La libertà, un privilegio.

di Aceaddicted_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Paese di Wa ***
Capitolo 2: *** Rosso Scarlatto ***
Capitolo 3: *** Scintille ***
Capitolo 4: *** Vizi e Deliri ***
Capitolo 5: *** Non si può ***



Capitolo 1
*** Il Paese di Wa ***


Il Paese di Wa, conosciuto anche come Wa no Kuni.
Una nazione del Nuovo Mondo, isolata da influenze esterne, gode di indipendenza totalitaria verso il Governo mondiale. Un’isola avvolta da correnti di fiume, presidiate da Carpe Koi di dimensioni gigantesche le quali assicurano la modalità d’accesso al paese, tramite il medesimo traino o via porto sotterraneo. Ovviamente, usufruibile solo per pochi.
 
La nazione si presentava suddivisa in sei regioni, ognuna governata da un signore diverso, comunemente conosciuti come Daymio. A seguito dell’insediamento dei Pirati delle cento bestie per mano dell’imperatore Kaido, l’isola venne interamente devastata ad eccezione della Capitale dei Fiori e di Bakura. In tutto il paese l’acqua dei fiumi si inquinò di sostanze tossiche, interferendo così con l’intero ecosistema del paese: vegetazione, animali, cibarie ed acqua potabile.
Il degrado del paese fu immane nel corso degli anni, portando la popolazione alla povertà e all’insurrezione. Chiunque avesse conosciuto il Paese di Wa al suo splendore, non sarebbe mai riuscito a riconoscerlo ora. Un paradiso distrutto dall’avidità dell’uomo.
 
Proprio in merito a questo, Barbabianca, uno dei quattro imperatori iniziò a destare preoccupazione sulla situazione di quel paese a lui molto caro, e decise di mandare le sue migliori risorse ad indagare su cosa stesse accadendo. In incognito, avrebbero dovuto raccogliere informazioni, nomi e coinvolgimenti vari, per riportarli alle orecchie del loro Capitano. Essendo Wa un paese completamente estraneo al turismo e all’immigrazione straniera, il riuscire ad infiltrarsi senza problemi si sarebbe rivelata la parte più complicata di tutta la missione.
 
«Siamo arrivati!» esclamò Izo dalla prua della nave, mentre scorgeva all’orizzonte la spiaggia di Kuri, appena dopo aver risalito la cascata trainati dalle Carpe Koi.
Era stata un’esperienza decisamente assurda, chi mai avrebbe pensato di agire in quel modo, se non qualcuno che conoscesse Wano come le proprie tasche. Fortunatamente era la terra natia di Izo, ex samurai al servizio di uno dei Dyamio più famosi della storia.
 
«Oi oi state tutti bene?!» urlò Marco, riportando i piedi sulla nave dopo essersi trasformato in fenice ed aver evitato qualsiasi inconveniente nel risalire una cascata a 90° gradi con il suolo. Assurdo. I vantaggi di possedere un frutto del diavolo dotato di ali.
 
«Che figata pazzesca!!! Dai, rifacciamolo!» esclamò tutto esaltato Ace, mentre si lanciava dall’albero maestro sulla prua della nave per raggiungere Izo.
 
«No, Ace.» lo azzittì il samurai, sempre tutto d’un pezzo qual era.
 
Nonostante fosse tornato nella sua terra natale sapeva benissimo che non erano qui per fare marachelle e combinare guai, com’era solito fare Ace, e tenerlo sotto controllo non sarebbe stato facile. Tutti e tre occupavano il ruolo di comandante delle medesime flotte, giocavano di squadra ed avevano un innato senso del dovere. Si fidavano ciecamente gli uni degli altri, ma Ace era pur sempre Ace.
 
Attraccarono la nave in un punto strategico sotto indicazione del samurai. Lasciarla in bella vista sulla spiaggia di Kuri sarebbe stato il modo più semplice di urlare agli intrusi, tra l’altro i Pirati non erano ben visti dalla popolazione del paese. Una volta pronti avrebbero raggiunto la Capitale dei Fiori, fulcro della bella vita e dei traffici del Pase, e da lì avrebbero iniziato le loro indagini contro Kaido e il nuovo Shogun.
 
«Bene, che si fa? Andiamo?» domandò Ace stiracchiandosi stufo di stare ad ammuffire sulla nave dopo le lunghe ore di viaggio.
 
«No. Non potete scendere così, né tu né tu!» continuò Izo, indicando entrambi i comandanti davanti a lui.
 
«Se andaste in giro per la Capitale vestiti in questo modo verreste notati in meno di un minuto, tra i tatuaggi che portate e il vostro… esibizionismo? Sì, dovete cambiarvi. Mettetevi questi…» concluse Izo, lanciando ai compagni due yukata: uno arancione con dei disegni verdi e l’altro azzurro con i decori viola. Aggiungendo in fine due paia di zori di legno.
 
«Scherzi? Pure le ciabattine… come diavolo faccio a combattere con queste cose ai piedi?» contestò sconcertato il corvino, prendendo con una mano gli zori e con l’altra quella palandrana colorata, che già così non sapeva come rigirarsela tra le mani. Inutile dire che tutto questo era molto lontano dal canonico abbigliamento di Pugno di Fuoco; rigorosamente a torso nudo, pantaloni cargo e dei comodi stivali ai piedi. Non dimentichiamo il cappello arancione che lo seguiva d’ovunque.
 
«Oi Ace… non si è mai parlato di combattere.» intervenne il medico, cercando di calmare i due litiganti.
 
«Infatti! Togliti dalla testa tutto ciò Ace, servono solo occhi e orecchie. Quindi gli zoccoli te li puoi tenere ai piedi…» rispose Izo preventivamente allarmato dalle insinuazioni del giovane del gruppo.
 
Ace era il giovincello tra i comandanti, e sapevano fosse anche il più impulsivo tra tutti. Non era un cattivo ragazzo, nonostante lui stesso continuasse a definirsi “il figlio del demonio”, era solamente un ventenne allo sbaraglio e con gli ormoni in subbuglio. Gli adulti avevano già superato quella fase giovanile; ormai uomini tutt’un pezzo e vissuti.
 
Marco ed Ace preso a cambiarsi, spogliandosi e cercando il modo migliore per indossare lo yukata; non era così semplice come sembrava.
 
«Aspetta… prima si mette il lato destro, lo fai passare all’interno, chiudi sopra il lato sinistro e fermi il tutto con la fascia. Ecco fatto.» spiegò amorevolmente il samurai, aiutando Ace nella vestitura e dando le indicazioni anche a Marco, il quale si vestì autonomamente. Almeno uno in meno a cui pensare.
 
I due comandati si guardarono vicendevolmente, mentre giravano sui propri piedi per ammirarsi. Che caldo. Che scomodo. I pensieri di Ace erano visibilmente percepibili dai compagni i quali scoppiarono in una fragorosa risata. Che tenerezza. Pugno di Fuoco fuori dal suo comfort zone era uno spasso.
 
«Senti Izo…» mormorò Ace visibilmente a disagio, mentre muoveva le gambe contemplando lo spacco dello yukata.
 
«Sotto? Uhm… sento troppo fresco… uhm sì dai, hai capito…» mormorò grattandosi la testa in preda all’imbarazzo. Non che temesse che il proprio corpo venisse ammirato, ma non era abituato a sentire i gioielli così arieggiati nonostante le mutande.
 
Marco non proferì parola, si sedette su un barile pronto per godersi lo spettacolo scoppiando a ridere. Che spasso la gioventù.
 
«Niente, dovresti togliere tutto a dire la verità.» rispose serio Izo, fingendo di non capire dove volesse arrivare il giovane comandante.
 
Ace si ammutolì. Il suo viso diventò impassibile, probabilmente il proprio cervello stava elaborando pensieri alla velocità della luce, non permettendo al proprio corpo di compierli. Si portò una mano tra le gambe, quasi a controllare ci fosse ancora tutto, per poi rinsavire.
 
«No, impossibile. Non può essere.» mormorò perplesso.
«Izo fammi vedere tu cos’hai lì sotto! Dai, siamo amici Izo!» esclamò Ace dimenandosi contro Izo, il quale cercava di non farsi spogliare dal corvino. Impiegarono un paio di minuti, finché Ace non vinse e riuscì ad aprirgli lo yukata e vedere sotto di esso delle mutande bianche.
 
«Ace sei un cretino! Prevedo dei giorni di spasso!» esclamò Marco ridendo a crepa pelle nel rivedere il volto di Ace riacquistare un colore naturale, dopo aver scoperto di poter indossare le mutande. Questa scena avrebbe fatto la storia, pronto per ricattarlo in qualunque momento.
 
«Scherzi a parte, mi stavo dimenticando. Dobbiamo sistemare anche i vostri capelli. Nel Paese di Wano gli uomini hanno una pettinatura tipica chiamata “chonmage”. Quindi, verreste subito adocchiati come stranieri senza di questa.» spiegò Izo.
 
Questa volta partì dall’acconciare Marco, visto la minore quantità di capelli da dover domare, realizzando questo famoso codino al posto della riconoscibile “testa d’ananas”. Per quanto riguardava Ace, avrebbe speso un po’ più di tempo. Izo conosceva bene le dinamiche della Capitale dei Fiori, sapeva preventivamente che gli occhi di tutte le donne sarebbero stati catturati all’attenzione di Ace. Era un bel ragazzo con una certa prestanza fisica, che anche sotto allo yukata non si nascondeva affatto. Nella capitale l’apparenza era fondamentale, circolavano solo i favoriti dello Shogun e le persone rinomate, e nel quartiere a luci rosse dovevano arrivarci tramite invito ed Ace era una carta giocabile. Gli raccolse accuratamente i capelli creando delle trecce laterali, unendole dietro la testa nel raccolto d’uso comune. Era decisamente affascinante.
 
«Ora sì che possiamo andare in città!» esclamò entusiasta Izo, intraprendendo insieme ai compagni il viaggio verso la Capitale dei Fiori.
 
Il tragitto verso la meta tenne occupati i tre uomini per circa due ore soltanto e tutto ciò grazie alle conoscenze cui il samurai aveva come proprio bagaglio. Per dei forestieri qualunque l’impresa sarebbe risultata molto più impegnativa; uno per via delle bestie pericolose che vivevano allo stato brado nelle foreste del Paese e due perché quel poco di vegetazione lungo le lande desolate era un susseguirsi delle medesime cose fino a perdita d’occhio. Insomma, o ti uccidevano gli animali o ci pensava la sete d’acqua.
 
Partiti dalla regione di Kuri, i tre comandanti attraversarono i confini a piedi, nascondendosi dai soldati di Kaido fino a raggiungere la regione di Kibi, la quale rappresentava la periferia della tanto nominata Capitale.
 
Per il giovane comandate questa era la prima volta nel Paese di Wa, ne aveva sentito parlare a bizzeffe dai suoi compagni più grandi e tanto meno da Barbabianca, il quale nelle serate più alcoliche si perdeva a raccontare le avventure passate.
Ace era sempre stato curioso, ma una curiosità insolita per un ragazzo della sua età. Si interessava alle diversità in tutte le sue forme e colori, forse proprio perché anch’esso era ancora alla ricerca di sé stesso e delle risposte del mondo che ancora non aveva. E giunti alla Capitale dei Fiori, il suo sguardò sembrò quello di un bambino in un negozio di caramelle: estasiato.
 
La Capitale si presentava, fin dal primo passo, caotica ed esuberante. Il vociare della gente si riversava lungo il corso principale, disperdendosi nelle mille mila viuzze che si ramificavano lungo i lati di questo. Sul sottofondo si sentiva una continua melodia di Shamisen, il quale rendeva tutto molto più suggestivo di quanto già solo la vista potessero fare.
 
Gli occhi di Pugno di Fuoco si muovevano rapidi nel cercare di scorgere più informazioni possibili; atteggiamenti delle persone, modi di parlare, usanze, profumi e sapori. E sì, l’olfatto del corvino stava già iniziando a focalizzarsi sul profumo delle pietanze che si disperdeva nell’aria.
 
«Questa è la Capitale dei Fiori, qui possono stare solo le persone nelle grazie dello Shogun, sono tutte persone rinomate e rispettabili… ovviamente per il pensiero interno. Il corso principale attraversa tutta la città concludendosi davanti alla dimora dello Shogun… esattamente là ai piedi di quel grande albero…» spiegò Izo, cercando di condividere più informazioni possibili con i compagni. Dovevano essere preparati ad ogni evenienza.
 
«Stai dicendo che quindi si conoscono quasi tutti?» domandò Marco, guardandosi attorno e notando già qualche sguardo di troppo sulle loro persone. «Tutti no, ma diciamo che in certi quartieri accedono solo alcune persone. La mia idea è quella di riuscire a farci invitare questa sera nel Quartiere a Luci Rosse, ed ho già qualche idea a riguardo.» rispose Izo continuando a camminare.
 
«Oi Ace, non ti fermare…» lo richiamò Marco, voltandosi verso il giovane già intento ad appostarsi presso una bancarella di street food. «Izo, come ci muoviamo? Noi non conosciamo un accidente qui ed ho già capito che tu hai un piano…» continuò la Fenice.
 
Il samurai si guardò un attimo attorno entrando con nonchalance in un vicolo deserto a ridosso del corso principale. La tensione iniziava a crescere. Avevano una sola possibilità e non potevano assolutamente permettersi di fallire. Ne andava del loro onore verso Barbabianca.
 
«Allora ascoltatemi… ho ancora degli agganci fidati in città ed andrò personalmente a parlarci, cercando appunto di trovare un modo per infiltrarci ad hoc. Voi due starete insieme, passate una giornata tranquilla qui nella capitale; mangiate, ascoltate e guardate. Sono tutti occhi ed orecchie dello Shogun, quindi prestate attenzione…» spiegò attentamente il samurai, cercando di essere il più esaustivo possibile.
 
«Ok, abbiamo un punto di ritrovo o un orario?» domandò Ace ancora un po’ spaesato dalla mole di informazioni costretto ad immagazzinare. Doveva cercare in tutti i modi di controllare il proprio essere esuberante.
 
«No nessuno, verrò io a cercarvi e nel frattempo cercherò anche un punto strategico dove poter riposare ed elaborare la situazione. Tenete questi lumacofoni, comunicheremo tramite essi, ma fatelo con disinvoltura…Wano è ancora arretrata.» continuò Izo.
 
«Ah dimenticavo, Marco tienili tu questi e tieni d’occhio Ace…» sospirò porgendo al biondo un sacchetto pieno colmo di pezzi d’oro. Era ben consapevole del fatto che Ace avrebbe provato qualsiasi bancarella lungo la strada, per poi collassare con la sua solita narcolessia da qualche parte.
 
Il trio si separò, lasciando Marco ed Ace ancora titubanti sul da farsi, in quel vicolo stretto. Si guardarono complici ed uscirono immergendosi nel flusso caotico della città. Musica, risate, profumi di spezie e di fiori, era tutto così afrodisiaco che i due non riuscivano a trovare un punto d’inizio.
 
«Senti…mangiamo qualcosa.» spezzò il silenzio Ace, puntando una bancarella lungo la via. Avrebbero sfruttato quell’occasione per cercare di mettersi a loro agio.
 
La giornata passò lentamente, ma tranquilla. Ace e Marco vagarono in lungo e largo tra le bancarelle, facendo delle pause nascosti nei vicoli ogni qualvolta il corvino avesse un attacco improvviso di sonno. Non potevano permettersi di regalare uno show del genere ad ogni tavolo in mezzo alla folla, anche se avrebbe suscitato grasse risate.
 
Il sole stava imbrunendo ed il traffico dei passanti iniziava man mano a ridursi, quando i due ragazzi ricevettero la chiamata di Izo, il quale spiegò loro dove raggiungerlo. Si avventurarono così in una zona non esplorata lungo la giornata, al confine tra la capitale ed il villaggio Ebisu.
Un villaggio al limite della povertà, il quale sopravviveva letteralmente tramite gli avanzi della Capitale dei Fiori.
 
Marco ed Ace continuarono a camminare, notando la differenza lampante che spiccava tra le due cittadine: una navigante nell’oro e l’altra, beh ecco, meglio non dirlo. La stretta al cuore di entrambi i comandanti era evidente. Lungo in cammino incontrarono un po’ di abitanti, i quali sorrisero loro senza nemmeno sapere chi fossero.
 
«Che paese assurdo…» borbottò Ace, in uno stato indefinito tra ribrezzo e stupore. Il suo sguardo passava da una parte all’altra della strada sterrata, notando dei bambini vestiti di niente, giocare insieme. Un tuffo nel passato in cui giocava con i suoi fratelli, Sabo e Rufy.
Aveva toccato con mano la fame e in un certo senso la disperazione, e vedere quella faccia della medaglia appena dopo aver sguazzato nell’oro gli fece male.
 
«Oi, non farti coinvolgere.» lo richiamò Marco.
«Come puoi non reagire ad una cosa simile?» ringhiò Ace, iniziando ad innervosirsi.
«Rifletti. Non sappiamo nulla e sicuramente dare loro soldi ed altro, gli darebbe solo molti più problemi. Non credi?» spiegò il dottore, cercando di far riflettere il giovane impulsivo.
 
Entrambi sapevano che Marco aveva ragione. Cosa potevano sapere o capire dei forestieri? Wano era un paese sotto dominazione, le voci sarebbero corse alla velocità della luce e si sarebbero giocati la testa da soli.
 
Ace non parlò più, scosse a spalle e abbassò lo sguardo sui propri piedi, come se fosse l’unico modo per tenere a freno le proprie fiamme, finché non raggiunsero il punto d’incontro.
Davanti a loro una casetta di legno, abbastanza fatiscente e mal messa. Sicuramente non avrebbero dato nell’occhio così.
 
«Ehilà, venite dentro…» li accolse Izo sventolando una mano sulla soglia della porta, accorgendosi subito che qualcosa non andava in Ace. Voltò lo sguardo su Marco, il quale scosse leggermente la testa all’amico, senza dire una parola. I tre compagni si accomodarono all’interno della casa. Dentro sembrava abbastanza attrezzata nonostante il suo aspetto.
 
«Com’è andata?» domandò Marco, versandosi del sakè in una piccola coppa. Fortuna Izo aveva pensato anche a quello. «Meglio del previsto. Abbiamo un incontro fissato per questa notte nella Case da Tè più famosa della capitale!» esultò il samurai, unendosi al compagno versandosi anch’esso da bere. «Ace che hai?» continuò il maggiore, vedendo il corvino restare sulle sue a braccia conserte.
 
«È rimasto infastidito nel vedere la povertà di quest-» cercò di spiegare Marco, venendo interrotto bruscamente da Ace.
 
«Infastidito?! Ma li avete visti quei bambini? Buttati in strada così tra queste case fatiscenti, mentre quei corrotti di merda se ne stanno a fare la bella vita tutti impreziositi nella Capitale?! Quei bambini sorridevano comunque! Avranno del cibo? L’acqua non era contaminata?» sbottò tutto d’un fiato Pugno di Fuoco, con le vene rigonfie e il viso arrossarsi dalla rabbia.
 
«Oi…calmati Ace…» mormorò Marco, poggiandogli una mano sulla spalla.
 
«Questa è una delle facce della medaglia su cui è stata convertita Wano. Una volta non era così, te lo assicuro, ma c’è poco al momento che possiamo fare. Capisco la tua rabbia, ti ricordo che questa è casa mia e vederla ridotta a questo scempio mi è inconcepibile, ma pensaci Ace…» continuò Izo, capendo perfettamente il punto di vista del più giovane.
 
Avevano le mani legate. Loro lì non dovevano esserci e se ci fossero stati avrebbero dovuto essere dei fantasmi con solo occhi e orecchie, quindi come potevano salvare il paese in tre e senza mani?
Ace era sempre stato suscettibile sulle disparità sociali, perché nonostante la sua giovane età, aveva purtroppo testato con mano le difficoltà della vita, costringendolo a crescere molto velocemente. Ricordiamoci che era salpato per mare, da solo, all’età di diciassette anni.
 
«…avete ragione, scusate… quindi questo tè cos’è?» mormorò Ace aggiungendosi alla bevuta dei compagni, i quali al suo commento rischiarono quasi di soffocare dalle risate.
 
«Casa da tè... sono dei locali del piacere nella zona a Luci Rosse della città. Si può accedere solo tramite invito ed ovviamente sono riuscito ad ottenerlo. Sì, lo so sono troppo bravo.» spiegò Izo canzonandosi da solo, prima di venire scrollato dagli altri due per ripicca.
«Ottimo lavoro vecchia volpe! Quindi stasera si beve?» domandò Ace, non sapendo ancora bene cosa li avrebbe attesi in serata.
 
«Anche, ma dobbiamo prima portare a termine l’altra parte del piano. Allora, intanto ci ho costruito un alibi. Stasera incontreremo uno dei sottoposti diretti dello Shogun, nel suo stesso bordello, un certo Kyoshiro. È il capo di una famiglia criminale che controlla la capitale. Noi lo incontreremo per cercare di entrare nel suo giro ed indagare sul traffico d’armi controllato dallo Shogun.» continuò il samurai, mettendo ogni pedina sul tavolo di gioco. Dovevano essere preparati e pronti a tutto. Non potevano permettersi esitazioni o ripensamenti.
 
«Quindi noi siamo dei contrabbandieri? Come facciamo ad assicurarci la sua credibilità non avendo conoscenze?» domandò saggiamente Marco, iniziando a collegare i punti della storia.
 
«Sapevo me l’avresti chiesto, ma a questo ci pensano i miei informatori. Voi stasera fate parlare me, almeno che non sia necessario, andrà bene tranquilli! Ora però facciamoci un bagno, che stasera dobbiamo essere a posto.» concluse il samurai, cacciando i compagni a darsi una lavata.
 
Gli avrebbe attesi una serata importante e, ovviamente, dovevano farsi trovare pronti.

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Capitolo 2
*** Rosso Scarlatto ***


Capitale dei Fiori – Quartiere a Luci rosse, una delle zone della città che non dorme mai. La notte il famoso quartiere prendeva vita tingendosi di tutt’altro colore e profumo. A Wano la prostituzione femminile era uno dei maggiori introiti commerciali, donne bellissime che soggiogavano buoni a nulla pronti a spendersi anche le mutande pur di possederle.
 
Come mentalità non c’era nulla di nuovo rispetto ai bordelli conosciuti dai pirati, ma vi erano ai posteri delle dinamiche del tutto diverse; uno schiavismo sociale che sottometteva i più deboli.
Le case del piacere, oltre ad essere dei veri e propri punti di svago, offrivano qualunque tipo di intrattenimento. Un visitatore casuale non sarebbe stato accettato; vi accettavano ospiti solo previo invito diretto dalla Oiran responsabile ad essi. Tra i vari problemi del recarsi ad un bordello, vi era l’inizializzazione di una vera e propria dipendenza, che portava i seguenti benefattori a spendere ogni risparmio pur di giacere con le più rinomate, oppure subentravano le ripercussioni e le estorsioni per tenere i peccati carnali nascosti. Ecco perché queste Case del Piacere avessero la benedizione dello Shogun e della malavita di Wano.
 
Il trio di capitani raggiunse il palazzo; una struttura veramente immane e trionfante. Lo stile Edo decorava in toto la cura di ogni dettaglio e tutto venne tinto di rosso dalle lanterne circostanti. L’aria impregnata di colonia. Un profumo inebriante, così persistente quasi da stordire a primo impatto, per non parlare dalla melodia pungente di sottofondo. Un insieme di sensualità ed erotismo.
 
«Questo profumo da alla testa…» mormorò Ace quasi infastidito più che ammaliato, mentre si dirigevano verso l’ingresso principale. «È proprio questo l’intento…Per una persona che ha poco auto controllo una volta qui dentro è la fine. Brama e lussuria ti divorano, ed è questo lo scopo del gioco.» continuò Izo, allontanandosi dagli altri per andare a parlare con la Oiran all’ingresso, facendo loro cenno di raggiungerlo. Erano dentro, il primo passo era compiuto.
 
L’edificio era lussureggiante. Soffitti altissimi con pareti e porte scorrevoli imponenti. Luci soffuse ed incensi invadevano le stanze, ed il tatami scricchiolava sotto i loro piedi scalzi lungo il corridoio. Un’architettura del tutto diversa rispetto a quelle conosciute da Ace, il quale continuava ad osservare attentamente tutto ciò che lo circondava. Era affascinato. Sembrava di essere dentro una leggenda di tanti anni fa. Una figura femminile li avvicinò, il volto celato dietro una maschera bianca e rossa rappresentante una volpe. Lo sguardo attento di Ace la scrutò da cima affondo, alla ricerca di più particolari possibili. Era minuta confronto alla propria prestanza. Le piccole spalle si nascondevano sotto un maestoso hikizuki dai colori caldi. Le mani nascoste nelle ampie maniche dell’abito.
 
«Prego signori, da questa parte…» li invitò con voce delicata, sensuale. Inutile negare che tutto questo agli occhi degli uomini era intrigante ed eccitante.
 
I comandanti presero a seguirla. Ace continuò a posare tutta la propria attenzione su quel corpo che sembrava fluttuare nell’aria per quanto fosse delicata; nessun rumore su quel tatami scricchiolante e quei metri di seta accarezzavano l’aria come fiori di ciliegio che cadevano.
La sensuale Oiran aveva dei lunghi capelli color pesca, accuratamente raccolti in una suntuosa pettinatura. Sembrava pesante con tutti quei pendagli applicati. Grandi orecchini d’oro e perline le contornavano il volto mascherato. Pugno di Fuoco cercò in tutti i modi di notare in lei altri particolari, ma nulla. Il loro percorso venne interrotto prima del dovuto.
 
«Buona permanenza signori…» concluse aprendo ai capitani una delle porte scorrevoli, mostrando davanti a loro una sala immensa con un tavolo già occupato da alcune figure maschili.
 
Ace stava per risponderle, quando Izo gli diede una gomitata interrompendolo. Avevano gli occhi puntati su di loro, e non si riferiva certo quelli della Oiran.
 
«Miei signori…Benvenuti nel mio paradiso! Prego, unitevi a noi!» gli accolse un uomo, già palesemente alticcio, dal volto paonazzo ed una strana capigliatura azzurra indaco. Era Kyoshiro, il loro uomo, nonché capo della Yakuza di Wano.
 
«Lieti, Kyoshiro-dono.» rispose univoco Izo, accennando un cenno di ringraziamento col capo ed incamminandosi con gli altri due attorno al tavolo.
 
La stanza era ariosa; ornata di grandi arazzi orientali, porcellane di lusso e fiori. Il tatami emanava un profumo fresco, quasi dal piacere estivo di quelle notti da sogno infinite. Davanti a loro, attorno al tavolo basso di legno massiccio, spiccavano le figure di Kyoshiro ed altri due uomini dall’aspetto equivoco accanto a lui. Dietro l’uomo dai capelli color indaco sedeva la figura delicata che si celava dietro quella maschera da volpe. Su un piccolo altarino, attorno a lei fiori ed incenso profumato ed uno Shamisen. Lo sguardo del giovane comandate era costantemente attratto da quella persona, e nemmeno lui stesso riusciva a darsene spiegazione. C’era qualcosa di estremamente intrigante.
 
Batté le mani.
 
«Ragazze, portate ai nostri ospiti cibo e bevande, poi inizieremo a parlare di cose serie! Kitsune cara, suonaci qualcosa…» esordì adrenalinico Kyoshiro, forse in preda all’ebrezza o semplicemente in piena sceneggiata.
 
Marco e Izo restarono sulla loro, diffidenti e consapevoli di essere nella tana del lupo, senza oltretutto sapere quanti figli avessero a seguito. Kitsune iniziò a suonare, diffondendo nell’aria una melodia frizzante, ipnotica e suggestiva. Attorno agli uomini si presentarono delle nuove figure, ognuna di essa si librava nella stanza con il volto coperto da una maschera diversa, come d’altronde anche le loro fisionomie. Iniziarono a versare sakè direttamente nelle coppe degli ospiti e ad imbandire il tavolo di molteplici pietanze; era diventato un party privato. Gli uomini di Kyoshiro flirtavano con le figure mascherate, abbracciandole e toccandole vistosamente, suscitando loro delle risate di cortesia e allo stesso tempo imbarazzo.
 
Ace bevette vistosamente accompagnando l’alcool con del cibo, cercando costantemente di non prestare attenzione su quei gesti subdoli e sfacciati commessi a sfavore delle Oiran in loro compagnia. Non che fosse un uomo pudico o casto, ma la molestia lo irritava parecchio, soprattutto provando ad immaginare il background dietro queste fanciulle.
 
«Bene, ora è tempo d’affari.» Kyoshiro spezzò il ritmo sregolato dell’intrattenimento, riportando l’ordine totale all’interno della stanza. Le fanciulle si congedarono. Kitsune tornò statuaria sul suo posto e gli altri commensali tornarono seri davanti ai tre comandanti.
La trattativa andò avanti per circa una mezz’ora, con Izo unico interlocutore e Ace completamente assente dal discorso; non ascoltò nulla, nemmeno una parola. La sua completa attenzione restava fissa su quella figura misteriosa, finché Izo lo fece rinsavire con un forte pizzicotto da sotto al tavolo.
 
«Signori...Vi consiglio di passare la nottata in compagnia della mia cortigiana, sono certo che rivaluterete la mia offerta.» concluse la trattativa Kyoshiro con un pungente sarcasmo sulle labbra, lanciando un’occhiata d’intesa alla donna dietro di sé.
 
«Grazie, ma tutto ciò non rientra nelle mie preferenze.» rispose Izo, snobbando completamente l’invito, guardando i compagni. «Credo sia giusto lasciare l’occasione alla gioventù!» esordì Marco ridendo, posando una mano sulla spalla di Ace il quale non aveva capito nulla in tutto il discorso.
Si voltò rapido a guardare i compagni con un volto scettico e confuso, quando Kyoshiro gli si precipitò addosso con entusiasmo.
 
«Giovanotto, sei il fortunato allora! Ragazzi come te darebbero la vita per quest’occasione!» rise di gusto il capo della Yakuza, burlandosi di Ace, cercando di spronarlo in vista della nottata di fuoco che l’avrebbe atteso.
 
I commensali si alzarono per congedarsi, e con essi Kitsune la quale sparì velocemente dietro una parete scorrevole. Ace si alzò, ancora non capendo cosa stesse succedendo, mentre Marco e Izo lo salutarono ridendo facendogli segno con la mano di andare. Questi veterani si stavano proprio divertendo. Una nuova Oiran guidò Ace lungo un infinito corridoio in penombra, che lo condusse in un cortile interno dal classico stile orientale. Lo invitò nuovamente a seguirla per un altro edificio, finché lo fermò davanti ad una porta rosso scarlatto. Suonò una campanella dalla melodia graziata e si congedò sotto lo sguardo confuso del corvino.
 
Si guardò attorno. Davanti a sé quella porta ed attorno il nulla. Corridoi infiniti e stanze vuote. Dove diavolo l’aveva portato? Cosa stava succedendo? Perché quei due vecchiacci se la ridevano così tanto? Ace sospirò scrollando le spalle, decidendosi ad aprire la porta ed entrare. Rimase sorpreso, stupito. Davanti a lui, seduta su metri di seta colorata, vi era quella fanciulla dalla maschera di volpe.
 
«Benvenuto, mio signore…» lo accolse sensualmente la delicata figura, facendogli cenno di raggiungerla e sederci accanto a lei su quella seta colorata ed invitante.
 
«Non serve, chiamami Ace.» rispose accennando un cordiale sorriso su quel volto lentigginoso, chiudendo la porta alle proprie spalle raggiungendola poco dopo.
 
Kitsune rimase immobile, posata e statuaria come una bambola, cercando probabilmente di studiare l’uomo difronte. Appena vide Ace a proprio agio, portò le mani al viso sfilandosi la maschera bianca e rossa, posandola delicatamente accanto a lei.
Il volto del corvino si tinse di stupore ritrovandosi al cospetto di una giovane bellissima. Avevano circa la stessa età o per lo meno pochi anni di differenza. Il volto delicato, la pelle color porcellana decorata da tracce di trucco. Le labbra rosso fuoco e gli occhi color zaffiro, profondi quanto l’oceano stesso. Magnetici. Fece scorrere gli occhi sulla sua figura, le mani esili e curate.
Era la prima volta che Ace si trovava davanti una donna di simile bellezza.
 
«Sei un forestiero, vero?» domandò la giovane squadrandolo con uno sguardo inquisitorio. Quegli occhi così intensi stavano riuscendo a mettere in soggezione perfino Pugno di Fuoco.
«Si nota così tanto?» domandò. «No. Non ne l’aspetto per lo meno…» continuò la giovane facendo una breve pausa. Su quelle labbra sensuali si posò un sorrisetto sghembo. Lo stava palesemente schernendo. «Nessun uomo in tutta Wano…sprecherebbe così del tempo prezioso in mia compagnia...» rispose ridendo la ragazza volpe, con una leggera aria di padronanza. Era la cortigiana, la donna più bella di tutta la Casa.
Il sogno proibito di ogni uomo, giovane o vecchio che fosse.
 
Il corvino rise insieme a lei, sdraiandosi su un fianco con la testa appoggiata alla mano, in completo relax. Lei non era l’unica a star studiando l’avversario, ed Ace aveva patos nel capire le persone a prima vista. Sempre che il volto fosse visibile.
 
«Hai davvero tutto questo potere sugli uomini?» domandò divertito il comandante, cercando di metterla in difficoltà e poter vedere le sue reazioni. Se lei si prendeva beffa di lui, perché non fare altrettanto no?
 
«Non sta a me giudicare.» rispose tagliente la giovane, affilando lo sguardo fiero sulla difensiva.
 
«Beh, se ti consola...sei una delle donne più belle che abbia mai incontrato.» sospirò con finta rassegnazione Ace, scoppiando a ridere nel vedere la giovane celare l’imbarazzo.
 
Eccola là, quella era la vera persona che si celava dietro a tutta quella seta e profumo. Bensì potesse sembrare uno scapestrato, impulsivo e senza razionalità, Ace era furbo. Sapeva giocare le carte a proprio favore e perché non agire da dentro le grazie della prediletta di Kyoshiro? Aveva notato che questa donna era l’unica che venisse chiamata con un nome, Kitsune. Che fosse l’unica a stare sempre nei pressi del proprio padrone. Vuoi dirmi che proprio lei non facesse il doppio gioco per servirlo? Quanti uomini rivoltosi avrà ammaliato per portare acqua al mulino del proprio signore? Ace aveva già iniziato la partita. Le pedine erano posizionate.
 
«Ti dispiace se dormo un po’ nel frattempo? Sai, è stata una giornata piuttosto impegnativa.» domandò Ace sbadigliando, stendendosi meglio sulla seta profumata.
 
La giovane lo guardò perplessa, non capendo se la stesse prendendo in giro o se realmente non fosse interessato ad intrattenersi con lei, perché in quel caso sarebbe stato realmente il primo uomo a rifiutare la sua compagnia.
 
«Ace-dono…che intenzioni hai?» domandò quasi scocciata, arricciando le labbra in una buffa espressione degna della sua giovane età.
 
«Uhm? Dormire, tanto ho idea che ci toccherà restare qui un po’, no?» sospirò il corvino portando le mani sotto la testa, scomposto, lasciando intravedere la muscolatura definita da sotto la stoffa colorata.
 
La giovane sospirò a sua volta. Non potendo decidere lei stessa il da farsi, decise di studiare Ace intento nel cercare di addormentarsi. Si scompose un po’, rispetto alla bambola di porcellana di pochi attimi prima, osservandolo. La pelle più colorita rispetto alla propria candida, i folti capelli neri ben acconciati, quelle lentiggini carine spruzzate su quel viso duro ma amichevole. Non aveva mai conosciuto un giovane simile a lui. Era solare e nonostante non la conoscesse la trattava con rispetto, un vero rispetto.
 
«Come ti chiami?» esordì Ace aprendo un occhio, probabilmente sentendosi osservato. Stava continuando a metterla alla prova, sembrava una ragazza di cui potersi fidare.
 
La giovane esitò un momento, ma al sorriso di Ace non riuscì a non rispondergli. Inutile dirlo, ma l’energia di quel ragazzo era estremamente contagiosa.
 
«Mi chiamo Ayame…ma mi conoscono tutti solo come Kitsune.» mormorò appena.
 
Ace sembrò tornare interessato alla situazione o meglio, alla persona che aveva davanti. Finalmente poteva anche attribuirle un nome e non solo un soprannome. In quel lasso di tempo notò quegli occhi zaffiro farsi più profondi, come se stessero cercando di nascondere qualcosa, ma Ace sapeva essere fin troppo inopportuno.
 
«Immagino che Kitsune derivi dalla maschera che indossi, giusto? Come mai ne portare tutte una? Anche le ragazze del banchetto ne avevano diverse.» continuò Ace, sollevando il busto e rimettendosi sul fianco.
 
Ayame abbozzò un sorriso di cortesia, cercando di non far trapelare emozioni su quel candido viso che parlava già abbastanza di suo. Posò le mani sul grembo, sistemandosi delicatamente il kimono con le esili dita longilinee.
 
«Non sei preoccupato che sappia tu sia uno straniero? Fai tante domande.» lo guardò con uno sguardo inquisitore. «Potrei riferire al mio padrone e compromettere il vostro affare.» continuò senza giri di parole. Era una donna astuta per la sua età e sapeva bene come funzionava.
«Nah, mi fido. Sai perché? Credo che una ragazza, con ancora tutta la vita davanti, non scelga a cuor leggero di essere un’intrattenitrice di uomini…» spiegò Ace sostenendo il suo sguardo.
«Poi magari mi sbaglio…sei una mangiatrice di uomini e mi farai catturare!» continuò scoppiando a ridere coinvolgendola in un’espressione divertita.
 
«Tutte le Oiran di questa casa sono obbligate a nasconder il viso. Solo chi paga per i nostri servigi o compagnia ha il diritto di vederci in volto. Io sono l’unica a essere chiamata con un nome perché appartengo privatamente a Kyoshiro-dono, le altre solo alla casa in cui lavorano.» spiegò Ayame.
Sul volto della giovane non trasalì nessun sentimento, né rabbia né rassegnazione. Neutrale come la sua posizione in tutto questo.
 
Ace la guardò carico di interesse nel voler capire come fosse arrivata a subire tutto questo e soprattutto se sarebbe riuscito a portare questo delicato fiore dalla propria parte. C’era qualcosa che da tutta sera lo ammaliava e sarebbe arrivato fino in fondo per capirlo.
 
«Ayame…cosa devi a Kyoshiro?» continuò il corvino, sollevandosi e sedendosi a gambe incrociate. Non stava più giocando. Il suo sguardo serio si incrociò con quello della ragazza, il quale era un misto di diffidenza e incertezza.
 
«Vuoi veramente conoscere la storia strappa lacrime di una Oiran per provare compassione nei miei confronti o stai cercando di capire quanto sia vera la mia lealtà? In ognuno dei due casi non finirà bene.» rispose Ayame con un velo di sufficienza. Era una figura rinomata e rispettata, godeva della grazia del braccio destro dello Shogun.
 
«Ancora non mi conosci, ma sono sicuro che non andrà come credi. Sta a te, capire da che parte vuoi realmente stare. Io e miei compagni siamo giunti qui per cercare informazioni sul cambiamento drastico di Wano, in quanto un luogo importante per il nostro Capitano. Vogliamo sapere tutto: chi controlla il traffico d’armi, la questione delle fabbriche, la distinzione tra classi sociali, gli Smile. Tutto. Non sopporto la metà delle cose che ho visto da quando sono arrivato; odio vedere la gente sfruttata e declassata come feccia. Non siamo venuti ora a cambiare Wano, ma sono certo che torneremo per farlo. Quindi, vuoi aiutarmi o hai intenzione di continuare a perdere tempo con me? Se avessi voluto farmi uccidere, l’avresti già fatto.» concluse Ace, arrivando al nocciolo della questione. Si sarebbe preso le proprie responsabilità, ma una posizione l’avrebbe dovuta prendere ora o avrebbe perso l’occasione per sempre.
 
La stanza attorno a loro divenne tremendamente silenziosa. Nell’aria solo quel forte profumo e un leggero tintinnio del vento fuori. I due giovani rimasero in silenzio, osservandosi, studiandosi. La ragazza distolse per prima lo sguardo sostenuto, abbassandolo sulle proprie gambe socchiudendo gli occhi. E con questo Ace ebbe la conferma di aver fatto la scelta giusta.
 
«Puoi pensarci, se-» riprese Ace.
«No. Accetto di aiutarti.» lo interruppe Ayame tornando a sostenere il suo sguardo. «Ogni mattina all’alba, lascerò davanti alla porta del mio giardino privato, una bustina rossa con dentro le informazioni che riuscirò man mano a scoprire. Nessuno accede a quel giardino senza di me. Dovrai solo non farti notare arrivarci.» spiegò attentamente la giovane, indicando ad Ace la porta scorrevole dietro le proprie spalle. Esattamente opposta a quella color scarlatto da cui era arrivato.
 
«Non devi pensare ad altro, al resto penso io. Grazie Ayame, sapevo di potermi fidare!» ringraziò Ace tingendo il viso con uno dei suoi sorrisoni.
 
«Ora sparisci, sono stanca.» lo scacciò con una mano, nascondendo un sorriso con l’altra mano.
«Ah! Aspetta, vieni qui!» esclamò la giovane alzandosi ed andando incontro ad Ace, già pronto a seguire l’ordine.
 
Si avvicinò pericolosamente al comandante, che come al solito arrivò tardi a capire le intenzioni della giovane donna. Le esili mani si destrarono velocemente sul suo yukata arancione, allentandone i nodi e scomponendolo vistosamente. Stessa cosa per i suoi capelli, spettinandoli abbondantemente. Infine, aderì con il proprio corpo a quello del corvino, stringendosi a lui. Doveva lasciare il suo profumo, d’altronde la loro passionale nottata doveva essere credibile.
 
«Bene, ora vattene!» concluse guardandolo soddisfatta, per poi spingerlo lei stessa fuori dalla porta scarlatta e richiuderla subito dopo.
 
Finì così la passionale nottata con la cortigiana più desiderata di Wano, tornando sorridente e soddisfatto dai propri compagni che l’attendevano in una sala.
 
«Allora ti sei divertito?!» domandò Izo ridendo, guardando lo stato assorto di Ace.
«Oi oi, tieni a freno gli ormoni ragazzetto!» lo canzonò Marco, unendosi a Izo nel raggiungere il giovane comandante, lasciando così tutti e tre la Casa da Tè.
 
«Ci penserò solo quando arriverò alla tua età, Marco!»

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Capitolo 3
*** Scintille ***


A Wano, i giorni seguenti all’incontro presso la Casa da Tè, passarono velocemente: caotici, con sempre più informazioni da verificare. Ayame era stata di parola, ed ogni sorgere del sole faceva trovare ad Ace la famosa bustina rossa contente le informazioni scoperte la notte appena trascorsa. Il suo aiuto si stava rivelando molto più proficuo ed utile di quanto si sarebbero aspettati.
 
D’altronde quasi tutte le grandi teste a seguito dello Shogun passavano da quella porta scarlatta.
 
Con tutto il lavoro che c’era da fare, il giovane corvino non aveva più avuto modo di incontrarla, così non appena ebbe un momento di calma decise di andare a trovarla.
Erano circa le prime ore del pomeriggio, come suo solito Ace si infiltrò nella Casa fino a raggiungere il cortile interno nella quale si recava tutte le mattine. Rimase nascosto dietro alla parete. Dalla stanza si librava una melodia che piacevolmente si diffondeva sino in giardino: stava suonando lo Shamisen. Il comandante si sedette, spalle appoggiate al muro e le ginocchia rannicchiate al petto. Chiuse gli occhi, concedendosi un momento di piacere spensierato, cullato dal vento cui gentilmente gli smuoveva i ciuffi ribelli.
 
Gli mancava un po’ tutto questo. La brezza marina e la spensieratezza di concedersi un momento di calma. Sorrise, immaginandosi quella delicata figura suonare. L’aveva vista farlo solo una volta. Il volto coperto da quella maschera e le esili dita muoversi velocemente lungo le corde vibranti.
Era una melodia completamente differente, aveva un non so che di malinconico, dal sapore romantico. L’avrebbe ascoltata per ore, lo rilassava. Prese fiato, inspirò ed espirò alzandosi, spuntandole alle spalle affacciato alla porta scorrevole.
 
«Aw, che bella melodia!» esclamò raggiante, facendola sussultare dallo spavento interrompendo bruscamente la musica. Ace scoppiò a ridere, godendosi la tenera espressine da cucciolo impaurito con cui si tinse il volto roseo della giovane Oiran.
 
«Mi hai fatta spaventare!» esclamò imbarazzata, dopo essere stata presa alla sprovvista. Non era abituata alle visite non annunciate, o meglio, non era proprio abituata alle visite di cortesia. Si trattava quasi sempre di lavoro. «Lo sai che bisognerebbe annunciarsi e non presentarsi così in casa della gente? Potrei farti arrestare, straniero.» lo rimproverò cercando di tenere un tono della voce serio ed impetuoso, ma lo sforzo fu breve vedendo il sorriso sul volto del ragazzo.
 
«Tu non sei la gente, sei Ayame però, no?» le rispose, togliendosi gli zori sulla veranda ed entrando a piedi scalzi nella stanza della giovane.
 
Il profumo di incenso e fiori lo persuase subito, avvolgendolo in una coccola infinita. Ace la raggiunse, sedendosi davanti a lei sul morbido tatami. Gli occhi del corvino osservarono la giovane, era in tenuta informale. Uno yukata leggero ed aderente, dal color verde pastello con dei delicati disegni floreali ad adornarlo. A differenza della prima volta in cui si incontrarono, Ayame portava i lunghi capelli color pesca sciolti, setosi e lisci. La luce del sole donava loro dei riflessi dai colori brillanti. Sembravano così morbidi che ad Ace venne voglia di accarezzarli. Chissà se profumavano anch’essi come tutto quanto intorno a lei.
 
«Che fai qui? Hai bisogno di qualcosa? Ti sto già scrivendo tutto quello che sto scoprendo, non so altro a riguardo…» mormorò la giovane, abbozzando un sorriso amichevole sulle labbra rosee.
Non erano truccate, nessun lineamento del suo viso lo era questa volta. Gli occhi color zaffiro, così luminosi da perdercisi dentro. Vederla alla luce del sole era tutta un’altra esperienza, come se la stesse incontrando per la prima volta. Una bellezza naturale, reale. Ace non era per le cose artefatte ed idealizzate, lo attraeva tutto ciò che era trasparente e tangibile.
 
«Mi piaceva quella melodia…la suoneresti ancora?» domandò il moro con un grande sorriso, camuffando l’imminente imbarazzo. Quasi come un bambino che richiedeva la ninnananna.
 
Una smorfietta comparve sul viso di Ayame, sorrise. Le mani ripresero lo Shamisen e l’esili dita iniziarono a muoversi abilmente sulle corde, avvolgendoli entrambi con una melodia intima e sinuosa. Gli occhi color zaffiro si chiusero, lasciandosi trasportare dalla musica, ed insieme a lei, Ace si accomodò meglio sdraiandosi come solito fare. Le braccia raccolte sotto la testa e le gambe scomposte, mostrandone i muscoli atletici e ben definiti.
 
Ayame suonava ondeggiando flebilmente la testa a ritmo, osservando di tanto in tanto il corvino sdraiato davanti a lei. Era così tranquillo. Il viso rilassato, le lentiggini si notavano maggiormente alla luce del sole. Spruzzate su quel viso dai tratti duri, ma dalle movenze gentili ed amichevoli. I capelli attentamente acconciati erano cullati dal vento. Le venne quasi voglia di accarezzarlo. Fortunatamente le mani erano occupate. Era curiosa, affascinata. Quasi come se davanti a sé avesse una forma di vita mai vista prima.
 
«Da dove vengo io non esiste questo strumento, ce n’è uno simile ma ha una musicalità diversa.» mormorò Ace una volta conclusa la melodia. «Hai imparato qui a suonare?» domandò alzando gli occhi verso quelli della giovane.
 
«Non proprio…» accennò un sorriso Ayame, ricambiando lo sguardo di Ace prima di riprendere a parlare. «La mia famiglia mi vendette all’età di sei anni ad una scuola per Orian, in cui mi insegnarono e prepararono per tutto ciò che avrei dovuto affrontare in questo mestiere. Non avevamo soldi abbastanza per pagare le tasse imposte allo Shogun, così quello fu l’unico modo. Solitamente in giovane età si viene mandate ad affiancare le Cortigiane; quindi suoni, servi da bere e offri aiuto mentre loro intrattengono maggiormente gli ospiti. Poi all’età di diciassette anni venni comprata personalmente da Kyoshiro-sama ed eccoci qui…» spiegò con naturalezza la giovane, posando lo strumento sulle cosce.
 
Lo sguardo di Ace si fece cupo e pensieroso, scostandosi velocemente dalla sua figura al soffitto.
Il passato della giovane gli fece fare un tuffo nel proprio, tornando alla sua infanzia con i fratelli nel bosco insieme a Dadan. Loro non erano stati venduti però, ed avevano avuto la fortuna di ricrearsi una famiglia. Sarà stato così anche per lei? Infondo non erano così diversi forse. Lei una rinomata Oiran di Wa cui tutti desiderano, e lui un pirata con una taglia di 550.000.000 di Berry sopra la testa.
Entrambi non mancavano certo di notorietà, ma Ace sapeva di avere qualcosa in più rispetto a lei: la libertà.
 
«Ace-dono… raccontami qualcosa del tuo paese, delle tue avventure…» chiese posandogli delicatamente una mano sul petto scoperto, richiamando così l’attenzione del corvino.
 
Era così fresca, leggera. Il tocco inaspettato gli fece accapponare la pelle ardente. La temperatura corporea di Ace aveva subito un notevole cambiamento da quando mangiò il frutto Mera Mera anni fa, e quel tocco fresco lo fece rinvenire dai suoi tormentati pensieri.
 
«Solo Ace…» mormorò ridendo, quel onorifico gli metteva soggezione. «Beh, vediamo… da cosa potrei iniziare… Ah sì! Sai cosa sono i frutti del diavolo?» chiese esaltato, scattando per sedersi esattamente davanti a lei. Gambe incrociate e la schiena diritta. I propri occhi vispi si persero in quel blu sconfinato davanti a sé.
 
«Frutti del diavolo?» ripeté perplessa Ayame con un’espressione buffissima sul volto.
 
Era palese non ne avesse mai sentito parlare. D’altronde il Pase di Wa era fortemente isolato dal resto del mondo, e poteva benissimo essere che nessun possessore di poteri innaturali fosse mai approdato o magari non si fosse mai esposto così tanto. Anche loro lo erano tutti, ma solo lui si stava mettendo così a nudo. Sicuramente era un’azione sconsiderata ed imprudente; un classico alla Portgas D. Ace.
 
«Allora te lo spiego io, però promettimi che non ti spaventerai, ok?» Ace scoppiò a ridere divertito, cogliendo tutta la curiosità che traspariva in ogni muscolo del corpo della giovane, che prontamente spostò lontano lo strumento musicale sedendosi più comodamente davanti al comandante.
Annuì alla sua richiesta, e poco dopò la mano destra di Ace si infrappose tra di loro.
 
Il palmo forte, girato verso l’alto, le dita si mossero lievemente creando delle flebili fiammelle.
 
Lo sguardo di Ayame si spalancò incredulo, entusiasta e spaventata contemporaneamente. Stregoneria? Non aveva mai visto nulla del genere nei suoi vent’anni. Ace la guardò dolcemente. Gli occhi stretti in un grande sorriso divertito. Intensificò le fiamme, facendole danzare nella sua mano, stando attendo a non sfiorarla involontariamente. Il calore si diffondeva, tingendo i loro corpi di una lieve luce rossa. Il tepore accresceva, flebile al venticello che entrava nella stanza.
 
«Posso toccarle?» domandò Ayame, guardandolo con gli occhi eccitati di una bambina. Quel blu era iridescente da quant’era entusiasta. Non esitava. Non aveva paura di lui. Come poteva una giovane donna, la quale non avesse mai visto nulla del genere, non temerlo? Non volerlo allontanare, ma anzi, sembrava sempre di più abbattere ogni distanza tra di loro.
 
Ace le annuì. Ovviamente potendo modificarne la natura delle proprie fiamme, quindi se coinvolgere oggetti e persone o meno, annullò totalmente il calore. Quasi fossero degli ologrammi, visibili ma impercettibili. La giovane dai capelli color pesca si rese subito conto dell’assenza di calore. Lo guardò confusa, ma non tornò sui propri passi. Le esili dita gli sfiorarono i polpastrelli, incredula di non scottarsi, proseguendo poi sul palmo sino a posare completamente la propria mano sul quella del corvino; lasciandole entrambe avvolte nelle fiamme. Vive, ardenti.
Rimasero entrambi in silenzio, sorridendosi e giocherellando con esse. Le morbide dita di Ayame si stringevano in quelle di Ace, decisamente più possenti.
 
Il comandante si sentì strano, nemmeno lui riusciva a capirne il motivo. Fin dal primo momento si era sentito a suo agio in compagnia di una sconosciuta ed era pure arrivato ad esporsi così tanto. Sentiva di potersi fidare. Non riusciva a far a meno di volerla proteggere. Sentiva la necessità di quella dolce veemenza.
 
«Com’è possibile tutto questo? La tua mano è calda, come la tua pelle… ma le fiamme non hanno calore, però prima le ho sentite e sono sicura che se le avessi toccate mi sarei scottata.» chiese spiegazione Ayame ritraendo poco dopo la propria mano da quella di Ace, il quale lievemente le fece opposizione quasi a non volerla lasciare.
 
«Non hai paura di me?» domandò serio, nessun sorriso sotto quelle lentiggini.
«No, non me ne hai mai dato modo di averne.» gli rispose reggendo il suo sguardo ed il tono ponderato.
 
«Sai… metà del mondo mi chiama il “Figlio del Demonio” per via del legame di sangue con quello che era mio padre. Mi temono tutti, nonostante io non abbia fatto nulla e da quando ho acquisito questo potere, sono diventato uno dei più grandi ricercati di tutto il mondo…» spiegò Ace, mascherandosi con un’espressione beffarda sul volto. Non gli stava poi così bene.
 
«Perché dovrebbe importarmi del nome della tua famiglia? Infondo tu stesso stai parlando con una Oiran, una donna di piacere. Il tuo nome e il mio lavoro non descrivono realmente chi siamo, Ace…» rispose affabilmente Ayame. Era una donna astuta e brillante per la propria età e negli anni aveva imparato molto bene a leggere le persone. E davanti a sé era certa di non avere nessun Demonio, quelli erano altri.
 
Ace rimase ammutolito. Sorpreso e mortificato nel sentire quel paragone verso loro due. Per la prima volta, oltre alla propria famiglia, aveva trovato qualcuno che non lo giudicasse o desse peso a quel dannato cognome cadutogli addosso da ancor prima di venire al mondo. Allo stesso tempo però, si sentì un miserabile per averla messa nella condizione di dover sottolineare che fosse una prostituta e che con ciò non si sarebbe dovuta meritare la sua compagnia.
 
«Aya-» provò a mormorare Ace, venendo subito interrotto. «Va bene così, piuttosto vedi di rispondere alla mia domanda invece!» lo canzonò prontamente la giovane donna, cercando subito di cambiare il clima di tensione creatosi all’interno della propria stanza.
 
«Hai ragione, hai ragione!» rise al rimprovero, portandosi una mano dietro alla testa imbarazzato.
«Questo potere deriva da un frutto di nome Mera Mera, appunto un frutto del diavolo. Si chiamano così perché conferiscono a chi li mangia dei poteri diversi però ti impediscono, come una punizione, di poter nuotare a contatto con l’acqua. Se io entrassi in mare morirei affogato insomma, porta il corpo ad essere inerme e non muoversi più.» spiegò brevemente Ace.
«Ovviamente quando lo mangiai non sapevo fosse un frutto del genere. Avevo diciassette anni ed ero naufragato su un’isola, senza cibo o acqua. Lo trovai per caso e senza pensarci lo mangia, ovviamente poco dopo me ne resi conto…» continuò la spiegazione scoppiando vistosamente a ridere ricordandosi di quel momento in compagnia di uno dei suoi primi amici, Deuce.
 
La giovane Oiran rise insieme a lui, immaginandosi un giovane Ace allo sbaraglio, anche se con il senno di poi ci sarebbe stato ben poco da ridere. La sua allegria era coinvolgente e lei non era abituata a tutto questo. Viveva in un costante flusso di serietà ed apparenza, decisamente ben lontano dalla realtà dello straniero davanti a sé.
 
«Quindi al mondo ci sono tanti tipi diversi? E se uno non lo vuole più?» domandò ingenuamente la giovane, sempre più curiosa. In un mondo di katane e samurai era difficile immaginarsi una cosa del genere senza averla d’innanzi agli occhi.
 
«Esattamente! Ce ne sono alcuni come il mio che si chiamano Rogia e permettono di modificare il corpo in un elemento, quindi decidere se le fiamme stanno solo su di me o su determinate cose, se bruciano oppure no. Poi altri invece, come quello di mio fratello, si chiaman Paramisha e trasformano il corpo. Sai, lui si può allungare tipo un elastico, fichissimo! E poi quelli Zoo che quindi diventano degli animali…» finì Ace chiudendo il piccolo discorso riguardanti i frutti del diavolo.
 
Ayame rimase in silenzio elaborando le tante informazioni ricevute da Ace, che nel frattempo si divertiva ad intrattenerla giocherellando con le fiamme sul proprio corpo. Era peggio di un giullare quando gli partiva a vena divertente.
 
«Hai detto che alcuni possono trasformarsi in animali, giusto?» domandò seria la giovane, mentre i suoi pensieri erano piuttosto presi a riflettere su qualcosa. «Sì esatto. Tipo… leoni, dinosauri, draghi ecc.» rispose Ace senza darle troppa importanza. «Ace… qui a Wano ce sono altri come te allora!» esclamò la Oiran ad occhi sgranati, come se avesse risolto un enigma impossibile.
 
Ace rimase perplesso, grattandosi la testa non capendo esattamente cosa intendesse. Dalle informazioni in loro possesso, a parte Kaido, non ci sarebbe dovuto essere nessun possessore ma era anche vero che non avevano così tante informazioni per escludere ciecamente.
 
«Ascoltami, non possiamo parlare di questo a voce alta. Te lo dirò all’orecchio, ok?» bisbigliò Ayame con un atteggiamento che destò abbastanza perplessità ad Ace. Le pareti hanno orecchie? O forse era lei ad essere fin troppo prudente.
 
La giovane Oiran si avvicinò ampiamente ad Ace, sfiorando il suo corpo per raggiungergli l’orecchio. Un profumo inebriante avvolse il corvino, dandogli una sensazione stupefacente. Si agitò leggermente nell’averla così vicina. Sentì il seno sinuoso aderire alla sua spalla, ed un nodo alla gola lo avvolse. “Ace, sembri un pivello.” Pensò tra sé e sé finché Ayame non prese a parlare ricatturando la sua attenzione.
 
«Io sono stata nella casa personale dello Shogun e durante una festa in preda all’ira si trasformò in un serpente a otto teste… questa è un’informazione che solo in pochi eletti sappiamo, pena la decapitazione… ma stando con Kyoshiro-sama, più di una volta l’ho sentito parlare dei Pirati di Kaido e tutti loro hanno sembianze anomale.» gli bisbigliò Ayame all’orecchio, con una voce flebile.
 
Ace sembrò ricevere un’iniezione di adrenalina. Lo sguardo vispo si fece sottile e il suo corpo si tese, quanto le corde di uno Shamisen. Aveva trovato un altro tassello del puzzle, e doveva assolutamente informare Marco e Izo delle novità scoperte. Potevano essere un punto di svolta fondamentale e soprattutto da non sottovalutare.
 
«Questa si che è una notizia! Ayame sei mitica!» esclamò Ace voltandosi verso di lei, dimenticandosi che la ragazza si trovasse ad un soffio dalla sua faccia.
 
I due giovani si ritrovarono naso a naso, scongiurando al pelo una testata condivisa. Gli occhi color zaffiro si fecero ancora più grandi. Ace sorrise, senza accennare un minimo spostamento.
 
«Sei uno stupido! Ti ricordo che dovresti pagare per la mia compagnia!» lo ammonì Ayame, cercando di nascondere palesemente il suo imbarazzo presa così alla sprovvista. Lo spinse lievemente su una spalla, scostandolo dal proprio viso fintamente seccato.
 
Ace rise nuovamente, facendola ridere a sua volta. I due rimasero lì, amichevolmente a scrutarsi. Come potevano ridere dopo una rivelazione del genere? Ace si alzò in piedi, allungandole una mano per aiutarla nel fare lo stesso.
 
«Te ne vai?» domandò guardandolo accanto a sé. Avevano circa una spanna di differenza, ed accanto alla sua figura era proprio minuta.
 
«Sì, mi sono trattenuto abbastanza ed è meglio che raggiunga gli altri… Mi accompagni?» rispose Ace incamminandosi verso il giardinetto interno, dalla quale era venuto.
 
Ayame annuì, abbassando poco dopo lo sguardo sul tatami mentre entrambi camminavano in direzione della porta. Era calato il silenzio e con esso anche il sole prese a scendere. Quant’era passato, un paio d’ore? Sembrava il tempo si fosse fermato in quella stanza, colorata e profumata.
 
«Tornerò a trovarti… vedi di fare la brava.» mormorò teneramente Ace, voltandosi verso di lei ed incrociando così il suo sguardo. Quegli zaffiri sembrarono aver ripreso vigore dal momento appena prima.
 
Il comandante si rimise gli zori e le si allontanò, salutandola con un cenno della mano prima di saltare sulle mura attorno alla casa. «Stai attento!» Un urlò si librò timido nell’aria ed Ace si voltò subito nella sua direzione, facendole un occhiolino per poi scomparire dalla sua vista. Sceso in strada si sentì le gambe molli, che stava accadendo? Indietreggiò appena, appoggiandosi con la schiena al muraglione, mettendosi una mano sul petto. Il cuore batteva veloce.
Non potevano due parole averlo reso così vulnerabile.
 
Doveva ammetterlo: il paese di Wa era davvero affascinante, sotto tutte le sue forme.

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Capitolo 4
*** Vizi e Deliri ***


Nove rintocchi si udirono in tutta la Capitale dei Fiori, giunse la mezzanotte. Questa era una delle cose cui i tre comandati ebbero modo di imparare durante il loro soggiorno nel Paese di Wa. Non esisteva un orologio tradizionale con le ventiquattro ore nel paese del sol levante, si scandiva la giornata tramite i quantitativi di rintocchi emessi dal tempio; sei all’alba, nove a mezzogiorno, sei al tramonto e nove a mezzanotte. E con quest’ultimi iniziò una nuova missione per Ace, Marco e Izo.
 
Nella notte si sarebbe tenuto uno dei banchetti privati dello Shogun Orochi, o almeno gli piaceva definirli tali, in modo da nascondere lussuria e malavita in cui era tipico sguazzare. Dopo le informazioni raccolte da Ace in merito ai possessori dei frutti del diavolo, i comandanti di Barbabianca si presero dei giorni per studiare ed organizzare al meglio il proprio da fare. Ormai erano nella Capitale da una decina di notti ed il cerchio attorno a loro prendeva a stringersi momento dopo momento. Era giunto il tempo di agire con un grosso colpo.
 
Izo riuscì a farsi invitare alla festa tramite gli affari che aveva iniziato a tessere con Kyoshiro e la sua cerchia malavitosa. Non era ancora chiaro come funzionasse il giro illegale d’armi a loro carico, così avrebbe indagato dall’interno a stretto contatto con Orochi e i suoi scagnozzi. Indubbiamente, sarebbe stato l’unico dei tre a destare meno sospetti agli occhi dei nemici; la sua terra natia lo riconosceva. Marco ed Ace si sarebbero occupati ci cercare informazioni in giro per il palazzo, perlustrando più posti possibili. Il loro compito era anche quello a maggior rischio. Il palazzo era attentamente sorvegliato: Ninja personali e Ronin pattugliavano qualunque angolo della dimora, per non parlare del fatto che quel palazzo avesse occhi ed orecchie ovunque.
 
Per l’occasione, la coppia di investigatori aveva optato ad un look meno appariscente ed in stile Ronin, decisamente più consono in caso di uno scontro. Dovevano mettere in conto anche questo a discapito della missione. Entrambi indossarono uno yukata nero con dei micro-motivi a tono ed ai piedi optarono per i jika-tabi insieme a dei sandali intrecciati alle caviglie. Calzature molto più comode e simili alle loro canoniche scarpe. Con queste correre, arrampicarsi e combattere sarebbe stato molto più facile. Per nascondere il volto invece, scelsero il classico copricapo ninja simile ad un passamontagna, in modo da lasciare scoperti solo gli occhi. Con sé non avevano armi, o meglio, portavano solo dei pratici kunai; in caso di bisogno estremo avrebbero sfoderato le loro carte migliori.
 
La festa ebbe inizio, fiumi di saké e di donne si riversarono nelle stanze dello Shogun. Vi erano Oiran per tutti i gusti, seguite da quantità smisurata di vivande e uomini pronti a gustarle entrambe. La musica risuonava per tutto il palazzo, talmente forte da diffondersi anche lungo le strade della Capitale dei Fiori. Izo prese parte al banchetto, seduto in un tavolo in compagnia di alcuni mentecatti già alticci ai primi bicchieri di sakè. Sotto raccomandazione di Ace controllò la possibile presenza di Ayame, ma non ebbe grande successo. Per calarsi meglio nella parte si lasciò coinvolgere dall’alcool, cantando ed intrattenendosi lui stesso con le giovani fanciulle in loro compagnia. Non erano prettamente di proprio gusto, ma il lavoro era pur sempre lavoro ed in questo caso avrebbero aiutato la sua copertura.
 
«Mi sembrava di ricordare non ti interessassero le donne!» una voce divertita canzonò Izo, poggiandoli una mano imponente sulla spalla comparendogli da dietro. Era Kyoshiro e a quanto parve aveva una bella memoria.
 
«Ero con i miei sottoposti, non potevo farmi vedere così vulnerabile.» rispose fermamente il comandante, sorseggiando subito dopo l’ennesima coppa di sakè.
 
Kyoshiro lo guardò assottigliando lo sguardo, osservandolo con scetticismo quasi sembrando un felino. Quel forestiero stava mettendo forse in dubbio la sua moralità e la sua serietà? L’uomo dai capelli color indaco indossò un sorriso di cortesia, accodandosi successivamente al vociare del tavolo al quale erano seduti.
 
«Allora… il tuo sottoposto si era divertito con la mia Kitsune?» domandò Kyoshiro prendendosi una Orian tra le braccia con fare viscido e malizioso. Fortunatamente in quella situazione vi era Izo e non Ace, non avrebbe mai retto un tale scempio. «Credo proprio di sì, ne era uscito estasiato… e svuotato!» canzonò Izo ridendo. Aveva in mente di istigare un po’ il malavitoso, cercando di coglierne dei punti deboli o delle falle. L’alcool doveva pur farlo crollare.
«Non ne avevo dubbi, lei è la mia favorita.» rispose beffardamente Kyoshiro, lasciando la frase un po’ a libera interpretazione. I due risero insieme a tutto il tavolo continuando a festeggiare, mentre lo Shogun dinnanzi a loro si intratteneva con la propria cortigiana, Komurasaki.
 
Nel frattempo, Marco ed Ace si divisero in giro per il palazzo, tutti e tre in contatto tramite Lumacofoni per comunicare in caso di necessità. Nel corso della serata era fondamentale che tutti fossero aggiornati costantemente sulle varie situazioni, per coordinarsi.
La Fenice partì dall’ala ovest della casa, in cui secondo informazioni vi erano la sala di guardia con i principali enti di sorveglianza e le sale mediche. Insomma, erano il suo punto forte. Dovevano informarsi su più cose possibili: piani militari, distribuzione degli eserciti dello Shogun e di Kaido ecc.
Ace invece partì dall’ala est, la zona notte della casa con le camere personali ed i luoghi di riunione. Nella stessa area vi erano anche le cucine, e il corvino aveva già preventivato una breve irruzione alla ricerca di cibo.
 
A causa della festa privata vi era un continuo via vai di persone, ospiti ubriachi che si intrattenevano vistosamente con Oiran mai viste prima, servitù che correva a destra e a manca per ottimare il servizio vivande e guardie che monitoravano la situazione.
Il giovane comandante rimase nascosto nell’ombra di un cortile interno, attendendo il momento giusto per infiltrarsi nelle camere. Era una zona abbastanza grande, ben articolata tra corridoi interni e porte comunicanti. Doveva essere vigile e destare meno sospetti possibile. Decise quindi di togliersi il copricapo di dosso, fingere di essere un invitato ubriaco poteva tornargli utile.
 
Si incamminò silenziosamente, passi veloci e leggeri, guardandosi attorno per scorgerne possibili informazioni. Le stanze erano immense, tutte accuratamente adornate con oggetti e tessuti di una certa rarità. Alcune camere prevedevano molteplici futon, probabilmente per la servitù, mentre altre stanze erano fin troppo enfatizzate da aromi e luci dal carattere piuttosto erotico; probabilmente stanze per concubine ed Oiran d’occasione.
Fu proprio in quelle stanze in cui Ace iniziò a sentire dei rumori, mettendolo subito in status d’allerta. Si sentiva parecchio fragore man mano che si avvicinava alla fonte, ma continuò ad avanzare sino a capire esattamente cosa fosse. Ansimi e spasmi di piacere.
 
Ace si nascose dietro la parete, traverso la quale si vedeva benissimo il tutto senza la necessità di entrare. Rise di soppiatto, affacciandosi successivamente a sbirciare. Un uomo di età piuttosto matura se ne stava disteso in fase passiva, mentre due giovani amazzoni lo riempivano di attenzioni, tra cavalcate piuttosto spinte ed altre piacevoli coccole. Inutile negare un po’ d’invidia, insomma Ace era pur sempre un giovane uomo in preda al vigore ormonale, certe situazioni non le disdegnava anche sé poi, erano ben fuori dal suo comfort zone. A differenza dell’impressione che poteva dare, era un tipo piuttosto romantico e monogamo. Si divertì a sbirciare qualche altro minuto, quando il proprio Lumacofono prese a suonare. Fortunatamente il trio era fin troppo impegnato per prestare attenzione a lui.
 
 «Qui Ace…» bisbigliò il corvino, allontanandosi il più possibile per non essere sentito.
«Oi Ace, com’è la situazione lì?» domando Marco.
«Beh, direi esotica.» rispose ridendo il giovane comandante, ripensando alla scena appena assistita. «Oi, cosa cavolo vuol dire?» domandò con lieve preoccupazione la Fenice, non capendo cosa intendesse con esotica. «Niente, vecchio! Ho appena visto un trio darci piuttosto dentro. Nemmeno nel nostro mondo le donne sono così intraprendenti!» scoppiò nuovamente a ridere divertito.
«Oi oi, tieni a freno l’uccello che qui non stiamo scherzando Ace!» lo ammonì Marco, ricordando ad Ace il motivo per cui si trovassero lì. «Yah, guarda che sei tu l’uccello qui, razza di rapace!» brontolò il corvino beffeggiando la Fenice. «Scherzi a parte. Sono nelle stanze private e qui non ho trovato nulla di rilevante, adesso vedo di spostarmi nell’altra ala. Tu hai trovato qualcosa?» domandò il secondo comandante tornando serio. «No, nulla al momento. Ho visto solo documenti di un certo veleno che sembrerebbe abbiano usato per avvelenare il precedente Shogun.» spiegò Marco, con fare un po’ sconcertato. «Ok, ci aggiorniamo poi.» concluse Ace riattaccando.
                                                                                                  
Riordinò le idee, prendendosi qualche secondo per orientarsi nuovamente dal nuovo pit stop appena fato. Queste case orientali erano tutte uguali e perdersi era facilissimo, fortunatamente fin da piccolo aveva uno spiccato senso dell’orientamento. Un nuovo cortile interno, anch’esso abbastanza frequentato, ma questa volta si finse realmente ubriaco e chiese informazioni per il bagno ad un ospite passante per caso. Appena svoltato un angolo buio scattò saltando sul tetto, da lì sopra orientarsi sarebbe stato più facile. Corse per un paio di superfici fino a raggiungere una zona non citata nella planimetria consultata in precedenza. Dove diavolo era finito?
Saltò giù, occhiata a destra e sinistra, e riprese inoltrandosi maggiormente. Davanti a sé si parò una porta massiccia, ben lontana delle classiche porte scorrevoli fatte di cartapesta, vi era pure un lucchetto di ferro.
 
«Bene bene, qui dovrà per forza esserci qualcosa…» mormorò tra sé e sé, riguardandosi attorno mentre velocemente fece scaturire delle fiamme dalla mano destra, sciogliendo la serratura. L’utilità di Mera Mera gli riservava varie alternative d’utilizzo.
 
Il giovane capitano entrò cautamente, socchiudendo la porta alle proprie spalle e facendosi luce con le proprie fiamme. Una stanza piuttosto grande gli si presentò davanti agli occhi, era veramente immensa. Alla sua sinistra vi era una parete interamente ricolma di libri e scartoffie varie, mentre davanti a sé infondo alla stanza, una sconfinata collezione d’armi da poter essere paragonata ad un arsenale. Ace si diede una scrollata, ora avrebbe dovuto esaminare tutto il più velocemente possibile.
 
Sulla parte trovò delle lanterne, che prontamente accese per liberare la mano destra dalle proprie fiamme. Accorse verso le scartoffie, scostandole in massa e sfogliandole velocemente. Atti di proprietà varie, mille miliardi di nomi di gente mai udita: daimyo qua e daimyo là, tassazioni varie, allevamenti e tenute ecc; un’infinità di cose irrilevanti.
Corse dall’altra parte della libreria tra dei grandi manoscritti, passandone uno ad uno alla velocità della luce, finché non fu catturato da un brossurato chiamato “SMILE”. Fin da subito questo nome lo incuriosì parecchio, in primis perché scritto con caratteri linguistici comuni del nuovo mondo, e che per il contesto nella quale si trovavano erano totalmente fuori luogo. Doveva esserci lo zampino di Kaido. Ace prese il volume, poggiandolo a terrà ed accovacciandosi su sé stesso per iniziare a sfogliarlo iniziando a leggerne spezzoni delle prime pagine.
 
“I frutti SMILE sono stati inventati negli ultimi quattro anni dal brillante scienziato e criminale Caesar Clown, sviluppando un metodo per creare Frutti del diavolo di tipo Zoan artificiali con una speciale sostanza chimica da lui stesso creata, nota come SAD. Caesar, lavorò sotto la bandiera di Donquixote Doflamingo” […]
 
“Kaido monopolizzò il commercio degli SMILE nel tentativo di comandare l'equipaggio di pirati più forte del mondo intero, composto interamente da possessori di Frutti del Diavolo. Kaido li diede da mangiare ai membri del suo equipaggio per trasformarli in Gifters, accumulando un esercito di oltre 500 super dotati” […]
 
Ace rimase spiazzato, quello che stava leggendo erano più di un paio di informazioni rubate ad una bancarella di Udon nella Capitale dei Fiori. Quello era la spiegazione del perché Kaido fosse intoccabile. Ma tutto questo dove lo collegava a Wano e con Orochi? Le domande iniziarono a farsi più forti nella testa di Ace, il quale cercò di restare concentrato e approfondire ulteriormente la lettura. Questo libro l’avrebbe successivamente portato con sé nel Nuovo Mondo.
 
“I Pirati di Kaido che mangiarono gli SMILE difettosi vennero costretti a essere sempre felici, diventando i “Pleasures”. Successivamente si è scoperto che gli SMILE difettosi conservano i loro inconvenienti anche dopo essere stati parzialmente mangiati, a differenza dei veri Frutti del Diavolo.
Prendendo atto di ciò, lo Shogun Kurozumi Orochi, prese i frutti difettosi avanzati e li mise insieme agli avanzi che vennero dati ai cittadini poveri. L'obiettivo di Orochi era quello di costringere le vittime del suo regno crudele a esprimere una gioia costante, con l'intenzione di mantenere un volto di felicità in tutto il paese, sopprimendo l’insurrezione popolare.” […]
 
“Quando una vittima mangia un SMILE, è per sempre incapace di esprimere qualsiasi emozione diversa dalla gioia costante, anche in una situazione in cui normalmente esprimerebbe tristezza, paura o rabbia.” […]
 
Dopo aver letto tutto ciò Ace chiuse il libro. La rabbia gli ribolliva nelle vene peggio del magma al centro della terra. Si sentì il sangue al cervello, come se lo avessero appeso a testa in giù per svariato tempo. Il paese di Wano stava sopportando una delle ingiustizie più grandi avesse mai sentito; avevano perso il diritto di poter piangere.
 
Il corvino prese subito in mano il proprio Lumacofono pronto per chiamare Marco, quando sentì un forte rumore in lontananza e dei passi sempre più repentini. Spense rapidamente le torce accanto a sé, mise il passamontagna e si nascose in un angolo buio.
 
«La porta è aperta!» si sentì urlare al di fuori della stanza ed il corvino capì subito di trovarsi in svantaggio numerico. Troppo movimento là fuori. Rimase immobile, cercando di mimetizzarsi il più possibile e temporeggiare per la fuga. Una volta uscito da lì si sarebbe ritrovato accerchiato.
La porta massiccia venne aperta, pesante e cigolante, con un suono distintivo. Le guardie iniziarono ad avanzare, un gruppetto da cinque di cui uno andò ad accendere la prima torcia accanto a loro. Un’ombra rapida si spostò. «È qui! Preparatevi, chiamate i ninja!» urlò uno di questi, irrompendo con ulteriori uomini nella grande stanza. Un’altra torcia si accese, una seconda ed una terza.
Non aveva più angoli bui. Ace scattò verso di loro, libro sottobraccio, si diresse verso il portone cercando una via di fuga. Chiudersi lì dentro lo avrebbe messo in difficoltà. Attraversò la porta senza troppe complicazioni, schivando qualche katana che si librava nell’aria approdando nel cortile interno. Fece giusto in tempo a fermare il corpo, quando un kunai gli sfiorò lo zigomo tagliando il passamontagna. Si voltò rapido come un giaguaro, rendendosi conto di essere circondato da una decina di ninja esperti. Un gruppo d’élite sotto controllo dello Shogun.
 
«Fermati ladro!» gli urlarono, caricandolo con una formazione d’assalto.
 
Ace schivò nuovamente i colpi: katane, shuriken e fendenti vari, il tutto cercando di non opporre troppe resistenze e soprattutto senza utilizzare le proprie specialità. Il Lumacofono prese a suonare, distraendo il corvino che incassò un paio di colpi ferendosi a una gamba ed un braccio, facendolo volare tra la vegetazione con un calcio in pieno sterno.
 
«Dannazione…» brontolò toccandosi la gamba ferita, rendendosi conto di star sanguinando. Nulla di troppo grave, ma era pur sempre una ferita.
 
Gli si scagliarono nuovamente addosso, quattro contro uno a mani nude, non era certo un combattimento equo. Schivò e parò nuovamente, quando sentì un fischio assordante che lo destabilizzò rendendosi conto al primo colpo, che una pioggia di aghi lo stava coinvolgendo. Riuscì a scamparne la maggior parte, ma dovette utilizzare Mera Mera per non aggravare la situazione. Saltò sul tetto prendendo a correre velocemente, gli stavano con il fiato sul collo e quel Lumacofono non gli dava tregua.
 
«Sono impegnato, merda!» esclamò Ace in preda all’affanno dovuto al continuo correre e schivare i molteplici attacchi sincronizzati. Fanculo a quei ninja. «Ace che sta succedendo?! Dove sei?» esclamò Izo, parlando con un tono moderato. Probabilmente si era allontanato dalla festa per poter comunicare con loro. «Mi hanno scoperto! Ho un gruppo di ninja alle costole e non sto riuscendo a seminarli! Voi?» spiegò Ace, tra un salto e un volteggio lungo i tetti del Palazzo.
 
«Qui è scoppiato un casino! Non ho capito bene cosa sia successo, ma Kyoshiro se n’è andato molto agguerrito con la sua cerchia stretta, e lo Shogun si è trasformato in un animale mitologico. Le nostre informazioni erano giuste!» spiegò Izo abbastanza allarmato non sapendo bene cose stesse succedendo. «Oi Ace vattene subito da lì, ti raggiungo!» esclamò in risposta Marco, erano tutti e tre in collegamento. «No Marco! Dobbiamo dividerci, andiamocene. Ace…ho idea ci sia la mano di Kyoshiro dietro al tuo inseguimento, vedi di nasconderti. E non farti ammazzare!» continuò Izo, la voce notevolmente preoccupata. Se li avessero scoperti, tutto il loro lavoro sarebbe stato vano, per non parlare della delusione che avrebbero recato a Barbabianca.
 
Ace non fece nemmeno in tempo a mettere giù la chiamata, che riconobbe dietro di sé la voce del malavitoso dai capelli color indaco. L’adrenalina divampò istantaneamente, quell’uomo non era un facile avversario e lo si percepiva semplicemente dall’aurea che emanava. Doveva sparire prima di essere scoperto. Riuscì a scappare dal Palazzo, infilandosi nei vicoli della Capitale dei Fiori.
Era notte e, a suo sfavore, le vie erano piuttosto silenziose. Doveva trovare un nascondiglio al più presto, ma soprattutto uno veramente sicuro. La propria testa viaggiò rapidamente, cercando di creare una mappa mentale sicura, ma nulla. Solo un posto continuava a palesarsi nella sua immaginazione, la Casa del Piacere. Prese a correre nella direzione opposta rispetto a dov’era, destrandosi tra i vari vicoli che si diramavano lungo la via principale, in modo da depistare il più possibile i suoi inseguitori. Cambiò svariate strade incespicando qua e là negli ostacoli imprevisti: carretti, spazzature, vicoli chiusi. Non conoscere la città era una seccatura. Corse allo stremo fino a saltare sulla muraglia e gettarsi ferocemente nel cortile privato della sua informatrice.
 
«Ayame!» la chiamò con fiato corto e la voce allarmata, non aveva tempo da perdere, ma allo stesso tempo non voleva spaventarla arrivando così. Si rialzò correndo verso la porta scorrevole aprendola rapidamente, sfilandosi il passamontagna dalla testa. La camera era vuota, profumata più del solito.
 
 «Ace?» domandò la giovane Oiran andandogli incontro scioccata da quell’ingresso inaspettato, ma soprattutto nel vederlo così. «Che è successo? Sei ferito!» esclamò prendendogli il viso umido e sporco di sangue tra le mani. Quel tocco così fresco e delicato, un sollievo.
«Sto bene, devo nascondermi. Kyoshiro mi sta cercando.» spiegò rapidamente Ace, svincolandosi da quel dolce tocco sul proprio viso, iniziando a camminare per la stanza puntando alla cabina armadio della ragazza. «No, fermati! Kyoshiro conosce bene la mia stanza e di conseguenza pure i punti per nascondersi.» rispose allarmata Ayame afferrando Ace per un braccio, rendendosi conto che stava sanguinando anche da lì. Non sembravano ferite gravi, ma erano pure sempre delle ferite. Avevano altro a cui pensare in questo momento. Lei stava lavorando, doveva accogliere dei nuovi clienti e Kyoshiro-sama sarebbe arrivato lì da un momento all’altro.
 
«Vieni ho un’idea…se mi reggerai il gioco andrà bene, ok? Ti fidi di me?» domandò senza esitazione Ayame, portando Ace al centro della stanza, spargendo in giro per essa petali di ciliegio e diffondendo nell’aria dell’ulteriore unguento profumato. Bisognava coprire l’odore del sangue e del sudore. Non erano comuni nella stanza di una delle donne più famose di Wano.
«Non sarei venuto qui in caso contrario, non credi?» mormorò Ace a fiato corto, osservando i movimenti della giovane senza comprenderne esattamente il motivo.
 
«Perfetto! Ora nasconditi sotto al mio kimono, non mi muoverò dal centro della stanza. Kyoshiro-sama è abituato a vedermi in questo modo quando sto lavorando, quindi, basterà che tu stia stretto alle mie gambe ed immobile. Al resto penso io, d’accordo?» spiegò Ayame tirando un sospiro per caricarsi e calarsi nella parte. Era pur sempre il suo lavoro.
 
Ace la guardò perplesso, non aveva tempo per pensare a qualcos’altro, soprattutto poiché iniziò a sentirsi parecchio trambusto provenire in lontananza. Ayame sollevò il suo immenso kimono, composto da molteplici strati di seta più o meno pesanti e dai colori sgargianti. Era molto voluminoso, più di quello che Ace stesso le aveva visto indossare la prima volta.
La pelle rosea a liscia si mostrò agli occhi del corvino, che come ordinato abbracciò senza troppe esitazioni le sue gambe, posando il viso alle cosce minute. Una situazione parecchio strana.
 
«Gli uomini della Capitale pagherebbero per essere al tuo posto!» sdrammatizzò la Oiran ridendo divertita, mentre nascondeva adeguatamente il ragazzo sotto le proprie vesti. Sistemò le stoffe, si toccò i capelli accuratamente acconciati e si calò nella parte d’attrice, quando la porta scarlatta venne spalancata brutalmente. Ayame percepì il tocco di Ace farsi più stretto, facendola sussultare leggermente imbarazzata. Da quando quello straniero arrivò, tutto si fece assurdo.
 
«Kyoshiro-sama?» lo chiamò con fare estremamente posato e sensuale, fingendosi sorpresa di vedere l’uomo dai capelli color indaco fare irruzione nella propria camera privata.
«Sei da sola?» domandò Kyoshiro andandole incontro con a seguito un paio dei suoi uomini.
«Sì Kyoshiro-sama, avete bisogno della mia compagnia?» domandò nuovamente Ayame con uno sguardo ammiccante ed un tono di voce molto seducente, cui Ace non aveva mai udito. Lo percepì sfiorarle nuovamente le gambe. Il respiro caldo sulla pelle la fece rabbrividire sotto le stoffe.
«Non ora…» mormorò il malavitoso continuando a perlustrare la stanza e muovendosi attorno a lei con fare investigativo. «Kyoshiro-sama… è successo qualcosa?» domandò fingendosi preoccupata dal comportamento del padrone, guardandolo con sguardo ammaliante standosene imbellettata al centro della stanza dall’alto dei suoi geta.
 
L’uomo le dedicò un’occhiata, squadrandola in tutta la sua interezza, avvicinandosi a lei con un sorrisetto sghembo sulle labbra. Lo sguardo affilato quanto un felino. Le arrivò ad un soffio dal naso, affondando in quegli occhi color zaffiro che lo sostennero incuriosita.
Kyoshiro le si avvicinò ad un orecchio flirtante, inspirando profondamente il profumo della sua cortigiana, mentre le proprie mani si saldarono una sulla mascella della giovane e l’altra sul suo fondoschiena. Possenti e decisamente sgraziate, quel fare rozzo e viscerale le dava il volta stomaco.
«Verrò a tenerti compagnia nei prossimi giorni… non essere impaziente, mia cara.» le mormorò presuntuosamente all’orecchio leccandoglielo, ritraendosi da lei poco dopo.
 
«Hai cambiato fragranza? Non mi piace, cambiala la prossima volta.» esordì Kyoshiro, facendosi botta e risposta da solo, congedandosi dalla stanza con un occhiolino malizioso.
 
Ayame rimase immobile, ancora trattenente il respiro da quando le si avvicinò così pericolosamente. Se l’avesse smossa di un solo millimetro li avrebbe scoperti. Attese un paio di minuti in più, finché dall’esterno non calò completamente il silenzio della notte.
Sospirò.
 
«Ace…» lo chiamò delicatamente sollevando i lembi del proprio kimono, scorgendo il corpo del ragazzo ancora rannicchiato ed aggrappato alle sue gambe.
«C’è mancato poco… che viscido schifoso.» borbottò Ace uscendo allo scoperto, coperto di sudore e sangue. Altro che nuova fragranza.
Il comandante di sollevò, mettendosi in piedi davanti alla sua salvatrice, guardandola amichevolmente. Era nuovamente truccata in modo molto vistoso, i capelli raccolti, quel profumo inebriante che gli dava alla testa. Storse appena le labbra come a scacciare un pensiero inopportuno.
 
«Grazie mille ancora… mi hai salvato.» mormorò sorridendole, allontanandosi dalla sua figura raffinata. Era ridotto ad un feticcio e non voleva recarle altri disturbi. «Scusa, me ne vado subito!» continuò sbrigativo dirigendosi verso la veranda, quando Ayame lo afferrò stretto per un polso. Il tocco delicato e sensuale d’un tratto divenne così determinato.
«Dove diavolo stai andando? Dobbiamo medicarti subito, stai sanguinando.» lo rimproverò seria con occhi preoccupati, guardandolo in continuazione da capo a piedi.
«Non ce n’è bisogno, hai già fatto fin troppo per me. Non voglio metterti nei casini Aya-» cercò di dissuaderla dimenandosi dalla sua morsa, venendo interrotto quando Ayame volontariamente fece cadere un grosso vaso di porcellana accanto a loro, frantumandolo sonoramente.
 
«Sayuri-chan, portami urgentemente dell’acqua bollente, bicarbonato e delle garze!» urlò autoritaria la giovane Oiran continuando a tenere stretto il ragazzo, che prese a guardarla stupito della sua reazione autoritaria. Allora nascondeva un gran carattere sotto quella figura esile e delicata. «Kitsune-sama ha bisogno?! Cos’è stato? Sto entrando…» una voce immatura rispose urlante al di là della porta scarlatta, probabilmente in preda al panico.
«NO!» replicò Ayame. «Ho urtato un vaso e mi sono tagliata con i cocci, niente di preoccupante. Lascia le cose che ti ho chiesto davanti alla porta e congedati nell’altro atrio finché non sarò pronta.» continuò autoritaria, mollando la morsa dal polso del corvino.
 
«Peccato…era un bel vaso.» mormorò Ace cercando di trattenere una risata per non rovinare il momento autoritario, portandosi una mano sul braccio ferito. Fortunatamente non era grave, ma il tatami candido stava iniziando a diventare maculato sotto al proprio corpo.
«Stupido…» lo rimproverò nuovamente, quando sentì bussare alla porta capendo che la propria Maiko aveva ultimato il suo lavoro.
Liberò i piedi dagli altissimi zori, abbassandosi davanti ad Ace di almeno quindici centimetri, correndo successivamente verso la porta trascinando con sé i diversi strati dell’immenso kimono. Era pesante, scomodo per tutto questo. Raccolse il necessario dal corridoio, richiudendo dietro di sé la porta massiccia e raggiungendolo al centro della stanza. Posò il tutto ai loro piedi e quando riguardò Ace negli occhi notò in lui qualcosa di strano.
 
«Ace guardami!» lo chiamò prendendogli il viso tra le mani. Era sudato e caldo, particolarmente caldo. Gli strinse lievemente la mascella tra le mani, notando che lo sguardo del ragazzo era assente e le pupille sembravano disperdersi nel vuoto. Stava per collassare.
«Ehi ascoltami…c’erano dei ninja tra i tuoi inseguitori? Ti hanno ferito?!» iniziò velocemente a domandargli, notando il suo corpo massiccio perdere consistenza ed accasciarsi sempre di più su sé stesso. «Uhm…un…pa-io…» sbiasciò non lucidamente, finché non si accasciò del tutto sulla ragazza facendoli finire entrambi a terra. Fortunatamente la giovane riuscì ad evitare di farlo cadere di faccia.
 
Ayame sospirò rimboccandosi le ampie maniche ingombranti, sdraiando delicatamente Ace su un fianco per farlo respirare meglio, correndo poi dall’altra parte della stanza frugando tra una serie di portagioie. La cosa positiva di essere proprietà di Kyoshiro-san, era conoscere tutte le sue pedine e gli schemi di gioco. L’aveva istruita al fine di potergli essere utile in momenti fatidici, facendole conoscere medicinali, veleni e di conseguenza antidoti vari. Diciamo che oltre ad essere una donna di compagnia, era anche un medico omeopata.
Afferrò una boccetta e una coppa da sakè, correndo accanto al comandante cercando di farlo riprendere giusto il tempo necessario per fargli deglutire l’antidoto. Ci sarebbero volute un paio di ore prima che si riprendesse, facendolo sfebbrare ed espellere tutte le tossine dal corpo.
 
«Kitsune-sama… il cliente è arrivato» la informò la giovane Maiko, da dietro la porta.
 
«Fallo accomodare nell’altra stanza, qui c’è troppo casino. Cinque minuti e ci sono, grazie.» rispose pacatamente Ayame, mentre nel frattempo prese a disinfettare le zone sanguinanti del ragazzo.
 
Passò amorevolmente le garze pulite sul braccio, la coscia e il viso di Ace, il quale inconsciamente sembrò sorriderle. Lo fasciò ed una volta terminato andò a prendere il proprio futon, adagiando il corpo rilassato sul morbido cotone. Gli mise un panno fresco sulla fronte, accarezzandogli il viso. Avesse potuto avrebbe passato la nottata così, accudendolo, ma purtroppo doveva tornare ad adempire ai propri doveri che l’avrebbero occupata durante la notte.
 
«Riposati... ci vediamo dopo, sciocco straniero…» lo canzonò sottovoce, congedandosi dalla propria stanza e richiudendo la porta dietro di sé. Era al sicuro, nessuno avrebbe disturbato il suo riposo.
 
Passarono delle ore quando Ayame tornò nella propria stanza. Ace era esattamente dove l’aveva lasciato, avvolto nel cotone del futon. Si assicurò che stesse dormendo, e velocemente proseguì verso il proprio bagno per lavarsi di dosso tutto ciò che non le apparteneva. Si deterse accuratamente, vestendosi di uno yukata corto dai toni candidi e delicati. I lunghi capelli acconciati in una morbida treccia adagiata sulla spalla, il viso fresco libero da ogni traccia di trucco e la pelle profumata da fragranze delicate.
 
Raggiunse il corvino dormiente, inginocchiandosi accanto a lui, rendendosi conto che l’antidoto aveva iniziato ad avere effetto lasciandolo in un bagno di sudore. Prontamente Ayame iniziò a svestirlo delicatamente, scoprendone la parte superiore del corpo.
Con un panno bagnato prese a ad accarezzargli la pelle, lavandone il sudore e lasciandogli una scia dal profumo delicato. Percorse ogni centimetro di essa, bagnandola e massaggiandola con discrezione e fare apprensivo, stando piuttosto attenta sui punti di bendaggio. Notò così il tatuaggio sul braccio sinistro “ASCE”, a cui passò attentamente il panno quasi avendo paura di lavarlo via. Sicuramente, una volta che Ace si sarebbe riassestato gli avrebbe chiedo di più a riguardo.
Era da sempre molto curiosa, soprattutto su ciò che lo riguardava e man a mano stava scoprendo molte cose sul suo conto, spingendola ad interessarsi ulteriormente.
 
Raggiunse il petto sodo e mascolino, seguendone l’andatura dei muscoli sino al basso ventre; gli addominali scolpiti e la parte pelvica ben delineata. Ammirò il suo corpo rilassato, cercando di scorgerne più particolari possibili. Non era il primo uomo dal fisico prestante che accarezzava, bisognava ammettere che anche Kyoshiro-sama, malgrado l’età più adulta, sotto i suoi canonici indumenti nascondeva un corpo statuario quanto quello di Ace.
La giovane Oiran se ne stava seduta sulle ginocchia, le cosce lievemente coperte sotto l’intrigante seta, dedicandosi completamente alle sue attenzioni. Spostò nuovamente il corpo statuario sistemandolo sul fianco per poterne detergere la schiena, restando sorpresa di quel disegno enorme sulla sua pelle bronzea. L’accarezzò appena con la punta delle dita, lasciandole scorrere leggere e sensuali lungo la spina dorsale del corvino.
 
«Cosa stai facendo?» bisbigliò con un filo di voce Ace, stando immobile nella posizione in cui l’aveva messo. Ayame riprese il panno umido, passandoglielo con disinvoltura sulla pelle.
«Ti sto lavando…l’antidoto ha fatto effetto.» gli rispose con lo stesso tono ovattato. Parlavano a bassa voce, quasi come se stessero raccontando un segreto inudibile. Le voci calde e bisbiglianti.
«Perché lo fai? Non mi è dovuto.» continuò Ace, cercando di riacquistare la sua virilità accantonata dalla situazione di infortunio. «Dormi sciocco straniero.» lo ammonì la giovane dai capelli color pesca, finendo di lavarlo. Vi fu un momento di silenzio tra i due, finché Ace non si voltò leggermente per guardarla, senza lasciare la posizione per paura di essere rimproverato nuovamente.
 
Le doveva molto. Da quando erano approdati nel Paese di Wa, lei si era rivelata una buona informatrice, una compagnia piacevole e perché no, un’amica. Non sapeva nemmeno lui perché, ma quella figura delicata fin dal primo incontro l’aveva messo a suo agio. Lo capiva, lo ascoltava e soprattutto non l’aveva mai giudicato, nonostante le proprie azioni sconsiderate e il suo essere uno straniero.
 
«Ayame… grazie.» mormorò Ace abbozzando un sorriso stanco sul volto ancora pallido.
«Per cosa esattamente?» gli domandò, prendendo delicatamente il corpo del ragazzo e riadagiandolo sulla schiena una volta finito. Ripose il panno nella ceramica ripiena d’acqua e la spostò un po’ più lontana da loro. Il comandante la guardò, notando il suo aspetto pulito e semplice rispetto a quando era accorso nella sua stanza in cerca di riparo. Gli piaceva il suo viso naturale, roseo e armonico. Gli occhi profondi riuscivano a brillare anche nel buio della notte, per non parlare di quelle labbra che avrebbe voluto assaporare, ora più che mai.
«Per tutto quello che stai facendo per me.» ammise Ace.
«Lo sto facendo per me, non per te.» rispose con voce ferma, affilando lo sguardo con fare superiore cercando di non dare molto peso a quello stava sentendo, certa che fosse la febbre a parlare. «Uhm… beh, allora grazie di non essere un mio nemico.» continuò Ace, sorridendole dolcemente. Quel sorriso caldo e coinvolgente era ogni volta un’arma letale.
«Sciocco…» brontolò Ayame dandogli un colpetto sulla spalla sorridendogli.
Era innegabile si fosse affezionata a lui e che per lui provasse una qualsiasi sorta di emozione o simpatia. Nessuno avrebbe rischiato così inutilmente la vita per uno sconosciuto.
 
Ace sospirò appena, chiudendo gli occhi e portandosi il braccio destro sotto la testa.
A torso nudo completamente inerme e rilassato, sotto lo sguardo apprensivo della giovane.
«Quello sulla schiena è il simbolo della ciurma a cui appartengo…il Jolly Roger di Barbabianca» spiegò Ace, sapendo che la ragazza precedentemente ne fosse rimasta sorpresa. D’altronde non tutti si aspettando di trovare un tatuaggio così grande su un corpo, soprattutto non sapendo nemmeno se fosse usanza di questo paese o se fosse solo una tradizione comune nel Nuovo Mondo.
 
«Smettila di parlare…» lo ammonì nuovamente Ayame sedendosi comodamente accanto a lui. Meno impostata e più naturale. Continuò a guardarlo, scostandogli ciuffi ribelli dal viso accarezzandoglielo delicatamente. Gli zigomi lentigginosi, le labbra morbide e gli occhi rilassati persi a guardarla. «Dormi con me?» riprese a parlare Ace con un tono estremamente dolce, amorevole. «No.» obbiettò lanciandogli un’occhiataccia pizzicandogli una guancia.
«Dai, solo stanotte...» continuò supplicandola con occhi languidi ed un sorrisetto sulle labbra, il volto ancora stanco dalla situazione passata, ma decisamente migliorato rispetto alle ore prima. Ayame lo guardò in silenzio, scostando lo sguardo sulle prime luci dell’alba che iniziava a tingere il cielo di un viola caldo. Tornò su di lui, nonostante tutto era così bello.
Ace sciolse il braccio da sotto la testa, distendendolo accanto a sé invitandola ad adagiarsi su di esso. Rimase in silenzio aspettando, quando la giovane si sciolse la treccia color pesca e decise di assecondarlo sdraiandosi accanto a lui.
 
«Non farti strane idee.» lo canzonò guardandolo sdraiata su un fianco, poco prima di essere trascinata da lui verso di sé. Il viso sul petto scolpito e profumato, la mano sinistra del corvino immersa nei suoi setosi capelli morbidi, accarezzandoli dolcemente quasi come fosse una ninnananna.
 
Ayame rimase sorpresa dal gesto fin troppo amorevole, lasciandosi questa volta lei stessa cullare dalle attenzioni di Ace. Era caldo, emanava un tempore gradevole, invadente. Il suo petto marmoreo la sosteneva con fermezza, ondeggiando a ritmo del proprio respiro.
Era così piacevole che socchiuse gli occhi. Il suo unico pensiero era su quelle dita che le pettinavano i capelli. Il proprio corpo cominciò rilassarsi ed abbandonarsi alla stanchezza generale, insieme al respiro di Ace che si faceva sempre più profondo. Si strinse a lui, avvolgendogli la gamba destra con la propria, intrappolandolo in una morsa profumata. Si addormentarono insieme, corpo contro corpo, nel piacevole tepore di Mera Mera.

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Capitolo 5
*** Non si può ***


Il sole era ormai alto e con esso non avrebbero tardato ad arrivare i nove rintocchi indicanti mezzogiorno. I due se ne stavano ancora intrecciati tra il cotone del futon, lei accoccolata al suo petto e lui che l’avvolgeva in un abbraccio protettivo. Il giovane comandante iniziò a svegliarsi, rendendosi conto della luce intesa che li illuminava filtrando dalla veranda. Si sfregò ingenuamente gli occhi mettendo a fuoco la situazione e ricordandosi dove si trovasse. I setosi capelli color pesca erano sparsi qua e là sul proprio petto. Delicatamente iniziò a coccolarli e a spostarli dal viso rilassato di Ayame che ancora dormiva pacifica. Le gote rosee, le labbra appena schiuse in una dolce espressione ed il respiro leggero che gli solleticava la pelle nuda.
 
Il corvino se ne stava nella pace dei sensi, avrebbe firmato per fermare il tempo e potersi godere più a lungo quel momento con anche la compagnia della ragazza inclusa. Richiuse gli occhi continuando ad accarezzarle i capelli, quando il suono irruento del Lumacofono interruppe il momento surreale. Ace cercò di sollevarsi con il busto alla ricerca della fonte di rumore, rovistando attorno a sé, stando attento a non svegliarla con dei movimenti bruschi.
Era talmente delicata e leggera, da poter dimenticarsi di averla sdraiata addosso. Che cosa piacevole. Forse aveva davvero ragione lei quando lo prendeva in giro ricordandogli che gli uomini di Wano avrebbero pagato bei soldi per situazioni simili, e lui non aveva nemmeno dovuto muovere un dito. Ogni tanto la fortuna girava dalla propria parte.
 
«FINALMENTE! DOVE DIAVOLO SEI?!» la voce urlante di Izo irritò Ace appena sveglio, che prontamente cercò di azzittire il Lumacofono stringendolo nella propria mano. Che risveglio traumatico.
«Oi oi Ace, è da ieri sera che aspettiamo tue notizie!» continuò Marco, ma almeno lui mantenne un tono neutrale in questa discussine accesa.
 
Non avevano tutti i torti, effettivamente. Ace non si era più fatto sentire dopo aver comunicato dell’inseguimento al quale stava tempestivamente scappando, era passata una nottata intera e non si era palesato in nessun modo. Era normale che la sua famiglia si preoccupasse.
 
«Scusate avete ragione…è stato tutto abbastanza complicato stanotte. Sto bene, sono alla Casa da Tè.» spiegò giustificandosi, riprendendo con la mano libera ad accarezzare i capelli di Ayame ancora stretta a lui.
 
«STAI SCHERZANDO?! NOI QUI AD ASPETTARTI E TU A SODDISFARE LE TUE VOGLIE DA RAGAZZINO!? ACE GIURO CHE TI AMMAZZO CON LE MIE MANI APPENA TI BECCO!» continuò urlando Izo in preda ad un momento di ira e apprensione. Era sempre stato, come Marco, molto apprensivo nei suoi confronti, un po’ fratello ed un po’ genitore. Questo era la classica ramanzina genitoriale.
«Oi oi Izo calmati.» intervenne la Fenice cercando di calmare il compagno, mentre Ace tentava di spiegare la situazione senza essere sormontato dalle loro voci.
«Ehi Izo, dacci un taglio. Non è così. Ayame mi ha salvato da Kyoshiro e nel mentre ero qui c’è stato un contrattempo imprevisto.» spiegò Ace sbuffando per la ramanzina.
 
«Cos’è successo?» domandò Marco prendendo la parola, dato che Izo non era nelle condizioni di intraprendere una conversazione che non fosse a senso unico.
«Stanotte non sapendo dove diavolo nascondermi, mi sono rifugiato da Ayame nella speranza di un suo aiuto e fortunatamente così è stato. Kyoshiro è comunque venuto da lei per cercarmi, quindi ho idea che qualche filo stia iniziando a tesserlo. In qualunque caso, ieri tra i miei inseguitori c’era un gruppo di Ninja al servizio del capellone e a quanto mi ha spiegato Ayame utilizzano degli aghi intrisi di veleno, tant’è che son collassato completamente qui alla Casa da Te. La fortuna ha voluto che “il soddisfare le mie voglie” conoscesse il veleno in questione e quindi l’antidoto, assistendomi sino ad ora.» continuò Ace, dando uno sguardo sorridente alla giovane.
 
«Veleno?! Sei sicuro di averlo smaltito? Come faceva a conoscerlo?! Torna qua che ti visito subito io!» si allarmò Marco in preda ad un attacco d’ansia. Da buon medico era compito suo risolvere situazione simili. «Non serve…ha fatto un ottimo lavoro.» constatò Ace sospirando, ripensando a tutte le attenzioni ricevute in semi coscienza. «Secondo me potrebbe essere una buona assistente!» ironizzò il corvino ridendo divertito, ma alludendo ad un pensiero piuttosto concreto. Avrebbe voluto renderla libera e magari portarla con loro nel Nuovo Mondo, perché no.
«Comunque ho informazioni e prove di cui dover discutere dopo.» riprese Ace, ripensando al libro SMILE e tutto ciò che aveva avuto modo di leggere la sera precedente.
«Senti Ace, allora muoviti a tornare.» puntualizzò Izo riprendendo le redini della chiamata.
Il giovane comandate rimase in silenzio, scostò lo sguardo verso la veranda luminosa e silenziosa, tornando poi su quei capelli color pesca che non aveva smesso nemmeno un secondo di accarezzare. «Tra un po’…» mormorò beffardo riattaccando il Lumacofono, terminando così la movimentata chiamata con i compagni.
 
«Quanto sono chiassosi i tuoi compagni…» mormorò Ayame, smuovendosi delicatamente senza però spostarsi dal caldo petto di Ace. «Siamo pur sempre dei pirati… Buongiorno…» le rispose sorridente, incrociando il proprio sguardo con quegli occhioni blu zaffiro, ancora assonnati.
«Vedo che ci hai preso gusto a farti riverire…» brontolò la ragazza stiracchiandosi.
«Potrei quasi dire lo stesso…» la canzonò Ace con fare compiaciuto facendole notare che se ne stava ancora avvinghiata al suo corpo peggio di una piovra.
 
Ayame mise il broncio in un’espressione super ridicola, che face scoppiare Ace in una fragorosa risata divertita, mente lei prese a separarsi da lui mettendosi sulle guardandolo. Il labbro imbronciato e le gote arrossate dal momentaneo imbarazzo. Questa volta non poteva certo ribattergli.
 
«Come ti senti?» gli domandò guardandolo, allungando una mano verso il suo viso per scostargli i ciuffi ribelli dalla fronte. Non era più così caldo come la notte appena trascorsa, ed anche il suo colorito era tornato di un colore sano ed esotico.
«Affamato direi, ma per il resto alla grande.» esordì Ace stiracchiandosi vistosamente, mettendosi seduto. Con la luce del sole il suo corpo definito assumeva un’altra prestanza. Quello sguardo dolce era fin troppo in contrasto con il suo aspetto possente.
 
«Dovresti tornare dai tuoi compagni, non vedono di buon occhio la mia compagnia.» puntualizzò Ayame, distaccandosi un po’ dalla situazione vissuta fino ad ora. Si sedette anche lei, facendo svolazzare naturalmente i lunghi capelli e sistemandosi lo yukata, che mostrava un po’ più del dovuto. «Non dire così, erano solo preoccupati.» le sorrise Ace cercando di smorzare quel clima di tensione. Sapeva che Izo aveva usato delle parole piuttosto fraintendibili, ma era più un puntualizzare su di lui che su di lei.
 
«Mi hai salvato, ti sono in debito.» continuò Ace con un occhiolino.
 
«Cos’è successo ieri sera?» domandò a sua volta la giovane, acconciandosi i lunghi capelli in una morbida treccia, continuando a posare lo sguardo sul corvino davanti a sé.
«Ci siamo infiltrarti alla festa privata dello Shogun per cercare di scoprire nuove informazioni e poter indagare in prima persona. Izo, quello scorbutico, era alla festa insieme a Kyoshiro e compagnia, mentre io e Marco ci siamo divisi due aree del palazzo.» iniziò a spiegare Ace.
«Andava tutto bene, ho avuto pure modo di assiste ad una cosa a tre… devo dire che le donne di Wano sono belle determinate!» ironizzò il giovane scoppiando a ridere, ricevendo pugno sul petto da parte della ragazza.
 
«Sei uno sciocco!» lo canzonò alzandosi dal proprio posto ed andando verso la porta scarlatta. Essendo in casa propria conosceva le abitudini e di conseguenza sapeva che a quell’ora avrebbe trovato ad aspettarla un ricco buffet di viveri. Aprì la porta e ritirò il carrellino con sopra ogni ben di dio, richiudendola subito dopo e ricongiungendosi con il corvino.
«Hai detto che avevi fame, no? Vieni a mangiare...» lo invitò sorridente, disponendo le varie pietanze su un tavolino basso in una zona della grande stanza, accomodandosi lei stessa.
 
Ace rimase senza parole, sorpreso dell’ennesima attenzione e quasi imbarazzato della sua ospitalità. Non voleva sembrare opportunista e tanto meno approfittare della sua cortesia, ma lo sguardo di Ayame lasciò poco spazio per un disaccordo. La raggiunse al tavolo ed entrambi iniziarono a mettere qualcosa sotto i denti; vi era di tutto: dolce e salato.
«Dai vai avanti a spiegarmi, salta pure i dettagli del trio grazie.» rise Ayame, gesticolando buffamente. Ace annuì, mandando giù il boccone.
«Ah, aspetta! Devo dirti una cosa importante. Soffro di narcolessia, soprattutto mentre mangio o subito dopo, quindi non ti spaventare e lasciamo lì. Non durano tanto, ma capitano sempre ecco.» puntualizzò già allarmato, sapendo che anche in quest’occasione Ayame non avrebbe tardato ad accudirlo.
 
La giovane Oirin scoppiò a ridere divertita nascondendosi dietro le proprie mani delicate.
«Ace sei proprio strano sai?» continuò sorridente, con quegli occhioni color zaffiro. Ace rise con lei, portandosi una mano tra i capelli imbarazzato, ma sapendo che non aveva tutti i torti.
«Vedi? Ti faccio scoprire cose nuove!» esclamò ironizzando, tra un boccone e l’altro.
«Comunque stavo dicendo…ieri perlustrando la mia area ho trovato una stanza chiusa a chiave, dove nascondevano miliardi di fascicoli e documenti, alcuni nominavano di daimyo, proprietà ecc…poi ho trovato quel libro là.» continuò indicando il libro lontano da loro.
 
«Un libro?» domandò perplessa Ayame. «Sì. Hai mai sentito parlare di frutti SMILE?» le chiese Ace, volendo capire se lei fosse a conoscenza o meno della situazione nel quale viveva.
La giovane dai capelli color pesca rimase un attimo in silenzio, pensierosa cercando di riflettere sulla domanda. «Stai forse parlando dei frutti che fanno sorridere?» rispose allarmata.
«Sì esatto! Sono dei frutti artificiali che conferiscono poteri particolare a chi li mangia, ma se sono difettosi invece, producono come effetto collaterale di togliere tutte le emozioni e sostituirle solo con la risata. È una cosa abominevole!» spiegò in preda alla foga Ace, mentre continuava ad addentare svariate pietanze.
 
«Ebisu…» mormorò Ayame con il viso spento rispetto ad un attimo prima.
«Cosa?» chiese Ace con espressione perplessa, non capendo. «Ebisu è il nome della città degli avanzi. Questo paese viene alimentato con gli avanzi della Capitale dei Fiori, come unico sostentamento di cibo. Vivono nella povertà assoluta… ma sono sempre…sorridenti…» spiegò la giovane, rallentando sempre di più la sua parola come se stesse realizzando in quel momento la situazione stessa. Ace le allungò una mano in segno di conforto, capendo esattamente cosa le stesse balenando in testa. Ne era rimasto sconvolto lui stesso, uno straniero, figuriamoci un cittadino di questa nazione. Manipolati fino al midollo dallo Shogun.
 
«Si esatto… Orochi con l’aiuto di Kaido sta cercando di sedare qualsiasi opposizione nei suoi confronti e Kaido con il suo esercito sovrannaturale gli assicura una continua protezione. Ancora però non ho capito cosa ci guadagni esattamente Kaido in tutto questo…» spiegò Ace.
 
«Ace se Kyoshiro ti ha inseguito vuol dire che ha iniziato ad avere dei sospetti o qualche soffiata. Devi stare attendo.» continuò allarmata la ragazza, ancora turbata da tutto ciò.
«Dopo ne parlerò con gli altri e cercheremo di capire, comunque Orochi si è trasformato nell’animale mitologico che mi avevi detto. Kyoshiro si fida di te, quindi continua a fare quello che hai sempre fatto, non aiutarci ulteriormente Ayame. Non voglio ti succeda nulla.» ammise Ace abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Si sarebbe sentito tremendamente in colpa.
 
«Alla fine, stai cercando di aiutare anche me, quindi siamo pari. Ed in più, non prendo ordini da nessuno, forestiero.» lo canzonò con fare autoritario. «Tu e i tuoi compagni cosa farete ora?» continuò. «Non ne ho idea, il punto principale resta non farsi scoprire e tornare dal nostro comandante con delle informazioni utili.» rispose Ace scrollando le spalle.
«Quello che hai sulla schiena è il simbolo del tuo comandante? Rappresenta qualcosa?» chiese Ayame riferendosi al Jolly Roger di Barbabianca. Ace sorrise, rinvigorendosi al solo pensiero di quel tatuaggio. «Esatto, ogni Capitano di una ciurma pirata ha il suo Jolly Roger che lo identifica. È un riconoscimento immediato che solitamente si mette sulla bandiera della nave, ma nel caso della nostra ciurma lo abbiamo tutti tatuato sul nostro corpo. Abbiamo giurato di essere una famiglia e la nostra devozione.» spiegò il comandante della seconda divisione.
«È un gesto nobile…» gli sorrise Ayame, malinconica al pensiero di una famiglia al quale essere devota. Lei era devota solo a Kyoshiro-sama, ma restava il suo padrone.
 
Ace terminò di riempirsi lo stomaco dopo aver praticamente gustato da solo l’intero banchetto, alzandosi in piedi e stiracchiando come per far smaltire meglio il cibo dal suo stomaco. Fuori nel cortile privato brillava una luce calda, era una splendida giornata di sole. O forse era una splendida giornata e basta.
 
Il corvino uscì in veranda accomodandosi sugli scalini della passerella, invitando Ayama a raggiungerlo poco dopo. La guardò camminargli incontro vestita di quel corto yukata mostrante la sua pelle candida, le gambe sottili e longilinee. Così armonica e delicata.
 
«Ti ha turbata vedere quel tatuaggio sul mio corpo?» domandò Ace guardando la vegetazione davanti a loro. Un piccolo laghetto e svariate piante di differenti forme.
«No, ma non me lo aspettavo. Qui a Wano c’è un uomo che ne possiede come segno di riconoscimento e credo anche i suoi sottoposti, è Hyogoro-san. È il capo della yakuza e da quando Orochi divenne Shogun si rifiutò di riconoscergli l’autorità, istituendo una grande opposizione nei suoi confronti, idem per Kaido.» spiegò Ayame. Dietro al Paese di Wa vi erano infinite storie e collegamenti da poter raccontare.
 
«Ah sì? Dai, allora accompagnami da lui!» esclamò estasiato Ace, lanciandosi addosso alla ragazza già carico di adrenalina. «Non si può.» mormorò la giovane Oiran smorzando tutto il suo entusiasmo. «Perché?» domandò il corvino già corrucciato. «Uno, nessuno sa dove sia e due io non posso uscire.» ammise la giovane con fare rassegnato, tirando un sospiro amareggiato.
«In che senso non puoi uscire? Sei già uscita no? Poi fuori c’è una bellissima giornata e potresti venire con me, conoscere meglio i miei compagni!» esclamò tornando esaltato il giovane ragazzo di fuoco.
 
Ayame gli sorrise, vedere tutta quella sua grinta nel volerla portare con sé le fece piacere, facendola sentire considerata come persona per una volta. Allungò delicatamente una mano sul viso magro del ragazzo, accarezzandogli appena una guancia.
«Non si può…» sorrise. «È consentito uscire da sole solo alle Maiko, mentre le Cortigiane come nel mio caso possono lasciare la Casa solo per cerimonie ufficiali o in presenza di Kyoshiro-same, poiché gli appartengo.» continuò Ayame cercando di spiegare la situazione ad Ace, che se ne stava sconvolto a guardarla.
«Tutto questo non ha senso! Non puoi essere prigioniera della tua stessa casa?!» esclamò Ace alterato, infervorendosi all’idea della limitata libertà della ragazza. Era un punto a lui particolarmente caro e non riusciva a non prenderlo di petto.
«Lo so… sono le regole però.» sorrise la giovane. «Ma nessuno ti ha mai vista, no? Quindi nessuno potrebbe mai saperlo.» insistette il corvino cercando in tutti i modi di trovare una soluzione.
«Ace per il tuo bene, ricordati che la Capitale dei Fiori ha occhi ed orecchie da per tutto…» lo guardò serio con i grandi zaffiri profondi quanto l’abisso. «E se Kyoshiro mai dovesse scoprirlo mi farebbe pagare qualsiasi costo.» concluse Ayame storcendo le labbra rosee.
«Beh, a lui ci penserò io e vedrai che troverò una soluzion-» si interruppe Ace, accasciandosi sulla spalla della ragazza, in preda ad un attacco di narcolessia. Aveva resistito fin troppo, vista la precoce avvertenza.
 
Ayame sorrise divertita, vedendolo indifeso quanto un bambino. Le labbra schiuse e le gote lentigginose leggermente arrossate dall’enfasi di poco prima. Lo lasciò fare, godendosi il silenzio di quel pomeriggio insieme prima che lui tornasse dai propri compagni.

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