Sound of Silence

di _katherine_lls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Just a damn letter ***
Capitolo 2: *** Drowing in the sea ***



Capitolo 1
*** Just a damn letter ***


Ero convinta che il rumore perfetto fosse quello del silenzio, ma devo ammettere, almeno a te, che mi sbagliavo.

Ero convinta che il silenzio fosse il rumore più bello perché quando chiudevo gli occhi potevo immaginare di ritrovarmi in quella spiaggia bianca con il mare in tempesta. Ricordo le grandi onde che si infrangevano sul fondo roccioso di quella bellissima insenatura. Ci sono sempre andata sai? Per tutti questi anni, e anche se ci penso, non riesco a capire il perché, perché tra tutte le spiagge, proprio quella. 

Non sapevo quanto ti fossi affezionato a lui, al tuo padrino, a Severus Piton; sapevo solo che non ti avevo mai visto come dopo la fine di quella maledetta guerra. I tuoi bellissimi occhi plumbei erano stranamente spenti e sul volto non era stampato il tuo solito ghigno. I tuoi capelli, fradici per la pioggia, erano appiccicati alla fronte, ma non ti importava. Per una volta non ti preoccupavi di come potevi apparire.

 A me invece portò via Ron. Sì, Pel di Carota si era messo in mezzo tra me e quel fascio di luce verde che altrimenti mi avrebbe sottratto la vita. Quel maledetto fascio, che mi portò via lui.

Ricordo che anche tu avevi visto quell’incantesimo, lanciato dal migliore amico di tuo padre, Zabini senior, venirmi incontro. Ti ho visto spalancare gli occhi e cominciare a correre nella mia direzione, ma inutilmente: quel mangiamorte ti bloccò la strada e fosti costretto a combattere. 

Mi ricordo di aver sentito il tuo nome gridato da una voce, forse due: sicuramente quella di tua madre, l’altra, probabilmente, la mia. Non so perché urlai il tuo nome, ma quando quel mangiamorte si materializzò strattonandoti con lui, il dolore mi invase come una secchiata di acqua gelida.

Come se il mondo mi fosse caduto addosso. 

Non avevo sentito ne visto più nulla, la vista mi aveva come abbandonato e mi ero accasciata per terra. L’ultima cosa che ricordo di aver visto fu il bordo del mantello nero di tua madre svolazzare verso di me.

Appena ti rividi credetti di sognare, di essere morta e che quello fosse il paradiso!

Come avevi fatto a sopravvivere?

Dove ti aveva portato quel mangiamorte?

Non credevo di volerlo sapere, non allora almeno.

L’importante era che tu fossi sopravvissuto! 

Cosa era successo prima? 

Ed ora, cosa non mi ricordo? Perché quando penso a te ho un grande senso di vuoto, come se qualcosa si fosse staccato per sempre dal mio cuore? Capita anche a te?

Mi sembra di conoscerti già da molto. Non di conoscerti come quello che insultavo nei corridoi se per caso lo incontravo. No, mi sembra di conoscerti realmente, come se ci fossimo parlati civilmente.

Come se una volta fossimo stati legati, nel profondo.

Nella mia mente rimbombano immagini che credo mi appartengano veramente, ma sono sfumate e confuse, come vecchie foto ingiallite e rovinate. Solitamente nuovi frammenti di memoria si ripresentano di notte. 

Un mio sogno ricorrente mi riporta su quella famosa spiaggia. Tu conoscevi i colori che preferivo, che non erano il rosso e l’oro, come tutti si aspetterebbero da una brava Griffyndor.

Io invece conoscevo il tuo… il nero.

Quale altrimenti? Non c’era un giorno in cui tu non indossassi quel colore, che ti risaltava gli occhi plumbei e la pelle diafana, per non parlare dei tuoi capelli, che erano talmente biondi da sembrare bianchi. Forse ancora oggi sei uguale all’immagine che ho di te, forse non sei cambiato per nulla in tutto questo tempo.

Nel sogno ho come la sensazione che quel giorno fosse ritornato tutto a posto, che il vuoto che avevo provato all’altezza del petto si fosse finalmente colmato. Forse sarebbe stato veramente così se mi fossi ricordata gli anni ad Hogwarts, la sera di cui parlavi, e quella prima ancora.

A volte sogno invece dei frammenti del tempo passato ad Hogwarts, in cui mi sembra di svegliarmi in piena notte, in un letto che non è il mio, in una stanza impeccabile, ma dai colori tetri. Non assomiglia per niente alla mia. Nemmeno il dormitorio sembra il mio se devo essere sincera, almeno con me stessa, almeno con te.

Riconosco solamente un grande letto a baldacchino verde scuro e un pianoforte a coda nero sopra a un tappeto con lo stemma della tua casa: serpeverde. 

“Penso che il verde ti doni!”

“A te invece dona il nero!” 

Due frasi che mi assillano. Forse eravamo in riva al lago nero, la sera della fine del sesto anno, ma non ne sono sicura. Lo stemma della tua casa cucito in maniera impeccabile sull’uniforme nera, il tuo mantello scuro posato sulle mie spalle: piccoli dettagli. Lì fuori si congelava, ma tu non avevi freddo e il tuo odore di menta e tabacco che per anni aveva popolato i miei sogni, mi aveva dato l’impressione di averti accanto, di sentire realmente il tuo profumo e di non immaginarlo.

Di starti realmente vicino, di non sognarti.

Forse sono solo dei sogni, delle chimere create dalla mia mente. 

Forse sto diventando pazza, come tende a precisare la gente ultimamente….

Mi sembra di essere ritornata ad Hogwarts e di non rispettare il coprifuoco per venire da te… O forse è un altro sogno, no?

H.J.G


Ecco cosa voleva quel maledetto gufo. Sapevo che non poteva portare belle notizie. 

Anche io sogno Hogwarts e vedo la tua divisa perfetta con lo stemma dei grifondoro cucito sopra, di cui tu andavi molto fiera. 

Perché non ricordo altro? Perché vedo solo nero ogni volta che penso a te?

Neanche un Oblivion otterrebbe gli stessi risultati.

Che incantesimo realmente ci divide?

Dopo quel fascio di luce verde la mia vita sarebbe anche potuta finire, non aveva più senso. Dopo che Pel di Carota si era messo in mezzo, dopo che si era fatto colpire dall’incantesimo.

Dopo che era morto per te.

Ti amava davvero dal profondo del cuore e io non avevo mai potuto competere con lui.

Cosa poteva una serpe come me contro il tuo migliore amico?

Contro quello che ti era sempre stato vicino? Contro quello che non ti aveva mai insultata? Che possibilità avevo?

Eppure….

Sento che mi manca qualcosa, qualche ricordo, sento che non sono completo. Ricordo principalmente la spiaggia, ma ho un vuoto all’altezza del cuore. No, i Malfoy non hanno un cuore, sono esseri spietati che non sono in grado di amare, sono persone a cui non frega niente di nessuno…

Che dico?

A me importava di te, l’unica persona che amavo dopo mia madre.

E ora vi ho perse entrambe.

Dove sei maledetta mezzosangue? Mi vuoi dire dove sei?

Ricordo che sulla spiaggia sei scomparsa. Dopo avermi riconosciuto. Poi ti vedo ancora, sorridi. Buio. Tu non ci sei più.

Cosa nascondi?

Maledizione mezzosangue, perché non ricordo niente?

Perché pure chiamarti mezzosangue mi fa stare male? In fondo è quello che sei e ti ho sempre chiamata così, sin da quel giorno sul treno che ci avrebbe portati ad Hogwarts.

Una strega potente, non lo nego, ma una nata babbana. Mio padre mi impediva qualsiasi contatto con quelli come te. Ma a me non importava. Sento che nemmeno adesso mi importa. Sento che se ti avessi qui con me ti abbraccerei, ti abbraccerei e non ti farei mai più allontanare da me.

Come è possibile Mezzosangue? Come è possibile che due persone che si incrociavano nei corridoi per caso e passavano la loro vita insultandosi a vicenda provino questo senso di vuoto all’altezza dello stomaco se non sono insieme?

Mezzosangue, perché non me lo dici? 

Ah sì, giusto. Nemmeno tu lo sai. Anche tu hai solo dei flashback, dei ricordi avvolti intorno al buio e alla sensazione di aver dimenticato qualcosa, qualcosa di importante. 

Sai, sistemando il manor ho trovato un braccialetto. Era in oro bianco, stupendo, con delle incisioni.

H e D. 

Per non parlare dell’anello che mi ha dato mia madre l’ultima volta che abbiamo parlato, quasi un anno fa. 

Mezzosangue, come è possibile? Mezzosangue, se sai qualcosa dimmelo. Questi vuoti mi stanno distruggendo, sento che non sto bene con me stesso.

Mi pareva di aver già vissuto la scena della spiaggia… ricordo che eravamo in riva al Lago Nero, dopo la festa in maschera del nostro settimo anno. Mi avevi riconosciuto anche con il volto trasfigurato, i capelli neri e gli occhi dello stesso colore della notte. 

“Come hai fatto a riconoscermi?”

“Sei parte di me, so tutto di te. Una semplice trasfigurazione non basta a cancellare il tuo portamento o il tuo modo di muoverti, di camminare, di parlare e di squadrarmi da capo a piedi. E soprattutto non basta a cancellare il tuo sorriso!” mi rispondesti orgogliosa di essere riuscita a riconoscermi.

“Tu invece non hai fatto nulla per non essere riconosciuta: capelli ricci marroni, occhi del colore dell’oro fuso… mezzosangue, una piccola maschera oro non ti basterà a nasconderti da nessuno!” ti presi in giro ridendo mentre tu mi saltavi al collo e mi abbracciavi forte.

“Draco, io ti devo dire una cosa…” mormorasti.

“Dimmi.”

“Io sono…” e poi buio. Completamente buio. Non ricordo cosa mi hai detto, non ricordo se sei riuscita a finire la frase o se te ne sei semplicemente andata lasciandola in sospeso. Ricordo solo che sei scappata correndo come una disperata verso il castello, con il vestito che tenevi fin sopra al ginocchio con le mani perché non ti intralciasse. Eri bellissima quella sera. 

Poi quell’attacco dei mangiamorte ad Hogwarts. Non ne sapevo nulla. Non mi avevano detto che sarebbero arrivati, altrimenti ti avrei sicuramente fatta allontanare da scuola. Non so perché ma mi sentivo in dovere di proteggerti e avevo fallito. Avevo fallito miseramente. Pure Weasley ci era riuscito. Si era sacrificato per te mettendosi tra il fascio di luce lanciato da Zabini e l’unica persona al mondo a cui io tenevo realmente. Non ricordo altro. Solo che un mangiamorte mi aveva materializzato via con lui in un posto che non conoscevo. Faceva freddo ed era completamente buio. Non ricordo nulla, non ricordo se mi avesse chiesto informazioni, se mi avesse detto qualcosa, non ricordo nulla. Ricordo solo il dolore, quello a cui non riesci a sopravvivere, che ti si insidia tra le ossa e sembra non volerti mai lasciare, quello forte e netto. Ricordo solamente il dolore, probabilmente causato dai Cruciatus, e i crampi della fame e del freddo. Non ricordo altro.

Mi rende nervoso non sapere cosa è accaduto a te nel frattempo, ma soprattutto non riesco a sopportare l’idea di non ricordarmi nulla. Mezzosangue, maledetta mezzosangue, cosa mi hai fatto?

Cosa ci hanno fatto?

Vorrei rivederti, vorrei poter parlare di nuovo con te e abbracciarti forte, promettendoti che non ti lascerò mai andare e che rimarrai sempre con me. Che ti proteggerò sempre. Che vi proteggerò sempre. 

Perché c’era anche lei. Alhena. Quasi impossibile non notare che mi assomigliava. Ma per quanto ne sapevo io poteva essere anche un caso, vero mezzosangue? Me lo avresti detto altrimenti vero? 

Mezzosangue… 

 

***

 

Hello darkness, my old friend,

I've come to talk with you again,

Because a vision softly creeping,

Left its seeds while I was sleeping,

And the vision that was planted in my brain

Still remains

Within the sound of silence.

 

***

 

Ciao oscurità, mia vecchia amica, sono venuto per parlarti di nuovo perché una visione che è arrivata strisciando dolcemente ha lasciato i suoi semi mentre dormivo e la visione che si è fissata nella mia mente rimane ancora dentro il suono del silenzio…

 

Mezzosangue, la mia mezzosangue…

 

NOTE DELL’AUTRICE

Ciao a tutti! 

Questa è una mia nuova fan fiction e la canzone è Sound of Silence.

Ditemi cosa ne pensate!

A presto con il prossimo capitolo.

Katherine 

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Capitolo 2
*** Drowing in the sea ***


 

Ero andata avanti lo stesso facendo finta di niente, facendo finta che andasse tutto bene e facendo credere agli altri che non ero affatto preoccupata.  Avevo imparato dal migliore a mentire. Ero tutto fuorché tranquilla, avevo paura. Quel dannato mangiamorte l’aveva portato via dalla battaglia l’aveva portato via da me, chissà dove.

Ero andata avanti lo stesso, in silenzio. Non ricordavo molto, non sentivo nulla, solo un vuoto all’altezza dello stomaco, sempre pronto a ricordarmi che qualcosa non andava. 

E poi c’era lei.

La luce che mi aveva condotta fuori da quel tunnel infinito, colei che mi aveva salvata dalla disperazione più totale. Non ricordavo nulla. Eppure era così simile a lui che era impossibile sbagliarsi. Stessi capelli biondi, stessi occhi plumbei, stessa pelle chiara e soprattutto stesso carattere.

Da me aveva preso solamente i capelli ricci, la forma degli occhi e la voglia di studiare. 

Quando era nata nessuno aveva avuto dubbi, ma allora perché non ricordavo nulla? Allora perché lui non è qui con noi? Ma soprattutto come è capitato che io e lui abbiamo una figlia insieme?

Ho provato a chiedere ai miei amici, mi hanno risposto che non sapevano nulla. Ed era vero, di quel poco che ricordo so che era il segreto che conservavo con maggior cura. 

Ho fatto incantesimi su incantesimi per recuperare i ricordi, ma nulla.

Alla sua nascita ho tagliato i rapporti con tutti. Non sopportavano che li avessi tenuti all’oscuro di tutto e probabilmente non tolleravano nemmeno la mia scelta, magari mi incolpavano pure della morte di Ronald. In fondo si era sacrificato per me, per la ragazza che nonostante tutte le belle promesse l’aveva tradito.

 

***

 

-Mamma, mamma!-  strillava impazzita mia figlia cercando di prendere i biscotti al cioccolato dalla credenza.

-Arrivo Alhena!- dissi raggiungendola con un sorriso e passandole i biscotti.

Alhena Granger, la mia bambina. Aveva a malapena tre anni ma sapeva già fare magie, era una piccola peste cocciuta e vendicativa, come il padre. 

-Mamma, andiamo alla spiaggia oggi?- mi chiese guardandomi con gli occhioni da cucciolo ai quali io non avevo mai saputo resistere.

-Certo tesoro, ma solo poco, poi la mamma deve andare a lavoro e tu dalla nonna!- le risposi prendendola in braccio e scoccandole un sonoro bacio sulla guancia. 

-Si, nonna Jane!- sorrise cominciando a dimenarsi. La misi giù e corse come un fulmine fuori dalla cucina, probabilmente in camera a prendere il libro da portare a mia madre.

Adorava il mare, sin da piccola ce la portavo tutte le mattine. Mi piaceva passare le ore ascoltando il rumore delle onde che s'infrangevano sugli scogli mentre stringevo tra le braccia la mia piccola, così simile a lui. 

-Mamma, andiamo?- mi chiese comparendo sulla soglia della cucina tenendo stretto a sé il suo peluche preferito e il libro di fiabe.

-Certo!- recuperai la bacchetta e la giacca e materializzai entrambe sulla spiaggia. Era un po’ avventato, ma di lunedì mattina alle sette e mezza di solito non c’è nessuno. E quanto avrei voluto che anche quella mattina fosse stato così. 

Invece c’era qualcuno che, per grazia ricevuta, non mi aveva vista comparire dal nulla con una bambina in braccio sul lungomare. 

Posai a terra Alhena che aveva cominciato a protestare. Le tolsi le scarpe e con un incantesimo non verbale accorciai i pantaloni. Corse verso il mare mentre l’ennesima onda si infrangeva sugli scogli e poi arrivava alla sabbia. Il mare sembrava essere in tempesta e alcune nuvole si addensavano all’orizzonte. Guardai un ultima volta Alhena e sorrisi: aveva le manine piene di sabbia e stava cercando di raccogliere le conchiglie più belle che il mare portava. Lanciai un'occhiata all’uomo che, a pochi metri da noi, guardava il mare con le mani nelle tasche dei jeans. Mi ricordava terribilmente qualcuno. Mi ricordava qualcosa, un periodo dove probabilmente ero stata felice, ma non ricordavo quando, non ricordavo niente…

L’ennesimo vuoto all’altezza dello stomaco come quando mi soffermavo troppo sul viso della mia bambina. L’ennesima sensazione di precipitare nel vuoto.

Distolsi lo sguardo. Nonostante tutti i miei tentativi per cercare di recuperare la memoria non c’ero ancora riuscita, non ero ancora riuscita a trovare tutti i miei ricordi, nemmeno a rivedere il suo viso in sogno. 

Diedi le spalle al mare e cercai di distrarmi mentre recuperavo un telo dalla borsa e il telefono. Ero diventata un avvocato di successo nella Londra babbana. Ero diventata qualcuno anche tra i babbani, nonostante avessi Alhena. Il telefono cominciò a squillare nella mia mano. Era Cristina.

-Pronto!- risposi. Probabilmente mi stava chiamando per chiedere a che ora avevo intenzione di arrivare questa mattina in ufficio. Era una sorta di capo, coordinava il lavoro di tutti nonostante nessuno le avesse mai assegnato ufficialmente quel compito. Diciamo che era un capo ufficioso. 

-Hermy! Stamattina c’è solo il processo, se vuoi puoi restare a casa a fare scartoffie!- disse e immaginai la sua faccia dall’altra parte del telefono. Probabilmente stava ridendo come sempre. Era una persona solare ed era stata una mia compagna di università. 

-E dirlo prima?- le chiesi con un sorriso. 

-Scusa Hermione, è stato appena annullato un processo perché l’altro avvocato doveva arrivare con l’aereo ma non ha potuto decollare a causa del maltempo!-

-Stai tranquilla, passo a prendermi un po’ di carte e avviso mia madre che oggi tengo io Alhena! Ci vediamo dopo!- le dissi e chiusi la conversazione. Cristina era una sorta di migliore amica  nel mondo dei miei genitori. Sembrerà strano ma non erano in molte a fare la fila per essere amiche di una madre giovane e single che passava le sue giornate al lavoro, che non aveva tempo di uscire e che al cinema andava a vedere solo i cartoni della Disney. 

Controllai velocemente le email, tutte di lavoro. Le avrei guardate dopo. Stesi il telo da mare lottando contro il vento che si era alzato e che mi aveva buttato la sabbia bianca e fine negli occhi. 

Avevo tutti i capelli spettinati e più crespi del solito. 

-Mamma!- urlò mia figlia spaventata. Mi girai terrorizzata. Era entrata in acqua. Non entrava mai da sola. Aveva paura del mare e delle onde. Avevo le gambe di pietra, non riuscivo a muovermi. Il sangue mi si era gelato. Provai a correre verso il bagnasciuga ma riuscivo a malapena a muovere un passo e l’ennesima folata di vento mi gettò la sabbia negli occhi. 

Un’onda più alta delle altre si stagliava contro l’orizzonte, le nuvole nere non erano più così lontane e sembravano minacciose. Non me ne ero accorta. Vidi con la coda dell’occhio l’uomo togliere le mani dalle tasche e sfilarsi velocemente la giacca, scalciando le scarpe per toglierle. Poi entrò in acqua. Era troppo lontano anche lui. In un attimo l’onda fu sopra la testa della mia bambina, Alhena andò completamente sott’acqua, vedevo solo le mani che si muovevano sulla superficie. Un'altra onda seguì la prima e le mie gambe cominciarono finalmente a muoversi mentre lo sconosciuto era arrivato nel punto dove prima c’era mia figlia. Si guardò intorno spaventato e poi si tuffò mentre anche io arrivai sul bagnasciuga e scalciai le décolleté nere. Entrai in acqua e repressi a fatica un brivido. Ero terrorizzata, l’acqua era ghiacciata e non vedevo più Alhena. L’ennesima onda mi bagnò la camicetta bianca mentre dello sconosciuto non c’erano ancora tracce. Passarono dei secondi che sembravano ore mentre io continuavo ad avanzare fregandomene dei sassi e degli scogli che mi ferivano i piedi. L’acqua mi arrivava sopra la pancia e all’arrivo della nuova onda fui costretta a saltare per non andare anche io con la testa sotto. Dopo un tempo infinito l’uomo ritornò in superficie stringendo tra le braccia la mia bambina. Era parecchio lontano da dove ero io e probabilmente non arrivava nemmeno a toccare con i piedi il fondale. Una nuova onda lo gettò di nuovo sott’acqua ma poi uscì subito e cominciò a nuotare verso di me tenendo Alhena fuori dalla portata del mare. Altre onde si infransero sugli scogli e altre lo gettarono di nuovo sott’acqua prima che riuscisse ad arrivarmi vicino, dove si toccava e dove l’acqua arrivava a malapena alla pancia. 

Le lacrime di paura e di gioia si mescolarono all’acqua del mare e alla pioggia che cominciava a scendere dal cielo. L’uomo continuava ad avanzare verso il bagnasciuga senza prestarmi troppa attenzione e io lo seguii in silenzio ancora scossa. Con lo sguardo offuscato raccolsi le nostre scarpe e la sua giacca. Lo sconosciuto andò verso la piccola insenatura della roccia dove avevo lasciato l’asciugamano e lo avvolse delicatamente intorno al corpicino di Alhena che cominciava a tossire in cerca d’aria. Era viva.

-Grazie!- mormorai arrivando alle spalle dello sconosciuto e guardando gli occhi di mia figlia pieni di lacrime.

-Granger!- sbottò lui irrigidendo i muscoli delle spalle e posando la bambina sulla sabbia. La terra mi mancò sotto i piedi. Stavo precipitando nel vuoto pur restando ferma, mi mancava l’aria, non respiravo. 

Lui.

La sua voce, quanto mi era mancata la sua voce. Un vuoto all’altezza dello stomaco, una fitta al cuore. Un dolore che mi spezzava in due. Mi piegai su me stessa tenendo una mano sullo stomaco.

-Granger, stai male?- mi chiese preoccupato girandosi verso di me. La sua voce era così fredda, la sua voce non era quella che io ricordavo eppure ci assomigliava così tanto. 

-Non è niente Malfoy!- risposi secca cercando di recuperare un po’ di contegno e avvicinandomi alla mia bambina,  cercando disperatamente di tenere nello stomaco la colazione. Guardai la piccola, così simile a lui, gli stessi capelli biondi da sembrare bianchi erano appiccicati alla fronte e gli stessi occhi plumbei non lasciavano trapelare niente. Dello stesso colore del mare in tempesta. Così simili che nessuno avrebbe avuto dubbi. Presi la borsa da mare e tirai fuori l’unico telo che era rimasto per passarlo a Malfoy ricevendo in cambio un occhiata parecchio stupita. 

-Ti prenderai un malanno!- gli spiegai lanciandogli il telo mare.

-Anche tu se è per questo Granger!-

-Non ti preoccupare per me!- risposi. Lui prese l’asciugamano in silenzio e poi si avvicinò a me coprendoci entrambi. Nessuno di noi due a quanto pare sapeva che fine avesse fatto la bacchetta ed eravamo troppo stanchi per riuscire a fare incantesimi senza. Un brivido mi corse lungo la spina dorsale, diedi la colpa al freddo ma sapevo che non era così. Di nuovo il vuoto e la sensazione di precipitare si impossessarono di me, le stesse sensazioni che provavo guardando mia figlia. Così simile a lui da fugare ogni dubbio. Così simili che…

“Draco, io ti devo dire una cosa!”

“Dimmi!”        

“Io sono incinta!”

La consapevolezza mi piovve addosso in un secondo. Guardai la mia bambina con un frammento dei miei ricordi fisso in testa. Sua figlia. Draco. Alhena era la figlia di Draco. 

Vidi con la coda dell’occhio lui che scrutava la bambina attento. Di sicuro non gli erano sfuggiti i capelli dello stesso colore e gli occhi identici, nemmeno gli era sfuggito il modo di fare della bambina o il suo portamento che nonostante avesse appena rischiato di morire soffocata dal mare non aveva perso. Stava seduta con le schiena dritta fissandosi le manine che giocavano con l’asciugamano e alternando qualche volta lo sguardo curioso da me a Malfoy. Anche lui alternava uno sguardo curioso da me alla bambina e poi fissava il mare. Era così palese, ma così impossibile.

“Herm, dove vai?”

“Torno alla torre, è quasi l’alba. Tu continua a dormire Draco!”

Ancora un altro ricordo e un altro brivido freddo. Lui mi guardò stupito e si avvicinò ancora di più. Il suo profumo era lo stesso di quello del ricordo. Muschio bianco mescolato a tabacco, non aveva perso il vizio di fumare.

“Dray, dovresti smetterla!”

“Di fare cosa?”

“Di fumare, va a finire che prima o poi ci lasci le penne!”

Un altro ricordo. 

-Granger, c’è qualcosa che ti sei dimenticata di dirmi?- mi chiese facendo un cenno del capo verso la bambina che aveva smesso di prestarci attenzione. 

-In realtà no Malfoy, non che mi ricordi!- mormorai e lo vidi annuire lentamente. Non so che risposta si aspettasse. 

“Puoi promettermi una cosa?”

“Si”

“Promettimi che saremo sempre sinceri tra di noi, nel bene e nel male”

“Te lo prometto, e tu?”
“E tu cosa?”

“Tu me lo prometti?”

“Te lo prometto!”

Ed ero stata sincera anche questa volta. Gli avevo detto la verità, ammesso che ricordavo poco, che non sapevo quasi niente, che un vuoto all’altezza dello stomaco mi opprimeva costantemente. 

-Granger, stai bene?- mi chiese. Mi accorsi solo in quel momento che avevo i suoi occhi, così simili a quelli di Alhena, puntati addosso. 

-Si, credo di sì!-

-Mamma?- chiamò la piccola portando l’attenzione di entrambi su di lei. Sapevo che Malfoy ormai aveva pochi dubbi su chi fosse realmente il padre della piccina. Allora perché non diceva niente? Perché non mi faceva quella domanda che temevo da anni? Perché non toglieva tutti i miei dubbi per una buona volta o mi faceva vedere i suoi ricordi? Perché lui si ricordava tutto vero?

-Ho fame!- disse e io scivolai fuori dalla presa delle braccia di Malfoy che si erano avvolte attorno al mio corpo per trattenere l’asciugamano. Presi dalla borsa un pacchetto di biscotti al cioccolato e due mele verdi. 

Quelle che mangiavamo sempre ad Hogwarts. Erano le nostre preferite, saremmo stati capaci di mangiarle a tutte le ore del giorno e a volerne ancora.

Aprii il pacchetto di biscotti mentre un altro brivido mi correva lungo la colonna vertebrale. Diedi la colpa al vento freddo che soffiava quel giorno e che continuava a bagnarci di pioggia, ma sapevo bene che il vento non centrava niente, solo era troppo difficile ammettere il contrario. Diedi alcuni biscotti ad Alhena e poi rimisi il sacchetto all’interno della borsa. Lanciai una mela a Malfoy che la prese al volo strappandomi un mezzo sogghigno.

“Ammettilo che sono più bravo di Potty!”

“Lo sai che io di Quidditch non ci capisco niente. È già tanto se distinguo il manico della scopa dalla palla!”

“Andiamo Hermione! Anche un babbano capirebbe che sono più bravo io e che Potty non riesce a prendere il boccino nemmeno se questo gli sfreccia sotto il naso!”

Mi guardò divertito. Si ricordava anche lui? perché standogli vicino non ritornavano subito tutti i ricordi ma ne tornavano solo alcuni?

-Grazie Granger!- sorrise lui addentando la mela. Una scena già vista mille volte. Nei sotterranei, nella stanza delle necessità, nella torre di astronomia, in riva al lago nero, al confine della foresta proibita

-Mamma? Chi è il signore?- chiese a un certo punto Alhena facendomi andare di traverso il boccone. Dovevo immaginarmi una domanda del genere. In fondo aveva preso dal padre.

“Senti Granger, come va con Pel di Carota?”

“Malfoy, illuminami! Perché la cosa dovrebbe interessarti?”

Non sapevo cosa rispondere. Di sicuro non potevo dirle che lui era il suo papà. Non ne ero certa nemmeno io. Non ricordavo niente. Cosa potevo dirle? Avrebbe continuato a fare domande, avrebbe continuato a chiedere finché non le avessi dato una risposta soddisfacente.

“Andiamo Granger, è pura curiosità. Che ti costa?”

“Malfoy sei più pettegolo di una donna!”

“Non mi hai risposto!”

“La cosa non ti riguarda!”

“Non lo sai che è buona educazione rispondere alle domande?”

“Tu lo sai che è buona educazione non importunare la gente durante la lezione con domande idiote?”

-Ciao, piccola, io sono Draco, Draco Malfoy!- disse Malfoy avvicinandosi alla bambina e posandole un leggero bacio sulla fronte. Riuscii a malapena a trattenere un sorriso, quella frase l’avevo già sentita da lui ma anche da Alhena.

-E tu chi sei?-

-Io sono Alhena, Alhena Granger!- rispose la piccola e vidi Malfoy sorridere. Non c’erano più dubbi. Lo sapevamo entrambi. Ma continuavamo a fare finta di niente. Preferivo far finta che lui fosse solo un perfetto estraneo, non il padre di mia figlia. Ma soprattutto non volevo che lui entrasse nelle nostre vite adesso e ce le sconvolgesse completamente. Avevo passato diversi anni a cercare di diventare qualcuno nel mondo babbano dopo che ero stata “costretta” ad abbandonare quello magico. Non volevo tornare indietro, non volevo mollare tutto e tornare ad essere l’eroina della seconda guerra magica. Ma qualcosa mi diceva che lui non avrebbe capito.

Il mio cellulare cominciò a squillare, nuovamente. Lo recuperai dal fondo della borsa dove era finito.

-Mamma?-

-Ciao Hermione, sono già le otto, non dovresti essere in ufficio tu?- mi chiese preoccupata mia madre. Avevo perso di vista l’orario. Ed era dannatamente tardi.

-Scusa mamma, c’è stato un imprevisto, mi ha telefonata Cristina ha detto che per oggi non devo andare, tengo io Alhena!-

-Sicura?-

-Si, si tranquilla. Ci sentiamo dopo mami!-  le dissi e chiusi la conversazione. Gli occhi di Malfoy mi stavano trapassando la schiena coperta solo dalla leggera camicia di cotone ancora bagnata.

-Non andiamo dalla nonna?- chiese Alhena allungando una mano per prendere un altro biscotto cercando di passare inosservata mentre Malfoy tratteneva a fatica una risata.

-Serpeverde fino al midollo!- soffiò il biondastro e mi girai appena per rifilargli un occhiataccia gelida che gli chiuse la bocca ma che non gli impedì di continuare a ridere ancora un po’, sempre in silenzio.

-No piccola. La zia Cristina mi ha detto che oggi posso stare tutto il giorno con te. Vuoi?- le chiesi. Alhena annuì felice strappandomi un mezzo sorriso. Aveva anche smesso di piovere. Con un debole incantesimo non verbale richiamai la mia bacchetta che era persa da qualche parte nella spiaggia o sul fondale. Richiamai anche quella di Malfoy e gliela lanciai sbagliando ovviamente mira.

“Hermy, fammi un favore. La prossima volta la mela passamela, non tirarmela in testa!”

“Se avessi voluto farlo apposta non ci sarei riuscita”

“Chissà perché non avevo dubbi!”

-Granger, facciamo finta che la tua mira sia migliorata!- berciò lui chinandosi per recuperare la bacchetta che era finita sulla sabbia.

-Grazie di tutto Malfoy!- dissi asciugando i nostri vestiti e piegando velocemente gli asciugamani. Dovevo riuscire a passare in ufficio e a tornare a casa prima che ricominciasse a piovere e non avevo ancora abbastanza forza per materializzare me e la piccola a casa. O meglio non ero abbastanza concentrata per poter essere certa di non fare nessun errore. 

-Aspetta Granger!- mi urlò dietro Malfoy mentre io con la piccola in braccio andavo verso il limitare della spiaggia. Le lacrime mi segnavano il viso facendo colare il mascara ma facevo finta di non accorgermene. Non dovevo girarmi altrimenti non sarei più riuscita a trattenermi. Di nuovo la sensazione di vuoto si era impossessata di me nonostante facessi di tutto per non sentirla ed evitassi di pensare a lui che a grandi falcate mi stava seguendo.

Mi raggiunse e mi tirò per un braccio per farmi girare. Non volevo, ma lui era decisamente più forte di me e io avevo la borsa e Alhena che mi impedivano parecchi movimenti. Mi tirò verso di se e passò le sue braccia dietro la mia schiena trascinandomi in un abbraccio che non avevo chiesto ma di cui avevo decisamente bisogno. Mi sentivo a casa. Alhena appoggiò la testa sulla sua spalla e io sul suo petto. Mi mancava tutto questo, mi mancava tanto quello che potevamo diventare. Invece eravamo due persone diverse con due vite distinte. Non mi era sfuggito l’anello d’oro bianco e d’oro giallo che portava al dito anche se lui cercava di nasconderlo. Mi era quasi familiare però ero sicura di non averlo mai visto. 

Non saremmo mai potuti essere quella famiglia che io desideravo per Alhena.

-Devo andare!- dissi scivolando via dall’abbraccio e strappando mia figlia al suo papà. Dovevo andare prima di pentirmi. Ricominciai a camminare verso la strada per chiamare un taxi e questa volta lui non provò a fermarmi. 

Ricordo solo di essere salita e aver comunicato all’autista l’indirizzo del mio ufficio prima di crollare in un pianto silenzioso ma senza fine. Con gli occhi annebbiati dalle lacrime lo vidi sulla spiaggia: fermo, con le mani nelle tasche dei jeans che guardava la macchina allontanarsi lentamente. 

 

***

 

A volte succedono cose che non si è preparati ad affrontare. Non riesco a farmi capire. Non riesco a fare capire a nessuno quello che mi sta succedendo. Non riesco a spiegarlo nemmeno a me stessa…

 

***

 

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