Glad you're alive today

di Maryfiore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Quando Levi conobbe Hanji capì immediatamente di aver a che fare un soggetto fuori dal comune.

Tutto in lei, dal modo in cui parlava a quello in cui pensava, era fuori dal comune.

I suoi capelli castani, alzati in una coda mezza sfatta, non vedevano -chiaramente- nè pettine nè sapone da almeno quattro giorni. Vestiva con un logoro camice da laboratorio da sopra alla divisa del Corpo di Ricerca e, per finire, un paio di occhiali pieni di quelle dovevano essere le sue impronte digitali stava in bilico sul suo naso leggermente adunco. Dietro le lenti aveva trovato due occhi color del mogano accesi di una curiosità inquietante. Quel tipo di curiosità di chi vorrebbe aprirti il petto per contare il tuo numero di costole.

Dall'aspetto sembrava una scienziata psicopatica. E, come Levi ebbe modo di apprendere in seguito, un po' lo era.

Durante il suo primo addestramento non aveva fatto altro che fissarlo. Se ne era stata col sorriso in faccia per tutto il tempo in cui lui aveva discusso con il suo Caposquadra su come impugnare o non impugnare le lame dell'attrezzatura. Lo fissava con divertimento ed entusiasmo, come se avesse appena scoperto una nuova specie animale.

- Non credo di essermi già presentata. Hanji Zoë! Soldato e ricercatrice al servizio del genere umano. -

- Levi - rispose apatico. Non osando toccare la mano offertagli.

- Sì, questo lo avevo capito - gli sorrise.

- Senti, come ti è venuto in mente di impugnare le lame in quel modo? Voglio dire, è geniale! La velocità di rotazione aumenta la forza dell'impatto e la profondità del taglio mantenendo all'incirca lo stesso asse di precisione, inoltre... -

Era irritante.

Talmente irritante che era passata per la mente di Levi l'idea di farla fuori insieme ad Erwin. Così. Solo per soddisfazione personale.

Ma poi Hanji aveva offerto ad Isabel una caramella alla frutta. Isabel. Che una caramella non l'aveva mai vista in tutta la sua vita.

E l'idea si dissolse come fumo al vento.

*

Levi si reputava una persona paziente. Hanji Zoë lo fece ricredere.

- Erwin! - ruggì spalancando la porta del suo ufficio.

- Dobbiamo parlare. -

Il Comandante Smith gli sorrise calmo.

- Certamente Levi. Tuttavia, devo chiederti di prenotare un appuntamento come tutti gli altri. -

- Noi parliamo ora. -

Detto ciò, sbatté la porta dietro le sue spalle e piantò i palmi sulla scrivania per attirare l'attenzione del suo superiore, il quale era rimasto tranquillo al suo posto con le mani incrociate.

- Assegnami a un'altra squadra - disse, facendo uso di tutto l'autocontrollo che gli restava.

- Non capisco. Qual'è il problema con la tua squadra? -

- Non posso lavorare con lei. -

Erwin alzò un sopracciglio. - Lei? -

Levi, spinto da un forte nervosismo interiore, iniziò a raccontare dell'assurda conversazione (durata fino alle tre di notte) sull'ipotetico metodo di riproduzione dei giganti.

- Per quanto continuiamo ad ucciderli, ce ne sono sempre di nuovi. Insomma, devono pur arrivare da qualche parte, no? - aveva detto Hanji.

- Sappiamo che non si accoppiano come gli altri mammiferi per l'evidente mancanza degli organi riproduttivi necessari. Avevo pensato alla partenogenesi, ma se così fosse dovrebbe nascere un mini gigante da ogni testa mozzata, e questo non è mai accaduto. -

La conversazione si era ben presto trasformata in un monologo che aveva ridotto il cervello di Levi in una poltiglia di informazioni una più aberrante dell'altra.

Le labbra di Erwin si deformarono nel tentativo di trattenere una risata.

- Ah. Stai parlando di Hanji. -

- È pazza! E io sono stufo di stare dietro ai suoi folli deliri mentre cerco di impedire che si faccia ammazzare in ogni cazzo di missione! -

- In teoria per quello c'è già Moblit. -

Levi parve non sentirlo.

- E poi cos'è questa storia di voler cattuare dei giganti vivi? Noi li uccidiamo i giganti! E non senza motivo! -

- Sì be'... quello è un discorso complicato. -

- E pazza - ribadì. - Si farà ammazzare. -

- Non ti facevo un tipo così apprensivo, Levi. Mi piacerebbe sapere da dove viene tutta questa improvvisa preoccupazione per la nostra cara Hanji. -

Il corvino contrasse la mascella e gli rivolse un'occhiata omicida.

Apprensivo io? Che muoia!
Per quanto mi riguarda Hanji può farsi masticare da un gigante quando vuole, ma nulla mi garantisce che non trascinerà qualcun'altro con sè! -

Erwin sospirò e poggiò il mento sulle mani.

- Levi - cominciò. - La mente di Hanji è contorta e non sempre è facile comprenderla, ma la sua intelligenza è straordinaria. La conosco, e ti assicuro che è molto più responsabile di quello che sembra. Sa badare a se stessa. -

- Non sembra proprio, visto che ha bisogno perfino di qualcuno che le ricordi di andare al cesso. -

- A volte si lascia prendere un po' troppo dal suo lavoro - ammise Erwin. - Ed è anche vero che a volte si lascia trasportare dalle emozioni. Per questo ho pensato che avreste funzionato insieme: saresti stato un ottimo contrappeso per i suoi eccessi istintivi. E poi diciamocelo, qualcuno deve pur dividere il carico con il povero Moblit. -

Per qualche minuto l'unico suono nella stanza fu quello del ticchettio dell'orologio a pendolo.

Poi Levi riprese parola.

- Toglimi una curiosità. Te li vai a cercare apposta questi individui? Non ti piacciono le persone normali? -

- Normali, dici... -

Erwin lo guardò. La sua espressione abbandonò il sorriso cordiale e si risolse in uno sguardo di intensa serietà.

- Vedi Levi - disse, - ogni volta che mi guardo in giro e dò un'occhiata alla gente normale, vengo preso da una terribile sensazione di sconforto. Al solo pensiero di lasciare nelle mani di qualcuno di loro la salvezza di centinaia di migliaia di vite, io rabbrividisco. -

Levi fissò Erwin senza dire niente, sapendo, dentro di sé, che aveva ragione.

- Questo mondo ha bisogno di persone anormali, persone che pensano fuori dagli schemi, persone come Hanji. Perché la normalità ci sta rendendo ignavi... e ciechi. -

Erwin si ricorsse dal suo stato riflessivo e, quando i suoi occhi si posarono su Levi, il sorriso tornò a illuminargli il volto.

- E poi chi è che decide cos'è normale? - disse con tono spensierato. - Per esempio, la tua mania per la pulizia non è che sia da considerare esattamente normale, rispetto al mio punto di vista. -

Il corvino era lì per lì per rivolgergli un insulto che nessuno avrebbe mai dovuto rivolgere a un proprio superiore, quando Erwin sventò la tragedia.

- Scusami, torniamo al punto - disse in fretta. - Non darti troppe pene per Hanji, cerca di andarci d'accordo piuttosto. Cerca di conoscerla. -

- Mi stai dicendo che quindi sono bloccato con la Quattrocchi? -

- Ti sto dicendo - riprese paziente Erwin, - Di darle un po' di fidicia. Tutto qui. -

- Ho imparato che non fidarsi è davvero meglio come dicono - disse a bassa voce.

- Levi, guardami. -

Erwin gli puntò gli occhi addosso e Levi avvertì quelle iridi azzurre scrutargli dentro. Si sentì vulnerabile.

- Se non imparerai a fidarti dei tuoi compagni, sarai tu a morire. -

*

Se c'era una cosa che Levi aveva imparato stando nel Corpo di Ricerca, era che Erwin aveva sempre ragione.

Accadde durante una missione di ricognizione appena fuori dalle Mura. Non era nemmeno una missione vera e propria, tanto è vero che non venne annoverata nell'elenco ufficiale. Doveva essere qualcosa di molto rapido, un semplice controllo di un'area già studiata.

Levi era stanco. In più doveva esserci qualcosa che non andava nel suo polso destro, perché era gonfio e doleva ad ogni minima rotazione.
Pioveva fitto da ore e la visibilità era scarsa, i vestiti fradici e pesanti rendevano i movimenti faticosi. Levi odiava la pioggia e i ricordi che portava. Le goccie fredde gettavano sale sulle ferite ancora fresche del cuore che aveva dimenticato di avere.

Levi era stanco. Il rumore della pioggia lo frastornava ed era difficile captare altri suoni.

Levi era stanco e non sentì le grida di avvertenza. L'unico segnale di pericolo fu il tremore del suolo sotto i suoi piedi. Il polso faceva male.
Levi aveva la pioggia negli occhi e nel cuore.
Un ritardo di pochi secondi.
I fili del movimento tridimensionale si tesero.
Qualcosa li aveva afferrati.

Levi si spostò veloce nel fango.

Posso farcela, posso abbatterlo se mi sbrigo, prima che i fili si spezzino...

Il polso faceva male, i fili si tesero e Levi finì schiena a terra. Ingoiò fango e acqua e il respiro gli si bloccò in petto per un momento.

Puoi ancora farcela, si disse.

In piedi, ordinò a se stesso.

In piedi...

Levi non sentì granché oltre il tonfo del corpo del gigante che crollava a terra senza vita.
Nè vide granché oltre il viso di Hanji chinato sopra di lui.

Fu come se il tempo si fosse fermato.

I capelli di lei erano zuppi d'acqua e gli gocciolavano in faccia, mentre il suo mantello fumava di sangue di gigante. Il suo viso era bianco dal freddo e il suo fiato affannato s'infrangeva contro il suo in una nuvola di condenza. Lo stava fissando preoccupata da dietro le lenti appannate.

- Levi. -

La sua voce gli rimbombò in testa come il suono di una campana.
Levi avrebbe voluto risponderle, ma tutto ciò che riuscì a fare fu tossire i rimasugli dei liquidi che gli ostruivano la gola.

Patetico...

Hanji sospirò di sollievo.

- Riesci a stare in piedi? -

- Sì... -

No.

Lei gli prese un braccio e se lo mise attorno al collo, mentre con la mano libera gli sostenne il fianco per aiutarlo a sollevarsi. Nell'operazione gli strinse il polso destro e a Levi si annebbiò la vista per il dolore.

- Hai rotto qualcosa lì dentro - decretò Hanji. - Frattura del radio, credo. In infermeria ti faranno aspettare giorni per una cosa del genere, te lo aggiusto io in un secondo appena arriviamo. -

- Mai più... - mormorò con rabbia. - Non accadrà mai più. Lo giuro. -

- Non devi scusarti. -

- Non mi sto scusando. -

La bruna non lo contradisse. Non appena intravide Moblit in lontananza alzò la testa e ordinò di preparare i cavalli, gridando per sovrastare lo scrosciare della pioggia.

- Starai dietro di me. Quindi preparati perché dovrai abbracciarmi per tutto il tragitto, che tu lo voglia o no. -

Si aspettava una frase del genere. Ciò che non si aspettava era il tono grave con cui lo aveva detto, quasi come una minaccia.

- Be'... almeno ora sei pulita. -

Era sicuro che stesse sorridendo, anche se non la vedeva.

Fu il primo scambio di battute di una lunga serie.

*

- Non voglio neanche sapere da quanti giorni non ti lavi. -

Non era la prima volta che una loro conversazione cominciava a quel modo.

- Ti parlo con il cuore in mano, Levi: se avessi tempo, mi laverei. Credemi. -

- L'igiene personale non è un'opzione, Hanji. -

- Sono d'accordissimo con te. -

- Tu ora la smetti di fare qualunque cosa tu stia facendo e vai a gettarti in una tanica di acqua e sapone. -

- E lo farò, lo giuro. Dopo. -

Adesso. -

- Levi! -

- Se non ci vai autonomamente, ti faccio perdere i sensi con un colpo al collo e ti ci trascino io stesso. -

Hanji alzò finalmente il naso dai suoi appunti e gli rivolse un'espressione scioccata.

- Dovrai passare sul mio cadavere! - dichiarò.

- Laverò il tuo cadavere se necessario. -

Entrambi presero la cosa troppo seriamente.

Quella pomeriggio si udiorno grida e strepiti negli alloggi e, dopo una strenua lotta da entrambe le parti, Levi ebbe la meglio. Poco dopo uscì dalla camera di Hanji con la donna priva di sensi caricata sulle spalle, senza curarsi minimamente degli sguardi sbigottiti di chi - allarmato dal baccano - aveva fatto capolineo in corridoio.

Quando Hanji riaprì gli occhi si trovava, effettivamente, in una tanica di acqua e sapone. Con tutti i vestiti bagnati appiccicati addosso.

Levi la osservava a braccia conserte e con aria di sfida dal bordo di legno.

- Non vogliamo che tutto questo si ripeta, vero? -

Hanji gli fece un gestaccio con la mano, ma rimase nell'acqua.

Levi imparò a disturbarla di meno e Hanji a lavarsi più spesso.

*

Levi diventò Capitano e potè crearsi una squadra sua, ma continuò ad andare e venire dalla stanza di Hanji per controllare che svolgesse correttamente le sue funzioni vitali.
Le cose erano meno disastrose di quello che pensava: a quanto pareva Moblit se la cavava meglio di lui.

Levi conobbe Petra, di diversi anni più giovane di lui e con una scintilla vitale negl'occhi che lui invidiava con tutto se stesso.
Sarà perché Hanji se ne stava sempre più spesso chiusa nel laboratorio o nell'ufficio di Erwin - a consegnare rapporti in tempi un po' troppo lunghi perché la cosa passasse inosservata -, sarà perché Petra gli ricordava Isabel...

Levi cominciò a soffrire di una solitudine che non pensava di temere, Petra divenne una fuga perfetta.

Iniziò presto a gradire la compagnia della ragazza.
Si fermavano a sorseggiare un tè insieme dopo cena e condividevano frammenti delle loro vite alla luce della luna.
Non sapeva di preciso se cercasse lei o solo quella scintilla calda che le ardeva dentro... ma poco importava.
Petra era gentile e amorevole come una madre: gli ricordava come ci si sentisse ad averne una. Gli ricordava tutte le cose piacevoli che esistevano al mondo.

Levi cadde tra le braccia di Petra più di una volta.

Fingendo di non vedere il viso di Hanji bagnato dalla pioggia che gli tornava alla mente più spesso di quanto avrebbe dovuto.

*

- L'hai amata? - gli chiese nel silenzio della cucina.

Non lo sorprese il fatto che sapesse. Era intelligente, proprio come aveva detto Erwin.

- Non lo so. -

Hanji annuì pensierosa, prima di versargli l'infuso caldo nella tazza e allungargliela sul tavolo.

- Provavo... affetto per lei. Credo. -

- Glielo hai mai detto? -

- Non c'è stato il tempo. -

- Bugiardo. -

Silenzio.

- Non aveva senso dirglielo, le avrei solo causato altro dolore. -

Hanji scoppiò in una risata amara.

- Sei fuori strada, Levi. L'unica cosa che volevi era risparmiare altro dolore a te stesso. Ma non ha funzionato, vero? Perché fa male lo stesso. -

Levi sentì la rabbia montargli dentro.

- Taci Quattrocchi. -

- No! Cosa pensi di aver risolto? Hai per caso tolto o aggiunto qualcosa alla sua breve vita in questo modo? Non hai fatto niente! Niente! Quando avresti potuto renderla migliore! -

- Non potevo darle illusioni, stupida! -

- Per quel poco che valeva, l'avresti resa felice! -

- Petra non aveva bisogno del mio affetto - le rispose a denti stretti.

- Invece sì! - ripeté stancante Hanji. - Invece si, invece sì... -

- Non potevo dirle qualcosa di cui non ero sicuro. Cos'è che avrei dovuto dirle esattamente? -

- Qualsiasi cosa! Anche solo "Ehi, sono contento che tu sia viva oggi"! -

Silenzio.

- Che c'è? Non rispondi più? -

- Non c'è stato il tempo. -

Hanji gli rivlose un verso di scherno.

- Sei un bugiardo, Levi. Un bugiardo e un egoista - gli disse, camminando verso la porta con la tazza tra le mani.

Arrivata sulla soglia, si voltò per guardarlo negl'occhi.

- Ma sono contenta che tu sia vivo oggi - disse.

Poi si chiuse la porta alle spalle e se ne andò.

*

Levi non avrebbe mai pensato di trovarsi a disagio in presenza di una come Hanji. Lei era quel tipo di persona che piaceva alla gente proprio per l'aurea di leggerezza che emanava e per la sua spiccata capacità di intrattenere una conversazione su praticamente qualsiasi cosa.
Invece negli ultimi giorni il corvino avava trovato particolarmente difficile parlarle: si erano girati attorno senza mai affrontarsi davvero, e quelle poche volte che avevano dovuto - per forza di cose - comunicare, lo avevano fatto con mezze frasi pragmatiche.

Non sapeva perché la cosa gli desse così fastidio, e il fatto stesso di non saperlo gli dava ancora più fastidio.

All'improvviso tre colpi rapidi,  intervallati da un quarto più deciso, dati sulla sua porta lo costrinsero a mettere da parte il libro che stava sfogliando con scarsa attenzione.

Era lei.

Solo lei bussava in quel modo.

Era di pessimo umore quella sera e già stava pensando a un modo per mandarla via, ma quando la vide il proposito scomparve.
Hanji aveva un'espressione sconvolta.
Le mani chiuse a pugno lungo i fianchi le tremavano, i suoi occhi erano spalancati e lucidi, il respiro frenetico.

Sembrava... spaventata? Arrabbiata? Non avrebbe saputo dirlo. Sta di fatto che, qualunque cosa stesse ribollendo dentro di lei, stava per esplodere.

- Hanji - la chiamò allarmato.

Lei non lo guardava nemmeno. I suoi occhi erano fissi in un punto indefinito davanti a sé. Vacui.

- Hanji! - la chiamò ancora, alzando la voce. - Hanji che c'è? -

Fece per scuotela per le spalle, ma lei gli afferrò le braccia a mezz'aria e strinse forte, attorcigliando in modo spasmodico le dita attorno ai lembi della sua camicia. Levi la lasciò fare, sperando che la sfogo l'aiutasse a tornare alla ragione.

Infatti fu così.

Dopo che le nocche le furono diventate esangui, Hanji lasciò la presa e parlò.

- Sono in linea di successione per diventare Comandante - disse con un filo di voce.

- Erwin mi ha nominata. -

L'affermazione lasciò il corvino ancora più confuso di prima. L'ipotesi che Erwin stesse considerando Hanji come suo successore girava tra i soldati già da tempo, dunque la notizia non lo stupì più di tanto. Tuttavia... non capiva perché avesse confermato la nomina proprio ora. Si trovavano in una situazione relativamente pacifica al momento: con la rinnovata legalizzazione del Corpo di Ricerca e la corona al sicuro sul capo della giovane, ma caparbia Historia.
Riflettendo su quest'ultimo pensiero, cominciò a intuire cosa ci fosse alla base della reazione di Hanji.

- È stato tremendo - gli spiegò, - Ha tenuto quel suo solito sorriso da idiota per tutto il tempo, mentre parlava come se stesse per morire. Di nuovo! -

- Ma non è così. Hanji, calmati. -

- Come gli è saltato in mente di scegliere me? Sono una frana con la burocrazia, lui lo sa. Tutti lo sanno! Non ho i nervi abbastanza saldi, ho zero capacità di persuasione, non sono carismatica, faccio terribili discorsi... sono letteralmente la scelta peggiore che potesse prendere! Perché me? Perché non te? Ti chiamano già "il soldato più forte dell'umanità"! -

- Hanji... -

La sua voce le rimbalzava contro senza raggiungerla. La cosa che più lo preoccupava era che mano a mano che Hanji andava avanti con il suo sproloquio disperato, le mani avevano ripreso a tremarle e con loro anche la voce. Vederla così gli faceva un effetto che non riusciva a spiegarsi, oltre a fargli venire un'improvvisa voglia di andare a cercare Erwin e dargli un pugno in faccia.

Con cautela le mise una mano dietro la schiena e la guidò in camera per evitare che qualcuno potesse assistere alla scena. Quando furono dentro Hanji si lasciò cadere sulla poltrona come una marionetta a cui hanno tagliato i fili.

- Erwin morirà - disse. - Erwin morirà e io sarò un pessimo Comandante. -

Levi le si inginocchiò di fronte e, con un gesto fermo ma delicato, le adagiò una mano dietro la nuca e portò la testa verso la sua spalla, in modo che potesse appoggiarvi la fronte.

- Smettila - le sussurrò tra i capelli. - Erwin non morirà, tu non prenderai mai il suo posto e andrà tutto bene. -

Cercò di mettere quanta più risolutezza possibile nelle sue parole per convincere sia Hanji che se stesso.

Non sapeva quanto si sbagliava.

Dopotutto... Erwin aveva sempre ragione.

*

Levi non riusciva a dormire.

Il che non era poi una novità visto che soffriva di insonnia da diversi anni. Il suo tempo effettivo di riposo oscillava dalle due alle tre ore di sonno, quattro se era fortunato. Quindi, teoricamente, non sarebbe riuscito a dormire a priori, nemmeno senza quel caos di urla e rumori molesti che echeggiava fuori ai corridoi. Caos in mezzo al quale era facile riconoscere la voce esaurita di Hanji.
Dopo un'altra buona mezz'ora, Levi decise di abbandonare definitivamente la poltrona su cui stava cercando di appisolarsi e di andare a controllore la situazione di persona. Si disse che lo faceva per il chiasso che lo infastidiva, ma in realtà, anche se non voleva ammetterlo, era seriamente preoccupato.

In quel periodo era difficile capire cosa passasse per la testa di Hanji.
La sua imprevedibilità aveva raggiunto livelli pericolosi: a volte dava l'impressione di volersi gettare giù da un dirupo per divertimento, altre dava l'impressione di voler prendere a testate una parete per disperazione.

Mettendo piede in corridoio incrociò uno dei diretti sottoposti di Hanji. Un giovane spigliato, dai capelli perennemente in disordine e una pazienza sconfinata. Dopo Moblit, Hanji aveva espressamente rifiutato l'idea di avere un altro assistente. Non avrebbe mai potuto instaurare con qualcun altro il rapporto di profonda amicizia e fiducia che aveva avuto con lui, ma a volte consentiva a quel ragazzo di portarle i pasti o di fare qualche piccola commissione per conto suo. Di lavorare insieme non se ne parlava neppure.

- Buonasera, Capitano Levi - gli disse il ragazzo rivolgendogli il saluto militare.

- Hanji? - chiese senza giri di parole.

- Nel suo ufficio. Ma... se mi permette, signore -  da qui proseguì abbassando gradualmemte la voce, - Io non andrei se fossi in lei. È piuttosto... - Si fermò un paio di secondi per cercare la parola più adatta. - Agitata. Più del solito. -

- Grazie, lo terrò a mente. -

Gli rivolse un cenno e lo congedò in fretta. Con il suo passo silenzioso e volce, arrivò all'ufficio del Comandante in pochi secondi.

L'ufficio tenuto da Hanji era molto diverso da quello tenuto da Erwin. Il pavimento era disseminato di libri, vecchi giornali, fogli di carta strappati o accartocciati, tazze da tè vuote e matite spezzate. C'era tanfo di chiuso, le finestre erano siggillate e le tende tirate. Probabilmente quella stanza non vedeva un raggio di luce solare da giorni.

La testa di Hanji era sotto la luce di una lampada ad olio. Se ne stava tutta curva sul bordo della sedia, con il naso schiacciato sulla distesa di pagine e pagine di appunti che coprivano la scrivania.

- Moblit! - strillò tutto ad un tratto, scattando con la testa in alto.

- Quante volte ancora devo ripetertelo, mh? Non andrò a dormire ora, scordatelo! Non ho bisogno di dormire. Dormire è per le persone che hanno un quoziente intellettivo nella norma, che non hanno abominevoli capacità analitiche fuori controllo. Non potrei mai dormire in un momento come questo. Troppi concetti da chiarificare, troppe domande ancora senza risposta, troppi pensieri, troppo... troppo. -

Levi sentì un moto di compassione nell'udire il nome con cui lo aveva chiamato. Un movimento delle labbra dettato probabilmente dall'abitudine.
Quando dopo averlo guardato meglio, lo mise a fuoco, parve tranquillizarsi leggermente.

- Ah. Sei tu - disse. - Credevo fossi... no. Nessuno. -

Il nome di Moblit aleggiava nella stanza insieme a quello di Erwin.

A volte restava ad ascoltarla parlare con il suo vecchio ritratto fuori dalla porta.

Non poteva biasimarla. Lui stesso era in una situazione simile. Stava vivendo con il peso di una scelta che tutti, Hanji compresa, non condividevano; e non c'era istante in cui non la mettesse in dubbio. In quei giorni, ogni volta che intravedeva Armin accampato davanti alle celle, gli capitava di pensare "Ti prego, diventa come lui, ti prego..."
Per poi rendersi conto di star scaricando le colpe delle sue azioni su un ragazzino che, in tutta quella storia, non aveva potuto avere nessuna parola.

- Che cosa c'è? - gli chiese Hanji con un sospiro.

La domanda lo distolse dai suoi pensieri.

- Da quanto tempo stai studiando quelle cartine? -

Non gli rispose.

- Dovresti riposare. -

- Da che pulpito la predica. -

- Hanji, per favore. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è un Comandante malato. La tua salute non è più solo la tua, adesso. -

Hanji si sollevò gli occhiali sulla testa e si portò una mano alla fronte. - Non posso riposare, Levi, non posso proprio. La discesa in quella cantina ci ha portati allo sbaraglio e ora nulla sembra avere più senso. Qualcuno deve trovare un senso a tutto questo. Io devo trovare un senso a tutto questo. Capisci? -

Come poteva non farlo?

Accasciata su quella sedia Hanji era l'immagine tipica del ferito di guerra. L'aria distrutta, il corpo pesante e un bendaggio approssimato che le copriva l'occhio sinistro. Ricordava un'Hanji molto diversa: un tale concentrato di energia che lo faceva sentire stanco solo a guardarla.
Levi capiva, ma non poteva lasciarla in quello stato.

Camminò verso di lei e le poggiò una mano sulla spalla.

- Ammazzarti di lavoro non servirà a niente - le disse, - Se tu tiri le cuoia su questa scrivania, non rimarrà più nessuno a studiare quelle carte e le famiglie non sapranno mai per che cosa hanno mandato a morire i loro figli fino ad oggi. -

Passò qualche minuto in cui Hanji si richiuse nella sua testa, poi diede un'ultimo sguardo alle carte sul tavolo e alzò la testa verso di lui.

- Sappiamo entrambi che nessuno dei due sarà in grado di dormire. Quindi... cosa proponi di fare? -

Mentre parlava si scostò i capelli dal viso. Levi aveva notato che era già la quinta volta che lo faceva. La lunga frangia che era solita portare separata ai due lati della testa era cresciuta così tanto che continuava a caderle davanti agli occhi.
Una strana idea iniziò a prendere piede nella sua testa.

- Alzati da lì Quattrocchi - ordinò.

- Pff, Quattrocchi. Forse volevi Treocchi. L'hai capita? Perché... sai, adesso ne ho uno in meno, quindi... d'accordo la smetto. -

Levi non riuscì a fare meno di sentirsi sollevato. Hanji aveva fatto una battuta. Una battuta di merda, ma pur sempre una battuta.

- Avanti, alzati. Che sembri un cane da pastore - le disse, senza dare altre spiegazioni.

Le prese per il polso e la trascinò in camera sua senza tante cerimonie.

- Siediti lì. - Le indicò uno sgabello poggiapiedi.

La bruna storse il naso. - Sono il tuo Comandante. Il minimo che dovresti fare sarebbe offrirmi la poltrona. -

- Lo schienale della poltrona mi è d'intralcio. -

Hanji fece come le era stato detto, e Levi la raggiunse poco dopo con un paio di forbici in mano, che vennero subito adocchiate in malo mado.

- Cosa? Adesso sei anche parrucchiere?-

- Zitta e ferma - disse. Le sciolse sbrigativo la coda e cominciò a districarle la chioma con le mani.

Hanji non obbiettò.
Si disse che infondo non aveva niente da perdere e che, tenendo conto del suo nuovo grado, la sua apparenza aveva un certo peso adesso. In fin dei conti Erwin era sempre stato l'emblema della perfezione, con la sua divisa impeccabile, il viso pulito e i capelli laccati. Sorpassò sulla fitta di dolore provocata da quel pensiero e si affidò alle attenzioni di Levi.
Senza volerlo iniziò ad abbandonarsi ai lenti e accorti movimenti delle dita di lui che scorrevano tra i suoi capelli. Il suono cadenzato delle forbici che tagliavano via le ciocche in eccesso era rilassante, soddisfacente quasi...
Si rese conto che avrebbe potuto restare lì per ore.

Si era instaurato un silenzio particolare tra di loro. Intimo, pensò, e la realizzazione le fece sentire caldo allo stomaco.
Ma Hanji aveva dentro di sé il bisogno perpetuo di riempire ogni tipo di silenzio; perché il silenzio era il male, era la morte e la obbligava a pensare.
Così Hanji parlò. E uccise qualunque cosa stresse crescendo nel suo stomaco in quel momento.

- Attento, eh - lo ammonì, sentendo le forbici vicino all'orecchio. - Altrimenti oltre che mezza cieca diventerò anche mezza sorda. -

Lui le pizzicò il lobo con le punte d'acciaio per dispetto, facendola sorridere un po'. Era dolce l'illusione di poter restare chiusi in quella stanza per sempre, dimenticare i libri del dottor Jaeger e far finta che il mondo fosse già finito fuori da quella porta.

- A proposito, dobbiamo anche cambiare quella benda - le disse, distraendola.

- Dobbiamo? Sei proprio sicuro di voler vedere cosa c'è sotto? Quando io l'ho visto per la prima volta volevo fare a pezzi lo specchio. -

Hanji non era una tipa facilmente impressionabile. In passato l'aveva letteralmente vista con il camice schizzato di sangue mentre - tutta fiera - reggeva in mano il molare di un gigante.
Aveva visto cose ben peggiori di un orbita insanguinata: sia come soldato che come scienziata.

- Hai visto cosa peggiori - disse Levi, esprimendo i suoi pensieri ad alta voce.

- È vero. Però ho odiato davvero quello specchio - gli rispose. - Era uno spettacolo agghiacciante. So di non essere bella, e non mi sono mai considerata tale, ma in quel momento... mi sono vista in faccia e mi sono sentita orribile.-

Levi avrebbe voluto dire che non era vero. Che era bella. Di una bellezza non convenzionale, non costruita e che catturava più occhi di quanti credesse. Che era bella anche se gli occhiali le scivolavano di continuo sul dorso pronunciato del naso, anche se vestiva quasi sempre come un uomo, anche con il corpo dilaniato da cento cicatrici e un'occhio sfregiato.

Invece l'unica cosa che riuscì a dire fu: -Tu non sei orribile, Hanji. -

Con un'esclamazione sorpresa, Hanji si girò verso di lui sfuggendo per un attimo alle forbici.

- Levi... - sussurrò a bocca aperta. -Potrebbe essere la cosa più carina che tu mi abbia detto. -

Levi si mostrò improvvisamente molto interessato alle mattonelle del pavimento.

- Ho finito, puoi alzarti - disse, cercando di liquidare la faccenda e spostare l'attenzione su altro.

- Aww, sei un timidone tenerone, Capitano Ackerman. -

- Tch. Dovevo rasarti a zero come Pixis.-

Hanji si incamminò ridacchiando verso la finestra per vedersi nel riflesso dei vetri. Non si poteva negare che Levi avesse fatto un ottimo lavoro.
In pochi minuti aveva con precisione sfoltito la frangia liberandole il campo visivo e l'aveva resa più simmetrica, il tutto lasciando intatta la lunghezza.

- Il tuo è un vero e proprio talento nascosto, Levi! Hai mai pensato di aprire un'attività? -

Non ricevendo alcuna risposta, Hanji si girò e lo vide armeggiare con garze e medicinali in un contenitore di latta.

- Ora mi fai vedere quell'occhio - esordì in un tono che non ammetteva repliche.

La bruna s'irrigidì.

- Devo... devo proprio? -

Levi colse il suo nervosismo e provò a scherzare. - Consideralo un compenso per il taglio di capelli. -

Lei non rise. Né diede alcun segno di volersi muovere da lì.

Il corvino ripose l'occorrente nella scatola e le si avvicinò con prudenza, camminando piano, come si fa davanti ad un animale selvatico per non farlo fuggire. Quando le fu a pochi centimetri di distanza, si fermò e la guardò serio.

Lasciò trascorrere qualche secondo, poi - con estrema lentezza - sollevò una mano verso il suo viso.

- No... -

La voce di Hanji le uscì fuori dalla bocca come un flebile lamento, ma la mano di Levi non deviò il suo percorso. Con le dita raggiunse l'attaccatura della benda, tirò verso il basso e, delicatamente, la fece scivolare via.

Oggettivamente parlando, la ferita era grave come gliela aveva descritta.

Grande all'incirca quanto il palmo di una mano, si estedeva fino a raggiungere la parte superiore dello zigomo sinistro.
Le traccie dell'ustione avevano reso la pelle ruvida e aggrinzita, a tratti rossastra lì dove la cicatrizzazione non era ancora avvenuta, mentre le palpebre erano cucite tra di loro da un filo da sutura ancora ben visibile.

Levi la sentì trattenere il respiro sotto il suo sguardo.

- Dì qualcosa, ti prego. -

Le sue dita idugiarono sopra la ferita senza toccarla, poi discesero a sfiorarle il lato sinistro del viso.

I loro sguardi incatenati e immobili in un limbo del tempo.

- Sono contento che tu sia viva oggi. -

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Capitolo 2
*** 2. ***


Hanji aveva la brutta abitudine di parlare sempre, anche nei momenti meno opportuni.

Parlava perfino mentre dormiva.

E parlava anche adesso. Con Levi che la sovrastava e il letto che cigolava seguendo il ritmo dei loro corpi, entrambi nel bel mezzo di un amplesso.

- "Il mare non esiste" dicevamo - esalò con voce ansimante, - E invece indovina un po'? Siamo su un isola. Ah... un'isola! Hai idea di cos'è un'isola? -

- No - soffiò lui in risposta.

- Siamo circondati dal mare. Mare a destra, mare a sinistra, mare ovunque ci giriamo... ah... mmh... T-Te ne rendi conto? -

Solitamente Levi le avrebbe ringhiato contro e si sarebbe avventato sulla quella dannatissima bocca per farla stare zitta. Ma quelli erano giorni complicati... soprattutto per Hanji.
In quei giorni i libri rinvenuti nella cantina erano stati esaminati in ogni singola parola, letti e riletti, ricontrollati da cima a fondo, e avevano portato ad una nuova valanga di verità inconcepibili che li aveva investiti tutti.

- Quel ragazzo aveva ragione - disse, artigliandogli le spalle.

- Se io fossi Armin, a quest'ora vorrei essere a correre in giro per le strade a sbattere in faccia a tutti le cartine di Grisha Jaeger. "Il mare no esiste!" Ah sì? Guarda un po' qua! Eccolo qui il tuo mare! Che non esiste! -

Mentre parlava Hanji aveva l'occhio fisso al soffitto, immersa uno stato meditativo che poco si addiceva alle circostanze, e che si portava dietro da quando era uscita dal suo ufficio affiancata dai suoi collaboratori, con la fatidica triade di libri tra le mani.

Levi le spostò i capelli umidi dalla fronte e rimase ad ascoltarla, senza cessare i suoi lenti movimenti.

- I giganti sono umani. Abbiamo ucciso umani. Ho sperimentato su umani, Levi. -

Le posizionò un braccio dietro le spalle per avvicinarla a sé.

- Erano poco più che giocattoli per me. Sciocchi topi da laboratorio... Padri o madri di famiglia. Fratelli, sorelle, amici... Magari esiste ancora qualcuno, là fuori, che sta aspettando il loro ritorno. -

L'ultima parola sfumò in un gemito quando Levi le chiuse le labbra attorno alla clavicola.
In risposta Hanji incrociò le caviglie dentro la sua schiena, per fargli anche segno che non era del tutto estraniata da quella camera da letto.

- Forse siamo davvero i demoni tremendi che ci accusano di essere. -

Qui Levi si prese la libertà di zittirla con un bacio aggressivo. La parola "demoni" gli faceva fluire il sangue al cervello; lo faceva sentire come se denigrasse tutte le loro sofferenze. Come se fossero loro i colpevoli di tutta quella storia e non le vittime.

Hanji sollevò il busto e ricambiò mordendogli una spalla.

Proseguirono così per un po', scaricando le loro tensioni l'una sul corpo dell'altro, lasciandosi impronte di lividi e graffi sulla pelle, aggiunti alle loro già numerose ferite preesistenti.

Finché lei non parlò di nuovo.

- A-Aspetta - gli disse tornando con la testa reclinata sul materasso. - Devi sentire questa... Lo sai come si chiama la nostra isola? -

- Perché? Ha un nome? -

- Già. Non immaginerai mai... -

La bruna s'interuppe di nuovo nel bel mezzo della frase, distratta dal familiare formicolio che aveva comiciato a crescerle all'altezza dell'addome.

- Il mondo così come lo conoscevamo è una bugia. È quasi come la rivoluzione copernicana. Vedi, in passato c'era questo tizio, Copernico, che... -

- Non divagare. Come si chiama? -

- C-Cosa? -

- L'isola. Qual'è il nome? -

Hanji era divisa tra lo sforzo per riprendere il filo del discorso e l'impellente desiderio di rilasciare il piacere accumulatosi nel bassoventre.
E a giudicare dal respiro di Levi, anche lui era nella stessa situazione.

- Hanji - provò a richiamarla.

- Mmh... -

- Ti ricordo - le parlò con voce roca all'orecchio, - che sono stato a sorbirmi le tue argomentazioni per due ore. Ora non puoi semplicemente lasciare il tutto in sospeso. -

- Preferiresti che lasciassi in sospeso qualcos'altro? - fu la sua risposta sfacciata.

Accompagnò quelle parole con una rotazione provocante dei fianchi.

Levi non sapeva se essere divertito o infastidito, comunque concordava sul fatto che la cosa si stava protraendo un po' troppo. Erano entrambi così vicini al limite che portare avanti un dialogo sensato in quelle condizioni era diventato impossibile.
Senza preavviso incrementò l'intensità delle spinte procurando una serie di reazioni vocali da parte di Hanji, alla quale bastarono pochi secondi per inarcare la schiena verso l'alto e abbandonarsi al rilascio. Levi si ubriacò dell'estasi nella sua voce e la seguì subito dopo, con un gemito gutturale sfuggito dal profondo della gola.

Collassò su di lei, sentendo le ossa affilate del suo bacino scavargli lo stomaco sotto il suo peso.
Mentre si prendeva del tempo per ristabilizzare il respiro, Hanji aveva già ricominciato a dare fiato alla bocca.

Tra un ansito e l'altro Levi riuscì a distinguere la parola "Paradis".

Paradis.

Il corvino spalancò gli occhi per l'incredulità. Si spostò di lato sul materasso e guardò Hanji con espressione seria.

- Cosa hai detto? -

- Paradis - ripeté, - Si chiama così. È il nome della nostra isola. -

- Paradis? -

- Paradis! Che c'è, non ci senti? -

- Abbiamo vissuto per anni in un luogo che credevamo essere un inferno... e la nostra isola si chiama Paradis? -

Hanji si girò su un fianco.
- Te lo dico io Levi - cominciò, raddrizzandosi gli occhiali sul naso, - Lì sopra c'è qualcuno a cui stiamo antipatici. Qualcuno di annoiato, che si sente particolarmente simpatico, che ci sta facendo questi brutti scherzi e ora se la sta spassando alla grande. -

Per una volta Levi non potè che concordare con lei. Era come se tutte le forze dell'universo si fossero improvvisamente unite contro di loro. Non si sarebbe stupito se il mattino seguente qualcuno gli avesse detto che il globo aveva cominciato a girare al contrario.

- Levi? - Hanji aprì le braccia verso di lui. - Vieni qui. -

Levi le venne incontro trovando posto con la tempia sul suo sterno.

- Siamo tutto ciò che ci rimane, adesso - gli disse.

- Sì. -

- Dobbiamo tenerci stretti. -

- Sì... -

- Sono contenta che tu sia vivo oggi. -

Levi la strinse forte.

- Anch'io. -

*

- Ricordami di nuovo perché siamo qui- sospirò spazientito Levi, mentre seguiva Hanji per le scale dei dormitori.

La risposta risoluta che ricevette fu la stessa che lo aveva lasciato sconcertato mezz'ora prima.

- Perché voglio dar loro la buonanotte. -

Quasi a voler dar prova dell'inequivocabilità della sua decisione, la bruna accelerò il passo, costringendolo a fare lo stesso.

- Hanji, noi non siamo i loro tutori, siamo i loro superiori. E loro non hanno cinque anni! -

- Hai ragione. -

Hanji si fermò sul pianerottolo.

- Non siamo i loro tutori e loro non hanno cinque anni. Ma sono giovani: più giovani di quanto ci fa comodo ricordare. Sono confusi e frastornati tanto quanto noi e hanno bisogno di un contatto umano. Quindi, se posso fare qualcosa per loro come augurargli la buonanotte, allora andrò ad auguragli la buonanotte! -

Levi meditò se dire qualcosa. Alla fine decretò che non c'era niente da dire e si accodò al suo Comandante, che aveva già ripreso a salire le scale.

- Inoltre - gridò dal piano di sopra, - questa non è una notte qualsiasi. Lo sai perché? -

Il corvino rimase in silenzio, sicuro che si sarebbe risposta da sola.

- Perché domani si va a vedere il mare!-

Già, pensò.

Il giorno dopo il Capitano Ackerman, il Comandante Zoë e gli ultimi membri del 104esimo Corpo cadetti sarebbero partiti in esplorazione ai confini dell'isola e - se le cartine del dottor Jaeger erano esatte - avrebbero visto il mare con i loro occhi.
La notizia aveva contribuito a risollevare l'atmosfera generale e a rendere i ragazzi più partecipativi.
Lo stesso era accaduto per Hanji. La missione aveva riacceso il lei quella brama di scoperta e quell'entusiasmo che gli eventi della ripresa di Shingashina avevano soppresso.
Levi era lieto di vederla di nuovo così, anche se ciò voleva dire andare ad augurare la buonanotte a quei mocciosi.

Dopo un'altra rampa di scale Levi raggiunse Hanji sul piano dove i ragazzi della loro squadra avrebbero trascorso la notte. Il chiacchiericcio sommesso che trapelava nel corridoio faceva intuire che fossero tutti ancora svegli.

- Allora. Prima dai ragazzi o dalle ragazze? -

- Prima i maschi - scelse Levi. -Togliamoci questo dente. -

Hanji approvò e avanzò verso la prima porta sulla destra, poi alzò una mano e fece la sua classica bussata.
Ci fu un momentaneo accavallarsi di voci all'interno, finché non si udì qualcuno gridare "Avanti".

La bruna spinse la porta ed entrò in tutta tranquillità.

Nonostante i ragazzi fossero tutti in tenuta da notte, li trovarono - come c'era da aspettarsi- ancora in piedi.
Armin era palesemente quello più sveglio di tutti: camminava in giro per la stanza, gesticolava animatamente e parlava con un assonnato Jean, che aveva l'aria di chi non ne poteva più di starlo a sentire.
Connie osservava la scena e se la rideva. Di tanto in tanto si divertiva a fare qualche domanda al biondo solo per allungare il brodo apposta, e godersi la faccia sempre più disperata dell'amico.
L'unico ad essere di fatto nel letto era Eren. Stava in posizione supina e fissava il nulla, lasciandosi scivolare addosso le parole dei compagni. Silenzioso e distaccato, immerso fino alla testa nei suoi pensieri, come accadeva spesso ultimamente. Quel suo atteggiamento un po' preoccupava Hanji, ma allo stesso tempo avrebbe pagato per anche uno solo dei suoi pensieri. Conosceva quello sguardo ed era sicura che qualunque cosa stesse passando per la testa di quel ragazzo fosse qualcosa di grosso.

Un tocco di Levi sulla spalla le ricordò che, per quanto avrebbe voluto strappare Eren dal letto, portarlo nel suo ufficio e costringerlo a vuotare il sacco, non era quello il motivo per cui era lì.

Non ora, si disse. Non questa sera.

Ringraziò Levi con un sorriso e si schiarì la voce per attirare l'attenzione. I ragazzi sollevarono confusamente le teste verso di lei e, non appena la riconobbero, si sbrigarono a scattare sull'attenti e a portarsi la mano sul cuore.

Hanji guardò divertita Connie, che stava cercando di sistemarsi la maglia nei pantaloni con la mano libera.

- Forse avresti dovuto annunciarti prima - le fece notare Levi.

- Be', loro avrebbero dovuto chiedere "Chi è?" - gli sussurrò di rimando. - Okay, non importa... -

Parlando ai ragazzi disse: - Riposo. Per favore, state comodi. -

- È per caso successo qualcosa Comandante? - domandò allertato Jean.

- Un'emergenza? -

- Cambiamenti nel programma di domani? -

- Dobbiamo rivestirci? -

Hanji protese la mani e fece segno di calmarsi. - No, no, niente di tutto questo. Sono solo venuta per vedere come state. -

- Oh. -

Calò un silenzio imbarazzante.
Levi si coprì gli occhi con una mano.

- Dunque - riprese allegra Hanji, - Come state? -

Ci fu un rapido scambio di sguardi, poi Jean prese parola.

- In tutta sincerità Comandante, abbiamo visto tempi migliori. -

Il sorriso di Hanji si smorzò in un'espressione di ameraggiata consapevolezza.

- Certo... capisco. -

Doveva improvvisare. Era brava a improvvisare, perché diavolo era così tesa? Dov'era finita tutta la sicurezza di poco fa?
Si girò a guardare Levi con la coda dell'occhio. Era ancora accanto a lei. Con lo sguardo la invitava a continuare.
Hanji diede un colpo di tosse preparatorio, dopodiché si voltò per fronteggiare di nuovo il suo piccolo pubblico.

- Sentite - cominciò, - so che è stata dura per tutti in questi tempi. Quando siamo partiti tutti baldanzosi alla riconquista di Shingashina, nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare la piega che avrebbero preso le nostre vite. Da allora abbiamo tutti, nessuno escluso, perso molto di più di quanto abbiamo guadagnato; alcuni di noi hanno perfino guadagnato qualcosa che non avrebbero mai voluto. -

Il suo sguardo andò intenzionalmente ad Armin. La sua mano invece strinse il ciondolo di giada che portava al collo.

- Vorrei poter dire che le cose andranno meglio, ma... non lo so. -

Prese un bel respiro e poi riprese.

- La verità è che ci sono ancora molte cose che non sappiamo. Ma domani... domani sarà un nuovo, piccolo, importante passo. Domani, per una volta, noi esseri umani... anzi - ,si corresse, - noi eldiani, oltrepasseremo le Mura in un modo del tutto diverso, mentale, e porteremo un piede avanti, sulla spiaggia, magari! Ed è un po' grazie ad ognuno di voi che siamo arrivati fin qui. Dunque: grazie - disse, - Grazie per essere rimasti. -

Distese le dita delle mani e le infilò nelle tasche verdi del completo da ufficiale.

- Tutto qui. -

Non ci furono risposte, né commenti. Ma ognuno di loro chiuse la mano destra a pungo e la strinse sul cuore.

E ciò valse più di qualunque cosa avrebbero potuto dire.

Li guardò uno ad uno, poi si soffermò sul giovane Arlert per ultimo.

- Ehi, Armin. -

- Sissignora! - rispose prontamente.

- Come ti senti? -

- Un po' emozionato. -

Un po' ? - borbottò Jean, abbastanza forte da farsi sentire.

Armin non ci badò.

- Non so se riuscirò a dormire stanotte - ammise.

A quel punto Jean non si fece più problemi a protestare apertamente. - Oh no, bello mio, tu stanotte ti tappi la bocca e dormi, chiaro? Altrimenti prendo una spranga e ti faccio dormire io! -

Hanji rise di gusto. - Ha ragione! Domani ci aspettano molte ore di viaggio. Fossi in voi porterei anche un cuscino per la sella, non so se mi spiego. -

- D'accordo, può bastare - decretò Levi, tirandola per la giacca prima che facesse altri commenti del genere.

- Ehi... no! Aspetta! Non ho detto la cosa più importante. -

Si liberò dalla stretta del corvino e guardò un'ultima volta i ragazzi.

- Buonanotte a tutti. Riposate bene - disse finalmente.

Ci fu un coro disordinato di "buonanotte anche a lei" da parte di tutti. Tutti tranne Eren, che sembrava trovarsi con la mente miglia e miglia lontano da lì.

- Eren - lo chiamò.

Quest'ultimo alzò gli occhi verdi e infossati versi di lei. Il contatto visivo le provocò una strisciante sensazione di inquietudine, come se un serpente le si stesse arrampicando lungo la spina dorsale. Levi poteva dire quello voleva, ma per lei ciò che stava accadendo a Eren non aveva niente a che fare con una banale crisi adolescenziale.

Non stasera, rammendò a se stessa.

Lo guardò e gli sorrise, esattamente come aveva fatto con gli altri tre.

- Buonanotte - gli disse.

Lui la fissò intensamente per un lasso breve, successivamente abbassò il mento e le rispose con un muto cenno del capo.

Hanji ricambiò e si voltò per lasciare definitivamente la camera.

La stanza delle ragazze era decisamente più silenziosa e - notò Hanji con una nota di dispiacere - meno affollata. Quasi vuota, in realtà.

Mikasa era ancora vestita di tutto punto con la divisa ed era impegnata a sistemare gli abiti per il giorno dopo su una sedia, sia suoi che di Sasha. Questa invece era rannicchiata comodamente sotto le coperte, intenta a mangiare qualcosa che probabilmente non avrebbe dovuto, e che si sbrigò a nascondere sotto il cuscino al suo ingresso.

Questa volta Levi rimase qualche metro distante dalla soglia per discrezione. Ascoltò Hanji ripetere per sommi capi lo stesso discorso di prima, con l'unica eccezione di lasciarsi andare a dei piccoli gesti fisici. La vide accarezzare gentilmente un braccio a Mikasa e scompigliare giocosamente i capelli a Sasha.

- Vi auguro la buonanotte e i migliori sogni possibili - disse, prima di chiudersi anche la seconda porta alle spalle.

Solo quando furono entrambi soli in corridoio la vide rilassare la postura.

- Grazie per avermi accompagnata - gli disse mentre scendevano le scale.

- Non l'ho fatto senza compenso, sappilo. -

Hanji atterrò sul pianerottolo e si girò a guardarlo con un misto di sorpresa e interesse. - Oh, ma davvero? - domandò ammiccante. - Non dirmi che vuoi anche tu il bacio della buonanotte? -

Levi la guardò, immobile e statuario sulle scale, con il viso imperscrutabile.

Per poi esordire con un aulico: - Vaffanculo Hanji. -

*

- È straordinario - sussurrò senza fiato, ammirando le onde del mare infrangersi sulla scogliera.

Lo sguardo che risplendeva estasiato.

- Non riesco a smettere di guardarlo. -

La cosa più assurda era che invece lui non riusciva a smettere di guardare lei.

*

Poche cose spaventavano sul serio Hanji Zoë. Prima fra tutte l'ignoranza, poi il silenzio, a seguire l'oscurità... e infine la morte.

Non la sua.

- A-Andrà tutto bene, Levi... tranquillo. Sono qui, ci sono. So... so cucire, lo facevo da bambina. Ci sono. -

Il panno rosso di sangue tamponava il suo viso, e Hanji sentiva il dolore di quegli squarci come se fossero i propri.
E aveva paura.

- Ehi, d-dammi un segno che sei ancora qui anche tu. Sbatti gli occhi se mi senti, anzi no... non è una buona idea - sussurrò esaminando le condizioni poco rassicuranti dell'occhio destro.

In quel momento Hanji avrebbe tanto voluto essere un medico. Pensò che in teoria avrebbe potuto esserlo, si trattava sempre di scienza dopotutto... Se avesse impiegato maggiormente il suo tempo e le sue energie nello studio approfondito dell'anatomia umana invece che di quella dei giganti, forse avrebbe potuto fare del bene a molte più persone.

- Sai cosa? Non muovere niente, sta fermo. Solo... continua a respirare, okay?-

Gli controllò il polso per l'ennesima volta. Le pulsazioni erano deboli.

Aveva paura.

- Sta fermo. Non ti muovere, eh. Non ti muovere... non muoverti. -

Le mani le tremavano.

- Non muoverti, dannazione, non muoverti... - sussurrò.

L'ago minacciava di scapparle dalla mano sudata da un momento all'altro.

- F-Farà un po' male - lo avvertì. Anche se probabilmente aveva perso i sensi e non poteva sentirla. Visto quello che si stava apprestando a fare, sperava davvero fosse così.

Sentì le ossa delle dita scoccare attorno alla presa.

C'era troppo silenzio: aveva bisogno di parlare. Sì... parlare l'avrebbe aiutata. Aveva bisogno di concentrarsi su altro, qualcosa che le tenesse la mente ancorata alla ragione.

- Sai - cominciò, - la prima volta che ho fatto una cosa del genere avevo nove anni. -

Funzionò. Le sue mani erano ferme, svelte e lavoravano autonomamente come una macchina; come se non facessero parte del resto del corpo.

- A quei tempi mi facevo male spesso: ruzzolavo, inciampavo e cadevo su ostacoli che non riuscivo a mettere a fuoco. La mia miopia era piuttosto avanzata, ma i miei genitori non avevano un granché di soldi, e non volevano spendere per un paio di occhiali.
Un giorno un teppistello mi fece lo sgambetto e io caddi con un ginocchio dritto, dritto su una mezza bottiglia di vetro rotta. Lì per lì andai nel panico, non tanto per la scheggia di vetro che mi spuntava dal ginocchio, quanto per quello che mi aspettava a casa se mi fossi presentata in quel modo.

Così pensai bene di provvedere da sola. Chiesi in prestito un ago e un rocchetto a una vecchia signora, mi sedetti su un muretto, estrassi la scheggia con le unghie e mi ricucii il taglio da me. Faceva un male cane, ma non mi fermai o persi la concentrazione nemmeno per un secondo, anzi, più andavo avanti più ci prendevo gusto, addirittura. Ne uscì una bella sutura sgangherata, con più punti del necessario e color verde pistacchio.
Inutile dire che non avevo neanche sciacquato il taglio e che si infettò dopo meno di un giorno... Però ero così orgogliosa del mio operato che non appena arrivai a casa corsi a farlo vedere ai miei. Dissi una cosa del tipo "Visto che brava? Ho fatto il danno e l'ho aggiustato da sola."

Mio padre mi guardò come se fossi l'incarnazione del demonio, mentre secondo me mia madre era più orripilata dal fatto che avessi cucito in modo così obbrobbrioso, piuttosto che dalla ferita in sé.
Alla fine della giornata la sgridata la presi comunque, perché - come ho già detto- la ferita si era infettata e dovettero pagare un medico. -

Giunta sulla sommità della fronte, Hanji distese l'ultimo tratto di filo e tagliò.
Si allontanò per esaminare il risultato.

- Comunque, non volermene, ma credo che il tuo occhio destro sia andato - disse mentre si sfilava il mantello e lo stendeva con attenzione sul torso nudo di lui.

- Ecco fatto. Niente più sangue... - esalò.

Si asciugò la fronte con un braccio e crollò a terra accanto a lui, lasciando che il suo corpo scaricasse tutta la tensione degli ultimi minuti. Era stremata e i suoi arti erano dolorosamente freddi. Il vento tra le foglie le sussurra all'orecchio una nenia soporifera.
Sentiva che avrebbe potuto morire dalla stanchezza, ma forzò immediatamente le palpebre aperte quando percepì l'ombra di un un movimento alla sua sinistra.

Levi aveva la testa girata verso di lei e gli occhi semiaperti.

- ... Levi? -

Hanji si alzò sui gomiti e si trascinò più vicina a lui.

- Sei sveglio - constatò, e una lacrima di sollievo le sfuggì dall'occhio sano.

- Soldato più forte dei miei stivali! M-Mi sei quasi morto adosso... -

Sollevò un braccio sul suo torace e lo tirò in un goffo, debole abbraccio.

Lo vide dischiudere le labbra e gonfiare il petto d'aria.

- Non parlare - lo ammonì, - ti sanguina la bocca se lo fai. -

Levi chiuse gli occhi e la bocca, e per una attimo Hanji pensò che fosse ricaduto nel sonno. Ma poi lo sentì struggersi in mugolii spezzati nello sforzo di pronunciare le parole.

- No, no, no! Hai sentito quello che ho detto? - ribadì ansiosa.

- Ma... -

- Cosa? Cosa c'è? -

- Ma... dre. -

Hanji trasalì.

- Madre... grazie. -

Restò ferma. Pietrificata. Ad ascoltare le fievoli parole che uscivano dalle sue labbra.

- I... sabel, Farlan... mi dispiace. -

Non sapeva come comportarsi. Levi stava chiaramente delirando, eppure si sentiva inspiegabilmente colpevole a stare lì ad ascoltarlo. Si sentiva come se non avesse dovuto trovarsi lì; come se l'universo l'avesse messa nel posto sbagliato.

- Petra... mi dispiace. -

Hanji strinse i denti e decise, dato che non poteva sentire la sua voce, di offrirgli conforto nell'unico altro modo possibile. Lentamente spostò una mano verso il basso per trovare quella destra di lui, aggirò le dita mozzate e distese il palmo contro il suo, scorrendo il pollice sul dorso. Mentre quella lista di nomi andava avanti come una litania.

- Erwin... mi dispiace. -

Un istante di silenzio seguì l'ultimo nome, poi all'improvviso uno spasmo percorse la mano di Levi e Hanji lo sentì parlare di nuovo.

- Han... ji. -

- Sono qui - gli sussurrò.

- Grazie. -

- Sì - un sorriso le stirò le labbra, - sono contenta che tu sia... -

- Ti amo. -

Il respiro le si mozzò in gola.

Grazie.

Avrebbe potuto fermarsi al grazie e nulla sarebbe successo, nulla sarebbe cambiato. Ma non lo aveva fatto. Non lo aveva fatto e questo cambiava tutto.
Hanji si rimproverò. Si diede della stupida, ricordandosi che stava delirando; che con ogni probabilità non intendeva davvero quello aveva detto. Eppure... Levi la stava guardando. L'occhio destro dall'iride lattea e sbiadita - lacrimante per lo sforzo di tenerlo aperto - e l'occhio sinistro, del suo consueto azzurro metallico, erano entrambi aperti e fissi su di lei. E tradivano una lucidità innegabile.

- Ti amo... Hanji - disse di nuovo.

E per un istante Hanji ebbe la presunzione di pensare di trovarsi, in realtà, nel posto giusto. Pensò che fosse proprio quello il suo posto giusto, a fianco a lui.
Per un istante si lasciò andare: sollevò la testa, si curvò su di lui e poggiò le labbra sulle sue.
Sentiva i punti di sutura premere contro il labbro inferiore, e la pressione, seppur lieve, causò una fuoriuscita di sangue.
Hanji inumidì la zona lesa con la lingua per raccoglierne le traccie, sentendo il sapore metallico invaderle la bocca.

- Quindi adesso possiamo chiamare le cose con il loro nome? - gli sussurrò scostandosi dal suo volto.

Tuttavia Levi aveva già richiuso gli occhi, perdendo di nuovo conoscenza e abbandonando le sue parole nel silenzio della foresta.

Hanji sospirò stancamente. Si rimboccò le maniche e cominciò con cura ad avvolgergli le bende intorno al capo.
Quando ebbe finito si issò a sedere e avvicinò il fucile al suo fianco, preparandosi a vegliare per la notte. Non poteva cedere alla stanchezza, dunque decise che avrebbe analizzato logicamente la situazione ad alta voce per mantenersi operativa.

- Sei l'unico sopravvissuto. Questo vuol dire che tutti gli altri sono stati trasformati - iniziò. - È perché sei un Ackerman, non è vero? -

La testa le pulsava e fu costretta ad appoggiarla sulle ginocchia.

- Che cosa facciamo adesso? Da soli non abbiamo possibilità di fermare Zeke, tutto ciò che possiamo fare è sperare in Armin o nel Comandante Pixis - constatò, - Anche se Eren avesse tradito Zeke, gli Jaegeristi potrebbero usare il fluido spinale per prendere il controllo dell'isola, e a noi non resterà che fare i fuggitivi per tutta la vita. -

Si fermò a riflettere su quest'ultima possibilità.

- Nonostante si è sempre creduto di fare la cosa giusta, all'improvviso le cose cambiano e... i giusti si ritrovano chiusi in cella. -

Girò la testa sulle ginocchia per osservare il modo rassicurante in cui il petto di Levi si sollevava e abbassava.

- Forse dovremmo semplicemente lasciare tutto e vivere qui insieme... che ne dici, Levi? -

Nel momento esatto in cui la proposta lasciò le sue labbra, Hanji capì che c'era in essa qualcosa di tremendamente sbagliato. Perché qualcuno... qualcosa stava chiamando il suo nome. La voce trascendeva la terra e l'aria e rimbombava sinistra nella sua testa.

Ma era ancora troppo presto per sapere bene cosa fosse.

*

L'ansia dilagava tra i membri del loro gruppo assortito riuniti sul porto, tra vecchi e nuovi compagni.

Si controllavano le attrezzature e ci si scambiavano dubbi e preoccupazioni riguardo l'esito di quella che tutti speravano essere l'ultima battaglia.
Hanji aveva distribuito pacche sulle spalle e incoraggiamenti e scherzato con Pieck.
Il tutto con un luminoso sorriso forzato sulle labbra.

Sentiva che era ora.

Se lo sentiva addosso come una malattia, fin dentro le ossa, in ogni suo respiro, in ogni singola contrazione del suo cuore ancora battente.
Il suo essere era calamitato da una forza incontrastabile, infinitamente più grande di lei, verso un percorso pretracciato.

Il che aveva condotto ad una nuova, aspra presa di coscienza: non era mai stata libera.

Ironico, visto che aveva passato quasi tutta la sua vita con lo stemma delle ali della libertà sulla schiena.
Le tornò in mente la prima reazione di Levi riguardo al nome di Paradis per la loro isola, e pensò che tutta la loro storia poteva considerarsi un'ironia.

Tuttavia, riflettè, nulla le impediva di smettere di respirare in quel preciso momento; di afferrarsi la gola con le mani e soffocarsi da sola. Aveva ancora possibilità di scelta nel presente. Forse non poteva cambiare ciò che aveva davanti, ma poteva ancora fermarsi, puntare i piedi a terra e rifiutarsi di proseguire.

Poteva. Ma non voleva.

Ed era quella per lei la differenza che contava davvero.

La sensazione si stava facendo più forte. Era questione di ore ormai, forse addirittura di minuti.

La stava chiamando.

E quando la morte ti chiama, Hanji, tu rispondi:

- Shinzo wo Sasageyo... - sussurrò a se stessa.

Non era la sua morte quella che temeva.

*

Il boato della Marcia scuoteva la terra.

La mano di Levi era stretta sul nodo del mantello di Hanji, all'altezza del suo cuore.

- Shinzo wo Sasageyo. -

Offri il tuo cuore.

Sì.

- È la prima volta che te lo sento dire! -

Sapevano entrambi che sarebbe stata anche l'ultima.

*

C'era rumore fuori.

Le grida e i pianti dei ragazzi si univano al fracasso del motore dell'idrovolante.

Le gambe di Levi erano troppo deboli per reggerlo in piedi a lungo, così se ne stava seduto in disparte.

C'era rumore fuori, ma dentro di lui regnava il silenzio.

La sua anima sanguinava e faceva male. Faceva così male...
Il dolore lo dilaniava, lo straziava, gli strappava le pareti del cuore e con il suo pungiglione iniettava veleno in ciò rimaneva.

Eppure Levi sapeva che era giusto così, che le cose non sarebbero potute, né dovute andare in modo diverso.

Era tutto perfettamente giusto, e allo stesso tempo così sbagliato.

La sua risata, le sfumature dell'iride, l'odore della sua pelle, gli spigoli delle sue ossa, le increspature delle sue cicatrici, il modo in cui i loro corpi inospitali trovavano sempre il modo di combaciare, come se fossero da sempre complementari...
Era tutto ancora lì, impresso nei suoi sensi.

Probabilmente il tempo gli avrebbe portato via anche quello e lui avrebbe dimenticato.

Con questi pensieri, Levi si ritrovò, per la prima volta, a volere, pretendere, e non solo sperare, che esistesse un dopo.
Perché il pensiero che l'esistenza di Hanji fosse stata semplicemente cancellata da ogni luogo e ogni tempo, gli pareva inaccettabile. Così come il pensiero che non ci fosse alcun modo per poterla vedere di nuovo.

Quindi decise di non dirle addio.
Decise, piuttosto, di lasciarle un saluto e una promessa.

- Ci vediamo... Hanji. -

*

- Ci vediamo... Hanji. -

- Dio, no! Spero proprio di non vederti per ancora molto, molto tempo.
Spero di non vederti fino a quando non avrai almeno tutti i capelli striati di grigio e di bianco.

Spero invece che tu veda la fine di questa guerra.

Spero che tu veda quei ragazzi crescere e diventare adulti.

Spero che ci sia qualcuno a tenerti compagnia nella tua vecchiaia, e che tu non ti senta solo neanche per un secondo della tua vita.

Spero questo e molto altro per te.

Ti amo, Levi.

Ma per il momento...

Sono semplicemente contenta che tu sia vivo oggi. -

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