando i convenevoli. Malgrado la nota ironica delle sue parole, Axel percepì chiaramente il suo tono di voce alternarsi tra il serio e l’allarmato e per un istante fu travolto da un’ondata di angoscia. «Avanti, spara.»
«D’accordo,» sospirò la donna «mi ha chiamato un certo Adam Layton, un ex illustratore e scrittore, nonché attuale dirigente del-»
«Della Comics Academy of Mismar» concluse Axel per lei, nonostante la bocca gli si fosse seccata all’improvviso.
«Vedo che sei informato,» commentò la donna con sospetto «non avevi passato gli ultimi vent’anni della tua vita a rinnegare le tue origini?»
Axel si morse la lingua e sbuffò infastidito «Arriva al dunque, per favore, cosa vuole la C.A.M.? Una foto autografata? Una nuova copia di Dark Sirio
«Vuole chiudere i battenti, Axel, e anche in grande stile.»
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire» si schiarì la voce « che sarai l’ospite d’onore di una serie di conferenze che si terranno a Mismar a partire da questa primavera.»
Ci fu un momento di silenzio, teso e colmo di sorpresa, che Axel non riuscì a spezzare.
Perplessità, panico, confusione…Loraine dovette captare quelle sensazioni dai respiri affannati che non stava provando a trattenere: «So che l’idea ti fa ribrezzo e posso solo immaginare quanto possa essere difficile per te, ma penso che questo sia il minimo che tu possa fare per la scuola in cui hai pass…»
Axel scollegò il cervello e le parole di Loraine diventarono un fastidioso sottofondo mentre sentiva la testa vorticare, le gambe cedere e l’ossigeno mancargli nei polmoni.
Si sentì precipitare da un’altezza incalcolabile, senza paracadute o una vaga speranza di salvarsi. E più restava in silenzio, più precipitava, dimenandosi per aria alla ricerca di un appiglio che, se mai fosse esistito, non sarebbe comunque stato in grado di trarlo in salvo.
E intanto cadeva, senza fermarsi mai.
 
«Axel, ci sei?»
 
 
 
______________
 
 
 
  
 
NdA
Ciao a tutti!
Lo so, sono in ritardo e me ne scuso tantissimo…purtroppo ho avuto poco tempo per scrivere e nonostante il capitolo fosse quasi completo sono riuscita ad ultimarlo solo ieri D:
Ma bando alle ciance, come avrete capito la situazione per Axel inizia a farsi complicata e con questo cliffhanger finale direi che possiamo dare inizio alle danze eheheh Spero di stupirvi e soprattutto che possiate apprezzare il prosieguo della storia :) 
 
Nel frattempo ringrazio tutti voi che leggete, commentate e aggiungete la storia nelle varie liste, come sempre mi offrite un immenso sostegno <3
 
Alla prossima e felice Ferragosto,
 
_Atlas_

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


 
Capitolo VI
 
 



 

 
 
 
Nel mezzo di quella interminabile caduta, Axel riuscì miracolosamente a trovare un appiglio; quello che doveva fare, si disse, era dopotutto molto semplice.
«Avanti, apri» borbottò con il pugno a mezz’aria davanti a un’elegante porta d’ufficio.
«La signora Armstrong è impegnata in una telefonata urgente» gli fece notare il segretario dello studio col tono di chi aveva ripetuto quella frase già quattro volte.
«Ho capito, non sono sordo» ribatté Axel, in preda all’agitazione. Quello alzò le mani in segno di resa e tornò alle sue scartoffie d’ufficio.
Dopo una manciata di secondi la porta finalmente si aprì e senza troppe cerimonie Axel si intrufolò nella stanza superando la sagoma di Loraine ancora attaccata al telefono.
«La ringrazio signor Layton,» disse facendo impallidire Axel «le assicuro che farò tutto il possibile. Le auguro una buona giornata» concluse la donna riappropriandosi del suo posto dietro la scrivania e mettendo da parte il telefono.
«Era lui?» chiese Axel che invece era ancora in piedi a pochi passi dalla porta, indeciso se assecondare l’impulso di scappare da lì con la stessa velocità con cui vi si era precipitato.
«Era lui» confermò Loraine rivolgendogli uno sguardo severo «Siediti, dobbiamo parlare.»
«Preferisco stare in piedi. E sì, dobbiamo assolutamente parlare. Tanto per essere chiari fin da subito: non andrò a Mismar. Te lo puoi scordare, preferisco rinunciare alla mia carriera piuttosto che tornare in quel posto» protestò iniziando a gesticolare con nervoso. Sapeva quali sarebbero state le conseguenze se non si fosse dato una calmata, ma era come se ogni fibra del suo corpo fosse finita nelle grinfie di uno stato d’animo intollerabile e lui fosse chiamato a liberarne una per una, non importava con quali mezzi.
«Axel, vorrei che tu cercassi di capire la situazione» disse Loraine con tono volutamente calmo.
«Io devo cercare di capire? Io?! Hai assicurato la mia presenza a un convegno senza neanche chiedermi se fossi d’accordo!»
«Se te l’avessi chiesto non avresti mai accettato e la tua immagine pubblica, per quanto la cosa ti sia indifferente, è importante, che tu lo voglia o no. »
«Certo che non avrei accettato, ma questo non ti dava diritto di prendere decisioni senza rendermene partecipe! Non hai idea di che cosa rappresenti per me quel posto, tu non c’eri vent’anni fa in quella scuola e in quella città! E non me ne frega un cazzo della mia immagine, è possibile che tu non l’abbia ancora capito?!» urlò sforzandosi di ignorare quel senso di vertigine che anticipava le sue crisi d’ansia. Un’altra manciata di minuti e sarebbe scoppiato.
«Stai esagerando, Axel, ti avverto» questa volta Loraine si alzò in piedi e per la prima volta da quando lavoravano insieme Axel vide sparire dal suo volto ogni traccia di comprensione, pazienza o affetto nei suoi confronti.
«La tua immagine pubblica è anche e soprattutto affar mio, se la cosa non ti piace ti consiglio di cercarti un’altra persona disposta a tollerare i tuoi capricci da scrittore maledetto, chiaro? Finché lavorerai con me le cose funzioneranno in un certo modo e non intendo affossare definitivamente quello che la C.A.M. ha rappresentato per tanti studenti che a differenze di te non hanno avuto fortuna, solo perché tu non riesci a fare pace con il passato. Se ti tiri indietro non entrerai più in questo studio. Intesi?»
La freddezza che mise in quelle parole indebolì solo in parte le sue emozioni e pur articolando migliaia di risposte nella sua testa non riuscì a tirarne fuori nessuna. Rimase immobile davanti a lei, semplicemente guardandola e domandandosi in segreto perché mai non riuscisse a capirlo, se fosse davvero così stronzo come si percepiva in quel momento, se fosse davvero uno dei tanti accecati dal successo, egoista, incompreso, maledetto.
Quando alla fine Loraine girò i tacchi e lo lasciò da solo nell’ufficio, il panico lo aveva già raggiunto.
 
 
 
*
 
 
 
Il pomeriggio successivo lo passò a picchiare l’enorme sacco da boxe appeso in salotto. I suoi respiri erano corti e affannati ed era abbastanza evidente che la causa non fosse da attribuire al suo scarso allenamento degli ultimi mesi. L’ansia lo divorava ogni giorno con costanza e determinazione, come se si fosse posta l’obiettivo di rendere invivibile ogni secondo della sua vita.
Mentre sferrava pugni al sacco gli venne in mente la sua relazione con Gwendolyn e il suo modo tutto particolare di approcciarsi al mondo; era stata lei a fargli da guida durante le sue prime sedute di meditazione, a mostrargli il giusto modo di respirare e di vivere il momento presente. Lui d’altra parte non era mai riuscito a comprendere quegli insegnamenti, li trovava ridicoli e poco efficaci e si sforzava di portarli avanti solo perché Gwen si faceva in quattro per farlo stare meglio. Lei era una tipa sveglia, entusiasta, felice, troppo lontana dal suo mondo imperfetto e pieno di sofferenza.
Che le cose tra loro non avrebbero mai funzionato lo capirono presto, e quando una mattina di metà settembre Gwen lasciò New York per volare in Indonesia, gli fu subito chiaro in quale direzione stesse andando la sua vita. La cosa più dolorosa fu realizzare che non gli importava e che probabilmente era sempre stato così.
Fu mentre sferrava l’ennesimo pugno, guanto contro sacco, che gli tornarono a galla altri ricordi. Con una morsa al petto, quasi gli sembrò di sentirlo quell’odore dolciastro delle Lucky Strike, mentre Jake se ne portava una tra le labbra nascondendo un sorriso sbruffone.
«Allora, mi aiuti o no con quel fumetto? Lo sai che non sono capace!»                           
«Se non sei capace tanto vale lasciar perdere, no?»
E c’era quella canzone, quella canzone che non voleva ricordare…
«Chi erano quei tizi?»
«Due imbecilli. Oh, merda, mi esce di nuovo sangue dal naso.»
«Axel, tu devi partecipare a quel concorso!»
«Non cercarmi più, Jenna. Promettimelo.»
Il pugno piombò con violenza contro il sacco da boxe, poi ne sferrò un altro e un altro ancora.
Alla fine si arrese a quella pioggia incessante di ricordi, sperando che riviverli potesse placare una volta per tutte l’ansia e l’angoscia che lo tormentavano.
All’improvviso era di nuovo il 1997, un freddo pomeriggio di metà marzo; Dark Sirio era ancora una bozza inconclusa abbandonata sulla scrivania e la NBC trasmetteva la terza stagione di Friends.
 
 
 
 
_____________
 
 
 

  

NdA
Ehm, salve!
Con non poca frustrazione mi scuso prima di tutto per il ritardo di questo aggiornamento, gli ultimi mesi sono stati colmi di novità e la scrittura è stata messa da parte in maniera spontanea, che poi è lo stesso modo in cui sta tornando adesso dalla sottoscritta :’)
Vi avevo lasciato con un cliffhanger abbastanza brutto e non sono sicura di aver rimediato con questo capitolo, tuttaviiiia è probabile che con il prossimo mi farò perdonare un pochino :3
 
Come sempre approfitto di questo spazio per ringraziare coloro che finora hanno letto e commentato la storia, i nuovi lettori e tutti coloro che l’hanno aggiunta nelle varie liste…grazie infinite!
 
Un saluto e alla prossima,
 
_Atlas_

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***



Capitolo VII
 
 
 
 
 
 
 
Marzo 1997, Mismar (Georgia)
 
A Mismar la primavera era iniziata con una violenta grandinata che aveva causato disagi  e gravi danni all’intera città e su tutto il territorio circostante; gli attivisti avevano già gridato alla catastrofe ambientale e le emittenti televisive proponevano talk shows a ogni ora del giorno e della notte. L’imminente pubblicazione del protocollo di Kyoto era tra gli argomenti più quotati e quando venne mandato in onda l’ennesimo filmato catastrofista sullo scioglimento dei ghiacciai Axel non si stupì di sentire Jenna imprecare ad alta voce e trovare rifugio nelle nuovissime puntate di Friends. A sua detta la terza stagione si stava rivelando molto più divertente delle precedenti, e anche se provava un lieve senso di colpa per essere così menefreghista sulle tematiche attuali, si sentì lieto di vederla finalmente sorridere.
«Pronto?! Hai capito quello che ti sto dicendo?»
La voce squillante di Jake lo riportò brutalmente a una conversazione che sembrava andare avanti da ore. Si stropicciò gli occhi e gli rivolse un’occhiata in tralice.
«Ho capito, sì. Hai bisogno di una mano per quel fumetto, ma…»
«Una mano?» Jake alzò di un’ottava il tono di voce «Axel, io ho bisogno di un miracolo!» urlò con un velo di disperazione, prendendolo per il collo della maglietta.
«Spiacente, per quelli non ho ancora nessuna qualifica, ma se continui a urlarmi nelle orecchie giuro che ti spedisco direttamente da chi ha preso la specializzazione in quel settore, così magari può darti una mano lui!» urlò a sua volta Axel, chiedendosi perché mai gli stesse salendo un’improvvisa voglia di scoppiare a ridere. Anche Jake aveva perso il suo cipiglio disperato e uno sguardo colmo di complicità anticipò l’esplosione di una risata fragorosa.
«Posso sapere cosa sta succedendo?»
Non riuscì a dare un nome all’emozione che gli si appuntò alla bocca dello stomaco, ma Jenna non gli era mai sembrata così bella, con lo sguardo di chi cercava di raccapezzarsi e dare un senso a un’intimità che forse non avrebbe mai potuto comprendere. Axel non se ne rammaricò e il suo sguardo divertito e condito con un tocco di severità gli scaldò il cuore facendolo stare bene. Per la prima volta, dopo tanto tempo.
«Axel non vuole investire il suo tempo per salvare le chiappe al suo amico»  rispose Jake con finta non curanza.
«E piantala, ti ho detto che ti aiuto!» esclamò infine Axel, facendo sgranare gli occhi a entrambi.
«Mi aiuti?! Ehi, lo hai detto! L’ha detto! L’hai sentito, Jenna?»
«Già…Lo hai detto, Axel. Non puoi tirarti indietro.»
Axel sbuffò esasperato e si lasciò cadere a peso morto sul divano. «L’ho detto, sì. E sono spacciato, mi pare di capire.»
«Spacciatissimo. Da dove partiamo? L’idea che ti ho accennato prima non era male, vero?»
«Quella sull’esercito di alieni che invade la luna? No, non era male…era oscena. Ma possiamo lavorarci.»
«È bello vedervi lavorare insieme» si intromise Jenna, sedendosi a sua volta sul divano «spero vi azzufferete quando usciranno i risultati del concorso, perché quello sarà ancora più bello.»
«Ah ah, divertente» borbottò Jake.
«Io non parteciperò al concorso.»
Lo disse di getto, senza alcun freno.
Si chiese perché quella frase risultò così solenne alle sue orecchie; forse se avesse dato alla sua voce un’inclinazione più giocosa e leggera anche Jake e Jenna sarebbero rimasti meno sorpresi, e invece li aveva quasi ammutoliti.
«Cosa vuol dire? Perché non parteciperai?» domandò titubante Jake.
«È che ha molti difetti e…non è così bella, a essere sinceri.»
«Stai scherzando, spero!» esclamò Jenna interrompendolo e toccandogli il braccio con la mano. Axel non si ritrasse, ma percepì il cuore perdere distintamente tre o quattro battiti.
«Non sarai tu a giudicarne la bellezza, e poi lo sanno tutti che quella è una cosa soggettiva. Quello che importa è la tecnica, la passione che ci hai messo e a giudicare dalle pareti di questa casa direi che tu ne abbia messa molta
Axel guardò di sfuggita le bozze appese di Dark Sirio appese al muro, i volti scarabocchiati di Damon River e del suo spietato nemico Liam “Procyon” Sullivan.
«Sì, ma non riesco a finirla, è incompleta…ed è…»
«Senti, se è perché ti ho chiesto di aiutarmi…Lascia perdere, finisci la tua storia e io in qualche modo penserò alla mia.»
Lo sguardo che gli rivolse Jake lo lasciò senza parole. Come poteva non aiutarlo? Quel concorso sembrava molto importante più per lui che per se stesso.
«Non è questo il punto. Aiutarti non mi costa niente, è la mia storia ad avere dei problemi…»
«Sei tu ad avere dei problemi» specificò Jenna. La schiettezza con cui aveva pronunciato quella frase gli fece perdere un altro battito, questa volta senza alcuna accezione positiva. Jenna non capiva il suo stato d’animo, non era a conoscenza della lotta eterna tra i suoi pensieri e i suoi sentimenti, non provava il disagio e l’insicurezza che lo tormentavano ogni giorno da quando aveva memoria. Quell’improvvisa mancanza di empatia lo ammutolì al punto che alla fine preferì non ribattere e sperare che la conversazione morisse lì.
«D’accordo,» fu Jake a spezzare il silenzio qualche istante dopo, sfregandosi le mani con aria cospiratoria «lasciamo Axel ai suoi problemi, se sua maestà lo consente - giusto Jenna? – e passiamo invece a quelli del sottoscritto.»
«Ti dichiaro sollevato da ogni problematica, Jake» lo interruppe Axel, già presagendo dove volesse andare a parare l’amico e lieto di avere finalmente una via di fuga a disposizione.
«Sei sicuro?»
«Jake…?» la voce di Jenna si perse tra i loro battibecchi.
«Assolutamente, possiamo iniziare adesso, se ti va.»
«Adesso adesso
«Jake»
«Adesso, sì. A conti fatti non abbiamo molto tempo…» a quel punto Axel registrò con chiarezza ciò che vedevano i suoi occhi e smise di parlare.
«Jake!» lo richiamo Jenna.
«Cosa vuoi?!!!» sbottò il ragazzo, guardandola esasperato.
«Ti esce sangue dal naso.»
 
 
 
 
 
 
In mancanza di opzioni migliori Jake si ripulì con noncuranza ai lembi della sua maglietta, costringendo Axel a prestargli una delle sue con la consapevolezza che non l’avrebbe mai più riavuta indietro.
«Sei sicuro che posso prenderla? È solo un po’ di sangue.»
«Sono sicuro, e poi i Beatles non mi sono mai piaciuti.»
«Già, non sembri un tipo da Beatles. Scommetto che era della tua ragazza» ammiccò con aria divertita, facendo cadere il fazzoletto che aveva accartocciato lungo la narice.
«Spiacente, era di mio zio» tagliò corto Axel, sperando che Jenna si trovasse a debita distanza da loro. Si guardò intorno e la vide rannicchiata sulla poltrona, concentrata sulla pila di foto che aveva sviluppato qualche giorno prima; per un momento gli sembrò nervosa, ma la sua solita insicurezza gli impedì di indagare e, anche se avesse potuto, Jake avrebbe guastato il momento.
«Su avanti, mettiamoci al lavoro» esordì entusiasta, trascinandolo verso la scrivania come se fosse lui in procinto di dare una mano a un amico, e non viceversa.
«Voglio batterli tutti.»
 
Lavorarono fino a tardo pomeriggio senza interruzioni. La mente di Jake era un vulcano di idee in procinto di esplodere e Axel lasciò che esprimesse ogni singola fantasia senza interromperlo neanche una volta. Gli alieni erano il suo punto debole, riusciva ad inserirli in ogni contesto e linea temporale senza porsi limiti o dubbi di alcun tipo, e poi c’erano i serial killer, uno stregone crudele, un paio di pornostar e persino un demone del Medioevo; Axel era certo che se non gli avesse dato indicazioni sarebbe stato capace di inserirli tutti in un’unica trama.
A un certo punto, qualche ora dopo, Jake sembrava aver esaurito le energie e si era accasciato sulla scrivania arrendendosi ai suoi tentativi di dare un senso agli eventi, “ti lascio carta bianca” gli aveva detto, e Axel aveva promesso di buttare nero su bianco una trama decente entro la fine della settimana.
«Fa’ quello che ti pare, mi fido di te. Ora però ho bisogno di dormire, tutto questo lavoro mi ha stancato» disse tra uno sbadiglio e l’altro. Si infilò il giubbotto e fece un cenno di saluto anche a Jenna «Arrivederci signori.»
Axel ricambiò il gesto, dopodiché abbandonò la matita sulla scrivania cosparsa di fogli bianchi, trame abbozzate e disegni privi di senso. Si sforzò di non guardare nella direzione di Jenna, ma alla fine fu lei a raggiungerlo.
«Ti dà filo da torcere, vero?»
Non sembrava più nervosa, eppure il suo volto non era disteso e sereno come al solito.
«Be’, sa essere sfiancante. Ma è una brava persona e lo aiuto volentieri.»
Non voleva che Jake fosse il collante tra lui e Jenna, eppure sembrava essere l’unico argomento funzionale alle loro conversazioni, una specie di carburante che impediva a entrambi di restare fermi sul posto. All’improvviso si sentì abbastanza sicuro da andare oltre, senza tuttavia avere la prontezza per farlo.
«Già, è una brava persona…» la sentì mormorare.
Solo in quel momento si accorse che stringeva tra le mani un primo piano di Jake, abbracciato alla sua Fender Stratocaster mentre sorrideva all’obiettivo, una foto che con tutta probabilità aveva scattato lei stessa. Si sentì stupido, un completo idiota senza un briciolo di perspicacia e la verità gli piombò addosso aprendogli uno squarcio enorme nel petto. Tra Jake e Jenna c’era molto di più di un’amicizia, un legame di cui forse neanche loro stessi erano a conoscenza ma che a lui risultava chiarissimo.
«È meglio che vada adesso, si è fatto tardi…»
«Certo. Ci vediamo.»
«Domani?»
Axel incurvò le labbra in un sorriso debole, ma alla fine annuì.
«Domani.»
 
 
 
__________________
 
 
NdA
Buonsalve!
Personalmente non vedevo l’ora di pubblicare questo capitolo e spero tanto che vi abbia in qualche modo fatto avvicinare un po’ di più ai personaggi. Diciamo che, senza fare grosse anticipazioni, qui ci sono moltissimi dettagli che saranno fondamentali in futuro u.u
Il capitolo in origine doveva essere più lungo, ma ho trovato più opportuno spostare il contenuto al prossimo, evitando di spezzare troppo la narrazione.
Come sempre vi ringrazio per il supporto che mi state dando, non solo attraverso i commenti, ma anche semplicemente leggendo e salvando la storia nelle liste <3
 
Un saluto e alla prossima!
 
_Atlas_

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


 
Capitolo VIII

 
 
 
 
 

La disperata ricerca di ossigeno si era finalmente conclusa e i suoi polmoni avevano ripreso il loro ritmo lento, stremati da quella sessione di boxe fuori programma. Non era andata tanto male, considerando che non si allenava da mesi.
Aveva gli occhi chiusi e la testa reclinata sullo schienale del divano, un asciugamano sudato attorno al collo e una borraccia vuota ancora stretta tra le mani. La mente, che avrebbe dovuto a questo punto essersi placata, era ancora impegnata a rincorrere ricordi lontani.
Come diavolo aveva potuto pensare, Gwen, di frenare quella pioggia di reminiscenze con il magico potere del qui ed ora? La meditazione era solo un cuscinetto – e neanche troppo comodo – per ridurre quel chiacchiericcio incessante proveniente da un passato che chiedeva solo di essere ascoltato e magari accettato.
Il campanello dell’ingresso bloccò sul nascere quell’ennesima riflessione e per una manciata di secondi lo lasciò pietrificato sul divano con gli occhi spalancati verso il soffitto.
«Axel?»
La voce di Loraine, seppur attutita da spessi centimetri di cemento, riuscì a inviargli una scossa lungo la spina dorsale che per un attimo gli gelò il sangue.
“Non sono in casa” pensò d’impulso. “Non. Sono. In. Casa.”
«Te lo chiedo per favore: apri la porta e affrontiamo la questione con calma» la sentì spiegare con voce effettivamente pacata.
Provò a giustificare la cosa in diversi modi, attribuendo la colpa alla debolezza post allenamento e alla sua stanchezza mentale accumulata che gli impediva di ribellarsi ancora, ma non appena si alzò dal divano gli fu chiaro, lampante, che qualcosa sarebbe cambiato per sempre nel momento in cui avrebbe aperto quella dannata porta.
«Bastava una telefonata per dirmi che vuoi licenziarti» disse controllando il tono di voce e  lasciandola entrare nell’appartamento.
«In realtà sono venuta a prendermi di persona le scuse che mi devi» specificò la donna scrutandolo attentamente.  Axel sostenne il suo sguardo senza trovare una via di fuga carica di sarcasmo e alla fine si lasciò sprofondare di nuovo sul divano, nel punto esatto che aveva occupato fino a poco prima.
«Siediti, così affrontiamo la questione con calma» disse citando le sue stesse parole.
Non parve troppo irritata dal suo atteggiamento e fu lieto di vederla accettare il suo invito. Il fatto che si trovassero nella stessa stanza senza litigare era già qualcosa, ma per mantenere quello stato di calma apparente non poteva limitarsi ad assecondarla.
«Axel, mi spiace per come siano andate le cose questa mattina, ma è evidente che non è solo questo il problema. Giusto? Non pretendo di sapere ogni dettaglio della tua vita privata, ma almeno aiutami a capire. Mi rifiuto di credere che l’invito a un convegno possa aver scatenato…questo
Non disse nulla, si limitò a osservare un punto vuoto di fronte a sé nella speranza di vedervi comparire una risposta d’emergenza.
«Se c’è qualcosa che posso fare» continuò quindi Loraine «per ridurre l’agitazione che provi, ti chiedo di rendermene partecipe. Non ci sono alternative per far funzionare la cosa, vorrei che questo ti fosse chiaro.»
L’alternativa, rifletté, era chiudere il rapporto una volta per tutte. Sarebbe stata la decisione più saggia da prendere, qualcun altro al suo posto lo avrebbe fatto da tempo.
«Tu lo sai com’è iniziata la mia carriera?» le chiese all’improvviso.
Quella domanda parve spiazzarla, ma ormai era troppo tardi per camuffarla o deviarla verso altri lidi.
Loraine, d’altra parte, volle assecondare quella rotta: «Hai vinto il concorso indetto dalla C.A.M..» disse con ovvietà «E con ottimi risultati, direi.»
«Sì, ottimi risultati» le fece eco trattenendo una smorfia. «E sai perché ho deciso di partecipare a quel concorso?»
«Suppongo per metterti in gioco, per tentare la fortuna. I concorsi servono a questo, no?»
Non rispose.
Era ovvio, di solito quella era una delle strade che imboccavano gli artisti, soprattutto se scrittori. Non sempre portava alla meta desiderata, ma almeno accorciava di qualche passo un percorso già tortuoso e difficile per natura.
Tuttavia c’era una nota stonata nella risposta di Loraine, come se dietro la sua incertezza ci fosse l’intenzione di scavare più a fondo in quella vicenda.
«Axel,» lo richiamò infatti «non era solo voglia di metterti in gioco. Sbaglio?»
In quel momento realizzò che, con tutta probabilità, Loraine conosceva quella risposta già da tempo. Certo, non ci voleva un intuito molto raffinato per comprendere che qualcosa nel suo passato lo avesse segnato nel profondo, i media, per esempio, avevano deciso che quell’evento dovesse coincidere con la morte prematura dei suoi genitori, una spiegazione infiocchettata per il grande pubblico e che giustificava in toto il suo atteggiamento impacciato, nervoso e spesso scostante. La critica, quella spietata e senza remore, lo accusava invece di aver finemente costruito quell’immagine di sé, di aver limato con astuzia quei dettagli fisici e caratteriali tipici degli scrittori maledetti ricordandogli con acida ironia che quell’epoca era ormai passata di moda. Gwen era stata l’unica a non giudicare quella parte di sé, ma si era saggiamente allontanata da lui quando aveva iniziato ad emergere dalle sue azioni, dal suo modo di parlare, di ridere o semplicemente di vivere. Non provò nemmeno a fermarla, anzi, aveva sperato con tutto il cuore che l’Indonesia l’avrebbe aiutata a dimenticarlo.
In quel burrascoso via vai di persone nella sua vita, Loraine gli era rimasta accanto senza mai intromettersi in quella faccenda, e non solo perché a legarli era un rapporto lavorativo. Certo, non poteva esimersi dal rimproverarlo quando metteva a rischio la sua carriera e gli aveva subito passato il contatto di un buon terapista quando aveva notato la frequenza dei suoi attacchi di panico. In generale si assicurava che stesse bene o al massimo che non mandasse a rotoli anni e anni di lavoro e, suo malgrado, questo significava anche mantenere un’immagine pubblica decorosa; nel concreto, Loraine Armstrong gli garantiva la stabilità lavorativa e spesso anche mentale.
«No, non era solo voglia di mettermi in gioco» confermò quindi. Non spostò lo sguardo su di lei e lo tenne invece fisso sul pavimento, per quasi un intero minuto, rincorrendo i disegni geometrici del tappeto che aveva sotto ai piedi.
«È per questo che non vuoi tornare a Mismar?» la voce di Loraine  si insinuò con delicatezza nei ricordi che stava inseguendo.
«A Mismar sono successe tante cose. Tornare manderebbe a monte gli ultimi diciotto anni della mia vita.»
«Ovvero il tuo tentativo di dimenticare? Perdona la franchezza, Axel, ma non credo proprio che tu abbia dimenticato. Di qualsiasi cosa si tratti.»
Sapeva a cosa si stesse riferendo. Poteva ingannare se stesso, forse, ma con Loraine era tutta un’altra storia.
«Cosa dovrei fare?» chiese quindi, non vedendo più vie d’uscita.
«Accettare quell’invito alla C.A.M., tanto per cominciare. È un evento formale, non sei costretto a relazionarti con le persone, se non vuoi.»
«Ti prego, finirei a vomitare nei bagni degli studenti già alla prima conferenza.»
«Probabile, e forse anche alla seconda, ma sono sicura che alla terza avrai solo un po’ di nausea.»
Capiva ciò che gli stava dicendo e avrebbe appoggiato il suo pensiero in qualsiasi altra situazione. Ma di quella storia le mancavano i tasselli più importanti, quelli che nel bene e nel male avevano gettato le basi del suo futuro. Mismar era stata una città dolce, colorata di rosso e profumata di pesca, ma anche spietata. Per i suoi giochi di potere, il suo dolore e la sua indifferenza.
Come poteva tornare?

 
 
 

*

 
 
  
 
NdA
Hello!
Già, è passato un po’ di tempo dall’ultimo aggiornamento, ma questa storia continua ad andare avanti nonostante i mille imprevisti che si mettono in mezzo :’)
Il capitolo, seppur corto rispetto agli altri, inizia a dare qualche informazione in più sul passato di Axel e in particolare sul concorso indetto dalla C.A.M. . Il prossimo lo considero definitivo per quanto riguarda alcuni aspetti e vi anticipo che non ci sarà da attendere molto perché è praticamente pronto :D
 
Spero che la storia continuerà a piacervi e come sempre vi ringrazio per il supporto <3
 
_Atlas_

 
 
 

 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


 


 Capitolo IX
 
 
 
 
 
 
 
 
Loraine era rimasta fino a tardo pomeriggio. Non c’era stato un esplicito chiarimento e Axel non le aveva chiesto scusa per il suo comportamento, tuttavia la loro chiacchierata aveva riportato la situazione a una parvenza di normalità, allentando la tensione delle ultime ore. Non ci sarebbe stata una vera pace finché non avrebbe accettato di tornare a Mismar, di questo Axel era consapevole, ma una tregua momentanea era tutto ciò che era in grado di offrire a entrambi.
Loraine guardava la cosa da un punto di vista professionale e il non presenziare al convegno della C.A.M. avrebbe a suo dire affossato ancora di più l’immagine di chi faceva affidamento su di lei; Dark Sirio cavalcava ancora l’onda del successo, ma era chiaro a tutti in quale direzione stessero andando le cose. Il suo piano era quello di intraprendere quella strada volontariamente e dare una svolta alla sua carriera prima che qualcun altro lo facesse al suo posto. Recarsi a Mismar non era dunque solo questione d’affari, e oltre a chiudere un cerchio lungo diciotto anni rappresentava per lei, e di conseguenza per l’uomo per cui lavorava, un invitante punto di ripartenza.
Tuttavia, quei diciotto anni che Loraine vedeva come un invito ad andare oltre non erano per Axel che la punta di un immenso iceberg. Quel che gli impediva davvero di chiudere la storia era da ricercare nel fondo di un oceano in cui non aveva intenzione di immergersi e dove qualcuno lo stava spingendo contro la sua volontà, ignorando le sue ragioni; non era un caso che in quei momenti il panico lo ancorasse a terra.
Forse, rifletteva, se avesse avuto i giusti mezzi per toccare quel fondo senza farsi male, il finale di Dark Sirio si sarebbe scritto da solo.
 
 
*
 
 
A Marzo il cielo di New York si trasformò in un manto grigio quasi perenne. In Madison Avenue la vita scorreva con lo stesso ritmo di sempre, una specie di corsa in cui tutti erano chiamati a partecipare e in cui nessuno sembrava intenzionato a raggiungere il traguardo.
Appena trasferito a Manhattan, Axel aveva passato gran parte del suo tempo a chiedersi se un giorno, affacciandosi dalla finestra, avrebbe mai visto qualcuno tagliare il filo della vittoria. Proprio lì, in mezzo alla strada, in quell’esatto momento.
Iniziò a chiederselo ogni giorno, fino a quando realizzò che in quella folle corsa verso il nulla ci era finito dentro anche lui e che ormai era troppo tardi per fermarsi o anche solo rallentare.
Poco male, si era detto, se da una parte era conscio di essere finito in un loop eterno, dall’altra New York gli offriva una gamma di distrazioni talmente vasta da mettere a tacere quel vago senso di frustrazione che spesso lo assaliva.
A volte gli sembrava di vivere in un grottesco lunapark per adulti, un paese dei Balocchi in chiave moderna in cui nonostante tutto aveva trovato il suo spazio.
Diciotto anni erano trascorsi così, con le birre di David Messina davanti agli alberi di Madison Square Park, nella calca dei festival musicali e concerti di artisti emergenti. Talvolta cercava un corpo caldo a cui stringersi nelle notti d’inverno, quando il gelo oltrepassava le ossa e gli si conficcava nel cuore; succedeva di rado, e una volta esaurita l’urgenza del contatto fisico ergeva muri altissimi senza chiedersi cosa stesse lasciando fuori. Persino Gwen non era riuscita ad abbatterli, quei muri, e a lui stava bene così.  Del resto New York non ammetteva quel genere di emozioni; lì, tra la pubblicità virtuale di prodotti lussuosi e la puzza di piscio dei quartieri malfamati, c’era ben poco spazio per affrontare i sentimenti.
 
 
*
 
 
Quella sera di fine marzo era trascorsa come tante altre.
David gli aveva allungato due bottiglie di Budweiser e come sempre aveva sproloquiato sull’ultima giocata dei Mets, elogiando all’inverosimile le strategie di Terry Collins e dichiarandolo il miglior coach della storia del baseball; secondo lui quell’anno avrebbero fatto scintille alla Major League, e forse persino alla World Series. «Ma meglio andarci coi piedi di piombo, l’ottimismo non è mai stato il mio forte. Che ne dici, Axel?» aveva borbottato.
Axel, che di baseball non ne capiva niente ma che con il pessimismo ci andava a nozze, annuì attaccandosi alla bottiglia.
 
 
Da tutto quel chiacchiericcio sportivo riuscì a trovare pace solo quando rientrò nel suo appartamento.
Il silenzio che aleggiava nell’attico lo metteva spesso a disagio, costringendolo ad affrontare di petto la sua solitudine, ma nelle serate come quella non era che salvifico. Un micidiale anestetico che riduceva drasticamente il carico emotivo trattenuto per l’intera giornata e che ora minacciava di manifestarsi in altre maniere.
“Dovrei prendere le medicine” si ricordò poi, dando un’occhiata al piano della cucina. Aveva lasciato la scatola di diazepam accanto alla caffettiera, nella speranza che prima o poi si fosse deciso a iniziare la terapia che gli aveva suggerito il medico.
Ci aveva provato, per una volta aveva preso in considerazione il consiglio di Loraine e aveva contattato il dottor Perkins, uno psichiatra cervellone che con una sola occhiata aveva intuito non solo di quale terapia avesse bisogno ma anche che, dato il suo temperamento, non sarebbe mai stato in grado di seguirla.
Rigirandosi la scatola tra le mani e immaginandosi su un aereo diretto a Mismar, Axel non era certo che una scatola di benzodiazepine sarebbe bastata per alleggerire il macigno che aveva sul petto. Tanto valeva lasciarla chiusa, evitare qualche brutto effetto collaterale e lasciarsi divorare dall’ansia.
Sul ritorno a Mismar non si era del tutto espresso, ma col passare dei giorni e delle settimane aveva capito che non era poi così indifferente al futuro della sua carriera; certo, sentirsi al proprio agio nei panni di un fumettista pluripremiato era pressoché impossibile, ma far crollare diciotto anni di carriera e tutti i desideri di un adolescente che, a modo suo, ci aveva creduto, era una prospettiva che alimentava ancora di più la sua ansia.
D’altra parte non fare nulla alimentava il suo senso di colpa, per questo sognava le sirene dell’ambulanza, quel grido che chiamava il suo nome e il corpo inerme di Jake, col viso sfigurato e inclinato verso di lui.
 
«Che cazzo di casino» mormorò staccandosi con forza da quei pensieri.
Si buttò a peso morto sul letto rigirandosi il telefono tra le mani, guardando notizie e foto di cui non gli importava e lasciando scorrere il tempo fino a quando la realtà non si confuse con immagini lontane.
Le note familiari di una canzone lo cullarono nel dormiveglia, poi si addormentò.
 
  
*
 
 
5 aprile, New York City 
 
Le giornate, minuto dopo minuto, ora dopo ora, passarono alla velocità della luce. Non ci fu il tempo di riflettere, né di rendersi conto di quello che stava succedendo.
Che cosa stava facendo?
Stava impazzendo? Stava davvero preparando una valigia?
«Qualcuno deve avermi drogato a mia insaputa e questo è solo un immenso delirio partorito dalla mia mente.»
«Piantala di fare il melodrammatico, l’aereo parte tra due ore» lo redarguì una voce femminile.
«Davvero, Loraine?!» ribatté stizzito «Me l’hai ripetuto solo ventisette volte!»
E non sapeva a quali comandi stesse rispondendo il suo corpo, le sue mani continuavano a prendere vestiti e infilarli nella valigia come se fossero dotate di vita propria.
«Non lo sto facendo davvero, non lo sto facen-»
«Questo è il programma del convegno, non dimenticartelo» lo interruppe la donna allungandogli un plico di fogli. Axel borbottò qualcosa sull’utilizzo del computer e lo spreco inutile di carta, ma trovò lo spazio per aggiungerli in valigia.
Si fermò solo per un istante, quando con lo sguardo incrociò una maglietta dei Beatles abbandonata in fondo all’armadio. Fu in quel momento che prese coscienza di quello che stava davvero per fare, e che a preparare quella valigia non era stato nessun demone appropriatosi del suo corpo. Era stato lui a decidere, a prenotare un volo con l’American Airlines, a mandare un’email di conferma alla Comics Academy of Mismar, a dare la notizia a Loraine.
 
All’improvviso un’ondata di calore invase il suo corpo e la familiare sensazione di terrore, angoscia e disperazione lo ricoprì da capo a piedi.
Che diavolo stava facendo?
 
 

 
________________________
 
 


NdA
Ciao a tutti,
no, direi che questo aggiornamento non è avvenuto in tempi brevi come avevo promesso, MA…niente, chiedo venia al mio agguerrito esercito di tre lettori :’)
Come anticipavo nelle scorse note, questo capitolo mette una sorta di “punto” alla trama e già dal prossimo le cose cambieranno notevolmente, anche se quel “punto” verrà in realtà ripreso in futuro.
Non mi esprimo invece sul cliffhanger finale che vi ho servito con taaanta bontà d’animo, anche se è abbastanza intuibile ciò che accadrà :P
 
Piccola nota aggiuntiva: mi rendo conto che non aggiornando regolarmente abbia perso qualche lettore per strada, ma se qualcuno giunto fin qui avesse voglia di lasciare un commento, anche in privato e anche solo per dirmi che ‘buuu, la storia è una mmmerda, è meglio se vai a coltivare barbabietole da zucchero sulle coste della Norvegia’, mi farebbe assai piacere.
Scherzi a parte, avere un riscontro è utile soprattutto per capire cosa funziona e su cosa dovrei migliorare, ma ovviamente non deve essere un obbligo.
 
Chiudo, e approfitto per ringraziare come sempre la mia cara leila91 per la scorsa recensione <3
 
A presto,

_Atlas_

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Capitolo 11
*** Intermezzo ***


 


Intermezzo

 

 
 

 
Nella regione dello spaziotempo la gravità non è quantificabile e ogni tentativo di oppormi ad essa si rivela un fallimento. Qui non ci sono uscite d’emergenza e sono destinato a cadere per sempre, fino a quando la mia esistenza non si confonderà con l’oscurità eterna.
D’altronde la scienza lo sostiene da anni: ciò che finisce in un buco nero è destinato a rimanervi, senza alcuna eccezione.
Dunque non resta che arrendermi e subire il viaggio.
 
 
L’eco dell’ambulanza adesso è più assordante che mai e col fiato spezzato rivivo ancora quel momento, il sangue, la pioggia, i battiti impazziti durante una corsa persa in partenza.
La mano di Jenna aggrappata alla mia non è più quella che mi aveva accarezzato leggera per mesi, ma disperata, in cerca di una risposta che io non riesco a dare, mentre l’ultimo ricordo di Jake si stampa per sempre nella mia memoria.
 
 
  

________________

 
 

  
NdA
Buonsalve!
Piccolo aggiornamento (a tempo di record!) per introdurre la seconda parte della storia.
In realtà non ho molto da aggiungere, se non qualche parola per giustificare il richiamo al prologo e al tema dei buchi neri – Sono fissata? Sì, sono fissata.
Ovviamente la questione è molto più complessa e ci sono numerosissimi studi sul tema che sarebbe impossibile incastrare nella storia; qui ho mantenuto almeno le basi, ovvero che da un buco nero non si esce, senza se e senza ma. Tuttavia ci sono studi, anche non troppo recenti, che ipotizzano una teoria opposta, ma a quello ci arriviamo a tempo debito u.u
 
Detto ciò, ringrazio leila91 per la scorsa recensione e chiunque sia passato di qui a leggere.
 
A presto,
 
_Atlas_

 

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Capitolo 12
*** Capitolo X ***



Capitolo X

 
 
 
 

 
 
Aprile 1997, Mismar (Georgia)
 
«Ti stai impuntando un po’ troppo, secondo me.»
Jake scosse la testa e si arricciò nella mano i capelli che gli ricadevano sulla fronte.
«Non mi sto impuntando,» chiarì «vorrei solo che capiste il concetto: cancellare dalle scalette tutti i pezzi famosi farebbe dimezzare il pubblico che viene a sentirci. I Losers Club sono nati come una cover band, non possiamo di punto in bianco offrire qualcosa di diverso.»
«Non dovete eliminarli tutti!» obiettò Axel afferrando dal piatto una manciata di patatine fritte.
«Potreste inserire i pezzi originali un po’ per volta, perchè pensi che non sia una buona idea? Johnny’s eyes è piaciuta, non ha senso non proporre altro» aggiunse Jenna con l’aria di chi aveva ripetuto quel concetto un po’ troppe volte.
«No, è che non ha senso proporre qualcosa che non funziona.»
Jake sembrava particolarmente irrequieto e in quella frase Axel colse più frustrazione di quella che forse aveva intenzione di trasmettere. Cercò conferma nello sguardo di Jenna ma lo vide puntato altrove, rapito da due iridi nocciola oscurate da un velo di malinconia e rabbia.
Fu un pensiero rapido, ma che si incise subito nella sua mente non appena percorse la traiettoria dei loro sguardi: se Jake avesse avuto una maggiore consapevolezza di sé, pensò, avrebbe avuto ai suoi piedi chiunque e a quel punto i Losers Club avrebbero potuto suonare le peggiori hits reggaeton che nessuno ci avrebbe dato importanza.
Si costrinse a ignorare quella fitta di gelosia che gli punzecchiava lo stomaco attribuendone la colpa alla sua scarsa autostima e all’incertezza che lo inondava ogni volta che finiva per ricordarsi di Dark Sirio, ma era consapevole che quel collegamento non reggeva – o che comunque reggeva poco – e che la reale causa fosse da cercare altrove, magari a pochi centimetri dalla sua sedia.
«Grazie Darryl» disse Jenna afferrando altre due porzioni di patatine fritte e mettendole al centro del tavolo. L’uomo le fece l’occhiolino e scompigliò scherzosamente i capelli di Jake prima di tornare dietro al bancone.
«Dai retta a Jenna, ragazzo…» gli urlò in lontananza.
Jake sbuffò seccato e tornò a guardare i due amici: «Quello che voglio dire…»
«Quello che vorresti dire lo hai già detto trecento volte» lo frenò immediatamente Jenna, che a quel punto era esausta «Quello che devi fare, invece, è trovare un po’ di coraggio dentro quel cespuglio di capelli ingellati e imbrattati di brillantina. Chiaro?»
«Io non uso la brillantina!» ribatté lui, sulla difensiva.
«Raccontalo a qualcun altro!»
«Non racconto proprio un bel niente.»
«E tu» rincarò la dose Jenna con fare stizzito «hai intenzione di dirgli qualcosa o dobbiamo come al solito aspettare un allineamento dei pianeti prima che tu riesca a parlare?»
Axel non era pronto a quello scatto di Jenna e realizzare che stesse rivolgendo proprio a lui quelle parole e con quel tono perentorio gli causò un principio di vertigine. Non era certo la prima volta che succedeva, eppure non era ancora riuscito ad abituarsi.
«Mi sembrava di aver detto la mia al riguardo, no?»
«Forse, ma qui abbiamo problemi di memoria» insisté lei.
Axel tirò un lungo sospiro e si schiarì la voce, ignorando quel vortice di emozioni in cui era finito senza volerlo: «Beh, devi buttarti, Jake. Devi rischiare. E credimi, non te lo sto dicendo perché in questo momento sono sotto minaccia…» scherzò contro ogni previsione e sollevato di vedere un accenno di sorriso sulle labbra di Jenna «…ma perché è giusto così. Se non ti butti non lo saprai mai. E a me i vostri pezzi originali piacciono, non vedo perché non debbano piacere anche agli altri. Giusto?» chiese poi sottovoce a Jenna, che adesso lo guardava con una certa soddisfazione.
Jake li osservò entrambi per una manciata di secondi, apparentemente divertito, dopodiché scosse la testa e si alzò per uscire.
«Siete due imbecilli, a proposito.»
 
 
 Axel aveva smesso da tempo di chiedersi se fosse normale chiudere le serate in quel modo, con Jake che saltellava da uno stato d’animo all’altro o da un discorso all’altro come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non ci fece nemmeno troppo caso quando iniziò a camminare con la testa all’insù per le strade di Mismar, cercando di riconoscere le costellazioni che spiccavano luminose nel cielo.
«Quella secondo me è “Cane che si morde la coda”. La vedete?»
Axel, che quella sera lo aveva visto bere due boccali di birra, lo lasciò giocare con la fantasia senza interrompere il suo flusso di pensieri; suo malgrado provò un lieve senso di colpa nei suoi confronti, la gelosia che provava non aveva nulla a che fare con il suo carisma e piuttosto riguardava se stesso - si disse - la sua insicurezza e tutto ciò che gli impediva di muoversi dal punto in cui si trovava.
Sperò davvero che Jake trovasse il coraggio per portare la sua band a uno scalino più alto, non solo perché credeva davvero nel suo talento, ma perché pensava che lo meritasse anche per la persona che era e per l’amico che stava diventando per lui.
«A che pensi?»
La voce di Jenna lo fece sussultare di nuovo, anche se adesso aveva un tono più dolce e privo di qualsiasi sfumatura minacciosa.
Si limitò ad alzare le spalle, come faceva sempre quando non sapeva cosa dire, e innervosendosi non appena realizzò che stava perdendo l’ennesima occasione di parlare da solo con lei.
Jenna d’altra parte non si lasciò turbare da quel silenzio, o almeno così gli era sembrato, ma il cuore gli tremò nel petto ancora una volta quando lei intrecciò il suo braccio al proprio, stringendolo con delicatezza.
«Mi preoccupo troppo per lui, forse dovrei lasciar perdere» disse.
Axel, ancora frastornato da quell’inaspettato contatto fisico, realizzò con qualche secondo di ritardo a chi si stesse riferendo e subito dopo si sentì sommerso da una fitta pioggia di emozioni discrepanti.
Non capiva il comportamento di Jenna, né che tipo di rapporto ci fosse effettivamente tra lei e Jake. La loro amicizia aveva sfumature che lui non riusciva a cogliere, forse perché non aveva mai avuto un rapporto così intimo con qualcuno, o forse perché qualcosa di ambiguo c’era e per lui era solo molto difficile da accettare.
Ma allora che senso aveva avvicinarsi a lui in quel modo? Perché creare equivoci se ciò che desiderava davvero era stare con Jake?
Axel non sapeva rispondere a quelle domande, ma non poteva ignorare la fiamma che, seppur debolmente, gli scaldava il cuore da mesi.
«Troverà una soluzione, Jake è in gamba» si sforzò di pronunciare. Ci credeva, suo malgrado, e guardandolo brioso tra gli effetti dell’alcol e qualche risata di troppo non riuscì a capire il timore di Jenna e per un momento provò persino rabbia nei suoi confronti. Una rabbia che scemò non appena la sentì poggiarsi con la testa sulla sua spalla, mozzandogli il respiro.
«Dobbiamo proteggerlo, Axel» mormorò stancamente.
La risata di Jake ruppe quel nuovo silenzio tra loro, e Axel si chiese se quell’improvvisa angoscia che provava fosse solo una sensazione passeggera o se fosse il preambolo di qualcosa che ancora non aveva forma.
 
  

*

 
 
«Non ci credo…»
Mentre Jake passava in rassegna le prime vignette concluse del suo fumetto, Axel lo osservava in silenzio già dimentico delle ore che aveva speso per renderle il più presentabili possibile. Alla fine era riuscito a creare una trama che coinvolgesse l’invasione della Luna da parte di una navicella aliena, conservando l’idea originale di Jake ma rendendola meno confusa e più facile da disegnare.
Mancava poco più di un mese al termine della consegna dei lavori e Axel aveva bisogno di un riscontro per portare avanti la storia, così quel pomeriggio lo avevano passato insieme nel sottotetto a studiare nuovi dettagli della trama fin quando Axel non aveva messo un plico di fogli sotto il naso di Jake, che per poco non si era messo a piangere dalla felicità.
«Non pensavo che fossi già così avanti, come cavolo ci sei riuscito?» gli chiese sfogliando i disegni con aria sognante.
«Ho iniziato a provare una certa simpatia per gli alieni» rispose Axel con un’alzata di spalle. Mentre disegnava ricordò di aver pensato alle parole di Jenna a cui non era stato capace di dare un significato, e si era chiesto se la scelta di aiutare Jake non potesse essere il suo personale modo di proteggerlo, sebbene fosse stata una scelta presa a posteriori.
Proteggerlo da che cosa, poi? Non era stato abbastanza coraggioso da chiederlo e la presenza così vicina di Jenna aveva solo reso tutto più difficile. Il suo profumo gli era rimasto attaccato alla felpa per giorni interi, un lieve aroma di pesca che avrebbe voluto portare con sé ovunque.
«Come posso ripagarti, Axel?» disse improvvisamente Jake, lo sguardo ancora puntato sui disegni. «Lo so che non è ancora finito, ma vorrei davvero ringraziarti per questo.»
«Pagami in concerti, e possibilmente vorrei ascoltare pezzi originali.»
«Ancora con questa storia? Scommetto che Jenna ti ha fatto il lavaggio del cervello.»
Axel portò gli occhi al cielo e ne approfittò per sintonizzare il televisore su MTV, dove però trovò il notiziario.
«Parliamo di te, piuttosto» rincarò la dose Jake «Hai deciso cosa fare con Dark Sirio? Perché la questione non è poi così diversa, lo sai?»
Aveva ragione, doveva concederglielo, ma questo non avrebbe cambiato le cose.
Fu sul punto di dirglielo, che ormai la decisione di non partecipare al concorso era definitiva, ma qualcos’altro attirò la sua attenzione.
«Jake, il naso. Ti esce sangue.»
«Merda, di nuovo» disse lui posando i disegni e affrettandosi per pulirsi.
«Ti succede spesso?» gli chiese Axel, ricordando l’episodio di qualche settimana prima.
Jake fece un gesto vago e si ricompose, senza però rispondere alla domanda.
«Niente maglietta dei Beatles, stavolta?» gli chiese invece.
«Quella è rimasta a te, a dire il vero.»
«Giusto. Te la riporto, promesso.»
Probabilmente la cosa lo aveva messo in imbarazzo, o almeno fu così che Axel giustificò l’improvvisa goffaggine dell’amico, che adesso sembrava essersi dimenticato del fumetto e aveva preso a rovistare tra le sue audiocassette per camuffare la sua agitazione.
«Questo album è una bomba!» esclamò trovando Achtung Baby degli U2.
Axel sorrise, provando per lui una strana compassione, dopodiché si buttò a capofitto in una discussione sull’evoluzione stilistica di Bono Vox.
 
 

*

 
 
Aprile 2015, Georgia
 
Il getto di aria condizionata gli aveva bloccato il collo per l’intero viaggio e probabilmente anche per i giorni successivi. Se ne rese conto all’atterraggio, quando la hostess si avvicinò per svegliarlo e lui non era riuscito a voltarsi nella sua direzione.
In realtà non stava neanche dormendo, come poteva? Aveva solo chiuso gli occhi sperando di aver preso il volo sbagliato come quel film con Macaulay Culkin e di essere finito dall’altra parte del mondo.
L’insegna dell’aeroporto di Atlanta uccise definitivamente le sue speranze non appena scese dall’aereo, ormai certo di non avere via d’uscita.
Il taxi per Mismar lo aspettava all’uscita dell’edificio, e realizzò di avere davanti a sé l’ultima possibilità di scappare e di non fare ritorno.
Questa volta davvero.

 

 
 

_______________________
 

 
 
Note:
1. Kevin McCallister, il protagonista di “Mamma ho perso l’aereo” e di “Mamma ho perso l’aereo – Mi sono smarrito a New York”.

 
 
 
NdA
Buonassssera!
Più o meno puntuale sulla tabella di marcia, riesco a pubblicare finalmente il primo capitolo di questa seconda parte della storia. Spero che questo seguito possa piacervi almeno quanto sta piacendo a me chiudermi nel 1997, sperando di scrivere in maniera realistica e coerente. Se così non fosse aspetto il solito cestino di arance/pomodori/ananas(?).
 
Detto ciò, Axel è arrivato in Georgia. Ci resterà? Chissà? Lo scoprirete solo vivendo.
 
Grazie come sempre a chi è arrivato fin qui e a chi ogni tanto fa una sbirciata tra i capitoli.
 
_Atlas_

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Capitolo 13
*** Capitolo XI ***



Capitolo XI

 
 
 
 
 
 
La gomma dei tergicristalli scivolava sul parabrezza mostrando a intervalli regolari i profili degli edifici e le insegne di qualche negozio.
Axel recuperò la valigia e allungò una manciata di banconote all’autista prima di vederlo ripartire con il suo taxi. Lo seguì con lo sguardo finché la vista glielo consentì, poi iniziò a camminare sul marciapiede trovando poco a poco il coraggio di guardarsi intorno.
Stranamente l’agitazione si era placata e il buio e la pioggia gli diedero l’illusione di sentirsi invisibile, quasi protetto.
La pioggia aveva quell’effetto salvifico anche per Damon Rivera, era così che agiva Dark Sirio nelle sue scorribande notturne; non c’erano mantelli né armature corazzate, c’era solo il suo corpo, tormentato e avido di vendetta, che si addentrava con passo felpato in territorio nemico.
Liam Sullivan - “Procyon” negli ambienti mafiosi – giocava con lui quella subdola partita a nascondino, sfuggendo ai suoi proiettili per sputarne altri, in una avvilente e sanguinosa sfida tra gangster.
Lo stesso gioco d’astuzia, dove a nascondersi erano però le emozioni, Axel lo viveva dentro di sé ogni giorno, un’eterna guerra civile tra due fazioni incapaci di comunicare e su cui lui aveva da sempre rinunciato a prendere posizione.
 
Mentre camminava l’insegna di un negozio di smartphone attirò la sua attenzione, lampeggiando luminosa davanti ai suoi occhi. Era infinitamente piccolo se paragonato agli store di New York, poco curato e pubblicizzato, ma almeno non sprigionava la stessa ripugnante idea di consumismo e sfarzo. Scrutando la vetrina, Axel seguì il riflesso degli edifici alle sue spalle, riconoscendo i profili familiari dei balconi e delle finestre che aveva guardato con superficialità migliaia di volte e che per una curiosa coincidenza erano rimasti impressi nella sua memoria.
All’improvviso capì. Forse il suo inconscio aveva sperato di fregarlo, confondendogli le idee e camuffando le strade intorno a lui, eppure la consapevolezza non tardò ad arrivare: quello era il vecchio market di Earl, il negozio di alimentari dove aveva ottenuto il suo primo lavoro, dove aveva conosciuto Jake e Jenna e dove erano accadute un sacco di altre cose.
Axel provò a nascondersi da quella fitta di nostalgia che gli colpì il petto e provò a raccontarsi mille storie, su quanto per esempio fossero lunghi diciotto anni o su quanto fosse normale, per una realtà piccola come Mismar, che le cose cambiassero prima o poi. Si raccontò che la cosa non lo stupiva poi così tanto, che quasi se lo aspettava, e si raccontò altre migliaia di storie anche mentre le sue gambe ripresero a camminare a passo agitato, quasi stregate, trascinandolo fino all’ingresso del suo vecchio sottotetto.
La pioggia era sempre più fitta e Axel non ebbe altra scelta se non quella di arrendersi e infilare la chiave nella serratura.
Fece un lungo respiro.
 
«Va bene» mormorò aprendo la porta.
 
 
 
Non capì con certezza cosa notò per prima, se l’odore di una casa rimasta chiusa per diciotto anni, il caos in cui era immersa o il silenzio che vi albergava, rotto solo dal rumore della pioggia.
Si impose l’assoluta razionalità e cercò di non badare troppo a quel senso di vertigine che gli salì alla testa non appena si chiuse la porta alle spalle. Era una sensazione strana, caotica, gli sembrava quasi di essere arrivato con una macchina del tempo da un’epoca lontanissima e del tutto incompatibile con ciò che vedevano i suoi occhi.
Razionalità.
Era quello di cui aveva bisogno, insieme a una doccia calda e un sedativo per elefanti, tutte cose che al momento erano di difficile reperibilità. La caldaia, come si accorse poco dopo e come del resto era prevedibile, aveva bisogno di una sistemata, mentre per un sedativo così potente avrebbe dovuto scomodare qualche contatto oltreoceano che non era sicuro di voler risentire.
In quanto alla razionalità invece, tutto dipendeva da lui. Aveva la sensazione di camminare in mezzo a un campo minato, ma stando attento e controllando scrupolosamente ogni passo forse avrebbe evitato il peggio.
Tanto per cominciare avrebbe dovuto riguardare il programma delle conferenze alla C.A.M., prima di partire Loraine gli aveva allungato in tutta fretta un plico di fogli a cui ancora non aveva dato un’occhiata, e qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto farlo al più presto, se aveva intenzione di uscire indenne da quel convegno.
Loraine ebbe il tempismo di scrivergli proprio in quel momento, aiutandolo a trovare quella razionalità che cercava come ossigeno.
“Sei arrivato? Hai già visto il programma di domani?”
Giusto, rammentò, dopotutto quello era un viaggio di lavoro. L’idea di dover parlare davanti a un pubblico continuava a renderlo nervoso, eppure concentrarsi su quello sembrava ridimensionare lo stato emotivo in cui si trovava adesso.
“Arrivato. Sto ripassando le ultime cose.” Mentì.
Mise da parte il telefono e iniziò a guardare per la prima volta il programma inviato dalla C.A.M., ignorando con ostinazione tutto ciò che aveva intorno.
 
 

*
 

 
Si risvegliò all’alba, accovacciato sulla scrivania in una posizione innaturale. La schiena protestò dolorosamente non appena provò a mettersi ritto e ci volle più di una sessione di stretching per tornare in sesto.
Una tazza di caffè bollente avrebbe dato una svegliata anche al resto del corpo, ma preferì rimandare a più tardi la colazione e cercare di rendere più ospitale quelle quattro mura piene di polvere e ricordi.
Spalancò le finestre e lasciò entrare l’aria umida del mattino che ancora sapeva di pioggia, rassettò le stanze e raccolse in una busta tutte le cianfrusaglie che gli capitavano sottomano, tra cui una polaroid dove spiccavano radiosi il suo volto e quello di Jake. Non fu difficile mettere in scena quel teatrino intriso di apatia e razionalità, anzi, probabilmente la noncuranza con cui stava maneggiando  i ricordi sacri dei suoi vent’anni gli avrebbe presentato il conto più avanti, mozzandogli come sempre l’ossigeno nei polmoni, ma non gli importava.
Si scoprì ostinato a utilizzare quel meccanismo di difesa ed era persino convinto che potesse funzionare più di qualsiasi altro tipo di ansiolitico.
Quello che desiderava più di ogni altra cosa, e di questo era più che certo, era uscire indenne da quel convegno e tornare a New York il prima possibile.
 
 
La Comics Academy of Mismar era più o meno come la ricordava, salvo qualche modifica architettonica che le dava un aspetto un po’ più moderno. A dirla tutta, non aveva mai provato particolare entusiasmo a guardare la struttura dell’edificio e ora che attraversava il cortile d’ingresso dopo vent’anni si stupì a provare più o meno la stessa sensazione. Aveva l’aria di un liceo messo a nuovo, al passo coi tempi, che tuttavia portava il peso di essere la scuola di fumetti più rinomata del paese, forse perché l’unica esistente.
Non c’erano studenti nei dintorni, questo Axel lo notò gustandosi il suo giornaliero cocktail di emozioni discrepanti che stavolta abbracciavano il sollievo e un pizzico d’ansia. Erano davvero messi così male, alla C.A.M.?
Col passo incerto si avvicinò all’entrata, cercando di soffocare il ricordo dell’ultima volta in cui lo aveva fatto, il 10 giugno 1997, con il senso di colpa che già gravava sulle sue spalle e il dolore di una ferita che gli aveva squarciato il petto a metà. Accanto al portone, lì dove diciotto anni prima spiccavano le classifiche con i risultati dei partecipanti al concorso, adesso c’era un immenso cartellone pubblicitario occupato a metà dal volto di Dark Sirio. L’altra metà, appena più luminosa, non era altro che una gigantografia del suo stesso volto.
«Oddio…» mormorò con disgusto.
«Signor Newell?» lo chiamò qualcuno nello stesso momento.
Un agguato alle spalle, proprio come l’ultima volta. Axel non ebbe bisogno di voltarsi per scoprire chi fosse.
Lo ricordava come un uomo giovane, alto, con le spalle larghe e una chioma di capelli neri che spesso legava in un codino disordinato. Girava per le aule della C.A.M. con l’aria di essere un curioso visitatore, con l’espressione da nerd e un cipiglio decisamente poco austero, e invece non solo in quella scuola vi insegnava Teorie e pratiche dell’Illustrazione ma ne era persino diventato il dirigente. Gli anni lo avevano cambiato, ma a parte le rughe e i capelli argentati aveva ancora l’aria di essere un uomo che impazziva davanti a una pagina di fumetti.
«Professor Layton» balbettò Axel, sentendosi di nuovo un ragazzino.
«È bello vederti dal vivo, Axel. Direi finalmente» disse l’uomo con cordialità, aprendo il portone d’ingresso della scuola.
 
Aveva smesso di catalogare le emozioni che salivano a galla, sia perché la reputava una perdita di tempo, sia perché stava diventando pressoché impossibile farlo visto che si proponevano tutte allo stesso modo: gambe molli come gelatine, battiti del cuore impazziti, mani sudate, fiato corto e vertigini a intervalli più o meno regolari.
«Vuoi un caffè?» gli chiese il professor Layton entrando con lui in un’aula vuota.
«Assolutamente no» rispose precipitosamente, dando una fugace occhiata ai banchi vuoti. «Ma dove sono gli studenti?» chiese provando a smorzare la tensione.
«Oh, ti aspettano in auditorium. Li faremo attendere un po’» lo informò controllando l’orologio.
Axel si morse la lingua e poggiò la schiena contro un banco, ostentando una nonchalance che certamente non aveva e che di certo non avrebbe guadagnato ora che si stava immaginando davanti a chissà quanti studenti accomodati in un auditorium.
Il professor Layton dovette captare la sua tensione perché all’improvviso gli rivolse un’occhiata incuriosita.
«Axel rilassati, non siamo mica in tribunale» ridacchiò accomodandosi alla cattedra e continuando a guardarlo. Lui provò a sostenere il suo sguardo, ma alla fine abbassò la testa.
«Non è stato facile tornare qui» mormorò alla fine, sforzandosi di nuovo di sembrare disinvolto.
«Lo so bene, ce l’hai scritto in faccia» confermò l’uomo «E scommetto che non vedi l’ora di andartene.»
Axel annuì mesto, facendo spallucce.
«Lo capisco. Probabilmente anch’io mi sentirei così al tuo posto, per questo non intendo lamentarmi di tutti gli inviti che hai respinto in diciotto anni.»
Non provò a ribattere, si limitò ad accusare il colpo e a rendere un po’ più pesante il macigno che si portava a spasso sulle spalle da quasi un ventennio.
«Professor Layton, mi dispiace se…»
«Non devi giustificarti,» lo interruppe «ho detto che ti capisco. E non dobbiamo parlarne se non vuoi, voglio solo che tu sappia – perché questo non ho mai avuto modo di dirtelo – che la morte di Jake Steamons, all’epoca, segnò profondamente anche me. Solo che a differenza tua ho preferito fare carriera qui dentro e, non per vantarmi, ma gli studenti mi adorano» concluse con un sorriso divertito.
«Questa non è una novità, lo abbiamo sempre fatto» disse in fretta, riuscendo miracolosamente a non farsi coinvolgere troppo da quella rivelazione.
«Ti ringrazio, ma non farla sembrare una cosa scontata.»
Axel lo vide alzarsi e fargli cenno con la mano, così lo seguì in silenzio tra i corridoi della scuola fin quando non arrivarono davanti a un’enorme vetrata che affacciava in una stanza non troppo grande, ma abbastanza capiente da ospitare oltre un centinaio di studenti.
«Ecco l’auditorium. Loro» disse indicando gli studenti «sono tutti lì per te. Ti dirò, per una volta sono contento di cedere la mia cattedra a qualcun altro. Ma non farci troppo l’abitudine.»
Axel colse l’ironia nella sua voce e accennò un sorriso non troppo marcato. Non era sicuro di aver nascosto bene la sua insicurezza, ma considerava comunque un buon traguardo trovarsi a due passi dalla platea e non chiuso in un bagno a vomitare le viscere. Il professor Layton d’altra parte non era un ingenuo e in cuor suo sperava che capisse davvero quanto fosse difficile per lui trovarsi lì in quel momento.
  

*

  
Due ore dopo, col vento che gli scompigliava i capelli e il cuore un po’ più leggero abbandonò il cortile della C.A.M. incamminandosi verso casa.
Non era andata tanto male, pensò, sicuramente meglio della drammatica aspettativa che si era fatto negli ultimi giorni. L’atmosfera si era alleggerita parecchio quando qualche ragazzo si era spinto a chiedere curiosità su Dark Sirio e sebbene la cosa gli avesse ricordato le disastrose conferenze stampa a cui aveva preso parte negli ultimi tempi, aveva subito riconosciuto che farsi interrogare da uno studente era decisamente meglio che subire le angherie dei giornalisti. Questo gli aveva dato un po’ più di sicurezza e alla fine era riuscito a concludere quella prima conferenza incentrata sullo stile grafico di Dark Sirio senza subire troppi danni. Anche il professor Layton era sembrato soddisfatto, anche se era comunque rimasto perplesso quando, al termine delle due ore, lo aveva visto correre in bagno pallido come un cencio e con la camicia cosparsa di sudore. Poteva andare peggio, aveva pensato Axel tra un conato e l’altro.
“Fammi sapere com’è andata” gli aveva scritto Loraine poco dopo e solo adesso aveva ripreso in mano il telefono per visualizzare il messaggio.
Fu in procinto di risponderle, anche se a quel punto sarebbe stato meglio chiamarla, ma preferì rimandare in serata il resoconto della giornata. Adesso voleva solo godersi quel momento di spensieratezza, mangiare qualcosa e magari farsi una dormita una volta rientrato a casa.
Decise di fare a piedi la strada del ritorno, gustandosi la luce ambrata del tramonto e le vie quasi deserte della città. Era disturbante quel silenzio, eppure per Mismar aveva sempre rappresentato la quotidianità, nulla a che vedere col via vai frenetico di una metropoli come New York.
Un sorriso nostalgico gli fece socchiudere appena le labbra nel vedere le luci natalizie ancora appese in qualche via del centro, una svogliatezza che da sempre aveva contraddistinto gli abitanti del posto, i quali alla fine avevano iniziato a considerarla una specie di tradizione da portare avanti fino a Pasqua.
Conosceva bene quella strada e inconsciamente sapeva dove lo avrebbe portato se avesse proseguito diritto.
Era strano, ma quell’ansia che gli aveva divorato le viscere fino al suo arrivo in città continuava ad essere gestibile e solo appena fastidiosa; la cosa lo compiaceva particolarmente perché era frutto del suo impegno - o sarebbe stato meglio dire ostinazione - nel volere a tutti i costi rendersi impermeabile alla pioggia di sensazioni che sapeva gli sarebbe piombata addosso una volta tornato a Mismar.
Per questo percorrere quella via lo turbava ma senza scatenare il panico.
Continuò ad attraversarla fino a quando non arrivò a vedere chiaramente l’insegna luminosa del locale, identica a come l’aveva lasciata diciotto anni prima. Si avvicinò a passo lento raggiungendo la vetrina, chiedendosi se non stesse facendo una stupidaggine e se non fosse il caso di assecondare quella vocina che gli solleticava l’orecchio dicendogli di scappare da lì a gambe levate.
Non c’era molta clientela, giusto una coppia a cui era appena stata servita una fetta di torta di mele.
La sua schiena, grossa e un poco ricurva era inconfondibile, così come il grembiule che aveva legato al collo e i baffetti che contornavano le sue labbra. Spostò lo sguardo nel locale cercando il volto di Margaret, chiedendosi se anche a lei il tempo avesse lasciato nello sguardo la solita espressione gentile e premurosa del marito.
Non fece in tempo a trovarlo, perché adesso il signore di prima lo stava osservando dall’altra parte del vetro, guardandolo nello stesso modo in cui si guarderebbe un fantasma.
Se fosse stato in grado di ragionare lucidamente, avrebbe concluso che dare retta a quella vocina sarebbe stata la cosa più giusta da fare, invece rimase fermo a ricambiare lo sguardo di quell’uomo, accennando infine un saluto impacciato con la mano. Lo vide camminare verso la porta d’ingresso e anche quando rimase incantato a guardarlo sulla soglia gli occorse qualche secondo prima di aprire bocca. Quando lo fece, la voce gli si spezzò in un singulto.
«…Axel?»
Non rispose, né riuscì a fare un gesto con la testa. Rimase fermo a osservarlo a sua volta, fino a quando non riuscì a trovare il coraggio di parlare.
 
«Ciao Darryl.»

 
 


__________________


 

NdA
Arieccomi, con solo due mesi di attesa, wow!
E dunque, il nostro povero eroe è finalmente giunto in terra natìa riuscendo più o meno a non avere un attacco di panico ogni secondo, il che – in vista dei prossimi aggiornamenti – è un traguardo da non sottovalutare.
Rileggendo i vecchi capitoli ho sempre l’impressione che la narrazione avvenga in maniera un po’ troppo veloce e non so se anche a voi risulti questo; in effetti non ho mai scritto storie così complesse ed è probabile che ci sia qualche buco narrativo sparso qui e lì. Comunque è chiaro che una volta terminata la storia verrà ripresa interamente e sistemata dove ce n’è la necessità, spero solo che questo avvenga entro il 2075 :’)
 
Anyway, come sempre ringrazio Benni per l’ ultima recensione (a cui devo ancora rispondere perché sono una brutta bagarospa) <3
 
Un saluto e spero a presto,
 
_Atlas_

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Capitolo 14
*** Capitolo XII ***


 
Capitolo XII
 


 
 
 
«Axel??»
Darryl lo chiamò di nuovo, questa volta sicuro che davanti a sé non ci fosse alcun fantasma. Sgranò gli occhi, lucidi di gioia, e allargò le braccia verso di lui.
«Che cavolo ci fai qui?!»
Axel non riuscì a trattenere il sorriso e avanzò nella sua direzione prima di lasciarsi stringere in un abbraccio goffo e soffocante.
«Sei un disgraziato, vuoi farmi venire un infarto?!»
«Non era in programma…» provò a giustificarsi senza però riuscire a frenare l’entusiasmo dell’uomo, che adesso aveva preso a tastargli le braccia come per accertarsi che fosse davvero lui.
«Hai la barba…!» disse poi, dandogli un pizzicotto sulla guancia «E sei anche alto, sei…sei…» lo guardò da capo a piedi, prendendo familiarità con il suo nuovo aspetto. «Sei cresciuto» mormorò infine «Sei proprio come ti si vede sui giornali.»
Axel sorrise ancora e non poté fare a meno di notare, invece, quanto lui fosse invecchiato. Per un attimo lo aveva visto robusto, fiero e in forza come diciotto anni prima, ma le rughe che aveva sul volto e i suoi capelli grigi raccontavano un’altra storia.
«Vieni, ci beviamo qualcosa» gli disse accompagnandolo nel locale.
 
Oltre al suo seminterrato destinato alle feste e ai concerti, ricordava il Lenox Blues con un bancone che occupava gran parte della stanza, una parete su cui erano appesi vinili e vecchie fotografie e una decina di tavoli destinati ai clienti, con i centro tavola in acciaio e i sedili foderati con stoffa color mattone. Axel non si aspettava di trovare tutto come allora, anche se prima di varcare la soglia ci aveva sperato con tutto il cuore; eppure era tutto lì, come lo aveva lasciato quella sera di metà giugno a un passo dall’estate. La stoffa dei sedili, i centro tavola, persino le tende sembravano le stesse di allora. Con la coda dell’occhio intravide una parete tappezzata di fotografie, ma si obbligò a spostare lo sguardo.
«Dov’è Margaret?» chiese tornando bruscamente alla realtà.
Darryl lo fece accomodare a un tavolo e prese posto davanti a lui, guardandolo esitante per qualche secondo con un sorriso spento sulle labbra.
«È morta» rivelò poi senza giri di parole «Tre anni fa, ormai.»
Axel incassò il colpo in silenzio, ma tutta la razionalità che si era imposto per un attimo vacillò, ricomponendosi poi con lentezza sfiancante. Ci fu solo lo spazio di un ricordo lontano, una carezza tra i suoi capelli e un bacio leggero sulla guancia.
«Mi dispiace» mormorò «Com’è successo?»
«Cancro al seno. Ce ne siamo accorti troppo tardi.»
Axel annuì, prendendo atto di quanto quella perdita dovesse rappresentare per l’uomo. Lui e Margaret erano stati una coppia affiatata e complice, con il Lenox Blues non avevano solo sostenuto le band emergenti della città, dando spazio e voce ai più giovani, ma erano anche riusciti a coinvolgere in quel successo gran parte della comunità afroamericana di Mismar, rompendo le barriere di odio e pregiudizio che qualcuno a volte provava a ricostruire. In questo Margaret era sempre stata determinata, Darryl, al contrario, si abbandonava più spesso alla frustrazione.
«Allora, che ci fai da queste parti?»
Darryl lo guardava con sincera curiosità, bilanciando una rassegnata malinconia con il desiderio e la speranza di stupirsi ancora.
«Lavoro. Ho degli impegni con la C.A.M.»
«Ah, quindi ti hanno costretto» incalzò l’uomo con un sorriso, come se avesse colto i sottintesi della sua risposta.
«Già, sono stato incastrato» confermò Axel adocchiando il menù delle bevande. Percepiva lo sguardo dell’uomo su di sé ma si sforzò di non ricambiarlo, concentrandosi piuttosto sul listino delle birre e sperando che non indagasse oltre.
Darryl, sulla scia del professor Layton ma in maniera meno delicata, si era sempre intromesso nelle sue questioni intime senza porsi troppi scrupoli e Axel, pur trovandosi spesso con le spalle al muro davanti alla sua schiettezza, aveva sempre riconosciuto e apprezzato la sua perspicacia.
«Beh, non mi aspettavo di rivederti, devo essere sincero» ammise l’uomo «Sembra ieri che ve ne stavate qui a rimpinzarvi di schifezze e a disegnare quei fumetti. Non doveva finire in quel modo…» mormorò poi, sovrappensiero e con un velo di rabbia che gli scurì appena il volto, alzandosi e andando poi a trafficare dietro al bancone.
Axel deglutì a vuoto, iniziando suo malgrado a percepire un vago disagio e il fiato un po’ corto. Non si era aspettato di certo la fiera della serenità varcando la soglia del Lenox Blues, ma forse aveva ostentato più temerarietà di quella che effettivamente aveva ed era stato uno stupido a pensare che Darryl non volesse alludere al passato.
«Bud Light, come ai vecchi tempi» annunciò poco dopo mettendogli sotto al naso un boccale di birra.
«Non so se riuscirò a berla tutta.»
«Un tempo te ne saresti scolati due di questi, Axel. E me ne avresti chiesto anche un terzo.»
«Allora sono proprio invecchiato. Mi sforzerò di finirlo.»
«Bravo, sforzati» marcò Darryl facendo tintinnare insieme i loro boccali.
 
Continuarono a parlare e per più di un momento l’idea di abbandonare Darryl al tavolo e fuggire dal locale solleticò la sua mente senza tuttavia concretizzarsi. Da quando era arrivato a Mismar il suo unico obiettivo era quello di tenere ingabbiata ogni emozione, respingerla, sminuirla  o al massimo condirla con un po’ di sarcasmo inappropriato se mai ce ne fosse stato bisogno. Aveva retto piuttosto bene, ma parlare con Darryl lo aveva messo a dura prova e il suo autocontrollo adesso iniziava a vacillare. Inoltre era stanco e anche la birra stava abbassando la sua lucidità.
«Insomma, non organizziamo più le serate di un tempo,» stava spiegando Darryl addentando una fetta di torta al cioccolato «ogni tanto passa qualche musicista di strada o un paio di band emergenti al mese, niente di entusiasmante ma almeno ci provano. Il Lenox Blues non è più un luogo di aggregazione, Axel, qui al massimo vengono a comprarsi due birre e a fumarsi uno spinello nello scantinato» concluse con amarezza.
«Anche noi lo facevamo» gli fece notare Axel.
«Era diverso, voi eravate diversi. Con voi c’era un dialogo, con questi ragazzi è impossibile, non te lo permettono. Ho provato ad avvicinarmi a qualcuno di loro ed è meglio che non ti dica com’è andata a finire.»
«Come? Qualcuno ha deciso di ammazzarsi?» domandò d’impeto.
Non avrebbe voluto né dovuto chiederlo, ma la domanda gli era sfuggita dalle labbra all’improvviso e solo quando tra loro calò il silenzio realizzò l’errore.
«No,» mormorò Darryl, serio in volto «non si è ammazzato nessuno. Mi hanno solo ridotto in frantumi la vetrata d’ingresso.»
«Scusa, mi è uscita male…non intendevo…»
«Ho capito cosa intendevi» gli venne incontro l’uomo, e Axel sperò che avesse capito davvero «Mi porterò sempre il peso di essere stata l’ultima persona ad aver parlato con Jake. O credi che lo abbia dimenticato?»
«Non l’ho mai pensato.»
Axel abbassò lo sguardo, giocando con pigrizia con la sua fetta di torta.
«Temo che possa succedere ancora» disse a un tratto Darryl «affezionarmi a qualcuno di loro, credere di averlo sistemato e poi ritrovarmelo con la faccia sfracellata a un angolo della strada. Non è vero che eravate diversi, hai ragione, è questo a terrorizzarmi.»
La confessione di Darryl lo ammutolì, lasciando le sue emozioni in equilibrio precario, come se stesse camminando senza protezioni su una fune sottilissima a migliaia di metri di altezza. Non riuscì a dire nulla e non gli rimase altro che prendere atto di quelle parole.
«Non volevo rattristarti, mi dispiace» spezzò il silenzio Darryl «Ti piace la torta? L’ha fatta Richie, è una specie di genio della pasticceria» disse indicando un ragazzo altissimo che trafficava dietro al bancone.
Un fracasso di vetri proveniente dalla porta d’ingresso attirò poi la loro attenzione. Qualcuno aveva accidentalmente fatto cadere uno scatolone che a occhio e croce conteneva qualcosa di delicato all’interno.
«Merda!» esclamò un ragazzo, forse appena maggiorenne.
«Oh no» gli fece eco l’altro che era con lui.
«Cavolo…» mormorò Darryl alzando gli occhi al cielo, evidentemente riconoscendo i due ragazzi fermi sulla soglia. Axel fu pronto a intervenire, ma a quel punto successero molte cose e lo sguardo che gli rivolse Darryl per un momento lo raggelò.
«Merda? Merda?! Sul serio?» una voce femminile parecchio arrabbiata si levò a pochi passi dall’ingresso e prima che potesse raggiungerli i due ragazzi scapparono a gambe levate abbandonando a terra lo scatolone.
«Siete due stronzi! Non fatevi più vedere!» gli gridò dietro, buttando a terra un ombrello rotto.
Entrò nel locale fradicia di pioggia, con lo sguardo imbronciato e i capelli arruffati, appena un po’ lunghi e con sfumature rosse.
«Abbiamo appena perso duecento dollari di bicchieri, sia messo agli atti» disse controllando quel che era rimasto nello scatolone.
Axel smise di respirare non appena la riconobbe, perdendo contatto con la realtà preda di una vertigine fortissima che per poco non lo fece svenire. Sentì addosso lo sguardo di Darryl, che forse non si aspettava il suo arrivo, ma non riuscì a sostenerlo. Rimase immobile al suo posto, con le gambe rigide e la bocca serrata, lottando contro i battiti del cuore impazziti.
«Lascia stare, Jenna, li ricompriamo…» mormorò Darryl dando una forchettata alla torta che aveva ancora nel piatto.
«La prossima volta che vogliono dare una mano mettiamoli a lavare il pavimento, ti prego» disse, e Axel la vide avvicinarsi pericolosamente al loro tavolo.
«Cosa diavolo stai mangiando? Ma sei impazzito?» chiese poi scrutando Darryl con aria sconvolta mentre lui si ripuliva la bocca sporca di cioccolato e alzava gli occhi al cielo.
«Ho fatto uno sgarro, ma sono giustificato.»
«Davvero? E cos’è che ti giustifica?»
Axel si sentì morire quando Darryl lo indicò con la mano.
«Lui.»
Non lo riconobbe subito, o almeno così gli parve. O forse aveva capito e si stava semplicemente chiedendo cosa ci facesse lì, seduto a un tavolo del Lenox Blues con lo sguardo teso di chi era stato colto in fallo e desiderava trovarsi dall’altra parte dell’emisfero.
Rimase in silenzio per molti secondi senza nascondere il suo stupore e lo shock di quella visita inaspettata, poi, dopo un lungo sospiro, provò a dire qualcosa senza però riuscirci.
«Ciao Jenna.»
Si costrinse a fare il primo passo solo perché quell’attesa lo stava logorando. Fu un saluto spento, colpevole, di certo non colmo di cordialità, e lo stesso fu il suo quando rispose.
«Axel…»
«Hai visto che sorpresa? È venuto a trovarmi questo pomeriggio» si intromise Darryl, volendo forse sciogliere il ghiaccio.
Axel abbassò lo sguardo e questa volta desiderò davvero alzarsi e scappare via, lontano da lì, magari a casa, magari a New York.
 Incontrare il professor Layton era stato difficile, così come rivedere Darryl e parlare di nuovo con lui, ma in qualche modo aveva trovato il modo di affrontare tutto e a parte qualche scivolone le cose si erano risolte abbastanza bene; la presenza inaspettata di Jenna andava però oltre quello che si era concesso di sopportare, non aveva neanche provato a immaginare di poterla rivedere, sebbene tante volte, più o meno consapevolmente, si era chiesto che fine avesse fatto e dove si trovasse adesso. Se stesse bene, che ricordo avesse di lui, o se fosse felice.
«Sì, una vera sorpresa» confermò lei. Per un attimo i suoi occhi gli erano sembrati lucidi, ma il tono duro con cui aveva pronunciato quelle parole cancellarono all’istante qualsiasi altra emozione presente.
«Non dovresti mangiarla, questa» aggiunse poi afferrando il piatto di Darryl e posandolo sul bancone, «io vado a cambiarmi.»
Axel mantenne lo sguardo basso, vedendola sparire con la coda dell’occhio verso la toilette.
«Scusa, avrei dovuto avvertirti» mormorò Darryl a quel punto «Rivederti qui mi ha distratto e se Lion e Mike non avessero rotto quei bicchieri non avrei badato ad altro.»
«Non fa niente» si sforzò di dire «Lei lavora qui?»
«Da quindici anni. Io e Margaret avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse con il locale e così le abbiamo proposto un lavoro. Doveva essere una cosa momentanea, lei voleva andarsene da Mismar. Poi si è sposata con quel David…Dylan…non mi ricordo nemmeno…»
Axel accolse la notizia con una fitta al centro del petto, chiedendosi perché mai si stesse ostinando a rimanere lì.
«È sposata…?» chiese invece.
«Lo era. Suo marito è morto, sempre se vogliamo chiamarlo marito.»
«Non ti seguo.»
Darryl si strofinò gli occhi con le dita e si passò una mano tra i capelli corti.
«Ha avuto una vita difficile, Axel, e non ha neanche quarant’anni. Non è più la ragazza dolce con cui ti sbaciucchiavi nel tuo sottotetto. Io le devo molto, se non ci fosse lei qui sarei crollato da un pezzo, fisicamente ed economicamente, ma le cose non sono più quelle di un tempo.»
Le parole di Darryl lo ammutolirono, non era pronto a riceverle.
Ora capiva di essersi spinto oltre quel pomeriggio e che aveva davvero sopravvalutato la sua capacità di affrontare una situazione simile facendo affidamento sulla razionalità. Certo, non aveva immaginato di rivedere Jenna, ma a quel punto non era solo lei il problema.
Tornare a Mismar era stato un errore, e forse, pensò in un impeto di rabbia, era ancora in tempo per tornare indietro.

 

 
__________
 



 
NdA
Buonasssera!
Sono tutta esagitata perché immagino questo capitolo da una vita e mezzo e vederlo finalmente nero su bianco e pubblicato qui è un’emozione non da poco.
Parentesi euforica a parte, da qui in avanti presente e passato inizieranno ad intrecciarsi in modo inevitabile e non saranno più divisi in maniera netta, anche se manterrò comunque l’escamotage dei flashbacks in alcune occasioni.
Fatemi sapere se ci sono cose che non tornano e discorsi poco lineari, ogni commento/opinione è sempre ben accetto.
 
Nel frattempo ringrazio Leila91 e _Lightning_ per le recensioni che mi hanno lasciato (invio cuori a distanza) e tutti voi che passate a leggere.
 
A presto,
 
_Atlas_

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Capitolo 15
*** Capitolo XIII ***



Capitolo XIII
 

 
  
 
 

 
Dopo l’arrivo di Jenna la serata si era conclusa piuttosto in fretta; Darryl gli aveva proposto un altro giro di birra, ma non aveva insistito quando si era visto declinare l’invito. Era certo che avesse colto il suo turbamento, ma forse diciotto anni erano troppi anche per lui per addentrarsi in confessioni notturne e nostalgiche.
Fuori dal Lenox Blues l’aria non era più umida, ma fresca e pungente e Axel la accolse lo stesso con sollievo, respirando a pieni polmoni quel timido accenno di primavera. Percorrendo la strada verso casa trattenne più volte l’impulso di rimuginare su quanto appreso poco prima - dalla morte di Margaret alle notizie su Jenna – riuscendo nel tentativo nonostante lo stato di agitazione in cui si trovava. Era consapevole che quel meccanismo di difesa che stava mettendo in atto risultava instabile da ogni prospettiva, tuttavia era l’unico mezzo che aveva a disposizione per sopravvivere in quella circostanza e non intendeva cedere per nessun motivo.
Si accorse di stringere convulsamente il telefono in mano solo quando questo emise in sequenza un paio di vibrazioni che lo fecero sussultare. Con tutta probabilità era Loraine, a cui aveva promesso un resoconto della conferenza alla C.A.M. per poi dimenticarsi di farlo. Lesse l’anteprima dei messaggi e decise quindi di chiamarla, pensando che averla tenuta sulle spine per l’intera giornata potesse considerarsi abbastanza come dispetto personale.
«Eccomi» esordì con un guizzo cordiale.
«Direi finalmente» gli rispose la donna con tono risentito «Allora?»
«Allora ho vomitato, contenta?»
«Nulla che non avevamo previsto. Per il resto com’è andata?» chiese l’agente senza scomporsi più di tanto.
«È andata discretamente» sbuffò lui «Atmosfera pesante ma sopportabile, studenti felici e ignari dello stato di salute delle mie viscere, professor Layton soddisfatto e direi non troppo turbato dal mio discutibile atteggiamento.»
O almeno spero, pensò.
«Uh, allora è stato un successone!» ridacchiò sollevata la donna «Sapevo che te la saresti cavata, era davvero così spaventoso?»
«Devo davvero risponderti? E ti ricordo che quello di oggi era solo il primo di quindici incontri.»
«Continuo ad essere fiduciosa» ribadì con fermezza lei. «Immaginavo che il professor Layton sarebbe rimasto contento, al telefono mi ha dato l’idea di conoscerti bene.»
«Mmm sì.» tagliò corto Axel, immaginando la conversazione tra lui e Loraine. La sentì sospirare dall’altra parte della cornetta, ma non ci diede troppo peso.
«E tu?» domandò ancora la donna «Non mi sembri molto disperato di trovarti nell’inospitale e terribile Mismar.»
«Ho bevuto qualcosa, sarà l’effetto dell’alcol. E comunque sto di merda, tanto per essere chiari» puntualizzò con un cipiglio nervoso.
In realtà non era sicuro di stare così male, ma non ne voleva sapere di dare quel tipo di soddisfazione a Loraine; d’altra parte era anche certo di non stare davvero bene. Era come se il suo stato d’animo si trovasse in una zona grigia indefinita e neutrale da cui non aveva alcuna intenzione di spostarsi.
«Me la farai pesare fino alla fine, vero?» chiese l’agente.
«Fino alla fine dei miei giorni, intendi? Sì, assolutamente.»
«Magari quel giorno mi ringrazierai.»
«O magari no.»
«Staremo a vedere. Tienimi aggiornata, e possibilmente a orari decenti. Buonanotte, Axel.»
«Buonanotte.»
 
 
Una volta a casa si lasciò cadere a peso morto sul piccolo divano addossato alla parete. Non era ancora riuscito a dare un aspetto decente al sottotetto, del resto per renderlo ospitale dopo diciotto anni di assenza avrebbe avuto bisogno di una bacchetta magica; comunque almeno per quella sera avrebbe dormito su qualcosa di morbido e non su una scrivania malmessa.
Solo quando poggiò la testa sullo schienale si rese conto di quanto si sentisse stanco e provato dalla giornata. Non si era concesso pause, né un momento per riflettere su quanto accaduto in quelle ore, si era semplicemente lasciato trasportare dagli eventi sperando di uscirne illeso. Ora che era solo, però, poteva rischiare di mettere da parte ogni difesa e abbandonarsi finalmente a qualche ora di pausa.
Chiuse gli occhi senza neanche rendersene conto, e si addormentò subito dopo.
 
 
Quando li riaprì era notte fonda e il panico lo aveva raggiunto nel sonno.
Si drizzò sul divano, ansimando e strofinandosi nervosamente le mani sudate sui pantaloni.
Doveva resistere pochi minuti, poi sapeva che sarebbe finito.
Mentre lottava per un po’ di ossigeno riuscì a ricordare di aver vissuto momenti di gran lunga peggiori di quello e la cosa riuscì lentamente a tranquillizzarlo, consapevole che anche questa volta sarebbe sopravvissuto. Probabilmente avrebbe passato in bianco il resto della nottata, ma non era di certo la prima volta che accadeva.
Gli occorse più di qualche minuto per riprendersi, ma alla fine il panico lo abbandonò del tutto lasciando il posto a un’ondata di spossatezza che lo costrinse a stendersi di nuovo, questa volta con gli occhi spalancati nella penombra della casa e la certezza che non si sarebbe mai più riaddormentato. Posò lo sguardo sul soffitto, evitando così di incrociare qualsiasi oggetto che avrebbe potuto evocare ricordi del passato, ma quell’alternativa si rivelò peggiore.
Aveva rivisto Jenna. Come poteva mostrarsi indifferente a questo?
L’ostinazione nel voler dimenticare non gli aveva comunque dato modo di perdere l’ultimo ricordo che aveva di lei.
“Non cercarmi più, promettimelo”.
Glielo aveva sussurrato mentre la stringeva a sé un’ultima volta, prima di sfiorarle le labbra in un bacio che sapeva di lacrime, quelle di Jenna, che aveva già perso un amico e ne vedeva andare via un altro.
Il finestrino appannato del bus aveva impedito che si scambiassero un ultimo sguardo, quello che li avrebbe gettati in pasto a un’età adulta che non erano pronti a vivere.
 
 

 
 
Aprile 1997, Mismar
 
 
Il volto di Jake era un misto di ansia e concentrazione, Axel ci fece caso mentre lo guardava pizzicare le corde della sua Fender Stratocaster durante quell’ennesimo pomeriggio di prove nello scantinato del Lenox Blues. Qualcosa evidentemente non suonava come avrebbe voluto e dopo un paio di discussioni gli altri membri della band si erano arresi a un altro giro di accordi.
Axel li aveva sentiti battibeccare per quasi un’ora mentre di tanto in tanto dava un ritocco a vecchie vignette di Dark Sirio. Jenna, seduta accanto a lui, aveva passato quel tempo a ritagliare e incollare alcune fotografie su un album nuovo di pacca, sospirando appena quando sentiva Jake brontolare per qualche accordo non riuscito.
«È un po’ nervoso, ultimamente» mormorò sovrappensiero Axel, lieto però che gli fosse concesso un po’ di tempo da passare in compagnia di Jenna.
«Sì, ho notato. Speriamo gli passi quando diventerà ricco e famoso» rispose lei alzando un poco le sopracciglia. «Tu cosa faresti se fossi ricco e famoso?» gli chiese poi con curiosità.
Axel staccò lo sguardo dai suoi disegni e lo lasciò vagare nel vuoto per una manciata di secondi. «Non saprei. Forse un viaggio da qualche parte…»
«Uno solo? E poi?»
«No, magari anche più di uno. E mi comprerei una casa decente.»
«Mmm buona idea. Dove vorresti viaggiare?» domandò ancora Jenna, guardandolo con interesse.
Axel alzò appena le spalle, scarabocchiando con la matita sui solchi del tavolo.
«Non lo so…in Canada probabilmente. O in nord Europa. O dove capita, se fossi ricco non avrei problemi, andrei dove mi pare.»
L’immagine di Dark Sirio, ben rilegato e con il suo nome inciso sulla copertina sfiorò i suoi pensieri per qualche istante, ma l’idea che il suo successo potesse provenire da lì non riusciva a vederlo come un’ipotesi reale, neanche come una semplice possibilità.
«Se fossi ricca e famosa per prima cosa andrei via da questo posto» si intromise Jenna tra i suoi pensieri, e si sentì uno stupido a non averle fatto lui per primo quella domanda.
«Probabilmente aprirei uno studio fotografico, o forse una scuola di fotografia. Poi comprerei una casa in campagna, con un sacco di piante e alberi da frutto, e ci metterei anche un orto se non fosse difficile da mantenere.»
«Beh, avresti abbastanza soldi per pagare qualcuno che te lo mantenga.»
La vide scuotere la testa, sorridendo un po’ e riprendendo a incollare le fotografie sul suo album.
«Vorrei essere io a mantenerlo, invece. Passare i pomeriggi a potare le piante o ad innaffiarle, raccogliere le ciliegie in primavera...cose così.»
«Davvero? Non pensavo fossi un’esperta di botanica.»
«Infatti non ci capisco niente, ma se fossi ricca sicuramente avrei la possibilità di imparare un sacco di cose.»
Axel alzò di nuovo la testa dal suo fumetto e la osservò contrariato. «Cosa c’entra l’essere ricchi? Sono cose che potresti imparare anche adesso, anzi, guadagneresti un sacco di tempo.»
Ma Jenna non reagì a quell’obiezione, o almeno così gli parve, e il suo volto piuttosto si incupì.
«Poi adotterei un cane, e lo porterei ovunque,» continuò a fantasticare «crescerebbe con i miei figli e farebbe impazzire mio marito quando deciderà di fare il barbecue il sabato pomeriggio. E io darò di matto perché rovinerà tutti i miei fiori e lui mi dirà che non importa e che ricresceranno e per farmi stare zitta mi darà…un bacio? No, troppo sdolcinato. Ma sicuramente ci proverà e a quel punto io lo spruzzerò con la pompa dell’acqua, dicendogli che farebbe meglio a pensare alla carne perché si sta bruciando.»
Axel attese che finisse senza accorgersi di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo. Non c’era niente di dolce o genuino in quella fantasticheria, glielo lesse in viso, e anche se non era mai stato bravo a interpretare lo sguardo delle persone era sicuro che non si stava sbagliando e che dietro a quell’immagine idilliaca che aveva appena descritto ce n’era un’altra da cui probabilmente fuggiva.
Una volta Jake gli aveva detto che Jenna aveva avuto un’infanzia difficile e che i suoi genitori si erano separati quando lei era adolescente; sua madre si faceva sentire sì e no un paio di volte l’anno e il padre, nonostante l’avesse seguita negli ultimi anni, aveva anche lui smesso di essere davvero presente nella sua vita, se non garantendole un posto in cui vivere e qualche soldo per studiare.
Non aveva indagato oltre, ma non occorreva essere un genio per cogliere quello che Jenna voleva realmente dire con quelle parole.
Rimase in silenzio continuando a seguire i suoi movimenti mentre incollava le ultime foto sull’album; non sapeva cosa dire né se in effetti fosse il caso di parlare, fu solo lieto che quella confessione gli aveva appena dato la possibilità di sentirla più vicina e forse non così diversa da lui.
L’arrivo di Jake spezzò il silenzio che era calato tra loro, senza però modificarne l’atmosfera, anzi, in qualche modo la rese più cupa.
«Sono distrutto» mormorò con stanchezza. Afferrò una bottiglia di birra nella speranza di berne qualche goccio, ma la posò deluso. «Che state facendo?»
«Tu cosa faresti se fossi ricco e famoso?» gli chiese Jenna a bruciapelo.
Lui la osservò perplesso alzando appena le sopracciglia. Parve rifletterci qualche momento e Axel immaginò che stesse per dirne una delle sue, quasi ci sperò, invece lo vide rattristarsi e poi deglutire a vuoto.
«Non lo so.»
 

 
 
 
Aprile 2015, Mismar
 
Non era riuscito a riprendere sonno. Non era una novità, sapeva bene come funzionavano le notti come quelle, doveva solo sperare che l’alba arrivasse in fretta e che due tazze di caffè fossero sufficienti per non svenire davanti a un centinaio di studenti che lo attendevano trepidanti.
Quando percepì le gambe irrigidirsi ancora afferrò d’impulso il telefono, cercando disperatamente una distrazione che potesse intontirlo per un po’ e mettere a tacere quel chiacchiericcio mentale. Il flaconcino di diazepam era ancora chiuso nella valigia e solo per un brevissimo istante pensò di cedere alla tentazione – o soluzione - che però faticava a considerare.
Preferì avviare un gioco online, una specie di tetris moderno a cui ormai si era abituato, sperando che la notte passasse in fretta.
 

 
 
 

_______________

 
 
 
 
NdA
Ssssalve!
Torno con un capitolo a metà tra passato e presente che, confesso, ho amato scrivere. Non so di preciso dove porterà questa storia, o meglio, lo so molto bene ma ci sono delle tematiche che si stanno approfondendo “da sole” e ammetto che la cosa non mi dispiace per niente :P
Spero come sempre che anche voi possiate apprezzare, nonostante gli aggiornamenti non proprio brevi :’)
 
Un grazie gigante alle mie bagarozze che citerò fino allo sfinimento, leila91 e _Lightning_ , per i loro sostegno <3
 
Alla prossima,
 
_Atlas_

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Capitolo 16
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

 
 
 
 

 
La prima mezz’ora di conferenza si era rivelata un incubo ed era quasi certo che qualche studente avesse colto da parte sua segnali di fatica, nonché le occhiaie che gli spegnevano lo sguardo. Solo quando si accorse che ciò che diceva stava realmente catturando l’attenzione di qualcuno parve destarsi, trovando uno slancio di motivazione che riattivò le sue energie.
Il secondo incontro prevedeva un focus sull’inventiva dell’artista e sulle tecniche di scrittura moderne, questioni che in passato avevano punzecchiato il suo approccio al disegno mettendo in discussione il suo stesso talento.
«…quindi non preoccupatevi se a primo impatto le vostre idee sembrano banali – stava spiegando-  potete sempre aggiungere dopo altri dettagli, modificarli o magari stravol-»
«Sì, ma cosa succede se l’idea non è così originale?» lo interruppe con una certa urgenza una studentessa dalla terza fila.
Axel accigliò lo sguardo, ancora non del tutto abituato a quegli scambi: «Cosa intendi per “originale”?»
«Un’idea che sia solo tua e basta, che non sia la brutta copia di qualcosa che esiste già» spiegò la giovane.
Il tempo che impiegò per formulare una risposta bastò a un altro studente per dire la propria sull’argomento.
«Sì, senza contare che è già stato detto praticamente tutto. Ti logori per mesi, pensi di aver trovato l’idea giusta e poi scopri che qualcuno è arrivato prima di te, e allora che senso ha…?»
Che senso ha? La domanda risuonò nella sua testa lasciandolo per qualche secondo incapace di replicare. Che senso ha? chiese a sé stesso, rammentando tutte le volte che in passato si era posto quel quesito senza trovare una risposta.
Aveva perso il conto delle giornate trascorse accompagnate da quel dubbio, un dubbio che ne abbracciava altri più grandi e che metteva in discussione anche il progetto più piccolo che osava immaginare.
Era stata la morte di Jake a rispondere per la prima volta a quella domanda, ma non poteva certo dire che era stato il senso di colpa a motivare la sua carriera.
«Ha senso solo quando capisci perché lo fai, a quel punto l’originalità passa in secondo piano» disse infine. «Tu perché disegni fumetti?» chiese poi al ragazzo che aveva fatto la domanda.
«Perché mi piace. E perché spero possano piacere anche alla gente…o una cosa del genere.»
«E allora fallo, il resto non conta un cazzo. E a meno che non si tratti di un plagio» specificò guardando il resto degli studenti «non c’è niente di male a prendere ispirazione da qualcosa che esiste già.»
«Da dove ha preso l’ispirazione per Dark Sirio?» chiese un’altra ragazza seduta in prima fila.
Axel tentennò un istante e si prese tutto il tempo per rispondere; aveva scoperto che concedersi piccole pause di quel tipo gli era utile per non morire soffocato dall’ansia.
«Da un fumetto di James O’Barr, Il Corvo. E se può alleggerirvi la coscienza, la prima versione di Dark Sirio era una copia spudorata del film uscito nel ’94» concluse con un’alzata di spalle che fece ridacchiare qualcuno.
 
 
 
Mentre gli studenti lasciavano l’aula, Axel intercettò il professor Layton ancora seduto tra i banchi dell’ultima fila mentre chiacchierava con qualche studente e poi con un’addetta alla segreteria.
«Il resto non conta un cazzo,» lo citò raggiungendolo poco dopo «certo che sai come comprarteli. Senza contare la chicca su Il Corvo, adesso si sentiranno autorizzati a scopiazzare a destra e a manca, lo sai?»
«E lei come al solito li farà rigare dritto. È aggiornato sui film del momento?»
«Come no, sto prendendo un dottorato sui Marvel Studios.»
Axel ridacchiò, accogliendo con sollievo la conclusione della mattinata. Non era andata male, anzi, rispetto al primo incontro poteva considerarsi un successo anche solo il fatto di non essere finito nei bagni a vomitare. Naturalmente Loraine avrebbe sentito un’altra versione dei fatti.
«Ah, ti cercavano dalla segreteria…un certo Jerry, o Darryl, ti vuole al telefono» lo informò il professore.
«Darryl?»
«Sì, dice di non avere il tuo numero e che ha urgenza di parlarti. Ci sono problemi?» gli chiese cogliendo evidentemente il suo improvviso turbamento.
«No» rispose andando verso la segreteria col fiato spezzato.
 
  

*

 
 
L’urgenza di Darryl non era altro che la porta cigolante dello scantinato del Lenox Blues, un danno insormontabile che Axel aveva riparato con una vecchia bottiglia di olio usato e qualche imprecazione di troppo.
«Grazie Axel, quella porta mi stava facendo ammattire» gli disse alla fine Darryl trascinandolo nel frattempo all’interno dello scantinato. «Vieni, devo mostrarti alcune cose.»
Lo seguì senza fiatare e cosciente di non potersi sottrarre più di tanto alle sensazioni che sarebbero inevitabilmente salite a galla.
L’umidità del locale lo fece rabbrividire e con lei tutto ciò che incontrò il suo sguardo: il palco lo ricordava più piccolo, ma era sempre lì, addossato a una parete con appese migliaia di fotografie, poster di eventi e murales di ogni tipo.
Anche i pavimenti erano gli stessi, mentre i lampadari erano stati sostituiti da luci più moderne e al passo coi tempi. Il ricordo di Margaret lo accarezzò facendolo sorridere, mentre la immaginava rimproverare qualche adolescente scalmanato che metteva a repentaglio gli arredi discutibili di quella stanza.
«Ecco qui» disse Darryl fermandosi poi davanti a un paio di scatoloni chiusi con almeno quattro giri di scotch. «Questa è roba tua, se te la riprendi mi fai un favore.»
«Roba mia?» Axel si grattò nervosamente la barba, non osando immaginare cosa potessero contenere quelle scatole.
«Sì, cianfrusaglie, foto, riviste…»
«Foto? No, Darryl…puoi buttarle, non mi interessa.»
L’uomo si tolse gli occhiali e li ripulì con un lembo del grembiule che indossava.
«Senti, conservo questa roba da diciotto anni e ora mi dici che dovrei buttarla?» gli chiese rimettendosi gli occhiali sul naso e guardandolo con un cipiglio nervoso.
«Non ti ho chiesto io di tenerla, Darryl. Non la voglio, chissà cosa…no, davvero. Puoi tenerla, bruciarla o farci quello che preferisci.»
Ancora una volta si sentì schiacciare dal suo sguardo, ma si ostinò a mantenere la sua posizione.
«Sei un cacasotto, Axel» lo redarguì infine l’uomo «Cosa pensi che ci sia dentro? Una lettera di Jake che ti accusa della sua morte? Guarda che lo so che cosa pensi.»
Non si aspettava quella provocazione e non ricordava quanto fosse spiazzante, a volte, il modo di fare che aveva. Il fatto che avesse ragione rendeva solo le cose più difficili. Fu sul punto di dirglielo, ma qualcuno si intromise tra loro spezzando il silenzio.
«È qui il mio skate?»
Riconobbe uno dei due ragazzi che la sera prima avevano rotto i bicchieri, e si chiese subito se con lui potesse esserci anche Jenna.
«No, Jenna l’ha fatto sparire» gli rispose Darryl.
«Cosa?! Perché??»
«Perché le hai fatto perdere duecento dollari di bicchieri, Lion.»
«Ma non l’ho fatto apposta! E poi è anche colpa di Mike!» si difese il giovane gesticolando e facendo inavvertitamente cadere a terra un pacchetto di sigarette e un accendino dalla tasca della felpa. «Cazzo.»
Ci fu un momento di tensione e Axel sentì chiaramente Darryl trattenere il fiato per una manciata di secondi, dopodiché lo vide avvicinarsi al ragazzo con una calma innaturale.
Non era la prima volta che assisteva a una scena simile e ricordava ancora lo sguardo che l’uomo aveva rivolto a Jake, una notte di fine maggio del ‘97, mentre lui teneva gli occhi bassi e cercava giustificazioni poco credibili.
«Lion, stammi a sentire» gli disse Darryl con voce piatta «Axel ha bisogno di una mano con quegli scatoloni, lo aiuteresti a portarli a casa?»
«Mamma mi aspetta per cena» rispose il ragazzo con tono seccato, ma comunque sul punto di cedere.
«Sono le tre del pomeriggio, Lion.»
Axel ebbe l’impulso di assecondare i capricci del ragazzo, ma lo sguardo che gli rivolse Darryl gli fece cambiare idea all’istante.
«Abito qui vicino, faremo presto» disse quindi controvoglia, pensando che i cassonetti della spazzatura fossero ancora più vicini.
«E va bene» si arrese anche Lion, prendendo uno scatolone e iniziando a incamminarsi.
Axel lo seguì, ma Darryl lo trattenne ancora qualche istante.
«Ridagliele, per favore» gli disse allungandogli le sigarette e l’accendino «Io non sono suo padre, e in ogni caso tra poco compie diciotto anni.»
«D’accordo» acconsentì Axel, guardandolo con un velo di tristezza.
«Come ti dicevo, non eravate poi così diversi.»
 
 
 
 
«Se Jenna lo scopre mi ammazza» borbottò Lion continuando a camminare con sguardo imbronciato. Axel stava al suo passo senza proferire parola e provando un vago senso di imbarazzo.
«Jenna non è mia madre, tanto per essere chiari. Ma mi ammazza lo stesso, lei è fatta così. È tipo una sorella rompicoglioni. Non dirle che te l’ho detto.»
«Non glielo dirò» assicurò Axel, pensando che in ogni caso non avrebbe avuto modo di parlare con lei di niente. Sentì lo sguardo di Lion posarsi su di sé, come a cercare una conferma che potesse fidarsi di lui.
«Tu sei quello di New York, vero? Darryl non fa che parlare di te.»
«Darryl sa essere sfiancante» commentò Axel con una punta di nervosismo, salendo le scale verso il sottotetto. L’insegna del negozio di smartphone si illuminò a intermittenza non appena svoltarono l’angolo dell’edificio.
«È com’è New York?» chiese ancora Lion.
«È grande, forse troppo. Lascia pure tutto qui, li porto dentro io» disse poggiando a terra lo scatolone e invitando il ragazzo a fare lo stesso.
«Tu vivi qui?» gli domandò quello guardandosi intorno con aria perplessa.
«Già, per un po’ di giorni. Fa schifo, lo so.»
«Non troppo schifo, e comunque c’è un bel panorama» valutò sporgendosi appena un po’ dalla terrazza che affacciava sulla città.
«Sì, più o meno. Tieni, queste sono tue» gli disse poi passandogli il pacchetto di sigarette con l’accendino.
«…e Darryl?» chiese Lion guardandolo interdetto.
«Dice di andarci piano.»
Lo vide rigirarsi il pacchetto tra le mani, per poi alzare le spalle e rimetterselo in tasca.
«Okay. Se riesci a recuperare anche il mio skateboard te ne sarò grato per sempre.»
Axel sbuffò divertito, ma decise comunque di assecondarlo: «Mi impegnerò.»
 
  

*

 

Decise che per il momento gli scatoloni potevano rimanere sul terrazzo, del resto averli tra i piedi dentro casa avrebbe solo reso più logorante la lotta tra il desiderio di aprirli e quelli di farli sparire per sempre. Certo, prima o poi avrebbe dovuto pensare a cosa farci, ma non era al momento una delle sue priorità.
Chiamare Loraine e aggiornarla sull’incontro con gli studenti era invece qualcosa che non avrebbe dovuto rimandare, ma non si rammaricò troppo quando continuò a trovare il telefono occupato.
Dormire. Doveva dormire, questo sì.
Ma forse per quello ci sarebbe stato il tempo, un giorno, tra le mura sicure e familiari della sua casa a New York, lontano da tutto ciò che ancora tormentava i suoi ricordi.

 

 

___________

 

 
NdA
Ssssera! Aggiornamento rapido e indolore con un capitolo di passaggio il cui scopo è rendere ancora più frustrato il nostro povero Axel.
E dire che ancora non è successo nulla…ehm.
In effetti dal prossimo qualcosa succederà. O forse no. Chissà.
 
Ok la smetto.
 
Come sempre un grazie infinito a chi si ferma a leggere e a chi ogni tanto aggiunge la storia nei preferiti.
 
_Atlas_

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Capitolo 17
*** Capitolo XV ***



Capitolo XV

 
 
 
 
 

 
Nonostante gli anni trascorsi, le labbra di Axel si incurvarono in un sorriso nell’osservare i corridoi della C.A.M. e realizzare quanto ancora quelle pareti trasmettessero un senso di fiducia e tranquillità. A parte qualche giustificata eccezione, i muri erano costellati di disegni e opere degli studenti, murales o pagine intere di fumetti racchiuse in cornici, dipinti e collage di fotografie.
Quell’esplosione di colori e di idee dissomiglianti aveva messo a tacere il senso di inadeguatezza che aveva vissuto per anni: tra quelle mura aveva provato l’emozione inattesa di non sentirsi solo – anche se mai fino in fondo – e di potersi concedere un pizzico di fiducia ogni volta che provava a scarabocchiare una vignetta su un pezzo di carta.
Attraversare di nuovo quei corridoi aveva adesso un sapore diverso, intenso, carico di tutte quelle sensazioni che aveva deciso di ignorare e che puntualmente riportavano a galla ricordi lontani.
Aveva perso il conto dei pomeriggi con Jake passati a limare i dettagli del suo fumetto mentre lui rincorreva mentalmente i riff nati dalla sua Fender Stratocaster o si chiudeva in silenzi improvvisi e pesanti come macigni.
Spesso li alternava a battute di scherno e a momenti di iperattività che lo distraevano e lo rendevano ai suoi occhi una persona fin troppo seria, ma era stato proprio in una di quelle occasioni che Jake gli aveva detto apertamente quanto tenesse a lui.
«Sei forte Axel, e non solo perché sei una specie genio del fumetto. Sei anche il mio unico amico.»
Axel ricordava di essersi spaventato per quella sua improvvisa serietà, e si era preso il suo tempo per prepararsi a una possibile battutaccia a seguire, ma Jake era rimasto zitto e lui si era come sempre ritrovato a corto di parole.
«Tranquillo, non devi per forza rispondere» gli era andato in contro lui senza preoccuparsi di smorzare la tensione. Si era poi messo le cuffie alle orecchie e aveva avviato il suo walkman.
Fu in una di quelle occasioni che Axel conobbe Bradley Hall, studente dell’ultimo anno, un metro e ottanta di altezza e una chioma di capelli biondi che gli arrivava alle spalle, e Cody Harris, suo compagno di corso, dall’aria meno appariscente ma più irrequieto e con lo sguardo penetrante.
«Mi devi dei soldi, Steamons» gli aveva detto un pomeriggio, scontrandolo all’uscita di una lezione.
«Ti ho detto che…» Jake aveva provato a rispondere, ma quello era già sparito tra la folla insieme all’amico, ignorandolo del tutto.
Bastava avere un po’ di intuito per capire che ci fosse qualcosa in sospeso tra loro, ma il silenzio in cui si era chiuso Jake non gli aveva dato modo di indagare sulla cosa.
«Cosa voleva?»
«Niente, lascia perdere.»
 
Con quel ricordo vivido nei suoi pensieri, Axel bussò alla porta del professor Lyton.
«Voleva vedermi?»
«Sì, vieni Axel. Siediti» gli disse indicando un posto di fronte alla sua cattedra. Axel si accomodò e improvvisamente si sentì di nuovo quello studente sconvolto e impacciato che aveva appena vinto un concorso e perso il suo migliore amico. Il piede iniziò a battere nervosamente sul pavimento.
«È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sei entrato qui dentro.»
«Già.»
Il professore lo guardò per qualche secondo senza dire nulla, squadrandolo come aveva fatto tante volte in passato. «Come vanno le cose?» gli chiese infine.
Axel abbassò d’stinto lo sguardo nella speranza di trovare il prima possibile una risposta che potesse ritenere normale. Alla fine si arrese, sperando che sviare l’argomento potesse mettere a tacere i dubbi dell’uomo.
«Uhm, di cosa voleva parlarmi esattamente?»
Il professore sospirò e nonostante tutto gli sembrò che fosse sul punto di assecondarlo.
«Volevo congratularmi con te,» disse infatti «di come stanno andando le tue conferenze e in generale del tuo successo. Non ho mai avuto modo di dirtelo di persona.»
«La ringrazio» mormorò Axel.
«I ragazzi ti seguono volentieri, direi quasi che potresti avere un corso tutto tuo e gestirtelo come preferisci.»
Alle sue parole seguì un momento di silenzio teso, spezzato solo dalle lancette dell’orologio appeso alla parete.
«Sto scherzando, Axel» disse infine il professore, interpretando l’espressione che doveva avere in volto «non arriverei mai a chiedertelo, so come la pensi al riguardo.»
Come la penso al riguardo? Chiese a sé stesso, prima che le sue sinapsi generassero un’altra domanda.
«Non dovevate chiudere prima di settembre?»
«In che senso?»
«Intendo la scuola. Avevo capito che questo – spiegò indicando sé stesso – fosse il gran finale» concluse con una punta di sarcasmo. Improvvisamente fu assalito dal dubbio che Loraine potesse essersi inventata tutto e che tutta la storia sulla chiusura dell’accademia fosse solo una trovata per pilotare la sua carriera. Per fortuna il professor Layton mise a freno la sua rabbia prima che potesse arrivargli allo stomaco.
«Ci stiamo pensando, sì» ammise con rammarico «le iscrizioni sono sempre più in calo, mancano i fondi e mancano i professori. Prima la C.A.M. era l’unica sul territorio, adesso scuole come questa sono ovunque e il loro prestigio non è neanche paragonabile a quello che offriamo qui. Mismar è piccola e ai giovani non offre nulla. Non lo ha mai fatto.»
Axel soppesò le sue parole e sebbene fino a quel momento l’idea che la C.A.M. chiudesse non lo aveva sconvolto più di tanto, adesso che si trovava fisicamente tra le sue mura la cosa iniziava a turbarlo.
«Non ci sono proprio alternative?» chiese.
L’uomo scosse la testa e incrociò le braccia sul petto.
«Al momento no.»
«Capisco.»
«Ho dei bei ricordi qui, tutto sommato è stato un bel cammino» aggiunse il professore poco dopo «pensare che tu abbia mosso i primi passi qua dentro mi rende orgoglioso, nonostante quello che hai dovuto passare.»
Axel si irrigidì a quelle parole e un moto di rabbia stavolta lo attraversò dalla testa alla punta dei piedi.
«Non avrei dovuto partecipare a quel concorso» disse duramente e quasi senza rendersene conto.
L’uomo si inclinò appena verso di lui rivolgendogli uno sguardo che lo fece ritrarre.
«Non è stata colpa tua, Axel» gli disse perentorio.
«Invece sì» replicò, mantenendo il contatto visivo con lui.
Trattenne il fiato fin quando il professore non si ritrasse, e anche allora continuò a mantenere il suo lo sguardo.
«Ero il presidente della commissione,» disse poi l’uomo «ho stabilito io chi dovesse vincere quel concorso, questo fa di me un colpevole?»
«No, questo non l’ho mai pensato.»
«Io l’ho pensato invece. Mi sono detto che se avessi fatto vincere lui forse si sarebbe potuto salvare. O forse no, forse si sarebbe ucciso lo stesso. Ma chi può dirlo questo? Il mio compito era quello di valutare le vostre storie, e la tua era la migliore.»
«Appunto. Ho scelto io di partecipare al concorso, come può non essere mia la colpa?»
«Le colpe sono altre, Axel. Vuoi sapere qual è la mia?»
Axel trattenne di nuovo il fiato, teso, riconoscendo il familiare pizzicore al petto che gli faceva visita in quei momenti.
«La mia colpa è quella di non aver capito la gravità di quello che stava attraversando Jake. Se fossi stato più attento, se avessi ascoltato meglio i suoi segnali, se lo avessi seguito meglio…Ho passato anni a ripetermi che in fondo sono solo un professore di disegno, che il mio compito era quello di istruirvi su come rendere originale una storia e su come rendere un personaggio interessante a livello narrativo. Nessuno mi ha mai detto che avrei dovuto fare attenzione anche allo stato d’animo dei miei studenti, l’ho imparato a mie spese troppo tardi. Adesso non faccio altro che cercare segnali ogni volta che mi rivolgono la parola o li sento parlare tra di loro; sembro pazzo, ma è un modo per far tacere la coscienza e per assicurarmi che non ricapiti più quello che è successo a Jake.»
Axel ascoltò le sue parole senza trovare il coraggio di replicare, un po’ perché il peso al petto glielo stava impedendo, un po’ perché l’uomo aveva appena espresso a parole gran parte dei tormenti che si portava dentro senza avere il coraggio di esprimerli. Non riusciva a credere che, sebbene da punti di vista diversi, i sensi di colpa che provavano erano gli stessi. Certo, il professor Layton non aveva conosciuto Jake come lo aveva fatto lui, ma anche se c’erano migliaia di sfumature di cui non era a conoscenza, il peso che portavano era comunque il solito. Non se lo aspettava, ma sapere di non essere il solo a provare quel malessere aveva reso più sopportabile quel macigno che gli era piombato sul petto.
«Mi spiace essere finiti a parlare di questo, giuro che non era nelle mie intenzioni» si scusò infine l’uomo, riprendendo la sua compostezza «Non mi era mai capitato di parlarne così apertamente, tutto sommato credo che mi abbia fatto bene.»
«Nessun problema,» rispose Axel «ma non penso che riuscirò a fare lo stesso.»
«Lo so. Per te è diverso. Ti ringrazio comunque per avermi ascoltato. Puoi andare se vuoi, non voglio trattenerti ancora.»
Axel annuì, ma rimase ancora qualche secondo seduto, lasciando vagare lo sguardo tra i libri e le migliaia di cianfrusaglie presenti nello studio. L’occhio gli cadde poi su una pila di volumi posti su uno scaffale, 12 libri di cui conosceva a memoria ogni parola e ogni singola linea disegnata. Il suo nome spiccava appena luminoso sotto il titolo in caratteri dorati dell’ultimo volume di Dark Sirio. Per la prima volta la rabbia rimase assopita dentro di sé, lasciando il posto a una lacrima che gli inumidì lo sguardo.
 

 

*

 


Al Lenox Blues si respirava un’atmosfera particolarmente tesa, quella sera, complice anche l’assenza di clienti.
Axel ne stava prendendo atto mentre cercava di sistemare una mensola rimasta in bilico dietro al bancone e che poco prima aveva fatto rovinare a terra due bottiglie di liquore. Darryl lo aveva aiutato a ripulire mentre Richie faceva avanti e indietro dalla cucina sfornando frittelle di mele e crostate al cioccolato; c’era anche Jenna, appollaiata a un tavolo del bancone mentre cercava di raccapezzarsi tra centinaia di dati e cifre sulle spese delle ultime settimane.
«E anche questo mese non andremo in fallimento, evviva!» esclamò con scarso entusiasmo rimettendo i documenti in una cartellina. Axel intercettò il suo sguardo, riuscendo a malapena a sorridere.
«Oh, questa sì che è una grande notizia» rispose allegro Darryl, spazzando un angolo del locale e alzando di qualche tacca il volume dello stereo. «Dobbiamo assolutamente festeggiare» disse improvvisando un balletto sulle note di un successo di Katy Perry.
Nel momento in cui Richie face accidentalmente cadere a terra una teglia di pasticcini, qualcuno entrò nel locale sbattendo la porta con una particolare veemenza. Era Lion, che con sguardo innervosito avanzava a passo rapido nella direzione di Jenna.
«Rivoglio il mio skateboard» le disse incrociando le braccia sul petto.
Axel, sentendosi chiamato in causa, tese l’orecchio per carpire cosa si dicessero mentre Darryl continuava a canticchiare Katy Perry.
«Come prego?» chiese Jenna, assottigliando lo sguardo.
«Rivoglio il mio skateboard! Tu non sei mia madre, non hai diritto di sequestrarmi le mie cose!»
«Ne abbiamo già parlato, Lion, te lo ricordi o devo farti un ripasso?»
«Ti ho già detto che non li ho rotti apposta quei bicchieri, è stato un errore!»
«Un errore causato dalla tua ennesima distrazione! Devi essere più responsabile!»
«E sequestrarmi lo skate mi renderà più responsabile? Guarda che non sono uno stupido, Jenna, ho capito che lo hai fatto per vendicarti.»
«Cosa?! Se avessi voluto vendicarmi il tuo skateboard avrebbe fatto la stessa fine dei bicchieri che hai rotto.»
Axel vide il ragazzo sbuffare e passarsi una mano tra i capelli con aria seccata. Darryl continuava imperterrito a seguire le note della canzone, ma era chiaro che stesse anche lui seguendo lo scontro con Jenna.
«Tu mi hai promesso che mi avresti aiutato» rincarò la dose Lion, trascinandolo nella discussione proprio come aveva temuto. Axel fu costretto a voltarsi e a raggiungerlo davanti al bancone.
«In che senso?» si intromise Jenna.
«Axel mi ha detto che avr-»
«…che mi sarei impegnato a farglielo riavere, sì» disse imbarazzato, non sapeva se più per il guaio in cui si era cacciato o se perché la prima occasione di parlare con Jenna si stava rivelando un autentico fiasco.
La vide aggrottare le sopracciglia cercando probabilmente di trovare un senso logico in quello che le stava dicendo.
«Tu lo aiuteresti a riavere il suo skateboard, ho capito bene?»
«Sì?» rispose incerto Axel, sentendo chiaramente Darryl sghignazzare dietro di lui, ora che aveva di nuovo abbassato il volume dello stereo.
«Perché questo desiderio di fare il paladino della giustizia?» gli domandò la giovane incrociando le braccia sotto al seno.
«Non ho…non….stavamo solo parlando, tutto qui. Volevo aiutarlo» si difese Axel, pensando solo adesso che forse aveva osato prendere un po’ troppo sottogamba la questione.
«No, è che lui ha capito che nascondermi lo skate è stata una cazzata» borbottò Lion con cipiglio arrogante.
«Ti conviene moderare i toni, Lion, intesi?» lo redarguì Jenna.
«Certo, tanto con te non si può mai parlare, sai solo arrabbiarti o prendertela con quello stupido skateboard. Tienitelo, visto che ci tieni tanto, non me ne importa più niente.»
Axel seguì con lo sguardo il ragazzo fino a quando non lo vide uscire dal locale con aria affranta e arrabbiata, poi lo posò su Jenna, che si era chiusa nel silenzio con gli occhi velati di lacrime. Darryl non sorrideva più, ma a sua volta osservava la giovane senza proferire parola e assumendo di tanto in tanto un’espressione triste.
Non aveva faticato troppo a comprendere la rabbia di Lion, ma quello che lo aveva turbato era stata la reazione di Jenna e tutte le sfumature che aveva colto dietro ai suoi rimproveri.
Decise di non dar loro troppo peso, ma non poté fare a meno di chiedersi come avesse vissuto quei diciotto anni, e se anche per lei fossero stati un inferno.

 
 
 

__________

 

NdA
Buona…notte!
Riesco finalmente a pubblicare il capitolo, che era in stand-by da qualche settimana, ovviamente a orari poco convenzionali.
Che dire, per Axel le cose iniziano a complicarsi e posso assicurarvi che da ora in poi sarà sempre peggio per lui :’) Io comunque sono felice, non perché adori far soffrire i personaggi – o forse un po’ sì -  ma perché finalmente ci troviamo in un punto di trama che adoro e che non vedo l’ora di sviluppare nei prossimi capitoli.
 
Momento di autocompiacimento a parte, grazie come sempre a chi si ferma a leggere e a chi mi ha sostenuto fin qui. Grazie grazie grazie <3
 
 
_Atlas_

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Capitolo 18
*** Capitolo XVI ***



Capitolo XVI
 







Quando Axel uscì dal locale intercettò Lion seduto sulle scale che portavano allo scantinato e riuscì a scorgere la sua espressione risentita anche sotto la luce fioca e intermittente dei lampioni. Si sedette al suo fianco e per qualche momento rimasero in silenzio osservando un punto indefinito lungo la strada.
«Riavrai il tuo skate,» gli disse poco dopo «ma il quando dipende da te» aggiunse con tono morbido.
«Jenna ha ragione, qua dentro faccio solo casini» replicò il ragazzo.
«Non mi pare che abbia detto questo.»
Quell’osservazione riuscì ad ammutolirlo solo per qualche secondo.
«Pensa se sapesse delle sigarette. Inizierebbe a urlare come una matta. È troppo dura, a volte non la sopporto.»
«Credo sia solo il suo modo di proteggerti» rispose d’impeto Axel, ignorando volutamente l’origine di quel pensiero.
«Come fai a dirlo?» domandò Lion.
«Se non le importasse niente di te a quest’ora avresti il tuo skateboard.»
Si chiese se non stesse peggiorando la situazione con quella chiacchierata, ma il modo in cui il ragazzo lo aveva tirato in ballo in quella faccenda gli impediva di voltargli le spalle.
«È solo incazzata perché ho rotto i bicchieri. Mike ha pensato bene di non farsi più vedere, io invece sono rimasto fregato.»
«Hai provato a chiederle scusa?»
Lion lo guardò perplesso, rigirandosi tra le dita il colletto della maglietta.
«Questo mi farà riavere lo skate?»
«Potrebbe accorciare i tempi.»
Axel lo sentì sospirare con pesantezza e chiudersi di nuovo in un silenzio che, per quel poco che aveva intuito di lui, immaginava non sarebbe durato più di trenta secondi.
«Prima hai detto che avrei riavuto lo skate se a Jenna non fosse importato di me» gli ricordò infatti.
«Sì.»
«E Darryl, allora?»
«Che vuoi dire?»
«Lui mi ha ridato indietro le sigarette. Vuol dire che di me non gliene frega niente?»
Lo sguardo che gli rivolse lo fece sentire con le spalle al muro, obbligandolo a trovare in fretta una risposta prima che fosse lui a farlo al suo posto, rischiando così di trovarne una sbagliata.
«No…no, Lion» negò «È solo che ognuno ha il proprio modo di proteggere chi ama.»
Giusto? Era una riflessione a cui era arrivato anni prima, ma non era sicuro che potesse considerarsi una verità inconfutabile e universale. Quello di cui era certo è che in passato si era sentito amato e protetto, più o meno consapevolmente, da persone diverse e in modi diversi. In quanto all’amore e alla protezione che aveva offerto lui, invece, era certo di aver fallito sotto ogni aspetto.
«Spero che tu abbia ragione» mormorò Lion, questa volta con un cipiglio appena più allegro.
In quel momento la porta del locale si aprì e poco più tardi Richie iniziò a trafficare per chiudere la saracinesca.
«Forza, si va a casa. Lion?» lo chiamò Jenna, e un attimo dopo Axel lo vide scattare in direzione di un’auto parcheggiata lungo la strada.
«Io mi siedo d’avanti» esclamò prima che Darryl gli bloccasse l’accesso col suo bastone da passeggio.
«Proprio per niente, ragazzino. Tu vai dietro.»
Axel li sentì battibeccare sulla questione in cui alla fine si unì anche Richie, dopodiché venne distratto da Jenna che gli si avvicinò di qualche passo.
«Vuoi un passaggio?» gli chiese con tono appena distaccato.
Si trovò di nuovo con le spalle al muro, col cuore che batteva un po’ più forte.
«…no, grazie. Pensavo di andare a piedi.»
«Axel, piantala di fare lo stoccafisso e sali in macchina» gli urlò Darryl agitando il bastone dal finestrino dell’auto, finalmente seduto sul sedile anteriore.
«Credo che tu non abbia scelta» commentò Jenna con un lieve sorriso.
Malgrado il respiro di nuovo corto, Axel accettò il passaggio.


Richie fu il primo ad essere riaccompagnato, durante il viaggio aveva espresso il suo dispiacere per la teglia di dolci che aveva perso, ma Darryl aveva lasciato intendere che aveva comunque fatto una bella fine. Jenna gli aveva rivolto uno sguardo allarmato, ma poi Lion aveva distratto tutti facendo partire un brano rap dal suo telefono e la discussione era morta ancor prima di nascere per lasciare il posto a una lunga serie di lamentele. Quella tortura per le orecchie terminò dopo un paio di isolati, portandosi via con sé la camminata scanzonata di Lion. 
«Niente più broncio, visto? Gli è passata» commentò Jenna rivolgendosi a Darryl.
«Mmm, se lo dici tu» rispose quello, rincorrendo chissà quali pensieri.
In quel chiacchiericcio confuso, Axel riuscì a provare una sensazione che si avvicinava molto a quella provata quando rincasava tardi insieme a Jake, tanti anni prima. Spesso Jenna si intrufolava in macchina con loro occupando i sedili posteriori, sproloquiando sui suoi progetti universitari o sui film che desiderava andare a vedere e che puntualmente Jake si divertiva a criticare.
«Batman&Robin farà schifo, ne sono sicuro» le aveva detto una volta.
«E io voglio andare a vederlo lo stesso, d’accordo?» gli aveva risposto lei piccata.
«Come vuoi, poi non dire che non ti ho avvisato.»
Quella sera, mentre guidava, Axel l’aveva osservata dallo specchietto retrovisore e nei suoi pensieri aveva improvvisamente deciso che l’avrebbe portata lui al cinema. 
Il pensiero che Jake sarebbe venuto a saperlo non aveva messo in dubbio quella decisione, ma l’idea – insieme al terrore che Jenna potesse rifiutarlo -  lo aveva reso comunque nervoso, arrivando persino a ignorare la giovane quando era lei ad avvicinarsi a lui. 
Ricordava di averci messo diverse settimane per passare dalla teoria ai fatti e aveva persino rischiato che al cinema cancellassero gli spettacoli prima del previsto proprio perché, come aveva detto Jake, quel film si era rivelato davvero un fiasco. Alla fine però era riuscito nel suo intento, realizzando che lo squallore del film era l’ultimo dei suoi problemi, impegnato com’era a memorizzare ogni dettaglio della mano di Jenna, che per tutto il tempo era rimasta intrecciata alla sua. Lei, con suo stupore, non aveva parlato molto quella sera, ma aveva ricambiato i suoi baci e le sue carezze come se le aspettasse da una vita intera.
Axel ripensò a quei momenti con nostalgia, riuscendo comunque a non lasciarsi trasportare da altre emozioni negative. Era stata una giornata particolarmente impegnativa quella, e in fin dei conti poteva ritenersi soddisfatto di come l’avesse affrontata.
Una frenata un po’ brusca lo destò dai suoi pensieri mentre riconosceva il profilo buio della casa di Darryl.
«Eccoci, grazie Jenna» disse l’uomo faticando un po’ a scendere dall’auto.
Jenna si affrettò a seguirlo e a porgergli il braccio mentre saliva le scale della veranda che affacciava sull’ingresso della casa. Axel si sentì impacciato mentre osservava la scena ancora seduto in macchina, e alla fine li raggiunse.
«Serve una mano?»
«No, ma Jenna non è contenta se non mi scorta ogni sera fino in camera da letto. Giusto?» la schernì.
Axel la vide sbuffare e scrutare con attenzione il tavolino in un angolo della veranda.
«Queste sono rimaste qui per tutto il giorno?» gli chiese afferrando un flaconcino di medicinali.
«Cappero! Colpa mia, le ho lasciate qui ieri sera» si giustificò togliendogliele di mano. «Senza di te sarei finito» disse guardandola con un sorriso colpevole.
«Sì, lo penso anch’io.»
Axel restò in disparte senza interferire in quello scambio, prendendo di nuovo atto di quante cose fossero cambiate in quegli anni. La complicità tra Darryl e Jenna lo metteva in un certo senso a disagio, non perché ne fosse geloso, ma perché forse avrebbe potuto ottenerla anche lui se solo le cose fossero andate diversamente. 
Vide Jenna accompagnarlo fino in camera, controllare un paio di documenti sul piano della cucina e infine chiudersi alle spalle la porta di casa.
«Possiamo andare» disse trattenendo a stento uno sbadiglio.
Axel annuì e la seguì in macchina.

Seguirono diversi minuti di silenzio, durante i quali Axel ebbe la sensazione di essere l’unico tra i due a percepirli carichi di imbarazzo.
«Lo trovi invecchiato? Darryl, intendo» gli chiese dopo un po’ lei.
Axel ripensò allo sguardo stanco che l’uomo cercava di camuffare, al bastone che di tanto in tanto lo sorreggeva e alla docilità con cui si lasciava aiutare da lei.
«…sì» confessò con una punta di amarezza.
«La sua salute è peggiorata parecchio negli ultimi anni.»
«Ma il carattere è sempre lo stesso» provò a smorzare.
«Non saprei, io trovo peggiorato anche quello» ammise Jenna «Soffre di diabete,» aggiunse poi «non se la passa bene.»
Axel, che per un momento si era sentito alleggerito, tornò ad incupirsi.
«Che ne pensi di Richie, invece?» gli chiese poi lei, sviando l’argomento in maniera un po’ brusca.
«Ottimo pasticcere, ma pericoloso per Darryl, da quel che ho capito.»
«Già, molto. Però è in gamba, a volte penso che il locale vada avanti grazie ai suoi dolci.»
«E Lion?»
Questa volta fu Jenna a incupirsi. Axel trattenne il fiato finché non riprese a parlare.
«Diciamo che è un cliente affezionato.» gli rispose. «I suoi genitori sono spesso in viaggio per lavoro e nel frangente ci assicuriamo che non si cacci nei guai, lo sai com’è Darryl in queste cose. Quest’anno rischia di essere bocciato a scuola, ma la cosa non sembra toccarlo più di tanto.»
«Sembra un ragazzo sveglio» commentò Axel, ignorando la sfilza di pensieri che era tornata a far capolino nella mente.
«Sveglio e testardo. La storia dello skateboard non gli è andata giù.»
«Non volevo mettermi in mezzo, a proposito.»
«Non è colpa tua, non lo conosci. Lion sa come farsi piacere,» spiegò «ma a volte esagera e si approfitta di chi ha davanti. Deve crescere.»
Sul parabrezza iniziò a cadere una pioggia fine, riempiendo l’abitacolo dell’odore di asfalto bagnato. Le strade di Mismar erano poco illuminate e in quel panorama cupo e solitario Axel rivide vecchie scene di Dark Sirio, coi passi felpati di Damon Rivera che si aggirava nella notte inseguendo nemici a volte inafferrabili come i pensieri, altre volte in carne ed ossa.
«A me non chiedi niente?» spezzò il silenzio Jenna, rivolgendogli un’occhiata incuriosita.
«Che vuoi dire?» domandò a sua volta lui, irrigidendosi sul sedile.
«Non vuoi sapere che cos’ho fatto in tutti questi anni?»
Axel, che lottava contro il desiderio e la paura di prenderne atto, si lasciò scappare un sospiro appesantito.
«Non pensavo che ti avrei rivisto, né che lavorassi al Lenox Blues» ammise.
«Dove pensavi che fossi? Non ho avuto la possibilità di andarmene» spiegò lei «E poi Darryl ha bisogno di aiuto per il locale. Lo hai visto, no?»
«Sì, me l’ha detto. Ti è molto riconoscente.»
«Già. Cos’altro ti ha detto?»
«Niente.»
Axel sentì il suo sguardò su di sé, prima che tornasse a guardare la strada.
«Non sei mai stato bravo a mentire» gli disse, senza però dargli modo di ribattere. «Anch’io non pensavo di rivederti, comunque. Le cose vanno bene?»
«Credo di sì» rispose incerto e senza aggiungere altro.
Rimase con lo sguardo fisso sul parabrezza, seguendo la scia delle gocce d’acqua che si rincorrevano tra loro. La pioggia era appena più fitta, ma non ci sarebbe voluto ancora molto per arrivare a casa.
«Ci siamo» disse poco dopo Jenna fermando l’auto davanti al negozio di smartphone. Axel rivolse un’occhiata all’insegna luminosa.
«Che fine ha fatto Earl?» domandò incuriosito, ricordando i pomeriggi passati insieme a sistemare gli scaffali del minimarket.
«Si è trasferito in California, una decina di anni fa. Non so cosa faccia di preciso, ma credo abbia una moglie e una figlia adesso.»
Tutto sommato la cosa lo rallegrò; da quando era tornato quella era ufficialmente la prima notizia positiva che sentiva.
Una lieve vibrazione nella tasca del giubbotto gli ricordò che si era fatto tardi e che probabilmente c’era qualcuno, a New York, che desiderava avere un aggiornamento sulla sua trasferta a Mismar. 
Non aveva alcuna voglia di parlare con Loraine e sarebbe stato fantastico se dopo quella interminabile giornata fosse crollato a letto appena varcata la soglia di casa. Ma non sarebbe andata in quel modo, parlare con Jenna gli aveva messo addosso più agitazione di quel che aveva immaginato.
«Grazie per il passaggio» le disse quindi scendendo dall’auto. Sentì il suo sguardo su di sé, ma si costrinse a ignorarlo.
«Di niente. Buonanotte.»
«Notte.»
 

__________

 


NdA
Booomba!
Mi piacerebbe potervi dire che questo aggiornamento rapido sia stato fatto per non spezzare troppo la narrazione con quello precedente, vista la vicinanza degli eventi, ma la verità è che l’ispirazione mi è piombata addosso in maniera molto brutale e ne ho approfittato fino allo sfinimento. E in effetti ho finito, quindi il prossimo aggiornamento se tutto va bene sarà tra quattro o cinque decadi :P 

Ma ciancio alle bande, spero che il capitolo sia piaciuto e che anche il seguito potrà essere di gradimento. Ho visto che ultimamente qualcuno di voi ha aggiunto la storia nelle seguite/preferite, vi lascio quindi un innocuo invito a darmi un vostro parere qualora ne aveste voglia, mi farebbe molto piacere :)

Un caro saluto come sempre a Benni, instancabile commentatrice e dispensatrice di sostegno morale <3

A presssssto,

_Atlas_

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Capitolo 19
*** Capitolo XVII - Parte prima ***



Capitolo XVII
 
-
 
Parte prima

 
 
 
 
 
 
 
Aprile 1997, Mismar
 
«Buona.»
Axel buttò giù l’ultimo boccone di pizza e aspettò che anche Jenna terminasse la propria. L’aria primaverile non era ancora calda, ma non aveva impedito loro di cenare all’aperto sul piccolo terrazzo che affacciava sulla città.
Axel avrebbe voluto passare da solo con lei quella serata, ma Jake era stato chiaro in merito al concerto che si sarebbe tenuto poco più tardi al Lenox Blues: la loro presenza era importantissima per lui, non averli tra il pubblico avrebbe potuto mandare a monte l’intera serata, a sua detta.
«Speriamo che il locale sia pieno, altrimenti chi lo sente» borbottò Axel infilandosi una maglietta pulita, ostentando di fronte a Jenna una sicurezza di facciata. Lei per fortuna sembrò non notarlo, intenta a sfogliare l’ultimo blocco di fotografie fresche di stampa.
«Qui la linea dell’orizzonte è stortissima» commentò con amarezza.
«È comunque una bella foto» rispose lui avvicinandosi per darle un’occhiata.
«Mmm…questa è una bella foto» esclamò Jenna quando le capitò tra le mani un suo primo piano, evidentemente poco desideroso di essere fotografato.
«Hai dei gusti discutibili» sostenne lui con una punta di ironia.
«Tu no, invece?» replicò Jenna mostrando di nuovo la foto incriminata con l’orizzonte storto.
«Ha dei bei colori.»
«”Ha dei bei colori” – lo scimmiottò bonariamente – guarda che non devi mica compiacermi. Se la mostrassi a un fotografo professionista la strapperebbe in mille pezzi e li lancerebbe in aria come coriandoli.»
Axel scosse la testa e sbuffò rumorosamente. «Tu parli troppo.»
«E tu troppo poco» concluse lei con un cipiglio fermo ma divertito.
Axel sorrise sovrappensiero, accogliendo con inaspettato coraggio la novità di quelle emozioni. Il suo rapporto con Jenna era qualcosa di primordiale e assolutamente non definito che lo costringeva a compiere ogni gesto in punta di piedi, ossessionato dall’idea che un qualsiasi passo falso o appena un po’ distratto potesse rovinare per sempre il loro legame. Tuttavia la sua insicurezza, seppur invalidante, aveva perso potere quando aveva capito che Jenna provava davvero qualcosa per lui e che anche lei, in un modo tutto suo, temeva di perderlo; dietro alla sua schiettezza e sagacia Axel aveva capito che esistevano ombre di cui non parlava mai, che sotterrava con il suo chiacchiericcio spigliato e che a volte, inspiegabilmente, la facevano invece chiudere in un silenzio assente o aggrappare al suo braccio ogni volta che guardavano un film insieme.
Si era chiesto più volte se in quei momenti era anche il pensiero di Jake a farla chiudere nei suoi silenzi. Non aveva mai capito fino alla fine che tipo di rapporto la legasse a lui, ma mettendo insieme i pezzi era riuscito a convincersi che tra di loro non ci fosse nient’altro se non un’amicizia solida e profonda.
Nonostante ciò, avevano comunque deciso di non dire a Jake della loro frequentazione, il che aveva in effetti fatto tirare ad Axel un profondo sospiro di sollievo.
 
 
«Jake è strano, ultimamente.»
«In che senso?»
Axel si costrinse ad ignorare una ventata di profumo alla pesca che gli solleticò le narici. Camminava a passo svelto vicino a Jenna sforzandosi di sembrare disinvolto e allo stesso tempo cercando di imprimere nella memoria il profumo che aveva addosso.
«Te l’ho detto, mi sembra nervoso» le ripeté.
«Forse ha solo problemi con la band, non sarebbe la prima volta.»
«Oppure ha qualcosa in sospeso con Cody Harrys. Credo gli debba dei soldi» ipotizzò Axel, ricordando il breve incontro tra i due al termine di una lezione.
Da lontano l’insegna de Lenox Blues spiccava luminosa e intorno a loro l’atmosfera era già frizzante.
Jenna soppesò le sue parole, rispondendogli poi con voce sottile: «Te l’ha detto lui?»
«Li ho sentiti parlare. Non ne sono sicuro.»
Ad Axel non sfuggì l’ombra di preoccupazione che le oscurò il volto, trattenne a stento una fitta di gelosia e provò a indagare sulla cosa.
«Tu sai qualcosa? Conosci Cody?» domandò.
«Sì, di vista. Ma non so niente» gli rispose lei un po’ troppo velocemente.
La sentì irrigidirsi appena, così decise di chiudere lì la questione e concentrarsi sul resto. Non voleva in alcun modo rompere quella bolla di felicità che aveva inglobato le loro vite, nonostante la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto non smetteva di tormentarlo.
Intorno al Lenox Blues si era già formata una calca di giovani in attesa di entrare nel locale e assistere al concerto. Sembrava che qualcuno fosse già sotto l’effetto di qualche drink o birra di troppo, ma Axel era ormai abituato al caos e all’euforia di quelle serate e grazie all’amicizia con Darryl era anche a conoscenza di un paio di passaggi segreti che portavano direttamente nello scantinato del locale, senza necessariamente attraversare la calca in fremito che puzzava di alcol e sigarette consumate.
«Vieni» disse trascinando Jenna lungo un corridoio esterno, stretto ma del tutto libero al passaggio.
«Se ci scopre Darryl…?»
«Non ci scopre» la rassicurò Axel con fermezza, raggiungendo finalmente una porta che aprì senza troppi sforzi e ritrovandosi poco dopo in una piccola stanza adibita a magazzino che portava poi alla sala principale. Ignorò risoluto quella ventata di sicurezza che per un momento gli aveva gonfiato il petto d’orgoglio, conscio che non sarebbe durata a lungo e che presto o tardi Jenna lo avrebbe sgamato.
Nel frattempo, però, non riuscì a sottrarsi alla sua stretta improvvisa, delicata ma decisa, ritrovandosi in pochi secondi con le spalle al muro e con le labbra sulle sue. Come le altre volte, la sua vicinanza annullava tutto ciò che di concreto aveva intorno, lasciandosi trasportare in un contatto che lo intimoriva ma che ricercava come ossigeno. Lasciò vagare le mani lungo la sua schiena resistendo all’impulso di oltrepassare un limite che si era autoimposto, sussultando appena quando fu lei a prendergli la mano per guidarla sotto la maglietta che indossava.
Axel si perse in quel contatto continuando a baciarla, fino a quando la voce troppo vicina di Darryl non gli arrivò alle orecchie costringendoli a fermarsi.
«Chi ha forzato la porta…?» chiese l’uomo, non immaginando di poter trovare davanti a sé la risposta a quella domanda. Per uno spiccato talento che Axel gli invidiava, Darryl riuscì a mantenere davanti a loro una compostezza quasi fastidiosa. «Oh…ecco chi è stato» disse tranquillo «Questa sì che è bella.»
Osservandolo, Axel intercettò comunque un luccichio di stupore nei suoi occhi, accompagnato da un sorriso che tentava di nascondere.
«Beccati» mormorò Jenna, evidentemente in imbarazzo.
Axel, da canto suo, non sapeva se doversi giustificare o pregare Darryl affinché tenesse per sé quella rivelazione.
«Già, beccati» ripeté l’uomo continuando a ridere sotto ai baffi. «Ma non c’era un posto più consono del mio magazzino?»
Axel si guardò intorno, realizzando di essere circondato da sacchi di farina, passate di pomodoro e barattoli imballati di caffè in polvere. Non era gran ché, doveva riconoscerlo, ma dopotutto la colpa non era sua. Rivolse un’occhiata a Jenna, ancora paonazza in volto, trattenendo a sua volta un sorriso.
«Ora ce ne andiamo. Il concerto sta per iniziare» borbottò lei, incamminandosi verso la sala principale del locale.
Axel la seguì con lo sguardo senza però andarle dietro, sentendosi in qualche modo costretto ad affrontare Darryl, che invece sembrava non troppo intenzionato a commentare la sua scoperta. Piuttosto, sembrava impegnato in una fitta ricerca di qualche barattolo o conserva di verdure sott’olio, del tutto incurante della sua presenza.
«Non dici niente?» gli chiese infine, vagamente seccato da quella indifferenza. Si aspettava qualche battuta, o magari un rimprovero per aver sfruttato l’ingresso nascosto del locale, di certo non quel silenzio che alle sue orecchie risuonava quasi sinistro.
«Devo dire qualcosa?» gli chiese a sua volta l’uomo, fermando la sua ricerca per guardarlo incuriosito.
«No, è che…»
«Cosa vuoi sentirti dire, Axel?»
«Niente!» rispose nervoso. Odiava la scioltezza con cui riusciva a metterlo in difficoltà. «Pensavo fossi sorpreso, tutto qui.»
A quel punto Darryl gli si parò davanti, incrociando le braccia sul petto e prendendosi un paio di secondi per guardarlo, facendolo se possibile innervosire ancora di più.
«Sono sorpreso…e contento per voi,» sottolineò infine con voce morbida «ma ti prego, la prossima volta cerca di portarla in un posto più accogliente e comodo dei miei scaffali.»
Axel sbuffò, ignorando volutamente il consiglio e tormentandosi nervosamente le mani. C’era un’altra questione che gli premeva affrontare.
«Jake non sa niente» mormorò. «E per ora non vogliamo che lo sappia.»
Darryl lo scrutò con attenzione, sperando forse di trovare il motivo di quella scelta sul suo volto teso e appena intimorito.
«Era di questo che volevi parlare?» gli chiese.
Axel si morse la lingua, ma alla fine annuì.
«Non glielo avrei detto, se è questo che ti preoccupa.»
«Grazie.»
«Anche se non mi è chiaro il motivo di questa scelta. Siete amici, no?»
«È ancora presto» tagliò corto.
Darryl sospirò, annuendo con poca convinzione. Poi tornò ai suoi barattoli.
«Pensi che dovrei dirglielo?» gli domandò poi Axel, non riuscendo a trattenersi.
«Penso che siano scelte tue e di Jenna» gli rispose «Al tuo posto, però, mi chiederei quale sia la vera ragione perché lui non debba saperlo.»
Quelle parole gli provocarono una fitta allo stomaco, facendolo ammutolire.
Si obbligò a non porsi quella domanda, conscio che dopotutto ne conosceva già la risposta.
«Axel, ti muovi?!»
La voce di Jenna lo riportò al presente, realizzando che il concerto stava ormai per iniziare e che la folla era già in fremito per l’arrivo dei Loser’s Club.
Il locale non era pieno come immaginava, Jake doveva averlo notato, e mentre abbracciava la sua Fender Stratocaster il suo sguardo vagava tra il pubblico in cerca di occhi rassicuranti. Quando li trovò, il suo viso si distese in un’espressione più tranquilla. Axel si sforzò di sorridergli da lontano, mentre il senso di colpa si era già adagiato sul suo petto rendendogli il fiato appena più corto.
Nello scantinato del Lenox Blues, intanto, risuonavano le note di 18 and Life


 “Ricky was a young boy
   He had a heart of stone”

 

 

_____________________

 
 
NdA
Buonsalve e buona domenica!
Torno su questi schermi con un nuovo capitolo volutamente diviso a metà; spero di pubblicare presto la seconda parte, nel frattempo beccatevi questo frullato agrodolce di insicurezze e amori giovanili, con una spruzzata di rabbia che piomberà a breve sulla testa del nostro povero Axel. No, non sarà bello.
Ma ora basta spoiler e parliamo invece di cose più serie: vi allego di seguito il link alla colonna sonora di Dark Sirio, cosa che avevo già fatto mesi fa e che rifaccio adesso perché ci sono state diverse modifiche qua e là: https://open.spotify.com/playlist/1yDTS6aQS0232JcoV8MZAh?si=2d13aa41bd1f493a

Anzi, se avete suggerimenti ditemi pure, ché io son contenta :P
 
 
Grazie come sempre a chi passa da qui,
a presto con la seconda parte del capitolo
 
 
_Atlas_

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Capitolo 20
*** Capitolo XVII - parte seconda ***


 
Capitolo XVII
 
-
 
Parte seconda

 
 
  
 
 
 
L’aria fresca di mezzanotte si posò salvifica sulle sue guance bollenti.
La calca intorno al locale era raddoppiata rispetto all’inizio della serata, anche se il concerto dei Losers Club era stato un disastro e la band aveva preso più fischi che applausi. Qualcuno si era lanciato in qualche discussione poco costruttiva sul talento musicale dei musicisti, altri avevano provato a difenderli, altri ancora volevano solo bere o fumare senza essere interpellati.
Prima che il concerto terminasse Jake aveva abbandonato il palco con uno scatto d’ira e Axel non era più riuscito a trovarlo. Non aveva capito esattamente cosa fosse successo, se a scatenare la rabbia fosse stato l’ennesimo errore tecnico del batterista o uno sbaglio commesso da lui stesso, sapeva solo che era da quasi un’ora che cercava Jake e non lo aveva trovato da nessuna parte. Anche Jenna si era defilata dal pubblico per cercarlo, così adesso aveva perso anche lei e non sapeva più da che parte girarsi.
Fuori dal locale c’era ancora troppa gente e dubitava che avrebbe trovato lì Jake, così si dileguò dalla strada principale, addentrandosi in un paio di vie parallele e più isolate.
 
Passeggiare in quelle vite di notte era sempre stata fonte di ispirazione per i suoi disegni, Dark Sirio vi si addentrava durante i folli tentativi di spingere Liam Sullivan in un vicolo cieco e sparargli contro il proiettile definitivo.
Fu proprio in una di quelle vie che riconobbe la sagoma di Jake, curvo sui gradini di una scalinata che portava a uno scantinato. Al suo fianco c’era la figura esile di Jenna, che gli spezzò il respiro.
Si impose la calma, anche se aveva le gambe rigide e bruciava dalla voglia di rimanere in disparte e ascoltare la loro conversazione. Si avvicinò a passo lento cercando di carpire il più possibile di quello che si stavano dicendo, ma dovevano aver smesso di parlare da un pezzo perché Jake alternava un tiro di sigaretta a un sorso della birra che aveva in mano.
Jenna si accorse della sua presenza prima che potesse dire qualcosa, gli rivolse un sorriso spento e lo invitò a sedersi accanto a loro.
Solo in quel momento Axel si accorse di quanto irrequieto fosse Jake, di come non riuscisse a tenere ferme le gambe e cercasse di bruciarsi i jeans con l’altra sigaretta che aveva appena acceso. Guardò di sottecchi Jenna, che però mantenne lo sguardo basso.
«Jake…ma che è successo?» chiese infine, non riuscendo più a trattenere la domanda.
Lui non rispose subito, continuò invece a rigirarsi nervosamente la sigaretta tra le dita. «Niente» disse a denti stretti poco dopo.
«Niente?» Axel lo guardò perplesso, percependo la mano di Jenna posarsi appena sulla sua gamba, in un tacito invito a chiudere lì la conversazione.
«Niente, niente, Axel. Cosa cazzo vuoi che sia successo?»
«Sto cercando di cap-»
«Non c’è niente da capire! Abbiamo fatto schifo! La colpa è mia. Ho portato la band allo stremo, colpa mia di nuovo. Sono nervoso, anche questa è colpa mia. È che mi sono rotto il cazzo, ecco cos’è successo! Mi sono rotto il cazzo di portare avanti un progetto in cui credo solo io, perché cazzo continuano a starmi dietro?! Tanto vale chiuderla qui e togliermi di mezzo, visto che il problema sono io.»
«Forse insieme non funzionate, ma questo non vuole dire che il problema sia tu.»
A quelle parole Jake si infiammò e scaraventò la bottiglia di birra contro le scale, facendo sussultare sia lui che Jenna.
«Porca puttana Axel, ma mi hai visto?! Lo sai perché sono l’unico a credere nella band? Jimmy lavora da mattina a sera e non gliene frega un cazzo di starmi dietro con il basso, lui suona perché gli va, non certo perché deve farlo. E Michael? Lui ha il college, ha la ragazza, le vacanze in famiglia e le gite a Portland o dove cazzo se n’è andato per due settimane! A me cosa resta? Un fumetto del cazzo che stai scrivendo al mio posto! A parte questo non ho niente
«Hai noi!» si intromise Jenna alzando la voce «Ci siamo noi con te, Jake! Perché questo devi sempre ignorarlo?!»
«Ti sembra che lo ignori?!»
«Mi sembra che la cosa ti lasci indifferente! Sei sempre così…»
«Non mi lascia indifferente! Ma perché non capite?! Cazzo, eppure non è difficile!»
«Cosa non è difficile? Guarda che lo abbiamo capito che stai passando un momento di merda, ma se tu provassi a parl-»
«Io non voglio parlarne! Non voglio, cazzo! Io voglio solo riuscire a fare quello che fanno tutti, quello che fate voi, invece non concludo mai niente! Non ci riesco, non lo so fare!»
«Che cos’è che avremmo concluso, noi?» chiese Jenna con voce piatta, ed Axel colse nel suo sguardo un luccichio colmo di rabbia.
«Non sto dic-…mi sono spiegato male.»
«Spiegati meglio allora, perché se permetti finora non mi sembra di aver concluso proprio niente.»
«Sto solo dicendo che voi…per voi è più semplice.»
Axel ignorò risoluto la fitta di rabbia che stavolta colpì anche lui e che gli fece contorcere lo stomaco. Fu sul punto di ribattere, ma Jenna lo anticipò.
«Sei uno stronzo, se pensi questo. Per noi è difficile allo stesso modo, solo che a differenza di te proviamo a crederci davvero. Ma tanto per te queste sono solo cazzate, no?»
«Pensi che io non ci abbia mai creduto davvero, Jenna?! Devo forse ricordarti la mia situazione??!»
«La tua situazione non cambierà mai se non ti lasci aiutare!»
«Vaffanculo! Perché non capisci che non è di questo che ho bisogno??!»
«E allora parla, cazzo! Di cosa hai bisogno? Se non parli come facciamo a saperlo?»
«Pensavo che fosse evidente, ma mi sbagliavo.»
Axel si morse nervosamente le labbra, iniziando a sua volta ad agitarsi e rinunciando a cogliere tutti i punti della loro discussione. Avrebbe voluto dirgli che era presuntuoso da parte sua credere che lui e Jenna non avessero notato i suoi repentini cambi d’umore, i suoi silenzi, la sua allegria spesso eccessiva, e che scegliere di fingere davanti a loro rischiava di svalutare la loro amicizia.
Ma capì che non si trattava più di quello e che i problemi erano altri, più radicati e che avevano poco a che fare con il futuro della sua band.
«Non è solo la band, c’è dell’altro. Vero?» domandò quindi, regolando il tono di voce.
Jake, ancora in preda alla rabbia, si girò di scatto verso di lui senza riuscire a nascondere un’espressione colpevole. Durò qualche istante, ma Axel la colse nella sua interezza.
«Senti, Jenna ha ragione. Noi ci siamo, ma se non parli non possiamo aiutarti.»
«Ho già detto che non voglio l’aiuto di nessuno.»
«Piantala di dire cazzate, Jake. Ti ho sentito l’altro giorno mentre parlavi con Cody Harris. Gli devi dei soldi?»
Axel vide l’amico sussultare come se si fosse appena scottato; sperava in una resa da parte sua, invece fece ancora un altro passo indietro.
«Questi sono cazzi miei, se permetti.»
«Se non hai soldi possiamo aiutarti a…» tentò di dire, senza sapere dove stesse andando a parare, né se fosse stato poi in grado di aiutarlo davvero.
A un tratto gli sembrò che Jake fosse esausto, ormai sul punto di stroncare quella discussione e andarsene.
«Basta, cazzo, non vi sopporto più. Lasciatemi stare» disse infatti subito dopo. Gettò a terra la sigaretta ancora accesa, rivolse un ultimo sguardo a Jenna, chiusa nel suo silenzio, e si incamminò infine lungo la via, confondendosi tra i profili bui degli edifici. Axel lo seguì con lo sguardo fin quando gli fu possibile, cercando nel frattempo di rimettere insieme i pezzi di quello che era accaduto. Aveva bisogno di capire, di sapere quale fosse la verità, “la situazione” in cui Jake viveva e di cui Jenna a questo punto era al corrente.
Era in piedi dietro di lui e ne sentiva addosso lo sguardo, eppure l’idea di affrontarla lo pietrificava, risvegliando la paura di poterla perdere.
«Andiamo a casa…» la sentì mormorare dopo qualche istante. Aveva la voce spenta, ma quando si voltò il suo viso era tirato come se stesse trattenendo una furia emotiva. Sapeva che non era il momento giusto, per sé stesso e forse nemmeno per lei, ma quell’ennesimo tentativo di ignorare ciò che aveva a che fare con Jake lo convinse a chiedere spiegazioni.
«Jenna, quello che…» iniziò a dire impacciato «…c’è qualche problema con Jake. Ho capito. Non sono un cretino, vorrei solo che mi dicessi cosa c’è che non va, una volta per tutte.»
Rimase in silenzio, tesa, ma questo rappresentò per lui uno sprone per continuare.
«Chi è quel Cody Harris? Gli deve davvero dei soldi?»
«Axel…» tentò di frenarlo lei, senza tuttavia riuscirci.
«Dimmi quello che sai, Jenna. Jake è anche mio amico e non voglio che…»
«Non è facile parlarne. Jake non vuole.»
«Non vuole? Ma sono suo amico!» ribadì «Perché a te l’ha detto, allora? Jenna, se c’è qualcosa che devi dirmi…se tra te e Jake c’è qualcosa di più di un’amicizia…per favore…» le parole gli morirono in gola non appena si rese conto di come lo stava guardando e di come probabilmente la stava deludendo parlandole in quel modo. All’improvviso non fu più sicuro di quello che voleva sapere, né di quello che provava o di come sarebbe finita tra loro.
«Che cosa stai dicendo, Axel?» gli chiese Jenna con sguardo lucido di rabbia.
«Niente, lascia stare.»
«Lo conosco da quando avevo 12 anni, Axel, è come se fosse mio fratello! Non c’è mai stato niente tra di noi, se è questa la cosa che ti preoccupa di più al momento» gli spiegò duramente.
«Sto solo cercando di capire…»
«Mi sembrava una cosa ovvia! E potrei anche incazzarmi per la tua mancanza di fiducia nei miei confronti se non fosse che qui la questione è un’altra e non ha niente a che vedere con noi due.»
Axel incassò il colpo in silenzio, riuscendo tuttavia a riconoscere le sue ragioni.
«Per me non era una cosa ovvia. Mi dispiace.»
«Avresti potuto chiedermelo prima, se la cosa ti dava fastidio.»
«Lo so. Non ce l’ho fatta» ammise nonostante si sentisse schiacciare dal senso di colpa per averla ferita. In ogni caso aveva ragione, quella non era la priorità al momento. «Che succede a Jake? Puoi dirmelo per favore?» domandò.
«Non potrei,» ammise lei «ma forse hai ragione ed è bene che lo sappia anche tu.»
«Non lo dirò a nessuno.»
«Darryl lo sa. E anche sua moglie. Loro cercano di aiutarlo come possono.»
Axel annuì, ascoltando con attenzione le sue parole.
 
Quella sera conobbe l’altra faccia di quello che considerava il suo migliore amico, forse l’unico. Venne a conoscenza dei suoi drammi familiari, passati da tempo ma ancora vividi e rumorosi, di quando Darryl gli aveva regalato la sua amata Fender Stratocaster e di come gli fosse venuta l’idea di mettere su una band; e poi la passione dei fumetti e l’iscrizione alla C.A.M., il lavoro come cameriere al Lenox Blue’s durato appena tre mesi. Venne a sapere dell’amicizia con Cody Harris e del brutto giro in cui era finito, della droga, dei suoi ricatti, dei debiti accumulati e della dipendenza in cui alla fine era caduto, a periodi alterni ma significativi.
Darryl cercava di non perderlo di vista e forse per qualche tempo ci era riuscito, mentre Jenna lo sosteneva come poteva, come amica e confidente. Qualche volta gli aveva prestato dei soldi per aiutarlo, smettendo poi quando aveva capito l’uso che ne faceva. Per qualche tempo sembrava che le cose fossero migliorate, ma erano ormai diversi mesi che il comportamento di Jake lasciava intendere altro.
Axel ascoltò ogni parola in silenzio, prendendo atto di quanto poco conoscesse Jake, di quante cose di lui gli fossero sempre sfuggite e di come, ora che Jenna le metteva in luce, fossero sempre state in realtà davanti a lui.
Non disse nulla e si chiuse ancora di più nel suo silenzio, riuscendo solo a sentirsi un idiota per essersi lasciato sopraffare dalle sue insicurezze a scapito di qualcuno che stava soffrendo molto più di lui.
 

 
 
__________
 
 
 
NdA
Buonsalve!
È passato un po’ più di tempo di quel che avevo sperato, ma comunque ecco finalmente la seconda parte di questo capitolo.
Siamo a un punto molto importante della storia, come spero si sia intuito, e confesso di avere un po’ di ansietta al riguardo soprattutto per le tematiche trattate. Ci sarebbero migliaia di cose da dire, ma per il momento preferirei non farlo; l’invito che vi do è solo quello di prendere la storia esattamente per quello che è: un racconto di pura fantasia che si limita a intrattenere (spero) e a far riflettere (spero tanto) su un paio o forse più questioni.
Ogni cosa a suo tempo, però.
 
 
Grazie come sempre a chi passa da qui <3
 
_Atlas_

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Capitolo 21
*** Capitolo XVIII ***



Capitolo XVIII
 
 
 
 
 
 
02.38
 
 
Le gocce che gli aveva prescritto il dottor Perkins avevano un retrogusto amaro, pungente, ma grazie a un inquietante effetto placebo gli sembrò quasi di sentirsi più rilassato e in procinto di addormentarsi. In realtà sapeva che era solo un dispetto della sua mente, perciò non si stupì molto di avere ancora gli occhi sbarrati nel buio a un tiro di schioppo dalle tre del mattino. Se non altro, pensò, le gambe non erano più rigide come due blocchi di marmo e i polmoni incameravano una quantità di ossigeno definibile normale.
Il chiacchiericcio mentale, invece, si ostinava a rimanere lì.
 
Avrebbe dovuto chiamare Loraine e aggiornarla sull’andamento delle sue conferenze, per esempio. Dirle che non vomitava più nei bagni e che non solo era diventato più disinvolto quando parlava in pubblico, ma che gli studenti sembravano persino interessati a quello che diceva. La immaginò con un ghigno soddisfatto sul viso, come se con una sola occhiata riuscisse a esprimere quel famigerato te lavevo detto”.
Allontanò l’idea di chiamarla.
Avrebbe poi dovuto pensare a una conclusione per Dark Sirio, ma l’angosciante consapevolezza di non poter rimandare troppo a lungo la cosa gli provocò una fitta alla bocca dello stomaco.
Poi ci penso. Giuro che ci penso.
Avrebbe dovuto parlare con Darryl. E poi con Jenna.
Di che cosa, poi? Lo avrebbero ascoltato? Avrebbero capito davvero? Forse non importava più a nessuno del perché fosse scappato, forse avevano deciso da tempo di andare oltre, di dimenticarlo e di onorare la memoria di Jake cercando di salvare qualcun altro…magari proprio Lion.
Si morse nervosamente il labbro e scacciò anche quell’ultimo pensiero, impuntandosi però all’idea che almeno uno dovesse sbrogliarlo. Adesso, in quel preciso istante, altrimenti sarebbe impazzito.
Aprì la chat di Loraine, scorrendo sullo schermo gli ultimi messaggi che lei gli aveva mandato e a cui non aveva mai risposto, poi avviò una registrazione:
 
«Ciao. Volevo dirti che non vomito più nei bagni degli studenti, almeno non da quando mi hanno indicato dove si trova quello dei professori. Comunque non capita più da...dallultima volta.
Il professor Layton dice che i ragazzi sono contenti, io non so mai bene di cosa parlare e come al solito improvviso, ma la cosa non credo li disturbi troppo, anzi, qualcuno sembra persino interessato a quello che dico.
Non so se alla fine la scuola chiuderà, sicuramente non se la passano bene.
Tu come te la passi, a proposito? Spero di essere ancora il tuo scrittore maledetto e viziato preferito. Scusa se non ho risposto ai messaggi. E alle chiamate. E alle e-mail.
Stammi bene.
Ah, le gocce del dottor Perkins hanno il sapore e la consistenza di un liquore scaduto, glielo riferirò.»
 
Concluse la registrazione e inviò il messaggio, rimanendo poi a letto con gli occhi puntati al soffitto. Provò a chiuderli, contando i respiri.
 
  
*
 
 
Si presentò all’ingresso del Lenox Blues con una certa rassegnazione, dopo che Darryl aveva chiamato per l’ennesima volta la segreteria della C.A.M. per mettersi in contatto lui.
Sentì del chiacchiericcio animato davanti all’ingresso della vecchia sala concerti, insieme alle note del nuovo successo di Avicii provenire da una cassa non proprio in buone condizioni. Vide la figura slanciata di Lion armeggiare con il suo skateboard e le labbra gli si incurvarono inconsciamente in un sorriso, mentre qualcun altro cercava di stargli dietro sperando di imparare. Era il suo amico Mike, e a giudicare dall’espressione che aveva in volto doveva aver superato da un pezzo tutta quella faccenda dei bicchieri distrutti.
«Eccoti, finalmente! Seguimi» borbottò Darryl vedendolo e uscendo dal locale tenendo sottobraccio due mensole e un trapano.
Axel obbedì senza fiatare, ma sentì lo stomaco contorcersi come se avesse già capito prima di lui le intenzioni dell’uomo. Era da una decina di giorni che lo vedeva strano, come se avesse fatto un pieno di adrenalina.
«Ehi Axel, guarda!» Lion lo salutò mostrandogli trionfante lo skateboard e nonostante la tensione non riuscì a trattenere un gesto di esultanza per lui.
«Ma chi è quello?» sentì chiedere da Mike.
«Un amico di Darryl. È uno scrittore famoso…»
Origliò finché poté la loro conversazione, poi Darryl si chiuse alle spalle la porta della sala e iniziò a girovagare spostando tavoli e osservando scrupolosamente lo spazio che aveva intorno.
«Le vorrei lì. Che ne dici?» chiese indicando un angolo della stanza.
«Le mensole?»
«Sì. E poi ci mettiamo sopra delle riviste, così diventa un posto più accogliente» disse risoluto.
Axel si guardò intorno, chiedendosi se davvero quelle due mensole potessero fare la differenza. Poi, con un certo nervoso, realizzò che forse era proprio desiderio di Darryl insinuargli quel dubbio, rincorrendo chissà quali speranze.
«Cosa succederà una volta che sarà più accogliente?» chiese senza nascondere troppo i suoi sospetti.
«Proprio quello a cui stai pensando. E tu mi darai una mano.»
«Darryl…»
«Sì Axel, poi te ne torni a New York a fare lo scrittore bello e dannato. Ti chiedo solo di aiutarmi finché sei qui.»
Non aveva le forze per mettersi contro Darryl, non dopo una notte insonne e venti gocce di Bromazepan nel sangue.
«D’accordo. Ma poi? I muri andrebbero riverniciati e possibilmente prima di appendere altre mensole. I tavoli cadono a pezzi…»
«…quelli nuovi arrivano la prossima settimana. E per i muri ho preso delle bombolette.»
«Delle bombolette?»
«Sì, per fare un bel murales colorato. Lì.» disse indicando una parete che forse un tempo era stata bianca.
«Darryl ti sembra che io sia in grado di fare murales?»
«Non tu, rincitrullito! Quei due che stanno ascoltando quella musica oscena qua fuori. Sono bravi in queste cose.»
Axel ammutolì, passandosi una mano sul volto e grattandosi nervosamente la barba.
«Lo so cosa pensi, ma voglio fare un altro tentativo. L’ultimo.» gli disse l’uomo, quasi sul punto di implorarlo.
«Non mi costa nulla aiutarti, Darryl, ma perché adesso? Sembra quasi che tu abbia aspettato me per…farlo.»
Questa volta fu l’uomo a restare in silenzio, anche se solo per una manciata di secondi.
«Perché la perdita di mia moglie non mi ha permesso di pensare ad altro negli ultimi tre anni, Axel. E per altri motivi che adesso non ho voglia di spiegarti.» concluse.
Axel incassò il colpo, anche se non riuscì a ignorare i ricordi che quella discussione fece risalire a galla.
«Appendiamo le mensole, allora.»
«Bravo.»
 
 
Dopo trenta minuti e qualche altra discussione con Darryl, Axel si lasciò cadere a peso morto sulla panchina adiacente all’ingresso del locale. Al suo fianco, Lion stava pigramente scorrendo delle foto sul suo smartphone.
L’atteggiamento di Darryl lo preoccupava, non tanto per l’idea che si era messo in testa, ma per tutto quello che quell’idea avrebbe comportato per sé stesso. Da quando era tornato a Mismar si era posto l’obiettivo di tenersi a distanza dai ricordi, poi, quando inevitabilmente si era ritrovato ad affrontarli, si era obbligato a non lasciarsi coinvolgere emotivamente. Quella sensazione di distacco lo metteva a disagio, ma al tempo stesso gli offriva una protezione sicura, un abbraccio confortevole che gli impediva di soffrire. Ed era disposto a sopportare altre cento notti insonni piuttosto che abbassare le difese anche solo per un secondo.
«Che ne pensi?»
Di colpo si trovò davanti agli occhi lo smartphone di Lion, che fu costretto ad allontanare per mettere a fuoco l’immagine che gli stava mostrando. Era la foto di una ragazza, un primo piano evidentemente scattato a tradimento e che metteva in risalto i suoi occhi celesti.
Axel guardò Lion con aria interrogativa.
«Beh?» gli chiese ancora lui, aspettando una risposta.
«Chi è, la tua ragazza?»
«Sei matto?!»
Axel vedendolo trasalire alzò le mani a mo’ di resa. «Scusa.»
«È in classe con me» spiegò poi Lion un po’ risentito, riprendendosi il telefono e facendo scorrere altre foto.
«Okay.»
Axel poggiò la testa al muro e socchiuse appena gli occhi. «È carina,» aggiunse poco dopo «ti piace?»
«Sì che gli piace» si intromise Darryl uscendo a sorpresa dal locale e lasciando intendere di aver seguito l’intera conversazione. Poi sparì di nuovo nella sala concerti.
Axel tornò sull’attenti e intercettò lo sguardo di Lion, che serrò la mascella restando in silenzio.
«Mmm, perché non le chiedi di uscire?» gli chiese sperando di non essere troppo invadente.
«Stai scherzando?!» per poco non gridò il ragazzo, facendo sparire il telefono una volta per tutte. «Figurati se le piaccio io
«Come fai a dirlo se non…»
«Lo so e basta. Non sono il suo tipo, a lei piacciono quelli intelligenti, quelli che…»
«Quindi tu saresti uno stupido?»
«Non sto dicendo questo…»
«Invece lo stai dicendo.»
«Invece no! Noi…non ci parliamo neanche, mi spieghi come faccio a chiederle di uscire se nemmeno sa chi sono?»
Axel ammutolì e contò fino a dieci prima di ricordarsi di non essere proprio la persona adatta a dispensare consigli sentimentali. A quel punto tornò in scena Darryl, riemergendo dalla sala concerti mantenendo un’aria sempre molto indaffarata.
«Chiedile di aiutarti coi compiti, Lion, e poi offrile un gelato per ringraziarla» gli propose.
«Certo Darryl, così penserà che sono ancora più stupido perché non so fare i compiti da solo!» si lamentò Lion, alterandosi.
«Oppure, magari, la farai sentire importante e catturerai la sua attenzione?» gli fece notare con una punta di sarcasmo.
Il giovane fece per ribattere, ma alla fine si trattenne. Anche Axel preferì restare in silenzio, anche se si sentì quasi chiamato in causa in quella discussione.
«Non voglio farlo, e poi sono affari miei» disse infine Lion, aggrappandosi a quell’unico punto che forse riteneva intoccabile.
«D’accordo, allora non ti resta che conquistarla con la telecinesi. In bocca al lupo, ragazzo» concluse Darryl rientrando nel locale.
«Ma che gliene importa?!» si sfogò Lion una volta rimasti da soli «Non gli ho chiesto niente e lui si intromette nelle mie faccende private!»
«Sì, è un po’ invadente» convenne Axel, che in effetti non era del tutto in disaccordo con lui «ma non è cattivo, lo fa per aiu-»
«Sì, sì…per aiutarmi. Ma io non ho chiesto il suo aiuto, io non ho bisogno di aiuto! Faccio da solo. Dio, come vorrei fumare in questo momento.»
Axel trattenne il respiro e per una qualche ragione su cui non volle indagare si sentì a disagio.
«Le hai finite?» gli chiese titubante.
«Non le ho nemmeno iniziate. Mike dice che non sono capace, si è messo a ridere quando ci ho provato» confessò a voce bassa «Tu fumi? Mi insegni?» gli chiese poi a bruciapelo.
Axel per poco non si strozzò con la sua stessa saliva e lo guardò di sbieco.
«Non fumo, spiacente.»
«Non fumi?»
«No.»
«Tu sei uno scrittore e non fumi?» domandò Lion con aria sospettosa.
«Mai fumato in vita mia. Quello degli scrittori che fumano si chiama stereotipo, a proposito.»
«Non ci credo che non hai mai fumato, lo dici perché non vuoi che io inizi a farlo.»
«Ti ricordo che sono stato io a ridarti il pacchetto con cui ti ha beccato Darryl» replicò piccato.
Lo vide soppesare le sue parole, ma quando fu sul punto di replicare la porta del locale si aprì di nuovo. Questa volta non era Darryl, ma Richie, che si avvicinò a loro con in mano uno scatolone pieno di libri e altri oggetti poco identificabili.
«Ehi Lion, cosa preferisci tra crema chantilly aromatizzata al limone e una al cioccolato?»
Il ragazzo lo guardò a metà tra il confuso e il sospettoso. «Cioccolato» rispose.
«Okay, cioccolato. Senti…» disse Richie mettendo giù lo scatolone «…questi sono per te. Darryl dice di usarli nel caso ti volessi esercitare con la telecinesi. Ma ti avverte: entro tre ore...»
«DUE ORE!!!» urlò qualcuno – Darryl – da dentro il locale.
«…due ore, giusto. Ma ti avverte: entro due ore devono essere ordinati sugli scaffali della sala concerti. Vedi tu come fare, insomma.»
Axel soffocò una risata, ma provò quasi tenerezza per Lion, che aveva un’espressione d’odio dipinta sul volto.
«Dai, ti do una mano» si offrì prendendo lo scatolone.
Qualcuno però – sempre Darryl – lo richiamò. «Axel?! Puoi venire qui un momento?»
«Oh merda, è insopportabile!» si lasciò scappare spazientito.
Stavolta fu Lion a ridere, prima di sparire con lo scatolone nella sala concerti.
 
 
«Che succede?» chiese avvicinandosi al bancone dell’ingresso. Jenna stava sfogliando una rivista di dolci, mentre Richie era rientrato dirigendosi in cucina.
«Jenna vuole offrirti un caffè» disse Darryl facendo saltare sul posto come una molla la diretta interessata «Io mi assento per qualche momento, cercate di non distruggermi il locale finché sono via» concluse uscendo.
Axel rimase fermo, picchiettando sul bancone con le dita.
«Puoi andare, se vuoi» gli disse Jenna, vagamente in imbarazzo.
«No, a questo punto vorrei il caffè.»
«In effetti mi sembri un po’ sbattuto. Hai dormito stanotte?» gli chiese iniziando a trafficare dietro al bancone.
«Uhm…» preferì non rispondere, tanto sapeva che la sua faccia parlava al suo posto.
«Tieni» gli disse Jenna porgendogli una tazza di caffè lungo.
«Grazie. Come va?»
«Stiamo organizzando una festa a sorpresa per Lion, perciò c’è un po’ di agitazione. Darryl è uscito per comprare un paio di festoni, Richie sta pensando a quale dolce fare.»
«Capisco. Quand’è il compleanno?»
«Venerdì prossimo. Vuoi venire?»
Axel colse la sua titubanza, ma apprezzò comunque di essere stato preso in considerazione. Ignorò risoluto, invece, l’agitazione che quell’invito gli provocò.
«Pensaci, hai tempo una settimana» gli andò in contro lei.
«D’accordo.»
«A te come va? A parte l’insonnia.»
Axel bevve l’ultimo sorso di caffè e osservò per qualche istante il fondo della tazza, sperando di trovarvi lì una risposta.
«Discretamente» disse.
«Discretamente» gli fece eco lei, accennando un sorriso.
Axel sorrise a sua volta, e per un brevissimo istante ebbe la sensazione di sentirsi compreso.
Poi il ricordo del passato e il peso delle sue colpe tornò a piombargli nello stomaco come un macigno, e quello scambio con Jenna gli sembrò profondamente ingiusto e sbagliato.
Finse di bere un’ultima goccia di caffè, già scalpitando per tornare a casa.
«Devo andare, adesso. Grazie per il caffè.»
«Quando vuoi.»
Fece per uscire, ma prima di andarsene si fermò sulla porta richiamando l’attenzione della giovane.
«Avevi ragione, comunque. Darryl è proprio peggiorato» le disse, lieto di vederla sorridere di nuovo.
«Che ti avevo detto?»

 
 
________________

 
 
NdA
Saaalve!
Capitolo fresco fresco per ricordarvi che la storia esiste ancora e che dopo ben due mesi mi sono degnata di aggiornarla :P
Mi sono divertita molto a far soffrire i personaggi a scrivere questo capitolo, e vi anticipo che il prossimo è già in lavorazione, per cui non dovrei metterci troppo a pubblicarlo.
Inoltre ho proprio la sensazione che la storia stia prendendo la forma che desideravo, il che non è una cosa così scontata, conoscendomi.
Spero come sempre che la lettura sia stata piacevole e a prescindere ringrazio chi vi dedica un po’ del suo tempo, per me è molto importante.
 
A presto con il nuovo capitolo,
 
_Atlas_

 
 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo XIX ***


 
Capitolo XIX
 
 
 
 
 
 
 
«Ciao Axel, mi fa piacere sentire la tua voce, significa che non sei stato rapito da una qualche entità extraterrestre, o rimasto incastrato in una realtà parallela sconosciuta a noi comuni essere umani
 
Axel ridacchiò ascoltando le parole di Loraine, che quasi sicuramente si era imposta di rispondere con studiato ritardo al suo ultimo messaggio.
Avviò il suo audio come un qualsiasi sottofondo musicale mentre cercava di dare una sistemata al sottotetto, incappando in cianfrusaglie, foto e altre diavolerie di cui aveva dimenticato l’esistenza. Con un gesto quasi esasperato era persino arrivato ad aprire lo scatolone che gli aveva dato Darryl settimane prima e dove in effetti non aveva trovato nessuna lettera di Jake che lo accusava della sua morte. Impolverate e consumate dal tempo, c’erano solo decine e decine di fotografie, probabilmente scattate tutte da Jenna, qualche rivista e oltre una ventina di cd e audiocassette. Non ci si soffermò molto, li mise da parte e continuò con le sue faccende sperando di dare un senso a quel posto. Poi dovrei venderlo, pensò, conscio che non sarebbe mai stato capace di farlo.
 
«In ogni caso, ero sicura che le tue conferenze stessero riscuotendo successo, del resto Dark Sirio è tutta farina del tuo sacco, non potevo aspettarmi altro.
Mi fa piacere sapere che i tuoi problemi gastrointestinali non siano più sfogati nei bagni degli studenti, immagino quanto ne saranno lieti i professori.
Io sto bene, anche se purtroppo non ho ancora trovato scrittori più viziati e maledetti di te, non è facile scovarli in quest’epoca così politicamente corretta.
Mi dispiace che le gocce non siano di tuo gradimento, immagino che il dottor Perkins ti abbia spiegato che servono per farti dormire e non per intrattenerti con un viaggio mentale psichedelico a tema anni Settanta.
A presto, nella speranza che tu non finisca intrappolato in un buco nero.»
 
Axel rise ancora, ma smise di farlo quando all’improvviso si ritrovò tra le mani una foto particolare che lo ritraeva insieme a Jake. Sorridevano entrambi all’obiettivo, ma il volto di Jake era tirato e già allora si capiva quanto stesse male.
Quel pomeriggio era andato a trovarlo per provare a riappacificarsi con lui, dopo il fiasco del concerto al Lenox Blues. Non era stato semplice, ricordava ancora bene quanto poco autocontrollo avesse l’amico e come rifiutasse ogni tentativo di dialogare e confrontarsi con lui.
«Ti faccio pena, per caso?», «Non mi serve il tuo aiuto» e ancora «Sei venuto per farmi la morale? A dirmi che certe cose non si fanno? Lo so che lo sai, Axel.», «O forse ti manda Darryl? Lui e la sua voglia del cazzo di salvarmi la vita…Dovete lasciarmi in pace, cazzo.».
Non aveva reagito a quelle provocazioni, ma ricordava chiaramente l’angoscia che lo aveva assalito nel realizzare che quella situazione era più grande di lui e che non aveva la minima idea di come affrontarla. Quel senso di impotenza lo aveva paralizzato, impedendogli di scappare ma anche di riconoscere nel volto paonazzo di Jake lo stesso amico di sempre.
Alla fine si era seduto accanto a lui sul letto senza dire una parola, lottando internamente contro la delusione, le aspettative distrutte e un ideale di amicizia in cui aveva osato credere e che invece non esisteva.
«Scusa» aveva mormorato poco dopo Jake, più calmo ma ancora visibilmente scosso.
«Ho una birra in frigo, ti va se ce la dividiamo?»
Oltre alla birra, quella sera si erano divisi un pacchetto di Lucky Strikes.
Axel aveva faticato ad assecondare gli sbalzi d’umore di Jake, eppure in qualche modo era riuscito a stargli dietro, ridimensionando con ingenuità tutto quello che stava succedendo. Jenna li aveva raggiunti poco dopo, intercettando forse solo di sfuggita i loro sguardi turbati. Anche lei aveva evidentemente peccato di ingenuità, mentre con la polaroid aveva scattato la foto che Axel stava adesso stringendo tra le dita.
 
Improvvisamente un bussare scombinato alla porta d’ingresso lo riportò al presente.
«Axel??!» gridò qualcuno, una voce giovanile che non riconobbe subito.
Rimase interdetto per qualche istante non appena davanti a lui comparve il volto sorridente di Lion, chiaramente lieto di averlo trovato.
«Che ci fai qui?» gli chiese senza capire il motivo di quella visita.
«Darryl mi ha cacciato» rispose quello senza dare troppe spiegazioni.
«Che significa, in che senso?»
«Boh, dice che non posso stare lì e che oggi sono chiusi al pubblico. Anche se io non sono il pubblico…» borbottò piccato.
Axel si morse la lingua, ricordando il motivo per cui forse lo stavano tenendo alla larga dal locale.
«Capisco,» gli disse «magari hanno da fare» azzardò restando vago.
«Sì, tipo organizzarmi la festa di compleanno» fece spallucce Lion, facendosi spazio per entrare in casa. Axel lo lasciò fare, appena un po’ impacciato.
«Posso stare qui?» gli chiese all’improvviso il ragazzo, guardandosi attorno con aria curiosa e a tratti meravigliata.
«Cos- Eh? Non c’è niente da fare qui» rispose lui allarmato «Perché non vai con i tuoi amici a…non so…»
«Ma chi, Mike?»
«Sì, Mike, per esempio.»
«Mmm.»
Lion continuava a scrutare con curiosità la stanza, soffermandosi sulle foto e i disegni appesi alle pareti, ormai ingialliti e consumati. Axel seguiva i suoi movimenti senza sapere bene come comportarsi. Tra meno di un’ora avrebbe dovuto trovarsi alla C.A.M. per una conferenza sulla prima pubblicazione di Dark Sirio, e anche se ce la stava mettendo tutta per arrivare in ritardo non era proprio in vena di stare dietro a un ragazzino vispo e un po’ ficcanaso.
«Questi li hai fatti tu?» gli domandò quello, indicando una manciata di fogli che riproducevano strade e quartieri abbandonati.
«Sì, molto tempo fa.»
«Wow. Dark Sirio
«Già. Lion…» tentò poi di richiamarlo mentre si soffermava su alcune foto.
«Sei proprio sicuro di non aver mai fumato?» gli chiese invece il ragazzo, scrutando una polaroid in particolare che in effetti lo ritraeva insieme a Jake con una sigaretta in bocca.
«Uhm.»
Lion sbuffò rumorosamente. «Ma perché pensate che io sia scemo?» domandò risentito.
«Non l’ho mai pensato» si difese Axel.
«E allora perché mi hai detto una balla? Bastava che mi dicessi “sì Lion, ho fumato…e fumo ancora”» disse guardandolo sospettoso.
«Ehi! Non fumo più!» chiarì subito Axel, agitandosi. «Ho smesso da quasi vent’ anni e non inten-»
«Okay, okay, ho capito!» alzò le mani Lion «Non fumi, va bene. Ma un tiro te lo faresti ogni tanto, o sbaglio?»
«Lion!» lo riprese, strabuzzando gli occhi.
«E va bene, la smetto» si arrese infine il ragazzo, tornando a guardare le foto.
Axel sospirò, sentendosi comunque un po’ in colpa per avergli mentito e in generale per come lo stesse trattando, così provò a recuperare.
«Senti, mi dispiace di averti detto una balla. È vero, fumavo, ma quella roba fa schifo e non te la consiglio per niente. Puzzi di marcio e ti vengono i denti gialli. Non piacerebbe a Annie.»
«Amy» lo corresse Lion, arrossendo appena.
«Appunto.»
«Tu e Jenna eravate amici?»
Giusto, c’è anche lei nelle foto.
Axel si morse la lingua con agitazione e annuì rapidamente, iniziando a trafficare con il materiale da portare alla conferenza.
«Lion, io devo andare adesso…»
«Dove?»
«A scuola. Cioè, una specie, in realtà è più un college…Aspetta un attimo» si fermò poi, realizzando all’improvviso che c’era qualcosa che non gli tornava del tutto. «Tu dovresti essere a scuola. Perché non sei a scuola?» chiese con un certo nervoso.
Lion perse di colpo la sua espressione spavalda e gli rivolse uno sguardo a metà tra il colpevole e l’implorante.
«Perché…» tentò di spiegare, senza però aggiungere nulla.
«Oh no, no, no! Lion ti prego vai a scuola!» lo implorò a sua volta, non riuscendo a credere di essere stato raggirato da un ragazzino e già immaginando la scenata che gli avrebbe fatto Darryl una volta che lo avrebbe scoperto. Per non parlare di Jenna.
Lion però scosse la testa, sedendosi sul suo letto.
«Lion tu devi andare a scuola» gli ripeté Axel, sperando di risultare convincente.
«Resto qui, non faccio niente di male. Non rompo nulla, te lo giuro.»
«Cosa?! Non esiste! Senti, ti sarai anche offeso perché ti ho mentito sulla storia del fumo, ma vedo che tu hai fatto lo stesso con me. Non ti sembra scorretto?»
Lion abbassò un po’ la testa, mordendosi il labbro.
«Non ci vado a scuola, Axel» disse poi «A meno che tu…»
«Non ti insegno a fumare, te lo puoi scordare!» lo interruppe brusco, prima che se ne uscisse di nuovo con quel discorso.
«…non mi lasci venire con te» disse invece.
«COSA?! Col cazzo!» sbottò incredulo Axel «Lion, ascoltami bene: tu devi andare nella tua scuola, e io nella mia, ma sono due scuole diverse. Chiaro?»
«Solo per oggi, per favore! Pensaci, a quest’ora potevo essere in un parco a farmi le canne, e invece…»
«Piantala, le canne non te le fai perché tanto non sai fumare» lo stroncò, senza lasciarsi intimidire troppo dalla sua espressione risentita.
«È il mio compleanno oggi» borbottò poi poco dopo, senza aggiungere altro.
Axel sobbalzò, ma si obbligò a guardarlo con sospetto.
«Non è una balla» chiarì «E ho saltato scuola altre volte, se proprio vuoi saperlo. Ma oggi non voglio andarci.»
«Okay. Ma perché?»
«Perché non voglio!» proruppe Lion con rabbia, alzandosi in piedi.
Axel rimase invece piantato sul posto, senza avere idea di come comportarsi e forse sull’orlo di una crisi di nervi.
«Mi dici cosa dovrei fare adesso?» gli chiese esasperato, ignorando risoluto tutte le sirene d’allarme che gli erano scattate nella testa dopo quello scambio.
«Intanto potresti farmi gli auguri.»
«Giusto, scusa. Auguri Lion, buon compleanno.»
«Grazie.»
«Prego. E ora?»
«E ora niente, ti lascio alle tue cose. A scuola non ci vado, te l’ho detto.»
Axel lo vide avvicinarsi alla porta, tirandosi sulla testa il cappuccio della felpa e salutandolo con un cenno.
«Merda!» imprecò poi sottovoce.
 
 
 
*
 
 
 
Era in ritardo. Era agitato. E soprattutto aveva una gran voglia di vomitare.
Attraversò il giardino della scuola a passo rapido, sperando che nessuno si facesse troppe domande sul come si sarebbe presentato agli studenti quel giorno.
«Non sapevo che insegnassi. Credevo fossi uno scrittore e basta» commentò Lion riuscendo a fatica a stare al suo passo.
«Infatti non insegno. Ti sembra che io abbia la faccia di un insegnante?»
«In effetti, no. Perché siamo qui allora?»
«Io sono qui perché devo tenere una conferenza. Tu, invece, sei qui perché io sono una persona di buon cuore.»
«Che genere di conferenza è?» domandò ancora Lion, scansando agilmente le sue frecciate.
«Una conferenza su me stesso» spiegò Axel faticando a prendere ossigeno e imboccando l’ultimo viale che portava all’ingresso della scuola.
«Cioè ti pagano per parlare di te stesso?»
«Sembrerebbe di sì. E più che di me stesso parlo di Dark Sirio, la storia che…che..»
«Sì, ho capito, Darryl ne parla continuamente. Ma io cosa faccio? Ti tengo i fogli mentre parli?»
«Quali fogli? No, Lion, tu te ne stai seduto buono buono senza fiatare e senza fare nulla.»
Fu costretto a fermarsi. Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto e un singulto gli fece trattenere per qualche istante il respiro.
«Ti senti male? Sei pallido. Devi vomitare?»
Le domande di Lion rimasero sospese fin quando lui non si sentì pronto a rispondere, e per farlo si ripiegò su sé stesso vomitando quella che era stata tutta la sua colazione quel mattino. Mentre i conati lo assalivano pregò che nessuno studente fosse lì nei dintorni, e che se proprio ci fosse qualche professore nelle vicinanze, che almeno non fosse Adam Layton.
«Stai meglio?» gli chiese Lion vedendolo di nuovo in piedi.
«Diciamo di sì. Di solito riesco ad arrivare al bagno.»
«Posso farti una domanda?»
Axel lo guardò di sbieco, trattenendosi dal dargli una rispostaccia. «Dimmi.»
«Quello era un attacco di panico, vero?»
Lo guardò serio in volto, stavolta senza alcun cenno di scherno. Per un istante si sentì lui quello scoperto, costretto a trovare una spiegazione plausibile.
Decise infine di non girarci troppo intorno.
«Sì, era un attacco di panico. Adesso vieni, dobbiamo darci una mossa.»
 

 
 
_________
 
 
 
NdA
Hello!
Stavolta sono stata brava e ho aggiornato in tempi ragionevoli :’)
Come ho detto nelle scorse note, scrivere questa parte di storia mi diverte un sacco e – ovviamente- l’aspetto più divertente è proprio quello di far ammattire il nostro povero Axel :P
E a proposito di questo, posso anticipare che dal prossimo capitolo ci sarà una grossa gigante ENORME novità, non proprio positiva…ma non del tutto negativa.
Potrebbe, inoltre, esserci un avvicinamento tra due personaggi e con ciò BASTA SPOILER MI CHIUDO LA BOCCA.
 
Come sempre grazie a chi passa di qua,
 
Alla prossima,
 
_Atlas_

 

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Capitolo 23
*** Capitolo XX ***



Capitolo XX
 
 
 
 
 

 
Appena varcata l’uscita della C.A.M. fu come se gli avessero tolto dal petto un macigno di almeno cinque chili.
La conferenza era stata un autentico fiasco e in maniera del tutto infantile ne aveva all’inizio attribuito la colpa alla presenza di Lion, che invece aveva obbedito ai suoi ordini e non aveva fiatato per tutte e tre le ore, persino durante la pausa.
No, la verità è che aveva fallito perché parlare di Dark Sirio lo esponeva come essere umano - fragile e ferito – e lui era troppo codardo per affrontare un rischio di questo livello davanti a un auditorium pieno zeppo di rampolli che addirittura provavano stima nei suoi confronti. Così era più volte incespicato nelle sue stesse parole, lasciando frasi a metà e sviando le domande che gli venivano rivolte.
Lion, dal suo canto, non aveva improvvisamente deciso di fare il bravo ragazzo, no, con tutta probabilità la storia dell’attacco di panico lo aveva ammutolito e gli aveva dato da riflettere su questioni di cui non voleva essere reso partecipe.
«Comunque ho un’idea per la tua storia» gli disse mentre attraversavano il cortile della scuola, ritrovando il buon umore e la parlantina.
«Mmh» borbottò lui intercettando da lontano il professor Layton, che aveva tutta l’aria di stare per raggiungerli.
Merda.
«Tu dici che non riesci a finirla…Hai pensato di non farlo e di dedicarti ad altro e basta?» gli chiese Lion.
«In che senso?» gli domandò a sua volta, senza prestargli davvero attenzione.
«Nel senso che…non devi finirla per forza. Il destino di Dark Sirio è di continuare a inseguire i cattivi per vendetta. Per lui non c’è pace, semplice» sciorinò con una leggerezza che in un altro momento lo avrebbe fatto innervosire.
«Dovrei lasciare un finale aperto?»
«Sì…una cosa del genere.»
Axel soppesò le sue parole, chiedendosi se davvero avesse parlato agli studenti delle sue difficoltà nel chiudere la storia, perché proprio non lo ricordava. Un senso di vergogna gli appiccicò la lingua al palato, proprio quando il professor Layton li aveva ormai raggiunti.
«Ciao Axel» lo salutò, indirizzando però il suo sguardo interamente a Lion.
«S-salve!» ricambiò quello.
«Tu chi saresti, quindi?»
Axel fece per parlare ma Lion decise di agire per conto proprio, mozzandogli il respiro.
«Sono suo nipote. Mi chiamo Lion.»
Lo sguardo sospettoso dell’insegnante fece venire ad Axel la voglia di tornare a New York seduta stante. Lo aveva osservato parecchio durante la conferenza, ma quando si era dileguato senza dire una parola aveva tirato un sospiro di sollievo, sicuro di averla fatta franca.
«Nipote? Davvero?» indagò l’uomo, stavolta spostando lo sguardo su entrambi.
«Sì, sono il figlio di sua sorella Christine» rispose Lion sfacciatamente.
«Pensa un po’…»
Gli sembrò di cogliere un guizzo allegro nei suoi occhi, ma ciò non rendeva la situazione meno scomoda. Fulminò con lo sguardo Lion, che naturalmente non dava alcun segnale di resa.
«Sì, mi ricordo di Christine, brava ragazza. Le somigli molto» rispose l’uomo stando al gioco e gustandosi l’espressione del giovane. Poi tornò serio, senza però perdere il buon umore.
«Non è stata la tua conferenza migliore, o sbaglio?» chiese, stavolta guardando Axel dritto negli occhi.
Lui si morse la lingua e incassò il colpo. «Direi che è stata la peggiore.»
«Succede. Non è poi così difficile intuirne il motivo» gli andò in contro, e di nuovo si sentì protetto e alleggerito dalla naturalezza con cui evitava di giudicarlo.
«Già» mormorò. Riuscì a sorridergli, sempre se quel ghigno nascosto dalla barba potesse considerarsi un sorriso.
«Beh, io vado. Salutatemi Christine» sghignazzò infine il professor Layton, prima di lasciarli di nuovo soli.
«Non ti incazzare, ti prego» mormorò con aria implorante Lion quando l’uomo era ormai distante da loro.
Axel sbuffò. «Sono troppo esausto per incazzarmi.»
«Sei anche una persona di buon cuore, giusto?»
«Giusto.»
«E poi oggi è il mio compleanno.»
«Anche questo è giusto.»
«Lo so che non dovevo farlo» si arrese poi il ragazzo «però è stato divertente. Vero?»
Axel sospirò.
Sì, era stato divertente, e a pensarci bene la cosa aveva persino smorzato la tensione che provava.
«Non è stato divertente per niente» borbottò lo stesso, giusto per darsi un tono che comunque non gli si addiceva. «Per non parlare della figuraccia che mi hai fatto fare con il professor Layton.»
«Tu ti prendi troppo sul serio» ribatté Lion, prima di inchiodare i piedi a terra fermandosi di colpo.
«Che succede?» domandò Axel.
«C’è Amy» spiegò, indicando l’altra parte del marciapiede.
Axel intravide una figura esile che passeggiava in solitaria, di tanto in tanto fermandosi davanti alle vetrine di qualche negozio. Aveva una cascata di capelli castani che le copriva la schiena e portava in spalla uno zaino celeste. Aveva tutta l’aria di essere appena uscita da scuola.
«Beh? Vai a salutarla, no?» gli disse accorgendosi poi che aveva fatto dietro front cercando di svignarsela.
«Che cavolo stai facendo?» lo rimbeccò.
«Cerco di non farmi vedere.»
Axel ritenne opportuno tenere per sé tutto ciò che aveva appena pensato, dalla prima all’ultima parola.
«Lion…non puoi farti scappare questa occasione» cercò quindi di convincerlo, riuscendo miracolosamente a catturare la sua attenzione.
«Cosa le dico?»
«Non lo so, qualunque cosa…quello che ti viene in mente.»
«Non mi viene in mente niente.»
«Questo è perché non ci stai nemmeno pensando.»
«Ci sto pensando, invece!» rispose Lion con veemenza «Tu cosa le diresti?»
Axel sbuffò grattandosi nervosamente la barba.
«Le direi senz’altro…che…che…non lo so, io non…»
«Grazie, bell’aiuto!» si spazientì Lion, in preda all’agitazione.
«Ehi, non è a me che interessa!» gli rispose lui piccato.
L’espressione tirata del ragazzo gli fece mordere la lingua e quasi si sentì in colpa di non avere per lui una soluzione.
Quel pensiero ne attivò un altro, e poi un altro ancora, creando una catena di sensazioni spiacevoli e ricordi sbiaditi. Si impose la calma, obbligandosi a restare nel presente.
«Forse so come fare» mormorò poco dopo Lion, che in quella breve attesa era forse riuscito a trovare una via di fuga dall’impasse.
«Cioè?»
«Oggi ho saltato scuola…Magari le chiedo cos’hanno fatto in classe.»
Axel tirò un sospiro di sollievo. «Direi che va bene, no?»
«Dici che funziona?»
«Beh, se non funziona una cosa del genere direi di puntare su qualcun'altra.»
Lion annuì con aria pensierosa.
«Tu sei sposato?» gli chiese poi.
«Cos-? No!»
«Fidanzato?»
«No.»
Lion sbuffò, guardandolo seccato.
«Se non funziona mi insegni a fumare.»
 
 
 
*
 
 

Alla fine funzionò, o almeno così decise Axel, che dopo aver aspettato oltre trenta minuti il ritorno di Lion seduto su una panchina decise di rientrare a casa.
Era esausto. Continuava a rimuginare su quanto detto in conferenza, sui mille giri di parole fatti per non affrontare di petto la storia della pubblicazione di Dark Sirio, sulle risposte evasive e frettolose che aveva dato a molti degli studenti e sul modo in cui era uscito dall’aula senza fermarsi, come di consueto, a firmare autografi e a scattare qualche foto. La cosa positiva, pensò, era di aver capito che non era tanto l’idea di parlare in pubblico a spaventarlo, quanto più l’idea che quel pubblico entrasse in contatto con la parte di sé che cercava di nascondere.
Qualcuno – il professor Layton, Darryl e a modo suo Loraine – l’aveva colta in silenzio e aveva trovato il modo di conviverci. Gwendolyn, a suo tempo, aveva invece preferito lasciarsela alle spalle. Quanto a Jenna, decidere di fuggire era stata la decisione migliore che potesse prendere per entrambi, o almeno così aveva sempre sostenuto. In quel modo avrebbe protetto lei da sé stesso, e sé stesso dai sensi di colpa.
Iniziò a pensare di voler fare ritorno a New York. In fondo gli mancavano una manciata di incontri con gli studenti, non c’era niente di male a interromperli prima del tempo e tornare alla sua routine di sempre. Certo, Loraine si sarebbe definitivamente licenziata, magari lui stesso avrebbe interrotto la sua carriera per trasferirsi in un posto dimenticato da Dio vivendo di sola rendita. Non era male come prospettiva.
Tuttavia, si ricordò che qualcuno quella sera lo aspettava al Lenox Blues, perciò avrebbe fatto meglio a rimandare i suoi progetti futuri a un secondo momento.
 
 
Non sapeva esattamente come comportarsi, non era mai stato al compleanno di un adolescente e a pensarci erano anni che non partecipava a nessun tipo di serata in generale. In effetti avrebbe volentieri declinato l’invito, ma dopo la giornata passata con Lion non gli sembrava una mossa intelligente da fare.
Si prese il suo tempo per raggiungere il locale, passeggiando per le vie di Mismar con studiata lentezza e fermandosi qualche minuto davanti alla vetrina del pub prima di entrare.
Per l’occasione avevano spostato i tavoli all’ingresso per crearne uno più ampio, su cui Richie aveva appena sistemato un vassoio pieno di leccornie salate. Dall’altro lato c’era un piatto colmo di fragole e scorse Jenna rubarne una mentre era intenta a scattare foto.
Lion, con un cappellino da festeggiato in testa, si stava riempiendo la bocca di panna spray, riuscendo a coinvolgere anche Darryl che sembrava gradire quel piccolo peccato di gola.
Alla fine fu Jenna a intercettarlo, raggiungendolo all’ingresso del locale con un sorriso raggiante che subito lo intimidì.
«La festa sarebbe dentro» gli disse scherzando.
«Sì, stavo solo…»
«Axel!» esclamò Lion non appena lo riconobbe. Aveva le labbra ancora sporche di panna ma si affrettò a tirarlo dalla maglietta per trascinarlo dentro «Vieni, devo farti vedere una cosa. Anzi, due.»
«Stavi solo…?» lo schernì Jenna senza dargli modo di replicare.
Si liberò dalla stretta di Lion solo quando furono abbastanza in disparte per parlare.
«Ho il numero di Amy» gli disse con sguardo radioso.
Axel trattenne a stento un’espressione di stupore e di gioia. «Wow, allora ha funzionato davvero…»
«Sai cosa significa questo?» gli chiese il ragazzo.
«Uhm, che non devo insegnarti a fumare?»
«Sì, beh…sono abbastanza nervoso da poter imparare da solo, questa volta.»
«Non ti spaventa la puzza di marcio?» lo provocò Axel «E i denti gialli?»
«Mi spaventa non avere idea di cosa fare adesso che ho il suo numero.»
«Sono sicuro che te la caverai anche stavolta.»
«Avete finito di cincischiare, voi due?» si intromise Darryl con l’aria di chi aveva appena fatto una scorpacciata di patatine fritte.
«Stavo facendo vedere ad Axel lo skateboard che mi avete regalato» spiegò Lion cambiando bruscamente argomento e mostrando trionfante il modello di Tavole Santa Cruz appena scartato. Due frecce nere disegnate su una tavola con sfondo bianco, giallo e viola, perfettamente in linea con il suo stile.
Aveva iniziato ad elencarne le qualità tecniche, ma un altro vassoio di dolci attirò la sua attenzione e la lezione terminò in un battibaleno, lasciando Axel e Darryl da soli.
Registrò con qualche secondo di ritardo il fatto di essersi presentato al compleanno senza neanche un regalo, e anche se Lion non sembrava averci fatto caso, non riuscì a non sentirsi in colpa.
«Andate d’accordo» disse a un tratto Darryl, osservandolo con attenzione.
«Dici?» commentò lui noncurante.
«Dico. Hai fatto colpo.»
«Non…lui parla un sacco, non è difficile» mormorò impacciato.
«Sì, ma tu gli dai retta.»
Era indeciso se raccontargli o meno il fatto di esserselo portato a spasso mentre avrebbe dovuto trovarsi a scuola, ma preferì evitare.
«Ti sei arreso alla musica oscena, vedo» sviò invece, alludendo alle canzoni che continuavano a passare.
«Già, da Kurt Cobain a Robin Schultz. Una vera merda, se posso dirlo.»
Axel sorrise e sospirò appena.
Darryl non sembrava in ottima forma, aveva il viso stanco e un po’ affaticato, ma comunque deciso a godersi la festa. A un tratto, lo spiazzò con una domanda.
«Chi ti ricorda, Axel?»
Lui ignorò risoluto la fitta al petto, ma si impose la calma.
«Chi?»
«Lion, ovvio.»
Ammutolì, provando improvvisamente rabbia per quella domanda del tutto fuori luogo.
«Non mi ricorda nessuno» rispose con voce piatta. «È un ragazzo vivace con la fissa per lo skateboard e la musica oscena.»
Darryl non replicò, cogliendo evidentemente il suo fastidio e addolcendo un po’ lo sguardo.
«Sì, hai ragione» convenne lasciando poi cadere il discorso. «Dai, vieni a mangiare qualcosa.»
 
 
Allo scoccare delle ventitré, Lion spense diciotto candeline e le sue guance piene di pan di spagna e crema al cioccolato finirono stampate su una polaroid che Jenna appese su una parete già colma di altre foto.
«È davvero buonissima» aveva commentato Richie, gustandosi compiaciuto la terza fetta della torta che aveva creato da zero con le sue mani. Lion, con gli ultimi sprazzi di energia, di tanto in tanto rincorreva Darryl con la bomboletta di panna spray.
«Piantala Lion, lo sai che questa robaccia non mi fa bene» borbottò l’uomo prima di cedere all’ennesima fragola imbottita di panna.
Axel colse lo sguardo esasperato di Jenna, che però lasciò correre l’ennesimo sgarro della serata, impegnata piuttosto a rimettere in ordine la sala.
Decise di darle una mano, anche se l’idea di trattenersi lì ancora lo metteva a disagio.
«Puoi andare, se vuoi» gli disse lei, probabilmente captando la sua tensione. Era sempre stata brava a interpretare i suoi silenzi.
«No, mi fermo ancora un po’» rispose, fingendo di non vedere lo stupore nel suo sguardo.
Poco dopo Richie avviò lo stereo mettendo su Good Riddance dei Green Day.
«Questa l’ho già sentita» borbottò Lion, accasciandosi distrutto su una sedia.
«La cosa mi rincuora» ribatté Richie, alzando appena un po’ il volume e unendosi agli altri per ripulire il locale.
Mentre rimetteva a posto i tavoli, Axel si sorprese a provare un calore che non lo toccava da anni e che forse l’ultima volta gli era arrivato proprio tra quelle mura. Quella sensazione lo spaventò, tanto che preferì ignorarla sperando che se andasse proprio come era arrivata.
Poi, all’improvviso, fu qualcosa di più inaspettato a colpirlo.
«Darryl?!»
La voce di Jenna risuonò sinistra mentre a sua volta incontrò gli occhi spaventati dell’uomo, visibilmente provato, che intanto cercava un appoggio per sostenersi.
Gli andarono entrambi in contro, mentre portava le mani al petto stringendo debolmente la stoffa del grembiule che aveva addosso.
«Mi sa che non sto bene» mormorò nello sforzo di mantenersi lucido.
Axel ingoiò a vuoto, mentre Richie chiamava i soccorsi e Jenna lo aiutava a sorreggerlo.  
Non ci fu molto tempo per pensare, si lasciò trascinare dagli eventi sperando di aver praticato nel modo corretto il massaggio cardiaco e che Darryl reggesse almeno fino all’arrivo dell’ambulanza. Quando lo vide abbandonare la stretta di Jenna, pensò che fosse finita.
 
 
I soccorsi arrivarono dopo diversi minuti e portarono via Darryl alla velocità della luce verso l’ospedale.
«Dove sono le chiavi dell’auto?!» chiese Jenna cercandole disperatamente da ogni parte.
«Voglio venire anch’io!» esclamò Lion, che in tutto quel tempo era rimasto pietrificato senza riuscire a dire una parola.
«Non esiste, tu e Richie rimanete qui.»
«Ma Jenna!»
«Lion non è il momento..ma dove cazzo sono finite!»
Axel le intravide sul bancone e le afferrò di corsa, sfiorando appena il braccio di Jenna. «Trovate, andiamo.»
«Veniamo anche noi!» li inseguì Richie chiudendosi la porta del locale alle spalle e avviandosi verso l’auto insieme a Lion.
Axel, già pronto per partire, guardò Jenna senza però dire nulla. Aspettò che fossero tutti in macchina, poi mise in moto.
 
 
__________
 


NdA
Ehm, opsss.
Questo capitolo era inizialmente impostato in maniera diversa, ma rischiava di diventare troppo lungo, così ho deciso di dividerlo con un cliffhanger (un po’ bruttino, in effetti) :P  Ecco, diciamo che da ora in avanti le cose prenderanno una piega diversa, ma spero interessante u.u
 
Grazie come sempre a chi si ferma a leggere e a chi è arrivato a questo punto della storia <3
 
A presto, con il nuovo capitolo
 
_Atlas_

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Capitolo 24
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI
 
 


 
 
I medici del pronto soccorso avevano portato via Darryl alla velocità della luce.
«È stabile, ma non è ancora fuori pericolo» aveva detto l’infermiera con voce concisa tornando in sala d’attesa dopo circa un’ora. Avevano tutti tirato un sospiro di sollievo, ma la situazione restava critica e l’idea di tornare a casa non era stata presa in considerazione da nessuno.
Axel, che era rimasto in piedi per tutto il tempo, si era infine seduto accanto a Richie iniziando ad agitare nervosamente la gamba sperando di scaricare la tensione.
«Ti prego, mi stai facendo venire il mal di mare» aveva commentato il ragazzo, facendogli notare che le sedie erano tutte attaccate l’una all’altra.
«Scusa» borbottò quindi fermandosi e ricominciando dopo neanche una manciata di minuti. Richie sbuffò, ma alla fine gli rivolse un sorriso quasi rassegnato.
Era rimasto frastornato dalla velocità con cui tutto era accaduto; un momento prima si era sentito cullato dal clima sereno della serata e un momento dopo si era ritrovato a praticare un massaggio cardiaco e ad aspettare col cuore in gola che qualcuno gli dicesse che Darryl si sarebbe ripreso.
In quelle due ore interminabili nessuno aveva osato fiatare, come se ognuno stesse aspettando il momento adatto per lasciarsi andare. Alla paura, alla tristezza, all’angoscia.
Lion fu il primo a cedere, Axel lo vide prendere improvvisamente distanza da loro con fare nervoso e probabilmente sul punto di scoppiare a piangere. Jenna, che lo aveva intercettato ben prima di lui, gli andò dietro.
«Lion?»
«È stata colpa mia» lo sentì mormorare mentre tentava inutilmente di soffocare un singulto. Axel si morse la lingua, ascoltandoli suo malgrado.
«Che stai dicendo?» gli chiese la donna.
«Gli ho fatto mangiare tutti quei dolci, mi aveva detto di smetterla ma io…» spiegò asciugandosi con nervoso le lacrime. Jenna addolcì appena lo sguardo cercando quello del ragazzo, che però continuava a sfuggirle.
«Lion, guardami…Darryl è malato, sarebbe potuto accadere in qualsiasi momento, tu non c’entri niente» gli disse, e Axel colse in quelle parole l’eco di una conversazione vecchia ormai vent’anni.
«Gli ho fatto mangiare dolci per tutta la sera, Jenna! Glieli faccio mangiare sempre…Come può non essere colpa mia?!» replicò Lion, senza più riuscire a frenare il pianto. A quel punto Jenna lo strinse a sé, abbracciandolo e sussurrandogli all’orecchio parole che ad Axel sfuggirono, ma che non faticò a immaginare.
«Non dovrebbe essere qui con noi» disse a un tratto Richie, richiamando la sua attenzione.
«Chi?»
«Lion. Non dovevamo fargli nessuna festa. Doveva essere fuori a festeggiare con i suoi amici, divertirsi con loro e poi filare a casa dai suoi. Fare le cose che fanno tutti gli adolescenti e non…questo.»
Quelle parole lo colpirono come una pugnalata, ricordandogli che solo diciotto ore prima aveva scelto di portarselo a spasso tra i suoi impegni lavorativi quando invece avrebbe dovuto trovarsi seduto su un banco di scuola con la testa sui libri.
Non si era reso conto dell’errore, un po’ come quando, tanti anni prima, aveva accettato di dedicarsi alla stesura di un fumetto che avrebbe dovuto scrivere qualcun altro.
Sospirò con pesantezza, sentendosi un po’ con le spalle al muro.
Fu Lion e bloccare quel flusso di pensieri, ora più calmo, prendendo posto accanto a lui e cercando di nascondere i respiri spezzati dal pianto. Jenna era rimasta in disparte, intenta a fare una telefonata.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, magari una parola di conforto che confermasse quanto già gli aveva detto Jenna, ma non ne fu in grado e alla fine lo guardò sperando che in quel modo potesse trasmettergli anche un piccolo segnale di comprensione. Anche Richie cercò di sorridergli, ma come lui si era chiuso nel silenzio e alla fine non aggiunse altro.
«Dovevo stare più attento» mormorò Lion poco dopo.
«Che vuoi dire?» chiese Axel un po’ precipitosamente, quasi avesse sperato di sentirgli dire qualcosa, una qualunque. Intercettò nel frattempo lo guardo di Jenna, ancora impegnata al telefono.
«Che dovevo essere più responsabile. Lo sapevo che Darryl è malato e che dovrebbe stare attento a tutto quello che fa, ma io me ne sono fregato.»
«Sei sicuro di essertene fregato?»
«Sì, ho pensato che tanto lui è forte…che sarà mai un po’ di panna spray. E invece gli è venuto un infarto. Cazzo, ho fatto un casino.»
«Lion, smettila di incolparti. Non è per colpa della panna spray se gli è venuto un infarto» tentò di convincerlo, ma quelle parole risuonarono vuote persino a sé stesso e davvero non era la persona adatta per sollevarlo da quel senso di colpa.
«Magari non è stata la panna spray, ma io dovevo comunque…»
«Cosa...?»
«Non lo so…stare attento. Come fa Jenna.»
Axel non rispose, lasciando sospesa quella conversazione che avrebbe preferito non avere mai, tantomeno con Lion. Rimase come paralizzato, inseguendo le fughe del pavimento nel tentativo di distrarsi, ma in realtà sapeva bene di aver preso una bastonata in pieno petto. L’ennesima, da quando era tornato a Mismar.
«Dov’è il tuo skateboard?» domandò poco dopo Jenna, riavvicinandosi a loro e dando una pacca sulla spalla a Lion.
«L’ho lasciato al locale.»
«Domani passa a riprendertelo, lo sai che Darryl ci tiene all’ordine» gli disse con velata ironia, senza riuscire però a farlo sorridere. Si sedette al suo fianco e inaspettatamente Lion poggiò la testa sulla sua spalla, senza abbandonare la sua espressione tirata. A sua volta Jenna si strinse a lui e per un po’ rimasero così, nel silenzio della sala d’attesa interrotto solo dal via vai delle infermiere.
«E se muore? Cosa si fa?»
Quella domanda rimase sospesa per secondi infiniti, e Axel pensò che forse Lion era stato l’unico ad avere il coraggio di esprimerla ad alta voce.
«Ci penseremo. Nel frattempo aspettiamo, il fatto che sia stabile è una cosa buona» rispose Jenna, cercando di non sbilanciarsi. Axel incrociò velocemente il suo sguardo, come se cercasse da lui una conferma e anche se non ci credeva poi molto, alla fine le diede corda.
«Credo abbia intenzione di rompermi le scatole per almeno un paio di faccende, perciò dubito che si lascerà andare proprio stasera» disse facendo spallucce e ricambiando imbarazzato il sorriso che gli rivolse Jenna.
Lion non rispose, rincorrendo chissà quali pensieri.
«Insomma, alla fine la mia torta era buona?» si azzardò a chiedere Richie, intromettendosi in quello strano tentativo di alleggerire l’atmosfera.
«Sei stato superlativo, anche se forse avrei preferito la chantilly al limone» gli rispose Jenna.
«Spiacente, se ne riparla al tuo compleanno.»
«Non è che ci offendiamo se ce la prepari prima.»
«Dipende. Potrei non avere l’ispirazione giusta.»
«Per la chantilly al limone?»
«Certo. Sono un’artista, l’ispirazione è fondamentale. Giusto Axel? Tu te ne intendi di queste cose, no?»
«Non lo so Richie» gli rispose lui incrociando le braccia sul petto «disegnare non è esattamente come preparare una crema chantilly. Comunque più che all’ispirazione io punto alla frustrazione, mi piace andare controcorrente» precisò, facendo ridacchiare Jenna e persino Lion, anche se solo per un secondo.
«Dici eh?» soppesò il giovane «In effetti hai l’aria di essere uno molto frustrato, con questo sguardo un po’ nostalgico da artista bohemien di fine ‘800. »
Axel lo fulminò con lo sguardo e fece per rispondergli a tono, ma fu interrotto da Lion che all’improvviso sobbalzò sulla sedia accanto a lui.
«Mamma?!»
Una donna si avvicinò a passo svelto verso di loro, aveva un caschetto castano lungo fino alle spalle e lo sguardo confuso di chi non sapeva dove andare. Appena riconobbe Lion sembrò tirare un sospiro di sollievo, e più si avvicinava più la somiglianza con il figlio era evidente.
«Che ci fai qui?» le domandò il ragazzo, a metà tra l’incredulo e l’impacciato.
«Ho saputo di Darryl…Tu come stai? Vieni, andiamo a casa…» gli disse, facendo nel frattempo un cenno di saluto verso Jenna.
«Ma io…Pensavo di rimanere qui. Darryl non sta ancora bene, perciò…»
«Lion, sono quasi le due del mattino.»
«Lo so, ma se Darryl si sveglia io…» tentò di dire.
«Lion, la situazione è grave, lo sai. Potrebbe non risvegliarsi, e comunque non è detto che si riprenda del tutto, perciò…»
«Ma perché devi dire così?! Non lo puoi sapere, nessuno lo sa!» esclamò con improvvisa rabbia. «Lo dai già per morto!»
«Non ho detto questo, Lion! Voglio solo farti capire che restare qui non ha senso se…» ribatté la madre cercando forse le parole per rimodulare, invano, la frase.
«Sì che lo hai detto! E invece ha senso rimanere, solo che tu non lo capisci! Come sempre! Non ti importa nemmeno! Perché non provi a…»
«Lion, non ho nessuna voglia di litigare in questo momento. Prendi le tue cose e andiamo a casa. Domani mattina devo svegl-»
«Giuro che non ti sopporto» le disse scuro in volto. Prese il suo telefono e senza aggiungere altro si lasciò gli altri alle spalle, avviandosi verso l’uscita dell’ospedale.
«Mi dispiace» mormorò la donna cercando lo sguardo di Jenna, ma lei non rispose, limitandosi a farle un cenno di saluto con la mano mentre raggiungeva Lion.
«Credo che ne approfitterò per farmi dare un passaggio» disse Richie alzandosi «Non riesco a stare qui. Se ci sono novità scrivetemi.»
Con passo ciondolante sparì dietro l’uscita e all’improvviso il silenzio della sala divenne insopportabile. Axel si passò con stanchezza le dita sulla fronte, trovando infine il coraggio di guardare Jenna.
Come aveva immaginato, aveva gli occhi lucidi e le sopracciglia incurvate in un’espressione profondamente triste.
«Sono stata io a chiamarla.»
«Avevo capito.»
«Non volevo che Lion stesse qui, soprattutto la sera del suo compleanno» mormorò cercando di frenare le lacrime «Invece ho peggiorato la situazione.»
«Anche Richie la pensa come te. Ma forse…forse Lion voleva davvero stare qui, stanotte» le disse ripensando a quanto fosse rimasto in apprensione prima dell’arrivo dell’infermiera.
«Lui adora Darryl. Se fosse rimasto e le cose si fossero messe male non so come avrebbe reagito. Probabilmente così terrà il muso a sua madre per giorni, e magari stanotte non chiuderà occhio, ma almeno non…»
«Almeno non vivrà direttamente quel momento.»
«Già.»
Axel abbassò lo sguardo, chiedendosi come invece avrebbe reagito lui, a quel momento. Aveva immaginato di viverlo migliaia di volte, come faceva sempre quando si affezionava a qualcuno e ne iniziava a temere la perdita, quasi fosse una specie di conseguenza obbligatoria e scontata del semplice atto di voler bene a una persona e di vedere quel bene restituito. Non c’erano alternative, così preferiva essere distaccato piuttosto che vivere – o rivivere – un abbandono. Per questo odiava trovarsi lì, in ospedale, a Mismar, insieme a Jenna.
Lion, rifletté, lo batteva invece di cento punti e si era impuntato per rimanere con loro anche se questo avrebbe potuto fargli affrontare una perdita importantissima.
Anche Jenna, che di fatto portava dentro di sé la sua stessa ferita, era andata oltre, arrivando a proteggere Lion sperando nell’aiuto di chi avrebbe dovuto farlo per dovere e che invece non aveva compreso.
«Siete voi i parenti del sig. Henderson?»
All’improvviso un’infermiera spezzò il silenzio facendo trasalire entrambi, mentre si avvicinava a passo svelto nella loro direzione. Jenna le andò subito in contro e Axel la seguì con il cuore che gli martellava nel petto, aspettandosi il peggio.
Quel breve tragitto gli portò alla mente la sera in cui Jake si lasciò cadere dalla finestra della sua camera, al settimo piano di un condominio, strafatto di cocaina e col volto tumefatto per i cazzotti di Cody Harris. Si era fatto strada tra la folla di curiosi, accecato dalla luce dell’ambulanza e con la voce di Jenna che lo chiamava da lontano mentre una manciata di metri lo separava dal sapere la verità che avrebbe stravolto la sua vita.
 
 
____
 
 
 
NdA
Ehmmm, che cosa posso dire? A parte il cliffhanger finale – di nuovo? Ebbene sì – spero che il capitolo sia stato interessante e che abbia dato qualche spunto di riflessione. Ammetto di essere contenta di come INCREDIBILMENTE io stia riuscendo a scrivere tutto quello che mi ero prefissata. Certo, per la versione definitiva della storia credo ci vorrà ancora molto tempo, ma intanto…
 
Come sempre vi invito a lasciare un commentino di incoraggiamento, qualora la storia vi stia piacendo…o anche in caso contrario, ché le critiche sono comunque ben accette.
 
Grazie a chi passa da qui,
 
_Atlas_

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Capitolo 25
*** Capitolo XXII ***



Capitolo XXII
 

 
 
 
«È fuori pericolo» si affrettò a chiarire subito l’infermiera vedendoli arrivare.
Axel e Jenna sospirarono insieme, anche se la notizia non assicurava comunque la ripresa di Darryl.
«Purtroppo le sue condizioni restano critiche,» spiegò infatti la donna «passerà la notte in terapia intensiva e domani valuteremo il da farsi. È molto indebolito e non sembra aver preso seriamente la sua patologia. Il diabete va tenuto sotto controllo, è impensabile curarsi come ha fatto finora.»
«Sì, purtroppo non segue la terapia come dovrebbe» concordò Jenna con voce sostenuta. «È testardo ed è estremamente goloso. È difficile stargli dietro…» aggiunse poi a voce più bassa.
«Immagino, è un tipo tosto. I medici sono comunque fiduciosi, tra poco vi diranno meglio» concluse l’infermiera lasciandoli soli.
«È un tipo tosto, ma dai?» recitò con ironia Axel, in un disastroso tentativo di alleggerire l’atmosfera. Aveva temuto il peggio e ora che Darryl era fuori pericolo era come se qualcuno gli avesse appena dato una scossa elettrica, esponendolo al rischio di fare la figura dell’idiota.
Jenna, comunque, ridacchiò a bassa voce.
«Giuro che vorrei strozzarlo» aggiunse appena un po’ più seria.
Poco più tardi il medico confermò quanto già comunicato dall’infermiera. Le condizioni di Darryl non erano buone, aveva ribadito, era necessario rimodulare la terapia, cambiare drasticamente la dieta e tenere sotto controllo il cuore; per come erano andate le cose quella sera, era un miracolo che fosse ancora vivo.
«Devo avvisare gli altri. Lion mi sta tempestando di messaggi» disse Jenna mentre si avviavano verso l’uscita dell’ospedale. Per quella notte i medici non avevano concesso loro di vedere Darryl, spiegando che era necessario che riposasse, così alla fine decisero di rientrare a casa.
 
«Grazie per quello che hai fatto» mormorò Jenna una volta messo da parte il telefono.
Axel continuò a guidare, liberando l’ennesimo sospiro della serata.
«Non avevo mai fatto un massaggio cardiaco.»
«Appunto, grazie.»
Le strade di Mismar erano illuminate dai pochi lampioni ai lati dei marciapiedi, non c’era nessun altro a parte loro. Del resto erano ormai le tre del mattino, a quell’ora e in quegli isolati si poteva incontrare al massimo qualche ubriacone, un paio di senzatetto e, con un po’ di fantasia, una sagoma oscura pronta ad annientare i criminali che da sempre si aggiravano in quelle vie.
«Ho avuto paura» mormorò a un tratto Jenna «Ne ho ancora, a dire il vero.»
«Anch’io» le confessò Axel «Non pensi che queste cose possano succedere a uno come lui.»
Jenna non rispose e continuò a tenere lo sguardo sulla strada.
«Ti porto a casa?» le chiese Axel, fermandosi poi a un bivio in maniera un po’ brusca. Stava inconsciamente proseguendo verso la vecchia casa di Jenna, prima di rendersi conto che erano passati diciotto anni dall’ultima volta che l’aveva accompagnata e che forse non abitava più lì.
«E se ci bevessimo una birra a casa tua?» lo spiazzò invece lei, facendogli saltare tre o quattro battiti.
Rimase fermo con le mani sul volante senza sapere bene cosa rispondere. Si sentì irrigidito, ma al tempo stesso non fu in grado di dirle di no. In verità, non fu proprio in grado di dirle niente di sensato.
«Non credo di avere birre in casa.»
«Un succo di frutta?»
«Neanche succhi di frutta.»
«Mi accontento anche di un bicchiere d’acqua. Del rubinetto» specificò lei, bloccando sul nascere il suo tentativo di dirle che forse ne aveva giusto una bottiglietta.
«Non è detto che sia potabile» obiettò comunque Axel.
«Ho capito, mi è passata la sete» borbottò quindi lei.
«Okay.»
Axel si schiarì la voce riflettendo su cosa fare. «Allora ti riporto a casa?» chiese a suo rischio e pericolo.
«L’auto è mia, dovrei essere io a riportarti a casa» puntualizzò la giovane.
«Giusto. Beh, allora…»
«Dio, non sei cambiato per niente!» esclamò Jenna interrompendolo e rimanendo in quello scambio per metà serio e per metà giocoso. Axel trattenne un sorriso e incrociando il suo sguardo per un paio di secondi si accorse però che era appena un po’ lucido.
«Non me la sento di stare sola a casa» spiegò lei a mo’ di scuse.
Non si stupì di sentirglielo dire, si era sempre mostrata forte nelle situazioni difficili e poi, in un momento preciso e che decideva lei, lasciava che la sua fragilità venisse fuori all’improvviso. Dopotutto, pensò Axel, anche lei non era cambiata per niente.
«Ora che ci penso dovrei avere una bottiglia di Coca-Cola in frigo» le disse guardandola con la coda dell’occhio, lieto di vederla sorridere. «E anche una busta di patatine alla paprika, se ti interessa» aggiunse con slancio.
«Non sapevo che gli scrittori di fama internazionale mangiassero come degli adolescenti» gli fece notare lei.
Axel accolse la sfida e assottigliò appena gli occhi. «Invece tenere in macchina una busta piena di caramelle gommose di dubbio gusto e provenienza è roba da veri adulti» le disse facendo comparire dal portaoggetti la confezione di marsh-mallows  che aveva intravisto poco prima.
«Quelli sono di Lion» obiettò Jenna.
«Certo. Neanche dare la colpa ai ragazzini è roba da adulti, lo sapevi?»
«Che c’è, ti sei offeso perché ti ho dato dell’adolescente?» lo provocò.
«Nient’affatto.»
«Vada per la Cola-cola, per me possiamo chiuderla qui» si arrese infine.
Axel ridacchiò, e anche se non era convinto di quello che stava facendo per una volta decise di non pensarci troppo e imboccò la strada verso casa.
E sì, forse un po’ si era offeso.
 
 
*
 
 
«Wow, la vista da qui non è cambiata» mormorò Jenna sporgendosi per un secondo dall’enorme terrazza che affacciava sulla città.
Axel, che fino a quel momento aveva cercato di rimanere tranquillo nonostante quella giornata sembrasse non voler giungere al termine, iniziò a sentirsi di nuovo a disagio. Trovarsi lì con Jenna dopo diciotto anni non era esattamente una cosa facile da affrontare, e potevano entrambi usare tutto il sarcasmo del mondo per alleggerire l’atmosfera, ma non sarebbe comunque stato più semplice.
Non gli era chiaro perché avesse insistito tanto per andare da lui, ma ormai non aveva più senso chiederselo. Girò la chiave nella serratura e le fece segno di entrare in casa con il cuore che gli martellava nel petto.
Non disse nulla, ma di nuovo i suoi occhi lucidi parlarono al suo posto.
Seguì il suo sguardo posarsi prima sul cucinotto a sinistra dell’ingresso e poi sulla scrivania a ridosso del muro, dove tante volte avevano mangiato insieme e passato il tempo a riordinare le sue stampe fotografiche o a rifinire pagine e pagine di fumetti. Ora era ricoperta dai vestiti che si era portato da New York, da scartoffie di lavoro e dal resto dei cimeli che aveva trovato nello scatolone lasciatogli da Darryl.
C’era anche un divanetto blu addossato a quella parete, che una volta era in posizione centrale e che serviva per dividere grossolanamente la parte della sala dove dormiva, da quella dove studiava e guardava la tv. Il letto lo aveva lasciato lungo la parete opposta, accanto alla mensola dove da sempre c’era il suo vecchio stereo e la sua collezione di musicassette. Il bagno, rammentò con suo sommo sollievo, non aveva avuto bisogno di grossi interventi per tornare ad essere funzionale.
Jenna, che non aveva proferito parola da quando era entrata, si limitò a sorridergli timidamente, facendo solo qualche passo nella stanza.
«Forse una bottiglia di scotch ci avrebbe fatto comodo» commentò Axel chiudendosi la porta alle spalle con fare impacciato.
«Meglio una vodka polacca. Non ce ne saremmo neanche accorti.»
«Hai cambiato idea?» le chiese, non capendo bene cosa provasse.
Jenna scosse la testa con vigore. «Scherzi? Non vedo l’ora di mangiare le patatine alla paprika.»
«Giusto, le patatine. Le prendo subito.»
Axel iniziò a trafficare in cucina, da una parte sollevato che non volesse tornare a casa ma allo stesso tempo teso per quello che forse si sarebbero detti.
Riempì due bicchieri di Coca-Cola e gliene portò uno insieme alle patatine, vedendo che nel frattempo si era seduta al bordo del suo letto.
«Grazie» gli disse mentre a sua volta prendeva posto sul divano, «come stai?»
Axel si morse la lingua, bevendo in fretta metà del suo bicchiere.
«Sto bene. E tu?»
«Sono preoccupata per Lion. E per Darryl, ovviamente.»
«Mi sembra che sappia il fatto suo. Lion, dico.»
«Passa troppo tempo con noi. Non ha amici, va male a scuola…e poi si ritrova alle due di notte al pronto soccorso pensando di essere la causa di quello che è successo.»
Axel abbassò lo sguardo, passandosi sulla fronte il bicchiere in cerca di un po’ di refrigerio.
«A proposito di questo, potrei aver fatto qualcosa di poco sensato questa mattina» confessò col fiato appena più corto.
«Ovvero?»
«Ovvero me lo sono portato dietro alla conferenza che dovevo tenere alla C.A.M. Ci ha visti anche il professor Layton e Lion si è presentato dicendo di essere mio nipote. Come attore è una pippa, a proposito.»
Jenna rimase col bicchiere a mezz’aria e gli occhi sgranati, cercando forse di metabolizzare quanto aveva sentito.
«In che senso “te lo sei portato dietro”? Non era a scuola?» chiese finalmente.
«No. A dirla tutta è venuto fin qui e dopo aver negoziato con lui per almeno dieci minuti alla fine ho pensato che fosse la soluzione migliore per evitare che se ne andasse chissà dove.»
«E quindi è rimasto con te a seguire la conferenza? Lion?!» domandò ancora Jenna, incredula.
«Era una conferenza sui fumetti, mica una convention sulla politica estera» puntualizzò piccato.
Jenna rimase in silenzio per una manciata di secondi, dopodiché scoppiò a ridere rischiando di far cadere quel poco che restava della sua Coca-Cola.
«Fa ridere?» domandò Axel, sorridendo a sua volta sotto ai baffi.
«Solo un po’. È un vero peccato che tu non abbia dell’alcol, qui» gli rispose continuando a ridere.
«Cos’altro potevo fare?»
«Non lo so. Ma forse era la cosa migliore in quel momento. Era anche il suo compleanno, credo sia per quello che non è voluto andare a scuola.»
«Lo ha fatto altre volte.»
«Lo so.»
Axel mise da parte il suo bicchiere e si adagiò contro lo schienale del divano. Improvvisamente tornò serio e forse per colpa della stanchezza iniziò a rincorrere pensieri lontani.
«So di averti delusa» mormorò socchiudendo le palpebre.
«Perché hai preferito portartelo dietro piuttosto che lasciarlo da solo?»
«No. Non mi riferivo a quello» disse senza aggiungere altro. Non sapeva se quello di Jenna fosse un tentativo per non affrontare l’argomento, probabilmente se la notte prima avesse dormito un po’ più di tre ore sarebbe stato lui stesso a vietarsi di parlarne, così lasciò cadere il discorso sperando di non aver guastato l’atmosfera.
«Non sono delusa» mormorò tuttavia Jenna. Lui rimase con gli occhi socchiusi, ma ancora una volta il cuore gli tremò nel petto.
«E non sono nemmeno arrabbiata. O almeno non più.»
La intravide avvicinarsi allo stereo e trafficare con la fila di musicassette riposte in fila sul comodino.
Axel deglutì a vuoto, immaginando quello che avrebbe fatto. La sentì avviare lo stereo facendo partire le note di Around the World dei Daft Punk; la canzone proseguì per qualche secondo fino a quando non si interruppe bruscamente lasciando spazio a Dust in the Wind dei Kansas.
Axel ricordava di averla registrata per errore mentre una sera smanettava con la radio accesa, senza sapere che quel pezzo gli sarebbe rimasto cucito addosso per sempre.
«Ti ricordi?» gli chiese Jenna, sdraiandosi sul letto.
«Certo» mormorò Axel senza aggiungere altro.
Non parlarono fino alla fine della canzone, poi Jenna spense lo stereo e si stese nuovamente.
«Dopo che te ne sei andato mi sono chiusa in casa per settimane» iniziò a raccontare, e nche se fu assalito da un’ondata di panico, Axel rimase in silenzio e la ascoltò.
«Mangiavo poco, dormivo poco, studiavo...poco. Stavo male, una notte ho persino provato a tagliarmi, non so cosa mi era passato per la testa.
Mio padre non si è mai accorto di nulla, era lontano e ha comunque provato ad aiutarmi come poteva. Lo fa ancora, a volte.
La moglie di Darryl veniva a trovarmi ogni giorno e alla fine mi convinse a fare qualche ora al bar. Mi rialzai un po’, a fatica finii la scuola e per qualche anno non feci altro che lavorare. Volevo mettermi da parte i soldi e lasciare Mismar una volta per tutte. Ho sempre voluto farlo, ma mai come allora volevo prendere e scappare. Poi le cose sono iniziate a cambiare, Margaret si è ammalata e Darryl aveva bisogno di aiuto.
Ho visto il Lenox Blues spegnersi piano piano, niente più concerti, niente più serate, niente più ragazzi…niente di niente, solo risse e musicisti di passaggio che volevano più che altro fare casino o fumare.
In quel periodo conobbi David, un chitarrista che era riuscito a fare un po’ di pubblico nell’estate del 2006 e che aveva deciso di stabilirsi qui. Cambiava lavoro continuamente, ma era riuscito a mettere da parte abbastanza per vivere con dignità; alla fine andammo a vivere insieme, a due passi dal palazzo in cui viveva Jake.»
Si fermò per qualche secondo e Axel realizzò che era la prima volta da quando era tornato che la sentiva pronunciare il suo nome.
«Non so perché accettai di sposarlo,» continuò «mi sentivo sola e senza prospettive, e ingenuamente pensavo che con lui avrei potuto vivere un po’ della vita che mi ero immaginata da ragazza. Anche se non avevamo un giardino per mettere il barbecue, né il posto per un cane o dei figli. Era comunque un inizio.
Darryl, ovviamente, lo odiava. Diceva che era uno sbruffone e che aveva la puzza sotto al naso. Anch’io non ero convinta, ma lo vedevo come una via di fuga.»
Axel trattenne il fiato e sperò con tutto il cuore che il resto del racconto non continuasse come aveva iniziato a temere, memore di quello che gli aveva raccontato Darryl qualche settimana prima.
«Dopo neanche un anno si ammalò di leucemia e più o meno nello stesso periodo iniziò ad essere violento, forse per paura…o forse perché era così e basta. Comunque durò poco, anche perché le cure non facevano effetto ed erano più i giorni che passava in ospedale che a casa. Io e Darryl facevamo a turno per tenere aperto il bar, il resto delle giornate lo passavamo tra un ospedale e l’altro, io per David, lui per Margaret, finché non ci lasciarono entrambi nel giro di sei mesi.»
Axel rimase ancora in silenzio. Il panico era sparito, ma al suo posto adesso c’era un’immensa angoscia e fare da padrona.
«In quel periodo conoscemmo Richie,» continuò Jenna, quasi non volesse più fermarsi «e se non fosse stato per i suoi dolci avremmo chiuso da un pezzo. Non abbiamo molti clienti nel locale, il grosso del fatturato proviene dai buffet che ci ordinano e dai pranzi di lavoro. Per il resto andiamo avanti grazie ai risparmi di Darryl.»
«E Lion?» domandò Axel «Com’è arrivato dai voi?»
Jenna ridacchiò sottovoce, come se quella sua curiosità l’avesse risvegliata.
«Lo ha agguantato Darryl neanche un anno fa. Una sera abbiamo sentito della confusione nel retro del locale e abbiamo beccato quattro stronzetti che lo avevano messo con le spalle al muro. Credo per un qualche furto che alla fine non era avvenuto. Insomma, Darryl è uscito, ha preso la pompa dell’acqua e ha fatto fare un bagno a tutti e cinque.»
«Anche Lion?»
«Già. Lui sostiene che era una scusa per agganciarlo e farlo affezionare, io rimango dell’idea che non serviva conciarlo come un pulcino per offrirgli una tazza di cioccolata calda. Ma tant’è…ha vinto lui.»
«Come sempre.»
«Sì, come sempre.»
«E Mike?»
«Diciamo che deve ancora scegliere da che parte stare» rispose con semplicità Jenna.
Axel non aggiunse altro, dopodiché socchiuse di nuovo gli occhi, chiedendosi se tutta quella conversazione fosse reale o frutto della sua immaginazione privata di molte ore di sonno.
«Com’è New York?» domandò Jenna in sussurro.
Lui si prese qualche secondo prima di rispondere, ripercorrendo brevemente la sua routine caotica e sregolata.
«Una merda» rispose con voce piatta.
«Sul serio?»
«No. Ma qualsiasi posto prima o poi lo diventa se ci vai per scappare da qualcosa» ammise.
«Già. Forse è per questo che ho smesso di essere arrabbiata con te.»
Axel ignorò la fitta di tristezza che lo colpì. «Che vuoi dire?»
«Ti ho odiato per molto tempo,» spiegò Jenna «e ho odiato il tuo successo e la facilità con cui ti stavi creando una vita e una carriera brillante.»
«Pff, ti assicuro che non sei la sola» disse riferendosi a sé stesso.
«Ma più guardavo le tue interviste e leggevo di te, più le cose non tornavano. Saranno anche passati diciotto anni, ma lo sguardo che avevi il giorno in cui sei partito ce l’hai ancora appiccato in faccia.»
Axel ammutolì e non trovò il coraggio per guardarla.
Non disse nulla, socchiuse di nuovo gli occhi e si sentì sopraffatto da tutto ciò che si erano detti.
Si era sempre chiesto cosa fosse successo a Mismar mentre lui si preoccupava di dimenticare il passato e di costruire una vita apparentemente perfetta, ma ora che Jenna aveva risposto a quella domanda il suo senso di colpa pesava il doppio, se non di più. L’idea che avesse sofferto anche a causa sua lo uccideva, così come non poteva tollerare che fosse stato qualcun altro a ferirla.
Si chiuse nel silenzio ancora un po’, fino a quando poi riaprì gli occhi e si accorse che Jenna si era addormentata sul suo letto, con le sopracciglia appena corrugate, come se stesse ragionando su qualcosa.
Lo distrasse una notifica sul telefono, ricordandogli che erano quasi le quattro del mattino e che a quel punto sarebbe stato meglio se si fosse addormentato anche lui.
Ci provò, ancora frastornato dagli eventi, e sospirò ancora una volta.

 

_______
 
 
NdA
Okkkkay, capitolo lungo lunghissimo eterno.
Diciamo che l’importanza di questo pezzo non è da poco, per cui spezzarlo in due capitoli non aveva molto senso.
Eniuei, è sicuramente un passaggio che ho amato scrivere perché finalmente questi due babbei interagiscono tra di loro come normali esseri umani. FORSE.
Come sempre vi invito a lasciarmi le vostre impressioni, positive o negative che siano.
 
Grazie a chi è arrivato fin qui,
 
_Atlas_

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Capitolo 26
*** Capitolo XXIII ***



Capitolo XXIII

 
 
 
 
 
Mismar, maggio 1997

 
C’era qualcosa che non gli tornava con i prezzi esposti lungo la corsia dei generi alimentari. Earl aveva deciso di cambiare la disposizione della merce sugli scaffali e quasi sicuramente aveva fatto confusione coi codici a barre, dimenticandosi di spostarli. Axel appuntò una serie di cifre sull’agenda che condividevano, sperando che Earl ci desse un’occhiata a orario di chiusura. In quel momento gli passò davanti con il suo cespuglio di capelli riccioli per metà incastrato sotto uno stretto cappellino verde con visiera. Come al solito aveva le cuffie e, come al solito, ascoltava un pezzo reggaeton.
Axel sbuffò.
Si sentiva irrequieto ultimamente, molto di più rispetto al solito.
Diede un’occhiata all’orologio, che ormai segnava le sei di sera, e fece a Earl un rapido cenno con la mano.
«Sì sì, vai pure! E stammi bene!» urlò quello, scrutando nel frattempo uno scaffale e realizzando finalmente di aver fatto qualche pasticcio con la merce esposta.
Axel decise di svignarsela prima che potesse chiedergli delucidazioni, svoltando l’angolo dietro al negozio alla velocità della luce.
 
C’erano almeno un paio di questioni che lo rendevano irrequieto, ammise a sé stesso mentre tornava a casa a passo un po’ più lento.
La prima riguardava Jenna e la costante sensazione di non sentirsi abbastanza ogni volta che passavano del tempo insieme. Non che lei lo avesse mai fatto sentire inadeguato – questo era in grado di riconoscerlo e apprezzarlo – piuttosto era una questione tra sé e ciò che di quel rapporto sentiva di meritare.
Malgrado Jenna sembrasse a suo agio con lui, temeva segretamente che prima o poi avrebbe smesso di tollerare i suoi silenzi prolungati, la sua poca spavalderia e tutti quei piccoli dettagli che odiava di sé stesso. Per questo la sua amicizia con Jake continuava a metterlo in allarme, come se la sua sola presenza riuscisse a mettere in ombra quelle due o tre cose positive che credeva di avere.
In ogni caso e contro ogni logica, Jake era comunque il secondo motivo per cui si sentiva nervoso. In quanto suo amico sentiva di avere delle responsabilità nei suoi confronti e dopo i racconti sul suo passato e i sospetti su Cody Harris non riusciva a vivere la cosa con distacco. I suoi continui sbalzi d’umore lo preoccupavano, così come lo preoccupava l’indifferenza che percepiva al Lenox Blues e in particolare da parte di Darryl. Aveva sperato di scorgere un po’ di apprensione nel suo atteggiamento e in quello di Margaret, e non capiva se la leggerezza con cui invece vivevano fosse solo apparenza o se, silenziosamente, cercavano in realtà di aiutarlo senza spezzare gli equilibri della loro amicizia.
Si disse che forse era il caso di approfondire la questione, così si impose di lasciarsi alle spalle l’agitazione che provava e cambiò strada, imboccando la via che portava al Lenox Blues.
 
Odiava quei vicoli secondari, puzzavano di fogna e in genere erano il covo di soggetti che lo intimidivano. Eppure era spesso in quei posti che riusciva a trovare ispirazione per Dark Sirio, quasi fossero lì a offrirgli spaccati di vita che la sua mente registrava come istantanee e che lui ricopiava poi su carta con matite e carboncino.
«Ciao Axel!»
Margaret lo salutò con dolcezza mentre risaliva le scale dello scantinato. Dal chiasso che ne usciva probabilmente c’era qualche band che stava provando e sperò con tutto il cuore che non fosse quella di Jake.
«Ciao Maggie, Jake è di sotto?» indagò.
«No, credevo fosse con te veramente. Sei solo?» gli chiese con curiosità.
«Sì. Pensavo di bere qualcosa. C’è Darryl?»
«È dentro. Cercate di non bere troppo, voi due» lo raccomandò la donna, dando nel frattempo una sistemata alle piante davanti all’entrata del locale.
Axel non disse nulla ed entrò.
Darryl aveva appena servito un paio di clienti e trovandoselo davanti aggrottò appena un po’ le sopracciglia. «Oh, chi si vede.»
«Ciao Darryl» lo salutò sedendosi al bancone.
L’uomo lo raggiunse e si prese qualche secondo per scrutarlo con attenzione.
«Non dirmi che ti ha già chiesto di sposarla» lo prese in giro.
«Non mi ha chiesto un bel niente.»
«Uhm, e ne sei dispiaciuto?»
«No che non sono disp- Non voglio parlare di Jenna. Sono cose mie, me la vedo io» disse spazientito e iniziando ad agitarsi sulla sedia. Si pentì del tono che aveva usato, ma non era in vena di scherzare, né di raccontare a Darryl le sue crisi interiori.
L’uomo fece un passo indietro e annuì «Sì signore, come preferisci. Vuoi bere qualcosa? Coca-Cola? Birra? Assenzio?»
Axel sospirò con pesantezza rimanendo in silenzio.
«D’accordo, birra» decise per lui Darryl «Io passo, altrimenti Maggie mi fa dormire nello scantinato, stanotte.»
«So di Jake» disse di getto Axel, non riuscendo più a trattenersi.
Stavolta fu Darryl a rimanere in silenzio, prendendosi il tuo tempo prima di rispondere e continuando a muoversi dietro al bancone con estrema calma. Gli passò infine la birra, dopodiché si sedette di fronte a lui.
«Cosa sai di Jake?» gli chiese. Il velo di tenerezza che gli lesse in viso riuscì ad innervosirlo ancora di più.
«Tutto!» rispose con foga «Della droga, dei tuoi tentativi di aiutarlo, di Maggie, del legame con Jenna…»
«E la cosa ti turba?»
«No! Io…io non immaginavo che avesse questi problemi. Avrei voluto saperlo prima,
perché non me lo hai mai detto? Jake lavorava qui, eppure non…»
«Non vi siete mai incontrati» lo anticipò Darryl.
«No, mai. Non mi hai mai detto niente neanche dopo, neanche Jenna voleva dirmelo. Pensavate che non fossi in grado di capirlo?! Non sono un idiota, Darryl…credevo che di me ti fidassi e che mi ritenessi all’altezza di questo, ma evidentemente non è così.
E anch’io vorrei aiutare Jake, lo vedo che non sta bene. È arrabbiato, si arrabbia sempre…poi si calma, poi è arrabbiato di nuovo. Mi dice che sono suo amico, ci divertiamo, fumiamo insieme…e poi all’improvviso mi odia. Non vuole dirmi cosa succede con Cody Harris...so che è uno stronzo e con lui fa il bullo. Ma gli deve dei soldi, Darryl, ne sono sicuro. Li ho visti, lui è davvero uno stronzo…Non lo conosco bene ma so che è uno stronzo» ripeté con ira «E io vorrei aiutarlo, ma…»
Le parole gli morirono in gola, soffocate da un singulto che riuscì a stento a trattenere. Si sentì svuotato e quasi senza energie, ma allo stesso tempo invaso da uno strano senso di colpa per aver detto tutte quelle cose.
Darryl non aveva abbassato lo sguardo nemmeno per un secondo, ascoltando il suo sfogo senza interromperlo neanche per obiettare le accuse che gli aveva fatto.
«C’è altro?» gli domandò non appena si riprese.
Axel scosse la testa, giocando con la bottiglia di birra ancora piena.
«D’accordo» mormorò Darryl schiarendosi appena un po’ la voce.
«Hai ragione, non ti ho mai raccontato nulla. L’ho fatto per due motivi e nessuno dei due prevede che tu sia un idiota. Jake ha avuto alti e bassi, quando vi siete conosciuti era in una fase tutto sommato buona. Non aveva crisi depressive, suonava con la band, si era messo in testa di partecipare a quel concorso di fumetti…Ho pensato che la tua amicizia potesse fargli bene e che lo allontanasse da quegli stronzi che anche tu hai avuto modo di incontrare. Doveva avvenire nel modo più naturale possibile, altrimenti non avrebbe funzionato.»
Axel strinse i denti, ignorando la fitta di rabbia che gli colpì lo stomaco.
«E l’altro motivo?» chiese invece.
Darryl sospirò appena e riprese a parlare.
«Anche tu hai passato momenti difficili. Temevo che in qualche modo potesse condizionarti e trascinarti troppo nella sua vita. All’inizio ho cercato di limitare i contatti tra di voi, ma poi ho dovuto fare un passo indietro e sperare per il meglio. Del resto non aveva senso impedirvi di frequentarvi, non sarebbe stato corretto.»
Axel non disse niente, ripercorrendo velocemente gli anni passati e in particolare quelli dopo la morte di suo zio. Momenti di solitudine in cui aveva creduto di sentirsi a proprio agio e che invece avevano rischiato di trascinarlo più volte verso un abisso sconosciuto. Ma Darryl si sbagliava, Jake non era mai stato per lui una presenza negativa, anzi, era stata la sua amicizia a frenare quella caduta.
«Detto questo,» riprese Darryl «capisco la tua preoccupazione per Jake. Anch’io sono preoccupato, lo siamo tutti. Purtr-»
«E allora facciamo qualcosa!» si animò Axel, interrompendolo e battendo il pugno sul bancone. «Mi sembra che nessuno faccia niente, qui. Dite di volerlo proteggere, di volerlo aiutare, ma nessuno fa qualcosa! Ha un debito con quel Cody, possiamo aiutarlo, possiamo raccogliere dei soldi e…»
«NON devi dargli soldi, Axel» lo fermò bruscamente Darryl. Questa volta non c’era tenerezza sul suo viso, solo un’espressione ferma e autoritaria che lo ammutolì.  «Per nessuna ragione, mi hai sentito?»
«Ma…»
«Per nessuna ragione» ribadì.
«Lui sta male, Darryl.»
«I soldi lo faranno stare peggio, te lo assicuro.»
«Io non capisco…» mormorò con un filo di voce, ma colmo di rabbia «Davvero non…»
«Non puoi capirlo, Axel.»
«Allora avevo ragione» disse risentito. «Pensi che io non ne sia in grado! E Jenna? Perché lei puoi capirlo, Darryl?»
«Lei lo ha capito a sue spese molto tempo fa. Devi fidarti di quello che ti dico, Axel.»
«Come faccio a fidarmi se non mi dai spiegazioni?! Voglio fare la mia parte per aiutarlo e tu me lo stai impedendo!»
«Tu lo stai già aiutando, lo hai già fatto per tutto questo tempo! Tutti lo stiamo facendo!»
Axel rimase in silenzio, con la rabbia che gli ribolliva nel sangue.
«Si vede che non è abbastanza, mi dispiace» disse guardando Darryl negli occhi, senza aggiungere altro. Poi si alzò e uscì dal locale sbattendo la porta.
 

*

 

Rischiò diverse volte di bruciarsi le dita con l’accendino, e alla fine ci riuscì, accendendo quella che era la terza sigaretta nel giro di un quarto d’ora.
«Guarda che ti vengono i denti gialli» lo punzecchiò Margaret, scovandolo nel retro del locale e avvicinandosi a lui a passo lento.
Axel fece spallucce e non si scompose più di tanto nel vederla, anche se sperava di rimanere da solo ancora per un po’.
«E se continui con questo ritmo finirai per puzzare di marcio prima dei trent’anni» disse ancora Margaret.
«Sono nervoso, va bene?» rispose scocciato.
La donna non rispose e si sedette insieme a lui su una pila di scatoloni accatastati al muro. Si tolse i guanti ancora sporchi di terriccio e si sistemò con cura i capelli argentati dietro le orecchie.
«È bello che tu stia aiutando Jake» disse infine.
«A me non sembra di aiutarlo» le rispose lapidario.
Margaret si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. «A me sembra il contrario, siete sempre insieme.»
«Non c’entra.»
«Invece c’entra. Uscite, passate del tempo insieme, fate ammattire Jenna…vi divertite e fate quello che dovrebbero fare tutti alla vostra età. Quando non siete insieme nessuno sa dov’è e cosa fa.»
«Tipo adesso.»
«Già, tipo adesso.»
Axel spense per terra quel che rimaneva della sigaretta, ringraziando di non averne altre con sé. Le parole di Margaret lo avevano fatto sentire meglio, ma comunque non alleggerivano quel peso che ormai da settimane sentiva su di sé.
«Axel, non devi sentirti responsabile della situazione di Jake» disse ancora la donna, scatenando in lui qualcosa di intenso e a cui non riuscì a dare un nome. «Tu stai facendo molto, e non sei chiamato a fare di più.»
«Ma io voglio fare di più, è questo che non capite.»
«Per fare di più devi fidarti di Darryl, anche se è difficile…»
«Ma…»
«…anche se non ti sembra abbastanza.»
Axel ammutolì e continuò a rimanere in silenzio anche quando Margaret si azzardò a fargli una carezza sulla guancia e a scompigliargli un po’ i capelli.
«Devo andare adesso» disse infine alzandosi «Uh, credo che Darryl abbia sfornato le ciambelle. Portatene qualcuna a casa.»
Axel annuì, osservandola mentre rientrava nel locale.
In effetti nell’aria c’era un profumo di dolci molto invitante, ma tornare dentro significava affrontare di nuovo Darryl e fargli credere forse che aveva fatto un passo indietro, che aveva capito e che aveva ragione lui. Margaret gli aveva addolcito la pillola, ma la sostanza di certo non cambiava e lui continuava a sentirsi in difetto in una situazione che a tutti gli effetti era più grande di lui.
Senza fretta si lasciò le spalle al locale; era ormai ora di cena e iniziava ad avere una certa fame, eppure decise di tardare ancora il rientro a casa passando prima da quella di Jake.
Non era sicuro di quello che gli avrebbe detto, al momento era solo interessato a sapere come se la passava, cosa aveva fatto quel pomeriggio e se nei prossimi giorni avesse avuto voglia di dedicarsi a qualche pagina di fumetto. Dopotutto non mancava molto alla chiusura del concorso.
Quando il campanello suonò a vuoto per oltre dieci minuti Axel si arrese, incupendosi ma sperando che fosse solo uscito a bere qualcosa o magari a fare le prove con la sua band. Non volle immaginare altre possibili alternative.
Si incamminò quindi verso casa, questa volta a passo svelto mosso dalla fame e anche dalla fresca brezza primaverile. Avrebbe voluto passare del tempo con Jenna, ma la giornata non lo aveva permesso e poi si sarebbero visti il giorno dopo al cinema. Tanto valeva aspettare, si disse. E invece per poco non gli venne un infarto quando se la ritrovò davanti non appena salì l’ultimo gradino che portava al sottotetto.
Sul tavolino del terrazzo c’erano due cartoni di pizza e un paio di birre, Jenna era seduta sulla sedia con aria annoiata e non appena lo vide incrociò le braccia sul petto guardandolo scocciata. Doveva essere lì da molto tempo, realizzò Axel sentendosi le gambe un po’ molli.
«Le pizze sono fredde. Così come le mie mani, le mie guance e la punta del mio naso» gli disse lapidaria, continuando a rimanere seduta. «Le birre invece stanno bene.»
Axel accartocciò il viso in un’espressione dispiaciuta, ma qualcosa nel broncio di Jenna lo fece sorridere, spazzando via all’istante i pensieri che aveva avuto fino a pochi istanti prima. Le si avvicinò a la costrinse ad alzarsi dalla sedia, stringendola in un abbraccio a cui inizialmente si oppose, ma in cui poi si adagiò lasciandosi avvolgere.
«Vieni dentro, ho un forno» disse poi Axel girando la chiave nella porta d’ingresso.
«Non ho così freddo, a meno che la tua intenzione non sia quella di bruciarmi viva.»
«Non prima di aver mangiato le pizze. Non compierei mai un omicidio a stomaco vuoto.»
«Uhm, io avrei detto il contrario.»
Axel le rubò un bacio fugace sulle labbra e iniziò a trafficare in cucina prima che le pizze diventassero del tutto immangiabili.
A poco a poco la preoccupazione per Jake risalì di nuovo a galla, ma non gli impedì di passare serenamente quel tempo con Jenna. Si costrinse ad allontanare la sensazione di non meritarla, anche se l’averla lasciata al freddo con due pizze non lo faceva stare di certo meglio. Sembrava felice quella sera, così decise che anche della sua chiacchierata con Darryl non doveva sapere nulla, almeno per il momento.
Non immaginava che di quella sera avrebbe ricordato ogni singolo istante, da quando si erano accovacciati sul divano, parlando del più e del meno, a quando le loro mani avevano improvvisamente iniziato a cercarsi, in una richiesta di contatto più intima e complice, che avrebbe cambiato le loro rispettive esistenze per sempre.
Non sapeva in quel momento che negli anni avrebbe continuato a cercare quelle sensazioni senza mai ritrovarle; il tocco delicato e allo stesso tempo esigente di Jenna, le sue mani tremanti che percorrevano ogni centimetro del suo corpo, il leggero profumo alla pesca che stordiva i suoi sensi e che lo costringeva a cercarla ancora e ancora.
Di quella notte Axel avrebbe ricordato tutto, anche il silenzio leggero interrotto dai loro respiri affannati che poco a poco riprendevano un ritmo regolare.
«Stai bene?» le chiese Axel dopo un tempo che gli sembrò infinito.
«Sì. E tu?» chiese Jenna a sua volta.
Lui annuì e poco dopo seguì i suoi movimenti mentre cercava di avviare lo stereo accanto al letto.
«Che fai?»
«Non lo so, mettevo un po’ di musica. Ti va?»
Axel annuì ancora, poi gli venne un’idea e si sporse appena per avviare il walkman che era riuscito a collegare allo stereo.
«I Daft Punk? Sul serio?» chiese Jenna senza nascondere la sua perplessità non appena riconobbe le note di Around the World.
«Che c’è? Non ti piacciono?»
«Ho appena vissuto uno dei momenti più importanti della mia vita e tu mi fai ascoltare i Daft Punk?» chiese ancora Jenna, sforzandosi evidentemente di non sembrare troppo delusa.
Axel si gustò la sua espressione, e continuò a farlo fin quando le note della canzone si interruppero bruscamente lasciando il posto a quelle di Dust In The Wind dei Kansas.
Jenna riconobbe la canzone e fu costretta a ricredersi, guardando Axel con aria un po’ colpevole.
«Questa può andare» disse smorfiosa, tornando a sdraiarsi vicino a lui.
«Tu parli davvero troppo» le borbottò all’orecchio Axel, prima di stringerla di nuovo a sé.
Quella notte, nel buio del sottotetto, rimasero abbracciati a lungo, strettamente, come se qualcosa avesse potuto impedire loro di non ritrovarsi mai più. Di perdersi per sempre in una raffica di vento violenta e improvvisa, spazzandoli lontani anni luce l’uno dall’altra.
 

 

 _________

 

 
NdA
Buonassssera!
Capitolo fresco fresco di giornata, che come sempre spero vi sia piaciuto. Il prossimo arriverà verso novembre, impegni permettendo.
Non posso dire con esattezza quanto ancora ci vorrà per il finale, ma sicuramente la storia è a buon punto e spero tanto che entro giugno del prossimo anno possa essere conclusa.
 
Ne approfitto per ringraziare TANTISSIMO la mia dolce Benni, che si è recuperata di corsa gli ultimi capitoli lasciandomi due cuoricini al posto degli occhi con le sue recensioni. Grazie, grazie e ancora grazie <3
 
E un grazie ovviamente a chi anche solo leggendo continua a sostenere questa storia.
 
_Atlas_

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Capitolo 27
*** Capitolo XXIV ***



Capitolo XXIV

 
 
 
 
 
Mismar, maggio 1997
 
 

Le note dei Kansas gli risuonavano ancora nella testa mentre cercava, senza riuscirci, di cedere al sonno. Anche Jenna aveva faticato ad addormentarsi, si era chiusa in uno dei suoi improvvisi silenzi e si era raggomitolata contro di lui aggrappandosi con le dita all’indice della sua mano, quasi fosse tornata indietro di vent’anni. Axel la sfiorò appena, temendo che un qualsiasi altro gesto potesse rovinare quel momento e ripercorrendo con la mente ogni sensazione che aveva vissuto quella sera.
Quando alla fine il suo respiro si era fatto poco a poco più pesante, lui si era ritrovato con il cuore più leggero ma con gli occhi ancora sbarrati nel buio.
A mente più fredda ripensò alla conversazione con Darryl e alle parole di Maggie, provando uno strano mix di rabbia e orgoglio per quello che stava facendo e per quello che invece riteneva sarebbe stato meglio fare, per Jake e forse per tutti loro.
Non sopportava l’atteggiamento di Darryl, sembrava quasi che lo facesse apposta ad essere così enigmatico e ad escluderlo dal piano che aveva escogitato per aiutare quello che, a conti fatti, era il suo unico amico. Un piano, per altro, in cui era stato tirato in ballo senza nemmeno accorgersene.
Forse, rifletté mentre iniziava a sentire le palpebre sempre più pesanti, doveva prendere distanza da Darryl e agire per conto proprio. Pensava e ripensava a come fare, fino a quando i tratteggi di un fumetto e le battute di un alieno capriccioso non si mischiarono a ricordi confusi e al profumo alla pesca di Jenna che ancora gli solleticava le narici. Esausto, alla fine si addormentò.
 
La mattina seguente passò relativamente in fretta. Jenna, forse per alleggerire l’atmosfera un po’ carica di imbarazzo, aveva preso prima a canticchiare e poi a borbottare qualcosa su un argomento che Axel non aveva colto del tutto, ma che era sicuro c'entrasse con qualche personaggio di Beverly Hills.
«Qual è il problema?» le domandò assecondandola e accendendosi una sigaretta, lui stesso nervoso e non proprio sicuro di come far tornare le cose alla normalità.
«Niente, Brandon ha baciato Kelly…ma di queste cose è meglio parlarne con Maggie, senza offesa» gli rispose sorridendo e raccogliendo nel frattempo le sue cose nello zaino.
«Nessuna offesa. Tanto non ho idea di chi siano.»
«Lo so, tu sei più un tipo da spade laser e viaggi nel tempo.»
«Guarda che anche Ritorno al Futuro ha i suoi lati romantici.»
«Sì ma non ha Jason Priestley.»
Axel liberò uno sbuffo di fumo e spense la sigaretta al bordo della finestra.
«Quando ci vediamo?» le chiese poi, trattenendo un po’ il fiato.
«Non lo so…stasera?»
«Stasera può andare» convenne Axel, non del tutto sicuro di riuscire ad aspettare così tanto. Aveva comunque diverse cose da fare, e tra queste rientrava anche il turno serale da Earl.
«Alle otto sono da te» gli mormorò Jenna a pochi centimetri dalle labbra, rubandogli poi un bacio fugace «Cerca di non farmi rischiare l’ipotermia, stavolta.»
«Vedo quello che posso fare.»
Axel la trattenne a sé ancora per qualche istante per poi lasciarla ai suoi impegni.
Mosso da nuova energia si convinse poi a considerare davvero quelli che fino a poche ore prima erano stati pensieri per lo più indefiniti. Improvvisamente prendere distanza da Darryl non era più un’idea che gli incuteva timore, del resto si riteneva in grado di prendere da solo le sue decisioni e anche se questa rischiava di avere delle conseguenze, seppur poco chiare, non per questo avrebbe dovuto tirarsi indietro.
“Non devi dargli soldi.”
Le parole di Darryl gli riecheggiavano ancora nella testa, severe e austere come mai lo erano state nei suoi confronti. Forse un tempo lo avrebbero intimorito, un tempo lontano in cui la sua autorevolezza non correva tuttavia il rischio di essere messa in discussione perché a parte zio Davis, che a suo modo gli aveva voluto bene, Darryl era l’unico punto fermo in una vita colma di assenze.
Tentennò più di una volta mentre contava e ricontava i soldi, chiedendosi se fossero pochi o troppi, se fossero stati graditi o meno e se alla fine li avrebbe accettati. Dopo un altro istante di esitazione si convinse a chiuderli in una busta e a ignorare una volta per tutte le parole di Darryl, ripetendosi per l’ennesima volta che era lui a non aver capito e che era lui a non voler aiutare davvero Jake.
Fece a piedi il tragitto che portava a casa dell’amico, respirando l’aria umida e un po’ più calda dei primi giorni di maggio. Mismar non era una bella città, o almeno così aveva sempre ritenuto, eppure quei timidi assaggi di estate riuscivano a renderla più vivibile, se non addirittura piacevole.
Persino casa di Jake aveva tutto un altro aspetto, notò con un certo sollievo.
Anche questa volta dovette attendere fermo sul suo pianerottolo, accogliendo quasi con gioia i passi striscianti che alla fine udì dall’altra lato della porta.
«Beh?» gli chiese Jake con aria sospettosa aprendo l’uscio di appena qualche centimetro.
«Come beh? Apri o mi fai restare qua?»
Axel sentì addosso il suo sguardo, che lo percorse dalla testa ai piedi quasi lo stesse passando davanti a un metal detector.
«Avanti» gli disse quello facendogli spazio per entrare.
Avrebbe voluto rispondergli a tono, come loro solito, ma qualcosa lo obbligò a frenare la lingua. Jake non aveva un bell’aspetto, anzi, valutò dal suo sguardo che poteva aver dormito sì e no un paio d’ore. Aveva addosso la sua vecchia maglietta dei Beatles e una tuta slabbrata di almeno una taglia in più.
La casa era un disastro. Axel si costrinse a non guardarsi intorno troppo a lungo e in maniera troppo sospettosa, ma Jake come sempre giocava d’anticipo e gli aveva già letto nella mente.
«C’è uno schifo, non c’è bisogno che tu dica niente» gli disse chiudendosi finalmente la porta alle spalle.
«Vorrei solo dirti che ti sei tenuto la mia maglietta» sviò invece Axel, trovando miracolosamente un’uscita di emergenza da quell’impasse. Seppur in fretta, il suo sguardo aveva comunque registrato qualche bottiglia di troppo ai piedi del divano, presumibilmente di birra.
«È comoda» si limitò a rispondere Jake, inciampando su un paio di riviste abbandonate sul pavimento. «Che ci fai qui?»
«È da un po’ che non ci vediamo» rispose Axel, seguendolo verso la cucina e continuando a guardarsi intorno con apprensione.
«Sono stato impegnato. La band, il fumetto…ho provato a continuarlo da solo» gli disse con tono di voce più morbido.
Axel sbarrò gli occhi con sorpresa.
«In che senso lo hai continuato?»
«A essere sinceri l’ho iniziato da capo, mi piaceva l’idea degli alieni che conquistano la luna. Un po’ meno quella che dovessi occuparti tu di disegnarlo al mio posto.»
Axel trattenne appena un sorriso e sperò che a Jake sfuggisse il plico di fogli che teneva sottobraccio, improvvisamente convinto di non volerglieli più dare.
«Posso vederlo?» domandò invece, curioso di cosa avesse partorito la sua fantasia.
«Certo che no» borbottò Jake.
«Perché no?»
«Perché fa schifo, che domande. Però mi diverto, mi distrae.»
«Lo presenterai al concorso, vero?»
«Solo se tu presenti Dark Sirio
Axel si morse la lingua e arricciò la bocca in una smorfia di disgusto.
«È fuori discussione» disse con risolutezza.
«Il professor Layton non approverebbe» lo provocò Jake.
«Non cerco la sua approvazione, infatti.»
«Come vuoi. Tu come stai? Mi sembri bello arzillo» gli chiese cambiando nuovamente argomento.
Il pensiero di Jenna gli piombò nella mente alla velocità della luce. Stava bene, ma per una qualche oscura ragione preferiva non dirglielo.
«Sto» rispose con un’alzata di spalle. «Volevo chiederti la stessa cosa.»
«In che senso? Vuoi sapere come sto?»
Axel fece di nuovo spallucce, sperando che non si sentisse obbligato a rispondere. Del resto era una domanda superflua chiedergli come stesse.
«Te l’ho detto, cerco di distrarmi. Non credo di stare troppo male.»
A quel punto Axel non riuscì più a trattenersi e gli mise sotto agli occhi la busta che aveva preparato per lui.
«Cosa sarebbe?» chiese Jake con voce piatta, guardandone il contenuto.
«Un aiuto. So che non è tantissimo, ma…»
«Perché?»
Axel non capì subito se a spiazzarlo fosse stato il suo sguardo incomprensibile o il tono di voce che aveva usato, a metà tra un sussurro gentile e uno che anticipava l’ennesima tempesta di rabbia.
«Non so che problemi ci sono con Cody Harrys, ma se hai un debito con lui quelli glieli puoi dare, così la smette di fare lo stronzo. Altrimenti usali come pensi sia meglio, sono tuoi» spiegò tutto in un fiato, realizzando solo alla fine che forse non era stata una buona mossa. Di nuovo gli tornò in mente Darryl e la sensazione fu quella di aver appena compiuto un passo molto più lungo di quello che poteva permettersi.
Jake d’altra parte si chiuse nel silenzio, osservando le banconote con uno sguardo che ormai era diventato indecifrabile.
«Sei sicuro di quello che stai facendo?» gli chiese semplicemente.
Axel tentennò una manciata di secondi e infine annuì. «Sono solo soldi.»
«Non riuscirò mai a ridarteli tutti.»
«Non è un prestito, non li rivoglio indietro» chiarì, ormai a corto di altre parole.
Lo sguardo lucido dell’amico e il sorriso spezzato che gli rivolse subito dopo lo ammutolirono definitivamente, alleggerendo un po’ la sua tensione quando alla fine, con un filo di voce, gli mormorò un “grazie”.
Il campanello d’ingresso li riportò poi al presente, e a giudicare dallo sguardo di Jake forse sapeva già chi avrebbe trovato alla porta.
«Ciao Jenna» la salutò euforico trovandosela davanti e infilandosi in tasca la busta coi soldi.
Il tonfo che Axel percepì nel petto gli mozzò il respiro per una manciata di secondi. Per un attimo tutta la fiducia che poco a poco era riuscito a provare nei confronti della giovane crollò miseramente, facendogli realizzare quanto questa volta si fosse spinto oltre prima di ricevere l’ennesima delusione da chi sosteneva di volergli bene.
Prima ancora di salutare Jake, Jenna intercettò il suo sguardo e gli andò incontro senza esitare, prendendogli la mano a sorpresa. Lui, quasi fosse diventato di legno, non reagì. Era evidente che non si aspettasse di trovarlo lì e che ora stesse cercando di salvare la situazione.
«Wow, ora hai anche smesso di salutarmi?» borbottò Jake osservando poi con attenzione le loro mani intrecciate.
Quasi con disperazione, Axel pensò che fosse finita. Con Jenna, con Jake, con tutto quello che in quei mesi avevano costruito insieme.
«Mi sono perso qualcosa?» domandò ancora Jake con tono quasi divertito. Solo a quel punto Axel realizzò che c’era forse una remota possibilità che avesse frainteso tutta la situazione e che Jenna fosse solo andata a salutarlo per sapere come stesse. Esattamente come aveva appena fatto lui. Non solo, da come gli stava stritolando la mano probabilmente aveva già capito la direzione dei suoi pensieri e adesso stava provando a riportarlo sulla strada giusta.
«Diciamo di sì. Non era comunque questo il modo in cui avremmo voluto dirtelo» spiegò Jenna, riuscendo a stuzzicarlo senza nemmeno guardarlo in faccia.
In effetti Axel riuscì a sentirsi un perfetto idiota, anche se non era del tutto sicuro di come Jake avrebbe reagito a quella rivelazione.
L’amico, per contro parte, alzò gli occhi al cielo e sbruffò pesantemente.
«Lo sapevo. E ora chi vi sopporta più?»
Axel non disse nulla, e sebbene ritenesse quella situazione del tutto assurda e tragicomica, alla fine riuscì prima a sorridere e poi a ridere di gusto insieme agli altri due. Forse nei giorni a seguire avrebbero avuto modo di parlare di quanto era successo, o forse non avrebbero mai più affrontato la cosa. In fondo ci sperava, dopotutto lui e Jenna stavano provando ad aiutare un amico, ognuno nel modo in cui riteneva più opportuno e che, per una curiosa coincidenza, li aveva portati a ritrovarsi in una mattina qualsiasi di inizio maggio.
Nonostante tutto, Axel riprese a respirare con leggerezza.

__________


 

 
 
NdA 
“Il prossimo capitolo arriverà verso novembre” e altre storie di fantascienza *-*
Mi spiace aver slittato così tanto l'aggiornamento, purtroppo è stato un periodo molto impegnativo e solo ora sono riuscita a riprendere in mano la storia. Che comunque va avanti. Un po’ a rilento, ma va avanti :’)
Che dire, eniuei? Non ho amato molto scrivere questo punto della storia, ma in effetti è uno dei punti cruciali e il gesto di Axel non è qualcosa che non avrà delle conseguenze, ecco. Mi piaceva, tra le altre cose, l'idea che prendesse distanze da Darryl e che si sporcasse un po' le mani. MA NON DICO ALTRO okay, ciao.
 
Approfitto di questo spazio per ringraziare tantissimo Leila e Lightning, instancabili commentatrici che nonostante tutto continuano a seguire questa storia <3
 
Ora, l’idea sarebbe quella di pubblicare il prossimo a breve giro…speriamo di concretizzarla senza ulteriori intoppi :P
 
Un saluto,
 
_Atlas_

 

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Capitolo 28
*** Capitolo XXV ***



Capitolo XXV
 
 
 

 
 
 
Il brusio dell’aula magna si stava poco a poco riducendo mentre gli studenti si avviavano verso l’uscita. Al termine delle conferenze c’era sempre qualcuno che si avvicinava per chiedere un autografo o qualche curiosità e malgrado non riuscisse a scollarsi del tutto dall’imbarazzo, con il tempo quei momenti erano diventati più tollerabili. Con tutta probabilità, poi, l’unico che forse era in grado di cogliere appieno il suo sforzo di esporsi era il professor Layton, che anche in passato era spesso orbitato intorno a lui nei momenti più complessi.
Quel pomeriggio di maggio di tanti anni prima, dopo che Jenna li aveva lasciati per andare a studiare, Axel e Jake avevano deciso di bere insieme una birra e lui aveva insistito per andare da Andy, un locale che aveva aperto da poche settimane a due isolati dal Lenox Blues.
Il volto di Jake, che per qualche ora gli era sembrato più rilassato, era diventato di nuovo teso e il suo sguardo sempre in allerta, quasi avesse timore che qualcuno gli facesse un agguato alle spalle.
L’unica persona che incontrarono quel pomeriggio fu proprio il professor Layton e vedendolo Jake aveva recuperato tutto il suo buon umore, iniziando con lui una fitta conversazione che era partita dalla montatura dei suoi nuovi occhiali ed era arrivata al richiamo che si era beccata la professoressa di letteratura per aver portato a lezione il suo barboncino di undici anni malato di cancro.
Axel aveva continuato a sorseggiare la sua birra, ma vederli così affiatati gli aveva provocato una fitta di gelosia all’altezza dello stomaco pur non riuscendo a trovare una scusa per inserirsi in quello scambio. Lo aveva infine fatto Jake al suo posto, saltando da un discorso all’altro fino ad arrivare alla data di chiusura del concorso della C.A.M., ormai imminente.
«Lui non vuole partecipare» sciorinò al professore, indicandolo con aria di rimprovero.
Axel, sentendosi improvvisamente al centro dell’attenzione, non aveva osato dire niente anche se lo sguardo magnetico dell’insegnante gli aveva fatto venire voglia di scavare una fossa direttamente sotto la sedia su cui si era accomodato.
Layton aveva ascoltato fino alla fine ogni parola e silenzio di Jake, ma alla fine si era rivolto verso Axel e con tutta la semplicità del mondo gli aveva chiesto: «Non è che per caso hai paura di vincere?»
 
Quella domanda gli era risuonata nella testa tutte le volte che negli anni, in qualche modo, aveva vinto. Tutte le volte che Dark Sirio aveva toccato le vette delle classifiche, tutti i premi e riconoscimenti che portavano il suo nome, tutte le parole di stima, le foto, gli autografi e i grazie stridevano con l’immagine che aveva di sé come un gessetto rotto sulla lavagna. Ogni volta pregava che quei momenti finissero il prima possibile e ogni volta si chiedeva se quella fosse la paura di vincere di cui gli aveva parlato il professor Layton o solo il peso degli errori che aveva commesso per aiutare un amico che contava i centesimi per avere un grammo di cocaina.
«Stai bene?»
Axel scosse appena la testa e tornò alla realtà, sotto lo sguardo divertito di Layton che evidentemente era lì di passaggio.
«Sì, stavo solo…» tentò di giustificarsi.
«Lo vedo. Ho una riunione con altri insegnanti, sono passato a salutarti» disse l’uomo con cordialità, prima di lasciarlo di nuovo da solo.
Axel si stropicciò gli occhi, decidendo che fosse giunto anche per lui il momento di andarsene.
Diede un’occhiata veloce al telefono e con sollievo lesse l’anteprima di un messaggio di Jenna: Darryl era stabile, si era svegliato un paio di volte ma le sue condizioni non erano più critiche come quando era arrivato in ospedale due giorni prima.
Dopo qualche ripensamento e con il passo incerto di sempre decise poi di non rientrare subito a casa e di fare un salto al Lenox Blues.
 
 
*
 
 
Appena varcò l’ingresso del locale fu assalito da un profumo di ciambelle fritte che lo fece tornare subito indietro di vent’anni. Ai tempi d’oro del Lenox Blues di solito era Margaret l’addetta alla cucina, insieme a un paio di ragazze che davano manforte soprattutto nei fine settimana; Darryl invece stava al bancone, ma se per caso decideva di mettersi ai fornelli niente riusciva a frenare la sua voglia di ciambelle fritte. E a onor del vero, erano sempre squisite.
«Ciao Axel!» lo salutò Richie portandone un vassoio sul bancone e servendone subito un paio a due clienti in fondo alla sala.
«Ne vuoi una?»
Solo a quel punto si accorse della presenza di Jenna, appollaiata a un angolo del bancone con un quaderno tra le mani.
«Uhm, non ti avevo vista» si scusò facendole un cenno di saluto con la mano. Lei ricambiò e gli allungò una ciambella ancora fumante in un tovagliolo.
Axel tentennò solo per un istante ma poi cedette e si gustò il dolce.
«Tali e quali a quelle di Darryl» commentò con la bocca piena.
«Ovvio, Richie gli ha estorto la ricetta.»
La giovane posò il quaderno che aveva in mano e si morse le labbra con aria pensierosa. «Sono andata a trovarlo questa mattina,» disse poi « come ti dicevo è stabile. Non ci sono grossi miglioramenti, ma…»
«…non è neanche peggiorato» concluse per lei Axel.
«No, infatti.»
«Hai dormito?» le chiese poi rapidamente, quasi avesse paura di essere beccato a farle quella domanda.
Jenna esitò solo un’istante, ma poi annuì incerta «Più o meno. Siamo a un pelo dalla bancarotta, ma una dormita ogni tanto me la concedo» aggiunse giocherellando con le pagine del quaderno, che solo a quel punto Axel capì che registrava le entrate e le uscite della settimana. «Tu hai dormito?»
«Mh? Un paio d’ore, sì» rispose vago, dando un altro morso alla ciambella.
«Dov’è Lion?» chiese infine.
«Scantinato. Sono arrivati i nuovi tavoli, credo abbia bisogno di una mano per montarli. Richie è impegnato in cucina, e io non posso assen-»
«Vado io» si offrì con più sicurezza di quella che provava. Solo dopo aver pronunciato quelle parole si ricordò che al piano di sotto c’era un adolescente irrequieto e preoccupato per gli ultimi avvenimenti che lui non era assolutamente in grado di affrontare.
«Grazie» gli disse infine Jenna, guardandolo con un’espressione che non riuscì a decifrare. Si sentì schiacciato dal suo sguardo e trattenne il respiro quando si accorse che era sceso appena un po’ all’altezza delle sue labbra.
«Di niente» mormorò, ignorando con risolutezza i pensieri e rubando un’altra ciambella dal vassoio.
«È per Lion» si giustificò uscendo dal locale.
 
 
Lo trovò accovacciato a terra, intento a leggere le istruzioni di montaggio con aria affranta. Per il momento non vedeva tavoli montati in giro, solo un’accozzaglia di scatoloni e buste di imballaggio.
«Ehi, come va?» gli chiese avvicinandosi a lui con tutta la disinvoltura di cui era capace.
«Male. L’ho montato al contrario» borbottò il ragazzo mentre smontava la gamba di un tavolino. Con aria un po’ seccata recuperò le viti sparse sul pavimento, senza degnare Axel di uno sguardo.
«Succede. Ti ho portato una ciambella.»
Solo a quel punto decise di voltarsi e sotto lo sguardo imbronciato Axel vi lesse appena un accenno di sorriso.
«Beh?» gli chiese, in attesa di una qualsiasi reazione da parte sua.
Lion lo scrutò attentamente, prendendosi tutto il tempo per gustarsi la ciambella.
«Hai dello zucchero sulla barba» disse infine assottigliando un po’ gli occhi.
Axel si ripulì in fretta e con non poco imbarazzo si rese conto che forse Jenna lo aveva notato ben prima di lui.
«Buono a sapersi» mormorò con vena acida e scrollando le spalle. «Dai, ti do una mano.»
 
I primi venti minuti li passarono in rigoroso silenzio e Axel si chiese fino a quanto sarebbe durato ancora, se solo non si fosse deciso a interromperlo.
«Come mai non parli?» gli chiese mentre guardava compiaciuto il primo tavolo che era riuscito a montare. Lion seguiva un po’ a rilento i suoi movimenti, ma sembrava ormai aver capito il meccanismo.
«Neanche tu stai parlando» gli fece notare.
«Di solito non parlo molto.»
«Non è vero, quando ti interessa qualcosa non la smetti un attimo.»
Axel lo guardò di sbieco, stringendo tra i denti un bullone di un tavolo.
«In che senso?» domandò.
«Dicevo per dire…quella volta a scuola eri tutto preso da quella storia che stai scrivendo.»
«Mmh, quella era più ansia da prestazione» borbottò a voce più bassa, passando in rassegna con la mente tutti gli attacchi di panico che aveva avuto prima di entrare ina aula.
«Io quando ho l’ansia preferisco stare zitto.»
Axel soppesò le sue parole, riuscendo però a immaginare quali pensieri gli fossero frullati nella mente in quei giorni. Una stretta al petto gli rammentò che lui non aveva nessuna capacità di alleggerire il senso di colpa che provava, né tanto meno di cambiare il corso degli eventi o di stargli semplicemente vicino. Ci aveva provato, quando gli aveva detto che non doveva sentirsi responsabile di quanto accaduto a Darryl lo pensava davvero, ma quelle parole non avrebbero mai avuto effetto su un ragazzino che ci vedeva lungo e che aveva già capito che il primo a non crederci era lui. Così rimase zitto, di nuovo, convenendo che forse Lion aveva ragione e che la via del silenzio era l’unica percorribile in quel momento.
Di punto in bianco, però, fu proprio Lion infrangere quel tacito accordo.
«Ho chiesto a Amy di aiutarmi con algebra.»
Axel ringraziò il cielo di non avere più il bullone tra i denti, altrimenti avrebbe rischiato di strozzarsi.
«Oh, bene…» disse sperando che una risposta neutrale potesse salvarlo da qualsiasi pensiero frullasse ora nella testa di quel ragazzo.
«Bene?!»
Il livello di acidità che aveva usato era troppo per non essere preso in considerazione. Merda, pensò.
«Beh, non è una bella cosa? Quando vi vedete?» indagò senza osare alzare la testa dal tavolo che ormai aveva finito di montare da una manciata di minuti.
«Probabilmente mai, visto che non ha ancora risposto al mio messaggio» disse allora Lion, costringendolo con una certa irrequietezza a leggere la chat sul telefono.
«Dai, non è detto che non voglia. Magari è solo impegnata e non ha avuto il tempo di risponderti» rispose continuando a rimanere vago.
«Io non ce la faccio a pensarla così.»
Axel lo osservò incuriosito, mettendo per un momento da parte viti e bulloni.
«In che senso?» gli chiese.
«È molto più realistico pensare che non mi risponderà perché non sa come dirmi che non vuole uscire con me. Così come è quasi certo che Darryl non si riprenderà solo perché noi pensiamo che sia forte e che ce la potrà fare. Crederci non serve a niente.»
Lion non aggiunse altro e d’altra parte Axel rimase raggelato dalle sue parole, tanto che non si accorse nemmeno, dopo una manciata di minuti, di essere rimasto completamente solo nella sala.
Una parte di sé avrebbe voluto rispondergli a tono, dirgli che no, non era vero che crederci non serviva, ma fu proprio sul nascere di quell’impeto che il senso di colpa, intimo e personale, tornò a fargli visita e a ricordargli di quando tanto tempo prima era stato lui a pronunciare quelle stesse parole, scagliandole con arroganza contro chi anche di fronte alla sconfitta aveva deciso di crederci ancora.
Rimase inerme, circondato da dieci tavoli ancora da montare in una sala vuota e spenta ormai da troppo tempo.
 
_________
 
 
NdA
Eeeeh, questa volta sono puntuale!
Lasciamo il 1997 per un capitolo un po’ più di stallo ambientato nel presente, anche se “tira aria di cambiamento”, sapevatelo u.u
 
Passo e chiudo alla velocità della luce, ringraziando il supporto di tutti voi che continuate a leggere la storia, un abbraccio!
_Atlas_

 
 

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