La principessa del mondo fluttuante

di Nao Yoshikawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***



La principessa del mondo fluttuante

Parte Prima
 
Rangiku era la geisha più bella e richiesta dell’okiya e per Orihime era un onore poter essere la sua sorella minore. Oramai era una maiko a tutti gli effetti e doveva ammettere di essere nervosa. Aveva studiato a lungo, si era esercitata con lo shamisen fino a farsi indolenzite le dita, aveva danzato fino a sentire i muscoli bruciare. Si era abituata pian piano al pesante kimono e all’obi che doveva trascinarsi dietro, aveva imparato a conversare, intrattenere, a servire il tè, a essere piacevole, educata, desiderabile. Ma doveva imparare ancora se voleva sperare di diventare una geisha come Rangiku. Ed era questo ciò a cui Orihime mirava. Quando uscivano dall’okiya, tutti gli uomini si voltavano a guardare la sua onee-san.
Un giorno, forse, avrebbero guardato anche lei.
Quella sera di giugno, Orihime avrebbe accompagnato Rangiku ad un ricevimento e la okaa-san Yoruichi le stava facendo le ennesime raccomandazioni.
«Non dimenticare tutto quello che hai imparato. Una ragazza della tua bellezza è promettente» le disse, dando gli ultimi ritocchi alla sua elaborata acconciatura.
Per l’occasione, Orihime indossava un kimono rosso dai ricami dorati, il trucco abbondava sul viso e le labbra erano scarlatte.
«Non preoccuparti per lei, andrà benissimo. E poi ci divertiremo anche, non è vero?» domandò Rangiku allegra. Alle volte Yoruichi le rimproverava di essere troppo esuberante, ma capiva anche che il fascino di quella geisha era molto particolare.
«S-sono pronta» gemette Orihime, del tutto estranea ai loro discorsi.
Avrebbe dovuto intrattenere degli uomini e quando si aveva un’indole timida come la sua non era facile. Ma non voleva deludere né Yoruichi, né la sua onee-san.
 
Lì all’okiya c’erano altre ragazze con cui andava d’accordo, ma Rangiku era l’unica con cui avesse stabilito un vero rapporto di amicizia. Non era raro che si creassero rivalità all’interno dello stesso okiya, per questo Orihime si riteneva fortunata. Rangiku era arrivata lì che era anche più giovane di lei e solo dopo anni di duro lavoro, impegno e fatica era riuscita a guadagnarsi il titolo di una delle geishe più ambite di Kyoto.
Il nostro è un mondo crudele, le ripeteva sempre, devi stare attenta a fidarti, troveresti facilmente qualcuno in grado di tradirti.
Quella sera però le aveva parlato di argomenti più piacevoli. Rangiku era stata richiesta ad una festa esclusiva a cui avrebbero partecipato degli artisti, pittori e musicisti. Un’occasione perfetta per il debutto di Orihime, la quale si era aggrappata al suo kimono.
«Nee-san, aspetta. Credo di non riuscire neanche a respirare.»
«L’obi è troppo stretto?» domandò Rangiku, ma lei scosse la testa.
«E se dovessi sbagliare qualcosa? Non so se sopporterei la vergogna» ammise.
Yoruichi l’avrebbe rimproverata dicendo che una geisha non doveva mai e in nessun caso dimostrare insicurezza. Rangiku invece aveva un approccio più dolce.
«Ti sei impegnata così tanto. E poi, anche se sbagliassi, sono certa che sapresti uscirne a testa alta.»
L’afferrò per un braccio e si inoltrarono verso un sentiero illuminato dalle lanterne. Poiché faceva già molto caldo, il party si sarebbe tenuto all’esterno. Orihime poteva sentire le cicale, il chiacchiericcio delle persone in sottofondo. C’erano soprattutto uomini, vestiti all’occidentale. E geishe di altri okiya. Riconobbe Rukia, una maiko come lei, coprirsi il viso con un ventaglio mentre parlava con un uomo.
«Andiamo, Orihime. Vieni di qua. Devo presentarti una persona molto speciale per me» trillò entusiasta come una bambina.
La maiko le andò dietro, cercando di non cadere. Si stava dirigendo verso un gruppo di uomini.
Doveva solo respirare, tutto sarebbe andato bene.
Rangiku si avvicinò, assumendo un’espressione sensuale e sfacciata.
«Gin»
Gin Ichimaru. Orihime lo conosceva per fama, le era capitato di vederlo qualche volta, in quanto danna[1] di Rangiku, ma non ci aveva mai parlato. Era stato lui ad avere la verginità di Rangiku, qualche anno prima, quando si era sottoposta al rito del mizuage.[2]
Era davvero un uomo strano, pensò Orihime. Aveva gli occhi sottili e chissà perché gli ricordava un rettile.
«Rangiku. Non è una vera festa senza di te» le sussurrò e dal modo in cui si parlavano e guardavano, Orihime non poté che provare stupore. Lei sapeva poco, pochissimo, sul sesso e sull’amore. Ma certe cose si sentivano sulla propria pelle.
«Lei è Orihime, la mia sorella minore, una maiko» Rangiku le diede un colpetto sulla schiena e Orihime si risvegliò dai suoi pensieri. Arrossì e fece un cenno con il capo.
«Povera piccola bambina, non essere impaurita, qui nessuno vuole metterti a disagio. Ma immagino che questo Rangiku te l’abbia già detto» disse Gin, aveva un modo di parlare che quasi incantava. «Nemmeno io sono qui da solo. Lasciate che vi presenti alcuni miei stimati amici e colleghi.»
In seguito, Rangiku spiegò a Orihime che Gin era uno scrittore proveniente da una famiglia facoltosa. I suoi libri avevano avuto molto più successo in America, dove tornava ogni tanto. Gli amici di Gin erano Ichigo Kurosaki, in cui Orihime riconobbe l’uomo che Rukia stava intrattenendo, e poi un giovane pittore dallo sguardo malinconico.
Capì subito che non poteva essere di origine giapponese per via dei suoi occhi verdi che, quando la scrutarono per la prima volta, la fecero arrossire.
Dopo i vari convenevoli e le presentazioni, si sedettero ad uno dei tavoli. Orihime servì il sakè senza versarlo fuori dai bicchieri. Ma Ulquiorra (questa era il nome del pittore) non bevve.
Evitava di guardarlo, sapeva che altrimenti avrebbe rischiato di far cadere qualcosa e questo non poteva permetterlo.
«È la prima volta che Ulquiorra vede una geisha» esordì Gin.
«Ma non mi dica, siamo le prime? Questo ci onora» sorrise Rangiku. «E le geishe sono come si aspettava?»
Ulquiorra sollevò lo sguardo. Era schivo e serioso, ma sembrava educato.
«A dire il vero sono meglio di quanto pensassi. Meglio che nei dipinti o nei libri, comunque.»
Orihime sorrise, si sentiva piacevolmente incuriosita da quello straniero. Intuendo ciò, Rangiku decise di darle una mano.
«Sa, Orihime è una maiko molto promettente. Ancora qualche anno e magari diventerà anche più famosa di me.»
La ragazza arrossì. Era lì per intrattenere, non per starsene in silenzio come una sciocca.
«Io faccio solo del mio meglio» disse umilmente.
«Ma se nessuno suona lo shamisen come te. Perché non ci fai sentire?»
Orihime gemette, socchiudendo gli occhi. Sarebbe stato scortese rifiutare, così prese lo shamisen che aveva messo da parte. Non era un problema avere tutte le attenzioni addosso, il compito delle geishe era anche quello. Ma voleva evitare di incontrare lo sguardo di Ulquiorra. Tenendo lo sguardo basso, iniziò a muovere le dita sulle corde e a suonare con concentrazione. Le ci erano voluti anni per imparare e ancora era lontana dalla perfezione. Tuttavia, quella sera le avrebbero soltanto rivolto dei complimenti.
«Incantevole» commentò Gin. Orihime sorrise.
«La ringrazio» rispose la ragazza, con una rinnovata sicurezza che la portò a conversare con più fluidità. Decise che avrebbe provato a parlare con Ulquiorra, ma le risultò difficile. Lui non chiacchierava molto e rispondeva in modo serrato, forse non era interessato. In effetti sembrava perso in un mondo invisibile che nessun altro avrebbe potuto vedere. Giusto, lui era un artista. E lei era una maiko che un giorno sarebbe diventata geisha. L’arte era nel suo nome, l’arte l’aveva studiata per anni con grande sforzo. Era su questo che doveva puntare.
«Mi piacerebbe molto vedere i suoi quadri» disse mentre gli serviva del saké, poiché alla fine Ulquiorra aveva bevuto. «Cosa dipinge?»
Lui alzò lo sguardo su di lei.
«Soprattutto paesaggi. È per questo che sono venuto in Giappone, queste terre alimentano la mia ispirazione. Ma questa sera è più alimentata che mai.»
Orihime arrossì, ma cercò di non mostrarsi imbarazzata.
«In che modo?» la ragazza lasciò intravedere il polso. Aveva imparato che quello era un gesto raffinato per stuzzicare un uomo, per fargli provare un brivido di piacere. Non sapeva se con Ulquiorra avrebbe funzionato, ma in effetti il suo sguardo si fece più attento.
«In passato ho anche lavorato a dei ritratti e questa sera mi è venuta voglia, dopo tanto tempo. Sto pensando di ritrarre te, se me lo concedi.»
Orihime sventolò il ventaglio. Non immaginava che quella sera avrebbe incontrato un giovane artista che le avrebbe fatto una simile proposta. E come potere rifiutare? I clienti erano preziosi e lei doveva cogliere ogni occasione per emergere.
«Mi… lusinga» sussurrò, sorpresa. «Nessuno mi ha mai ritratto. Ma proprio io?»
Sapeva di essere graziosa, ma non si considerava bella come Rangiku o come altre geishe. Invece Ulquiorra aveva scelto proprio lei.
«Proprio te. Ma per ritrarre qualcosa devo prima conoscerla» disse guardandola dritto negli occhi.
Questo era un po’ spacciato. Le piaceva quello straniero.
Dopo tanto tempo che erano stati seduti, alcune geishe, tra cui Rangiku e Rukia, intrattennero gli ospiti con una delle loro danze. Era stato allora che Ulquiorra aveva fatto segno a Orihime di seguirlo sul ponte in legno sotto il cui passava un fiumiciattolo. Attorno a loro, le falene svolazzavano vicino le lanterne e il rumore dell’acqua si confondeva con la musica.
«Allora, dimmi. Cosa è che devo sapere?»
Orihime aveva creduto che sarebbe stato lui a fargli domande. Ma cosa doveva raccontargli? Della sua vita come maiko, iniziata quando la sua famiglia l’aveva venduta da bambina? O della sua vita prima, quando il suo nome era un altro[3], quando era una goffa ragazzina, povera e senza futuro?
No, sarebbe stato deprimente.
Il suo nome da maiko – quello che poi avrebbe tenuto per tutta la vita – conteneva in sé un significato regale. Un augurio che il suo futuro potesse essere come quello di una principessa.
Fece un respiro profondo e decise di parlare con il cuore in mano.
«Mi piacerebbe diventare una geisha esperta, un giorno. Non solo per la fama, ma perché a me questa vita piace. All’inizio non piace a nessuna, perché è dura, è difficile arrivare a questo punto. Ma ho imparato tanto, cosa che non avrei mai pensato di poter fare. Quando mi acconcio i capelli e indosso il trucco, io posso essere un’altra persona. Senza insicurezze, importante, desiderata. Umh… per le insicurezze ci sto ancora lavorando» nascose un sorriso dietro il ventaglio, accorgendosi dopo che Ulquiorra si era fatto più vicino, rimanendo comunque ad una distanza rispettosa.
«Hai sempre voluto essere una geisha?»
Si era aspettata quella domanda.
«All’inizio, no. Vivevo nella campagna, ma la mia famiglia era così povera che mi hanno venduta. Avevo anche un fratello, però sono anni che non lo rivedo. Mi chiedo se sarebbe fiero di me adesso…» si morse il labbro. «Questo è un po’ deprimente.»
Ma Ulquiorra scosse la testa.
«Non lo è.»
Adesso che l’aveva così vicino, Orihime poteva osservarlo meglio. Era bello, ma di una bellezza malinconica a cui non era abituata. I suoi tratti da straniero la destabilizzavano, ma in senso buono.
«Anche io voglio sapere di lei» si lasciò scappare, ma Ulquiorra non si infastidì.
«La mia vita è molto meno interessante della tua. Ho origini inglesi e ispaniche, anche se so che non sembrerebbe. E il mio lavoro mi ha portato in giro per il mondo. America, Italia, Francia e sono stato in Giappone diverse volte. E poi, la gente di me pensa che sia bravo a leggere l’anima delle persone. Dicono che è tipico di noi artisti.»
Si era avvicinato ancora. Orihime non era stupida, sapeva che c’era un decoro da mantenere, che spesso gli uomini volevano approfittarsene. Ma Ulquiorra non sembrava quel tipo di uomo. Anche se non lo conosceva, lo sentiva.
«Lei è d’accordo con quest’affermazione?» chiese la ragazza, con un sussurro.
«Sì, sono d’accordo. E penso che tu sia come me. Io sarò un artista, ma tu sei arte.»
Quel complimento fece quasi perdere l’equilibrio a Orihime. Anche se non aveva esperienza, sapeva che adesso stavano superando i limiti di geisha-cliente. E non era neanche raro che accadesse, ma si sentiva spaurita, sperduta. Aveva solo diciassette anni, non ne sapeva ancora abbastanza del mondo.
Ma solo in quel momento si rese conto di come lui la guardava. Sembrava ispirato, rapito.
«Signor Schiffer, io…»
«Puoi chiamarmi anche solo per nome. E vorrei fosse chiara una cosa: non ho secondi fini, sono un professionista.»
In realtà Orihime non aveva neanche pensato a quell’evenienza, tutto il contrario. Ma era felice che lui l’avesse specificato.
«Su questo non avevo alcun dubbio.»
 
La serata si esaurì troppo in fretta. Era andata molto meglio di quanto Orihime pensasse e lei e Rangiku tornarono all’okiya che era già tardi e sarebbe passato un po’ prima di andare a dormire: dovevano prima sfilarsi via i kimono, impresa che occupava diverso tempo. Ad aiutarle di solito ci pensava Ururu.
Ururu era arrivata all’okiya un anno prima ed era una ragazzina timida e sempre spaventata, che si occupava delle mansioni domestiche. Tra qualche tempo avrebbe iniziato anche lei il suo apprendistato per diventare una geisha, anche se Yoruichi era già parecchio dura con lei. A Orihime ricordava molto la sé stessa di qualche anno prima
«E così quel pittore vuole ritrarti, eh? Ma tu pensa, hai già fatto colpo» commentò Rangiku accanto a lei, mentre Ururu le scioglieva l’obi.
«Sono rimasta colpita anche io. Non pensi sia sconveniente?»
«E perché mai? Per uomini come loro, noi siamo muse. E credo che tu per lui lo sia eccome, ho visto come ti guardava, come se avesse visto il Paradiso. Secondo me si è innamorato di te al primo colpo.»
Sia lei che Ururu arrossirono.
«Intendi come Gin è innamorato di te?» la stuzzicò e questa volta fu Rangiku ad arrossire.
«È diverso.»
«Perché è diverso? Perché se vi amate non state insieme?» chiese ingenuamente.
Le geishe in genere non si sposavano, ma a loro non era preclusa una vita sentimentale o sessuale. Gin Ichimaru aveva pagato profumatamente la verginità della geisha e da allora non si erano più allontanati.
Rangiku sorrise in modo amaro.
«Perché lui è già sposato e io non posso ambire altro che ad essere la sua amante. E in cambio, lui si prende cura di me. Non saprei dirti se mi ama. Voglio sperare di sì» guardò la sua sorella minore con un misto di malinconia e rassegnazione. «Noi non siamo donne comuni. Possiamo essere amanti, molto spesso siamo destinate a essere solo questo» nel dire ciò le posò una carezza sulla guancia.
Ururu sospirò.
«Sembra così triste.»
Yoruichi entrò con passo deciso.
«Lo è, ma è una cosa che sappiamo tutti» disse in tono duro.
«Ci origliavi?» chiese Rangiku.
«Io ne ho il diritto» rispose lei, rivolgendosi poi a Orihime. «So che hai avuto successo stasera, con uno straniero, oltretutto. Ben fatto, ma presta attenzione.»
Quando Yoruichi diceva questo non si riferiva solo all’avere contegno e al non disonorare l’okiya. Poiché era affezionata a tutte le sue ragazze e sapeva quando Orihime fosse delicata e ancora un po’ ingenua, si sentiva in dovere di metterla in guardia.
«Oh, suvvia, quante storie!» disse Rangiku, ritrovando il suo buon umore. «Orihime è bella e ha fatto perdere la testa ad un uomo, certe cose capitano sempre. E poi, sbaglio o da giovane anche tu avevi avuto una relazione con un uomo? Com’è che si chiamava? Ora mi sfugge il nome. Ah sì, Kisuke Urahara. Mi era molto simpatico... ahi!»
Yoruichi l’aveva stretta per i capelli, Rangiku era l’unica che osasse scherzare così con lei.
«Non stiamo parlando di me, certo che hai la lingua lunga. E dopotutto io devo anche guardare ai guadagni, per cui… finché fate il vostro lavoro, non mi lamenterò di certo.»
Yoruichi era quel tipo di donna che cercava di essere dura, ma che in realtà tentava solo di proteggerle. Si rivolse a Ururu, intimandole di lasciarsi riposare e la bambina le andò dietro come un cucciolo-
Rangiku si massaggiò la testa.
«Che male…»
«Sei stata scortese» Orihime di distese. «Farò quello che devo.»
Avrebbe dovuto riposare, ma sia le parole di Yoruichi che quelle di Rangiku le tornavano alla mente. La vita di una geisha sembrava tanto malinconica e al contempo dolce come la musica che producevano con lo shamisen.
 
Dopo qualche giorno, Rangiku era nuovamente stata richiesta dal suo danna e aveva insistito affinché Orihime venisse con loro.
«Ururu può venire con noi e portare i nostri shamisen. Dovrà farlo prima o poi» propose Rangiku. Yoruichi, seduta sul pavimento, posò il suo sguardo da gatta sulla bambina.
«Non ha torto. È giunto anche per te il momento di vedere con i tuoi occhi quello che dovrai fare un giorno.»
Ururu si lasciò sfuggire un gemito, nessuno avrebbe saputo dire se fosse eccitata o impaurita. Probabilmente entrambi. L’evento quella sera era una semplice cena fuori, ma Orihime aveva curato ancora di più il suo aspetto, il trucco e la scelta del kimono. Ne aveva scelto uno di un azzurro cielo, mentre continuava a ripetersi a mente che anche e l’amore non era vietato, era difficile e lei era lì per lavorare e compiacere, non per altro. Ma nonostante le incombenze della vita, Orihime aveva un animo romantico.
«Questo straniero è bello?» chiese Ururu mentre l’aiutava a vestirsi. Anche se timida, una volta che si lasciava andare quella bambina chiacchierava molto.
«È molto bello. I suoi occhi sono diversi, così grandi… e sono verdi, pensa un po’» nel dire ciò, sorrise.
Come una ragazzina.
Come ciò che dopotutto era.
«Se lui vuole ritrarti, allora tu sei… com’è che si dice? La sua musa ispiratrice!» esclamò la bambina. «Oh, è così romantico. Vi innamorate? Lui diventerà il tuo danna come il signor Ichimaru e Rangiku?»
Nel sentirsi nominare, la geisha sollevò lo sguardo, infilandosi un pettinino tra i capelli.
«Ururu, ora non disturbare Orihime con le tue chiacchiere, devi prepararti anche tu.»
La ragazzina fece un inchino e poi si allontanò per vestirsi.
Orihime sospirò, guardandosi allo specchio.
«Sono un po’ nervosa al pensiero di rivederlo.»
«Non dire sciocchezze. È un uomo, gli uomini non hanno segreti per noi, nemmeno gli affascinanti stranieri come lui. Ammetto che un po’ ti invidio. Nemmeno Gin mi ha mai guardato in modo così adorante.»
Pensava, Orihime, l’amore funzionava davvero in modo strano. Non bastava amarsi per stare insieme? Non bastava prendersi per mano e camminare nella stessa direzione?
Se lo avesse detto ad alta voce, le avrebbe risposto che era una sciocca, un’ingenua.
Erano donne che portavano una maschera e si lasciavano dietro una vita fatta di dolore.
Erano fiori e salici. [4]
 
Continua…

[1]Di solito è un uomo molto ricco e facoltoso che ha un rapporto esclusivo con una geisha. Si occupa di lei economicamente e spesso ripaga i suoi debiti alla madre dell’okiya. Di solito i danna sono piuttosto avanti con l’età, anche se in questa storia mi sono immaginata Gin più grande di Rangiku, è comunque abbastanza giovane-
 
[2] Rito di iniziazione sessuale di una geisha. La verginità di quest’ultima viene messa all’asta (è brutto da dire, ma è così) e chi paga di più può averla.
 
[3] Qui mi riferisco al fatto che quando una geisha diventa tale (o una maiko, come nel caso di Orihime), cambia nome. Ho voluto che i nomi effettivi di Orihime e Rangiku fossero i loro nomi da geishe.
 
[4] – Ci si riferisce al mondo delle geishe come “il mondo dei fiori e dei salici”.
 
Okiya: luogo dove vivono le geishe
Maiko: apprendista geisha
 
Non sono una studiosa, ma un’appassionata della figura della geisha e tutto ciò che so lo apprendo dai libri e all’occorrenza dai documentari e internet.
Doveva nascere come OS, ma ho deciso di dividerla in due capitoli per non caricare troppo la storia. Purtroppo per adesso non sono nel mood di scrivere una long, infatti è stato difficile perché ci sarebbero tante cose di cui parlare e approfondire, riguardo a questo mondo. Ma si fa quel che si può :P
Spero vi sia piaciuta questa prima parte

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


La principessa del mondo fluttuante
Seconda parte
 
Era una bella serata, pensava Orihime e, differenza della sua prima volta, non era terrorizzata. Era comunque troppo occupata a tranquillizzare Ururu, la quale si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Ma le era subito passata la paura, quando la bambina aveva visto lo straniero dagli occhi come smeraldi. Ulquiorra si era chinato e l’aveva salutata con dolcezza.
Sembrava avere una bella anima.
Attorno al tavolo erano seduti anche Gin e Rangiku e Ichigo con Rukia. Quest’ultima aveva alzato lo sguardo, sorridendole e scambiando qualche parola con lei. Ma Orihime era fin troppo presa da Ulquiorra, il quale ad una certa aveva tirato fuori un quaderno rilegato in pelle su cui si trovavano alcuni schizzi. Li aveva portati appositamente per mostrarglieli.
«Sì, tu hai davvero una bella anima» sussurrò, con lo sguardo attento sui tratti leggeri, sui colori delicati.
«Come fai a dirlo?» chiese lui curioso.
«Soltanto qualcuno con un’anima così bella può disegnare questo modo. Mi avevi già convinto, ma adesso lo sono ancora di più.»
Lei e Ulquiorra stavano vicini, le teste chine quasi a sfiorarsi. Orihime aveva tirato fuori tutto il suo carisma da geisha, iniziando a parlare con lui di poesia e raccontandogli alcune storie che, in certi momenti, lo avevano perfino fatto ridere. Le sue erano risate sommesse, composte
Ulquiorra non si limitava a guardarla. Andava oltre e per questo era difficile, spesso, sostenere il suo sguardo. Che fosse diventata davvero la sua musa?
E se fosse mutato in altro?
Arrivata a metà serata, Ulquiorra si alzò.
«Ho bevuto abbastanza, mi pare.»
Gin fece un gesto con la mano.
«Andate voi. Io e Rangiku vi raggiungeremo dopo.»
Orihime non ebbe bisogno di fare domande. Sapeva che una geisha e un danna facevano certe cose, era come se fossero sposati. Ma non lo erano.
 
La strada lì fuori era illuminata dalle lanterne. Ichigo e Rukia camminavano dietro di loro, ridendo e scherzando, Ururu cercava di seguire il loro passo. Chissà, forse capitava più spesso di quanto pensasse, che una geisha e un cliente si innamorassero. O magari era solo illusione, chissà. Se pensava alla situazione di Gin e Rangiku, diveniva triste. Lei non sarebbe mai riuscita ad essere solo un’amante, non con Ulquiorra. Le sembrava troppo innaturale.
«Sei silenziosa» esordì Ulquiorra. Orihime spalancò gli occhi. Che vergogna essere ripresa in quel modo.
«Chiedo scusa…»
«Sei pensierosa. Cosa ti affligge?»
Giusto, lui guardava all’anima delle persone. Orihime passò vicino a delle bancarelle e Ururu rimase a fissare dei dango appena fatti. Erano anni e anni che non ne mangiava uno.
«Ururu?» chiamo Orihime, voltandosi. Ulquiorra, capendo i suoi desideri, si fece avanti.
«Non preoccuparti, ci penso io» disse rivolgendosi poi a Ururu. «Prendi pure quello che vuoi.»
Gli occhi della bambina si illuminarono e per un istante, come a cercare conferma, guardò Orihime, la quale annuì. Ururu fu felicissima e ringraziò quello gentile straniero almeno dieci volte, mentre mangiava il suo tanto agognato dango.
«Ti piacciono i bambini?» domandò in seguito, mentre si avvicinavano ad un ponte di legno.
«I bambini sono molto più svegli di noi adulti» rispose. «Comunque non mi hai ancora detto cos’è che ti turba.»
Orihime abbassò lo sguardo, vide l’acqua scura sotto di sé. I suoi erano i terrori di una bambina, non di una donna prossima a diventare una geisha. Ma evitare l’amore era impossibile. Aveva letto e studiato tante poesie e la sua indole era quella di dare amore. Era dura conciliare l’umanità con l’essere una geisha.
«Ti sei mai innamorato?» domandò all’improvviso. Le sembrava impossibile che una persona passionale come lui non si fosse mai innamorato. Tuttavia, Ulquiorra ci pensò su.
«Qualche volta. Parlo di quell’amore che in molti definirebbero platonico» assottigliò lo sguardo, attendo. «E tu?»
Doveva aspettarsi quella domanda. Orihime si sventolò il ventaglio vicino al viso.
«No, io… no. Per noi è molto più conveniente non innamorarci» disse velocemente. Sentiva il suo odore vicino e aveva il cuore che le batteva forte. E aveva le vertigini e avvertiva qualcosa, una sensazione nuova vicino il basso ventre.
Senza alcun preavviso, Ulquiorra le poggiò le dita sul viso, facendola sussultare con tanta violenza da farle cadere il ventaglio di mano. Aveva le dita gelide.
«Cosa…?»
«Perdonami. Guardavo la luce. Ti dona.»
Orihime avrebbe tanto desiderato che le sue dita scivolassero più giù, vicino la gola e poi chissà dove. Non aveva mai formulato certi pensieri, era travolgente, al di fuori del suo controllo. Le mancava il respiro, ma non era spiacevole. Ulquiorra allontanò le mani e poi prese il ventaglio da terra, soffiandogli prima di porgerglielo.
«Pensi che noi diventeremo come il signor Ichimaru e Rangiku?» domandò senza pensare. Quella sera stava pensando un po’ troppo poco e agiva fin troppo.
Ulquiorra sorrise con amarezza.
«No, non credo. Non sono abbastanza ricco per diventare il danna di una geisha.»
Quella risposta la rese triste. Probabilmente il suo danna sarebbe stato un uomo molto più vecchio di lei, che avrebbe pagato per averla tutta per sé.
«…Ma se parli di innamorarsi, chi può dirlo. Comunque, se questo ti crea problemi…»
Per un attimo Orihime ebbe il terrore di averlo offeso, una cosa che, a prescindere, una geisha non doveva mai fare.
«N-non intendo questo! Non ho mai conosciuto nessuno come te. E non sono mai stata la musa ispiratrice di nessuno e… e…»
Che sciocca! Ulquiorra non aveva mai detto nulla del genere, quelle erano solo sue congetture. Forse aveva peccato di arroganza?
Quando però guardò i suoi occhi, non vide fastidio, anzi.
«E io non sono mai stato così ispirato in vita mia» disse porgendole una mano. Orihime fu indecisa solo per qualche istante, ma poi gli porse la propria. Ulquiorra sfiorò con un dito il suo polso, quel lembo di pelle che lei si era divertita a scoprire per stuzzicarlo, qualche giorno prima.
Lei chiuse gli occhi e trattenne il fiato.
Se si sentiva così per un semplice tocco, cosa sarebbe successo se un giorno le sue labbra avessero sfiorato le proprie?
«Però credo che prima la mia oka-saan vorrebbe incontrarti. Noi siamo come merce preziosa, non possiamo essere rovinate in alcun modo» gemette Orihime, con quella che poteva sembrare una scusa, ma non lo era. Yoruichi era a capo dell’okiya e l’ultima decisione spettava sempre a lei. In genere chiunque la temeva, l’unico a non sentirsi in soggezione era il signor Ichimaru. Ma aveva l’impressione che nemmeno Ulquiorra fosse uno di quegli uomini che temevano alcunché. Anche questa era una cosa che non sapeva, ma sentiva.
 
Ulquiorra accettò di buon grado di incontrare Yoruichi. Di solito gli uomini non entravano nell’okiya, ma Yoruichi era curiosa di conoscere lo straniero che aveva avuto l’ardire di fare una proposta simile.
Orihime quel giorno era nervosa, ci teneva tanto ad essere ritratta da Ulquiorra, ma sapeva anche quanto la sua oka-saan fosse pragmatica. Non aveva trovato conforto neanche in Rangiku, che dall’ultima volta in cui aveva visto il suo danna era strana, molto pensierosa.
Ulquiorra si presentò una settimana dopo al cospetto della “regina” dell’okiya. Con i suoi occhi da gatta, Yoruichi lo aveva scrutato a lungo. A suo tempo era stata una geisha desiderata e apprezzata e gli anni di esperienza le avevano insegnato a distinguere un brav’uomo da uno con cattive intenzioni. Orihime se ne stava in ginocchio, con lo sguardo basso, aspettando un verdetto e sperando che Yoruichi non cercasse di farlo fuggire via.
«Dunque tu vorresti ritrarre una delle mie ragazze?» domandò, girandogli attorno. Aveva un kimono di colore scuro e alcuni ciuffi di capelli sfuggivano dallo chignon, ricadendole sul viso.
«Sì, signora.»
«E non pensi che una geisha che si faccia ritrarre da uno straniero sia indecente?»
Orihime arrossì. Avrebbe voluto dire la sua, ma allo stesso tempo sapeva che non una parola sarebbe uscita dalle sue labbra.
«Al contrario. Se il mio dipinto avesse successo, chiunque verrebbe qui per conoscere Orihime. Mi pare chiaro, no?»
Ulquiorra era sicuro, ma non arrogante. Stoico, ma non insensibile. Yoruichi se ne rese conto.
«Perché dovrei fidarmi?»
«Se non mi crede, Gin Ichimaru può garantire per me. Di lui si fida, immagino.»
E in effetti Gin era il danna di Rangiku, una persona di tutto rispetto.
La donna assottigliò lo sguardo, puntando poi il dito contro Orihime e facendola sussultare.
«Tu? È quello che vuoi?»
Più di ogni altra cosa, avrebbe voluto rispondere, anche se doveva darsi un contegno.
Prese un profondo sospiro.
«Sì, mi piacerebbe»
Yoruichi assunse un’espressione pensierosa, chiuse gli occhi e li riaprì dopo un po’.
«A patto che metà degli introiti vadano all’okiya.»
«Accetto» disse Ulquiorra prima che Orihime potesse intromettersi. Non gli importava di perdere, gli importava di avere la sua musa a qualunque costo.
E il pensiero la fece arrossire, la lusingò e le scaldò il cuore.
 
Non aveva mai fatto la modella, ovviamente. Non credeva che fosse più difficile di ballare o suonare lo shamisen, ma rimanere ferma per molto tempo nella stessa direzione era impegnativo. Ulquiorra poi era un perfezionista, doveva cercare la luce giusta, il momento giusto, il posto giusto. Una certezza che aveva avuto sin dall’inizio era che Orihime dovesse essere circondata dai fiori, in particolare dagli ume[1].
Non quelli rosa, che avrebbero creato uno strano contrasto con il colore dei suoi capelli, bensì quelli bianchi. Vicino uno dei santuari dell’okiya, c’era un giardino zen, che sarebbe stato perfetto. Yoruichi aveva incaricato Ururu si accompagnare Orihime, perché “non si sapeva mai cosa poteva succedere con due come loro da soli”. La bambina però era troppo impegnata a raccogliere i fiori e a guardare le carpe nel fiume per badare a loro. Per badare a Orihime che sfiorava i rami degli alberi, mentre Ulquiorra la osservava. Aveva un’espressione concentrata.
«Guarda lì… Vai un po’ più a destra.»
I fiori le sfioravano il viso, avevano un buon profumo e la solleticavano.
«Va bene così?»
Ulquiorra si avvicinò. Strinse il pennello tra i denti, sfiorandole il viso e spostandolo verso destra. Orihime si chiese se si fosse accorto che stava tremando.
«Ferma, rimani immobile, la luce così è perfetta. Ma devo sbrigarmi, prima che il sole si sposti.»
Orihime gemette a bocca chiusa. Aveva indossato un kimono bianco e rosso, dall’obi  nero, era ben coperta, eppure davanti al suo sguardo si sentiva nuda in quel momento. Ulquiorra indietreggiò, si sedette e iniziò a disegnare. Non le rivolgeva la parola per non farla muovere, si limitava ad alzare ogni tanto lo sguardo e poi tornava con la testa china. Orihime sentiva il cuore batterle forte e una strana sensazione di eccitazione la invadeva. C’era qualcosa di erotico in quella situazione e aveva l’impressione che Ulquiorra – nonostante fosse un professionista – si stesse trattenendo. C’era silenzio, interrotto solo da Ururu che ogni tanto gridava stupita e rideva. In fin dei conti rimanere immobile non era poi così difficile o forse non ci stava facendo caso. Era curiosa di capire come lui la vedesse, cosa avesse intuito della sua anima così spezzata. Lei era l’arte, lui era l’artista.
Una coppia perfetta, eppure, forse, impossibile.
Dopo un po’ di tempo (Orihime non avrebbe saputo dire quanto fosse passato), Ulquiorra si alzò. Avrebbe voluto chiedergli di vedere ciò che aveva disegnato, ma dopotutto chi voleva mostrare un lavoro a metà?
«D’accordo, qualche minuto di pausa» disse semplicemente. «Ma rimani dove sei.»
Orihime annuì e sentì poi una sensazione spiacevole.
«Non avrei altra scelta, temo. I miei capelli sono incastrati» mormorò con imbarazzo.
Non era una scusa o una bugia, ma voleva che lui si avvicinasse e così fece. Ulquiorra azzerò la distanza tra loro quasi del tutto e si accorse che l’acconciatura di Orihime era incastrata in un ramo appuntito.
«Faccio io. Non temere, non la rovinerò.»
Avvertì le sue mani sfiorargli i capelli e all’improvviso sentì caldo. Soprattutto, sentì caldo quando Ulquiorra parve cercare qualcosa tra i suoi capelli.
«Avevi un fiore incastrato» disse mostrandoglielo. Orihime abbassò lo sguardo, poi lo sollevò su di lui e sorrise.
«Sono molto curiosa di sapere come verrà il dipinto.»
«Spero di non deluderti.»
Orihime poté giurare di vedere il rossore sulle sue guance pallide. Ulquiorra era agitato, ma stava cercando di non mostrarlo. Erano intrappolati tra i fiori di ume e i rami e i loro corpi erano quasi appicciati.
Solo un bacio avrebbe potuto quietare i loro animi, oppure avrebbe potuto infiammarli di più.
«Non mi deluderai di certo» sussurrò Orihime, ad un passo dalle sue labbra
Sedurre, non essere sedotta. Era questo ciò che avrebbe dovuto fare. Ulquiorra era uno di quelli che cercava di non farsi coinvolgere in quei casi. Bisognava mantenere l’oggettività, a volte, ma con lei era stata una guerra persa in partenza.
Colto da una passione e da un desiderio bruciante, portò la mano sulla sua schiena e la strinse a sé. Le loro labbra si sfiorarono e Orihime chiuse gli occhi. Quello era il suo primo bacio ed era molto meglio di quanto avesse osato immaginare. Ulquiorra la strinse a sé con possessività mentre la baciava, per la prima volta lasciò venir fuori in maniera palese, il suo ardore e la sua adorazione. Un gemito uscì dalle labbra di Orihime, che per qualche istante si era dimenticata di essere una maiko, di dover mantenere un certo contegno. Sentiva solo il desiderio, così intenso da risultare bruciante.
Con un grande sforzo, Ulquiorra indietreggiò. Si era sporcato della tinta rossa che lei portava sulle labbra e aveva il fiato corto come se avesse corso.
«Io…» ansimò Orihime, stravolta. Lui però le fece segno di tacere, non lasciando intendere le sue emozioni, come al solito. Anzi, tornò a disegnare come se niente fosse e Orihime non chiese nulla, non era nemmeno sicura di voler sapere.
In una sola mattina sarebbe stato impensabile finire il ritratto, per questo Ulquiorra le aveva proposto di vedersi ancora. Orihime aveva accettato, indecisa su come interpretare ciò che era successo. In quel momento della sua vita non avrebbe potuto permettersi di innamorarsi, non era ancora una geisha ed era impensabile per lei scappare senza aver prima saldato i suoi debiti [2].
Preda della strana sensazione di sentirsi leggera come una piuma, ma anche pesante come un sasso, tornò a casa su un risciò assieme a Ururu. Quando entrò, sentì il bisogno di parlare con Rangiku. Quest’ultima se ne stava in camera sua in stato catatonico, ma Orihime era stata troppo impegnata a parlare per chiederle qualcosa. Sapeva di potersi fidare di lei.
«Non so cosa mi sia presa, ma non sono stata in grado di tirarmi indietro. E non sono neanche pentita. Forse però è stato troppo… cosa ne pensi?»
In ginocchio davanti a lei, si rese finalmente conto di quanto Rangiku fosse triste, aveva perso il suo solito brio.
«Perché chiedi a me? Non sono il miglior esempio da seguire.»
«Ma onee-san… perché dici questo? È successo qualcosa con il signor Ichimaru?»
Poteva essere l’unica risposta plausibile. Rangiku sospirò, abbassando lo sguardo.
«Sai, mi ha comprato una casa fuori dall’okiya così che io possa viverci. Non son obbligata a stare qui, dopotutto.»
Per un attimo, Orihime si sentì malissimo all’idea di vivere lontana dalla sua onee-san, ma non fu quella a turbarla più di tutti.
«…Ma?»
La geisha sorrise, con amarezza.
«Pensa che sciocca, ho avuto l’arroganza di chiedergli di lasciare la moglie per me. Ovviamente ha detto di no, è troppo rispettabile per fare una cosa del genere. Per i nostri danna, noi siamo solo amanti, gingilli graziosi con cui non ci si annoia mai. Capiterà anche a te e, se sarai fortunata, il tuo danna sarà un uomo poco attraente e vecchio.»
Orihime non ci vedeva niente di fortunato. Avere un danna e innamorarsi di qualcun altro sarebbe stato anche peggio, ma capiva che ognuno viveva le cose a modo proprio.
«Vuoi forse dirmi che non dovrei innamorarmi di lui?» tentò. Rangiku aveva gli occhi bagnati di lacrime.
«E a cosa servirebbe? Non puoi controllarlo. Nemmeno io ho potuto farlo. Ma se è possibile, evita la sofferenza.»
La maiko si fece avanti e l’abbracciò, facendole poggiare il viso sul proprio seno. Aveva iniziato a maturare l’idea che sarebbe stato l’ideale avere Ulquiorra come danna, ma era difficile. Bisognava essere molto ricchi e di sicuro nel mentre ci sarebbero stati altri uomini che si sarebbero proposti. Yoruichi avrebbe guardato ai suoi interessi com’era giusto che fosse. E ciò era triste, terribilmente.
Forse non doveva soffrire per forza. Forse lui se ne sarebbe andato e quello sarebbe stato solo un bellissimo e dolce ricordo che sarebbe poi sfumato, come un sogno.
Le accarezzò i capelli, con un triste sorriso sulle sue labbra. C’era tanto dolore nascosto dietro le lor maschere bianche e rosse, ma questo erano in grado di vederlo solo in pochi.
 
Una persona razionale avrebbe tagliato i rapporti per evitare di rimanere troppo coinvolta sentimentalmente. Ma Orihime era già coinvolta e poi aveva preso un impegno, rispettava fin troppo Ulquiorra come artista.
Quando s’incontrarono di nuovo, due giorni dopo, sembrava fin troppo a suo agio, come se nulla fosse successo. Orihime aveva sperato che le dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. Se le avesse detto che si era trattato di un errore, avrebbe accettato. Ma non avrebbe accettato l’incertezza e poiché si sentiva a disagio, si era chiusa nel mutismo. E, come al solito, faceva tutto l’opposto di quello che avrebbe dovuto. Lei non parlava, si limitava a posare, ma era sicura che la sua espressione dovesse essere molto più corrugata del solito. Ulquiorra era passato alla colorazione, ma sembrava frustrato. Così tanto frustrato che ad una certa interruppe il suo silenzio.
«Così non funziona.»
«Umh? Io faccio quello che ho fatto l’altro giorno» disse Orihime, più piccata di quanto avrebbe voluto. Ulquiorra non si offese, si avvicinò con aria pensierosa.
«Sembri arrabbiata.»
Orihime arrossì, distogliendo lo sguardo. La stava forse prendendo in giro?
«E hai anche il coraggio di chiederlo? Perché mi hai baciata?»
Ulquiorra chiuse gli occhi.
«Mi spiace se ti ho recato offesa, pensavo che anche tu lo volessi.»
Non l’aveva solo voluto, l’aveva desiderato ardentemente.
«Infatti è così.»
Non era riuscita a trattenere una lacrima. Ulquiorra sollevò una mano, sfiorandole una guancia.
«Perché piangi?»
Perché è tutto così ingiusto, perché chissà come sarebbe stato se fossi stata una ragazza comune.
«Perché è tutto fin troppo bello e non voglio che finisca. Non ho mai conosciuto nessuno come te, ma noi non possiamo… non… Un giorno ci sarà un uomo che diventerà il mio danna, sai cos’è? È come un matrimonio.»
Ovviamente Ulquiorra sapeva cos’era, avendo Gin come amico. Avevano avuto gli stessi pensieri e preoccupazioni.
«Ma quell’uomo non posso essere io» mormorò. Orihime lo guardò. Sapeva che il trucco si sarebbe rovinato, ma non le importava.
«Lo vorrei tanto.»
Ulquiorra afferrò dolcemente la sua mano, donandole una carezza.
«So che ci conosciamo tempo, ma se ti chiedessi di fidarti di me, cosa risponderesti?»
Yoruichi e anche Rangiku le ripetevano spesso di non fidarsi di nessuno. E avevano ragione, ma Ulquiorra era diverso, poteva sentirlo. Lo toccava e gli sembrava di sentire la sua anima vicino la propria.
«Io mi fido» sussurrò.
Ma cosa cambia? Avrebbe voluto aggiungere. Ma non lo fece, proprio perché si fidava di lui. Ulquiorra le baciò la mano e poi tornò ai suoi colori e Orihime si asciugò il viso, tornando a darsi un contegno. Il dipinto era oramai finito e da un lato avrebbe voluto che il tempo si fermasse. Ma non aveva questo potere, era in totale balia degli eventi.
 
«Sei pronta?» domandò Ulquiorra, sembrando tutto ad un tratto timido.
Orihime si tolse una foglia incastrata tra i capelli.
«Sei sicuro di volermelo mostrare?»
«Sì. È concluso dopotutto, e tu devi essere la prima a vederlo.»
Orihime annuì. Aveva grandi aspettative e quest’ultime non furono deluse. Sulla tela c’era lei, eppure sembrava diversa. I colori erano armoniosi, i fiori bianchi creavano un bel contrasto con i suoi capelli e il suo kimono. Non sapeva come fosse possibile, ma sembrava che dalla carta fuoriuscisse una luce bianca e piacevole, calda.
Come se la sua anima si trovasse lì impressa.
«È… a dir poco splendido» sussurrò, ma splendido era riduttivo. Non si era sbagliata: lui era un vero artista e sapeva cogliere l’anima. Di cose e persone.
La sua soprattutto.
«Gran parte del merito è del soggetto» disse mestamente. Orihime sorrise con dolcezza e si avvicinò, stringendogli il braccio.
Il contatto fisico tra loro era lieve e dolce, gli sguardi e le parole malinconiche.
«Adesso tornerai negli Stati Uniti?» domandò Orihime.
«È lì che il dipinto sarà esposto. E penso che tu dovresti venire con me perché chiunque vorrà conoscere la geisha che mi ha ispirato. Ma immagino che tu non possa, vero?»
Lei chiuse gli occhi, godendo del suo odore che dopo così poco tempo aveva fatto suo. Sarebbe stato magnifico,
«No. Ulquiorra. Io appartengo al mio okiya fintanto che i miei debiti non saranno saldati. Ma dimmi… tornerai?» domandò con gli occhi lucidi.
Ora non aveva paura di innamorarsi, aveva paura di troncare un sentimento ancor prima che nascesse. Che stava già nascend. Ulquorra chiuse gli occhi.
«Ad una sola condizione, Orihime.»
«Quale?»
Sulle sue labbra comparve l’ombra di un sorriso. Le aveva detto fidati di me e forse intendeva proprio questo. Sorrise anche lei, guardando la tela.
«Sai già quale sarà il titolo?»
«Sì, forse potrei avere una vaga idea» sussurrò.
 
L’addio tra loro non era stato struggente come si era aspettata, forse quella di Orihime era stata ingenuità, eccessiva fiducia nei suoi confronti, ma sapeva che sarebbe tornata. Anzi, non lo sapeva, lo sentiva, come aveva sempre sentito ogni cosa. Rangiku alla fine aveva deciso di rimanere all’okiya per godere della compagnia della sua sorella minore e delle altre geishe. Ma la storia con Gin non sarebbe finita, Orihime lo sapeva bene. Quei due sarebbero sempre stati insieme, pur senza mai aversi. Una storia così triste, ma aveva imparato che oramai alcune cose erano inevitabili.
Un giorno, Ururu entrò tutta agitata, tenendo una busta in mano.
«Orihime, Orihime, è arrivata una lettera per te!»
«Ururu, non correre in questo modo così sgraziato» la rimproverò Yoruichi, fumando la pipa.
La ragazzina si fermò, annaspando.
«Ma è una lettera da New York!»
Orihime sollevò subito la testa. New York? Poteva essere solo da parte di Ulquiorra. Lo sguardo di Rangiku si animò dopo mesi di malinconia e buio.
«Credo che il tuo artista s isia fatto vivo. Cosa dice la lettera?»
Con le mani tremanti, Orihime prese la busta e l’aprì. Aveva atteso a lungo quel momento. Si schiarì la voce e iniziò a leggere.
 
Mia cara Orihime.
Il mio nuovo dipinto è un successo clamoroso. In molti si complimentano con me e mi chiedono della gesiha che ho ritratto. Io non ho fatto niente di straordinario, ho solo riportato su carta quanto ho visto. Prima che io partissi, m hai chiesto come l’avrei chiamato. So che Hime vuol dire principessa e facendo alcune ricerche ho appreso che il mondo delle geishe viene definito mondo fluttuante, effimero come un sogno, un mondo in cui perdersi per sfuggire alla realtà. Per questo ho chiamato il dipinto “La principessa del mondo fluttuante”. Non molto originale, me ne rendo conto, ma direi adatto. Insieme alla lettera ti ho mandato un po’ dei soldi che sono riuscito a guadagnare.
E a proposito di denaro, tempo fa mi chiedesti a quale condizione sarei tornato da te. Prima che andassi via, mi hai confidato che mi avresti voluto come tuo danna. È vero, non sono abbastanza ricco per potermelo permettere. Forse sono anche troppo giovane, il fatto è che non posso accettare di non averti. Non solo come musa, ma nella mia vita. La parte razionale di me sa che non dovrei cacciarmi in una situazione del genere, ma del resto gli artisti agiscono più col cuore che con la mente. Per questo, Orihime, giuro solennemente che tornerà quando diventerò abbastanza ricco e  facoltoso da essere il tuo danna. So che ho il tempo contato e che sembra un’impresa impossibile, ma io ci devo riuscire, non riesco neanche a pensare ad un’altra opzione. Dal momento in cui ti ho vista e dal momento in cui le mie labbra hanno sfiorato le tue, ho compreso che eravamo e siamo tutt’ora anime affini.
E un’anima affine è tanto rara da trovare, ma tu sei la mia, come io sono la tua.T u ti fidi di me e io farò sì che la tua fiducia sia ripagata.
Tornerò presto, mia musa, mia principessa del mondo fluttuante.
Aspettami.
 
Ulquiorra.
 
Yoruichi prese i soldi in mano, sorridendo. Infine, non era poi così indegno di fiducia, quello straniero. Lei aveva sofferto in passato perché il destino le si era accanito contro e in cuor suo cercava solo di proteggere le sue ragazze. Non poteva dire con certezza che Orihime sarebbe stata salva dalla sofferenza. Ma non poteva nemmeno essere certa del contrario.
«Quel ragazzo si è messo in testa qualcosa di impossibile» disse sorridendo, un po’ divertita.
Rangiku sospirò, ritrovandosi un po’ ad invidiare la sorella minore: aveva trovato qualcuno disposto a fare l’impossibile per lei.
Orihime sollevò finalmente lo sguardo. Se Ulquiorra avrebbe fatto di tutto per diventare il suo danna, lei avrebbe fatto di tutto per diventare la geisha migliore di Kyoto. Certezze, nessuna. Possibilità di riuscire ad aversi, poche. Ma lei si era fidata, gli aveva permesso di guardare a fondo la sua anima.
Ci doveva riuscire.
Riposò la lettera con cura.
«Vado a esercitarmi con lo shamisen, se permettete» disse facendo un inchino. Sentì alle sue spalle Yoruichi dire che non si era mai ritrovata davanti ad una situazione del genere, che quei due erano dei sentimentali, ma che era molto curiosa di vedere come sarebbe andata a finire. E Orihime sorrise, perché voleva scoprirlo anche lei.
 
[1] Fiori di prugno
[2] La madre si prende cura delle geishe, ma quest’ultime devono poi ridare indietro il denaro speso per mantenerle. Per questo in molte hanno un danna, un uomo che può pagare i debiti al posto loro e mantenerle.

Nota dell'autrice
Sì, il finale è volutamente aperto, perché volevo lasciare un po' di speranza e perché un giorno non mi dispiacerebbe approfondire quest'AU. Ci sarebbero veramente tante cose da dire e qui mi sono trattenuta. Ulquiorra e Orihime insieme mi danno delle vibes di romanticismo pazzesco, diciamo che con loro posso lasciare andare la mia vena romantica. Adoro tantissimo anche Gin e Rangiku, solo che loro me li vedo più come coppia che hanno un amore dannato (e perché Gin è sempre un po' bastardo, ma lo si ama comunque). Penso di essermi affezionata a queste loro versioni. Ci stanno e poi unire due mondi che amo tanto è soddisfacente. Spero che vi sia piaciuta, perché io ho davvero adorato scriverla.
A presto!

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