A me non piacciono gli uomini. Amo solo lui.

di deborahdonato4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Ritorno ***
Capitolo 3: *** 2. In fucina ***
Capitolo 4: *** 3. In infermeria ***
Capitolo 5: *** 4. Marcelus ***
Capitolo 6: *** 5. Sono tornato per te ***
Capitolo 7: *** 6. Scatti d'ira ***
Capitolo 8: *** 7. Cabina sette ***
Capitolo 9: *** 8. La spiaggia ***
Capitolo 10: *** 9. Bacio ***
Capitolo 11: *** 10. The nail games ***
Capitolo 12: *** 11. Amici ***
Capitolo 13: *** 12. Etero al 100% ***
Capitolo 14: *** 13. Il bunker ***
Capitolo 15: *** 14. Fiamme ***
Capitolo 16: *** 15. Rilassati ***
Capitolo 17: *** 16. Primo appuntamento ***
Capitolo 18: *** 17. Fare sul serio ***
Capitolo 19: *** 18. Fratelli ***
Capitolo 20: *** 19. Ah, i figli di Efesto... ***
Capitolo 21: *** 20/21. Mi rendi pazzo ***
Capitolo 22: *** 22/23. Fuori con il dottor Solace ***
Capitolo 23: *** 24/25. Il fiore ***
Capitolo 24: *** 26/27. Ho un ragazzo ***
Capitolo 25: *** 28/29. Coming out ***
Capitolo 26: *** 30/31. Nel bosco ***
Capitolo 27: *** 32/33. Il piano di Angel ***
Capitolo 28: *** 34/35. Visite ***
Capitolo 29: *** 36/37. Vivere insieme ***
Capitolo 30: *** 38/39. Serata speciale ***
Capitolo 31: *** 40/41. Sabina ***
Capitolo 32: *** 42/43. Disintossicazione ***
Capitolo 33: *** 44/45. Bugie e verità ***
Capitolo 34: *** 46/47. Un passato nascosto ***
Capitolo 35: *** 48/49. Mi perdonerai? ***
Capitolo 36: *** 50/51. In spiaggia (Seconda parte) ***
Capitolo 37: *** 52. Di nuovo amici ***
Capitolo 38: *** 53/54. Il falò ***
Capitolo 39: *** 55/56. Festus ***
Capitolo 40: *** 57. Will e Calipso ***
Capitolo 41: *** 58. Vendette ***
Capitolo 42: *** 59/60. La scelta migliore ***
Capitolo 43: *** 61/62. Figli di Ermes ***
Capitolo 44: *** 63. Andare avanti ***
Capitolo 45: *** 64. Pensieri ***
Capitolo 46: *** 65. Partenze ***
Capitolo 47: *** 66. Chiacchiere ***
Capitolo 48: *** 67. L'aspiracoriandoli ***
Capitolo 49: *** 68. Il taccuino di Travis ***
Capitolo 50: *** 69. Calipso o Will? ***
Capitolo 51: *** 70. In arena ***
Capitolo 52: *** 70.5 L'appuntamento di Hazel ***
Capitolo 53: *** 71. Amori nuovi e passati ***
Capitolo 54: *** 72. La festa di James ***
Capitolo 55: *** 73. Al Luna Park ***
Capitolo 56: *** 74. In infermeria ***
Capitolo 57: *** 75. Confidenze ***
Capitolo 58: *** 76. Bunker 9 ***
Capitolo 59: *** 77. Un giorno per sè stessi ***
Capitolo 60: *** 78. Il grande ritorno ***
Capitolo 61: *** 79. Quarantena ***
Capitolo 62: *** 80. Verità ***
Capitolo 63: *** 81. Frank Zhang ***
Capitolo 64: *** 82. Una serata tra amici ***
Capitolo 65: *** 83. Ti sto evitando ***
Capitolo 66: *** 84. Partenze e ritorni ***
Capitolo 67: *** 85. Nico, Percy... e Annabeth ***
Capitolo 68: *** 86. In mensa ***
Capitolo 69: *** 87. Negli Inferi ***
Capitolo 70: *** 88. Nella cabina 13 ***
Capitolo 71: *** 89. Non per me ***
Capitolo 72: *** 90. Nico e Calipso ***
Capitolo 73: *** 91. Svolte ***
Capitolo 74: *** 92. Fame ***
Capitolo 75: *** 93. Decisioni difficili ***
Capitolo 76: *** 94. Conclusione ***
Capitolo 77: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Leo Valdez guardò Travis Stoll in piedi davanti al Signor D, in attesa della sua sposa. Notò il pallore del suo volto, e le goccioline di sudore vicino all'attaccatura dei capelli perfettamente in ordine. Al fianco di Travis, suo fratello Connor gli sussurrava battutine all'orecchio, forse per risollevargli il morale e rilassarlo.

Leo sorrise dolce, ricordando quando anche lui si era ritrovato in quello stesso posto, con uno smoking più carino, e la stessa espressione. Era stato felice di trovarsi lì, in attesa della persona con la quale avrebbe passato il resto della sua vita.

Ma non era stato spaventato all'idea che potesse rimanere solo lì, ad aspettare una persona che non avrebbe mai preso posto al suo fianco. Era stato spaventato all'idea che qualcuno potesse attaccarli, colpirli e ferirli nel giorno più importante della loro vita. Voleva che tutto fosse perfetto... e lo era stato.

Mentre Katie Gardner faceva il suo ingresso con un incantevole vestito bianco, seguendo la strada segnata da cereali e petali di rosa, Leo sentì una mano sul fianco, e sorrise. La riconosceva. Forte e sicura com'era sempre stata. Si lasciò stringere, applaudendo alla sposa che gli lanciò un sorriso solare.

Quando presero posto, Leo posò la testa sulla spalla della persona al suo fianco, che gli schioccò un bacio sulla fronte.

«Il nostro matrimonio è stato più bello.» sussurrò Leo, sentendo il cristallino suono della risata del suo amore. Che si voltò, incontrando le sue labbra, e scambiandosi un breve bacio, che suscitò in entrambi la stessa passione riscontrata anni prima, prima ancora del loro matrimonio, prima ancora della loro vita insieme.

Buon 2016 :)
Ecco una nuova storia! Spero vi piaccia, almeno come piace a me. Il prossimo capitolo lo pubblicherò più tardi...
Un bacione, Debby

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Capitolo 2
*** 1. Ritorno ***


Quando Will Solace entrò al Campo Mezzosangue dopo più di un anno, si ritrovò stranamente bene. Un sorriso spontaneo gli comparve in volto, mentre un pensiero lo attraversava.

Quest'anno sarà diverso.

E lo sarebbe stato davvero. Will intendeva confessare il suo amore per una cara persona che viveva al Campo. E sapeva che appena avrebbe confessato i suoi sentimenti, sarebbe stato meglio per lui, per quella persona, per tutti quanti.

Will si avviò a passo spedito verso la cabina numero 7, la cabina dei figli di Apollo. Esitò un momento davanti alla porta, poi l'aprì.

Individuò subito gli occhi celesti di Angel posarsi su di lui.

«WILL!» urlò Angel, correndogli incontro, lasciando perdere la cucitura alla pesca con cui si stava allenando. «Sei sopravvissuto!»

Will rise, ricevendo la prima stretta da suo fratello minore. «Diciamo che ho perso la testa in molte occasioni.»

Angel rise con lui e lo stritolò per bene, mentre gli altri figli di Apollo si avvicinavano a loro. Will si lasciò stringere, rispondendo alle mille domande sul suo anno sabbatico.

«Sì, ho studiato molto. Sì, mi sono laureato. Sì, ho iniziato a lavorare in ospedale. Sì, pediatria. Sì, i bambini sono fantastici. No, non ho mollato perché non mi sentivo a mio agio. No, per un po' resterò qui. Sì, mi tengono il posto. No, non ti dirò come ho pagato gli studi.»

Will si sentì soffocare dopo la centesima domanda, e si scusò, dicendo di essere stanco, e si chiuse nella sua stanza. Anzi, nella sua ex camera. No, forse la sua metà camera. Will guardò dubbioso il secondo letto spinto quasi a forza nella stanza, e spalancò di nuovo la porta.

«Chi è il mio compagno di stanza, di grazia?» sbottò Will. Era stato via quasi sedici mesi, per perfezionare i suoi studi di medicina, e i suoi fratelli gli avevano bullizzato la stanza.

«Ehm, io.» disse Austin, andandogli incontro. «Sai, è la stanza del Capo cabina, e tu mi hai dato l'okay...»

Will annuì, sospirando. Giusto. Gli aveva dato l'okay. Sembrava passata una vita da quando era partito.

«Scusa Austin.» disse Will.

«Tornerai ad essere capo cabina?» chiese Austin, mordendosi il labbro.

«Ehm, non lo so.»

«Possiamo esserlo entrambi. Cioè, se ti va.»

Will sorrise. «Chi farà il lavoro sporco?»

«Io.» rise Austin.

«Allora va bene. Faccio la doccia.»

Will chiuse la porta della sua camera, e lasciò la borsa sul suo letto. Non aveva coperte, ma era troppo esausto per pensare di farlo subito. Senza contare che odorava ancora di mezzi pubblici.

Si spogliò e andò nel bagno. La presenza di Austin era un po' ovunque. Gli aveva cambiato tutti i prodotti per il corpo e per i capelli... Non c'erano più spazzolini, e biancheria sporca era sparsa sul pavimento.

Will si nascose il volto tra le mani. La sua mania di controllo si stava facendo sentire. Quando c'era disordine, non riusciva a non riordinare. Iniziò a gettare i vestiti sporchi di Austin nel cestino; buttò via i flaconi di shampoo vuoti, e riordinò anche il suo letto. Aprì tutti i cassetti, uno dopo l'altro, cercandone uno vuoto. Austin aveva occupato anche il suo spazio. Fu sul punto di svuotare anche i cassetti quando si aprì la porta.

«Wow.» fischiò Austin, affrettandosi ad entrare e chiudere la porta. «Dovrò riabituarmi alle tue chiappe.»

«Spero di non dovermi abituare al tuo disordine.» sbuffò Will, scoccandogli un'occhiataccia, senza provare nemmeno a coprirsi. La nudità era frequente nella cabina di Apollo. Erano tutti in pace con il loro corpo.

«Ehm, a proposito, scusa il disordine.»

Will sbuffò sonoramente e andò in bagno. Prima di infilarsi sotto la doccia urlò al fratello di lasciargli qualche cassetto libero, e l'armadio.

 

Leo Valdez aveva appena chiuso gli occhi quando suo figlio James cominciò a piangere. Leo si mise a guardare il soffitto, mentre la testa gli doleva e gli occhi bruciavano per il poco sonno.

Si rimise in piedi, prima che i suoi fratelli potessero lamentarsi, e andò subito alla culla. Incrociò gli occhi del bambino, pieni di lacrime.

«Pa-pa?» lo chiamò il bambino, inclinando un po' la testa di lato, guardandolo.

Leo si sciolse in un sorriso, dimenticando la stanchezza.

«Sono papà.» annuì Leo, allungando le braccia verso di lui. Il piccolo si lasciò prendere in braccio docile, e Leo gli schioccò un bacio sulla fronte prima di portarlo nella cucina. La cabina di Efesto vantava tante agevolazioni.

«Hai fame, piccolo?» domandò Leo, strabuzzando gli occhi, cercando un orologio. Erano le otto del mattino. Di nuovo, aveva lavorato tutta la notte, e si sentiva come se avesse... be', forgiato e perfezionato armi tutta la notte.

James annuì, e con un braccio solo Leo si affrettò a preparargli il biberon. Lo posò sul fornello e infilò la mano sotto, facendola andare a fuoco. Il bambino lo adorava.

Leo sorrise nel sentire la sua risata, e gli si colmò il cuore di gioia. Si era pentito spesso di ciò che era successo negli ultimi cinque anni, e suo figlio era l'unica eccezione. Amava il suo bambino. E nelle notti più tetre pensava che avrebbe rivissuto tutto quanto, pur di riavere James al suo fianco.

Leo chiuse un momento gli occhi, mentre una seconda risata si univa a quella del figlio. Una risata dolce, femminile, che apparteneva ad una persona che aveva amato tanto, e troppo, e di cui l'amore ormai era...

Non pensare a lei.

Leo spense la mano e controllò sul proprio polso quanto scottasse. Dovette fare uno sforzo per notare che era qualche grado più del solito, ma a James piaceva il latte caldo. E spesso lo teneva solo in mano, guardando il padre con i suoi occhioni scuri.

Il figlio di Efesto ringraziò che il bambino avesse i suoi occhi.

Si sedette al tavolo della cucina e porse il biberon al bambino. James bevve un sorso di latte prima di iniziare a emettere gorgogli e tentativi di parole. Leo era troppo stanco per prestargli attenzione, fino a quando non si sentì irrigidire.

«Ma-ma?» mormorò James, fissandolo.

Leo si morse il labbro. Come poteva spiegare a suo figlio di quasi tre anni che la mamma non sarebbe più tornata da loro? Come poteva dirgli che lei non voleva una famiglia?

Quando aveva posto la domanda ai suoi stessi fratelli, gli altri figli di Efesto, si erano divisi in due schieramenti: metà diceva che doveva dirglielo al più presto, altri che non era necessario. Leo pensava a sua madre, morta ormai da anni, che non gli aveva mai detto nulla di suo padre, il dio Efesto. Avrebbe preferito saperlo da piccolo?

Lentamente, Leo scosse la testa.

«No, piccolo, la mamma non è ancora tornata.»

Leo si morse il labbro. Odiava mentire al proprio bambino. Avrebbe compiuto tre anni da lì ad un paio di settimane, e sapeva che non avrebbe mai ricordato le sue bugie a otto, nove anni. Ma gli dispiaceva ugualmente.

James iniziò a ciucciare, continuando a guardarlo con i suoi occhioni, e Leo inspirò profondamente.

«Ma chi abbiamo qui?»

Leo sussultò e alzò lo sguardo sulla porta. Sua sorella Nina gli stava sorridendo, gli occhi gonfi dal sonno e i capelli scompigliati.

«Ciao Nina.» sorrise Leo, anche se sapeva che la sorella non ce l'aveva con lui.

«Jamie!» esclamò Nina, ignorando completamente il fratello e prese il bimbo in braccio. James rise di gusto, la zia Nina gli piaceva molto, soprattutto quando lo coccolava. «Il mio ometto!»

Leo la guardò sorridendo. Nina aveva detto per mesi che odiava i bambini, ma quando James Valdez era entrato nella cabina di Efesto, sua sorella si era lasciato scappare un verso di apprezzamento, assieme a tutte le altre sue sorelle. Si erano sciolte completamente davanti a quel piccolo dagli occhi di cioccolato, dai riccioli scuri e dal sorriso facile. Le sue sorelle si erano contese James per mezz'ora, strillando e lanciandosi bulloni e cacciaviti, e Leo aveva ringraziato mentalmente: non avrebbe più sofferto per l'assenza di babysitter.

«Ehi, tu.»

Leo guardò Nina sbattendo le palpebre. «Io cosa?» domandò, confuso.

Nina lo fissò con attenzione. «Hai dormito almeno un'ora?» gli chiese.

«Ehm, no.»

«Cinque minuti?»

«Non ho proprio dormito.»

Nina sbuffò. «Quindi non mi fai il caffè?»

«No.»

«Vai a letto, Valdez.»

«Con piacere.»

«Il piccolo Valdez lo tengo io.»

Leo annuì, grato, e le stampò un bacio sulla guancia. Nina si trattenne dallo sbuffare di nuovo.

«Ci vediamo più tardi, piccolo. Non fare impazzire la zia.» mormorò Leo, dando un bacio sulla testa del bambino, che aveva già iniziato a giocare con il bullone tenuto come collana di Nina.

Leo superò i suoi fratelli e le sue sorelle, attirati dalla parola "caffè", che si avvicinavano speranzosi. I più furbi si affrettarono ad andare in mensa.

Leo chiuse la porta della sua camera, lanciò un'occhiata alla culla di James vuota, e si buttò sul suo letto. Si addormentò ancora prima di toccare il cuscino e, come sempre quando si trovava in stanza da solo, ebbe un incubo.

 


Ciao!
Scusate se ci ho messo un po' a caricare il nuovo capitolo...
Sapete com'è Capodanno :P
Un bacione, alla prossima
Debby

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Capitolo 3
*** 2. In fucina ***


Will lasciò la sua stanza dopo un paio d'ore dal suo arrivo. Sorrideva. Aveva passato più di un'ora a sistemare le sue cose, mentre Austin lucidava vetri e pavimento. Will aveva cercato di farlo smettere, ma Austin si era ostinato a pulire. Will sospettò che il fratello non pulisse quelle due cose da molto tempo.

Il suo ritorno al Campo era stato piuttosto tranquillo. I suoi fratelli di certo non la pensavano in questo modo, visto che avevano dovuto aspettarsi una sgridata sul disordine collettivo che si era creato. Si erano accorti tutti che era grazie a Will se avevano vinto un paio di volte il premio come cabina più ordinata del Campo.

Will entrò in infermeria, salutando quel paio di fratelli che si stavano occupando di alcuni figli di Ares, ricoperti di vernice e graffi.

«Fratelli Stoll.» ringhiò un figlio di Ares dai capelli rosa shokking, prima che Will potesse dire una parola.

«Dovevo immaginarlo.» disse Will, sforzandosi di non ridere, come i suoi fratelli.

I figli di Ares li guardarono in cagnesco.

Will andò nell'ufficio, e scoprì con gioia che almeno quello era rimasto suo. Aprì i vari cassetti, trovando tutti i fogli riservati ai pazienti che erano stati curati. L'ultimo segnato aveva la sua calligrafia.

Will si sedette, spolverando una vecchia fotografia di New York al buio, ricoperta di luci. Rimase seduto per una manciata di minuti, poi controllò la tabella degli orari dell'infermeria.

«Dei.» borbottò Will. Strappò il foglio, e scrisse nuovi orari, con diversi turni e almeno tre fratelli per turno. Si inserì anche lui, sorridendo tra sé. Gli era mancata l'infermeria. E il possibile odio dei suoi fratelli.

Riordinò il suo ufficio e trovò il suo vecchio camice bianco tutto appallottolato. Gli tornarono in mente tutti i suoi vecchi pazienti. Ma quando fece per mettersi il camice, scoprì che era stato tutto pasticciato, il suo nome rimosso. Il tutto portava la firma dei fratelli Stoll.

«Stoll.» ringhiò tra sé Will. Mollò il camice sulla scrivania e lasciò in fretta l'infermeria, ignorando i fratelli e andando dritto alla cabina di Ermes. Qui bussò per due minuti prima che la porta gli venne aperta e uno schizzo d'acqua lo colpì in viso.

«Uh, sei nuovo? Non mi sembra di averti mai visto qui.» notò la figlia di Ermes che teneva ancora la pistola d'acqua in mano.

«Sono tornato oggi.» Will si asciugò il volto. «Cerco gli Stoll.»

«Connor è in luna di miele con sé stesso, e Travis a zonzo.»

Will alzò un sopracciglio. «Mmh. Okay.»

Will lanciò un'occhiata all'interno della cabina, dove altri due ragazzi stavano trasportando un sacco di farina, mentre un altro riempiva dei palloncini. Si accorse che il suo posto non era lì, e salutò la ragazzina tornando in infermeria.

 

Will era arrivato da tre ore, e già la maggior parte dei suoi fratelli voleva che se ne andasse. Will li ignorò, preferendo quella manciata di fratelli che lo adoravano nonostante avesse cambiato i turni in infermeria, cambiato alcune regole alla cabina, e riorganizzato i tornei di tiro con l'arco per decidere chi dovesse fare le pulizie.

Tornare al Campo gli aveva fatto bene, e Will sorrise, guardando fuori dalla finestra dell'infermeria. Doveva parlare al più presto con Nico di Angelo.

 

 

Leo si svegliò nel pomeriggio. Era tutto sudato, ma la cosa non lo preoccupò. Era normale dopo gli incubi. Si alzò, stringendo i pugni, e lanciò un'occhiata alla culla. James non c'era, e sentì una fitta allo stomaco.

Il volto di Nina si riaffacciò alla sua mente, e riprese a respirare. Gli venivano dei colpi assurdi quando James non era nella sua culla a dormire. In pratica, quella fitta allo stomaco gli veniva continuamente.

Leo andò in bagno e si svestì, infilandosi nella doccia. Rimase sotto l'acqua gelida per qualche minuto, prima che il suo cuore riprendesse a battere a ritmo normale.

Mentre si lavava, si domandò se le cose con Calypso avrebbero avuto un corso diverso se James non fosse nato.

Quando Calypso aveva scoperto di aspettare un bambino, aveva iniziato ad incolparlo. Leo era rimasto troppo scioccato dalla notizia di diventare padre per comprendere gli insulti della sua fidanzata. Poi si era ripreso, e avevano discusso.

Forse avrebbe dovuto capirlo già allora che Calypso – la sua Cal – non era adatta al mestiere di madre. Ma si era lasciato ingannare quando il piccolo James era nato, quando gli occhi della giovane ninfa si erano illuminati.

Con un sospiro, Leo uscì dalla doccia. Scaldò la sua pelle, asciugandosi all'istante, e si affrettò a vestirsi. I suoi fratelli avevano la brutta mania di non bussare.

Leo uscì dal bagno e andò alla ricerca di Nina e James. Impiegò una manciata di minuti a rendersi conto che loro non erano lì, quindi uscì, dirigendosi verso la fucina. Nina aveva la brutta abitudine di portarlo in fucina. Be', non solo Nina. Anche lui. Lo teneva in spalla mentre forgiava, oppure lo mandava a dividere i bulloni per grandezza e spessore.

Quando entrò in fucina, Leo individuò James seduto a giocare con una chiave inglese. Lo guardò mentre la lanciava con una manina, mentre con l'altra tentava di riprenderla. Leo si mise a ridere dopo un secondo. Stava cercando di imitarlo.

James alzò subito lo sguardo su di lui e sorrise. Un enorme sorriso dalla firma Valdez.

«Pa-pa!» esclamò il piccolo, alzandosi e correndo verso di lui.

Leo gli andò incontro e lo prese in braccio. James lo strinse forte con le sue esili braccia, e Leo fece altrettanto.

«Pa-pa nanna?» domandò James, guardandolo curioso.

«Sì, mijo.» Leo sorrise e gli baciò la fronte. Era da tempo che ormai lo chiamava così, come un tempo aveva fatto sua madre con lui.

«Tia Nina costuito aroplano.» sorrise James, indicando verso Nina.

«Wow! Davvero? Meglio di quello che ti ha fatto papà?»

«No! Meglio papa. Ma aroplano tia Nina verde!»

Leo rise. Quel bambino aveva una strana ossessione per il verde. Si chiese da dove fosse uscita... Forse aveva fatto male a lasciarlo un pomeriggio con Percy Jackson, e la sua ossessione per il blu.

Leo si avvicinò alla postazione di lavoro di Nina. Guardò l'aeroplano della sorella: tre metri, verde con rifiniture in bianco. Leo gli passò le dita sopra, guardando la sorella.

«Hai usato questo materiale? Sei sicura che poi volerà?» domandò.

«Non l'ho fatto per volare, solo per divertire James mentre lo costruivo.» disse Nina scrollando le spalle.

Leo scosse la testa. «A che serve un aero che non sa volare?!» Posò James a terra.

«Per il tartaro, Valdez! L'ho costruito con James, per divertimento!»

Leo guardò il figlio. «Vuoi che l'aereo voli?» domandò, sorridendo.

James annuì.

«E allora lo facciamo volare.»

Leo infilò una mano nella sua cintura, ed estrasse fuori un cacciavite. Aprì una delle ali dell'aereo, e con l'aiuto di Nina iniziò a riprogrammarlo.

James si sedette buono buono a due metri da loro e li osservò ,mentre lavoravano. Ammirava molto suo padre, e sapeva che qualsiasi cosa lui facesse, sarebbe stata magnifica.

Ma si stava annoiando, quindi tirò fuori dalla tasca uno dei bulloni di suo padre e iniziò a giocarci.

James udì un tintinnio e si voltò alla sua destra. Vide qualcosa di piccolo rotolare a terra, e lo prese. Lo rigirò tra le dita, poi si alzò e andò a controllare da dove fosse caduto. Non si accorse di star camminando nella zona proibita della fucina. Suo padre si era fatto assicurare almeno dieci volte che non ci sarebbe mai andato. E invece eccolo lì, che tentava di scoprire da dove fosse caduto quel piccolo bullone.

 

Leo udì la scatola di ferraglia cadere e spargersi a terra. D'istinto, come gli capitava sempre ad un rumore troppo forte, si voltò alla ricerca di James, aspettandosi di vederlo sotto il tavolo di lavoro di Paul intento a giocare con viti o bulloni, o ad incidere la sua iniziale. Invece non lo vide e lasciò cadere il cacciavite.

«JAMES!» urlò Leo, allontanandosi di botto dal tavolo di Nina. «JAMES!»

Il suo radar da padre lo spinse a correre verso il rumore, e sentì Nina correre in un'altra direzione, chiamando il bambino.

Quando si avvicinò alla scatola caduta, Leo temette di svenire alla vista di suo figlio steso a terra con una ferita alla fronte.

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Capitolo 4
*** 3. In infermeria ***


Lo choc lo assalì. Per la prima volta in vita sua, Leo si sentì congelare fin dentro le ossa. Suo figlio...

Si inginocchiò a terra mentre mille pensieri lo attraversavano. Doveva chiamare un figlio di Apollo? Doveva portarlo in infermeria? Cosa sarebbe successo se lo avesse spostato? E se fosse..?

Leo si lasciò scappare un gemito di dolore e scacciò quel pensiero. Cercò del nettare nella sua cintura e ne fece cadere poche gocce tra le labbra del figlio.

Non si era mai trovato in una situazione del genere. Suo figlio aveva avuto la varicella mesi prima, ma non si era mai ferito in modo così profondo.

Leo gli posò una mano sul braccio e il bambino aprì gli occhi, iniziando a piangere per il dolore alla testa.

Leo rilasciò andare l'aria dai polmoni e lo prese in braccio, tenendogli la testa. Il sangue continuava ad uscire copioso dalla fronte del piccolo.

«Mijo, andiamo in infermeria ora.» mormorò Leo, e si affrettò ad uscire dalla cabina con il bambino stretto tra le braccia.

 

James singhiozzò mentre Leo correva il più velocemente possibile verso l'infermeria. Quando vi arrivò, buttò giù la porta con un calcio.

«UN DOTTORE!» urlò, spaventando quattro figli di Apollo e altri vari pazienti. «VOGLIO UN CAZZO DI DOTTORE!»

Un figlio di Apollo gli si avvicinò di corsa. «Cosa è successo?»

Leo gli scoccò un'occhiata. «Sei bravo?»

«Io? Ehm, sì.»

«Ne voglio un altro, uno che non esita. Non c'è una specie di primario qui?! Voglio lui!»

I figli di Apollo si studiarono e uno scomparve in una porta chiusa.

Leo posò James su uno dei lettini, accarezzandogli i capelli, e lasciando che gli stringesse la mano.

«Cos'è successo?»

Leo tenne gli occhi puntati in quelli del figlio, mentre il figlio di Apollo proprietario della voce si affiancava a lui.

«Gli è...» Leo scoprì che gli tremava la voce, e la richiuse.

«Non importa. Ehi, piccolo, lo vuoi questo?»

Leo vide un lecca lecca colorato spuntare dalla mano del dottore. Gli occhi di James, sebbene gonfi di pianto, si illuminarono e tese le mani.

«Peffavoe.» sorrise il bambino.

«Ma certo, piccolo.» sorrise il dottore, lasciandogli il lecca lecca. Si infilò i guanti e lanciò un'occhiata alla ferita. Non era così brutta. Iniziò a ripulire, gli occhi di Leo attenti ad ogni movimento.

«Sta... Sta bene vero?» sussurrò Leo, guardando il dottore dai capelli biondi un po' mossi. Poteva fidarsi di un dottore biondo?

«Mi sembra piuttosto allegro.» annuì il dottore, lanciando un'occhiata a Leo, che incrociò i suoi occhi celesti. «Non preoccuparti. Sta bene.»

Leo annuì, un po' confortato da quella voce sicura.

«Puoi sederti lì.» gli indicò il ragazzo, che forse non aveva più anni di lui.

«Resto qui con James.»

«Okay.» Il dottore sorrise e finì di pulire la ferita. Leo studiava ogni gesto, tenendo una mano sulla gamba del figlio. James aveva già dimenticato il dolore alla fronte mentre si gustava quell'enorme lecca lecca.

«Devo mettergli qualche punto.» mormorò il medico a Leo, che rabbrividì al pensiero.

«Non può guarire senza?»

«Con i punti guarirà prima. Saranno pochi, non preoccuparti.»

Era la seconda volta che gli diceva di non preoccuparsi, e Leo si chiese se doveva veramente fidarsi di lui. Sembrava piuttosto capace in quello che faceva. Era sicuro di sé. Lo spiò con la coda dell'occhio mentre cambiava i guanti e si avvicinava con il necessario per i punti.

«Allora, piccolo James.» disse il ragazzo, sorridendo, e Leo aggrottò la fronte. Quello era davvero il suo modo di approcciarsi ai pazienti? Chiamarli "piccoli" aiutava? «Ora è possibile che ti faccia un po' di bua.»

«Tu buono, tu lecca lecca.» disse James, inclinando un po' la testa.

«La bua che sentirai ora ti farà stare meglio.» disse il dottore, continuando a sorridere. «E se fai il bravo ometto, ti darò un cioccolatino.»

Gli occhi del bambino brillarono e annuì, concentrandosi sul lecca lecca, e decidendo di ignorare tutto quello che sarebbe successo da lì in avanti.

Leo afferrò il braccio del biondo prima che questi potesse fare qualcosa al bambino.

«Gli farà tanto male?» sbottò Leo.

«Un pizzicchio. Nient'altro.»

Leo aumentò la stretta, con il forte desiderio di dargli fuoco. «Se gli fai del male...» borbottò.

«Non preoccuparti, non gli farò del male.» Il figlio di Apollo aveva un sorriso contagioso, e non sembrava nemmeno importargli delle dita di Leo conficcate nella pelle.

Leo gli liberò il braccio. Era la terza volta che gli diceva di non preoccuparsi. Forse poteva semplicemente fidarsi, e nel mentre tenerlo d'occhio.

Il figlio di Efesto si spostò un po' di lato per lasciargli spazio, e lo osservò mentre dava tre punti sulla testa di James.

«I capelli lo copriranno.» iniziò a dire il biondo, concentrato sul suo lavoro, e parlando a voce alta per farsi sentire da Leo. James sembrava essere entrato in una dimensione parallela con il suo dolcetto, e Leo si domandò se non ci fosse qualche sostanza stupefacente all'interno. «Ma entro un paio di giorni non ci sarà più niente.»

«Okay.» Leo si sentì in grado di dire solo questo.

Il ragazzo finì in meno di due minuti, e si rialzò in piedi. Recuperò dalla tasca un cioccolatino nascosto da una carta blu, e lo porse a James. Il bambino guardò subito suo padre, che annuì lentamente. Leo gli aveva fatto promettere che non avrebbe mai preso dolci da uno sconosciuto, a meno che non fossero insieme.

«Grazie.» disse infine Leo, infilando le dita tra i capelli del figlio, e controllando la ferita che luccicava. «Davvero, grazie, dottor...»

«Solace.» Il biondo sorrise ancora e gli porse un cioccolatino dalla carta arancione. «Ma puoi chiamarmi Will.»

 

Il giovane dai riccioli scuri accettò il cioccolatino dopo un momento di esitazione. Il sorriso di Will si fece più largo, poi recuperò una scatola di cerotti e la porse al bambino.

«Scegli: Power Rangers o animali?»

«Cosa paier renges?» chiese il piccolo James, perplesso, inclinando la testa in modo adorabile.

«Ahi ahi. Sono dei supereroi.»

James indicò il ragazzo moro. «Come papa?»

Will lanciò un'occhiata al ragazzo, un po' sorpreso, ma doveva immaginarlo vista la somiglianza. «Sì, come il tuo papà.» sorrise.

Il bambino ci pensò su. «Ma anche papa?» chiese, indicando i cerotti.

«No, mi spiace. Il tuo papà è troppo forte per stare sui cerotti.»

«Allora elefante.»

Will cercò in fretta il cerotto con l'elefante e lo mise al bambino. Sembrava davvero entusiasta, decisamente molto più di coloro che finivano in infermeria normalmente.

Will aiutò James a scendere dal lettino, cercando di tenergli le mani lontane dal cerotto, e incrociò gli occhi scuri del ragazzo.

«Grazie ancora, dottor Solace.» disse Leo.

Will lo studiò. Sembrava ancora molto scosso, più del bambino.

«Will.» lo corresse lui, automaticamente. «Chiamami solo Will.»

«Will. Okay.»

«Tu sei..?»

«Ah. Leo. Leo Valdez.»

Will sorrise e gli posò una mano sulla spalla. «Leo, sorridi. Tuo figlio sta benissimo.»

Leo lo studiò per un momento. «Non grazie a me.» sussurrò.

«Fidati, hai fatto molto più tu di me. Ora scusami, ma devo andare.»

Leo annuì e Will lo superò, scompigliando i capelli di James e avviandosi verso un altro paziente.

 

Leo si era aspettato una reazione diversa. Di solito, quando scoprivano che aveva un figlio, i semidei restavano a bocca spalancata a fissarlo, facendo numerosi calcoli nella mente. E quando capivano che l'aveva avuto tra i quindici e i sedici anni, assumevano un'espressione disgustata.

Ma il dottor Solace no. Non aveva fatto nulla del genere. Forse in quanto figlio di Apollo aveva una concezione diversa di un sacco di cose. Oppure sapeva solo assumere un atteggiamento solare per nascondere i propri turbamenti.

Fatto sta che non aveva detto nulla. Sembrava che per lui fosse normale.

«Mijo, torniamo in cabina.» mormorò Leo, accarezzando i capelli del figlio. «Ti sei meritato un bel gelato.»

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Capitolo 5
*** 4. Marcelus ***


Will finì il suo turno dopo le otto. Era stanco per fare qualunque cosa, quindi si diresse subito alla sua cabina per dormire.

Ripensò ai pazienti di quel suo primo giorno. Ne aveva avuti quattro, e l'unico di cui ricordava tutto era il piccolo James. Sorrise pensando a lui. Era stato forte, e non aveva avuto alcuna reazione mentre lo ricuciva. Forse era stato merito del lecca lecca.

Will aggrottò la fronte mentre pensava al padre del piccolo. Leonard? Leopoldo? Leon? Ma certo, Leo! Leo Valdez, colui che aveva sconfitto Gea quasi sei anni fa, nella battaglia romani contro greci. Will ricordava parecchie cose di quella battaglia, compreso lui, Nico.

Will sospirò arrivando nei pressi della propria cabina. Nico di Angelo era un tasto ancora dolente nella sua vita. Ma non perché si erano frequentati e poi lasciati. Semplicemente Will non aveva mai avuto il coraggio di confessargli i suoi sentimenti.

Ma i segnali c'erano stati. Will ricordava di averne mandati migliaia al giovane figlio di Ade, che forse era troppo piccolo e ingenuo per capire.

Per due anni Will aveva cercato in tutti i modi di far capire a Nico che lo amava. Gli era stato dietro, gli aveva chiesto di insegnargli a combattere con la spada. Gli aveva insegnato il tiro con l'arco, il surf, e a nuotare. Erano usciti spesso per la città, combattendo contro vari mostri incontrati. Poi, di punto in bianco, Nico se n'era andato al Campo Giove senza dire niente. Will lo aveva saputo da Hazel Levesque, la sua migliore amica.

Era impossibile frequentare Nico di Angelo senza ritrovarsi almeno una volta alle prese con sua sorella Hazel. La ragazza aveva costretto Will a confessare ciò che provava nei confronti di Nico. E gli aveva anche promesso che non avrebbe detto nulla al diretto interessato, in attesa che Will si facesse avanti.

Ma Will non aveva detto niente, e Nico si era frequentato con un figlio di Ipno per un paio di mesi. Poi aveva avuto altre storie brevi con dei semplici umani, e di punto in bianco era sparito al Campo Giove. Ogni tanto gli scriveva una lettera, e Will si ritrovava sempre entusiasta nel leggerle, sebbene fossero piuttosto corte.

Avevano continuato a scriversi qualche lettera anche mentre Will prendeva il dottorato nella facoltà di medicina a Seattle. Will ne aveva ricevute tre, e Nico quattro. All'ultima non aveva risposto.

Will entrò nella sua camera e ignorò Austin seduto sul letto a leggere. Si spogliò, e andò in bagno a fare la doccia. Tempo prima Hazel gli aveva fatto un messaggio Iride per avvertirlo che Nico sarebbe tornato al Campo. E che voleva parlargli. Will si sentiva piuttosto entusiasta alla sola idea. Forse volevano dirsi esattamente la stessa cosa.

Sono innamorato di te.

L'entusiasmo che provava gli fece tornare in mente il piccolo James Valdez... e poi gli occhi di suo padre, mentre cercava di incolparsi di qualsiasi cosa successa al piccolo. Era stato molto dolce, e terribilmente preoccupato. E gli aveva lasciato dei lividi a forma di dita sul braccio che aveva stretto.

Will sorrise tra sé uscendo dalla doccia. Se i genitori fossero tutti come Leo...

 

 

Il giorno seguente Will si svegliò di buon ora. Non aveva turno in infermeria al mattino, così si decise ad andare alla postazione di tiro con l'arco. Vi trovò alcuni figli di Ares, tra cui quello con i capelli rosa, e Will si piantò le unghie nel palmo per non riprendere a ridere.

Si tenne un po' in disparte mentre si allenava. Dopo la battaglia contro Gea, Will si era tenuto sempre in allenamento. Oltre il guaritore, era intenzionato anche a saper usare altre abilità del suo genitore divino.

«Sei una schiappa, Solace.» lo derise il figlio di Ares dai capelli rosa. «Meglio se ti occupi dei tuoi feriti.»

Will tenne gli occhi fissi sul suo bersaglio a cinquanta metri di distanza. Aveva colpito un polmone, un occhio e la giugulare. Non si sentiva affatto una schiappa. Aveva ucciso il suo manichino ben tre volte.

«La tua ignoranza è da schiappe, Marcelus.» disse Will, scoccandogli un'occhiataccia. «Se tu sapessi qualcosa di anatomia, capiresti che non sono una schiappa. Sono solo più elegante di te, che muovi asce e lance come un idio...»

Will interruppe la frase perché il figlio di Ares gli si avventò contro. Will non era molto bravo con i combattimenti corpo a corpo, quindi si limitò a fare un passo indietro e a protendere l'arco. Riuscì a colpire Marcelus all'addome, e sentì l'arco spezzarsi a metà.

«Stupido biondo.» sbottò Marcus, massaggiandosi il petto. «Mi hai fatto male.»

«Stupido tu, ehm, rosato.» Will gli guardò i capelli.

«Ripetilo se ne hai il coraggio.»

«Rosato. Rosato. Rosato.»

Marcelus chiuse la mano a pugno, e Will fu pronto a difendersi, quando un figlio di Ares si schiarì la gola.

«Marc, è amico di Clarisse...»

Marcelus fissò torvo prima il fratello, poi il biondino. Gli gettò l'arco a terra e lo spezzò in due, sibilando: «Troverò un altro modo per fartela pagare, sfigato.» E si allontanò.

Will fu tentato di continuare ad insultarlo, ma un'occhiataccia ricevuta dall'altro figlio di Ares lo tenne buono.

 

«Che cazzo hai fatto a questo arco?»

«Ehm, ho picchiato un figlio di Ares. Più o meno.»

Il figlio di Efesto di fronte a lui spalancò la bocca per la sorpresa. «Davvero? Hai picchiato un figlio di Ares con un arco?» si interessò.

«Be', la cosa è più complicata di così, ma...» tentò di spiegarsi Will, ma il ragazzo lo interruppe.

«Lo hai colpito?»

«Be', sì.»

«Wow.» fischiò il figlio di Efesto. «Complimenti. Tornando all'arco, non posso farci nulla. È completamente andato.»

«Ma...» Will abbassò lo sguardo sull'arco. «Non puoi metterci un po' di colla?»

Il figlio di Efesto lo guardò con espressione profondamente ferita, e si allontanò da lui senza aggiungere una sola parola.

«Ehi!» esclamò Will, perplesso. «Torna qui, non abbiamo finito!»

«Per quello che hai detto, dottor Solace, dovrei spedirti via a calci. Ma ti devo un favore, quindi...»

Will guardò Leo Valdez spuntare. Era sporco di olio e grasso sul mento e sul collo, e non sembrava essersene accorto. Oppure non gli importava.

«Ehi Leo.» sorrise Will, un po' titubante. «Cos'ho detto di sbagliato?»

«Hai appena chiesto ad un professionista di riparazioni di aggiustarti l'arco con la colla. È come se io venissi da te con un braccio mozzato e ti chiedessi di mettermi un cerotto, e rimandarmi al lavoro.»

Will aprì la bocca per dire che forse non era esattamente la stessa cosa, ma si zittì.

«Ecco, bravo.» Leo sorrise e raccolse le due metà dell'arco e le studiò. «Vero, non si può fare proprio niente. Come dite voi? Ora del decesso, 11. 31.»

Will alzò un sopracciglio. «Serio?»

Leo scosse la testa ridendo, e Will pensò che fosse un gran cambiamento. Il giorno prima il figlio di Efesto era tetro, spaventato all'idea che suo figlio potesse avere qualcosa di serio. E oggi faceva battute.

«Posso provare a fare qualcosa.» disse Leo, tornando serio, alzando un sopracciglio e guardando l'arco con fare critico. «Farò dei cambiamenti. Questo è tuo?»

«In realtà è di mio fratello...»

«Ah, capisco perché vuoi riaggiustarlo.»

Will si passò le dita tra i capelli con un'espressione colpevole. «Già. Potrei rimanere ucciso. Quindi puoi ripararlo?»

«Sì.»

«Quanto mi costa?»

«A te? Niente. Per questa volta.»

«Oh.» Will sorrise. «Per quello che ho fatto a tuo figlio? Non è necessario, davvero. Non mi devi niente.»

«Preferisco doverti qualcosa, invece.» Leo lo guardò negli occhi. «James significa molto per me.»

Will annuì. Era naturale. Guardò l'arco, e sorrise. «Senti, facciamo che mi offri una birra per ripagare?»

«Stai seriamente mettendo mio figlio sullo stesso piano di una bottiglia di birra?»

«Immagino che sia meglio metterlo sul piano di un arco rotto.»

Si fissarono negli occhi per alcuni secondi.

«Va bene.» annuì Leo. «Ti offro la birra.»

«Facciamo questa sera?»

«No, questa sera è la serata dei cartoni. Domani sera?»

Will sorrise. «Non ho impegni.»

«Allora a domani.» Leo prese le parti dell'arco e si allontanò senza voltarsi indietro, mentre la sua testa cominciava a riempirsi di centinaia di modi per riparare quell'arco.

Will lo guardò allontanarsi, e lasciò la cabina. Leo era stato molto gentile a voler provare a riparare l'arco. E fu felice che avessero deciso di prendere una birra insieme. Voleva conoscerlo meglio. Sembrava una gran bella persona.

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Capitolo 6
*** 5. Sono tornato per te ***


Leo finì di riparare l'arco dopo due ore. Nella prima mezz'ora aveva passato in rassegna le varie possibilità per ripararlo, e ne aveva costruito uno identico. Poi un altro. E un altro ancora. Si era ritrovato con cinque archi, e senza sapere perché gli ultimi quattro li aveva abbelliti con degli intagli in più, come piccoli soli, una lira e delle note musicali.

Leo fissò gli intagli in silenzio. Che diamine aveva fatto? Non gli era mai capitato di fare cose del genere soprappensiero. Poteva costruire armi di tutti i tipi, una volta un bazooka, ma non intagli su archi che non gli erano nemmeno stati richiesti.

«Belli, Leo!» esclamò Paul Riddle, passandogli alle spalle. «Li vendi ai figli di Apollo?»

Leo annuì. Probabilmente avrebbero fatto la fila per averli, erano tutti così... così raggianti. E festosi. Rumorosi. Logorroici.

Tranne Will. Da quel che aveva potuto vedere era diverso, ma il sangue di suo padre gli scorreva nelle vene, quindi era solo questione di tempo prima che Will facesse fuoriuscisse il suo vero Io.

Leo fece una smorfia. E doveva pure andare a prendere una birra con lui... Ne era nervoso? Forse un po'. Da quando James era nato, si era occupato quasi sempre del figlio – naturalmente da solo – e i rapporti con i suoi amici erano andati calando. Certo, ogni tanto qualcuno lo chiamava per chiedergli come se la stesse passando, ma ormai le giornate di Leo erano occupate da pannolini sporchi, strilla e biberon. I suoi amici erano andati a trovarlo, ma ormai il Leo che conoscevano loro non esisteva più.

Era per questo che aveva paura di prendere una birra con il dottor Solace. E se lo avesse annoiato con le sue conversazioni incentrate sul figlio? Non voleva appesantirlo con i suoi problemi, e tantomeno con le conversazioni su un bambino avuto in età giovanile. Will probabilmente non pensava di avere figli prima dei trent'anni, oppure, essendo semidio, non ci pensava nemmeno.

Leo si alzò in piedi, lasciando perdere gli archi. Più tardi, o un altro giorno, sarebbe andato alla cabina di Apollo a venderli. Tranne quello che aveva promesso a Will. Tornò a forgiare nuove armi.

 

 

Will passò davanti alla cabina 13 aspettandosi di vedere Nico seduto sui gradini a fissare tutto con disprezzo e odio, ma non fu così.

Era il terzo tentativo a vuoto di quel giorno. Eppure i suoi fratelli giuravano di aver visto Nico di Angelo passeggiare per il Campo, ma a quanto pareva nessuno sapeva dove fosse sparito dopo appena mezza giornata.

Will si mise a bussare alla porta, e attese per dieci, quindici minuti. Scrisse un messaggio su un pezzo di carta e lo passò sotto la porta.

Nico, se sei tornato, me lo faresti sapere? Will.

Ps: se non sei tornato, lascia ingiallire il foglio

 

Il figlio di Apollo si sentì un idiota appena il messaggio sparì sotto la porta. Si stese a terra cercando di recuperarlo, ma non c'era spazio per far passare le dita nella fessura.

«Oh, fanculo.» brontolò Will, e si sedette davanti alla porta con il volto coperto dalle dita. Non era nulla di sconvolgente, ma Nico avrebbe potuto ignorare il foglietto anche se ci fosse stato.

Rimase per qualche minuto lì seduto, lasciando che il suo turno in infermeria cominciasse. Già immaginava le occhiatacce dei suoi fratelli nel vederlo arrivare in ritardo.

E non andarci fu una fortuna.

«Oh. Solace. Ciao.»

Will riconobbe quella voce dal "Oh". Era inconfondibile. Spostò le mani dal volto e fissò Nico di Angelo. Non lo vedeva da due anni.

«Nico...» sussurrò Will, mentre il cuore gli accelerava nel petto e i suoi occhi si illuminavano.

Il figlio di Ade non era affatto cambiato. Indossava sempre i soliti abiti scuri, con borchie e catene. I capelli neri e scompigliati gli arrivavano alle spalle, e gli davano l'aria di uno appena uscito da un concerto. Al collo portava la collana con le perle del Campo Mezzosangue, più un ciondolo blu. Era a maniche corte, un teschio tatuato faceva capolino dalla manica, e portava anfibi neri e bluastri. Anche tra i capelli c'erano delle ciocche blu, del tutto nuove.

«Will.» salutò freddo Nico, incrociando le braccia al petto e guardandolo con sufficienza. «A cosa devo tale onore?»

Will lo ammirò per qualche secondo, poi si alzò in piedi.

Il cuore gli batteva così forte che quasi pensava potesse scoppiare.

«Dovevo... parlarti. E anche tu...» mormorò Will, muovendosi verso di lui. Voleva abbracciarlo. Stringerlo tra le braccia. Baciarlo.

«Ah, sì, giusto.» annuì Nico, passandosi le dita tra i capelli. «Parla prima tu. Perché quello che ho da dirti non ti piacerà.»

«Lasci definitivamente il Campo?» domandò Will, sconvolto.

«Una cosa del genere.»

Will lo sondò con lo sguardo, chiedendosi cosa volesse dirgli, poi prese fiato.

«Ti amo Nico di Angelo.»

Finalmente. Dopo sei anni riusciva a dire quelle parole. Suo padre sarebbe stato fiero di lui.

Nico rimase a guardarlo in silenzio, aggrottando un po' le sopracciglia, e Will continuò, preferendo liberarsi di tutto quanto in un unico momento.

«Ho capito di provare qualcosa per te quando sei rimasto al Campo per più di una settimana. Alla fine della battaglia contro Crono, non so se lo ricordi. Ti dovevo la vita, come centinaia di altri semidei. E anche se sei rimasto al Campo, non è stato un tempo sufficiente per parlarti come desideravo. Quando sei tornato cercavi Jackson, volevi aiutarci a ritrovarlo, e il mio sentimento per te mi logorava dentro. E così ho deciso di aspettare... Siamo diventati amici dopo la battaglia contro Gea, ma per me essere amici non era sufficiente. Ma avevo paura di perderti. E ti ho guardato mentre andavi da un ragazzo all'altro, mentre scoprivi cose di te stesso che avrei voluto insegnarti io.»

Will riprese un momento il fiato.

«E nonostante tu te ne sia andato al Campo Giove senza spiegarmi il motivo, ho continuato a provare amore nei tuoi confronti. Ora sei tornato, e anch'io sono tornato, e ho finito di studiare. Ho fatto la laurea più veloce che si sia mai vista, e solo per tornare qui. Per te.»

Will sorrise dolce a Nico di Angelo. Il figlio di Ade lo osservò per un istante. Aveva le guance tinte di un lieve rossore, e gli fece un piccolo sorriso prima di aprire bocca.

«Sono fidanzato con Percy Jackson.»

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Capitolo 7
*** 6. Scatti d'ira ***


Le parole di Nico lo colpirono al petto con una tale violenza da farlo arretrare di un passo.

Will si ritrovò a boccheggiare mentre fissava il ragazzo davanti a sé. Cosa aveva detto? Ma era serio? Come poteva essere? E Annabeth?

Nico osservò in silenzio il figlio di Apollo. Non aveva mai visto un figlio del sole con l'espressione così pallida e gli occhi privi di calore. Si sentì un po' in colpa per la freddezza usata, ma fece un lungo sospiro.

Per quanto le sue parole potessero far male, almeno erano vere.

«Io e Percy abbiamo iniziato a frequentarci due anni fa, prima che partissi per il Campo Giove.» Nico si mise a giocherellare con l'anello a forma di teschio che portava ancora al dito. «Abbiamo preso un caffè insieme, abbiamo parlato, ed è scappato un bacio. Un bacio che è piaciuto ad entrambi. E sai come vanno queste cose, sei adulto.»

Nico gli scoccò un'occhiata, e Will si appoggiò al corrimano per non cadere. Si sentiva gelido. Voleva che Nico la smettesse di parlare, che si rimangiasse tutto quello che stava dicendo.

Ma il figlio di Ade riprese.

«Be', abbiamo fatto sesso.» mormorò Nico, alzando le spalle. «Tanto sesso. Tanto bel sesso. E il giorno dopo mi aspettavo che si scusasse, che dicesse che era stato solo uno stupido errore, che amava Chase, ma non è stato così. Siamo rimasti a letto mezza giornata, poi lui è dovuto andare a lezione. Ci siamo rivisti dopo tre giorni, e lui aveva lasciato Annabeth. L'ha lasciata per me, capisci?»

Will scosse la testa. Non riusciva a credere a quelle parole. Nessuno gli aveva detto che Annabeth e Percy si erano lasciati, ma era anche vero che nessuno aveva più visto Percy e Annabeth da quando erano partiti per il Campo Giove, dopo la sconfitta di Gea.

«Non dire altro...» mormorò Will, scuotendo il capo.

Nico scosse la testa a sua volta. «Devi saperlo. Abbiamo aspettato un mese prima di metterci insieme in modo ufficiale.»

«Ma lui...»

«Vero.» Nico sapeva cosa stava per dirgli. «Lui non era il mio tipo. Mi sono sbagliato. Pensavo di aver trovato qualcosa in te, ma frequentandoti ho capito che potevi essere solo un amico. Un bravo amico, quasi un fratello. Ma che dico? Proprio un fratello.»

Will chiuse gli occhi. Le volte in cui aveva provato il suo discorso, la risposta di Nico era stata quasi sempre «Uh, anch'io ti amo Will!». Non si aspettava tutto quello.

Sentì un fruscio vicino a lui e vide Nico davanti alla porta della cabina. Lo guardò prendere le chiavi dalla tasca. Il portachiavi era un piccolo delfino azzurro.

I lacci blu. Il ciondolo blu. Le ciocche blu.

Will deglutì e lo seguì dentro la cabina. Guardò Nico raccogliere il suo biglietto, scorrerlo velocemente e lanciargli un'occhiata.

«Sono tornato, Will.» gli disse, prima di appallottolare il foglio e lanciarlo nel cestino.

 

Will si chiuse la porta alle spalle. Voleva piangere, liberarsi del peso che portava dentro. Seguì Nico con lo sguardo. Lo vide aprire l'armadio, e tirare fuori delle maglie, dei pantaloni, della biancheria. E infilare tutto dentro una borsa.

«Te ne vai?» disse Will con voce roca, fissandolo.

«Ormai io e Percy viviamo al Campo Giove.» disse Nico, scrollando le spalle. «Sono tornato per dirti questo.»

«Sei tornato per spezzarmi il cuore, e camminarci sopra con i tuoi anfibi orribili.»

Nico sbuffò. «Ora non insultare i miei anfibi, loro non centrano.»

Will tirò un pugno alla porta. Nico non lo guardò.

«Perché mi hai lasciato parlare, eh?» gli gridò. I suoi scatti d'ira lo avevano sempre impaurito, e cercava sempre di evitarli. Ma ora aveva il cuore spezzato. Non poteva farne a meno. «Avresti dovuto aprire per primo quella cazzo di bocca!»

Nico si voltò verso di lui. Will lo superava di una decina di centimetri, ma non gli faceva paura. La sorella lo aveva avvisato su una reazione del genere. Gli umani feriti facevano sempre così.

«Non pensavo volessi dirmi quanto mi amassi.» si scusò Nico, fissandolo. «Pensavo volessi dirmi che sei diventato un dottore, o che so io.»

«In tutte quelle lettere che ci siamo scritti, perché non mi hai mai parlato di Jackson?!»

«Perché non sono come te, che mi parlavi dei tuoi flirt!»

«Ma i miei erano dei fottutissimi flirt, tu ti sei fidanzato! Cazzo, stai con Jackson da due anni, e non ti è mai venuto in mente di dirmelo?!»

«Be', in effetti Hazel mi ha suggerito di farlo, ma non ci ho mai dato molta importanza...»

«HAZEL?!»

Questo era troppo. La sua migliore amica sapeva che Nico aveva un ragazzo, e non gli aveva mai detto nulla?! E non era un ragazzo qualsiasi, ma la sua prima cotta in assoluto.

Will si sentì tradito. Da Nico, dalla vita, ma soprattutto dalla sua amica. Lei avrebbe dovuto confessargli tutto subito. Come aveva potuto ascoltarlo per mesi, sentire i suoi grandi discorsi su Nico, sul loro possibile futuro insieme, senza nemmeno dirgli che stava perdendo il suo tempo?

E se non fosse stato vero?

 

Will posò lo sguardo su Nico. «Tu e Jackson state insieme, eh?» sbottò.

«Già.» Nico finì di riempire la borsa.

«Perché Hazel non me lo ha detto?»

«Chiedilo a lei. Magari sperava che mi mollassi con Percy, mentre tu tiravi fuori le palle per confessarti.»

«Sono dell'opinione che tutto quello che mi hai detto è una grandissima stronzata.»

«Ognuno è libero di pensare a quello che vuole. Ma Percy arriverà qui da un momento all'altro, quindi farai bene a ricrederti. Sarà molto interessato a sapere cosa ci fai tu nella mia cabina.»

Will chiuse le mani a pugno, e Nico lo notò.

«Sul serio, vuoi picchiarmi?» Nico sorrise leggermente. «Da quando i dottori feriscono?»

Will gli si avvicinò. «Sono anni che aspetto il momento giusto per dirti quanto ti amo, e tu mi vieni a dire che stai con un altro? Non lo accetto.»

«Devi, mio caro.»

«E se tu stessi mentendo?»

«Quando entrerà coso, potrai constatare con i tuoi occhi se sto o meno mentendo.»

Will gli afferrò il braccio, stringendolo, affondando le dita nella carne.

«Non ti credo.» sibilò.

«Lasciami, Solace.» ringhiò Nico. «O giuro che ti faccio male.»

«Guardami negli occhi e dimmi che stai con Jackson!»

«Non è un problema, questo.» Nico incrociò i suoi occhi blu. «Sto con Jackson. Viviamo insieme da anni. Ci baciamo. Scopiamo. È questo che vuoi sentirti dire?»

Will si lasciò scappare un grido di frustrazione. Tutto quello che gli stava dicendo Nico era vero. Ma perché Hazel non gli aveva detto una sola parola? O perché non lo aveva fatto Nico nelle sue tre lettere? Perché gli avevano lasciato coltivare quel sentimento per anni?

«Mi dispiace, okay?»

Will guardò Nico, un po' meravigliato all'udire quelle parole.

«Non ne avevo idea.» continuò il figlio di Ade, mordendosi il labbro. «Se tu me lo avessi detto dopo la battaglia contro Gea... prima che mi mettessi a saltare da un letto all'altro... Prima che ti vedessi solo come un fratello... Forse le cose sarebbero andate diversamente.»

«Percy Jackson non è il tuo tipo.»

«Non lo era. Ma come ti ho detto, mi sono sbagliato. Ero solo un ragazzino all'epoca.»

Nico si liberò dalla sua stretta e chiuse la borsa. Will la afferrò, facendola cadere in terra, lasciando che i vestiti si sparpagliassero sul pavimento.

«Che diavolo combini, Sol...»

Will afferrò Nico per il braccio e lo spinse sul letto, mettendosi sopra di lui a cavalcioni, stringendogli i polsi con una mano. Nico sbarrò gli occhi. Will aveva lo sguardo da pazzoide.

«Pensavo stessi parlando sul serio.» disse Will, accarezzandogli la guancia e il labbro. «Per un attimo mi hai spaventato.»

«E difatti io sono serissimo, Solace.» Nico lo fissò male, cercando di scrollarselo di dosso. «Ora liberami immediatamente, e nessuno si farà male.»

«Ho sempre saputo che Jackson non è il tuo tipo.» continuò Will, sordo alle sue parole, alzandogli di qualche centimetro la maglietta e accarezzandogli la pelle nuda.

Nico rabbrividì al tocco. «Solace, se non fossi fidanzato te lo lascerei anche fare. Ma ci tengo al ragazzo pesce, quindi levati dai coglioni!»

Nico gli tirò una ginocchiata, e Will sbuffò. Il figlio di Ade non era riuscito a fargli male. Aumentò la stretta sui polsi, e Nico si lasciò scappare un gemito di dolore.

«Will, smettila di fare così.» mormorò Nico. «Ti ho ferito, lo riconosco, ma non fare il coglione.»

Will si chinò su di lui e gli sfiorò le labbra con le sue. Nico provò a morderlo, ma il semplice bacio di Will si trasformò in qualcosa di impetuoso, e Nico tentò in tutti i modi di toglierselo di dosso.

Will gli lasciò le mani e Nico lo afferrò per il colletto, spingendolo via. Si mise seduto, facendo per tirargli un pugno, ma Will lo deviò. Lo rispinse giù sul letto, ignorando i suoi vani tentativi di ribellione, e quando la porta si spalancò non alzò nemmeno lo sguardo.

«Che diavolo sta succedendo qui?!» urlò Percy Jackson, facendo sbattere la porta e rompendo un tubo dell'acqua nella stanza affianco.

«Perse!» gridò Nico, tirando un calcio a Will in pieno petto. «Aiutami!»

Anche se non capiva cosa stesse succedendo, Percy afferrò Will per le spalle e lo spinse giù dal letto. Lanciò un'occhiata al suo ragazzo, notando i capelli scompigliati e la maglietta tirata sull'ombelico, e saltò addosso a Will. Gli tirò un pugno in faccia, poi un secondo, e un terzo allo stomaco.

Will provò a difendersi, ma il figlio di Poseidone era molto più forte di lui. Quando Percy si alzò, Will rimase steso in terra, con il respiro affannoso, guardando i due prendere le loro cose e andarsene dalla cabina.

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Capitolo 8
*** 7. Cabina sette ***


Leo lasciò gli archi sul suo tavolo di lavoro fino al giorno successivo. Aveva paura ad avvicinarsi, e anche paura di portarli alle loro nuove famiglie. Il solo pensiero gli faceva venire i brividi. Non voleva incontrare i figli di Apollo.

Non aveva alcun problema con loro, ma... gliene avrebbero chiesti altri. E lui non voleva perdere del tempo prezioso per le loro stranezze.

Leo finì di sistemare la moto e si passò la mano sporca sulla fronte, sporcandosi ancora di più. Non sembrò accorgersene, e i fratelli che lo salutarono erano anche loro coperti di grasso. Era un look normale per i figli di Efesto. L'unico trucco che mettevano lì in fucina, l'unico ben accetto.

«Torno a casa!» esclamò Leo, pulendosi le mani su uno straccio lurido. «Chi consegna la moto a Butch, figlio di Iride?»

«Quante dracme ti deve?» chiese Nina, comparendo al suo fianco.

«Quindici.»

«Facciamo diciotto. Ci penso io.»

Leo sorrise, annuendo, e se ne tornò in cabina. Prima di andare in doccia guardò James giocare alle costruzioni con alcuni dei suoi zii più piccoli, che avevano un'età compresa tra i sette e i nove anni. Tutti lo salutarono con un sorriso, ma quello di James era il più luminoso.

«Baccio?» domandò James.

«Dopo, sono sporchissimo, piccolo.» Leo gli lanciò un bacio e James annuì, tornando alle costruzioni.

Leo si avviò nella sua stanza, e si sfilò in fretta i vestiti sporchi, buttandoli nel lavandino. Nella doccia si affrettò a lavarsi le mani sporche, utilizzando i prodotti delle sue sorelle. Erano utili, ma puzzavano troppo di frutta.

Mentre si strofinava via il grasso dalle unghie, Leo si morse il labbro con forza. Stava facendo tutto quello per uno stupido figlio di Apollo. Non voleva fare brutta figura, e non voleva nemmeno che notasse le macchie di sporco su di lui e lo considerasse un cattivo padre. Era un dottore, poteva pensarlo.

A forza di strofinare la sua pelle diventò rossa e dolorante, ma Leo continuò fino a far sparire ogni traccia di sporcizia.

Impiegò un'ora a fare la doccia, e Leo sbuffò quando notò di puzzare quanto una delle sue sorelle. Si buttò addosso il suo solito profumo, si vestì in fretta e andò a cenare con James. Il figlio gli saltò al collo mentre si sedeva a tavola, di fronte al suo hamburger con patatine.

«Grazie Mike!» urlò Leo al fratello che si stava affrettando a preparare la cena per gli altri.

«Di nulla Leo!» strillò Mike di rimando, servendo il bambino. «Spero sia buono!»

«Lo è di certo!»

Stavano urlando perché nella stanza affianco avevano acceso lo stereo a tutto volume. Una cosa più che normale nella cabina Nove.

Padre e figlio iniziarono la cena, e James iniziò a raccontare al padre di tutte le costruzioni fatte quel giorno. Leo gli teneva d'occhio il cerotto sulla fronte. La ferita si stava riprendendo in fretta, e nel giro di un altro paio di giorni sarebbe guarita del tutto.

Quando finì di mangiare, Leo osservò il figo, mordendosi l'interno della guancia.

«Senti, James...» mormorò, e il figlio lo guardò curioso. «Papà tra poco esce con un amico.»

«Anch'io?»

«No, tu... tu resti a casa con zio, ehm...» Leo voltò la testa. «CHI MI GUARDA JAMES QUESTA SERA?»

«IO!»

«NO, IO!»

«LASCIALI STARE, LO GUARDO IO.»

«NONO, LO VOGLIO IO!»

Leo guardò il figlio che rideva mentre alle sue spalle i suoi numerosi zii iniziavano ad insultarsi e a lanciare ciò che trovavano vicino: cucchiaini, tazzine, un bricco di latte.

«Hai un'ampia scelta.» sorrise Leo, e James gli diede un bacio sulla guancia.

«Divettiti stasea.»

Leo annuì, chinando la testa per evitare una tazzina. «Lo farò senz'altro.»

 

Mezz'ora dopo Leo bussò alla cabina di Apollo. Si sentiva un idiota, un completo idiota. Manco stesse andando a flirtare con una ragazza!

Portava una borsa a tracolla, con qualche lattina di birra. Ne aveva prese cinque, quindi l'ultima se la sarebbero litigata. E portava l'arco del fratello di Will con sé.

I minuti cominciarono a scorrere, e Leo pensò che forse avrebbe fatto meglio a indicargli un posto dove trovarsi, e non andare a prenderlo fino alla sua cabina. Sembrava così... così strano.

La porta della cabina si aprì e spuntò un ragazzo poco più grande di lui. I suoi occhi celesti erano diversi da quelli di Will, e teneva i capelli corvini stretti in una coda.

Leo si trattenne dal commentare.

«Tu saresti il ragazzo di Rose? Dei, quanto sei basso.» notò il ragazzo, fissandolo dalla testa ai piedi. «Mi aspettavo che tu fossi più carino.»

«Non sono il ragazzo di Rose, ma se lei è carina me ne dispiaccio parecchio.»

Il figlio di Apollo lo guardò confuso. «Se non sei Robb, chi sei?»

«Leo Valdez.»

«Ah, figlio di Efesto. Chi devi vedere a quest'ora? Ti sei tagliato da qualche parte?»

«Devo vedere Will.» Leo notò che sembrava tanto un appuntamento, e mostrò in fretta l'arco. «Devo ridargli questo.»

Il ragazzo moro lo guardò. «Ma Will non possiede archi.»

«Questo è di suo fratello, infatti.»

«Davvero?»

«Lo ha rotto e voleva che glielo riparassi.»

«Prima che suo fratello Matt se ne accorgesse.»

«Non mi ha detto il nome, ma credo...»

Il ragazzo allungò la mano e prese l'arco, rigirandoselo tra le dita. «Come lo ha rotto?»

Leo ebbe il brutto presentimento di trovarsi di fronte Matt. «Ehm, a metà...»

«A metà. Per il Tartaro.»

Quello che Leo presumeva fosse Matt, si avviò nel corridoio e spalancò una porta con un calcio. Leo lo seguì. Se qualcuno si picchiava, voleva assistere.

«WILL SOLACE. COSA CAZZO HAI FATTO AL MIO ARCO?!» urlò il ragazzo.

«Cosa..?» balbettò Will, e Leo gli lanciò un'occhiata. Aveva un occhio nero, fatto di recente, e il labbro spaccato.

«Lui ha riparato il mio arco per conto tuo!» gridò Matt, indicando Leo, che si sentì un po' in colpa.

«Oh, è venuto bene. Ciao Leo.»

«Ciao Will.»

«Non l'ho fatto apposta a romperti l'arco.» disse Will alzandosi in piedi e guardando il fratello. «È stato un incidente!»

«Cosa ci facevi con il mio arco, eh? Sei impedito con l'arco!»

«Tu sei impedito in tante cose, ma non te lo dico in faccia!»

Leo posò le lattine di birra sulla scrivania di Will, e si affrettò a lasciare la stanza. Forse sarebbe uscito con il dottore in un'altra occasione.

 

Mentre tornava nella sua cabina, Leo pensò all'occhio nero di Will. Chi gliel'aveva fatto? Per quale motivo? Perché colpire un dottore? In faccia, poi. Un po' gli dispiaceva. Ma magari il motivo era giustificato.

Leo scosse la testa. Will aveva aiutato James, e lo aveva confortato. Non poteva essersi meritato quel pugno. Non lo accettava.

«Leo!»

Lui si voltò, e guardò Will Solace corrergli incontro. Portava una tuta di un arancione brillante, e una canottiera nera. Si stringeva le spalle, probabilmente per il freddo. Leo notò che non portava scarpe ai suoi piedi.

«Ehi.» Leo sorrise, osservando l'occhio nero. «Chi è stato?»

«Lascia stare. Scusa, mi sono dimenticato dell'uscita di oggi. Facciamo domani?»

«Domani sono impegnato.»

«Oh.» Will si passò le dita tra i capelli. «Allora forse non importa. Mi basta che hai fatto l'arco.»

«Ah, già, l'arco. Scusa se...»

«Non è nulla, non preoccuparti.» Will gli sorrise. «Grazie.» Gli porse delle dracme.

Leo scosse la testa. «Davvero, no.»

«Se non per l'arco, almeno per la birra.»

Il figlio di Efesto scosse di nuovo la testa. «Ma va, figurati.»

Will rise. «Non andremo da nessuna parte così. Be', almeno accettane una.» Gliela lanciò.

Leo la prese al volo e gli scoccò un'occhiataccia, ma il dottor Solace stava già andando verso la sua cabina.

«Capisco perché ti hanno tirato un pugno. Hai la faccia da schiaffi.» borbottò Leo, ma sorridendo, e tornò nella sua cabina.

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Capitolo 9
*** 8. La spiaggia ***


L'occhio gonfio gli passò nel giro di una settimana. I suoi fratelli potevano guarirglielo in poche ore, ma Will voleva guardarsi allo specchio e ricordare quello che aveva fatto, e tentato di fare, a Nico di Angelo.

Al solo pensiero, tornò a sentirsi male.

Perché aveva reagito così? Mai e poi mai aveva pensato di comportarsi in quel modo con qualcuno, soprattutto con colui che amava.

Will restò steso sul suo letto a fissare il soffitto, maledicendosi. Era stata una fortuna che Percy fosse intervenuto. Non sapeva se si sarebbe fermato.

Will bevve la birra che gli aveva lasciato Leo. Non era granché, era calda, ma apprezzava il gesto. Era stato gentile a lasciargliele. Almeno non gliele aveva lanciate in testa.

Will era ubriaco quando lanciò via la quarta lattina, e aprì la quinta. Era stato così idiota! Un vero idiota! Dei, che scemo che era stato!

Finì la quinta birra e mangiò una manciata di patatine. Nico e Percy non avevano detto a nessuno quello che era successo, ma Will pensava che avessero sbagliato. Insomma, stava per... Forse stava per...

Will andò a farsi una doccia fredda, cercando di rimediare alla sbronza che lo stava per assalire. Ebbe l'istinto di andare a bussare alla cabina di Efesto e chiedere a Leo se avesse ancora qualcuna di quelle schifosissime birre calde. Ma aveva già combinato abbastanza casini per i futuri tre decenni.

 

Quando tornò in infermeria dopo il suo breve periodo di assenza, Will trovò molti pazienti in attesa. Si affrettò a medicarli uno dopo l'altro, quasi senza fermarsi, completamente assorto nel suo lavoro, e stava per ricucire una ferita sull'avambraccio quando sentì uno schiarirsi di voce.

«Ciao dottor Solace.»

Will guardò a lungo Leo negli occhi, cercando di ricollegare il nome al volto, poi sorrise.

«Ehi Leo.» disse Will. «Cos'è tutta questa formalità? Puoi chiamarmi Will.»

«Sì, scusa, ma in camice fai un certo effetto. Non posso chiamarti solo Will.»

Will ridacchiò e gli medicò la ferita una seconda volta, prima di ricucirlo. Leo si morse il labbro, stringendo i pugni, ma non sentì dolore. Il tocco di Will era leggero, veloce, e aveva appena fatto un buon lavoro.

«Allora, come te la sei fatta?» chiese Will, curioso, bendandogli l'avambraccio.

«Ehm...» Leo arrossì leggermente mentre ricordava l'incidente in fucina. Si era distratto un momento per litigare con Paul, mentre appuntiva una lama. Aveva pensato di averla posata sul tavolo, invece quello era il braccio. «Mi hanno colpito per sbaglio.»

Incolpare i suoi fratelli facendolo passare per un incidente era meglio di far sembrare lui stupido per colpa di un incidente.

Will annuì. «A voi figli di Efesto capitano spesso cose del genere.»

Leo annuì, inspirando piano.

Will tolse i guanti e lo guardò sorridendo. «Ehi, ti va di uscire stasera? Quella famosa birra insieme.»

«Ah... Ehm, va bene.»

«La birra la porto io.»

«Quella che ti ho portato l'altra volta?»

«No, quella è finita...»

Leo rise. «Un dottore con problemi di alcolismo? Fantastico.»

«Nah, ne bevo una ogni tanto. Oppure cinque in mezz'ora.»

Leo scosse la testa divertito e si alzò. «Ci vediamo alle nove?»

«Okay, qui davanti?»

Leo annuì e lasciò l'infermeria.

 

Quando Will uscì dall'infermeria, era stanco. Aveva appena concluso un lungo turno, e voleva buttarsi sul letto e dormire due giorni consecutivi. Ma doveva uscire con Leo. Era una promessa.

In cabina si affrettò a fare una doccia, e a recuperare la birra dal frigo. Prese sei bottiglie, tre a testa. Le infilò nella borsa e tornò di corsa in infermeria.

Leo era già arrivato, e stava fumando una sigaretta.

«Ehi Will.» lo salutò Leo.

«Lo sai che il fumo fa male ai polmoni anche per i semidei?» salutò Will, fermandosi a qualche passo da lui.

Leo alzò un sopracciglio. «Sono questi i tuoi saluti?»

«Molto spesso sì.»

Leo ridacchiò. «E la birra non fa male al fegato?»

«Sì, ma non così tanto. Andiamo in spiaggia?»

«Certo. Mi piace la spiaggia.»

«Anche a me.»

Si incamminarono.

«Tu sei figlio di Apollo. Sarai sempre in spiaggia a prendere il sole, quando non sei in infermeria.» osservò Leo.

«Più o meno sì. Ma sono tornato da poco, quindi non ho avuto tempo di starmene in spiaggia a dormire e ad abbronzarmi.»

Leo gli guardò il braccio. «Sei quasi scuro quanto me.» notò.

«Mi abbronzo facilmente.» sorrise Will.

«Ma che gusto ci trovate ad abbronzarvi?»

Will si strinse nelle spalle. «Voi cosa ci trovate a lanciarvi bulloni e chiodi in testa?»

Leo lo guardò. «È divertente.» provò a dire.

«Ed è molto più divertente togliervi chiodi dalle spalle e dalla testa. E sono serio, e sincero.»

Leo si passò le dita tra i capelli. «Ammetto che a volte mi capita di perdere il controllo e lanciare dei chiodi ai miei fratelli.»

«Mi piacerebbe assistere ad uno di questi litigi, un giorno. Ma magari dietro uno scudo protettivo.»

«Se iniziamo ad usare la fiamma ossidrica, non credo proprio che uno scudo protettivo sarà sufficiente.»

Erano arrivati in spiaggia, e Will si sedette sulla sabbia, togliendosi le infradito. Tirò fuori le bottiglie dalla borsa, mettendole allineate alla sua destra.

«Ti colpiscono con la fiamma ossidrica?» chiese Will, curioso, guardandolo mentre si sedeva.

«Già.» Leo si tolse le scarpe e guardò i suoi calzini rossi. «Tanto non posso bruciarmi, e lo trovano divertente.»

«Wow. Quindi ti bruciano i vestiti.»

«Non esattamente. Ho i vestiti ignifughi... Tutti quanti. E anche James ora li ha così.»

«Te li hanno fatti i figli di Ecate?»

Leo afferrò una delle bottiglie e ne stappò una, facendo un lungo sorso.

«Sì.» disse, annuendo. «Ma i primi, in realtà, me li ha fatti la mia ex.»

«La madre di James.»

«Esatto.»

Will prese una della altre bottiglie e la stappò, bevendo un sorso. «Come mai... vi siete lasciati?» mormorò, lanciandogli un'occhiata.

Leo bevve ancora un po'. «Storia lunga.»

«Okay, se non vuoi parlarne, lo capisco.»

«Mi ha mollato perché non le piaceva l'idea di avere una famiglia!» proruppe Leo dopo pochi secondi di silenzio. «Non voleva restare chiusa in un'altra prigione.»

«Un'altra prigione?»

«Prima viveva su un'isola, quella di Ogigia. E non poteva andarsene.»

«Ma avere un figlio, e un marito, non è una prigione. È tutto meno che una prigione. Una famiglia è una cosa meravigliosa.»

«Se ti pago, lo andresti a spiegare a lei?» sbuffò Leo, scuotendo la testa, svuotando la prima bottiglia e piantandola con rabbia nella sabbia affianco a lui.

Will continuò a sorseggiare la sua, osservando il mare. «Quindi lei ti ha lasciato?» domandò.

«No. Me ne sono andato io.»

Leo fissò la birra nella bottiglia e sospirò.

«Quando abbiamo scoperto di aspettare un bambino, siamo stati entrambi molto sorpresi.» mormorò Leo, senza guardarlo. «Abbiamo bisticciato per alcuni giorni per decidere se tenerlo o meno, e alla fine, grazie a Piper, abbiamo detto sì.»

«Perché grazie a Piper?»

«Mi ha fatto notare che non era un bambino qualsiasi quello che cresceva nella pancia di Cal. Era figlio mio, e di lei. La amavo davvero come un dannato, Will. L'amavo troppo, davvero troppo. Non so se hai mai provato un amore come il mio.»

Will pensò a Nico. «Forse posso capirti.»

Leo lo guardò un momento prima di continuare. «Quando Piper ci ha fatto capire questo... Io e Cal ci siamo guardati, e abbiamo deciso di tenerlo. E quando è nato...» Leo sorrise. «È stato il momento più bello della mia vita.»

Will gli sorrise dolce.

«Incrociare quegli occhi come i miei... I miei riccioli, il mio sorriso... Dei, è stato il giorno più bello della mia vita. Ed ero così felice, così orgoglioso di quella piccola creatura, che non mi sono nemmeno reso conto che Cal si stava allontanando da me, da noi. Di mattina allattava James, e la sera rientrava tardi dopo aver passato tutta la notte a ballare con le sue amiche. Non dormivo mai solo, lasciavo James nel letto con me, quindi ho impiegato molto ad accorgermene. Una volta non è rientrata per tre giorni... Era andata in viaggio con le sue amiche, senza dirmi una sola parola.»

«Oh.» Will lo guardò un po' intristito.

«Quella volta abbiamo litigato per un'ora. Ci siamo lanciati i piatti, e altre cose.» Leo scosse la testa finendo la seconda bottiglia, mentre Will beveva a sua volta. «E l'ho perdonato. Cazzo, che idiota.»

«Eri innamorato. È normale. Lo avrebbe fatto chiunque al tuo posto.»

«Anche tu?» sbuffò Leo, scoccandogli un'occhiataccia. «Anche tu avresti perdonato la tua donna se fosse rimasta fuori per giorni e giorni senza nemmeno dirti niente? Lasciandoti a casa con vostro figlio?»

«Se la amo, sì, lo avrei fatto.»

Leo si prese la testa tra le mani, sospirando forte. «Mi dispiace. Non volevo romperti le palle con i miei problemi.»

«Tranquillo. Le mie palle stanno benissimo. E tu hai bisogno di parlare, e io sono un bravo ascoltatore.»

Leo gli lanciò un'occhiata. «Sicuro?»

«Sì.» Will sorrise e gli passò la terza bottiglia, aprendogliela. Leo lo ringraziò e bevve un piccolo sorso.

«Quindi... Scusa, Leo, ma da una di queste litigate hai deciso di andartene?»

«Ci ho pensato a lungo prima di farlo. Cal non era presente al primo compleanno di James. Quel giorno ho pensato seriamente di andarmene, lasciarla da sola. Ma poi è tornata con il peluche di un elefante, e qualsiasi cosa io faccia, James ama da impazzire quel fottuto peluche. Quindi non me ne sono andato. Un giorno ho passato una settimana da mio padre con James, e Cal non si è fatta viva. E due mesi fa, ho fatto le valigie e l'ho lasciata definitivamente.»

«Ti ha cercato?»

«Questo è il bello. Non lo ha mai fatto. Non mi ha mai cercato. Tutte le scuse che mi sono preparato non sono mai servite.»

Will si morse il labbro, e gli diede una pacca sulla spalla. «Se vuoi andiamo insieme a spaccarle i vetri di casa.»

Leo scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «L'ho costruita io la casa.»

«Oh.» Will lo osservò sorpreso. «Davvero?»

«Fino all'ultimo mattone. Be', in realtà mi ha aiutato mia sorella Nina, ma l'ho disegnata io. E ho iniziato, e finito, costruendola da solo. È una casa meravigliosa, e pensavo che lei la apprezzasse.»

«Invece...»

«Invece no. Non so se lei abita ancora lì, oppure no, ma io non voglio più metterci piede. Tutte le cose importanti che avevo le ho portate via.»

Will immaginò stesse parlando di suo figlio, e sorrise leggermente. «Leo, devo dire che per essere un figlio di Efesto, tu sei molto dolce.»

«Ed è un male?»

«Be', sì. Ora non riesco più ad immaginarti con una spara chiodi in mano minacciando i tuoi fratelli.»

Leo scoppiò a ridere, e si sdraiò sulla sabbia, fissando il cielo.

Will sorseggiò la sua birra, continuando a guardare il mare. Aveva una gran voglia di fare un tuffo.

«E tu?» chiese Leo, dopo un po', giocando con la sabbia. Gli mancava qualcuno con cui chiacchierare, e Will era davvero un gran ascoltatore. «Sei fidanzato, sposato?»

«No. La mia situazione amorosa in questo momento è una grande schifo.» mormorò Will, pensando a Nico, a quello che aveva rischiato di fare.

«Non ci credo, dai.» disse Leo, fissandolo. «Sei un dottore, quindi sei intelligente, e penso di bell'aspetto per i canoni femminili. Quindi non dirmi balle. Devi averla una ragazza.»

Will bevve un altro sorso dalla bottiglia, e disse: «Forse potrei essere quel tipo di ragazzo circondato notte e giorno da ragazze, ma... Loro non sono proprio il mio tipo. Sono gay.»

Leo guardò il profilo di Will per qualche secondo, completamente in silenzio. Poi si riprese.

«Gay? Scherzi?»

«Sono serissimo.»

«Ma... Ora capisco quel pianto incessante che sento da qualche ora. Sono le donne che hai tradito con il tuo orientamento sessuale. Solace, non si fa.»

Will si mise a ridere, e Leo gli rubò la sua bottiglia. Bevve un lungo sorso prima di restituirgliela, e lo guardò.

«Allora, il fidanzatino ce l'ha, dottor Solace?» domandò Leo, guardandolo curioso.

«No, signor Valdez, nessun fidanzatino in corso.» sorrise Will, trattenendosi dal ridere per tutta quella formalità.

«Ma avrai una cotta.»

«In effetti...» Will giocherellò con il suo braccialetto, con un piccolo sole come pendente. «Ho una cotta.»

«Ti prego, non dirmi che sono io. Sei carino e tutto, ma i ragazzi con le lentiggini proprio non li sopporto.»

Will gli diede una spintone, e Leo finì steso sulla sabbia ridendo.

«Si tratta di Nico.» sospirò Will, e Leo tornò serio. «Però... lui sta con un altro, e anche se fosse libero... ho rovinato tutto.»

Leo tornò a mettersi seduto, posandogli una mano sulla spalla. «Sono sicuro che si possa riaggiustare.»

Will tenne lo sguardo basso. «L'altro giorno gli ho confessato i miei sentimenti.» mormorò. «Mi sono del tutto denudato... Metaforicamente. Gli ho detto tutto quanto, che lo amavo, che lo desideravo... e lui mi ha risposta che sta con Percy.»

Leo strabuzzò gli occhi. «Aspetta? Percy... Jackson? Quel Percy Jackson? Figlio di Poseidone?»

«Sì.»

«Ma stava con Annabeth!»

«A quanto pare si sono lasciati.»

«Ma... Ma... Ma no! Com'è possibile?! Non possono stare insieme...»

Will tossicchiò. «A quanto pare, stanno insieme da due anni, e sono anche felici.»

Leo fu ancora tentato di ripetere che non credeva affatto alla relazione di quei due, ma si trattenne. Will aveva lo sguardo spento. Un figlio di Apollo con gli occhi spenti era una cosa davvero brutta da vedere.

«Per quel che può valere... mi dispiace tanto Will. Sei veramente un bravo ragazzo.»

Will scosse la testa. «Non lo dire, Leo. Non lo sono. Io...» Si stringe nelle spalle. «Stavo per fargli una cosa orribile. Davvero, davvero orribile.»

Leo lo osservò. Delle immagini gli passarono in testa, ma le scacciò via. Non riusciva a credere che potesse aver fatto una cosa simile.

«Will.» Leo gli diede un'altra pacca sulla spalla. «Non ci pensare.»

«Stavo per...»

«Spiegami cos'è successo.»

Will glielo raccontò. Gli raccontò di tutto il tempo passato a pensare a Nico, per trovarlo e parlargli dei suoi sentimenti. Gli parlò di quando si era sentito morto dentro, e di come aveva spinto Nico sul letto. E come lo aveva baciato. E i colpi di Percy.

«Sono rimasto nella cabina di Ade un'altra ora, avevo paura di uscire.» continuò Will, stringendosi le braccia, la testa china a fissare la sabbia tra le sue gambe. «E quando sono uscito loro due erano già tornati al Campo Giove. Non li ho più sentiti da allora.»

Leo lo guardò per qualche minuto, poi sospirò. «Will, davvero... Non ti sentire così in colpa. Sono sicuro che ti saresti fermato. Non... Non sei una cattiva persona, okay?»

«Ma lo sono, Leo. Ho quasi forzato Nico contro il suo volere...»

«No, ti saresti fermato. Ne sono sicuro.»

«Io non lo so...»

«Will.» Leo gli pizzicò la guancia e lo guardò dritto negli occhi. «Ti saresti fermato.»

Will lo guardò a lungo negli occhi scuri, così diversi da quelli di Nico, e annuì debolmente.

Leo osservò quel lieve movimento di testa, e decise che per quella volta gli sarebbe bastato.

«Bene.» disse Leo, alzandosi in piedi a fatica. «Ora, vado a dormire. Sono le dieci e mezza passate, e ho sonno.»

Will annuì, alzandosi a sua volta. Raccolse le bottiglie vuote, e le lanciò nel cestino, facendo centro.

«Bravo.» fischiò Leo, ridacchiando. «Mostra in giro questa tua capacità, e troverai un ragazzo alla svelta.»

«Ah, me lo ricorderò.» rise a sua volta Will, avviandosi verso le cabine.

Leo si massaggiò la fronte. Non beveva così tanto da tempo. Non riusciva a stare dritto mentre camminava, e sembrava che le cabine gli stavano andando contro.

Will tenne d'occhio Leo. Aveva notato che era un po' malfermo, e si aspettava di trovarlo a faccia in giù da un momento all'altro. Fu sul punto di chiamarlo per farlo fermare, quando scivolò sui suoi piedi e cadde lui a faccia in terra.

Leo sussultò al rumore e si voltò a guardarlo. Scoppiò a ridere.

«Non ridere... aiutami...» borbottò Will. Per fortuna aveva messo la mano a terra, e si era salvato denti e naso.

«Sì... Dammi... un... minuto...» Leo continuò a ridere, e Will tentò di mettersi in piedi da solo. Leo gli tese la mano, continuando a ridere, e fece forza per tirarlo su. Will rischiò di scivolare di nuovo, e si aggrappò a Leo.

Per qualche secondo i due si fissarono negli occhi, i volti a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro. Poi Will cancellò quei pochi centimetri che li separavano del tutto, e lo baciò.

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Capitolo 10
*** 9. Bacio ***


Leo ricambiò il bacio senza nemmeno rendersene conto. Da quanto tempo non baciava più un'altra persona?

Will si raddrizzò per quanto possibile, cercando di non lasciare le labbra dell'altro. Gli posò le mani sui fianchi, e quasi istantaneamente Leo gli passò le braccia attorno al collo.

Leo non capiva perché non si stesse allontanando. Quel bacio gli stava piacendo parecchio, e con esso anche tutte le sensazioni che ne stavano scaturendo.

Will attirò i fianchi di Leo contro di sé, approfondendo sempre di più il bacio. Leo si sentì attraversare da un'ondata di calore, e quando le labbra di Will si spostarono dalle sue, il brivido di piacere che gli attraversò la schiena lo fece sussultare. Lo spinse via di colpo.

«Io... Will... Devo andare.» mormorò Leo, sistemandosi la maglia e arretrando. «Ho sonno. Io... Ciao.»

Will guardò Leo mentre si allontanava di corsa, diretto alla cabina 9. Lo vide fare uno scivolone a qualche metro dalla porta della cabina, ma non si fermò. Entrò dentro e chiuse la porta.

 

Will si appoggiò contro la parete della cabina 20. Il cuore gli batteva fortissimo, e sulle labbra era rimasto un sapore piacevole. Si passò le dita sulle labbra, cercando di ricordare ogni più piccolo dettaglio di quel bacio.

Poi si rese conto di quanto successo, e impallidì. Aveva appena baciato un ragazzo etero, con un figlio adorabile. Non lo aveva mai fatto prima. Etero e padri di famiglia per lui erano off-limits. Ma allora perché aveva baciato Leo Valdez?

Will si mise seduto a terra, fissando verso la 9. Forse poteva ancora andare da lui e chiedergli scusa. Farsi perdonare per essere stato così idiota.

Poi ripensò alle braccia di Leo attorno al collo. Gesto automatico o un invito ad andare più avanti, a continuare il bacio?

Will si massaggiò il volto, pensieroso. Forse era meglio cercare Leo il giorno seguente, e non disturbarlo mentre si trovava con i fratelli, e con suo figlio. Forse era anche già andato a dormire, crollato sul letto dopo le birre che aveva bevuto.

Ricordò ciò che il figlio di Efesto gli aveva raccontato su di lui e Cal. Sembrava così spento mentre lo raccontava, triste ma assalito da una forza interiore che lo obbligava a parlare, a sfogarsi con qualcuno. Will fu contento di essere uscito con lui a prendere quella birra. Era stata una bella serata.

Ma forse il bacio... No, Will non si pentiva di averlo baciato. Anche perché era stato ricambiato. Leo non si era allontanato da lui schifato, pronto a molargli un ceffone. Lo aveva lasciato fare. E Will era sicuro che se non avesse osato troppo, probabilmente in quel momento stavano ancora pomiciando contro la cabina dei figli di Nike.

Will si rialzò in piedi, e si avvio verso la 7. Teneva gli occhi puntati sulle finestre della cabina 9, chiedendosi se Leo lo stesse osservando. Perché si sentiva osservato, ma forse era tutta una sua impressione.

 

Quando Leo si chiuse la porta alle spalle, si appoggiò ad essa, con gli occhi spalancati a fissare il buio davanti a sé. Non si sentiva anima viva nella cabina di Efesto. Alcuni dormivano, altri lavoravano ancora nella fucina insonorizzata.

Leo si portò le dita alle labbra, e si rese conto di star tremando. Per cosa stava tremando, esattamente? Il piacere? Il disgusto? La sorpresa? La paura?

Leo deglutì, passandosi una mano tra i capelli, e andò in cucina. Trovò del caffè avanzato, freddo, e lo bevve tutto d'un fiato. In questo modo provò a svegliarsi, a combattere contro il velo da ubriaco sceso su di lui, e cancellò anche il sapore delle labbra di Will.

Com'era successo? Perché si erano baciati? Perché diavolo aveva ricambiato? Era questo che non capiva.

Be'..., pensò Leo, mordendosi forte il labbro, guardando verso la porta. L'ultima persona che ho baciato così è stata Katie... Penso sia normale se ho ricambiato...

Leo si morse il labbro con forza, mentre ricordava Katie Gardner, figlia di Demetra. Poco dopo il suo ritorno al Campo, Leo era uscito con Katie, alcuni dei loro fratelli, e Travis Stoll, il figlio di Ermes con una palese cotta per la figlia di Demetra. Forse un bicchiere di vino di troppo li aveva fatti baciare.

Ma non era continuata. Dopo un minuto dal bacio, Leo si era scusato, Katie si era scusata, e avevano finito la serata ridendo e giocando a dama, mentre Katie gli parlava di quanto fosse innamorata del figlio di Ermes.

Sì, era stata una strana serata, quella.

Leo si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Scostò una tendina, e cercò Will... Lo vide in avvicinamento, e quasi lanciò un urlo perché non se lo era aspettato. Pensava che Will fosse già in cabina. Ma se pensava così allora perché lo aveva cercato?

Guardò Will, che camminava con la testa rivolta alla cabina 9. Probabilmente anche lui stava cercando un segno, e Leo sentì il cuore aumentare nei battiti. Si avvicinò alla porta, e fu sul punto di abbassare la maniglia e andare da Will, quando udì un rumore alle sue spalle.

«Sei tornato ora? Che hai fatto?»

Leo lasciò perdere la rincorsa al figlio di Apollo, e si voltò verso la sorella.

«Ho bevuto una birra con un paio di amici.» disse Leo, alzando le spalle, e la superò, diretto alla sua stanza. Si chiese perché non le avesse detto la verità.

Ho bevuto una birra con il dottor Solace... Ci siamo baciati, Nina.

Quando si chiuse all'interno, si spogliò, scoprendo di avere sabbia ovunque. Si tolse tutti i vestiti e rimase a guardare suo figlio per qualche minuto.

Chissà cosa avrebbe pensato quel piccolino nel vederlo con un altro uomo.

Al solo pensiero, Leo rabbrividì e si infilò nel letto, addormentandosi all'istante.

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Capitolo 11
*** 10. The nail games ***


Leo si svegliò con un gemito di dolore. La testa gli doleva fortissimo, e i suoi fratelli che litigavano nel corridoio non erano affatto di aiuto.

«Papa?»

Leo voltò lo sguardo e vide James seduto sul letto con il peluche dell'elefante. Leo tornò con la mente a Calypso che gliel'aveva regalato. Anche se odiava la sua ex per quanto gli avesse fatto, non era riuscito a togliere quel peluche al figlio, che lo amava alla follia.

«Ehi piccolo.» sorrise Leo, tirandosi su a fatica e posando una mano tra i riccioli del figlio. «Da quanto sei sveglio?»

«Poco.» disse James, sorridendo, stringendo a sé il peluche. Indossava il pigiama con le macchinine, e Leo ampliò il sorriso. Avrebbe dato qualunque cosa per suo figlio.

«Hai fame?» chiese, mentre il pulsare alle tempie aumentava sempre più.

«Sì. Tia Nina prepara, lei chiama.»

Leo annuì, chiudendo gli occhi, massaggiandosi le tempie.

Il figlio lo vide in quello stato e gli saltò al collo, dandogli un bacio sulla guancia, stringendolo forte. Leo ricambiò la stretta del figlio, cercando di ignorare il dolore e il pulsare continuo. Non credeva che tre o quattro birre potessero causargli un dolore così forte.

Quando la porta si spalancò, sbattendo, Leo si lasciò scappare un sibilo.

«James, la colazione è pronta.» trillò Nina, e James si affrettò a scendere dal padre. Superò la zia di corsa, correndo nel corridoio.

«Dei, Nina, perché hai dovuto aprire così?» borbottò Leo.

«Per il piccolo Leo. E parlo di tuo figlio, non di altro.»

«Non è piccolo.» disse Leo, alzando la coperta fino al petto. Tutti i suoi fratelli lo avevano visto nudo almeno un paio di volte, tranne Nina. Leo non riusciva a contare se lo avesse visto più vestito o più nudo.

«Ma tuo figlio non si mette a fare battute idiote sul piccolo Leo?» chiese Nina, avvicinandosi a lui.

«No, perché anche James ne ha uno uguale.»

«Quindi mi stai dicendo che tuo figlio ce l'ha più grosso di te?»

Leo afferrò un cuscino e la colpì. Nina scoppiò a ridere.

«Scusa, scusa.» disse la ragazza, ridendo. «Devo proprio smetterla di farti questo genere di battute.»

«Anche perché sono il ragazzo nudo meglio fornito tra tutti quelli che hai visto nudi.» Leo si rimise seduto, premendosi una mano sugli occhi. Entrava troppa luce nella stanza. Non aveva tirato le tende.

«Su questo hai ragione.» Nina lo osservò. «Postumi della sbornia, vero? EH?!»

«Cazzo, Nina, non strillare come una matta!» esclamò Leo, e Nina si rialzò in piedi ridendo.

«Volevo solo fare un controllo.»

«Te ne vai? Evviva. Posso dormire. Guardi James?»

«No, lo guarderai tu.» Nina gli prese una bottiglia d'acqua dal frigo e gliela passò. Poi si mise a frugare in tasca, e gli tese un flacone di pillole.

«Uh, aspirina?» mormorò Leo, grato, prendendo e infilandosi due pillole in bocca.

«No, molto meglio.» sogghignò Nina.

Leo alzò un sopracciglio, indeciso se sputarle o meno, ma alla fine decise di provare. Le ingoiò e bevve un sorso d'acqua.

«Allora?» chiese Nina, lanciando un'occhiata all'orologio.

«Allora cosa?»

Nina gli sorrise, mentre la testa del fratello cominciava a pulsare sempre meno.

Dopo un minuto, Leo la guardò sorpreso.

«Porco Crono, mi è passato!» esclamò, balzando in piedi. «Che diavolo sono quelle pillole?»

«Delle bombe contro l'alcol. Le ha inventate un figlio di Apollo. Devo dire che certe volte mi sorprendono.»

Figlio di Apollo. Perché ne spuntava sempre uno in ogni conversazione?

Leo sorrise. «Grazie sorella.» le diede un bacio sulla guancia.

«Non ringraziarmi. Lavati i denti e fatti una doccia, e vestiti per favore.» disse Nina, scuotendo la testa, e uscendo in fretta dalla stanza.

Leo continuò a sorridere. Si era aspettato una giornata di merda, passata a combattere contro la sbornia della sera prima, e invece poteva tornarsene tranquillamente in fucina a lavorare.

Mentre andava in bagno, Leo si fermò a riflettere. Will. Doveva anche parlare con Will. Ma forse non così presto, erano solo le otto... Forse poteva andare più tardi a cercarlo, a parlargli del bacio...

Con un sospiro, Leo entrò in doccia.

 

Quando Will si svegliò, in modo del tutto automatico, afferrò il flacone di pillole Anti-alcol dal comodino e ne prese una. Contò i secondi fino a quando il mal di testa non scomparve, e scese dal letto.

«Ehi, dov'eri ieri sera?» chiese Austin, voltandosi a guardarlo. Will notò che era vestito con pantaloncini e maglia del Campo. Il completo per giocare a basket.

«Ho bevuto una birra con Leo Valdez.» rispose Will, alzandosi. Austin distolse lo sguardo.

«Uh, Valdez. Il neo padre.»

«Sì.»

«Vieni a giocare a basket?»

«Credo che andrò in infermeria.»

Austin annuì e lasciò la cabina.

Will andò in bagno a farsi la doccia, riflettendo. Ricordava ancora bene il bacio con Leo. Non era stato un sogno. Riusciva a ricordare il suo calore. Si appoggiò alla parete, mentre i suoi pensieri con Leo si facevano più spinti. Cercò di scacciarli, senza successo.

Leo era molto carino, su questo Will non aveva dubbi. Aveva dei capelli fantastici, un sorriso affascinante, e degli occhi splendidi. Gli ricordava un po' un elfo, con le orecchie a punta.

Era più basso di lui di quindici centimetri, se non di più. Era un figlio di Efesto, etero, era appena uscito da una storia d'amore piuttosto complicata, e aveva un figlio. Un adorabile bambino di cinque anni.

Will inspirò profondamente. Stava seriamente pensando di poter avere una relazione con quel giovane? Poteva benissimo essere il suo tipo, ma... era etero, per il Tartaro!

Will si affrettò ad uscire dalla doccia. Si vestì e andò in infermeria, l'unico posto dove i suoi pensieri venivano annullati, perché troppo occupato a medicare.

In infermeria trovò già una schiera di pazienti. Si affrettò ad indossare il camice, e a medicare graffi, ricucire tagli, addirittura tolse una freccia dalla spalla di un figlio di Ares. Doveva aver di sicuro fatto arrabbiare uno dei suoi fratelli figli di Apollo.

Fu una giornata frenetica, ma Will riuscì lo stesso a trovare tempo per pensare a Leo. Soprattutto quando si trovarono in infermeria due figli di Efesto, che per sbaglio si erano pinzati il braccio a vicenda.

«Come...» mormorò Will, fissando le loro braccia unite.

«Ehm...» mormorò il primo, arrossendo.

«All'inizio era per sbaglio.» disse il secondo, indicando la prima pinzetta. «Ma poi...»

«Ha iniziato a piacervi.» disse Will, guardando le dodici pinzette.

«Già... Non fa nemmeno tanto male!» esclamò il primo.

Will fu molto tentato di spingerli uno verso destra e l'altro verso sinistra, ma si trattenne. Infondo era un dottore. E tra gli umani ne aveva viste, di cose peggiori.

Si mise i guanti e iniziò a togliere le pinzette. I due figli di Efesto si morsero la lingua per non gridare. Era colpa loro. Mentre osservava le ferite che si erano procurate, Will pensò che Leo era un figlio di Efesto. Forse più maturo rispetto a loro, avendo un figlio, ma era pur sempre un figlio di Efesto.

Nessuno poteva assicurargli che non avrebbe fatto cazzate del genere.

 

Leo controllò che ci fossero abbastanza chiodi nella sparachiodi, poi lanciò un'occhiata oltre il suo tavolo. Paul e Steve stavano parlando tra di loro. Cavoli, si erano alleati.

«Leo.»

Leo si voltò di scatto, ma era solo Nina, che strisciava verso di lui.

«Nina!» sussurrò Leo, guardandola. «Che fai?»

«Mi alleo con te.» rispose lei a bassa voce, controllando la sua sparachiodi.

«Ma...»

«Vinceremo insieme, Leo.»

Leo annuì. Non voleva avere alleati, ma Nina gli avrebbe guardato le spalle. Si sistemò il casco e gli occhiali protettivi, controllò di avere il resto delle protezione nei punti strategici – inguine, petto, collo – poi guardò la sorella.

«Paul e Steve, venti metri da noi, dietro il tavolo di Eddie.» sussurrò.

«Bobby e Sarah sono dietro di no, trenta metri.»

«Julie e Mark?»

«Ancora non si vedono.»

Leo annuì e guardò la sorella. «Sparo a Paul.»

«Sparo a Bobby.»

Annuirono, poi contarono fino a tre in modo silenzioso, e si alzarono nello stesso momento. Stavano schiena contro schiena, quindi si affrettarono a sparare prima che potessero essere colpiti.

Per l'effetto a sorpresa, Leo riuscì a colpire sia Paul che Steve: spalle, fianchi, non gli importava dove. Li sentì urlare che si arrendevano, poi Leo si voltò trionfante verso Nina.

Nina gli puntava già la spara chiodi allo stomaco. «Mi dispiace fratello.» disse, prima di sparare.

Leo socchiuse gli occhi per il dolore. «Pensavo fossimo alleati.» borbottò.

«C'è solo un vincitore, dolcezza.»

«Mi hai pugnalato alle spalle.»

«Ho aspettato che ti girassi, in realtà. Nei giochi dei chiodi, tutto è lecito.» Nina lo lasciò, e andò a prendersi il suo premio, tre dozzine di barrette di cioccolato con le noccioline.

«Tutti i feriti, mi seguano in infermeria!» esclamò Leo, dolorante, lasciando la sparachiodi sul tavolo. Voleva vincere i giochi non solo per le barrette che gli piacevano tanto, ma anche perché in infermeria c'era un certo dottore biondo che non voleva incontrare. «Mi raccomando, non togliete i chiodi!»

 

Ehi, per curiosità, questa storia vi sta piacendo? (:

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Capitolo 12
*** 11. Amici ***


Quando Will vide entrare in infermeria nove figli di Efesto, tutti a testa bassa, pensò a cosa lo avesse spinto a diventare dottore. Se avesse preferito le altre capacità del padre, tipo il tiro con l'arco, la poesia, il ballo, non si sarebbe trovato in quella situazione.

Angel gli si avvicinò. «Non posso più fare la pausa, vero?» domandò, sospirando.

«No, mi dispiace. Ma ti lascio il permesso di dimenticare la morfina...»

Angel sogghignò e Will mise i guanti.

«Che avete combinato?» chiese, osservandoli uno ad uno e incrociando gli occhi imbarazzati di Leo. Il suo cuore ebbe uno spasmo.

«I Nail Games.» disse un altro ragazzo, Paul.

Angel scoppiò a ridere. «Dei, che imbecilli che siete.»

«Imbecilli? Ma come ti permetti?!» abbaiò Steve, fissando torvo Angel, che gli si avvicinò e gli premette un dito su uno dei chiodi. Steve gemette di dolore.

«Io non ho un chiodo conficcato nella spalla, quindi non mi considero un imbecille. Ora, tutti quelli che mi vogliono come dottore vengano da me. Almeno quattro imbecilli.»

«Dov'è Christie?» domandò Will, mentre faceva cenno a tutti gli altri di sedersi sui lettini restanti. Leo era nel suo gruppo di imbecilli.

«Partita di basket.» rispose Angel.

Will scosse la testa e cominciò con i suoi pazienti.

La cosa carina dei chiodi è che avevano una fascetta colorata con un nome sopra. Si ritrovò a togliere tre chiodi dalla spalla di Paul che portavano il nome di Leo, ma non fece commenti.

«Fate spesso gli Nail Games?» domandò invece, pulendo la ferita di Paul.

«Una volta ogni tanto.» disse Paul, digrignando i denti.

«Da 75 anni?» urlò Angel dall'altra parte dell'infermeria.

Qualcuno rise.

«Stai zitto tu!» esclamò Paul.

Will si morse il labbro per non ridere.
 

Will impiegò un quarto d'ora a paziente. Per fortuna i figli di Efesto erano abbastanza intelligenti da non colpirsi nei punti vitali. Alcuni di loro portavano ancora le protezioni.

Alla fine, Leo rimase l'ultimo paziente. Aveva lo sguardo un po' vacuo, e Will si chiese quanto dovessero fare male i chiodi nello stomaco.

«Allora.» disse Will, prendendo un sorso di caffè e cominciando ad estrarre. «Quali sono le regole di questo gioco arguto?»

«Ehm...» Leo deglutì imbarazzato e cercò di non gemere per il dolore. «Si gioca in dieci. Si rovesciano i nostri tavoli di lavoro, e l'Arena è l'officina. Si usa solo la sparachiodi, a meno che tu non sia vicino. Se sei vicino puoi combattere anche a mani nude.»

«Chi ti ha colpito era molto vicino.» notò Will, estraendo uno dei chiodi e controllando il nome. «Nina. Ne ha colpiti parecchi.»

«Infatti ha vinto.»

«E cosa si vince?»

Leo arrossì. «Trentasei barrette di cioccolato con le noccioline.»

Will alzò un sopracciglio. «Vi sparate dei chiodi per delle barrette di cioccolato?»

«Sono buonissime, Will.»

Il figlio di Apollo scosse la testa, poi iniziò a ridere. Leo lo fissò in silenzio, poi sorrise a sua volta.

«Siete stupidi.» disse infine il biondo, estraendo il secondo.

«Voi giocate a basket piuttosto che stare in infermeria.» gli fece notare.

«Sai, se avessi saputo prima di questi giochi, sarei andato anch'io a giocare a basket oggi.»

«Ma non mi avresti visto.»

Leo lo sussurrò, e Will incrociò il suo sguardo. Entrambi arrossirono pensando alla sera prima, al loro bacio. Rimasero in silenzio per qualche secondo.

«A proposito di ieri...» mormorò Will, estraendo il terzo chiodo e pulendogli la ferita. «Non me ne scuso.»

Leo lo osservò. «Cosa?»

«Non mi scuso per averti baciato.»

Will posò il chiodo assieme agli altri, e continuò a medicarlo.

«Buono a sapersi.» disse Leo, guardandolo negli occhi. «Non volevo che ti scusassi.»

Will annuì. «Bene.»

Leo si mordicchiò il labbro. «Bene.»
 

Will gli mise dei cerotti sulle ferite dei chiodi, e Leo si rese conto che ora avrebbe dovuto andarsene. Ma non voleva. La compagnia di Will gli piaceva, anche quando lo insultava per via dei chiodi che aveva nella pancia.

«Quando te la senti, puoi andartene.» disse Will, prendendo tutti i chiodi e gettandoli nel cestino.

Leo si morse il labbro. «Certo.» annuì, e scese dal lettino.

«Leo.» disse Will, avvicinandosi di nuovo a lui, e il figlio di Efesto rimase fermo in attesa. «Riguardo ieri sera... Mi sono trovato bene con te.»

«A-Anch'io.» balbettò Leo.

«Ma come amico, immagino.» sorrise Will.

«Sì, come... amico.»

Will annuì. «Bene, abbiamo sistemato.» ridacchiò.

Leo annuì a sua volta, fissandolo, ricordando la sera prima, quando era stato sul punto di corrergli dietro. Agì d'impulso. Afferrò Will per il camice e lo avvicinò a sé, premendo con forza le labbra sulle sue.
 

Will sgranò gli occhi mentre Leo lo baciava. Che diavolo stava succedendo? Era svenuto? Si era perso un pezzo.

Posò le mani sul lettino, ai lati dei fianchi di Leo, e schiuse le labbra di Leo. Lo trovò pronto a ricambiare il bacio.
 

Qualcosa gli si stava smuovendo dentro, ma Leo non riuscì a capire cosa fosse. Forse solo la voglia di avere qualcuno che lo capisse al suo fianco.

Will si separò da lui, e Leo riaprì gli occhi. Il figlio di Apollo aveva le guance un po' arrossate, e Leo si accorse di tenergli ancora le mani sul camice.

Le tolse.

«Leo.» mormorò Will, piano, posandogli una mano sulla guancia e accarezzandogliela. «Perché lo hai fatto?»

Leo non seppe cosa rispondere.

Will gli posò le mani sulle sue. «Sei carino, mi piaci.» ammise. «Ma non voglio essere usato per dimenticare le ex.»

«Non... Non lo sto facendo per questo.»

«E per cosa allora?»

Leo abbassò lo sguardo. Non lo sapeva. Forse era quello il motivo. «Non lo so.»

Will lo guardò un momento. «Senti...»

«Non voglio usarti per dimenticare Cal.» mormorò Leo, abbassando la testa, sentendosi un idiota. Perché diavolo l'aveva baciato? «Sei gentile.»

«Sono fatto così.»

«Con tutti?»

«Sì.»

«Dei.» Leo si coprì il volto. «Del tipo che se tutti quelli con cui sei gentile ti baciassero...»

«Sarei sempre occupato a limonare. Esatto.»

Will scoppiò a ridere, non riuscendo a trattenersi. Leo avvampò sotto le mani, ma poi le tolse per guardare l'altro.

«Scusa.» si affrettò a dire Will, tornando serio.

«No, ridi pure. Sono stato un idiota a pensare...»

«A pensare?»

«Non lo so.»

Will si sedette vicino a lui, guardando l'infermeria vuota.

«Sei attratto da me, Leo?» chiese.

Leo non rispose. Si vergognava ad avere una conversazione del genere con un altro ragazzo. Aprì la bocca diverse volte per parlare, e la richiuse.

«Ti ho messo in imbarazzo?» domandò Will, guardandolo. «Scusami.»

«Scusami tu, sono io l'idiota. Ieri abbiamo parlato tanto, e sei un bravo ascoltatore. Mi è piaciuto stare con te, mi è piaciuto parlare con qualcuno che non conosce Calipso e che ha saputo parlarmi in modo del tutto naturale, senza preoccuparsi di me o di lei. Io non esco spesso, e l'uscita di ieri mi è piaciuta un casino. Vorrei rifarlo, qualche volta.» aggiunse, guardando Will.

Il figlio di Apollo annuì. «Certo, quando vuoi possiamo uscire.»

«Grazie Will.»

«Figurati. Ah, e comunque, anch'io mi sono trovato molto bene con te ieri. E sono felice che tu sia riuscito a parlare di lei così liberamente anche con me, che mi conosci appena.»

«Ma non è proprio per questo che si parla con le persone estranee? Perché si conoscono appena?»

«Vero.» Will sorrise. «Ma sappi che non mi faccio problemi a dirti quello che penso.»

«L'ho notato.» Leo ricordò quando prima gli aveva detto che era carino. No, non si faceva alcun problema.

«Restiamo amici?» domandò Will, voltandosi a guardarlo.

Leo guardò quei grandi occhi celesti. Gli venne di nuovo l'impulso di baciarlo, ma questa volta riuscì a controllarlo.

«Amici.» annuì Leo, sorridendo leggermente.

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Capitolo 13
*** 12. Etero al 100% ***


Quando Leo uscì dall'infermeria, Will si appoggiò contro il muro, rilasciando il fiato. Amici. Erano amici. Da quando bisognava dire "restiamo amici"? Perché l'ho aveva detto?!

Era stato uno scemo.

«Angel, mi riposo.» disse Will, cercando il fratello, ma Angel era già scomparso. Will tornò nel suo ufficio borbottando, e si sedette con la testa sulla scrivania. Ora non riusciva a fare a meno di pensare a Leo.

 

Leo tornò in cabina, ignorando la sorella Nina che mangiava barrette sulla poltrona. Quello che non aveva detto a Will, era l'altro premio, ovvero il poter comandare a proprio piacimento la fucina.

«Che ti prende Leo?» domandò Nina, guardandolo divertito. «Vuoi una barretta? A James piacciono.»

Leo vide suo figlio seduto sul divano che tentava di scartare una delle barrette.

«Mijo, vuoi una mano?» chiese.

«No.» James scosse i riccioli. «Tia Nina dice tu rubi cioccoato.»

Leo si voltò furioso verso Nina. «Cosa insegni a mio figlio?! Che mi metto a rubare?!»

James smise di scartare il cioccolato per guardare suo padre. Non alzava mai la voce fuori dalla fucina.

Nina lo fissò stupita. «Non intendevo questo.»

«Allora cosa? Stai cercando di dire a mio figlio che sono un cattivo padre? Che mi metto a rubare di qua e di là?!»

Paul e Steve si avvicinarono guardinghi. James fissava il padre un po' spaventato.

«Per cosa sei arrabbiato, Leo? Perché ti ho sparato?» chiese Nina, alzandosi in piedi.

Steve si affrettò a sollevare James e a portarlo nella sua camera.

«No, non per quello, cazzo! Gli hai detto che rubo! Ti sembrano cose da dire?!»

«Leo, non mi piace affatto il modo in cui tu alzi la voce con me.»

«E a me non piace che dici a mio figlio che mi metto a rubare!»

Nina afferrò il fratello per il colletto. «Andiamo a parlare in privato, io e te.» disse Nina.

Leo provò a divincolarsi. «No. Devi solo piantarla di dire stronzate a mio figlio.»

«Forse ho esagerato, lo ammetto. Ma ora vieni nella mia camera.»

Nina trascinò Leo nella sua camera da letto. La condivideva con altre due sorelle, che in quel momento non si trovavano lì con loro.

Nina chiuse la porta a chiave, e fissò Leo. «Alzami la voce un'altra volta in quel modo, e giuro che ti prenderò a calci nel culo fino a quando non vedrò la punta della mia scarpa uscirti dalla bocca.»

Leo si sedette sul letto di Nina, annuendo. «Scusami.»

Nina si sedette sull'altro letto, di fronte a lui. «Ora dimmi che cos'hai. Tu non fai mai scenate del genere di fronte a tuo figlio. In fucina sì, sappiamo che hai l'arrabbiatura facile, e sappiamo che i Nial Games sono nati da te, anche se dici il contrario...»

«Non è vero.» borbottò Leo, imbarazzato.

«... visto? Comunque, cos'hai? Dillo, Leo. Non posso sopportare di vederti così.»

Leo si torse le dita, e per qualche minuto rimase a fissarle. Doveva dirglielo? E cosa doveva dirle?

«Nina, ho baciato una persona.» disse, guardingo.

«Oddei. Tutto qui? Non stai più con quella zoccola, quindi puoi baciare tutte le persone che vuoi. È del Campo?»

«Mi hai visto uscire ultimamente?» sbottò Leo.

Nina scosse la testa. «Allora? Lei chi è? La conosco? Non è la mia amica Jessie, vero? La figlia di Afrodite?»

«Non è decisamente una figlia di Afrodite.»

«Okay. Allora... Christie della casa di Apollo? Martha di Ermes? Chi?»

«Nina...»

«C'è una figlia di Ecate che ti viene dietro, ma mi ha fatto promettere di non dire nulla.»

«Nina, zitta.»

La sorella si zittì.

«Si tratta di... di un figlio di Apollo.» mormorò Leo, sentendosi arrossire. «Ho baciato un figlio di Apollo.»

«Oh.»

Leo alzò gli occhi sulla sorella, che lo stava guardando fisso, come se stesse riflettendo.

«Allora...» Leo deglutì. «Cosa dici?»

«Non è Angel, vero?»

«No.»

«Fiu, meno male.»

«Ti piace Angel?»

«Oh no. Non mi piace Angel. A Steve piace Angel, ma non a me.»

Leo fissò sua sorella in silenzio per un minuto.

«ASPETTA, COSA?!» urlò Leo, sconvolto.

Nina alzò un sopracciglio. «Steve è gay, non te ne eri accorto?»

«NO, NON ME NE SONO ACCORTO.»

«Dei, è più femminile di me.»

«PER QUELLO CI VUOLE POCO!»

Nina gli tirò un calcio negli stinchi. «EHI!»

Leo tossicchiò. «E poi dici che non è vero, eh?»

«Fottiti Leo. Chi hai baciato? Ce ne sono tanti carini, in quella cabina. Ma nessuno batte Butch.»

«Quello dell'arcobaleno.»

«È un bravissimo figlio di Iride.»

«Io non mi fiderei di un uomo con un arcobaleno addosso...»

«Se non inizi a parlare seriamente giuro che vado a dire a tutta la cabina di Apollo che te li vuoi scopare.»

«Tu sei pazza.»

«È per questo che mi vuoi bene. Ora, dimmi. Chi è?»

Leo abbassò lo sguardo. Ora che doveva dirne il nome, si imbarazzava.

«Lo conosco?» aggiunse Nina, curiosa.

Leo annuì senza parlare.

«E dove l'ho conosciuto?»

«In infermeria.» mormorò Leo, e Nina cominciò a ragionarci.

«In infermeria ci sono sempre Angel, Christie, David, ora Will, Alex, Marvin...»

«Fermati qui.» mormorò Leo, rosso in viso. «Lo hai già detto.»

«Marvin? David? Will?»

Leo abbassò lo sguardo.

«Will? No, aspetta...» Nina schioccò le dita. «WILL SOLACE? HAI BACIATO QUEL ROMPIPALLE DI WILL SOLACE?!»

«EHI, PERCHÈ NON LO URLI UN PO' PIÙ FORTE? MIA MADRE NON TI HA SENTITA!»

Nina si tappò la bocca, e rimase qualche secondo a fissarlo sconvolta.

«Will Solace? Il dottor Solace? Quello biondo, un po' muscoloso, perennemente abbronzato, alto 1.80?»

«Conosci dei figli di Apollo non abbronzati?»

«Ora che mi ci fai pensare, no. Leo, davvero, lui? Ma perché?!»

«Non lo so!» ammise Leo, stringendosi le gambe al petto. «Ieri sera abbiamo chiacchierato, ed è stato splendido. Poi ci siamo baciati, e non è stato male. Ma è strano.»

«Non dirlo a me. Pensavo fossi al 100% etero.»

«Come posso esserlo al 100%? Insomma, ho avuto solo una ragazza, e ne ho baciata un'altra una volta sola. Non sono 100% etero così.»

«Leo Valdez, quando ti ho conosciuto, tu non facevi altro che guardare i sederi delle ragazze, e in spiaggia fissavi tutte le ragazze in costume. Hai flirtato con un mucchio di ragazze, e sei stato con Calipso, che anche se è una grandissima zoccola, è un bel pezzo di gnocca. Quindi sì, Leo, per me tu sei etero al 100%.»

Leo annuì lentamente. Detto così, chiunque lo avrebbe indicato come etero al 100%.

«Ma baciare Will mi è piaciuto, Nina. È questo che non capisco.»

«Be'... Will è un ragazzo piacevole. Ha avuto una cotta per il figlio di Ade, lo sanno tutti, quindi non so se anche tu possa piacergli. Ma hai un pene. Questo deve fare la differenza.»

Leo arrossì. «Possiamo non parlare del mio pene?»

«Ma a te piace parlare del tuo pene.»

«Non in questo momento.»

Leo si stese sul letto, e Nina ci coricò affianco a lui. Insieme fissarono il soffitto.

«Ti è piaciuto baciare Will Solace?» chiese Nina, e Leo annuì. «Cosa hai provato baciandolo?»

«Voglia di continuare a farlo.»

Nina si voltò a guardarlo. «Bacia così bene?»

«Non sono un esperto di baci, ma sì, bacia bene.»

Leo nascose il volto tra le mani, e Nina rimase qualche minuto in silenzio.

«Forse è solo una fase passeggera.» disse Nina, rimettendosi seduta e guardando il fratello. Non lo aveva mai visto in quello stato. «Forse sei così deluso da Calipso che desideri non provare più nulla per le ragazze. E Will è stato gentile, è di bell'aspetto, ha medicato tuo figlio. Pensi di dovergli qualcosa.»

«E se invece mi piacesse davvero? Se provassi veramente qualcosa per lui?»

«Non saprei come risponderti, Leo. Tu... cosa vuoi?»

«Se lo sapessi, Nina...»

La sorella sospirò e Leo uscì dalla stanza.

 

James stava singhiozzando sul letto di Steve quando Leo arrivò. Steve gli scoccò un'occhiataccia, e Leo la ricambiò.

«Come si chiama il biondino della casa di Apollo?» chiese Leo, schioccando le dita in cerca del nome.

«Solace?» rispose Steve, alzando un sopracciglio.

«No, quello con gli occhi verde smeraldo, che ti ha tolto i chiodi. Andrew?»

«Angel Thomas.» rispose Steve automatico.

«Oh. Sei molto preparato sui biondini con gli occhi verdi figli di Apollo.» sorrise Leo.

Steve strabuzzò gli occhi arrossendo. «Lui è simpatico.» farfugliò.

«Ma se ti prende sempre in giro.»

Steve uscì in fretta dalla sua stanza, e Leo immaginò che stesse andando dritto da Nina.

Il figlio di Efesto prese posto vicino al figlio, passandogli un braccio attorno alle spalle.

«Scusami per prima.» disse, serio. «Non capiterà mai più.»

James smise di singhiozzare e lo guardò con gli occhi lucidi. «Abbiato per copa mia?»

«Oh no, piccolo, questo mai.» Leo lo baciò sulla fronte. «Non potrei mai arrabbiarmi per colpa tua.»

James annuì e lo strinse forte.

Leo si mise a cullarlo, e si rese conto che qualsiasi cosa provasse per Will non sarebbe mai stato forte quanto l'amore che provava per suo figlio.


 

Auguri a tutte le donne mie fans :)

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Capitolo 14
*** 13. Il bunker ***


Passarono due giorni dai Nial Games, ma Will non riusciva a stare tranquillo. Nessun figlio di Efesto era andato in infermeria a farsi curare in quei due giorni, e Will, assieme a tutti gli altri figli di Apollo che si occupavano dell’infermeria, era spaventato. Cosa stavano facendo? Era in preparazione un’altra edizione?

 

Erano le sei del mattino, e Will si svegliò presto come ogni giorno per fare un’ora di corsa. Si mise gli auricolari e uscì dalla cabina, iniziando a correre.

Gli piaceva correre, e non solo perché riusciva a mantenersi in forma. La sua parte iperattiva da semidio riusciva a sfogarsi e gli rimaneva solo la forza di volontà quando arrivava in infermeria.

Corse attorno alle cabine tre volte, poi si mise a correre nel bosco, cercando di non uscire dal Campo e di non inciampare nelle tane di coniglio.

Quando uscì dalla foresta, mentre partiva una canzone dei Beatles nell’mp3, e quindi era completamente distratto dalla musica dei suoi fratelli maggiori, Will sbatté contro qualcosa spuntato da chissà dove, che portava con sé un carico pesante.

«Ahi!» esclamò Will, cadendo sul sedere, e sfilandosi gli auricolari. «Che diamine..?»

Will si guardò attorno, e notò Leo Valdez che si stava rimettendo seduto. Aveva foglie secche tra i capelli, e Will si morse il labbro.

«Scusa, non ti ho visto.» disse Will in fretta.

«L’ho notato.» annuì Leo, scompigliandosi i riccioli, lasciando cadere via le foglie. «Eri troppo preso dalla corsa.»

«Dalla musica.» lo corresse Will, alzandosi in piedi e spazzolandosi i pantaloncini.

«Scusa, dalla musica.»

Leo scosse la testa, e Will gli tese la mano per aiutarlo. Il figlio di Efesto esitò un momento, poi la prese. Will lo tirò su.

«Cosa stavi portando?» chiese Will, guardandosi attorno. C’erano delle assi di legno sparse tutte attorno.

«Legno. Oggi è il compleanno di James, e voglio fargli una sorpresa.»

«Oh, auguri… Sono tre anni, vero?»

Leo sembrò un po’ sorpreso. «Sì, tre anni.»

Will iniziò a raccogliere le assi di legno, e lo guardò. «Ti aiuto a portarle.»

«Ah, ehm, okay.»

Leo afferrò le altre due assi e si incamminò. Will lo seguì curioso, chiedendosi dove lo stesse portando. 

«Ho creato una porta d’entrata diversa, così Nina non viene a rompermi ogni cinque minuti.» spiegò Leo, e Will si chiese se quella fosse effettivamente una spiegazione. «Le ho seminate per il Campo, soprattutto in questa parte tranquilla della foresta, e portano tutte allo stesso posto. Ma posso aprirlo solo io, e coloro a cui lascio l’accesso. James è ancora troppo piccolo per avere l’accesso illimitato, e non vorrei che scappasse dentro quando Nina lo cerca.»

Will annuì, poi esitò e disse: «Sai che non ho la minima idea di quello di cui tu stai parlando, vero?»

Leo alzò un sopracciglio, poi rise. «Dovevo aspettarmelo. Ora vedrai.»

Will annuì di nuovo e lo seguì. Gli tenne gli occhi puntati sulla schiena, scivolando di tanto in tanto. Da quel che riusciva a vedere, Leo aveva un bel sedere. Arrossì al pensiero, ma non poteva fare a meno di comportarsi come un uomo.

Leo si fermò di fronte ad un albero. Will si guardò attorno un po’ confuso, e osservò Leo posare la mano sul tronco. Will notò una debole lucina azzurra passare Leo in scansione. Poi davanti a Leo la terra si smosse, e comparvero dei gradini.

«Dopo di me.» disse Leo senza voltarsi, abbassando le assi di legno.

Will lo seguì in silenzio.

 

Dopo cinque minuti di scale, Leo aprì la porta, e Will vide il bunker. Ne aveva sentito parlare, soprattutto dai figli di Efesto. L’aveva scoperto Leo mentre preparava l’Argo II. Poi nessuno ne aveva più fatto parola.

«Questo ora è tuo?» si incuriosì Will, sorpreso. Aveva pensato al bunker come una specie di fucina sotterranea, ma era del tutto diversa. C’era un grosso salone con dei tavoli di lavoro, e due porte a venti metri l’una dall’altra.

«Sì. L’ho modificato, l’ho reso abitabile.» disse Leo tranquillo, posando le assi di legno su uno dei tavoli da lavoro.

«Lo vedo.» mormorò Will, fermandosi a guardare le finestre. Erano sotto terra, ma dalle finestre si vedevano gli alberi, ed entrava la luce. Will immaginò fossero luci finte.

Leo notò il suo sguardo e si avvicinò ad una delle finestre. «Posso regolarizzarle.» spiegò, e posò una mano sul muro. «Tramonto.» disse, e la luce cambiò. Will osservò le diverse sfumature del cielo. «Neve.» continuò, e il paesaggio diventò bianco.

«Sei un genio.» disse Will, posando le assi di legno sul tavolo, e avvicinandosi alla finestra ammaliato.

Leo sorrise leggermente. Non si considerava un genio, solo bravo a fare le cose. «Mare, e sole.» disse, e il paesaggio cambiò. Gli occhi di Will si illuminarono.

«Genio.» ripeté.

Leo si spostò dalla finestra, diretto al tavolo di lavoro. «Non sono un genio.» disse. «Ho solo delle idee.»

«Sei un genio, invece.» Will lo seguì, sedendosi sul tavolo. «E sei bravo.»

Leo si abbassò per prendere del materiale, cercando di nascondere il rossore alle guance. Ricevere complimenti del genere da una persona per cui non capiva cosa provava, era strano. Ma bello.

«Tu salvi la gente, la operi, la curi. Anche tu sei un genio, e sei bravo.» disse Leo, tornando su.

«Ho studiato per farlo. Per te è naturale.»

Leo lo guardò. «Anche per te è naturale.»

Will si strinse nelle spalle e guardò il legno. «Allora… cosa farai a tuo figlio?»

«Una casetta sull’albero.» disse, e Will lo guardò mentre cominciava a fare un disegno del suo nuovo lavoro. «Ne desidera una, quindi gliela faccio.»

«Non hai paura che cada?»

«Oh no. Non ne ho paura. Farò in modo che, anche se dovesse cadere, non si faccia male.»

«Se dovesse farsi male, mi occuperò di lui volentieri.»

Leo gli lanciò un’occhiata. «Ehm grazie.»

Will ridacchiò. «Scusa. Vai avanti.»

Leo cominciò a spiegargli nei dettagli quello che intendeva fare. Will lo ascoltò interessato. Capiva l’insieme, ma non i paroloni che Leo gli diceva per spiegargli alcune cose.

Quando Leo ebbe finito di parlare, Will fischiò piano e fece un breve applauso.

«Se mai vorrò una casa, me la farò costruire da te.» sorrise Will.

Leo rise. «Sugli alberi?»

«Oh no, una vera. Con la piscina, su un bel posticino dove avere una buona vista… ma nessuno che mi veda se voglio prendere un caffè nudo in terrazza.»

Leo rise più forte. «Me lo segno.» disse, e Will lo guardò scribacchiare su un foglietto.

«Ora ti sembrerò malato.» disse Will, divertito.

«Oh no, affatto. Sei simpatico, e per niente malato.»

«Non mi offendo se pensi che sia malato.»

«Ma non lo penso. Dico davvero.»

Will scese dal tavolo, sistemandosi gli auricolari. «Torno in cabina, devo fare la doccia.»

«Ah, se vuoi… Ehm, la porta a destra è il bagno.»

Will guardò la porta. «E a sinistra?»

«Camera da letto.»

Will restò qualche secondo in silenzio, poi scosse la testa. «Grazie, ma credo tornerò nella mia cabina. Non penso tu abbia vestiti della mia misura.»

«In effetti no. Will?»

Il figlio di Apollo si voltò a guardarlo.

«Stasera puoi venire alla festa di James? Mi… Lo faresti felice.»

Will sorrise. «Ci sarò.»

 

Quando Will scomparve per le scale, spuntando chissà in che parte del Campo, Leo si appoggiò al muro, lasciando andare fuori l’aria dai polmoni. Invitarlo alla festa di compleanno di suo figlio era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto.

 

Quando Will riuscì ad arrivare in infermeria, si fermò a guardare verso la cabina di Efesto. Era felice che lo avesse invitato. Era felice di passare più tempo con lui.

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Capitolo 15
*** 14. Fiamme ***


«Solace. Che fai qui? Hai portato le analisi di qualcuno?» domandò Nina, curiosa, guardandolo.

Will arrossì leggermente. «Leo mi ha invitato. Ma se sono di troppo…»

«Oh no, vieni pure!» esclamò Nina, afferrandolo per il braccio e facendolo entrare in cabina. «Se vuoi una birra, hai solo da chiedere a Fred.»

Will annuì, imbarazzato, e tenne in mano il regalo per il bambino. Ora si sentiva un po’ stupido ad avergli portato un peluche. I figli di Efesto probabilmente giocavano solo con cose meccaniche.

Will non vide Leo, e resto in disparte per un po’. Non conosceva molti della cabina di Efesto. In realtà li conosceva tutti, li aveva curati tutti almeno una volta, ma non aveva dei veri rapporti con loro. E immaginò che nessuno di loro volesse parlare con il proprio dottore che aveva ricucito parti di pelle, curato bruciature, o tolto le pinze del braccio.

Rimase per una mezz’ora, finendo una birra, facendo gli auguri al bambino, salutando alcuni dei figli di Efesto che non si intimorirono, o vergognarono, di vederlo lì. Poi lasciò la cabina.

 

 

Leo impiegò sei ore a finire la casetta sull’albero. La rese il più sicura possibile. Non voleva che suo figlio si facesse male, anche se sapeva che il dottor Solace si sarebbe preso molta cura di lui.

Quando finì il lavoro, Leo andò nel bunker a fare una doccia veloce, e poi alla cabina di Efesto. Vide Will scomparire nell’infermeria… Lo fissò un momento, ma non gli corse incontro. La cabina si aprì e James gli saltò in braccio dopo una manciata di secondi.

«Ehi, piccolo!» esclamò Leo, sorridendo, guardando il figlio. «Devo darti il mio regalo!»

«Ti apettavo!» Il figlio lo guardò con gli occhi brillanti. «C’era anche dottore!»

«Sì, l’ho visto. Vieni con me.» Leo sorrise a Nina, e portò James alla casetta sull’albero.

 

 

Will passò il resto della giornata in infermeria. I suoi fratelli si erano imbucati alla festa di James, probabilmente perché le feste dei figli di Efesto erano eccezionali. Anche se organizzate per bambini di tre anni.

Will si ritrovò a curare ferite di tutti i generi, e di nuovo non c’era alcun figlio di Efesto. La cosa continuava a preoccuparlo, e per un po’ sperò che la battaglia con i chiodi fosse stata sufficiente per tutti loro.

«Will?»

Will gli disse di aspettare un minuto, finì di medicare un taglio ad una figlia di Afrodite, e la spedì fuori.

«Sono qui.» disse Will, togliendosi i guanti e gettandoli nel cestino. «Chi mi cerca?»

«Ciao Will.»

Il dottore si fermò e guardò Leo, che gli sorrideva. Teneva in mano due birre.

«Il mio turno finisce tra mezz’ora.» disse Will, sorridendo a sua volta, e avvicinandosi a lui.

«Quindi questa non la bevi?»

«Oh sì, la bevo. Così dimentico quando finisce il mio turno.»

Leo scosse la testa ridacchiando, e gli stappò la bottiglia. Will bevve un sorso.

«A cosa devo la birra?» chiese, curioso.

«James mi ha detto che eri alla festa. Scusa se non ci sono stato.»

«Ah, non importa. Immagino stessi finendo la casetta.»

«Già.»

«Venuta bene?»

«Benissimo. James vuole dormire lì questa notte, con i suoi amici.»

«Wow, ha tre anni, e lo hai già fatto scappare di casa.»

Leo ridacchiò. «Sono un cattivo papà.»

Will rise. «Sei tutto, tranne un cattivo padre.»

Il figlio di Efesto lo guardò. «Grazie.»

Il figlio di Apollo sorrise e si sedette su uno dei lettini, sorseggiando la sua birra.

«Allora, gli è piaciuto il mio regalo?» chiese, guardandolo.

«Il peluche della tigre?»

«È Garfield, in realtà…»

«Sì, gli è piaciuto.»

Will annuì poco convinto.

Bevvero la birra in silenzio, e Leo pensò che quella stava diventando una bella tradizione: una birra con un amico, senza programmarlo prima.

«Tanti pazienti oggi?» chiese Leo, guardandolo.

«Abbastanza.» annuì Will, sospirando. «Ma non tanti. Sono tre giorni che non vedo figli di Efesto. Che state combinando?»

Leo arrossì leggermente. «Durante i giochi abbiamo rotto dei macchinari.»

«E dopo tre giorni non li avete ancora riparati? Non ti credo.»

Il moro rise. «Okay, okay. Non volevo che nessuno si ammazzasse prima del compleanno di James, quindi ci siamo presi tutti una vacanza. Dura ancora domani.»

«Bravo, Leo. Così tuo figlio non collega il suo compleanno alla morte di qualche zio.»

«L’ho fatto apposta.»

Will ridacchiò, e quando finì la bottiglia la gettò nel cestino, passandosi le dita tra i capelli.

«Sono esausto.» disse Will, voltandosi a guardarlo. «E… e a te sta uscendo del sangue dalla coscia.»

Leo abbassò lo sguardo su di sé. In effetti c’era una chiazza di sangue sulla coscia destra, e un foro nel jeans.

«Non me ne sono accorto.» notò, stupido.

«Dai, togliti i pantaloni, fammi dare un’occhiata.»

Leo gli lanciò un’occhiata. «Ehi, devi offrirmi molto di più di una birra per farmi spogliare.»

Will rise. «Su, muoviti.»

«Oh, pure fretta mi metti? Che maniere…» Leo si slaccio i jeans e si sedette sul lettino.

Will gli controllò la ferita. «Nulla di grave. Hai usato un trapano, vero?»

«Sì, mentre ero nel bunker. L’ho messo apposto prima di venire alla festa. Non credevo di ferirmi. Non mi capita spesso.»

Will non fece commenti e gli mise un cerotto, lanciandogli un’occhiata ai boxer. «Sono davvero sgargianti, Leo.»

Leo si guardò i suoi boxer neri con le fiamme rosse e gialle. «Sono bellissimi.»

«Troppo sgargianti.»

Will andò a lavarsi le mani, e Leo si sfilò del tutto i jeans, seguendolo con i boxer e la camicia.

«Ammetti che sono bellissimi.» disse Leo, fissandolo trattenendo una risata.

«Oh, andiamo!» rise Will, lanciandogli un’occhiata alle gambe nude. «Non volevo dirtelo, ma sono orribili.»

«Orribili?!» Leo si tolse anche la camicia, e Will individuò due tatuaggi che non aveva visto in passato: il braccio sinistro era completamente tatuato con un braccio robotico, mentre all’attaccatura del gomito destro c’era un nome. «Sono fantastici!»

Will gli si avvicinò, e gli prese il polso destro, leggendo il nome. «”James”.» lesse, sorridendo, e lo guardò negli occhi. «Non potrai mai essere un cattivo padre.»

Leo ricambiò lo sguardo, un po’ in imbarazzo. Will si spostò da lui, sorridendo.

«Grazie.» disse Leo.

«Figurati. E i tuoi boxer sono davvero orribili, amico.»

Leo sbuffò. «Sono fantastici.»

Will gli lanciò un’occhiata. Leo era nudo, salvo per boxer e calzini rossi.

«Dei, sei serio? Rossi?»

«Li ho quasi tutti così.» disse Leo, alzando le spalle. «E anche James.»

«Pensavo che fossero solo le mamme a vestire le figlie come loro…»

«I calzini rossi sono fantastici.»

«Mi piace il rosso come colore, ma, ehi, non uscirei mai con dei calzini rossi.»

«Scherzi? Tu ti vesti di arancione, amico. ARANCIONE. Che deriva dal rosso.»

«Il rosso senza giallo non creerebbe mai un colore fantastico come l’arancione. Che cos’hai contro l’arancione?»

«Non è rosso.» Leo rise.

Will scosse la testa. «Tornando ai tuoi boxer sgargianti… Sono orribili.»

«A te piacciono cose come l’arancione. Non capisco perché non ti piacciano i miei boxer.»

«Be’, io esco di casa con maglie o pantaloni arancioni.»

«Anch’io esco di casa con i miei boxer con le fiamme.»

«Sì, ma i tuoi boxer stanno sotto i jeans.»

Il moro si fece pensieroso. «Giusto.»

Leo gli diede le spalle e si incamminò verso la porta. Will non ebbe il tempo di chiedergli dove stesse andando che il figlio di Efesto uscì dall’infermeria.

Will si affrettò a seguirlo con lo sguardo. Con i calzini rossi, e i boxer con le fiamme, attirava l’attenzione. Will iniziò a ridere incredulo.

 

 

Leo tornò in infermeria dieci minuti dopo, con un sacchetto. «Ehi, Will, ti ho preso dei panini in mensa.» disse, posando il sacchetto su uno dei lettini.

«Il nudista è tornato?» rise Will, spuntando da una porta. «Vieni qui, va.»

«Non sono nudista.» disse Leo, prendendo il sacchetto ed entrando nel suo ufficio. «Ho ancora boxer e calzini.»

«Immagino che te la faresti anche nudo tutta quella strada.» disse Will, prendendo il sacchetto.

«Se scommetti bene, potrei farlo.» disse Leo, con un sorrisino accattivante.

«Se lo fai, non ti porterò in ospedale a fare una tac al cervello.» promise Will, sorridendo a sua volta.

«Se la paghi tu, puoi anche farla.» ridacchiò Leo.

«Mmh.»

«Nudo da qui alla mensa?» chiese Leo, togliendosi i calzini.

«Lo fai sul serio?» si allarmò Will, e Leo si tolse anche i boxer, lasciandoli cadere per terra.

«Sì, perché?» domandò Leo, posandosi una mano sul fianco, e guardandolo con aria da divo. «Non sono attraente?»

Will lasciò scivolare lo sguardo su di lui, mordendosi il labbro, arrossendo. «Sei molto attraente.» ammise, spostando lo sguardo su un vecchio quadro fatto da uno dei suoi fratelli.

Leo notò lo spostamento dei suoi occhi. «E non mi guardi perché sono attraente?»

«All’incirca.»

Leo si avvicinò a lui, fissandolo. «Non puoi rispondere all’incirca. Le cose sono due. O ti faccio pena o ti sto eccitando. E preferirei…»

«La seconda.» mormorò Will, rosso in viso. Non si era mai aspettato da Leo Valdez gesti del genere.

«…la seconda.» Leo si morse il labbro guardandolo divertito. «Quindi ti sto eccitando.»

«Sei assolutamente il semidio più carino e imprevedibile che abbia mai incontrato.»

«Carino? Guarda che mi offendo.» sbuffò Leo.

Will tornò a posare lo sguardo su di lui. «Intendevo che… sei bello, Leo. E non solo da nudo.» mormorò Will.

«Così va meglio.»

Leo fece un passo verso il figlio di Apollo, chiedendosi cosa gli fosse preso. Ma ormai non poteva più tirarsi indietro.

Aveva iniziato un gioco, e sperò che nessuno si facesse male.

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Capitolo 16
*** 15. Rilassati ***


Leo si sedette sulla scrivania, e Will gli posò la mano sul fianco, accarezzando la pelle nuda e calda del figlio di Efesto.

«Allora, Solace...» mormorò Leo, guardandolo. «Mi baci o no?»

«Ti bacio.» annuì Will, passandogli le dita sul petto, provocando all'altro dei brividi. «Ma dopo? Cosa succederà?»

«Will... baciami. Non pensiamo a dopo.»

Will annuì, e lo baciò senza perdere altro tempo.

Leo gli strinse le mani dietro la schiena, avvicinandolo di più a sé. Will gli schiuse le labbra, e incontrò la sua lingua, pronta ad aspettarlo, baciandolo con passione.

Leo si lasciò scappare un gemito nella bocca dell'altro, e si affrettò a togliergli la maglietta. Gli toccò gli addominali, cosa che gli suscitò un altro brivido. Quello che stava baciando non era una ragazza.

Per un secondo ebbe paura di andare avanti, ma poi la lingua di Will lo fece sussultare di piacere, e riprese a toccare il suo corpo.

Will gli posò le mani sulla schiena, continuando a baciarlo con sempre più energia. Leo gli strinse le gambe attorno ai fianchi, rispondendo al bacio con passione e urgenza. L'urgenza era la stessa.

Leo gli tolse la cintura, e gli abbassò i jeans. Ebbe la visione dei boxer blu dell'altro, e posò le mani sul rigonfiamento. Un altro brivido lo attraversò, mentre Will gli lasciava le labbra baciandolo sulla gola.

 

Quando sentì la mano sul suo sesso ancora coperto, Will si chiese se stesse facendo la cosa giusta. Leo dopotutto non era come lui. Era etero, ed aveva un figlio...

Leo gli abbassò lentamente i boxer, e Will li fece scendere, calciandoli via un secondo dopo. Leo gli passò le dita sull'inguine, sui testicoli e infine sul sesso. Will gli diede un secondo bacio sul collo, mentre il suo respiro cominciava ad accelerare.

Leo gli strinse la mano attorno al sesso e cominciò a masturbarlo. Will lo baciò di nuovo sul collo, accarezzandogli le cosce e prendendoglielo in mano.

Per qualche secondo, i due ansimarono, cercando di tenere lo stesso ritmo. Leo lo lasciò, aggrappandosi alla sua schiena, ansimando più forte. Era davvero da troppo tempo che nessuno lo toccava in quel modo.

Will si scostò da lui, baciandolo sugli addominali, e mordicchiandogli un capezzolo.

«Dei...» mormorò Leo, spostando i gomiti e facendo cadere qualcosa dalla scrivania.

Will risalì con le labbra per baciarlo, e Leo lo accolse pronto. Si baciarono con rinnovata energia, e Will spinse giù dalla scrivania il resto dei fogli. Leo si coricò meglio, pensando che ci fosse qualcosa che non andava, mentre Will gli stava sopra.

Gli accarezzò le cosce, sfiorandogli le natiche, strofinando i pollici sui capezzoli. Lo sentì tremare sotto al suo tocco, e fermò il bacio.

«Leo.» sussurrò, mordicchiandogli il labbro. «Posso..?»

«Cosa?» mormorò Leo, guardandolo ansante. Rivoleva le labbra del biondo sulle sue.

Will gli passò un dito vicino all'apertura guardandolo serio.

Leo capì.

«Oh no.» disse il figlio di Efesto, mettendosi seduto sfiorandogli il fianco con la gamba. «Se mai io ti chiedo il permesso, non tu.»

Si fissarono per qualche secondo.

«No, non credo.» borbottò il biondo.

«Non credi cosa?» rispose l'altro.

«Io ho esperienza con i maschi.»

«Io non faccio il passivo.»

«Ti piacerà.»

«Se ti piace fallo tu!»

Will si lasciò scappare una mezza risata, e Leo gli posò di nuovo le mani attorno al volto, avvicinandolo a sé. Will gli leccò il labbro.

«Solo per questa volta.» borbottò Leo, mordendogli il labbro. «Alla prossima...»

«Ne parleremo prima.» ridacchiò Will contro la sua bocca, e lo rispinse coricato. Ripresero a baciarsi con energia, mentre Leo gli accarezzava tutta la schiena e gli pizzicava il sedere.

Will passò le dita sul corpo di Leo, accarezzando, toccando, premendo su ogni parte di lui. Leo gli succhiò il labbro, con un lieve tremolio al corpo. Temeva il momento di sentire il dottore dentro di sé, ma sapeva che Will sarebbe stato dolce.

 

Il figlio di Apollo gli accarezzò il sedere, passandogli un dito sull'orifizio, e poi lo penetrò. Leo trattenne il fiato

Will gli baciò il collo, cercando di farlo abituare al dito. Lo mosse piano, avanti e indietro, tenendo d'occhio il volto di Leo. Poi ne aggiunse un secondo.

«Hai delle... dita... enormi.» borbottò Leo, chiudendo gli occhi.

«Rilassati.» mormorò Will, baciandolo sulle labbra, muovendo le dita assieme.

Leo rimase zitto, mentre ondate di piacere lo assalivano, in un miscuglio di dolore.

Will continuò per un altro minuto, poi le tolse. Leo gli posò le mani sulle spalle, sollevando il bacino, e Will lo penetrò lentamente, fermandosi dopo qualche secondo per farlo abituare.

 

Leo tenne gli occhi chiusi, piantando le unghie nella schiena del biondo. Faceva male, parecchio, ma il suo corpo si stava già abituando.

«Rilassati.» mormorò Will, muovendosi lentamente, e Leo si lasciò scappare un gemito. «Se vuoi che mi fermo, hai solo da chiedere.»

«Will, continua.» disse Leo, riaprendo gli occhi e fissandoli nei suoi. «Continua e non ti fermare mai.»

Will annuì, baciandolo, spingendo più a fondo dentro di lui. Leo gemette nella sua bocca, continuando a baciarlo con forza ed energia.

 

Dopo qualche minuto, Will aumentò la forza delle spinte. Leo spostò le labbra sul suo collo, mordicchiandolo, cercando di muovere il bacino assieme all'altro.

È piacevole, pensò Leo, stringendosi a Will, continuando a baciarlo nello stesso punto e facendogli un succhiotto. Fa male, ma... mi piace...

Will gli baciava la spalla ad ogni spinta, e Leo cominciò a gemere con più forza.

«Will, n-non resisto di più...» ansimò Leo, chiudendo gli occhi. Quando fu sopraggiunto dall'orgasmo urlò, e premette con più forza le unghie nella schiena dell'altro.

Will si lasciò scappare un gemito di dolore, ma lo nascondeva baciando il figlio di Efesto. Continuò a spingere, mentre il seme caldo di Leo gli ricopriva la pancia. Riprese a baciarlo, lasciando che Leo si aggrappasse a lui.

 

Will venne dopo dieci minuti, gridando il suo nome contro la sua pelle. Leo gridò con lui. La sensazione di pienezza si fece più forte, e Leo ansimò sul collo dell'altro.

Will si spostò da lui, e Leo rilassò il corpo. Tenne lo sguardo fissò sul soffitto, mentre il cuore gli pulsava nelle orecchie. Si sentiva ancora bollente.

«Leo?» mormorò Will, sfiorandogli la guancia.

«Se vuoi un voto da uno a dieci, non ti aspettare che lo faccia ora.» mormorò Leo, tenendo gli occhi sul soffitto.

Will sorrise. «Proverò ad aspettare fino a domani.» Il biondo raccolse la sua maglia da terra e la porse a Leo. «Mettila.»

«La mia è lì.» Leo si mise seduto trattenendo una smorfia. Il dolore ai fianchi ora si faceva sentire.

«Sì, ma... metti la mia.» Will arrossì.

Leo alzò un sopracciglio. «La tua maglia mi starà larga. Sarà come se mettessi un vestito.»

«Non ti vedrà nessuno. Ti porto nella mia camera qui in infermeria.»

«Hai una camera qui in infermeria?»

«Be', sì.»

«È un po' da...»

«Sfigati?»

Leo fece un sorrisino. «Appena appena.»

Will scosse la testa divertito e Leo si infilò la maglietta. Lo copriva fino a metà coscia. Giocherellò con l'orlo, poi lo guardò.

«Mi porti in braccio?» chiese, sorridendo.

«Dovrei?»

«Mi hai appena violato, amico. E indosso la tua maglia. Sei costretto a portarmi in braccio.»

Will gli sfiorò le labbra e Leo gli passò le braccia attorno al collo e le gambe attorno ai fianchi. Si lasciò sollevare, e baciò Will. Per qualche minuto si baciarono, poi il biondo portò l'altro in una piccola stanza. A parte un letto, una pila di libri di medicina, e un armadio, non c'era altro.

«Aspetta qui.» mormorò Will, lasciandolo sul letto, e uscì dalla stanza.

Leo si strinse nella maglietta, annusando l'odore dell'altro, e rimase in attesa che tornasse. Per un minuto si lasciò assalire dal panico. E se Will fosse scappato? Se lo avesse lasciato solo, in quel letto grande, mezzo nudo?

Ma poi Will rientrò nella stanza, e Leo rilasciò il fiato. Lo guardò posare i loro vestiti sulla pila di libri, e Will ritornò a letto. Portava solo un pantaloncino arancione, e Leo rimase un momento a guardarlo.

«Hai male?» chiese Will, passandogli le dita tra i capelli.

Leo chiuse gli occhi. «Non troppo.» mormorò.

Will annuì, lasciando che si appoggiasse a lui. Leo posò lo sguardo sul succhiotto che aveva fatto al biondo. Will non sembrava essersene accorto.

Rimasero qualche minuto a fissarsi negli occhi, poi Leo aprì la bocca per parlare. Si zittì, ci riprovò, e deglutì.

«Will ora noi... cosa... siamo?» sussurrò Leo, avvampando. Si sentì immediatamente una ragazzina dopo il primo bacio.

Will rimase un minuto a guardarlo in silenzio, arrossendo a sua volta. Cos'erano loro, ora? Si morse il labbro.

Leo si voltò, dandogli le spalle, sperando che il rossore defluisse dalle sue guance. Si mordicchiò il labbro.

«Possiamo far f-finta che... che non ti abbia d-detto nulla?» balbettò Leo, imbarazzato.

«No, perché lo hai detto.» Will gli posò una mano sulla spalla, facendogli girare il volto. «Io... non ho l'abitudine di fare queste cose.»

«Intendi parlare?»

«No, intendo... fare sesso con il primo che capita.»

«Be', nemmeno io.»

Si studiarono, e Leo osservò le lentiggini sul volto dell'altro.

Will invece guardò i suoi bei occhi.

«Mi piace stare con te.» disse infine Will, passandogli le dita sulla guancia. «E parlare con te. Mi piace tutto quanto quello che faccio con te.»

«Finora abbiamo solo bevuto qualche birra insieme, e... fatto... sesso.» borbottò Leo.

«Sì... Però mi piace stare con te.»

«Ma perché?»

«Non lo so...»

Leo annuì, tornando a guardare di fronte a sé. «Will...» mormorò.

Will gli passò un braccio attorno alla vita, e premette il suo corpo contro il suo. Il figlio di Efesto sorrise al gesto.

«Domani usciamo insieme.» mormorò Will al suo orecchio, e Leo rimase in ascolto mentre il cuore gli batteva più velocemente. «Andiamo da qualche parte. Solo io e te.»

«Per fare cosa..?»

«Be', possiamo pranzare insieme. E capire se... se stando insieme da soli, io e te, potremmo...»

Leo arrossì, rendendosi conto di ciò che gli aveva detto. Se si fossero trovati bene insieme, potevano essere una coppia.

Leo si portò una mano al volto, toccandosi le guance bollenti.

«E se non accettassi?» chiese Leo, deglutendo, voltandosi a guardarlo. Era buio, ma i capelli di Will erano ancora visibili. «Se non volessi uscire con te?»

Will si morse l'interno della guancia. «Penso che potremmo restare amici.» disse.

«Amici che hanno fatto sesso. E che si sono visti nudi.»

«A proposito... complimenti.»

«Anche a te.»

Leo sorrise e creò una fiamma per guardarlo. Gli occhi di Will erano puntati sul suo volto. Il bruno si sdraiò sopra l'altro, passandogli la mano tra i capelli.

«Comunque... Hai fatto sesso con un amico. Non si fa.» mormorò.

«Anche tu. Non si fa sesso con gli amici.»

«Per fortuna domani usciamo.»

«Per fortuna.» annuì Will, sorridendo.

Leo spense la mano, e posò la testa sul suo petto. «Will.»

«Dimmi pure.»

«Solo una cosa...»

«Forse so cosa vuoi dirmi.»

Leo alzò di nuovo il volto, e Will gli posò una mano sulla guancia.

«Lo sai?» disse Leo, alzando un sopracciglio.

«James.» mormorò Will, e Leo trattenne un sorriso. «So che se... se l'appuntamento dovesse andar bene... Dovrei accettare anche James.»

«Anche perché se non lo accetti, partiamo con il piede sbagliato.» mormorò Leo.

«Mi piacciono i bambini, e tuo figlio è adorabile.»

«Ora non ti far piacere di più lui di me.»

«Mi dispiace, ma dovevi aspettartelo.»

Leo annuì, trattenendo un sorriso, e Will lo baciò dolcemente.

«Buonanotte Leo.» mormorò Will.

«Buonanotte Will.» disse piano Leo, rubandogli un altro bacio, e accoccolandosi sul suo petto. Si addormentò dopo pochi minuti, e Will rimase in silenzio, con un lieve sorriso sulle labbra, a guardarlo dormire.


 

Ehi, ho dovuto cambiare il colore del rating per questo capitolo.
Voi che leggete e ne sapete più di me ditemi se devo ascoltare Will e lasciare l'arancio, o ascoltare Leo e cambiarlo in rosso!!
Al prossimoa aggiornamento (:
Debby

 

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Capitolo 17
*** 16. Primo appuntamento ***


Leo dormì serenamente tutta la notte. Quando scivolò giù dall'altro, Will lo strinse a sé, adagiando il suo corpo al suo.

La loro tranquillità fu fermata dai figli di Apollo che si affaccendavano in infermeria già alle sette. Qualcuno bussò forte alla porta.

«Dai, Will, svegliati. C'è bisogno di te!»

Will borbottò contro l'orecchio di Leo, e il figlio di Efesto si svegliò lentamente. Si rese subito conto di due cose: dell'altro uomo stretto al suo corpo, e del dolore al fondoschiena.

Le immagini della sera prima gli tornarono alla mente con prepotenza, e Leo chiuse di nuovo gli occhi, posando la mano su quella di Will.

Il figlio di Apollo aprì gli occhi e impiegò un secondo a riconoscere l'altro. Aspettò un minuto prima di parlare.

«Dormito bene?» sussurrò.

«Sì.» annuì Leo.

«Pranzo o cena oggi?»

«Cena. Anzi no, pranzo. Tu quando puoi?»

«È indifferente. Decidi tu con calma.»

«Pranzo.» annuì Leo, poi aggiunse: «Sei durello la mattina.»

Will passò la mano sul fianco di Leo e lo toccò. «Anche tu.»

Will non spostò la mano, e Leo non gli chiese di farlo.

Bussarono di nuovo alla porta, con più insistenza, e Will sospirò.

«Devo andare.» mormorò.

«Lo capisco, è lavoro.» annuì Leo, girandosi e guardandolo. Will gli sfiorò leggero le labbra, e si alzò in piedi.

«Ah, Leo, esci pure tranquillamente.» disse Will, recuperando i vestiti e lanciandoli. Leo lo guardò divertito mentre si cercava la maglietta. «Non ti fare problemi.»

«Che intendi? Che i tuoi fratelli sono abituati a vedere uscire ragazzi dalla tua camera?»

«No.» Will notò che Leo aveva la sua maglia e aprì l'armadio prendendone una arancione del Campo. «Intendo solamente che c'è molta gente a quest'ora, quindi puoi uscire indisturbato senza che nessuno ti faccia domande imbarazzanti.»

«Ah, capito.» Leo si mordicchiò il labbro. Voleva scusarsi per aver pensato male, ma Will sorrideva.

«Esci quando vuoi.» gli disse, finendo di vestirsi.

«Okay. Ehi, mica entrerà qualcuno, vero?»

«Oh no, è la mia camera. Non entra nessuno nella mia stanza.»

Leo annuì, e Will uscì con un cenno del capo.

 

Leo rimase steso sul letto per un'altra mezz'ora, con i battiti a mille per la paura che potesse entrare qualcuno. Ma non successe. I passi si avvicinavano alla stanza, ma poi si allontanavano, facendo sempre venire un colpo al ragazzo.

Si vestì, lasciandosi addosso la maglia di Will. Fu indeciso se toglierla o meno, e alla fine infilò la sua sotto quella di Will. Portava ancora l'odore del figlio di Apollo.

Leo aprì la porta della stanza quando non udì più passi, e sbirciò fuori. Non si vedeva nessuno. Provò a sistemarsi i capelli, poi si avviò nell'infermeria. Vide subito Will affaccendato attorno ad un figlio di Demetra. Lo guardò affascinato per qualche secondo, poi uscì dall'infermeria.

 

Quando arrivò nella sua cabina, Leo andò subito a fare la doccia. La maglia di Will la posò sul letto, e quando tornò la piegò e la infilò sotto il cuscino. L'avrebbe usata per dormire. Si sentiva sempre più come una ragazzina di fronte alla sua prima cotta.

«Pa-pa!»

Leo si voltò appena chiuse il cassetto, e spalancò le braccia. James gli saltò in braccio, e i due si strinsero fortissimo.

«Casa albero bella!» esclamò James, scostandosi dall'abbraccio per guardarlo in faccia. Sorrideva raggiante. «Dommito bene!»

«Uh, sono felice che tu abbia dormito bene!»

«Tu dommito bene?»

Leo ripensò alle braccia di Will strette a lui e annuì, abbozzando un sorriso.

«Papà esce con un amico a pranzo.» disse Leo, e guardò l'orologio. Non erano ancora le otto.

«Io Nina?»

«Sì. Ora ti va di giocare con le costruzioni?»

«Casa albero?»

«Sì.» Leo ridacchiò.

«Allora sì!»

 

 

«Ehi Angel.»

Il fratello si voltò a guardarlo. «È un succhiotto quello sul tuo collo?» domandò Angel, aggrottando la fronte.

Will si portò subito la mano nel punto dove le labbra di Leo si erano posate. Sorrise leggermente. «Mi sembra che anche tu ne abbia uno vistoso sul petto.»

Angel si abbottonò la camicia. «Niente domande a te, e niente domande a me?» borbottò.

«Esatto.» Will gli arruffò i capelli. «Ehi, a pranzo ho un impegno. Puoi sostituirmi?»

«Stasera fai il mio turno di notte?» chiese Angel, fissandolo.

«Hai degli impegni notturni?» rispose Will, sorridendo.

«Già.»

«Va bene.»

Will gli sorrise e tornò dal paziente, un figlio di Demetra che era stato vittima di uno scherzo dei figli di Ares.

 

Era già ora di pranzo quando Will concluse il suo turno in infermeria e corse alla cabina di Apollo. Si spogliò entrando in doccia, e si lavò velocemente. Allo specchio notò quanto fosse vistoso il succhiotto di Leo, e si infilò un maglione blu per nasconderlo. Si pettinò i capelli tre volte in tre modi differenti prima di scompigliarli e decidere di lasciarli così.

«Esco.» disse Will ad Austin, allacciandosi la cintura.

«Dove vai?» domandò Austin, annoiato.

«Pranzo con un amico. Pensi che possa mettere le infradito?»

«Ehm, se esci dal Campo metti delle scarpe dal ginnastica, almeno. E porta un pugnale, non si sa mai.»

Will annuì, mettendosi le sue scarpe da ginnastica bianche e azzurre. Controllò di avere tutto al suo posto, poi infilò un pugnale nella scarpa. Era fastidioso mentre camminava, ma almeno lo avrebbe avuto a portata di mando in caso di pericolo.

 

Leo stava già aspettando Will, seduto sulla fontana. Il dottore era in ritardo di qualche minuto, ma Leo non vi fece caso. Lo aveva visto correre fuori dall'infermeria mezz'ora prima, sapeva che era stato trattenuto dal lavoro fino all'ultimo.

«Ehi.»

Leo si voltò verso Will ed ebbe un colpo al cuore. Forse perché ormai lo aveva visto nudo, forse perché avevano fatto sesso nell'ufficio di Will, ma il dottor Solace sembrava molto più figo del solito.

Leo deglutì e sorrise. «Ehi.» disse solamente.

«Scusa il ritardo.» si affrettò a dire Will, mordicchiandosi il labbro.

«Ah, non importa.» rispose in fretta Leo, alzandosi a sua volta. Notò che il dottore portava le scarpe da ginnastica... quindi non avrebbero pranzato al Campo.

Per qualche minuto rimasero a fissarsi, non sapendo bene cosa dire. Poi Will si schiarì la gola.

«Ti piace il giapponese?» domandò.

«Oh sì, mi piace eccome.» annuì Leo, sentendosi un po' meno nervoso. «Ne conosci uno?»

No, guarda, pensò Leo, mordendosi il labbro. Ti porta al ristorante giapponese ma non ne conosce uno. Sei proprio un idiota, Valdez. Prendi fuoco e vattene.

«Un paio.» disse Will. «Ma dovremmo uscire dal Campo.»

No, davvero hai specificato?!, pensò Will, con la sua vocetta sarcastica. Non l'aveva capito. Abbiamo un ristorante giapponese nella cabina di Apollo!

«Ah, va bene.» annuì Leo, sforzando un sorrisino per nascondere l'imbarazzo.

«Io ho, ehm, una moto.» mormorò Will, prendendo le chiavi dalla tasca. «O tu preferisci la macchina?»

«Oh, moto!» esclamò Leo, illuminandosi di colpo. «Quanto ha di cilindrata? L'ultima volta che hai sistemato il motore?»

«Posso solo dirti che è una Ducati blu e arancio.» sorrise Will. «Ma nient'altro.»

«Perché arancio? Hai rovinato una bella moto...»

Will si strinse nelle spalle. «Sempre per il discorso di ieri. Amo l'arancione.»

Leo sbuffò. «Viva il rosso.»

Will scosse la testa divertito e si avviò verso la moto. Leo lo seguì, mordicchiandosi il labbro, chiedendosi se non facesse bene a salutarlo e a scappare via.

Ma quando Leo vide la moto si illuminò. Fischiò a lungo, passando le dita sulla carrozzeria, e sentendo la potenza del motore. Si voltò a guardare Will, che lo osservava con un sorrisetto sulle labbra.

«Posso guidarla?» chiese Leo.

«Ehm...»

Will lo studiò con attenzione. Era un figlio di Efesto, quindi non avrebbe mai fatto nulla di grave alla sua moto. Ma la possessività era maggiore.

«No.» disse Will, schietto. «Scusa, ma quella è la mia bambina.»

«Oh.» Leo sorrise, sebbene ne fosse dispiaciuto. «Okay.»

Will si mordicchiò il labbro e salì per primo sulla moto. Leo gli sedette dietro, posandogli una mano sul fianco. Quella posizione gli fece tornare dolore al fondoschiena, ma strinse i denti. Non intendeva lamentarsi.

 

Venti minuti dopo, si fermarono di fronte ad un ristorante giapponese. Leo scese, osservando il ristorante, restando in attesa di Will, che assicurava la sua "bambina".

«Hai prenotato?» chiese Leo, notando quanto fosse pieno il locale.

«Sì... A mio nome.» annuì Will, aprendogli la porta.

Leo rimase turbato da quel gesto. Se fosse stato una ragazza, okay, non ci sarebbero stati problemi. Ma lui era un uomo, e non gli piaceva quel gesto di galanteria.

«Vai prima tu.» disse Leo, facendogli cenno.

Will lo studiò. «Ah... non sei quel tipo di ragazzo che si lascia ricoprire di attenzioni.»

«Non sono proprio il tipo di ragazzo abituato ad avere le attenzioni di un altro ragazzo.»

Leo si pentì subito di quello che aveva appena detto. Lo sguardo di Will si fece serio, mentre continuava a tenergli la porta aperta.

«Mi dispiace per te, ma sono questo tipo di persona.» disse Will, calmo e pacifico. «Quindi o entri con me che ti tengo la porta, oppure torni al Campo.»

«E rinunciare al sushi? No grazie.»

Leo lo superò ed entrò nel ristorante. Will lo seguì qualche secondo più tardi, e andò subito al bancone. Vennero accompagnati fino al loro tavolo, e si sedettero sfogliando il menù.

«Mangi spesso giapponese?» chiese Leo a Will, sperando di far dimenticare all'altro del brutto episodio davanti alla porta.

«Abbastanza spesso, sì. È il mio ristorante preferito.»

«Mai provato messicano? È meglio.»

«Mmm, non credo di aver provato il cibo messicano.»

«Ti ci porto, una volta.»

Will annuì, lanciando un'occhiata a Leo, nello stesso momento in cui il figlio di Efesto gli lanciava un'occhiata. Scoppiarono a ridere nello stesso momento, e ordinarono diversi piatti di sushi, e ravioli al vapore.

«Allora.» disse Will, servendo ad entrambi della Coca-Cola. «Per evitare futuri fraintendimenti, non ti piace essere trattato come una ragazza.»

«No, affatto.» disse Leo, prendendo il bicchiere e bevendo un piccolo sorso.

«Quindi, se... se dovessimo diventare una coppia, dovrò... evitare di passarti la mia maglia o di aprirti la porta?»

Leo esitò. «La tua maglia puoi continuare a darmela...»

Will sorrise.

«... mentre l'aprire la porta... Gli uomini lo fanno solo per guardare il culo.»

«Ti assicuro che hai un culo fantastico.»

Leo sorrise compiaciuto. «Allora puoi continuare. Ma...»

«Ma dipende dalle situazioni.» annuì Will. «Chiaro.»

L'altro annuì. Per qualche secondo rimasero a fissarsi, poi il figlio di Apollo ruppe il silenzio.

«Cosa ti piace?» chiese, e Leo lo guardò stupito. Si era aspettato che Will avesse da ridire, non domande personali.

«Di cosa?»

«In generale. Cosa ti piace?»

Leo si fece pensieroso. «Mi piace fare le costruzioni con mio figlio.» ammise, sentendosi piuttosto patetico non appena finì la frase. Aggiunse in fretta: «Ma anche altre cose.»

«Parla, ti ascolto.» sorrise Will, guardandolo.

Leo giocherellò con le bacchette. «Be', mi piace stare in fucina.» disse Leo, il che era più banale dell'altro. «Mi piace costruire cose nuove, aggiustare quelle vecchie, dando loro una seconda opportunità. Mi piace capire i meccanismi delle cose, di tutto quello che può essere meccanico. E anche se so che non è compito mio, mi piace disegnare case, e aiutare a costruirle.»

«Ti piace costruire case?» si interessò Will.

«Sì.»

La cameriera portò i loro piatti, e Will la ringraziò prima di tornare a guardare Leo.

«Sì, mi piace.» aggiunse Leo, stringendosi nelle spalle, prendendo le bacchette. «Non so spiegarmelo. Disegno progetti, li confronto con qualche figlia di Atena, e poi costruisco.»

«Quante case hai costruito fin'ora?»

«Due.»

«Anche la tua?»

Leo si infilò un boccone in bocca per non rispondere. Will iniziò a mangiare anche lui.

«Ho costruito la casa per me e Cal.» disse infine Leo, bevendo un sorso. «Vicino al Campo, non molto lontano.»

«Ah, capisco. E l'altra casa?»

«Prima che nascesse James, ho trovato un lavoro umano, e ho costruito solo una casa. Poi mi hanno licenziato. Ho dato accidentalmente fuoco ad un paio di brutti lavori.»

Will rise. «E ora lavori al Campo, in fucina.»

«Sì. E metto da parte qualche soldo... sai, per James.»

Il biondo annuì.

Leo riprese a mangiare, e dopo un po' guardò l'altro.

«E a te? Cosa piace?»

«Mi piace stare in infermeria.» disse Will. «Mi piace curare, operare...»

«Meno male che non sono il più strano qui.»

Will sorrise e indicò una donna seduto oltre Leo. «Laggiù c'è una tipa con un cappello osceno. Penso sia più strana di noi due messi insieme.»

Leo si voltò di scatto e si trattenne dallo scoppiare a ridere. La signora aveva uno stravagante cappello viola e giallo in testa, con una piuma rossa. Indossava un vestito dello stesso colore del cappello, e Will diede un pizzicotto a Leo per farlo voltare.

«Su, non riderle in faccia.» mormorò Will. Anche lui stava trattenendo una risata.

Leo scoppiò a ridere. «Ma perché?!» esclamò, ridendo forte.

«Non ne ho la minima idea.» rise a sua volta Will, guardandolo negli occhi. Per lui l'appuntamento aveva già ottenuto una risposta.

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Capitolo 18
*** 17. Fare sul serio ***


Leo rimase zitto mentre Will pagava il conto. Non aveva voluto saperne sul pagarne a metà, e anche su questo Leo aveva molto da ridire. Non gli piaceva che si pagasse per lui. Li aveva, i soldi! Aveva cambiato venti dracme per avere quaranta dollari nel portafoglio per il pranzo con Will.

Will si tardò a rimettere il resto nel portafogli, e Leo uscì per primo. Fu sul punto di accendersi una sigaretta quando il biondo lo raggiunse.

«Dove andiamo ora?» chiese, infilandosi le mani in tasca.

«Facciamo una passeggiata?» disse Leo, guardandolo.

Will annuì, e si incamminarono.

 

A Leo piacque il silenzio che si creò tra di loro. Non era imbarazzante. Avevano parlato di diverse cose a pranzo, e ora il silenzio era davvero piacevole. Fu sul punto di prendergli la mano, ma si trattenne.

Non erano una coppia. Erano solo due che avevano un'attrazione l'uno per l'altro, che avevano fatto sesso, e che ora si concedevano un appuntamento.

Leo si fermò e si voltò a guardare Will. Il biondo gli ricambiò l'occhiata.

«Mi piaci.» disse in fretta Leo, continuando a guardarlo.

«Anche tu.» mormorò Will.

«Mi è piaciuto pranzare e chiacchierare con te.»

«Mi è piaciuto ascoltarti, e parlare con te.»

«Non so dove ci porterà tutto questo, però.»

«Leo...» Will gli prese la mano e chinò il volto verso il suo. Il figlio di Efesto sentì il suo cuore battere all'impazzata. «Possiamo continuare a frequentarci, senza... impegno, se per te è un problema.»

«Per me non è un problema.» mormorò Leo, stringendogli la mano. «Dico davvero.»

«Sicuro?»

«Sì... per me è solo tutto nuovo, ma sono serio quando dico che mi piaci. E sì, possiamo frequentarci, ma con impegno.»

«Ma i tuoi amici, i tuoi fratelli... Cosa diranno di te?»

«Che vivo la mia vita. E che dopo una zoccola come la mia ex, avevo bisogno di qualcuno di migliore.»

Will fece un piccolo sorriso. «Questo lo dice tua sorella, o lo pensi tu?»

«Lo penso io.» mormorò Leo, afferrandogli la maglia e tirandolo verso di sé. Lo baciò, in modo maldestro, e Will ricambiò il bacio stringendolo a sé.

 

Dopo qualche minuto si ricordarono di essere in strada, e si scostarono imbarazzanti. Leo individuò almeno quattro ragazze che stavano parlando tra loro, dicendo «Che spreco.»

«Ops.» mormorò Will, sorridendogli. «Forse è meglio andare in un posticino più tranquillo.»

«Sì.» annuì Leo, continuando a stringerlo.

Camminarono fino ad un parco, tenendosi per mano.

Leo incrociò parecchi sguardi di persone scioccate, e disgustate, e abbassò i suoi imbarazzato. Al Campo avrebbe dovuto sopportare quel tipo di sguardo?

Will ignorò gli sguardi di tutti, tenendo stretta alla sua la mano di Leo. Era così felice di essere lì con lui. Stava passando il principio di una bella giornata... Bisognava solo arrivare alla fine.

 

Quando arrivarono al parco, si diressero entrambi verso una panchina. Si sedettero, guardando i ragazzi sullo skate. Leo li osservò ammirato, e Will gli accarezzò il palmo della mano.

«Sai andare sullo skate?» mormorò Will.

«Non ho mai imparato.» ammise Leo, abbassando lo sguardo sulle loro mani.

«Posso insegnarti.»

«Sai andare sullo skate?»

«Sì. E faccio anche surf, scii, tutti gli sport possibili con una tavola.»

«Snowboard?»

«Quando capita, sì.»

«Ma tu non odi la neve? Sei figlio del dio del sole.»

«Ma se tipo la vado a cercare in montagna, non la odio.»

Leo annuì, osservandolo. «Posso farti una domanda privata?» chiese.

«Tutte quelle che vuoi.» sorrise Will.

«Allora te ne faccio due.»

«Okay.»

Leo esitò un momento. «Quanti ragazzi hai avuto?»

Will appoggiò la schiena allo schienale della panchina, pensieroso. «Tre.» ammise infine.

«E con tutti e tre hai fatto sesso?»

«Già.»

«Li conosco?»

«Ehm, non lo so. Due sono semidei, e uno no.»

«Oh.»

«Allora... Seth, figlio di Demetra. E Mitchell della cabina di Afrodite. E un mio vecchio collega di lavoro, Gregory.»

«House?»

«Cosa?»

«Gregory House? Il tuo collega si chiama Gregory House?»

«Ehm no. Gregory Cox.»

Leo lo guardò serio. «Non conosci Gregory House? Davvero?»

Will ricambiò l'occhiata. «Pensi seriamente che non conosco quella serie tv?»

«Devi dirmelo tu.»

«Le serie tv famose con i dottori protagonisti le conosco. Dr House, Grey's Anatomy, Scrubs...»

«Guardi Grey's Anatomy? Seriamente?»

«Sì.»

«È da ragazzine.»

«Può essere, ma quei dottori sono tutti degli gnocchi assurdi.»

Leo rise. «Ah, capisco.»

«Ognuno ha i suoi gusti.» sorrise Will, tossicchiando. «L'altra domanda?»

«Ah sì...» Leo arrossì leggermente. Voleva fargli una domanda, ma non gli sembrava adeguata al momento, quindi cambiò idea. «Ti piacciono i bambini?»

«Pensavo di prendere la specializzazione come pediatra, quando lavoravo in ospedale il mese scorso.»

«Perché non l'hai fatta?»

Will si strinse nelle spalle arrossendo. «Sai... Nico.»

Leo annuì lentamente, e si chiese se potesse competere con Nico.

«E tu?» domandò Will, guardandolo. «Sei stato solo con una ragazza?»

«Sì, la prima e sola.»

«E sei sicuro di volere me ora? Insomma, so che sono affascinante, ma non sono una ragazza.»

«Will, davvero, me ne sono accorto.»

Leo rise, e Will lo accompagnò.

«Comunque sì, voglio te.» annuì Leo, appoggiandogli la testa sulla spalla. «Mi fai stare bene. Non mi sentivo così da tempo.»

Will aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse. Si limitò a stringerlo a sé, in silenzio, sorridendo dolcemente.

 

 

Quando tornarono al Campo, Will posò la moto nel garage dei figli di Apollo, e tornò da Leo. Insieme andarono in spiaggia, e si sedettero sulla sabbia. Leo si accese una sigaretta, e Will si stese, mordicchiandosi la lingua per non parlare.

«Will.» disse Leo, serio. «Oltre i tuoi ex, hai avuto altri ragazzi? Storie di una notte?»

«Oh no. Io non sono quel genere di ragazzo. Non sono in cerca di storie da una botta e via. Ho fatto sesso solo con i miei tre ex, e Seth è stato il mio primo. E... be', ora non sono più tre. Sono quattro.»

Will e Leo incrociarono lo sguardo per qualche secondo, poi Leo distolse lo sguardo.

«I tuoi ex.» mormorò Leo, guardando il mare. «Li hai lasciati tu?»

«All'incirca sì.» annuì Will. «Ho lasciato Mitchell perché non voleva fare sul serio. Con quel ragazzo è quasi impossibile fare una cosa sul serio. Mentre con Seth abbiamo litigato parecchio prima di pensare che facessimo bene a prendere una pausa. E dopo due anni dalla pausa ci siamo allontanati in modo definitivo.»

Leo fece un lungo tiro dalla sigaretta, chiedendosi cosa intendesse con "fare sul serio".

«E quello al lavoro?» chiese Leo, lanciandogli un'occhiata.

Will si mise seduto, giocherellando con la sabbia, paonazzo. «Mi ha lasciato lui.» ammise. «In quel periodo io e Nico ci scrivevamo delle lettere, e ne parlavo con Greg. Quando ha capito che provavo qualcosa per Nico, e non per lui, mi ha lasciato.»

«Lo hai usato come passatempo.» mormorò Leo, alzando un sopracciglio. Doveva aspettarsi lo stesso trattamento?

«Può sembrare, ma non è stato affatto così.» sospirò il biondo. «Mi piaceva davvero. Passavamo tutte le giornate e le notti insieme, e non avevamo problemi, visto che lavoravamo nello stesso ospedale e conoscevamo i turni dell'altro. E dopo due settimane dall'inizio della relazione, mi ha chiesto di trasferirmi da lui, e l'ho fatto.»

«Quanto siete stati insieme?» chiese Leo, stendendosi.

«Quasi un anno.» disse Will. «Ci siamo lasciati tre mesi fa. Ho vissuto in hotel fino a quando non ho deciso di tornare qua. Ormai ho preso il mio dottorato in medicina. Se avrò di nuovo voglia di tornare al lavoro, ci sarà sempre un posto ad aspettarmi.»

«Hai lasciato il lavoro per venire qui da Nico?»

Will annuì dopo un attimo di esitazione. «È così.»

Leo spense la sigaretta nella sabbia, e afferrò Will per il colletto, baciandolo con trasporto. Will ricambiò il bacio per un minuto, poi si lasciarono.

«Questo per che cos'era?» domandò Will, sorridendo.

«Non ti è piaciuto?»

«Certo che mi è piaciuto, non fraintendere.»

Leo sorrise. «Nulla in particolare.» mormorò.

Will lo afferrò a sua volta per il colletto e lo baciò di nuovo, stringendolo a sé.

Per qualche minuto dimenticarono di essere in spiaggia, di essere al Campo, di avere un passato. Esistevano solo loro due. Leo affondò le dita nei capelli di Will, che ricambiò stringendolo per i fianchi. Leo si sedette sopra di lui, baicandolo con sempre più energia.

Alla fine, si separarono per riprendere fiato. Leo baciò l'altro sulle lentiggini sul naso, e Will sorrise radioso.

A quel sorriso, Leo poteva anche abituarsi.

 

Si salutarono con un altro bacio, ma in spiaggia, dove non c'era nessuno. Will sapeva che Leo non voleva farsi vedere da suo figlio, che ancora non si sentiva pronto per parlare con il bambino su quanto gli stava succedendo. Ma non gliene avrebbe fatto una colpa. Leo avrebbe potuto prendersi tutto il tempo del mondo.

Will lo avrebbe aspettato.

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Capitolo 19
*** 18. Fratelli ***


«Angel devo parlarti.»

Angel abbassò la pizza guardando il fratello negli occhi. «Dimmi Will.»

Will si sedette vicino a lui, torcendosi le dita. Lo faceva sempre quando era nervoso. Angel studiò il volto serio e abbronzato dell'altro, provando a indovinare quello che gli avrebbe detto di lì a poco.

«Si tratta ancora di Nico?» chiese Angel, sospirando, posando la pizza nel piatto e pulendosi le dita.

«No, non si tratta di lui.»

«Oh.» Angel ne rimase veramente sorpreso. Will gli aveva parlato di di Angelo fino alla nausea. Strano che Will avesse cambiato ossessione. «Allora? Di cosa mi devi parlare? Vuoi tornare a lavorare in ospedale?»

«Oh no, no. Non ci penso nemmeno. Ho... Ecco, ho conosciuto una persona.»

«Se non è Nico di Angelo, puoi anche sposartelo, fratello.»

Will fece una smorfia divertita. «Cos'hai contro Nico?»

«Nulla. Solo mi sorprende che viene considerato sexy. Non lo è affatto. È basso, e veste malissimo. Ed è quasi pelle ed ossa, Will. Quando è venuto una volta qui gli ho visto le costole. Come può, o poteva, piacerti un ragazzo tutto pelle ed ossa?!»

Will rimase in silenzio per qualche minuto.

«Angel.» mormorò, mordicchiandosi la guancia.

«Will?» chiese il fratello, alzando un sopracciglio.

«Il ragazzo che mi piace ora è più basso di me di almeno quindici centimetri, non è molto muscoloso, e se lo abbracci senti le costole. E ha due tatuaggi, braccio sinistro e gomito destro.»

Angel inspirò profondamente. «Di chi stai parlando? Conosco questa descrizione.»

Will appoggiò i gomiti sul tavolo, fissandolo ad occhi sgranati. «Conosci questa descrizione?» ripeté, piano.

Angel annuì. «L'ho avuto una volta come paziente.» spiegò, staccando un pezzo di pizza e infilandoselo in bocca. «Era ridotto davvero male. Gamba squarciata, vari graffi sul petto, ed è rimasto svenuto per tre giorni.»

Will assottigliò lo sguardo e Angel sospirò.

«Parli di Valdez, no?»

 

Will annuì dopo un minuto di silenzio. «Cosa gli era successo?» chiese, mordendosi l'interno della guancia.

«Will, fratello, conosci la regola. Non si parla di fatti privati accaduti ai pazienti.»

«Fatti privati.» ripeté Will, sempre più curioso, ma Angel scosse la testa. Non gli avrebbe detto nulla di sua spontanea volontà, e Will sospirò.

«Se vuoi saperlo, te lo farai spiegare da lui, e da lui soltanto.» Angel finì la pizza, pulendosi le mani e tornò a guardarlo. «Ora, dimmi. Ti piace e basta?»

Will prese il resto della pizza di Angel e la mangiò, ignorando la domanda.

Angel seguì con attenzione ogni movimento e capì.

«Avete fatto sesso?!» esclamò, abbastanza sonoramente, ma in quel momento in mensa non c'era nessuno. Erano le sette di mattina.

«Shhh!» esclamò Will, sconvolto. «Parla piano!»

«Ma chi può sentirci? La mia pizza che ti sei finito?!»

«Parla piano comunque!»

Angel scosse la testa, pulendosi le labbra, e lanciando un'occhiata al tavolo di Efesto. Che diavolo avevano quei ragazzi? Si erano già impossessati del cuore di due figli di Apollo.

«Allora, lo avete fatto?» chiese Angel a bassa voce, lanciando un'altra occhiata. Anche se non voleva parlarne, il corpo di Will era un libro aperto. «Quante volte? Lo sai che ha un figlio, vero?»

Will bevve un sorso di Coca-Cola e sospirò. «So che ha un figlio, altamente adorabile. E solo una volta.»

«Oh. E ti piace?»

«Mi piace moltissimo.» Will si coprì il volto con le mani.

Angel sorrise, leggermente divertito. «I figli di Efesto sono troppo sexy per noi figli di Apollo.»

«Già. Tu Steve, vero?»

«Come fai a saperlo?»

«Lo prendi sempre in giro quando viene in infermeria, e lui è sempre imbarazzato.»

Angel ridacchiò piano. «Fidati, non è sempre così imbarazzato. Tornando a te e a Leo... Lui è etero.»

«Lo so.»

«Questo non è un problema?»

«Spero di no.»

«E se la sua ex decidesse di tornare al Campo, e di riconquistarlo? Infondo loro due hanno un figlio, e per i figli si fa qualsiasi cosa.»

«Leo non può rovinarsi la vita solo per il bene di suo figlio. Se fossi in lui, farei molta attenzione prima di rimettermi con la mia ex. Ma... se provassero ancora qualcosa l'uno per l'altro... mi tirerò indietro.»

Angel gli diede una pacca sul braccio.

Will fece una smorfia e posò la testa sul tavolo.

«Angel.» mormorò a bassa voce, e il fratello si chinò su di lui. «Credo di essermi innamorato di lui.»

Angel si era aspettato una rivelazione del genere. Passò le dita tra i capelli di Will, sporcandoli un po' di sugo, e si affrettò a ripulirli con il tovagliolo.

«È una cosa impegnativa da dire, questa.» disse Angel.

«Lo so, ma sto così bene quando sono in sua compagnia...»

«Da quanto tempo vi frequentate?»

«Non lo so... Abbiamo fatto sesso la notte scorsa, e abbiamo bevuto insieme qualche birra.»

«Be', un po' troppo presto per dire che sei innamorato di lui, no?»

Will si strinse nelle spalle. Non riusciva mai a capire i suoi sentimenti. Era rimasto quell'adolescente spensierato alla sua prima cotta, al suo primo amore. Non voleva essere così frivolo come il suo padre divino.

«Ah, Angel, perché siamo figli di Apollo?»

«Preferivi essere figlio di Afrodite?»

«Dei del cielo, no.»

«Bene. Ora andiamo a fare surf, a quest'ora ci saranno delle onde pazzesche, e non le voglio perdere.»

 

 

Nina si sedette ai piedi del letto di Leo, accendendosi una sigaretta. James era nell'altra sala con gli zii più piccoli, e stava giocando con i dinosauri.

Nina osservò il fratello dormire, rannicchiato, senza coperte. Quella volta si era ricordato i boxer, e Nina intravide un livido sul fianco. Lo studiò a lungo, poi prese il caffè. Tolse il coperchio, soffiandoci sopra per raffreddarlo, e Leo spalancò un occhio.

«Caffè?» borbottò, mettendosi seduto.

«Manco fosse droga.» disse Nina, richiudendo il coperchio. «Come ti senti?»

«Mmmm.»

Leo si mise seduto, afferrò la tazza di caffè e ne bevve un sorso. Era caldo e piacevole. Tenne gli occhi chiusi mentre beveva, e tese le mani verso la sorella, facendosi passare la sigaretta.

«Che bel risveglio.» disse Leo, aprendo gli occhi e facendo un tiro dalla sigaretta ormai quasi finita.

«Hai sempre sognato di fumare e bere un caffè appena aperto gli occhi?» chiese Nina.

«Sì. Sono cose banali a cui nessuno pensa. C'è anche una brioche vero?»

«Sì.»

«Oddei, ti sposerei, se non fosse proibito e se non mi facesse schifo.»

Nina sorrise leggermente, e lo guardò finire la sigaretta. Leo si stese tenendo il bicchiere in bilico sugli addominali, e guardò il lettino del figlio.

«James?» chiese.

«Con Sid e Jack, giocano.»

Leo annuì, stiracchiando le braccia.

«Leo.» disse Nina, guardandolo seria. «Chi ti ha fatto quel livido?»

«Quale livido?» mormorò Leo, alzando un sopracciglio.

«Sul fianco destro. Hai un livido. Piuttosto grosso.»

«Oh... Non è nulla.» Leo alzò le spalle.

«Non è nulla? Scherzi? Non mi sembra affatto nulla. Te lo sei fatto ieri in fucina?»

«No. Ieri non sono andato in fucina.»

«Vero... Cosa hai fatto? So che sei uscito ieri a pranzo, me lo ha detto James.»

Leo si accese un'altra sigaretta, non guardando la sorella.

«Con chi sei uscito?» chiese Nina, fissandolo torva. «Non mentirmi. E se ci provi, ricordati che io lo capisco.»

«Nina, sono uscito con Will.»

«Ah.» La sorella lo guardò sorpresa. «Dove avete pranzato?»

«Ad un ristorante giapponese.» mormorò Leo.

«Conosceva i tuoi gusti?»

«Aveva già prenotato, ma prima mi aveva chiesto se mi piacesse.»

Nina annuì leggermente, e indicò il fianco. «E quello come te lo sei fatto? Ti ha sbattuto da qualche parte?»

Leo avvampò e si passò le dita tra i capelli. «Ora non ti arrabbiare se ti dico una cosa.»

«Se lo dici con questo tono, mi arrabbio. E molto. Fai in fretta.»

Leo lanciò un'occhiata alla porta chiusa. «Ho fatto sesso con Solace.» sussurrò.

Nina sgranò gli occhi e per qualche secondo non riuscì a trovare nulla di sensato da dire.

«Com'è Solace a letto?» chiese infine Nina, curiosa. «Ce lo domandiamo tutte.»

Leo scoppiò a ridere nervoso. «Tutte chi?»

«Tutte le tue sorelle che sanno di non avere chance con lui.»

Il ragazzo continuò a ridere per qualche minuto, poi notò che la sorella era seria e tornò in sé. «È bravo.» ammise.

«Quindi tu sei stato il passivo? Da te non me l'aspettavo proprio, fratello.»

Leo arrossì. «Era un trabocchetto.»

«E ci sei cascato in pieno.»

Leo le lanciò il cuscino. Nina lo prese e si gettò nel letto vicino a lui, prendendogli la mano tra la sua e guardandolo.

«Hai fatto sesso con un ragazzo.» gli fece notare.

«Nina, lo so, ero consenziente.»

«Cosa pensi di Solace, ora? Ti piace, o ti sei donato a lui come una dolce puttanella?»

«Mi piace, ne sono attratto, e parecchio. E questo tuo modo di parlare non mi piace affatto, cara.»

«Abituati. Sai che sono peggio di un camionista. Ora... hai bisogno di parlarne?»

«No.»

«Come è stato?»

«Ho detto no, cioè non ne ho bisogno di parlare, e se proprio devo ne parlerò con lui, non con te.»

«Quando lo avete fatto?» chiese Nina, ignorandolo. «Ieri pomeriggio?»

«No, la sera prima. Non sono rientrato.»

«Davvero? Quando sono passata eri a letto.»

«In infermeria si svegliano presto.»

Nina scoppiò a ridere. «Lo avete fatto in infermeria! Dei, che luogo triste!»

Leo tentò di lanciarle addosso un altro cuscino, senza successo, quindi si limito a tirarla giù nel letto con lui. Per qualche minuto si guardarono in silenzio.

«Come stai?» chiese Nina, seria, e Leo capì che non parlava di sesso.

«Sto bene.» annuì Leo. «Io e Will ci frequentiamo da un paio di giorni, e sono i più felici che ho passato ultimamente. Mi fa sentire bene. E non mi pento di avere fatto sesso con lui.»

«Nemmeno per il culo rotto?»

«Nemmeno per quello. Sono felice di averlo fatto con lui.» Leo si mordicchiò il labbro. «E sono felice che lui pensi lo stesso.»

«Non ti sta usando, vero?»

«No, non lo sta facendo. Lui è diverso da Calipso, Nina.»

«Allora se tu ti fidi... mi fido anch'io.»

Leo le sorrise.

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Capitolo 20
*** 19. Ah, i figli di Efesto... ***


Will stava correndo nel bosco come tutte le mattine quando vide Leo spuntare da un albero. In realtà, non spuntò. Cadde dall'albero, atterrando malamente di fronte a lui. Will considerò che, se non si fosse fermato per togliersi un ragno dai capelli, Leo gli sarebbe caduto addosso.

«Ehi.» disse Will, inginocchiandosi subito vicino a Leo. «Ti sei fatto male?»

Leo scosse la testa, e lanciò un'occhiata all'albero. Anche Will alzò la testa, intravedendo la casetta che l'altro doveva aver fatto al figlio.

«Nina!» urlò Leo, rimettendosi in piedi, e Will notò che non aveva nemmeno un graffio. «Se salgo ti ammazzo!»

Will udì una risata femminile dalla casetta e si rialzò anche lui, spazzolandosi le ginocchia.

«Mi ha spinto.» borbottò Leo, lanciando un'occhiata a Will. Erano le sette del mattino, e il figlio di Apollo indossava pantaloncini corti, t-shirt del campo e scarpe da ginnastiche. I capelli biondi erano allontanati dal volto da una fascia, e dalla maglia spuntavano due auricolari.

«Sono tre metri, non dovrebbe spingerti.» disse Will, guardando Leo a sua volta. Il figlio di Efesto indossava dei jeans sbiaditi, strappati in più punti, e una canottiera che metteva in risalto le braccia, e i tatuaggi. Una chiave inglese spuntava dalla tasca, la cintura degli attrezzi era aperta, e aveva dello sporco sul mento. Will lo trovò piuttosto attraente.

«Invece lo ha fatto.» Leo guardò Will un momento. Nina lo aveva spinto con la vana speranza che il biondino lo prendesse tra le braccia, ma non era successo. Will non aveva alzato la testa, impegnato com'era ad ascoltare la sua musica.

«Come stai?» mormorò Will, piano, guardandolo.

Leo capì che non si stava riferendo alla caduta. «Sto bene, grazie.» sorrise. Non si vedevano da due giorni, entrambi impegnati con il loro mestiere. Leo apprezzava il fatto che entrambi fossero occupati, e troppo occupati per pensare all'altro o andare da lui era meglio di presentarsi in infermeria o in fucina con qualche farse stupida.

«Mi sei mancato in questi giorni.»

Questa era proprio una di quelle frasi stupide che Leo non voleva né dire né tantomeno udire. Ma quando il figlio di Apollo aprì bocca per lasciare uscire quella frase stupida, Leo si sentì scaldare il petto.

Lui non era Calipso.

«Anche tu.» mormorò Leo.

Il figlio di Efesto si avvicinò all'altro, appoggiandosi a lui. Will lo strinse brevemente, e Leo alzò la testa, incrociando le sue labbra, baciandolo con dolcezza.

Rimasero stretti l'uno all'altro a pomiciare per qualche minuto, godendosi quel momento adolescenziale, poi si separarono. Si rivolsero un bel sorriso, e Leo posò le mani sul sedere di Will.

«Oggi pomeriggio lavori?» domandò Will, accarezzandogli la schiena, sorridendo per la mani calde dell'altro.

«Ho alcune cose da fare.» disse Leo, palpando. Aveva un sedere davvero sodo. Correre ogni mattina non gli sembrava più una cattiva idea. «Ma posso rinviare a domani.»

Will sorrise, baciandolo di nuovo. Leo gli spostò le braccia fino al collo, infilando le dita tra i morbidi capelli biondi, mentre le mani di Will gli sollevavano la maglietta sfiorandogli la pelle nuda.

«Se potete evitare di fare sesso qui, mi fareste un gran favore.»

I due sussultarono e si scostarono in fretta, alzando lo sguardo su Nina, che li osservava divertita.

«Nina...» sbottò piano Leo, arrossendo. Aveva perso il controllo.

«Ehm, ciao.» salutò Will. Anche lui aveva le guance arrossate, ma il suo sorriso era splendido come al solito. «Will Solace.»

«Nina Pope.» salutò lei di rimando. «Ora, Leo, se non devi più mettere la lingua in bocca al dottore, torna su. L'impianto idraulico è davvero debole.»

Leo annuì, e la sorella rimase a guardarli.

«Non ti ho creato qualche problema, vero?» sussurrò piano Will.

«No, lei è Nina, è apposto. Più o meno.»

«Dei, quanto ti tirerei volentieri una secchiata d'acqua ora, Valdez.»

«Adesso salgo e ti tiro un calcio, Pope.»

«Dei, voglio proprio vedere!»

Nina scomparve dentro la casetta, e Will prese la mano di Leo nella sua. Entrambi sentirono un brivido a quel contatto.

«Vuoi che resti nei dintorni? In caso vi facciate male.» disse Will, con un sorrisetto divertito.

«No, tranquillo. Se dovessimo farci male, soffriremo da veri eroi fino all'infermeria.»

Si scambiarono un'occhiata.

«Ci vediamo alle tre?» chiese Leo, sistemandogli una ciocca di capelli.

«Alle tre va benissimo. In spiaggia?» disse Will, sistemandogli la maglietta.

«Okay. Mi insegni a fare surf?»

«Con vero piacere.»

Si sorrisero, e si scambiarono un altro bacio. Poi, per evitare che entrambi restassero lì tutto il giorno a sorridersi e a baciarsi, Leo gli diede le spalle e risalì sull'albero, sparendo all'interno della casetta.

Il cuore di Will faceva le capriole mentre finiva il jogging mattutino.

 

Nina attese che il dottore se ne fosse andato prima di commentare.

«Be', mi sembra che andiate piuttosto d'accordo.»

«Oh sì, andiamo molto d'accordo.» annuì Leo, sdraiandosi sul pavimento e controllando uno dei tubi.

«Cazzo, non volevo dirlo ma mi costringi. Siete carini insieme.»

Leo sorrise compiaciuto. «Grazie.» disse. Si mise a pensare a Will, distraendosi da quello che stava facendo. Ruppe uno dei tubi, inondando se e la sorella di acqua.

«Merda!» urlò Leo, balzando in piedi.

Nina si lasciò scappare una risata. Indovinava a cosa stesse pensando il fratello.

 

Will fece una doccia veloce in infermeria, per togliersi di dosso altri eventuali ragni e il sudore dovuto alla corsa. Sorrideva come un ebete mentre di insaponava e sciacquava. Questa cosa con Leo si stava facendo veramente seria, e sempre più adorabile. Era felice di averlo incontrato.

Quando uscì dalla doccia, asciugandosi il più in fretta possibile, Will si infilò vestiti più sobri e il suo camice bianco, e si mosse tra i lettini. Ricucì una ferita ad un figlio di Ares, medicò il morso di un insetto ad un figlio di Demetra, e usò la magia per far ricrescere da zero l'unghia di una figlia di Afrodite. Qualcuno le aveva fatto un brutto scherzo, e Will, come il fratello Angel, si trattenne dal ridere.

«Sei stranamente felice oggi.» disse Angel, un'ora dopo, mentre si godevano dieci minuti di pausa, sorseggiando il caffè.

«Oggi è una bella giornata.» disse Will, scrollando le spalle, svuotando la terza bustina di zucchero nel suo caffè.

«Ti sei visto con Valdez, eh?»

Will girò lentamente il caffè. «Perché lo dici?»

«Perché sei bello pimpante. Non te ne rendi nemmeno conto, ma quando hai qualcuno con cui amoreggiare cambi del tutto atteggiamento.»

Will aggrottò la fronte e gli lanciò un'occhiata. «Cambio atteggiamento? In che senso?» domandò, confuso.

«Nel senso... Guarda quanto zucchero stai mettendo. Di solito te ne basta uno. Oggi tre.»

«Mi piace lo zucchero.» borbottò Will.

«E non ti sei nemmeno lamentato quando il figlio di Ares ti ha insultato per il dolore al braccio.»

«Il figlio di Ares mi ha insultato?»

«Già.»

Will si massaggiò le tempie, bevendo un sorso del suo caffè dolcissimo. Non si era reso conto di cambiare atteggiamento. Guardò il fratello, che continuava a fissarlo, annuendo.

«Oggi io e Leo ci vediamo.» disse Will, e Angel sorrise.

«Ecco il motivo. Ah, i figli di Efesto...»

Will sorrise dolcemente pensando a Leo. «Già, i figli di Efesto.»

 

Dopo un pranzo veloce, e un cambio di vestiti, Will si sedette su una sdraio in spiaggia, osservando il mare e sistemandosi gli occhiali da sole. Mancava un'ora al suo appuntamento con Leo. Si sarebbe goduto un po' di sole.

Dieci minuti più tardi, Will prese la tavola da surf e si gettò in acqua. Le onde erano troppo belle per non goderne almeno un po'.

Facendo surf, e pensando a Leo, Will non si rese conto del tempo che stava trascorrendo. Quando scese dalla tavola, tornando in spiaggia e asciugandosi il volto, Will notò che erano quasi le cinque. Leo era già piuttosto in ritardo.

 

«Will!»

Leo corse fino al figlio di Apollo, che sedeva a gambe incrociate sulla sabbia costruendo un castello. Era un bel castello, con le torri alte, il burrone che lo circondava e il ponte levatoio fermo a mezz'aria.

«Will, scusa il ritardo.» mormorò Leo, guardandolo, mordendosi il labbro.

Will gli lanciò un'occhiata. Stava sorridendo. Leo aveva pensato che sarebbe stato furioso.

«Non importa, tranquillo.» disse il biondo, facendogli cenno di sedergli vicino. «Ho trovato delle cose da fare.»

«Castelli di sabbia.» notò Leo, sedendosi. Notò che Will era in costume... difficile non notarlo. Fu tentato di toccarlo.

«Non solo quelli.» ammise Will, sorridendo, dando l'ultimo ritocco ad una finestra con una forcina per capelli. «Ho fatto surf, mi sono abbronzato un altro po', ed ecco qui il mio castello.»

Leo annuì, mordendosi sempre il labbro. Era in ritardo di quasi tre ore. Non poteva essere perdonato così in fretta.

Will posò una conchiglia come ornamento del castello, e si voltò a guardarlo. I suoi limpidi occhi blu fecero battere forte il cuore di Leo.

«Come mai il ritardo?» chiese. «Sei dovuto andare in fucina?»

«Ehm, no.» Leo si passò le dita tra i capelli. «Stamattina ero nella casa sull'albero, e si è rotto un tubo dell'acqua. Nina è dovuta correre in cabina a cercare un altro tubo per sostituirlo, e nel mentre l'acqua ha rovinato tutto l'interno della casetta. E ho rotto tutta la casetta. Dopo che io e Nina ne abbiamo parlato, sono andato da solo nel bunker e ho creato nuovi disegni per la casa. E ho perso la nozione del tempo.»

Will annuì lentamente. «Capito.»

Leo lo guardò. «Sei arrabbiato?»

«Perché dovrei esserlo?»

«Sono in ritardo di tre ore.»

«Hai avuto da fare.»

«Ti lasci mettere in secondo piano così, senza nemmeno lamentarti?»

Leo pensò che, forse, non erano fatti per stare insieme.

«No.» Will tornò a guardarlo con i suoi begli occhi magnetici. «Non mi lascio mettere così in secondo piano. Se si fosse trattato di altro sì, mi sarei lamentato, e probabilmente ti starei tenendo il muso. Ma ti stavi occupando della casetta sull'albero di tuo figlio. E posso accettare di essere al secondo piano per lui. Anche perché non accetterei di essere il primo.»

Leo rimase in silenzio a guardarlo.

«Però non voglio che utilizzi questa scusa per arrivare sempre in ritardo.» continuò Will, sdraiandosi sulla sabbia, mettendo le mani dietro la testa e osservandolo sorridendo. «Devi sempre dirmi la verità per quando arrivi in ritardo.»

«Tu farai lo stesso?»

«Certamente.»

Leo annuì. «Okay.» Si chinò su di lui per baciarlo, posandogli una mano sul petto nudo. «Sei fantastico. Davvero.»

«Anche tu.» Will lo baciò di nuovo, e Leo si lasciò trasportare.

Si strinsero per qualche minuto, continuando a baciarsi, e alla fine fu Will a separarsi.

«Ehi.» mormorò, accarezzandogli le guance. «Andiamo a cenare?»

Leo annuì. «Fuori dal Campo?»

«Sì, dove vuoi.»

Leo riprese a baciarlo, poi si alzò in piedi, tendendogli la mano. «Spero ti piacciano i fast food. Io potrei vivere di fast food.»

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Capitolo 21
*** 20/21. Mi rendi pazzo ***


Will spinse il resto delle sue patatine verso Leo. «Sono pieno.» ammise.

Leo alzò un sopracciglio. «Hai mangiato solo un panino, e una manciata di patatine.»

«E l'hotdog. Il frullato al cioccolato. E la banana split.»

«Era solo l'antipasto.» disse Leo, scrollando le spalle, finendo le patatine di Will.

«Antipasto.» ripeté Will, appoggiandosi allo schienale, osservandolo divertito. «Hai una strana idea di antipasto.»

«Può darsi.» ammise Leo, posando il pacchetto vuoto e bevendo la sua Coca-Cola. «Avevo fame. Ho saltato il pranzo.»

«Okay, ma non ti devi abbuffare a cena.»

«Mi stai controllando?»

«Posso farlo?»

Leo finì di bere la Coca-Cola continuando a guardare l'altro negli occhi. «Secondo te?» chiese.

«No.»

«Bravo dottore.»

Will scosse la testa, scoprendo di sorridere, e si guardò attorno. Il McDonald's era affollato. C'erano almeno una decina di famiglie sparse per il locale, e Will si ritrovò a sorridere nel vedere i volti paffuti dei bambini di tre anni intenti a mangiare patatine e bocconcini di pollo.

«Credo che mi ordinerò un altro panino.» disse Leo, attirando di nuovo l'attenzione di Will su di lui.

«Scherzi?»

«Sì... Mi prenderò un gelato. Quello con gli smarties.»

Will annuì e, quando Leo si alzò in piedi, si domandò dove mettesse tutta quella roba. Leo gli scompigliò i capelli mentre passava, e Will si voltò a guardarlo. Gli tenne gli occhi incollati addosso per tutto il tempo, e quando lo vide tornare gli sorrise.

«Questo è abbastanza?» domandò Will, curioso, mentre Leo si sedeva davanti a lui.

«Forse.» annuì Leo, prendendo una cucchiaiata. «Ne vuoi un po'?»

Will scosse la testa, e andò a buttare via i vassoi. Quando tornò, Leo era in piedi, pronto ad andarsene.

 

Uscirono dal locale, in silenzio. Will sorrise guardandosi attorno, ammirando la città. Leo continuò a mangiare il gelato osservando l'altro.

«Sicuro di non volerne?» disse Leo.

«Sì.»

Leo gli infilò in bocca a tradimento una cucchiaiata. Will strabuzzò gli occhi, poi rise.

«Mi induci ad aprire la bocca e mi cogli di sorpresa con il gelato. Chissà cosa altro potresti fare.» disse Will, pulendosi le labbra.

Leo fece un sorrisetto malizioso. «Posso fare altre cose, in effetti.»

Will gli lanciò un'occhiata. «Tipo?»

«Lo scoprirai più avanti.» ridacchiò Leo, finendo il gelato, ed entrando in un supermercato.

 

Un'ora dopo erano seduti nella spiaggia del Campo, bevendo una birra a testa. Stavano parlando della serata, e Will appoggiò la testa sulla spalla dell'altro. Leo gli prese la mano, la mise in confronto alla sua.

«Usciamo anche domani?» chiese Will, dandogli un lieve bacio sul collo.

«Certo.» annuì Leo. Al tocco delle labbra dell'altro ebbe un brivido. «Andiamo al cinema.»

«Non vado spesso al cinema.»

«Andiamo a vedere qualche film divertente, o un horror.»

Will annuì, e Leo gli posò la mano sulla guancia, baciandolo. Will lo strinse a sé, e Leo si spostò per sedersi sopra di lui. Gli passò le dita tra i capelli, poi scese fino all'orlo della maglia. La sollevò, e Will se la lasciò togliere senza problemi.

«Lo hai mai fatto in spiaggia?» mormorò Leo, mordicchiandogli il labbro, e lasciando cadere la maglia a pochi metri da loro.

«No.» sorrise Will, passandogli le mani sulla vita e sollevandogli la mano, accarezzandogli gli addominali. «Sono uno di quelli idioti che preferisce il letto.»

«Davvero?» ridacchiò Leo, baciandolo sul collo e la gola. «Non lo avrei mai detto, dalla volta scorsa.»

Will socchiuse gli occhi mentre Leo gli mordicchiava la gola, e risaliva alle sue labbra. Riprese a baciarlo, poi lo spinse disteso sulla sabbia.

Leo si guardò attorno velocemente. Non si vedeva nessuno. In spiaggia non c'era mai nessuno, a quell'ora.

Will si rimise seduto, ritrovando le sue labbra, e riprendendo a baciarlo.

«Dei, perché..?» borbottò Leo, spingendolo di nuovo giù e sdraiandosi sopra.

«Cosa?» mormorò Will, accarezzandogli la schiena e posandogli la mano sul sedere.

«Perché sei così sexy?»

Will fece un altro sorriso, arrossendo leggermente sulle guance, e Leo lo baciò lungo il petto. Will lo aiutò a slacciarsi i jeans, abbassando i boxer. Si ritrovò nudo sulla sabbia, ma sotto lo sguardo di Leo non se ne vergognava.

Leo lo ammirò con lo sguardo, poi riprese a baciarlo lungo il petto, sentendo il cuore aumentare di battiti. Si soffermò sulla pancia, non sapendo se proseguire o fermarsi. Non voleva rinunciare, però, a tutto quello.

«Leo, non sei obbligato.» mormorò Will, notando la sua esitazione.

«Ma voglio farlo.» rispose Leo, lanciandogli un'occhiata, prima di abbassarsi sul corpo del biondo e baciandolo lungo il sesso.

Will chiuse gli occhi, trattenendo un gemito di piacere. Leo gli passò la lingua sulla punta, trovandolo decisamente strano. Di solito veniva fatto a lui, non il contrario.

Leo lanciò un'altra occhiata a Will, poi aprì di più la bocca e accolse Will dentro di sé. Lo sentì gemere, e il cuore di Leo riprese a battere ancora più forte, sentendo l'eccitazione di entrambi.

Iniziò a roteare la lingua attorno alla punta, cercando di non usare i denti, e di mantenere un buon ritmo. Con le dita gli accarezzò le cosce, poi le natiche, e infine lo penetrò con un dito.

Will si morse la lingua per non urlare, e aprì di più le gambe. Forse Leo non era abituato a quel genere di cose, ma gli stava venendo benissimo.

Leo aggiunse un secondo dito, aumentando la velocità con la lingua, e sentì Will gemere di piacere. Quel suono gli piacque più di quello che stava facendo.

Sentì le dita di Leo tra i suoi capelli, e Leo si scostò da lui, sollevandogli il bacino. Si guardarono un momento negli occhi, poi Leo si abbassò jeans e boxer e lo penetrò con un colpo solo.

«Ah!» esclamò Will, inarcando la schiena e muovendo il bacino.

«Ti ho fatto male?» chiese Leo, preoccupato, restando fermo dentro di lui.

Will gli posò le mani sulle spalle. «No.» mormorò, sorridendo, e Leo ricambiò il sorriso.

 

Leo iniziò a muoversi lentamente, lasciando che l'altro gli si aggrappasse addosso. Will gemette al movimento, passandogli le dita sulle scapole, premendo le dita sulla pelle del ragazzo.

Will ansimava e Leo si spinse più a fondo per baciarlo. Le dita del biondo gli si conficcarono nella pelle, e ricambiò il bacio di Leo.

Si mossero insieme, baciandosi a lungo, gemendo sulla pelle dell'altro.

Leo gli passò le dita sul sesso, e iniziò a toccarlo, cercando di andare a tempo con i suoi movimenti. Will gli passò le dita sulle natiche, sfiorandogli l'orifizio, e Leo lo morse sul collo. Will gli lasciò un graffio sulla schiena mentre ansimava sempre di più, e disse il nome del moro quando giunse all'orgasmo.

Leo riprese a baciarlo sulle labbra, accarezzando il suo petto scosso dai brividi di piacere. Gli leccò il labbro, continuando a muoversi in lui.

 

Il figlio di Efesto impiegò qualche minuto in più ad arrivare al suo orgasmo, premendosi sull'altro il più possibile. Si baciarono, entrambi ricoperti di sudore, i corpi scossi dal piacere, ricoperti di sabbia.

«Dei.» mormorò Leo, uscendo dal corpo del figlio di Apollo, accarezzandogli le guance e baciandolo.

«È stato splendido.» disse Will, mordicchiandogli il labbro.

Leo sorrise, scostandosi dalla fronte un ricciolo. Non sapeva bene cosa dire, a parte ripetere quanto fosse stato piacevole e intenso.

Rimasero in silenzio a guardarsi, sorridendo, poi Leo riprese a baciarlo.

«Voglio dormire con te questa notte.» disse Will, guardandolo negli occhi. «Se è possibile.»

Leo pensò alla sua camera nella cabina di Efesto. Suo figlio dormiva con lui. Scosse la testa.

«Da me no.» mormorò.

Will pensò a suo fratello Austin che ancora dormiva nella stanza con lui, e sospirò.

«Nemmeno da me.» disse.

Leo gli accarezzò la guancia. «E la tua camera in infermeria?» chiese. «Non siamo stati disturbati la prima volta.»

«Va bene.» sorrise Will.

Cercarono i loro vestiti, e Leo si infilò la maglia dell'altro, ignorando la sua leggera protesta. Will si strinse a lui, a torso nudo, e Leo aumentò la temperatura del suo corpo.

«Dei, è meraviglioso!» esclamò Will, tenendolo stretto a sé. «Decidi la tua temperatura.»

«Nei limiti consentiti, naturalmente.» ridacchiò Leo, stringendolo a sua volta.

 

Quando arrivarono in infermeria, ormai non c'era più nessuno. I due andarono subito nel bagno, chiudendosi all'interno. Leo lanciò un'occhiata alla vasca, spogliandosi, e seguì Will nella doccia.

«Ho sabbia ovunque.» disse il figlio di Apollo, accendendo l'acqua.

«Anch'io.» disse Leo, prendendogli le mani e posandogli le labbra sul petto, poco sopra il capezzolo. Lo baciò e lo mordicchiò fino a lasciargli un vistoso succhiotto.

«Ehi, ehi.» ridacchiò Will, non facendo nulla per liberarsi le mani. «Non ti è bastata la spiaggia?»

«Non molto. Tu... mi rendi pazzo.»

«Lo prendo per un complimento.»

«Lo è.»

Will sorrise e lo baciò. Leo ricambiò, lasciandogli le mani e posandogliele sulle natiche.

«Posso farti un altro complimento?» mormorò Leo sulle sue labbra.

«Tutti quelli che vuoi.» sorrise Will a sua volta, guardandolo negli occhi.

«Hai un culo fantastico.»

Il figlio di Apollo rise. «Anche tu piccolo.»

«Non mi chiamare piccolo. Piccolo sei tu. Anche se non hai nulla di piccolo.»

«Ci sei tu, però.»

Leo lo guardò. «Sono piccolo?»

«Solo di altezza.» ridacchiò Will, e Leo si strinse a lui, sorridendo.

*******

Leo si era addormentato per primo, mezzo appoggiato al suo petto. Will gli accarezzò i capelli. Era assonnato, ma non riusciva ad addormentarsi.

Il figlio di Efesto lo rendeva felice, e Will era sicuro che non se ne fosse nemmeno accorto. Avevano passato un'altra bella serata insieme. E non faceva una colpa all'altro per essere arrivato in ritardo. Forse era una reazione da sempliciotto, ma Will non era uno che si arrabbiava facilmente. E sapeva che Leo avrebbe sempre messo al primo posto suo figlio. Non era uno stupido.

Continuò ad accarezzargli i capelli, pensando alla spiaggia. Era stato bello fare l'amore con lui sulla spiaggia, sebbene la sabbia ovunque, e il dolore alla schiena che avrebbe avuto il giorno seguente. Leo aveva agito di testa sua, e non era andata male, sebbene fosse la seconda volta che faceva l'amore con un uomo.

Stavano dormendo nudi, e Will gli accarezzò la schiena, sfiorandogli il sedere. Leo borbottò qualcosa nel sonno, rigirando piano la testa, e Will gli diede un bacio sulla tempia.

«Buonanotte, piccolo.» sussurrò, contemplandolo, prima di addormentarsi.

 

Leo si svegliò prima del biondo, e rimase qualche minuto ad ammirarlo. Quando dormiva Will sembrava un angelo.

Leo gli accarezzò le guance, sperando di non svegliarlo, e gli baciò delicatamente le labbra. Aumentò la sua temperatura, e vide Will sorridere. Gli posò una mano sulla schiena, e Leo sorrise.

Will si svegliò dopo qualche minuto, e in silenzio rimasero ad osservarsi.

«Giorno.» mormorò Leo, baciandolo piano.

«Buongiorno.» sorrise Will, stringendolo e ricambiando il bacio.

Leo venne spinto sul materasso, e d'istinto passò le braccia attorno al collo dell'altro. Si baciarono con passione, ignorando le molle del letto, sfregando i loro sessi l'uno sull'altro.

«Aspetta.» mormorò Leo, lanciando un'occhiata alla porta. La sera prima l'aveva chiusa a chiave, e per totale sicurezza aveva infilato una sedia sotto la maniglia. «Il letto fa troppo rumore.»

Will gli mordicchiò il labbro. «Già.»

Si guardarono un momento, poi lanciarono un lenzuolo sul pavimento. Will si sedette, con la schiena appoggiata al letto, e Leo prese posto sopra di lui. Continuarono a baciarsi con energia, come se volessero divorare la bocca dell'altro, e Will lo penetrò con due dita.

Leo gli conficcò le dita nelle spalle, continuando a baciarlo e lasciandosi scappare un solo gemito. Mosse il suo corpo a ritmo con le dita di Will, ansimando. Quando Will tolse la mano, Leo gli pompò per qualche secondo il sesso, già pronto, poi lo guidò alla sua apertura. Cercò di rilassare i muscoli e si lasciò penetrare, conficcando sempre di più le dita nell'altro.

«Se il risveglio sarà sempre così...» ansimò Will, baciandolo, muovendosi dentro di lui, «...dovremo dormire molto di più insieme.»

«Ah, goditi questo e sta zitto.» mormorò Leo, riprendendo a baciarlo con violenza, muovendosi su di lui.

«Non preoccuparti, ti godo.» rispose il figlio di Apollo, posandogli le mani sui fianchi e aiutando il movimento.

«Oddei!» esclamò Leo, e Will si affrettò a soffocare l'esclamazione nella sua bocca. Leo ansimava forte. «Will, quel punto...»

Will annuì, continuando a muoversi in quella direzione, e dopo pochi minuti Leo venne trattenendo un urlo di piacere. Will continuò, baciandolo, il cuore a mille, finché non giunse anche lui all'orgasmo.

 

«Cazzo.» disse Leo, dopo cinque minuti, sollevandosi di qualche centimetro per far togliere Will da lui. «Questo...»

«È stato il miglior risveglio di tutta la mia vita.» finì per lui Will, guardandolo negli occhi. Aveva le guance arrossate, la pelle e gli occhi luminosi.

Leo lo baciò. «Anche il mio.»

Si strinsero l'uno all'altro, poi Will si sollevò con un colpo di reni, tenendo Leo tra le braccia. Il figlio di Efesto circondò la vita dell'altro con le gambe, aggrappandosi a lui come un koala.

Per fortuna di entrambi, quella camera aveva un piccolo bagno adiacente, con un'unica porta. Leo guardò il tutto da sopra la spalla di Will, che lo reggeva con una sola mano.

«Ho tanta voglia di un bagno.» disse Leo, mordicchiandogli la spalla.

«Qui non c'è la vasca, piccolo.»

Leo storse il naso. «Piccolo non mi piace. Mi sa tanto di offesa.»

«Mmm... che ne pensi di Ricciolo?» disse Will, portandolo dentro la doccia, e chiudendo le porte scorrevoli.

«Penso che sia ancora più offensivo dell'altro.» Leo scese da lui. «Mi fa sembrare uno dei 7 Nani.»

«Piccolo e Ricciolo, i due nani in più.»

«Will...»

Il figlio di Apollo ridacchiò. «E come posso chiamarti?»

«Leo.»

«Ma Leo è il tuo nome, nulla di affettivo.»

«Mmm ci penso.»

Will annuì, lavandogli la schiena e il corpo, e lasciando che l'altro facesse altrettanto. Avevano entrambi voglia di rifarlo, ma si trattennero: la doccia riusciva a malapena a contenerli entrambi. Qualche movimento brusco l'avrebbe distrutta.

«Sono di turno fino alle tre.» disse Will, uscendo per primo dalla doccia e portandogli un asciugamano giallo canarino.

Leo accettò l'asciugamano senza lamentele.

«Ci vediamo alle quattro?» chiese Leo, guardandolo.

«Va bene.» Will si sfregò con forza l'asciugamano sui capelli. Quando lo tolse, sembrava aver messo il dito nella presa elettrica.

Leo rise divertito, e il biondo lo ignorò.

«Ehi.» disse Will, lanciandogli un'occhiata mentre tirava fuori dei vestiti puliti dal cassetto. Perlopiù erano arancioni del Campo Mezzosangue.

«Ehi?» ripeté Leo, appoggiandosi al lavandino e osservandogli il sedere.

«Se andiamo al cinema, pensavo... che potresti portare anche James.»

Il cuore di Leo ebbe un sobbalzo. Eccoli arrivati all'argomento che non voleva affrontare.

«E perché?» domandò Leo, guardingo.

«Be', andiamo al cinema a vedere un film, mi sembra un po' ingiusto non portare tuo figlio con noi.»

«Solo per questo?»

«Leo, non ho doppi fini.»

Leo si mordicchiò il labbro. «Sicuro?» insistette.

Will sospirò leggermente, avvicinandosi a lui. «Sicuro.» gli disse. «Non voglio che tu affretti le cose con tuo figlio. Non voglio che tu gli dica "Ehi, James, lui è il mio nuovo fidanzato!". Non sono scemo, so che le cose non vanno in questo modo. So che ci vorrà del tempo, e non ho intenzione di affrettarlo.»

«Allora perché mi chiedi di portare James al cinema con noi?»

«Possiamo far finta di essere solo amici per un giorno.»

«Non lo so...»

«Leo, possiamo farlo. A me dispiace lasciarlo alle cure dei tuoi fratelli tutto il giorno. Non voglio rubargli il padre.»

«Quindi pensi che sia meglio che usciamo tutti e tre insieme come... una coppia felice?»

«No, solo che usciamo insieme come due amici, e con il figlio di uno di questi. Nient'altro. Nessun oscuro doppio senso. Niente di niente.»

Leo aprì il cassetto e cercò qualche vestito. Trovò una maglia del Campo e un pantaloncino di Will che gli arrivava alle ginocchia. Quando finì di vestirsi, si voltò verso l'altro, che lo osservava serio.

«Ci penso.» disse solamente. Non gli piaceva molto che Will avesse pensato a suo figlio prima di lui.

«D'accordo.» annuì Will, vestendosi a sua volta, e Leo gli posò una mano sul fianco.

«Lo sai che se lo portassimo, si siederà tra di noi? E che se avessi voglia di limonarti durante la pubblicità, lui lo bloccherebbe?»

«Lo so, Leo. Ma... penso che sia il caso che James inizi ad abituarsi a me, se... se non è un problema. E se io e te decidessimo di essere realmente una coppia, prima o poi dovrà farlo.»

«Non ti comporterai da stronzo come sua madre, vero?»

«Spero di no.»

«Ci penserò.» ripeté Leo, prendendo la sua giacca, e togliendo la sedia dalla porta. «Ci penserò. Saprai la mia decisione quando ci vedremo vicino alla tua cabina.»

«Certo.» Si avvicinò a Leo per dargli un bacio di saluto, e lo guardò uscire dalla stanza senza aggiungere un'altra parola.

Will si tardò a riordinare la sua camera da letto, pensando se avesse fatto bene a dire quelle cose a Leo. Intendeva fare sul serio con il figlio di Efesto, e sperò che anche Leo intendesse fare lo stesso con lui.

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Capitolo 22
*** 22/23. Fuori con il dottor Solace ***


Leo pensò per tutto il tragitto fino alla sua cabina cosa fare con James. Will aveva avuto ragione con quella frase.

A me dispiace lasciarlo alle cure dei tuoi fratelli tutto il giorno.

Dei, perché non ci aveva pensato lui? Infondo era il padre di James, non il forse fidanzato del padre! Forse Will, con la sua bellezza, lo aveva folgorato, e fatto dimenticare le sue mansioni come padre. Non andava bene. Non andava affatto bene.

Quando entrò in cabina, gli occhi dei suoi fratelli presenti nel salone si puntarono su di lui.

«Leo non ha dormito qui, e rientra con l'aria soddisfatta.» disse Paul, sorridendo. «Scommetto cinque dracme che ha fatto sesso.»

«Non ha i vestiti di ieri sera, quindi io scommetto che è solo uscito presto.» disse Jared, tirando fuori una decina di dracme.

«Sono vestiti del Campo, può averli trovati in qualsiasi cabina.» sbuffò Jess, fissando Leo.

«James non si è lamentato perché il padre non c'era, quindi sono dell'opinione che ha dormito qui con lui.» disse Mike, sedendosi in braccio a Jared, che lo spinse via in fretta.

«James si è addormentato sul divano ieri sera, ovvio che non si è lamentato.» sbuffò Paul, scuotendo la testa.

Nel mentre, Leo era arrossito fino a diventare color peperone. Saltellò da un piede all'altro, con la vana speranza che i suoi fratelli la smettessero di parlare così tranquillamente della sua vita sessuale.

«Dov'è James?» chiese Leo a Steve, abbassandogli il fumetto.

«Al campo di fragole con Nina e Butch.» disse Steve, guardandogli la mano. «Non sei rientrato ieri sera.» aggiunse, abbassando la voce.

«Steve, proprio tu, stati zitto.» rispose Leo, uscendo in fretta dalla cabina mentre i suoi fratelli iniziavano a litigare sulle cose presunte fatte da Leo quella notte.

Il figlio di Efesto si diresse al campo di fragole, e individuò James sulla gambe di Butch mentre Nina passava loro le fragole. Per qualche minuto rimase in disparte a guardarli: James sembrava davvero felice con loro, in una famiglia.

Mentre Nina passava una fragola a Butch, James spostò lo sguardo felice e vide suo padre.

«Papa!» urlò, saltando via dalle braccia di Butch e correndogli incontro.

Leo sorrise e allargò le braccia, e il figlio gli saltò addosso. Mentre si stringevano forte, Leo ebbe una fitta ai fianchi. Ecco che il piacere del sesso mattutino scompariva di botto.

«Papa?» mormorò James, notando la sua smorfia, e Leo fece un sorriso a trentadue denti.

«Sto bene, piccolo.» disse, accarezzandogli i capelli. «Ti stavi divertendo con lo zio Butch?»

James annuì entusiasta, e Leo lo portò dagli altri due. Erano una bella coppia. Non si scambiavano mai effusioni in pubblico, e potevano anche non vedersi per giorni. Nessuno dei due avrebbe ferito l'altro.

«Ciao Leo.» sorrise Butch, alzandosi in piedi. Era sempre più alto e grosso di lui, con i capelli scuri sparati in tutte le direzioni.

«Ciao Butch. Ti vedo in forma.» Leo fece scendere James, che tornò a sedersi mangiando le fragole dal cestino di Nina.

«Mi tengo in allenamento tutti i giorni. Tu invece... sempre al lavoro?»

Leo annuì, accarezzando i capelli del figlio, e accettando una fragola. Mentre se ne gustava una particolarmente rossa, Leo si rese conto che non aveva mai fatto colazione con Will, nelle due mattine che si era svegliato in sua compagnia.

Nina lanciò un'occhiata al fratello, notando il cambiamento sul suo viso. Gli punzecchiò la guancia con un dito, e dopo tre tentativi Leo la morse.

«Ahi!» esclamò Nina, massaggiandosi il dito morso. «Sei proprio uno stronzo.»

«Lo so.» Leo fece spallucce, e Nina gli spiaccicò una fragola in testa.

«Ecco, ora sei più carino.» gli fece la linguaccia Nina, balzando in piedi e cominciando a correre.

Leo guardò Butch. «Guardi James?» chiese.

«Sì, tranquillo. Vai.»

Leo balzò in piedi e seguì la sorella correndo come mai aveva fatto prima. Quando la raggiunse, la placcò, rotolando insieme per qualche metro e bloccandola al terreno.

«Presa!» disse Leo, trionfante, chiudendole bene i polsi.

Nina alzò un ginocchio colpendolo all'inguine. «Prese!» ridacchiò.

Leo scivolò sul fianco, borbottando imprecazioni contro tutti gli dei possibili, e guardò la sorella alzarsi in piedi spazzolandosi i vestiti. Gli sorrise.

«Scusa per il doppio colpo.» disse.

«Non credo alle tue scuse.» rispose Leo, frustato e indolenzito.

«Devi, però, perché sono piuttosto sincere.»

Leo non voleva credere alla sorella, che dopo qualche secondo gli scoppiò a ridere in faccia. Sbuffò piuttosto sonoramente, e si mise seduto, mentre il dolore piano piano passava. Almeno non era stato un colpo forte.

«Cosa hai fatto questa notte?» chiese Nina, sedendosi ad un metro da lui, osservandolo. «Non sei tornato in cabina.»

«Io...» mormorò Leo, scoprendo di poter ancora arrossire. «Ho dormito fuori.»

«Fuori con il dottor Solace? Nemmeno lui ha dormito nel suo letto.»

Leo le scoccò una rapida occhiata. «Come fai a saperlo?» borbottò.

«Ho casualmente incontrato Angel questa mattina e gliel'ho chiesto. Lui dice che spesso Will dorme nella sua camera in infermeria, dopo un lungo turno, o quando non ha voglia di tornare in cabina a sentire Austin russare.»

Leo sorrise leggermente, e Nina lo osservò.

«Oppure quando ci sono messicani calienti con il quale passare la notte.» aggiunse la ragazza, tranquilla, e il fratello divenne paonazzo.

«Non dire queste cose.» brontolò Leo.

«Hai paura che James possa sentirti? O perché ho detto una cosa vera, e te ne vergogni?»

L'altro non rispose, provando ad ignorarla.

Nina soffocò una risatina, guardando gli alberi attorno a loro. «Ti vergogni di essere stato con lui?»

«No, affatto.»

«Allora perché non me ne parli?»

«Perché... non capisco ancora bene cosa siamo.»

«Quante volte avete fatto sesso? Non guardarmi in quel modo, significa molto per una relazione!» aggiunse in fretta, mentre il fratello la guardava in modo assassino.

«Davvero? Comunque, tre volte.»

«Tre volte... Be', secondo me siete una coppia a tutti gli effetti. Ora devi solo dire in giro che hai un ragazzo, che hai scoperto che ti piacciono i ragazzi.»

Leo si passò le dita tra i capelli. «Ma a me non piacciono i ragazzi in generale, Nina. Mi piace solo Will.» mormorò.

Nina lo guardò ancora un momento, poi sorrise. «Sono felice per te, Leo.» gli disse, prendendogli la mano. «Molto felice per te.»

Leo si stese a guardare il cielo, sorridendo tra sé, poi ricordò che doveva dire alla sorella una cosa importante, e si rimise seduto di colpo.

«Nina.» disse, serio, guardandola. «Ho un problema.»

«Se ti lamenti per il dolore al lato b, io non posso farci nulla. Chiedi al tuo dottore, magari.»

Leo inspirò profondamente decidendo di ignorare quest'ultima parte della conversazione, e riprese.

«Will vuole che porti James al cinema con noi.» disse, torcendosi le dita. Lo aveva visto fare al dottore, e si sforzò di farla finita.

Nina si mordicchiò il labbro. «E il problema è che Will vuole portarti a vedere un film vietato ai minori? O vuole andare in un cinema gay? Ci sono stata in un cinema gay, i film sono molto spinti.»

Leo alzò un sopracciglio. «Perché sei andata in un cinema gay?»

«Quello che faccio nella mia vita privata non deve interessarti, Leo Valdez.»

«Allora tu, Nina Pope, smettila di rompere le palle parlando della mia vita sessuale con Will.»

«Okay okay.»

Leo si accese una sigaretta, e ne passò una alla sorella.

«Qual è il problema, dunque?» chiese Nina, facendo un breve tiro e guardandolo.

«Il problema... è uscire tutti e tre insieme. Come un'allegra famigliola. Mentre io e Will ancora non sappiamo cosa siamo, e James non ha idea che la prossima persona che gli presenterò non avrà nulla a che fare con sua madre.»

«Meglio.»

«Per te che hai vent'anni. Ma lui ne ha tre. Ha bisogno di una figura femminile nella sua vita.»

«Ci sono io.» disse Nina, scrollando le spalle. «Sono una buona figura materna.»

Per qualche minuto i due si fissarono in silenzio, poi Leo annuì lentamente.

«Un'ottima figura materna.» mormorò Leo, tentando un sorriso e sforzandosi di non scoppiare a riderle in faccia.

Nina sbuffò forte. «So di essere pessima, ma con James sono una brava zia.»

«Vero.»

«Secondo me dovresti portarlo al cinema con te e Will. Gli farà bene uscire un po'. Senza contare che Will è una brava persona, quindi non dirà nulla che potrebbe far capire a tuo figlio la possibile relazione esistente tra di voi. E, aggiungo, se le cose dovessero mettersi bene tra te e Will, è meglio che James impari a conoscerlo prima che lo presenti come il tuo ragazzo.»

Leo annuì, finendo la sigaretta. «D'accordo, seguirò il tuo consiglio. Ma se le cose con Will dovessero mettersi male...»

«...sei tu che fai continue scelte di merda, io non centro nulla.»

Leo sbuffò forte, alzandosi in piedi e spazzolandosi il retro dei pantaloni. «Grazie per le tue parole di conforto.» disse, acido.

«Ehi, sei tu che vieni da me a tuo rischio e pericolo.» rispose Nina, alzandosi a sua volta, e seguendolo fino al punto in cui si trovavano Butch e James.

 

Quando James vide suo padre tornare da lui, con i capelli ancora sporchi della fragola della zia Nina, sorrise. Gli piaceva giocare con lo zio Butch, ma suo padre era suo padre. Il suo era il papà migliore del mondo. Si alzò in piedi e gli andò incontro, abbracciandolo una seconda volta.

«Di cosa parlate?» chiese, sorridendo, e Leo gli scompigliò i capelli.

«Nulla di importante, lavoro.» rispose Leo, inginocchiandosi e dandogli un bacio. Nina li superò, andando a sedersi tra le braccia del fidanzato.

James continuò a sorridere guardando il padre, che lo sollevò in braccio schioccandogli un bacio sulla guancia.

«Ehi, più tardi vado al cinema con un... con un mio amico. Vuoi venire con noi?»

«Sììì!» esclamò James, entusiasta, dandogli un altro bacio sulla guancia. «Che fimm? Che amico?»

«Il film lo decidiamo.» disse Leo, portandolo verso la cabina di Efesto. «E l'amico... è Will Solace.»

«Ah, il dottore! Quello della caramella!» James si indicò la fronte.

Leo lanciò un'occhiata alla lieve cicatrice sulla fronte del figlio. «Sì, lui.»

«Sììì! Vengo con voi! Grazie papa!»

Leo sorrise, felice di aver dato così tanta gioia al figlio. Avrebbero passato più tempo insieme, come non facevano più da tempo. Se lo meritavano entrambi.

****

Will si sedette sulla panchina fuori dalla sua cabina, la testa girata verso la cabina 9. Era un po' spaventato all'idea di vedere James, di uscire con lui. Non aveva mai avuto l'occasione di frequentare dei bambini al di fuori dell'ospedale, tralasciando i figli della sua sorella umana che lo amavano come se fosse il loro padre.

Will si passò le dita tra i capelli, mordicchiandosi il labbro. Forse aveva fatto male a chiedere a Leo di portarlo con loro. E se non fossero andati d'accordo? Se avesse fatto qualche commento a doppio senso riferito a Leo, e James lo avesse sentito?

Si coprì il volto con le mani, cercando di calmarsi. I pensieri non lo affollavano in quel modo nemmeno prima di un esame.

 

La risata di un bambino lo fece voltare verso le cabine. Individuò subito Leo e, accanto a lui, un altro bambino con la testa riccioluta. Aveva già visto James in infermeria, ma vederlo lì, sorridente, e senza più cerotto sulla fronte, era diverso.

Will sorrise in modo automatico, alzandosi in piedi e andando loro incontro.

«Ciao.» salutò Will, fermandosi a qualche passo da Leo.

«Ciao.» salutò Leo, di rimando, lanciandogli un'occhiata. Ebbe l'impulso di saltargli al collo, e di baciarlo, ma riuscì a soffocarlo a stento. «Will, lui è mio figlio James che hai già conosciuto.»

Will sorrise annuendo, spostando lo sguardo sul bambino. Il sorriso del piccolo era luminoso quanto quello del padre, e tese la mano.

Leo ridacchiò al gesto, mentre Will si piegava per cambiare la stretta.

«Stano vederti senza camice, dottor Will.» disse James, stringendo il più forte possibile la mano enorme dell'altro.

«È bello vederti fuori dall'infermeria, James.» sorrise Will, arruffandogli i capelli e facendogli spuntare sul volto un broncio.

«No capelli.» disse James, aggrottando la fronte.

«Oh, scusa.» si affrettò a dire Will, mentre Leo soffocava una risata. «No capelli, ora lo so.»

James tenne il broncio per un'altra manciata di secondi, nei quali Will si raddrizzò. Il piccolo lo guardò con attenzione, pensando che fosse altissimo, poi riprese la mano del padre nella sua.

«Dove andiamo?» chiese Leo, sollevando il figlio e tenendolo in braccio con naturalezza.

«C'è un cinema non molto lontano da qui.» disse Will, sfiorandogli la spalla libera, e affrettandosi a tenere a freno le mani. Doveva ricordarsi che non poteva fare le sue solite cose con il bambino presente.

«Andiamo a piedi?» chiese Leo, lanciandogli un'occhiata. James continuava ad osservare Will.

«Oh no. Ho chiesto la macchina a mio fratello.»

Leo annuì. Meglio la macchina dell'andare a piedi, o in modo, con il bambino.

Will li indirizzò verso una Volvo bianca, e Leo alzò un sopracciglio nel vedere un seggiolino nei sedili posteriori.

«Tuo fratello ha figli?» chiese Leo, aprendo la portiera e sistemando dentro James.

«Oh no. L'ho messo per James.»

Leo si sedette vicino al figlio, sistemandogli la cintura, mentre il cuore gli batteva più forte. E dire che lui non ci aveva nemmeno pensato. Will doveva essere un padre molto migliore di lui.

Will si mise alla guida, e dopo qualche minuto partì, lasciando il Campo, diretto al cinema.

«Papà.» sussurrò James, e Leo abbassò la testa verso di lui. «Pecche noi no macchina?»

Leo lo guardò. «Mijo, noi abbiamo un drago.» gli ricordò.

James si posò la mano sulla bocca, gli occhi luminosi. «Figo.» ridacchiò.

Leo sorrise a sua volta, dandogli un bacio sulla guancia, e lanciò un'occhiata verso Will. Incrociò i suoi occhi nello specchietto retrovisore, e gli sorrise. Will ricambiò il sorriso.

 

Quando arrivarono al cinema, Will li fece scendere, andando a cercare da solo un parcheggio. Quando il figlio di Apollo li raggiunse, Leo e James erano ancora di fronte alle locandine, e stavano decidendo che film vedere.

«Ne avete scelto almeno uno?» domandò Will, sorridendo, guardandoli.

«Piovono polpette.» disse James.

«Le amiche della sposa.» borbottò Leo.

«Mmm... Piovono polpette mi ispira di più. Mi dispiace, Leo.» ridacchiò Will, e James sorrise vittorioso.

Leo sbuffò piano dandogli un colpetto amichevole sulla spalla, e andò a fare i biglietti. James lo seguì, lanciando di tanto in tanto un'occhiata a Will.

Will si chiese se piacesse o meno al bambino, ma continuò a sorridergli ogni volta che si girava a guardarlo.

«Biglietti fatti.» disse Leo, porgendoli al bambino, che si mise a correre verso le porte. «Will, vuoi i popcorn?»

«Li prendo io, voi andate pure a sedervi.» disse Will, affiancandolo per entrare.

«Veniamo con te.»

«Nah, andate a prendere i posti.»

Leo lo guardò un momento. «Okay. Prendi anche le Coca-Cola?»

Will annuì, rischiando di dargli un bacio prima di allontanarsi.

James corse dal padre. «Andiamo posti?»

Leo annuì e lo portò dentro la sala, cercando i loro posti. Lasciò l'ultimo a Will, mettendo James in mezzo.

«Ti piace Will?» domandò Leo, curioso, guardando il bambino.

«È altissimo!» esclamò James, guardandolo con occhi sgranati.

«Anche l'altro giorno che lo hai visto in infermeria era così alto.»

«Ma ora di più!»

Leo ridacchiò, tenendo d'occhio l'entrata. Quando vide Will arrivare, con un enorme secchiello di popcorn, e le tre bottigliette di Coca-Cola, gli sorse un sorriso spontaneo.

«Dici che è cresciuto in una settimana?» domandò Leo, facendo un cenno a Will, che si illuminò nel vederli e andò loro incontro.

«Sììì!» esclamò James, zittendosi appena Will si sedette affianco a lui.

«Vanno bene questi popcorn?» chiese Will, passando loro le Coca-Cola.

«Sei fortunato. Io e James mangiamo davvero tanto.»

«Menomale.»

Will sorrise ad entrambi, e James prese la prima mangiata di popcorn. Quando le luci si spensero, Will si sistemò sul suo sedile, e James lo tenne d'occhio finché non iniziò il film.

 

Quando il film finì, erano finiti anche i popcorn, e Will ne aveva mangiati a malapena una manciata.

James aveva riso per la maggior parte del film, accoccolandosi sul padre. Leo si era seduto al posto di James, e Will gli aveva sfiorato alcune volte la mano, trovandola sempre pronta a ricambiare. Erano semplici gesti che avrebbero dovuto evitare, sebbene fossero in una sala affollata.

«Ti è piaciuto?» chiese Will a James, appena si furono accese le luci. Fu il primo ad alzarsi in piedi.

«Molto.» annuì James, scendendo dalle gambe del padre e aspettando che Leo si infilasse la giacca per tornare a stringerlo. «Te?»

«Molto.» Will sorrise e prese la giacca e il cartone vuoto dei popcorn, andandolo a gettare.

Leo prese di nuovo il figlio in braccio e seguì Will fuori dalla sala. James però tenne gli occhi incollati sulla porta.

«Andiamo a mangiare?» chiese Leo. Come sempre, aveva una fame da lupi.

«Sì, dai. C'è un McDonald's qui vicino se vi va.» rispose Will, affiancandoli.

«Ti va bene, mijo?» chiese Leo al figlio. Di solito non lo chiamava mai così in presenza di estranei. Ma ormai Will non era più un estraneo.

Il bambino guardò il padre con le guance gonfie, e poi disse: «Voglio rivedee film.»

Leo aggrottò la fronte. «Cosa?»

«Film. Di nuovo.»

«Ma... lo abbiamo appena visto.»

«Voglio rivederlo.»

Padre e figlio si scambiarono un'occhiata, mentre Will li osservava divertito.

«Non possiamo rivedere un film appena visto.» borbottò Leo. Non aveva portato abbastanza soldi con sé, e sperava di non doverlo dire al bambino con queste esatte parole.

«Pecche no?» domandò James, facendo il broncio.

Leo si maledì per averglielo insegnato.

«Voglio rivederlo anch'io.» disse Will, spalleggiando il bambino, sorridendo a Leo. «E subito.»

James si voltò a guardarlo e gli sorrise felice. Leo annuì lentamente. «D'accordo, allora...»

«Faccio io.» disse Will, dirigendosi alla biglietteria. Si mise in coda, e dopo cinque minuti tornò con tre biglietti per il film. «Voi andate a sedervi, vado a prendere qualche panino.»

James annuì felice e prese i biglietti. Leo incrociò lo sguardo di Will, non sapendo bene cosa dire. Will a quel punto gli avrebbe volentieri dato un bacio di saluto, invece gli fece un cenno ed uscì.

 

Will impiegò venti minuti a comprare i panini e a tornare in sala. Il film era appena cominciato quando si sedette vicino a James. Passò i panini, e fu sul punto di aprirne uno quando il cellulare gli vibrò nella tasca.

Avendo lasciato il suo numero all'ospedale, pronto a tornare in caso di bisogno, Will prese subito il cellulare, rischiando di far cadere il panino. Ma non era l'ospedale a chiamarlo, o un suo fratello dell'infermeria. Gli era arrivato un messaggio da un ragazzo seduto ad un posto da lui.

Non dovevi, sai?, gli aveva scritto Leo.

L'ho fatto con piacere, rispose in fretta Will. E lanciando un'occhiata al giovane, notò che teneva il telefono in mano, in sua attesa.

Hai pure comprato la cena.

L'ho fatto con piacere.

Dopo che ho messo a letto James, ti offro la cena.

Non è necessario, Leo. Ma se proprio vuoi fare qualcosa per me, puoi definire cosa siamo io e te.

Leo lesse il messaggio in silenzio, e guardò lo schermo, riflettendo. Sorrise al figlio quando questi lo guardò, ma non osò lanciare un'occhiata a Will.

Mangiò il panino in silenzio, il cellulare in bilico sulla gamba. Guardò il display finché questo non si spense, e sospirò, chiedendosi cosa fosse meglio.

 

James si addormentò prima della fine del film, e Leo lo prese in braccio, lasciandolo dormire su di sé. Will si sedette al posto vuoto di James, guardando lo schermo e ridendo come un bambino.

Leo gli prese la mano abbandonata sul bracciolo, e la strinse in silenzio.

Quando le luci si furono accese, e la sala si fu svuotata, Will e Leo rimasero seduti uno affianco all'altro, ad osservare i titoli di cosa passare.

«Questo film è salito nella mia top ten.» disse Will, sorridendo, gettando via la carta dei panini. «È più bello di tutti quelli che ho visto finora.»

«Will.»

Il figlio di Apollo si zittì e lo guardò in attesa.

Leo si torturò un ricciolo, tenendo saldamente il figlio con l'altro braccio.

«Ho un figlio.» mormorò Leo, e Will tornò a sedersi. «Ho un figlio, e per lui farei qualsiasi cosa.»

«Lo capisco.» annuì Will, serio.

«Se fai del male a me o a lui, ti castro.»

«Non devi arrivare ad una scelta così drastica.»

«Will, sono serio. Per lui farei qualsiasi cosa. Quindi se... se il mio coming out in tua compagnia si rivelasse troppo per lui, io e te abbiamo chiuso.»

«D'accordo.» annuì Will, guardandolo. «Se tuo figlio non sopporterà il fatto di noi due insieme... ci lasceremo.»

«Ma per lasciarci dovremo stare insieme, quindi... Will, vuoi essere il mio ragazzo?»

Il tono da adolescente maldestro fece sorridere Will. Leo rimase incantato da quel sorriso, e guardò come ogni parte del viso dell'altro si illuminasse.

«Leo, sarò più che felice di essere il tuo ragazzo.» sorrise Will, e si chinò su di lui, sfiorandogli le labbra.

Leo ricambiò il bacio, stringendo James. Era da ore che voleva farlo. Gli mordicchiò il labbro, lasciando che l'altro gli toccasse i capelli, e quando si separarono, anche Leo sorrise. Come se il sorriso di Will fosse contagioso.

«Stiamo insieme.» ripeté Leo. Anche se erano due ragazzi, non lo trovava affatto strano.

«Già.» annuì Will, intrecciando le dita alle sue. «Siamo una coppia. E mi hai reso veramente felice.»

 

 

Ciao, da ora in poi unirò tutti i capitoli perché la storia si sta allungando molto :D 

Spero non vi dispiaccia troppo ^^

 

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Capitolo 23
*** 24/25. Il fiore ***


Leo passò tutta la notte a guardare il figlio addormentato nel suo lettino. Non riusciva a credere di aver detto quella frase a Will, né tantomeno che fossero diventati una coppia a quasi tutti gli effetti.

Come avrebbe spiegato ai suoi amici, un giorno che glielo avrebbero chiesto, che in compagnia di Will Solace si trovava benissimo? O che non gli importasse affatto che l'altro fosse un uomo? Anzi, gli piaceva molto più per questo. Almeno non sarebbe rimasto ore e ore fuori dal bagno in attesa che Will si preparasse.

Leo si stiracchiò e guardò la parte vuota del suo enorme letto. Lui e Will una coppia... Questo significava che avrebbe dovuto parlare con James su un sacco di cose, e tenerlo molto più spesso con i suoi zii. Avrebbe avuto bisogno di restare con Will, loro due soli, a fare cose da coppia... Soprattutto ora che la relazione si era appena avviata.

Ricordava bene il primo periodo in compagnia di Calipso. Dopo aver lasciato l'isola di Ogigia, erano partiti insieme. Avevano visitato il mondo insieme, si erano spalleggiati nel combattere i mostri sul loro cammino, e Leo aveva fatto provare all'altra un sacco di cose che per lei erano nuovissime. Erano sempre stati l'uno accanto all'altra, anche quando...

Leo ebbe un sussulto e si mise seduto, mentre piccole gocce di sudore gli ricoprivano la fronte. Un ricordo ormai lontano, quasi cancellato, gli invase la memoria. Come aveva potuto essere così stupido?

 

______**********______

Era scappata dall'isola di Ogigia ormai da sei mesi quando Calipso, guardando Leo lavorare di impegno, si ritrovò pervasa da un senso di tristezza.

Leo stava mettendo appunto una nuova arma quando sentì il suo amore, il suo raggio di sole, singhiozzare. Si voltò, pensando che la sua dolce metà si fosse ferita, ma invece era ancora seduta al tavolo da lavoro, con le maniche rimboccate e le mani sporche di grasso.

«Piccola?» mormorò Leo, perplesso, lasciando tutto e avvicinandosi a lei. «Cos'è successo?»

Calipso scosse la testa, tirando su col naso, e provando ad asciugarsi le lacrime. «Nulla, Leo, torna pure al lavoro.»

Leo la guardò, chiedendosi se nelle ultime due ore avesse fatto qualcosa di sbagliato, o di male. Forse non l'aveva ascoltata mentre si lamentava di qualcosa? O forse era il loro mesiversario? Ragionò in fretta, cercando di capire cosa fosse successo, e infine le tolse le mani dal volto, stringendola a sé.

«Piccola, sai che con me puoi parlare di tutto.» le disse, serio, accarezzandole i capelli.

«Lo so Leo.» singhiozzò Cal, stringendolo. Per qualche minuto rimase in silenzio, poi sospirò. «Ma... Ora stavo pensando ad una cosa terribile...»

«Proprio terribile se tu sei in questa situazione.» rispose Leo, accarezzandole la guancia e cancellandole le tracce salmastre.

Cal annuì lentamente, e sospirò di nuovo.

Leo la osservò. «Puoi dirmi a cosa stavi pensando? Magari posso aiutarti.» le rispose.

La ragazza si guardò le mani. «Tu... Hai notato che non sono cambiata da quando ho lasciato Ogigia.»

Il ragazzo la squadrò, annuendo piano. «Sì, l'abbiamo notato insieme, non ricordi?»

Mentre lui era cresciuto di una manciata di centimetri, Calipso era rimasta tale e uguale alla ragazza che viveva sull'isola. Solo il suo modo di vestire ora era diverso.

Calipso si fissò le mani, prima di guardarlo. «E questo significa che io sono immortale.» mormorò la ragazza, e Leo si sentì impallidire. «Io vivrò per sempre, mentre tu...» Le si incrinò la voce, e si interruppe.

Leo non aveva bisogno che lei continuasse a parlare. Aveva capito quello che intendeva. Lui un giorno sarebbe morto, e lei avrebbe proseguito la sua bellissima e lunga vita, senza di lui al fianco.

Anche Leo ebbe l'impulso di piangere, ma non per la sua morte. Ma perché l'avrebbe lasciata sola.

«Deve esserci una soluzione.» mormorò Leo, dandole un leggero bacio sulle guance, sentendosi abbattuto. Per tutta la vita aveva cercato qualcosa di speciale, e ora finalmente l'aveva trovato, e rischiava di perderlo, di lasciarlo andare.

Calipso posò le mani sul corpo del suo ragazzo, accarezzandolo soprappensiero. Leo si chiese se suo padre avesse una soluzione a quel problema. Non voleva lasciarla andare. Forse c'era un modo per renderla mortale, per farli invecchiare insieme...

«Forse c'è una soluzione.» mormorò Calipso, e il ragazzo la guardò seriamente. «Un fiore.»

Leo si sedette affianco a lei, tenendole la mano. «Avanti, parla.» la spronò.

«Si trova negli Inferi.» continuò Calipso, guardandolo dritto negli occhi. «Nel giardino di Persefone, per la precisione. È un fiore che rende i semidei immortali.»

Leo sgranò gli occhi. «Rende immortali?» ripeté. «Come fai a saperlo?»

«Me ne parlò Persefone diversi anni fa.» spiegò la ragazza, asciugandosi del tutto le lacrime. «È un fiore, bianco con sfumature viola e nere. Assomiglia ad una rosa, ma non lo è. E le spine sono velenose, potrebbero ucciderti.»

Il figlio di Efesto inspirò profondamente, lasciandole la mano. «Sei molto informata.» le disse, spostando lo sguardo e fissando la sua arma.

«Ci penso da un po'.» provò a giustificarsi la ragazza.

«Ci pensi da un po' per me, o per gli altri ragazzi che sono venuti a farti visita su Ogigia?» sbottò Leo, leggermente frustato.

«Era una maledizione...»

«Mi stai chiedendo di andare negli Inferi, entrare nel giardino di Persefone e rubare una specie di rosa che potrebbe uccidermi o rendere immortale!»

Calipso scese anche lei dal tavolino. Ormai le lacrime erano un lontano ricordo.

«Pensavo di essere importante per te!» esclamò Calipso, guardandolo.

«E lo sei, maledizione!» esclamò Leo, afferrando l'arma e riprendendo a costruirla. «Ma mi stai mandando a morire!»

«No, so che ce la puoi fare, Leo, credo in te!»

«Credere in me non è sufficiente! Scendere negli Inferi non è una passeggiata, cazzo! Posso rimetterci la vita.»

La bella serata che Leo aveva immaginato si era trasformata in un incubo. I due avevano litigato per un'ora sul fiore, sugli Inferi, su Persefone. Infine Leo, stanco del litigio, era uscito di casa sbattendo la porta, e questa volta le lacrime di Calipso erano più sincere. Aveva pensato che il fidanzato non sarebbe più tornato da lei.

 

Lasciando la sua casa, Leo prese Festus e volò fino al Campo Giove. Aveva la mente affollata di pensieri. E il primo tra tutti era Calipso. Per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma forse, scendere negli Inferi e rischiare la propria vita per una immortale, non era una cosa fattibile. E aveva bisogno di parlarne con un'amica, con qualcuno che avrebbe potuto capirlo.

Quando Hazel Levesque vide Festus atterrare vicino alla statua di Terminius, pensò subito al peggio. Cos'era successo al suo migliore amico per farlo arrivare fino a lì, senza nemmeno un avvertimento?

Hazel lasciò la sua postazione e raggiunse l'amico.

«Hazel.» disse Leo, scendendo dal suo drago e atterrando di fronte a lei. Non si vedevano da mesi... dalla sua festa di "bentornato dal regno dei morti" organizzata da Piper.

«Leo.» disse la figlia di Plutone, abbracciando il suo amico e stringendolo forte. «Che bello vederti.»

«Haz, ho bisogno di parlare con te.» disse Leo, guardandola negli occhi, ricambiando appena la stretta.

«Su cosa?» si fece attenta Hazel.

«Sugli Inferi.»

 

In quel breve viaggio, Leo aveva pensato molto, ed era arrivato ad una conclusione. Se Calipso temeva di invecchiare al suo fianco, lui sarebbe diventato immortale. La prospettiva dell'eternità al suo fianco non era un'idea così malvagia.

 

Quella notte, Leo e Hazel, accompagnati da Frank Zhang, scesero negli Inferi. Hazel riuscì a distrarre la sua matrigna mentre Leo e Frank entravano nel giardino di Persefone. Non si erano aspettati delle guardie, e i due ragazzi combatterono, cercando di dare il meglio di sé per far in modo che l'altro sopravvivesse.

Quando Leo individuò il fiore, aveva un braccio squarciato e una serie di ferite su tutto il corpo. Afferrò il fiore, senza più preoccuparsi della morte per via delle spine, e scappò via dal giardino in compagnia del figlio di Marte.

Con parecchio sangue che gli scorreva lungo il corpo, e sostenuto da Frank, Leo trovò Hazel fuori dagli Inferi ad attenderli. Erano inseguiti da tutti i cani infernali che Persefone aveva trovato, e Leo riuscì a proteggere l'amica facendosi sbranare un polpaccio al posto suo.

Quando riprese i sensi, era passata una settimana. Braccia e gamba erano completamente bendati e indolenziti, e Leo si sentiva pizzicare il resto del corpo. Al suo capezzale, su una sedia era seduta Hazel, addormentata e con un braccio appeso al collo. Dall'altra parte Calipso. Aveva le occhiaie, ed era pallida, come se non avesse dormito per giorni, divorata dalla paura di perderlo.

Quando vide i suoi occhi aperti, quelli di Calipso si riempirono di lacrime e gli prese la mano tra le sue.

«Mi dispiace.» sussurrò, e Leo scosse la testa.

«Basta non litigare più.» mormorò Leo, e Calipso lo baciò.

Più tardi, quel giorno, sotto lo sguardo attento dei suoi due amici e della sua ragazza, Leo bevve l'infuso di tè fatto estratto dal fiore di Persefone. Era amaro, disgustoso, ma lo bevve tutto, fino all'ultima goccia. Il suo corpo impiegò due giorni a mutare, e il suo sangue cambiò. Divenne d'oro come quello degli Dei, d'oro come quello della sua amata.

________**********________

 

Leo non si era mai pentito di quella decisione, fino a quando non si ritrovò solo in quell'enorme letto, ricoperto di sudore.

Will non sapeva che lui era immortale. Se si fossero messi insieme, se le cose tra di loro fossero diventate molto serie, come avrebbero fatto?

Tornare negli Inferi a prendere un altro fiore era fuori discussione. Hazel lo aveva informato che Persefone aveva raddoppiato i mostri di guardia al suo giardino. Chi mai avesse voluto un fiore, avrebbe pagato con la vita.

Leo si prese il volto tra le mani, cercando di tranquillizzarsi. Per quanto lui e Will fossero attratti l'uno dall'altro in quel momento, forse la loro relazione non sarebbe durata più di qualche mese.

A questo pensiero, Leo si ristese sul letto, fissando il soffitto, il cuore che batteva furioso nella sua cassa toracica. Aveva appena intrapreso una relazione, e già pensava alla fine. Questo significava che non faceva sul serio, con Will? O erano pensieri normali? Nella sua vita aveva avuto una sola ragazza. E per lei era diventato immortale senza pensarci per più di qualche ora.

Forse era semplicemente cresciuto.

*******

Will non vide Leo per il resto della settimana. Entrambi erano indaffarati con le loro vite, con i loro lavori, con i loro fratelli, quindi non gli diede molta importanza.

Però Leo gli mancava molto, e sperò che la loro vita insieme non fosse sempre così. Gli mancava il calore del suo sorriso, e il tono che assumeva per le sue battutine sarcastiche.

Will bendò un altro braccio, poi tornò nel suo ufficio. La calma dell'infermeria era solo apparente: i tornei di tiro con l'arco e dei carri erano ricominciati, quindi presto tutti i lettini dell'infermeria sarebbero stati occupati.

Sbadigliando, Will cominciò a riordinare alcuni scaffali, ritrovando vecchie foto di lui con i suoi ex. Fece una smorfia, e le nascose in un cassetto. Sebbene alcuni fossero ricordi dolorosi, erano pur sempre ricordi.

Iniziò a prepararsi il caffè, osservando la caffettiera e scegliendo la tazza del giorno. Quella arancione? O quella bianca con la scritta "il miglior dottore del mondo"? Sorrise, compiaciuto di sé, mentre si serviva il caffè.

Quando bussarono alla porta, Will andò ad aprire, aspettandosi chiunque, tranne colui che effettivamente aveva bussato.

«Ehi.» lo salutò Leo, occhieggiando la tazza. «Poco modesto.»

Will sorrise nel vederlo. «Ciao.» lo salutò con calore. «Entra pure.»

Leo annuì, ed entrò nell'ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. Per qualche secondo i due si guardarono dritto negli occhi. Non si vedevano da tre giorni, dalla famosa uscita al cinema con James. Il cuore di Will pompava forte, e il sorriso si impresse sul volto del giovane.

«È bello vederti.» disse Will. Erano quasi le nove del mattino. «Caffè?»

«Certo.»

Will recuperò la seconda tazza, e versò il caffè. Prima di porgerglielo si chinò su di lui per dargli un bacio, un bacio vero. Ma Leo spostò la testa, lasciandosi sfiorare la guancia.

A quel semplice gesto, il sorriso di Will vacillò. Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Forse avrebbe dovuto andare a trovarlo, irrompere nella cabina 9 o nel bunker o nella fucina, e far sapere a tutti che il giovane Valdez era il suo ragazzo.

Leo vide l'espressione di Will mutare, e prese la tazza di caffè arancione. Si sedette senza guardarlo, e Will prese posto davanti alla scrivania. Non parlarono, si limitarono a sorseggiare i loro caffè. Will raddrizzò alcuni fogli che teneva sul tavolo, e Leo guardò le cornici sulla scrivania. In una si vedeva Will a New York. Portava i capelli più corti, e Leo si chiese quando fosse stata scattata. Nella seconda foto, invece, Will era in compagnia di una ragazza molto carina dai capelli biondo cenere, che teneva in braccio una bambina di tre anni con orgoglio.

«Mia sorella Wendy.» disse Will, notando lo sgranare degli occhi dell'altro. «E sua figlia Penny.»

«Ah...»

Leo arrossì leggermente per aver frainteso, e spostò lo sguardo, tamburellando le dita sulla gamba.

«È mia sorella per parte di madre.» continuò Will, scribacchiando qualcosa su un pezzo di carta. Leo non poteva vederlo, ma quello che Will aveva scritto era semplice: telefonare ad Amy. «È sposata da otto anni... è molto più grande di me. E ha già tre figli, quindi dovrei fare un'altra foto.»

Leo prese la cornice e osservò la foto. In effetti, ora che la guardava meglio, riusciva a notare qualche piccola somiglianza tra i due volti, e Will sembrava molto più giovane.

«È stata scattata quattro anni fa.» disse Will, guardandolo.

«Hai altri fratelli umani?» chiese Leo, riposando la foto.

«No, solo lei.»

Leo si mordicchiò il labbro. «Sei zio.»

«Già.»

«Ci sono tante cose che non sappiamo dell'altro.»

«Ma possiamo parlarne e scoprirle.»

Leo lo osservò, abbassando lo sguardo, torcendosi le dita.

Will notò il suo nervosismo e si chiese cosa gli stesse nascondendo. Si mordicchiò il labbro a sua volta, chiedendosi cosa l'altro gli stesse nascondendo.

«Come si chiamano i tuoi nipoti?» domandò Leo.

«Penny, la più grande. Amber di tre anni e mezzo, e Joseph, nato l'anno scorso.»

«Li vai a trovare spesso?»

«Non spesso quanto dovrei.» mormorò Will, passandosi le dita tra i capelli. «Ma sanno che sono sempre disponibile nel caso facciano un fischio.»

Leo gli lanciò un'occhiata. «Come mai non vai a trovarli spesso?» chiese.

Will arrossì. «Due ragioni. Una volta, da ubriaco, ci ho provato con il marito di mia sorella, Xander. Quindi mi imbarazza trovarmelo di fronte, e sentire mia sorella dire che abbiamo lo stesso gusto in fatto di uomini.»

Leo trattenne a stento un sorriso. «E la seconda?»

«Ho fatto nascere Joseph. E mia sorella diventa intrattabile quando glielo ricordiamo.»

Leo stavolta scoppiò a ridere. «Cosa?»

«Già.» Will sorrise, con un piccolo brivido al ricordo. «Non è stato piacevole, ma è capitato. Le si sono rotte le acque mentre era in casa, e io ero lì. C'era stato un incidente in città, quindi l'ambulanza è arrivata dopo più di un'ora. Ma ormai avevo fatto.»

«Era il primo bambino?»

«Oh no. Joseph è l'ottavo su nove..»

Leo lo guardò con attenzione. «Nove bambini? Ricordi i nomi?»

«Be', sì. Il primo è Chuck, il figlio di Coach Hedge.»

«Ah, giusto.» annuì Leo, ricordandosi del vecchio satiro.

«Nancy e Flora, sempre al Campo. Il piccolo Will... Già, lo hanno chiamato come me. Poi James, Sam, Kurt, Joseph e Sophia.»

Will aggrottò la fronte e guardò Leo. Il figlio di Efesto già lo stava guardando.

«Hai fatto nascere mio figlio?» chiese, un po' sorpreso.

«Può essere...» annuì Will. «Sette ottobre?»

«Mi fai paura.»

Will ridacchiò. «Lo prendo come un complimento.»

Leo finì di bere il caffè, e si appoggiò allo schienale della sedia. Era così strano... Will aveva fatto nascere suo figlio. Non se n'era nemmeno accorto.

«Me lo ricordo.» annuì Will, facendo un lieve sorriso. «Angel mi ha chiamato per farmi arrivare di corsa. Era il mio unico giorno libero dopo tre settimane.»

«Mi dispiace.» borbottò Leo.

«È stato bello.» sorrise Will. «Be', almeno per me.»

Leo chiuse gli occhi. Ricordava di aver tenuto la mano di Calipso senza mai guardare altro se non il volto arrossato e sudato della sua amata. Solo quando James aveva emesso il primo vagito si era interessato a quello che stava succedendo alle parti basse della sua donna. Ricordava vagamente di aver preso James in braccio per un minuto prima di passarlo a Calipso.

«Ti ho ringraziato?» chiese Leo, lanciandogli un'occhiata.

«L'espressione che hai fatto appena hai preso tuo figlio in braccio è stata più che sufficiente.» sorrise Will.

«Ho ricordi vaghi di quello che ho fatto dopo.»

«Non sei svenuto e non hai vomitato. Il che è un'ottima cosa.»

«E tu che hai fatto?»

«Dopo aver finito le cose da medico, sono andato a mangiare, e a dormire.»

Leo fece una smorfia. «Come... puoi... mangiare dopo...?» Leo si coprì gli occhi.

Will rise di cuore. «Se dovessi smetterla di mangiare ogni volta che faccio una cosa del genere, non mangerei più.»

Leo cercò di scacciare dalla mente quelle immagini singolari, e tornò a guardare il biondo.

«Cosa c'è che non va?» chiese Will, osservandolo, prima che l'altro potesse fargli un'altra domanda su di sé, e sulla sua famiglia.

«Nulla.» Leo spostò lo sguardo.

«So che c'è qualcosa. Te ne vergogni? O ti ho passato l'herpes?»

Leo sbiancò. «Cosa?!»

«Scherzavo!» ridacchiò Will, e si alzò in piedi, andando a sedersi sulla scrivania, e poggiando i gomiti sulle ginocchia per avvinare il volto a quello dell'altro. «Non ho nessuna malattia.»

«Bene, nemmeno io.» sbuffò Leo, guardandolo. Perché doveva essere così carino? Ed era ancora più strano ricordare che quel ragazzo biondo e carino era il suo ragazzo.

Will tenne lo sguardo su di lui. «Allora?» gli chiese, allungando una mano verso di lui e sfiorandogli la guancia. Leo notò subito che aveva la mano fredda, il che era un bene. Lui si sentiva bollente. «Cosa c'è che non va?»

«Nulla...»

«Leo, dai, fatti avanti. Ti puoi fidare di me.»

«So che posso fidarmi di te, ma la cosa che devo dirti potrebbe cambiare il nostro rapporto, e non so se voglio dirtela.»

Will lo osservò, posandogli in definitiva la mano sulla guancia. Leo chiuse gli occhi, sospirando al contatto, e il biondo lo accarezzò.

«Allora...» mormorò Leo, dopo qualche minuto, riaprendo gli occhi e guardando quelli azzurri di Will. «Te lo dico.»

L'altro annuì piano, con le labbra tirate in un sorriso dolce, e il pollice che continuava a strofinarsi sulla sua guancia. Leo girò la testa e baciò il palmo.

«Sono immortale.»

 

Will rimase un momento spiazzato da queste parole, e guardò il figlio di Efesto piuttosto sorpreso.

«Come?» ripeté, e Leo sospirò.

«Sono immortale.» ripeté Leo, senza riuscire a guardarlo.

«E allora?»

«Significa che non morirò. Se noi dovessimo passare insieme dieci, o vent'anni, il mio aspetto non muterà, mentre tu sì.»

«E io un giorno morirò, mentre tu no.»

«Già.» Leo abbassò lo sguardo.

Will lo guardò con attenzione.

«Be', almeno non devo preoccuparmi che ti possa accadere qualcosa in fucina.» disse Will, tentando un sorriso. «Insomma, voi figli di Efesto siete pazzi, soprattutto con questi Nail Games.»

Leo tenne lo sguardo basso, ma alzò un sopracciglio. Non si immaginava una reazione del genere da parte del biondo.

Ma il figlio di Apollo pensava ad altro. Certo, il fatto che Leo fosse immortale occupava molti dei pensieri di Will, ma c'era altro. Leo gli aveva fatto capire che teneva alla loro storia. Li immaginava ancora insieme a quarant'anni. E si frequentavano da meno di due settimane.

«Sei immortale.» ripeté Will, lasciandogli la guancia e inginocchiandosi davanti a lui, per guardarlo negli occhi.

«Già. Io vivo e tu muori.»

«Non muoio domani, spero. Come minimo dovrai sopportarmi altri ottant'anni.» Will sorrise dolce. «E al posto di parlare della morte, dovremo vivere il momento.»

«Non ti sposo a Las Vegas.» disse Leo, e Will ridacchiò.

«Non intendevo questo. Io sono più tipo da matrimonio da favola, con gli unicorni e gli arcobaleni.»

«Molto gay.»

«Sono molto gay.»

Leo annuì leggermente, e lo baciò. Will gli posò le mani sulle ginocchia, ricambiando il bacio con passione.

Leo scese dalle sedia e si sedette sull'altro a cavalcioni, continuando a baciarlo, e infilandogli una mano sotto la maglia. Will gli passò le dita sulla schiena, stringendogli le natiche e spingendolo ancora più contro di sé. Si toccavano con tutto il corpo, e non era affatto male.

«Will?»

Will gemette piano nella bocca di Leo, mentre si scostava dal bacio. Leo sorrise, baciandolo sul collo.

«Cosa vuoi, Angel?» gridò Will guardando la porta. La voce del fratello non gli era mai sembrata così odiosa.

«Quattro figli di Ares richiedono la tua attenzione.»

«Sono feriti a morte?»

«Almeno due sì.»

Will sospirò. «Arrivo.»

Leo gli lasciò il collo, strofinandogli piano il pollice sul capezzolo. Will si morse il labbro, guardando Leo negli occhi.

«Lavoro.» borbottò.

«L'avevo capito.» Leo gli mordicchiò il labbro, poi si alzò in piedi, tenendogli la mano. «Vado anch'io. Ci vediamo per pranzo?»

«Se le ferite sono tanto serie, non so se riesco a pranzare.» si scusò Will.

Leo alzò le spalle. «Vorrà dire che ceneremo insieme. Ti aspetto.»

Si diedero un altro bacio, poi Leo si avvicinò alla porta.

«Hai già parlato di noi a James?» mormorò Will, seguendolo.

Leo si irrigidì appena. «Sto andando a farlo.» rispose il figlio di Efesto, aprendo la porta.

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Capitolo 24
*** 26/27. Ho un ragazzo ***


Leo non parlò con il figlio quel giorno. E nemmeno quello seguente. Lo rimandò alla settimana successiva, e poi a quella dopo ancora.

Non sapeva bene il motivo per cui lo stesse facendo. Suo figlio aveva tre anni, e forse non avrebbe capito a pieno il significato di quello che stava succedendo al padre, ma era un bambino intelligente. Avrebbe accettato qualsiasi cosa lo rendesse felice.

Anche Nina gli aveva consigliato di parlargliene, e al più presto. Perché Leo non voleva che lo sapesse nessuno prima di suo figlio. Quindi la sua relazione con Will era ancora segreta.

Segreta per quanto potesse esserlo.

Quando James dormiva con i suoi zii, Leo coglieva l'occasione per andare a dormire in infermeria da Will. Molto spesso si limitavano a dormire uno nelle braccia dell'altro, il che era molto più intimo del sesso stesso. Con gli orari dell'infermeria, Leo riusciva a tornare in cabina prima che la maggior parte dei suoi fratelli si svegliasse, quindi poteva cambiarsi prima che qualcuno si accorgesse che portava i vestiti del giorno prima.

Ma non sempre aveva questa fortuna. A volte, quando Will non aveva il turno mattutino, dormivano insieme fino alle nove, e quando Leo rientrava in cabina a cambiarsi i suoi fratelli applaudivano di botto domandandogli chi fosse la fortunata.

«Sarà una sorpresa.» rispondeva Leo quando veniva beccato, rifugiandosi nella sua camera.

Doveva sbrigarsi a parlarne con il figlio. Will era paziente, era la pazienza fatta a persona, ma probabilmente era stufo di nascondersi. Ormai era un uomo, non si nascondeva la sua sessualità a nessuno. E per colpa sua doveva nascondersi.

 

«Non ti merita se ti mette fretta.» sbottò Nina, quando Leo la raggiunse in fucina e le parlò di Will. «Dovresti mollarlo subito.»

«Ma lui non mi mette fretta. Tutto il contrario.»

Nina lo guardò. «Quindi sei tu che ti metti fretta da solo?»

«Mi metto fretta per Will.» Leo si infilò le dita tra i riccioli. «Insomma, lui è abituato a portare le sue conquiste a spasso, e a sputare in faccia a chi gli dice qualcosa di omofobo.»

Nina sospirò. «Ma lui sa che hai un figlio, e che hai bisogno di tempo.»

«Un paio di settimane fa gli ho detto che gli avrei parlato quel giorno stesso...» La voce di Leo si fece sempre più sottile mentre la sorella sgranava gli occhi.

«Sul serio?»

«Già.»

«Valdez, tira fuori i tuoi cosiddetti testicoli e vai a parlare con tuo figlio.»

«Pope, vado a farlo.»

«Valdez, non ti credo.»

«Pope... Nemmeno io.»

 

Quando Leo tornò alla cabina 9, il suo cuore ebbe un tuffo e si bloccò a pochi passi dalla cabina. La scena che aveva di fronte era del tutto inaspettata.

Will sedeva sui gradini della cabina 9 e giocava con James ai soldatini. Erano supervisionati da Steve, che leggeva un fumetto.

«Ehi.» salutò Leo, facendo qualche altro passo e fermandosi.

«Ehi.» sorrise Will, alzando gli occhi su di lui mentre James sorrideva. «Hai finito in fucina?»

«All'incirca.» annuì Leo. I due si erano illuminati nello stesso momento. Erano entrambi piuttosto felici di vederlo.

James si alzò e corse ad abbracciarlo. Leo lo strinse e lo sollevò, lanciando un'occhiata a Steve, che alzò le spalle.

«Sono venuto a cercarti.» spiegò Will, alzandosi in piedi.

«E io taltato addosso.» ridacchiò James.

«E lui mi è saltato addosso.» sorrise Will. «E ci siamo messi a giocare insieme.»

«Fuori?» domandò Leo, un po' perplesso. «Perché non in camera?»

«Colpa mia.» disse Steve. «Pensavo che in camera fosse... troppo... ovvio.»

«Cosa?» disse Leo, confuso.

«Lascia stare.» ridacchiò Steve, alzandosi in piedi e facendo un cenno a Will prima di rientrare.

«Di che parla?» domandò il figlio di Efesto, avvicinandosi al biondo.

Will lo guardò sorridendo. «Volevo invitare entrambi a cena.» disse, e Leo avvampò, capendo. Se Will si fosse messo ad aspettarlo nella sua camera da letto, tutti avrebbero capito che non c'era nessuna lei misteriosa, ma solo un lui piuttosto sgargiante.

Will indossava maglia arancione e jeans verde fosforescenti attillati. Come si possono indossare jeans del genere in pieno giorno?!, pensò Leo, deglutendo. Però gli facevano un bel sedere.

«Cena?» ripeté James, guardando Will curioso. «Cena dove?»

«Pizzeria?» sorrise Will, guardando entrambi. «Che ne pensate? Oppure McDonald's, o...»

«Pizza!» esclamarono all'unisono Leo e James, con la stessa intonazione della voce.

«E pizza sia.» ridacchiò il biondo. «Ci vediamo per le sei?»

«Alle sei va benissimo.» annuì Leo, entusiasta quanto il figlio.

«Passo a prendervi.»

«Uh, Will?» mormorò Leo, mentre il figlio di Apollo iniziava ad allontanarsi. «Stai in infermeria ora?»

«Sì, ho il turno fino alle cinque.»

Leo annuì e gli fece un cenno con la mano, mentre James lo salutava a gran voce. Quando Will fu abbastanza lontano da non sentire le loro voci, James guardò il padre.

«Mi piace Will.» disse. «Bravo coi soldatini.»

«Davvero? È più bravo di me?» Leo posò il figlio a terra e si sedette al posto lasciato vuoto dal figlio di Apollo.

«No, no più te.»

Leo sorrise, pensando che fosse il momento giusto per parlare con suo figlio. «Allora giochiamo.»

 

Giocarono, ma Leo si tirò di nuovo indietro. Non riuscì a parlare di Will al figlio. Il biondo avrebbe dovuto aspettare ancora.

Prima delle cinque, i due rientrarono in cabina e fecero il bagno insieme, insaponandosi i capelli e facendo facce buffe per far divertire l'altro. Ridevano forte quando Nina bussò loro alla porta.

«Leo, c'è un tuo amico qui fuori.» gli disse sarcastica.

«E chi?» domandò Leo, perplesso, mentre James gli soffiava le bolle.

«Will.»

Leo e James si lanciarono un'occhiata.

«Ma sono solo le cinque.» disse Leo.

«No, sono le sei e dieci.»

James sgranò gli occhi guardando il padre.

«Ops.» dissero i due Valdez contemporaneamente, alzandosi in piedi.

Nina lanciò loro un asciugamano. «Gli dico che siete indisposti.» e lasciò il bagno.

«Che tignifica indipotti?» domandò James, prendendo l'asciugamano e asciugandosi come capitava.

«Significa che non stiamo bene.» disse Leo, asciugandogli i capelli sorridendo. Ma era imbarazzato. Stavano facendo tardi con Will.

«Ma bugia, noi bene.»

«Idea di zia Nina, non mia.»

James annuì, e si lasciò asciugare dal padre. Quando fu pronto, James andò nell'altra stanza a vestirsi.

Leo si affrettò a vestirsi. Si era già asciugato appena uscito dalla vasca. Era già in ritardo di un quarto d'ora con Will. Sistemò la maglia di James, e gli spazzolò i capelli, lasciando perdere i suoi, e uscirono.

Will era appoggiato al corrimano e giocherellava con il braccialetto. Quando li vide arrivare, sorrise.

«Tutto okay?» domandò, avvicinandosi.

«Abbiamo perso la nozione del tempo.» disse Leo, imbarazzato.

«Ah, non importa.» Will annuì sorridendo, e lanciò un'occhiata all'orologio. «Ma forse abbiamo perso la prenotazione.»

Leo si morse l'interno della guancia. «Avevi prenotato?»

«C'è pizza ovunque in città. Andiamo.» ridacchiò Will, e James li precedette correndo verso la Volvo di Angel.

«Scusa.» mormorò Leo, lanciandogli un'occhiata.

«L'importante è che stiate bene. Mi hai fatto preoccupare.» Will lanciò un'occhiata a James, poi al ragazzo.

Leo scosse piano la testa, e Will annuì.

«Dai, guida tu.» disse Will, lasciandogli le chiavi della macchina. «Hai la patente, giusto?»

Leo pensò a tutto quello che aveva fatto fino a quel momento. «Certo che ho la patente.» mentì, come aveva già fatto altre centinaia di volte in passato. Mentiva così bene a riguardo della sua patente che ormai credeva di averla veramente.

Will sorrise. «Allora guida, io sto dietro con James.»

Salirono in macchina, e Will allacciò James al seggiolino. Poi fece spuntare fuori dalla tasca un soldatino, e i due giocarono insieme per tutto il tragitto, fino a quando Leo non si fermò vicino alla pizzeria.

«Eccoci qui.» disse Leo, lanciando un'occhiata al ristorante. Gli sembrò di lusso... ma la gente all'interno era vestita in modo normale. Tirò un sospiro di sollievo per aver infilato una t-shirt nera senza scritte indecenti.

«Perfetto.» sorrise Will, ritirando i soldatini e slacciando James.

Quando Leo uscì dalla macchina, notò che il biondo teneva in braccio James. Al bambino di solito non piaceva che altri lo prendessero in braccio... ma con Will era una questione diversa, a quanto pare. Gli tirò i capelli ridendo, e non scese fino a quando non entrarono nel ristorante.

«Ho prenotato.» disse Will, avvicinandosi al cameriere dietro al piccolo banco.

L'uomo guardò prima lui, poi James, e infine Leo. A Leo non piacque molto l'occhiata che dedicò loro. «A che nome?» chiese, gentile, con un sorriso finto.

«Solace.»

Il cameriere controllò il vario elenco. «Siete in ritardo di venti minuti, la prenotazione è stata tolta.» disse, senza un minimo di dispiacere.

Will si lanciò un'occhiata intorno. «Il ristorante è mezzo vuoto.» notò.

«Mi dispiace, signore, ma non posso darle un altro tavolo senza la prenotazione.»

«Ma il locale è vuoto! Qual è il problema?»

«È la politica del locale.»

«Mi scusi, ma ho prenotato due ore fa, e il locale non è nemmeno pieno. Non può trovare un posto per noi?» domandò Will, cercando di mantenere la calma e di non andare fuori di testa.

«Mi dispiace, ma...»

«Dai, Will, andiamo da un'altra parte.» disse Leo, posando il figlio a terra.

Will annuì lentamente, e James lo prese per mano. «Okay, andiamo.» disse, andando ad aprire la porta ed uscendo con il piccolo.

«Ecco, bravi, sparite.» borbottò il cameriere.

Leo lo sentì e si irrigidì, voltandosi verso il ragazzo.

«Cosa ha detto?» chiese, fissandolo, sentendosi furioso.

Il cameriere lo squadrò. A fargli più paura era il ragazzo biondo, alto e muscoloso. Non quel ragazzino che sembrava in età puberale.

«Ho detto che è meglio se vi levate dalle palle, voi ricchioni.» disse il ragazzo, con lo stesso solido sorriso.

Leo sgranò gli occhi. Era la prima volta che subiva commenti omofobi su di sé. Rimase sorpreso per qualche secondo, guardando il ragazzo, e fu subito raggiunto da Will.

«Cosa succede?» chiese Will, guardando uno e l'altro, stringendo la mano del bambino nella sua.

Leo gli lanciò un'occhiata. «Mi ha appena dato del ricchione.» borbottò.

Will inarcò un sopracciglio, voltandosi verso il cameriere, che subito deglutì.

«Come ti sei permesso?» ringhiò Will, e Leo si immaginò come la donnicciola nascosta dietro alle gambe del suo uomo. Non poteva permetterlo.

«Lascia perdere Will. Non ne vale la pena.»

«No, Leo.» Will si voltò a guardare il ragazzo. «Ha qualche problema con il mio amico?»

Leo ebbe un tuffo al cuore alla parola "amico" ma poi ricordò che lì con loro c'era anche suo figlio. Lo prese in braccio, visibilmente interessato alla situazione.

Il cameriere fissò prima uno e poi l'altro, ispirando profondamente prima di rispondere. «Con il suo "amico" no.» disse, calcando la parola amico. «Ma con voi in generale sì.»

«Con noi in generale chi intendi?»

«Voi malati.»

«Ah...»

Will strinse il pugno, e Leo vide molto male il cameriere.

«C'è una definizione per chiamare quelli come noi.» sbottò Will, trattenendosi a stento, ma alzando la voce. «Ed è gay. Dovresti utilizzarlo, prima di fare una brutta fine.»

«Che brutta fine potrei fare con due checche del genere?» sbuffò il ragazzo.

Will fu sul punto di tirargli un pugno dritto al naso, ma Leo lo fermò. Gli posò la mano sulla sua, e gliela fece abbassare.

«Porta fuori James.» disse, con tono stranamente tranquillo. «A lui ci penso io.»

«Sì, dai, pensaci tu.» rise il ragazzo, mentre Will guardava Leo. «Hai fatto cilecca come donatore di sperma, eh? Hanno dovuto usare quello mingherlino per...»

Will e Leo tirarono un pugno contemporaneamente al cameriere. Entrambi lo colpirono al volto, facendolo cadere all'indietro.

Ma mentre Will prendeva James per mano, Leo si lanciò addosso all'uomo e cominciò a tempestarlo di pugni.

«Non mettere in mezzo mio figlio con le tue battute di merda.» ringhiò, tentennando al quinto pugno, che poi calò con forza sulla mascella.

«Pecché papà picchia lui?» domandò James, e Will notò che non era affatto turbato. Si chiese quanta gente Leo picchiasse di solito.

«Perché ha detto una cosa molto cattiva.» mormorò Will, guardando Leo. Tenendo stretto il bambino al petto, Will posò una mano sulla spalla di Leo, che subito balzò in piedi.

«Guai a te se dici ancora delle cose del genere.» ringhiò Leo, prendendo il figlio in braccio.

«Di' pure al tuo capo che razza di merda sei. Non inviterò mai più i miei amici gay a venire a cena qui. Addio. Scusate per lo spettacolo.» aggiunse, rivolto a quei pochi presenti che avevano assistito alla scena senza muovere un muscolo.

 

Uscirono dal ristorante. Leo stringeva James senza dire una parola, con le nocche che pulsavano. Il fuoco gli scorreva nelle vene. Gli piaceva picchiare, ma non molto essere preso in giro. E chi osava prendere in giro suo figlio...

«Come volete la pizza?» chiese Will. «Possiamo mangiarla in macchina.»

Leo annuì. Non aveva più voglia di vedere gente. «Alla diavola.»

«Con patate e fomagio!.» rispose James, entusiasta, reggendosi al padre, mentre nella sua testa ripensava alla conversazione appena avvenuta.

Will sorrise, e lasciò le chiavi a Leo. «Vado a prenderle, a dopo.»

Leo lo seguì con lo sguardo mentre superava la strada di corsa, ed entrava in un'altra pizzeria. Rimase fermo per qualche minuto, poi si avviò verso la macchina.

«Papà... posso domanda?» chiese James, mentre entravano in auto e si sedevano sui sedili posteriori.

«Ma certo piccolo.» rispose Leo, lanciando un'occhiata fuori dal finestrino alla ricerca di Will.

«Che tignifica gay?»

Leo sbiancò.

*******

Leo fissò il figlio, non sapendo come rispondergli. E non sapendo nemmeno come formulare la frase. Per qualche minuto si fissarono in silenzio, uno con gli occhi scuri sgranati per la curiosità, l'altro con gli occhi scuri leggermente socchiusi mentre cercava un modo per fuggire a quella conversazione.

«Da chi l'hai sentita?» domandò Leo, dopo cinque minuti di silenzio.

«Da Will.» disse James, sorridendo. «Detto "amici gay". Tu amico gay? E io amico gay?»

Leo si massaggiò la fronte. Poteva dirgli tutto quello che c'era da sapere su lui e Will, oppure tacere. Oppure...

«Lo ha detto Will, eh? Aspettiamo che torni Will e glielo chiediamo a lui.» sorrise Leo, angelico, e il figlio annuì entusiasta.

Leo curiosò un po' nella macchina, ma quando trovò un tanga leopardato infilato sotto il sedile del passeggero lasciò perdere. Strinse il figlio, e per qualche minuto, in perfetta armonia, parlarono di costruzioni.

 

Will aprì la portiera del passeggero, passando subito le pizze a Leo, per abbassare il sedile ed essere più vicini ad entrambi.

«Ho portato della Coca-Cola.» disse, sistemandola sul sedile e lanciando loro un'occhiata. «C'è un parco qui vicino, volete andare a cenare lì?»

«Qui va bene.» lo assicurò Leo, passandogli la sua pizza. «James, quando vuoi puoi chiedere quella cosa a Will.»

«Quale cosa?» si incuriosì Will, prendendo una patatina dalla sua pizza e mangiucchiandola.

«Dopo, pizza!» esclamò James, entusiasma, prendendo la sua fetta.

Will ridacchiò e iniziò a mangiare, guardando Leo. Il figlio di Efesto gli ricambiò l'occhiata. Si chiese se la gente comune si lanciasse occhiate del genere, e tornò alla sua pizza arrossendo lievemente per i pensieri che si era fatto.

Leo fece un sorrisetto, immaginando cosa stesse passando per la testa del biondo. Quando arrivò alla quarta fetta, recuperò una lattina di Coca-Cola che divise con il figlio.

«Will, che tignifica gay?»

Will deglutì una patatina prima di masticarla del tutto e la sentì andare di traverso. Si affrettò a bere, e svuotò mezza lattina prima di guardare il bambino con gli occhi sgranati.

«C-Cosa?» balbettò.

«Che tignifica gay?» ripeté James, curioso, chiedendosi perché gli adulti non gli rispondessero.

Will lanciò un'occhiata a Leo, che alzò le spalle.

«Lo hai detto tu, ora glielo spieghi.» gli rispose semplicemente, iniziando a mangiare la quinta fetta.

Will deglutì. Non aveva mai spiegato a bambini così piccoli cosa significasse essere gay. Cercò le parole giuste da dire, sotto lo sguardo attento e curioso dei due Valdez.

«Ecco, allora...» mormorò Will, arrossendo, e Leo ridacchiò piano mentre James ascoltava interessato. «Sai, no, che, ehm, ai maschietti piacciono le femminucce.»

Il bambino annuì. «Shì.»

«Ecco... i gay sono... dei maschietti a cui... piacciono altri maschietti.»

James lo guardò perplesso.

«Allora... io sono gay.» mormorò Will, sentendosi zuppo di sudore. «Mi piacciono i maschietti.»

«Quindi... io piaccio te?»

«Certo che mi piaci, ma quella è un'altra cosa ancora.»

Leo tossicchiò divertito.

«Quindi tu ragazzo?» chiese James, cercando di capirci qualcosa.

«Ehm...» Will lanciò un'occhiata a Leo. «Sì, ce l'ho.»

«E no ragazza.»

«No, la ragazza non ce l'ho perché ho il ragazzo.»

«Ti chifano le ragazze?»

«Ehm, voglio bene alle ragazze.»

«Ma quindi ti piacciono.»

«Mijo.» lo chiamò Leo, e il bambino si voltò a guardarlo. «Quello che Will sta stupidamente cercando di dirti è che lui ti porterà a conoscere il suo ragazzo, non la sua ragazza, okay?»

James annuì lentamente. «Ha ragazzo come tia Nina?»

«Bravo, esatto.»

«E tu? Hai ragazzo o ragazza?»

Leo osservò il figlio con attenzione mentre Will, meno scosso, tornava a mangiare.

«Io...» mormorò Leo, non sapendo bene come rispondere.

«Tu e Will insieme?» chiese James, facendo sbiancare il padre e arrossire il dottore.

«Cos..? Come hai..?» mormorò Leo, a tentoni.

James indicò Will guardando il padre. «Mi fai chiamare tutti tio, ma no Will. Quindi Will peciale.»

Leo lanciò un'occhiata a Will, intento a contemplare una pizza. In quel momento, mentre Leo lo stava guardando, il vario condimento sulla pizza del biondo cadde sui pantaloni dell'altro, e James rise di gusto.

«Sì.» disse infine Leo, mentre Will recuperava il tuo e lo mangiava senza il minimo tentennamento, iniziando a pulire la macchia con il tovagliolino e le dita unte. «Will è speciale.»

James guardò il padre.

«A te dispiace?» domandò Leo al figlio, guardandolo negli occhi. «Se io e Will stiamo insieme.»

James tornò a guardare il biondo, che si era appena versato un goccio di Coca-Cola sulla macchia, sperando di strofinarla via, ma peggiorando la situazione. Will si stava sforzando in tutti i modi di non origliare, ma era difficile. Erano in macchina insieme.

«Se Will fa felice te, papà, bene.» annuì James. «Mamma è andata via e tu molto triste.»

Leo si morse il labbro. Suo figlio se n'era accorto.

«Piccolo...» mormorò Leo, accarezzandogli i capelli. «Lo sai che puoi dirmelo se non ti va bene, vero? Papà non fa le cose che ti fanno stare male.»

«Tu felice con Will, va bene a me.» sorrise James. «E se Will no felice te, io botte Will.»

Will ridacchiò piano.

Leo fece un enorme sorriso. «Oh certo, puoi farlo. Ti do il mio permesso.»

Poi strinse il figlio in un abbraccio da orso, cercando di trattenere le lacrime.

Will andò a sedersi vicino a loro, rubando il resto dello spazio, per unirsi all'abbraccio. Leo gli sorrise, e Will gli sfiorò le labbra da sopra la testa di James. Si strinsero tutti e tre insieme.

«Farò di tutto per rendere felice il tuo papà.» mormorò Will a James, e il bambino annuì, abbracciando anche lui.

 

Dopo aver messo James a letto, Leo raggiunse Will in spiaggia. Il figlio di Apollo era a piedi nudi, senza giacca, e teneva le maniche rialzate fino al gomito. Stava guardando il mare, quindi non lo sentì avvicinarsi.

«Dorme?» domandò Will, guardandolo mentre si sedeva.

«Sì. Ho dovuto raccontargli tre favole.» sorrise Leo, prendendogli la mano e intrecciando le dita alle sue.

«Potevi portarlo qui in spiaggia.» mormorò il biondo, guardando le loro mani.

«Potevo, ma è tardi. E immagino che anche noi andremo a dormire tardi.»

Will sorrise, e voltò la testa verso Leo, che lo baciò per primo. Gli posò la mano sulla guancia, accarezzandola, passando le dita sulle lentiggini.

«È stata una bellissima uscita.» mormorò Leo, mordicchiandogli il labbro e guardandolo. «Grazie.»

«È merito tuo se è stata così incredibile.» sorrise Will, tenendogli la mano e guardandolo ammaliato. «Grazie.»

Leo fu grato dell'oscurità notturna. Almeno l'altro non poteva vederlo arrossire. Chinò la testa, appoggiandosi a Will, e lasciando che il ragazzo lo stringesse.

«Ho avuto paura che non capisse, e invece è più intelligente di quanto pensassi.» mormorò Leo.

«Be', è figlio tuo, cosa ti aspettavi?» ridacchiò piano Will, e Leo rise a sua volta, scostandosi e guardandolo.

«Sono così felice che non so cosa dire.» disse Leo, passandogli le dita tra i capelli. «Mio figlio capisce la nostra relazione, e già ti vuole bene. Tra noi due va tutto bene, e tu mi piaci un sacco, Will, veramente. Vorrei averti incontrato prima.»

«Se mi avessi incontrato prima, ora non avresti James.» Will gli baciò la mano, poi lo strinse a sé. Leo si sedette sopra di lui, passandogli le braccia attorno al collo.

«Vero...» Leo chiuse gli occhi, sospirando piano. «Andiamo a dormire nel bunker, ti va?»

«Certo che mi va.» annuì Will, e Leo si alzò in piedi, tendendogli la mano.

Will la prese sorridendo, e l'altro gli passò un braccio attorno alla vita, aumentando la temperatura del suo corpo. Leo gli prese la giacca, e Will si infilò le infradito, lanciandogli un'occhiata.

«Dormiamo insieme nel bunker, quindi?» chiese il biondo.

«Certo. Dovrei avere dei vestiti della tua taglia, se domani vuoi cambiarti. E, sorpresa, ho il letto massaggiatore, quindi dormiremo come angioletti questa notte!»

Will strabuzzò gli occhi sorpreso, poi sorrise. «Sul serio?»

«Non mento mai sui letti massaggiatori»

«Oddei, Leo, ma io ti amo!» esclamò Will, e il sorriso sulle labbra di Leo si spense lentamente.

«Tu cosa?!»

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Capitolo 25
*** 28/29. Coming out ***


Will avvampò guardando il figlio di Efesto. Forse non avrebbe dovuto dirgli quelle parole. Forse era ancora troppo presto.

«Io non... non ho detto niente.» balbettò Will, spostando lo sguardo sugli alberi.

«Oh sì, lo hai detto, e ti ho sentito.» rispose Leo, a tono, fissandolo.

Will non ribatté, e Leo deglutì.

Doveva aspettarsi una cosa del genere. Infondo, dormivano insieme, uscivano insieme, facevano di tutto insieme. Era impossibile che i loro sentimenti fossero ancora come all'inizio, quando Leo era stato sfidato a camminare in boxer per il Campo. Era passato quasi un mese da allora.

Leo osservò il dottore biondo. «Un mese fa dicevi di amare Nico di Angelo.» disse, ricordando cosa si erano detti in spiaggia settimane prima.

«Per lui ormai non provo più niente.» mormorò piano Will, tenendo lo sguardo fisso sul terreno ai loro piedi.

Leo continuò a guardarlo. «Quindi sei innamorato di me? O dici ti amo a tutti quelli che ti stanno vicini?» Non voleva sembrare acido con quelle parole, ma non voleva un'altra delusione come era stata Calipso.

«Sono innamorato di te. Non penso che questo sia un problema.» mormorò Will, senza guardarlo.

Leo si mordicchiò il labbro. «No, non lo è, credo.»

«Credi?» ripeté l'altro, fermandosi a guardarlo.

«Tu hai detto di amarmi. E un mese fa lo hai detto a Nico.»

«Ma ora...»

«Ma ora vieni a letto con me, quindi pensi di provare qualcosa per me.»

«Io non penso di provare qualcosa per te. Lo so e basta.»

«E provi amore.»

«Già.»

Leo sospirò, appoggiandosi ad un albero.

«Non sei costretto a dire che mi ami.» aggiunse Will, guardandolo. «Insomma...»

«Infatti non ho intenzione di dirtelo.» rispose in fretta Leo, puntando lo sguardo in lontananza, con il cuore a mille.

«Bene.»

«Voglio solo delle spiegazioni. Sei quel tipo di ragazzo che si innamora facilmente? Ti basta andare a letto con uno per essere innamorato di lui?» disse Leo in modo automatico.

«Dei, no, Leo! Io... Okay, amavo Nico il mese scorso, ma ora per lui non provo più nulla.»

«E ora provi qualcosa per me. Chissà di chi ti innamorerai il mese prossimo.»

Will si passò le dita tra i capelli, studiando il suo volto. «Sono confuso, okay?»

Leo tornò a guardarlo. «Confuso?»

«Non mi sono mai innamorato di un ragazzo etero. E questo ragazzo etero ricambia. E questo ragazzo mi piace ogni giorno che passa, e mi piace tutto di lui.»

Leo lo guardò arrossendo leggermente, e si affrettò ad aprire l'entrata del bunker nascosta nell'albero. Lasciò che Will lo seguisse all'interno, e andò subito a sedersi sul letto.

Will rimase in piedi a guardare il tavolo di lavoro ricoperto di carte, curioso, e pauroso di far cadere qualcosa.

«Ti va di dormire?» domandò Leo, trattenendo uno sbadiglio, mettendo fine alla conversazione.

Will annuì, e iniziò a spogliarsi. Leo gli tenne gli occhi incollati addosso. Il sonno gli era passato del tutto mentre gli indumenti di Will cadevano in terra uno dopo l'altro. Si mordicchiò il labbro, spogliandosi a sua volta, e quando Will lo raggiunse a letto, gli sfilò i boxer.

 

Nessuno venne a svegliarli il mattino dopo. Nessuno aveva bisogno delle cure del dottor Solace. Nessuno ricordò a Leo dei lavori in sospeso in fucina.

Rimasero stretti l'uno nelle braccia dell'altro, godendosi il loro calore, e dormendo fino a tardi come non avevano mai fatto insieme.

Il primo a svegliarsi fu Will. Restò immobile tra le braccia di Leo, osservando quel volto serafico. I riccioli erano sparsi sul cuscino, un paio sul volto che si muovevano con il suo respiro. Le labbra erano socchiuse, e gli occhi guizzavano sotto le palpebre chiuse. Will si domandò cosa stesse sognando.

Will gli accarezzò la guancia, scostandogli i capelli dal volto. Leo borbottò qualcosa che all'altro sembrò «Cinque minuti, mijo», e si strinse a lui. Will sorrise tra sé, accarezzandogli la schiena e dandogli un lieve bacio sulle labbra.

Ripensò alla conversazione avvenuta tra loro il giorno prima. Di cosa aveva paura Leo? Che lo tradisse? Che lo stesse usando per passare il tempo, per poi cercare un altro? Forse Leo lo temeva. Un ragazzo etero con un figlio, soprattutto un figlio di Efesto, non poteva essere l'oggetto di amore di un figlio di Apollo gay!

Will sperò veramente che Leo non pensasse questo.. Era il primo ragazzo etero che frequentava, e gli piaceva sul serio. Lo amava sul serio.

Con un sospirò Will posò di nuovo la schiena sui cuscini, passando un dito sulla guancia e le labbra di Leo. Di certo dirgli "ti amo" con quel tono scherzoso non era stata una grande idea. Ma lo pensava veramente, ed era meglio che Leo lo sapesse.

 

Quando Leo sentì il dito di Will tra le labbra, la prima cosa che fece fu mordicchiare il dito. Gli passò la lingua sul polpastrello, e Will spostò il dito ridacchiando.

«Che combini?» gli chiese piano, e Leo aprì gli occhi lentamente. Mettere a fuoco un Will Solace nudo, con i capelli bagnati dal sole artificiale che entrava dalla finestra vicina, fece battere il cuore di Leo molto più del solito.

Leo si godette quella vista celestiale per qualche altro minuto, prima di battere le palpebre e guardare gli occhi azzurri.

«Cosa?» mormorò Leo, perplesso, fissando l'altro.

Will ridacchiò, passandogli il dito bagnato sulla guancia. «Perché mi hai leccato il dito?»

«Speravo fosse qualcos'altro.» disse Leo, mettendosi seduto e stiracchiandosi. Non provò l'impulso di coprirsi, e lasciò che lo sguardo di Will lo accarezzasse.

«Davvero?» disse Will, passandogli le dita sul petto. «Pensavi fosse...»

«Una brioche? Esatto.» ridacchiò Leo, stendendosi sopra di lui, e allungandogli un bacio sulle labbra.

Will sorrise. «Una brioche. Me lo ricorderò.» ridacchiò a sua volta. Leo gli mordicchiò il labbro prima di baciarlo, sentendo le dita di Will passargli tra i capelli. Si baciarono con energia, restando senza fiato, e guardandosi negli occhi.

«Devi andare, vero?» mormorò Leo, passandogli la lingua sul labbro.

«Sì...» annuì Will, sospirando. «Ma ho il tempo della doccia, e della colazione.»

«Ottimo.» disse Leo, raddrizzandosi su di lui e mettendosi a cavalcioni, accarezzandogli gli addominali. «O sia la doccia che la colazione, qui.»

Will gli passò le dita sui sesso, e Leo sospirò di piacere. Non si faceva di certo pregare, quel ragazzo. Si guardarono in silenzio, entrambi vogliosi, ma non c'era abbastanza tempo per farlo.

Leo scese dal letto, avviandosi subito al cassetto. Recuperò dei vecchi vestiti di suo fratello Steve che, all'incirca, aveva la stessa taglia di Will. Li posò sul secondo tavolo di lavoro, osservando Will, piegato per fare il letto.

«Eh, ma se ti metti così...» borbottò Leo, avvicinandosi e palpandogli il sedere.

Will rise. «Ti stavo solo facendo il letto.»

«O mi stavi stuzzicando?» Leo si diresse in bagno, seguito da Will. «La doccia è piccola, ti avverto.»

Will annuì. Quando vide Leo entrare nella doccia, notò quanto fosse piccola. Entrò a fatica, ritrovandosi mezzo schiacciato contro Leo.

«Nah, non è piccola, è intima.» sorrise Will.

Leo si schiacciò contro la parete. «Molto intima.» rise.

Si lavarono a fatica, non riuscendo a trattenere le risate. Will stava per lasciarlo solo quando Leo gli accarezzò il membro.

Si guardarono negli occhi un momento, prima che Will posasse le dita su quello dell'altro.

 

Per qualche minuto, nella doccia, si udirono solo gemiti e sospiri. Will si chinò per baciarlo, e Leo ricambiò, mordendogli il labbro.

Giunsero all'orgasmo nello stesso momento, e Leo si appoggiò a Will, stringendolo. Il biondo ricambiò la stretta, aumentando la temperatura dell'acqua.

«Questo scambio di strofinate mi è piaciuto.» mormorò Will, dandogli un bacio in fronte.

«Più di tutto il resto?» rispose Leo, alzando un sopracciglio, e sfiorandogli le labbra.

«Più di quello no.»

Leo sorrise, e finirono di lavarsi. Fuori dalla doccia, Leo si infilò nell'accappatoio e portò a Will un asciugamano rosso.

«A che ora finisci oggi?» domandò Leo, appoggiandosi al muro e guardandolo mentre si asciugava.

«Per le sei, o sette.» disse Will, strofinandosi forte i capelli. «Tu vai in fucina?»

«Ho dei lavori da finire, non so quanto impiegherò.»

Will annuì, mettendosi l'asciugamano attorno ai fianchi e seguendo Leo nell'altra stanza. Leo preparò il caffè, recuperando qualche brioche un po' stantia dal mini frigo. Era la prima colazione che passavano insieme, e a Will non importò né del gusto sinistro delle brioche, né del poco zucchero nel caffè.

«Senti, scusa per ieri.» disse infine Leo, lanciandogli un'occhiata.

«Perché ti scusi?» domandò Will, lanciandogli un'occhiata.

«Mi sono comportato da stronzo.»

«Non l'ho notato.»

Leo sbuffò. «L'hai notato, invece. Non volevo ferirti.»

«Non l'hai fatto.»

«Rispondi sempre così, vero?»

Will giocherellò con il fondo del caffè. «Non mi hai ferito, davvero. E forse sì, ti sei comportato da stronzo, ma posso capire. L'ultima persona che hai amato si è comportata male con te e con vostro figlio, quindi capisco se hai dei dubbi su di me. Ma io ti amo sul serio, Leo. E sai che mi prenderò cura di tuo figlio, e di te.»

Leo non rispose, la testa china, pensieroso.

Will allungò la mano e gli toccò la sua. «Tutto okay?» chiese.

«No... Ho fatto lo stronzo con te. Tu sei una persona amabile, Will. Non so come faccia la gente ad odiarti...»

«C'è qualcuno che mi odia?» borbottò Will.

«...o a trattarti male.» Leo lo squadrò.

«Davvero, Leo, non fa niente, ho già superato. E avevo già superato quando abbiamo fatto l'amore stanotte.»

«Sai, quando ti tratto male puoi anche sgridarmi, o rispondere a tono.»

«Se dovesse accadere, lo farò.»

Leo annuì. «Sei ancora confuso per colpa mia?»

«Sono confuso perché ti ho trascinato sull'altra sponda, e non riesco a capacitarmene.»

Leo fece una smorfia divertita. «Non capisci il motivo? Sei la persona più sexy che abbia mai incontrato.»

«Ne troverai altri più sexy di me.»

Will si tolse l'asciugamano e indossò i vecchi vestiti di Steve. La maglia gli stava piuttosto stretta, e già pensava che l'avrebbe cambiata appena arrivato in infermeria. Leo tenne d'occhio i muscoli dell'altro messi bene in mostra dalla maglia.

«Non penso sia possibile.» mormorò Leo, guardandolo.

 

Quando Will uscì dal bunker, Leo si stese sul letto e fissò il soffitto per più di un'ora, prima di decidere di vestirsi. Infilò qualche vestito a caso preso dall'armadio, si ravvivò i capelli e lasciò la sua tana.

In fucina doveva finire di creare un'arma per un figlio di Ares, e realizzare uno scudo per una figlia di Afrodite. Non riusciva ad immaginare una figlia di Afrodite pronta al combattimento, a parte Piper McLean.

Leo si infilò le mani in tasca, pensando a Will. Era una ragazzo così vivace, e carino, e non si faceva alcun problema a dire quello che realmente pensava. Era incredibile sotto tutti gli aspetti che cercava nel partner ideale. Simpatico, intelligente, capiva la sua ironia, ed era piuttosto aperto.

Con un sospiro, Leo calciò un sassolino. Certo, tutto questo non era sufficiente. Will era bravo anche con suo figlio James, il che era una delle sue doti migliori. Senza contare che era stato proprio Will a far nascere il piccolo James, anni fa.

«Leo!»

Il figlio di Efesto alzò gli occhi su sua sorella, che gli stava correndo incontro. Aveva le guance arrossate, forse per la corsa, e le pupille ingigantite.

Il cuore di Leo perse un colpo mentre la vedeva arrivare. James. Riuscì solamente a pensare. È successo qualcosa a James.

«Ti ho trovato finalmente.» disse Nina, cercando di riprendersi dalla corsa. «È almeno mezz'ora che ti cerco.»

«Cos'è successo?» chiese subito Leo, afferrandole un braccio. «James sta bene?!»

«Certo che sta bene! Sono una brava babysitter, per chi mi hai preso?»

Leo si rilassò leggermente. «Allora cosa c'è? Perché mi cerchi in questo modo spaventandomi a morte di buona mattina?»

«È già ora di pranzo.» Nina lo osservò. «E... si tratta di te e Will.»

Leo la fissò. «Io e Will cosa?» borbottò.

Nina inspirò profondamente. «Ieri sera un figlio di Ares vi ha visti nel bosco, e lo ha detto ai suoi fratelli. Si è sparsa la voce e... be', ora lo sa tutto il Campo.»

*************

Leo si torturò un ricciolo con la mano sana mentre guardava fuori dall'infermeria. Vedeva i semidei fare avanti e indietro per il Campo, probabilmente continuando a dire «Ehi, Valdez è gay e si frequenta con Solace! Chi lo avrebbe mai detto!».

Leo si guardò la mano, probabilmente fratturata. Non aveva male. Un figlio di Apollo gli aveva dato un po' di morfina prima di occuparsi del figlio di Ares che aveva picchiato a sangue due minuti prima.

«Leo.»

Leo alzò gli occhi e Will si sedette di fronte a lui. Aveva i capelli scompigliati, le maniche del camice tirato fino al gomito, e aveva cambiato t-shirt. Ne portava una più larga del Campo.

«Will.» salutò Leo con voce impastata. «Quella roba è forte.»

«Per questo lo diamo. Quanta dose ti ha dato?»

«Boh.»

Will gli tolse la benda sporca dalla mano e cominciò a disinfettargli le nocche.

«Cos'è successo?» domandò Will, lanciandogli un'occhiata.

Leo chiuse gli occhi, riflettendo. «Mi stava insultando. Sai, perché sono gay.»

«Ah, sì, capisco.» annuì Will.

«Lo sai che ora lo sanno tutti?» Leo gli scompigliò i capelli.

«Sì, lo so.» sospirò il biondo. «Un figlio di Demetra me lo ha detto non sapendo che il dottor Solace sono io.»

Leo ridacchiò.

Will lo squadrò. «Tu come stai?»

«Strafatto.» annuì Leo.

«Intendo, per...»

«Per il coming out che non ho fatto io? Bene. Immagino. Credo. Will, ora non hai intenzione di lasciarmi, vero?»

«Certo che no, piccolo.»

«Nemmeno perché ho rotto il naso a quel tipo?»

«Nemmeno per quello. Diciamo che Marcelus si merita di peggio.» ridacchiò piano Will. «Ma io sono contro la violenza, ricorda.»

«Ora lo so.»

Will finì di medicargli la mano, e alzò lo sguardo su di lui. Leo lo baciò, a stampo, e Will sorrise.

«Quindi ora vuoi fare coming out da te? In infermeria? Con il tuo dottore?»

«Ah, il mio dottore sexy.» sorrise Leo, avvicinandolo per il camice, e passandogli le braccia attorno al collo.

Will ridacchiò. «Guarda che c'è gente.»

Leo scrollò le spalle. «Non importa. E, se vuoi saperlo, l'effetto della morfina è passato da cinque minuti.»

«Sul serio?»

«Già. I sedativi su di me non fanno molto effetto.»

«Quindi... Quando hai detto che volevi saltarmi addosso era per scherzo?»

«Mmm non l'ho detto. Grazie per la mano.»

Leo scese dal lettino stiracchiando le braccia, e Will ridacchiò. «Mi hai offeso.»

«Sese, come no.» Leo si alzò sulle punte e gli diede un bacio veloce, prima di andarsene. Will lo seguì con lo sguardo, e tornò al lavoro.

 

«Valdez, eh?» ridacchiò Angel, raggiungendolo più tardi nel suo ufficio.

«Già, Valdez.» rispose Will, lanciandogli un'occhiata.

«Lo sai che ha un figlio?»

«Davvero?» disse Will, sarcastico.

Angel si sedette sulla scrivania e si stese, le mani unite sulla pancia. «Sai, ho sempre pensato che avessi dei gusti diversi dal basso, moro, occhi scuri.»

«Invece i miei gusti sono così.» disse Will, sforzandosi di non dirgli

«Abbiamo qualcosa in comune. Esco anch'io con un figlio di Efesto.»

Will gli lanciò un'occhiata e alzò in cinque. «Grande!»

Angel lo batté ridendo. «Siamo cognati, credo.»

«Che intenzioni hai con..?»

«Steve.» Angel bevve un sorso di caffè. «Credo serie.»

«Credi serie?» ripeté Will, e Angel scrollò le spalle prima di porgli la stessa domanda. «Serie.»

«E lo dici con quel tono strano?»

«Non ho usato alcun tono strano.» borbottò Will. «Solo che stavo per rispondere come te. Da parte mia le intenzioni sono serie, e penso anche da parte sua.»

Angel annuì, giocando con una foto. «Hai più sentito Hazel?»

Will guardò il fratello, e scosse la testa. «No. Non la sento da un po', in effetti.»

«Le scrivi tu o lo faccio io?»

Will sospirò. «Lo farò io. Ma non credo tanto presto. Mi ha... Be', mi ha ferito non dicendomi nulla su Nico.»

«Lo sospettavo. Ma tu sei Will Solace. Non porti rancore.»

«Lo so. Dovrei seriamente iniziare a farlo.»

Angel annuì serio guardando il fratello.

«Che è successo con Marcelus, comunque?» domandò Will, prendendo una mela e dandole un morso.

«Tra Marcelus e Leo, intendi?» sorrise Angel, rubandogli la mela. «Marcelus stava insultando Leo, e Leo lo ha riempito di botte.»

«Del fatto di Leo lo sapevo. Quindi Marcelus lo ha insultato? E per cosa?»

«Si stava domandando a gran voce chi tra voi due fosse il passivo, e la conclusione è una sola. Leo.»

Will alzò un sopracciglio, riprendendosi la sua mela e andando alla finestra per finirla. Angel si rigirò sulla scrivania, cadendo giù, e si mise seduto osservandolo divertito.

«Quindi Marc ha detto questo ad alta voce? Ha fatto bene Leo a prenderlo a pugni.»

«Oh sì, ha fatto bene.» Angel si sistemò sulla poltroncina di Will, con i piedi sopra la scrivania. «Queste sono cose che devono rimanere private tra te e Leo.»

Will annuì, finendo la mela e gettandola nel cestino. Sbadigliò. Quella notte aveva dormito d'incanto assieme a Leo, e aveva ancora sonno. Era strano.

Pensò alla sua amica Hazel. Non l'aveva più chiamata da quando era successo quel brutto fattaccio con Nico, e si domandò se Nico le avesse detto che il suo amico era impazzito. Sperò di no, ma forse per questo che lei non si faceva sentire.

Angel tornò a lavorare, e Will rimase con lo sguardo imbambolato. Hazel e Leo erano amici... forse parlavano tra di loro. Avrebbe dovuto chiederlo direttamente a Leo appena lo avesse visto.

 

In fucina, Leo ignorò le occhiate di tutti i suoi fratelli mentre finiva il lavoro per il figlio di Ares. Usava una mano sola, l'altra era ancora piuttosto indolenzita. Recuperò un cacciavite dalla cintura e diede un'ultima sistemata, e lo sguardo gli cadde sulla scatola vicino al banco. C'erano degli archi con gli intagli dei simboli di Apollo.

Gli tornò in mente quando li aveva costruiti. Era stato sovrappensiero in quel momento, e ora immaginò che stesse pensando inconsciamente a Will. Sorrise.

«Leo?»

Leo alzò lo sguardo e notò sua sorella Becky che lo stava fissando. E con lei lo fissavano tutti gli altri.

«Cosa?» domandò Leo, perplesso.

«Ecco, mi chiedevo se...» mormorò Becky, imbarazzata, e Leo sgranò gli occhi, capendo al volo.

«Ancora?!» esclamò, furioso. «Ma perché non vi fate un po' gli affari vostri?! Sì, sto con Will Solace, un ragazzo, figlio di Apollo. Sì, è un uomo! Oh miei dei, Leo sta con un uomo, fa sesso con lui!! Già, ragazzi, cercate di svegliarvi un po'. Ora, se avete da insultarmi, prego, fatevi avanti.»

Leo incrociò le braccia al petto, fissando i fratelli uno ad uno. Alcuni distolsero lo sguardo, tornando ai loro lavori, e Becky tossicchiò.

«Leo, volevo chiederti se potevi vedere il mio progetto.» sussurrò Becky, arrossendo. «Non di te e Will.»

Leo arrossì leggermente. «Scusa.» borbottò.

«Non importa. Almeno così sappiamo tutti che non è solo un gossip.» Becky sorrise e gli posò davanti il progetto di un nuovo tipo di pugnale per i figli di Demetra.

Leo studiò il progetto, perfezionando pochi punti, e quando la sorella tornò alla sua postazione, Leo tornò a concentrarsi sul lavoro. Si era appena fatto una brutta figura con tutti i suoi fratelli presenti, solo perché era nervoso, e la mano gli pulsava ancora di dolore per via delle nocche.

Con un sospiro, riprese a lavorare, e a fine giornata chiese aiuto a Steve per andare a vendere gli archi ai figli di Apollo.

«Angel ne vorrà di certo uno.» disse Steve, guardando gli intagli divertito.

«È vero che state insieme?» domandò Leo, lanciandogli un'occhiata, e Steve annuì lentamente, le punte delle orecchie paonazze.

«Sì... E da qualche mese, anche. Ormai è una cosa seria, ma non mi sento in grado di parlarne agli altri.»

«Be', puoi sempre lasciare che qualche bastardo figlio di Ares lo faccia al posto tuo.» sbuffò Leo, scuotendo piano la testa, e scoccando un'occhiataccia ai figli di Ares appostati fuori dalla cabina 5.

Steve ridacchiò imbarazzato. «Vero. Mi dispiace che la tua privacy non sia stata rispettata.»

«Non preoccuparti. Ho già fatto a botte con quel bastardo, prima.»

«Davvero? Come ti ha insultato?»

«Mi ha chiesto chi tra me e Will sta sotto, e poi ha detto che io sono la risposta più ovvia.»

«Ahi ahi.» mormorò Steve, mordendosi il labbro, bussando alla porta della cabina 7. «Ha fatto parecchio male, dico bene?»

«Puoi ben dirlo.»

Quando il primo figlio di Apollo aprì la porta, Leo gli mostrò gli archi. L'urletto che lanciò il ragazzo gli fece dubitare della sua bravura, ma dovette ricredersi quando fu circondato da figli di Apollo che gli offrivano decine di dracme per accaparrarsi uno degli archi.

Un'ora dopo, senza più archi e con tante monete, Leo tornò in infermeria. Steve era scomparso in infermeria dopo aver ricevuto una piedata al petto perché non voleva lasciare un arco ad una ragazza per sole tre dracme. Leo aveva ricevuto solo qualche graffio.

Leo posò la lista sul tavolo e la guardò spaesato. Aveva guadagnato cento dracme per i cinque archi. E ora aveva altro lavoro da fare. Una dozzina di figli di Apollo volevano gli archi personalizzati, e avrebbero pagato qualsiasi prezzo per averli. Per Leo non c'era assolutamente alcun problema, e cominciò a fare gli schizzi per gli archi. Stava per preparare il primo quando sentì una mano sulla spalla e sussultò.

«Ehi Leo.»

Il figlio di Efesto si voltò di scatto, e squadrò gli occhi nel notare Will. Con i suoi capelli biondi, e i vestiti puliti, e il sorriso scintillante, sembrava molto fuori posto.

«Ehi Will.» mormorò Leo, rilassandosi. «Cosa fai qui?»

«Sono le sette.» disse Will, sorridendo.

«Cosa? Di già?»

Will annuì. «Sei ancora indaffarato?»

Leo studiò il volto stanco di Will, e annuì. «Sì, scusami.»

«Non importa. Ti spiace se ceno con James?»

«Nono, fai pure. Ci vediamo più tardi magari.»

Will gli diede un bacio sulla guancia e lasciò la fucina. Leo tenne gli occhi incollati sul suo sedere fino a quando non scomparve, e tornò al suo lavoro.

«È carino.» notò sua sorella Trix, appoggiandosi al suo banco. «Molto carino.»

«Ma è mio, quindi alla larga.» sbuffò Leo, sorridendo, riprendendo il lavoro.

«Se ora ti frequenti con un figlio di Apollo, possiamo essere sicuri di non ricevere più insulti quando andiamo in infermeria?» domandò Paul, sedendosi sul suo bancone per guardarlo.

«Ehm, non credo. Spesso insulta anche me.»

«Ah, niente trattamento di favore, quindi.» ridacchiò Bobby, e Leo osservò i suoi fratelli. Avevano accettato Will come suo ragazzo.

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Capitolo 26
*** 30/31. Nel bosco ***


Leo e Will si videro più raramente nei giorni a seguire. I lavori in fucina di Leo lo tenevano impegnato per ore e a volte anche giorni. James dormiva sempre con un zio diverso ogni sera, ma pranzava e cenava sempre al tavolo di Apollo con Will.

A James piaceva molto Will. Dopo pranzo, passava con lui un'ora nella sua camera a giocare con le costruzione, e a volte andavano in spiaggia a costruire castelli di sabbia. Era divertente, una specie di gigante buono e biondo, e faceva felice suo padre. Cosa poteva chiedere di meglio?

«Pecche tu e papa no dommite insieme?» domandò James, quattro giorni dopo la loro prima cena insieme, solo loro due.

Will tossicchiò e abbassò la lattina. «Come?» chiese, guardandolo.

«Papa e mamma dommivano insieme.» disse James, facendo spallucce. «E tu e papa state insieme. Pecche no dommite insieme?»

Will si mordicchiò il labbro. «Io e il tuo papà non possiamo dormire nella stessa cabina.» cominciò a dire, la prima scusa che gli era venuta in mente.

«Pecche no? Tu ussi? Papa no ussa.»

Will sorrise leggermente. «No, non russo nemmeno io. Ma non possiamo dormire nella cabina dell'altro, visto che abbiamo genitori divini diversi.»

«Ma tia Nina domme con tio Butch.»

Will arrossì leggermente. «Oh, non lo sapevo.»

James gli prese la mano, sorridendo felice. «Dommi con noi stanotte. Tutti e tre insieme.»

Will annuì, non sapendo dire di no al bambino.

 

Quando Leo tornò in cabina quella sera, sporco di olio e grasso, non si aspettava di trovare Will mezzo svestito sul suo letto. Per qualche secondo i due si guardarono, e sul volto di Leo sorse un sorriso spontaneo.

«Che sorpresa.» disse Leo, guardandogli le spalle nude. «Non dormo da giorni, ma credo che qualcosa posso farlo.»

Will rise, scuotendo la testa. «Non sono quel genere di sorpresa.» disse, e Leo gli fissò le labbra con desiderio.

«Ah no? Se ti lasci strofinare, ti offro un desiderio.»

Will rise più forte, portandosi la mano alla bocca, e prima che Leo potesse saltargli addosso, James uscì dal bagno in pigiama, trascinandosi dietro il suo peluche.

«Papa!» esclamò James, illuminandosi nel vederlo, e Leo trattenne i suoi istinti. «Che bello vedetti!»

Leo gli sorrise, senza avvicinarsi. «Dico lo stesso, mijo. Mi spieghi cosa fa qui Will?»

«Dommiamo tutti insieme!» esclamò il bambino, entusiasta. «Come te, io e mamma!»

Leo guardò il figlio in silenzio, e annuì. James andò a sedersi sul letto, vicino a Will, che gli accarezzò dolcemente i capelli.

«Avete già cenato?» domandò Leo, andando in bagno e spogliandosi, lasciando la porta aperta.

«Sì, un po' di pasta.» disse Will, lanciandogli una rapida occhiata. Leo era ricoperto di sporcizia, e la cosa lo attirò molto. Si mordicchiò il labbro, prendendo il telecomando della tv e l'accese. James iniziò a fare zapping, cercando un cartone, e rimase a guardarlo imbambolato.

«Ne è avanzata un po'?» domandò Leo, accendendo l'acqua fredda e prendendo la spugna, iniziando a passarla con foga sulla pelle.

«Te la vado a prendere.» disse Will, alzandosi dal letto.

«Grazie.»

 

La passeggiata dalla cucina alla camera servì a Will per calmare l'istinto. Desiderava molto andare sotto la doccia da Leo, e aiutarlo a lavarsi la schiena. Soprattutto dopo l'ultimissima doccia che avevano fatto insieme, nel bunker 9.

Will posò il piatto sulla scrivania. Leo era ancora sotto la doccia, si stava strofinando via il grasso dalle unghie.

«Su, Leo, sbrigati, che poi si raffredda.» disse Will, avvicinandosi alla porta del bagno.

«Con me non c'è nulla di freddo, baby.» sorrise Leo. «Ti va di passarmi l'asciugamano?»

Will annuì e prese un asciugamano rosso fuoco dal cassetto. Leo spense l'acqua e uscì dalla doccia, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla guancia, alzandosi sulle punte per baciarlo. Will si lasciò avvicinare, ricambiando il bacio non appena le loro labbra si toccarono. Erano fuori dalla vista di James, impegnato a guardare la tv.

«Sei sexy appena uscito dal lavoro.» mormorò Will, e Leo si scaldò, asciugandosi.

«È ancora più sexy trovarti sul mio letto dopo una giornata di lavoro.» mormorò Leo, legandosi l'asciugamano alla vita.

«Me lo ricorderò.» annuì Will, posandogli la mano sui fianchi. «Mi sei mancato in questi ultimi giorni.»

«Abbiamo fatto merenda insieme, ieri.» ricordò Leo, passandogli le dita sulle labbra.

«Non era esattamente merenda insieme.» disse Will, trattenendo una risata. «Ti sei squarciato un braccio e ti ho dato un leccalecca mentre lavoravo.»

«Oh, giusto.» annuì Leo, lanciando un'occhiata al braccio destro, quello privo di tatuaggi. «Ma il leccalecca lo hai mangiato anche tu.»

«Qualcosa lo ricordi.» mormorò Will, baciandolo di nuovo.

Leo ricambiò con energia, spingendolo contro il lavandino. Per qualche minuto si baciarono e si toccarono in più punti, e quando udirono James ridere dalla stanza affianco, si separarono di colpo, guardandosi colpevoli.

«Quando hai un giorno libero?» domandò Will, accarezzandogli il labbro.

«Ho quasi finito un progetto.» mormorò Leo, spostandosi e baciandogli il dito. «Direi tra una settimana.»

«Ottimo.» disse Will, dandogli una pacca sul sedere prima di tornare sul letto da James.

Leo cercò la biancheria nel cassetto, e tornò in camera dopo qualche minuto. Non si sedette con loro. Aveva paura di addormentarsi non appena sfiorato il letto. Non dormiva da due giorni, per concludere il più in fretta possibile il suo progetto.

«Papa, mi racconti storia?» chiese James, spegnendo la tv e accoccolandosi nel letto.

«Certo, quale vuoi?» disse Leo, andando alla piccola libreria.

«Peter Pan.»

«Uuh, posso leggerla io?» domandò Will, e Leo prese il libro.

James guardò prima uno e poi l'altro, stringendosi nelle spalle.

«Leggiamola insieme.» disse Leo, occhieggiando il piatto di pasta. «Inizia pure tu.»

«Okay.» disse Will, e Leo gli passò il libro prima di mettersi a mangiare. Divorò tutta la pasta in meno di due minuti, e bevve un sorso di Coca-Cola. Nel mentre, Will aveva già iniziato la lettura.

Leo si sedette dall'altra parte di James, appoggiandosi al bambino, che ascoltava rapito Will. Il dottore cambiava tonalità della voce a seconda del personaggio, e anche Leo si ritrovò ad ascoltarlo.

Ad un certo punto Will si interruppe, guardando il fidanzato. «Ops. Tocca a te.» disse, passandogli il libro.

«No!» esclamarono padre e figlio, spingendo il libro verso Will. «Continua.»

Will li guardò un po' perplesso, ma riprese.

 

Dieci minuti dopo, Will chiuse il libro e si voltò verso i due Valdez. Dormivano, con le labbra socchiuse, stretti l'uno all'altro. Will sorrise dolcemente nel vederli, e schioccò un bacio ad entrambi sulla fronte. Posò il libro e si addormentò con loro.

 

Quando Leo si svegliò, diverse ore dopo, notò subito l'assenza di suo figlio a letto. Alzò la testa, notando il pigiama del bambino sul pavimento, e l'anta dell'armadio spalancato. Nell'aria aleggiava l'odore pungente del dopobarba di Jared. Leo borbottò e infilò la testa sul petto di Will, assaporando il suo profumo dolciastro.

Will impiegò qualche minuto a svegliarsi. Posò le labbra sulla fronte di Leo, che si sistemò su di lui e lo baciò. Si baciarono per qualche minuto senza guardarsi, poi aprirono gli occhi.

«Buongiorno.» borbottò Will sulle sue labbra.

«Buongiorno.» rispose Leo, tirandosi un po' su. «Colazione?»

«Che ore sono?» disse il biondo.

Leo lanciò un'occhiata alla sveglia. «Nove.» bofonchiò.

«Oh merda.»

Leo scese dal suo petto e Will rotolò giù dal letto, alzandosi in piedi dopo qualche secondo.

«Cosa?» chiese Leo, mettendosi seduto e guardandolo spogliarsi.

«Infermeria.» grugnì Will, prendendo i suoi vestiti dalla sedia e infilandoseli. «Il mio turno è iniziato un'ora fa.»

«Ahi.» fischiò Leo, stendendosi di nuovo. «Sei in ritardo.»

«Pensavo avessi la sveglia postata.» disse Will, allacciandosi la cintura.

«Ah no. Non la metto quasi mai.»

«Capisco.»

Will corse in bagno, e al ritorno stampò un bacio sulle labbra di Leo.

«Dobbiamo rifarlo.» disse il figlio di Apollo.

«Anche subito.» disse Leo, attirandolo a sé e baciandolo di nuovo.

«Dormire insieme, non il bacio, anche se...» mormorò Will, divertito, baciandolo un altro paio di volte.

«Quando vuoi.» Leo gli mordicchiò il labbro, e sorrise. «Ma è meglio se te ne vai, prima che ti trascini sul letto.»

«Ah, che idea allettante.» Will recuperò la sua borsa, infilando dentro il pigiama. «Pranzo?»

«Non credo.»

«Ci vediamo stasera.» rise Will, facendogli un cenno e arrivando alla porta. «Ma James?»

«Lo hai schiacciato.» disse Leo, serio, trattenendo una risata.

«L'ho schiacciato e l'ho fatto uscire dai vestiti?» sbuffò Will, recuperando il pigiama del bambino dal pavimento.

«Può essere.»

«Ti amo, Leo, a dopo.»

«A dopo.»

Leo guardò Will uscire dalla stanza e si stese sul letto, deglutendo. La naturalezza con la quale Will gli aveva detto ti amo gli aveva fatto aumentare i battiti. Si strinse al cuscino usato da Will, e si addormentò di nuovo.

 

Appena Will mise piede in infermeria, suo fratello Angel gli scoccò un'occhiataccia.

«Sei in ritardo!» lo aggredì Angel, andandogli incontro con passo spedito e puntandogli un dito sul petto.

«Mi dispiace, proverò a ricambiare in qualche modo.» disse Will, lasciando la giacca all'entrata e togliendosi la borsa.

«Be', puoi ricambiare in due modi: il primo, copri il mio turno domani pomeriggio, io e Steve andiamo fuori a pranzo.»

«Okay, si può fare.» annuì Will, legandosi i capelli in un codino. Li aveva fatti crescere solo per poterli legare. Si divertiva molto ad avere i capelli legati in quel modo. «La seconda cosa?»

Angel sorrise. «Dirmi dove hai dormito questa notte. In infermeria non c'eri, e nemmeno nel tuo letto. E non sei sudato, quindi non eri nel bunker 9.»

Will scosse la testa. «Non posso dirtelo.»

«Allora lo dico io dov'eri. Nella cabina 9. Ma, Will... Hai fatto sesso con Leo davanti a suo figlio? Sei proprio un birbante.»

Will trattenne una risata, e gli diede un pugno sulla spalla. «Abbiamo solo dormito.»

«Certo, e io non ho sonno.» Angel sbadigliò sonoramente. «Credo che andrò a dormire. Il turno di notte è stato stancante. Ci vediamo stasera in camera tua?»

«Non credo.»

Angel gli fece l'occhiolino, e uscì dall'infermeria. Will lo seguì con lo sguardo, sorridendo divertito, e andò a prendere il suo camice. Mentre se lo infilava, il telefono nella tasca squillò. Con un nodo alla gola, Will scoprì che la sua migliore amica gli aveva mandato un messaggio, ma non ebbe il coraggio di aprirlo. Conoscendola, si sarebbe scusata per non avergli detto niente, che gli dispiaceva moltissimo per come fossero andate le cose, che se fosse stato per lei gli avrebbe detto subito della relazione tra Nico e Percy.

Will scosse la testa. La giornata era iniziata bene, e non intendeva rovinarla per colpa della sua migliore amica. Lasciò il telefono sulla scrivania, e uscì dal suo ufficio.

Aveva appena preso la cartella di un figlio di Ermes ricoverato quella notte quando entrò un figlio di Ares nella stanza. Era sudato, e sporco di sangue sul volto.

«Solace?» gracchiò il ragazzo, muovendo lo sguardo sulla stanza. «C'è il dottor Solace?»

«Sono qui.» Will si affrettò verso il ragazzo, prendendo un paio di guanti e fissandogli la ferita sulla guancia. «Cos'è successo?»

«Devi venire con me.» disse il ragazzo, prendendogli il polso. Will notò che stava tremando.

«Credo dovremmo restare qui, e medicarti quella ferita.» disse Will, cercando di tranquillizzarlo.

«No!» Il figlio di Ares aveva quasi le lacrime agli occhi. «C'è m-mio fratello G-Gale ferito, alla b-barriera, e non ri-riesco a portarlo qui.»

«Siete stati attaccati?» chiese Will, afferrando la sua borsa e svuotandola di tutto ciò che non era necessario. Infilò garze, kit di cucito e medicinali della borsa.

«Erano du-due mostri.» balbettò il ragazzo, massaggiandosi il braccio.

«Okay. Rose!» Will chiamò la sorella, che gli si avvicinò di corsa. «Di a Nate di occuparsi dell'infermeria, e vieni con me. Abbiamo un figlio di Ares ferito alla barriera.»

«Sì, Will.» annuì Rose, correndo da Nate.

Will seguì il figlio di Ares fuori dall'infermeria. Il ragazzo, seppur ferito, correva, e Will gli tenne dietro. Quando Rose lo raggiunse, lo informò che Nate avrebbe tenuto un letto pronto per il ferito, e le attrezzature per operarlo sarebbero state pronte.

«Spero non sia necessario.» disse Will, scostando lo sguardo dalla sorella. Sebbene avesse la mente affollata di pensieri, Will udì lo stesso il sibilò della freccia provenire alla sua destra. Riuscì a spingere sua sorella in terra e proteggerla con il proprio corpo prima di venire colpito alla spalla.

Rose lanciò un grido spaventato, e Will le tappò la bocca, in attesa di una sfilza di frecce. La spalla era dolorante, e sentiva un formicolare per tutto il braccio.

«Tutto apposto?» urlò il figlio di Ares, correndo verso di loro, e Will alzò lo sguardo.

«Sono ferito, ma non è nulla.» disse Will, alzandosi in piedi, lanciando un'occhiata alla freccia. Non era entrata molto in profondità. «Tu sei ferito?»

«Non è grave.» disse il figlio di Ares, fermandosi davanti a lui. Will lo guardò, e non riuscì a difendersi mentre il ragazzo lo colpiva con forza prima alla mascella, e poi allo stomaco. Will crollò a terra, e riuscì solo a sentire le urla della propria sorella.

*************

«Papa!»

Leo si svegliò dieci minuti dopo che Will era uscito dalla stanza. Aprì un occhio, fissando il figlio che correva verso il letto, saltandogli poi vicino.

«Papa, sveglia!» gridò James, divertito, continuando a saltare.

«Mmm mh.» annuì Leo, affondando la testa nel cuscino, ignorando il fratello che rideva dalla soglia della stanza.

«Papa, Jared e Paul vogliono pottammi al parco!» esclamò James, sedendosi sopra la schiena del padre.

«Divertitevi.» borbottò Leo, e James rise.

Jared avanzò nella stanza, prendendo James in braccio. Leo si mise seduto, scostandosi i capelli dalla fronte e li guardò assonnato.

«Vuoi venire con noi al parco, Miss Bellezza?» domandò Jared, trattenendo una risatina.

Leo guardò le bende spuntare dal colletto del fratello, e sbuffò. «No grazie, Frankestein.»

Jared e James scoppiarono a ridere, e Jared posò il nipote sul letto.

«Che hai fatto sul collo?» chiese Leo, mentre James si sedeva sopra le sue ginocchia.

«Trix mi ha lanciato un pezzo di metallo.» disse Jared, alzando le spalle, abbassando piano il colletto della maglia. Leo fischiò tra i denti. Una volta se l'era beccato anche lui, un pezzo incandescente dritto sulla scapola.

«Cosa le hai detto?»

«Che è stronza.»

«E dopo che te l'ha fatto?»

«Che è doppiamente stronza. E mi sono svegliato in infermeria questa mattina alle sei.»

Jared aggrottò la fronte, facendo qualche rapido calcolo, e James diede un bacino sulla guancia al padre.

«Quindi no vieni?» domandò.

«No, piccolo, scusami.» Leo gli accarezzò i capelli. «Appena finisco questo lavoro, io e te andremo al parco un giorno intero.»

«Con noi viene Will?»

«Certo. Altrimenti chi preparerà il picnic?» ridacchiò Leo, e James gli diede un altro bacio scendendo dalle sue ginocchia.

«Sono svenuto per otto ore.» notò Jared. «Devo fargliela pagare.»

«Non oggi.» disse Leo, alzandosi in piedi e stiracchiandosi. «Oggi farai il bravo.»

«Oggi io, James e Paul organizzeremo un piano per far del male a Trix.» sorrise Jared, prendendo in braccio il bambino.

«Fate attenzione.» disse Leo, prendendo una giacca dall'armadio. «Vorrei mio figlio intero per cena.»

«Lo avrai.» gli assicurò Jared, dandogli un bacio sulla guancia, ridendo e scappando via dalla stanza con il bambino.

Leo scosse la testa, e aprì uno dei cassetti. Si infilò una maglia del campo e un vecchio jeans strappato. Era strano, ma tutti i suoi jeans erano vecchi e strappati. Forse doveva fare un po' di compere.

Rubò una tazza di caffè da un tavolo, e una brioche che si scaldava nel microonde, e scappò via in fucina, ignorando le urla arrabbiate dei suoi fratelli.

Leo finì la colazione lungo il tragitto, e lasciò la tazza sul tavolo dell'entrata in fucina. Si avviò alla sua postazione salutando i fratelli, e recuperò una maschera da saldatore. Controllò i suoi progetti, e annuì. Era arrivato il momento di saldare.

 

Erano passate due ore da quando stava saldando, e Leo si era già sfilato la maglietta bruciacchiata. Le scintille gli volavano sul petto, sfrigolavano per un secondo prima di smettere di fargli del male. Era quasi divertente, e se il suo lavoro non fosse stato così impegnativo, avrebbe anche riso.

«LEO!»

Leo si morse il labbro mentre il pezzo che stava saldando cadeva in terra, facendo tremare il pavimento. Fissò il lavoro di mezza giornata distrutto, e si tolse la maschera da saldatore.

«Chi urla il mio nome?!» urlò Leo, voltandosi alla ricerca del colpevole. Lo individuò subito, con i capelli biondi e i vestiti così sobri. Non era un figlio di Efesto, e con quell'espressione guardinga non lo sarebbe mai stato.

«Ti ho chiamato io.» disse il ragazzo, passandosi le dita tra i capelli biondi.

«Cosa cazzo vuoi?» sbottò Leo, togliendosi la maschera da saldatore e lanciandola sul suo bancone. «Ho appena distrutto un lavoro notevole che andava finito entra questa sera. Quindi spero per te che si tratti di qualcosa di importante, e non della corda del tuo arco che si allentata, perché potrei seriamente farti del male...»

«Si tratta di Will.» disse in fretta il ragazzo, e le parole di Leo gli morirono in gola. Un improvviso silenzio si fece spazio nella fucina, e Leo si chiese se i suoi fratelli si fossero tutti fermati, o se il silenzio fosse solo nella sua testa.

«Cosa...?» mormorò Leo, deglutendo.

Il figlio di Apollo inspirò profondamente. «È meglio se vieni con me in infermeria. Te ne parlerò nel tragitto.»

«No, voglio saperlo ora. Cos'è successo? Se è un fottuto scherzo...»

«No, non è uno scherzo, e non scherzerei mai su uno dei miei fratelli! È stato picchiato, malmenato, e chissà cos'altro, e ora è in infermeria. Pensavo volessi saperlo.»

 

 

Leo entrò come una furia in infermeria. Il cuore gli batteva così forte che gli faceva male il petto. Dalle mani gli uscivano delle scintille, e anche se si sforzava non riusciva a mantenere il controllo.

«Lui dov'è?» gridò Leo, guardando tutti i lettini.

Il ragazzo che lo aveva accompagnato in infermeria lo superò, facendogli cenno di seguirlo. Leo gli andò dietro, tenendo d'occhio tutti quanti. Notò Angel stretto a Steve. Gli occhi di suo fratello incrociarono i suoi per un momento prima di abbassarsi.

Leo deglutì, e si infilzò le unghie nella carne del palmo, cercando di mantenere il controllo.

Il ragazzo aprì la porta di una stanza e Leo entrò subito dopo di lui. Pensava di essere pronto a tutto, ma non fu così.

Will era steso sul lettino, le lenzuola ordinatamente tirate fino a metà petto. Indossava solo il camice verdognolo dell'infermeria, che si notava molto da sotto il lenzuolo. Attaccata alla sua bocca c'era una mascherina per l'ossigeno. L'unico suono che si udiva erano i bip bip regolari del cuore di Will.

Leo fece qualche passo avanti, gli occhi puntati sul volto del suo ragazzo. Aveva un occhio nero e gonfio, diversi tagli sulla fronte, sul labbro e sulla guancia, e diversi lividi sul collo. Immaginò che dovevano esserci altri lividi sotto il lenzuolo, sotto il camice.

«Cosa è successo?» sussurrò Leo, sfiorando la mano di Will. Aveva le mani bendate, e Leo si domandò se si fosse difeso.

«Da quanto ho capito, un figlio di Ares è venuto qui e ha detto che un suo fratello era fuori dalla barriera, mal ridotto a causa di un mostro. E Will lo ha seguito fuori.»

«Da solo? Lo avete lasciato uscire da solo con un figlio di Ares?!»

«Non era solo. C'era anche nostra sorella Rose.»

Altre scintille uscirono dalla mano di Leo. «Lei è ridotta così?»

«No, lei sta meglio. Ha solo qualche livido.»

Leo si fece coraggio e posò le dita sulla mano di Will. Gli accarezzò le dita, e gli prese la mano.

«Come ti chiami?» chiese Leo al ragazzo, senza spostare lo sguardo da Will.

«Nate.»

«Nate. Da quanto è così? Come lo avete trovato?»

«Li stavo aspettando.» sospirò Nate. «Rose mi ha detto del ferito, e ho aspettato. Dopo un'ora sono andato a cercarli, e ho trovato Rose legata ad un albero. E Will più avanti. Rose era cosciente, e mi ha aiutato a portarlo.»

«Il figlio di Ares.» disse Leo. «Chi era? Cos'ha raccontato Rose?»

«Rose non ricorda nulla. E non so chi fosse il figlio di Ares, non l'ho visto.»

«Tra quanto si sveglierà?»

«Da un momento all'altro.»

Nate tolse con delicatezza la mascherina dell'ossigeno dal volto di Will.

«Che fai?» gridò Leo, stringendo la mano a Will.

«Questa non serve.» lo rassicurò. «L'ho messa quando è arrivato per sicurezza. Ma respira anche senza, vedi?»

Leo annuì lentamente, notandolo.

Nate gli portò una sedia, e Leo si accomodò, tenendo la mano di Will nella sua, gli occhi puntati sul suo volto. Rimase in attesa di vedere quegli splendidi occhi blu aperti, felici, che gli sorridevano.

Leo non era stato intenzionato a contare i minuti, ma lo fece. Ne erano passati dodici quando notò un movimento alla palpebra destra, che lentamente si aprì.

«Will.» sussurrò Leo, mettendosi più vicino, continuando a tenergli la mano. «Will, sono qui.»

Will sbatté la palpebra e lo guardò. «L-Leo c-cosa è-è su-successo?» farfugliò.

«Sei stato ferito, ma non ti preoccupare. I tuoi fratelli ora ti cureranno.» lo tranquillizzò Leo, accarezzandogli la mano bendata.

Will lo guardò terrorizzato. Leo si mise seduto vicino a lui, cercando di abbracciarlo, e lo sentì tremare.

«Will, sono io.» mormorò Leo, cercando di farsi guardare in faccia. Quando Will incrociò il suo sguardo, Leo lo sentì rilassarsi.

«Leo.» Will gli portò la mano al volto, accarezzandogli piano la guancia, trattenendo un urlo di dolore per il movimento. «Lui... Lui mi...»

«Lo so, ti ha picchiato.» annuì Leo, tenendogli la mano. «Lo troverò. Come si chiama? Ricordi il suo nome?»

Will scosse piano la testa.

Leo annuì. «Non importa, lo troverò ugualmente.» Gli diede un leggero bacio sulla fronte.

«Leo, lui... è Marc... Marcelus...» sussurrò Will, socchiudendo l'occhio.

Leo ricordava bene quel figlio di Ares. Aveva ancora delle cicatrici sulle nocche, in ricordo di quanto gli aveva fatto al naso. «So chi è.» Leo trattenne a stento un sorriso. Questa volta il naso rotto sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi.

Will gli strinse la mano sulla guancia, e Leo nascose una smorfia. Si guardarono per un momento, poi Will scoppiò a piangere.

«Amore!» esclamò Leo, sorpreso, stringendolo. «Piccolo, starai bene, andrà tutto bene, okay?»

Will scosse la testa, continuando a piangere. Leo aveva confortato spesso il fratello, o le sorelle che si bruciavano in fucina. Ma un uomo adulto...

Lasciò che Will versasse le sue lacrime. Leo si chiese perché stesse piangendo. Perché era stato ferito? Perché non era riuscito a reagire? O perché il dolore gli stava facendo troppo male?

«Nate!» chiamò Leo, sperando che il fratello di Will lo sentisse subito. «Nate!»

Will tirò su col naso. «Mi ha... mi ha stup... struprato.» sussurrò, coprendosi il volto. Poi si coprì il volto con le mani doloranti e non disse più una parola.

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Capitolo 27
*** 32/33. Il piano di Angel ***


Per la seconda volta nel giro di poche settimane, Leo si sentì ghiacciare. Rimase totalmente spiazzato a guardare il fidanzato che riprendeva a piangere, il volto nascosto dalle mani. Leo fu tentato di toglierle, di farlo ripetere, solo per accertarsi di aver sentito giusto.

Osservando le spalle di Will tremare, i pochi pezzi che aveva appena visto si riassemblarono. Will che scuoteva piano la testa mentre diceva che Marc lo aveva picchiato. Will che tremava sentendolo così vicino, spaventato di sentire ancora le mani del figlio di Ares su di lui.

Il suo Will...

Cercò di calmarsi, ma non ci riuscì. Mille pensieri gli attraversarono la mente, ed erano tutti rivolti a Marcelus, figlio di Ares. Gliel'avrebbe fatta pagare.

Leo passò le braccia attorno al corpo di Will e lo strinse. Will rabbrividì al contatto, ma gli posò una mano sulla spalla per fargli capire che quel contatto era ben accetto.

Will si addormentò in lacrime dopo una decina di minuti. Leo lo fece stendere, attento ad ogni suo centimetro di pelle che sfiorava, sperando di non fargli male. Il suo Will ora era così fragile. Rimase a guardarlo per un altro minuto prima di uscire dalla stanza.

«È sveglio?» domandò Nate, andandogli contro.

«No, ora si è addormentato. Ti ho chiamato prima.»

«Scusa, avevo un altro paziente.»

«Chi c'è di più importante di tuo fratello?» sbottò Leo, superandolo con una spallata, e raggiungendo l'uscita dell'infermeria.

All'aria fresca, la nausea di Leo passò. Il suo sguardo vagò per le cabine disposte a ferro di cavallo poco lontano. Le passò in rassegna, fermandosi alla numero 5. Una fiamma si impossessò della sua mano.

«Leo.»

Il ragazzo non si voltò, impegnato com'era a tenere d'occhio la cabina di Ares. Ignorò la grossa mano di suo fratello posarsi sulla sua spalla, e anche il volto abbronzato che comparve nel suo campo visivo.

«Vuoi qualcosa?» gli domandò Angel, scrutandolo. «Posso farti qualcosa per dormire.»

«Occupati di Will.» disse Leo. «Io sto benissimo.»

«Fratello, non si direbbe.» Steve lanciò un'occhiata al fidanzato prima di guardare Leo negli occhi. «Hai un aspetto terribile, dovresti dormire.»

«Io sto benissimo. Ma sai chi presto avrà un aspetto terribile?» ringhiò Leo, mentre la mano si incendiava. Steve spinse Angel di lato, per evitare che venisse colpito. «Marcelus, figlio di Ares.»

«Cosa hai intenzione di fare, sfigurarlo?» disse Angel, tornando da loro.

«Sarà troppo fortunato se spera veramente che lo sfiguri e basta.»

Steve e Angel si lanciarono una lunga occhiata, poi tornarono a guardarlo.

«Sentite, non mi interessate voi, quindi levatevi. Devo trovare un certo figlio di Ares. E ucciderlo.»

«Ucciderlo? No Leo non puoi ucciderlo...»

«Voi non avete la minima idea di quello che ha fatto a Will.»

«Lo ha picchiato, lo abbiamo visto...»

«Ha fatto molto di peggio.»

Angelo lo squadrò con attenzione. «Intendi dire che lo ha...» mormorò, e Leo annuì gravemente. «Allora sono con te. Qualsiasi cosa gli vuoi fare, io ti spalleggerò.»

«Di cosa state parlando?» domandò Steve, perplesso, mentre Leo annuiva ad Angel e si affrettava verso la cabina 5.

«Te lo spiego dopo.» borbottò Angel al fidanzato, seguendo Leo.

 

La cabina di Ares era vuota. Steve buttò giù la porta, essendo il più forte dei tre, sebbene Leo avesse così tanta adrenalina nelle vene da poter buttare giù l'intera cabina.

«Saranno in Arena.» sbuffò Angel, dopo aver fatto un giro di perlustrazione nella cabina.

«Mi serve solo Marcelus.» disse Leo, trattenendo le fiamme. Voleva dare fuoco all'intera cabina, e solo la presenza del fratello lo teneva calmo.

«Cerchiamolo. Ma, Leo... e il complice di Marcelus?»

«Quando lo troveremo, penserò anche a lui. Per ora voglio solo bruciare il cazzo a quello stronzo...»

«Ottimo obiettivo.» mormorò Angel, e i tre uscirono dalla cabina.

 

Non trovarono Marcelus nemmeno in Arena. Steve dovette trattenere Leo con la forza mentre guardavano i figli di Ares intenti a ridere e a scherzare.

Andarono verso il bosco, e mentre Angel seguiva le tracce lasciate da Nate mentre trascinava Will, Steve e Leo si misero alla ricerca di Marcelus. Steve aveva quasi rinunciato, era sul punto di dire agli di andare da Chirone, quando udirono dei passi e Leo si mise a correre.

«Ehi, quanta fretta.» ridacchiò il figlio di Ares, appoggiandosi ad un albero, osservandoli. Leo riconobbe i capelli rosa. «Cosa state cercando?»

«Te.» ringhiò Leo, mentre una vampata di odio lo assaliva.

«Ehi, Valdez.» sogghignò il ragazzo. «Ora ci penserai due volte prima di fare male ad un figlio di Ares, eh?»

Prima che Leo potesse saltargli alla gola, Angel si avventò su Marcelus, colpendolo dritto al naso, rotto già in precedenza da Leo. Il figlio di Ares lanciò un sibilo, spintonando Angel e facendolo cadere in terra, tirandogli un successivo calcio alla gamba. Angel lanciò un urlo di dolore.

Steve recuperò un martello dalla tasca. I figli di Efesto avevano ridotto molte armi alla grandezza di una chiave, per essere più comodi in combattimento. Steve lanciò il martello contro Marcelus, colpendolo alla spalla, e cadde a terra.

«Tre contro uno, quanto siete leali.» sbottò Marcelus, rimettendosi in piedi, mentre Steve aiutava Angel a rialzarsi.

«Sei l'ultimo che può parlare di lealtà, bastardo.» ringhiò Leo, andandogli contro.

«Cosa vuoi fare? Vendicare la tua ragazza?» disse il figlio di Ares, divertito, guardandolo. «Sei la metà di lui, non ti schiaccia mentre scopate?»

Le mani di Leo presero fuoco e si lanciò su Marcelus, che lanciò un urlo quando il calore delle fiamme lo investì. Il figlio di Ares cadde all'indietro mentre Leo si buttava su di lui, colpendolo con forza all'addome e al volto.

«Questo è per quello che hai fatto a Will!» gridò Leo, continuando a riempirlo di pugni infuocati, ignorando le sue urla di dolore. «La prossima volta che te la prendi con qualcuno, vai direttamente da lui, codardo!»

«Leo!»

Il figlio di Efesto era sordo alle grida di suo fratello alle sue spalle, e lo ignorò, continuando a colpire il giovane che aveva picchiato e ferito il suo ragazzo. I pugni continuarono a calare sul figlio di Ares, e Leo non si fermò, sebbene non lo sentisse più difendersi e agitarsi.

Quando la mano grande e ricoperta di calli di Steve si strinse contro il suo braccio, Leo si calmò. Non intendeva fare del male al fratello con il suo fuoco. I pensieri gli si schiarirono, e abbassò lo sguardo su Marcelus, trattenendo un grido.

«Leo, lo hai ucciso.» sussurrò Steve.

 

«No. Non l'ho fatto.» mormorò Leo dopo qualche minuto, alzandosi in piedi, gli occhi puntati sul volto di Marcelus. Era ricoperto di sangue e bruciature, e lo sgradevole odore di carne bruciata aleggiava attorno a loro.

Angel si inginocchiò vicino al ragazzo, e gli controllò le pulsazioni. Rimase in ascolto per un minuto, prima di alzare lo sguardo su di lui.

«Morto.» disse con tono neutro. «Non che mi aspettavo diversamente.»

Leo sentì un brivido lungo la schiena. Aveva ucciso una persona... Si pulì le mani sulla maglia, senza osare guardare il proprio fratello.

«Che intendi, Ange? Eri d'accordo?» sbottò Steve, fissandolo.

«Certo.» annuì Angel, abbassando le palpebre del figlio di Ares, coprendo gli occhi spenti, e lanciando un'occhiata ai due figli di Efesto. «Ha stuprato mio fratello. Se lo meritava.»

Leo chiuse gli occhi, appoggiandosi ad un albero.

«Non si risolve la violenza con altra violenza!» ringhiò Steve.

«Allora perché diavolo sei venuto con noi, Erikson?» sbottò Angel, guardandolo in faccia.

Steve sussultò e Leo guardò prima uno e poi l'altro.

«Volevo esservi di aiuto, Thomas.» rispose Steve, fissandolo malissimo. «Volevo aiutare mio fratello e il mio ragazzo. Non pensavo che sarei stato complice di un omicidio.»

«Questo è colpa mia.» disse Leo, mettendosi in mezzo a loro per calmarli, senza guardare il volto privo di vita di Marcelus. «Solo colpa mia. Angel non poteva immaginare quello che volessi fare. E non lo sapevo nemmeno io quando me lo sono visto davanti.»

«Leo, ti rendi conto di quello che hai fatto? Avremmo dovuto parlarne con Chirone, ci avrebbe pensato lui.» Steve si passò le dita tra i capelli, lo sguardo fisso sul cadavere. «Ora è troppo tardi, ci butteranno fuori dal Campo, o ci metteranno al rogo.»

«Oddei, è davvero questo ciò che ti preoccupa di più?» mormorò Angel, sospirando. «Ora tutto quello che ci serve è solo un buon piano, ragazzi.»

«Un piano?» ripeté Leo, guardandolo.

«Un piano per passarla liscia. Non penso che tu voglia andare da Chirone e dirgli che hai ucciso un ragazzo, anche se questo ha violentato il tuo fidanzato.» Angel scoccò un'occhiataccia a Steve, che sgranò gli occhi.

«No, non voglio farlo.» sussurrò Leo. «Ha avuto quello che si meritava per aver fatto male a Will.»

«E io sono dalla tua parte, Leo, davvero.» Angel inspirò e posò una mano sul volto freddo e rovinato dalle fiamme di Marcelus. Iniziò a mormorare un incantesimo in greco, e Leo guardò le fiamme sul volto del morto scomparire, diventare più sottili.

«Cosa sta facendo?» disse Steve, guardingo.

«Elimina le mie tracce.» disse Leo, guardando il figlio di Apollo grato.

«Ma si può fare?»

«A quanto pare...»

Alla fine dell'incantesimo, Angel era ricoperto di sudore. Steve gli si avvicinò subito, aiutandolo ad alzarsi e lasciando che si reggesse a lui. Angel gli accarezzò la guancia, e lanciò un'occhiata a Leo.

«Dobbiamo proseguire il piano.» disse con voce stanca.

«Tu devi riposarti.» dissero in contemporanea i due figli di Efesto.

«Cosa dobbiamo fare?» aggiunse Steve, stringendolo con un braccio. Ormai voleva arrivare fino in fondo a quella storia.

Angel spiegò il piano, e Leo sgranò gli occhi, chiedendosi da quanto avesse in programma una cosa del genere. Incrociò gli occhi di Steve, sorpresi quanto lui, e scoprì che erano giunti alla stessa conclusione.

Mai far arrabbiare un figlio di Apollo.

****************

Will riprese i sensi dopo una ventina di minuti. Non aveva male in nessuna parte del corpo. A bruciargli di più erano i ricordi, offuscati, che facevano capolino nella sua mente. Ricordava il figlio di Ares colpirlo, poi un dolore acuto alla spalla, i suoi vestiti strappati con forza, e tanto dolore al fondoschiena.

Will si strofinò le dita sul volto, mordendosi il labbro con forza. Quando sarebbe passato quel dolore? Le cure di suo fratello Nate non erano sufficienti per fargli passare tutto.

Proprio in quel momento, suo fratello Nate entrò nella stanza. Il suo volto sembrò rallegrarsi nel vederlo sveglio, e si sedette vicino a lui, posandogli la mano sul polso. Non era solo un gesto fraterno, ma anche uno da medico. Gli controllava le pulsazioni con un gesto semplice, che un paziente normale non avrebbe notato.

«Come ti senti?» domandò Nate, osservando con attenzione il suo volto. I lividi erano già in fase di guarigione, ma forse sarebbero serviti altri due giorni per sparire del tutto.

«Meglio.» mormorò Will, guardando le loro mani, e Nate gli sollevò il mento per farsi guardare negli occhi.

«Non sono uno scemo.» disse Nate.

«Allora perché mi domandi come sto?» sbottò Will, e Nate arrossì leggermente. «Dov'è Leo? Non voglio che sappia che sono qui.»

Nate tossicchiò.

Will sgranò gli occhi. «Cosa? Lo hai già chiamato? Dei, Nate, non...»

«Non solo l'ho già chiamato, ma avete già parlato.» mormorò il fratello, e Will lo guardò sorpreso. «Non te lo ricordi?»

«Dopo ciò che mi è successo, penso tu possa perdonarmelo. Dov'è ora Leo?»

«L'ho visto allontanarsi verso la foresta con suo fratello ed Angel.»

Will si morse l'interno della guancia, ignorando l'ondata di dolore che lo assalì. «Sono andati soli nella foresta?» mormorò. «E se ci fosse ancora Marcelus...?»

I battiti di Will accelerarono, e Nate provò a calmarlo. Quando Will riuscì a divincolarsi dalla presa del fratello e a posare un piede a terra, udirono delle grida provenire dall'altra stanza.

«Resta qui!» gridò Nate, scoccandogli un'occhiataccia, e correndo nell'altra stanza.

Will non rispose, e afferrò un accappatoio, prima di alzarsi. Il dolore lo assalì da vari punti, e si aggrappò alla maniglia della porta per non cadere. Il respiro gli divenne affannoso, mentre piccole stelle comparivano nel suo Campo visivo. Si appoggiò alla porta, digrignando i denti, in attesa che il capogiro passasse. Poi, con un piccolo sospiro, lasciò la sua stanza.

I figli di Apollo lo superarono senza degnarlo di un'occhiata, occupati com'erano ad andare verso la porta. Sentì qualcuno dire «Non mi dispiace affatto», e Will si domandò a cosa si riferisse.

«Siamo... Siamo stati... attaccati, e...»

Will si fermò, appoggiandosi ad un lettino, mentre la voce tremante e singhiozzante di Angel faceva zittire tutti i suoi fratelli, e tutti i curiosi che li avevano seguiti.

«Non... Ci hanno ferito... Erano in quattro...»

Will si fece avanti, mentre i singhiozzi di Angel soffocavano il resto delle sue parole. Individuò quattro semidei, uno steso immobile su un lettino. Angel era inginocchiato a terra, i capelli ricoperti di sangue, le mani sul volto, mentre le lacrime calde cadevano in terra. Al suo fianco, Steve gli teneva una mano sulla spalla. Anche lui non era messo molto meglio: la maglia era strappata, appiccicata al petto dal sangue, e il suo volto era inespressivo.

«Lui si è buttato subito nella battaglia.» disse Steve, indicando il semidio steso. «E noi abbiamo provato a combattere, ma eravamo disarmati. Solo Leo è riuscito a sconfiggere qualche mostro, prima che morisse.»

Will sentì la bocca asciutta mentre tornava a guardare il volto del semidio. Ora notava chiaramente che fosse morto. Nessun movimento, aveva brutte ferite, e i vestiti erano bruciacchiati in più punti. Ma era troppo alto per essere Leo.

«Will.»

Il figlio di Apollo spostò subito lo sguardo. Leo aveva gli occhi sgranati, e diverse ferite sul petto nudo e sul volto. Subito gli passò un braccio attorno alla vita, riportandolo in camera, aiutato da qualcun altro che Will in quel momento non riconobbe.

 

Quando la porta della camera fu chiusa alle loro spalle, Will sedette goffamente sul letto, e guardò Leo. Sembrava essere tornato da una dura battaglia. Una ferita al braccio tatuato continuava a sanguinare.

«Cosa..?» sussurrò Will, e Leo si fece avanti, stringendolo senza fargli male, baciandogli la fronte. Will si lasciò stendere, e ricoprire fino al petto, e gli prese la mano, stringendola debolmente nella sua.

«Riposati.» mormorò Leo, seduto al suo fianco, accarezzandogli il palmo con il pollice, gli occhi puntati nei suoi. «Hai bisogno di riposo.»

«Leo, cos'è successo?» disse Will, fissandolo.

Leo esitò un momento. «Siamo stati attaccati da dei mostri.» disse, spostando appena lo sguardo. «Ne ho uccisi un paio, gli altri sono scappati. E hanno ucciso il figlio di Ares.»

«Lo stesso figlio di Ares che mi ha stuprato ore fa, ora è morto.» disse Will, e Leo si irrigidì leggermente. «Che strana coincidenza.»

«Will, riposati.» ripeté Leo, alzandosi in piedi, ma senza spostare la mano. «Dormi. Io mi faccio medicare, e tornerò da te.»

Will annuì leggermente, e chiuse gli occhi. La presenza del suo ragazzo lo aiutò ad addormentarsi meglio, e Leo gli baciò di nuovo la fronte prima di uscire.

 

Leo andò a sedersi su un lettino, gli occhi puntati sul lenzuolo che copriva Marcelus della cabina di Ares. Gli altri figli di Ares non erano ancora stati informati della morte di uno dei loro fratelli. I figli di Apollo erano più interessati a curare Angel, addormentato forse con un iniezione, e Steve.

«Eccoti, dov'eri finito?» chiese un figlio di Apollo dai capelli neri come il carbone, e la pelle olivastra.

«Ero da Will.» disse Leo, osservandolo mentre si infilava i guanti. In Will quel gesto lo faceva sorridere, ma con quel ragazzo non provò nulla.

«Giusto. Io sono Grant.» Il ragazzo iniziò a palparlo vicino alle ferite, controllandole, e Leo chiuse gli occhi, lasciandolo fare.

Era stato un idiota. Perché si era lasciato convincere da Angel ad usare il suo stupido piano? Be', non era del tutto stupido, era piuttosto geniale, ma mentire a Will era stato orribile. E non il Will raggiante che incontrava ogni giorno, spensierato, che parlava di medicina e lo baciava con uno splendido sorriso sulle labbra. Ma il Will ferito, pallido, spaventato, ricoperto di lividi.

Leo si voltò, e lanciò un'occhiata ad Angel. Dormiva beato, mentre un suo fratello finiva di medicargli una ferita alla coscia.

«Abbiamo dovuto sedarlo.» spiegò Grant, notando la sua occhiata, e Leo si voltò verso di lui. «Non voleva farsi controllare.»

«Avete fatto bene.» annuì Leo, e iniziò a cercare Steve. Era seduto poco oltre Angel, e i suoi occhi scuri si alzarono nei suoi. Non sembrava che lo stesse incolpando per le bugie che erano sorte, e nemmeno per tutto il resto.

Leo tornò a puntare lo sguardo su Grant, e sul disinfettante che stava usando per la sua ferita.

«Il tatuaggio si è rovinato.» disse Grant.

«Mi farò dare un'altra passata, non è la prima volta che succede.» mormorò piano Leo, e Grant annuì.

Il figlio di Efesto chiuse gli occhi, e l'immagine di Angel che estraeva un pugnale dalla scarpa tornò prepotente. Lo guardò mentre si avvicinava a Steve, colpendolo senza ferirlo mortalmente al braccio, alla spalla e al polpaccio, prima di rivolgersi verso di lui. Leo gli aveva teso il braccio, e Angel aveva proseguito anche sul suo petto.

«Fingeremo di essere stati attaccati.» aveva detto Angel, strappandogli la maglietta, e ferendolo al petto, provocandogli tre ferite, come quelle fatte da artigli. «Siamo riusciti a cavarcela per un pelo, e solo Marc è rimasto ucciso.»

«Ma lui ha i vestiti bruciati.» aveva notato Steve, digrignando i denti per il dolore.

«Si può risolvere. Leo, dai fuoco a qualcosa, e poi spegni subito.»

Leo aveva ubbidito a fatica, incendiando una mano. Il dolore al petto si era quasi impossessato di lui, ma per fortuna Angel si affrettò a spegnere il piccolo incendio. Poi si colpì da solo, e Steve aveva rischiato di vomitare.

«Leo, vuoi farti un pisolino anche tu?» domandò Grant, interrompendo i suoi pensieri.

Leo lo mise a fuoco a fatica, scuotendo la testa. «Voglio rimanere sveglio, vicino a Will.» disse.

Gli occhi celesti di Grant si addolcirono. «Ma certo.» annuì.

 

Venti minuti più tardi, Leo si sedette su una poltroncina vicino a Will. Aveva braccio e petto fasciati, e Grant gli aveva messo in mano un bicchiere di nettare. Leo bevve ancora qualche sorso, poi lo posò sul comodino con la mano tremante. Sarebbe riuscito a mantenere quell'orribile segreto con Will?

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Capitolo 28
*** 34/35. Visite ***


La notizia della morte di Marcelus Morgan girò rapidamente per il Campo Mezzosangue. Quando Leo si svegliò, ancora seduto vicino al letto di Will, ormai tutti ne erano a conoscenza. Sei figli di Ares erano partiti verso la barriera, alla ricerca dei mostri che avevano ucciso il loro caro fratello, guidati da Clarisse Le Rue. Pochi di loro si sedettero al capezzale di Marcelus, altri ancora iniziarono a preparare il drappo funebre con il quale lo avrebbero avvolto.

Nico di Angelo non rispose ai messaggi Iride, quindi Chirone decise che avrebbe fatto lui il funerale.

 

Will si svegliò dopo alcune ore di sonno, e Leo subito si appoggiò con i gomiti al suo letto. Will gli sorrise dolorante, punzecchiandogli una guancia.

«Come ti senti?» chiese piano Leo, mentre Will notava le bende.

«Tu come stai?» domandò invece, con voce bassa, e Leo gli porse il suo bicchiere di nettare, aiutandolo a bere. La bevanda diede lucidità a Will, che si mise seduto, le fitte di dolore sempre più deboli.

«Sto meglio di prima.» disse Leo, che ancora si sentiva uno schifo per tutto quanto. «Tuo fratello è bravo.»

«Chi ti ha medicato?» chiese Will, sfiorandogli le bende.

«Mmm... Aveva un nome strano, non lo ricordo bene...»

Will fece un secondo sorriso, questa volta più pieno. «Dovevo aspettarmelo.»

Leo alzò un sopracciglio. «Te lo aspettavi?»

«Certo. Figurati se ti ricordi i nomi dei miei fratelli.»

«Siete davvero troppi, piccolo.»

«Mai tanti quanto i figli di Efesto.»

Leo fece una smorfia. «Facciamo un patto. Io imparo i nomi di tutti i figli di Apollo...»

«...e io i nomi di tutti i figli di Efesto.» annuì Will, sorridendo. «Sappi che per me è più facile. Devo averli medicati tutti almeno una volta.»

«Vero... Parto svantaggiato.»

Will ridacchiò, e Leo sorrise. Sapeva che non sarebbe durato a lungo, quel momento di felicità sul volto di Will.

«Cosa mettiamo in palio?» domandò Will, curioso.

«Mmm... Farò un puzzle con te.» Leo odiava i puzzle, preferiva giocare alle costruzioni con suo figlio.

«Wow. La prendi molto seriamente.»

«Già. Tu? Cosa metti in palio?»

«Mmm...» Will ci pensò per pochi secondi. «Direi le chiavi della mia moto.»

Leo sgranò gli occhi, mentre il sorriso continuava a spiccare sulle labbra del biondo.

«Le chiavi della tua moto?» ripeté Leo. «Anche tu la prendi seriamente.»

«Sono sicuro di vincere.» annuì Will, e Leo si lasciò scappare una risata.

«Non cantare vittoria troppo presto.»

In quel momento, Grant entrò nella stanza. Guardò uno e l'altro, curioso.

«Devo visitarti, Will.» disse, e Leo si rabbuiò.

«Fai pure.» disse Will, gli occhi puntati su Leo.

«È una visita completa.» aggiunse Grant, chiudendo la porta e prendendo dei guanti puliti.

«Anche volendolo, non posso scappare. Leo, prendi le carte nel cassetto?»

Leo annuì, lanciando loro un'occhiata. Grant tolse le coperte dal fratello, e iniziò a controllare ogni ferita, ogni taglio, ogni livido che Marcelus gli aveva provocato. Iniziò a mescolare le carte, gli occhi puntati su ogni movimento, come una madre apprensiva.

La visita durò mezz'ora. Grant era molto meticoloso, e né Leo né Will ebbero nulla da ridire. Grant scribacchiò qualcosa in greco sulla cartella di Will.

«Direi che tra un paio di giorni potrò dimetterti.» disse Grant, buttando via i guanti, osservando Leo. «Tu invece può andartene quando vuoi.»

«Credo rimarrò qui un altro paio di giorni.» disse.

Will gli toccò la mano. «Devi pensare alla fucina, e a James. Non puoi rimanere con me tutto il giorno.»

«Posso, e lo farò.»

Will e Leo iniziarono a lanciarsi occhiatacce, e Grant uscì in fretta dalla stanza, portando qualcosa da mangiare per entrambi.

«Cosa dirai a James?» mormorò Will, dopo che Grant se ne fu andato del tutto.

«Credo che gli dirò che sei stato male. Se non vuoi vederlo, capirà.»

«Lo voglio vedere, invece. Se tu pensi che la mia faccia non lo spaventi.»

Leo lo guardò con attenzione. «Non credo, ha visto di peggio.»

«Non indago oltre. Ora dov'è? Con Nina?»

«No, è al parco con Jared e Paul. Di solito lo portano dietro per rimorchiare. Uno si finge padre, l'altro il babysitter...»

«Oh.» Will iniziò a ridere. «E tu lasci che sfruttino tuo figlio così?»

«Non gratis, naturalmente. Mi lasciano alcuni dei loro lavori da fare, così guadagno al loro posto.»

«Oh, capisco.»

Leo ascoltò la risata di Will. Non era solare come al solito, ma ci andava vicino. Ed era ugualmente splendida da ascoltare.

Dopo qualche minuto, mentre i due iniziavano a giocare a carte, bussarono alla porta, ed Angel fece capolino. Leo notò che aveva ancora gli occhi rossi.

«Ehi.» disse, con voce roca. «Come ti senti, Willy?»

«Meglio, Angy.» rispose Will, guardandolo, e il ragazzo entrò nella stanza. Angel si piegò sul fratello, abbracciandolo, e Leo fu tentato di lasciarli soli.

«Resta pure, Leo.» disse Angel, asciugandosi velocemente le guance. «Non mi trattengo molto.»

«Piangi per me?» chiese Will, dispiaciuto. «O per l'attacco?»

Angel scosse la testa, e gli diede un bacio sulla guancia. Leo notò quanto fosse vicino alle labbra, e si chiese se dovesse preoccuparsi.

«Ehi, allora?» chiese Will, osservandolo.

«Nulla di che, fratello. Il mio ragazzo mi ha appena lasciato.»

 

Quando Angel riprese a piangere, Leo si alzò e li lasciò da soli. Si appoggiò contro la porta, chiedendosi come mai Steve lo avesse fatto.

Fermò un figlio di Apollo, chiedendogli se Erikson fosse già tornato in cabina, e quando uscì fuori Leo lo vide diretto alla mensa. Lo raggiunse in fretta. Steve ancora zoppicava per la ferita alla gamba.

«Ehi, Leo.» lo salutò Steve, sorridendo. «Dovevo immaginarmelo che ti trovavi ancora in infermeria.»

«Perché hai lasciato Angel?» domandò Leo, a bruciapelo.

Steve lo fissò. «E me lo chiedi anche?» sbuffò. «Lo hai visto anche tu, nella foresta.»

Leo abbassò la voce. «Ha fatto quello che andava fatto per proteggermi.»

«Sono contento che tu non debba essere punito. Ma Angel è pazzo. Aveva un piano davvero eccezionale per tutto quanto, e non posso fare a meno di chiedermi se non stesse già programmando di uccidere qualcuno.»

«Steve...»

«No, Leo. L'ho lasciato. Non me ne pento. Lui ha dei gravi problemi, spero si possa far aiutare.»

Detto questo, Steve se ne andò dritto in mensa, e Leo sospirò, senza seguirlo. Riusciva a notare dalla postura del fratello che stava mentendo. Conoscendolo, si era già pentito per averlo lasciato.

Mentre lo guardava sparire in mensa, prese una decisione.

 

Will guardò la porta della sua stanza aprirsi, e Leo tornò dentro. Gli occhi scuri perlustrarono il letto.

«L'ho mandato nel mio ufficio a prendersi un tè.» spiegò Will, lisciando la coperta. «Era fuori di sé, non riusciva a parlare. Penso che un attacco di mostro e uno scaricamento in un solo giorno siano abbastanza stressanti.»

Leo annuì, e chiuse la porta alle sue spalle.

«Devo parlarti.» disse, con tono serio.

Will si irrigidì. «Se mi vuoi lasciare, sappi che non sono dell'umore adatto.» borbottò. «E non è nemmeno giornata, anche se... se lo capirei.»

Leo scosse la testa, tornando a sedersi sulla poltrona. «Non ti voglio lasciare. Ma sono quasi certo che quando avrò finito di parlare, sarai tu a farlo.»

Will lo guardò un po' confuso, impallidendo.

Leo inspirò profondamente. «Non siamo stati attaccati da un mostro, Will.» sussurrò. «A parte Marcelus. Lui è stato davvero ucciso da un mostro. Da me.»

Will tenne gli occhi puntati nei suoi, e Leo dovette abbassarli, sentendo il gelo avvolgerlo. Ora che aveva confessato, si sentiva meglio, ma anche peggio, perché Will lo avrebbe lasciato di lì a un minuto.

«Leo.» Will gli posò la mano sulla guancia, e Leo tornò a guardarlo. Notò di avere gli occhi lucidi. Vedeva il biondo tutto appannato.

Will non riuscì a dire niente al primo tentativo. Al secondo, deglutì un po' di saliva e sforzò un sorriso.

«Me l'ero immaginato.» disse, e Leo lo fissò sconvolto. «Non può essere un caso se è morto proprio il ragazzo che mi ha fatto del male. Soprattutto se a spalleggiarlo fossero mio fratello, il suo ragazzo, e il mio uomo.»

Leo si pulì una guancia in fretta. «Ma il tuo era solo un pensiero. Ora ti ho dato la conferma.»

«Diciamo che anche Angel ha confessato, prima.» aggiunse Will. «Tra un singhiozzo e l'altro, diceva frasi strane, tipo "l'ho fatto per suo fratello", "non è colpa mia se sono creativo", "se mi disprezza per quello che ho fatto..." e da qui in poi non ho capito altro.»

«Poteva essere qualunque cosa.» notò Leo.

«Conosco Angel da anni, amore. So quando piange perché soffre veramente, o per fare scena. E quando vi ho visto prima, era scena. E penso che l'abbia capito anche chi lo ha sedato.»

Leo annuì leggermente, cercando di non dare troppo peso al modo in cui lo aveva chiamato.

Will gli passò il pollice sullo zigomo. «Non avresti dovuto farlo.» mormorò.

«Guarda cosa ti ha fatto.» rispose Leo. «Era mio compito.»

«Non ti ho mai chiesto di ucciderlo. Non sono una principessina.»

«Sei la mia principessa. E chiunque ti faccia del male, la pagherà, in un modo o nell'altro.»

Will lo sondò con lo sguardo. «Dai, vieni qui.» disse, allargando le braccia, e Leo lo strinse forte.

«Quindi mi perdoni? Se ti ho mentito, se ho fatto del male...»

«Ti perdono. Lo hai fatto per me. Come Angel ha fatto quel che ha fatto per te.»

Leo lo baciò a stampo, non sapendo bene cosa dire.

Will gli diede un pizzicotto sul braccio. «Ma chiamami ancora una volta principessa, e giuro sulla mia coroncina che ti lascio seduta stante.»

Leo ridacchiò. «Va bene, principessa.»

Will lo fissò. «Va be', tranne ora.» borbottò.

«Okay, principessa.»

«Fingerò di non aver sentito.»

«Principessa.»

Will sbadigliò. «Credo dormirò...»

Leo lo strinse tra le braccia, baciandolo, e Will ricambiò, prima di assopirsi stanco. Leo gli sistemò una ciocca di capelli, e rimase steso accanto a lui, gli occhi puntati sul volto addormentato.

 

***

 

Quando Will si svegliò alcuni giorni dopo, Leo non era con lui in infermeria. Rimase a guardare la sua sedia vuota con mezzo sorriso sulle labbra, chiedendosi dove fosse finito.

Negli ultimi giorni lo aveva vegliato notte e giorno, portandogli da mangiare, e parlando di alcune nuove invenzioni che aveva in progetto. Will si ritrovò spesso senza voglia di parlare, e Leo lo capì, senza doverlo chiedere. Parlava per riempire quel tetro silenzio che regnava nella stanza, e per confortarlo. Will lo apprezzava sempre di più.

I lividi sul volto di Will miglioravano a vista d'occhio, ma il figlio di Apollo ancora non voleva uscire. Nel Campo si era diffusa la voce che Will e Marcelus avevano combattuto, e Will aveva avuto la peggio. Molti si chiedevano se Marcelus fosse veramente morto a causa di un mostro proprio ore dopo il combattimento con il bel dottore, in compagnia del figlio di Efesto. Al Campo esistevano le coincidenze, ma quella era troppo ovvia.

Né Leo né Will si presentarono al funerale di Marcelus, il che destava molti sospetti. I figli di Ares litigavano tutti i giorni con i figli di Apollo, e molti di questi vennero feriti durante le litigate.

Will stava riflettendo su tutto quanto quando bussarono alla porta. Per un momento si chiese se fosse Leo, ma il suo ragazzo non aveva bisogno di chiedere il permesso per entrare nella sua stanza.

«Avanti.» disse Will, con voce tremante, sistemandosi una ciocca di capelli per nascondere la piccola cicatrice sullo zigomo.

La porta si aprì e spuntò la persona che Will non si era mai aspettato di vedere in quella stanza con lui, non dopo i loro trascorsi.

«Mi avevano detto che avevi un brutta faccia ma, dei, le descrizioni non tengono fede alla tua bruttezza.» lo salutò Clarisse Le Rue, chiudendosi la porta alle spalle.

Will rimase qualche secondo a guardarla sorpreso, poi si riprese, e si rilassò.

«Ciao Clary.» le disse.

«Non chiamarmi così, Solace.» sbuffò la ragazza sonoramente, e incrociò le braccia al petto fissandolo torva.

«Ci ho provato.» sorrise Will. «Come mai questa visita?»

«Ma tu non smetti di sorridere nemmeno quando hai mezza faccia maciullata?»

Will si trattenne dall'afferrare lo specchio e controllarsi. Sapeva che la figlia di Ares stava solo scherzando. E ingigantendo le sue ferite.

«Mai.» ammise Will, stringendosi nelle spalle. «E la tua faccia allegra mi spinge a sorridere.»

Clarisse batté le palpebre, mentre un leggero sorriso si dipingeva sulle sue labbra. «Divertente.»

«Se non hai bambini da farmi nascere, Cla, puoi andare.» aggiunse Will. «Anzi, soprattutto se ne hai...»

Clarisse soffocò una risata, e Will ricordò quando aveva fatto nascere il figlio del Coach Hedge poche ore prima dell'arrivo dei romani al Campo. Quel momento gli fece ricordare Nico di Angelo, ma ormai non soffriva più per causa sua.

«Sono venuta per vederti.» disse Clarisse, osservandolo con attenzione. «Uno dei miei fratelli ti ha fatto male.»

«E i miei fratelli stanno picchiando i tuoi, quindi all'incirca siamo pari.»

«Non so cosa sia successo tra di voi, ma ormai non ha più importanza. Ti chiedo scusa a nome dell'intera cabina di Ares, e prometto anche una tregua per i miei fratelli.»

Will si rese conto che stavano parlando da capo cabina. Si era dimenticato di esserlo. Annuì, aggrottando la fronte.

«Va bene.» disse. «Ma i tuoi fratelli dovranno scusarsi con tutti i miei.»

«Vedrò quel che posso fare.» Clarisse allungò la mano, e Will gliela strinse debolmente. La presa di Clarisse era sempre più mascolina della sua.

«Salutami Chris.» disse Will, riferendosi al figlio di Ermes che Clarisse ormai frequentava da anni.

«Lo farò. Stammi bene.» disse la figlia di Ares, avviandosi alla porta. Non ebbe il tempo di aprirla, che questa si spalancò, facendo entrare Leo. Il sorriso sulle labbra del figlio di Efesto si spense quando notò la ragazza.

«Cosa fai tu qui?» sbottò Leo, abbassando il mazzo di fiori che teneva in mano.

«Sono venuta ad infierire su Solace.» rispose sarcastica Clarisse, afferrando la maniglia della porta.

«Stagli lontano.» ringhiò Leo.

«Solace, metti il guinzaglio al tuo cagnolino.»

«È il mio ragazzo.» disse Will, mettendosi seduto.

«Oh, giusto. È un piacere conoscerti, Valdez.» Clarisse gli diede una spallata e uscì.

Subito, la mano di Leo prese fuoco, e il mazzo di fiori si incendiò. Quando se ne accorse, lo gettò a terra e lo calpestò, spegnendo il piccolo incendio.

Will fissò i fiori anneriti sul pavimento. «Erano davvero belli.» disse.

Leo gli lanciò un'occhiata mortificata. «Scusami, vado a prenderne altri...»

«No, ora vieni qui. Clarisse è mia amica, e tra l'altro è capo cabina. Come me e te. Abbiamo deciso la tregua tra le nostre cabine.»

Leo annuì. Mentre andava da Will aveva intravisto molti figli di Apollo con il naso rotto, e altri figli di Ares feriti in più punti da frecce.

«Penso sia una buona cosa.» disse Leo, sedendosi sulla poltroncina. «Almeno i figli di Apollo smetteranno di guarire i loro fratelli.»

Will fece una smorfia divertita. «Già. Noi figli di Apollo dobbiamo occuparci solo dei figli di Efesto, vero?»

«Non di tutti, ma almeno questo figlio di Apollo deve occuparsi di me.» sorrise Leo, dandogli un lieve bacio. Will gli posò le mani sulla schiena, stringendolo a sé come meglio poteva.

«Ho una sorpresa per te.» mormorò Leo, spostandosi dall'abbraccio e sistemandogli i capelli all'indietro.

«Mi piacciono le tue sorprese.» ammise Will lanciandogli, senza volerlo, un'occhiata ai jeans.

Leo lo notò, e iniziò a ridere. «Non quella sorpresa, pervertito. Un'altra, più piacevole.» Andò ad aprire la porta, mentre alle sue spalle Will borbottava di non essere un pervertito, e dopo qualche minuto fece capolino James.

Gli occhi grandi del bambino si posarono subito sul volto del fidanzato di suo padre, studiando con attenzione i lividi in via di guarigione, il labbro un po' gonfio, e la cicatrice sullo zigomo.

Will si illuminò nel vederlo. «Jam!» esclamò, e il bambino sorrise, correndogli incontro. Salì a fatica sul letto, e si lasciò stringere dall'uomo dai capelli biondi.

«Che bello vederti!» esclamò Will, prima che James potesse dire la stessa cosa.

«Papa mi ha pottato qui solo ora.» disse James, con un piccolo broncio. «Io volevo qui prima.»

«Prima dormivo.» sorrise Will, accarezzandogli i riccioli. Leo li osservò dalla porta, con un misto di amore e ammirazione. Andavano più d'accordo di quanto si aspettasse.

«Tu abbiato pecche io no prima qui?» chiese James, osservandolo.

«Certo che no. Sono felice che sei qui ora.» Will gli diede un bacio in fronte, poi lo fece sedere meglio. «Raccontami cosa hai fatto in questi giorni, sono molto curioso.»

James annuì sorridendo, e iniziò a raccontagli del parco giochi, della signorina con la quale Paul aveva parlato mentre lui e Jared erano sulle altalene, dei gelati che avevano mangiato. Poi prese un piccolo oggetto dalla tasca della giacca e glielo porse.

«Per te.» disse James, felice, e Will sorrise all'elefantino intagliato nel legno. «Fatto io!»

«Tutto da solo? È davvero bello!» esclamò Will, ammirato. L'elefantino era colorato di arancione, con gli occhi blu e la proboscide grigia.

James sorrise raggiante, e abbracciò Will di slancio. Will chiuse gli occhi restituendo la stretta, ben attento a non schiacciare il suo nuovo elefantino.

 

Più tardi, quella sera, Leo andò a prendere degli hamburger alla mensa, e mangiarono tutti e tre insieme chiacchierando. Will si sentiva meglio, e avrebbe chiesto al fratello di dimetterlo il giorno seguente. Voleva tornare a dormire con Leo nel letto della cabina di Efesto, in compagnia di James.

Quando il bambino si addormentò sopra Will, Leo lo prese in braccio.

«Lo porto in cabina e torno subito.» promise Leo a Will, che annuì stanco, stropicciandosi gli occhi.

«Va bene se ti aspetto con gli occhi chiusi?» borbottò Will, e Leo ridacchiò.

«Va bene. Notte amore.»

«Notte.»

Will chiuse gli occhi, e Leo uscì dalla stanza con James. Le immagini di quanto accaduto quella serata fecero sorridere Will, che già sentiva il sonno sopraffarlo. Era felice di aver visto James, felice di aver passato una bella serata con i due ragazzi che amava di più al mondo.

Fu sul punto di addormentarsi quando bussarono alla porta, e Will sobbalzò, mentre i battiti del suo cuore acceleravano. Chi poteva andarlo a trovare nel cuore della notte? Okay, era solo mezzanotte, ma era davvero tardi per una visita.

Will fu tentato di rimettersi a dormire, e far finta di essere addormentato, ma la maniglia della porta cominciò ad abbassarsi. Will alzò la mano, facendo uscire una piccola palla luminosa. Chiunque fosse, si sarebbe trovato accecato appena varcata la soglia.

Un odore dolciastro familiare lo colpì alle narici, e per la sorpresa Will lasciò cadere la palla di luce. Appena fu a contatto con il pavimento, la luce divampò per tutta la stanza, come se fosse mattino inoltrato.

«Dei, Will!» disse una voce femminile, aprendo piano la porta quando la luce si fece meno intensa. «Fai attenzione a come tratti le tue palle di luce! Potevi dare fuoco a qualcosa!»

Will guardò la ragazza dai capelli riccioluti e dalla pelle scura che lo stava osservando con due incredibili occhi dorati.

«Le mie palle di luce non possono dare fuoco a niente.» disse Will, automaticamente, mentre la ragazza, più bassa di Leo, gli andava incontro intimidita.

«Però il tuo ragazzo sì.» mormorò lei, osservandolo, senza osare avvicinarsi troppo. «L'ho visto andare via, e ho capito che potevo entrare. Sono arrivata un'ora fa, e ho scoperto che eri qui. Mi dispiace per quello che ti è successo.»

Will la guardò con attenzione, poi distolse lo sguardo.

«Capisco se sei ancora arrabbiato con me, e se vuoi che me ne vada.» disse in fretta Hazel Levesque, facendo un piccolo passo indietro. «Al tuo posto, io sarei ancora molto furiosa con me. Volevo passare a fare un saluto, spero di non averti disturbato.»

«Hazel.» disse Will, tornando a guardarla, dando un piccolo colpo al letto. «Vieni qui.»

Hazel ubbidì senza perdere un secondo. Si sedette nel punto che il biondo le indicò e lasciò che il ragazzo, il suo migliore amico, la stringesse.

«Mi dispiace.» sussurrò Hazel, con le lacrime agli occhi. «Mi sono comportata da vera stronza nei tuoi confronti. Sono stata orribile. Puoi perdonarmi?»

Will non le rispose, perché anche lui aveva gli occhi ripieni dalle lacrime. Voleva dirle di no, che non l'avrebbe perdonata, ma a chi voleva darla a bere? Quella ragazza era la sua migliore amica, ne avevano vissute tante insieme.

«Dovrai farti scusare in qualche modo.» borbottò Will, asciugandosi una guancia, senza guardarla.

«Ma certo, Will.» annuì Hazel, asciugandosi anche lei una lacrima senza farsi vedere. «Farò di tutto.»

 

Leo tornò in infermeria dopo quasi venti minuti. James si era svegliato una volta messo nel suo lettino, e Leo gli aveva raccontato una favola inventata sul momento. Per fortuna James non le aveva dato molto peso, e si era riaddormentato in fretta.

Il figlio di Efesto fu sul punto di aprire la porta della camera del suo ragazzo quando udì all'interno delle risate. Si mise in ascolto, un po' perplesso, riconoscendo la voce di Will, e un'altra femminile. Socchiusa la porta, Leo vide Hazel.

I due stavano ridendo e scherzando, raccontandosi un sacco di avvenimenti. Leo udì più volte il suo nome uscire dalle labbra di entrambi, e chiuse di nuovo la porta. Fu piuttosto combattuto tra l'entrare o meno, poi tornò alla sua cabina senza una parola. Per quella nottata, il suo Will era in mani sicure.

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Capitolo 29
*** 36/37. Vivere insieme ***


Will finì di sistemarsi la maglietta del Campo e guardò un po' spiritato la finestra socchiusa della sua stanza in infermeria. Finalmente poteva uscire, tornarsene a casa, ma gli sembrava di essersi dimenticato qualcosa. Forse era solo una sua impressione.

«Giorno amore.»

Will si voltò, e sorrise a Leo, appena entrato nella stanza. Portava un altro mazzo di fiori colorati, e Will li prese prima che potesse dargli fuoco.

«Grazie.» sorrise Will, dandogli un leggero bacio sulle labbra. «Sono bellissimi.»

Leo guardò la maglia del Campo, i jeans lunghi, le infradito, e si schiarì la gola. «Dove stai andando, tu?» domandò.

Will lo fissò perplesso. «Oggi mi dimettono.»

«Ah.»

Il figlio di Apollo avvampò. «Ho dimenticato di dirtelo?» borbottò.

«Può darsi.» annuì Leo, scrollando le spalle. «Ma meno male che sono passato di qui a salutarti, altrimenti mi sarei preoccupato non trovandoti.»

Si avvicinò al biondo, passandogli le braccia attorno ai fianchi e posandogli il mento sul petto, il punto più alto di Will che riusciva a toccare. Will chinò la testa per guardarlo negli occhi.

«Ti aspettavo ieri sera, non sei più tornato.» mormorò Will, sfiorandogli la punta del naso con le labbra.

«Ti ho visto in compagnia di Hazel, e non volevo disturbare le chiacchiere tra due amiche.» sorrise Leo.

«Ah, ma grazie.» sbuffò Will, divertito.

Leo rise, e continuò a tenerlo stretto a sé per qualche altro minuto prima di lasciarlo.

Will andò in bagno a sistemarsi i capelli mentre Leo recuperava le poche cose avanzate di Will. Mentre osservava il letto, si domandò dove sarebbe stato il suo ragazzo. Si mordicchiò il labbro al pensiero di vederlo nella cabina di Apollo, o addirittura in quella di Efesto. Anche se i figli di Ares avevano dato tregua alle altre cabine, alcuni non d'accordo con la scelta di Clarisse dovevano esserci.

Quando Will rientrò in stanza, trovò Leo tutto pensieroso. Gli lasciò qualche minuto prima di avvicinarsi e toccargli la spalla.

«Tutto okay?» domandò.

Leo si voltò a guardarlo dritto negli occhi. «Will, ti andrebbe di venire a stare nel bunker con me?»

 

Will spalancò la bocca per la sorpresa, e lo sguardo di Leo rimase serio. Forse più tardi il figlio di Efesto si sarebbe reso conto di aver proposto al fidanzato di andare a vivere insieme.

«Wow.» mormorò infine Will, sgranando gli occhi. «Certo... Certo che va bene.»

Leo sorrise. «Bene. Prendiamo qualcosa di tuo in cabina, e andiamo subito.»

Will annuì, gli occhi puntati sulla sua nuca, incapace di dire altro. Seguì Leo per tutto il tragitto fino alla cabina di Apollo, e si preparò una borsa con la testa del tutto altrove.

Quando fu pronto, Leo gli prese la borsa e lo portò nel bosco, facendolo entrare nel bunker. Will si stese sul letto dopo qualche minuto, e Leo gli posò la testa sul braccio.

«Come ti senti?» chiese, osservandolo.

«Meglio.» annuì Will, guardandolo. «Quando sto con te sto molto meglio.»

Leo fece una smorfia. «Queste frasi da romanzetto rosa dove le leggi?»

«Be', nei romanzetti rosa, tanto per cominciare.» ridacchiò il biondo, arrossendo. «Però altre le penso di mio.»

«Dovevo aspettarmelo.» Leo lo baciò sulla guancia, poi si mise seduto, osservandolo. «Will, non voglio farti star male, ma volevo chiederti una cosa.»

«Certo, dimmi pure.» Will si mise seduto, appoggiato ai cuscini, guardandolo curioso.

Leo giocherellò per qualche secondo con il braccialetto al polso di Will, poi inspirò profondamente. «Quando Marcelus ti ha....ti ha fatto quella cosa... Ti ha anche, ecco... baciato?»

Will lo osservò con attenzione prima di annuire. «Ho pochi ricordi di quel momento ma sì, l'ha fatto.»

Leo annuì.

Will gli prese la mano. «Tutto okay?»

Leo lo guardò un momento prima di scuotere la testa. «Avrei preferito non saperlo.»

«Me lo hai chiesto. Se volevi che ti raccontassi una balla, hai sbagliato persona.»

Leo sospirò, alzandosi in piedi, decidendo di mettere a tacere qualsiasi futuro litigio con «Me ne vado in fucina.»

«E io cosa dovrei fare qui tutto solo?» chiese Will, guardandolo confuso.

«Non lo so. Qualcosa lo troverai.»

Leo uscì in fretta dal bunker, pensando a Marcelus, e Will tornò a stendersi sul letto, non sapendo bene cosa pensare su quanto fosse appena accaduto.

 

Dopo qualche ora in fucina, Leo si diresse in mensa a prendere un panino. Lanciando una veloce occhiata ai tavoli, notò la figura di spalle di Hazel, seduta tutta sola al tavolo di Ade.

Per qualche secondo, Leo restò a fissare i riccioli disordinati dell'amica, pensando, poi si fece coraggio e prese posto davanti a lei.

«Dov'è Frank?» chiese Leo, mentre Hazel alzava gli occhi su di lui. «Pensavo foste inseparabili.»

«Ci siamo lasciati.» ammise Hazel, soffiando sul suo tè bollente.

«Oh. E come mai?»

«Suo padre lo ha mandato in troppe missioni, ed ero sempre più preoccupata per lui. Abbiamo deciso di lasciarci per questo motivo.»

«Lui non voleva smettere, tu eri preoccupata... sì, posso capire.» annuì Leo, dando un morso al panino.

Hazel tenne gli occhi puntati su di lui, poi balzò in piedi e gli rifilò uno scappellotto.

«Ehi!» esclamò Leo, sorpreso. «Che ti prende?!»

«Non ci vediamo da un sacco di tempo, e la conversazione inizia così? Con "dov'è Frank"? Vieni subito qui e abbracciami!»

Leo ridacchiò, e fece il giro del tavolo, stringendola tra le braccia. Le diede un bacio sulla fronte, mentre le mani di Hazel gli arruffavano i riccioli.

«Dei, Haz...» mormorò Leo.

«Già, è passato un sacco di tempo.» annuì la figlia di Plutone.

«No, non è questo... Ti sono cresciute le tette. Non me l'aspettavo.»

Hazel si staccò in fretta, rossa in viso, tirandogli un pugno sulla spalla.

Leo scoppiò a ridere.

«Tu invece non sei cambiato di una virgola.» sbuffò Hazel, incrociando le braccia al petto.

«Sono diventato più alto.» ammise Leo. «E i miei capelli sono diventati più morbidi.»

«Le tue battute stupide sono rimaste tali.»

«Non tutte, alcune sono evolute, sono diventate migliori. Come le tue tette.»

Hazel avvampò ancora di più, tornando a sedersi.

«Se non avessi parlato con Will, direi che sei troppo interessato al mio seno.» sbuffò la ragazza.

Anche Leo tornò a sedersi. «E cosa ti avrebbe detto Will?» curioso.

«Be', mi ha detto che...»

«Che ci piace giocare a baseball insieme?» finì per lei Leo. «In effetti, Will ha una gran bella mazza da gioco, e...»

Hazel gli lanciò un porta tovaglioli, che colpì il ragazzo dritto in volto. Ma Leo, sebbene indolenzito, iniziò a ridere.

«Mi ha detto che vi frequentate.» sbottò Hazel, alzandosi a raccogliere il porta tovaglioli. «Che state insieme, eccetera. Lui non è volgare come te.»

«Ti ho solo detto che giochiamo a baseball insieme, non ho detto altro.»

«Probabilmente solo perché non sai le regole del baseball...»

Leo sorrise colpevole.

Hazel scosse la testa, e bevve un sorso di tè. Per qualche minuto i due rimasero in silenzio, poi Leo sospirò.

«Vero. Io e Will stiamo insieme.»

«Quindi in qualcosa sei cambiato. Ti credevo solo interessato alle ragazze.»

«Invece, mi interessa Will.»

«No, ti interessano i ragazzi.»

Leo la fissò. «Non mi interessano i ragazzi, Hazel. Solo Will.»

Hazel ricambiò l'occhiata. «Solo Will? È una cosa strana.»

Il figlio di Efesto scrollò le spalle. «Non ho intenzione di indagare.»

La figlia di Plutone staccò un pezzo della sua brioche, mordicchiandola pensierosa. «Conosco Will da molto tempo, quindi posso capire che cosa hai trovato in lui. È un ragazzo meraviglioso. Ha molte qualità.»

Leo annuì. «Già.» Si mise a pensare a Will, e gli sorse un sorriso spontaneo sulle labbra.

Hazel lo guardò con attenzione. «Sei proprio innamorato, eh?»

Leo arrossì, e si affrettò a cambiare argomento. «Come mai sei venuta qui al Campo?»

Hazel scrollò le spalle. «Mi sono lasciata con Frank, non volevo continuare a vivere nel suo stesso Campo.»

«Quindi resti qui?»

«A tempo indeterminato.» annuì la ragazza.

Leo la guardò sorridendo. «Will ne sarà felice.»

«Spero non solo lui. Volevo riprendere i rapporti con te, con Piper e Jason. E Annabeth. Dei, Annabeth. Mi dispiace tanto per lei.»

Leo finì di mangiare il panino, e bevve un sorso di Coca-Cola. «A me dispiace di più per Will.» disse, fissandola. «Potevi dirgli che tuo fratello stava con Percy.»

«Nico mi aveva fatto promettere di non dirlo a nessuno.» mormorò piano la ragazza.

«Okay, lo capisco. Tuo fratello ti ha fatto promettere una cosa. Ma, cazzo, Will continuava a parlarti di Nico. Come hai potuto restartene in silenzio ad ascoltarlo parlare di tuo fratello senza informarlo che ormai era una causa persa?»

«So di aver sbagliato, ma non ho intenzione di discuterne con te.»

«Bene.» sbuffò Leo, mentre Hazel finiva in un sorso tutto il resto del tè. «Vuoi vedere James?»

Hazel annuì, sorridendo, e Leo balzò in piedi, portandola alla cabina di Efesto.

 

Will finì di riordinare il bunker, e tornò a sedersi. Aveva classificato tutti i cassetti di Leo, indicandone il contenuto su un foglietto appiccicato vicino alla maniglia. Così sarebbe stato più semplice trovare le cose.

Soddisfatto, Will andò in cucina a prepararsi qualcosa da mangiare, poi accese la tv. Fece zapping mentre mangiava, guardando vari documentari senza soffermarsi mai su nessun canale. Infine, si sdraiò a letto e schiacciò un pisolino.

«CHE CAZZO È SUCCESSO QUA DENTRO.»

La voce urlante di Leo fece svegliare Will di colpo. Si mise seduto, afferrando la mezza banana che non aveva finito di mangiare e puntandola verso il figlio di Efesto.

Leo batté le palpebre fissandolo.

«E TU VUOI MINACCIARMI CON UNA BANANA?!» urlò Leo, fissandolo male.

Will lasciò cadere la banana. «Tu smettila di gridare!»

«Ci sto provando!» gridò Leo, avvicinandosi ai cassetti. «Che diavolo hai fatto?!»

«Ho messo tutto in ordine.» Will si mise seduto, trattenendo uno sbadiglio.

«Lo vedo. Ma perché?» Leo aprì i cassetti.

«Pensavo avessi bisogno di aiuto per riordinare.»

«Se avevo bisogno di aiuto, te lo avrei chiesto. Non te l'ho chiesto, quindi stavo bene nel mio disordine.»

«Così è più semplice.» Will scese dal letto, e prese un foglio appiccicato al bancone. «Hai bisogno del trapano? Lo cerchi qui, e ti dice che è nel cassetto 8.»

«E dove sarebbe il cassetto otto?» sbottò Leo, e Will gliene indicò uno.

«È qui.» Will aprì il cassetto e prese il trapano. «Così puoi trovare tutto molto più facilmente.»

«Che cosa stupida.» mormorò Leo, anche se gli sembrava una cosa geniale. Finalmente non avrebbe più impiegato ore a cercare i suoi attrezzi sparsi per il bunker.

Will lo guardò, un po' ferito. «Lo trovi stupido?»

Leo annuì senza guardarlo.

«Be', non me ne frega.» sbottò Will. «Ora te lo tieni così. Ti rendi conto che ho trovato dei chiodi dentro il cuscino? E una manciata di bulloni nel tuo cassetto della biancheria? Sei disordinatissimo!»

«Ammetto di essere disordinato, ma tu, porco Crono, sei un pazzo pulitore!»

«Si dice maniaco dell'ordine!»

Leo trattenne un altro sbuffo e spinse Will sul letto. Il figlio di Apollo era ancora intenzionato a dirgliene quattro, ma si ritrovò a sbattere le palpebre quando Leo, chinandosi su di lui, lo baciò.

«Grazie.» disse Leo, dopo qualche secondo, spostandosi dalle sue labbra quel tanto che bastava per parlargli. «Così mi eviti tanta ricerca inutile.»

«Pensavo non ti piacesse.» mormorò Will, guardandolo.

«Se ti dico che mi piace, farai una cosa del genere anche in cucina, in fucina, e magari anche nella mia camera in cabina.»

Will lo guardò in silenzio, pensando che ormai i foglietti erano già tutti in cucina, sui vari cassetti e credenze.

Leo lo guardò. «Oddei.» borbottò. «Lo hai già fatto in cucina?»

«Ehm, questa è la mia espressione da "sono seduto su una banana".»

Leo scoppiò a ridere. «Quindi se vado in cucina non troverò alcun foglietto?»

Will si morse il labbro e corse in tutta fretta verso la cucina. Ma Leo fu più veloce di lui, e si mise a fissare i foglietti.

«Dei, qual è il tuo problema, Solace?» domandò Leo, fissando il foglietto più vicino. Gli indicava che i pacchetti di caramelle erano nella credenza tre, la più vicina.

«Mi annoiavo. Ora, con il tuo permesso, vado a ripulirmi dalla banana.»

Leo continuò a ridere, e gli lasciò qualche minuto prima di raggiungerlo. Quando lo trovò senza boxer davanti al suo cassetto smise di sorridere, osservando per bene quel bel sedere sodo e abbronzato, punteggiato da lentiggini. Deglutendo, Leo gli diede le spalle.

«Hai fame?» chiese.

Will si infilò dei boxer gialli, lanciandogli un'occhiata. «Non molta, ho mangiato prima.» Will prese dei pantaloncini e li mise, raggiungendo Leo.

«Preparo qualcosa, allora.» Leo gli sorrise, e si affrettò ad andare in cucina. Aveva la testa da tutt'altra parte, e Will lo guardò perplesso, chiedendosi cosa gli fosse preso, a cosa stesse pensando.

Mentre Leo si affrettava a preparare delle bistecche per entrambi, cercò di rilassarsi. Vedere Will mezzo nudo gli aveva fatto venire voglia di fare l'amore con lui. Ma naturalmente Will non doveva sentirsi ancora pronto per farlo, e Leo non voleva chiederglielo. Non voleva passare per il fidanzato stronzo che non capiva la paura dell'altro di essere toccato. Avrebbe atteso pazientemente che fosse Will a chiederglielo. E poi ne avrebbero parlato fino al momento giusto.

 

***

 

Dal giorno in cui andarono a vivere insieme nel bunker, passarono otto settimane.

Ed era da otto settimane che Leo dormiva sul divano, guardando Will durante la notte. Lo sentiva agitarsi, gridare, piangere. Leo si accoccolava vicino a lui, provava a confortarlo, ma il suo tocco non faceva altro che peggiorare le cose.

E al mattino Will non ricordava nulla di quanto accaduto. Si svegliava pimpante come al solito, preparava la colazione fischiettando con allegria mentre si lamentava di Leo che ancora dormiva.

Il figlio di Efesto aveva provato a raccontargli di quello che accadeva nel cuore della notte, ma Will si rifiutava di credergli. Lui aveva ormai superato il trauma di quanto fosse accaduto con Marc.

Leo si ritrovò spesso senza la voglia di aggiungere altro. Se Will pensava davvero di averlo superato, avrebbe continuato a confortarlo la notte, nonostante si prendesse le manate dal biondo che tentavano di allontanarlo.

 

Will si svegliò allegro come al solito alle sette di mattina. Guardò Leo, con la testa sepolta sotto il cuscino, e gli diede un bacio sulla nuca.

«Mmm.»

Will batté le palpebre. «Sei già sveglio?» gli chiese, curioso.

Leo tirò fuori adagio la testa da sotto il cuscino e studiò il volto dell'altro. Will aveva le occhiaie, ma il sorriso spontaneo gliele nascondeva.

«Oddei Leo.» disse Will, sgranando gli occhi. «Hai ombre scure sotto gli occhi, e sembri stanco. Non riesci a dormire la notte?»

Leo si vide afferrare una mazza da baseball e sbattergliela con prepotenza sulla fronte.

«Lasciamo perdere.» borbottò Leo, mettendosi seduto, spiando l'ora. Le sette del mattino. Perché non si era innamorato di un figlio di Ipno?

«No.» Will gli posò la mano sul fianco, e Leo si irrigidì, chiudendo gli occhi. Will continuava a toccarlo in quel modo, senza sapere della battaglia interiore che si svolgeva dentro di lui. «Se non riesci a dormire la notte, dobbiamo parlarne. Oppure ti svegli per continuare a costruire?»

Leo strinse i pugni. La prima volta che Will aveva dato di matto nel sonno, Leo si era alzato ed era tornato a costruire un cancello provvisto di difesa per le figlie di Demetra. Continuavano a subire furti dai figli di Ermes. Will non se ne sarebbe accorto, se Leo per sbaglio non avesse azionato l'interruttore di accensione.

«No, ho smesso di lavorare di notte.» borbottò Leo, adirato, tirando via le coperte e recuperando i jeans del giorno prima.

Will lo studiò. «Allora cosa ti prende? Sei strano. Anzi, lo sei tutte le mattine.»

Leo si alzò in piedi, allacciandosi la cintura e andò in cucina, ignorandolo. Nel microonde riscaldò una pizza surgelata, tamburellando le dita sul mobile, in attesa che finisse.

Will lo seguì, infilandosi una felpa. Leo gli lanciò solo una rapida occhiata. Era ancora in boxer.

«Dimmi qual è il problema.» disse Will, posandogli una mano sulla spalla, ma Leo lo allontanò.

«Non ho nessun problema.» sbuffò infastidito.

«A me sembra tutt'altro.»

Leo recuperò un piatto dalla credenza. «Riesci a notare solo i problemi che hanno gli altri, vero?» disse, acido.

Will aggrottò la fronte. «Non ho alcun problema. A parte quello di essere un maniaco della pulizia, ma di questo ne abbiamo già parlato.»

Leo fissò il timer del microonde arrivare al termine. Sembrava un conto alla rovescia della sua pazienza. Quando il fischio del microonde pervase la stanza, Leo aprì bocca.

«Non sono io ad avere un problema, sei tu! E non te ne rendi nemmeno conto! Per te continua ad essere tutto normale, tutto perfetto, ma non è così!»

Will iniziò a torcersi le dita, un gesto automatico che sorgeva quando iniziava ad innervosirsi.

«Non ho alcun problema!» esclamò Will. «Sei arrabbiato perché non facciamo più sesso? Mi dispiace che ti dia così fastidio, ma se è questo il problema...»

«Non è questo il problema!» Leo lo fronteggiò, sempre più arrabbiato. «Pensi che stia con te solo per il sesso?!»

Will scosse la testa. «Non intendevo questo.»

«Allora spiegati, cosa intendevi?»

«Non capisco quale problema vedi in me. Non ho problemi.»

«Oh sì, Will, ne hai uno. E bello grande, e non te ne accorgi neanche.»

«Sono tutto orecchi.»

«Soffri ancora per quello che ti è successo.»

«Wow, ma davvero? Cazzo, non lo avrei mai detto.» fu la risposta sarcastica di Will.

«Hai incubi tutte le notti, urli, piangi, rivivi ogni secondo di quello che Marc ti ha fatto! Perché altrimenti non permetto a James di dormire con noi le notti?»

Il biondo scosse la testa. «Non è vero, ti stai sbagliando.» borbottò.

«Non posso sbagliarmi. È con te che dormo ogni notte. Dopo qualche ora che ti addormenti, inizi a gridare. Dei, ormai conosco tutto quello che è successo.»

Will abbassò lo sguardo, poi lo rialzò di nuovo. «Mi vuoi dare colpa per questo?» mormorò.

«No, voglio solo che tu riconosca che hai un problema, e che lo affronti.» sospirò infine Leo, appoggiandosi al mobile.

«Come dovrei affrontarlo?»

«Sei tu il dottore.» Leo lo osservò. Aveva le spalle abbassate, e lo sguardo vacuo. «Cosa fai in ospedale quando ti trovi davanti un caso del genere?»

Will si morse il labbro, annuendo. «Lo affronterò.»

Leo annuì, e rimase ad osservarlo per qualche secondo. «Non volevo gridare in questo modo.»

«Non importa.» Will si girò e andò in doccia. Leo lasciò perdere la colazione e lo seguì. Lo guardò mentre si spogliava, e fissò ogni centimetro della pelle abbronzata, priva di lividi. Il suo corpo ormai si era ripreso da quanto successo.

«Posso fare la doccia con te?» domandò Leo, titubante, mentre Will entrava nella doccia. Settimane prima Leo aveva costruito una vasca, e ora nel bagno c'era ancora meno spazio del solito.

«Vieni.» rispose Will, accendendo il getto dell'acqua.

Leo si affrettò a spogliarsi, e lo seguì dentro. Lasciò che l'altro usasse il getto per qualche minuto, poi prese la spugna.

«Posso insaponarti?» mormorò Leo, e Will annuì, con uno strano luccichio negli occhi.

Leo iniziò a strofinargli piano la spugna sulla schiena. Will non si ritrasse al tocco, e si spostò il più possibile per lasciarglielo fare. Leo gli accarezzò i fianchi, dandogli un lieve bacio tra le scapole, continuando a strofinare. Will si morse il labbro, e si voltò. Leo gli lanciò un'occhiata passando la spugna sui suoi pettorali e si fermò nei pressi dell'ombelico.

«Non vai avanti?» mormorò Will.

Leo annuì, dandogli un altro piccolo bacio sui pettorali e si inginocchiò, passandogli la lingua attorno alla punta. Will si lasciò andare ad un sospiro profondo, colmo di piacere, e gli passò le dita tra i capelli.

 

Dalla doccia si spostarono sul letto. Fecero l'amore intensamente, pregustando il corpo dell'altro, senza fretta nonostante il lungo periodo di astinenza.

Dopo la prima volta, si accoccolarono uno addosso all'altro, guardandosi con amore, senza parlare. Le parole sembravano così inutili con i corpi appagati. Will lo baciò a stampo, e Leo si tirò sopra di lui, prendendogli il volto tra le mani e baciandolo con energia. Si strinsero di nuovo l'uno all'altro, rotolando tra le coperte.

Gli impegni dei due per quel giorno furono cancellati.

 

Quando finalmente decisero di alzarsi dal letto, era già pomeriggio inoltrato. Ed era passato un giorno intero da quando loro si erano stesi sul letto a fare l'amore.

Leo guardò Will alzarsi, districandosi dalle coperte, e tenne lo sguardo puntato sul suo corpo mentre si dirigeva in cucina.

«Vuoi mangiare qualcosa?» domandò Will, sorridendo, lanciandogli un'occhiata da sopra la spalla.

«Ho fame ma di nulla che si trovi in cucina.» disse Leo, e Will afferrò un cuscino dal pavimento e glielo tirò addosso ridendo.

«Non fare il pervertito.»

«Ci posso provare.» annuì Leo, con aria solenne, e si alzò dal letto. Will si infilò una tuta andando in cucina, e quando Leo lo raggiunse lo trovò intento a preparare dei sandwich.

«Ah, che cuoco che sei.» sorrise, e lo cinse per i fianchi, tenendo la testa appoggiata alla sua scapola.

«Aspetta.» sorrise Will, piegandosi un po', fino a quando Leo gli posò la testa sulla spalla. «Sei ancora nudo.»

«Già.»

«E sei felice.»

«E mi pare.» sorrise Leo, mordicchiandogli la spalla.

«Per il sandwich al prosciutto.»

«Oh sì, è così sexy.» Leo gli mordicchiò l'orecchio, abbassandogli la tuta, e Will lasciò perdere il pasto.

 

Più tardi, Will si vestì in fretta notando l'orologio, e si voltò verso Leo, i capelli arruffati e lo sguardo felice.

«Vado in infermeria.» gli disse, passandogli le dita sulla guancia.

«Puoi andarci domani, i miei fratelli ci sono sempre.» disse Leo, sfiorandogli le labbra. Will lo baciò, stringendolo per un momento.

«Grazie agli dei, non vado dai tuoi fratelli, ma dai miei.» Will gli baciò la punta del naso e si alzò in piedi. «Avranno bisogno di me.»

«Io ho bisogno di te.» disse Leo, appoggiandosi alla mano tenendo gli occhi caldi su di lui.

Will guardò con attenzione la sua espressione. Sembrava un cucciolo quando faceva così.

«Vorrei restare, ma ho il turno in infermeria... dieci minuti fa.» Will si morse il labbro e si chinò su di lui per baciarlo ancora. «E con la scusa tu puoi andare da Jam.»

Leo alzò un sopracciglio.

«James.» si corresse Will, afferrando la sua borsa da lavoro. «Salutami James. Domani magari pranziamo tutti e tre insieme.»

«Se non ti ammanetto al letto.»

Will corse alla porta e si voltò. «Non riesco a capire se sei serio o se stai scherzando.»

Leo fece un sorrisetto. «Lo saprai domani.»

Will annuì. «Non muoio proprio dalla voglia di saperlo, a dir la verità. Be', ti amo, e non mi aspettare alzato. In tutti i sensi che vuoi capire.»

Leo rise e lo salutò con la mano mentre Will gli faceva un cenno e usciva in fretta dal bunker. Si rigirò tra le coperte, mordicchiando il cuscino, con gli occhi puntati sulla porta.

Erano passate diverse settimane, ormai mesi, da quando Will gli aveva detto di amarlo, e ora Leo era assolutamente certo di ricambiare quel sentimento.

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Capitolo 30
*** 38/39. Serata speciale ***


Leo lanciò un'occhiata all'orologio. Ancora dieci minuti, e Will sarebbe uscito dall'infermeria, dopo un lungo turno. Si sarebbero incontrati per andare al ristorante giapponese, e con loro ci sarebbe stato anche James. Un appuntamento romantico trasformato in un'uscita familiare, ma a Will questo non dava importanza. Era più che felice di uscire con James, adorava quel bambino.

Ma forse, se Will avesse saputo dell'impegno di Leo per organizzare quell'uscita, quando entrambi non erano colmi di lavoro, non avrebbe insistito così tanto per far venire anche James.

Leo sistemò il colletto della propria camicia ricordando la conversazione di quel mattino.

 

«Will, questa sera verresti a cena con me?» aveva domandato Leo, fissandolo intensamente, porgendogli una rosa.

Will lo aveva guardato entusiasta, prendendo la rosa e annusandone il profumo. «Certo che sì! Sei fortunato, ho la serata libera.»

Leo aveva annuito distrattamente. Si era ritrovato a chiedere favori ai fratelli di Will per fargli lasciare la serata libera. Da quando Angel si era lasciato con Steve, non si era più presentato in infermeria, e quindi c'era sempre un turno da ricoprire, e i figli di Apollo erano stanchi.

«È proprio fantastico.» aveva detto Leo, accarezzandogli la guancia. «Ci vediamo alle sei, appena finisci il turno.»

«Okay. Ma...»

Leo lo aveva guardato spaventato. «Ma?»

«Ma James?» Will aveva sbattuto le ciglia biondissime guardandolo con i suoi occhi celesti, del tutto ingenui. «Con chi resta?»

Leo sospirò di sollievo. «Con Nina.»

«Ma magari Nina ha da fare con Butch.»

«C'è Jared. E Steve. E Paul.»

Will, accarezzando la rosa, aveva sorriso. «Può venire con noi, è da tanto che non lo portiamo fuori dal Campo.»

«Va sempre fuori dal Campo con Jared e Steve.»

«Ma non con noi.»

Leo era stato tentato di ribattere ancora, ma aveva sospirato, annuendo. Will si era messo in testa di far venire James con loro, e nulla poteva impedirglielo.

 

Per fortuna Leo aveva preparato anche un dopo cena, solo loro due. Almeno lì non avrebbe ricevuto sorprese. Voleva che la serata in cui avesse detto a Will di amarlo fosse speciale.

 

 

Quando Will uscì dall'infermeria, già cambiato per la serata, vide subito Leo e James in sua attesa. Leo gli sorrise con amore, mentre James gli correva incontro, abbracciandolo.

«Ehi, campione!» sorrise Will, stringendo forte il bambino e tenendolo in braccio. «Sei cresciuto ancora.»

James rise divertito e lo strinse di più.

Leo si alzò sulle punte per scoccare un bacio al fidanzato. «Allora, andiamo?» domandò il figlio di Efesto, sorridendo.

«Certo. Dove andiamo?» si incuriosì Will, ma prima che Leo potesse rispondere una voce infantile lanciò un grido.

«Jamie!»

Sui due Valdez questo ebbe un effetto diverso.

Leo sbarrò gli occhi e il sorriso sulle sue labbra morì.

James, invece, si illuminò al suono di quella voce, e si affrettò a scendere dalle spalle di Will per correre incontro alla bambina che l'aveva chiamato.

Will la guardò curioso. Doveva avere l'età di James. Portava i capelli ramati legati in quattro o cinque trecce che le rimbalzavano sulla schiena mentre correva verso James. Li guardò mentre si stringevano, parlottando in fretta come fanno i bambini, le guance rosse e la voce sempre più eccitata.

«Chi è lei?» domandò Will, guardando Leo.

Il figlio di Efesto si passò le dita tra i capelli. «È Lily.»

«Scherzi?» Will tornò a guardare i bambini. «James e Lily? Dov'è Harry?»

Leo si trattenne dal sospirare. «Il nome di Lily è molto più lungo, ma James la chiama così sin da quando si sono incontrati.»

«Sono amici?»

«Direi proprio di sì.» Lily prese James per mano e iniziò ad allontanarsi con lui. Automaticamente, Leo e Will li seguirono. «Ma a James piace, quindi penso che stiano insieme.»

«Insieme?» rise Will, sorpreso.

Leo si strinse nelle spalle. «Già. La prima volta che si sono incontrati sono stati insieme tutto il pomeriggio, e arrivata sera non volevano separarsi. Ho lasciato che James andasse a dormire con Lily, e il giorno dopo erano da me. Si vedono quasi tutti i giorni, e dicono anche loro che stanno insieme.»

«Wow, che carini.» Will li guardò mentre continuavano a dirigersi verso la spiaggia. «Chi sono i genitori di Lily?»

«Un figlio di Ermes e una figlia di Demetra. È nata qualche settimana prima di James.»

L'espressione di Will si oscurò. «Me la sono persa.» borbottò.

Leo gli lanciò un'occhiata, sorridendo leggermente. «Sei dispiaciuto perché qualcun altro ha fatto il ginecologo al posto tuo?»

«Un po', ma non fraintendermi. Mi piace far nascere nuove vite, sapendo che di mio non posso farlo.»

«E perché no?» domandò Leo, confuso. «Sei sterile?»

Will gli lanciò un'occhiata. «No, non lo sono. Ma... sono gay.»

«E con questo?»

«E con questo io e il mio partner siamo un po' in difficoltà nel concepire.»

«Ah.» Leo arrossì.

Will ridacchiò piano, mentre i bambini si fermavano in spiaggia. Leo individuò subito i genitori di Lily, seduti su una coperta, intenti a chiacchierare. Il padre della bambina si voltò verso di loro, e fece un cenno di saluto.

A malincuore, Leo prese la mano di Will e lo portò dai genitori della piccola Lily, mentre i bambini si inseguivano sulla spiaggia ridendo e strillando ogni volta che si acciuffavano.

«Leo!» lo salutò il ragazzo moro, balzando in piedi e correndo ad abbracciarlo. Leo si sentì sollevare dalla sabbia, e quando il ragazzo lo posò, barcollò per qualche secondo. «Che bello vederti.»

«Anche per me.» annuì Leo, cercando di riprendersi in fretta. «Travis, lui è il mio ragazzo Will.»

«Piacere.» dissero contemporaneamente Will e Travis stringendosi la mano, sondandosi con lo sguardo.

«Sei il dottore.» disse Travis, riconoscendolo. «Quello che spaccia le medicine per il mal di testa.»

Will esitò. «Non le spaccio, te le do e basta, e ogni flacone è segnato. Tu sei Travis Stoll. Avrei dovuto immaginarlo, la piccola ti assomiglia. Ha già iniziato a rubare?»

Travis lo ignorò, e indicò la ragazza, che gli si era avvicinata in silenzio. «Lei è Miranda, la mia ragazza.»

«Oh, state insieme da molto?» si incuriosì Will.

«Abbastanza da fare una figlia.» Travis sorrise, stringendo la mano della sua fidanzata.

«Be', almeno siete rimasti insieme, quando avete avuto la piccola.» sorrise Will, guardandoli.

Leo si morse l'interno della guancia, Miranda voltò lo sguardo sui bambini e Travis annuì leggermente.

«Ehi, a proposito, Miranda ha preparato delle cose in più da mangiare, in tre non le finiremo mai. Volete unirvi a noi?» si affrettò a chiedere Travis, interrompendo il momento di silenzio.

«Veramente...» borbottò Leo, ricordando la prenotazione al ristorante, mentre Will esclamava «Certo!»

Will si voltò di scatto verso Leo, mentre questi sospirava. «Oddei, Leo. Dovevamo...»

«Non importa, possiamo andarci un'altra sera.» rispose Leo, sedendosi per primo sulla coperta. Will si sedette vicino a lui, guardandolo dubbioso, e l'altra coppia tornò a sedersi ai loro posti.

Per qualche minuto guardarono i bambini giocare, poi Travis iniziò a parlare con Leo – da quel che Will riuscì a capire, Travis e Leo erano molto amici –, e Miranda e Will cercarono un argomento in comune per poter chiacchierare.

Quello che Will non sapeva, e che invece Leo sì, era che la relazione tra Travis e Miranda aveva continui alti e bassi. I due si separavano spesso, si allontanavano per settimane intere, e quando si trovavano lo facevano solo per la piccola Lily. Tra loro non c'era alcun sentimento. Travis aveva parlato molto spesso con Leo della situazione, soprattutto quando si incontravano in mensa a bere una birra dopo l'altra.

Una sera da ubriaco, Travis era andato a letto con Miranda. Doveva essere solo sesso tra ubriachi, di nessuna importanza, ma Miranda si era scoperta incinta dopo alcune settimane, e Travis non si era tirato indietro. Lui amava alla follia la sorella di Miranda, Katie, che da quando aveva scoperto della gravidanza si era fatta sempre più distante. Però Leo sapeva che anche Katie provava qualcosa per Travis, ma non voleva turbare ancor di più la piccola Lily.

Era tutto un casino.

Dopo qualche minuto, i bambini li raggiunsero e si misero a mangiare tutti e sei insieme. Will, a corto di argomenti con Miranda, chiacchierò con Lily, che gli mostrò uno dei piccoli fiori che riusciva a creare dal nulla. Appena ingoiato l'ultimo boccone, Travis si alzò in piedi, borbottando qualcosa riguardo la sua cabina, e Miranda si alzò con lui. Will si offrì volentieri di guardare i bambini, mentre Leo tratteneva a stento un sospiro fissando male i due. Probabilmente i due andavano in cabina a litigare, o a decidere ancora della loro situazione incasinata.

«Scusa.» disse Will, notando l'occhiataccia, e pensando che fosse per lui. «Ho di nuovo parlato senza prima consultarti.»

«Lo fai sempre, mi ci sono abituato.» rispose Leo, senza trattenere la durezza della voce.

Will lo guardò, mordicchiandosi il labbro, e finì di mangiare, aiutando Lily a riempirsi il bicchiere di acqua.

Leo afferrò una manciata di sabbia, e la rilasciò senza scagliarla. Era piuttosto arrabbiato. La serata perfetta con Will si era trasformata in un picnic sulla spiaggia, a fare da babysitter, mangiando sandwich al cetriolo e insalata, e bevendo acqua o tè freddo.

Al suo fianco, Will non vedeva il disastro della serata, ma capiva che Leo voleva passare del tempo solo con lui e James. Altrimenti non si sarebbe così arrabbiato, poco prima. Leo preferiva di gran lunga i picnic, che i ristoranti. Senza esitare, prese la mano di Leo e la strinse nella sua.

Leo sussultò al contatto, e guardò le loro mani. Si chiese come mai un figlio del dio del sole potesse avere le mani così fredde. La strinse, alzando lo sguardo su Will, e sul suo sorriso dolce.

«Loro due sieme?» domandò Lily a James, e Will si lasciò scappare una risatina guardando i bambini. Leo lo trovò più bello del solito, con i raggi del sole al tramonto.

«Sì. Lui papà Will.» Il sorriso enorme di James fece sorridere ancora di più Will, mentre Leo, con la fronte aggrottata e la mano stretta alla sua, lo guardava bene in volto. «Papà Will, noi cattello.»

«Non vi allontanate troppo.» disse Will, prima che i bambini sfrecciassero come sassi lanciati da una fionda e si fermassero di botto in un punto a una decina di metri di distanza.

«Non te ne sei accorto?» domandò invece Leo, attirando su di sé lo sguardo di Will.

«Del tramonto? Certo che me ne sono accorto. È bellissimo essere qui con te a guardarlo.»

Leo guardò il cielo, sorridendo, e lo strinse a sé. «Non parlavo del tramonto, anche se è fantastico.»

«Allora di cosa parlavi?» chiese Will, perplesso, appoggiandosi a lui.

Leo guardò i bambini che ammucchiavano la sabbia in un punto. «James ti ha chiamato papà.» mormorò.

Will lo fissò sorpreso. «Ma no, ti sarai confuso con te.»

«No. Ti ha chiamato papà, per ben due volte. Non te ne sei accorto?»

Will scosse la testa, gli occhi sgranati, le guance paonazze. Leo fu sul punto di dargli dell'idiota, quando James urlò: «Papà Will, cochiglia!»

Will ripeté tra sé quelle due parole, incredulo, e un altro sorriso gli comparve sulle labbra. Leo notò anche che aveva gli occhi lucidi mentre si alzava in piedi e andava a guardare la conchiglia che James aveva trovato mentre scavava. Will si trattenne a stento dal baciarlo, stringerlo e piangere di fronte a lui, e James gli tese la conchiglia sorridendo, senza sapere cosa aveva scatenato nell'altro.

 

Quando Will tornò a sedersi vicino a Leo, stringeva ancora la conchiglia al petto. Leo gli posò il mento sulla spalla, cingendogli la vita per i fianchi.

«Grazie.» mormorò Will, voltando appena la testa verso Leo. Aveva ancora gli occhi lucidi, e una singola lacrima gli rigava la guancia. «È una serata magnifica.»

Leo gli accarezzò la guancia, asciugandogli la lacrima, sorridendo.

«Da quando sto con te, da quando vi ho conosciuti, tutte le mie serate sono magnifiche.» continuò Will, e Leo si sentì traboccare il cuore d'amore per quel ragazzo biondo. «E anche le giornate. In pratica, tutti le ventiquattro ore di un giorno sono magnifici perché...»

«Ti amo.»

Will sussultò e sgranò gli occhi. Leo si sentì più leggero quando chiuse la bocca. Teneva dentro quelle parole da parecchio tempo, e non sapeva mai riconoscere il momento giusto per dirle.

Prima che Will potesse aggiungere qualcosa, Leo gli posò un dito sulle labbra.

«Ti amo.» ripeté. «Ho sempre pensato di non potere amare nessun altro, dopo la madre di James, ma da quando ti ho conosciuto ho iniziato a capire di essermi sbagliato. Quando tu me lo gridasti, tempo fa, ho scoperto che provavo anch'io qualcosa. Prima è stata paura, perché non capivo cosa ci trovassi in me, poi mi sono guardato dentro, mi sono ascoltato, e ho capito. Sono stato un idiota a non rendermi conto subito che persona eccezionale tu sia e, mentre aspettavo il momento giusto per dirtelo, non ho notato il tempo che continuava a scorrere. Sono arrivato anche a pensare che una cena al ristorante potesse essere l'uscita giusta per dirti quello che provo, senza tener conto che ogni serata che passo con te è speciale, qualsiasi cosa noi facciamo.» Leo sorrise dolcemente, tenendogli la mano stretta tra le sue. «Non voglio solo dirti che ti amo. Ma anche che ti dono tutto me stesso, che puoi sempre contare su di me, e che ogni giorno che passa l'amore che provo per te cresce sempre di più.»

 

Quando Leo finì il suo breve discorso, mentre ancora le parole galleggiavano tra lui e il suo ragazzo, restò scioccato da quello che aveva detto. Non si era aspettato un monologo del genere, lui non esternava in quel modo i suoi sentimenti. Era Will, non lui. Possibile che il biondino lo avesse cambiato così tanto anche nel profondo? Non aveva mai detto parole del genere a Calipso, e lui a Calipso doveva molto.

Deglutendo a fatica per la gola improvvisamente secca, Leo alzò gli occhi sul volto di Will. Gli occhi celesti si erano fatti ancora più umidi, e le guance erano di un bel rosa acceso. Gli restituì la stretta alla mano, mentre apriva la bocca, in attesa che le parole che volesse dire uscissero.

«Ti ho zittito. Sono davvero straordinario.» ridacchiò piano Leo, imbarazzato perché l'altro non diceva niente.

«Oh sì, lo sei.» annuì Will, con tono tremante, alzandogli la mano e baciandola. «Sei straordinario e fantastico. Nessuno mi ha mai detto cose del genere.»

Leo lo guardò dritto negli occhi, poi gli posò l'altra mano sulla nuca e lo attirò a sé. Will gli posò le dita sui fianchi, stringendolo forte, schiudendo le labbra incontrando le sue.

 

Continuarono a baciarsi fino a quando James e Lily non saltarono loro addosso, ridendo come matti, e Will li prese entrambi in braccio, facendo fare l'aeroplano prima ad uno e poi all'altra. Leo tenne gli occhi puntati su di lui, sorridendo con dolcezza. Will era davvero un gran padre, oltre che un gran uomo e un gran fidanzato. Si unì anche lui al gioco.

Quando i bambini iniziarono a dare i primi cenni di cedimento, Will ritirò tutto e si diressero alla cabina di Demetra. Lasciarono Lily addormentata ad uno dei suoi zii e andarono alla cabina di Efesto. Era la più vicina, e nessuno dei tre intendeva arrivare fino al bunker.

Will infilò il pigiama a James, raccontandogli una fiaba, e lo mise nel lettino. Subito dopo, seguì Leo nel letto, dandogli u bacio sul petto, uno sul collo e l'altro sulle labbra.

«Ti amo piccolo.» mormorò Leo, passandogli le dita tra i capelli.

«Ti amo anch'io.» rispose Will, accarezzandogli la guancia e dandogli un altro bacio. «So che non è stata la serata che avevi in programma, ma è stata stupenda lo stesso.»

Leo lo guardò per bene. Al buio, sembrava che i suoi capelli risplendessero. Anzi, che tutto il suo corpo risplendesse.

«Eravamo tutti insieme, alla fine.» disse piano. «Ed è quello che conta sul serio.»

Will gli baciò la punta del naso, poi si stese al suo fianco, posandogli la testa sulla spalla.

«I picnic in spiaggia dovremo farli più spesso.» mormorò Leo, accarezzandogli il braccio.

«Quando vuoi.» sorrise Will, stanco, baciandogli la spalla.

«E anche un picnic in fucina.»

Will alzò gli occhi su di lui. «In fucina?»

«L'importante è stare insieme, no?» ridacchiò Leo, e Will rise a sua volta, annuendo.

«Giusto. Allora poi anche in infermeria...»

«Mmm, ripensandoci, basta farli in spiaggia.» sorrise Leo, e Will gli diede un altro bacio a stampo.

«Buonanotte.» mormorò Will, e Leo lo strinse a sé.

«Buonanotte.» disse Leo, e lo guardò addormentarsi. Era davvero felice, e gli piaceva come il suo cuore battesse forte al contatto con Will. Pensò di non essere mai stato così felice.

 

A decine di miglia di distanza, una valigia venne chiusa e la proprietaria la prese. Con un ultimo sguardo all'appartamento, uscì, diretta al Campo Mezzosangue.

 

******

 

Era passata quasi una settimana da quella serata sulla spiaggia, e le cose tra di loro andavano a gonfie vele. Certo, litigavano, ma erano cose stupide, e facevano pace sempre più in fretta.

Will continuava a lavorare in infermeria tutti i giorni e, senza che Leo lo sapesse, aveva iniziato a parlare con suo fratello Nate di quanto gli era accaduto. E parlarne gli faceva bene. Nate gli prescrisse dei sonniferi, ma per fortuna Will non ne ebbe bisogno perché la presenza di Leo al suo fianco lo aiutava. Non aveva più avuto incubi nelle ultime settimane, o almeno Leo non gliel'aveva mai detto.

Leo, invece, era sempre impegnato in fucina. Mentre lavorava, si rese conto che ormai lui e Will vivevano insieme nel bunker, e il figlio di Apollo non si era lamentato nemmeno una volta della mancanza di luce. Forse era il momento di portare nel bunker tutte le loro cose. Ormai erano passati diversi mesi da quando si erano messi insieme, e la coabitazione non era poi così male.

«Nina.» chiamò Leo, alzando gli occhiali da saldatore e fissando la sorella. Nina stava lavorando ad un pezzo di metallo, stava costruendo una corona per una figlia di Afrodite.

Nina gli lanciò un'occhiata. «Dimmi.» gli disse, trattenendo uno sbadiglio.

Leo si mordicchiò il labbro, improvvisamente a corto di parole. E anche piuttosto imbarazzato.

«Muoviti, Valdez. La figlia di Afrodite la vuole entro sera.» sbuffò la ragazza.

«Ma la indosserà?» si incuriosì Leo, prendendo tempo.

«Oh no, la vuole solo come decorazione. Non ho fatto altre domande, paga piuttosto bene.»

Leo sorrise e le si avvicinò. «Devo farti una domanda.»

«Spara, fratello.» Nina si spostò una ciocca di capelli dal volto, sporcandosi di fuliggine, guardandolo attentamente con i suoi grandi occhi scuri. «Immagino si tratti di Solace.»

Leo annuì, e Nina sospirò. Ormai il fratello parlava solo di Will Solace, o di suo figlio. James era un argomento fantastico, mentre l'altro un po' meno. «Avanti, parla.»

Leo giocherellò con la maschera da saldatore, prima di lasciarla perdere e concentrarsi sulla sorella.

«Secondo te dovrei spostare tutta la mia roba nel bunker?» le chiese.

Nina lo studiò. «Credo di sì. Infondo ormai vivi lì.»

Leo annuì. «E pensi che anche Will sia pronto? Lo so che lo stiamo già facendo, ma questo cambierà tutto. Tanto per cominciare, dovrebbe lasciare la sua camera alla cabina di Apollo, e portare tutte le sue cose da me...»

Nina ci pensò su per qualche secondo, osservando lo sguardo serio di Leo. «Penso che lo farebbe. Siete entrambi molto innamorati. E penso anche che dovresti chiederlo direttamente a lui.»

«Lo farò, più tardi, appena lo vedo.» disse Leo, velocemente.

«Buon per te.» Nina riprese a lavorare il metallo, e dargli la forma.

«Grazie Nina.» Leo fu sul punto di tornare alla sua postazione quando la sorella lo richiamò.

«Leo, posso fartela io una domanda?» Gli occhi di Nina erano seri, senza traccia di divertimento, un po' come quando raccontava storie di fantasmi ai fratelli più piccoli.

«Se riguarda ancora la mia vita sessuale...»

«Non si tratta di questo.» Nina fermò il lavoro e gli andò incontro, sistemandosi i guanti. «Hai detto che sei pronto per trasferirti nel bunker con Will. Che vuoi portare lì tutta la tua roba, e che Will dovrà fare lo stesso.»

«Sì, è vero, l'ho detto.» annuì Leo, chiedendosi dove la sorella volesse andare a parare.

«Bene. Ma ricordi che tu non possiedi solo giocattoli, vestiti, e cose del genere vero? Hai anche un figlio. Quindi la vera domanda non è se tu e Will siete pronti a vivere insieme. Questa ormai è una cosa che state facendo da mesi. La vera domanda è: sei pronto a far vivere James con te e Will?»

Nina non attese una risposta, e tornò al suo lavoro. Il fratello la fissò a lungo, riflettendo sulla domanda. Non riuscendo a trovare una risposta, gridò alla sorella: «Ti odio.»

Nina aveva già la battuta pronta. «No, mi ami, Valdez. Altrimenti non ci staresti pensando così tanto.»

 

«Sono pronto a rimettermi sul mercato.» disse Angel, posando con decisione la tazza di caffè sulla scrivania, lasciando cadere gocce del liquido su alcuni documenti.

«Davvero?» rispose Will, lanciandogli un'occhiata, affrettandosi ad asciugare. Ma ormai le chiazze di caffè stavano diventando parte dei fogli, e Will ringraziò mentalmente gli dei che non si trattasse di documenti importanti.

Non ricevendo risposta dal fratello, Will alzò di nuovo gli occhi. Il volto di Angel era inespressivo, le guance arrossate e gli occhi chiari, di un verde mescolato all'azzurro, erano puntati sul caffè. Will notò che stava rivivendo vecchi ricordi, e si alzò goffamente, passando dall'altra parte della scrivania e posandogli una mano sul braccio.

«È stato proprio uno stronzo.» sbottò infine Angel. «Non ho fatto nulla di male.»

«Be', lo hai spaventato con il tuo ragionamento creativo.»

«Non ti ci mettere pure te, l'ho fatto per Leo, e anche per te.»

«Lo so.» Will gli passò le dita tra i capelli, poi lo strinse. Angel fu piuttosto rigido durante l'abbraccio, ma lo ricambiò.

Rimasero abbracciati per qualche minuto, poi Angel si scostò, guardando fuori dalla finestra. Will prese il caffè, appoggiandosi alla scrivania, e lo sorseggiò fissando il fratello.

«Sai cosa, Will?» disse Angel, voltandosi verso di lui, con le pupille dilatate. Si tirò su le maniche del camice fino ai gomiti, e si tirò indietro i capelli. «Vado nella cabina di Efesto e me lo riprendo.»

«Uuh, tenace, mi piaci.» annuì Will, sorridendo, e Angel gli scoccò un'occhiataccia.

«Il caffè è mio.»

«Ha un ottimo sapore ugualmente. Ora vai, copro il tuo turno. Torna qui vittorioso, o non tornare affatto.»

«Will, sembra che tu mi stia istigando al suicidio.» disse Angel, aprendo la porta dell'ufficio, e quasi si scontrò con Leo.

«Non intendo istigarti al suicidio. Tu vai e basta, e non sembrare troppo maniaco.» sorrise Will, e si avvicinò a Leo. Angel non rispose più, e si affrettò ad uscire dall'infermeria prima che l'adrenalina svanisse.

«Dove sta andando?» domandò Leo, guardando Will incuriosito. Incrociò gli occhi celesti del suo ragazzo, che forse stavano notando le bruciature sulla sua pelle, e la fuliggine su volto e vestiti.

«Va a parlare con Steve. Tu cosa fai qui?»

«Volevo parlare con te.»

«Certo, fai pure.» annuì Will, tornando al caffè.

Leo si chiuse la porta alle spalle, e arrivò subito al punto. «Che ne dici di trasferirti del tutto al bunker?»

Gli occhi di Will sembrarono diventare più azzurri. «Mi stai richiedendo di convivere?»

«Sì, ma questa volta sarà vero. Avremo tutte le nostre cose al bunker, tutte quante.»

Will ci pensò su. «Solo io e te?» chiese.

«No, io, te, le mie dodici mogli, e i tuoi sessantaquattro gatti.» sbottò Leo.

«Ehi, frena. Perché tu devi avere delle mogli, mentre io solo gatti?»

«Will, non è questo il punto.»

«Ed è la stessa cosa che intendevo io.» Will sorrise. «James resterà alla cabina di Efesto? Capisco che fino ad ora abbiamo vissuto insieme perché volevi tenermi d'occhio per quello che mi era successo con Marcelus. Ma se vogliamo vivere insieme, e questa volta seriamente, James deve stare con noi. Tu e lui siete un pacchetto completo.»

Leo si appoggiò alla porta, osservandolo. «A te non dispiacerebbe, vivere anche con mio figlio?»

«Certo che no. Adoro James, e ora mi chiama anche papà. E sono sorpreso che tu abbia impiegato tutto questo tempo per deciderlo.»

Leo alzò un sopracciglio. «Intendi dire che sono stato... lungo?»

«Già. Molto lungo.»

Leo fece scattare la chiave nella serratura, e si avviò alla finestra. «Come si oscurano le finestre?»

«In nessun modo. Che vuoi fare?» domandò Will, anche se ormai l'aveva già capito, e si stava trattenendo dal ridere.

Leo scrollò le spalle, e si avvicinò alla scrivania. «Spero siano importanti.» disse, facendo cadere a terra tutti i fogli che la ricoprivano.

«Alcuni sì.» annuì Will, facendo per sfilarsi il camice, ma Leo lo fermò.

«Questo lo tieni.» borbottò, e Will ridacchiò, sedendosi sulla scrivania, e lasciando che Leo lo baciasse.

Si strinsero l'uno all'altro, baciandosi con energia, e Leo si affrettò a sbottonargli i jeans e a tirarli via. Will lasciò correre giù fino all'ombelico la tuta da lavoro di Leo, aiutandolo a liberare le braccia.

 

Mentre si amavano con passione sulla scrivania dell'ufficio di Will, cercando di fare il meno rumore possibile per non allarmare gli altri figli di Apollo o i pazienti, un'ombra passò oltre la finestra.

Baciando Will sul collo, Leo si sentì osservato, e si voltò di scatto verso la finestra. Riuscì a vedere solo le foglie degli alberi che ondeggiavano per il vento.

«C'è un guardone.» mormorò Leo, tornando a baciare Will sul collo, aumentando le spinte.

«Oh no, ti guarderanno il culo...» Will allungò una mano e gliela posò sul sedere, stringendolo.

«Qualcuno ci ha appena visti scopare sulla tua scrivania, e l'unica cosa di cui ti preoccupi è il mio culo?» sorrise Leo, baciandolo vicino alle labbra.

«Certo.» Will lo baciò, trattenendo un gemito. «Non deve vederlo nessuno il tuo bel culo, oltre me.»

Leo sorrise e continuò a baciarlo, e il guardone fu un ricordo dimenticato.

 

Quando Leo uscì dall'ufficio di Will, trovò Nate seduto sul pavimento intento a limarsi le unghie.

«Cosa ci fai qui?» sbottò Leo, finendo di sistemarsi la tuta.

«Be', è un'infermeria, ci lavoro.» Nate gli lanciò un'occhiata, trattenendo a stento un sorriso. «Voi cosa stavate facendo?»

«Parlavamo.» disse Leo, chiudendo la porta alle sue spalle, ignorando la risata di Will. «Stavamo solo parlando.»

«Parlare. Dei, ora si chiama così? Sono fuori allenamento da un bel po'.» Nate fu sul punto di chiedere a Leo di aiutarlo ad alzarsi, ma lasciò perdere, pensando cosa avessero toccato quelle mani, e si alzò da solo. «Bene, vado anch'io a parlare con il tuo ragazzo, sempre se è in ordine.»

«Sai, se non fossi suo fratello, mi sarei già preoccupato dell'intonazione del tuo parlare.»

«Forse anch'io.» Nate entrò nell'ufficio con la mano sugli occhi. «Sei presentabile?»

Leo fece un cenno a Will, che stava ancora raccogliendo le carte, e si allontanò. Uscì dall'infermeria, e per qualche secondo rimase a guardare Angel e Steve seduti fuori dalla cabina di Efesto che parlottavano, le teste vicine. Notò anche di non essere l'unico che li stava osservando. C'erano Jared e James seduti sui gradini della cabina 9, con Lily, che guardavano interessati.

Sorridendo, Leo fu sul punto di raggiungerli, ma dopo qualche passo cambiò idea e passò attorno all'infermeria. Non lo stava facendo per spiare Will e Nate, ma quando si vide vicino alle finestre dell'ufficio di Will, lanciò loro un'occhiata. Will teneva gli occhi chiusi, seduti sulla sedia dietro la scrivania, e ascoltava il fratello parlare. A volte anche Will diceva qualcosa, ma senza mai aprire gli occhi.

Leo fu sul punto di bussare, e chiedere spiegazioni, ma invece si inginocchiò per non farsi vedere. Qualsiasi cosa stessero facendo i figli di Apollo, non era affar suo. Si mise a guardare attorno agli alberi, cercando di ignorare il profumo dolciastro, alla ricerca di un indizio che potesse portarlo a trovare il guardone di poco prima. Gli avrebbe fatto una bella strigliata.

Dopo cinque minuti di ricerche, Leo rinunciò. Non c'era niente di utile. Chiunque li avesse spiati, non sarebbe mai stato scoperto. Si alzò in piedi, spazzolandosi la terra via dalle ginocchia, e scoprì che Will e Nate non erano più dentro l'ufficio. Forse erano tornati al lavoro, forse c'era qualche caso grave.

Fece per andarsene di lì, quando si bloccò. Tornò a voltare la testa verso gli alberi, annusando quell'odore dolciastro. Chiuse gli occhi, cercando di ricordare dove l'avesse già sentito.

Impiegò pochi secondi a collegare l'olfatto ai ricordi, e i ricordi esplosero tutti insieme. Quante volte aveva odorato quella pelle che sapeva di cannella? Quante volte era rimasto inebriato da quell'odore? Una volta aveva scambiato una delle boccette con un'altra, con del gelsomino, per farle uno scherzo, e lei aveva riconosciuto subito la differenza, appena entrata in camera. Lei gli aveva svuotato la boccetta sui capelli, e per una settimana, nonostante le innumerevoli docce, quel profumo non l'aveva abbandonato. Anche James lo aveva preso in giro, per quanto potesse, di quel suo odore strano.

Leo si appoggiò all'albero, cercando di evitare quei ricordi, ma era impossibile. La felicità di quei giorni lo avvolse completamente, ed esalò un nome.

«Calipso.» sussurrò, spalancando gli occhi.

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Capitolo 31
*** 40/41. Sabina ***


Per qualche minuto, Leo rimase come paralizzato a guardare fisso davanti a sé. Respirava a fatica mentre ricordi di Calipso, che sperava dimenticati, gli popolavano la mente.

Calipso in cucina intenta a preparare la colazione, l'odore di bruciato che aleggiava nell'aria. Calipso stesa nel letto, con solo un lenzuolo sottile a proteggerle il corpo nudo, senza accorgersi di quanto fosse sexy. Calipso in fucina, sporca di fuliggine, intenta a lavorare la maniglia di una porta, che aveva rotto quel giorno stesso...

Aveva sempre pensato di aver rimosso quei ricordi, ma a quanto pareva erano rimasti nascosti, in attesa del momento giusto per riaffiorare, o di un odore particolare che li innescasse. In cuor suo sapeva che quello non era un odore di cannella qualunque. Era di Calipso, era lei che portava quel profumo, era il suo, l'avrebbe riconosciuto ovunque, anche tra mille odori diversi.

Si portò una mano al petto. Il suo cuore batteva furiosamente. Si guardò le mani, e scoprì piccole fiamme che gli coprivano la punta delle dita. Cercò di trattenersi dall'andare a fuoco, e iniziò a correre verso la fucina. Suo figlio era tornato in cabina, mentre Steve sedeva da solo sui gradini, la testa voltata verso la cabina numero 7. Entrambi si guardarono, ma erano sommersi dai loro problemi, e non ne volevano degli altri.

Quando entrò in fucina, Leo si diresse subito nella stanza del forno. Aprì la grata e lasciò che le sue fiamme si unissero alle altre, accrescendole. Il calore della stanza, segnato dal contatore, superò quello consentito, e partì l'impianto di irrigazione. Leo si lasciò bagnare dall'acqua, chiudendo gli occhi, inspirando profondamente, mentre quella sensazione di oppressione non faceva altro che aumentare.

 

Nina entrò nella stanza alcuni minuti più tardi. Osservò il fratello bagnato, e si affrettò a spegnere l'impianto.

«Leo.» lo chiamò, ma il fratello sembrava in trance. Gli andò vicino e gli tirò un pugno sulla spalla. «Valdez!»

Leo sussultò per il dolore alla spalla, e si voltò di scatto. Guardò la sorella con attenzione, e sospirò.

«Nina. Non ti ho sentita entrare.» disse.

«A quanto pare non hai sentito nemmeno l'allarme di possibile incendio.» sbuffò la ragazza, facendolo allontanare dal forno. «Che ti prende?»

«Sto bene.» mormorò Leo, aumentando il calore del suo corpo. I vestiti gli si asciugarono addosso.

«Non stai bene.» disse la ragazza, con tono duro, incrociando le braccia al petto. «Cos'è successo? Hai litigato con Will? Ti ha detto che non vuole vivere con James? Dimmi cosa ti ha detto chiaramente, e giuro che vado a tirargli calci sul suo culo bianco.»

«Non tirargli calci, né ora né mai. E lui è d'accordo, anzi, mi ha fatto capire che vuole proprio vivere con James, visto che io e lui siamo un pacchetto completo.»

Nina si accigliò. «Pacchetto completo? Ha detto proprio così?»

Leo sorrise, annuendo. «Esattamente.»

«Allora cos'hai? Se Will è felice di vivere con te e James, perché sei così triste da infilare le mani nel forno?»

«Non avevo le mani nel forno.»

«Più o meno le avevi. Leo, cos'è successo? E questa volta rispondi, e non svicolare.»

Leo tenne gli occhi puntati sul fuoco, facendo un bel respiro profondo.

«Ho sentito il suo odore.» sussurrò.

Nina non capì subito. Fu sul punto di dirgli che conosceva dei buon profumi da uomo per coprire la puzza del figlio di Apollo, ma si trattenne. Leo aveva lo sguardo basso, le spalle rigide, e sembrava sul punto di voler prendere fuoco. C'era solo un odore che poteva farlo stare così.

«Calipso.» mormorò Nina, scioccata. «Hai sentito il suo profumo?»

«Sì. Era vicino all'infermeria.»

«Sei proprio sicuro che si trattasse di lei? Immagino che siano in molte al Campo ad usare quel tipo di...»

«No, Nina. Non era un'altra. Era lei. La riconoscerei su mille.» Leo si passò le dita tra i capelli, nervoso. «È tornata qui.»

«Di cosa hai paura? È passato un anno da quando l'hai lasciata.»

Leo si sedette per terra, abbracciandosi le gambe. «Non so di cosa ho paura, e non so nemmeno se ne ho.»

«Leo, se la mia ex ragazza stronza tornasse al Campo, e non passasse nemmeno a salutarmi, io sarei arrabbiata.»

Leo le lanciò un'occhiata. «Intendi Natalie?»

Nina alzò gli occhi al cielo. «Non ho ex femmine, come te lo devo dire?»

«Sei abbastanza mascolina per piacere alle ragazze.»

«Leo, pugno in faccia tra pochi secondi, sei avvisato.»

«Okay okay.» si affrettò a dire Leo. «Lasciamo perdere Natalie.»

Nina si appoggiò a lui con la spalla, osservandolo. «Allora. È tornata al Campo. Vuoi che andiamo a cercarla?»

«Non so se ho voglia di rivederla.»

«Ma dovreste farlo. È pur sempre la madre di James, e ha diritto di vederlo.»

Leo la guardò. «Sul serio? Dovrei farglielo vedere? Per come si è comportata fino ad ora...»

«Fino ad ora?»

«Lo hai detto prima. L'ho lasciata da un anno, Nina, non da due giorni. E non si è mai fatta vedere prima. Per dodici mesi non le è mai importato un cazzo di essere madre, e ora arriva, e vuole vedere James? Non ho intenzione di permetterglielo.»

Nina rimase in silenzio per qualche minuto, riflettendo, e Leo riprese. Parlare a raffica in un momento del genere gli sembrava la cosa migliore da fare, per non riflettere.

«E poi, non è detto che sia venuta qui per vedere James. Stronza com'è, non sa nemmeno che io e lui siamo qui. Anzi, ora di sicuro lo saprà, visto che mi ha spiato mentre stavo con Will.»

Nina lo guardò. «Vi stavate baciando?»

«No, stavamo facendo sesso.»

La sorella si spostò. «Hai lavato le mani?»

«Non ho avuto il tempo, ma ho fatto una doccia poco fa.»

La ragazza annuì. «Forse Cal è stata chiamata al Campo per parlare con Chirone.» osservò, cercando di trovare un senso logico alla possibile presenza della ninfa che aveva cambiato suo fratello.

«E allora cosa cazzo ci faceva fuori dall'infermeria, a spiarmi mentre stavo con Will?»

«O forse aveva bisogno di un medico.» aggiunse Nina, e sospirò. «Senti, non mi far mettere nei panni di una donna che ha vissuto mille anni. Non so perché sia venuta qui, e finché non la incontrerai non lo saprai mai. Quindi, il mio consiglio è: armati, e non di buonsenso, e vai a cercarla. Se dovesse fare qualcosa di sbagliato, la uccidi, o almeno le fai molto male.»

Leo si passò le dita tra i capelli, e lanciò una palla di fuoco nel forno, facendolo riaccendere, asciugando il resto dell'acqua.

«E se non mi piacesse il motivo per cui è tornata?» mormorò Leo. «Se fosse qui per James, se volesse vederlo, anche se è passato un anno e lei non lo ha cercato, potrei accettarlo. Ma... se fosse veramente qui per un altro motivo?»

«Prima di venire qui, immagino non avesse idea che vi trovaste qui anche voi. Magari stava solo passeggiando, e ti ha visto con Will.»

Leo annuì lentamente. «Chissà dov'è finita ora.»

«Se è qui da molto, sarà alla Casa Grande.»

«Vado a cercarla. Prima l'affronto, prima me la tolgo dalla testa.» disse, alzandosi.

Nina guardò il fratello alzarsi, mordicchiandosi il labbro. Doveva toglierla dalla testa...

«Leo, credo dovresti parlarne prima con Will.» disse Nina, alzandosi in piedi.

Leo la guardò. «E cosa dovrei dirgli? "Ehi amore, vado a chiacchierare con la mia ex, è tornata al Campo e voglio saperne il motivo. A proposito, che c'è per cena?"»

«Sì, una cosa del genere.»

Leo scosse la testa, infilandosi le mani in tasca. Si sentiva strano, fragile, indifeso. Non gli era mai piaciuto sentirsi in quel modo.

«Magari togli il tono sarcastico.» aggiunse Nina. «E se gli ricordi che è la madre di James, probabilmente verrà con te.»

«Voglio parlarle da solo, senza testimoni.»

«Se dovesse servire, chiama Angel Thomas per occultare il cadavere.»

Leo si irrigidì e la guardò. Nina scrollò le spalle. «Steve è un chiacchierone, soprattutto quando beve e dorme.»

Leo sbuffò, ma non disse nulla. Nina avrebbe tenuto il segreto anche senza che glielo ricordasse.

 

 

«Non ti senti uno schifo?» domandò Nate, raggiungendo Will, e aiutandolo a tenere fermo un figlio di Ermes, con un lungo taglio sul braccio.

«Perché dovrei sentirmi uno schifo?» domandò Will, perplesso, prendendo la siringa e iniettando nella vena del giovane un forte anestetico. In pochi secondi il figlio di Ermes smise di dibattersi.

«Hai fatto sesso durante l'orario di lavoro.» borbottò Nate, prendendo dei guanti puliti e cominciando a tastare la ferita.

«Mmm...» Will ci pensò su. «In realtà mi sento molto bene, e soddisfatto, e appagato. E felice. Molto felice. Dovresti farlo anche tu.»

«Con Leo?»

«Con Leo se vuoi morire in modo atroce, con altri se vuoi provare più piacere.»

Nate fece una smorfia. «Non si può proprio scherzare con voi.»

Will fece un piccolo sorriso e si affrettò a passargli del nettare da usare sulla ferita. Lanciò un'occhiata al resto dell'infermeria. A parte il figlio di Ermes che stava curando, non c'erano molti pazienti. Una figlia di Afrodite singhiozzava nel letto, con metà della testa fasciata – una sorella le aveva dato una piastra per capelli difettosa –; un figlio di Ares giaceva a pancia in giù su un lettino, con la schiena tutta bendata – era ricoperto di tagli, quindi aveva dato battaglia contro qualcuno dei suoi fratelli –; e una figlia di Demetra si guardava la mano fasciata con gli occhi ingigantiti per l'uso di medicine – si era tagliata falciando l'erba.

«Ehi, Nate, visto che non c'è nessuno posso tornarmene al bunker?» chiese Will, guardando il fratello.

«Non capisco perché lo chiedi a me, se il capo sei tu.» sbuffò Nate.

«Non ne ho idea, ma è bello sentirsi dire di essere il capo.» Will lanciò un'occhiata all'orologio. «Tra dieci minuti finisce il mio turno, e...»

Le porte dell'infermeria si spalancarono di colpo e Will si maledì per aver parlato troppo presto. Il figlio di Ares si svegliò urlando, e di conseguenza anche la figlia di Demetra strillò.

«Will, Will!» esclamò il figlio di Ecate appena entrato, Teddy. Teneva una ragazza tra le braccia. «L'ho trovata vicino alla mia cabina, non ho idea di chi sia...»

Will gli si avvicinò di corsa, e gli indicò un lettino. La ragazza aveva sui sedici anni, i capelli erano un groviglio di un tenue color miele, e la pelle era pallida, quasi bianca come la carta.

Più pallida di Nico di Angelo.

«Che cos'ha?» domandò Teddy, spaventato, posando la ragazza sul lettino.

Will iniziò a tastarle il polso. Era molto fredda, e il cuore batteva a fatica. «Me ne occupo io. Puoi andare. Rose, vieni qui ad aiutarmi!» esclamò, e la sorella accorse.

Portarono il lettino con la ragazza in un'altra stanza. Lasciò a Rose una serie di esami da fare, anche se sapeva benissimo quale era la causa di tutto: era in overdose, o almeno ci era andata vicino. Will le controllò le braccia, scoprendo vari buchi, poi, ricordando la sua esperienza in ospedale, le tolse le scarpe e le controllò le dita dei piedi. Come sospettava, lì c'erano altri buchi.

«Dobbiamo ripulirle il sangue.» disse Will, lanciando un'occhiata alla sorella. «Sei pronta?»

Rose annuì, ma chiese: «Sai chi è? Io non l'ho mai vista prima.»

«Nemmeno io, ma ora è più importante curarla.»

Rose annuì e, posando la mano vicino a quella fratello, iniziò a mormorare un inno ad Apollo.

 

Quando Leo entrò in infermeria, trovò Nate intento a ricucire una ferita sul braccio, mentre due figli di Apollo facevano avanti e indietro in corridoio. Angel era in piedi vicino ad un figlio di Ares con la schiena fasciata e, non vedendo Will, Leo lo raggiunse.

«Ehi ciao.» lo salutò Angel.

«Ciao. Hai visto Will?»

«Ha una paziente, è in un'altra stanza.» Angel sospirò. «Penso ne avrà per qualche ora, la tipa era messa male.»

Leo sospirò a sua volta. Aveva passato gli ultimi venti minuti a girare attorno alla Casa Grande, aspettandosi di vedere Calipso alla finestra, o intenta a curare il giardino. Invece niente, non aveva avuto fortuna. Si era anche domandato se fosse stata tutta immaginazione... A volte capitava di sentire l'odore di qualcuno che non c'era, giusto? Forse una parte di lui la stava pensando, e il suo cervello aveva fatto in modo che ne sentisse il profumo.

«Cos'hai?» domandò Angel, osservandolo con attenzione. Leo incrociò il suo sguardo per un secondo. Aveva gli occhi leggermente rossi, le occhiaie, la pelle tirata.

«Io? Nulla.»

«Dalla tua faccia non si direbbe.»

«Posso dire lo stesso di te.»

Angel si oscurò. «Colpa di quello stronzo di tuo fratello.» borbottò.

Leo si accorse di non volerne sapere niente. «Di' a Will che sono passato, e che lo aspetto al bunker.»

«Okay.»

Leo si allontanò in fretta dall'infermeria, ma non si diresse al bunker. Decise di dare un'altra controllata al Campo, per accertarsi che la presenza di Cal fosse solo una sua illusione.

Non aveva idea, però, che Calipso, in quel preciso momento, si trovava con Will in infermeria.

 

*****

 

Leo era steso sul letto quando Will rincasò. Erano passate due ore da quando aveva parlato con Angel, e nella prima mezz'ora aveva continuato a cercare Calipso: alla Casa Grande, in spiaggia, al molo, nel bosco. Poi era tornato alla cabina di Efesto e aveva iniziato a fare i bagagli.

Will notò subito le scatole vicino al tavolo di lavoro di Leo, e andò subito a cercare il fidanzato.

«Ciao piccolo.» lo salutò Will, sedendosi vicino a lui.

Leo si girò sul fianco per guardarlo. «Ci hai messo parecchio.» disse.

«Scusami. Quando stavo per uscire, è arrivata una paziente. Era in overdose. Ho esaurito tutta la mia magia per evitare che morisse.»

Leo si mise seduto, con il cuore che batteva forte. Overdose... Questo gli ricordò alcuni fatti di cui non aveva mai parlato con Will, episodi del suo passato che aveva sempre desiderato dimenticare. Guardò Will, notando le ombre scure sotto gli occhi, e la pelle più pallida.

«Hai davvero la faccia stanca.» disse Leo, spezzando il silenzio. Per fortuna Will non si era accorto del suo momento di panico.

«Non hai idea di quanto lo sono.» Will si passò le dita tra i capelli, che gli ricaddero sulla fronte. «Credo che farò una doccia, e mi metterò a dormire.»

«A dormire?» ripeté Leo, fissandolo, e Will annuì.

«Scusami, sono davvero stanco.»

«Tranquillo, non preoccuparti.»

Will lo sondò con lo sguardo. «Tutto okay?»

Leo annuì, poi ci ripensò e disse: «Volevo parlarti di una cosa, ma posso aspettare anche domani.»

Will si mordicchiò il labbro. «Posso aspettare ancora un po' prima di addormentarmi. Quindi parla, dimmi pure.»

Leo cercò di riflettere. Nell'ultima ora aveva pensato a tutti i modi diversi in cui iniziare una conversazione che comprendeva una ex. Aprì la bocca per parlare, ma le parole che uscirono alle sue labbra furono diverse.

«Ho già portato tutta la mia roba qui.» disse, e Will sorrise.

«Ecco cosa sono quelle scatole.»

«Già.» Leo deglutì. Cosa aveva da nascondere? Calipso faceva parte della sua vita, e anche se non gli piaceva, ne avrebbe sempre fatto parte. Dopotutto era la madre di James, e i legami di sangue non potevano essere modificati. E tutto questo Will lo avrebbe capito, quindi perché stava facendo l'idiota?

«Appena avrò tempo, amore, passerò in cabina e prenderò il resto delle mie cose.» disse Will, guardandolo.

«Dimmi quando, verrò a darti una mano.»

«Certo.»

«Dovrò anche prepararti un armadio in più, vero?» disse Leo, ritrovando il sorriso. «Avrai di sicuro molti più vestiti di me.»

Will rise. «Puoi scommetterci. Ora vado a fare una doccia.»

Leo annuì e lo seguì con lo sguardo mentre andava in bagno. Si alzò in piedi, avvicinandosi al tavolo di lavoro, e prese un foglio. Aveva già in mente uno schizzo dell'armadio. Fu sul punto di prendere la matita quando cambiò idea, e iniziò a spogliarsi, diretto al bagno. Con sua enorme sorpresa, Will era nella vasca, i vestiti sparsi per il piccolo bagno, e gli lanciò un'occhiata divertita.

«Aspettavo proprio che tu venissi.» disse, e Leo chiuse la porta alle sue spalle, sorridendo.

 

Più tardi, quella notte, il cercapersone di Will squillò, svegliando entrambi. Mentre Leo borbottava stringendo il cuscino, Will scese dal letto e si mise alla ricerca del cercapersone, poggiato su uno dei mobili del bagno.

Leo lo guardò tornare. Una piccola parte di lui sperava che non fosse nulla di grave, e che poteva benissimo stendersi al suo fianco e stringerlo di nuovo.

«La paziente dell'overdose si è svegliata.» disse Will, aprendo un cassetto e vestendosi. «E ha chiesto di me.»

«Di te?» Leo alzò un sopracciglio. «Devo ingelosirmi?»

«Può darsi.» Will sorrise, allacciandosi la cintura. «Come ha detto Rose, ha chiesto del dottore biondo di bell'aspetto.»

«Ah, ma potrebbe essere chiunque.» Leo si mise seduto, scoprendo che erano le tre del mattino. Desiderò uccidere quella ragazza. «Come si chiama la tua paziente?»

«Non ne ho idea, non l'ho mai vista prima. Deve essere una figlia di Afrodite, visto com'è carina.»

«La trovi carina?»

«Rose la trova carina, e anche Nate.»

Leo lo guardò perplesso, mentre si sedeva ai piedi del letto per mettersi le scarpe. «Una figlia di Afrodite che non conosce nessuno?»

«Già. Rose dice che è molto probabile che sia una figlia di Afrodite, oppure di Demetra. Ha un profumo particolare.»

Leo si irrigidì leggermente guardando la schiena del suo fidanzato, che si allacciò le scarpe senza accorgersi di lui.

«Un profumo particolare?» ripeté Leo, sbiancando, fissandolo.

«Già. Non che mi metto ad annusare i pazienti, ma il suo profumo è diverso. Sembra arrivare dalla pelle, non dai capelli.»

Will si sistemò la maglia e si chinò su di lui, dandogli un bacio. Leo ricambiò, frastornato. Possibile che la paziente fosse lei?

«Ci vediamo per colazione. Tu dormi.» Will gli sorrise, arruffandogli i capelli, e andando verso la porta. «Ti amo.»

«Anch'io ti amo.» mormorò Leo, e lo guardò sparire oltre la porta.

 

Nel letto, da solo, guardando la finestra, che trasmetteva l'immagine di un bosco illuminato dai raggi della luna, Leo ci pensò ancora. La paziente era Calipso? L'infermeria era stato l'unico posto in cui non aveva cercato Calipso, oltre alcune cabine. Quindi forse...

Leo si prese la testa tra le mani. Will aveva detto che era in overdose. La sua vita non era affatto cambiata da quando l'aveva lasciata, anzi, era peggiorata. Ma se era andata in overdose la colpa era solo sua. Era stato lui ad iniziarla.

Con un balzo, Leo scese dal letto e si infilò i primi vestiti che gli capitarono, poi uscì nella notte, diretto all'infermeria.

 

Quando Will entrò in infermeria, trovò subito sua sorella ad aspettarlo con una enorme tazza di caffè con poco zucchero, e il suo camice.

«Dei, sei un tesoro, Rosie.» sorrise Will, infilandosi il camice e prendendo il caffè.

«Lo so.» Rose sorrise, e trattenne uno sbadiglio. «Se ci sei tu, posso andarmene, vero?»

«Sì, ma prima dimmi della paziente. Ricorda il suo nome?»

«Ha detto di chiamarsi Sabina, poi ha borbottato qualcosa in spagnolo che non ho capito, e ha detto di essere figlia di Afrodite, appena riconosciuta.»

«Capito. Domattina vado a chiamare un figlio di Afrodite e gli parlo di Sabina. Come sta?»

«È ancora scossa, e mi ha guardato in uno strano modo. Penso non sia molto felice di essersi salvata.»

«Come lo sono tutti.» Will sospirò e prese la cartella di Sabina. «Vado a vederla. Vai pure, e grazie per avermi chiamato.»

«Di nulla, figurati.»

Rose lo salutò e uscì dall'infermeria, diretta alla cabina di Apollo, senza notare Leo in avvicinamento.

 

Will bussò, poi entrò nella camera riservata alla ragazza. Quando si trovava di fronte a casi veramente gravi, preferiva tenerli lontani dagli altri pazienti.

Notò subito il letto disfatto, e la flebo abbandonata sulla coperta. Fu sul punto di chiamare Christie, l'altra sorella in servizio a quell'ora, quando vide Sabina seduta sotto la finestra, mezzo nascosta dal separé. Il camice dell'infermeria le era risalito, mostrando una porzione più ampia delle cosce nude, e la biancheria.

«Sabina.» la chiamò Will, prendendole la coperta e andando vicino a lei. «Sabina.»

La ragazza non lo guardò, era indaffarata a rigirarsi tra le dita una ciocca di capelli. Ma quando Will la avvolse con la coperta, ebbe un sussulto e alzò gli occhi scuri.

«Sabina.» ripeté Will, inginocchiandosi vicino a lei. «Sono il dottor Solace.»

«Will Solace.» disse la ragazza, e nel suo sguardo Will lesse il disgusto.

«Esatto, sono io. Torna a letto, ti congelerai lì per terra.»

«Una volta non mi congelavo mai. Ero sempre circondata dal mio calorifero personale.» mormorò Sabina, con lo sguardo perso.

Will la guardò per qualche secondo. L'effetto delle medicine si stava facendo sentire. La sollevò da terra senza tanti complimenti, e la ragazza glielo lasciò fare. Sembrava una bambola, per quanto fosse leggera.

Will la mise a letto, sistemandole il camice, poi la coprì fino al petto con le coperte. Le controllò i battiti del polso, poi le reinserì l'ago della flebo nella vena. La ragazza chiuse gli occhi per qualche secondo, poi li riaprì.

«Dov'è?» gli chiese.

«Non so di cosa parli, Sabina.»

Lei fece una smorfia, e Will riprese a controllarla. Dallo stato in cui si trovava ora, doveva aver fatto uso di droghe continuamente nell'ultimo periodo. O anche per più tempo. La pelle si stava riscaldando, e Will si chiese perché si fosse ridotta in quel modo.

«Sabina, dobbiamo parlare.» le disse, con tono calmo, sperando di tranquillizzarla e farla aprire. «Ti farò delle domande, e tu dovrai rispondermi.»

Sabina non rispose, distratta da un gioco di luce sulla finestra. Anche Will lo vide, e si voltò rapidamente verso la porta aperta. Forse qualcuno li stava spiando. Fu tentato di chiudere la porta, ma non voleva mettere a disagio la ragazza.

«Allora, Sabina.» iniziò Will, osservandola. «Da quanto tempo sei qui al Campo?»

«Pochi giorni.» La voce raschiante della ragazza fece allungare la mano di Will verso il bicchiere d'acqua, e la aiutò a bere.

«Pochi quanti?»

«Uno, o forse due.»

«I tuoi fratelli e le tue sorelle sanno che fai uso di droghe?»

«Mia sorella è morta tanto tempo fa.»

Will la studiò, e prese mentalmente nota che la ragazza era piuttosto confusa.

Gli occhi di Sabina si puntarono con odio nei suoi. «Lo hai portato via da me.» disse, e Will aggrottò la fronte. «L'hai portato via da me. Vi ho visti. Lo stavo seguendo. Sei orribile. Sei uno stronzo.»

«Di cosa stai parlando?» domandò piano Will, sempre più perplesso.

«Giocate anche insieme.» continuò la ragazza, senza sentirlo. «E il piccolo dove sta? Non l'ho visto. Da quando sono qui, ho visto solo lui, ed è uno stronzo.»

Will sospirò. Stava vaneggiando. Doveva aspettarselo. «Sabina, ora ti darò qualcosa per farti dormire, e parleremo domani. D'accordo?» La ragazza era di nuovo sovrappensiero. «Sabina?»

«Smettila di chiamarmi Sabina!» urlò, puntando gli occhi su di lui. Will ebbe un sussulto, non si era aspettato un attacco di rabbia di quelle proporzioni. Recuperò un anestetico dalla borsa, e fu sul punto di somministrarglielo quando una voce alle sue spalle lo fece voltare.

«Il suo nome non è Sabina.» disse Leo, con gli occhi puntati sulla ragazza. «Lei è Calipso.»

 

Will rimase scioccato da quelle parole. Calipso? Quella donna era Calipso?! Si voltò di nuovo a guardare la ragazza, che sembrava essersi calmata alla vista di Leo. I suoi occhi ingordi cercarono ogni più piccolo particolare del figlio di Efesto, alla ricerca dei cambiamenti.

«Calipso?» disse Will, ad alta voce, guardando la ragazza. Lei sbatté le palpebre, mettendolo a fuoco. «Lei è Calipso?»

La ninfa lo studiò per qualche secondo, prima di tornare a guardare Leo. Il figlio di Efesto era rimasto in piedi sulla soglia, rigido, l'espressione indecifrabile.

«Leo.» mormorò Calipso, con voce flebile. «Sei venuto qui. Hai visto... come sono diventata, per colpa tua?»

Leo distolse lo sguardo, il cuore che gli batteva furiosamente nella cassa toracica.

«Hai visto come sono diventata per colpa tua?» urlò Calipso. «È tutta colpa tua se sto così!»

Will si riscosse, e le si avvicinò con l'anestetico. La ragazza lo spinse via, ma Will la tenne bloccata con un braccio e glielo somministrò. Calipso si dibatté per qualche altro secondo, prima di addormentarsi esausta.

Will si voltò verso Leo, ma il figlio di Efesto non era più lì. Controllò la giovane ancora per un minuto, poi uscì di fretta, chiedendosi dove fosse andato. Quasi ci sbatté contro appena uscito dalla porta.

«Leo, non ne avevo idea.» mormorò Will, passandogli le dita tra i capelli.

«E come potevi? Non l'hai mai conosciuta.» Leo alzò gli occhi su di lui. «O, almeno, non l'hai mai vista in faccia.»

Will ricordò di averla aiutata a far nascere James. Com'era possibile che non l'avesse riconosciuta? Ma quando l'aveva incontrata anni prima, Calipso non era ridotta in quelle condizioni. Era piena di gioia e luce, dovuta alla nuova vita che portava dentro di sé.

Gli posò una mano sulla spalla, e lo portò nella sua stanza. Lo lasciò sedere sul letto, e si sedette al suo fianco.

«Mi sarei dovuto ricordare di lei.» disse piano.

«Cosa sarebbe cambiato?» Leo lo guardò.

«Be', ti avrei detto che è tornata al Campo, e non lo avresti scoperto in questo modo. E non l'avresti vista in queste condizioni.»

Leo continuò a guardarlo. Will era veramente arrabbiato con sé stesso per quello?

«Will... Io...» Leo esitò un secondo prima di posargli la mano sulla sua. «Sapevo che era tornata.»

Will aprì la bocca per la sorpresa. «Lo sapevi? E da quanto?»

«Da... dopo che abbiamo finito di fare sesso nel tuo ufficio.» Leo si portò l'altra mano ai capelli. «Sono andato a controllare se il guardone fosse ancora lì, e ho sentito il suo profumo di cannella.»

«Cannella.» ripeté Will, piano, e Leo annuì.

«Mi sono messo a cercarla, ma non l'ho trovata.»

«Ti sei messo a cercarla?»

Leo gli lanciò un'occhiata. L'espressione di Will si oscurò per un secondo, poi tornò come prima.

«Volevo parlare con lei. Sai, di te, di James.»

Will annuì. «Capisco. Be', è in stato confusionale dovuto all'eroina, per oggi non potrai parlarle. E forse nemmeno domani.»

Leo annuì. «Mi dispiace avertelo detto in questo modo. Te ne avrei parlato.»

«Lo so. Non me lo avresti tenuto nascosto. Ma...» Will gli lasciò la mano, e gli posò le dita sotto il mento, alzandoglielo e guardandolo dritto negli occhi. «Ora ti parlo da dottore. Lei non può vedere James.»

«Will, è sua madre...»

«Lo so. Ma in questo momento non mi interessa che sia sua madre. Ha bisogno di riprendersi. Deve disintossicarsi. Dagli esami che ha fatto Rose, saprò dirti da quanto tempo è in queste condizioni. Fino a quando non sarà pulita, James non dovrà sapere nulla di lei.»

Leo annuì. «Non intendevo portarlo qui a vedere sua madre così...»

«Lo so. Ma Calipso ha scatti di rabbia. Potrebbe urlarti di tutto e di più contro, e magari convincerti a portarle Jam.»

«Will, te l'assicuro, lei non lo vedrà. La puoi tenere in quella stanza, vero?»

«Sì. Dirò ai miei fratelli di tenerla segreta. E la farò disintossicare.»

«Puoi farlo?»

Will annuì. «L'ho già fatto altre volte.»

Leo si appoggiò a lui, e il biondo lo strinse, dandogli un bacio in fronte.

«Will, grazie.» mormorò stanco.

«Di nulla.» Will si mordicchiò il labbro, poi chiese, piano: «Le cose tra noi non cambieranno, vero?»

Attese una risposta ma che non arrivò. Leo si era addormentato.

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Capitolo 32
*** 42/43. Disintossicazione ***


Disintossicare Calipso richiese più tempo del previsto. La ragazza non voleva collaborare, ma Will, insieme a Rose, la costrinse, e una persona costretta a fare una cosa non dava mai il meglio di sé. Will decise con la sorella che non l'avrebbe fatta uscire da quella stanza fino ad un buon miglioramento. E nella prima settimana, non ce ne furono.

Will passava quasi tutto il giorno in infermeria a controllare Calipso. Aveva solo lei come paziente, tranne per qualche rara eccezione quando tutti i suoi fratelli erano occupati. Spesso era troppo stanco per tornare al bunker, e crollava sul suo letto dell'infermeria.

Leo sapeva perfettamente quello che il fidanzato stava cercando di fare, quindi se non lo vedeva rientrare non si arrabbiava. Ma quando non lo vedeva per più di due giorni, andava in infermeria con la cena o la colazione, e gli dava un bacio frettoloso, senza mai fermarsi più del dovuto. Non voleva restare con Calipso in quelle condizioni.

Quelle poche sere in cui Will riusciva a staccarsi dall'infermeria per andare a dormire nel bunker, Leo sentiva una fitta allo stomaco. Non sapeva dire se fosse perché Will dormiva nudo e l'astinenza era la cosa peggiore del mondo con un Adone al proprio fianco, o perché Will doveva rimanere accanto a Calipso, ad aiutarla. Quando si scopriva a pensare questo, si chiudeva in bagno, cercando di capire cosa gli stesse succedendo. Amava Will, da morire, ma forse vedere Calipso in quelle condizioni gli faceva venire i sensi di colpa. Era colpa sua, dopotutto. Era lui che l'aveva convinta a provare, quasi cinque anni prima.

Dopo i primi dieci giorni, Calipso cominciò a migliorare. I piccoli progressi venivano segnati da Will su una tabella. Rispetto ad un suo vecchio paziente che aveva seguito in ospedale, i miglioramenti di Calipso erano lenti, ma almeno erano progressi. Ogni giorno si avvicinava di un passo al poter vedere il figlio, che distava ancora parecchi chilometri. Leo non si stupiva che fosse così indietro rispetto ad altri pazienti. Sapeva che Calipso era la paziente peggiore che si potesse avere: lo leggeva negli occhi stanchi di Will quando parlavano di lei, e negli occhi di tutti i figli di Apollo che aiutavano il suo fidanzato.

Dopo tre settimane dal ricovero, Calipso provò a fuggire, armata dell'ago della flebo. Quando Rose le si avvicinò per controllarla, Calipso la colpì in viso, molto vicino all'occhio. Angel e Julia accorsero in fretta, attirati dalle urla, e portarono via Rose, chiudendo Calipso a chiave in camera e lasciandola sola fino al ritorno di Will, andato a visitare un figlio di Efesto che si era quasi fatto saltare un braccio.

Alla fine della terza settimana, Will fu tentato di rinunciare, ma cambiò idea. Poteva farcela. Per Leo, per James, per Calipso stessa. E anche per sé. Si era preso la responsabilità di Calipso, e se non ce l'avesse fatta lo avrebbe preso come un affronto personale. E poi era un medico... e i medici non mollavano facilmente.

Il giorno in cui Calipso riuscì a rimanere sveglia per dodici ore di seguito, senza chiedere droghe o mandando a quel paese chiunque le si avvicinasse, Angel consigliò a Will di prendersi una giornata di riposo, e Will non ribatté. Era stanco, e non vedeva Leo da almeno tre giorni.

Will entrò nel bunker con il pensiero fisso di farsi una doccia, e di stendersi a letto e dormire per almeno due settimane consecutive. Ma vide Leo, in boxer, al tavolo da lavoro, intento a costruire una scrivania. Nelle ultime settimane aveva costruito un armadio, un comodino, un cassettone, e un piccolo tavolino di vetro da mettere di fronte al divano. E, be', il divano. Will non sapeva che Leo non riuscisse a dormire, a forza di pensare a lui e a Calipso, ed erano le stesse cose a cui pensava Will quando si sforzava di chiudere gli occhi.

Will rimase qualche minuto con gli occhi puntati su Leo. Attirato dal suo sguardo, Leo si voltò.

Si guardarono fissi, quasi senza battere le palpebre, poi iniziarono a spogliarsi, gettando i vestiti da ogni parte e si tuffarono a letto senza dire una parola.

 

Quando ebbero finito, Leo passò le dita tra i capelli di Will, guardandolo con attenzione. Il figlio di Apollo aveva gli occhi gonfi per il sonno, ma ancora non cedeva.

«Sta andando bene?» chiese infine Leo. Non gli piaceva dire il nome di Calipso ad alta voce, anche se la sua presenza ormai aveva modificato le loro vite.

«Ora sì.» annuì Will, dando un piccolo bacio a Leo sul petto. Il figlio di Efesto stringeva ancora le gambe attorno ai fianchi di Will. Il figlio di Apollo era ancora dentro di lui, e la cosa non gli dava fastidio. «Sta migliorando molto.»

Leo si attorcigliò una ciocca di capelli al dito. «Will, non so davvero come ringraziarti.» disse.

«Appena questa storia sarà finita, portami fuori.» sbadigliò Will, chiudendo gli occhi.

«Fuori?»

«Fuori dal Campo. Lontano dall'infermeria.»

«Capito. Prenoterò la stanza di un hotel, e ti porterò a fare shopping.»

Will aprì un occhio azzurro. «Sei serio?»

«Sì. So che portarti fuori a fare shopping mi farà costruire un altro armadio, ma sono disposto a farlo.»

Will sorrise. «Ottimo.»

Il figlio di Apollo tornò a chiudere gli occhi, e Leo continuò ad accarezzarlo, immobile.

«Will?»

«Mmh?»

«Puoi, ehm, uscire..?»

«Cazzo, scusa.»

Will si tolse da lui e si stese a pancia in su. Leo ridacchiò e gli posò la testa sulla spalla, dandogli un bacio casto. Si strinsero per un po', poi la presa di Will si fece più lenta e il figlio di Apollo si addormentò. Leo rimase stretto a lui, sempre più pensieroso. Dopo un'ora, senza riuscire a prendere sonno, tornò al tavolo da lavoro.

 

 

Alla fine della quarta settimana, Will tirò un sospiro di sollievo. Ce l'aveva fatta. Calipso ce l'aveva fatta. Era riuscito a farla disintossicare, ora lei era del tutto pulita e non sentiva più il bisogno di farsi.

La squadra di Will – Rose, Angel, Nate e Sonny – andò a festeggiare in spiaggia per due ore prima di tornare alle loro normali mansioni. Will, invece, rimase con Calipso. Ora che la voglia di lanciare cibo e di insultare chiunque era passata, la ninfa aveva bisogno di mangiare, e Will le portò un vassoio.

«Puoi andartene, sai?» disse Calipso, sforzandosi di non gridare.

«Lo so. Ma mi piace stare qui.» rispose Will, restando in camera, per assisterla.

«E fissare le persone mangiare.» aggiunse la ninfa, prendendo un boccone di pasta.

«Sì... ma non al livello di malato mentale.»

«Se ti piace guardare le persone che mangiano, Solace, hai proprio un problema.»

Will la studiò. «Sei sempre così?»

«Sono anche peggio. Chiedi a Leo.»

«Ti credo sulla parola.»

Calipso sbuffò e finì di mangiare. Will tamburellò le dita sulla gamba. Ora che aveva finito la disintossicazione, non sapeva più di cosa parlare con quella ragazza.

«Ora posso vedere mio figlio?» domandò Calipso, improvvisamente, puntando gli occhi scuri su di lui. Will aveva già notato il taglio a mandorla degli occhi, ma ogni volta ne rimaneva sorpreso. Riusciva a capire cosa avesse trovato di bello in lei Leo.

«Non ancora.» disse Will, serio. «Domani di sicuro.»

«Ordini del dottore, o del patrigno?»

«Dottore. Hai bisogno di riprendere le forze. Non penso che tu voglia farti vedere a letto da tuo figlio.»

Calipso esitò, osservando con attenzione il fidanzato del suo ex. «Hai ragione. E per riprendere le energie dovrò aspettare domani?»

«Se segui i miei consigli, sì.»

«Okay, allora.» Calipso si morse l'interno della guancia, poi borbottò: «Grazie.»

Will si guardò le mani. «Non l'ho fatto per te.»

«Lo so. È per questo che ti ringrazio.»

Calipso si stese nel letto, guardando fuori dalla finestra. Con quel gesto Will seppe di essere stato congedato, e portò fuori il vassoio senza aggiungere un'altra parola.

 

Leo entrò in infermeria dopo mezz'ora. Aveva ricevuto il messaggio di Angel, ma per sbaglio lo aveva bruciato prima di leggerlo. Quindi era andato in infermeria lo stesso appena aveva avuto un momento libero.

«Amore!» esclamò Will, illuminandosi nel vederlo.

«Ehi.» lo salutò Leo, andando da lui e abbracciandolo di getto. «Tutto okay? Stai bene?»

«Certo che sto bene. Non hai letto il messaggio?»

«Non tutto... cioè non l'ho letto, l'ho bruciato per sbaglio.»

«Bruciato?» Will alzò un sopracciglio, ma siccome si trattava di un figlio di Efesto, lasciò perdere. «Si tratta di Calipso.»

Leo rimase in attesa con i nervi a fior di pelle.

«È disintossicata, ora. Sta bene.» Will gli sorrise. Leo inspirò profondamente, e lo strinse.

«Quindi stasera dormiremo insieme, finalmente.» mormorò Leo, chiudendo gli occhi.

«Sì, finalmente.» annuì Will, accarezzandogli i capelli. «È andato tutto a buon fine. Dovrà rimanere qui ancora fino a domani, deve riprendere le forze, ma da domani potrà vedere James, e uscire dall'infermeria. Magari non in quest'ordine.»

«Will, sei un grande.»

Will arrossì, e Leo alzò la testa per baciarlo. Will ricambiò, e per qualche secondo i due rimasero incollati.

«Bleah, che schifo. Prendetevi una camera. Magari non l'ufficio di Solace, non mi sembrava molto comodo il biondino la volta scorsa.»

Will e Leo si separarono di botto al suono della voce di Calipso, e si voltarono verso di lei. Era in piedi, appoggiata allo stipite della sua camera, con il camice tutto scomposto, e li fissava male.

«Tornatene a letto.» ringhiò Leo, furioso.

«Mi ci accompagni tu?» rispose la ragazza, gongolante.

«A suon di calci nel...»

Will posò un dito sulle labbra di Leo, e si voltò verso Cal. «Torna a letto, non puoi passeggiare da sola.»

«Devo andare al bagno. O devo avere la guardia anche per quello?» sbottò Cal, andando verso il bagno e chiudendosi dentro.

Will sospirò e guardò Leo.

«Vorrei strozzarla.» borbottò il figlio di Efesto.

Will si accigliò. «Dopotutto il lavoro che ho impiegato per farla stare meglio?»

Leo lo guardò divertito. «Giusto. Scusa.»

«Non importa.» Will lanciò un'occhiata al corridoio. «Vado a fare una doccia, nel mio bagno, e andrò a schiacciare un pisolino.»

«Credo che parlerò per un po' con Calipso, se non ti dispiace.»

«Non mi dispiace affatto. Non sarò molto di compagnia.» Will baciò ancora il ragazzo. «Non ucciderla.»

«Mi tratterò con tutte le mie forze.» lo rassicurò Leo.

 

Leo seguì Will con lo sguardo per tutto il corridoio, poi attese Calipso. Quando la vide chiudersi nella sua camera, tirò un lungo sospiro e andò a bussarle.

«Avanti.»

Leo aprì la porta, e trovò Calipso seduta sul letto, intenta a pettinarsi i capelli mielati. Doveva averli tagliati, perché Leo se li ricordava molto più lunghi. Soprattutto quando gli accarezzava il corpo con quei bei capelli... Leo distolse lo sguardo.

«Oh, guarda chi c'è. Il mio ragazzo.»

«Ex ragazzo.» disse Leo, duro. «Se non ricordi, me ne sono andato.»

«E ti sei portato via mio figlio.»

«Non lo hai mai voluto veramente.»

«Ti sembrerà strano, ma invece sì. Forse non ero molto convinta nell'ultimo periodo della gravidanza, ma l'ho amato. E lo amo ancora, e tu me lo hai portato via, senza dirmi nulla.»

«Avresti dovuto smetterla di comportarti come una ragazzina, e comportarti più come una donna, una madre.»

Calipso scosse la testa. «Non ti azzardare a farmi la paternale.»

«Sei la madre di mio figlio. Devo farlo, se vuoi vederlo.»

«Madre di mio figlio.» ripeté la ragazza, lanciandogli un'occhiata. «Un tempo ero la tua Raggio di Sole.»

«Sei fortunata. Prima che incontrassi Will, eri la Zoccola.»

La ninfa sospirò, e prese un libro dal cassetto. «Vuoi continuare ad insultarmi, o vuoi parlarmi di qualcosa?»

«Domani pomeriggio porterò James al campo delle fragole.» disse Leo. «Ci vedremo lì.»

Calipso annuì. «Faremo finta di non esserci visti?»

«Lui non sa che sei qui, e non voglio che lo sappia mai. Quindi se vuoi rientrare a far parte della sua vita, e non è detto che te lo lascerò fare, dovrai fare attenzione a quello che gli dirai.»

«D'accordo. Lui sa perché te ne sei andato?»

«Le ho detto che te ne sei andata via tu, e che non saresti più tornata.»

Calipso sospirò. «Facile dare la colpa a me.»

«La colpa è tua, Cal. È tutta colpa tua. Dovevi comportarti come una madre.»

«Ero libera, capisci? Finalmente ero libera da Ogigia, e tu mi hai costretto a tornare in un'altra prigione!»

«Un figlio, cazzo! Hai avuto un figlio! Lo credi una prigione, un peso? Allora perché sei qui, perché lo vuoi vedere?!»

«Sono tornata qui perché sono cambiata.»

«Oh sì, sei cambiata. Sei tornata ricoperta di buchi, con chissà quanta merda nelle vene. Volevi veramente incontrare tuo figlio da fatta?» sbottò Leo, fissandola malissimo.

Calipso lo studiò. «Non usare quel tono del cazzo con me, Leo. Ti ricordo che non ho iniziato per mio puro piacere. A quel tempo piaceva anche a te. Anzi, sei tu che mi hai consigliato cosa usare e fare, e dove bucarmi per non farlo notare.» Si indicò i piedi.

«Stai zitta.»

«I tatuaggi che ti sei fatto servivano a coprire i buchi, no?» disse Calipso, con mezzo sorriso. «Immagino che il tuo bel dottorino non se ne sia accorto.»

«Cal, stai zitta!» urlò Leo, lanciando una palla di fuoco. Per fortuna, non colpì nulla di infiammabile.

Calipso non batté ciglio di fronte alle fiamme, e Leo uscì dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle. Il rumore echeggiò nell'infermeria, nel corridoio fino alla camera di Will. Leo non si preoccupò di bussare, e guardò il suo ragazzo che dormiva su un lato del letto, stringendo il cuscino.

Guardandolo, Leo si sentì male. Gli aveva taciuto diverse cose del suo passato, cose di cui ora si vergognava. Will lo amava completamente, gli aveva detto tutto di sé, qualunque cosa. E Leo continuava a tenergli nascosto un fatto gravissimo.

Leo si tolse le scarpe e i vestiti sporchi di lavoro, poi chiuse la porta a chiave, e abbassò le tendine alle finestre, anche se non ce n'era bisogno. Si stese sul letto, accanto a Will, e aumentò la temperatura del suo corpo. Will borbottò qualcosa, e si strinse a lui. Il figlio di Apollo era attirato dal calore.

Cercò di prendere sonno, trovandolo difficile. Una domanda lo attanagliava, lo stringeva dall'interno. Cosa avrebbe fatto Will nello scoprire che era stato proprio lui ad iniziare Calipso alla droga?

 

*****

 

Nel sentire il calore del corpo di Leo, Will sorrise svegliandosi. Finalmente, dopo tanto tempo, si risvegliava al fianco del ragazzo che amava. Aprì gli occhi, per poterlo guardare meglio, e notò che era ricoperto di sudore, un pugno stretto, e una scia di sangue che colava giù dal mento partendo dal labbro.

Lo scrollò dolcemente. «Amore, svegliati.»

Leo impiegò qualche altro minuto a svegliarsi, e quando mise a fuoco il volto preoccupato di Will, si domandò se non avesse parlato nel sonno.

«Cosa...?» mormorò, provando a mettersi seduto.

«Ehi, tranquillo. Devi avere avuto un incubo, e non me ne sono accorto nemmeno.» Will gli pulì il sangue dal labbro.

Leo si passò le dita su quel punto. «Che mi è successo? Ed eri stanco, non importa se non te ne sei accorto.»

«A me importa.» mormorò Will, e gli controllò il labbro. «Te lo sei morso nel sonno, forse per non urlare.»

«Visto? Anche il me addormentato non voleva disturbarti. Hai fatto davvero troppo in quest'ultimo periodo, e te ne sono grato.»

Will gettò via il fazzoletto e gli prese il volto tra le mani. Leo gli posò le mani sui fianchi, e si osservarono in silenzio.

«Domani andiamo all'hotel.» disse Leo, sorridendo, sebbene il labbro dolorante. «E ti prenderai una meritata vacanza.»

«Spero sia un hotel con la massaggiatrice.»

«Sai, se mi lasci un po' di tempo, te lo creo io un letto massaggiatore.»

«Uuh, allora aspetto.»

Leo ridacchiò e lo baciò. Al contatto con le labbra calde di Will, gli tornarono in mente i ricordi confusi del suo sogno. Lui e Calipso, buttati su un vecchio materasso, con una siringa in mano. Ricordava di aver messo un po' di nettare sull'ago prima di utilizzarla per sé, raggiungendo Calipso in quel mondo temporaneo fatto di pace e tranquillità.

Will si separò dal bacio, guardandolo curioso. «Tutto okay?»

«Sì... perché?»

«Sei piuttosto rigido.»

«Scusami, penso siano gli effetti dell'incubo.»

Will annuì, accarezzandogli i riccioli. «Vuoi parlarne?»

Il figlio di Efesto scosse la testa, e Will gli diede un bacio sulla fronte.

«Sappi che sono qui se cambi idea.» gli sorrise il dottore, e Leo sentì una stretta al cuore. Perché doveva essere così? Perché non poteva essere più egoista, più cattivo?

«Lo so amore.» mormorò, e scese dal letto, diretto al bagno. Una bella doccia gelata era quello che gli serviva. Will fu sul punto di seguirlo, ma Angel lo chiamò dalla porta, dicendogli che c'erano nuovi pazienti.

«Leo, devo andare.» disse Will, prendendosi dei jeans puliti e guardando il fidanzato scomparire all'interno della doccia.

«Lo immaginavo, non preoccuparti, è il tuo lavoro.»

Will si appoggiò allo stipite della porta, sistemandosi la cintura e prendendo una maglia. «Oggi porterai James a vedere Calipso?»

«Sì, nel pomeriggio. Li farò incontrare al campo di fragole.»

«Capisco. Tu...»

Leo spense l'acqua e aprì una delle porte, guardando Will. «Tu non potrai esserci, va bene?» gli disse, serio.

«Oh lo so, non intendevo venire. Mi stavo chiedendo se tu dovessi rimanere con loro.»

Leo si tirò indietro i riccioli. «Sì. Voglio controllare Calipso. Non voglio che gli dica delle stronzate.»

«D'accordo.»

«Ma dopo che avrò finito con Calipso, magari porto James da Nina e vengo a cercarti. Che ne pensi?»

Will sorrise. «Penso che vada benissimo. E se vieni a trovarmi con una pizza e una birra, sarebbe un sogno ad occhi aperti.»

Leo rise. «Cercherò di esaudire questo tuo sogno.»

Will fece una piccola danza. «Ci vediamo più tardi, allora. Ti amo.»

«Anch'io.»

Will lasciò la sua camera, e Leo si appoggiò al muro della doccia, con l'acqua fredda che gli scivolava sul corpo. Allungò le braccia, fissando prima il tatuaggio da una parte, poi il tatuaggio dall'altra. Passò con le dita sull'apertura del gomito... ed eccoli lì, intenti a portarlo indietro nel tempo, una serie di buchi, o forse era frutto della sua immaginazione.

 

Will firmò la dimissione di Calipso, e la ninfa non si fece ripetere due volte che poteva andarsene. Si diresse subito alla Casa Grande, tirandosi sulla testa il cappuccio della felpa di Nate. Il figlio di Apollo le aveva fatto gli occhi dolci da quando era arrivato, e forse era per quel motivo che ci teneva tanto a restarle vicina durante la disintossicazione.

Fece un cenno di saluto a Chirone e Mr D, fermi sulla veranda a giocare a carte. Mr D stava ancora cercando di bere un bicchiere di vino, che si trasformava in acqua appena poggiava le labbra sul bordo del bicchiere. Si trattenne dal ridere sentendo le sue imprecazioni, ed entrò nella casa.

Calipso andò dritta in camera sua, senza guardarsi mai indietro. Una volta che si fu chiusa la porta alle spalle, si liberò dei vestiti, e anche di quello stupido bigliettino che Nate le aveva messo nella tasca della felpa, in cui le lasciava scritti i turni dell'infermeria, in caso volesse incontrarlo. Calipso alzò gli occhi al cielo, e lanciò il bigliettino nel cestino. Si tolse anche la stupida biancheria dell'infermeria, e notò sulla scrivania il vestito bianco, gli stivali neri, e la giacca che indossava quando era stata portata in infermeria. Qualche figlio di Apollo gli aveva lavato la roba e portata direttamente nella sua camera. Ebbe un brivido al pensiero che ormai i figli del dio del sole conoscevano la sua stanza al Campo Mezzosangue.

Calipso aprì la porta del bagno e lasciò scorrere i rubinetti della vasca. Si gettò un'occhiata allo specchio. Solace e i suoi fratelli le avevano fatto bere degli intrugli diversi, tutti colorati, e lei si era ripresa in fretta. I dieci chili persi nella disintossicazione non si notavano nemmeno più. Aveva tutto nei punti giusti. Forse era per questo che Nate ci aveva provato con lei. Soddisfatta, Calipso entrò nella vasca e si rilassò.

Non voleva fare colpo su nessuno, almeno non sui figli di Apollo. Ne aveva avuto abbastanza di loro per almeno altri mille anni. L'unica persona che poteva attirare la sua attenzione era Leo. Non era cambiato da quando l'aveva lasciata, ma nei suoi occhi c'era un calore che con lei non aveva visto prima. E questo calore era provocato dal suo amore per Will Solace.

Strinse i pugni. Una parte di lei le chiedeva di mettersi alla ricerca di uno dei difetti di Will, e punzecchiarlo su quel lato fino a quando non fosse esploso. Ma i difetti di Will erano bazzecole. E doveva ammettere che era un bravo ragazzo. Si era preso cura di lei per tutto il periodo della disintossicazione. Anche se c'erano momenti che fingeva di non ricordare, e che non avrebbe mai ammesso, Will le era stato accanto quando soffriva, quando rigettava qualunque cosa le finesse in corpo. Alcune notti le aveva anche tenuto la mano, e l'aveva confortata con parole di incoraggiamento.

«Puoi farcela, Cal. Credo in te, piccola.»

Calipso si trattenne a stento dal gridare la sua frustrazione. Will Solace era un angelo. Qualsiasi cattiveria che gli finiva addosso, scivolava via senza lasciare tracce. Per essere così giovane, aveva una grande forza interiore, forse dovuta al suo periodo in ospedale. Gli umani erano peggio di lei, e non erano cambiati nel corso dei secoli.

Calipso raccolse una manciata di bolle di sapone e, concentrandosi, fece loro cambiare colore. Sorrise, mentre la vasca si riempiva di luci colorate. Più tardi, quel pomeriggio, avrebbe incontrato suo figlio dopo più di un anno di distanza. Si era accorta che gli mancava durante le lunghe notti esausta in cui non riusciva a dormire.

Con Will Solace al fianco del suo Leo, Calipso sapeva di non avere chance di riconquistarlo. Ma se poteva riavere suo figlio, non avrebbe fatto nulla per riavere Leo.

 

Dopo la doccia, Leo uscì dall'infermeria. Individuò subito Will alle prese con un figlio di Ecate dalla pelle viola. Strabuzzò gli occhi, li strofinò, poi uscì dall'infermeria prima di essere tentato di fare domande. Solo quando arrivò nei pressi delle cabine notò che la numero 14 era di un forte colore viola, e c'era l'ombra giallastra di una persona che si era trovata appoggiata alla casa in quel momento.

Scuotendo la testa, Leo andò alla cabina 9, ignorando le risate e i fischi provenire dai ragazzi radunati nella piazza. Non voleva sapere nulla, e per una volta non era affatto curioso.

Entrando in cabina, Leo andò subito nella sua vecchia camera. Nelle ultime settimane James aveva dormito con lui nel letto del bunker, e passava le giornate con Nina e gli zii minori. Erano anche usciti dal Campo qualche volta insieme, e James gli faceva le solite domande su Will.

«Dov'è papà Will? Pecche no qui? No più bene a me? No fame?»

Leo si ritrovava a stringerlo. Come spiegare ad un bambino così piccolo che suo padre si stava prendendo cura di sua madre? Alla fine si era ritrovato a dirgli che era occupato in infermeria, e James ne sembrava contento. Il suo papà biondo salvava le persone! Chi non sarebbe stato fiero di una cosa del genere?

Con un sospiro, Leo bussò alla camera di Nina, e pochi secondi dopo James spalancò la porta. Indossava un mantello, e aveva dello scotch in mano.

«Papà!» esclamò entusiasta James, saltandogli in braccio.

Leo lo strinse, sorridendo, e lanciò un'occhiata all'interno. Nina era legata per i polsi e le caviglie, e aveva un nastro attorno alla bocca. Dallo sguardo sembrava molto arrabbiata. Sul letto, invece, sedeva Butch, con un braccio legato alla testiera del letto – Leo notò che si era già liberato – e cercava di trattenere le risate.

«Cosa... sta succedendo qui?» domandò Leo, alzando un sopracciglio.

James sorrise entusiasta. «Giochiamo. Tia Nina cattiva, rubato mie caramelle, e Butch complice. Io poliziotto, io arrettati, io domande loro.»

«Oh. Mmm... Fai domande anche a zia Nina?»

«Cetto.»

«E come fa zia Nina a risponderti?»

James ci pensò su, guardando la zia, e annuì. «Cotch bocca. Ecco pecche no riponde.»

«Già.» Leo trattenne una risata, e Butch scoppiò a ridere. Portò il figlio fino al letto, e strappò via lo scotch dalla bocca di Nina. Lei si trattenne a stento dall'insultarlo.

«James, tesoro, che ne dici di cambiare gioco?» mormorò Nina, indolenzita.

Leo infilò un dito nello scotch ai polsi di Nina e tirò. «Wow. Ti ha legato lui?»

«No, Butch.» Nina scoccò un'occhiataccia al fidanzato, che stava facendo il solletico a James con la mano libera.

«Ah.» Leo rise e tornò a sedersi con il figlio.

«Non mi liberi?» sbuffò Nina.

«Ehm, no. Non vorrei essere il prossimo.» Leo prese lo scotch, e iniziò a legare Butch alla testiera. Il figlio di Iride lo guardò perplesso, ma lo lasciò fare. Subito dopo, Leo prese una bottiglia d'acqua e la legò con lo scotch all'altra mano di Butch, e coprì le loro bocche.

«Liberatevi ora. Porto James a pranzo.»

Sia Nina che Butch tentarono di ucciderlo con lo sguardo, e Leo li ignorò, ridendo divertito con il figlio. Lo prese in braccio, e uscì dalla stanza. Appena la porta si fu chiusa, sentì il forzuto figlio di Iride che si liberava.

«Papà Will?» domandò James, curioso.

«È in infermeria, ma possiamo andare a trovarlo.» disse Leo, guardandolo, e James annuì felice.

Leo prese qualche panino dalla mensa, e portò il figlio in infermeria. Quando era uscito prima, non aveva visto Calipso, quindi sperò che la ragazza se ne fosse già andata.

Entrando in infermeria, notò che non c'erano molti pazienti, e Will non si vedeva da nessuna parte. Andò a bussare all'ufficio, e quando il suo dottore aprì la porta, gli tornarono alla mente tutti i dettagli del sogno.

«Papà Will!» esclamò James, saltando tra le braccia di Will, che lo strinse.

«Jam! Che bello vederti!» sorrise Will, e gli fece fare una giravolta. «Non mi aspettavo che veniste qui.»

Leo posò i panini sul tavolo, con lo sguardo perso. «Scusate, ho dimenticato di fare una cosa in fucina, torno subito.»

Will lo seguì con lo sguardo mentre andava via, e pranzò da solo con il bambino. Non ebbe molto tempo per rattristarsi della lontananza del fidanzato. Il piccolo lo rese partecipe di tutti i giochi che aveva fatto in quelle settimane con gli zii, e Will rise di gusto nel sapere che Nina e Butch fossero legati in camera.

 

Fuori dall'infermeria, Leo si chiese cosa gli stesse succedendo. Quei ricordi che aveva tentato di soffocare per anni, ora stavano tornando, alcuni decisamente orribili. Ricordava cose di sé stesso di cui non era affatto fiero. E quando stava lontano da Will, riusciva a non pensarci. Possibile che fossero i sensi di colpa? Avevano uno strano modo di agire.

 

Dopo il pranzo, Leo tornò a prendere James, scusandosi con il fidanzato per essere tornato in fucina. Will lo rassicurò, dicendo che capiva, e tornando alle sue faccende. Leo gli passò accanto, dandogli un bacio a stampo prima di uscire, diretto al campo di fragole.

«Papà, tu bene?» chiese James, tenendo il padre per la mano, e guardandolo curioso.

«Certo piccolo. Papà Will ti ha detto che sto male?»

«No, papà Will fatto parlare me, io raccontato giochi.» sorrise il bambino, entusiasta.

Leo sorrise a sua volta, sebbene non si sentisse affatto felice. Stava nascondendo delle cose a Will, e addirittura suo figlio se n'era accorto.

James iniziò a raccontargli nei dettagli tutti i giochi che zio Butch aveva realizzato, e Leo lo lasciò parlare, proprio come aveva fatto Will almeno un'ora prima. Andarono al campo di fragole, e si sedettero nell'erba, uno appoggiato all'altro, e Leo recuperò qualche fragola, pulendola sul dorso della manica e lasciandola al bambino.

Si stavano ingozzando di fragole quando Calipso arrivò. Per qualche minuto rimase nascosta dagli alberi ad osservarli, gli occhi puntati su suo figlio. Riusciva a vedere chiaramente quanto fosse cresciuto. Pensò a tutte le prime volte di James che si era persa: la prima camminata, la prima corsa, la perdita del primo dentino... e solo perché voleva continuare a comportarsi come una ragazza normale.

Leo la notò mentre avanzava verso di loro, e si fermò. James spostò lo sguardo curioso nella sua stessa direzione, aspettandosi di vedere Will. Rimase spiazzato quando notò la ragazza in avvicinamento, e aprì bocca, cercando di ricordare dove l'avesse già vista.

«Mamma.» disse James, lasciando cadere la fragola, e Leo spostò lo sguardo sul bambino, incredulo. Se la ricordava. «Lei è mamma.»

Calipso si fermò a qualche passo da loro, ignorando completamente Leo. Si inginocchiò, guardando il bambino.

«Ciao piccolo.» mormorò, tendendogli la mano, quasi si trattasse di un cucciolo. «Ti sono mancata?»

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Capitolo 33
*** 44/45. Bugie e verità ***


James ignorò la mano che la donna gli tendeva, continuando a guardarla. Non aveva ricordi di lei, era troppo piccolo per averne, ma il suo profumo di cannella aveva risvegliato in lui qualcosa. Ed era qualcosa di bello, che collegava a suo padre.

James si voltò verso Leo, confuso, e il padre annuì silenzioso, ancora leggermente scosso. Il bambino tornò a guardare la madre.

«Tu mamma mia?» mormorò, guardandola.

Calipso annuì. «Sono io.»

«Dove tei tata?» disse James. «Papà solo.»

Calipso si morse il labbro. «Sono stata molto cattiva con papà.» disse piano, con lo sguardo puntato sull'erba. «E sono andata via.»

«Pecche tonnata allora?»

«Mi mancavi molto.»

James annuì. «Mancata me.» Le posò la manina sulla sua, e Calipso si trattenne dallo spingerlo contro di sé e stringerlo. A trattenerla fu soprattutto l'occhiataccia di Leo. Sapeva che dovevano andare per gradi, non c'era bisogno che glielo ripetesse.

«Hai conociuto papà Will?» domandò James, sorridendo.

«Per molto più tempo di quanto mi piaccia ammettere.» borbottò Cal, e Leo fece una smorfia divertita. James inclinò la testa, perplesso.

«Ehm, mi sono fatta male, e il dottor Solace mi ha guarita.» spiegò Cal, accarezzandogli la mano. Era liscia, e calda.

«Papà Will ti conoce?»

«Non sa che sono la tua mamma.»

Leo tossicchiò. C'era un limite di bugie che poteva sopportare per suo figlio. E per Will, allora?, aggiunse una vocina nella sua testa. Lui non merita la verità?

Leo ignorò la voce, e guardò il figlio. Dalla sua espressione non sembrava ancora fidarsi di Cal, ma lo conosceva. Lui dava confidenza alle persone, e presto lo avrebbe fatto anche con sua madre.

 

James si alzò in piedi di botto e corse verso le fragole. Cal si sedette, osservando il bambino riempirsi la maglia di fragole.

«Ti assomiglia tanto.» disse.

«Per fortuna. Se somigliava a te, sarei stato nei guai.» sbuffò Leo, strappando qualche ciuffo d'erba.

«È stato facile?» chiese Calipso, voltandosi a guardarlo. «Crescerlo da solo.»

«Per fortuna, ho dei fratelli che lo amano quanto lo amo io.» disse Leo, calcando sull'ultima parte della frase. «E Will è un padre fantastico.»

«Sei fortunato ad averlo incontrato, allora. Mi sembra una brava persona.»

«Lo è.» annuì Leo, guardando James tornare verso di loro, attento a non far cadere le fragole. «Lui...»

«È meglio di me?» Cal fece un sorriso guardandolo. «Non c'è bisogno che tu lo dica, l'ho capito.»

«Allora sei intelligente, non l'avrei mai detto.» fischiò piano Leo, e Cal non ebbe il tempo di ribattere. James era arrivato davanti a lei con le fragole, e le lasciò cadere ai suoi piedi.

«No toccate.» li avvertì, e corse indietro a raccogliere quelle che erano cadute. Poi tornò di corsa verso di loro, scivolando e cadendo sulle fragole. Si ritrovò coperto di roba rossa e rise.

Leo rise con lui, e provò a ripulirlo. Calipso si tolse i resti delle fragole dalle scarpe, senza dire niente.

James cercò le fragole intatte e ne porse una alla madre in silenzio. Calipso la prese ringranziandolo, e vi diede un morso. Era un piccolo segno di pace, e sperò che fosse un inizio.

 

In infermeria, Will si ritrovò molto spesso distratto. Si chiedeva cosa stesse succedendo al campo di fragole. Il suo corpo lavorava in modo meccanico, anche senza l'aiuto della sua mente. Medicare ferite e ricucirle era diventato del tutto naturale per lui.

«Will?» lo chiamò Angel, curioso, affiancandolo. «Mi spieghi perché stai prendendo la carta igienica al posto delle bende?»

Will abbassò lo sguardo sussultando, e notò che il fratello aveva ragione. Prese le bende e fasciò il braccio di un figlio di Atena, e andò nel suo ufficio a pensare. Angel lo raggiunse dopo pochi minuti.

«Che succede fratello?» domandò Angel, sedendosi sul davanzale della finestra e guardandolo.

«Nulla, sono solo un po' in pensiero per Leo.»

Angel lo guardò divertito. «In pensiero per Leo e Calipso, vorrai dire.»

«Sì.» Will sospirò.

«Be', hai ragione ad essere preoccupato. Hai passato settimane ad impegnarti per rendere la sua ex ragazza una persona migliore, e bisogna ammettere che per pensare a lei ti sei molto allontanato da Leo.»

Will lo guardò diffidente. «Che intendi dire? Mi sono allontanato da Leo?»

«Sei tornato poche volte al bunker, e Leo ha avuto modo di pensare molto. Te o Calipso? Ragazzo o ragazza? La madre di suo figlio o un tipo che se l'è portato a letto?»

Will lo fissò male. «Perché stai facendo lo stronzo?»

«Non sto facendo lo stronzo.» Angel gli scoccò un'occhiata divertita. «Ti sto solo dicendo quello che Leo potrebbe o non potrebbe aver pensato in questi giorni, mentre tu eri qui a tenere la mano di Calipso, a dirle che poteva farcela, e bla bla bla.»

«Allora è colpa mia? Che mi sono occupato troppo di una paziente?»

«Può darsi.» Angel fece spallucce. «Leo ti voleva con lui, e tu invece lavoravi.»

«Senti, io ho fatto solo il mio dovere. Ho fatto disintossicare Calipso per Leo e James...»

«Per Leo?» Angel alzò un sopracciglio, sorridendo. «Lo hai fatto per Leo?»

Will si morse il labbro. «Intendo per James.»

«Ma hai detto Leo per primo. Leo te lo ha chiesto come favore personale?»

«Gli ho solo detto che potevo fare qualcosa per Calipso, tutto qui.»

«Quindi Leo è diventato il suo tutore?»

«In quanto dottore di Calipso, ho fatto quello che mi sembrava più giusto nei suoi confronti.» ribatté Will, continuando a fissarlo. «Lo sai che è questa la pratica. Il capo dell'infermeria firma tutte le scartoffie.»

«Quindi... Leo ti ha chiesto se potevi rimettergli a nuovo la sua ex? E ora sono insieme, da soli?»

«Non sono soli, sono con James. E non guardarmi in quel modo. Calipso voleva rivedere suo figlio.»

Angel alzò le dita e iniziò ad abbassarle contando. «Numero 1, conquistare il cuore del bambino. Numero 2, ricordare a Leo del nostro amore, che poteva abbattere barriere, e addirittura ha battuto la morte. Numero 3, fare in modo che Leo passi meno tempo possibile con il suo fidanzato, con la scusa di voler stare con il bambino. Perché tanto si sa che Leo non lascerà mai James da solo con me. Numero 4, lasciare che Will si ingelosisca al tal punto da fare una scenata a Leo. Numero 5, aspettare che Leo capisca che il suo amore sono io, non quel frocio di merda che lo sta frequentando.»

Will lo guardò con attenzione. «Frocio di merda? Davvero? Lo sei anche tu.»

Angel scrollò le spalle. «Cercavo di immedesimarmi in quel fiore di ragazza. È una delle cose che ti ha urlato contro qualche settimana fa.»

«Non lo ricordo.»

«Perché hai delle fette di prosciutto davanti agli occhi. Tu non vuoi vedere l'ovvio.»

«E l'ovvio quale sarebbe?» disse Will, avvicinandosi a lui. «Che Steve ti ha mollato, e non ti vuole più? Che stai facendo lo stronzo con me solo perché Steve non ti vuole? Che Steve ha deciso di frequentare altre persone, mentre tu te ne stavi qui a piangere, senza muovere un muscolo?»

Angel arrossì, abbassando lo sguardo. «Sei uno stronzo.» borbottò.

«Ah, io sono lo stronzo! E tu? Stai cercando di rovinare la mia relazione. Io e Leo ormai stiamo insieme da quasi nove mesi, nulla può separarci.»

«A parte Calipso.» Angel scese dal davanzale, e gli diede una spallata. «È tornata qui per un motivo, e di sicuro il motivo non era smettere di drogarsi.»

«Angel, qualsiasi cosa tu dica, io non smetterò mai di credere nell'amore che provo per Leo. Quindi sei pregato di andartene.»

«Me ne vado.» Angel spalancò la porta e gli lanciò un'ultima occhiata, e un sorriso fugace. «Ma tu non pensare a quello che ti ho detto.»

«Ho già dimenticato quello che mi hai detto.» mentì Will, tornando alla scrivania.

«Ti piacerebbe che fosse vero.» disse Angel, congedandosi, sbattendosi la porta alle spalle.

 

Più tardi, mentre Calipso tornava alla Casa grande, Leo portò James in cabina. Ora che finalmente Will aveva finito di lavorare, poteva concludere il trasloco del figlio al bunker. Così sarebbero stati sempre insieme... e avrebbero fatto meno sesso. Leo sospirò. Be', c'è sempre l'infermeria, pensò, spogliando il figlio e mettendolo nella vasca.

Aiutò il figlio a lavarsi i capelli, pensieroso. Calipso era stata piuttosto buona quel pomeriggio. Forse voleva che James la vedesse in una buona luce.

Leo fece una smorfia. Agire attraverso un bambino... era proprio da Calipso.

«Andiamo da papà Will?» domandò James, giocando con le bolle.

«Certo, ti sto facendo bello per lui.» sorrise Leo.

James sorrise entusiasta, e fece il bagnetto senza lamentarsi. Leo lo asciugò, e lo aiutò a vestirsi.

«Sei felice di aver visto la mamma?» si incuriosì Leo.

«Sì!»

«Cosa ricordi della mamma?»

James corse mezzo nudo verso il letto e prese il peluche dell'elefante. «Regalato questo.»

Leo aggrottò la fronte. Calipso glielo aveva regalato per il primo compleanno, per farsi perdonare di non essere stata presente. Come faceva il bambino a ricordarlo?

Mentre gli pettinava i capelli, Leo si chiese se il fatto di ricordarsi cose della sua prima infanzia fosse uno dei doni passatogli da Calipso. Come potere di Efesto, aveva dimostrato sin dai due anni la sua passione per il fuoco. Quando Leo aveva tempo, i due giocavano con il fuoco, si lanciavano palle di fuoco, un po' come un padre normale lanciava la palla da baseball al figlio.

Appena finì di vestirlo, James salì sul letto e riprese a giocare con l'elefantino. Leo lo osservò con attenzione, poi passò dalla cucina e prese le pizze che aveva ordinato prima di andare in bagno, e le birre. Cinque minuti dopo, uscì dalla cabina tenendo la mano del figlio, diretto in infermeria.

Will aveva la scrivania ricoperta di fogli, che leggeva rapidamente prima di firmare. Quando James bussò alla porta, non rispose, e Leo spalancò la porta. Will sussultò.

«Ehi.» esclamò Will, mentre James correva verso di lui, saltandogli in braccio.

«Ti eri dimenticato della pizza?» chiese Leo, poggiando tutto sulla sedia.

«Sì... scusa.» Will si affrettò a togliere le carte, e Leo lo aiutò. Prese posto davanti a lui, aprendo la scatola di pizza.

«Papà, oggi mamma da me.» sorrise James.

«Davvero?» disse Will, sorridendo. «Racconta.»

Leo li guardò dolcemente mentre James raccontava cos'era successo con Calipso. Gli parlò delle fragole, della corsa che avevano fatto lui e la madre, e le risate.

Will rimase in silenzio ad ascoltare il bambino, mangiando e sorridendo, ma sentì qualcosa di strano. Nella sua testa l'eco delle parole di Angel.

Numero 1, conquistare il cuore del bambino.

Il cuore del bambino era già stato conquistato.

 

Un'ora più tardi, Will prese in braccio il bambino addormentato.

«Bunker o cabina?» chiese Will, uscendo dall'infermeria.

«Cabina. Ancora non ho portato il suo letto nel bunker.»

«Domani mi prendo un giorno di riposo, e lo facciamo insieme.» sorrise il figlio di Apollo.

«Aspettavo queste parole.» ridacchiò Leo, posandogli una mano sul fianco.

Will aspettò qualche altro passo prima di parlare. «Mi sembra che con Calipso è andata bene.»

«Oh sì, molto bene.» annuì Leo. «È cambiata davvero. James l'ha adorata.»

«Ha capito di essere madre, finalmente. È una buona cosa, giusto?»

Leo annuì. «Spero che duri. Non vorrei vederlo deluso.»

«Ci sono io.» gli ricordò Will, aprendo la porta della cabina 9. «Farò di tutto per far sì che non sia deluso.»

Leo lo fermò vicino alla stanza di Nina, e lo baciò. Will ricambiò il bacio, e Leo aprì la porta, sistemando James nel lettino. Nina dormiva raggomitolata sotto le coperte, e non si accorse di loro.

Will passò un braccio attorno alla vita di Leo, stringendolo a sé, mentre uscivano dalla cabina, diretti al bunker.

«Che ne dici di fare una doccia insieme, o un bel bagno, e di metterci a letto a guardare un film?» domandò Will, baciandogli la tempia.

«Spero sia un film molto hot e movimentato, perché non desidero altro.» disse Leo, alzando gli occhi su di lui.

«Sarà esattamente così.» annuì Will, ridacchiando, ed erano a pochi metri di distanza dall'entrata del bunker quando udirono un fruscio alle loro spalle.

«Ehi.» li salutò Calipso, incrociando le braccia al petto. Will e Leo la guardarono. Con quel vestito bianco, sembrava un fantasma. «Vi disturbo?»

«Un po'.» disse Will.

«Perché sei qui?» aggiunse Leo, perplesso.

«Volevo parlare con te, Leo.» ammise Cal. «Ma se disturbo, possiamo parlare domani.»

Leo esitò un momento, poi si voltò a guardare Will. «Ti dispiace se...?» iniziò, e Will scosse la testa, spostandosi da lui.

«No, vai pure.» disse. «Tanto sono stanco.»

Leo si morse il labbro. «Sicuro?»

Will annuì, poi sorrise, lanciando un'occhiata a Calipso che fingeva di ammirare un albero per lasciare loro un po' di privacy. «Magari è qualcosa di importante.»

Leo annuì a sua volta, alzandosi sulle punte per baciarlo, e gli sussurrò all'orecchio: «Ma aspettami sveglio.»

Will ridacchiò, ed entrò nel bunker. Leo lo guardò scomparire, e si voltò verso Calipso. «Di cosa mi devi parlare?»

«Di alcune cose. Sei l'unico amico che ho al Campo.»

«Non mi considero tuo amico. Non mi considero niente per te.»

Calipso sospirò.

«Ma possiamo fare una passeggiata.» aggiunse Leo, incamminandosi. «E possiamo parlare.»

 

Will entrò nel bunker, e si mise a guardare le scatole di Leo. Aveva fatto male a lasciare che Leo parlasse con Calipso. Chissà lei cosa gli avrebbe detto... Per qualche secondo se la immaginò a piangere, a pregarlo di tornare con lei, intenta a scusarsi per tutto quello che aveva fatto in passato.

Will scosse la testa, e si spogliò, diretto al bagno, e ad una doccia che sperava gli rendesse più lucidi i pensieri, ed eliminasse completamente le insidie di Angel.

 

****

 

Leo si sedette sul tronco di un albero, guardando Calipso fare altrettanto davanti a lui. Schioccò le dita, e lasciò cadere la palla di fuoco sui resti del falò. Il fuoco scoppiettò subito allegro. Senza che si rivolgessero la parola dopo il primo scambio iniziale, erano arrivati fino alla spiaggia.

«Allora, di cosa mi devi parlare?» chiese Leo, pensando a Will, solo e voglioso nel bunker, in sua attesa.

«Volevo dirti che mi dispiace per come mi sono comportata.» mormorò la ragazza, stringendosi nelle spalle.

«Sii più precisa.» sbuffò il figlio di Efesto.

«Per come mi sono comportata quando stavamo ancora insieme.» precisò la ninfa, lanciandogli una rapida occhiata.

«Ah sì? E come ti sei comportata? Sentiamo.» fu la risposta sarcastica di Leo.

«Da stronza.» Cal inspirò profondamente e riprese a parlare. «Mi sono comportata malissimo. Ho aspettato per anni, per secoli, di essere liberata da quell'isola, e quando sono stata fuori pensavo solo a divertirmi e a scoprire com'era cambiato il mondo. Tu mi hai insegnato tante cose, Leo, e ti ringrazio.»

Leo tenne gli occhi sul fuoco, prima di alzarli verso di lei. «Quindi il tuo ringraziamento è stato lasciarmi solo tutti i giorni, e tutte le notti?»

«No.» Calipso si attorcigliò una ciocca di capelli al dito. Leo si ricordò che lo faceva quando era nervosa. «Prima che tu te ne andassi, abbiamo passato un periodo stupendo. Solace è già riuscito a fartelo dimenticare?»

«No.» mormorò piano Leo. «Will non me l'ha fatto dimenticare.»

Si guardarono negli occhi in silenzio, mentre dalla spiaggia più indietro arrivavano degli schiamazzi.

Leo proseguì, prima che diventasse tutto troppo imbarazzante. «Ricordo ancora bene quel periodo felice. Sei pur sempre stata il mio primo amore, ma quei ricordi sono soffocati dalle ultime immagini che ho di te, dal fatto che sei stata una pessima madre sin da quando James è venuto al mondo. Sai, ho ancora ben chiara la serata del compleanno di James, il suo primo compleanno. Tu non c'eri.»

Calipso abbassò lo sguardo.

«Era tutto perfetto.» continuò Leo, prendendo una manciata di sassolini e lanciandoli nel fuoco. «Le decorazioni, i regali, addirittura i vestiti. Avevo stirato i vestiti miei e di James. Gli ho anche fatto delle foto, e dei selfie in cui siamo insieme. Lanciavo occhiate alla porta, all'orologio, aspettandomi di vederti, ma invece non è successo. E io mi chiedo: tra dieci, quindici anni, quando James vorrà vedere le foto di quand'era piccolo, come reagirà nello scoprire che nelle dodici foto che ho scattato al suo primo compleanno, tu non comparivi nemmeno in mezza? Al suo secondo compleanno eri presente, ma eri così fuori per quello che ti eri fumata che ho dovuto metterlo a letto presto, e raccontargli una favola. Ho dovuto aspettare una settimana per trovare un giorno in cui tu eri presente, e lucida, e fingere che quello fosse il suo compleanno. La cosa peggiore è che tu pensavi veramente che lo fosse...»

Calipso si asciugò una lacrima, e lo guardò. «Ora sono pulita, non...»

«Lo so che sei pulita, cazzo!» gridò Leo, stringendo il pugno, conficcandosi i sassolini rimasti nel palmo. «Il mio ragazzo ha passato le ultime settimane a farti disintossicare! Lui l'ha fatto per James, per fare in modo che sua madre stesse bene quando l'avrebbe rivisto! Se non ci fosse stato lui, tu saresti ancora intenta a cercarti un pezzo di pelle che ancora non hai bucato!»

«Cosa credi, che non mi sia resa conto di quello che ha fatto per me? Di sicuro non lo faceva per la mia salute quando mi chiudeva a chiave in camera, o quando non mi permetteva di andare fuori a pisciare senza almeno due dei suoi fratelli come guardia! E nonostante queste cose, l'ho anche ringraziato.»

«L'hai ringraziato? Davvero? Aspetta qui, vado ad organizzarti una festa!»

«Smettila di fare lo stronzo!» gridò Calipso, e Leo notò che gli schiamazzi si erano fermati. Calipso mosse le mani, e una barriera trasparente li avvolse. «Sto provando ad essere migliore!»

«Da quanto? Due ore? E lo trovi difficile, immagino.»

«Senti, smettila. Non eri così quando ci siamo conosciuti.»

«Sei stata tu a farmi diventare così.» ringhiò Leo.

«Sai, è la stessa cosa che penso anch'io.»

Di nuovo, incrociarono lo sguardo, e Leo si affrettò a guardare il mare. Lo sapeva che era colpa sua.

«Avevamo deciso di smetterla.» le ricordò Leo, piano, sempre senza guardarla. «Quando siamo stati sicuri di tenerlo, ci siamo promessi di smetterla.»

«Se non lo ricordi, mi hai obbligata a farlo.»

«Eri incinta, maledizione! Certo che ti ho fatta smettere!»

«Non volevo un bambino in quel momento. Ma, prima che tu possa aggiungere qualcosa di cattivo, ora sono felice di averlo.»

«Ora che ha cinque anni, ed è più o meno autonomo, ti piace avere un figlio. Non prima, quando aveva bisogno di te.»

«Mi dispiace di non esserci stata. Ma spero mi permetterai di esserci da oggi in poi.»

«Grazie a Will, e solo grazie a lui, posso prendere in considerazione l'idea di farlo.»

Calipso tenne lo sguardo basso per qualche secondo. «Grazie.» sussurrò.

«Tu non dovrai mai dire niente a Will.» disse Leo, duro. «Non gli dovrai mai dire che ti ho iniziata io alla droga. Non voglio che lo sappia, né lui, né chiunque altro.»

«Quindi avevo ragione. Non gli hai detto nulla. Lui non lo sa.»

«E non deve saperlo.»

«Dovresti farlo. Non puoi tenere segreti alla persona che ami.»

«Per il momento, voglio tenerglielo segreto. E con questo non intendo darti una carta con la quale potrai minacciarmi. Ormai sono solo io che mi occupo di James, io e i miei fratelli, ed è solo per il mio permesso che tu lo potrai vedere, frequentare, e stare con lui quando crescerà.»

«Non avevo alcuna intenzione di usarlo a mio piacimento. Ora che ho un briciolo della tua fiducia, non intendo perderla.»

«Brava.» disse Leo. «Allora ogni tanto sei intelligente.»

Calipso gli fece la linguaccia, tornando ad essere quella ragazza che Leo aveva incontrato ad Ogigia, e che poi aveva portato via. Gli fu spontaneo sorridere.

 

Uscito dalla doccia, Will si infilò dei boxer di Leo e andò in cucina. Si versò un bicchiere di vino, e lo sorseggiò scrutando le scatole abbandonate di Leo. Da quando le aveva viste, alcuni giorni prima, Leo non le aveva ancora disfatte. Ce n'era una aperta, e Will, curiosando, vide che c'erano dentro, ammucchiati in modo disordinato, vestiti. Will posò il bicchiere, e iniziò a svuotare le scatole, piegando con cura i vestiti.

Di tanto in tanto gettava occhiate all'orologio. Il tempo stava scorrendo lentamente, e ogni dieci minuti Will si chiedeva perché Leo non tornasse.

Numero 2, ricordare a Leo del nostro amore, che poteva abbattere barriere, e addirittura ha battuto la morte.

Will scosse la testa con furia, e continuò a piegare i vestiti, cercando di distrarre la mente. Ma i gesti ripetitivi aiutavano la voce di Angel a sussurrargli nella mente.

Numero 3, fare in modo che Leo passi meno tempo possibile con il suo fidanzato...

Stava procedendo tutto come descritto dal fratello. Calipso si era messa a parlare con Leo, e ora lui non tornava da più di mezz'ora.

Staranno facendo sesso, gli sussurrò all'orecchio la voce divertita di Angel.

Non è vero. Non mi sta tradendo.

Lo sta facendo. Solo perché tu vedi solo il buono delle persone, questo non significa che le persone siano buone.

Will tirò un calcio all'altra scatola, più che altro per scacciare via la voce di suo fratello. Non era possibile che quello stronzo avesse la meglio sulla sua coscienza.

Rialzò la scatola, e si affrettò a ripiegare i vestiti. Quell'attimo di rabbia aveva fatto allontanare la voce di Angel, e Will si rilassò. Di sicuro Leo la stava mettendo al corrente dei progressi di James.

Mentre continuava a piegare i vestiti, Will si ritrovò a guardare una felpa. Era carina, nera, con qualche strappo e la tasca, con il logo di una band, i Beatles. Will sorrise nel vederla. Leo non gli aveva mai detto che gli piacevano i Beatles. Be', ogni tanto si canticchiava qualche canzone, ma non gliel'aveva mai detto chiaramente. Chissà quante altre cose di Leo non conosceva!

Decise che, appena avrebbe finito di sistemargli i vestiti nell'armadio, avrebbe stillato una lista di cose da chiedergli. Forse per quella sera i due erano troppo stanchi per chiacchierare, ma gli avrebbe chiesto tutto, anche le cose imbarazzanti, e quelle in cui doveva dimostrare tutto il tatto che possedeva, senza sembrare troppo un dottore, che riguardavano sua madre. E chiedere anche come si chiamasse la signora Valdez di nome.

Will aveva appena finito di piegare la felpa quando notò che dentro la tasca c'era qualcosa. Curioso, fece per prenderla, ma si trattenne. Se era un preservativo non l'avrebbe sopportato. Poi scrollò le spalle, e infilò dentro la mano.

Impiegò meno di un secondo a capire che cosa fosse. Sia in ospedale che in infermeria ne aveva toccate parecchie. Provare a ripetersi che non era quello che si era immaginato sembrava troppo stupido. La mano gli tremava mentre tirava fuori la siringa dalla tasca. La fissò, incredulo, poi la lasciò cadere.

Vuoi ancora sapere tutto di lui?, domandò perfida la voce di Angel.

 

Leo si offrì di accompagnarla alla Casa Grande, e Calipso non rifiutò. Si incamminarono verso il Campo, ma Calipso non aveva fretta. La presenza di Leo le faceva tornare in mente il passato, quando camminare insieme in questo modo era normale, e non raro.

«Posso farti qualche domanda su Will?» chiese Calipso, lanciandogli un'occhiata.

«Va bene.»

«Chi sta sopra? È una cosa a cui non riesco a fare a meno di pensare.»

Leo le diede una spallata. «A questa domanda non rispondo.» sbuffò, trattenendo un sorriso.

«Okay, quindi se non vuoi rispondere il passivo sei tu.»

«Cal...»

«D'accordo, non vuoi parlarne.» Calipso alzò gli occhi al cielo stellato. «Will è sempre così?»

«Così come?»

Calipso cercò la parola giusta per non offenderlo. «Rompipalle.» disse infine, non trovando nulla di meglio.

«È sopportabile.» ammise Leo, passandosi le dita tra i riccioli. «Soprattutto perché la sua dolcezza, la bontà, e il suo amore valgono la pena di sopportare il suo lato rompipalle.»

«Cosa ti piace di lui?»

«A parte che non è te?» la punzecchiò Leo, e Calipso lo ignorò, continuando ad aspettare una risposta. «Be'... in realtà mi piace tutto di lui. Cal, è dolce. Ed è semplice, anche se da come si veste potrebbe non sembrare.»

«Il fatto che sia uno schianto non c'entra niente?»

«Schianto?» Leo le lanciò un'occhiata, e Calipso sorrise angelica.

«Ho gli occhi anch'io. È un Percy Jackson biondo.»

«Oh dei, no. Will è estremamente più intelligente.»

Calipso annuì. «Sì, si è notato.»

Leo sorrise tra sé al pensiero di Will, e guardò Calipso. «Altre cose che vuoi sapere?»

«Solo una. Sei felice con lui?»

«Molto.»

«Più felice di quando stavi con me?»

Leo esitò. Era più felice di quando stava con Calipso? Guardò la Casa Grande, con la vana speranza di non dover più rispondere alla domanda, ma sapeva che, in ogni caso, essa non l'avrebbe più lasciato.

«Non lo so.» ammise infine Leo, infilandosi le mani in tasca. «Tu sei stato il mio primo amore, e sarai sempre la madre di mio figlio.»

Calipso lo osservò. «Will è il primo ragazzo che ami. Questo non cambia niente?»

«Con Will sono molto felice.» disse Leo. «E con te, dopotutto, quando non ti trovavo a casa, non lo sono più stato molto. Lui sorprese del genere non me le farebbe mai.»

«Lui è un dottore. È una persona normale. Non ti stufi di fare cose normali con lui?»

«In realtà no, non mi stufo. È molto meglio portare la persona che amo in un ristorante tutti i giovedì, al solito posto, piuttosto che toglierle i capelli dalla faccia mentre sta vomitando.»

«Sono stanca, vado a dormire.»

Leo evitò di sbuffare. Non le piaceva sentire la verità. Quando la ragazza gli si avvicinò per dargli un abbraccio, Leo fu sul punto di indietreggiare, ma alla fine si lasciò abbracciare. Stringere quel corpo era sia familiare che estraneo. Familiare, perché il suo profumo gli faceva rivivere vecchi ricordi indelebili, che non se ne sarebbero mai andati. Estraneo, perché ormai si era abituato ad una persona più grossa, che riusciva anche a sollevarlo e tenerlo con un braccio.

Leo si staccò da lei. «Ciao Calipso.» E le diede le spalle, tornando a casa dal suo amore.

 

Quando Leo entrò nel bunker, vide che Will era seduto per terra. C'erano diverse pile di vestiti ammucchiati attorno al biondo, e le scatole in cui Leo aveva infilato quei vestiti erano gettate per terra.

«Ah, le hai piegate.» sorrise Leo, non provando nemmeno a nascondere la sua gioia. Le aveva lasciate lì apposta per Will, perché sapeva che lui avrebbe riordinato tutto al suo posto. «Ti darò un premio per questo.»

Will si alzò in piedi, e gli andò incontro. I capelli bagnati gli coprivano il volto, e formavano piccole onde verso le orecchie. Erano piuttosto lunghi, ma a Leo piacevano.

«Ehi...» disse Leo, confuso, mentre Will gli prendeva i polsi e gli guardava le braccia. «Che fai?»

«Ti prego, dimmi che mi sbaglio...» mormorò Will, passando le dita sui tatuaggi. «Dimmi che non è tua, dimmi che è di Cal...»

Leo lo guardò sempre più confuso, e spostò lo sguardo sui vestiti sparsi. Individuò la felpa dei Beatles che non metteva più da anni. L'aveva comprata per Cal fuori da un concerto di un altro gruppo, ma a Cal non piaceva molto, e alla fine era diventata la sua felpa. L'aveva messa per una settimana intera, sia per dormire che per uscire fuori di casa.

Il dito di Will si fermò sull'apertura del gomito destro. Leo spostò lo sguardo sul volto inespressivo di Will, poi di nuovo sulla felpa, e infine vide la siringa.

Sentì un brivido freddo assalirlo.

«Leo...» Will teneva gli occhi puntati sul tatuaggio con il nome di James sul braccio. Le sue dita avevano trovato un piccolo buco da siringa, poco sotto l'asticella della A. «Dimmi che...»

La voce di Will aveva un tremito, e Leo chiuse gli occhi, ritirando il braccio e stringendosi nelle spalle.

«Scusami Will, ma sì. Quella siringa è mia.»

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Capitolo 34
*** 46/47. Un passato nascosto ***


Will si allontanò da lui, appoggiandosi al tavolo da lavoro. La siringa giaceva poco dietro di loro. Leo la guardò, e spostò lo sguardo su tutto il bunker prima di soffermarsi su un punto.

«Dopo la morte di mia madre...» mormorò Leo, stringendo i pugni al ricordo delle fiamme e dell'officina. «Ero un bambino molto triste. Mi portarono in orfanotrofio, poi da lì venni adottato da una famiglia. Ma io rivolevo mia madre, e scappai. E continuai in questo modo per anni. Sai che ho dei parenti? Loro non mi hanno mai voluto, temevano che capitasse loro la stessa fine di mia madre...» Leo deglutì e spostò lo sguardo.

Sebbene si sentisse abbattuto per quello che aveva scoperto del suo fidanzato, Will gli porse la mano e Leo la strinse, avvicinandosi a lui di qualche passo.

«Ad ogni modo, prima di finire al Campo della Natura, dove ho conosciuto Piper e Jason, ho passato qualche mese per conto mio. All'orfanotrofio non lo hanno mai detto, e tantomeno al Campo. E in questo mese, sono finito in una casa abbandonata, assieme ad altri ragazzi e uomini più grandi. Ci dividevamo una pagnotta di pane al giorno, od ogni due giorni. Il cibo era secondario, perché lì in realtà passava molta droga. Ho provato di tutto, rubavo ogni cosa possibile dai ragazzi più grandi. Quando uno di loro mi ha preso, e mi ha detto di provare l'eroina, non ero molto d'accordo. Avevo visto ragazzi di ogni età morire per quella roba, per una siringa non pulita, per un overdose. Ma alla fine mi lasciai convincere.»

Leo si fermò un secondo, deglutendo a fatica, e riprese. «La frase "non riuscivo a smettere, era come una droga" può suonare molto stupida in un contesto del genere, ma ora come ora non mi viene niente di meglio. Quando mi hanno acciuffato, quelli del riformatorio mi hanno fatto disintossicare, e qualche anno dopo sono stato mandato al Campo della Natura. In realtà volevano mandarmi in una scuola militare per rimettermi in riga, ma il deficit dell'attenzione, l'iperattività, non erano tra i requisiti richiesti. E i buchi freschi alle braccia non erano granché di fiducia. Quando ho incontrato Piper, non avevo più voglia di bucarmi, e stavo cercando di nascondere il mio dolore interiore attraverso battute, e comportamenti idioti. Cosa che è riuscita alla perfezione. Le persone che incontrai da allora erano troppo occupate a pensare che fossi stupido per notare quanto dolore avessi dentro.»

Will gli strinse ancora la mano, e Leo lo guardò negli occhi. «Quando incontrai Calipso su Ogigia, pensai di aver trovato qualcuno che potesse capirmi. Essere rinchiusi su un isola, ad innamorarsi di persone che alla fine l'avrebbero abbandonata... c'era da impazzire. E io pensavo a mia madre, che rivedevo morire, senza poter fare nulla per aiutarla. Credo di essermi innamorato di lei perché eravamo simili.»

«Leo... sei stato tu...» mormorò Will, e Leo annuì.

«Esatto, sono stato io.» disse. «Dopo la battaglia di Gea, io e Cal iniziammo a girare il mondo. Ci fermavamo in ogni città a provare le specialità, a indossare abiti che non avremmo mai comprato. Calipso rubò un cappello, e nessuno se ne accorse. Facemmo un Messaggio Iride ai ragazzi qui al Campo, per fargli sapere che ero vivo, e poi proseguimmo. Un giorno finimmo ad Amsterdam... e mi ritrovai di nuovo dodicenne. Io e Calipso provammo un po' di tutto, poi tornammo al Campo. Ormai la vecchia abitudine per me era ricominciata, e mi divertii molto a far provare anche Calipso.»

Leo abbassò gli occhi.

«Dopo mesi, Calipso si ritrovò incinta. Avevamo fatto così tanto uso di droghe che temevamo che il piccolo potesse avere problemi, e questo ci spinse a non tenerlo. Ma Piper mi ha fatto cambiare idea, e da quanto ho letto dei bambini non sono le prime settimane quelle più importanti. Smisi di farmi, e lo trovai più difficile della volta precedente, ci riuscì. Poi costrinsi Calipso a fare lo stesso. Lei passava le giornate ad urlarmi contro, e io le stavo sempre più vicino. La feci mangiare sano, le feci prendere le vitamine di cui aveva bisogno, e qualcuno dei tuoi fratelli mi prese per un padre iperprotettivo perché avevo fatto fissare un'ecografia a settimana. Chiesi anche di fare la villocentesi e la amniocentesi... tu sai cosa sono.»

Will annuì. Erano due esami che si effettuavano nelle prime settimane per controllare lo stato del bambino, ma erano entrambe pericolose. Potevano indurre entrambe ad un aborto spontaneo, soprattutto per un individuo così giovane... Ma Calipso aveva un sacco di anni, quindi Will non seppe bene cosa pensare.

«Calipso diede l'autorizzazione, le avevo parlato dei rischi, di quello che potevano o non potevano dire i test, e lei accettò. Probabilmente sperava che il suo corpo... insomma, che abortisse, ma non è successo. E subito dopo l'esito, sono passato ai prelievi del sangue... Controllavo tutto quello che le entrava nel corpo. Non volevo che il bambino avesse dei problemi. Se Cal voleva uscire, poteva farlo solo con me, o con almeno tre ninfe, e fare sempre attenzione ad ogni cosa che faceva.»

Leo chiuse gli occhi, ricordando quei giorni. Calipso gli urlava sempre contro, gli dava la colpa di tutto. Forse il suo modo di comportarsi dopo la nascita di James era stata colpa sua. Infondo, lui le aveva fatto odiare quel bambino.

«Quando James è nato... quando tu lo hai fatto nascere... L'ho guardato. Non riuscivo a credere che una cosa così stupenda potesse derivare anche da me. Stava bene, era in ottima salute, ed era pimpante e allegro... Era un bambino stupendo. E quando Calipso l'ha visto, si è un ricreduta, e di nuovo ci siamo innamorati. E dopo quel giorno, non ci sono più stati molti ritratti di famiglia di quel genere. Io lavoravo, anche se non molto, e Calipso si occupava di James. Quando lui stava con me una sera di settembre, Calipso trovò le nostre vecchie scorte su in soffitta, e riprese a farsi. Inizialmente piccole dose, per non far notare la differenza. Ma io ero troppo preso da mio figlio per accorgermene. Solo quando uno dei tuoi fratelli mi chiamò dall'infermeria per dirmi che Cal non si era presentata ad una visita, iniziai a preoccuparmi di lei. Cosa diavolo stava facendo?»

Leo si passò le dita tra i capelli. «Impiegai parecchio ad accorgermi che aveva ripreso a drogarsi. Quando lo scoprii, litigammo. Fu una di quelle litigate da far tremare i muri di casa. James non era a casa, lo avevo lasciato da una mia amica perché non volevo turbarlo. Litigammo per ore e ore, poi facemmo la pace con del sesso selvaggio, ma le cose non si sistemano mai veramente in quel modo, sai? Speravo che almeno in presenza di suo figlio potesse smettere di fare queste cose, ma niente. Però finché non gli faceva del male, andava bene. Iniziai a portare James con me in fucina, e quando ci trasferimmo nell'altra casa trovai un lavoro in un'officina vera, una di quelle umane, dove non volevano i bambini. La mia amica Sam aveva bisogno di soldi, quindi non potevo approfittarmi sempre di lei. Non navigavo nell'oro, quindi lo lasciavo a Calipso. Spesso lei lo lasciava da solo. Cazzo, ad averlo saputo prima, me ne sarei andato dopo la nascita di James.

«Infine, come sai, ho portato via James da casa, e l'ho portato qui, al Campo. I miei fratelli mi hanno aiutato, ho ripreso il mio posto di lavoro in fucina, e sono anche tornato ad essere capo cabina. Dissi loro che ero immortale, e ricordavano che ero arrivato quando quel posto era maledetto, quindi furono più che felici di lasciarmelo.»

Leo smise di parlare, e per qualche minuto nessuno dei due aprì più bocca. Leo si sentiva esausto per tutto quello che aveva detto, e Will sentiva emozioni contrastanti. Ora conosceva meglio Leo, e finalmente alcune cose della vita del suo ragazzo avevano un senso.

«Ti sei mai più fatto?» domandò Will, guardandolo.

«Da quando è nato James, mai più.» rispose Leo, serio.

«Perché hai fatto i tatuaggi?»

«Il braccio robotico mi piaceva, e mi è sempre piaciuto. Quando me lo sono fatto tatuare, non pensavo nemmeno che mi avrebbe coperto i buchi alle braccia. Solo quando il tatuatore mi ha chiesto cosa fossero, ho capito perché lo stessi realmente facendo, e lui ha continuato fino alla fine.» Si guarda la mano. «Mentre il nome di mio figlio... è stato un caso. Lo volevo in un punto in cui potessi sempre vederlo, quando fossi stato triste o quando mi fossi pentito di una mia scelta. Mi da forza, quel nome, capisci?»

«Capisco.» annuì Will, accarezzandogli la mano.

Leo sospirò. «Amore, sono stanco.» mormorò. «Ti dispiace continuare domani?»

«Va bene.» annuì Will, ma andando verso il letto le parole gli uscirono dalle labbra da sole, automatiche. «Perché non me lo hai detto?»

«Non lo so.» ammise Leo, togliendosi la maglia e infilandosi una canottiera. «Forse avevo paura della tua reazione. Non volevo che mi considerassi come Calipso.»

«Non lo avrei mai fatto.»

«Non si può mai sapere.» Leo gli gettò un'occhiata. «Ora cosa pensi di me?»

Will lo seguì mentre andava in bagno a lavarsi i denti, e si stese sul letto. Quando Leo, con una tuta, si stese al suo fianco, Will lo guardò.

«Penso che sei un ragazzo forte.» disse, piano. «Molto più forte di quello che pensi. Hai affrontato una battaglia dopo l'altra sin da quando sei bambino. Combatti da tutta una vita.»

«Ora capisco perché sono sempre così stanco.» sorrise Leo, e Will ricambiò con un piccolo sorriso.

Si guardarono in silenzio, poi Leo aggiunse: «Cosa hai pensato trovando la siringa?»

«Speravo che fosse di Calipso. Lo speravo con tutte le mie forze.»

Leo si infilò sotto le coperte. «Invece è mia.»

«Me ne avresti parlato?»

Leo esitò. «Non lo so.»

Will sospirò. «Mi aspettavo anche questo. Notte Leo.»

«Notte amore.» Leo si voltò e gli diede un bacio a stampo, e Will gli accarezzò il braccio. Si baciarono di nuovo, poi si accoccolarono uno vicino all'altro, stretti in un abbraccio.

«Come è andata con Calipso?» domandò Will, osservandolo, e Leo spense la luce battendo le mani.

«Ne parliamo domani? Sono stanchissimo.» disse Leo, appoggiando la testa sulla sua spalla e passandogli un braccio attorno alla vita.

«Certo. Dormi piccolo.» Will gli baciò la tempia, e si irrigidì. L'odore del profumo di Calipso era inconfondibile.

Leo non si accorse della sua rigidità, e si addormentò dopo pochi secondi.

Will, invece, rimase sveglissimo, la voce di Angel nella sua testa che rideva e sussurrava sempre le stesse parole, mentre le immagini dei corpi nudi di Leo e Calipso che si intrecciavano gli affollavano la mente.

 

****

 

Il mattino dopo, quando la sveglia di Will squillò alle nove, Leo sbadigliò. Si sentiva stranamente riposato, e anche di buonumore. Si voltò verso Will, immaginando che fosse già sveglio. Il biondo era seduto, a braccia conserte, gli occhi puntati sull'armadio.

«Ehi.» mormorò Leo, dandogli un bacio sul braccio, e mettendosi seduto a sua volta.

Will voltò lentamente la testa verso di lui. Aveva ombre scure sotto gli occhi, la pelle tirata, lo sguardo stanco. «Ehi, ben svegliato.» lo salutò.

«Buongiorno anche a te... hai dormito? Hai un aspetto terribile.»

«Non sono riuscito a prendere sonno.» ammise Will.

«Come mai? Potevi svegliarmi.»

«Non potevo. Ho passato tutta la notte a pensare a te.»

Leo si agitò leggermente. «Ed erano bei pensieri?»

Will distolse lo sguardo e tornò a puntarlo sugli armadi. «Per niente.»

Leo sospirò, prevedendo una lunga litigata. E pensare che si era svegliato bene...

«Hai pensato alla mia storia?» domandò.

«Non solo a quella. Mi chiedevo quando è da inserire la crisi di Calipso sul fatto che tu eri mortale. E mi chiedevo anche cosa aveste fatto voi due insieme.»

«Abbiamo solo parlato.»

«Da come hai liquidato la cosa ieri sera non si direbbe.»

«Liquidato la cosa? Porco Crono, Will, volevo dormire! Ero stanco!»

«Stanco? E perché mai eri stanco?»

«È stata una giornata impegnativa, sai, non solo tu hai giornate impegnative.»

«Giornata impegnativa.» ripeté Will, con tono amaro. «E sentiamo, cosa avete fatto tu e Calipso?»

Leo lo fissò torvo, allontanandosi da lui. «Sentiamo prima cosa hai da dire tu a riguardo. Cosa pensi che abbiamo fatto?»

Will strinse la mano a pugno. «Non riesco a togliermi dalla mente l'immagine di voi due che scopate.»

Leo scosse la testa. «Pensi seriamente che potrei farti una cosa del genere?»

«Be', hai fatto in fretta a lasciarmi, ieri.»

«Will, che cazzo ti prende?! Mi hai detto tu che potevo andare a parlare con lei, che poteva essere qualcosa di importante!»

«Cos'altro potevo dire di fronte a lei?!» Will alzò la voce, e anche Leo lo fece.

«Potevi benissimo dire no, non andare Leo, resta con me! Me ne sarei fregato il cazzo di quello che doveva dirmi, e avremmo finito la serata in modo diverso.»

«Già. E non avrei trovato la siringa, e tu me lo terresti ancora nascosto.»

«Ancora quella merda di siringa?»

«Già, ancora quella merda di siringa. Mi hai tenuto nascosto una grossa fetta della tua vita, mentre della mia tu sai tutto.»

«No, non so tutto! Ci sono cose di te che non mi racconti.»

«E cosa vorresti sapere di me?»

«Ora come ora non mi viene in mente nulla, ma domani avrò delle domande da porti a riguardo della tua vita!»

«Sono sempre qui in attesa.»

Will si alzò dal letto, poi tornò a puntare lo sguardo su Leo.

«Me lo dici cosa avete fatto tu e Calipso ieri?»

«Be', tu pensi che io e lei abbiamo fatto sesso, quindi qualsiasi cosa io ti dica non penserai che sia la verità.»

«Se me lo dici ora, farò in modo di crederti.»

Leo fece una risata sprezzante. «Farai in modo di credermi? Ma chi cazzo ti credi di essere?!»

«Fino a prova contraria sono il tuo ragazzo, e lei è solo la tua puttana di ex.»

«Senti, non me ne frega più un cazzo di lei, ma almeno non la chiamare puttana. È pur sempre la madre di James.»

Will alzò le mani. «Non la chiamerò più puttana.» disse, e fece per girarsi.

Leo lo guardò. «Abbiamo solo parlato.» disse, tenendo gli occhi puntati sul biondo.

«E di cosa? Sei rimasto fuori per due ore.»

«Abbiamo parlato di James, di me e lei, di te, di noi...»

«Di te e lei?» ripeté Will. «Vuole che torniate insieme?»

«No, in realtà lei pensa che siamo una bella coppia.»

«Come fai a sapere che non sia solo un mezzo per depistarti, e farti tornare con lei?»

«Perché non è lei a decidere con chi devo stare, ma io! Cazzo, Will, non ti fidi di me?» Leo scese dal letto, e gli andò incontro, ma sebbene fosse arrabbiato e determinato, non faceva affatto paura. Will non indietreggiò, rimase a fissarlo in silenzio, con il volto arrossato. «Will, cosa diavolo ti passa sotto quei riccioli? Io ti amo, e non intendo rimettermi con la mia ex solo perché è tornata qui. Io amo te, mi capisci? È vero, fino ad un anno fa non avrei mai pensato di potermi innamorare di un uomo, nemmeno di uno splendido come te, ma è successo, e non cambierei nulla di quello che mi è successo in passato, perché tutto questo mi ha fatto arrivare a te. Rifarei tutto quanto, la mia morte, la mia quasi morte negli Inferi, tutto il periodo della mia vita che odio, e solo per essere qui con te, ora.»

Leo gli prese le mani, e Will rilasciò andare l'aria. «Scusami.» sussurrò, addolcendosi. «Angel mi ha detto delle cose...»

«Non lo ascoltare. Qualsiasi cosa lui ti dica, tu fidati di me.»

Will annuì, e Leo si alzò sulle punte, passandogli le braccia dietro il collo e baciandolo.

«Non osare più insinuare cazzate del genere, okay?» sussurrò Leo, baciandolo ancora e spostandosi.

«Lo farò.» annuì Will, e sulle sue labbra spuntò un piccolo sorriso.

«Bravo. Vado a preparare il caffè.»

«Lascia perdere il caffè, e vieni in doccia con me.»

Leo scosse la testa. «Non mi va di fare la doccia.» Lo lasciò, dirigendosi verso la cucina. «Magari la faccio più tardi.»

Will lo seguì con lo sguardo, ma nonostante le sue parole, quelle di Angel erano più difficili da rimuovere.

 

Sotto la doccia, infatti, la voce di Angel si fece più intensa.

Perché non ti ha seguito in doccia? Di solito non vede l'ora di farlo. Anche quando non glielo dici ti segue, e oggi non l'ha fatto. Magari lui e Calipso ieri hanno fatto sesso contro un albero, e lei gli ha graffiato la schiena... Cazzo, Willy, non ti sei accorto che ha dormito in canottiera e tuta? Di solito dorme nudo, o al massimo con una tuta. Invece era completamente coperto, questa volta... Non ti fai alcuna domanda? Non vuoi alcuna spiegazione a riguardo? Ha fatto sesso con la sua ex, e probabilmente ora se la stanno ridendo tutti e due.

Will chiuse gli occhi, tenendo la mano sul volto, sperando che quei pensieri se ne andassero.

Staranno aspettando che tu faccia una mossa falsa. Perché se Leo ti lasciasse, tu capiresti subito il motivo per cui l'ha fatto. Ma se la colpa ricadrà sudi te, loro potranno dire di essersi riavvicinati per colpa tua. Will, hai fatto in modo che Calipso si ripulisse, e che suo figlio la amasse. Sei...

«Cosa devo fare?» mormorò Will, stringendo i pugni prima di picchiarli contro il muro. «Cosa devo fare per farti smettere di tormentarmi?!»

Devi fare in modo che Calipso non sia più una minaccia... è iniziato tutto da quando è arrivata, lo hai notato? Non ti sei mai fidato di lei, l'hai odiata, e l'hai resa una persona migliore, una persona degna di vivere una bella vita... E pensaci, Will. Leo è immortale, Calipso è immortale. Tu un giorno invecchierai, mentre Leo continuerà ad essere un bel ragazzo, e continuerà a dimostrare l'età che ha ora. Perché dovrebbe accontentarsi di un mortale, quando la sua bella ex, il suo primo amore, la madre di suo figlio, è di nuovo una persona perfetta come la prima volta in cui l'ha incontrata?

Will si infilò le dita nelle orecchie, appoggiandosi al muro, e cercò di distrarsi con una canzone, ma senza riuscirci.

E tu hai reso possibile tutto questo... ma posso suggerirti un piano. Porta la siringa di Leo a Calipso, insieme ad una dose, e dille di andarsene. Puoi liberarti di lei, e di me... Ma prima assicurati che Leo ti abbia tradito veramente, e dopo che avrai fatto andare via quella stronza, lo perdonerai...

 

Quando Leo finì di preparare il caffè, si sedette al tavolo, e guardò in direzione del bagno sorridendo. Forse doveva raggiungere Will sotto la doccia, e insaponargli la schiena. E riempirla di baci. Avevano qualcosa in sospeso, loro due.

Ricordò che avevano appena finito di litigare, e si chiese come mai Will pensasse a cose del genere. Aveva nominato Angel. Chissà cosa gli aveva detto quell'idiota... Anche se Calipso era tornata, anche se lei stava bene, l'ultima cosa che Leo desiderava era di tornare con lei. La vita con Calipso non era perfetta, non era mai stata normale. La vita con Will, invece, non era male. Era quella la vita che Leo si aspettava da conviventi, e fidanzati. Le uscite insieme, le risate, i picnic in spiaggia con il ristorante prenotato... era questo che voleva.

Per non parlare del fidanzato, che non solo era bello come il sole, ma era anche intelligente. Era un dottore, per Zeus! Era un tipo perfetto! Cosa poteva chiedere di meglio?

Leo si cambiò, e attese che Will uscisse dalla doccia. Si era deciso di seguirlo quando l'acqua si era spenta, e con un sospiro Leo si infilò una maglia del biondo, e dei jeans. Quando Will aprì la porta del bagno, Leo notò che era già vestito, e con i capelli ancora bagnati. Aveva lo sguardo perso, vuoto, e si diresse subito alla porta.

Leo doveva accorgersi che qualcosa non andava solo perché Will non si era fermato a prendere il caffè. Lo prendeva sempre, a volte anche direttamente dalla caffettiera, quando era in ritardo per il suo turno in infermeria. Quante risate si erano fatti mentre Will rischiava di bruciarsi la lingua e le mani tenendo la caffettiera in mano.

«Will?» Leo lo seguì fuori, perplesso, e lo vide fermarsi vicino ad un albero. Teneva le mani in tasca, e la testa inclinata, come se stesse ascoltando qualcosa che solo lui poteva udire.

«Amore.» mormorò Leo, andandogli contro. Gli posò una mano sul braccio, e cercò di guardarlo in faccia. Gli occhi azzurri erano spenti, non c'era nemmeno un briciolo di allegria in quei favolosi occhi. «Will...»

«Mi hai tenuto nascosto un fatto della tua vita che ti ha segnato per sempre.» disse piano il figlio di Apollo, incrociando gli occhi scuri dell'altro, pieni di calore. «Perché non me lo hai detto prima? Non ero degno di saperlo?»

«No, Will.»

«Allora rispondi alla domanda. Finora hai sempre svicolato. Se non l'avessi trovata, me ne avresti parlato?»

«Sì.» Leo rispose senza pensarci. «Te ne avrei parlato. Ma più avanti.»

«Più avanti? Intendi forse al mio capezzale, sul punto di morte, così non ci avrei pensato più di tanto prima di tirare le cuoia?» La voce di Will era dura, priva di emozione e della sua solita vivacità o melodia.

«No, prima. Dei, Will, perché fai così? Te ne avrei parlato.»

«Non lo hai fatto finora. Potevi parlarmene, non ti avrei giudicato. Sono Will Solace, io non giudico le persone solo per una cosa che mi dicono. »

«Allora perché fai tutti questi problemi, ora?»

«Perché ora non so più se posso fidarmi di te. Mi hai taciuto questa cosa così importante... cos'altro potresti nascondermi?»

«Nulla, Will, non ti nascondo nulla. Solo quella cazzo di siringa.»

Will scosse la testa. «Non riesco a crederti.»

Leo lo fissò torvo. «Non...»

«E riguardo ieri... tu e Calipso non avete solo parlato, dico bene? Puoi dirlo, non me la prenderò.»

«Senti, ho solo parlato con Calipso. Ti ho nascosto la siringa, ti ho nascosto il mio passato, ma su Calipso non ti mento, e non ti nascondo niente. Abbiamo solamente parlato.»

«Se avete solamente parlato perché non sei venuto in doccia con me?!» gridò Will, afferrandolo per il braccio, e Leo si divincolò a fatica.

«Non ne avevo voglia!» gridò Leo di rimando, sempre più spaesato dal comportamento di Will. «Non avevo voglia di fare la doccia, è così difficile da capire?!»

«O forse Calipso ti ha graffiato la schiena mentre stavate scopando contro un albero, e non vuoi mostrarmelo!»

«MA SEI SERIO?!» urlò Leo, e la mano gli si incendiò per la rabbia. «Pensi veramente che me la sia scopata?! Tu hai dei problemi, cazzo!»

«E tu non vuoi dirmi di averlo fatto, quando sono più che disponibile a perdonarti! Lei non l'avrà vinta, io non ti lascerò andare via da me, non ti permetterò di tornare con lei!»

«Ma che cazzo stai dicendo? Tu sei pazzo!»

Leo cercò di allontanarsi da lì. Non voleva dare fuoco a Will, anche se se lo sarebbe meritato, o incendiare gli alberi. Non voleva radere al suolo il Campo Mezzosangue solo perché Will era accecato dalla gelosia e dalla paura che ancora gli mentisse. Poteva capire quest'ultima: avere il costante terrore che la persona di fronte a sé continuasse a mentire era una cosa terribile. Ma Will aveva così poca considerazione di lui che continuava a pensarlo?

Leo diede tutta la colpa alla siringa. Non a sé stesso per averglielo nascosto per mesi, ma alla siringa. Perché mai l'aveva tenuta? Perché non l'aveva buttata assieme a tutto il resto? Semplice: era stato troppo sentimentale. Quella era stata la prima siringa che aveva avuto, la prima che aveva usato su sé stesso.

Fu sul punto di entrare nel bunker e prenderla, spezzarla, romperla, disintegrarla, ma Will l'afferrò per il braccio, di nuovo, e lo spinse con violenza contro l'albero. Leo fu troppo sorpreso per ribellarsi.

«Dove ti ha toccato?» ringhiò Will, alzandogli la maglietta, e controllandogli ogni centimetro di pelle.

«Will, lasciami!» Leo provò a divincolarsi, ma la presa di Will era troppo forte. Fu attraversato da un'ondata di panico, e il suo potere del fuoco fu momentaneamente dimenticato.

«Deve averti toccato tutto qua.» Will lo ignorò, continuando a stringerlo, tastandogli la pelle in cerca di segni. Quando non ne trovò, con un ringhio rabbioso lo fece girare, e lo sbatté contro l'albero. Leo vide le stelle mentre l'altro gli sollevava la maglia fino alle scapole. La mano di Will era calda, o forse era il suo corpo che stava bollendo.

«Qui non c'è niente!» gridò Will, torcendogli il braccio all'indietro, e Leo lanciò un urlo. Sperò che qualcuno lo sentisse, ma aveva scelto quel punto della foresta perché era la parte più tranquilla, senza ninfe, senza satiri che potevano incappare in una delle sue entrate nascoste, rovinando sugli alberi.

La mano di Will si fermò poco prima dei jeans, e Leo li sentì abbassarsi di qualche centimetro. Lanciò un altro urlo, e questa volta il suo corpo si riscosse. Il braccio che Will torceva prese fuoco, e Will lanciò un grido allontanandosi di scatto, lasciandolo. Leo si voltò verso il biondo, mentre anche l'altra mano prendeva fuoco.

«Stammi lontano!» urlò Leo, incrociando gli occhi di Will. Ora erano di nuovo di quella lieve tonalità celesta che gli piacevano tanto, e il figlio di Apollo, con la mano bruciata, sembrava spaesato, inerme. «Se ti avvicini di nuovo a me, giuro che ti ammazzo!»

«Leo!» gracchiò Will, con le lacrime agli occhi. Con il dolore, gli era anche tornata la sanità mentale. «Leo, amore, mi dispiace, non so cosa mi abbia preso...»

Ma Leo non lo stava ascoltando. Si ricordava di quando, in spiaggia, Will gli aveva raccontato di Nico, di quello che stava per fargli se Percy Jackson non fosse intervenuto in tempo.

«Leo, scusami, sono... sono stato... mi dispiace, io...»

Leo arretrò, tenendo gli occhi fissi su Will, che singhiozzando provava ad avvicinarsi.

«Mi sono sbagliato tempo fa.» sibilò Leo, continuando ad arretrare. «Tu sei una cattiva persona. Avvicinati ancora a me, o a James, e giuro che la bruciatura al braccio sarà l'ultimo dei tuoi problemi.»

Leo lanciò un'occhiata alla porta aperta del bunker, poi diede le spalle a Will e si mise a correre. Cercava di raggiungere la cabina 9, l'unico posto in cui poteva sperare di essere al sicuro, tra le braccia di Nina. Ma l'adrenalina nelle vene si spense, e prima di arrivare alle cabine Leo cadde in ginocchio, in lacrime. Per un pelo si era ripreso, per un pelo aveva evitato che...

«Leo?»

Il figlio di Efesto sussultò, e le sue mani presero fuoco prima che alzasse lo sguardo su Travis Stoll che lo stava fissando stranito a qualche metro di distanza. Aveva un cestino colmo di mele al braccio.

«Leo, spegni la mano.» disse, avvicinandosi, notando la maglia bruciata, e le lacrime che ancora uscivano copiose.

Leo si alzò a fatica e gli andò incontro. Senza sapere bene perché, lo strinse e gli pianse sulla spalla.

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Capitolo 35
*** 48/49. Mi perdonerai? ***


Will rientrò nel bunker come in trance, e si diresse subito nel bagno. Entrò nella doccia, vestito, accendendo il getto gelido. Fece dei respiri profondi mentre l'acqua cercava di farlo riprendere, di ricordare quello che era accaduto. Aveva davvero intenzione di...?

Will rantolò al pensiero, e i singhiozzi si fecero più numerosi. Si piegò nella doccia, tenendo la testa contro il tappetino. Lo strinse tra le dita, urlando parole incomprensibili mentre cercava di capire cosa gli fosse successo. Si ricordava di essere entrato in doccia, poi di essere uscito dal bunker. E fino a quando il dolore al braccio non era esploso, Will non ricordava nulla.

Si affrettò ad uscire dalla doccia, e si avvicinò al lavandino. Ebbe il tempo di piegarsi prima di rigettare quel poco che aveva nello stomaco e, mentre era preso da spasmi, immagini frammentarie gli riempirono la testa.

Lui e Leo intenti ad urlarsi in faccia. Leo sbattuto contro il tronco. La schiena di Leo. Il fuoco... Leo che gli urlava, che gli diceva di essere una cattiva persona, di stargli lontano...

Will ricadde sulle ginocchia, tenendo le mani sul volto, il corpo preso dai singhiozzi. Cosa aveva fatto?

 

Dopo una decina di minuti, Travis accompagnò Leo nella sua cabina. Leo gli teneva la mano sul braccio per non perderlo di vista, e Travis lo fece entrare nella sua stanza. Lily non c'era, probabilmente era fuori a giocare con le sue zie, o forse aveva incontrato James alla cabina di Efesto.

Travis fece sedere Leo sul suo letto, gli prese una delle vecchie magliette di suo fratello Connor, e gli mise addosso una coperta quando notò che Leo non aveva alcuna intenzione di vestirsi. Si sedette davanti a lui, sul pavimento, dopo aver chiuso la porta e, con molta delicatezza, gli prese la mano. Leo sussultò, ma non la tolse quando lo riconobbe.

«Se ti va, puoi raccontarmi cos'è successo.» disse Travis, con tono morbido, tenendogli la mano.

Gli occhi di Leo si riempirono di nuovo di lacrime, e a fatica parlò.

 

Will rimase nascosto in bagno per ore, in attesa che i fratelli di Leo entrassero nel bunker per picchiarlo, torturarlo e, perché no?, ucciderlo. Li attese, con il corpo che tremava, ma troppo impaurito per provare a scappare.

E dove poteva andare? Dai suoi fratelli? La sua cabina era troppo vicina alla 9. E non voleva avvicinarsi a Leo, non voleva che litigassero davanti a tutti, non voleva che...

Con un mugolio, Will si prese la testa tra le mani. Come poteva pensare alla sua reputazione in un momento del genere? Aveva ferito l'unica persona che amava, e le aveva fatto un male tremendo. Per la seconda volta, aveva rischiato di fare qualcosa di terribile, ed era solo per una circostanza fortuita che non lo avesse fatto.

La bruciatura alla mano non era grave, ma non intendeva curarla. Stava aspettando che venissero a portarlo via, che ritagliassero un pezzo della foresta per seppellirlo, e dimenticarsi di lui...

 

Travis gli tenne le mani tutto il tempo del racconto. Gli occhi chiari del figlio di Ermes non si spostarono mai da quelli scuri dell'altro.

«Sei sicuro di quello che stava per farti?» domandò Travis, piano, rivedendo con la mente l'immagine di Will. Sia in infermeria che in spiaggia gli era sembrato una persona docile, tranquilla, socievole. Che potesse arrivare a fare una cosa del genere era del tutto inconcepibile per lui.

Leo annuì. Si sentiva esausto, ma aveva paura di addormentarsi. Voleva restare vigile, nel caso Will fosse tornato.

Travis annuì a sua volta, e gli sistemò la coperta addosso. Poi uscì dalla stanza, parlottò con una sorella che schizzò via dalla finestra, e tornò da Leo.

«Ho fatto chiamare tua sorella. Se ti va, puoi restare a dormire qui finché lo desideri.» disse Travis, sedendosi vicino a lui.

«Grazie.» sussurrò Leo, rilassato, ma poi gli venne un crampo al cuore. «E James?»

«James è con Lily fuori dalla cabina di Demetra, con Miranda, Katie e tuo fratello che chiacchierano.»

«È sotto controllo?»

«Sì, non devi preoccuparti.»

Leo questa volta si rilassò maggiormente.

 

Will svenne dal dolore, e rimase privo di conoscenza per qualche minuto. Quando si riprese, voltò la testa dall'altra parte prima di vomitare altra bile, e si mise seduto con le vertigini. Recuperò il kit di pronto soccorso, e si medicò la bruciatura. Bendò la mano, poi la strinse al petto, trattenendo l'urlo che voleva uscirgli dalle labbra mentre il resto dei ricordi lo assaliva.

 

Quando Nina entrò nella stanza, Leo si stava quasi per addormentare. Appena vide la sorella, quando incrociò i suoi occhi neri e sentì il familiare odore di fuliggine, Leo lasciò cadere la coperta e le corse tra le braccia. Nina lo strinse senza una parola, e Travis li lasciò soli.

«Cos'è successo?» domandò Nina, cauta, evitando battute stupide. L'ultima volta che l'aveva visto così turbato era per causa di Calipso.

E Leo, per la seconda volta, rivisse quel momento.

 

A fatica, Will si alzò in piedi e si bagnò il volto, ritrovando un po' di lucidità. Uscì dal bagno, prese una felpa e se la infilò, tirandosi su in testa il cappuccio.

Uscito dal bunker, Will gettò occhiate a destra e a sinistra alla ricerca dei figli di Efesto con torce e forconi. Non vedendoli, Will si preoccupò, e cominciò a dirigersi verso le cabine. Era ora di pranzo, quindi tutti i semidei se ne sarebbero andati in mensa, o nelle piccole cucine della loro cabina a gustarsi un pranzetto. Forse i figli di Efesto sarebbero rimasti a battere il ferro in fucina, mentre i figli di Apollo si sfidavano a basket; forse i figli di Ares avrebbero continuato a scagliare giavellotti e lance contro i bersagli, mentre i figli di Ermes continuavano i loro scherzetti. Non gli importava nulla se quei pochi rimasti lo vedevano. Voleva solo trovare un posto sicuro, e chiedere una mano a qualcuno per quello che era successo.

E poi cercare Leo. Doveva parlargli, implorargli perdono.

Quando arrivò nei pressi delle cabine, Will ebbe un sussulto nel notare Hazel seduta sui gradini della 13 intenta a leggere un libro di Nietzsche. Le si avvicinò e, quando l'amica alzò lo sguardo, Will si sentì crollare.

 

Nina gli accarezzò i capelli, cullandolo piano, senza sapere cosa dire. Un comportamento del genere da parte del figlio di Apollo non poteva essere predetto da nessuno, nemmeno da Rachel Elizabeth Dare nella sua caverna.

Leo rimase stretto alla sorella, con gli occhi chiusi, rivivendo ancora quelle immagini per sé stesso. Ricordò Will, il suo sguardo spaesato, le lacrime...

«Dovrei tornare da lui.» sussurrò Leo, stringendo la gamba alla sorella. «Dovrei...»

«No.» tagliò corto Nina. «Non andrai da lui. Resterai qui, con Travis, e appena ti sentirai meglio porterai qui anche James.»

«Ma...»

«Leo, non intendo permetterti di andare a parlare da solo con lui.»

«Non sarei andato solo...»

Nina si morse il labbro. «Chiamerò Butch, gli dirò di tenere gli occhi aperti nel caso vedesse Will.»

«Non dirlo a nessuno.» la pregò Leo.

«La verità non la saprà nessuno.» gli promise Nina. «Dirò a Butch che lo hai lasciato, e che Will è arrabbiato.»

«Ma sarebbe una bugia.» mormorò Leo, e a Nina sembrò di vedere suo nipote James. «E...»

«Riposati.» disse Nina, prendendo il telefono, e scrivendo il messaggio al fidanzato. «E stai tranquillo, ci sono io qui con te.»

 

Hazel accompagnò Will dentro la cabina, e lo fece sedere sul suo letto. Vedendolo bagnato come un pulcino, Hazel gli prese un asciugamano e cominciò a strofinarglielo forte sulla testa, dolcemente.

«Cos'è successo?» domandò Hazel, notando la benda alla mano. «Tu e Leo avete litigato? Ti ha bruciato?»

Will esitò. Le cose non erano così semplici da spiegare.

Guardò l'amica, poi iniziò a parlare, trattenendo le lacrime e stringendo il pugno. Hazel lo osservò con attenzione mentre il racconto proseguiva, non sapendo bene cosa pensare dell'amico.

«Non gli volevo fare del male, Hazel, te lo giuro.» singhiozzò Will, e lei gli accarezzò i capelli umidi in silenzio. «Non sapevo nemmeno cosa stesse accadendo... è stato come se non fossi io... Haz... io...»

«Shhh.» Hazel lo calmò, sedendosi vicino a lui e facendogli posare la testa sulla propria spalla. Gli accarezzò il braccio, e Will piano piano si calmò. «So che non sei un mostro. Hai avuto paura, e hai fatto una cavolata.»

«Leo lo capirà?» sussurrò Will.

Hazel tacque, continuando a cullarlo. A quello non sapeva dare una risposta.

 

Leo si addormentò addosso alla sorella, che lo stese nel letto, restandogli vicino, stringendolo. Aveva paura che si svegliasse da solo e che si mettesse ad urlare non vedendola. Si chiese come potesse superare un trauma del genere.

Il proprio ragazzo, dolce e adorabile e a volte imbranato, che all'improvviso si trasforma in un mostro... Come si poteva cambiare così tanto in così poco tempo? Come si poteva perdonare un uomo del genere?

Nina prese il cellulare e scrisse a Butch per controllare se l'avesse visto, poi scrisse un messaggio a Will.

Avvicinati ancora a mio fratello e sei un uomo morto.

Lo inviò. Se poi Leo se la sarebbe presa con lei, a Nina non importava.

 

Quasi dopo mezz'ora dall'arrivo di Will, Hazel lo mandò a farsi una doccia. Il figlio di Apollo continuava ad avere brividi di freddo, e Hazel non aveva intenzione di vederlo morire congelato, sebbene quello che avesse fatto al suo vecchio amico.

Will le aveva messo il cellulare sul letto, insieme alle chiavi e al cercapersone, e quando squillò all'arrivo del messaggio di Nina, Hazel lo lesse. E poi lo cancellò. Will era abbastanza turbato di suo, non voleva che lo fosse ancora di più.

Gli preparò una tazza di tè, con dei biscotti al burro. Cercò dei vecchi vestiti di Frank nei cassetti. Per fortuna, Will e Frank avevano quasi la stessa taglia. Will era più snello, ma i pantaloni erano elastici.

Hazel gli portò i vestiti in bagno, dando anche una controllata all'amico. Non era minimamente curiosa per la sua nudità, voleva solo sincerarsi che Will non si stesse uccidendo nella sua doccia. Non voleva mettersi a trascinarlo tutto da sola per la cabina.

Quando Will si vestì e andò n cucina, Hazel lo controllò per bene in viso. Aveva le occhiaie, come se non dormisse da giorni, la pelle pallida per quanto potesse essere una carnagione perfettamente abbronzata, e il solito sorriso che lei ben conosceva era scomparso, sostituito da una durezza delle labbra che la fece preoccupare. Dov'era finito l'allegro Will?

Il figlio di Apollo che aveva davanti bevve il tè, mangiucchiando qualche biscotto senza appetito. Poi, in silenzio, si sedette sul divano, le gambe piegate sotto il sedere, gli occhi puntati sulla parete. Nella cabina di Ade non c'era la televisione. Ad Hazel non piaceva granché quella enorme figura nera che sembrava osservarti e seguire ogni tua mossa. Adorava leggere, e la libreria era piena di libri. Ne aveva portati a decine dal Campo Giove. Suo fratello le aveva regalato un pc, per aggiornarsi sulle continue novità del 21° secolo, e ogni tanto la parte debole di Hazel la convinceva ad aprirlo. Rimaneva sempre scioccata dalle mille facilitazioni che gli umani si erano creati attorno a loro. Con un semplice click, ora si poteva acquistare qualsiasi cosa, restando comodamente seduti sul proprio divano, in pigiama.

Hazel riordinò tutto, poi andò a sedersi vicino a Will. Dopo qualche minuto lui si stese, posandole la testa sul grembo. Incrociarono gli occhi. Hazel si vide riflettere in quelli blu. Cosa aveva il suo migliore amico?

«Mi odierà, vero?» sussurrò Will, e Hazel si limitò ad accarezzargli la guancia, senza rispondere. Will si addormentò qualche minuto più tardi.

 

***

 

Erano passati tre giorni dall'ultima volta in cui aveva visto Will. Gli mancava, ma al tempo stesso era felice di esserne distante. Non aveva la minima idea di dove fosse, se al bunker 9 o alla cabina 7 o in infermeria. Sapeva solo che non lo aveva ancora cercato.

Leo si sedette sul letto di Connor, guardandosi attorno. James era felice di poter dormire con la sua amica Lily, ed era perennemente felice, con il sorriso sulle labbra, come se fosse un figlio di Apollo. A Leo ricordava molto Will quando faceva così. Al Will prima che tentasse di violentarlo contro un albero, dopo un attacco folle di gelosia.

Con un sospiro, Leo si sdraiò sul letto, e si sfiorò le labbra. Negli ultimi giorni aveva cercato di non pensare a Will e a quello che aveva tentato di fargli. Un figlio di Ermes, Cody, gli aveva insegnato a scassinare le serrature con un ago e una forcina per capelli. In cambio, Leo gli aveva riparato la presa elettrica della televisione, e lo aveva aiutato a mettere il borotalco nel phon. Le urla isteriche di una ragazza avevano fatto sorridere Leo, il primo sorriso naturale dopo due giorni orribili.

Leo aveva giocato anche con Lily e James, e non aveva detto niente quando la bambina aveva fatto mettere a James un vestitino rosso. Forse era rimasto zitto per il colore.

A tutti i pasti del giorno, Nina compariva puntuale e facevano colazione insieme, parlando della fucina. Butch non aveva ancora visto Will da nessuna parte, e aveva preferito non fare domande. I figli di Apollo non sembravano allarmati dall'assenza del fratello in infermeria, e neanche loro avevano fatto domande. Probabilmente lo immaginavano chiuso nel bunker con Leo.

Solo i figli di Ermes sapevano che non era possibile, ma preferivano restare in silenzio. Nina li aveva minacciati di bruciar loro le sopracciglia, e i figli di Ermes adoravano le loro sopracciglia. Era facile comprare il silenzio.

Leo si rigirò tra le coperte, mordendo il cuscino, gli occhi puntati sul muro. Nina e Travis erano andati al bunker a prendergli dei vestiti, e non avevano visto Will. Dov'era finito? Possibile che non intendesse nemmeno chiedergli scusa?

Ma dopotutto anche Leo aveva qualcosa di cui scusarsi. Secondo Nina, loro due dovevano lasciarsi. Non era fattibile restare insieme dopo un fatto del genere, e Leo non sarebbe stata una donnetta paurosa che avrebbe fatto di tutto per il suo amore, anche perdonarlo. Nina diceva che da un quasi tentativo di stupro poteva arrivare un tentativo di omicidio, o un omicidio e basta, se Leo non avesse avuto la prontezza di difendersi.

Il che era impensabile. Will Solace che combinava cose del genere... era impensabile. Ma qualcosa aveva tentato di farlo.

Leo chiuse gli occhi, tenendo un dito sulle labbra, inspirando profondamente. La gelosia di Will l'aveva sconvolto, e si era ritrovato a fare qualcosa che non aveva mai pensato di rifare, un errore di cui si pentiva a distanza di ventiquattro ore.

La sera prima, Calipso era entrata in cabina alla ricerca di James. Sapeva che il bambino era lì. Avevano giocato un po' insieme, sotto lo sguardo iperprotettivo di Nina, poi Calipso era passata a salutare Leo. Il figlio le aveva detto che il papà si trovava nell'altra stanza, e Calipso non era riuscita a trattenersi dall'andare a trovarlo, chiedendosi come mai non fosse con Will.

Leo si era ritrovato a parlare anche con lei. Odiava la sua vulnerabilità, che lo spingeva a parlare con più persone possibili. Un po' gli piaceva sentirsi dire che scappare e bruciarlo erano stati la scelta più saggia. Non gli piaceva sapere di aver fatto del male a Will, anche se questo aveva cominciato.

Calipso gli aveva detto qualche parola di conforto, e si era anche scusata per tutto quanto. Pensava che fosse colpa sua, e non aveva torto. Se Will non fosse stato geloso di lei, forse non si sarebbe spinto a cercare segni di lei sul corpo del suo fidanzato, non trovando nulla, sembrando solo un pazzo. Leo aveva scosso la testa, dando prima la colpa a sé stesso, poi a Will, poi di nuovo a sé stesso. Avrebbe dovuto fare più attenzione.

«Pensi che voglia fare anche del male a James?» aveva chiesto Calipso, quasi esitante, e Leo chiuse gli occhi al ricordo. Si sentiva una merda per come aveva risposto.

«Può darsi. Potrebbe piacergli ferire le persone che lo circondano, che lo amano. Sto tenendo James qui al sicuro. Non voglio che lo veda.»

«E come spiegherai a James tutto questo?»

«Gli dirò che Will se n'è andato. E capirà. Con te ha capito.»

Calipso gli era sembrata nervosa, ma anche sicura di sé, mentre diceva «Ma ora io sono qui.»

«Lo so, e ti ringrazio per questo.» aveva sussurrato Leo, prima di avvicinarsi a lei e baciarla. Calipso aveva risposto sorpresa, e dopo un minuto, mentre i loro corpi reagivano a quel contatto, Calipso si era alzata in piedi borbottando ed era uscita di corsa.

Leo chiuse ancora gli occhi, maledicendosi sottovoce. Perché l'aveva fatto? Tra tutte le persone che poteva baciare... maschi e femmine... perché proprio lei?

Anche se doveva ammettere che non era attratto dai ragazzi. Aveva visto diversi figli di Ermes nudi da quando si trovava lì – ed erano passati solo tre giorni – e nessuno di questi, sebbene i loro corpi fossero strabilianti quanto quelli di Will, gli suscitava una qualche reazione. Non provava alcuna voglia improvvisa di saltare loro addosso. Ma se pensava al corpo di Will... era tutta un'altra faccenda.

Leo fu sul punto di spalancare tutti i cassetti, e scoprire tutti i segreti di Connor Stoll – da quanto Travis sapeva, in quel momento si trovava in Giappone – quando bussarono alla porta, e fece capolino la faccia di Butch.

«Ehi, Valdez. C'è Solace alla porta, ha chiesto di vederti.»

 

Prima di trovarsi davanti alla cabina di Ermes, Will aveva bussato alla cabina di Efesto. Non immaginava che il suo ragazzo fosse nella cabina di Ermes, né tanto meno che ad aprirgli fosse il figlio di Iride.

«Sto cercando Leo...» mormorò Will, guardando l'altro, che lo sondò con lo sguardo.

«E cosa vorresti da Leo?» sbottò Butch, incrociando le braccia, mostrando i bicipiti e il tatuaggio dell'arcobaleno, simbolo di sua madre.

«Ho bisogno di parlargli.»

«Te lo vado a chiamare... ma se provi a toccarlo un'altra volta, non parlerai più per molto tempo.» aggiunse Butch, prima di chiudere la porta.

Will non si sentì minimamente preoccupato per la minaccia. Arretrò di qualche passo. Non voleva spaventare Leo, che se lo sarebbe trovato di fronte all'improvviso dopo tre giorni.

Will si passò le dita tra i capelli, scompigliandoli e buttandoli all'indietro. Negli ultimi tre giorni, nella cabina di Hazel, e grazie al suo aiuto, si era riposato. Aveva avuto diversi incubi riguardo quel mattino con Leo, ma con l'aiuto dell'amica era riuscito a superarli. Hazel l'aveva guardato anche in modo strano dopo uno degli incubi, e Will si era chiuso nell'altra stanza stando un po' per i fatti suoi.

Ma era strano stare nella cabina di Ade. E lo era ancora di più stare nel letto di Nico a pensare a quello che aveva fatto a Leo, sapendo bene cosa avesse cercato di fare proprio su quel letto, a Nico.

E ancora cercava di convincersi che non fosse un mostro.

Quando la porta della cabina di Ermes si spalancò, Will tornò al presente. Guardò Leo con attenzione. In tre giorni si era fatto più bello, e l'impulso di andare da lui, e stringerlo, e chiedergli di dimenticare si fece più forte. Will mise la mano in tasca, conficcando nel palmo una piccola gemma che Hazel gli aveva dato prima di uscire. Non ricordava più a cosa servisse, forse perché non stava facendo effetto.

«Parlerete, ma io sarò nei paraggi.» disse Butch, mettendosi tra di loro. «E possiamo andare a parlare qui dietro la cabina. Non c'è nessuno.»

Will annuì e, visto che nessuno dei due si muoveva, si incamminò per primo. Dietro la cabina di Ermes c'era un tavolo da ping pong. Will lo oltrepassò, e si fermò dopo pochi passi.

Leo lo seguì, appoggiandosi al tavolino, restando lontano da lui di qualche metro. Butch, invece, si appoggiò contro la cabina, abbastanza distante per non origliare, ma abbastanza vicino per accorrere nel caso fosse servito.

 

Leo incrociò gli occhi di Will, e si sentì stringere lo stomaco. Non erano bui come quando li aveva visti nella foresta. Avevano tutto il loro colore, ma erano tristi. Forse perché lo vedeva distaccato. Con uno sforzo, Leo incrociò le braccia al petto, spostando lo sguardo.

«Sono qui. Avanti, ora parla.» mormorò Leo, misurando la durezza della propria voce.

Will fu sul punto di chiedergli di guardarlo, ma si trattenne. Non voleva aizzarsi il cane che stava appostato lì dietro.

Con un sospiro, Will cercò di dare un senso alle parole che gli affollavano la mente, poi aprì bocca.

«Mi dispiace.» disse, cercando di fare un respiro profondo, gli occhi puntati su Leo. Anche se lui non voleva guardarlo, Will non gli avrebbe staccato gli occhi di dosso. «Non ti mento dicendo che non so cosa mi sia preso. Il momento prima ero sotto la doccia, e quello dopo ero fuori, con la mano bruciata, e tu che mi gridavi addosso.»

«Vuoi che ti scusi dando tutta la colpa alla sindrome bipolare?» sbottò Leo, scoccandogli un'occhiataccia, e sentì il cuore battergli forte, mentre quelle reazioni che non gli venivano spontanee con i figli di Ermes, con Will erano del tutto naturali.

«No... Non è sindrome bipolare, non so cosa sia. So solamente che ti ho fatto del male, e me ne pento, me ne vergogno...»

«Se ti penti e te ne vergogni, perché non sei venuto prima?» esclamò Leo, con voce tremante. «Dovevi venire da me, subito, senza aspettare...»

«Non mi avresti mai guardato, né parlato, se fossi venuto da te. So che sembra assurdo, ma ho aspettato questi giorni per te. Prima di rivedermi, dovevi...»

«Dovevo piangere pensando che il mio ragazzo sia un farabutto, uno stronzo, un pazzo psicopatico? Se era questo il tuo intento, sappi che ci ho pensato.»

E aveva anche pensato che Will gli mancava da morire. E che non gli importava di quello che diceva Nina: voleva tornare con lui.

«No, dovevi... superarlo. Senza di me.»

«Tre giorni non sono sufficienti per superare che il tuo ragazzo ha tentato... ha provato di... Non riesco nemmeno a dirlo, cazzo.» Leo tirò un calcio ad un sassolino, e Will fece un piccolo passo in avanti.

«Mi dispiace tanto.» ripeté Will, con un groppo in gola. «La gelosia, e il tormento di non sapere se fidarmi di te riguardo Calipso, mi hanno dato alla testa, e mi hanno fatto impazzire. Ti chiedo scusa, non intendo ferirti, farti del male, e fare qualsiasi altra cosa io abbia fatto.»

«Se non ti fidi di me, allora perché io dovrei fidarmi di te? Perché dovrei accettare le tue scuse? Potresti benissimo rifarlo.»

«No, non potrei mai. Non potrei mai rifare una cosa del genere. Dammi solo un'altra possibilità, fammi restare al tuo fianco, fammi...»

«Will...» Leo scosse la testa. Gli occhi gli pizzicavano. «Non so se potrò farlo. Una seconda possibilità... Non mi hai tradito. Non hai dimenticato un anniversario. Non hai bruciato la casa. Mi hai fatto del male. Hai tentato di... usare violenza su di me. Forse uno schiaffo, un pugno, avrebbero fatto meno male di questo. Come potrò passare le notti a guardarti dormire, non sapendo se non proverai di nuovo a forzare la mano su di me? Come potrò essere sicuro che non lo farai ancora, e magari sarò troppo intontito per potermi difendere?»

«Se pensi a questo...»

«Devo pensare a questo, Will! Mi hai ferito, mi hai fatto qualcosa!»

Will annuì lentamente. «Tu non vuoi perdonarmi, vero?» mormorò.

Leo esitò. «Non dico questo.»

«Io ti amo, Leo, con tutto me stesso.»

«So che mi ami, perché ti amo anch'io. Ma... questo non è un semplice sbaglio, o un errore. Questo è peggio, Will, peggio di qualsiasi cosa tu potessi fare, o che potessi fare io. Ti rendi conto che è peggiore della siringa, o dei tuoi pensieri malati su me e Calipso in spiaggia?»

«Lo so... Mi sono comportato proprio come un coglione. E so che è egoistico chiederti di darmi un'altra chance. So di averle bruciate tutte. Ma voglio chiederti di perdonarmi. Non sono così imbecille da sperare che tu mi perdoni ora, su due piedi. Ma puoi farlo un domani. Tra un mese, tra un anno. Ti chiedo solo di perdonarmi.»

Leo strinse la mano a pugno, ma non sarebbe riuscito a colpire nessuno per quanto stava tremando. Cercò di tenere la voce ferma, sebbene una lacrima gli rigasse la guancia. «Tra tutte le cose che potevi fare, hai scelto la più imperdonabile. Tu perdoneresti Marcelus per quello che ti ha fatto?»

Will scosse la testa, e nel vedere le lacrime di Leo, anche le sue abbandonarono gli occhi. «Ma io sono diverso da Marcelus...»

«Perché ti ho fermato! Altrimenti...»

«No, Leo, non per questo. Io sono la stessa persona che amavi la settimana scorsa...»

«No, ti sbagli. Sei cambiato, in una sola settimana. E non sei cambiato in meglio.»

«Mi odi?»

«Forse.»

«E l'odio è più forte dell'amore che provi per me?»

Leo si asciugò con furia le guance, guardandosi le mani bagnate. «Smettila di fare queste domande.»

«Scusami.»

«Non so se riuscirò mai a perdonarti.»

«Allora, se non vuoi perdonarmi, continuerò a chiederti scusa, e a dispiacermi per quanto ti ho fatto. E continuerò ad amarti anche se non dovessi perdonarmi mai.»

Leo voleva solo crollare a terra, e versare ogni lacrima che aveva in corpo.

«Se mi ami ancora, torna con me.» sussurrò Will, facendo un altro passo, e Leo lo guardò. «Farò tutto quello che desideri. Per me sei importante, e continuerai ad esserlo anche se non mi vorrai più. Se sarà questa la tua scelta, non interferirò con la tua vita, mi terrò alla larga da te e da Jam. Sei un ragazzo d'oro, e se io non posso essere il meglio per te, spero che troverai qualcuno migliore di me.»

Migliore di te... è impossibile, pensò Leo, affranto. Desiderava davvero corrergli tra le braccia, e baciarlo, ma al solo pensiero di farsi toccare da lui, gli si strinse il cuore. Aveva paura che gli facesse male, nonostante la presenza di Butch alle sue spalle.

«Anche tu sei stato speciale.» mormorò Leo, guardandolo. «Mi hai fatto capire che potevo tornare ad amare anche con un figlio. Mi hai fatto sentire una persona speciale, importante, e solo perché stavo al tuo fianco. Con te mi sono preso certe libertà che non mi sono mai sognato con Calipso. Ti ho amato con ogni cellula del mio corpo, ma tornare con te, ora, subito, mi fa girare la testa, e non in senso positivo. Come posso portarti ancora nella cabina di Efesto, o solo nel bunker, se ho paura a stare solo con te? Questa... è una cosa orribile. Forse un giorno ti perdonerò, ma questo è un giorno lontano.»

«Così lontano?» mormorò Will, triste come l'altro non lo aveva mai visto.

«Può darsi. Perché lo vuoi sapere? Vuoi segnarti la data sul calendario?»

«No. Voglio solo essere sicuro che tu mi perdonerai prima che... be', le nostre date di scadenza sono molto diverse.»

Leo ricordò che a differenza sua, Will poteva morire, era un mortale. Mentre lui sarebbe vissuto per sempre...

«Ecco, mi hai rovinato l'immortalità.» disse piano Leo. «Sarò costretto per sempre a ricordare questo fatto, e te.»

Will si morse il labbro. «Non ti ho rovinato nulla. Un giorno ripenserai alla nostra storia, e quell'unico momento di merda spero non sarà in rilievo.»

Leo sussultò leggermente. La nostra storia. Si erano già lasciati.

Will abbassò lo sguardo, mettendosi la mano in tasca, poi lo guardò di nuovo.

«È finita, no?» mormorò.

Leo annuì lentamente. «Sì, è finita... Ieri sera ho baciato Calipso.»

Quest'ultima frase gli uscì dalle labbra senza farlo apposta, forse per smorzare il dolore della prima. Davanti a lui, Will sussultò, e Leo si sentì uno schifo, anche se non ne capì il motivo.

«Capisco.» disse infine Will, a fatica.

«Cosa capisci?» Leo lo guardò. Lui non stava capendo niente di quella storia.

«Il motivo per cui l'hai baciata.»

«E quale sarebbe questo motivo?»

«Tra me e lei, sono stato io ad averti fatto più male. E mentre tu soffrivi per quello che ti avevo fatto, lei era lì, al tuo fianco.»

Leo lo guardò in silenzio, senza dire nulla.

«Se non abbiamo più nulla da dirci...» mormorò Will, facendo un altro passo, e allungando la mano verso di lui.

A quel movimento, Leo lanciò un grido e si tirò di scatto indietro. Will sgranò gli occhi, arretrando di un passo anche lui, e Butch accorse tra di loro.

«Non toccarlo.» ringhiò Butch, puntandogli il dito al petto.

«Volevo solo stringergli la mano.» si difese Will.

«Per colpa tua, non riesco a pensare di fare nemmeno questo con te.» disse Leo, e gli diede le spalle, andando verso la cabina. Sentiva le gambe molli, e prima di arrivare alla cabina si ritrovò con le lacrime agli occhi.

Sentì dei passi alle sue spalle, e la voce di Will. «Ti amerò sempre, Leo Valdez.»

«Forse anch'io.» sussurrò piano Leo, con le lacrime agli occhi, prima di entrare nella cabina di Ermes, seguito da un Butch piuttosto silenzioso.

Avviso Scusate per questo capitolo messo così in ritardo... riprenderò a pubblicare la seconda parte dal primo maggio, ogni dieci giorni :) Spero vi sia piaciuto questo ultimo capitolo della prima parte! Debby_

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Capitolo 36
*** 50/51. In spiaggia (Seconda parte) ***


«Papà, sei sveglio? Andiamo in spiaggia?»

La voce squillante del figlio lo fece sussultare. Leo si girò tra le coperte, scoprendo che era attorcigliato in mezzo a queste, e quando fece capolino fuori, il piccolo rise.

«Cosa?» mormorò Leo, con voce impastata dal sonno, e la testa dolente.

«Papà, andiamo in spiaggia?» ripeté James, sorridendo.

«Mmh... Che ore sono?»

«Quasi le dieci.»

Leo evitò di commentare – per lui era ancora troppo presto – e scese dal letto, passandosi le dita tra i capelli. Guardò il figlio, che con il cappellino in testa e il costume verde da bagno, era senz'altro pronto per la spiaggia.

«Certo che andiamo.» annuì Leo, posandosi una mano sulla guancia, mentre gli effetti della serata con Travis Stoll si facevano sentire con un dolore martellante alla testa e la gola secca, arida.

«Mamma ha detto di darti questo appena ti fossi svegliato.»

Leo tese la mano mentre il figlio gli porgeva una pillola anti-sbronza inventata da un figlio di Apollo, e un bicchiere d'acqua. Leo la prese grato, e la portò subito alla bocca.

«Ti aspetto fuori. Metti il costume, papà!» esclamò James, ridendo, uscendo fuori dalla camera.

Leo bevve un sorso d'acqua, ingoiando la pillola e chiuse gli occhi, in attesa che facesse effetto. Guardò il letto. Le coperte erano appallottolate nel punto in cui lui prima dormiva. Si era agitato molto quella notte. Su uno dei cuscini gettati a terra, Leo notò un post-it rosso. I post-it gli facevano venire in mente il suo unico ex ragazzo, ma Calipso continuava ad usarli, infischiandosene del suo stato d'animo.

Leo si avvicinò al post-it e lo prese. Torno per cena, non fate scoppiare la casa, Cal. Leo sospirò. E ora dove era andata a finire? Aveva sempre decine di cose da fare, più importanti di passare una mattina tutti insieme, come una vera famiglia.

Leo fu tentato di riordinare, ma per fortuna la pillola fece effetto e il mal di testa scomparve. Ah, doveva seriamente costruire una statua per quel figlio di Apollo. Prese uno dei suoi costumi dal cassetto e lo indossò, poi uscì dalla stanza, trovando il figlio fermo davanti la porta di casa, che saltellava impaziente, con una borsa ai suoi piedi.

«L'ha preparata la mamma.» disse il bambino, porgendogli una tazza di caffè. «Ci sono gli asciugamani, i nostri vestiti, il secchiello e la paletta, e anche dei panini se vuoi pranzare in spiaggia.»

Leo sorrise bevendo il caffè. Erano quelle piccole cose che Calipso faceva che gli ricordavano il motivo per cui era tornato con lei. Finì il caffè in fretta, prese la borsa e strinse la mano del figlio, uscendo dalla proprietà, diretto alla spiaggia.

 

Nonostante il bacio che le aveva dato ai termini della sua relazione con Will, Leo non si era mai aspettato che un giorno sarebbe tornato insieme a lei. Riprendere i rapporti con la sua ex era un conto, un altro era costruire una piccola casa per loro, al Campo, e viverci tutti insieme come una famiglia.

Dopo che Will aveva lasciato il Campo Mezzosangue, Leo aveva passato diversi mesi a cercare di riprendersi dalla rottura. Aveva amato Will, forse più di Calipso perché ormai sapeva cosa significava amare. Lo aveva amato con tutto sé stesso, e dopo che se n'era andato si era trovato un grande vuoto nel petto, un vuoto che non poteva essere colmato.

Forse era proprio quel vuoto che lo aveva spinto quasi tutte le sere con Travis al bar in città, mentre Miranda controllava James. Una settimana dopo la rottura, Leo ricordava vagamente di essere salito sul bancone con una caraffa di birra e di aver urlato «VIVA LE POPPE!» con Travis e altri che ruggivano la loro approvazione. Ricordava ancora di più quando si era svuotato la caraffa di birra in testa, e ancora di più quando un gruppo di operai avevano fatto a pugni per offrirgli da bere.

Era stato proprio quell'episodio a far stringere a Leo e a Travis Stoll una salda amicizia. Bevevano quasi tutte le sere, uno confortando l'altro, e a volte Travis tirava fuori uno spinello dalla tasca. Al principio Leo lo guardava torvo, ma dopo la terza volta se lo fece passare.

Non era eroina, e visto che era sera non si sentiva in colpa per James. Finalmente, dopo anni, riaveva i suoi genitori presenti, anche se non stavano molto insieme. Leo si limitava a fare qualche tiro, sballarsi un po', e basta. Tornava in cabina a dormire, e il mattino dopo andava a prendere James da Miranda.

Nel passare dei mesi, Leo iniziò a fidarsi sempre un po' di più di Calipso, e una sera le lasciò portare James alla Casa Grande per una notte. James si divertiva spesso a dormire fuori di casa, sia con la sua amica Lily, sia con sua madre.

Una sera, Leo era andato da Calipso alla Casa Grande per parlare, lasciando James alle cure di Sam, un'altra sorella di Miranda, che si occupava anche della nipotina. Avevano parlato del figlio, su come intendevano continuare a crescerlo, poi Calipso gli si era avvicinata sorridendo, e Leo l'aveva baciata una seconda volta, senza pensarci.

Si erano ritrovati a letto, spinti da una passione ad entrambi sconosciuta, una fiamma che non si spense nemmeno quando si ritrovarono l'una nelle braccia dell'altro. Non parlarono, temevano entrambi di rovinare il momento, e Leo era rimasto con lei fino al mattino successivo. Si era rivestito, lanciandole un'occhiata e dandole un lieve bacio sulle labbra, salutandola.

Dopo quel giorno, Leo e Calipso avevano iniziato a fare più cose insieme da genitori. Portavano James al parco in città, sconfiggevano i mostri, andavano a pranzo tutti insieme, oppure al cinema, alle sale giochi, una volta anche al lago. Leo non voleva dare false speranze al bambino, ma stare con Calipso gli piaceva, lo faceva stare bene. Poche settimane dopo, avevano deciso di riprovarci, ed erano andati a vivere insieme, come una famiglia.

 

Leo puntò gli occhi sulla schiena del figlio, che gli aveva lasciato la mano per correre sulla spiaggia. Lo guardò mentre batteva i piedi, lanciando sabbia, facendo attenzione agli altri semidei già presenti. Leo salutò alcuni amici, e si sedette, guardando il figlio sorridendo, così fiero di lui.

Suo figlio aveva trascorso un lungo periodo sempre imbronciato, triste, un po' scontroso, e forse solo la presenza di nuovo costante della madre lo aveva reso di nuovo felice. Ora, guardandolo correre sula sabbia, Leo sospirò di gioia, e cercò di scacciare un brutto ricordo che tentava di riaffiorare.

 

«Papà?» domandò James, mentre Leo gli rimboccava le coperte con lo sguardo vuoto.

«Sì, mijo?» domandò Leo, fermandosi, e guardandolo.

«Dov'è papà Will?»

Quella domanda gli strinse il cuore... Il figlio di Efesto si limitò a rimboccargli di nuovo le coperte, e a dargli un bacio sulla fronte, senza sapere bene come rispondere, come spiegarglielo.

«Papà Will andato via?» chiese James, ad un certo punto, e Leo sussultò leggermente.

«Tu... come fai a saperlo?» sussurrò Leo, mentre James si districava a fatica dalle coperte e si metteva seduto.

«Io capito solo. Tu triste, papà Will no qui... Lui andato via.»

Leo annuì piano, guardingo, ma non era comunque pronto alle lacrime del figlio.

«Papà Will no salutato me.» singhiozzò James, e Leo gli passò un braccio attorno, stringendolo a sé. «Lui no voleva bene me.»

«Oh no, piccolo.» Leo non capì perché stava aprendo bocca per difenderlo. «Ti voleva molto bene.»

«Allora pecché no detto niente me?»

Leo gli baciò la fronte. «Forse non voleva vederti triste.»

«Ma io triste ora, e lui no qui.»

«Lo so, mijo... Ma ci sono io qui con te, e io non me ne andrò mai.»

James aveva annuito contro il suo petto, e aveva continuato a piangere fino ad addormentarsi. Leo si era fatto spazio nel letto con lui, e lo aveva stretto tutta la notte, prevenendo possibili incubi, e quando si ritrovò anche lui in lacrime le scacciò via con rabbia.

 

«Papà!»

Leo ritornò alla realtà, e guardò il figlio che gli correva incontro. Aveva la faccia arrossata, e Leo aprì subito la borsa alla ricerca della crema solare. Lui non si bruciava al sole, ma non sapeva se il figlio avesse preso quella sua stessa capacità, e non voleva rischiare.

«Vieni qui.» disse, indicando il punto.

James obbedì, anche se un po' contrariato. Iniziò a spalmargli la crema sul volto, e sulle braccia.

«Vuoi fare un castello?» chiese Leo, lanciandogli un'occhiata.

James si guardava attorno, imbarazzato. Doveva vergognarsi del padre che gli spalmava la crema solare. Leo ricordò quando uscivano in spiaggia con Will. Era sempre lui ad occuparsi della crema, ma James all'epoca era più piccolo.

«No, il castello no.» disse James, tenendo la testa girata. «Ho visto un bambino laggiù.»

Indicò un punto, e Leo seguì il dito. Un bambino dall'età di James stava costruendo un castello di sabbia, ma era gigantesco, ed era da solo.

«Vuoi andare a giocare con lui?» chiese Leo. Suo figlio era molto espansivo. Non poteva sopportare la vista di un bambino che giocava da solo.

James annuì, lanciandogli un'occhiata. «Ti va bene papà?» chiese.

«Sì. Ma verrò anch'io. Starò in disparte. Lui è solo, e qualcuno dovrà tenervi d'occhio.»

«Ma io sono grande.» disse James, gonfiando le guance, facendo il broncio.

Leo gli mise un altro baffo di crema sul naso, sorridendo. «Ne riparleremo tra cinque o sei anni.»

James sbuffò forte, e si spalmò meglio la crema sul naso. Leo ridacchiò, guardando il figlio con dolcezza, e un altro ricordo gli riaffiorò la mente.

 

«Glielo diciamo?» gli chiese Calipso, torcendosi una ciocca di capelli, guardando il figlio nel giardino che giocava con un piccolo robot.

«Credo che sia ora.» ammise Leo, passandosi le dita tra i capelli, guardandola. «Questa è una cosa che avremmo dovuto dirgli tempo fa.»

Calipso annuì, e uscì per prima in giardino. Leo la seguì quasi subito, e insieme si sedettero davanti a James, sporcandosi pantaloni e vestito di terra.

James alzò lentamente gli occhi scuri e intelligenti su di loro. «Se dovete dirmi che siete tornati insieme... perdete tempo.» disse, alzando le braccia del robot.

I due si lanciarono una rapida occhiata, poi Leo tossicchiò. «Come fai a saperlo, mijo?»

«Me lo ha detto Lily. Che l'ha saputo da zio Travis. Che penso abbia saputo da te.»

Leo sospirò, mentre Calipso ridacchiava.

«Allora è vero?» James li fissò. «Voi di nuovo insieme?»

«Sì, piccolo, ma non volevamo dirti solo questo.» Calipso lanciò un'occhiata e un sorriso fugace a Leo. «Papà ha costruito una casetta, qui al Campo, così vivremo tutti e tre insieme.»

James spalancò la bocca per la sorpresa, guardando il padre. «Davvero?!» esclamò, balzando in piedi. «Avrò una camera tutta per me?!»

«Certo che sì, piccolo!» rise Leo, e James lanciò un grido trionfante balzando addosso al padre, stringendolo forte. Poi strinse la madre, e si alzò in piedi, prendendo il robot. «Voglio vedere subito la mia camera! E anche tutta la casa!»

Leo li portò alla casa nuova. Era una sorpresa per entrambi, e fu felice nel vedere le loro espressioni sorprese. Era una semplice villetta di due piani, fuori dal colore bianco, con le tapparelle azzurre, come Calipso aveva sempre sognato. Al piano terra, c'era una cucina spaziosa, un salotto e un piccolo bagno. Al piano di sopra, due camere da letto, e un bagno. Leo era stato tentato di fare un'altra camera da letto, ma non voleva che Calipso fraintendesse.

«Papà, sembra bellissima!» esclamò James, aprendo la porta di casa.

«Spero che lo sia.» rise Leo, e il figlio scomparve dentro, correndo subito per le scale. Leo lo sentì gridare di gioia alla vista della sua camera. Il figlio di Efesto si voltò verso Calipso, che lo fissava seria.

«È bellissima.» mormorò, e Leo la prese tra le braccia.

«L'ho fatta per noi.» le rispose Leo, dandole un lieve bacio sulle labbra. «Sono felice che ti piaccia.»

Calipso lo baciò con energia, senza entrare in casa, provando sempre più amore per quel ragazzo.

 

Si pulì le mani sull'asciugamano e si alzò in piedi, mentre James sfrecciava verso il bambino da solo. Leo lo seguì, prendendo la borsa e sbadigliando leggermente. A qualche metro da loro, si fermò, stese di nuovo l'asciugamano, e guardò il ragazzino. Lui e James stavano già chiacchierando da grandi amici.

«Lui è il mio papà Leo.» disse James, indicandolo, e Leo li raggiunse.

«Ciao.» gli sorrise il bambino. Aveva gli occhi verde smeraldo, e i capelli biondo paglia. Si alzò in piedi, tendendogli la mano. «Sono Bryan Cole.»

Leo gli strinse la mano. Forse aveva qualche anno più di James. «Bryan, dov'è il tuo papà?» chiese, gentile.

«Il mio papà è sull'Olimpo.» disse Bryan sorridendo, gli occhi scintillanti, lanciando un'occhiata a James. «Il mio papà è un dio!»

«Wow! Io sono il nipote di Efesto!» esclamò James, e prima che potessero mettersi a parlottare come solo i bambini sanno fare, Leo li interruppe.

«E tua madre?»

Lo sguardo di Bryan si fece serio. «La mia mamma è morta.» disse.

«Mi dispiace. Ma sei qui da solo?»

«No, sono qui con mio fratello.»

«Chi è il tuo papà?» chiese James, saltellando felice.

«È Apollo!» esclamò Bryan, entusiasta. «Il dio della musica!»

«E tu sai cantare?»

«Sì!» Bryan lanciò un'occhiata verso l'acqua. «Lui è mio fratello!»

Leo voltò la testa, aspettandosi di vedere Angel, o Nate, o uno qualsiasi dei figli di Apollo. Invece, uno spasmo allo stomaco gli fece trattenere il respiro, mentre riconosceva la forma delle spalle e la linea degli addominali del figlio di Apollo in avvicinamento.

«Ciao.» disse Will Solace, sorridendo, fermandosi poco dietro il fratello minore, guardando prima James e poi Leo. Poi li riconobbe anche lui e sgranò gli occhi.

 

***

 

Era tornato al Campo da qualche giorno, e Will non si era mai preoccupato di incontrare Leo in mensa, o in infermeria. Suo fratello Nate gli aveva detto che era andato a vivere da un'altra parte con il figlio, e Will aveva pensato che "da un'altra parte" fosse fuori dal Campo. In qualche luogo protetto senza mostri. Invece...

Eccolo lì, davanti a lui, con indosso solo un costume rosso fuoco, e una canottiera bianca, i due tatuaggi che spiccavano sulla pelle. Aveva lo stesso aspetto di quando lo aveva lasciato, tranne per i capelli. Doveva averli tagliati.

Will non udì più nulla. Né le chiacchiere di Bryan vicino a lui, né gli schiamazzi dei semidei sulla spiaggia. Rimase a fissare Leo, imbambolato, e fu un po' felice che la reazione di Leo davanti a lui fosse la stessa.

«Lui è mio fratello maggiore.» disse Bryan, dando una pacca a Will sulla pancia, e Will abbassò lo sguardo su di lui. «Lui è James, nipote di Efesto, e lui è il suo papà Leo.»

«Sì, sì, li conosco.» mormorò Will, guardando di nuovo entrambi. Leo sembrò riprendersi dallo choc, e voltò lo sguardo. Will posò a terra il secchiello con l'acqua.

Gli occhi di Will si posarono su James. Il bambino lo guardava con espressione seria. Per un momento pensò che volesse picchiarlo quando fece un passo verso di lui.

«Perché sei andato via senza dirmi niente?» chiese, con la fronte aggrottata, e subito Leo gli posò la mano sulla spalla.

A Will colpì molto come il bambino fosse cresciuto. Ma doveva rendersene conto da solo. Erano già passati più di due anni da quando lo aveva visto per l'ultima volta.

Will spostò lo sguardo su Leo, chiedendosi cosa avesse detto al figlio. Lo sguardo di Leo era impassibile, e Will sospirò, piegandosi sulle ginocchia per essere alla stessa altezza del bambino.

«Io e il tuo papà abbiamo litigato.» ammise. «E sono andato via, dimenticandomi di salutarti.»

«Oh...» James abbassò lo sguardo. «Pensavo fossimo amici.»

«Infatti lo siamo. Mi dispiace non averti salutato.»

«Dove sei stato?» si incuriosì il piccolo.

«In Sud America, per un po'. Poi sono andato in Alaska, dove ho conosciuto Bryan, e l'ho portato al Campo.» Will passò le dita tra i capelli di James, che non si scostò. Si lasciò scompigliare i capelli, poi il bambino lo abbracciò di slancio.

Will lasciò una rapida occhiata a Leo, per vedere come la stava prendendo. Leo teneva gli occhi fissi sul figlio, e quando incrociò gli occhi azzurri del suo ex ragazzo, voltò di scatto la testa, puntando gli occhi sul mare.

«La prossima volta salutami.» disse James, lasciando Will, e tirandogli un calcio agli stinchi.

«Certo Jam, la prossima volta ti saluterò.» annuì Will, passandosi la mano sulla parte colpita.

Leo fece un sorrisino per il calcio, e si ricordò di aumentare la paghetta al figlio.

«Dai, James, ora, giochiamo.» disse Bryan, guardando l'altro bambino, che annuì. Si sedettero davanti all'immenso castello di sabbia, e James cominciò a scavare il burrone.

Will si allontanò di qualche passo, guardando il fratello minore, mentre alcuni ricordi gli attraversavano la mente.

 

Non voleva lasciare il Campo Mezzosangue, ma sapeva che sarebbe stata la cosa migliore. Per lui, per Leo. Almeno non si sarebbero più scontrati al Campo, e nessuno dei due avrebbe più invertito la rotta quando stavano per incontrarsi.

Anche Hazel gli aveva detto che era la cosa migliore da fare. Solo che non si era aspettato che la sua amica partisse con lui.

«Non c'è molto che mi lega al Campo Mezzosangue.» ammise, legandosi i capelli in una coda alta. «E voglio seguire il mio migliore amico, soprattutto ora che ha bisogno di me.»

«Grazie Hazel. Significa molto per me.»

Hazel gli prese la mano. «Lo so.»

Arrivando in città, dopo essere stato assunto in ospedale, Will cercò un appartamento. Per Hazel era la prima volta che conviveva con qualcuno, e non voleva lasciarsi sfuggire questa nuova occasione di essere come una ragazza del XXI secolo.

Le prime settimane furono tremende, soprattutto perché non avevano degli orari. Will si era preso molte ciabatte in faccia quando entrava nel bagno di primo mattino mentre c'era già l'amica. Ed Hazel aveva visto il suo terzo uomo nudo – il primo Frank, poi Percy per sbaglio – quando era rincasata un po' prima del solito e aveva guardato imbambolata il suo migliore amico uscire dal bagno nudo fino alla camera da letto.

«METTITI DEI VESTITI, SVERGOGNATO!» urlò Hazel, lanciandogli la borsa, e coprendosi gli occhi subito dopo.

«STO ANDANDO A METTERLI!» urlò a sua volta Will, chiudendosi in camera.

Per il resto della giornata non si erano più rivolti la parola, sebbene cenarono uno di fronte all'altro e guardarono alcuni episodi di una serie tv.

Il giorno seguente, molto borbottato, Hazel gli aveva domandato dove andasse a farsi la ceretta, e ora condividevano anche un nuovo posto.

Dopo cinque mesi di convivenza, Will aveva accettato il posto di chirurgo pediatrico in un ospedale in Alaska. Ma prima era stato spedito per qualche mese nel Sud America ad affinare qualche tecnica.

Sebbene titubante, Hazel lo aveva seguito anche in Alaska. Certe volte si fingevano fidanzati per ottenere gli sconti, soprattutto al ristorante. Era divertente ridere alle spalle degli altri.

In Alaska, lui era occupato in ospedale e lei lavorava come commessa in una gioielleria. A volte si incontravano raramente a casa, soprattutto a causa degli orari improvvisi di Will, e una di quelle sere in cui Will usciva tardi dall'ospedale incontrò Greg, il suo ex.

«Will Solace?» mormorò Greg, sorpreso di vederlo.

«Dei, non ci credo. Che ci fai tu qui?» balbettò Will, osservandolo.

«Sono qui per una convention... Posso offrirti da bere? O c'è qualcuno che ti aspetta a casa?» aggiunse Greg, guardandolo.

«No. A casa non mi aspetta nessuno.» disse piano Will.

I due si erano guardati, ed erano andati al bar. Ordinarono un paio di birre, e chiacchierarono di quello che era accaduto negli ultimi anni. Will si ritrovò ad evitare con cura di nominare Leo. Non voleva ritrovarsi a pensare al suo ex, per il quale sapeva ancora di provare qualcosa.

«Quanto sarà lungo il tuo soggiorno in Alaska?» domandò Greg, interessato.

«Dieci mesi. Ho firmato un contratto solo per questo periodo. Poi tornerò a New York. Tu quanto resterai per la convention?»

«Tre giorni.»

Si lanciarono un'occhiata... Capirono entrambi immediatamente dove avrebbero passato il resto dei tre giorni.

 

«Dove lo hai trovato?»

La voce di Leo lo riportò bruscamente alla realtà, e per qualche secondo Will tenne gli occhi puntati sul volto del figlio di Efesto senza rispondere.

«Allora?» disse Leo, con tono più alto, fissandolo perplesso.

«Intendi Bryan?» chiese infine Will.

«Sì, Bryan. Chi sennò?»

Will si passò le dita tra i capelli, osservando il mare, poi abbassò la voce.

«Ho incontrato sua madre, Sue, in ospedale l'anno scorso.» spiegò. «In Alaska. Non aveva nulla di serio, nulla che il mio collega è riuscito a trovare. Non ero il suo dottore, però mi ha parlato. Ha detto che somigliavo molto ad un uomo del suo passato. Le stavo dicendo che non ero di sicuro un uomo del suo passato, e lei mi ha parlato di Apollo.» Will fece un piccolo sorriso. «Mi disse che era sola, e che Bryan non aveva nessun altro oltre lei. Allora le lasciai il mio numero, in caso le fosse successo qualcosa, così avrei portato Bryan qui. Ho sempre sperato che non mi chiamasse, ma alla fine, tre mesi fa, sono andato in Alaska. Mi sono occupato del funerale, e ho preso Bryan con me.»

«Tu non potevi fare nulla per lei?»

Will scosse la testa. «È morta durante un trapianto di rene. Il suo corpo ha ceduto.»

Leo annuì, guardando il figlio e il piccolo biondo che giocavano. Li sentiva ridere, mentre continuavano a creare un burrone profondo attorno al castello.

«Da quanto sei tornato?» aggiunse Leo, guardandolo.

«Tre giorni. Ma ho passato parecchio tempo in cabina.»

«Tornerai a lavorare in infermeria?»

Will esitò. «Non subito. La prossima settimana sì.»

Leo annuì di nuovo, incrociando le braccia al petto.

Will gli lanciò un'occhiata. «Allora... tu come stai?» chiese, piano.

Il figlio di Efesto non rispose, impegnato com'era a soppesare la domanda. Cos'era meglio rispondergli? Cosa voleva dirgli? Rivederlo gli aveva suscitato delle sensazioni strane, ma nessuna di queste era orribile. Forse l'aveva superata. Forse stava cercando di non pensarci. Forse il tocco di Calipso, o il suo amore per lui, l'avevano aiutato.

«Sto bene.» disse infine Leo, senza guardarlo.

«Vivi sempre al bunker?»

Leo ebbe un brivido alla schiena al pensiero. «Non ci sono più tornato.» ammise.

«Oh.» Will si passò le dita tra i capelli, arruffandoli. Leo aveva sempre amato il bunker, e non ci era più tornato per colpa sua.

Leo si morse il labbro, mentre i pensieri vorticavano velocemente all'indietro, fino al giorno in cui era stato per l'ultima volta nel bunker.

 

Quando Leo si rese conto che nella sua cabina non aveva più molti vestiti, cercò di farsi forza. Sapeva dove poteva trovarli, ma al solo pensiero gli venne il mal di stomaco.

Uscì dalla cabina. Non voleva che i suoi fratelli lo vedessero così. Si arruffò i capelli, camminando tra le cabine, poi si fermò. Will era alla cabina di Apollo, o in infermeria, e l'ultima cosa che desiderava era incontrarlo da solo. Fu sul punto di andarsene, di tornare in cabina, quando sentì qualcuno chiamarlo.

«Ehi Leo!»

Il figlio di Efesto si voltò, riconoscendo la voce di Calipso. La guardò avvicinarsi. Indossava una canottiera, e dei pantaloncini corti, i capelli legati in una coda e scarpe da ginnastica.

«Stavi facendo jogging?» domandò Leo, alzando un sopracciglio.

«Già... Da quando sono pulita, mi piace stare in movimento.» Calipso guardò verso le cabine, non sapendo cos'altro aggiungere.

Leo annuì. Nei primi tempi anche lui aveva provato la stessa vitalità, ma per fortuna era passata.

«Cosa fai qui tutto solo?» domandò la ragazza, occhieggiando le cabine.

«Devo andare al bunker, devo riprendere le mie cose, ma ho paura di farlo.» ammise Leo. Non capì perché lasciò che le parole gli fluissero dalle labbra. Forse era a causa del bacio che si erano dati. O forse perché era l'unica ex a cui al momento poteva fidarsi.

Ed era davvero l'unica ex.

«Posso accompagnarti io, se ti va.» disse Calipso. «Non vedo quel posto da parecchio.»

«Ti avverto, l'ho modificato...»

«Non vedo l'ora di vedere le modifiche.»

Si incamminarono verso il bunker, parlando di James. Ma Leo non era molto preso dall'argomento, perché ogni passo che faceva lo portava sempre più vicino al luogo in cui Will aveva rovinato del tutto la loro relazione, il momento in cui gli aveva spezzato il cuore, il punto in cui lo avrebbe odiato per sempre.

Quando si avvicinò agli alberi, Leo si accorse di star piangendo. Per la rabbia o il dolore, non lo sapeva. A quel che gli aveva detto Steve, Will passava le giornate nella cabina di Apollo. Non si era più rifatto vedere in infermeria, si era dato malato. Sapevano tutti ormai che si erano lasciati.

Calipso finse di non vedere le lacrime, e gli prese la mano, per fargli capire che non doveva affrontarlo da solo, che lei sarebbe stata lì. Leo ricambiò leggermente la stretta per ringraziarla, e si asciugò con furia le lacrime, arrivando all'ingresso del bunker.

Una volta entrato, il cuore di Leo fece un sobbalzo: era tutto esattamente come lo aveva lasciato. Nella caffettiera c'era ancora caffè, nel lavandino le tazze sporche. Il letto era disfatto, e portava ancora i segni dei loro corpi.

Calipso gli lasciò la mano e aprì un armadio, poi lo richiuse e aprì l'altro. Prese una borsa, e Leo si avvicinò ad uno dei cassetti. Piano piano, cominciò a svuotarli, mettendo tutto nella borsa. Doveva averci fatto un incantesimo, perché Leo continuò a riempirla, e la borsa non era mai piena. Quando si trovò di fronte una delle felpe bianche di Will, il primo istinto gli disse di bruciarla, ma lui seguì il secondo. La mise con cura nella borsa. Se un giorno se ne sarebbe pentito, poteva sempre buttarla.

Mentre si guardava attorno alla ricerca di qualcos'altro, Leo vide la siringa. La rabbia lo assalì, e anche il disgusto. Per sé stesso? Forse. O solo per il modo in cui erano andate le cose per colpa di quello stupido strumento.

«Aiutami.» disse, prendendo le scatole. Calipso lo aiutò a riempire le scatole delle cose di Will. Leo gettò nella scatola una loro cornice, e non si preoccupò di sentirla rompersi. Quando ebbe riempito la scatola fino all'orlo, vi posò sopra la siringa.

«Puoi portarmi la borsa, Cal?» chiese, sollevando la scatola.

«Certo.» annuì Cal, perplessa, e lo seguì fuori dal bunker, nella foresta, fino alla cabina sette. Lo guardò posare la scatola, scribacchiare sopra "Per Solace" e lasciar cadere il biglietto assieme al resto delle cose. Calipso non disse nulla, e continuò a non parlare nemmeno quando Leo le diede una pacca amichevole sulla spalla, rientrando in fretta nella cabina nove.

 

Will stava pensando a quello stesso giorno, passandosi le dita tra i capelli, mordendosi il labbro. Non si voltò verso Leo, perché incrociare i suoi occhi avrebbe significato soffrire ancora.

 

Will aveva passato gli ultimi giorni con Hazel. Ingozzarsi di gelato e soffrire per la cazzata commessa lo avevano aiutato ad aprire gli occhi. Doveva andare avanti, o almeno smetterla di piangersi addosso. La colpa era sua, e lo sarebbe sempre stata. Continuare a pensarci non gli avrebbe fatto bene, né a lui, né alla sua amica.

«Passo in cabina a prendere il costume da bagno.» disse Will, mettendo via il gelato, e alzandosi in piedi.

«Costume da bagno?» ripeté Hazel, aggrottando la fronte, incredula. Possibile che il suo amico volesse uscire dalla cabina? «A che ti serve?»

«Serve per non beccarmi una denuncia in spiaggia. Non tutti sono abituati alla mia nudità.» Will si infilò una felpa di Frank, chiudendola fino al mento, e infilandosi le dita in tasca, toccando qualcosa. Per un secondo pensò che fosse una siringa, e gli vennero i sudori freddi. Ma poi scoprì che era l'involucro di un preservativo, e si trattenne dal gettare un'occhiata divertita all'amica.

Andarono verso la cabina 7, parlottando piano sulla possibilità di Hazel di imparare a fare surf senza spiaccicarsi su una roccia. Will stava per salire i gradini, quando notò la scatola, e il suo nome scritto. Si incuriosì, e tolse il biglietto, aspettandosi di vedere scritto qualcosa dietro. Invece, a parte la siringa di Leo, non vide altro.

«Mmm...» disse Hazel, storcendo il naso. «Non penso sia una cosa molto igienica.»

Will, con il volto in fiamme, la fece cadere in terra, e la calpestò con il piede. Continuò a pestarla, fino a ridurla in polvere finissima. Quando ebbe finito, sentì la mano di Hazel sul braccio. La sua espressione da mamma non aiutò.

«Ho bisogno di andare via da qui.» mormorò Will, prendendole la mano.

«Via da qui?» ripeté Hazel.

«Via dal Campo Mezzosangue.»

Hazel lo scrutò, e annuì. «Voglio venire con te.»

Will la guardò. «Ma sono un mostro.»

«No, biondino, non lo sei.»

Il figlio di Apollo non sapeva bene come risponderle, quindi prese la scatola e la portò dentro. La svuotò sul letto, scoprendo la cornice rotta, che abbandonò all'interno di uno dei cassetti.

Il giorno seguente, assieme all'amica, lasciò il Campo Mezzosangue, e non vi tornarono per più di due anni.

 

Will sospirò leggermente a questi ricordi, e si voltò verso Leo. Gli occhi scuri erano già puntati sul suo volto. Entrambi cercarono di leggere qualcosa che non trovarono, e quando Bryan si alzò, avvicinandosi a Will e posandogli la mano sul braccio, quel momento tra di loro si spense.

«Will, dobbiamo tornare in cabina, è il compleanno di Rose.» gli ricordò Bryan.

Will annuì, abbassando lo sguardo. «Ritira le tue cose.»

«Posso lasciarle a James? Me le porterà più tardi.» sorrise Bryan, mentre James annuiva al suo fianco.

Will lanciò un'occhiata a Leo. «Certo, va bene.»

Bryan prese la borsa di tela e la passò a Will.

«Ci vediamo più tardi, o magari domani.» disse Will a Leo, mentre Bryan gli saliva sulla schiena.

«Magari domani.» ripeté Leo.

Will annuì, poco convinto dal tono di Leo, e si allontanò con il fratellino sulla schiena. Leo lo guardò allontanarsi, e si accorse in quel momento che aveva trattenuto il fiato negli ultimi minuti.

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Capitolo 37
*** 52. Di nuovo amici ***


«Abbiamo incontrato papà Will in spiaggia, con suo fratello Bryan.» sorrise James, servendosi da solo dell'acqua, e facendone cadere un po' sulla tovaglia pulita.

«Papà Will?» ripeté Calipso, con la fronte aggrottata, la forchetta sospesa a mezz'aria.

«Zio Will.» si corresse James, imbarazzato, guardando prima il padre e poi la madre. «Ha detto di aver viaggiato molto per lavoro.»

«Cosa fa, lui? L'infermiere?»

«È un dottore.» sbuffò piano Leo.

«Con il suo passato, non dovrebbe lavorare a contatto con le persone.»

Leo capì che si stava riferendo al suo quasi stupro, e si limitò a mangiare, standosene zitto. Calipso lo stava provocando per vedere se si metteva a difendere il suo ex. Ma Leo sapeva quello che voleva fare la sua ragazza, quindi rimase zitto.

«È un ottimo dottore.» lo difese James, e Leo fu grato al figlio. «Mi ha guarito dalla ferita alla fronte. E ha guarito tante volte papà.»

«E poi gli ha spezzato il cuore.» disse Cal, stizzita, bevendo un sorso d'acqua. «A che serve guarire fuori, se poi rompe dentro?»

Leo scoccò un'occhiataccia alla fidanzata, e James assunse un'aria confusa.

«Piccolo, vai a mangiare davanti alla tv, tra poco ti raggiungo.» disse Leo, e James non se lo fece ripetere due volte. Prese piatto e forchetta, il bicchiere con gli elefanti e andò a sedersi sul divano.

Appena vide che il figlio era arrivato a destinazione senza far cadere nulla, Leo scoccò un'altra occhiataccia a Calipso.

«Che ti prende?» sbottò. L'aria attorno a loro sfarfallò, e Leo immaginò che la ragazza li avesse isolati da James. Non voleva che il piccolo li sentisse litigare.

«A me? Non prende niente.»

Leo ricordò come Will aveva iniziato a comportarsi quell'ultimo giorno della loro relazione.

«Sei gelosa di lui?» disse Leo, guardingo.

«No, certo che no! Perché dovrei essere gelosa di un figlio di Apollo, che mio figlio chiama papà?»

Leo sospirò. «James è un bambino. Si è solo confuso.»

«Ah, facile dire così.»

«Cal, cosa vuoi che faccia? Che lo picchi perché si è sbagliato, e ha detto papà a Solace?»

«Voglio che non lo veda più, e che tu non gli parli.»

«Solace è tornato a vivere qui. Come posso impedire a James di vederlo?!»

«Dillo a Will, allora. Parla con lui. Minaccialo.»

Leo si alzò in piedi, stufo. «Cal, stai dicendo cose senza senso. Dovrei minacciarlo di andarsene? Questo è il suo posto quanto lo è il mio. Non posso farlo andare via da qui.»

Anche Calipso si alzò in piedi. «Potresti. Puoi sempre dirgli che hai paura di lui, di quello che potrebbe farti. Digli che non ha legami che lo tengono qua.»

«Ha un fratellino...»

«E tu una ragazza, e tuo figlio! Chi vince così?! O sei ancora innamorato di lui?»

Leo diede un pugno al tavolo, rovesciando una bottiglia. «Mi prendi per il culo?» ringhiò. «Dopo tutto quello che ho fatto nell'ultimo anno, pensi che sia ancora innamorato di lui? Se lo fossi, ora sarei con lui, non qui a litigare con te!»

Detto questo, Leo uscì di casa, sbattendo la porta, facendo tremare le pareti.

 

«Quindi quello era il tuo ragazzo?»

Will sgranò gli occhi e fissò Bryan, che sedeva sul letto con un libro in mano. «Chi ti ha detto queste cose?» brontolò Will.

«Jam, in spiaggia.» Bryan scrollò le spalle. «E sembravate sul punto di saltarvi addosso.»

Will alzò gli occhi al cielo. «Non sai di cosa parli.»

«Invece sì. Jam mi ha detto che siete stati tanto tempo insieme, vi baciavate e vi tenevate la mano addirittura! E poi tu sei andato via, e non hai salutato Jam.»

«Quante cose vi siete detti in venti minuti?» borbottò Will, finendo di sistemare i suoi libri nella libreria.

«Tante cose.» Lo sguardo di Bryan era trionfante. «Mi ha detto che tu sei gay. E ho fatto una ricerca. Ti piacciono i ragazzi.»

«Wow, che bella ricerca.» Will si trattenne dal mettersi a ridere.

«Quindi anche il papà di Jam è gay, visto che stava con te. Ma Jam mi ha detto che ora il papà sta con la sua mamma, quindi questo non lo capisco proprio.»

Will si irrigidì, guardando la copertina di un libro di medicina. «Leo sta con Calipso?» ripeté.

«Vivono tutti e tre insieme.» aggiunse Bryan. Senza saperlo, il bambino stava aprendo una vecchia ferita e la stava cospargendo di sale. «Jam è molto felice di stare con i suoi genitori, come una volta.»

Will si morse il labbro, e chiuse gli occhi. Cosa doveva aspettarsi? Forse era meglio così. Almeno Leo si era rimesso con la sua ex, la madre di suo figlio, e non aveva cercato un altro ragazzo del Campo. O un'altra ragazza. Era tornato alle origini, dal suo primo amore. Era una cosa che doveva aspettarsi, no? Era stato lui, Will, a spingere Leo tra le braccia della sua ex con il suo comportamento da pazzoide. Chiunque altro avrebbe scelto di rimettersi con la sua ex.

«Credo farò una doccia.» disse Will, andando verso il bagno. «Tu smetti di leggere, e fa cose da bambino.»

«Posso andare da Jam?» chiese Bryan, alzandosi in piedi.

«Se lo trovi alla cabina 9, vai pure.»

Bryan uscì in fretta dalla cabina, diretto alla 9, mentre Will si chiudeva sotto la doccia. Pensò che, una volta rimasto solo, avrebbe tirato calci alle cose o spaccato lo specchio, o fatto chissà cosa. Invece, sebbene si sentisse sprofondare per aver perso Leo, non ebbe desiderio di fare nessuna di queste cose. Ormai aveva perso il suo ragazzo di fuoco. L'idea lo faceva star male, ma doveva andare avanti. Non voleva mica rovinare la felicità di James per la famiglia appena ritrovata.

 

Leo tirò calci ai sassolini, cercando di calmarsi. Lui e Calipso litigavano di rado, ma quando lo facevano potevano andare avanti per ore, una volta anche per giorni. E James era rimasto a dormire da Travis ogni volta, non sospettava minimamente che i suoi genitori litigassero così tanto.

Leo notò di essere arrivato al Campo, e si appoggiò alla parete della cabina 20, senza guardare nulla in particolare. Pensava ancora a Calipso, poi a Will. Cosa avevano di sbagliato le persone che frequentava? Perché all'improvviso si trovavano gelose di lui, senza tener conto dei suoi sentimenti?

Fu sul punto di tirare un pugno alla cabina quando gli tornò in mente che lui e Will, proprio lì, in quello stesso punto, si erano baciati. Le guance gli si imporporarono, e si allontanò di scatto, sperando che i sentimenti di quella giornata non lo avvolgessero.

«Jam!»

Leo si voltò, guardando il piccolo figlio di Apollo conosciuto ore prima che correva verso la cabina Nove. Aveva l'espressione determinata e felice al tempo stesso. Lo guardò bussare, continuando a chiamare Jam ad alta voce. Quando un figlio di Efesto gli disse che Jam non era lì, Leo notò come si abbassarono di colpo le spalle del bambino. Dei, quanto somigliava a Will... Bryan fece dietrofront, e stava per tornare alla cabina 7 quando Leo, spinto da una forza invisibile, lo seguì.

«Bryan!» lo chiamò, e il piccolo si illuminò nel vederlo.

«Il papà di James!» lo salutò, sorridendo.

«Puoi chiamarmi anche solo Leo.» disse il figlio di Efesto, sorridendo. «Volevo dirti che domani mattina io e Jam saremo di nuovo in spiaggia.»

Bryan lanciò un gridolino di gioia. «Davvero?»

«Sì.»

«Allora domani mi alzo presto e vi tengo i posti. Grazie!» Bryan lo strinse, e Leo gli diede una pacca imbarazzata.

«A domani.» disse, e Bryan saltellò allegro fino alla cabina 7.

Leo lo guardò entrare, sapendo che lì dentro doveva esserci anche Will. Ebbe il desiderio di entrare, e di andare a parlare con il suo ex... ma una stretta al petto lo fece girare e tornare a casa.

Quando entrò, Calipso stava lavando i piatti, e James giocava sul divano, guardando un cartone Disney. Leo si sedette vicino al figlio, sapendo che non era lui ad aver torto, ma la sua fidanzata. Sperò che la storia non si stesse ripetendo. Prima Will geloso di Calipso... Ora Cal gelosa di Will... Non avrebbe sopportato un altro colpo del genere.

 

Il mattino dopo, Bryan si svegliò presto e buttò letteralmente giù dal letto il fratello Will per farsi accompagnare in spiaggia. Will non se la prese più di tanto. Si infilò il costume e un pantalone, e seguì il bambino trattenendo uno sbadiglio.

«Non capisco perché devo venire con te quando puoi andarci da solo...» brontolò Will, guardando il fratello davanti a lui.

«Non posso andare in spiaggia senza un adulto.» cinguettò Bryan, angelico.

«Ti do il permesso di farlo.»

«Troppo tardi. Daiii!»

Will sospirò e aumentò il passo. Pochi minuti dopo si stese sulla sabbia, abbassando gli occhiali da sole, con l'idea di fare un pisolino per riprendersi dalle poche ore di sonno della nottata appena trascorsa.

«Ciao.» salutò la voce di Leo, e Will spalancò gli occhi sotto le lenti scure.

«Jam!» esclamò Bryan, prendendo James per mano. «Ho portato la palla!»

«Siii, giochiamo!»

I bambini si allontanarono calciando la palla, e Leo rimase in piedi ad un metro da Will, senza sapere cosa fare. Il figlio di Apollo aveva indosso dei pantaloni mentre lui, di nuovo, era uscito in costume. Perché doveva sempre farsi trovare in mutande da Will?

«Siediti pure.» disse Will, mettendosi seduto a sua volta, e porgendogli degli occhiali da sole con la montatura rossa.

Leo tentennò un momento, poi li prese e si sedette, incrociando le gambe. Inforcò gli occhiali, mordendosi il labbro.

«Bryan è un bravo ragazzo.» disse Leo, dopo qualche minuto di silenzio. I due avevano tenuto gli occhi incollati sui bambini.

«Lo penso anch'io. Ha superato in fretta il trauma per la madre, ma certe notti ha ancora gli incubi.»

«Dormite in camera insieme?» si incuriosì Leo, e Will annuì.

«Sì. Quando siamo arrivati, Bryan era piuttosto titubante a dormire in stanza con qualcun altro che non fossi io, e abbiamo rimediato con una doppia. Per fortuna, lui occupa poco spazio.»

«Già. Tu ne occupi almeno il triplo, con tutti quei vestiti.»

Will gli lanciò un'occhiata, e Leo si sistemò meglio gli occhiali sul naso. Will lasciò correre. Era meglio se non sottolineava troppo il fatto che un tempo stavano insieme.

«Allora...» mormorò Will, facendo dei cerchi nella sabbia. «Cosa mi racconti?»

«Perché dovrei raccontarti proprio io qualcosa?» ribatté Leo. «Sei tu che hai fatto lo stronzo.»

«Non c'è giorno che passa in cui non me ne pento...»

«Ma al posto di riprovare, te ne sei andato.»

«Sei stato tu a fare lo stronzo.» disse Will, guardandolo.

Leo alzò gli occhiali da sole. «Quindi sono stato io a stuprarti?»

«No. Sei... Sei stato tu a farmi decidere di andarmene dal Campo, altrimenti sarei rimasto qui.»

«Ah sì? E come avrei fatto?»

Will non lo guardò. «La scatola con i miei vestiti. La nostra foto rotta. La siringa.»

«Ah già. Me n'ero dimenticato.» Leo sorrise. «Hai tenuto la siringa? Ci hai fatto un quadro?»

«Vaffanculo.» sbuffò Will, stizzito.

«Mi mandi a quel paese, ma la colpa è tutta tua. Io ho fatto solo una cosa che mi andava di fare, ovvero regalarti la mia tanto amata siringa. Cosa ne hai fatto?»

«Perché ti interessa saperlo? La vuoi usare ancora?»

Leo non pensò, e gli tirò uno schiaffo.

Per qualche minuto i due si guardarono in silenzio, poi Leo gli tirò un secondo schiaffo.

«Ti senti meglio?» sbottò Will, massaggiandosi la guancia.

Leo colpì l'altra guancia. «Ora sì.»

Will scosse la testa e Leo si stese sulla sabbia, guardando l'ombrellone in silenzio.

Quando sentì l'odore della sigaretta, Leo ebbe un sussulto e si mise seduto.

«Che fai?» disse, guardando Will portarsi la sigaretta alle labbra.

«Fumo.» rispose Will, scrollando le spalle.

«Lo vedo, idiota.» Leo gliela tolse di bocca e la spense sulla sabbia. «Non ti azzardare a riaccenderla. E da quando fumi?»

«Circa un anno, credo. E tu da quanto stai con Calipso? Da quando me ne sono andato?»

Leo lo fissò torvo. «Hai fatto domande su di me in giro?»

«No, Jam ne ha parlato a Bryan, e lui me lo ha detto. Avrei preferito che non l'avesse fatto.»

«Speravi che fossi ancora a letto a piangere per te?»

«No. Speravo che fossi andato avanti, ma non con la tua ex.»

«È la madre di mio figlio.» disse, guardando il biondo. «E ho scoperto di amarla ancora. Buffo, non trovi? Se tu non avessi fatto lo stronzo, forse staremo ancora insieme. Oppure, ti avrei tradito veramente con lei, e ora come ora, per come sono andate le cose tra di noi... avrei voluto baciarla in spiaggia, almeno in tuo comportamento da checca isterica psicopatica avrebbe avuto un senso.»

Will giocherellò con il pacchetto di sigarette che teneva in mano, poi lo nascose di nuovo nella tasca. Alzò lo sguardo su di lui.

«Mi dispiace per aver rovinato tutto tra noi. Ma sono contento che tu sia felice con Calipso, ora.»

Leo pensò a tutte le litigate con la fidanzata. Poteva dirsi felice? Forse, quando non litigavano. Quando ridevano per le stesse cose, quando si tenevano per mano andando per negozi. Quando prendeva sulla schiena James, mentre Calipso scattava loro delle fotografie.

«Sì, sono felice con Cal.» disse Leo, e pensò: ma probabilmente sarei stato più felice con te.

Will rimase a guardare i bambini, in silenzio, e dopo qualche minuto Leo si alzò in piedi.

«Devo andare in fucina.» disse. «Badi tu a James?»

«Certo, volentieri.»

«Riportalo a casa per le tre, ti dirà lui la strada.»

Will annuì. «Ci vediamo.»

Leo fu sul punto di dargli le spalle, ma ci ripensò, e tornò a guardarlo.

Will aveva ancora gli occhi su di lui.

«Solo per James e Bryan.» disse Leo, tendendogli la mano. «Amici.»

Will ricambiò la stretta. «Amici.» ripeté.

«Alla prossima tua cazzata...»

«Mi prendo a calci in culo da solo. Capito.»

Leo fece un debole sorriso e andò a salutare i bambini, prima di avviarsi. Sentì dei passi in corsa dietro di sé e si voltò, proprio nello stesso momento in cui Will si fermava.

«Questa sera ci sarà un falò.» disse, guardandolo. «Verrai?»

«Può darsi.» annuì Leo. «Se finisco di lavorare, e la babysitter è libera.»

Will annuì, e tornò in spiaggia dai bambini. Leo lo seguì con lo sguardo, prima di scrollare le spalle e avviarsi di nuovo verso la fucina.

Aveva il vago sospetto che Calipso si sarebbe incazzata a morte quando avrebbe saputo che erano tornati amici, ma in quel momento gli era uscito spontaneo. Tornare amici del proprio ex poteva essere uno sbaglio, soprattutto di un ex che aveva tentato di violentarti, ma a Leo sembrava una buona idea. Altrimenti, come lo avrebbe spiegato al figlio che non poteva stare nei dintorni di Will, che non poteva incontrare il suo fratellino, e via dicendo?

 

In fucina, Leo individuò Nina e le si avvicinò. La sorella teneva una mano sulla schiena, cercando di prendere un po' di respiro. Era incinta già di sette mesi, ed era da sette mesi che non intendeva stare lontana dalla fucina. Quando compariva Nina, tutti si fermavano incitandola ad andarsene.

«Ehi tu, balena, fuori di qui.» disse Leo, sorridendo alla sorella, che si voltò lanciandogli un'occhiata assassina.

«La balena può ucciderti, sai?» ringhiò.

«Non mi sembra di ricordare dell'esistenza delle balene assassine...»

Nina gli passò vicino, calpestandogli con forza il piede, e lasciò la fucina. Saltellando, Leo le chiuse la porta alle spalle ridacchiando e diede il via libera ai fratelli: ora potevano riprendere il loro lavoro. Si sentiva davvero di buonumore, dopo tanto tempo.

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Capitolo 38
*** 53/54. Il falò ***


Poco dopo le tre, Will richiamò i bambini e prese in spalla James. Il piccolo gli tirò i capelli, divertito, mentre Bryan trotterellava stanco dietro di loro.

«Tra poco faccio sei anni.» disse James, entusiasta, indicandogli la strada per trovare la casetta. «Verrai al mio compleanno?»

«Certo.» disse Will.

«Parlo con Bryan.»

«Siii!» esultò il bambino, entusiasta. «Ti piacciono le costruzioni?»

«Io amo le costruzioni!» esclamò James entusiasta, e Will lo riposò a terra divertito. I bambini si seguirono strillando e giocarono ad acchiapparella mentre andavano verso casa.

Quando Will la vide, gli venne una stretta allo stomaco. Era assolutamente adorabile. Aveva sempre sognato una casetta del genere, ma quella superava tutte le sue fantasie.

Jam andò alla porta e l'aprì, entrando dentro di corsa. Bryan lo seguì ridendo, e Will bussò alla porta, sapendo che da un momento all'altro avrebbe rivisto Calipso.

«Solace.»

Si voltò e guardò la fanciulla spuntare dal retro della casa. Aveva una macchia di vernice sulla guancia.

«Ciao.» salutò Will, deglutendo. «Ho riportato a casa Jam.»

Calipso lo fissò dura. Teneva i capelli legati in una alta coda di cavallo, ed era splendida anche con una vecchia maglia e dei jeans consunti.

«E perché mai tu stavi badando a mio figlio? Dov'è Leo?»

«Ah... Ha avuto un'urgenza in fucina, ed è dovuto correre.»

«Da quanto stai badando a mio figlio?»

«Un paio d'ore...»

Will sperò che Leo avesse la battuta pronta quanto lui. Calipso continuò a fissarlo male, poi gli si avvicinò.

«Non credo alle tue balle, ci crederò solamente se sarà Leo a dirmelo. Ora sparisci di qui, non ti voglio vedere vicino a casa mia.» sbottò, furiosa.

«Ascolta.» Will abbassò un po' la voce. «Leo mi ha perdonato per quello che gli ho fatto, mi ha anche chiesto di essere suo amico. Perché tu non riesci a...»

«Lui cosa?!» Cal quasi urlò. «COSA TI HA DETTO?!»

Will si morse il labbro, e per vero colpo di fortuna in quel momento gli squillò il cercapersone. Gli diede una controllata veloce e chiamò il fratello, che lo raggiunse in un minuto.

«Dobbiamo andare. È stato bello chiacchierare con te.» la salutò Will. Prese il fratello sulla schiena, che ancora salutava James, e partì di corsa verso l'infermeria.
 

Più tardi, quando Leo staccò dal lavoro e tornò a casa, trovò una Calipso molto furiosa seduta sui gradini.

Leo passò in rassegna tutte le faccende di casa che aveva fatto quel giorno: aveva buttato la spazzatura, riparato il portello della credenza, sostituito una parte del recinto. Si rilassò, sapendo di aver fatto tutto quanto, ma non si capacitava dell'espressione furiosa della ragazza.

«Will è stato qui.» gli disse Cal.

«Ah...» Leo si morse il labbro. Cosa le aveva detto Will per giustificarsi?

Dei, aveva avuto una giornata stressante in fucina. Aveva del lavoro arretrato, un sacco di armi da modificare per i figli di Ares, e quando tornava a casa pensava solo ad un bagno caldo e a riposarsi. Invece, doveva combattere ancora con la fidanzata.

«Perché gli hai fatto badare a James?» chiese Cal, alzandosi in piedi.

Leo rispose senza pensare. «È saltata la caldaia in fucina, e Paul mi ha chiamato di corsa. Sono l'unico che può avvicinarsi al calore senza morire bruciato. Non ho avuto tempo per chiamare Sam, e Will era già in spiaggia, così ho lasciato Jam con lui.»

Cal aggrottò la fronte. «E quanto tempo fa è successo?»

Leo scrollò le spalle, e fece per superarla. «Non lo ricordo, amore. Voglio andare a farmi un bagno caldo, liberarmi di tutta questa fuliggine, mangiare qualcosa e giocare con James. Ah, stasera ricordati che c'è il falò, ci sarà da divertirsi...»

«Verrà anche Will?»

«È un luogo libero, no?» Leo entrò in casa. «Se vuole può venirci.» Prese il cellulare e mandò un messaggio a Sam, chiedendole se fosse libera per quella sera. Sam gli rispose dopo qualche minuto, dicendogli che doveva badare già a Lily, e che quindi non c'era alcun problema aggiungere un bambino.

Leo sorrise tra sé, e andò in bagno, gettando i vestiti per terra. Aprì i rubinetti della vasca, aspettando che arrivassero a metà, poi entrò dentro.

«Cosa vuoi mangiare?» chiese Calipso, entrando in bagno. Notò i vestiti sporchi, e Leo notò la rabbia attraversarla.

«Mi basta qualche panino.» disse, guardandola.

Calipso raccolse i suoi vestiti, e uscì dal bagno senza aggiungere una parola. Leo si rilassò, sospirando.

Le cose con Calipso non sempre andavano in quel modo. C'erano giorni in cui erano veramente felici, in cui tutto filava liscio, e guardandosi trovavano l'amore che li aveva uniti anni prima. Altre volte litigavano, ed entrambi facevano i dispetti all'altro.

Quando Leo uscì dalla vasca, si sgranchì le gambe e prese l'asciugamano degli Avengers. A James piacevano così tanto i supereroi che ormai anche i suoi genitori dovevano avere le cose dei supereroi. E Leo non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe fatto il figlio se non avessero seguito la sua moda.

Leo aprì i cassetti e recuperò dei vestiti prima di scendere. Intravide James in camera sua che giocava con gli aeroplani, e passò prima da lui, schioccandogli un bacio in fronte.

«Ti sei divertito con Bryan oggi?» chiese Leo, passandogli le dita tra i riccioli.

«Siii. È bravo, è divertente e corre veloce!» si entusiasmò James. «Mi piace!»

Leo sorrise. «Stasera andrai da Sam, ci sarà anche Lily.»

«Chiedi a Will se può esserci anche Bryan?»

Il figlio stava utilizzando gli occhioni da cucciolo, metodo infallibile dei Valdez per ottenere quello che volevano. Leo non aveva mai pensato che potesse funzionare anche su di lui.

«Ma certo, gli mando un messaggio.» disse Leo, dandogli un altro bacio in fronte, e James si entusiasmò parecchio. «Ora vado a mangiare, dopo giochiamo insieme, se ti va.»

«Certo, ti aspetto.» annuì James, riprendendo a giocare con l'aeroplano.

Leo scese al piano di sotto, e arricciò il naso all'odore. Pasta al pesto. Era l'unico tipo di pasta che non gli piaceva... Be', almeno non gli aveva sputato nel piatto come l'ultima volta.

La guardò servirlo, e appena posò il piatto, Leo la raggiunse, le prese la mano e la fece girare tra le braccia, stampandole un bacio sulle labbra.

«Pensi di fare pace in questo modo?» borbottò Calipso, tenendogli le mani sul petto.

«Sì... E penso anche di riuscirci.» disse Leo, sorridendo, e la baciò un'altra volta.

Calipso ricambiò, passandogli le braccia attorno al collo. Leo la strinse forte contro di sé, e continuò a baciarla per qualche minuto, fino a quando il suo stomaco non brontolò.

«Ops.» rise Leo, e Calipso scosse la testa divertita, e guardò la pasta.

«Ti preparo qualcos'altro.» disse, ma Leo la bloccò.

«Ormai la mangio. Sai che non mi piace sprecare il cibo.» Leo si sedette a tavola, e prese la forchetta.

Calipso gli posò le mani sulle spalle, cominciando a fargli un piccolo massaggio. Leo trattenne qualche smorfia, anche se doveva ammettere che la pasta in quel modo, come la cucinava Calipso, era veramente buona.

Quando finì di mangiare, Leo fece lo sforzo di lavare il piatto, stappare una birra e berne la metà. Calipso la svuotò per lui, avvicinandosi e stringendolo, riprendendo a baciarsi.

«Bleah, che schifo.» disse James, spuntando in cucina e arrampicandosi su una sedia per prendere i biscotti.

Leo gli lanciò un'occhiata divertita mentre Calipso ridacchiava.

«Non ti abbuffare di biscotti!» lo redarguì la madre, mentre il bambino tornava in camera sua con il pacchetto e l'aria soddisfatta. «Leo, sgridalo.»

«Ma è solo un pacchetto di biscotti, non gli farà niente.»

«Lo porti tu dal dottore questa notte per il mal di stomaco?»

Leo si trattenne a stento dal dire: «Il dottore sarà in spiaggia con noi». Ma Calipso dovette leggerglielo in faccia, perché riprese la sua espressione corrucciata.

«Senti, qualsiasi cosa abbia avuto Will quel giorno, ora gli è passata. E ti prometto che se dovesse riavvicinarsi a me con quell'aria minacciosa, questa volta non esiterò a bruciarlo.» Leo lasciò uscire una fiamma dalle dita.

«D'accordo, mi fido di te.» disse Calipso, baciandolo a stampo. «Ma di lui no, quindi se puoi chiedergli di evitare di venire fino a casa ne sarei felice.»

«Ci proverò, ma non ti assicuro niente. Conosco Will. Lui è... Quando si mette in testa una cosa...»

«È cocciuto come te.» sospirò Calipso. «Dovevo aspettarmelo.»

Leo annuì, e la baciò ancora, questa volta senza interruzioni da parte del figlio.
 

Will sentì la suoneria del messaggio e continuò a guardare le sue mail. Dall'ospedale gli facevano sapere che i suoi pazienti erano ancora tutti vivi e vegeti, e che la signora Cook aveva vinto la sua battaglia contro il cancro. Will si trattenne a stento dallo sbuffare: aveva passato tre ore a farle un incantesimo, pregando suo padre, e dopo di esso era svenuto per due giorni. Hazel gli aveva fatto anche la ramanzina mentre lo aiutava a mangiare.

Will udì dei ticchettii e si alzò in piedi. I fratelli gli avevano messo una bomba di coriandoli sotto il letto? Era già capitato una volta, e aveva continuato a togliersi coriandoli dai capelli per un mese.

Si avvicinò alla finestra e l'aprì, e vide la sua amica Hazel che lo salutava, lasciando cadere i sassolini.

«Ehi, biondino, hai da fare?» chiese Hazel, portandosi le mani ai fianchi.

«Se me lo chiede una così bella ragazza, forse posso rivedere i miei programmi.» sorrise Will.

«Ah, dei, Will, se non fossi gay noi due saremmo già sposati. Lo sai, vero?»

«Lo so. Su, entra. Dalla porta.»

«Sei vestito?»

«Lo scoprirai solo arrivando qui.» ridacchiò Will, chiudendo la porta.

Un minuto dopo, Hazel entrò nella stanza con le mani sugli occhi, e Will scoppiò a ridere.

«Dai, sono vestito.»

«L'ultima volta che mi hai detto una cosa del genere, avevi indosso delle mutande con l'elefante e la proboscide...»

Will ridacchiò ancora e l'amica tolse le mani, rincuorata dal vederlo quasi del tutto vestito. Gli mancava solo la maglia, ma quello l'aveva notato anche dalla finestra. «A proposito, non li ho mai più ritrovati quei boxer.» disse.

Hazel si sedette sul letto, prendendo un libro di medicina e aprendolo a caso. «Dovresti cercarlo nella spazzatura, lì in Alaska...»

«Cattiva. Mi era costato trenta dollari.»

«In ogni caso, erano soldi sprecati.»

Will scosse la testa, e prese una camicia dall'armadio, posandola sul letto di Bryan. «Allora, a cosa devo l'onore della tua presenza nella mia camera?» chiese, guardandola.

Hazel si guardò attorno. «La tua camera... è così sobria rispetto al nostro appartamento.»

«Sì... Be', il mio compagno di stanza ha sette anni, non potevo lasciar fuoriuscire tutta la mia gayosità anche con lui.»

Hazel rise, e si alzò, abbracciandolo. Will ricambiò la stretta.

«Hai visto Leo?» domandò Hazel, alzando gli occhi su di lui.

«Sì, in spiaggia. Sia ieri che oggi.»

«Ti ha picchiato?»

«Mi ha tirato qualche schiaffo, ma io meriterei molto di più.»

«Già. Ma avete parlato? Vi siete chiariti?»

«Siamo tornati ad essere amici, credo. Ma da come mi ha trattato Calipso, non credo che questa amicizia durerà molto.»

«Se ti ha picchiato anche lei, vado a tirarle i capelli.»

«Trattieni la tua follia omicida, dolcezza.» Will rise, e la strinse commosso. «Va bene così, non mi importa nulla di Calipso. La cosa importante è aver fatto pace con Leo.»

Hazel annuì, e lo lasciò, stiracchiando le braccia e prendendo posto davanti al suo computer. Will chiuse la pagina prima che l'amica potesse combinare qualche guaio, e si sedette sulla scrivania.

«Tu lo sapevi che stanno insieme?» domandò Will, fissando l'amica.

Hazel digitò qualche lettera. «Chi?»

«Leo e Calipso.»

«Ah. Stanno insieme?»

«Hazel, non usare questo tono con me. Sai che non sono un idiota, anche se a volte posso sembrarlo.»

Hazel aprì la pagina di Amazon e si appoggiò allo schienale della sedia, guardando l'amico imbarazzata. «Sì, lo sapevo. Piper me lo ha scritto per messaggio.»

Will rimase qualche secondo in silenzio. «Non ti senti meglio dicendo la verità?»

«Non molto. Perché ora mi farai altre domande a cui non voglio rispondere.»

Will si morse l'interno della guancia. «Non ti chiederò nulla.»

Hazel sospirò, e non rispose.

Will aiutò l'amica a comprare dei libri online, poi uscirono, diretti alla mensa a dividersi una pizza.

«Stasera c'è il falò, vieni con me?» domandò Will, addentando un pezzo di pizza con i peperoni.

«Ma certo, volentieri.» annuì Hazel, sorseggiando la sua Diet Coke.

«Grazie.»

«Prima ti va di fare un bagno? E un po' di surf?»

«Uuh, certo, dolcezza. Sai che con il surf mi convinci sempre.»

Hazel sorrise. «Lo so. Ti conosco bene.»

«Hai già il costume?»

«Sì.»

«Quello a due pezzi, rosso, che ti ho fatto comprare a Miami?»

«Ehm, no.»

«Ah...» Will sospirò. «Hai scelto il costume intero anti-stupro.»

Hazel arrossì.

«Ma, dei, sei con me, perché non metti quello normale?»

«Tu sei gay, ma sei un caso su cento. Ci sono ragazzi etero arrapati, e non voglio favorire le loro fantasie.»

Will trattenne uno sbuffo, e guardò l'amica. «Metti il costume a due pezzi, altrimenti non vengo al falò.»

«Bene, vorrà dire che non ci andrò nemmeno io.»

«Ma io voglio andarci!»

«Solo con il costume intero!»

Continuarono a battibeccare per un'altra ora, poi Hazel andò in cabina a mettersi il costume a due pezzi, e Will si cambiò a sua volta. Si ritrovarono alle cabine dopo dieci minuti. Hazel indossava un vestito bianco, le guance arrossate, e Will sorrise.

«Come ho fatto a convincerti?»

«Meglio che te ne stai zitto, non sono dell'umore adatto per ribattere a tono.»

Will ridacchiò fino alla spiaggia, e recuperò due tavole. Hazel teneva ancora le braccia incrociate al petto, gli occhi puntati su un capannello di ragazzi, figli di Ermes, Ares, Afrodite, Demetra e Apollo, che giocavano a pallavolo.

«Dai, Haz.» disse Will, appoggiandosi alla tavola e guardandola. «Spogliati. I maschi etero non sbavano davanti ad ogni bella ragazza che vedono.»

Hazel alzò un sopracciglio. «Non lo fanno? Sicuro?»

«Sicuro. Il primo che fischia, lo vado a picchiare.»

Hazel si sentì un po' rincuorata, e si tolse il vestito. Afferrò la tavola e corse verso l'acqua, seguita subito da un Will divertito.
 

***
 

Leo non ricevette risposta da Will, e sbuffò forte. Perché quell'idiota non gli aveva risposto? Forse dormiva o era in spiaggia a prendersi il sole.

«Bryan ci sarà?» domandò James, guardando il padre.

«Non lo so, mijo. Will non risponde.»

«L'hai chiamato?»

«Gli ho scritto un messaggio, spero almeno che l'abbia letto. Sono quasi le otto, meglio andare. Ricorda, alle nove a letto.»

James annuì, con espressione poco convinta, e Leo sospirò, divertito. Non ricordava molto dei suoi sei anni, ma era più che sicuro che non ascoltava sua madre quando lei gli diceva a che ora andare a letto.

Pensare a sua madre gli fece venire un piccolo sorriso. Si chiese se fosse fiera di lui, di tutto quello che aveva fatto fino a quel momento. E anche della sua immortalità... ne era felice?

Leo spostò lo sguardo su James, che stava mettendo nella borsa i giocattoli da mostrare a Bryan e Lily. Si chiese cosa avrebbe fatto se James non fosse immortale... Sarebbe riuscito a sopravvivere a suo figlio? Al solo pensiero gli tremarono le gambe.

«Papà, tutto bene?» chiese James, guardandolo preoccupato.

Leo annuì e telefonò a Will tre volte prima di rinunciare. Gli lasciò un messaggio in segreteria, sperando che l'avrebbe ascoltato presto, e prese la borsa del figlio.

«Domani all'ora di pranzo torni a casa, d'accordo?» disse Leo.

«Sii, che bello.» si entusiasmò il bambino.

Leo sorrise, sperando che il giorno seguente la sbornia gli passasse in fretta. Poi ricordò dell'esistenza di quelle pillole fatte dal figlio di Apollo, e sospirò di gioia. Poteva divertirsi con gli altri per quanto voleva, tanto poi era sicuro che stesse bene al momento del ritorno a casa di James.

«E fai dormire Bryan e Lily, non tenerli alzati tutta la notte, okay?» aggiunse, scendendo le scale seguito dal bambino.

«Va beneee.» James sorrise felice. «Ma se invece sono loro a non far dormire me?»

Leo pensò prima a Lily, poi a Bryan. «Lo dirò anche a loro.» Anche se lo trovava poco probabile.

Calipso li raggiunse poco dopo. Indossava uno splendido vestito azzurro, e un velo di trucco. Aveva legato i capelli in una lunga treccia, forse per il caldo, e li aspettava sorridendo. Leo la trovò stupenda, e le diede un bacio appena si trovò di fronte a lei.

«Sei bellissima.» le disse, sincero.

Lei sorrise, arrossendo imbarazzata. Leo la guardò innamorato. Lei ancora arrossiva per così poco. Era adorabile.

«Andiamo?» chiese Cal, prendendo la mano del figlio.

«Sì.» annuì James, mentre Leo era ancora sconvolto per la bellezza semplice della ragazza.

Si avviarono alla cabina di Demetra, e trovarono Bryan e Lily che giocavano insieme. James si illuminò e corse loro incontro.

Leo sospirò. Alla fine Will aveva sentito i suoi messaggi.

Sam li stava aspettando, e prese la borsa di James.

«Ciao.» li salutò la figlia di Demetra, guardando Leo sorridendo. «Ve lo riporto domani?»

«Per pranzo, grazie.» Leo ricambiò il sorriso, e guardò Bryan. «Il piccolo biondo come è arrivato qui?»

«Era con dei suoi fratelli, e ha visto Lily, e si è fermato a giocare con lei. Li lascio giocare ancora un po', poi li metto a letto.»

«D'accordo. Grazie, Sam.»

«Figurati. Ciao, Cal.»

Leo diede un bacio al figlio, ricambiò l'abbraccio impulsivo di Bryan e salutò i bambini, prendo la mano di Calipso.

«Il figlio di Apollo è proprio espansivo.» notò Cal, lanciandosi un'occhiata alle spalle. Bryan stava abbracciando James.

«Lo sono tutti, no?» ridacchiò Leo.

«Non lo so, sei tu quello che ha avuto più contatti con i figli di Apollo.»

Leo si zittì, Cal si morse la lingua e arrivarono al luogo del falò in silenzio.

«Leo!» esclamò Travis, balzando in piedi e correndo da lui. Leo lo abbracciò, più che altro per tenersi. Travis l'aveva travolto con quell'abbraccio.

«Travis!» esclamò Leo a sua volta, stringendolo forte. «Come stai?»

«Bene, dall'ultima volta mi sono ripreso. Ma ho portato qualche canna e tante cose da bere.»

«Ah, dei, tu sì che mi conosci!»

Travis rise e tornò a sedersi vicino alla sua Kate. Finalmente, aveva lasciato Miranda e stava iniziando il lungo corteggiamento per la donna che amava veramente.

Cal salutò Katie, e si sedette sul tronco di un albero. Leo prese posto vicino a lui, lanciando una palla di fuoco all'interno del falò. Il fuoco scoppiettò allegro mentre qualcuno rideva e gridava.

«Leo, guarda, lui è mio fratello Connor!» gridò Travis, indicando un ragazzo che gli somigliava molto che stava arrivando con delle birre.

«E perché non l'ho mai visto?» chiese Leo, mentre Connor lanciava la birra al fratello.

«Ho passato gli ultimi anni lontano dal Campo.» spiegò Connor, sedendosi davanti a Katie e posandole la testa sul ginocchio. «Prima ero in vacanza, poi mi sono innamorato, e ho preso allenamenti di parkour.»

«Ti sei innamorato di te stesso?» domandò Travis, sorridendo.

Connor gli scoccò un'occhiataccia, e stappò la bottiglia con un sorriso. «No, era una ragazza stupenda, ma mi cornificava con il suo amico. Con il quale ero già stato anch'io. Spero di riuscire a trovare un'altra persona, questa volta migliore, che non mi cornifichi con miei ex scopamici.»

«La troverai di sicuro, tu sei adorabile!»

Connor arrossì leggermente, e il fratello iniziò ad accarezzargli i capelli. «Lo spero.» Iniziò a bere, e Leo aprì la sua bottiglia e quella di Calipso. Fecero un piccolo brindisi tra di loro – «A noi» – e sorseggiarono le loro birre. Travis prese la canna dalla tasca, ma Leo scosse la testa. Era ancora troppo presto.
 

Quando Will e Hazel smisero di fare surf, notarono che era già sera, e il fuoco del falò già acceso.

«Non so se abbiamo il tempo di passare in cabina.» disse Will, lanciando un'occhiata ad Hazel, che recuperò il suo vestito scrollandolo dalla sabbia.

«Non importa, andiamo così.»

Hazel si legò i capelli bagnati e si infilò il vestito, trattenendo un brivido di freddo. Will le passò subito la sua maglia.

«Metti questa.» disse, sorridendo.

«E tu?» Hazel lo squadrò.

«Stiamo per andare al falò, e non fa così freddo.» rispose Will, con una scrollata di spalle.

Hazel si infilò la maglia, affondando le mani nelle tasche. «Grazie.»

«Di nulla. La bevi una birra, vero?»

La figlia di Plutone alzò gli occhi al cielo. «Tanto ormai vivo nel peccato, per colpa tua.»

«Dei, addirittura nel peccato, per colpa mia?» rise Will, guardandola.

Hazel annuì. «Film con immagini spinte, uomini nudi in giro per casa, alcolici a tutte le ore del giorno... Sono una persona peccaminosa per colpa tua.»

Will ridacchiò. «Ti sei macchiata di colpe orribili, tuo padre ti manderà nei Campi della Pena senza nemmeno guardarti in faccia.»

Hazel si coprì il volto con le mani. «E tutto per colpa tua.»

Will continuò a sghignazzare e la sollevò con facilità, mettendola sulla spalla. Hazel iniziò a strillare e a pregarlo di rimetterla giù, ma Will la ignorò. La fece ruotare, e ad un certo punto la lanciò in aria, e la prese abilmente.

«GIURO CHE TI AMMAZZO, SOLACE, TI FACCIO A PEZZI!» strillò Hazel, stringendolo con braccia e gambe tipo koala.

«Ma tu mi adori, non puoi farmi a pezzi!» esclamò Will, divertito, notando solo vagamente che tutti coloro riuniti attorno al falò si erano voltati a guardarli.

«Posso, e lo farò, quindi mettimi giù!»

«Siamo arrivati, dolcezza, smettila di strillare.» sussurrò Will, continuando a ridere, e si sedette sulla sabbia. Hazel si affrettò a staccarsi da lui e a mettersi seduta.

«Ciao!» salutò Will, trattenendo una risata. «Chi mi passa due birre?»

Un figlio di Ares, Theo, gli sedette vicino, passandogli le birre, e stappandole a mani nude.

«Grazie.» disse Will, passando la seconda ad Hazel, che la guardò scettica.

«Dottor Solace, posso...» borbottò Theo, indicandogli una ferita al polso.

«Se ho una birra in mano, non è necessario chiamarmi dottore.» sorrise Will.

«In realtà non dovresti proprio chiamarlo dottore.» aggiunse Hazel, e Will le scoccò un'occhiataccia.

«Fammi vedere.» disse Will, bevendo un altro sorso di birra, e Theo, confuso, gli mostrò il polso.
 

«Sono una bella coppia.» disse Calipso, guardando Hazel e Will unirsi a loro. Aveva pensato che la presenza di Will la intimidisse, ma il figlio di Apollo era arrivato in dolce compagnia, e i suoi brutti pensieri furono sostituiti.

«Sì, un gay fino al midollo, e una frigida dei vecchi tempi.» sbuffò Leo, senza preoccuparsi di tenere bassa la voce. Ma attorno al falò si stava urlando e cantando, quindi non lo udì nessuno, a parte Calipso e i fratelli Stoll.

«Il biondo è gay?» si interessò Connor, lanciandogli un'occhiata.

«Sì, ma è l'ex ragazzo di Leo...» disse Travis.

«Leo è gay?!»

Mentre Travis iniziava a parlare con il fratello, Calipso guardò Leo. «Magari Solace è bisex, come te.» disse.

«Lo vedo poco probabile.» disse Leo, lanciando un'occhiata a Will che stava curando il polso di un figlio di Ares con la magia.

«Tu eri curioso, no? Lui non lo è?»

Leo non le rispose, e Calipso si zittì.

Il cellulare di Connor squillò e il figlio di Ermes scattò in piedi. «Devo andare. La mia banda è pronta per iniziare la Settimana Perfetta.»

«Cos'è la Settimana Perfetta?» domandarono Katie e Calipso curiose.

Connor sorrise. «Sette rapine in sette giorni. Vado a prepararmi.»

«Ciao.» lo salutarono Travis e Leo, mentre le ragazze scuotevano la testa.

Connor fece un cenno ed evitò decine di piedi saltellando, poi corse via verso le cabine. 
 

«Che tipo strano.» disse Will, guardando Connor Stoll che saltellava via.

«Non quanto te.» sbuffò Hazel, divertita, guardandolo. «Sei stanco?»

«No, curare un polso slogato non è nulla, ormai.» Will scrollò le spalle e guardò la bottiglia dell'amica. «Avanti, bevi.»

Hazel, storcendo il naso, bevve un piccolo sorso di birra, e glielo sputò addosso.

«Oh, che schifo.» sbuffò Will, trattenendo una risata, provando ad asciugarsi con i jeans.

«Scusa!»

«Sei fortunata, mi è capitato addosso di peggio.»

Hazel lo squadrò. «Non voglio sapere cosa.»

Will ridacchiò. «Dai, una birra devi fartela.»

La figlia di Plutone scosse la testa, ma alla fine si lasciò convincere dall'altro per la seconda volta. Bevve a piccoli sorsi, evitando di sputare sugli addominali dell'amico.

Will si decise a dare un'occhiata alla folla, e individuò Leo in compagnia di Calipso, Travis Stoll e Katie Gardner. C'erano anche molti dei suoi fratelli, e anche altri figli di Efesto. Individuò Steve Erikson in compagnia di un figlio di Afrodite, Evan Ward. Si mordicchiò il labbro nel vedere Steve così felice, e pensò ad Angel. Settimane dopo che Will e Hazel avevano lasciato il Campo, Angel era partito con i Medici Senza Frontiere come volontario. Si spedivano lettere di tanto in tanto, e sembrava felice della sua nuova vita.

«A cosa pensi?» gli chiese Hazel, tirandogli un ricciolo.

«A come l'amore ti cambia.» rispose Will, guardandola.

«Cerchi di dirmi qualcosa?» si incuriosì la figlia di Plutone.

«Nulla di che...»

«Ehi, Hazel.»

Will e Hazel alzarono lo sguardo, e Will si sentì leggermente imbarazzato nel vedere Annabeth Chase di fronte a loro. La figlia di Atena era cambiata da quando il suo ragazzo Percy l'aveva lasciata per Nico di Angelo.

«Ciao, Annabeth.» la salutò Hazel, balzando in piedi e abbracciandola. «Speravo tanto di vederti qui stasera!»

«Ho rischiato di non venire, in effetti.» disse Annabeth, stringendola e poi lasciandola dopo pochi secondi. «Ho avuto un contrattempo a lavoro, e sono arrivata giusto dieci minuti fa.»

«Vuoi prenderti una birra con noi?» disse Hazel, facendo un cenno a Will.

«No, pensavo più ad una tazza di tè.» Annabeth lanciò una rapida occhiata a Will, ed entrambi distolsero in fretta lo sguardo, prima che vecchie ferite si riaprissero.

«Certo che sì!» esclamò Hazel, e per un soffio mancò il naso di Will mentre gli tendeva la birra, ancora piena. «Io, te e...?»

«Piper, è qui anche lei.»

Hazel annuì, entusiasta all'idea di stare con le sue vecchie amiche, e si voltò per chiedere scusa a Will per la piacevole sorpresa.

Will le sorrise prima che potesse aprire bocca. «Vai pure.» le disse. «Io ti ho avuta tutta per me per due anni.»

«Ammetti che sono stati i migliori della tua vita.» ridacchiò Hazel, dandogli un bacio in fronte.

«Diciamo che saranno indimenticabili.» sorrise Will, e Hazel, scuotendo la testa divertita, seguì Annabeth e Piper McLane, capo cabina della casa di Afrodite, in un posticino più appartato.

«Ehi.» disse un ragazzo con gli occhiali, avvicinandosi a Will. Il figlio di Apollo notò i capelli biondi tagliati corti, gli occhi celesti dietro le lenti, e una sottile cicatrice sul labbro. «La mia ragazza è scappata con la tua, posso sedermi con te?»

«Hazel non è la mia ragazza.» precisò Will, facendo un po' di spazio per il nuovo arrivato. «I miei gusti sono un po' particolari.»

«Di che genere? Preferisci le rosse?»

«No, preferisco i mori.» sorrise Will, finendo la sua birra e posandola sulla sabbia vicino a sé.

Il ragazzo con la cicatrice aggrottò la fronte, poi sorrise. «Dunque tu sei Will Solace.»

«Con questo tuo tono sembra che sia una malattia essere Will Solace.»

«Non lo è affatto. Sono felice di conoscerti. Hazel ha sempre parlato bene di te. Jason Grace, a proposito.» aggiunse, allungando la mano verso di lui.

Will la strinse, cercando di ricordare dove avesse già sentito quel nome. «Sbaglio, o sei il migliore amico di Leo?» domandò.

Il sorriso di Jason tremò leggermente prima che il figlio di Giove sospirasse. «Lo ero.» ammise. «Prima della sua morte e del suo giro romantico per il mondo con la sua bella ninfa. Speravo che una volta tornato qui potessimo tornare ad essere amici come una volta, ma... avere un figlio ti cambia.»

«Be', lui ha avuto un figlio, tu potevi sempre andare a salutarlo.» disse Will, bevendo un piccolo sorso dalla bottiglia di Hazel. «Lui ha avuto un figlio, tu dovevi solo trattarlo come sempre. Mica aveva la sifilide demoniaca.»

Jason non rispose. Stappò una bottiglia e ne bevve un lungo sorso prima di voltarsi verso Will.

«Tu e lui stavate insieme.» disse, e Will scrollò le spalle. «Non mi ha mai detto di provare attrazione per i maschi.»

«Non per i maschi.» disse Will, alzandosi in piedi. «Provava attrazione solo per me. È stato bello averti conosciuto, Jason Grace.»
 

Leo guardò in silenzio Will alzarsi e andare a sedersi sulla sabbia, vicino ad alcuni dei suoi fratelli che suonavano la chitarra, cantando una canzone di Katy Perry. Erano tutti meravigliosamente intonati, e nessuno si lamentò per il canto.

Si voltò a guardare il suo vecchio amico. Il figlio di Giove lo stava già fissando, ma quando notò il suo sguardo si alzò e si diresse verso i figli di Ares.

Leo sbuffò, prendendo la canna che Travis gli tendeva e facendo un altro tiro. Si chiese di cosa avessero parlato i due biondi che un tempo avevano fatto parte della sua vita. Di lui? Poco probabile. Di Hazel? O di quel coglione di Frank, che se n'era andato dal Campo Giove anni prima, dopo aver lasciato Hazel da sola?

«A che pensi?» domandò Calipso, dandogli una leggera gomitata. Teneva in mano un bicchiere rosso, che conteneva due dita di vodka alla fragola.

«A nulla.» disse Leo, scrollando le spalle, e ripassò la canna a Travis.

«Guardavi in direzione di Solace.» disse Calipso, tenendo lo sguardo puntato verso i figli di Apollo.

«Sto guardando Kevin, non pensavo suonasse così bene la chitarra.»

Calipso tenne gli occhi puntati su Will, che rideva per una battuta appena fatta da uno dei suoi fratelli. Indossava solo il costume da bagno, e davanti al falò la sua pelle si era ormai asciugata. I capelli sembravano scintillare nella notte, grazie al fuoco. Ma non era ancora abbastanza ubriaca per elogiare l'aspetto fisico dell'ex ragazzo del suo fidanzato.
 

«GIOCO DELLA BOTTIGLIA!» strillò una figlia di Afrodite, che teneva in mano una bottiglia di vino. Dietro di lei, il figlio di Dioniso le teneva la mano ridacchiando con il volto arrossato, in attesa di altro vino.

«Dobbiamo proprio?» trillò un figlio di Apollo, smettendo di suonare.

«Sììì! Rendiamo più attiva questa serata! Voi potete continuare a suonare! Giocate tutti?»

Leo e Calipso si lanciarono un'occhiata, e annuirono. Per una volta, potevano fare un gioco del genere.

«Ma anche obbligo e verità!» continuò la figlia di Afrodite, sbadigliando, sedendosi sulle ginocchia del fidanzato. «Questa è la bottiglia, divertiamoci...»

La ragazza si addormentò appoggiata al petto del ragazzo, che si affrettò a svuotare la bottiglia prima di passarla al figlio di Ermes. La bottiglia venne posata su un piatto.

«Chi gioca vada più vicino al fuoco, chi no si allontani. Inizio io, e sì, Travis, giochi anche tu!»

Travis alzò lo sguardo al cielo stellato, ridendo. Si era già fumato due canne, e ora chiedeva a Leo di accendergli la terza. Il figlio di Efesto fece uscire delle fiamme dalle dita, e si prese una sigaretta. Ormai tutto stava cominciando a muoversi, e a sembrare più divertente.

Il figlio di Ermes, Gary, fece girare la bottiglia, che capitò su un figlio di Atena, che stringeva tra le mani un libro. Il ragazzo scelse l'obbligo, e Gary gli passò una bottiglia di birra. Per tre minuti, tutti coloro che si trovavano al falò urlarono: «GIÙ, GIÙ!», e quando ebbe finito, il figlio di Atena, Albert, aveva gli occhi lucidi.

Toccò ad Albert girare la bottiglia, e capitò su Drew Tanaka, figlia di Afrodite. Anche lei scelse obbligo, e le venne ordinato di andare da Piper, abbracciarla e dirle che era la figlia di Afrodite più bella e fantastica di tutto il Campo Mezzosangue.

Leo rise di gusto mentre la ragazza obbediva all'obbligo, sebbene piuttosto scontrosa. Piper reagì sorpresa quando Drew la abbracciò di sua spontanea volontà, poi rise quando capì che si trattava del gioco.

«Stronzi.» disse Drew, tra i denti, girando la bottiglia che rischiò di cadere e rompersi. La bottiglia si fermò davanti a Travis Stoll, che batté le mani e balzò in piedi, decisamente fatto.

«Obbligo o verità?» chiese Drew, schioccando le labbra.

«OBBLIGO!» esultò Travis, tirando un pugno verso il cielo. Katie si portò una mano alla bocca ridendo.

Drew sorrise malevola. «Ti obbligo a chiedere a Katie di sposarti.» disse.

Tutti borbottarono il loro dissenso, mentre Katie arrossiva e le sfuggivano dalle dita delle piccole margherite. Travis, invece, corse verso una figlia di Apollo e le strappò dal labbro un anello. La ragazza strillò per il dolore, e Travis andò ad inginocchiarsi davanti Katie.

«Mi sposi?» chiese.

«Forse quando me lo chiederai da lucido posso pensarci.» balbettò Katie.

«Mi sposi?» ripeté Travis, con lo sguardo perso.

«Mmh, non ora.»

«Ha detto sì!» si entusiasmò il figlio di Ermes, tentando di infilarle l'anello. La figlia di Apollo lo prese prima che Travis riuscisse a romperlo.

«No, è un no.» lo corresse Katie, mentre Travis tornava vicino a lei, piuttosto docile.

Leo continuò a fumare la sigaretta, chiaramente divertito da quel momento del suo amico. Avrebbe riso molto, il giorno seguente, mentre glielo raccontava.

«Tocca a me!» si entusiasmò Travis, girando la bottiglia, che finì col puntare su Will. «Dottor Solace! Obbligo o verità?»

«Verità.» disse Will, sorridendo, posando sulla sabbia la bottiglia.

«Allora...» disse Travis, passandosi le dita tra i capelli, e Leo ebbe il brutto presentimento che gli avrebbe fatto domande imbarazzanti. «Quanto ce l'hai grosso, dottor Solace?»

Will si trattenne dallo scoppiare a ridere, mentre attorno a loro il falò si riempì di risate. «Abbastanza... Ma sul serio, può fare domande del genere?»

«Vogliamo la misura!» esclamò una figlia di Afrodite, facendogli l'occhiolino, mentre Malcolm, figlio di Atena, scuoteva la testa.

«Non puoi fare domande del genere, Stoll, quindi cambia.» disse, e Travis annuì.

Il figlio di Ermes ci penso su per qualche minuto, mentre altri ridacchiavano. Leo tenne gli occhi su Will, prima di distoglierli e puntarli sull'amico.

«Allora questa, e spero che valga.» Travis si schiarì la gola. «Tra tutti i tuoi ex, che dovrebbero essere quattro a meno che tu non stia con qualcuno ora...»

«No, sono single, e sì, sono quattro.» annuì Will, sentendosi leggermente accaldato. Leo puntò lo sguardo sulle sue dita, fintamente interessato.

«Okay, allora.... di queste quattro relazioni... quale dei tuoi ex ti manca di più e con chi ti trovavi meglio sotto le coperte?»

«Alt, domanda troppo lunga, Will puoi anche non rispondere....» disse Malcolm, mentre tutto attorno si levava un coro di protesta.

«No, rispondo. Tanto la risposta è sempre la stessa...» disse Will, prendendo di nuovo la sua bottiglia e guardando il contenuto dentro. «Sempre un nome. Valdez.»

Lo sussurrò, ma chi doveva sentirlo lo sentì.
 

Imbarazzati per lui, i suoi fratelli cominciarono a cantare più forte, e Will girò la bottiglia, senza alzare lo sguardo su Leo. Si chiese come l'avesse presa il figlio di Efesto... Forse lo stava guardando male, o era imbarazzato, o forse se n'era addirittura andato per non udirlo.

Come a dimostrargli che gli dei si erano presi momentaneamente una pausa dalle loro faccende, per dedicarsi completamente alla serata del falò dei loro figli semidei, la bottiglia girata da Will finì su Calipso. Ancora pochi centimetri, e avrebbe dovuto fare una domanda a Leo.

Ma rivolgersi a Calipso forse era ancora peggio.

La ninfa alzò gli occhi al cielo, mentre Will cercava in fretta qualcosa da dirle.

«Ehm, obbligo o verità?» borbottò Will.

Calipso esitò. Leo fu l'unico a notarlo. «Obbligo.» disse.

Will si guardò attorno. «Mmh... Be', ripulisci la spiaggia da tutta l'immondizia che abbiamo fatto.»

Calipso sbuffò. «Semplice. Nulla di che. Lo farò dopo.»

Will annuì, riprendendo la sua bottiglia.

Calipso girò la bottiglia, mentre Leo lanciava una rapida occhiata a Will. Il figlio di Apollo stava bevendo la sua birra in silenzio, senza ridere né scherzare con nessuno. Non udì la domanda che Calipso stava facendo alla figlia di Ecate, e sospirò, accendendosi un'altra sigaretta.

Poco dopo, Leo guardò la bottiglia che si fermava proprio su di lui.

«Leo!» esclamò Evan, mano nella mano con Steve. «Obbligo o verità?»

«Verità.» disse Leo, guardando Evan con attenzione.

Evan sorrise. «Bene, allora... Preferisci fare sesso con un ragazzo o con una ragazza?»

Steve gli diede una gomitata, lanciando un'occhiata a Will. Il figlio di Apollo stava cercando di accendersi una sigaretta, ignorando la domanda, e probabilmente anche tutti gli sguardi dei semidei puntati su di lui.

Leo si passò le dita tra i capelli. «Mmh...» disse Leo, giocherellando con una bottiglia vuota, prendendo tempo. «Direi le ragazze. Fare sesso con le ragazze è molto meglio.»

«Ti credo sulla parola.» disse Evan, mentre Steve teneva gli occhi ancora puntati su Will, le cui orecchie erano arrossate. Leo, invece, evitò di guardare l'ex fidanzato. Gli dispiaceva un po', ma aveva detto quello che pensava. O quello che le convenzioni sociali lo obbligavano a rispondere.

«Tocca a te, amore.» disse Calipso, sorridendo gongolante.

Leo fece girare la bottiglia, sovrappensiero. Forse avrebbe dovuto non rispondere, o forse dire che era meglio farlo con i ragazzi. Almeno avrebbe cancellato quel sorrisetto sulla faccia di Calipso.

Quando la bottiglia smise di girare, il collo puntava su Will. Il figlio di Apollo alzò lo sguardo, e per un secondo entrambi si lasciarono andare ad un sospiro sbigottito.

«Obbligo o verità?» chiese Leo, fissandolo.

Will ricambiò l'occhiata. «Obbligo.» si affrettò a dire.

Leo trattenne uno sbuffò. Se avesse detto verità, gli avrebbe fatto qualche domanda riguardo la loro vita passata, se lo avesse mai amato, o se avesse avuto una qualche storia dopo averlo lasciato.

Il figlio di Efesto rifletté per qualche secondo, lanciando un'occhiata a Travis addormentato sul grembo di Katie, che gli accarezzava con amore i capelli. Alle loro spalle, la figlia di Apollo si stava ancora sistemando il piercing al labbro.

«Un piercing.» disse Leo, senza pensare.

«Un piercing?» ripeté Will, aggrottando la fronte.

«Sì, esatto.»

«Non posso fare un piercing sul volto, non è permesso sul lavoro.»

«Allora fattelo da un'altra parte. Tipo sul pene.»

Will arrossì, mentre attorno a loro le risate aumentavano.

«E dovrai tenerlo per un anno.» aggiunse Leo, prendendo un'altra bottiglia, e bevendo. «Un piercing al pene che dovrai tenere un anno.»

«Va bene, lo farò in settimana. Ma... come farai a sapere che me lo sono fatto? Devo mostrartelo?»

«Dei, no!» esclamò Calipso, mentre Katie tratteneva una risata. «Non glielo farai vedere ancora!»

Leo arrossì a sua volta, e disse: «Mi fiderò sulla parola, Solace.»

Will alzò il pollice e ruotò ancora la bottiglia. Leo si attaccò alla bottiglia, svuotandola e posandola sulla sabbia.

«Un piercing sul pene. Come ti è venuto in mente?» sussurrò Calipso, guardandolo.

«So che odia i piercing, quindi...» Leo fece spallucce.

«Davvero?»

«Già. Al lavoro non può tenerli, giusto?»

Calipso annuì, guardando Will che faceva una domanda ad uno dei suoi fratelli, che tratteneva una risata.

«Però devo ammettere che, guardandolo, è estremamente figo.» disse Calipso, pensierosa, fissando il petto nudo di Will, e le gambe nude. «Capisco quello che hai trovato in lui.»

«Mi prendi per il culo?!»

La voce di Leo salì di tono, e alcuni gli lanciarono un'occhiata stranita.

«Dei, Leo, che ti prende?» sbottò Calipso, guardandolo.

«Dici stronzate!» ribatté Leo, infuriato. «E ti metti pure a guardare altri ragazzi. Se ti piace, vatti a mettere con lui!»

«Non è lui che amo!»

«Allora smettila di guardarlo!»

Leo si alzò in piedi, lasciando cadere la bottiglia, e si infilò le mani in tasca allontanandosi sotto lo sguardo curioso di quasi tutti i semidei.

Calipso raccolse la bottiglia e la raddrizzò, e notò che Will era sul punto di alzarsi, gli occhi puntati su Leo che si allontanava sulla sabbia. Aveva lo sguardo preoccupato, e Calipso sentì un nodo allo stomaco. Era lei che doveva correre da Leo, non il suo ex. Balzò in piedi e corse dietro a Leo, afferrandolo per il braccio, con la mente annebbiata.

Leo si voltò, guardandola.

Calipso lo baciò a stampo. «Scusami, non avrei dovuto guardare Solace. Ma sappi che io non guardo altri ragazzi. Sei te che amo, Leo, e l'ho sempre fatto.»

Leo la squadrò. «Se guardi di nuovo un ragazzo che non sono io...»

«Non finire la minaccia, non lo farò.»

«Bene. Ma sia chiara una cosa, che ripeterò solo ora, e poi mai più. Non stavo con Will Solace perché ha un bel corpo. Stavo con lui per altro.»

«Quindi ti sei incazzato per questo? Perché ho osato supporre che stessi con lui per il suo fisico?»

«Anche per questo. Tu parli senza riflettere, e dici una marea di stronzate. Ti metti a parlare di cose che non ti riguardano, cose che non sai.»

«Non le so perché non ne parliamo mai! E sì, mi riguarda, sei il mio ragazzo, dovremmo conoscere tutto l'uno dell'altra!»

«Ci sono cose di te che non voglio sapere.» gridò Leo con rabbia. Aveva il timore di prendere fuoco, ma per fortuna alle sue spalle c'era il mare. «Perché sono sicuro di non essere stato l'unico ad aver avuto una storia, dopo che me ne sono andato di casa. Ti sarai data da fare anche tu, e la risposta a questa domanda è l'ultima cosa che voglio udire.»

Leo strinse i pugni.

«Quindi tu non mi fai alcuna cazzo di domanda su Solace, e io non ti farò alcuna domanda su chi hai avuto in quel periodo. O anche solo nel periodo in cui stavamo insieme...»

Calipso distolse lo sguardo da lui, e Leo la superò, dirigendosi verso casa.

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Capitolo 39
*** 55/56. Festus ***


Solo l'idea di farsi un piercing intimoriva il grande figlio di Apollo. Forse un altro avrebbe pregato l'ex fidanzato per fargli scegliere un nuovo obbligo, ma lui no. Non voleva passare per pappamolle.

«Sicuro, ragazzo?» domandò l'uomo, scrutandolo in viso, ma Will teneva il volto nascosto dalle mani, sussurrando dei piccoli incoraggiamenti accompagnati da qualche incantesimo per il dolore.

«Sono sicuro.» annuì Will. Non si sentiva affatto a disagio nello stare con i boxer calati di fronte ad un completo sconosciuto. Ma il fatto che quello sconosciuto probabilmente lo avrebbe visto piangere lo imbarazzava.

Aveva portato al negozio sua sorella Rosie, con la vana speranza che lei gli stesse vicino, ma la ragazza aveva visto uno splendido tatuaggio di una farfalla e se lo stava facendo fare proprio in quel momento.

A Will sembrò che fosse passata un'eternità mentre l'uomo – Will non gli aveva chiesto il nome per svariate ragioni – avvicinava l'ago cannula alla parte più importante del suo corpo. Il lamento in greco antico del figlio di Apollo salì di livello, e l'uomo lo ignorò.

Durò meno di pochi secondi. Will aveva sentito solo una leggera pressione, poi più nulla. Ma abbassare lo sguardo e controllare se l'anellino d'argento che aveva scelto fosse attaccato comportava un grande sforzo di volontà.

«Fatto.» disse l'uomo, togliendosi i guanti e buttandola.

«Fatto?» gracchiò Will, spiandolo dalle dita. «Davvero?»

«Sì. Puoi rialzarti i pantaloni.»

«Ma... ma è durato pochissimo! Quasi non l'ho sentito!»

L'uomo rise e non fece commenti.

Will scese dal lettino, sentendo le ginocchia tremargli un po' mentre tirava su boxer e jeans. Fissò in silenzio il piccolo anello d'argento, e lo nascose ai suoi occhi.

«Vuoi qualcos'altro?» domandò l'uomo, lanciandogli un'occhiata mentre si allacciava la cintura.

«Mmh...» Il buonsenso gli suggeriva di tornare al Campo Mezzosangue, ma Will lo ignorò. Si mise ad osservare le varie immagini di piercing e tatuaggi appese alle pareti di quel piccolo ufficio privato, e indicò una foto. «Quello.»

L'uomo non fece commenti e Will si alzò la maglia, scoprendo i capezzoli, gli occhi puntati sull'uomo.

«Usi la stessa, è igienico..?» mormorò Will, aggrottando la fronte.

«No, è un'altra, biondino.» lo rassicurò, avvicinandosi. Questa volta Will non distolse lo sguardo, e fu forse per questo che sentì più dolore che per l'altro piercing.
 

«Non ci credo che sei svenuto.» ridacchiò Rose, mentre guidava senza fretta verso il Campo.

Will si tenne il pacco di ghiaccio sul retro della testa, dove aveva sbattuto cadendo all'indietro dal lettino. «È stato solo un mancamento.»

«Sei rimasto privo di sensi per cinque minuti.»

«Ho sbattuto la testa.»

«Povera piccola stella.» ridacchiò Rose, mentre una macchina dietro di loro iniziava a suonare forte il clacson.

«Accelera, o finiremo indietro nel tempo.» sbuffò Will, tastandosi il bernoccolo. Una fitta di dolore lo avvolse, e si morse il labbro.

«Sì! Così potrò vedere mentre hai il tuo "mancamento".»

Will sbuffò sonoramente, e Rose aumentò la velocità. La sorella gli aveva fatto un incantesimo, e non provava dolore al capezzolo violato. Lo toccò da sopra la maglietta.

«Non ti toccare.»

«Non sei mia madre.»

«Grazie agli dei. Tua madre è ancora una stronza?»

«Purtroppo non si cambia nel giro di un paio d'anni.» Will tenne gli occhi puntati fuori dal finestrino. Parlare di sua madre era l'ultima cosa che voleva. Avrebbe preferito di gran lunga altri sette piercing in vari posti.

Rose non parlò più, e arrivarono al Campo. Will gettò il ghiaccio ormai sciolto nel primo cestino, e andò subito in infermeria, seguito a ruota dalla sorella. Disinfettò una seconda volta i piercing appena fatti, poi infilò il camice e si tirò indietro i capelli, pronti ad affrontare un'altra giornata in infermeria.
 

Quando Leo si svegliò, stesa al suo fianco trovò Calipso che leggeva un libro. Aveva già i capelli legati in una treccia che le ricadeva sul petto, un filo di trucco per risaltare il colore degli occhi, e si era infilata top e short al posto della camicia da notte.

Leo la guardò a lungo, trovandola più bella del solito.

«Giorno.» disse Calipso, notandolo sveglio. «Il caffè è già pronto.»

«James?» mormorò.

«Sono passati Lily e Brian a prenderlo una mezzoretta fa, sono andati in spiaggia con Sam e Miranda.»

Leo annuì. Prese il libro dalle mani della fidanzata e lo chiuse, posandolo sul comodino senza leggerne il titolo.

«Ma...» disse la ragazza. «Harry è circondato dai Dissennatori...»

«Vivrà. Ci sono sette libri su Harry Potter.» disse Leo, mettendosi sopra di lei e baciandola.

«Mi hai spoilerato tutti i libri.» mormorò Calipso, ricambiando il bacio, infilandogli le dita tra i capelli.

Leo sorrise nel bacio, posandole la mano sulla coscia, accarezzandole la pelle nuda, scaldandosi.

Erano passati due giorni dal falò, e non avevano più parlato del litigio avuto in spiaggia. Non ne era stata fatta parola né mentre prendevano le pillole per la sbronza, né pendendo il caffè l'ora successiva. Leo si era vagamente chiesto quanto potesse essere positivo per James che i suoi genitori fingevano che andasse tutto bene.

Con il desiderio crescente, Leo tolse il top e la baciò tra i seni, assaporando l'odore di cannella emanato dalla sua pelle. Impiegò pochi secondi a slacciarle il reggiseno, baciandole i seni abbondanti, raccogliere i capezzoli turgidi tra le labbra. La toccava come se si trovasse di fronte ad un fiore delicato e fragile.

Calipso si lasciò andare ad un lieve gemito, passando le dita sulla schiena del fidanzato, soffermandosi sui boxer. Leo ruotò la lingua sul capezzolo, mentre con le dita le toccava l'altro. Teneva gli occhi chiusi, assaporando il contatto delle mani di Calipso su di lui.

La ragazza gli abbassò i boxer, stringendogli il sedere, e Leo le succhiò il capezzolo. Le dita di Cal passarono sul davanti, scivolando sul sesso già gonfio. Passò il pollice sulla punta, strofinandolo con lentezza.

Leo le lasciò il seno, baciandole il petto fino a trovare le sue labbra, cercando di trattenere un gemito di piacere. Si baciarono con passione, lei senza smettere di muovere la mano, lui cercando di rimanere abbastanza lucido per abbassarle gli short. Sorrise accorgendosi che l'altra non indossava la biancheria.

Calipso ricambiò il sorriso, e Leo chinò la testa, allargandole le gambe e baciandola lungo le cosce, fino a sfiorarle l'intimità. Le passò la lingua sul clitoride, sentendo quasi subito le mani di Calipso tra i suoi capelli, e il gemito che le sfuggì dalle labbra.

Leo sorrise tra sé. La penetrò con la lingua, ruotandola in lei per un minuto prima di sostituirla con due dita. Calipso gemette di piacere, giungendo ad un primo orgasmo, e lo guardò ansimando, riprendendogli in mano l'erezione.

Leo le tolse le dita sfiorandole la bocca, e la penetrò, guardandola negli occhi. Cal si morse il labbro, e dopo qualche secondo Leo cominciò a muoversi in lei, baciandola lungo la gola.

La ninfa gli passò le mani sulla schiena, accarezzandolo e graffiandolo. Leo le fece un succhiotto sulla clavicola, facendo affondi profondi.

«Dei, ti amo, Leo!» esclamò Cal, tra un gemito di piacere e l'altro.

Leo la baciò, soffocando il resto dei gemiti e lasciando che si mischiassero ai suoi.

Continuarono a muoversi insieme per quello che a Leo sembrò un tempo troppo breve, e giunse all'orgasmo. La strinse tra le braccia, riprendendo a baciarla con foga, e lei ricambiò il bacio impetuoso.
 

Rimasero a letto, coccolandosi. Tutto ciò che li attendeva fuori dal letto poteva aspettare. Di tanto in tanto si guardavano negli occhi, e si sorridevano. Non avevano bisogno di parlare, sapevano sempre quel che pensava l'altro.

«Mi stai guardando affamato.» disse Calipso dopo un po', trattenendo un sorriso divertito.

«Non è vero.» mentì Leo, e quasi per contraddirlo il suo stomaco decise di brontolare proprio in quel momento.

«Il tuo stomaco dice il contrario.» Cal gli schioccò un bacio sulle labbra. «Preparo dei toast e torno.»

Leo annuì, e quando la vide alzarsi, i suoi si posarono sul corpo nudo e si morse la lingua. «Vengo con te.» disse, cambiando idea e passandole un braccio attorno ai fianchi, evitando di palpeggiarle il sedere per i primi dieci secondi.

«Che manina curiosa.» ridacchiò Calipso, mentre apriva il mobile prendendo delle fette di pane.

«Non solo la manina.» ridacchiò Leo a sua volta, stringendola da dietro e baciandola lungo il collo. Era una fortuna che fosse così bassa. Ricordò quando Will si piegava sulle ginocchia per permettergli di farlo.

Ripensare a Will in quel modo, mentre stringeva la sua ragazza tra le braccia, gli fece venire un brivido lungo la schiena, ma non capì se di disgusto o di piacere. Poteva benissimo essere sia l'una che l'altra cosa.

Cal notò il brivido e voltò la testa, baciandolo. «Che succede?» chiese.

«Nulla.» le sorrise. «Sono solo in compagnia della ragazza più bella del pianeta.»

Cal arrossì. «Cosa devi farti perdonare? Hai di nuovo messo i boxer in forno?»

Leo scosse la testa divertito e la prese tra le braccia, baciandola, portandola sul divano.
 

Will si stava guardando il piercing al capezzolo quando bussarono alla porta del bagno.

«Occupato!» gridò, giocherellando piano con l'anellino e mordendosi il labbro.

«Solace, ti prego, smettila di guardarti il pene e torna al tuo lavoro!» urlò Nate dalla porta.

«Non mi sto guardando il pene!» gridò a sua volta Will, sistemandosi la maglia e lavandosi le mani. Aprì di scatto la porta del bagno, ma Nate si era già allontanato.

C'era confusione in infermeria. Da quanto Will riuscì a capire entrando in infermeria, i figli di Ares avevano sfidato i figli di Ermes, di Efesto e di Ecate ad una gara con i carri. Solo che i figli di Ares, di Ermes e di Efesto avevano utilizzato degli effetti speciali, dei razzi che si erano colpiti a vicenda, mentre i figli di Ecate avevano provato ad usare la magia per vincere. Per fortuna non c'era nessun morto, ma decine e decine di feriti.

«Rose, chiama tutti i figli di Apollo disponibili.» le gridò Will, avvicinandosi ad un figlio di Ares con la maglietta impregnata di sangue dovuta ad una ferita alla schiena. Trattenne un sorriso, perché era per giornate piene come quelle che gli piaceva molto l'infermeria.
 

Leo uscì di casa nel pomeriggio, diretto in fucina. Stava pensando solo a Calipso, a come si sentiva triste ad averla lasciata a casa. Fare sesso con lei era così bello e appagante, che se non avesse avuto delle consegne da fare per il giorno dopo, non si sarebbe neanche scomodato ad uscire di casa.

Era arrivato nei pressi della fucina quando vide una mezza dozzina di figli di Apollo, tutti di diverse sfumature di biondo e abbronzati, che correvano verso l'infermeria. Chissà cos'era successo... Pensò a Will, forse gli era capitato qualcosa, ma prima che potesse andare in infermeria sentì un grido meccanico provenire dalla fucina. Si pietrificò, e la sorpresa fece spazio alla preoccupazione. Cominciò a correre.

«Leo!» esclamò Paul, vedendolo arrivare. Aveva le mani sporche di olio e grasso. «Lo abbiamo visto arrivare poco fa, non sappiamo cosa gli sia successo...»

«Fate fare a me.» disse Leo, e i suoi fratelli si spostarono dal drago meccanico. Leo si inginocchiò, passando le dita sul mento della macchina. «Festus.» mormorò, accarezzandolo. «Cosa ti è successo?»

Festus parlò, con la sua serie di rumori meccanici, e Leo annuì, aggrottando la fronte, cercando la ferita di cui il suo amico gli stava parlando. Ne trovò una alla pancia. La sfiorò, ritrovandosi le dita ricoperte dallo stesso olio che grondava sui suoi fratelli, e si accigliò.

«Ha volato fino a qui?» domandò Leo, voltandosi verso Paul, che scosse la testa.

«Si è trascinato. La ferita...»

«Festus ha volato con ferite ben peggiori di questa, posso assicurartelo.» sbottò Leo, tornando a guardare il drago. Prese dalla cintura la sua cassetta per gli attrezzi, e infilò una mano nella ferita. Ignorò le ferite che si procurò con il metallo, poi tolse le dita. «È stato ferito apposta.»

Paul sgranò gli occhi, e si inginocchiò accanto a lui. «Come fai a saperlo?»

Leo usò la manica per pulire la ferita. «Guarda qua. È una linea perfetta. Gliel'ha fatta una spada, qualcuno di molto forte. Deve averla mossa a destra e a sinistra prima di riuscire a staccarla.»

«Ti aiutiamo.» disse Chris, rimboccandosi le mani.

«Controllatelo dappertutto, ditemi se ha altre ferite.» ordinò Leo, aprendo più la ferita sul metallo per aggiustarlo dentro. «E se la trovate, voglio prima vederla.»

I tre fratelli annuirono, e si misero al lavoro. Chris alla coda, Paul al centro, e Mark vicino alla testa. Tutti e tre si graffiarono mentre cercavano altre ferite, ma nessuno si lamentò. Sapevano quanto fosse importante Festus per il loro fratello, e quanto fosse stato importante per l'impresa dei Sette. Festus era considerato anche come una leggenda, e non potevano lasciarlo ferito, dovevano aiutarlo.

Chris avvertì Leo di aver trovato una ferita alla coda. Leo la controllò con attenzione, e scosse la testa. Chris e Paul si misero a lavoro insieme mentre Leo finiva di sistemare la ferita.

«Leo, qui.» lo chiamò Mark, indicandogli un punto sotto la testa di Festus. «Ma non mi sembra seria.»

«Questo lo decido io.» sbuffò Leo, avvicinandosi di corsa. Ma dopo pochi secondi si rese conto che il fratello aveva ragione. Non era seria. Era ricoperta da una sostanza giallognola, e Leo si affrettò a pulirsi la mano su uno straccio.

«Mark, chiama un figlio di Apollo, o di Demetra, o di Ecate, chiunque possa dirti cosa sia quella roba gialla.» disse, e Mark annuì, partendo come un razzo.

Leo posò le mani pulite sul volto di Festus, cercando di capire cosa avesse il suo amico. Ma un po' di quella roba gialla gli era rimasta sulle dita e, quando Festus la percepì vicino all'occhio, lanciò un grido metallico così forte che Chris e Paul dovettero coprirsi le orecchie.

«Festus!» gridò Leo, cercando di calmarlo, ma la macchina si agitò e graffiò Leo al petto. Il figlio di Efesto ignorò il dolore, continuando a chiamarlo, e provocandosi altri tagli. Festus agitò la coda, facendo allontanare Paul e Chris, e Leo ignorò i fratelli che gli dicevano di andarsene.

«Non può farmi male!» urlò Leo, ignorando il suo sangue che gli colava lungo i pantaloni. «Festus, amico, sono io, sono Leo!»

Festus sembrò calmarsi, e Leo gli si avvicinò. Con un nodo allo stomaco, lo spense, e cadde in ginocchio davanti al volto del drago.

«Leo, devi andare in infermeria.» disse Paul, posandogli una mano sulla spalla.

«No, devo prima sistemare Festus.» sbottò Leo, scrollando le spalle per liberarsi dalla presa del fratello. «Ma voi potete andarvene...»

«Leo, hai uno squarcio sul petto!» esclamò Chris. «Devi vedere subito un figlio di Apollo!»

«Allora portate Will qui, io non ho alcuna intenzione di smetterla di...»

Leo si interruppe, mentre un bruciore gli invadeva il petto. Si portò una mano alla ferita, rendendosi conto per la prima volta di quanto sangue stesse perdendo.

Chris si inginocchiò davanti a lui, e Leo non riuscì a capire cosa gli stesse dicendo. Vedeva tutto appannato, e non si accorse del fratello che lo prendeva in braccio e lo portava in infermeria.
 

***
 

Quando Will vide entrare Chris con un ragazzo tra le braccia, pensò che quella giornata non facesse altro che migliorare. C'erano pazienti da tutte le parti, con ferite di tutti i tipi, e tutti i suoi fratelli attivi come medici facevano avanti e indietro tra i letti, cercando di medicare tutti quanti. Alcune ninfe erano corse ad aiutare, e anche dei volontari della cabina di Atena.

«Will, dove lo metto?» chiese Chris, guardandosi attorno. Era pallido.

«Mettilo qui.» disse, indicando un lettino vuoto, infilandosi i guanti e avvicinandosi. «Cosa gli è successo? Un incidente in...»

Le parole gli morirono in gola mentre lo riconosceva. Leo. Dall'espressione che fece Chris guardandolo, Will capì che era sbiancato. Guardò Leo, poi Chris, e velocemente la paura per Leo passò in secondo piano.

«Cos'è successo?» chiese, tastando il petto di Leo, scoprendo la ferita. Prese le forbici e tagliò la maglietta.

«Festus è stato ferito, e ha ferito Leo, mentre cercava di riparargli la ferita...»

Will aggrottò la fronte. «Festus?» ripeté.

«Sì, il suo drago.»

«So chi è Festus. Ma lui non fa cose del genere.»

«Ehm, questa volta l'ha fatto.»

Will annuì, prendendo dell'acqua per ripulire il petto di Leo e controllare meglio la ferita. Lanciò una rapida occhiata a Chris, notando quanto fosse sporco di olio.

«Scusami, ma dovresti uscire.» gli disse.

«Sì... Vado a chiamare Calipso.» mormorò Chris, lasciando in fretta l'infermeria.

Will tornò ad occuparsi di Leo. La ferita non era profonda, non aveva taccato organi interni, quindi non era grave. Era troppo stanco per fare un incantesimo di guarigione, quindi si limitò a pulire la ferita con l'ambrosia tre volte, e a ricucirla. Dopo avergli messo la garza, si fece aiutare da un fratello con il bendaggio attorno al petto, e finì di spogliare il figlio di Efesto, mettendogli uno dei camici blu da paziente dell'infermeria.

Fu sul punto di chiedere al fratello se poteva aspettare lui Calipso, e spiegare cosa gli fosse successo, quando la vide comparire all'entrata. Non poteva più fuggire.

«Solace!» esclamò Calipso, correndo verso di lui, e guardandolo con gli occhi scuri spaventati. «Dov'è Leo? Cosa gli è successo?»

«Vieni con me.» disse, e la portò al letto di Leo, circondato da una tenda. Il figlio di Efesto dormiva sereno, e le bende si intravedevano dal camice. «Suo fratello mi ha detto che è stato ferito da Festus, a sua volta ferito da un altro.»

Will guardò Calipso prendere la mano di Leo e tenerla tra le sue, come se volesse passargli la sua forza. Will cercò di trovare qualcosa di brutto in quel gesto, ma non ci riuscì.

«Come sta?» Calipso alzò gli occhi su di lui, e Will lesse solo sincera preoccupazione in quegli occhi scuri.

«Sta bene.» la rassicurò Will, provando subito simpatia per quella ragazza. Due anni prima l'aveva vista toccare il fondo, ora si vedeva chiaramente che si era ripresa. Mai più ricadute. «Aveva solo una leggera ferita al petto, non era profonda, nessun organo interno è stato toccato.»

«Sta bene.» ripeté Calipso, leggermente rincuorata, senza lasciare la mano di Leo. «L'hai operato?»

«Non era necessario. Era una ferita superficiale.» ripeté Will.

«Hai usato la magia, allora?»

«No...»

«E come fai a sapere che nessun organo interno è stato toccato?!»

Will sospirò. «Fidati, lo avrei notato.»

Calipso abbassò lo sguardo su Leo, accarezzandogli la guancia. «Grazie.»

«Non serve ringraziarmi, è il mio lavoro.» le disse Will, prendendo il resto delle cartelle dei suoi pazienti. «Devo andare. Se si sveglia, chiamami.»

Calipso annuì distrattamente, e si sedette, tenendo la mano di Leo.

Will li guardò, sentendo una strana stretta allo stomaco, e si allontanò il più possibile da quei due.
 

Mentre Will si allontanava, Calipso gli lanciò un'occhiata. Era sempre in mezzo... perché lo era sempre? Be', era un dottore, e visto il viavai che c'era quel giorno, era più che normale.

Calipso si mordicchiò il labbro e chiuse bene le tende attorno al letto di Leo. Dai letti vicini arrivavano grida di dolore e pianti, e Calipso riuscì ad isolarsi da tutto guardando il viso del suo fidanzato.

Sapeva che non poteva morire. Le ferite mortali non potevano ucciderlo, ma lo indebolivano, e poteva restare svenuto anche per giorni. Per fortuna Will era sicuro che fosse guarito. E Will doveva volergli bene quanto lei.

Si chiese se il figlio di Apollo lo amasse ancora. Conosceva Leo da anni, e si era innamorata di lui ogni giorno di più che lo vedeva sull'isola. Immaginava che Will lo amasse ancora.

Con un sospiro, Cal diede un leggero bacio sulla guancia di Leo, e lo sentì rovente. Anche se non doveva, si allarmò. Gli tastò la fronte, sentendola umida, e balzò in piedi, chiamando Will a gran voce. Forse non era nulla, ma preferiva il parere di un medico.

Quando Will udì la voce di Calipso chiamarlo, lasciò alla sorella Lorene la spalla da ricucire del figlio di Ermes, e andò dritto dalla fidanzata del suo ex. Notò la sua preoccupazione da dieci metri di distanza, e si affrettò.

«Will, Leo è caldo.» disse.

Will inarcò un sopracciglio. «Leo è sempre caldo.» mormorò, ricordando le lunghe notti fredde in cui lo aveva riscaldato.

«Ora è bollente, e sta sudando.»

Will si avvicinò, infilandosi dei guanti e toccando la pelle. In effetti Leo era bollente, ma non quel piacevole calore che emanava sotto le coperte. Gli toccò la fronte, gli schiuse le labbra controllandogli la lingua, poi gli occhi.

«Che cos'ha?» mormorò Calipso, senza spostare lo sguardo dalle mani del dottore.

Will la ignorò, mentre un brutto presentimento lo assaliva. Iniziò a sbottonargli il camice, e taglio via la bendatura. Prima che l'avesse tolta tutta gli arrivò l'inconfondibile odore di carne in putrefazione. Calipso urlò, vedendo la ferita riaperta, che grondava liquido giallo.

«Nate!» gridò Will, prendendo del disinfettante. «Rose! Emergenza!»

I fratelli accorsero. Rose lanciò un'occhiata alla ferita, e spinse via Calipso, mandandola a finire tra le braccia di una ninfa che dimostrò di avere molta forza mentre tratteneva la ragazza.

«Will!» urlò Calipso, mentre Rose chiudeva le tende e si avvicinava al fratello. «Solace, mi avevi detto che stava bene!»

Will chiuse gli occhi, inspirando profondamente.
 

Con l'aiuto dei fratelli, Will ripulì la ferita di nuovo aperta di Leo.

«È un veleno.» mormorò Rose, tastando la pelle bollente. Will notò alcune goccioline di sudore sulla sua fronte. «È stato ferito con del veleno.»

«Ma non lo ha graffiato Festus?» chiese Nate, aggrottando la fronte, versando del nettare sulla ferita. Il nettare iniziò a friggere sulla pelle, ma ormai il veleno era in circolo.

«Gli artigli di Festus erano sporchi di veleno.» disse Will, portando la mano su Leo e cominciando a mormorare un antico Inno di guarigione di Apollo. I fratelli lo seguirono, mormorando in sincronia con lui le parole in greco.

Cinque minuti dopo, si fermarono. Nate si sedette su una sedia, prendendosi il volto tra le mani, e Rose si appoggiò al muro. Will ignorò il lieve fischio alle orecchie e le vertigini. Erano riusciti a fermare il veleno prima che arrivasse al cuore, ma bisognava trovare il giusto antidoto per eliminarlo completamente dall'organismo.

Will prese una fiala e vi infilò dentro del veleno, spingendolo con le punte delle dita. Quando ne raccolse il più possibile – notò che si stava seccando in fretta – porse al fratello la fiala.

«Fai le analisi, hanno la precedenza su tutto ciò che si sta aspettando nei laboratori.» lo avvertì. «Cerca di fare il più possibile, e contatta un figlio di Demetra e di Ecate, magari loro sanno qualcosa.»

Nate annuì, prese la fiala e si allontanò in fretta. Rose lanciò un'occhiata a Will. «Pensavo le facessi tu.» mormorò.

«Vado a controllare Festus.» disse Will, togliendo i guanti e gettandoli nel bidone azzurro vicino. «E vedo se qualcuno sa chi è stato ad avvelenargli il drago. Resti tu con lui? E mi chiami nel caso peggiorasse?»

Rose annuì. «Ma certo, Will.»

«Puoi far entrare Calipso... ma dopo che me ne sono andato, non la voglio vedere.» Non voglio che mi ricordi che non sono stato efficiente nel mio lavoro..., pensò, uscendo in fretta dalla stanza. Parlò con Lorene, affidandole l'infermeria, dicendole che Nate e Rose erano richiesti per altri incarichi. Lorene sembrò felicissima, e iniziò a dettare ordini a tutti.
 

Will si avviò di corsa verso la fucina. All'aria aperta il suo cervello si era schiarito. Oltre all'antidoto del veleno bisognava anche cercare il colpevole. Festus non si era avvelenato da solo per ferire il suo padrone. Qualcuno aveva ferito Festus, e avvelenato gli artigli, per far ferire chiunque si fosse avvicinato.

Avvicinandosi alla fucina, e bussando come un pazzo per farsi aprire, un'altra idea lo attraversò. E se lo avessero fatto apposta per ferire e uccidere Leo?

Cercò di scacciare quel pensiero. Perché Leo non sempre andava a chiamare Festus da solo, a volte portava con sé il figlio, volevano insieme e tornavano la sera.

«Solace.» lo salutò un figlio di Efesto dalla carnagione scura. «A cosa dobbiamo l'onore?»

«Ho bisogno di vedere Festus, e parlare con tutti quelli che hanno visto Festus ferito.» disse Will, e il ragazzo si fece serio.

«Ma certo. Si tratta di Leo, vero? Sta bene?»

«Ho bisogno di sapere cosa è successo a Festus.» ripeté Will. Non intendeva dire a dei figli di Efesto armati di chiave inglese e di venti chili di muscoli in più di lui che il loro fratello stava combattendo contro un veleno, e che se non scopriva al più presto di cosa si trattava, sarebbe morto tra atroci sofferenze.

Il ragazzo, Hugh, lo accompagnò al posto dove giaceva Festus. Era spento, e Will sentì una stretta allo stomaco notando quanto olio avesse perso, e alle varie ferite che riusciva a scorgere sulla sua pelle pulita. Paul, Chris e Steve si stavano dando da fare su una ferita alla coda.

«Ciao Will.» lo salutò Steve, con un debole cenno del capo.

Will ricambiò il cenno sovrappensiero, gli occhi puntati al collo della creatura. Prese subito dei guanti dalla tasca, allarmando tutti e quattro i figli di Efesto presenti.

«Questo.» disse Will, sfiorando la sostanza gialla. «È veleno. Qualcuno di voi lo ha toccato?»

Scossero tutti la testa, impallidendo.

Will si avvicinò agli artigli di Festus, facendo attenzione. Controllò ogni artiglio, annuendo tra sé.

«C'è veleno, e sangue, anche qui.» disse, guardando Hugh. «Fatemi prendere un campione, e poi ripulitelo prima che qualcuno possa farsi del male.»

Hugh annuì, e Will prese un campione di sangue e di veleno. Sapeva che il sangue era di Leo, ma magari c'era qualche sostanza sul veleno che poteva condurlo a chi lo avesse messo. Ah, sospirò tra sé, se avesse avuto i laboratori fighi di Csi avrebbe preso tutte le impronte presenti su Festus, e quelle dei figli di Efesto per metterle a confronto ed eliminarli dalle indagini. Poi avrebbe preso campioni di DNA dai semidei...

Will si alzò in piedi, infilando la fiala nel camice. «Qualcuno si è avvicinato a Festus?» chiese, guardandoli.

«Festus sta sulla collina, lontano da qui, l'unico che gli si avvicina è Leo per portargli da mangiare, anche se a volte Leo manda uno di noi a cibarlo.»

Will annuì, pensieroso. «Se sentite qualcosa, avvertitemi. Leo ha bisogno di un antidoto.»

Will li lasciò ad occuparsi di Festus, con il cervello in subbuglio. Chi poteva aver avvelenato Festus per colpire Leo? Qualcuno geloso del drago meccanico? Qualcuno che ce l'aveva con il figlio di Efesto? Ma chi poteva avercela con lui? Leo era uno dei semidei più affascinanti e gentili del Campo, perché qualcuno voleva avvelenarlo?

Forse queste erano considerazioni personali, ma non cambiavano il rapporto che aveva Leo con gli altri semidei del Campo. Nessuno sano di mente poteva avercela con Leo Valdez.

Una mano sulla spalla lo fece sussultare. E solo perché si stava mordendo il labbro riuscì a non urlare.

«Ehi.» Hazel aggrottò la fronte nel notare la sua espressione sorpresa e spaventata. «Stai bene? Sono almeno cinque minuti che ti chiamo.»

Will annuì, deglutendo. La sua amica gli aveva fatto prendere un colpo.

«Ciao Haz.» la salutò Will.

«Dei, sembra che tu abbia visto un fantasma. Stai bene? E sì, continuerò a chiedertelo finché non mi darai una risposta.»

Will sospirò, ricordando quanto potesse essere insistente la sua amica, e si ritrovò a parlare dell'affollamento dell'infermeria, e della presenza di Leo Valdez con un veleno bloccato nelle sue vene. L'incantesimo suo e dei suoi fratelli poteva sparire da un momento all'altro, e lui aveva bisogno di trovare l'antidoto.

Scoprendo che uno dei suoi migliori amici stava rischiando la morte in infermeria, Hazel tremò, e i suoi pensieri si fecero subito all'amico. Non sapeva quanto potesse servire il fatto che Leo fosse immortale, con un veleno che agiva all'interno del suo corpo, magari bloccando organi interni, creando deficit gravi.

Will le posò una mano sul braccio, notando la sua paura. «Andrà tutto bene.» mormorò, sforzandosi di credere alle sue stesse parole.

«Chi potrebbe essere stato?» domandò Hazel, scrutandolo. «Hanno ferito Festus, e lo hanno avvelenato sapendo che Leo si sarebbe occupato di lui...»

Will si guardò attorno, guardando le venti cabine che sorgevano nel Campo Mezzosangue. Qualcuno di loro era colpevole di aver avvelenato uno dei propri amici, un compagno, un guerriero, nonché uno dei salvatori, uno dei Sette della Profezia che aveva salvato il mondo da Gea. Come potevano aver fatto questo?

«Dobbiamo chiedere a Calipso se ne sa qualcosa.» mormorò Will, passandosi le dita tra i capelli.

«Se sa che il suo ragazzo ha dei nemici?» sbuffò Hazel.

«Proprio questo.»

«Non credo che uno dei suoi clienti, uno di quelli che gli chiede di sistemargli le armi, possa aver fatto una cosa del genere.»

«Tu non conosci qualche nemico di Leo?»

«Non so cosa gli sia successo in questi due anni...»

Hazel annuì, pensierosa, e Will gettò un'occhiata verso l'infermeria. Forse doveva invocare un altro incantesimo di Apollo, oppure il padre stesso, e chiedergli di guarire Leo...

La porta dell'infermeria si spalancò, e ne uscì una figlia di Ecate che Will conosceva bene.

«Lou Ellen.» disse Will, sorpreso, mentre i due gli si avvicinavano. «Come..?»

La domanda "come mai sei tornata al Campo?" gli morì in gola notando l'occhio nero e gonfio della ragazza.

«Che ti è successo?!» esclamò, mentre anche Hazel si preoccupava. Ne aveva sentite molte su Lou Ellen.

«Un figlio di Ares.» disse Lou, sfiorandosi il volto, e guardandolo. «Will, è stato un figlio di Ares a prendere quel veleno.»

«E tu come lo sai?»

Lou si attorcigliò una ciocca di capelli al dito. «Be', vedi, ho iniziato a frequentare questo figlio di Ares, e per passare il tempo abbiamo creato delle pozioni varie... E questa mattina mi ha chiesto come si preparano i veleni, e ne abbiamo estratto uno da un fiore comune. Solo che quando stavo per svuotare il calderone, lui mi ha fermato, abbiamo litigato, e mi ha colpito in viso. Sono rimasta svenuta fino ad un'ora fa, poi sono venuta in infermeria, e ho scoperto di Valdez.»

«Puoi preparare l'antidoto?» domandò Hazel, prendendo le mani di Lou tra le proprie.

«Certo.» annuì la figlia di Ecate. «Stavo andando proprio lì apposta. Impiegherò qualche ora a prepararla.»

Hazel sospirò di gioia, e abbracciò di slancio la ragazza. Will guardò la sua vecchia amica.

«Il figlio di Ares... come si chiama?» domandò.

«Bruno.»

Will aggrottò la fronte, perplesso. Non ricordava ci fossero dei Bruno nella cabina di Ares. «Bruno?» ripeté.

«Sì. Bruno Morgan. Sapete, è il fratello di sangue di quell'altro ragazzo che un paio di anni fa è morto nella foresta...»

Hazel sgranò gli occhi e si mise a fissare l'amico. Will era impallidito, voltandosi a guardare verso la cabina di Ares. I brividi lo attraversarono mentre un pensiero faceva capolino nella sua mente.

Lo sanno...

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Capitolo 40
*** 57. Will e Calipso ***


Will sedeva nel suo ufficio, scarabocchiando distratto su un foglio. Notò di aver scritto il nome di Marcelus, di Bruno, di Angel, di Steve, di Leo e il proprio. Erano tutti collegati tra di loro.

Will cancellò i nomi con un segno deciso della biro nera, e lanciò il foglietto nel cestino, facendo canestro. Si prese la testa tra le mani, mentre vecchi ricordi che aveva provato ad eliminare tornavano con prepotenza.

Marcelus che gli giurava che gliel'avrebbe fatta pagare... Marcelus che lo colpiva e poi lo stuprava... Marcelus che lo derideva... E poi Leo. Leo che uccideva Marcelus per quello che gli aveva fatto, Angel che inventava un piano per nascondere tutto quanto, Steve che lasciava Angel per questo.

E ora... Come faceva Bruno a sapere di questa storia? Non poteva aver avvelenato Leo per un lavoro fatto male in fucina. Doveva aver scoperto che suo fratello era stato ucciso da Leo Valdez.

Ma chi poteva averglielo detto?

Nate lo sapeva, almeno dello stupro, e aveva giurato di non dirlo ad anima viva, e Will si fidava ciecamente di lui. E Angel era troppo lontano per spifferare tutto, e anche di lui Will si fidava. Angel aveva pagato un prezzo alto per aver salvato Leo, quel giorno. Anche Hazel lo sapeva, ma aveva giurato sullo Stige che non avrebbe mai tradito quel segreto.

Leo se l'era tenuto per sé, e così anche Steve. Anche se aveva odiato Angel per quelle menzogne, Steve non avrebbe messo a rischio la vita del proprio fratello.

Ecco chi sapeva quel segreto, il segreto suo e di Leo. Si fidava di loro, e sapeva che non lo avrebbero mai tradito.
 

Quando raggiunse Calipso, Will rimase a guardarla per qualche secondo prima di schiarirsi la gola. E se Leo ne aveva parlato con lei? E se fosse stata lei a dirlo al figlio di Ares?

«Lou Ellen sarà qui a minuti con l'antidoto.» le disse, e Calipso annuì. Non teneva più la mano di Leo, ma questo perché il figlio di Efesto si faceva sempre più bollente. Doveva solo aspettare un altro po'.

Will rimase in piedi, con le mani infilate nel camice, gli occhi fissi su Leo. Gli mancava molto. Quello che c'era stato tra di loro era magico, e Will a volte si chiedeva se la loro relazione avrebbe continuato per altri mesi, per anni addirittura. Fino alla sua morte. Riusciva quasi a sentire l'orologio ticchettare i secondi che lo avvicinavano alla morte ogni giorni di più.

«Hai scoperto chi l'ha avvelenato?» domandò Calipso, lanciandogli un'occhiata, distogliendolo dai suoi pensieri.

«Ci sto ancora lavorando.» mentì Will. Non gli sembrava il caso che Calipso lo sapesse. Voleva trovare lui Bruno Morgan.

Calipso annuì, e Will si chiese a cosa stesse pensando. Probabilmente pensava che lui, il mitico dottor Solace, non sapeva fare nulla.

Dopo qualche minuto di silenzio, Will si avvicinò al suo ex fidanzato e cominciò a tastargli le braccia e la fronte. Il calore che emanava era insopportabile da vicino, ed era piuttosto rigido. Gli piegò un braccio, con l'orribile pensiero che l'avrebbe sentito rompersi da un momento all'altro.

«Eccomi!»

Will alzò gli occhi mentre Calipso sussultava. Lou Ellen arrivò, tenendo in mano una boccetta dal liquido rosso.

«Sei stata veloce.» notò Will, prendendo la boccetta e aprendola. Un forte odore di rose gli fece venire un conato, ma si morse la lingua per nasconderlo.

«Mi hanno aiutato. Dovresti dargliene un po' adesso, e un po' dopo che si è svegliato.»

«Lo farò. Grazie, Lou...»

«No, non devi ringraziarmi.» Lou gli diede un bacio sulla guancia, e lasciò la stanza, completamente ignorando Calipso.

«È sicuro?» domandò lei, quando la figlia di Ecate fu fuori dall'infermeria, mentre Will prendeva una siringa dal cassetto più vicino.

«Certo che è sicura.»

Quando ebbe finito con la siringa, Will si avvicinò al braccio di Leo. Gli fece l'iniezione poco più sotto della A di James.

«Dov'è Jam?» domandò Will, togliendo la siringa ormai vuota e buttandola. Il corpo di Leo iniziò a raffreddarsi.

«Con i suoi amici.» disse Cal, prendendo la mano di Leo nella sua, guardandogli il volto, forse aspettandosi che si svegliasse all'istante.

Will fu sul punto di dirle che poteva andare dal figlio, mentre lui si sarebbe occupato di Leo, ma come a leggergli nel pensiero Cal mormorò: «Non ti lascio solo con lui.»

Si chiese se stesse parlando con lui o con Leo.

«Perché no?» domandò Will, mettendo un cerotto sul braccio del figlio di Efesto.

Il tono di Calipso fu tranquillo mentre alzava gli occhi per guardarlo. «Perché magari provi a stuprarlo di nuovo.»

Will ricambiò l'occhiata, sentendosi scaldare. Come se il calore di Leo fosse passato a lui durante l'iniezione.

«Senti, queste non sono cose che ti riguardano...»

«Invece sì.» Calipso lo fissò torva. «Lui è il mio ragazzo. Il mio, non il tuo.»

«Non ho intenzione di toccartelo.»

«Da come ti sei comportato oggi, non si direbbe.»

Will la guardò basito. «Stai scherzando? Sono un dottore!»

«Ho visto il modo in cui lo guardavi.»

«E allora?! È stato avvelenato, e sì, sono il suo ex, e mi importa di lui. Non voglio mica che crepa.»

«Lui non può crepare, è immortale.»

«Non è un buon motivo per non preoccuparsi della sua salute.»

I due si fissarono in cagnesco, poi Will spostò lo sguardo, cercando di calmarsi. Voleva correre via da quel lettino, da quella stanza, da Calipso, ma non poteva lasciare Leo alle cure della ragazza, o nelle mani di uno dei suoi fratelli. Voleva essere lui a dargli la seconda dose di antidoto.

Chiuse gli occhi, cercando di schiarire le idee. Forse quello che aveva provato per lui in passato non lo stava facendo comportare da bravo medico. Forse doveva lasciarlo alle cure di uno dei suoi fratelli, e andarsene a dormire. La giornata era stata lunga, e sentiva che poteva addormentarsi da un momento all'altro.

«Comunque, grazie per essere stato il suo passatempo.»

Will sussultò leggermente e riaprì gli occhi. La ninfa stava gongolando, gli occhi puntati sul suo volto. Will si conficcò le unghie nei palmi, mentre un leggero rossore gli copriva gli zigomi.

«Cosa hai detto?» chiese, cercando di non urlare.

«Ho detto che ti ringrazio per essere stato il suo passatempo. Immagino che stare con un uomo fosse uno dei suoi segreti nascosti, e ha trovato te pronto a soddisfare i suoi bisogni, ad occupargli la mente, ad intrattenerlo.»

«Intrattenerlo prima del tuo ritorno, ex drogata?» domandò calmo Will, cercando di trattenere i pensieri urlanti nella sua testa.

«Già, esatto. Io sarei tornata da lui.»

«Se non ti avessi fatta disintossicare, lui te lo saresti dimenticata da un pezzo.»

«Ma per fortuna c'eri tu, no? Non hai esitato nel prenderti cura di me, dal farmi disintossicare, e farmi tornare al mio posto, ovvero al fianco di Leo.»

«Leo si è rimesso con te solo perché sei la madre di suo figlio, e perché vuole dare al bambino una famiglia normale.»

«Lui mi ama.»

«Leo ama suo figlio, e per lui farebbe qualsiasi cosa. Anche tornare con una troia come te.»

Calipso lo fulminò con lo sguardo. «Sai che ho ragione, quindi provi ad offendermi?»

«Non hai ragione. Leo non si è messo con me per passatempo. Riuscivo a capirlo, lo apprezzavo, mi amava.»

«Ti amava. E hai dovuto rovinare tutto perché sei un coglione.»

Will si passò le dita tra i capelli, stanco. «Almeno non sono una troia ex tossica.»

«Ancora troia, mi ha stancato questo insulto.»

Will la guardò. «Cosa stai facendo?»

«Ti sto insultando.»

«Non intendo con me. Intendo con Leo. Se lo ami veramente, dovresti andartene, e lasciarlo da solo.»

Calipso aggrottò la fronte. «Stai scherzando?»

«No. Lui non merita una ragazza come te. Ti ha liberato da Ogigia, e per ringraziarlo non hai fatto altro che ricordargli che ti aveva rovinato la vita con un figlio, che ti aveva rinchiuso in un'altra prigione. Non ti sei mai occupata di vostro figlio, ti sei dimenticata le sue feste di compleanno, preferivi farti, e non ti sei mai accorta della fortuna che avevi. Un bambino incredibile, e un fidanzato che ti amava con tutto sé stesso.»

«Lui mi ama ancora.»

«Può darsi, ma avrà sempre la paura che tu possa abbandonarti di nuovo alle droghe, o che tu possa mancare alle feste di Jam, o hai tuoi doveri di madre. Ora Jam è più grande, lui ricorderà tutto quello che fai, e che non farai.»

«Sei geloso.»

«Forse. Perché tu non capisci l'importanza di quello che hai, mentre io inventerei una macchina del tempo per riavere Leo.»

«Per riavere Leo e mio figlio.» sottolineò Calipso.

«Di sicuro non lo rivoglio perché è tuo figlio, ma perché è figlio di Leo, ed è adorabile.»

«Naturalmente.»

Will si avvicinò a Leo, controllandogli le pulsazioni. Era tornato ad avere una temperatura corporea normale. Gli controllò le pupille, e la ferita al petto. I punti tenevano, e non c'era segno di infezione. L'antidoto stava agendo.

Calipso scrutò il volto piuttosto sereno di Will. Sebbene lo detestasse, sebbene odiasse ogni volta che si rivolgeva a lei o a Leo, gli era riconoscente. Si era preso cura di Jam come lei non era mai riuscita a fare, e aveva dato a Leo tutto l'amore di cui aveva bisogno. Forse sarebbero potuti diventare amici, ma il figlio di Apollo era ancora visibilmente innamorato di Leo. Non poteva essere amica di qualcuno che la odiava perché occupava il posto più ampio nel cuore di Leo.

«Prenditi cura di Leo e di James.» mormorò Will, alzando gli occhi celesti e incrociando quelli a mandorla della ninfa. «Trattali meglio di quanto tratteresti chiunque. Se lo lascerai, se lo farai soffrire, non mi farò problemi a riprendere il tuo posto.»

Calipso deglutì. Quegli occhi stavano cercando di lacerarla dentro. Annuì, spostando lo sguardo su Leo, sapendo che doveva tenerlo stretto.

Will versò l'antidoto in un bicchiere, e attese che Leo si svegliò, con le braccia incrociate al petto, lo sguardo stanco, le labbra strette. Calipso rimase in silenzio, giocherellando con un braccialetto, e fu sul punto di porgergli una domanda quando Leo iniziò a tossire.

Will lo aiutò a mettersi seduto, e Leo si passò le dita sul volto, il corpo scosso dalla tosse che gli bruciava la gola. Mise a fuoco Calipso, e la figura rassicurante di Will.

«Bevi questo.» disse il dottore, portandogli alle labbra un bicchiere. Leo annuì, stringendo la mano fredda posata sulla sua. Il liquido che gli riempì la bocca aveva un sapore troppo dolciastro, ma si costrinse a mandarlo giù. Era caldo, e il torpore che gli risalì nelle vene era piacevole.

Quando il bicchiere fu vuoto, Will lo portò via, e Leo si passò le dita sulle labbra. Il liquido che aveva bevuto era rosso, meno intenso del sangue, e l'odore di fiori alleggiava nella piccola stanza ottenuta con delle tende azzurre.

«Come ti senti?» domandò Calipso, accarezzandogli il palmo della mano, e Leo si accorse che la mano fosse la sua.

«Sto bene.» annuì Leo, perplesso, e subito gli tornò alla mente Festus che lo colpiva, e lo svenimento tra le braccia di Chris. «Quanto ho dormito?»

«Circa dodici ore.» disse Will, raggiungendolo.

«Sei stato avvelenato.» aggiunse Calipso, scrutandolo.

«No... Festus...»

«Gli artigli di Festus erano avvelenati.» mormorò Will, passandosi una mano all'indietro tra i capelli. Leo notò le occhiaie, il pallore, e gli tornò alla mente il gran trambusto in infermeria di quel giorno.

«Chi è stato..?» Aveva la voce arrochita dal sonno, ma ora la gola non gli doleva più.

«Non lo sappiamo ancora.» disse Calipso, prima di Will. Nessuno dei due si accorse che il dottore aveva esitato tenendo la bocca chiusa.

«James.» mormorò Leo, strizzando gli occhi. «Poteva essere con me.»

«Ma non è andata così, fortunatamente. James è con Travis e Lily. Sta benissimo.» Calipso sorrise dolcemente, accarezzandogli i capelli, e Leo si rilassò. La rabbia per la sorte di James sarebbe arrivata più tardi, ora era veramente stanco.

«Ho sonno.» mormorò Leo, guardando Will quasi timidamente. «È normale?»

«Normalissimo. Gli antidoti danno sempre un po' di sonnolenza. Devi restare qui a dormire, e se dovessi usare il bagno, non preoccuparti per l'urina di un altro colore.»

Leo annuì senza fare domande, e chiese di poter andare al bagno. Calipso e Will lo aiutarono a scendere dal letto, e Will chiamò suo fratello Wayne per accompagnarlo al bagno.

Mentre aspettavano Leo fuori dalla porta, Will e Calipso rimasero in silenzio, uno scribacchiando sulla cartella di Leo, l'altra fissandosi le unghie in silenzio.

Wayne portò Leo fino al letto, prima di tornare alle sue occupazione.

«Torno in cabina.» disse Will, mentre Calipso sistemava le coperte affosso a Leo. «Calipso, chiedi a Wayne di portarti un letto.»

«Dormirò con Leo.» disse la ragazza, stringendosi nel letto con il fidanzato, che le posò una mano sul braccio.

«Buonanotte.» aggiunse Will, senza perdere altro tempo, mentre quel gesto dolce non faceva altro che fargli male. Almeno Leo stava bene... anche se tra le braccia di Calipso.
 

Uscito dall'infermeria, la boccata d'aria fresca gli ridiede vigore, e puntò lo sguardo verso la cabina 5. Will scoprì di non avere più sonno.

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Capitolo 41
*** 58. Vendette ***


Il figlio di Apollo cominciò a bussare con mano pesante alla porta della cabina numero 5. Metà delle luci erano spente, e Will sperò che i figli di Ares ancora svegli gli aprissero prima che si sbucciasse del tutto le nocche.

La porta si spalancò con violenza, e Will guardò in silenzio il ragazzo grosso il doppio di lui, con i capelli ritti in testa e il pantalone di un pigiama nero con i cuoricini rossi.

«Cosa cazzo hai da bussare?» gli abbaiò il ragazzo, e Will lo riconobbe come Lip. Una volta era arrivato in infermeria con una lancia che gli usciva dal ginocchio, ma al posto di lamentarsi dal dolore, rideva. Per la buona mira della sorella minore.

«Devo parlare con Bruno.» disse Will, calmo.

Lip si passò le dita tra i capelli, aumentandone il disordine. «Bruno non è qui. Si sta allenando con la lancia in Arena.»

«Grazie, vado a parlargli.» Will fece per girarsi, ma Lip lo bloccò con una mano sulla spalla.

«Cosa devi dirgli?» si incuriosì Lip, trattenendo uno sbadiglio.

Will fece un piccolo sorriso. «Cose private tra medico e paziente.»

Lip lo lasciò andare. «Capisco. La prossima volta che devi consegnare delle analisi a qualcuno di noi, controlla prima che non si trovino in Arena!» sbottò il ragazzo, chiudendo la porta.

«Sarà fatto.» Will scosse la testa, dirigendosi verso l'Arena. Sperò che Bruno fosse da solo... anche se non aveva idea di quello che sarebbe successo.

 

Leo si svegliò nel cuore della notte con una brutta sensazione. Si guardò attorno, cercando Will con lo sguardo, e vide Calipso dormire stretta a lui. Sorrise, accarezzandole la guancia, e posò di nuovo il capo sul cuscino. Dov'era finito Will? Perché non era lì con lui?

Leo fu tentato di chiamare un figlio di Apollo e chiedergli di Will, ma poi i ricordi sfocati di quel mattino gli tornarono alla mente. Will doveva essere tornato in cabina a dormire. Con tutti i pazienti che aveva avuto quel giorno, doveva essere veramente stanco...

Con un sospiro, Leo si rimise a dormire, stringendo appena la sua ragazza.

 

Bruno Morgan era rimasto da solo in Arena. I suoi fratelli erano andati a cenare già da un'ora ormai, mentre lui era rimasto ad affilare i pugnali che avevano usato quel giorno durante l'allenamento. Gli era stato suggerito di mandarli ai figli di Efesto ma preferiva farlo da lui.

E poi non gli andava di farsi vedere dai figli di Efesto.

Bruno prese un altro pugnale, cominciando ad affilarlo, e il suo udito da cacciatore esperto lo mise in allerta. Si stava avvicinando qualcuno alle sue spalle, qualcuno che cercava di non farsi sentire, ma che aveva un passo pesante.

Bruno fece una smorfia divertita, smise di affilare la lama, poi si girò, lanciando il pugnale. Will vide il movimento del braccio e si abbassò giusto in tempo per evitare che il pugnale gli si conficcasse nella spalla.

«Solace! Ma che onore.» lo salutò Bruno, appoggiandosi al piccolo tavolino con sopra le armi. «Di cosa mi devi parlare?»

«Lo sai benissimo di cosa devo parlarti.» Will afferrò il pugnale che si era conficcato nell'albero, e se lo rigirò tra le dita.

«Mmh...» mormorò Bruno, prendendo un pugnale a sua volta e passando il piatto della lama sul braccio. «Mi devi parlare di quello che ti ha fatto mio fratello? O di come il tuo ex lo ha fatto fuori?»

«Come fai a sapere queste cose?» chiese Will, fermandosi a qualche passo da lui.

Bruno lo studiò con lo sguardo. «Non provi nemmeno a negarlo.»

«Tuo fratello ha fatto una puttanata, e Leo ha provato a farglielo capire.»

«Uccidendolo?»

Will si strinse nelle spalle. «Cose che succedono.»

Bruno scosse la testa. «Queste non sono cose che succedono e basta.»

«Già, sono cose premeditate in anticipo, come scoparsi una figlia di Ecate per avere del veleno, poi ferire un enorme drago di metallo per fare in modo che il suo padrone si prenda cura di lui, e avvelenare gli artigli per ferirlo? Premeditati così?»

Bruno lo guardò divertito. «Sai già tutto, quindi perché me lo domandi?»

«Perché non sei tanto meglio di Leo. Solo che lui ha ucciso per...»

«Per cosa? Per un motivo valido? Vendicare la vita del proprio fratello non è un motivo valido?»

«Validissimo. Ma non mettendo in mezzo la vita di un bambino.»

Bruno aggrottò la fronte. «Intendi il marmocchio di Valdez? Non era con lui quando è stato ferito, l'ho sentito.»

«Ma poteva esserci. Potevi aver quasi ucciso un bambino, oltre suo padre.»

«Puntavo solamente a suo padre. A lui soltanto. È morto, o gli hai già dato l'antidoto?»

«È vivo e vegeto, per tua fortuna.» disse Will, duro.

«Perché, se fosse morto, cosa mi avresti fatto?» disse Bruno, sogghignando.

Will strinse la presa sul pugnale. «Sto pensando a vari modi.»

«Io no.»

Bruno scattò prima che Will potesse difendersi. Lo ferì al braccio, e il figlio di Apollo sentì un brivido di dolore risalire fino alla spalla. Fece un passo indietro, alzando il pugnale contro il suo ventre, ma Bruno fu più veloce e si spostò. Sorrise alla vista del sangue del biondo.

«È meglio se ti allontani, Solace, prima di farti troppo male.» disse Bruno, togliendo via la goccia di sangue dalla punta del pugnale. «E ignorami, da oggi in poi.»

«A costo di rimetterci la vita, non me ne andrò, Morgan.» sibilò Will, fissandolo torvo, mentre il dolore si placava leggermente.

«E se perdessi qualche dita? Come potresti continuare il tuo lavoro senza dita?» sogghignò il figlio di Ares, pronto all'attacco.

«Preoccupati tu di non perdere la testa.» disse Will, scattando verso di lui. Bruno si preparò a difendersi, ma Will fece una scivolata, colpendolo con il piede sulla caviglia. Il rumore dell'osso spezzato infranse la tranquillità della notte, e Bruno lanciò un grido prima che Will gli saltasse addosso.

Bruno lasciò cadere il pugnale, colpendo ogni centimetro possibile di Will che riusciva a toccare. Will gli piantò il coltello nel braccio, sperando di riuscire a fermare i suoi attacchi, ma Bruno non si fermò. Lo afferrò per il collo, spingendolo sul terreno, e mettendosi sopra di lui.

Will ebbe un veloce flash riguardo quello che gli aveva fatto Marc anni prima. Per qualche secondo rimase paralizzato da una vecchia paura, poi riuscì a reagire. Gli tirò un pugno nello stomaco, ma non era abbastanza forte da togliersi di dosso quell'ammasso di muscoli che era il figlio di Ares.

«Non fai più il furbo, ora, Solace?» ghignò Bruno, stringendogli le dita attorno al collo.

Will annaspò in cerca d'aria, mentre la fitta di dolore gli schiariva i pensieri. Leo non sarebbe stato fiero dei lui se si fosse fatto ammazzare così facilmente. Digrignò i denti, riuscì ad alzare una mano e affondò le unghie vicino al pugnale che sporgeva dalla spalla di Bruno, attaccando la pelle già ferita.

Bruno lanciò un grido di dolore, un solo secondo in cui la sua presa su Will si fece più debole. Per il dottore fu sufficiente. Si aggrappò al pugnale e lo strappò con forza dalla carne, mentre fiotti di sangue gli zuppavano prima le dita, poi la maglietta. Will lo afferrò per il colletto e gli piantò il pugnale nello stomaco.

Bruno si lasciò scappare un rantolo, ma prima che il pugnale gli perforasse troppo lo stomaco posò la mano su quella di Will e iniziò a stringergli le dita attorno all'elsa.

«Pensi di farmi fuori?» ringhiò Bruno, prendendogli le dita e torcendogliele all'indietro. Will urlò. «Non sarò così facile da uccidere!»

Con il pugnale conficcato in pochi centimetri nella pancia, Bruno si alzò in piedi e andò a prendere un'arma. Will si mise in piedi, tenendosi la mano e, mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare, piegò le dita nella giusta angolazione. Il dolore gli salì al cervello, offuscando tutto ciò che conosceva sulla difesa. Ciò che non si offuscò, e che forse gli salvò la vita, fu la vista. Riuscì a vedere Bruno afferrare una lancia, voltarsi e tirargliela contro.

Will rotolò in fretta sul lato, e la lancia si conficcò dietro di lui, dove si trovava lui poco prima. Si alzò in piedi, appoggiandosi alla lancia, mentre Bruno lo guardava divertito.

«Ricorda bene quello che hai fatto oggi, Solace, perché saranno le ultime azioni per cui tutti ti ricorderanno.» disse Bruno, afferrando un arco e puntandoglielo contro. «Ti conviene correre.»

Will non se lo fece ripetere e scattò verso la foresta. La prima freccia si conficcò in un albero a pochi centimetri da lui, e Will si chiese se non avesse sbagliato apposta. La seconda gli volò sopra la testa, e Will corse attorno ad un albero, correndo verso Bruno.

Il figlio di Ares rimase un po' spiazzato da quel comportamento, ma scagliò una terza freccia verso il suo stomaco. Will deviò di lato, mancandola, e si lanciò contro il ragazzo. Bruno si spostò, e Will rovinò addosso al tavolo delle armi.

«Idiota.» rise Bruno. «Voi figli di Apollo non siete bravi a fare un cazzo.»

Will afferrò un coltello e si voltò di scatto, pronto a colpirlo, ma Bruno fu più veloce. Tirò una freccia, colpendolo dritto al ginocchio, e Will lanciò un grido reggendosi al tavolo.

Bruno lanciò via l'arco, afferrando il coltello dalle mani di Will e rigirandoselo tra le dita.

«Dovevi scappare.» mormorò Bruno, guardandolo divertito. «Se scappavi il gioco durava di più.»

«Sei proprio un figlio di puttana come tuo fratello.» borbottò Will.

«Può darsi. Ma io non avevo intenzione di ucciderti quando mi sei arrivato alle spalle.»

«Nemmeno io.»

«Già, immagino volessi solo parlare.» ridacchiò Bruno, e infilò il coltello nella cintura. Alzò il mento di Will tenendolo tra le dita e gli schioccò un bacio sulle labbra. «Sai di caffè.»

Will lo guardò esterrefatto, troppo intontito per difendersi. Il dolore alle dita sopraggiungeva a scatti, accompagnato dalla nuova ferita al ginocchio. Sentiva il suo stesso sangue caldo scivolargli lungo la gamba, e l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu Leo.

Mi dispiace... non sono stato in grado di difenderti...

Bruno guardò gli occhi celesti del figlio di Apollo, notando come si era estraniato da quel momento, e gli schiuse di nuovo le labbra, baciandolo. Non gli piacevano gli uomini, ma pensò che infierire su di lui come suo fratello fosse la cosa più giusta da fare.

Will si riscosse. Notò che Bruno aveva gli occhi chiusi nel bacio, e lo ricambiò per qualche secondo, prima di posargli la mano sul fianco dove si trovava il coltello. Cercò di sfilarglielo, ma le dita del figlio di Ares si chiusero attorno alla sua mano, di nuovo, impedendogli di prenderlo.

Siccome non si sentiva in forze, fece l'unica cosa sensata che lampeggiò nel suo cervello.

Chiuse di scatto la bocca, affondando i denti sulla lingua di Bruno, che iniziò subito a dimenarsi. Will riuscì ad afferrare il coltello e glielo conficcò nel braccio, mentre Bruno lo colpiva allo stomaco per farsi lasciare. Il sapore del sangue invase la bocca del figlio di Apollo, insieme al dolore dei colpi.

Bruno afferrò la freccia nella gamba di Will e la girò, facendolo strillare. Il figlio di Ares arretrò di un passo appena la sua lingua fu liberata. La tastò, sentendo il profondo taglio che gli era stato fatto, la bocca immersa del proprio sangue. Lo sputò, cercando di ignorare il dolore come di spilli sulla lingua, e afferrò Will per la gola. Il figlio di Apollo iniziò a dimenarsi, scalciando e ferendolo con le unghie, e Bruno lo gettò bruscamente sul tavolo delle armi. Gli afferrò la testa e la fece sbattere con forza sul tavolo, e piano piano Will smise di ribellarsi.

«Non fai più il furbo ora, eh?» ringhiò Bruno, sorridendo, mentre il sangue gli colava dalle labbra. «Non...»

Will afferrò la prima arma che trovò e gliela sbatte con forza sulla testa. Almeno, questa era l'intenzione. Da un occhio vedeva tutto rosso e sfocato, forse per la rottura di un capillare mentre veniva sbattuto, quindi lo mancò, lo colpì al collo. Bruno sibilò, e gli spezzò il braccio con un pugno. Will si lasciò scappare un gemito.

«Ora ti porterò nel bosco, e ti ucciderò nello stesso punto in cui è morto mio fratello.» disse Bruno, tirandogli un pugno in faccia e spaccandogli il naso. «E poi, domani, dopo una bella notte di sonno ristoratrice, ucciderò il figlio di Valdez. Gli taglierò la gola. E quando il padre avrà seppellito il figlio nel dolore, ucciderò anche lui.»

«Leo... ti verrà a... cercare prima.» sussurrò Will, alzando l'occhio buono sul suo volto.

«Ma se tu morirai ora, Valdez non lo scoprirà fino al suo risveglio, quando troverà suo figlio massacrato nella cabina di Demetra.» ghignò Bruno, prendendo un'ascia. «Già, so esattamente dove si trova. Lo ucciderò proprio con questa. Vuoi darle un bacio di addio?»

Will scosse la testa, e Bruno lo sollevò, buttandoselo sulla spalla come un sacco di patate. Cercò di prendere un pugnale, ma le dita gli tremavano così forte che gli scivolò, cozzando contro un'altra arma. Bruno udì il rumore e gli tirò un pugno sulla gamba ancora buona.

«Fai il bravo, Solace.» disse Bruno, e Will alzò gli occhi. Si trovava sulla schiena del figlio di Ares, e riusciva a vedere il tavolo delle armi che si allontanava. La sua ultima possibilità di fuggire si allontanava ad ogni passo di Bruno...

Il sibilo di una freccia gli fece sbattere le palpebre, e si ritrovò a gridare quando la freccia gli si conficcò nella chiappa destra. Chi voleva ancora infliggergli dolore?

Bruno lo gettò a terra sentendo il suo gridolino di dolore. Will lo guardò prendere il coltello e guardarsi attorno, forse chiedendosi da dove arrivasse la freccia.

L'ultima cosa che vide Will prima di chiudere gli occhi furono due frecce conficcarsi nel petto del figlio di Ares, e le sue labbra intorpidite si aprirono in un debole sorriso.

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Capitolo 42
*** 59/60. La scelta migliore ***


«Abbiamo un ferito grave, fate spazio!»

Leo si svegliò sussultando al suono di quella voce. L'aveva già sentita da qualche parte, gli era tremendamente familiare.

Sentì i rumori di un lettino che si muoveva per la stanza, mentre alcuni figli di Apollo lanciavano un grido. Ma quella voce familiare alle orecchie di Leo le faceva zittire tutte quante.

Quando ci fu di nuovo silenzio in infermeria, Leo tornò a dormire. Voleva continuare a restare sveglio, ma era ancora troppo stanco. Chissà se Will poteva dargli qualcosa per la stanchezza.

Poi ci arrivò. Quella che aveva udito doveva essere per forza la voce di Will. Rassicurante, piena, forse un tono più basso del solito, ma era senz'altro lui. Non poteva nemmeno riposarsi un minuto che già aveva un altro paziente a cui badare.

I suoi pensieri lo fecero tornare indietro nel tempo, quando stava al sicuro tra le braccia di Will. Ricordava quando il ragazzo gli aveva baciato l'orecchio, poi lo zigomo, il naso, arrivando infine alle labbra.

Sorrise tra sé, lasciandosi cullare da quei bellissimi ricordi.

 

Leo si svegliò che era già pomeriggio inoltrato. Per qualche secondo rimase a fissare il soffitto, chiedendosi cosa ci fosse di strano. I punti allo stomaco tiravano, ma doveva essere normale. Calipso non era più sul letto con lui, forse era andata da James.

Si guardò attorno, alla ricerca di un biglietto che potesse rassicurarlo della posizione della sua ragazza, quando vide degli occhi, verdi e azzurro, che lo fissavano annoiati da una sedia.

«Cazzo, quanto dormi, Valdez.»

Leo lo guardò, cercando di ricordarsi il suo nome. Quando gli tornò in mente, sgranò gli occhi. «Angel?»

«Il solo e unico.» rispose Angel, alzandosi in piedi. Leo notò subito che era diventato più alto e più muscoloso, e decisamente molto più abbronzato di come lo ricordava. I capelli biondi erano rasati, tranne per una trecciolina che gli pendeva al lato del viso.

«Porco Crono.» disse Leo, guardandolo, e Angel gli riempì un bicchiere d'acqua. «Sei... Sei...»

«Stupendo? Figo? Sensazionale?»

«Cambiato. Sei cambiato.» Leo prese il bicchiere e bevve un sorso d'acqua, scoprendo di avere fame.

Angel schioccò le labbra, deluso. «Me l'hanno detto in molti.»

«Perché sei qui? Insomma... quando sei tornato?» si affrettò ad aggiungere.

«Ho preso un paio di settimane di vacanza, e sono venuto qui con la speranza di trascinare qualcuno dei miei fratelli in un posto in cui c'è veramente bisogno di loro.»

«Anche qui c'è veramente bisogno di loro.»

«No. Basta chiudere in cabina figli di Ares e di Efesto, togliere loro tutte le armi pericolose, e vedi come non ci sarà più bisogno dei miei fratelli al Campo.» Angel si versò un altro bicchiere d'acqua, guardandolo. «Devo parlarti.»

«Non chiuderò in casa i miei fratelli.» lo avvertì, anche se in effetti non aveva tutti i torti.

«Non di quello. Si tratta di...»

Calipso sbucò nella stanza in quel momento, e Angel le gettò un'occhiataccia perché l'aveva interrotto. La ninfa lo ignorò, come se fosse stato un soprammobile.

«Leo.» Gli si avvicinò subito, dandogli un bacio sulle labbra, e accarezzandogli i capelli. «Ti ho portato qualcosa da mangiare.»

«Grazie, amore.» mormorò Leo, e Calipso si sedette vicino a lui, posandogli il vassoio sulle gambe. «Hai visto James, piccola?»

«Sì, stava giocando con Lily e Bryan fuori dalla cabina di Demetra.»

Leo si rilassò, e tornò a guardare Angel. Per qualche secondo aveva pensato che stesse per dirgli che a suo figlio fosse capitato qualcosa di grave. «Allora?»

Angel guardò prima uno e poi l'altra, ricordando ciò che l'aveva spinto a lasciare il Campo Mezzosangue.

«Si tratta di Will.»

Leo sgranò gli occhi. «Che?!» Sentì l'ansia crescergli nel petto. «Cosa gli è successo?!»

Angel lo guardò agitarsi, e notò due cose in Calipso: una certa disapprovazione per come si stava scaldando il suo ragazzo, e una piccola dose di preoccupazione sulla sorte di Will.

«Questa notte Will è andato a cercare Bruno Morgan, e hanno combattuto.» mormorò il figlio di Apollo, e Leo sbiancò di colpo. «Will ora è ridotto malissimo...»

«Voglio vederlo.» disse Leo immediatamente, spostando il vassoio, che cadde a terra ricoprendo di brodo il pavimento. «Voglio vederlo.»

«Leo, non è messo molto bene...»

«Ho detto che voglio vederlo.»

 

Quando Leo vide Will, ringraziò mentalmente Angel per averlo costretto ad usare la sedia a rotelle. Sentì le ginocchia tremargli sebbene fosse seduto. Si portò una mano alla bocca, cercando di reprimere il singhiozzo spontaneo che gli salì alla vista del ragazzo che aveva amato.

Lo riconobbe solamente perché Angel gli aveva detto che quel ragazzo fosse Will, altrimenti non sarebbe riuscito a riconoscerlo.

Metà della testa era bendata, e un unico ciuffo superstite dei capelli biondo paglia gli ricadevano sulla parte di viso gonfia, tumefatta. Il labbro era spaccato, il naso rotto, e un tubo gli usciva dalla bocca per aiutarlo a respirare. Un grosso collare bianco era stretto attorno al suo collo. Le bende bianche gli ricoprivano tutto il torace; aveva una mano, un braccio e una gamba ingessata, e altre bende spuntavano attorno all'inguine.

Leo sentì le lacrime agli occhi, e si stava sforzando di non piangere. Alle sue spalle, Calipso, che li aveva seguiti, si lasciò scappare un piccolo gemito.

«Cosa... quali sono le ferite?» mormorò Leo, guardando il volto di Will. Non riusciva a credere che sotto quei lividi ci fosse lui.

«Aveva una freccia conficcata nel ginocchio, e un'altra nel sedere.» Angel si mordicchiò il labbro per non aggiungere che quella era stata colpa sua. «Ripetute ferite al ventre, al volto e alla testa. Dita della mano fratturate. Segni di strozzamento al collo. E anche l'occhio sinistro non è messo molto bene, ma non rischia la vista. Ha un dente rotto, la mascella slogata.»

«È stato...» mormorò Leo, con lo stomaco chiuso.

«No. Ho controllato anche quello ma no. È stato solo colpito con una freccia.»

«Chi l'ha trovato?»

«Io.» Angel guardò il fratello in silenzio, mentre Calipso si allontanava alla ricerca di un fazzoletto. «Ero arrivato al Campo in quel momento, e stavo passando vicino all'Arena. Ho sentito un grido, e mi sono avvicinato. Sono arrivato giusto in tempo per vedere Bruno mettere Will sulla spalla. Per un secondo ho pensato che stessero facendo qualcosa di erotico, con Will non si può mai sapere, poi ho visto mio fratello cercare di prendere un pugnale dal tavolo. Le mani gli tremavano così forte che gli è caduto. Ho visto arco e frecce abbandonati per terra, ho preso l'arco e non ho pensato ad altro. Ho tirato tre frecce in rapida successione. Con la prima ho mancato Bruno, e lui si è voltato buttando a terra Will. E le altre due frecce lo hanno centrato dritto al cuore.»

Leo batté le palpebre. «I figli di Ares...»

«Lo sanno. Con me c'era un figlio di Ares, Philip, o Lip, come cazzo vuole farsi chiamare. Stava andando a cercare Bruno, poi mi ha visto spuntare e pensava fossi nuovo. Ci siamo messi a parlare, e siamo andati insieme in Arena. Lui è rimasto immobile mentre uccidevo suo fratello. È ancora sotto choc.»

«Quindi è proprio morto?» mormorò Leo, guardando Will.

«Sì. Era già morto quando mi ci sono avvicinato. Lip si è occupato di lui, e io ho portato qui Will.»

Leo ebbe un sussulto ricordando quella notte. Quella che aveva udito non era la voce di Will, ma la voce di Angel. Avevano sempre avuto un tono somigliante, ma non gli era mai sembrato così identico.

«Dove voleva portarlo?» La gola gli si seccò dopo aver pronunciato quelle parole.

«Nel bosco, immagino. Non ho sentito molto di quello che gli ha detto, ero troppo lontano, ma stava andando verso il bosco. Di questo ne sono sicurissimo.»

«Dove ho ucciso suo fratello.»

«Ora che mi ci fai pensare, sembra molto poetico.»

Leo ignorò il commento, e si alzò in piedi. Si avvicinò a Will, posando la mano vicino alla sua ingessata. Ora che aveva superato lo choc iniziale, non aveva più il tremore alle ginocchia. Guardò i vari tubicini che uscivano da varie parti del corpo di Will, e si morse il labbro.

«Tra quanto si riprenderà?» chiese, mentre Angel lo affiancava.

«Dovrebbe svegliarsi in giornata, ma gli aspetterà una brutta settimana.»

«Hai usato il nettare?»

«Non ancora. Era messo troppo male. Domani lo userò, entro la prossima settimana sarà del tutto guarito.»

«E gli arti rotti?»

«Gli farò prendere un po' di ambrosia per accelerare il processo di guarigione, e se necessario, io, Rose e Nate utilizzeremo un po' di magia per aiutarlo.»

Leo annuì, sfiorando le dita di Will. «Posso... stare un po' da solo con lui?» mormorò.

Angel annuì, posandogli una mano sulla spalla. «Ti lascio cinque minuti, anche tu hai bisogno di riposo.»

«Puoi... ehm...»

«Non dirlo, ho capito.»

Angel uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, e andò a cercare Calipso. L'avrebbe tenuta a distanza da Leo e Will per tutto il tempo necessario.

 

Leo aspettò che Angel avesse chiuso la porta prima di chinarsi sopra Will. Guardò per un momento i lividi, i tagli, e sospirò.

«Sei un idiota, Solace.» mormorò, sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi. «Queste sono cose che vanno fatte in due, non da soli. Perché diavolo lo hai fatto?»

Il figlio di Efesto gli passò il polpastrello sul volto, attento ai lividi, fermandosi vicino alle labbra schiuse dal quale usciva il tubo. Ricordò quante volte aveva baciato quella pelle liscia, quante volte si era perso in quei occhi celesti, quante volte aveva infilato le dita tra quei capelli morbidi e biondi.

Gli posò le labbra su una piccola parte del labbro superiore, dandogli un bacio, sentendo le lacrime scivolare lungo le guance. Lo aveva fatto per lui? Era stato così idiota dea farlo per lui?

Leo appoggiò la fronte sulla spalla di Will, una delle poche parti integre del suo ex fidanzato. Strinse la mano attorno alle coperte.

«Stupido.» singhiozzò. «Cosa cazzo farò se ti farai ammazzare in questo modo? Ci hai pensato?»

Fu tentato di colpirlo, ma era così messo male che aveva paura di ucciderlo. Si trattenne, ma gli bagnò il camice di lacrime.

 

Dopo qualche minuto, quando non ebbe più lacrime da versare, Leo si sedette sullo sgabello. La sua mano prese fuoco mentre un pensiero lo attraversava.

Darò fuoco all'intera cabina 5.

 

***

 

 

Will si svegliò quella sera, sul tardi. Al suo capezzale, trovò Leo addormentato, con le gambe piegate sotto il sedere, e suo fratello Angel steso sul pavimento che leggeva un libro. Guardò uno e l'altro, e fu sul punto di salutare quando ebbe un sussulto.

Metà del suo corpo non rispondeva ai suoi comandi. L'occhio destro non si apriva. Sentiva qualcosa lungo la gola, di freddo, e iniziò ad annaspare.

Subito Angel scattò in piedi, facendo volare il libro, seguito da Leo, svegliatosi dal rumore della macchina che mostrava i battiti cardiaci.

«Will, Will, calmo, va tutto bene.» mormorò Angel, avvicinandosi a lui, posandogli le mani sul braccio. «Ora te lo tolgo, tu calmati.»

Will lo guardò spaventato, e Leo si affrettò a posargli una mano sulla sua per rassicurarlo. A quel tocco, Will rispose rilassandosi appena, e i battiti del suo cuore iniziarono a rallentare.

«Tienilo fermo.» mormorò Angel a Leo, che annuì. Il figlio di Apollo si affrettò a togliere il tubo dalla gola di Will, che chiuse gli occhi. Leo, seppur disgustato, tenne aperti i suoi, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena.

Will si umettò le labbra appena il fratello ebbe finito. Non ebbe nemmeno il tempo di fiatare perché Angel gli si avvicinò con un bicchiere d'acqua e una cannuccia. Bevve a lungo, poi guardò il fratello, grato per i primi cinque secondi.

«Che cazzo ci fai qui?» domandò, confuso, con voce roca.

Angel si sedette ai piedi del letto, mentre Leo rimaneva in piedi, la mano posata sulla porzione di braccio sano di Will.

«Sono tornato per portare in Africa altri volontari.»

«Hai già trovato qualcuno?»

«Il mio unico volontario possibile è qui.»

Will lanciò un'occhiata a Leo, perplesso. «Ma...»

«Tu, scemo.»

Will si zittì, chiudendo l'occhio, mentre la testa cominciava a pulsargli. Angel gli porse un altro bicchiere, questa volta con dell'aspirina e, prima che il fratello potesse chiedere, iniziò a spiegargli cos'era successo.

Le immagini tornarono prepotenti nella testa di Will, ma continuò ad ascoltare. La mano calda di Leo su di lui era confortante, lo aiutava a non dare di matto. Gli doleva tutto il corpo, e le lacrime gli scendevano lungo la guancia.

«Vado a prendere del nettare.» disse Angel, alzandosi in piedi, e uscendo prima che uno dei due potesse dire qualcosa.

Leo si sedette ai piedi del letto, evitando di toccare la gamba ingessata, continuando ad accarezzargli la pelle. La sua voglia di uccidere ogni singolo figlio di Ares esistente al Campo Mezzosangue era sempre più alta.

«Conosco quello sguardo.» disse Will, restando con le labbra socchiuse e osservandolo.

«Non è vero.» sussultò appena Leo.

«Sì. Stai pensando di fare del male a qualcuno. Ma Bruno è morto, quindi non riesco a capire chi vuoi ferire.»

Leo si mordicchiò il labbro, e lo guardò. «Stavo pensando ai coniglietti, e al cioccolato.»

«Sì, e io sono Babbo Natale.»

Leo sbuffò. Il suo ex continuava a conoscerlo bene. Lo sondò con lo sguardo, scoprendo che Will stava già facendo lo stesso con lui. Sospirò.

«Voglio ucciderli tutti.» disse.

Will sussultò leggermente, ma nel profondo si era aspettato una cosa del genere. «Tutti i figli di Ares?»

«Il mondo sarà migliore senza di loro.»

«Clarisse è simpatica, e anche altri sono simpatici.»

«Guarda cosa ti ha fatto quel pezzo di merda.» Leo strinse il pugno. «Come puoi chiamarli simpatici?!»

Will sospirò leggermente. «D'accordo, sono tutti dei grandissimi figli di, ehm, be', hai capito. Ma ti dimentichi che il loro padre è il dio della guerra.»

«Non mi interessa.»

«Deve interessarti. Leo, davvero, lascia perdere. Bruno ha già pagato per questo. E non credo che gli altri figli di Ares intendano uccidermi o massacrarmi ancora per quello che è successo. Parlerò con Clarisse, le spiegherò che volevo parlare con Bruno, e che lui ha deciso di ridurmi in questo stato. Non c'era nessuno tranne noi due, e Bruno era troppo scemo per parlare con qualcun altro di quello che ti ha fatto. Già lo sa Lou Ellen e, se ci sarà un processo davanti a Chirone, lo vincerò.»

Leo chiuse gli occhi, premendo le dita sulla pelle di Will. Il figlio di Apollo si zittì guardandolo, ma non poté fare nulla per nascondere i battiti del suo cuore in accelerazione per quel tocco.

«Ti sto facendo male?» mormorò Leo, togliendo di colpo la mano.

«No, scusa, è che...» balbettò Will, imbarazzato.

«Che hai di nuovo il terrore di farti toccare?»

No, è solo che ti amo ancora, pensò Will, annuendo. «Scusami.»

«Will, no. Scusami tu, sono stato un idiota a non pensarci.» Si spostò da lui, incrociando le braccia al petto, guardandolo.

«Non importa. Promettimi solo che non torcerai un capello a nessun figlio di Ares. Il colpevole è morto. Nessuno sa niente.»

Leo annuì debolmente. «Ma...»

«Vuoi controbattere un ragazzo che sta male?»

Il figlio di Efesto gli scoccò un'occhiataccia, ma si addolcì. «Non farò nulla, promesso.»

Will tentò un sorriso, ma le labbra gli dolevano troppo. «Grazie. Significa molto per me.»

Leo annuì, e tornò a sedersi.

 

Nei giorni che seguirono, Will iniziò a stabilizzarsi, un arto alla volta. Una parte di lui sapeva che quello non era niente. Presto avrebbe dovuto affrontare la fisioterapia. Per ora le giornate erano lunghe, tremende e noiose, sormontate dal dolore, ma per fortuna i suoi fratelli non lo lasciavano mai solo.

Leo andava a trovarlo ogni volta che gli era possibile, e un giorno, quando Will non aveva più lividi in volto e il suo amico Mitchell della cabina di Afrodite ebbe usato su di lui una pozione per far ricrescere i capelli in poco tempo, portò James a trovarlo.

Furono entrambi molto felici di vedersi, e solo perché stava in braccio del padre, James evitò di saltare addosso a Will.

A Leo continuava a piacere il modo in cui Will trattava suo figlio. E stava cominciando a disprezzare il modo in cui la sua ragazza, la madre del piccolo, lo trattava. Ogni giorno sembravano allontanarsi sempre di più. Calipso passava poco tempo a casa perché aveva trovato un piccolo lavoro nel bosco assieme alle figlie di Demetra, e rientrava tardi. Non si preoccupava più come una volta per il figlio.

E Leo pensava che tutto questo fosse per colpa di Will. 

Will era tornato al Campo Mezzosangue, Will giocava con James con naturalezza, Will si era quasi fatto uccidere da un figlio di Ares che aveva avvelenato Leo. Immaginava che quelle cose non gli facessero molto piacere.

Quando Leo aspettava la moglie, di solito finiva alcuni dei lavoretti che si era portato dalla fucina, quel tipo di lavoretti che non potevano distruggergli casa se messi in funzione per sbaglio. E quando si metteva a perfezionare il suo lavoro, si immaginava sempre come sarebbe stata la sua vita se Calipso non fosse tornata al Campo a trovare suo figlio, se Will non avesse provato a stuprarlo, se loro non fossero tornati insieme.

Ora con Will sarebbe stato più felice?

Quando era da solo ripensava a quel piccolo bacio che gli aveva dato mentre era privo di conoscenza. Era stato spinto dalla paura di perderlo, o dalla gratitudine che provava nei suoi confronti? Non riusciva a capirlo, e quel bacio continuava a tormentarlo, lo smuoveva nel profondo. Significava molto più di quello che pensava.

Con un respiro profondo, Leo riprese il suo lavoro. Non voleva pensarci, ma era probabile che fosse ancora innamorato di Will... e vederlo ridotto in quello stato, solo per aver provato a difenderlo...

Leo sentì la familiare stretta allo stomaco e annuì tra sé. Sì, era senz'altro così. Lasciò perdere il suo lavoro e uscì dalla fucina, ignorando i suoi fratelli che lo richiamavano. Puntò lo sguardo sulla porta dell'infermeria, ed era quasi arrivato quando si sentì chiamare.

«Papà!»

Si voltò di scatto, e vide James in compagnia di Bryan. Il figlio di Apollo assomigliava ogni giorno di più ai suoi fratelli, mentre James sembrava la sua fotocopia.

«Ehi piccolo.» disse Leo, andando verso il figlio, che lo abbracciò. «È successo qualcosa?»

James scosse la testa, mentre Bryan cominciava a saltellare sul posto per chissà quale motivo.

«Mamma mi ha detto di darti questo.» James prese dalla tasca un foglietto tutto appallottolato e appiccaticcio. «Ehm, l'ho toccato con le mani sporche di marmellata.»

Leo prese il foglio, e lo aprì. Calipso gli chiedeva di raggiungerlo a casa il prima possibile. Fu combattuto tra l'idea di andare in infermeria prima, a parlare con Will, ma alla fine Cal vinse.

«Grazie, piccolo. E smettetela di mangiare marmellata.» disse Leo, mentre i bambini annuivano. Dovevano aver mangiato troppi zuccheri. Li guardò schizzare via, rincorrersi attorno alle cabine.

Leo lanciò un'occhiata alla porta dell'infermeria, sospirò e iniziò a camminare verso casa. Will poteva aspettare un altro po'.

 

Quando entrò in casa, Leo strabuzzò gli occhi e guardò la scia di candele che salivano le scale. Le salì, chiedendosi cosa stesse cercando di fare Calipso. Arrivato al pianerottolo, una scia di petali di rose andavano fino alla camera da letto.

Leo aprì la porta della camera, senza parole. I petali di rosa erano sul letto, a formare un piccolo cuore. Calipso era stesa sul letto, con indosso una splendida lingerie rossa, in sua attesa.

«Wow.» mormorò Leo, guardandole le lunghe gambe, e la parte del corpo nascosta. «A cosa devo tutto questo? È il mio compleanno?»

Calipso sorrise dolcemente. «Non esattamente. Ma devo chiederti una cosa.»

«Sono tutto orecchi.» disse Leo, iniziando a togliersi le scarpe.

Calipso si infilò una mano nel reggiseno di pizzo, gesto che il corpo di Leo apprezzò. Era sul punto di togliersi i jeans quando Calipso ritirò la mano, mostrandogli un anello.

Leo sussultò per la sorpresa e la guardò in viso.

«Vuoi sposarmi?» mormorò Calipso, arrossendo leggermente. «So che non sono perfetta, so che litighiamo spesso. Ma so anche che ti amo, e che amo nostro figlio. Voglio vivere il resto della mia vita con te, e spero che tu voglia fare lo stesso.»

Leo guardò in silenzio l'anello. Il suo volto continuava ad essere una maschera di sorpresa, mentre all'interno stava pensando a Will. Lo amava ancora? Forse. Ma solo perché era il suo primo e unico amore in forma di uomo. Forse era normale sentirsi attratti da lui, dopo che aveva fatto un gesto eroico. Non capitava così alle principesse nei cartoni?

Invece Calipso... Doveva aver lavorato per quello, per comprargli l'anello, sopportando le litigate per giorni sul motivo per cui rientrava tardi la sera.

Il figlio di Efesto fece un passo verso la ragazza, le prese l'anello dalle dita. «Lo voglio.» mormorò Leo, sorridendo, infilandole l'anello al dito, e successivamente stringendola a sé.

 

Fecero l'amore per tutto il resto del pomeriggio e della sera, fermandosi solo durante la notte per qualche ora di sonno. Calipso gli confermò che negli ultimi giorni aveva lavorato duramente per mettere da parte abbastanza denaro per comprarsi l'anello. Leo rise a quel commento. Almeno lei era stata sicura di ricevere qualcosa che gli piaceva.

Leo la baciò lungo il collo, scendendo sempre più con le labbra, e ripresero da dove si erano fermati.

Calipso era la scelta giusta.

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Capitolo 43
*** 61/62. Figli di Ermes ***


«Non puoi lavorare.»

«Posso, invece. Le mani sono funzionanti, mi reggo in piedi, la testa non pulsa più... Sono in perfetta forma!»

Nate fu tentato di dirgli che doveva tornare a riposo, ma rinunciò. Con Will sarebbe stato solo fiato sprecato. Ormai era passata un'intera settimana da quando Will era stato aggredito e salvato da Angel. Costringerlo a letto un altro paio di giorni non avrebbe fatto altro che farlo incazzare, e sbraitare contro tutti i suoi fratelli.

E in effetti Will sembrava stare bene. I lividi erano scomparsi, si muoveva con la solita grazia di sempre, regalava sorrisi a chiunque. Era tornato il solito vecchio Will.

«D'accordo.» sbuffò Nate, incrociando le braccia al petto, mentre Will sorrideva entusiasta. «Ma non ti muovere da qui, vado a chiamare Angel. È il tuo dottore, ed esegui i suoi ordini.»

«Certo, chiamalo pure.» annuì Will. «Disturbalo mentre sta facendo yoga.»

Nate sbuffò forte, e uscì dalla stanza sbattendo la porta alle sue spalle. Will ridacchiò tra sé, infilò il suo camice, e andò alla ricerca di pazienti.

Stava veramente bene, ormai. Si era rimesso in fretta, grazie alle cure di Angel, il nettare e l'ambrosia. Si sentiva invincibile, anche se portava ancora delle cicatrici in ricordo di quanto accaduto. Le voleva eliminare, ma il fratello gli aveva detto che per il momento era meglio non affaticare troppo il suo corpo. Avrebbe aspettato un altro paio di settimane prima di far scomparire le cicatrici.

Si passò le dita tra i capelli corti. La pozione che gli aveva dato Mitchell gli aveva fatto ricrescere i capelli fino alle orecchie in una notte. Ora voleva aspettare che crescessero da soli di nuovo fino alle spalle.

Will iniziò a bendare la ferita di un figlio di Ecate. Mentre miscelava una pozione, quella gli era esplosa addosso, provocandogli delle piccole ustioni su braccia e volto. Per fortuna non era niente di male.

Leo lo trovò ad occuparsi di quel ragazzo quando arrivò in infermeria, dopo un quarto d'ora. All'inizio non lo riconobbe, in piedi e pimpante come al solito, mentre ripuliva le ferite e le copriva con la garza sterile. Will non poteva essere tornato già al lavoro! Invece era proprio lui.

«Ehi, Will. Non dovresti essere ancora a letto?» domandò Leo, avvicinandosi con la fronte aggrottata.

Will gli lanciò un'occhiata divertita, e quegli occhi blu, così privi di cattiveria e pieni di gioia, gli fecero venire una stretta allo stomaco.

«Nate mi ha dato il permesso.» disse Will, finendo di bendare il braccio del ragazzo. Leo notò che assomigliava quasi ad una mummia. «Puoi andare. Ritorna stasera per farti applicare altra crema.»

«Grazie dottor Solace.» mormorò il figlio di Ecate, uscendo in fretta dall'infermeria.

Will andò a togliersi i guanti e a lavarsi le mani, mentre Leo lo seguiva come una guardia del corpo. Per qualche secondo rimasero a fissarsi in silenzio, e Leo tossicchiò.

«Devo parlarti di una cosa.» mormorò Leo, passandosi le dita tra i capelli. «Prima che tu venga a saperlo da qualcun altro...»

Will gli si avvicinò, ignorando le sue parole, e gli prese il volto tra le mani. A quel contatto Leo avvampò per la sorpresa, e alzò gli occhi nei suoi, pronto al bacio.

«Hai delle occhiaie spaventose.» disse Will, lasciandolo e andando a prendere una pomata dal cassetto. «Dovresti andare a dormire prima, e mettere questo per evitare le occhiaie.»

Leo prese la pomata, dandosi dell'idiota. «Me lo ricorderò.»

Will si appoggiò al muro. «Scusa, continua pure quello che stavi dicendo.»

Leo si infilò la pomata in tasca, riflettendo. Se ad un piccolo contatto con Will aveva sperato in un bacio, faceva davvero bene a sposare Calipso?

«Ecco...» mormorò Leo, tornando ad infilarsi la mano tra i capelli mentre con l'altra infilava la pomata nella cintura. «Devo parlarti di una cosa...»

«Sono tutto orecchi.» annuì Will, serio, chiedendosi cosa volesse dirgli.

«Ehm... Non è meglio se ti prendi una pausa dall'infermeria?»

Leo si maledì in silenzio.

Will aggrottò la fronte. «L'ho già presa la pausa.»

«Non era una vera pausa. Eri un paziente.»

«Ma mi sono lasciato curare dai miei fratelli senza dire una sola parola a riguardo del loro modo di occuparsi di un ferito, che in effetti veramente schifo, soprattutto il loro modo di comunicare le cose... Ora sono qui, in piedi e con tanta voglia di tornare al mio lavoro.»

Leo si mordicchiò la lingua. «Potremmo organizzare una gita con i bambini, portarli a Disneyworld, o qualcosa di simile.»

Will sgranò gli occhi. «Dici sul serio?»

Leo annuì. «Sono serissimo.»

«Non credo che partire noi due insieme farà molto bene a Calipso, o alla vostra relazione.»

«Be', può venire anche lei, così saprà che non facciamo nulla di male.»

Will si grattò il lieve strato di barba sulle guance. «Ci penso, d'accordo?»

Leo annuì, pensando che nel frattempo poteva proporlo a Calipso. Di sicuro lei avrebbe rifiutato questa proposta. La conosceva.

Poi Will sorrise. «Non sono mai stato a Disneyworld. Deve essere meraviglioso.»

Leo annuì, spostando lo sguardo. «Ho anche un'altra cosa da dirti.»

«Certo, fai pure. L'infermeria è piuttosto calma...»

«Si tratta di me e Cal. Noi...»

La porta dell'infermeria si aprì, e Leo e Will voltarono subito la testa per guardare. Il ragazzo apparso sulla soglia aveva capelli castani piuttosto sporchi, e inconfondibili occhi celesti. Leo lo riconobbe subito.

«Connor Stoll?» borbottò Leo, mentre Will faceva qualche passo avanti per guardarlo meglio.

«Già. Ehm, chi è il dottore qui?» Connor si spostò il ciuffo dalla fronte, e Will notò quanto fosse sudato. Indossava una giacca chiusa fino al mento dalla zip.

«Io. Cosa ti è successo?»

«Di sicuro suo fratello l'ha picchiato.» disse Leo, scoccando a Connor un'occhiataccia. E aveva fatto più che bene a picchiarlo, visto che lo aveva interrotto.

«Mi hanno sparato.» disse Connor, cercando di sorridere e nascondendo una smorfia di dolore. «Al braccio.»

«Dei. Leo, aiutami.»

Leo annuì, contrariato, e si avvicinò al figlio di Ermes poco prima che questo svenisse. Con Will lo trascinò su uno dei lettini liberi, e lasciò che Will tagliasse via la maglia del ragazzo, scoprendo un torace imbrattato di sangue.

«È igienico se resto qui?» domandò Leo, mentre Will alzava il braccio di Connor per controllare se la pallottola fosse ancora dentro.

«Non molto, ma se vai contro il muro farò finta di non notarti.» sorrise Will prima di infilarsi dei guanti e prendere una pinza.

Leo rabbrividì leggermente e spostò lo sguardo mentre Will infilava le pinze nella ferita alla ricerca del proiettile.

«Cosa stavi per dirmi?» chiese Will, una volta trovato e tolto il proiettile.

«Mmh...»

«Su te e Calipso.» continuò Will, passando una spugna sulla ferita e prendendo del nettare per chiuderla.

«Ecco...» Leo guardò Connor svenuto. «Abbiamo... deciso... di sposarci.»

Will sussultò leggermente e rovesciò una gran quantità di nettare sulla ferita. «Sposarvi?!» ripeté, cercando di ripulire il figlio di Ermes. «Volete sposarvi?»

«Sì.» annuì Leo, guardandolo in volto, ignorando le sue mani che si muovevano frenetiche. «Lo abbiamo deciso ieri sera.»

«Ma...» Will ripulì via tutto il nettare e lo guardò. «Sei sicuro di quello che fai?»

«Ne sono sicuro. Ma perché non dovrei esserlo?»

«Tra te e Calipso non è tutto perfetto. Insomma, litigate spesso...»

«Litighiamo per cose stupide, per lo più. E James ha bisogno di una famiglia, di due genitori che lo amino. E magari di un fratello.»

Will si morse il labbro, considerandolo un colpo basso. «Capisco. Be', la scelta è vostra. Se vi sposate, passerete insieme tutto il resto della vostra vita.»

«Tanto lo facevamo già, visto che siamo immortali...»

Will annuì tra sé, abbassando di nuovo lo sguardo su Connor. La ferita ormai si era rimarginata del tutto grazie al nettare, quindi non lo bendò. Prese una spugna e iniziò a levargli il sangue dal torace.

«Vi auguro tanta felicità, allora.» disse Will, alzando di nuovo gli occhi e incrociando quelli scuri del figlio di Efesto. «E spero davvero che abbiate altri figli, sei un ottimo padre.»

Leo annuì, teso. «Grazie. È meglio che ora vada. Ho del lavoro arretrato in fucina, e devo parlare con i miei fratelli.»

«Darai loro la... lieta notizia?»

«Già. Ci vediamo, Will.»

Si era aspettato che Will gli gridasse di non farlo, che lo prendesse a schiaffi dicendogli che la sua futura moglie era una puttana. Invece niente di tutto questo. Will era addirittura felice per il loro futuro matrimonio. E gli aveva anche augurato di avere altri figli! Leo scosse la testa, chiudendo le mani a pugno. Will ormai lo aveva del tutto dimenticato.

Will rimase concentrato sul petto di Connor per qualche altro minuto, ripulendolo per bene. Lo coprì con un lenzuolo e, togliendosi i guanti, si diresse verso il suo ufficio. Chiuse la porta alle sue spalle, fissando il suo ufficio super ordinato.

Il primo singhiozzo lo colse impreparato, e si trattenne dal farne altri minacciandosi. Non voleva versare lacrime per Leo Valdez. Ne aveva già versate troppe.

Ma le lacrime erano più forti della sua forza di volontà, e non si stupì di sentirle lungo le guance. Afferrò un vaso vuoto e lo gettò a terra, frustrato. Il vaso si ruppe, e Will saltò con rabbia sui cocci rimasti.

Come può sposarsi?! Non lo vede quanto mi fa male?! E altri figli, poi?! Con quella stronza?! Cazzo!

Quando i pezzi del vaso erano così frantumati da non scricchiolare più sotto le sue scarpe, Will afferrò una tazza e la gettò a terra, infrangendo anche quella. Poi si voltò verso la scrivania.

Avevano fatto l'amore per la prima volta proprio lì sopra. Ricordava ogni dettaglio di quel momento. Leo che gli aveva detto che non era abituato a stare sotto, Leo che tremava tra le sue braccia, Leo che gridava il suo nome durante l'orgasmo.

Si avvicinò alla scrivania, e gettò con rabbia tutti i documenti che vi stavano sopra. Gettò a terra anche la lampada, che cadendo a terra si infranse e un pezzo della lampadina gli saltò fino al piede.

Will lanciò un gridolino e saltellò fino alla porta. Per fortuna non c'erano testimoni del suo momento di pazzia. Si sedette su un lettino, estraendosi dal piede il pezzo di vetro, e versando nettare sulla ferita.

Poi rimase lì, in silenzio, fissando il vuoto, aspettando che il dolore al piede si placasse.

Perché se la prendeva tanto con Leo? Non aveva fatto nulla per fargli capire che era ancora innamorato di lui. L'errore era suo, non di Leo. Lui voleva solo andare avanti con la sua vita. Ed era giovane, di bell'aspetto, con un figlio che doveva compiere sette anni. Era normale che volesse altri figli, che volesse dare al figlio dei fratellini con cui giocare, con cui crescere insieme. Soprattutto visto che lui era figlio unico. Era stato cresciuto da una madre single, che poi era morta, e lui si era ritrovato a saltare da una famiglia affidataria ad un'altra. Era più che normale che sentisse il desiderio di sposarsi.

Will si lavò le mani e il volto, cancellando le tracce di pianto. Era stupido comportarsi come una ragazzina. Leo doveva andare avanti con la sua vita. E chissà, magari anche lui un giorno sarebbe riuscito ad andare avanti con la sua. Già in Alaska gli era sembrato possibile, anche se poi tornava sempre a pensare al caliente figlio di Efesto.

Doveva superare la fine della relazione con Leo. Doveva essere felice per lui e per Calipso, e soprattutto per James che avrebbe avuto una vera famiglia. Doveva...

«Un dottore..?»

Will si voltò verso la voce, e vide Connor Stoll seduto sul lettino, la mano posata sulla spalla, forse alla ricerca della cicatrice. Will arrivò zoppicando da lui.

«Sono qui.» disse Will, osservandolo. «Ti sei già svegliato.»

Connor lo guardò perplesso, poi abbassò lo sguardo su di lui. «Perché zoppichi? E perché lasci scie di terra ad ogni passo?»

Will abbassò lo sguardo e in effetti il figlio di Ermes aveva ragione. Non si era accorto che il vaso era colmo di terra. Tossicchiò.

«Mi è caduto un vaso in ufficio, non mi sono accorto di aver calpestato della terra. Come ti senti? Ti gira la testa? Nausea?»

«Sto bene.» annuì Connor. «E anche il mio braccio sta bene.»

«Ho messo del nettare, ti ho fatto sparire la cicatrice.»

«Peccato. Mi sarebbe piaciuto mostrare una cicatrice di guerra.»

Will sbuffò. «Come te la sei procurata, a proposito?»

Connor sorrise. «Mi hanno sparato.»

«Grazie, fino a qui c'ero arrivato. Ma chi ti ha sparato, e per quale motivo?»

«Sembra un interrogatorio.»

«Tu rispondi.»

Connor si mise comodo, continuando a guardarlo sorridendo. «Un poliziotto. Io e la mia banda abbiamo rapinato un negozio di gioielli.»

«Cazzo. Dovrei portarti subito dalla polizia.»

«Sono troppo furbo per farmi arrestare.»

«Ma non abbastanza furbo per evitare una pallottola.»

Connor rise. «Touché.»

Will scosse la testa. «Non posso trattenerti qui, Stoll. Puoi andartene. Ed evita altre pallottole.»

«Ci proverò. Hai una maglia?»

Will aprì un cassetto e gli tese una maglia arancione del Campo. Connor la indossò, nascondendo il petto nudo. I capelli castani scompigliati gli davano un aspetto molto giovane.

«Quanti anni hai?» domandò Will, cercando di ricordarsi quanti anni avesse Travis.

«Uno in meno di mio fratello.» rispose Connor, facendo spallucce, scendendo dal letto.

«E cioè...?»

«Una ventina.» Connor lo studiò. «Tu chi sei? Mi sembra di averti già visto.»

«Sono il dottor Solace.»

«Uh, Solace. Mi ricordo di te.»

«Ti ricordi di me per forza, visto che non è la prima volta che ti guarisco.»

Connor sorrise tra sé, infilandosi una mano in tasca. «Ma è la prima volta che il tuo portafoglio è così pesante.»

Will aggrottò la fronte, confuso. «Cosa..?»

Connor alzò la mano e Will riconobbe subito il suo portafoglio: era arancione, con il suo nome ricamato sopra di un tenue azzurro.

«IL MIO PORTAFOGLIO, CAZZO!» urlò Will. «COME HAI FATTO A PRENDERLO?»

«È stato facile, e ho la mano piuttosto veloce... be', per prendere la roba in tasca delle persone.»

«Non ti conviene sbandierare al vento la tua mano veloce.» ringhiò Will, cercando di prendere il portafogli.

Ma il figlio di Ermes fece un salto all'indietro, spostandosi da lui, aprendo la porta dell'infermeria.

«Credo che prima guarderò cosa c'è dentro.» disse, prima di sparire.

Will lo seguì zoppicando, e quando uscì fuori scoprì che il figlio di Ermes non si trovava da nessuna parte. Fece qualche passo, guardando verso le cabine, ma a parte dei vestiti che volavano fuori dalla cabina di Afrodite non vide altro.

Qualcosa di leggero gli cadde sulla testa, e Will fece un passo indietro, guardando a terra. La sua tessera della biblioteca era appena caduta dall'albero. Alzò lo sguardo e vide Connor seduto sui rami con il portafoglio aperto.

«Una tessera per il cinema.» sbuffò, ma prima di lanciarla ci ripensò. «Potrei vedere qualcosa gratis, in effetti. La tengo. Uh, e questa?» Studiò la carta di identità di Will. «Sei un donatore di organi. Che figata.» Gliela lanciò.

Will la prese prima che cadesse a terra. «Cosa credi di fare, esattamente?! Restituiscimi il portafoglio!»

«Non ora che ho trovato la parte interessante.» Connor estrasse una carta di credito. «Wow. Hai tre carte di credito, William. Perché vai in giro con tre carte di credito?»

«Questi sono ancora cazzi miei! Restituiscimi il portafoglio!» ringhiò Will, e Connor scosse la testa.

«Ora le tue carte verranno a fare un giretto con me.» disse, alzandosi in piedi appoggiato al tronco. «Cercherò di non spendere tutto. Quanto è il massimo?»

«Giuro che se ti prendo, ti ammazzo!» gridò Will, iniziando a scalare l'albero.

Ma Connor, più veloce e ridacchiando, salto su un altro albero, poi su un altro ancora. Mentre Will tornava a piedi a terra, Connor saltò giù dall'albero e corse fuori dal Campo. Will lo seguì di corsa, ringraziando tutto quel jokking che continuava a fare tutti i giorni. Riuscì a raggiungere Connor prima che questo salisse su una Porsche – probabilmente rubata – e lo buttava a terra.

«Cazzo!» esclamò Connor, mentre Will gli prendeva il braccio e lo torceva all'indietro. «Sei veloce!»

«Già, il pregio di avere una vita sana. Ora ho intenzione di spezzarti il braccio se non mi ridai il portafoglio.»

«Okay, okay.» Connor recuperò il portafoglio e lo lanciò a qualche metro di distanza.

«C'è tutto?» ringhiò Will, stringendo il braccio, e Connor annuì.

Will lo lasciò andare, e Connor si mise subito in piedi, massaggiandosi il braccio.

«Sei manesco.» disse Connor, e Will raccolse il portafogli, aprendolo.

«Ehi, ma questo è vuoto!» sbottò Will, mentre Connor saliva in auto.

«Mi hai chiesto il portafoglio, biondo! Ci vediamo!»

Prima che Will potesse reagire, Connor era già sparito giù dalla collina con una sgommata.

«Quello stronzo.» ringhiò Will, infilandosi il portafoglio in tasca e camminando incazzato verso il Campo.

***

Nina lo guardò con attenzione, pensando di aver sentito male. «Puoi ripetere?» mormorò.

«Ho detto che mi sposo con Calipso.» borbottò Leo. Era la quinta volta che lo ripeteva alla sorella.

Nina si morse il labbro. «Ma perché?» chiese.

Il fratello roteò gli occhi. «Perché la amo, magari?»

«Non è vero. Leo, ti ho visto innamorato. Eri innamorato di Calipso prima che conoscessi Will Solace. Ora non lo sei più. Vuoi sposarla solo per James, perché credi che sia la cosa migliore.»

Leo si morse la guancia voltandosi verso la sorella, interrompendo il progetto.

«Sono innamorato di Calipso.» ripeté. «La amo. E voglio sposarla, e dare dei fratellini a James. Voglio vivere la mia vita felice.»

«Se vuoi vivere la tua vita felice, non la sposare. Cazzo, Leo, lei non ti merita!»

Leo la fissò torvo. «Mi prendi in giro?»

«No. Con Will eri molto più felice.»

«Già, ma hai visto come è andata a finire con lui.»

«Avete fatto pace, mi sembra. E ti ha spiegato i motivi che lo hanno spinto ad agire in quel modo. Certo, non concordo con lui su questo, ma sai perché lo ha fatto. Perché ti amava troppo.»

«Cazzo, Nina, io non ti capisco. Prima mi dici che con Will sono sprecato, e ora che voglio sposarmi con Calipso mi dici che lei non mi merita.»

«Ma è così. Forse ho sempre sbagliato nel considerare Will Solace, ma con lui eri veramente felice. Con Calipso è una guerra continua.»

«Se c'è odio c'è anche amore.»

«Ma se c'è tanto odio non è un proprio un bel amore.»

Leo sbuffò sonoramente. «Dacci un taglio, okay? La amo. Amo Calipso, la voglio sposare, e voglio che James abbia una famiglia come si deve. Non mi frega di quello che dici.»

«Se non ti fregasse, non staresti continuando a ribadire il tuo amore per lei.» Nina si posò una mano sulla pancia e si alzò in piedi. Intendeva fare un'uscita trionfale, ma era piuttosto lenta con quel bambino che pesava sulla sua vescica.

Leo si affrettò ad aiutare la sorella. «Nina, c'è solo una persona con la quale passerò il resto dell'eternità, e quella persona è Calipso.»

«Vivrai un'eternità infelice, allora.» Nina lo guardò un po' triste e uscì dalla stanza. Leo udì vagamente tutti i macchinari fermarsi per permettere a Nina di uscire dalla fucina. Si passò le dita tra i capelli, chiedendosi se avrebbe fatto una scelta diversa se Calipso fosse stata mortale come lui.

Stava per sceglierlo. Se Calipso non gli avesse fatto recapitare quel messaggio, ora si sarebbe trovato in compagnia del suo dottore biondo.

Con un sospiro, Leo mollò il suo progetto e uscì dalla fucina. Lanciò un'occhiata a Will, che stava rientrando in infermeria proprio in quel momento, e si diresse a passo svelto verso la cabina 11.

Leo salutò i vari ragazzi che individuò mentre andava a bussare alla camera di Travis.

«Connor?!» Il ragazzo spalancò la porta, già con l'intenzione di gettarsi al collo del fratello, ma quando vide Leo si bloccò. «Non sei Connor.»

«Già, ma non mi dispiace non esserlo.»

Travis sbuffò e lo guardò divertito. «A cosa devo l'onore di vederti qui durante il tuo orario di fucina?»

«Volevo parlarti. Di fronte ad una birra.»

«Magari due?»

«Anche una cassa intera.»

«Mi piace.» annuì Travis, recuperando la giacca. «Dove andiamo?»

«Al primo bar che troviamo fuori dal Campo.» disse Leo, uscendo dalla camera e dalla cabina.

Travis si fermò a parlare velocemente con una delle sue sorelle, e seguì Leo fuori. Si fermò a guardare un figlio di Afrodite che litigava con qualcuno di vagamente familiare.

«È tuo fratello Steve, quello?» domandò curioso Travis, affiancandosi a Leo, che lanciò una rapida occhiata al giardino della cabina 10.

«Sì, è lui.» annuì Leo, chiedendosi come mai i due fidanzatini stessero litigando. Evan aveva il viso arrossato, e continuava a spingere indietro Steve. Il figlio di Efesto stava cercando di spiegare qualcosa al fidanzato, che non voleva ascoltare.

«Controlliamo cosa succede?» chiese Travis, fermandosi a guardare.

«Vuoi solo ficcanasare. E comunque no, lasciali litigare. Chissà che ha combinato Steve.»

Si allontanarono, mentre altri semidei curiosi si avvicinavano ai due fidanzati per origliare.

Più tardi, Leo e Travis erano seduti al tavolino del bar, entrambi con una fila di bottiglie di birra vuote vicino. Stavano parlando del futuro matrimonio di Leo. Travis aveva fatto un brindisi e offerto un giro da bere a tutte le persone presenti al bar in quel momento.

«Credo di amare ancora Will.» mormorò piano Leo, e Travis lo guardò perplesso.

«È normale pensare di essere ancora innamorati del proprio ex.» disse Travis, altrettanto piano. «Soprattutto quando stai per ingabbiarti.»

Leo roteò gli occhi e lo fissò torvo. «Fai il serio.»

«Sai che non lo sono mai. O lo sono ma poco. Be', in ogni caso...»

«Non è normale. Tu per Miranda non provi nulla.»

«Miranda è stata solo una botta via, ed è nata una bambina meravigliosa.»

«È la stessa cosa.»

«No.» Travis inspirò profondamente. «Pensi di provare qualcosa per Will per quello che ha fatto. Ha affrontato Bruno per te, e ne hai viste le conseguenze. Nel tuo profondo, sai che per lui non provi nulla, ormai è solo un buon amico. Lui ti ha aiutato a diventare quello che sei ora.»

«E Calipso? Pensi che faccia bene a sposarmi con lei?»

Travis annuì. «Sì. Il vostro è un amore epico, sai? L'hai liberata da una maledizione che durava da secoli, l'hai riportata in questo mondo. Forse pensi che non sia niente, ma è qualcosa. Lei ti ama, tu la ami. Siete perfetti l'uno per l'altra.»

«E il fatto che abbiamo un figlio influenza?»

«Forse sì, un figlio non è una cosa da poco. Ma voi due siete innamorati, sia che abbiate avuto un figlio che no. Vi appartenete.»

«Ma litighiamo spesso...»

«È più che normale litigare. Finché non vi alzate le mani direi che va bene.»

Leo bevve un sorso di birra, osservando le persone al bar, e inspirò profondamente. «Non pensavo che l'avrei mai detto ma... grazie per le tue perle di saggezze, Travis Stoll.»

Il figlio di Ermes scoppiò a ridere e brindò alla sua intelligenza.

Will non riuscì a concentrarsi molto nel resto della giornata. I suoi pensieri andavano sempre a finire sul figlio di Ermes comparso dal nulla che gli aveva rubato il portafoglio, e che probabilmente in quel momento stava esaurendo le sue carte di credito. Anche se non aveva lasciato il codice nel portafoglio, immaginava che il ladro l'avrebbe scoperto in meno di dieci secondi. Si maledì per essere stato così sciocco, ma dopotutto doveva ringraziarlo.

Essendo troppo occupato a pensare alle sorti dei suoi soldi guadagnati con fatica, i pensieri non gli si erano mai rivolti a Leo e al suo futuro matrimonio. Quando lo ricordò, sussultò leggermente. Era così strano. Il suo Leo stava per sposarsi...

Will si appoggiò alla porta del suo ufficio, guardando la stanza. Aveva riordinato tutto, e i documenti li aveva sistemati nelle loro cartelline nei vari cassetti.

Si morse il labbro con forza. Ormai non era più il suo Leo. Era il Leo di Calipso. E doveva andargli bene, perché le cose non sarebbero mai cambiate. I due si sarebbero sposati, avrebbero dati altri fratelli a James... e lui avrebbe tentato di tenersi alla larga da quella famigliola che non faceva altro che ferirgli il cuore.

Combattere era inutile. Calipso avrebbe sfoderato artigli e zanne peggiore delle sue, e Leo non era più interessato a lui. Ormai aveva la donna della sua vita. Ripulita, allegra, e l'avrebbe avuta per l'eternità.

Will rilasciò andare l'aria dai polmoni, pensando a quanto fosse stupido. Forse doveva andarsene. Continuare la sua vita da un'altra parte. Pensò ad Angel. Magari poteva seguirlo in Africa...

«Solace?»

Will sussultò al suono di quella voce, e venne colpito in viso da qualcosa di morbido. Arretrò di un passo, sbattendo le palpebre e fissando Connor Stoll appoggiato al davanzale della finestra. Stava accovacciato, pronto a saltare o a correre.

«Stoll!» esclamò Will, stupito, a corto di fiato.

«Tieni.» Connor gli lanciò il portafoglio, e Will lo afferrò prima che sbattesse contro la sua faccia. «Ti ringrazio. Non facevo shopping sfrenato da mesi.»

Will guardò in silenzio il portafoglio tra le sue mani, poi alzò lo sguardo infuriato verso il ragazzo. Ma Connor era già sparito. Corse alla finestra, ma di Connor nessuna traccia.

«Non ho speso tutto.» disse la voce del ladro alle sue spalle, e Will si trattenne dall'urlare. Il ragazzo era vicino alla porta, appoggiato come il dottore poco prima. «Sei stato fortunato. C'erano gli sconti.»

«Stoll, ti conviene andartene...» borbottò Will.

«Non borbottare, biondino. Non ho sentito.»

«Vattene!»

«Non ancora.» Connor scosse la testa, e si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ho comprato un sacco di roba, ti ringraziò per la tua bontà.»

Will cercò delle armi sulla scrivania, e trovò solamente il taglia carte. Appena l'afferrò, si voltò verso il figlio di Ermes, ma era sparito. La porta era spalancata.

Will corse alla porta, e guardò fuori. Poteva essersi nascosto da qualche parte, sotto un lettino, o addirittura in una delle altre stanze. Will richiuse di scatto la porta, poi si voltò verso il suo ufficio, aspettandosi di vedere Connor seduto sulla scrivania o sul davanzale.

Non c'era. Will sospirò e chiuse la porta a chiave, posando di nuovo il taglia carte sulla scrivania. Ci mancava solo il fratello del migliore amico di Leo...

Solo allora Will notò la felpa appallottolata sul pavimento. Doveva avergliela lanciata prima, mentre compariva a sorpresa sul davanzale. La afferrò e le diede una scrollata. Era arancione, della sua taglia. La fissò in silenzio. Cercava di comprarlo con una felpa del suo colore preferito? Doveva proprio farci due chiacchiere.

Lasciò il portafoglio nel cassetto, e tenendo la felpa stretta in mano si diresse alla cabina 11. Era così infuriato con Connor che ignorò completamente i vari vestiti abbandonati nel giardino della cabina di Afrodite.

«Ehi, dottor Solace.» lo salutò una figlia di Ermes seduta sui gradini.

«Stoll è dentro?» domandò Will, stringendo la felpa.

«Uno è uscito con Valdez, l'altro è dentro.»

«Mi interessa il secondo.» Will entrò in cabina, e andò alla ricerca della camera di Connor. Quando la vide, si fermò a bussare, e non ricevendo risposta entrò.

Il letto era ricoperto di buste colorate, e almeno quattro paia di scarpe erano buttate alla rinfusa su un piccolo divanetto. Will si infuriò alla vista di tutti quei sacchetti comprati con i suoi soldi. Fu sul punto di prendere tutto e portarlo via, quando sentì la voce di Connor canticchiare dal bagno.

Will entrò nella stanza, chiudendo la porta alle proprie spalle. Lanciò la felpa sul letto, ed entrò in bagno, sperando che la porta non scricchiolasse. Aveva in mente proprio un bello scherzetto per il figlio di Ermes. Will intravide la figura del figlio di Ermes sotto la doccia. Era anche piuttosto stonato mentre cantava. Si avvicinò al gabinetto e tirò lo sciacquone.

«TRACY!» urlò Connor, saltando di scatto quando l'acqua passo a gelida. «Quante volte ti ho detto di non entrare in bagno quando ci sono io?!»

Connor spostò di scatto il divisorio della doccia, aspettandosi di vedere la sorella minore, e sgranò gli occhi nel vedere il dottor Solace a braccia conserte che lo fissava divertito.

«Tu?!» esclamò Connor, sorpreso.

«Già, io.» annuì Will, gongolante.

«Ma...» Connor aggrottò la fronte. «Sei venuto fino a qui solo per... per tirare lo sciacquone del mio bagno?»

Will arrossì leggermente. «Ti ho fatto uno scherzo.» borbottò.

«No, uno scherzo sarebbe stato buttarmi della farina o del borotalco appena uscito dalla doccia, oppure riempire i flaconi di shampoo di miele...»

Will roteò gli occhi al soffitto. «Non mi farò dare consigli sugli scherzi da un ragazzo nudo.»

«Sei tu che sei venuto da me.» sbuffò Connor, incrociando le braccia al petto. «Probabilmente mi trovi anche irresistibile.»

Will afferrò il barattolo del borotalco e glielo tirò addosso. Connor sputacchiò per qualche secondo, cercando di togliersi il talco dagli occhi e dalla bocca.

«Così?» chiese Will, posando il barattolo.

«No, questo non è uno scherzo, è una cosa crudele...»

«Allora sono una persona crudele.»

Connor riaprì l'acqua calda e si sciacquò il viso. Will aspettò che si fosse ripulito prima di lanciargli di nuovo il borotalco.

«Ma allora sei proprio stronzo.» sbuffò Connor, scoccandogli un'occhiataccia. Ma sotto sotto era divertito.

«Già.» annuì Will, trattenendo una risata. «Lo sono.»

«Ma lo sono anch'io.» Connor gli strappò il barattolo dalle mani e glielo svuotò addosso.

«Bastardo!» gracchiò Will, correndo al lavandino e cercando di ripulirsi i capelli.

«Ma senti un po' da chi viene la predica...» rise Connor, tornando sotto l'acqua.

Will aprì il rubinetto e si sciacquò il viso. Connor lanciò un gridolino per l'acqua gelida.

«Al posto di fare il barbone nel lavandino, perché non vieni in doccia con me, dottor Solace?» sbottò Connor, aspettando che l'acqua calda tornasse.

Will sbuffò sonoramente, cercando un asciugamano e guardandosi allo specchio. I capelli biondi erano nascosti da un bel po' di talco. E profumava come un bambino.

«Rimorchi spesso in questo modo?» domandò Will, lanciando un'occhiata a Connor, di cui vedeva solo l'ombra nascosta dalle pareti della doccia.

«Non molto. Ti sembrerà strano, ma se un ragazzo viene in bagno mentre sono sotto la doccia, non mi tira del talco addosso.»

«Ah no? E cosa fa?»

«Be', si unisce, e rendiamo la doccia interessate.»

Will posò l'asciugamano e si guardò allo specchio. Pensò a Leo e a Calipso. Cosa aveva da perdere, ormai?

Connor si rimise a canticchiare, aprendo il flacone di shampoo e cominciando a passarselo sui capelli per eliminare l'odore del talco. I suoi fratelli lo avrebbero preso in giro a vita per quell'odore infantile sul suo corpo. Cominciò ad insaponarsi i capelli, e sentì il vetro scorrere.

«Oh, andiamo.» sbuffò Connor, voltandosi. «Ne hai trovato...?»

Le parole gli morirono in gola e abbassò il braccio mentre Will entrava nella doccia con lui. Lasciò scorrere il suo sguardo sul corpo abbronzato del biondo, soffermandosi in due punti in particolare.

«Quanti piercing.» mormorò Connor, mentre Will richiudeva la lastra e girava il getto del soffione su di sé.

«Sono solo due.» disse Will, scrollando le spalle, passandosi le mani tra i capelli, lasciando che l'acqua lo bagnasse.

Connor deglutì guardandolo. «E hanno fatto male?»

«Sono un figlio di Apollo. Faccio sparire il dolore.» rispose Will, lanciandogli un'occhiata maliziosa.

«Ne fai venire anche altro, Solace.»

«Will. Chiamami Will.»

Connor annuì tra sé, e prese il suo shampoo, mettendoglielo sui capelli e iniziando a massaggiargli la testa. Will era piuttosto alto, ma non era uno sforzo eccessivo aiutarlo a lavarsi.

Connor trattenne per sé parecchi commenti mentre finiva di lavargli i capelli e cominciava a massaggiargli la schiena.

«Lo fai spesso?» domandò Connor, mentre Will si rilassava sotto le sue dita.

«Entrare nella doccia delle persone?»

«Esatto.»

«Non spesso. Solo nelle docce di chi trovo particolarmente carino.»

«Sono fortunato che mi consideri carino, allora.»

Will aspettò qualche altro secondo prima di voltarsi verso Connor. Notò nei suoi occhi la stessa luce che doveva brillare nei suoi. Gli posò le mani sui fianchi, facendo scontrare i loro bacini, e abbassò appena la testa per baciarlo. Trovò le labbra di Connor pronte ad accoglierlo.

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Capitolo 44
*** 63. Andare avanti ***


Mentre Will e Connor si spostavano sul letto comodo del figlio di Ermes, Leo e Travis tornarono al Campo con gli inizi di una sbornia. A ben pensarci, nessuno dei due aveva idea di come avessero fatto ad arrivare lì. Potevano aver preso un passaggio da Festus o da un taxi...

«Ho quelle pillole in cabina.» disse Travis, andando verso la cabina 11.

«Non la voglio.» rispose Leo, scuotendo la testa. Si portò una mano alla fronte, nella speranza di riuscire a fermare quelle campane che suonavano a festa nel suo cervello. «Non ha senso bere e poi risolvere tutto con la famosa pillolina, e tornare a casa come se non fosse successo nulla.»

Travis gli lanciò un'occhiata curiosa. «Vuoi restare a dormire da me?»

«No, vado nella mia a smaltire la sbornia, e domattina sarò da Calipso.»

Il figlio di Ermes annuì. Si portò una mano tra i capelli, socchiudendo gli occhi. «Direi che è l'inizio di un fidanzamento ideale.» gli sorrise. «Lei ti chiede di sposarlo, e la sera seguente non dormi a casa.»

«Stai zitto.» bofonchiò Leo. «Io almeno me lo ricordo, il mio fidanzamento. Tu non sei tanto fortunato, eh?»

Travis lo ignorò, e si avvicinò alla porta della propria cabina. Voleva replicare qualcosa di maligno contro Leo, ma non gli veniva in mente niente. «Ci vediamo domani?»

«Forse.» annuì Leo, e gli fece un cenno di saluto. Travis entrò nella cabina 11, e Leo ciondolò fino alla Nove, che era subito affianco. Impiegò qualche minuto ad aprire la porta e andò verso uno dei letti liberi. Si sfilò i vestiti, sapendo che appena toccato il materasso si sarebbe addormentato, ed era sul punto di posare la cintura degli attrezzi sul comodino quando la porta si aprì.

«Leo, dormo qui con te. In un altro letto.» disse Travis, chiudendosi la porta alle spalle in modo silenzioso.

«Come mai?» chiese curioso Leo, mentre Travis si sfilava le scarpe.

«Connor ha un ragazzo in camera, e non mi va di sentire i rumori.»

Leo fece una smorfia. «D'accordo.»

«In realtà ho già sentito i rumori.» Travis si stese su uno dei letti, con una smorfia. «Chiunque sia, se fa gridare mio fratello in quel modo, dovrebbe anche sposarlo.»

I due ragazzi risero e, poco dopo, Travis si addormentò. Leo si portò le mani dietro la testa, pensando a Calipso, e poi a James. Sposare la madre di suo figlio sarebbe stata una grande opportunità per il figlio. Finalmente i suoi genitori avrebbero vissuto insieme, con la possibilità anche di dargli un fratello... il volto di Will fece capolino nei suoi pensieri. Gli aveva proposto di andare al luna park insieme! E poi gli aveva detto che si sposava con Calipso. Se lo avesse pugnalato con il bisturi, lo avrebbe capito.

Ma Will non aveva avuto reazioni. Quindi gli andava bene.

O magari sapeva nascondere bene le sue reazioni...

Leo si sdraiò sul fianco, non sapendo proprio cosa pensare. Il Will che conosceva non riusciva a nascondere le emozioni. Riusciva a tradirsi anche con i semplici regali di compleanno. Il figlio di Efesto socchiuse gli occhi e, lentamente, si addormentò, sognando il suo passato.

Sognò sua madre nella vecchia officina per tutta la notte. Parlava in spagnolo mentre riparava le auto, e il piccolo Leo le passava gli attrezzi giusti, senza mai sbagliare una volta. La guardava lavorare, trovando tutto affascinante. Già allora sapeva che gli sarebbe tanto piaciuto avere un luogo così anche per sé. Era uno di quei bei sogni che raramente faceva, ed ebbe per un po' paura che qualche visione sul suo futuro, o su qualche scelta che dovesse fare, potesse irrompere brutalmente nel sogno e rovinarglielo, strappargli via quell'unico momento felice, sebbene fittizio, con la propria madre.

Ma non accadde niente. Forse era a causa dell'alcol che gli circolava nelle vene. O semplicemente gli dei gli stavano lasciando una serata tranquilla, visto che da ora in poi gli toccavano i preparativi per il matrimonio.

Leo riprese a guardare la madre e, mentre il piccolo lui correva dietro ad un bullone, Esperanza Valdez cominciò a parlare.

«Come sei cresciuto, mijo.» mormorò la donna, e Leo sussultò. Stava davvero parlando con lui? «Sono così fiera di te. Di te e dell'uomo che sarai da grande. Non fare mai nulla che non ti piaccia. Anche se sei figlio di un dio dell'Olimpo, la vita sarà bella anche per te.»

Leo aveva le lacrime agli occhi. Guardò la madre un'ultima volta prima di svegliarsi sulla brandina della cabina di Efesto. Si mise seduto, strofinando la mano sulle guance.

Sua madre sarebbe stata davvero fiera di lui? Era stato abbandonato dai propri parenti, era scappato da diverse case affidatarie, aveva fatto uso di droga e avuto un figlio da giovane. Era andato negli Inferi per prendere un fiore e diventare immortale, solo perché aveva paura di perdere la donna che credeva adatta per lui. Aveva dovuto lasciarla per il proprio bene e quello del figlio, e non era stata la sola... aveva passato così tanto tempo a soffrire che aveva paura dell'eternità che lo aspettava. Avrebbe continuato a soffrire, in tempi alterni? Prima o poi sarebbe riuscito a trovare qualcosa nella sua vita di fisso, da cui non avrebbe dovuto aspettarsi niente di male?

Leo si alzò dal letto, andando in bagno. Si lavò il viso e appoggiò le mani sul davanzale, guardando fuori dalla finestra. Forse l'unica parte della sua vita da cui non avrebbe dovuto aspettarsi il peggio era James. Certo, un giorno sarebbe diventato un adolescente anche lui, ma non avrebbe mai avuto la sua stessa vita. Sarebbe vissuto con un padre e una madre che lo amavano più di sé stessi, che avrebbero fatto in modo di non mancargli niente. Anche un fratellino, o una sorellina minore di nome Esperanza.

Leo fu sul punto di uscire dal bagno quando notò un movimento dalla cabina di Ermes. Una finestra si era appena aperta, ed era comparso Connor Stoll. Il figlio di Efesto sorrise tra sé. Stava per avere una visione del ragazzo che aveva allontanato Travis dalla propria cabina?

Stava ancora ghignando quando il ragazzo in questione uscì. Indossava i vestiti del Campo Mezzosangue, e i capelli biondi gli furono subito familiari. Guardò Will Solace fare un cenno a Connor, che gli sorrideva divertito, e il biondo andò nella propria cabina. Connor chiuse la finestra.

Leo non capì cosa fosse quella voragine che sentiva alla bocca dello stomaco. La voglia di rigettare lo fece muovere verso il gabinetto, e si chiese se fosse solo dovuto all'alcol della sera prima.

Perché si sentiva così male? Will era andato avanti con la sua vita, proprio come lui stava andando avanti con la propria. Ma era da egoisti sperare che Will passasse il resto della propria vita da solo, a mangiare gelato davanti alle serie tv e a curare ogni paziente dell'infermeria con un sorriso solare sulle labbra, a coprire il vuoto dentro di sé?

 

Will stava guardando il soffitto quando Connor Stoll si svegliò. Lo guardò stiracchiarsi con la stessa grazia di un gatto, e sentì la sua mano sull'addome. Will sorrise appena per quel gesto, e il figlio di Ermes aprì gli occhi gonfi per il sonno, posandogli la guancia sulla spalla.

«Ciao.» lo salutò Will, mentre le dita pigre del ragazzo disegnavano un cerchio sulla pelle.

«Ehi.» ricambiò Connor, socchiudendo gli occhi e guardandolo. «Credevo che saresti scappato appena ti fossi svegliato.»

«Per chi mi hai preso, scusa?» Il figlio di Apollo aggrottò la fronte, e Connor fece spallucce, e Will capì. «Ah... tu speravi che me ne andassi, eh?»

«Più che altro per Travis. Leo è il suo migliore amico.»

«Be', non so se ti è arrivata la notizia, ma io e Leo non stiamo più insieme.»

Connor si strinse nelle spalle. «Lo so, ma questo non c'entra. Gli ex degli amici dei propri fratelli non si toccano.»

Will fece una smorfia, cercando di nascondere il divertimento. «E questa è una regola che vi siete inventati voi della cabina di Ermes? Voi, che siete i primi a rubare le cose agli altri?»

«Ehi, abbiamo un codice d'onore.» Connor si mise seduto. «Tre quarti dei vestiti che ho comprato ieri con le tue carte di credito, li ho dati in beneficenza in alcuni orfanotrofi.»

«Oh.» Will sorrise. «Sono contento che specifichi le mie carte di credito.»

«Codice d'onore.» ripeté il figlio di Ermes, e si alzò dal letto.

Will guardò la sua schiena nuda e seguì i suoi movimenti con attenzione. Quel ragazzo aveva qualcosa che lo attraeva, e non era solo per quello che era successo quella notte. Forse perché, nei modi di fare e di agire, non aveva niente in comune con i suoi ex.

Connor si infilò una vestaglia nera con i fiori di ciliegio, che arrivava appena a metà delle cosce. Si voltò, sorridendo compiaciuto per lo sguardo del figlio di Apollo.

«Sai, anche se tra poco scapperai dalla finestra, potremo sempre rivederci.» disse Connor, andando in bagno e prendendo i vestiti di Will.

Il biondo lo guardò confuso. «Perché devo scappare dalla finestra?»

Connor gli lanciò i vestiti. «Ci sono dei bambini in questa cabina. Non voglio che ti vedano uscire dalla porta.»

«Be', ieri mi hanno visto entrare, e non più uscire.» disse Will, alzandosi dal letto e infilandosi i boxer sotto lo sguardo del moro. «E poi ti hanno sentito gridare come una ragazzina. Due domande se le saranno fatte, no?»

Connor arrossì appena e gli lanciò una scarpa sulla schiena. «Non ho gridato come una ragazzina.»

«Oh, no di certo. In effetti, strillavi.» Will si infilò la maglia divertito, e poi i pantaloni.

Il ragazzo si avvicinò alla finestra, aprendola, ringraziando l'aria fresca che gli colpì il viso, un po' pungente.

«E tu sei un po' stronzo.» Connor gli lanciò un'occhiata. «Lo sai, vero?»

Will si infilò le scarpe e si avvicinò al figlio di Ermes. Il ragazzo era più basso di lui di almeno otto centimetri, e doveva sollevare il viso per guardarlo. Anche se non doveva, Will si chinò e lo baciò a stampo.

«Lo so.» disse, poi uscì un po' a fatica dalla finestra, evitando di cadere, e si sistemò i pantaloni, guardando Connor, che sorrideva. «Se ti sparano di nuovo, vieni pure a trovarmi in infermeria.»

«Posso venire anche se non mi sparano?»

I due si guardarono. Will fu sul punto di dirgli che non stava cercando una relazione seria al momento. Voleva solo qualcuno con cui stare e liberarsi un po' dai pensieri che ogni tanto lo assalivano. Non cercava una persona con la quale camminare mano nella mano per il Campo Mezzosangue, né tanto meno qualcuno con cui passare il resto della sua breve vita.

Ma non riuscì comunque a trattenersi dal dire «Mi farebbe molto piacere, Stoll».

«Allora ci vedremo di nuovo. Ciao, Solace.»

Will gli fece un cenno con la mano e si incamminò verso la sua cabina. Doveva cambiarsi i vestiti, e poi dormire qualche ora prima del suo doppio turno in infermeria.

Connor lo seguì con lo sguardo per alcuni passi, sorridendo, sempre più compiaciuto e chiuse la finestra. Si sdraiò sul letto, fissando il soffitto e si portò le mani al viso, cercando di non strillare nuovamente come una ragazzina per la fortuna che gli fosse capitata.

 

 

*Avviso*

Vi chiedo scusa per la lunga assenza, ma tra il blocco dello scrittore e i miei impegni, non ho più avuto modo di scrivere. Ora ho delle nuove idee per continuare questa storia, e spero di riuscire a realizzarle tutte, e a concluderla entro marzo 2022. Vi auguro buona lettura!! (Non vi dirò quando aggiornerò perché non lo so nemmeno io, ma prometto di concluderla questa volta <3)

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Capitolo 45
*** 64. Pensieri ***


«Leo, hai un aspetto tremendo.»

Leo borbottò nel sentire le parole del suo migliore amico e gli scoccò un'occhiataccia. Sapeva di essere pallido, di avere le occhiaie, ma non voleva sentirselo dire.

«Trav...» mormorò, mentre il figlio di Ermes cominciava a frugare nei cassetti. «Pillole. Ora.»

«Le sto cercando, tesoro.»

Leo alzò gli occhi al soffitto e chiuse gli occhi. Dopo aver visto Will scappare dalla cabina di Ermes, aveva rigettato di nuovo e non era più riuscito a dormire. Forse aveva sonnecchiato un paio d'ore, ma il dolore alla gola, alla testa e al petto si erano fatte strada con prepotenza in lui.

Travis trovò le pillole nel cassetto e ne prese due, passando poi il flacone a Leo, che lo prese borbottando. Ingoiò due pillole e rimase steso nel letto ad aspettare che facessero effetto. Un minuto dopo, però, si rese conto che il dolore al petto non era cambiato.

«Hai ancora un aspetto tremendo.» notò Travis, stiracchiandosi. «Sei riuscito a dormire?»

Leo scosse la testa, mettendosi seduto.

«È successo qualcosa mentre dormivo?»

Leo gli lanciò un'occhiata. Poteva dirgli che era così giù di tono per colpa di suo fratello e Will? E dire che si era fatto pure una grossa risata quando Travis gli aveva detto «Chiunque sia, se fa gridare mio fratello in quel modo, dovrebbe anche sposarlo».

«Will.» si decise a dire infine Leo, e Travis aggrottò la fronte.

«È passato di qua mentre dormivo?» chiese Travis, guardandosi attorno, come se potesse riconoscere il passaggio di Will in quella stanza.

«No.» Leo si passò la mano sul volto, poi tra i capelli. «Il ragazzo con Connor... era Will.»

Travis strabuzzò gli occhi a quelle parole e Leo notò di non poter sopportare quello sguardo. Si alzò in piedi, sentendo i palmi prudere dal desiderio di bruciare qualcosa.

«Come..?» domandò Travis, e Leo si strinse nelle spalle.

«L'ho visto uscire dalla finestra della sua camera.»

Travis tenne d'occhio l'amico mentre faceva su e giù per la stanza.

«Ti senti bene?» gli chiese, cauto. Non voleva che Leo gli desse fuoco.

Leo scosse la testa, poi annuì. «Sì, sto bene.» si sforzò di dire. «Insomma, non è più il mio ragazzo. È libero di fare quello che vuole, di farsi chi vuole. E... e io sono impegnato. Fidanzato. Con Calipso.»

Dire quelle parole gli provocò una strana sensazione al petto, non dolorosa. Scegliere Calipso non era solo la scelta migliore. Il suo rapporto con Calipso durava da anni, erano sopravvissuti a mille problemi. Certo, non li avevano superati al meglio, litigavano di continuo, ma la ragazza era la persona giusta per lui. L'amava, forse non dello stesso amore profondo che aveva provato per lei quando era tornato con Festus per liberarla da Ogigia, ma sapeva che quell'amore, nel corso degli anni, dei secoli che li aspettavano, sarebbe sbocciato di nuovo.

E Will... sì, Leo riconobbe che anche la loro relazione era stata importante. E sì, lo aveva amato nel profondo, e a lungo, e forse con lui era stato davvero felice. Ma Will era andato avanti, era stato a letto con Connor, e chissà con quanti altri ragazzi in quei due anni che non si erano visti. Da quando era arrivato, Will non gli aveva chiesto di riprovarci, perché forse non gli importava più. Era stata solo un'avventura, la loro. Insieme avevano riparato i loro cuori spezzati, si erano ripresi dalle delusioni passate e avevano creduto di poter stare bene.

Travis osservò l'amico, chiedendosi se parlasse sul serio. Connor e Will? Doveva proprio fare due chiacchiere con il fratello. Non c'erano dubbi che Leo dicesse la verità, riusciva a scorgere quanto fosse scosso. Si avvicinò all'amico e gli posò una mano sulla spalla.

«Forse ieri sono stato troppo duro con te.» cominciò a dire, ma Leo lo fermò.

«Avevi ragione.» disse Leo. «Non è amore quello che provo per lui ora, ma riconoscenza. Era amore due anni fa, prima di... be', prima che ci lasciassimo. Ora... ha rischiato di morire per me, lo riconosco. Ma ora devo darmi una svegliata.»

Travis rimase in silenzio mentre Leo proseguiva.

«Devo preparare il mio matrimonio con Cal.» continuò il figlio di Efesto, spogliandosi e dirigendosi verso il bagno. «Ci sono un sacco di cose da fare. Ma prima... devo farti una domanda.»

Leo incrociò gli occhi chiari dell'amico.

«Vuoi essere il mio testimone di nozze?»

 

Will era in infermeria, intento a cucire una profonda ferita di una figlia di Afrodite, Amy. La ragazza aveva deciso di allenarsi con una figlia di Nike, Holly Victor, per cui aveva una cotta, senza tenere conto che la gemella di Holly, Laurel, avrebbe partecipato per dimostrare il proprio valore. Si era ritrovata ad assistere allo scontro tra le due gemelle, evitando le loro spade per puro miracolo, ma alla fine una delle due l'aveva colpita per sbaglio.

«La prossima volta combatterò con Paolo.» disse Amy, con voce tetra, mentre Will finiva di ricucirle la ferita.

«La prossima volta, chiedi ad Holly di vedervi dove non comparirà Laurel.» le suggerì Will, sorridendo.

«E dove?» sospirò la figlia di Afrodite, affranta. «Sono inseparabili.»

«Forse conosco qualcuno che potrebbe aiutarti.» rispose Will, osservando Connor Stoll entrare in infermeria. Portava con sé una busta colorata, e Will la riconobbe come una di quelle che il figlio di Ermes aveva acquistato il giorno prima con i suoi soldi. Notò di dover essere arrabbiato con il ragazzo, ma dopo il loro incontro piccante, non riusciva a fargliene una colpa.

«Connor!» lo chiamò Will, e il figlio di Ermes si voltò verso di lui. Dal sorriso che gli comparve sulle labbra, Will immaginò che fosse lì per incontrarlo.

«Ciao ragazzi.» Connor si avvicinò ai due, osservando i guanti sporchi di sangue e nettare di Will e la pelle appena ricucita del braccio della ragazza. «Mi avete chiamato per propormi una cosa a tre?»

Will rise mentre Amy arrossiva.

«Non siete proprio il mio tipo.» disse la ragazza, mentre Will diceva: «Lei non è proprio il mio tipo.»

«Peccato.» disse Connor, schioccando le labbra. «Voi siete il mio tipo.»

Will guardò Amy, rossa come un peperone. Immaginò che la figlia di Afrodite non vedesse l'ora di scappare dall'infermeria.

«Ti abbiamo chiamato per chiederti un favore.» disse Will, togliendosi i guanti sporchi e cambiandoli.

«Okay.» Connor si sedette vicino ad Amy. «Ditemi pure.»

«Dovresti distrarre Laurel Victor.» disse Will, mettendo un altro paio di guanti e prendendo una benda.

«Laurel Victor?» ripeté Connor, pensieroso. «Figlia di Nike, giusto?»

«Sì.» annuì Will.

«Mh... faccio fatica a riconoscerle.» ammise il figlio di Ermes. «Qual è delle due?»

«Quella con i capelli più corti.» disse Amy, e Will le bendò la ferita appena ricucita.

«Okay.» annuì Connor. «C'è un motivo particolare per cui dovrei distrarla?»

«Sì.» Will sorrise ad Amy, incoraggiante.

«Voglio uscire con Holly.» disse Amy, poi si corresse, imbarazzata: «Cioè, voglio trovarmi sola con Holly per più di un minuto.»

«Affare fatto.» Connor sorrise alla figlia di Afrodite.

«Cosa vorresti in cambio?» chiese lei, osservandolo.

«Niente.» la tranquillizzò Connor. «Dimmi quando vuoi che te la distragga, e lo farò.»

«Okay.»

Will si allontanò da Amy, dicendole che aveva finito. La ragazza si alzò, ringraziandoli entrambi, e si affrettò ad uscire dalla cabina prima che Connor potesse fargli qualche nuova richiesta.

Will tenne lo sguardo puntato sulla figlia di Afrodite, e lentamente si voltò di nuovo verso Connor. Notò che il figlio di Ermes lo stava già guardando.

«Pensavo ti facessi pagare.» disse Will, togliendosi il nuovo paio di guanti e gettandolo insieme agli altri.

Connor fissò il dottore per qualche secondo. «Mentre mi parlavate, le ho rubato cinque dracme dalla tasca.» ammise. «Come pagamento può bastare.»

Will fissò Connor. «Non ti ho proprio visto farlo.» mormorò.

«Te l'ho detto, mani veloci.»

Will e Connor continuarono a guardarsi. Il figlio di Ermes somigliava davvero in modo impressionante a suo fratello maggiore Travis. Avevano lo stesso colore degli occhi, lo stesso naso a punta che ricordava un po' quello di un elfo. Ma le labbra di Connor erano più rosee, i capelli più lunghi e le spalle più strette.

Cielo, pensò Will tra sé. Tutti i miei ex sono uguali.

Non seppe se ridere o piangere, poi ricordò Mitchell figlio di Afrodite, nonché amico. Col passare degli anni era diventato alto quanto lui e si era irrobustito. Si trattenne dal tirare un sospiro di sollievo.

«Comunque non sono venuto qui per borseggiare i tuoi pazienti.» disse Connor, prima di aggiungere: «O te.»

Will lo fissò. «Me? Di nuovo?» Posò la mano sulla tasca, scoprendo che il portafoglio era sparito.

Connor glielo tese. «Scusa, forza dell'abitudine.» ridacchiò.

Will lo rimise in tasca, borbottando. «Sei sicuro di non essere un cleptomane?»

«Probabilmente lo sono, ma preferisco non essere etichettato.»

Il figlio di Apollo fissò torvo l'altro, che gli sorrise e gli tese il sacchetto colorato che teneva ancora in mano.

«Ecco, ti ho portato un altro regalo.» disse Connor.

«Sempre rubato?» domandò Will. «O pagato con i miei soldi?»

«Mh, pagato con i tuoi soldi.»

Will sospirò e lo prese, curioso. Lo aprì, scoprendo che all'interno c'erano un paio di pantaloncini neri.

«Per la fretta, ne ho comprati un paio troppo larghi.» spiegò Connor. «E presumo che a te potrebbero stare benissimo.»

Will osservò per un attimo i pantaloncini, trovandoli piuttosto belli. Gli sarebbero stati benissimo, assieme alla felpa arancione che il ragazzo gli aveva regalato il giorno prima.

«Non lo voglio.» disse Will, sentendosi dispiaciuto mentre glielo tendeva indietro.

Connor aggrottò la fronte. «Perché no? Ti starebbero benissimo.»

«Probabile.» sospirò il biondo. «Ma il fatto che tu abbia detto “per la fretta” non mi piace. Credo proprio che tu li abbia rubati, e non voglio essere complice in nessun modo.»

Il figlio di Ermes scoppiò a ridere. «Will, il negozio ieri stava per chiudere, per questo ero di fretta. E poi non vedevo l'ora di tornare da te, per vedere la tua espressione.»

«Spero che la mia espressione ti abbia soddisfatto.»

«Sì, parecchio.» Connor spinse la busta verso di lui. «Ora tienili. E mettili ogni tanto. Con la felpa arancione, ti starebbero proprio bene.»

Will prese la busta, lanciando un'occhiata al figlio di Ermes. Aveva detto esattamente ciò che aveva pensato. Fu sul punto di dirglielo, ma Connor balzò in piedi.

«Ora devo andare.» disse, dirigendosi verso l'uscita. «Ho promesso ad una figlia di Nemesi di aiutarla a vendicarsi, e non voglio proprio rischiare di farla aspettare.»

«Connor... grazie!» esclamò Will. Il figlio di Ermes gli sorrise, prima di scomparire dall'infermeria.

Will rimase a fissare la porta per qualche altro minuto, pensando a Connor Stoll. Non riuscì a capire se fosse turbato in senso negativo o positivo nei confronti di quel ragazzo. Prese i pantaloncini dalla busta, deciso a provarli, e notò un biglietto cadere dalla busta. Curioso, lo prese e lo aprì.

Sì, li ho rubati – C.

Will appallottolo il foglietto e i pantaloncini e li gettò nel cestino più vicino, sbuffando.

 

 

Dopo la doccia, e una riordinata veloce nella sua camera, Leo uscì dalla cabina 9. Intravide Nina seduta su una sdraio fuori dalla cabina 14, mentre Butch era seduto di fronte a lei, intento a massaggiarle i piedi.

«Quanto vuoi per massaggiare i miei?» domandò Leo, avvicinandosi, cercando di non ridere. Il figlio di Iride era così mascolino mentre massaggiava i piedi della sua amata.

«Niente, perché a te non lo faccio.» borbottò Butch, arrossendo.

«Vieni qui.» Nina indicò la sdraio vicino alla sua. «Li massaggerà anche a te.»

Butch le scoccò un'occhiataccia, e Nina in tutta risposta si indicò la pancia voluminosa. «Spero tu non voglia discutere con me.» disse lei.

Butch le guardò la pancia, ignorando Leo che prendeva posto sulla sdraio libera e si sfilava le scarpe. «Tu eri d'accordo con me.» brontolò il figlio di Iride. «Non puoi darmi la colpa.»

«Non pensavo che non sarei più riuscita a vedermi i piedi, quando ho accettato.»

«Potevi chiedere a me.» disse Leo, rubandole la limonata fresca. «Anche Calipso ha avuto lo stesso problema. Le massaggiavo i piedi e i polpacci, e una volta le ho messo pure lo smalto.»

Butch sibilò tra i denti alle sue parole, e Nina sogghignò.

«Lo smalto, eh?» disse, guardando il fidanzato. «Lo vorrei verde. Lo vai a prendere?»

Leo si portò una mano alla bocca per nascondere il suo sorriso, ma lo sguardo assassino che Butch gli riservò, gli fece capire che non era cascato nel trucchetto della mano.

Nina guardò il ragazzo scomparire all'interno della sua cabina e Leo fece per parlare, ma la ragazza alzò una mano per zittirlo.

«Lo voglio viola, non verde!» esclamò Nina, sogghignando, e Leo rise. «Anzi no, giallo...»

«Rosso!» le suggerì Leo.

«Oh sì, rosso!»

Dall'interno della capanna si udì un'imprecazione in greco che Leo decise di non ripetere alla sorella, che forse non l'aveva sentito.

«Tutto okay?» domandò Nina, osservando il fratello. «Stai già ripensando al matrimonio?»

Leo si guardò le dita dei piedi. «No, non sto ripensando al matrimonio.»

Nina sospirò. «Perché vuoi andare avanti? Io e Butch non abbiamo alcuna intenzione di sposarci, e stiamo benissimo.»

«Be', io e Cal ci amiamo sul serio.»

Nina alzò gli occhi al cielo azzurro mentre Butch usciva dalla cabina, con le mani pieni di smalto. «Anche noi ci amiamo.» disse la figlia di Efesto, guardando Butch. «Non abbiamo bisogno di una fede al dito per dimostrarlo. Giusto?»

Butch borbottò qualcosa e fu sul punto di sedersi quando Nina lo fermò.

«Dov'è il blu?» chiese, guardando i colori.

«Non me l'hai chiesto.» farfugliò il figlio di Iride.

«Certo che te l'ho chiesto.» Nina guardò Leo, che annuì.

«Te lo ha proprio urlato.» disse Leo. «Come hai fatto a non sentirlo?»

Butch guardò prima una e poi l'altro, e si affrettò a rientrare.

«Sei proprio stronza.» mormorò Leo, guardando la sorella con affetto.

«Mi hai spalleggiato.» gli fece notare Nina. «Lo sei anche tu.»

Leo scosse la testa e si guardò attorno. Stare coricati su una sdraio della cabina 14 non era affatto male, non dopo aver superato la sbornia.

«Comunque, tutto okay?» chiese Nina, osservando il fratello. «Ti ho visto uscire dalla cabina di Ermes. Hai dormito lì?»

«Ho festeggiato ieri sera con Travis.» disse Leo, spostando lo sguardo sull'infermeria in lontananza. Vide Connor Stoll entrare all'interno con una busta in mano e si sentì sprofondare. Intendevano fare sesso sulla scrivania?

«Oh. Be', sono contenta per te. Che ti sei divertito.»

Leo spostò lo sguardo dall'infermeria e tornò a guardare la sorella con un groppo in gola.

«Ho scelto Travis come mio testimone.» disse Leo, mentre una parte di lui si chiedeva se avrebbe dovuto invitare pure suo fratello.

«Pensavo avresti scelto me.»

«Che ne diresti di fare la damigella?»

Nina si mordicchiò il labbro. «Mh... il matrimonio sarà prima o dopo che avrò partorito?»

Leo le guardò la pancia per un attimo. «Direi dopo.»

«Allora va bene. Ma non scegliete nessun colore confetto per me, potrei vomitare.»

«Devi vomitare?» le chiese preoccupato Butch, con in mano l'intera scatola di smalti della sorella. «Vuoi che ti porti un secchio?»

«Oh no, caro, parlavo con Leo.»

Butch si rilassò appena e tornò a sedersi davanti a lei, posando la scatola vicino agli altri smalti e riprendendo a massaggiarle i piedi. Leo mosse i suoi speranzoso, ma Butch lo ignorò.

Leo spostò di nuovo lo sguardo sull'infermeria, riflettendo. Connor era lì dentro da troppo tempo. Forse doveva entrare e controllare che Will stesse bene... Il figlio di Ermes magari lo stava costringendo a fare qualcosa contro la sua volontà. Prima che potesse decidersi ad alzarsi, lo vide uscire. Non si era trattenuto a lungo, e Leo notò subito la mancanza della busta.

«Va bene lo smalto blu.» disse Nina, riportandolo alla realtà, e Butch si affrettò a prendere lo smalto. «Ma anche il rosso...»

«Posso alternare i colori.» si offrì il figlio di Iride, e l'enorme sorriso che gli dedicò Nina, fece capire a Leo quanto fosse importante trovare la persona giusta.

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Capitolo 46
*** 65. Partenze ***


Quando Leo tornò a casa quella sera, trovò Calipso sul pavimento del soggiorno con James e Bryan. I due bambini stavano disegnando mentre la ragazza cercava di dividere le costruzioni di James in base al colore.

Leo osservò la scena per un momento, sorridendo. Nessuno dei tre si era accorto del suo arrivo, e non gli dispiacque gustarsi un po' quella scena familiare. D'accordo, Bryan non era della famiglia, ma se diventava il migliore amico di James, lo avrebbe visto piuttosto spesso. E non era difficile immaginare un bambino molto simile a Leo e Cal al suo posto.

«Leo!» esclamò Calipso, notandolo. Lo guardò, sorpresa di vederlo. «Da quanto sei lì?»

«Da un po'.» disse Leo, sorridendo al figlio che si stava affrettando per andare ad abbracciarlo. Bryan si limitò a ricambiare il sorriso e a salutarlo con la mano, prima di tornare a disegnare Thor. James doveva aver contagiato pure lui, con i supereroi.

Leo baciò il figlio sulla testa, che tornò di corsa al suo disegno. Lui disegnava Iron Man, e Leo notò la strana somiglianza con il disegno. Ridacchiò, dirigendosi in cucina, sentendo il rumore dei passi di Cal alle sue spalle.

Leo aprì il frigo per prendere del succo d'arancia, e non alzò lo sguardo quando notò l'aura azzurra attorno a lui. Calipso ormai praticava quell'incantesimo ogni volta che dovevano parlare e non sapeva cosa si sarebbero detti. E Leo immaginò di dover subire qualche insulto, visto che era scomparso per quasi un giorno intero.

«Dove sei stato?»

Leo si versò il succo d'arancia e si voltò verso Calipso. La ninfa lo stava osservando, giocherellando con l'anello che portava al dito.

«Sono andato a bere una birra con Travis.» mormorò Leo, bevendo un sorso di succo. «E poi...»

«La situazione vi è sfuggita di mano?»

«All'incirca. Ma abbiamo solo bevuto, e ho dormito in cabina, non riuscivo a tornare a casa.»

Calipso annuì. Leo la osservò, notando che quel giorno aveva scelto una pettinatura diversa dal solito: nessuna treccia, ma aveva due codini che le ricadevano sul petto. Era carina.

«E oggi?»

La voce di Calipso era titubante, nervosa. Leo si domandò se stesse bene.

«Stavo per tornare due ore fa, ma mi sono fermato a chiacchierare con Nina.» Leo abbozzò un sorriso. «Butch le stava massaggiando i piedi, e ha obbligato a farlo anche a me.»

Calipso scosse la testa, sorridendo. «Se vuoi un massaggio ai piedi, basta chiedere.» gli disse, e Leo le si avvicinò di un passo, sfiorandole le labbra con le proprie.

«Grazie, ma mi va più che bene se mi massaggi la schiena.» ridacchiò.

Calipso lo osservò per un momento, e Leo si domandò se stesse per scoppiare. Era sparito, non le aveva dato sue notizie... Certo, era passato solamente un giorno, ma forse per lei sembravano anni.

«Mi dispiace.»

Leo sussultò a quelle parole e guardò Calipso stringersi nelle braccia.

«Ti dispiace?» ripeté il figlio di Efesto, pensando di aver capito male. «E per cosa?»

«Per la proposta di matrimonio.»

Il ragazzo si sentì torcere lo stomaco. Arretrò di un passo. «Ti sei pentita di avermelo chiesto?» borbottò, cominciando a scaldarsi.

«Oh, no, Leo.» Calipso scosse la testa. «Mi dispiace avertelo chiesto così all'improvviso. Non te lo aspettavi, e io... io ho agito di impulso. Era già da un po' che volevo farlo, almeno un anno, e ho provato a risparmiare ogni centesimo, ogni dracma per... per questo.» Si guardò l'anello al dito. «Forse avrei dovuto aspettare la tua proposta, quando ti saresti sentito pronto.»

Gli occhi lucidi di Calipso fecero battere forte il cuore di Leo. Pensava di averlo turbato con la proposta, e si rese conto che sparire per un giorno non era il modo migliore per reagire. Certo, la sera prima avevano festeggiato tutta la notte, ma poi lui se n'era andato, lasciandola senza sue notizie.

«Scusami tu.» mormorò Leo, avvicinandosi e prendendole il volto tra le mani. «Mi sono messo a bere e festeggiare con Travis, e non mi sono reso conto di quello che poteva sembrarti.»

La baciò sulla fronte, sulla punta del naso e infine sulle labbra. Il bacio fu dolce, e si strinsero insieme, esplorando con lentezza la bocca dell'altro. Leo si ritrovò a pensare che non ci fosse niente di più meraviglioso. Cosa poteva volere di più, di diverso? Calipso lo amava al punto da passare un'intera giornata pentendosi di averlo fatto star male.

«È arrivato Will!»

La voce di James dal soggiorno li fece sussultare. La barriera si infranse e Calipso si spostò di un passo dal fidanzato, portandosi le dita alle labbra. Leo fissò la porta, spaesato, il cuore che gli batteva così forte nel petto da farlo spaventare. Aveva appena baciato Calipso, trovandola meravigliosa, ed ora eccolo lì, in attesa che Will Solace entrasse nella casa.

Ma quando James aprì la porta, non fu il dottor Solace ad entrare. Grant non aveva nulla di Will, con i capelli e gli occhi scuri. Ma irradiava la stessa felicità e calore di suo fratello.

«Oh, non sei Will.» disse James, un po' deluso.

«Mi dispiace, Will era impegnato.» Grant si guardò attorno, facendo un cenno a Bryan che si mise in piedi, ritirando il suo disegno, poi notò Leo e Calipso. «Ciao, ragazzi.»

Leo gli fece un cenno. Negli ultimi due anni, Leo aveva imparato a riconoscere circa la metà dei figli di Apollo, con le sue visite continue in infermeria. E ora che James aveva conosciuto Bryan, ritrovava quella metà fuori dalla porta di casa, in attesa del fratello minore. Senza il camice e lo sguardo serio, i figli di Apollo assumevano tutto un altro aspetto.

«Sei davvero figlio di Apollo?» domandò James, osservandolo. «Non assomigli per niente a Will o Angel o Nate o Rose o Bryan...»

Grant sospirò, Calipso trattenne una risatina e Leo sgranò gli occhi per la domanda del figlio. Se l'era chiesto pure lui, ma non l'avrebbe mai detto ad alta voce.

«Nemmeno Austin è biondo.» gli fece notare Grant. «O Kaley o Julia.»

«Oh.» James sembrò in imbarazzo per non averci pensato.

«Ma Apollo adorava presentarsi agli umani come ragazzo biondo.» aggiunse Grant, per tranquillizzare il bambino. «Quindi è normale che i tre quarti di noi siano così.»

«Nemmeno i Beatles erano biondi.» aggiunse Leo, attirando su di sé le occhiate di tutti. Si sentì arrossire per aver parlato. «Erano figli di Apollo anche loro.»

«Già.» annuì Grant, con un sorriso. «Due di loro lo sono ancora, però.»

Leo scrollò le spalle e guardò Grant prendere la borsa dei giochi di Bryan, che stava abbracciando velocemente James.

«Chiedi poi ai tuoi genitori quella cosa.» disse Bryan, con un mezzo sussurro che venne sentito da tutti.

«Chiedere cosa?» si incuriosì Calipso, ma James scosse la testa.

Bryan sembrò deluso e si avvicinò al fratello, facendo un cenno di saluto verso Cal e Leo, poi uscì dalla casa. Grant li salutò, guardando con curiosità James, e seguì il fratellino.

«Cosa devi chiederci?» domandò Leo, avvicinandosi alla porta e chiudendola, voltandosi a guardare il figlio.

James sembrò combattuto, e alla fine sospirò. «Bryan vuole che vado a dormire nella sua cabina.» disse, con gli occhi che scattavano in tutte le direzioni. «Ma io non voglio andarci.»

Leo si accovacciò davanti al figlio, preoccupato. «E perché no? Pensavo ti piacesse Bryan.»

«E mi piace, sa disegnare i supereroi davvero bene.» annuì James. «Ma lui... divide la camera con Will, e io... non voglio dormire con lui.»

Lo sguardo scintillante di James fece capire al figlio quanto fosse ancora turbato per la scomparsa improvvisa del figlio di Apollo nella sua vita. Aveva quattro anni quando Will se n'era andato senza dirgli niente e Leo non aveva mai saputo dirgli altro che Will non era stato capace di salutarlo perché odiava gli addii.

«Puoi andare a dormire con Bryam.» disse Calipso, avvicinandosi, posando una mano sulla testa del figlio. «Chiederemo a Will di dormire in un'altra stanza.»

O in un altro letto, pensò Leo, ricordando com'era scappato dalla cabina di Ermes solo poche ore prima.

«Will è gentile.» aggiunse Calipso, e Leo alzò gli occhi su di lei, trattenendosi a stento dallo spalancare la bocca per la sorpresa. «Capirà e lo farà perché ti vuole bene.»

James la guardò con attenzione, riflettendo sulle sue parole, poi annuì. La abbracciò e Calipso sorrise dolcemente al figlio, accarezzandogli i capelli riccioluti.

«Domani dirò a Bryan di sì.» sorrise James, guardando i genitori. «Grazie, mamma.»

James tornò ai suoi disegni e Leo spostò lo sguardo dal bambino alla fidanzata. Osservò il suo viso sereno, le labbra tirate in un sorriso, gli occhi luminosi... Sì, la vecchia Calipso, quella che lo aveva fatto soffrire, non esisteva più.

«Sei meravigliosa.» mormorò Leo, portandole le mani sui fianchi e baciandola a stampo. Come poteva pensare a Will, con una donna così fantastica al suo fianco?

 

Will era nella sua cabina, intento a guardarsi allo specchio. Alla fine, i pantaloncini avevano vinto e li aveva recuperati dal cestino prima che potesse gettargli dentro qualcosa di sporco. Lo fasciavano fino a metà della coscia muscolosa, e quando si guardò allo specchio alle spalle, notò che gli facevano proprio un bel sedere.

«Ehi Will.»

Il biondo sollevò lo sguardo sul fratello Angel, appena entrato nella stanza. Fissò per un attimo i pantaloncini, poi si chiuse la porta alle spalle.

«Sono nuovi?» aggiunse Angel, appoggiandosi alla porta.

«Già. Me li ha regalati Connor Stoll.» Will si affrettò a tagliare via l'etichetta.

«Mh. Perché Stoll ti fa dei regali?»

Will scrollò le spalle. «Vorrà ringraziarmi visto che gli ho salvato la vita, l'altro giorno.» mormorò.

Angel guardò l'espressione del fratello dallo specchio, e trattenne un sorriso. «Okay.» disse, passandosi una mano tra i capelli corti.

«Come mai sei qui, Angel?» chiese Will, lanciandogli un'occhiata. «Devi parlarmi?»

«In effetti sì.» Angel si avvicinò alla scrivania, sfiorando una vecchia foto di Will con la sorella Wendy. «Torno in Africa.»

Will strabuzzò gli occhi. «Cosa? Così presto?»

«Sono passate quasi due settimane da quando sono arrivato.» disse Angel. «E ormai non c'è più nulla che mi trattiene qui. Anzi... direi piuttosto il contrario.»

Will si mise a braccia conserte, osservando con attenzione il fratello. «Cos'hai fatto, Ange?» domandò, curioso.

Le guance di Angel si arrossarono. «Mh...» Il suo sguardo vagò per la stanza prima di confessare. «Ho fatto sesso con Steve.» disse, prima di precisare: «Parecchio sesso con Steve.»

«Steve Erikson?» domandò Will, sorpreso. «Figlio di Efesto?»

«Ne conosci altri?»

Will si passò le dita tra i capelli. «Ma... ma ha il ragazzo!» esclamò.

Angel scrollò le spalle. «Il fatto di avere un ragazzo non gli ha impedito di fare nulla.» disse il figlio di Apollo, con un sorrisetto.

Will andò a sedersi sul letto. «Non credevo che proprio tu potessi fare qualcosa del genere...» mormorò.

Angel si lasciò scappare una risatina. «Scusami, Will, ma perché dovrebbe importarmi se ha il ragazzo? Se non è importato a lui... Io non l'ho costretto a fare niente. Anzi, è stata un'idea sua quella di andare nel bunker.»

«Nel bunker?»

Will ricordava fin troppo bene i momenti felici passati con Leo all'interno del bunker. Avevano fatto l'amore parecchie volte su quel letto, e sul tavolo della cucina, per non parlare della doccia.

«Già.» Angel si sedette sul letto di Bryan, afferrando il peluche di un gatto. «Steve mi ha spiegato che Leo non lo usa più spesso come una volta, e Steve, assieme ad altri dei suoi fratelli, ora hanno il permesso di andarci.»

Will annuì, sentendosi distrutto da quelle parole. Ma dopotutto, era colpa sua per quello che era successo.

Angel tossicchiò, per riportare l'attenzione su di lui. «Comunque... io e Steve siamo rimasti insieme per giorni, nel bunker, e non ho mai dovuto pregarlo. Anzi, ho dovuto pregarlo io di smetterla perché, wow, ha imparato davvero dei trucchetti stupefacenti dal figlio di Afrodite.»

Will aggrottò la fronte, domandandosi per un attimo se fossero gli stessi che Mitchell, tanti anni prima, aveva utilizzato su di lui. Ma non gli parve il caso di chiedere.

Angel sembrò perso nel suo mondo e Will gli tirò il cuscino.

«Angel, riprenditi.» disse Will, abbozzando un sorriso.

Angel annuì, divertito. «Sì, scusa. Be', abbiamo fatto un mucchio di sesso e ci siamo divertiti parecchio.»

«Viene con te in Africa?»

Angel scosse la testa. «No, preferisce rimanere qui.»

«Oh, mi dispiace.» Will si mordicchiò il labbro, davvero dispiaciuto per il fratello.

«In realtà non mi importa.» mormorò Angel. «Lui ha fatto le sue scelte, ovvero cornificare il suo ragazzo e poi rimanere qui con lui. Non lo costringerò a seguirmi. Non lo pregherò.»

Will guardò Angel con attenzione, scoprendo che il ragazzo aveva ragione. Il suo sguardo era serio e duro, segno che non si stava logorando lo stomaco per tornare dal suo ex.

«Okay.» annuì Will. «Ma allora perché vai via così in fretta?»

Angel arrossì appena. «Ecco, quell'idiota di Steve si è fatto beccare da Evan, e vorrei non essere nei dintorni prima che Evan scopre di me. Sai, conoscendo Steve, il fatto che abbia tenuto la bocca chiusa fino ad ora è un record.»

«In effetti...» ridacchiò Will, e per un attimo si domandò se fosse stato Steve Eriksen a dire a Bruno Morgan cosa fosse successo a suo fratello Marcelus. Ma sperò di sbagliarsi, non poteva essere stato lui.

«Evan ha anche giurato di trovare il suo amante e di farlo a pezzi.» aggiunse Angel. «Per questo ho già fatto le valigie.»

«Oh. Tra quanto parti?»

Angel guardò l'orologio al polso. «Tra meno di due ore devo essere in aeroporto.»

«Capisco. Allora ti accompagno alla macchina. Prendiamo i bagagli.»

«Va bene.» Angel si alzò in piedi. «Però sappi che anche Rose verrà con me.»

«Oh, Rose.» sospirò Will. «Lei mi mancherà tantissimo.»

Angel aggrottò la fronte. «E io no?»

«No, tu no.» sorrise Will, prima di abbracciare il fratello.

 

Rose era già in lacrime quando Will afferrò i bagagli di Angel e la raggiunse vicino alla Volvo bianca di Austin. Una volta apparteneva ad Angel, ma il fratello l'aveva lasciata all'altro, che ora si stava preparando per accompagnarli all'aeroporto.

«Rosie, va tutto bene.» le disse Will, posando i bagagli vicino all'auto e voltandosi verso la sorella. «Sei fantastica, e il fatto che tu voglia andare con Angel in Africa... fa di te una ragazza ancora più meravigliosa.»

Rose tirò su col naso, sperando che quell'attacco di pianto le passasse, ma non fu così. Abbracciò Will, che la strinse a sé scoccandole un bacio sulla fronte.

«Sii forte.» le mormorò Will all'orecchio, ed era un consiglio anche per sé stesso. Salutare i due fratelli stava cominciando a far pizzicare pure i suoi, di occhi. «E fa la brava. Ascolta Angel.»

Rose annuì. Gli passò una mano sulla guancia quando separarono l'abbraccio, e Will socchiuse gli occhi.

«Fa il bravo anche tu.» rispose Rose. «E non ti tirare indietro, se vuoi qualcosa.»

Detto questo, Rose mosse appena la testa e Will si voltò. Incrociò subito gli occhi di Leo Valdez ad una ventina di metri di distanza, che li stava fissando perplesso.

Will tornò a guardare la sorella, non sapendo bene cosa dire, e Rose gli sorrise, prima di passare a salutare gli altri fratelli. Austin e Nate finirono di caricare la Volvo e salirono in macchina, subito seguiti da Rose.

«Ci sentiamo.» gli disse Angel, e Will annuì, portandogli una mano sulla testa e provando a scompigliargli i pochi capelli. «Se tu dovessi cambiare idea, ti aspetto.»

«Non penso che cambierò idea.»

«Non puoi saperlo.» Il sorriso del fratello era angelico. «Comportati bene.»

«Anche tu.»

Si abbracciarono un'ultima volta, poi Angel andò a sedersi vicino ad Austin. I figli di Apollo guardarono la Volvo bianca partire fuori dal Campo Mezzosangue, e per alcuni minuti rimasero lì, senza dire una parola. Will già sentiva la mancanza del fratello, arrivato al Campo giusto in tempo per salvargli la vita, e della sorella Rose. Insieme ne avevano viste di tutti i colori, in quegli anni. Ce l'avrebbe fatta senza di lei?

 

Leo aspettò di vedere i fratelli di Will allontanarsi verso la loro cabina prima di avvicinarsi al biondo. Gli occhi celesti erano puntati verso la barriera del Campo, dove la Volvo era sparita diversi minuti prima.

«Ehm, Will.»

Will Solace sbatté le palpebre e si voltò a guardare Leo, che decise di non chiedergli niente degli occhi rossi. Doveva aver pianto. Steve gli aveva detto che Rose ed Angel stavano per lasciare il Campo.

«Scusa se ti disturbo adesso.» mormorò Leo, vergognandosi per aver deciso di andare lo stesso da lui nonostante le parole di Steve. «Ma volevo chiederti un favore.»

Will lo studiò per qualche secondo, poi si passò le dita sulla guancia. «Chiedi pure.» disse il figlio di Apollo. «Se posso aiutarti, ovviamente.»

Leo si sentì piuttosto nervoso nel trovarsi così vicino a Will Solace, ma non aveva paura di lui. Quel sentimento ormai era passato, forse da quando avevano deciso di tornare ad essere amici. Studiò il suo volto, le guance bagnate di lacrime, le lentiggini, gli occhi arrossati, e sospirò. Perché aveva deciso di andare a parlare con lui proprio quella sera? Non erano neanche passate ventiquattro ore da quando l'aveva visto scappare dalla cabina di Connor Stoll.

«James vorrebbe dormire con Bryan, una di queste sere.» disse Leo. «Però...»

«Oh, certo, va benissimo.» annuì Will, abbozzando un sorriso. «Sarà fantastico, un piccolo pigiama party per i bambini.»

«Bene, sono contento che tu sia d'accordo. Però...»

«Divido la stanza con Bryan.» notò Will, sorpreso. «Be', farò in modo di andare a dormire in un altro letto, quella sera. Sai già quando James vuole venire da noi?»

«Ehm, non ancora.» ammise Leo, tirando un sospiro di sollievo. Non aveva dovuto nemmeno chiederglielo, Will ci aveva pensato da solo. «Appena lo saprò, te lo dirò, okay?»

Will annuì, spostando lo sguardo verso le cabine. Leo guardò anche lui, notando suo fratello Steve appoggiato alla cabina 2, intento a fissare la barriera. Per un attimo, Steve e Will incrociarono lo sguardo e il figlio di Efesto gli diede le spalle, tornando nella sua cabina.

«Ora capisco cos'era tutto quel trambusto della cabina 10.» disse Will, ridacchiando, voltandosi a guardare Leo. «Tutti quei vestiti nel giardino...»

«Sì, Evan e Steve si sono lasciati.» annuì Leo. Il fratello gliel'aveva detto giusto qualche minuto prima.

«È un peccato che Steve non sia andato via con Angel.» disse Will, guardando Leo negli occhi. «Quei due sono fatti l'uno per l'altro, non trovi?»

Senza aspettare una risposta, Will si avviò di nuovo alla cabina 7. Leo lo seguì con lo sguardo, chiedendosi se stesse parlando solamente dei loro fratelli.

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Capitolo 47
*** 66. Chiacchiere ***


Nei giorni che seguirono quelle strane parole di Will, Leo si ritrovò in casa le amiche ninfe di Calipso, che la aiutavano con i preparativi del matrimonio. Avevano deciso di fissarlo da lì a tre mesi, per dare il tempo a Nina Pope di partorire e riprendere un po' della sua vecchia forma prima della cerimonia.

Ogni volta che Leo entrava in soggiorno, per andare a prendere da bere, Calipso e le sue amiche smettevano subito di parlare. Leo gettava loro delle occhiate, deciso a non curiosare più del dovuto, e le lasciava di nuovo alla loro organizzazione.

Leo aveva lasciato il permesso a Calipso di organizzare il matrimonio, dicendole però che si sarebbe svolto lì al Campo – magari vicino al campetto delle fragole – per invitare i loro amici semidei, che avrebbe scelto lui la torta e che il colore base per la festa doveva essere rosso. Per il resto non voleva sentire altro. Non voleva intromettersi nella scelta dei fiori, del vestito, delle bomboniere, e di tutte quelle cose di cui non capiva niente.

A Calipso andava benissimo che avesse scelto Travis Stoll come testimone e Nina Pope come damigella. Lei non aveva amici di cui si fidava così tanto. Quando avrebbero scelto il giorno e chiesto ai loro migliori amici di partecipare, Leo avrebbe chiesto il permesso a Chirone. Malcolm, figlio di Atena, si era lasciato convincere a creare il padiglione perfetto per loro mentre un paio di figli di Ares ed Efesto volevano aiutarlo a costruirlo.

Leo non si fidava dei figli di Ares, ma Clarisse Le Rue stava cercando in tutti i modi di fargli cambiare idea su di loro. Quando la notizia del matrimonio si era sparsa per il Campo, Clarisse era andata da lui per offrire gratuitamente il suo aiuto e quello dei suoi fratelli. Leo le aveva risposto che ci avrebbe pensato, sebbene non avesse nemmeno intenzione di prenderli in considerazione. Lo stesso lavoro che potevano fare cinque figli di Ares, lo poteva fare Leo con una dozzina dei suoi fratelli. Non c'era niente che non potesse fare, se si fosse messo di impegno.

L'unica cosa che Leo e Calipso ancora non avevano fatto, da quando avevano deciso di sposarsi e cominciato a preparare ogni cosa, era parlare con il figlio. Entrambi non sapevano come affrontare l'argomento e Leo aveva il terrore della reazione del bambino. Quando era più piccolo, non si preoccupava di dire o meno quello che pensava, e ora che era cresciuto, sembrava rimasto uguale. Dopotutto, quando si era trovato di fronte Grant non si era fatto problemi a chiedergli se fosse realmente figlio di Apollo.

Di tanto in tanto, Leo e Calipso facevano la morra cinese per chi dovesse parlare con James, e nessuno dei due voleva vincere e spesso si distraevano a vicenda. Più volte di quanto gli facesse piacere ammettere, Leo si era lasciato distrarre dalla futura moglie e si lasciava portare sul letto. Calipso provava ad usare questa tecnica ogni qualvolta rischiava di vincere, e Leo non si era mai tirato indietro una volta.

Ma una sera, mentre erano seduti vicini, Leo intento a finire di costruire uno sparacoriandoli e Calipso che sfogliava un catalogo di vestiti da sposa sul divano, James si ritrovò a finire il disegno di Iron Man cominciato qualche giorno prima con Bryan. Lo osservò per qualche secondo, soddisfatto, poi lo mise da parte e guardò i genitori.

«Bryan mi ha detto una cosa, l'altra sera.» disse James, prendendo un nuovo foglio e cominciando a disegnare Thor. Non l'avrebbe mai fatto bello come quello dell'amico figlio di Apollo, ma voleva provarci.

«Ah sì?» disse Calipso, soffermandosi a guardare la foto di un vestito delizioso. Aveva deciso di non sposarsi in bianco, ma nessuno le stava proibendo di non fantasticare. E poi, poteva sempre comprare il vestito bianco e tingerlo.

«E cosa ti ha detto, mijo?» domandò Leo, finendo di stringere una vite.

«Mi ha detto una cosa su voi due.» continuò James.

A quelle parole, Calipso e Leo si guardarono, sgranando gli occhi. Leo lanciò un piccolo gridolino quando, per sbaglio, attivò lo sparacoriandoli, che lo colpì al basso ventre. Migliaia di coriandoli colorati cadde a terra, e Leo si aggrappò al tavolo con le lacrime agli occhi.

Calipso e James fissarono Leo per qualche secondo, prima che il bambino tornasse alle sue occupazioni e Calipso chiudesse la rivista.

«Cosa ti avrebbe detto, Bryan?» domandò curiosa Calipso, lanciando un'altra occhiata a Leo, che avanzava zoppicando verso il frigo, spargendo coriandoli per tutta la cucina.

«Mh, mi ha detto che...» James guardò la madre, e il cuore di Cal ebbe un sobbalzo. Tanta preoccupazione, tra lei e Leo, e poi ci pensava il piccolo figlio di Apollo a parlare del matrimonio con James. «Mi ha detto che sono nato quando voi eravate molto giovani. È vero?»

Calipso trattenne un sospiro scontento. Aveva davvero sperato che Bryan avesse fatto il lavoro sporco al posto loro.

«È vero.» annuì Calipso, osservando il figlio. «Ma questo non significa che non ti vogliamo bene.»

«Lo so.» mormorò James. «Ma mi chiedevo...»

Leo entrò in soggiorno, seguito da una scia di coriandoli, e si sedette vicino a Calipso con una busta del ghiaccio posata in grembo.

«Cosa, mijo?» domandò Leo, che non aveva ascoltato l'inizio del discorso.

«Bryan gli ha detto che lo abbiamo avuto da giovani.» disse Calipso.

«Oh.» Leo annuì. «Certo, ma siamo felici di averti avuto. Ci hai riempito la vita, James, l'hai resa migliore.»

La ragazza non guardò il compagno al suo fianco, ripensando a come aveva vissuto dopo la nascita del figlio. Captando le sue emozioni, Leo le prese la mano, dandole un leggero bacio sulla spalla.

«Voi siete già giovani.» continuò James, guardando i genitori. «Quindi eravate ancora più giovani di così?»

«Sì, mijo.» Leo sorrise al figlio. «Però non sei felice di essere qui con noi? Noi ti amiamo tantissimo, non pensare mai il contrario anche se sei nato quando eravamo giovani.»

James annuì e Leo tornò a posare il ghiaccio sulle sue parti basse. Di sicuro il giorno dopo avrebbe avuto un orribile livido in quella zona, ma per il momento avrebbe risolto così. Lanciò un'occhiata allo sparacoriandoli: almeno funzionava. Ma doveva finire di sistemarlo.

«E invece... quell'altra cosa?» domandò James, mordicchiandosi il labbro. «Ho sentito un'altra cosa...»

Leo e Calipso si guardarono negli occhi nello stesso momento, decidendo di parlare al bambino prima che potesse fare qualche altra domanda. Chissà cosa gli aveva detto Bryan.

«Prima che tu possa parlare, James, dobbiamo dirti una cosa.» disse in fretta Calipso e Leo la prese per mano, guardando gli occhi scuri del figlio.

«Io e la mamma abbiamo deciso di sposarci.» disse Leo, con un grosso sorriso.

Il bambino sbarrò gli occhi a quelle parole e spalancò la bocca. «Cosa? Davvero?» gridò, alzandosi in piedi e lasciando cadere la matita che teneva in mano. «E quando?!»

«Tra qualche mese, quando zia Nina riuscirà di nuovo a guardarsi i piedi.» ridacchiò Leo, ripensando alle parole della sorella di qualche giorno prima. Al suo fianco Calipso gli diede una gomitata. Ricordava fin troppo bene il periodo della gravidanza.

«Oddei!» esclamò James, cominciando a saltellare per tutta la stanza, prima di fermarsi davanti ai genitori. «Sono felice!»

Si lanciò sul divano, stringendoli entrambi in un abbraccio. Leo sorrise, pensando che la gioia del figlio fosse davvero contagiosa. Ricambiò la stretta e guardò Cal, che aveva gli occhi lucidi. La guardò mentre baciava il figlio sulla guancia e le porse la mano libera: la ragazza l'accettò volentieri e si sorrisero.

Dopo quel momento di felicità, poteva avere ancora dei dubbi sulla sua scelta?

 

 

Will si alzò dal letto di Connor Stoll stiracchiandosi, massaggiandosi il collo. Il figlio di Ermes era insaziabile, certe volte, e faticava a tenere il suo ritmo. Raccolse i boxer dal pavimento e li infilò, lanciando un'occhiata al castano coricato nel letto. Si era addormentato da una ventina di minuti, con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra. Will sperò di essere stato lui ad aver provocato quel sorriso, e non i sogni del figlio di Ermes.

Di solito Connor lo scacciava sempre dalla camera dopo aver finito, ma quella volta si era addormentato. Quindi perché non prendersela comoda, per una volta?

Will infilò i pantaloncini sui boxer e gettò un lenzuolo per coprire le chiappe nude e sode del figlio di Ermes, nel caso qualcuno dei suoi fratelli fosse entrato in stanza. L'aveva chiusa a chiave, ma Will scommetteva che in quella cabina tutti sapessero scassinare una serratura, pure i più piccoli. Con l'aiuto di Lou Ellen, Connor aveva fatto insonorizzare la stanza, quindi nessuno aveva udito i loro ultimi incontri piccanti.

Will si ritrovò vicino alla scrivania di Connor e rimase a guardare i grossi volumi. Molti libri parlavano di rapine, altri parlavano di magia e illusionismo. Will guardò affascinato dei libri in giapponese, guide turistiche, e si domandò se il figlio di Ermes lo parlasse veramente o cercasse soltanto di far colpo. Perché, in questo caso, con lui, c'era proprio riuscito.

Vicino alla libreria erano appese delle vecchie foto: Will riconobbe i fratelli Stoll da adolescenti, quando ne combinavano di tutti i colori alle Cacciatrici di Artemide. Un paio di foto le ritraeva da bambini, quando sembravano gemelli nonostante si passassero ben un anno di età. Si accorse con meraviglia di non riuscire nemmeno a riconoscerli, ma poi sospirò, notando che ricamati sui vestiti c'erano le iniziali dei due bambini. Pure la signora Stoll doveva aver avuto delle difficoltà.

Guardò velocemente le altre foto e si fissò a guardarne un'altra, sentendo un colpo al cuore nel riconoscersi. Era stata scattata poco dopo la battaglia contro Gea. Riconobbe il sé stesso adolescente, con i capelli biondi illuminati dal sole, che stringeva un braccio attorno alla vita di Nico Di Angelo per evitare di scappare. Nico era imbronciato nella foto, ma non si era lamentato più del dovuto per il suo tocco.

Will abbozzò un sorriso, ripensando a com'era spensierato da ragazzo. Be', spensierato mica tanto, con tutto il gran da fare nell'infermeria e i suoi tentativi di abbordare Nico Di Angelo che non davano i suoi frutti. Il loro ultimo ricordo insieme gli fece accapponare la pelle e decise di mandargli un messaggio. Dopotutto, non ce l'aveva più con lui. Chissà come se la passavano, lui e Percy...

Will spostò lo sguardo sulla foto, riconoscendo i fratelli Stoll. Travis teneva una mano sulla spalla di Katie Gardner, mentre Connor faceva le smorfie. Tipico di Connor.

Clarisse Le Rue teneva la mano in quella di Chris Rodriguez, spalla a spalla con un allegro Percy Jackson e una felice Annabeth Chase. Si stringevano, come se non volessero più lasciarsi andare. Accanto a loro, Jason Grace e Piper McLean, una delle poche coppie superstiti di quella foto. Intravide anche il suo ex Mitchell figlio di Afrodite, immortalato mentre lanciava un'occhiata a Sherman Yang, che non aveva alcun interesse nei suoi confronti. Povero Mitchell. Non si innamorava mai della persona giusta, da giovane. Ma ora, dopo tanti anni, era sposato e conviveva con Malcom Pace, figlio di Atena.

«Mmh... Will?»

Will sussultò al suono della voce e si voltò verso Connor Stoll, che si era appena svegliato. Si stava tirando su con i gomiti, lanciando una smorfia di dolore e puntando lo sguardo su di lui. I capelli castani scompigliati gli ricadevano sugli occhi chiari, e il sorrisetto sornione sul suo viso era ben riconoscibile.

«Mi sono addormentato?»

Will annuì, avvicinandosi al letto. «Già.»

Connor si stiracchiò, sollevando il sedere e inarcando la schiena per qualche secondo. Will osservò con attenzione ogni suo movimento.

«Anche se mi sono addormentato, le regole sono sempre le stesse.» gli disse Connor, lanciandogli un'occhiata e sorridendo nel notare che il figlio di Apollo lo stava già osservando.

«Quali regole?» mormorò Will, sedendosi vicino a lui e togliendo il lenzuolo.

«Le regole.» ripeté Connor. «Non puoi rimanere qui, dopo il sesso.»

«Neanche se volessi farlo di nuovo?»

Connor esitò, riflettendo sulla risposta. «Be', in quel caso ne potremmo parlare...»

Will sorrise e si chinò su di lui, baciandolo dolcemente, portandogli una mano sul sedere. Connor sospirò tra le sue labbra, gustando quel sapore di menta che ormai associava al bel dottorino. Ansimò quando le dita di Will lo penetrarono e si separò da lui, con le guance arrossate.

«A-Aspetta.» borbottò Connor e Will obbedì.

«Cosa devo aspettare?» chiese Will, curioso. «Vuoi fare l'attivo? Tu?»

«Nah, tu sei molto più bravo di me.» annuì convinto Connor, ormai con le guance in fiamme. «Volevo, ehm...»

Will lo osservò con attenzione e lentamente sfilò le dita dall'altro. Doveva essere arrivato il momento in cui Connor gli rivelava di essersi stufato di lui.

«Vorrei chiarire che tipo di relazione c'è tra di noi.» borbottò Connor, e Will sospirò.

«Relazione?» ripeté Will, spaesato. «Non siamo due amici che si... divertono sotto le coperte?»

Le guance del figlio di Ermes si gonfiarono. «No.» brontolò Connor. «Cioè, sì, ma... ci divertiamo solo tra di noi o...?»

«Vuoi propormi una cosa a tre?» chiese Will, arrossendo. «Perché non ho alcuna intenzione di accettare, se si tratta di una ragazza.»

«E se si trattasse di un ragazzo?» si incuriosì Connor.

«Be'... potrei farci un pensiero.»

Il figlio di Ermes sogghignò. «Dottor Solace, non la facevo così porco.»

Will scrollò le spalle, imbarazzato. «Sono un dottore, oltre che un tipo piuttosto curioso.» mormorò e riprese a guardarlo. «Comunque... è questa la tua idea?»

Connor si mordicchiò il labbro, desideroso di dirgli di sì solo per vedere la sua reazione. Aveva già incrociato dei figli di Afrodite che sarebbero stati felici di unirsi, ma decise di non dirlo.

«Non intendevo chiederti questo.» disse Connor, mettendosi seduto. «Per ora, almeno.» aggiunse, non riuscendo a farne a meno, e Will arrossì ancora di più. «Volevo chiederti se, be', se siamo solo due amici che vanno a letto insieme solo tra noi o... se si possono vedere anche altre persone.»

«Oh!» esclamò Will, rilassandosi. «Oh, intendevi questo! Mh... direi di sì, non ti trattengo.»

Un'ombra sembrò passare negli occhi chiari di Connor Stoll, e Will aggrottò la fronte. L'aveva vista per davvero?

«Quindi siamo solo due trombamici.» disse Connor.

«Sì, esatto.»

Il figlio di Ermes annuì, come per voler sottolineare la cosa e Will gli portò una mano sulla guancia, avvicinandosi alle sue labbra. Lo baciò lentamente, e Connor posò la mano sulla sua coscia.

«Per te va bene, vero?» domandò Will, baciandogli il labbro inferiore e guardandolo negli occhi. Provava simpatia per il figlio di Ermes e sì, gli faceva battere il cuore, ma solo perché adorava fare sesso con lui. Non gli permetteva di pensare ad altro, con la sua personalità così invadente. I pensieri su Angel e Rose, così lontani da lui, o il fatto che avesse aggredito il figlio di Ares, quasi morendo, per vendicare Leo... niente poteva sfiorargli la mente, quando si trovava con Connor Stoll.

Connor quasi si ritrovò a balbettare vedendosi specchiato nei meravigliosi occhi celesti del figlio di Apollo. Batté le palpebre, guardandogli le ciglia bionde, le lentiggini scure sulla pelle abbronzata, le labbra morbide e rosee... Il suo cuore batté all'impazzata.

«Sì, mi va bene.» mentì Connor, portandogli le mani sui fianchi per abbassargli quei pochi indumenti che aveva indosso.

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Capitolo 48
*** 67. L'aspiracoriandoli ***


«DTR.»

«Come scusa?» domandò Will, più confuso di prima.

Hazel abbassò il panino vegetariano e ripeté, con le guance arrossate: «DTR.»

«Okay.» sorrise Will. «ILL.»

Hazel aggrottò la fronte. «ILL?»

«Sì. Non stiamo dicendo le lettere a caso?»

La figlia di Plutone si alzò quel tanto che le bastava per colpire il biondino sulla testa con la mano, non abbastanza forte per fargli male, ma per fargli capire le sue intenzioni.

«Okay, okay.» ridacchiò Will, allontanandola. «D'accordo. DTR. Orsù, ora illuminami.»

Hazel mangiucchiò un altro pezzetto di panino, le guance arrossate.

«Significa definire il tipo di relazione.» disse Hazel, e allungò la mano per prendere il bicchiere di té fresco. «È un linguaggio da giovani.»

«Un linguaggio da giovani.» ripeté Will. Quello sì che era sorprendente. «E da quando conosci parole del genere, signorina Levesque?»

Hazel lo fulminò con lo sguardo, e Will avrebbe anche potuto spaventarsi se non fosse stato per le guance arrossate. Non si vedevano molto con la sua pelle scura, ma Will aveva avuto modo di conoscerla e vivere con lei per anni, quindi notava i cambiamenti. Doveva essere rossa come un peperone, in quel momento.

«Guardo molti film.» mormorò Hazel, come a volersi scusare. «E serie tv. E anime. E leggo molti, moltissimi libri. Sono arrivata alla lettera G tra quelli contenuti nella biblioteca dei figli di Atena.»

«Per le mutande di Ade, Haz, dovresti scopare un po' di più.» disse Will, dimenticandosi di tenere bassa la voce. Qualcuno dai tavoli si girò a guardarli, e qualcuno ridacchiò.

«Ci pensi tu, Solace?» domandò un figlio di Dioniso, con un bicchiere di vino in mano e le guance arrossate.

Will lo ignorò, borbottando che non erano nemmeno le undici del mattino e quello era già ubriaco. Sussultò quando, girandosi verso la sua migliore amica, questa gli versò in faccia il resto della sua bibita fresca.

«Haz...» mormorò Will, cercando un tovagliolo, rabbrividendo per il freddo.

«Non dire più certe cose!» esclamò sussurrando Hazel, con gli occhi dorati che scattavano in tutte le direzioni. «Soprattutto... non nominare mio padre mentre... mentre...»

Hazel si coprì il volto tra le mani e Will si asciugò il viso. Allontanò con un cenno un figlio di Demetra in avvicinamento con un mazzo di fiori appena sbucati dalle mani, e fece il terzo dito ad un figlio di Afrodite che si stava lisciando i capelli.

«Dai, andiamo via.» borbottò Will, alzandosi in piedi, maledicendosi per aver gridato. Ora i maschi del Campo non avrebbero fatto altro che ronzare attorno ad Hazel, manco fosse un fiore.

Hazel non si fece pregare. Si alzò in piedi, tenendo gli occhi bassi, le guance ardenti. Will le passò un braccio attorno alle spalle, sperando che non desse importanza all'acqua gelida che le colava addosso.

«Ti avviso, se mio padre ha sentito...» mormorò Hazel. «Giuro che... che ti prenderò a calci.»

«Okay.» annuì Will, e sperò con tutto il cuore che Ade non l'avesse sentito. Se Hazel si fosse allontanata da lui, non sapeva come avrebbe reagito. «Accetterò la tua punizione.»

Quando arrivarono nei pressi della cabina di Ade, Hazel tirò su il viso e si affrettò ad aprire la porta. Will la seguì all'interno, notando come la presenza femminile di Hazel avesse del tutto cambiato la cabina. Si sedette sul divano, prendendo uno dei cuscini a fiori e lo guardò, cercando di immaginarsi il volto di Nico nel vederlo.

«Lo so.» sospirò Hazel, avvicinandosi ai fornelli e prendendo un pentolino. «Quando Nico lo vedrà, gli darà fuoco.»

«No, dai, non credo.» mormorò Will, posandolo di nuovo sul divano, ben lontano da lui.

Hazel gli lanciò un'occhiata e il figlio di Apollo sospirò.

«Butterà il cuscino nel Tartaro.» disse Will. «E probabilmente tutti coloro che lo hanno comprato. A parte te.»

«Lo spero bene.» ridacchiò Hazel, ma la risata si spense quando ricordò le parole dell'amico di poco prima.

Will rimase in silenzio sul divano a fissare lo stereo, l'unica tecnologia lì presente, a parte il computer di Hazel sul tavolo. Fu tentato più volte di alzarsi e controllare i cd, ma notò che la maggior parte di essi erano vecchi cd che aveva regalato prima a Nico e poi ad Hazel.

La figlia di Plutone si sedette vicino all'amico, soffiando sulla tua tazza di tè bollente. Le piaceva tenere tra le mani qualcosa di caldo, la faceva sentire al sicuro. Anche la presenza di Will contribuiva, sebbene avesse l'impulso di svuotargli la tazza bollente in testa.

«Allora...» mormorò Will, quasi timidamente, guardando l'amica. «Cosa intendevi dirmi con... DRT?»

«DTR.» lo corresse Hazel, sollevando un po' la tazza e annusando l'odore fruttato del té. «Significa definire il tipo di relazione.»

«E fino a qui...»

«È questo che voleva fare Connor.» lo interruppe Hazel, alzando appena la voce. «Voleva definire la sua relazione con te.»

«E lo abbiamo fatto.» annuì Will, ripensando alla chiacchierata con il figlio di Ermes avvenuta quattro giorni prima. «Abbiamo, ehm, definito il nostro rapporto. Trombamici. E possiamo vedere anche altri.»

Hazel chiuse gli occhi, scacciando dalla mente quella parola, poi li riaprì. Bevve un sorso di té e sospirò.

«Will, io ti voglio bene, lo sai. Si potrebbe dire che dopo Nico e... be', che io ti ami quasi quanto amo Nico.»

Will sorrise dolcemente. «Lo so, e mi piace che tu lo dica.»

Hazel annuì appena. «Ti amo proprio tanto.» continuò la ragazza, fissandolo. «Ma non riesco a capire perché tu sia così idiota.»

Il figlio di Apollo smise di sorridere e la squadrò. «Cosa? Perché sarei un idiota?»

La ragazza si affrettò a posare la tazza sul tavolino prima di rovesciarla per sbaglio sull'amico.

«Connor ti ha chiesto di definire la vostra relazione.» disse Hazel, parlando lentamente. «E questo vuol dire qualcosa, non ti pare?»

«Sì, significa che Connor vuole frequentare altre persone oltre me. E mi va benissimo, non cerco nulla di serio.»

«Questo... questo glielo hai mai detto?»

«Cosa?»

«Che non cerchi nulla di serio.»

Will ci pensò su. «Mh, non credo. Ma ormai l'avrà capito...»

«Be', di certo ora l'ha capito.» sospirò Hazel, fissando il biondino. «Però, secondo me, lui non si aspettava che vi definiste... quello.»

«E allora perché..?»

«Sono quasi certa al cento percento che lui provi qualcosa per te.» disse Hazel. «Ho visto come ti guarda in mensa, dopo che vi siete salutati come... come se non fosse successo niente tra voi.»

Will la guardò in silenzio, cercando di capire se avesse o meno ragione. Ripensò a Connor in quei giorni, non gli sembrava che fosse cambiato da quando avevano deciso il loro rapporto. Anzi... sì, qualcosa era cambiato. I baci di Connor erano diventati più profondi, più stuzzicanti, e quando avevano finito di fare l'amore, Connor lo stringeva a sé prima di lasciarlo andare.

«Oddei.» disse Will, portandosi la mano al volto. «Non ci credo.»

«Ci sei arrivato, finalmente.» sorrise Hazel, felice, riprendendo la tazza e appoggiando la schiena al divano. «Le mie conoscenze ti aiutano.»

Will si passò le dita sul volto, e sbuffò, alzando lo sguardo sul soffitto. Sperò che Connor non si fosse innamorato di lui. Non l'avrebbe retto. Connor era un bravo ragazzo, tralasciando tutte le sue rapine, i furti, le zuffe. E si meritava qualcuno che potesse ricambiare quel sentimento. Will invece voleva solo divertirsi e non pensare più ai propri sentimenti. Sebbene provasse a non pensarci, era ancora terribilmente innamorato di Leo Valdez, che aveva proprio deciso di sposarsi.

Ogniqualvolta che lo vedevano, gli altri semidei smettevano di parlare e aspettavano che si allontanasse prima di riprendere le conversazioni sul matrimonio dell'anno. Leo e Calipso erano quasi una leggenda, con lui che tornava a prenderla da Ogigia liberandola dalla maledizione degli dei. Il loro amore era epico, secondo alcune voci sussurrate che Will aveva udito, e nulla poteva allontanarli.

Quando sentiva frasi del genere, Will voleva ridere. Non conoscevano tutta la loro storia, non conoscevano la parte brutta. Vedevano solo le cose belle, ovvero lui che la salvava, lei che tornava da lui e la riconciliazione.

Se pensava che la riconciliazione fosse tutto merito suo, suo e dei suoi fratelli che avevano passato giorni a controllare Calipso che dava di matto in infermeria, gli veniva voglia di prendersi a schiaffi.

«William?»

Will sussultò e tornò a guardare l'amica, che lo guardava con attenzione.

«Mi hai chiamato?» domandò lui, passandosi le dita tra i capelli.

«Solo un milione di volte.»

Il figlio di Apollo sospirò. Si stese sul divano, posandole la testa sulle gambe. In risposta, Hazel gli posò la tazza ormai tiepida sulla fronte.

«Stai pensando a quello che ti ho detto su Connor?» domandò Hazel, passando le dita tra quei capelli biondi e ricci.

«Sì.» Will socchiuse gli occhi al contatto della sua mano. «Forse hai ragione.»

«Non forse, ho ragione e basta.» borbottò Hazel. Tutti quei film, quei libri, dovevano pur valere qualcosa, no? Non poteva aver sprecato così tanto tempo della sua vita.

«Be', okay, hai ragione.» sbuffò Will. «Sono del tutto certo che Connor provi qualcosa per me.»

«Quindi cosa dovresti fare, da bravo bambino?»

«Continuare a portarmelo a letto?»

Hazel gli tirò uno schiaffo sulla testa, forte.

«Okay, okay.» Il biondo trattenne una risata. «Parlerò con Connor e cercherò di capire cosa provo per lui, per non ferirlo più del dovuto. Non sto cercando niente di serio, solo puro divertimento spensierato.»

«Sei così... così peccaminoso, Will Solace.»

Lui sorrise. «E la cosa ti piace?»

«No, mi disturba e basta.»

Will si rimise seduto, posandogli la guancia sulla spalla. Adorava Hazel, si era dimostrata davvero una grande amica per lui, nonostante gli avesse tenuto dei segreti.

«Haz...» mormorò Will, sfiorandole la mano. «Per caso mi nascondi qualcosa?»

Hazel bevve un sorso esageratamente lungo di tè. «Non ti nascondo niente.» rispose lei.

«Haz...»

La ragazza sospirò. «Qualcosa te lo nascondo, lo ammetto.» disse, senza guardarlo. «Ma non posso dirti niente.»

Will sospirò. «E perché?»

«Perché la persona che si è confidata con me, mi ha pregato di mantenere il segreto.»

«Dimmi solo chi è.»

Hazel alzò gli occhi al soffitto. «No.»

«Dai...»

«E va bene. Annabeth Chase. Ma non ti dirò altro.»

Will si sistemò meglio sul divano. «Annabeth? E cosa potrebbe mai averti confessato?»

Hazel scrollò le spalle e finì il tè, alzandosi in piedi e tornando nella piccola cucina. «Non posso dirti niente, Will. Mi dispiace.»

«È incinta?» si incuriosì Will, poi scosse la testa. «No, altrimenti io o uno dei miei fratelli già lo sapremmo... Ha intenzione di andarsene dal Campo Giove? Vuole viaggiare? Oppure ha un nuovo corteggiatore? Uhh, sarebbe fantastico, almeno non soffrirebbe più per Jackson.»

Will continuò a fare ipotesi, domandandosi quale potesse essere il segreto di Annabeth Chase, e dopo qualche minuto Hazel tornò a sedersi sul divano, con il pc. Lo accese e Will sorrise nel vedere il collage di gattini come sfondo desktop della ragazza.

«Haz,,,» disse Will, mentre lei cercava qualcosa da vedere. «Hai mai pensato a te?»

«A me?» ripeté Haz, confusa.

«Sì, a te. Da quando Frank è andato in missione, non ti ho mai visto con nessun altro.»

«Non ho bisogno di nessuno.» sbuffò Hazel, infastidita. «Sono una donna forte e indipendente. Okay, guardo troppa tv e leggo troppi libri, ma non faccio del male a nessuno. Anzi, ho anche iniziato ad aiutare i figli di Ecate con le loro pozioni, giusto per tenermi occupata e uscire un po' dalla cabina.»

«Però...»

«Sto benissimo, Will.» lo rassicurò Hazel. «Casomai decidessi di mettermi il cuore in pace, e di cercare un uomo con il quale passare il resto della mia vita, chiederò consiglio a te. Per il momento, voglio solo guardare un'altra puntata di Grey's Anatomy. Ci stai?»

Will annuì, e le passò un braccio attorno alle spalle. Se solo gli fossero piaciute le ragazze, a quell'ora avrebbe già sposato Hazel, l'avrebbe resa felice. Ma lei pensava soltanto a Frank Zhank, il figlio di Marte, il suo primo amore, il ragazzo che l'aveva lasciata quasi dieci anni prima senza darle più notizie.

Will si domandò se avrebbe mai trovato un amore simile. Amare una persona nonostante tutti quegli anni, non provare mai interesse per nessun altro... Baciò Hazel sulla guancia, facendola arrossire, pensando a quanto fosse forte la sua migliore amica.

 

 

«Dobbiamo organizzare la tua festa di addio al celibato!»

Leo sussultò a quelle parole gridate da Travis Stoll e spense la fiamma ossidrica prima che il ragazzo si avvicinasse. Sentì le risatine dei suoi fratelli e Leo fu tentato di dar loro fuoco per scoprire se qualcuno avesse sviluppato all'improvviso il suo stesso potere.

«E lo devi proprio gridare in questo modo?» chiese Leo, furioso, quando l'amico gli fu vicino. «Mentre sto lavorando?»

«Sì, perché ti ho cercato per un'ora prima di trovarti.» disse Travis, scrollando le spalle. «E a proposito... su cosa stai lavorando?»

Leo sorrise, guardando il suo nuovo marchingegno. «È un aspiracoriandoli

Travis fissò la macchina per qualche secondo, prima di guardare l'amico. «Esiste già.» gli fece notare. «Si chiama aspirapolvere

«Ed è qui che ti sbagli!» esclamò Leo, e Travis si sentì terrorizzato dallo sguardo folle del suo amico. «Questo non è un banale aspirapolvere. Ma un aspiracoriandoli o piccoli pezzettini di carta in generale... Insomma, può aspirare soltanto i coriandoli, niente polvere, niente sporco, niente di niente. E i coriandoli aspirati verranno mandati qui...» Leo indicò un tubo rimovibile, che stava finendo di attaccare, «... dove potrai staccarlo e inserirlo di nuovo nell'aspiracoriandoli!»

Travis fissò in silenzio il marchingegno che somigliava molto ad uno di quegli aspirapolvere portatili. Era tutto nero e grigio, di metallo, e aveva dei fili da collegare.

«Da dove ti è uscita questa idea?» chiese Travis, lanciando un'occhiata all'amico.

Leo esitò, ripensando alla serata di qualche giorno prima. Quando aveva attivato per sbaglio lo sparacoriandoli, procurandosi un livido e un dolore lancinante al basso ventre, aveva sparso per tutto il soggiorno e la cucina i coriandoli. Lui e Calipso si erano dati da fare per riordinare, ma quando pensavano di aver finito, ecco che scovavano altri coriandoli sotto il divano o sotto i mobili della cucina. Erano finiti ovunque.

«Be'... lo sparacoriandoli fa davvero un gran lavoro.» disse Leo, stringendosi nelle spalle. «Quindi l'aspiracoriandoli è un obbligo, per aiutare chi dovrà pulire.»

«Può essere usato anche sulla sabbia?»

Leo fissò l'amico come se gli avesse appena fatto notare una cosa ovvia.

«Oddei, hai ragione.» disse Leo, prendendo un cacciavite dalla sua cintura. «Non ho pensato alla spiaggia. Ma si fanno un sacco di feste sulla spiaggia, quindi dovrei inserire la sabbia... Mh, vediamo, posso fare questo... e questo...»

Travis rimase in attesa che Leo finisse, osservandolo lavorare. Lo guardò smontare e rimontare dei pezzi, sussurrare qualcosa alla macchina, e ridere come se questa gli avesse detto qualcosa di davvero divertente. Si guardò attorno, chiedendosi quanto Leo fosse strano. Ma ad un'occhiata attenta alle postazioni di lavoro degli altri figli di Efesto, Travis si rese conto che Leo non era l'unico così. Vide Paul sussurrare parole dolci ad un pezzo di lamiera, mentre Jared stava lucidando una maniglia bisbigliandole quanto fosse bella tutta lucida.

«Non entrerò mai più qui dentro.» mormorò Travis, rabbrividendo.

Leo sollevò lo sguardo su di lui, sorpreso di vederlo ancora lì. «Oh, ehi, Trav.» disse, passandosi la mano sporca sul viso. «Da quanto tempo sei lì?»

Il figlio di Ermes guardò l'altro in silenzio, tentato di sbattersi qualcosa in faccia. Ma l'amico stava lavorando, e sapeva che quando lavorava attentamente su qualcosa, si lasciava assorbire del tutto. Anche James era così, sebbene avesse solo sette anni. Si sedette su uno sgabello, in attesa che Leo finisse il suo lavoro.

«Sono qui ormai da mezz'ora.» disse Travis, lanciando un'occhiata all'orologio.

«Oh.» rispose Leo, e dal tono che utilizzò, Travis capì che di nuovo non lo stava più ascoltando.

Leo impiegò un'altra decina di minuti a sistemare il suo aspiracoriandoli e lo guardò con amore, dandogli dei buffetti sul manico. Si voltò verso Travis, che stava giocherellando con un cacciavite e dei bulloni. Glieli tolse di mano e prese in mano il suo nuovo giocattolo.

«Vieni a provarlo con me?» domandò Leo, elettrizzato.

«Certo.» annuì il figlio di Ermes, alzandosi. «Però... possiamo parlare nel mentre?»

«Ovvio.» annuì Leo di rimando, passandosi una mano sporca tra i capelli e dirigendosi verso l'uscita.

«Del tuo addio al celibato.» aggiunse Travis, affiancandolo.

Leo lo guardò mentre uscivano dalla fucina. Il fresco della giornata lo colpì al viso come uno schiaffo. «Non dovrebbe essere un segreto?»

«E lo sarà. Solo che volevo chiedere un paio di cose a te.»

Leo annuì, osservando il suo aspiracoriandoli. «Va bene. Spara.»

Travis prese un taccuino dalla tasca e una penna.

L'amico lo guardò perplesso. «Fai sul serio?»

«Sono molto serio a riguardo.» disse Travis, scrollando le spalle. «Per prima cosa... per quando è fissato il matrimonio?»

«Non lo abbiamo ancora deciso.» ammise Leo, imbarazzato. «Non so cosa stia aspettando Calipso, ma forse solo che parliamo con Nina.»

«Nina?»

«Sì, insomma, vogliamo sposarci dopo che lei avrà partorito. Quindi dovremmo chiedere al suo dottore quando avverrà il parto, per poter decidere.»

Leo cercò di non pensare a Will parlando, ma gli fu impossibile. Era certo che il dottore di Nina non fosse lui, visto che Will era mancato dal Campo per due anni. Ma andare in infermeria significava incontrarlo e non voleva vederlo per il momento. Era stato abbastanza difficile vederlo salutare due dei suoi fratelli e non poterlo abbracciare per confortarlo...

Leo scosse la testa per liberarsi di quei pensieri. Non doveva più pensare a Will Solace in quel modo. Ormai erano amici, e stava per sposarsi con Calipso, la donna che amava, la madre di suo figlio. Non poteva desiderare altro.

«Okay, allora fammi sapere quando partorirà, così potrò fissare l'addio al celibato qualche giorno prima del matrimonio.» sogghignò Travis, scribacchiando sul taccuino.

«Sei il mio testimone, lo saprai senz'altro.»

«Giusto. E cosa dovrei fare come testimone?»

Leo sospirò. «Be', organizzarmi la festa di addio al celibato, tanto per cominciare.»

«E questo possiamo quasi spuntarlo dalla lista...»

«Controllare il mio stato di salute prima e durante il matrimonio, nel caso svenissi.»

«Credo di poterlo fare. Porterò un termometro.»

Leo lo ignorò. «Assicurarti che sia tutto in ordine.»

«Mh, difficile per un figlio di Ermes, ma sarà fatto.»

«E portarmi le fedi all'altare.»

Travis aggrottò la fronte. «Ehm... okay. Spero di non perderle.»

Leo gli scoccò un'occhiataccia.

Travis si grattò la guancia con la penna. «Ma non sarebbe meglio se le fedi ve le portasse James?»

Il figlio di Efesto si fermò, riflettendo. In effetti era una splendida idea... e James poteva poi andare a sedersi subito dopo avergli portato le fedi.

«È una grande idea.» annuì Leo, riprendendo a camminare verso la spiaggia. «Lo dirò a Calipso, ne sarà entusiasta.»

«Bene.» Travis si trattenne dal gongolare. «Ora torniamo a concentrarci...»

«E Katie?» chiese Leo, curioso. «Quando le chiederai di sposarti?»

«Non credo sia il momento più adatto...»

«Be', gliel'hai chiesto durante il falò. Ti ha risposto?»

Travis arrossì. «Non ricordo niente di quello che è successo al falò.» ammise, imbarazzato. «Ma Katie me ne ha parlato un paio di giorni dopo, per dirmi che non era il momento adatto.»

«Ah. E come mai?»

«Probabilmente perché le ho chiesto di sposarmi per via di uno stupido gioco con la bottiglia.» sbuffò Travis. «Però non mi dispiace. Le chiederò di sposarmi tra due mesi, il giorno del nostro anniversario. Sarà fantastico.»

Leo sorrise. «Posso farti da testimone?»

«Mi spiace, ma quel posto spetta a Connor da quando avevamo cinque anni.»

Connor... Leo storse il naso a quel nome. Stava cominciando a odiare il fratello del suo migliore amico, e non capiva il perché. Forse Will che usciva dalla sua stanza di soppiatto durante la notte era un motivo sufficiente...

«Mi dispiace.» sospirò Travis, notando la sua reazione.

«Non importa. Insomma... è tuo fratello.»

«Lo so, ma... mi dispiace per... la strana situazione.»

Leo capì a cosa si stava riferendo. «Trav, è tutto a posto.» si sforzò di dire, allegro. «Non hai il controllo sulla vita privata di Connor, e io sto con Calipso. È tutto okay.»

Travis lo sondò con lo sguardo ma Leo tenne gli occhi puntati sul mare che, ad ogni passo, si faceva sempre più vicino.

«Okay.» disse Travis, decidendo di lasciar perdere. «Parliamo di cose serie. Il tuo addio al celibato.»

«Sì.» annuì Leo. «La sorpresa.»

«Lo sarà. Mh, pensavo... ti vanno bene le spogliarelliste?»

Leo sbatté le palpebre. Non ci aveva mai pensato. «Ehm... boh.»

«Di solito gli umani fanno cose del genere.»

«Oh... be', direi di sì...» annuì Leo, arrossendo.

«Okay. E... vuoi anche qualche spogliarellista maschio?»

Leo sgranò gli occhi a quel commento e scosse la testa. «No, niente spogliarellisti.» mormorò.

Travis si affrettò a scriverlo nel suo taccuino. «D'accordo, allora abbonderò con le spogliarelliste. Chi possiamo invitare?»

Erano arrivati in spiaggia e Leo si guardò attorno per un attimo, controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi. Non vedeva l'ora di provare la sua nuova macchina, ma forse era meglio finire di parlare con Travis.

«Mh, non saprei...» mormorò Leo, pensieroso. «I miei fratelli... magari Jason Grace... e, ehm...»

Travis scrisse i nomi sul taccuino, e fissò l'amico. «Okay, a questo penserò io.» sorrise il figlio di Ermes. «Invece c'è qualcuno che non vuoi invitare?»

Leo si mordicchiò il labbro e Travis scrisse “Will” senza che l'amico glielo chiedesse.

«Non voglio vedere figli di Ares.» mormorò Leo. «Nemmeno al mio matrimonio.»

«Sarà fatto.»

Travis mise via il taccuino e Leo lo guardò. «Hai già finito con le domande?» chiese, stupefatto.

«Già. Tutto il resto sarà una sorpresa. Volevo solo affrontare questi punti con te.»

Leo lo osservò per un attimo, poi posò l'aspiracoriandoli sulla sabbia. Era elettrizzato al pensiero di vederlo in funzione. Prima di azionarlo, però, forse era meglio preparare la zona di recupero. Afferrò una busta di coriandoli dalla sua cintura e la strappò, sparpagliando pezzettini di carta colorata tutto attorno a loro.

Travis si spostò di qualche passo togliendosi i coriandoli dai capelli.

«Non mi deludere, piccolo.» mormorò Leo, inginocchiandosi nella sabbia e premendo il tasto di accensione del suo macchinario. Aveva lavorato sul progetto per due giorni su carta, prima di cominciare a crearlo. Doveva funzionare.

L'aspiracoriandoli cominciò a vibrare e a ronzare e Leo si alzò in piedi, prima che potesse esplodere. Anche se resisteva al fuoco, non era divertente camminare in boxer per il Campo. Gli tornò in mente quella volta di tre anni prima quando l'aveva fatto per Will, per attirare la sua attenzione mentre era confuso sui suoi sentimenti.

Il ronzare del macchinario lo riportò alla realtà. Con il cuore che batteva a mille, Leo guardò l'aspiracoriandoli girare nella sabbia, raccogliendo i coriandoli. Lo tenne d'occhio mentre si allontanava da lui e lo seguì per spegnerlo, sedendosi nella sabbia.

«Ora vediamo se ha funzionato.» mormorò tra sé il figlio di Efesto, scollegando il tubo e svuotandolo nella mano. Sorrise e cominciò a ridere.

«Leo?» lo chiamò Travis, guardandolo. «Tutto okay?»

Leo si voltò a guardarlo, mostrandogli il palmo della mano. «Ce l'ho fatta!» esclamò, entusiasta. «Sì, c'è qualche granello di sabbia, ma come prima prova direi che è andata bene, no?»

Travis fissò l'amico e cominciò a indietreggiare. Conosceva i figli di Efesto, e quando dicevano una frase del genere, cominciavano ad essere un pericolo.

Leo aggrottò la fronte, chiedendosi perché l'amico si stesse allontanando. Abbassò lo sguardo sul tubo, tornando a sorridere, e in quel momento si accorse del filo di fumo che stava salendo dal suo aspiracoriandoli.

«Oh oh.» disse Leo. Il macchinario esplose tra le mani di Leo e l'imprecazione di Travis Stoll alle sue spalle gli fece capire che l'amico era rimasto ferito.

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Capitolo 49
*** 68. Il taccuino di Travis ***


Will entrò in infermeria giusto cinque minuti prima che Travis e Leo si presentassero. Era in compagnia di Hazel, per far vedere ai suoi fratelli di essere impegnato e che non poteva trattenersi a lungo. Doveva solo controllare il suo paziente figlio di Ecate e rispedirlo in cabina. Ma Nate aveva cominciato a chiacchierare con Hazel, che era sempre amichevole con i figli di Apollo, quindi non riuscirono ad uscire in tempo.

«Ehi, c'è qualcuno? È urgente!»

La voce di Leo arrivò alle orecchie di Will con prepotenza e il biondo sollevò lo sguardo dal figlio di Ecate a cui aveva appena cambiato la medicazione. Guardò Leo entrare in infermeria con Travis Stoll tra le braccia, che imprecava in greco, mentre si teneva la gamba. Un grosso pezzo di plastica e metallo gli si era conficcato nella gamba.

«Raul, puoi andartene.» mormorò Will, afferrando un paio di guanti puliti e dirigendosi subito verso Leo. Il figlio di Efesto sbarrò gli occhi nel vederlo e Will immaginò che fosse a causa del suo outfit: indossava i pantaloncini neri che gli aveva regalato Connor e una maglietta aderente bianca, che forse metteva in risalto il suo piercing al capezzolo.

«Cos'è successo?» aggiunse Will, indicando uno dei letti liberi. Leo vi posò sopra l'amico che sibilò per il dolore alla gamba. C'era un sacco di sangue e Will notò che i vestiti di Leo erano bruciacchiati.

«Ehm... è esploso uno dei miei marchingegni.» disse Leo e Will si affrettò a controllare la ferita. Sembrava piuttosto profonda.

«E Travis era in fucina con te?» domandò Nate, avvicinandosi. Hazel sbirciò dalla spalla di Will e sbiancò alla vista di tutto quel sangue.

«No, eravamo in spiaggia.»

Will lanciò un'occhiataccia a Leo, che si sentì rimpicciolire. «Devo aspettarmi altri feriti?»

«N-No, c'era solo lui nelle vicinanze.»

«Leo, siediti qui.» disse Nate, indicandogli un altro lettino. «Stai sanguinando anche tu.»

Will tornò a concentrarsi su Travis, che non intendeva smettere né di piangere né di imprecare. Si teneva la gamba, e Will inspirò profondamente prima di mettersi all'opera.

«Haz, te la senti di aiutarmi?» chiese Will, lanciando un'occhiata all'amica che stava scuotendo la testa. «Mi devi solo portare delle cose.»

«Okay.» annuì la figlia di Plutone, sebbene non molto convinta.

Will lanciò un'occhiata a Leo, appena seduto sull'altro lettino. Le sue ferite erano superficiali, a parte forse la grossa scheggia che gli spuntava dalla spalla. Non se n'era nemmeno accorto, preoccupato com'era per l'amico.

Will cominciò a chiedere ad Hazel di portargli bende, garze, disinfettante e dell'anestetizzante, mentre prendeva dal cassetto vicino l'ambrosia e il nettare. Provò a calmare Travis, ma fu inutile, e sospirò di piacere quando gli iniettò dell'anestetizzante, facendogli perdere i sensi dopo una manciata di secondi.

«Nate, se Leo non è ferito gravemente, vieni a darmi una mano?» domandò Will, e Nate annuì.

«Sì, arrivo.» disse, finendo di disinfettare una ferita di Leo. Si avvicinò a Will, tirandosi la tenda alle spalle.

Hazel fissò la tenda e cercò di ignorare i bisbigli dei due figli di Apollo.

«Menomale che hanno tirato la tenda.» disse Hazel, avvicinandosi a Leo. «Non avrei sopportato la vista di... di...»

Leo annuì, pensando al grosso pezzo di plastica e metallo. Rabbrividì e si guardò le braccia e il petto nudi. Nate gli aveva tirato via tutti i pezzi più grossi dalla pelle, compreso quello sulla spalla. Non aveva sentito dolore, preoccupato com'era per Travis.

I due rimasero in silenzio, ascoltando le voci di Will e Nate, impegnati in un inno ad Apollo. Leo riusciva a vedere le loro ombre dalla tenda e spostò lo sguardo sull'amica, che stava osservando il suo petto con attenzione.

«Posso medicarti?» chiese Hazel, prendendo il disinfettante. «Così magari smetti di sanguinare.»

«Se sei capace...» sorrise Leo, annuendo.

«Be', ho visto Will all'opera, e ho già curato ferite simili.»

«D'accordo, allora.»

Hazel gli disinfettò tutte le ferite sul petto e le braccia, facendo attenzione a quella più grossa sulla spalla, l'unica che Nate aveva coperto con una garza. Gli appiccicò un cerotto dopo l'altro sulla pelle, cercando di fare un po' di conversazione per coprire la voce di Nate che imprecava.

«Allora, come sta Calipso?» domandò Hazel, mettendogli l'ultimo cerotto sul braccio tatuato.

«Sta bene.» sorrise Leo. «Si sta preparando per... be', lo sai.»

Hazel annuì, felice che l'amico non avesse detto ad alta voce quella parola. Chissà come avrebbe reagito Will, dietro la tenda, se lo avesse sentito.

«E tu?» chiese Hazel, scrutandolo. «Sei emozionato?»

Leo rifletté per qualche secondo. Era emozionato? Sì, una parte di lui lo era. Non capitava tutti i giorni di ricevere proposte di matrimonio da qualcuno che si amava alla follia. Pensò a Calipso, e il cuore gli si riempì di gioia. E sorrise al ricordo del viso di James, illuminato dalle loro parole.

«Sì, lo sono.» ammise Leo. «Non vedo l'ora che succeda.»

Hazel annuì, cercando di non sospirare. Leo era davvero andati avanti con la sua vita. Voleva chiedergli di Will, se ci pensava mai, ma non osò farlo. Will era così vicino a loro, ed era impegnato a guarire Travis. Non voleva distrarlo. E non voleva parlare di questioni del genere con Leo Valdez. Li aveva visti insieme più di una volta, e l'amore che provavano verso l'altro gli era sembrato imbattibile. Un po' come il suo come quello sciocco figlio di Marte.

Leo osservò Hazel. Non la vedeva in giro da parecchio. Sapeva che se n'era andata dal Campo insieme a Will, ma non l'aveva più incrociata da quando era tornata. Gli dispiacque, gli era sempre piaciuto il loro rapporto sull'Argo II. Hazel non era più una ragazzina con la nausea del volo, ma una donna che forse aspettava il ritorno del suo più grande e unico amore. Lei sì che sapeva amare.

Un rumore improvviso lo fece sobbalzare, facendogli perdere il filo dei suoi pensieri. Lui e Hazel guardarono verso la tenda che copriva Travis e i figli di Apollo, e videro Nate uscire con il grosso pezzo di plastica e metallo che fino a poco prima, era infilato nella gamba del figlio di Ermes.

«Ti serve?» domandò Nate con uno sbuffo, incrociando lo sguardo di Leo e gettando il pezzo nel cestino.

Leo scosse la testa nello stesso momento in cui Hazel gli afferrava il braccio, forse per impedirgli di fare battute idiote. Nate era pallido, sporco di sangue non suo, e i suoi occhi mandavano lampi.

«No, non gli serve.» disse Hazel e Leo abbozzò un sorriso.

«Guarda che non mi serve per davvero.» mormorò lui, ma la figlia di Plutone lo ignorò.

Nate scoccò ad entrambi un'occhiataccia e camminò fino ad un cassetto, dove prese un camice per i pazienti, poi tornò da Will, tirando di nuovo la tenda alle sue spalle. Leo si passò una mano tra i capelli, pensando che forse era il caso di andare. Se stavano cambiando Travis, significava di certo che avrebbe passato la notte lì, in infermeria. Forse era il caso di avvertire Miranda e Katie, e pure Connor, con profondo rammarico.

«Cosa fai qui?» domandò Leo, osservando Hazel. Era così strano vederla in infermeria. «Sei la nuova infermiera?»

Hazel scosse la testa, divertita. «Sono qui con Will.» disse lei, trattenendo un sospiro. «Siamo venuti qui perché Will doveva far uscire Raul, figlio di Ecate. Non dovevamo rimanere più di cinque minuti...»

Leo lanciò un'occhiata all'orologio appeso poco sopra la porta. Era già passata mezz'ora da quando erano entrati. «Siamo stati fortunati ad arrivare in tempo, allora.» sorrise, attirando su di sé lo sguardo dell'amica.

«E noi siamo stati sfortunati.» disse lei di rimando, sorridendo, pensando che fosse un po' colpa sua. Will aveva preso tempo mentre Hazel parlava con Nate.

Leo sghignazzò e tornò a guardare la figura di Will dalla tenda. Lo sentiva parlare con Nate e immaginò che in quel momento stessero svestendo e ripulendo Travis, prima di infilargli il camice per la notte. Come se avesse sentito i suoi pensieri, Will uscì con i vestiti del figlio di Ermes tra le mani. Una striscia di sangue gli macchiava il viso e i capelli.

«Travis è come nuovo.» annunciò, buttando i vestiti strappati e tagliati di Travis nel cestino. «Avrà una brutta cicatrice, ma scomparirà nel giro di qualche mese. Nulla di cui bisogna preoccuparsi.»

«Okay, grazie.» sospirò Leo, alzandosi in piedi. Infilò la propria maglietta, ignorando quanto fosse bucherellata e guardò Will Solace. Era sempre stanco quando finiva di medicare un paziente con la sua magia guaritrice. Ebbe l'impulso improvviso di avvicinarsi a lui e abbracciarlo.

«Non portare più i tuoi marchingegni in pubblico.» lo avvisò Will, abbozzando un sorriso. «E non ti far avvicinare da nessuno quando li provi, okay?»

«Okay, sarà fatto, dottore.» sorrise Leo, contento di poter scherzare con il biondino senza che nessuno dei due soffrisse. Avevano fatto le loro scelte, erano andati avanti, ora erano solo amici.

Will continuò a guardarlo, e Leo si sentì quasi arrossire. Quello sguardo non gli piaceva molto, gli faceva tornare in mente dei vecchi pensieri su di loro, stesi insieme nel letto del bunker.

«Will?» lo chiamò Hazel, preoccupata per l'amico. Aveva uno sguardo spiritato, sembrava sul punto di svenire da un momento all'altro.

«Cosa?» disse Will, riprendendosi e guardando Hazel. «Che fai ancora qui?»

«Ti stavo aspettando. Sai... cioccolata calda, Grey's Anatomy...»

«Oh, giusto, giusto.» Il figlio di Apollo annuì. «Ho bisogno di una doccia, prima.»

«Va bene, ti aspetto in cabina.» disse Hazel. «Non metterci troppo, okay?»

«Va bene.» le sorrise Will, e Hazel salutò Leo prima di uscire dall'infermeria. Gettò loro un'occhiata, chiedendosi se avesse fatto bene a lasciarli da soli.

Leo infilò le mani nella cintura ed estrasse un cacciavite, giocherellandoci per il nervoso. Teneva lo sguardo puntato sulla tenda che nascondeva Travis alla sua vista. Quanto ce l'avrebbe avuta con lui, al suo risveglio? Immaginò tanto. Passare la serata in infermeria non era tra i suoi progetti.

«Senti, Leo...» mormorò Will, e lo sguardo di Leo scattò sul viso abbronzato e pieno di lentiggini dell'altro. Ricordò quanto gli fosse piaciuto baciare ogni più piccola parte di quel volto. Quei ricordi erano dolorosi.

«Sì, Will?» rispose Leo, a bassa voce, con il cuore che batteva all'impazzata.

Will si gettò un'occhiata alle spalle, verso la tenda che nascondeva Nate e Travis. «Ti andrebbe di avvertire Connor?» chiese, e Leo sentì il proprio cuore vacillare. Ma certo, voleva che avvisasse Connor. Forse lo stava aspettando da qualche parte, per mettergli le mani addosso...

«Connor?» ripeté Leo, fissandolo. Dopotutto, lui non sapeva della loro relazione.

«Sì, Connor.» annuì Will. «Penso che gli farà piacere sapere dove sia finito suo fratello, no?»

Leo aggrottò la fronte per un attimo, poi annuì, sentendosi afflosciare. Ma certo, Connor era il fratello di Travis, mica solo il ragazzo di Will. Aveva fatto male a pensarci. Si era sentito su di giri e poi di nuovo a terra nel giro di dieci secondi. Aveva bisogno di un po' d'aria.

«Sì.» ripeté Leo, e Will gli sorrise, riconoscente.

«Grazie. Ora credo proprio che farò una doccia, devo raggiungere Hazel prima che vada avanti senza di me.»

Leo annuì. «Grazie a te per aver salvato Travis.»

«È il mio lavoro, Leo.»

Il figlio di Efesto annuì per l'ennesima volta, sentendosi uno sciocco. Doveva smetterla di pensare a Will Solace, fraintendere ogni suo movimento o parola. Doveva riprendersi. Calipso stava organizzando il loro matrimonio. Aveva scelto cosa fare della sua vita.

«Vado a cercare Connor.» disse Leo, superando Will, diretto all'uscita. «Magari passerò stasera, a vedere come sta.»

«Ma certo, l'infermeria sai dove trovarla.» sorrise Will alle sue spalle, dirigendosi in bagno.

 

Una volta fuori dall'infermeria, Leo si fermò, inspirando l'aria fresca e priva di disinfettante. Notò le gocce di sangue che lui e Travis si erano portati dietro dalla spiaggia, ma per fortuna Raul, il figlio di Ecate che Will aveva rispedito in cabina al loro arrivo, era impegnato ad eliminarle con il movimento di un dito. Leo lo guardò affascinato, pensando a quanto sarebbe stato utile poter creare una macchina che sapesse fare la stessa cosa. Raul incrociò il suo sguardo e gli sorrise.

«Come sta?» domandò, muovendo le dita nella sua direzione. Leo sussultò e guardò la maglietta che si ricomponeva sul suo petto. Ora non c'erano più segni di bruciatura, tagli o sangue.

«Sta bene.» disse Leo, avvicinandosi di qualche passo. «Grazie per la maglietta.»

«Ma figurati, è una bazzecola.» si vantò il figlio di Ecate, finendo di ripulire.

«Hai visto Connor Stoll?» domandò Leo, deciso a togliersi quel pensiero dalla testa.

Raul aggrottò la fronte per un attimo. «Sì, era vicino alla cabina di Afrodite. Parlava con Amy.»

Leo annuì, lo ringraziò, e si incamminò verso la cabina 10. Non conosceva questa Amy, ma era probabile che l'avesse vista di sfuggita in mensa o in spiaggia. Di certo, non in Arena. A parte Piper, non conosceva altri combattenti della cabina di Afrodite.

Per un attimo, mentre puntava lo sguardo sulla cabina, Leo sperò con tutto il cuore di trovare Connor Stoll e questa Amy in atteggiamenti intimi. Se li avesse visti, sarebbe corso da Will per dirgli che aveva provato a parlare con Connor, ma che purtroppo lo aveva interrotto mentre era con una ragazza. Di sicuro Will sarebbe impallidito alle sue parole e avrebbe raggiunto la cabina di Afrodite il prima possibile per verificare con i suoi occhi...

Leo si riscosse dai suoi pensieri e si fermò di fronte la cabina 10. La porta era chiusa, dall'interno proveniva la musica di Donna Summer e delle risate. Fu sul punto di bussare quando decise di aggirare la cabina e controllare se non fossero nel giardino o sul retro. Camminò tra le sdraio, le riviste e ignorò la coppia che stava pomiciando pesantemente sull'erba.

«Ci sono delle stanze, qui.» brontolò Leo, girando l'ultimo angolo della cabina. Si trovò faccia a faccia con Connor, che sbatté le palpebre per la sorpresa di trovarlo lì.

«Ehi, Leo Valdez.» lo salutò Connor, passandogli un braccio attorno alle spalle. «Cosa ti porta qui?»

Leo notò una ragazza seduta ad un tavolino poco distante. Stava limando la sua spada e alzò lo sguardo su di loro solo per un momento.

«Devo parlare con te.» disse e Connor fece un sorrisetto.

«D'accordo, sono tutto orecchi.» disse il figlio di Ermes, guardando l'orologio al polso. «Ma sbrigati, ho una figlia di Nike da placcare sulla spiaggia.»

A quelle parole la ragazza arrossì. «La devi solo intrattenere.» borbottò.

«Lo so, Amy, ma non sarà così divertente se la trattengo e basta.»

Amy borbottò qualcosa e Leo si concentrò sul viso sorridente di Connor. Non capiva quello che stava succedendo tra loro, ma di certo non stava amoreggiando con lei.

«Travis è in infermeria.» disse Leo, non sapendo come altro dirglielo. «È lì per colpa mia, ma non è niente di grave, Will lo sta curando.»

Il sorriso di Connor gli sparì dalle labbra e Amy alzò lo sguardo, allarmata.

«Amy, credo che placcherò Laurel un'altra volta.» disse Connor, togliendo il braccio dalle spalle di Leo e restituendogli il portafogli.

«Tranquillo, va benissimo.» annuì Amy e Leo si riprese il portafogli, confuso. Quando gliel'aveva sottratto?

«Sicuro che non sia grave?» domandò Connor, fissando Leo, che annuì.

«Non è grave. Will lo ha già curato, in verità, ma lo terrà in infermeria per la notte.»

Connor annuì, ma decise di andare a controllare di persona. Senza una parola, si allontanò dal giardino della cabina 10, diretto all'infermeria.

Leo e Amy si guardarono per un attimo, poi Leo la salutò e si diresse verso la sua casa, pensando a Connor e Travis, poi a Connor e Will. Chissà se il biondino gli avrebbe mai parlato della sua relazione con Connor... Forse prima non gli aveva detto nulla perché, semplicemente, tra loro non c'era nulla di particolare.

O forse perché non sono affari miei, si ritrovò a pensare mentre camminava nel familiare vialetto di casa. Non stiamo più insieme, siamo amici, non dovrebbe importarmi nulla di quello che fa...

Quando fu di fronte la porta, Leo si bloccò prima di poterla aprire. Ripensò ai vestiti di Travis e al taccuino che il ragazzo aveva con sé sulla spiaggia, prendendo appunti sulla sua festa di addio al celibato.

«Cazzo, il taccuino!» esclamò, voltandosi e quasi correndo verso l'infermeria. Sperò che Will non avesse bruciato i vestiti di Travis. Li aveva visti cadere nel cestino, ma magari i figli di Apollo avevano deciso di fare un falò per divertirsi.

Impiegò un quarto d'ora ad arrivare in infermeria, e aspettò che il fiatone gli passasse prima di entrare. Individuò Nate su un lettino intento a mangiare una mela, discutendo con una figlia di Demetra che gli diceva quanto facesse bene alla salute mangiare più frutta e verdura. Fece un cenno a Nate, per niente desideroso di salvarlo da quel brutto battibecco, e arrivò fino ai pressi del cestino dove Will aveva buttato i vestiti di Travis. Lo trovò vuoto e il suo cuore perse un battito.

«Ehi, Valdez. Cerchi qualcosa?»

Leo alzò lo sguardo su Will, appena uscito dalla sua camera. I capelli biondi erano bagnati e i vestiti che indossava erano puliti, privi di macchie di sangue. Il suo sguardo, però, era duro e sul suo volto non c'era alcun sorriso.

Oddei, pensò Leo, nervoso. Lo ha letto.

«Io, ah, ehm, Travis... il portafoglio...» borbottò Leo, mettendosi a braccia conserte. Lanciò un'occhiata nella direzione del lettino dell'amico. Le tende tirate si muovevano appena, forse Connor li stava osservando.

«Ho controllato nei suoi pantaloni, non c'era nessun portafoglio.» disse Will, portandosi una mano alla tasca. «Ma c'era questo. Glielo vuoi ridare tu?»

Leo guardò il taccuino nella mano di Will e deglutì. Sì, doveva averlo letto.

«O-Okay.» balbettò Leo, prendendolo, e Will gli passò affianco senza una parola. Leo si trattenne dal rincorrerlo e chiedergli se lo avesse aperto, ma decise di non dire niente. Dopotutto, quella reazione era già una risposta.

 

Will non era proprio riuscito a trattenersi.

Dopo che Leo se n'era andato, Will si era preso un caffè, decidendo di svuotare il cestino prima dell'arrivo di Connor. Non voleva che il ragazzo vedesse quanto sangue avesse perso suo fratello. E mentre toglieva la busta per cambiarla con una pulita, si era reso conto che nella tasca di Travis c'era qualcosa di pesante. Pensava al portafogli, e invece c'era un taccuino.

Will lo aprì, curioso, chiedendosi cosa mai potesse appuntarsi un figlio di Ermes. La prima pagina lo aveva fatto sorridere. Era una lista di cose che doveva controllare di sua figlia Lily ogni giorno, ovvero se mangiasse sano, lavasse i denti prima di andare a dormire, facesse il bagno e si pettinasse i capelli. C'era pure segnato che la bambina fosse intollerante al lattosio, quindi evitare ogni cosa potesse farla star male.

Sfogliando le pagine, Will aveva trovato liste della spesa, una lista di scherzi, e le liste di varie scommesse fatte nel Campo Mezzosangue. Will scoprì che sua sorella Rose doveva a Travis ben trecento dollari, e decise che avrebbe restituito lui la somma al figlio di Ermes. Sperò che Rose non avesse seguito Angel in Africa solo per quello.

C'erano dei disegni in alcune pagine, dei ritratti di Kate e Lily che giocavano insieme. Il viso di Kate era sempre più dettagliato e Will si stupì delle doti artistiche del figlio di Ermes. Non pensava fosse così bravo.

Poi girò un'altra pagina e si ritrovò a leggere “Matrimonio e festa di addio al celibato per Leo!!!” che gli fece stringere il cuore. Fu tentato di chiudere, ma ormai era lì, voleva sapere cosa Travis aveva in mente per Leo:

-Aspettare che Nina partorisca per fissare la data;

-Come testimone devo controllare lo stato di Leo, che sia tutto in ordine, e cose del genere, per fortuna alle fedi ci penserà James;

-Alcol a fiumi, chiedere consiglio ai figli di Dioniso;

-Spogliarelliste: a volontà!!

-Spogliarellisti: nooo, assolutamente no!!

-Invitare me, fratelli di Leo, Jason Grace, ect...

-Non invitare assolutamente Will e i figli di Ares.

Will rimase a fissare il suo nome, così vicino ai figli di Ares, e sentì qualcosa nel petto incrinarsi. Leo non lo voleva assolutamente al suo matrimonio, né alla festa di addio al celibato. Non che intendesse andarci, ma... leggerlo così, scritto in quel modo, lo ferì. Infilò il taccuino in tasca e si avviò verso la sua camera, proprio nel momento in cui arrivava Connor.

«Will!» esclamò il figlio di Ermes, e Will si voltò a guardarlo. «Dov'è Travis? Sta bene? Cos'è successo?»

Will osservò Connor, notando la sua grande preoccupazione per il fratello maggiore. Gli si avvicinò, scoccandogli un bacio a stampo, sorprendendo sia il ragazzo che sé stesso.

«Non preoccuparti, tuo fratello sta bene.» disse Will, indicando le tende tirate attorno ad un lettino. «È lì, sta dormendo per l'anestesia. Puoi stare con lui, mentre vado a lavarmi e vestirmi.»

«Okay, ti aspetto.» annuì Connor, e Will gli sorrise dolcemente prima di andare nella sua stanza. Posò il taccuino sulla scrivania, borbottando tra sé, e si spogliò, infilandosi subito in doccia. Rimase per qualche secondo sotto il getto, riflettendo su Leo e Calipso. Leo lo aveva dimenticato così in fretta? Be', se intendevano sposarsi, e avere altri figli in futuro, sicuramente sì. Non poteva mettersi in mezzo nella loro relazione, ora che stavano facendo quel passo avanti che molta gente aveva paura di affrontare.

Pensò a Nico Di Angelo e Percy Jackson. Quando aveva visto Nico tre anni prima, il figlio di Ade gli aveva detto di essere fidanzato con Percy. Ormai quei due dovevano essersi sposati. Hazel non gliel'aveva mai detto chiaramente, forse perché temeva di vederlo soffrire.

Anche Mitchell si era sposato con Malcom Pace, figlio di Atena. Vivevano fuori dal Campo Mezzosangue ed erano felici insieme. Mitchell non aveva mai voluto fare sul serio con lui, forse perché aveva scoperto che non era lui la persona che stava cercando.

Poi c'era Seth. Non pensava mai a Seth, il figlio di Demetra che lo aveva confortato mentre Nico cominciava ad uscire con Clovis figlio di Ipno. Era stato con Seth solo un mese, con la vana speranza di ingelosire Nico e attrarlo verso di lui. Ma Nico non lo aveva mai considerato come un possibile partner, solo come un amico.

E le cose tra Seth non erano andate bene. Seth lo aveva ferito almeno quanto Will aveva fatto con lui. Si erano feriti reciprocamente, e poi si erano salutati senza dirsi una parola. Continuavano a non parlarsi quando si incrociavano al Campo, poi Seth aveva deciso di andarsene in una riserva naturale e Will non aveva più avuto sue notizie.

Ora toccava a Leo Valdez sposarsi.

Will rise amaramente sotto l'acqua. Quasi tutte le persone che aveva amato, avevano trovato qualcuno che li amava di più. Will si domandò come mai toccasse proprio a lui la parte del single perenne, quello che desiderava di più sposarsi e adottare bambini finché fosse stato capace di crescerli, quello che aveva così tanto amore da dare.

Strofinò le dita sulla guancia, non sapendo se stesse piangendo o se fosse semplice acqua quella che gli colava lungo le guance.

 

Will si asciugò e si vestì dopo pochi minuti, fissando il taccuino di Travis Stoll. Ebbe il folle desiderio di lanciarlo dalla finestra o buttarlo nuovamente nel bidone dell'immondizia, ma si trattenne solo per le cose importanti di Lily scritte sopra. Magari Travis era così scemo da non ricordarsele. Infilò il taccuino in tasca.

Uscì dalla sua camera e notò Leo vicino al cestino dove aveva buttato i vestiti di Travis. Doveva essere tornato per quello.

«Ehi, Valdez. Cerchi qualcosa?»

Will non voleva usare un tono così duro, ma fu quello che gli uscì. Era arrabbiato, con sé stesso, con Leo Valdez, con tutti i suoi ex che non avevano trovato in lui una persona con la quale passare il resto della propria vita.

Be', visto come ti sei comportato... non è colpa di Leo, no?, sussurrò una voce al suo orecchio e Will scacciò via quella voce. Non le avrebbe più dato ascolto.

«Io, ah, ehm, Travis... il portafoglio...» borbottò Leo, con lo sguardo che si muoveva in tutte le direzioni, impaurito.

Il portafoglio. Ma certo. Doveva continuare a mentirgli sebbene non stessero più insieme.

«Ho controllato nei suoi pantaloni, non c'era nessun portafoglio.» disse Will, prendendo il taccuino dalla tasca e tendendoglielo. «Ma c'era questo. Glielo vuoi ridare tu?»

«O-Okay.»

Leo prese il taccuino, balbettando. Will gli passò affianco, mordendosi la lingua per non parlare. Lo aveva messo sulla stessa linea dei figli di Ares. Dopo quello che aveva fatto per lui solo un paio di settimane prima. Chiuse la mano passandogli affianco, dirigendosi verso Connor e Travis Stoll. Superò la tenda mentre Leo, alle sue spalle, si allontanava dall'infermeria senza una parola.

«Tutto okay?» domandò Connor, osservando Will con attenzione. Gli sembrava così serio e turbato. Voleva confortarlo, ma sapeva che il figlio di Apollo non gliel'avrebbe lasciato fare.

«Sì.» mentì Will, sebbene avesse solo il desiderio di afferrare un cuscino e urlarci dentro fino a sgolarsi. Guardò Connor, che lo osservava con i suoi bei occhi chiari e ammorbidì il tono di voce. «Sì, sto bene.»

Connor gli sorrise di rimando e abbassò di nuovo lo sguardo sul fratello, che ancora non dava segni di volersi svegliare. Will tenne gli occhi puntati su di lui, riflettendo sulle parole di Hazel di poche ore prima. Forse... poteva trovarla anche lui, la felicità, se solo si fosse lasciato il passato alle spalle...

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Capitolo 50
*** 69. Calipso o Will? ***


Travis, una volta uscito dall'infermeria con solo una cicatrice, decise di non passare più da Leo in fucina, né seguirlo nel caso avesse avuto qualche marchingegno da provare tra le mani. Dal canto suo, Leo decise che non avrebbe più collaudato le sue invenzioni in luoghi pubblici, in compagnia di qualcuno che conosceva. Giusto per evitare di ferire i suoi amici.

Però Travis, dopo tre giorni dall'incidente, gli propose di andare in spiaggia con i bambini. Leo accettò, aveva proprio voglia di farsi un giro e chiacchierare con l'amico. Quindi, dopo aver lavorato per tutta la mattina e passato metà del pomeriggio a giocare con James nella sua casa sull'albero, Leo si ritrovò steso su una sdraio con una birra fresca, deciso a godersi l'aria fresca. Travis era sdraiato al suo fianco, con gli occhiali calati sul viso, intento ad osservare Lily, James e Bryan che si rincorrevano ridendo con le pistole ad acqua.

«Di chi dovrò preoccuparmi?» domandò Travis, osservando il piccolo James Valdez che acciuffava la sua Lily e la faceva cadere nella sabbia.

«Mh?» Leo lanciò un'occhiata ai bambini. Bryan li aveva appena raggiunti e gli stava svuotando addosso l'intero caricatore di acqua. «Oh, penso di entrambi.»

«Entrambi?» ripeté Travis, sgranando gli occhi. «Ma...»

«Probabilmente dovrai preoccuparti di qualunque ragazzo si avvicinerà a tua figlia.» gli fece notare Leo, sogghignando. «O ragazza, ovvio.»

Travis si passò una mano sul volto. «Penso sia arrivato il momento di chiuderla in casa.» borbottò.

Leo ridacchiò. «Dai, non essere così, o lo farà apposta ad uscire con chiunque.»

«Non stavo scherzando, la chiuderò realmente a casa. Conosco i ragazzi, sono proprio perfidi. E le ragazze sono peggio, non voglio che le spezzano il cuore.»

Leo osservò l'amico, che guardava con amore la figlia. Sorrise, voltandosi ad osservare anche lui i bambini. Gli piaceva il rapporto di amicizia che si era creato tra i tre, sembravano inseparabili, e sperò che rimanessero amici per tutta la loro vita.

«Dovrà fare le sue esperienze, però.» mormorò Leo, sorridendo.

«Be', mancano ancora dieci anni, no?» Travis lo guardò. «Giusto? Ho dieci anni di tempo per metabolizzare la cosa.»

«Non vedo l'ora di vederla presentarti la sua persona speciale.»

Travis si portò di nuovo la mano al viso. «Non mi ci far pensare.» brontolò.

Leo scosse la testa e tornò a guardare i bambini. Lily e James stavano facendo squadra per colpire il più possibile Bryan, rimasto a secco. Stava correndo verso il mare, con il caricatore stretto in mano per riempirlo al volo.

«Allora, tutto okay?» domandò Travis e Leo gli lanciò un'occhiata.

«Certo, è tutto okay.» annuì il figlio di Efesto, bevendo un sorso di birra. «Perché non dovrebbe essere okay?»

Travis si guardò attorno, per assicurarsi che fossero soli. «È da un po' che non mi parli del matrimonio.»

Leo sbuffò. «È da un po' che non ci parliamo, io e te.» gli fece notare, scoccandogli un'occhiataccia. «E solo per via di uno stupido incidente.»

«Stupido incidente?!» ripeté Travis, abbassando lo sguardo sulla cicatrice di quindici centimetri sulla sua gamba. «Questo lo chiami uno stupido incidente

Leo osservò per qualche secondo la cicatrice. «Be', non puoi ignorare che sia stato uno stupido incidente.» mormorò Leo, trattenendo un sorriso. «Insomma... è esploso un aspiracoriandoli, sulla spiaggia.»

Travis lo fissò torvo. «È ancora troppo presto per riderci su, Leo.» borbottò.

Leo scosse la testa. «Io ne riderei.» disse.

«Allora facciamo così, ne vado a prendere un altro e te lo faccio esplodere addosso.»

«Chi ti dice che ce n'è un altro?»

Leo e Travis si guardarono negli occhi, e il figlio di Ermes sbuffò.

«Sono sicuro al cento percento che negli ultimi giorni, non hai fatto altro che costruire un nuovo aspiracoriandoli.» borbottò.

Leo alzò le mani. «Beccato.» sorrise. «Be', è un'idea eccellente, non puoi non ammetterlo...»

«Non proprio. Non basta non tirare coriandoli in spiaggia?»

«E secondo te, gli altri obbediranno a questa assurda richiesta?»

Travis decise di ignorarlo. Si allungò verso il piccolo frigo portatile e prese una birra, stappandola.

«E poi, mi sto occupando di una linea di macchine che possano aiutare a pulire.» continuò Leo, lanciando un'occhiata ai bambini. Bryan si teneva le mani sul viso mentre Lily e James lo colpivano a ripetizione con le loro pistole d'acqua. «L'aspiracoriandoli è la prima idea. Poi volevo creare un compattatore di rifiuti, così puoi buttare i rifiuti dentro e li distrugge, senza creare danni per l'ambiente. Questo sarà più complicato, ma Jared e Paul si sono già offerti di aiutarmi.»

Travis annuì, fissando il mare, ignorando i bambini.

«E ho altre idee.» Leo sorrise eccitato. «Un piccolo robot che rimette in ordine i giocattoli dei bambini quando questi non hanno voglia di farlo. Un'altra macchina che ricicla la plastica, ovvero tu butti la tua plastica dentro e lei la trasforma in qualcos'altro che può essere utilizzato. E la stessa cosa per il cartone, per il vetro, per...»

«Leo.» mormorò Travis, voltandosi a guardare l'amico. «Sono tutte ottime idee, dico davvero. Ma le voglio vedere soltanto quando saranno state completate e collaudate lontano dalle mie gambe.»

Leo annuì. «Ma certo, non preoccuparti.»

«Comunque non mi hai risposto.» disse Travis. «Come va il matrimonio?»

«Ti ho risposto.» sbuffò Leo. «Ti ho detto che è tutto okay.»

«Non è una risposta che accetto.»

Leo sospirò, finendo la sua prima birra e posandola sulla sabbia. Osservò i bambini. Lily e James avevano esaurito l'acqua e ora era Bryan a rincorrerli ridendo come un pazzo e sparando ad entrambi, allontanandoli il più possibile dal mare.

«Il matrimonio sta procedendo bene.» disse Leo, guardando l'amico. «Calipso si sta occupando quasi di tutto, con le sue amiche. Mi dovrei occupare della torta, e penso che nei prossimi giorni andrò in città a cercare un pasticcere.»

«Verrò con te.» sorrise Travis. «Questa è una missione che fa al caso mio.»

«Ottimo. Ti avviserò.»

«E tutto il resto?»

«Calipso è ancora indecisa sul vestito.» ammise Leo. «Ma sono certo che andrà bene qualsiasi cosa sceglierà. In questo momento la sposerei anche con indosso un sacco di patate.»

Travis aggrottò la fronte. «In che senso, scusa?»

Leo si voltò a guardarlo. «Cosa?»

«Perché la sposeresti anche con indosso un sacco di patate? Hai fretta di sposarti?»

Leo osservò l'amico. «Non ho fretta di sposarmi.» mormorò. «Ma vorrei sposarmi al più presto lo stesso.»

«Cal è incinta, per caso?»

«No, no.» Il figlio di Efesto scosse la testa. «Però... credo che dover organizzare tutto quanto mi stia opprimendo. Voglio solo che il matrimonio sia presto, per togliermelo dalla testa.»

Travis lo studiò. «Sai, molte persone la pensano come te. Sono stanchi dei preparativi e non vedono l'ora che accada. Ma tu, che non stai aiutando la tua futura moglie con le cavolate del matrimonio, non mi convinci. Quindi cosa devi toglierti dalla testa?»

Leo prese un'altra bottiglia di birra.

«Stai ancora pensando a lui?» sbuffò Travis, cercando di non mettersi ad urlare per la frustrazione. «Mi avevi detto che era acqua passata.»

«Non penso di averlo detto.» disse Leo. «Solo che... non ho idea di quello che mi sta succedendo, Travis. Voglio davvero sposarmi con Calipso, ma... al tempo stesso non riesco più a togliermi Will dalla testa.»

Travis sospirò, guardando la sua bottiglia, indeciso se sbattersela sulla testa come Dobby. Ma Dobby aveva usato una bottiglia di plastica, mentre quello era vetro.

«Mi hai detto di amare Calipso.» mormorò Travis, osservandolo. «E che per Will provi solo riconoscenza per quello che ha fatto, ovvero aver rischiato la vita per te.»

«E se non fosse solo riconoscenza?» domandò Leo, ricambiando il suo sguardo. «Magari provo la stessa cosa per entrambi.»

Travis abbozzò un sorriso. «A questo c'è una soluzione.» disse, muovendo le sopracciglia.

Leo si ritrovò a ridere. «Non credo che Cal o Will apprezzerebbero l'idea di una cosa a tre.»

«Puoi provare a chiederglielo, no? Sposerai Cal e Will sarà il vostro amante.»

Leo scosse la testa, non riuscendo proprio ad immaginare Cal e Will in atteggiamenti intimi. Anzi, era sicuro che avrebbero cercato di uccidersi alla prima occasione.

«Non è una buona idea.» ripeté Leo.

«Però... risolverebbe un sacco di cose, no?»

Leo annuì, concordando con lui. Una relazione a tre gli avrebbe proprio salvato la vita e il cuore, ma con che faccia poteva parlarne con loro? A Will non piacevano le ragazze, a Calipso avrebbe spezzato il cuore una frase del genere. Ma i pensieri di Leo continuarono a saettare su quel pensiero. Sposare Calipso e tenere Will come amante... magari Cal non doveva proprio sapere una cosa del genere.

«Senti, Leo.» disse Travis, abbassando la voce e guardando l'amico, che si riscosse dai suoi pensieri. «L'altra volta ti ho consigliato di scegliere Calipso. Quello che provi per Will, secondo me, è solo un'infatuazione, dovuta a quello che ha fatto per te. Ed è anche una reazione al modo in cui la vostra relazione è finita. Non vi siete lasciati quando siete arrivati al capolinea, è solo successa una cosa brutta che vi ha spinto a lasciarvi. Una cosa che, a parer mio, non dovrebbe più farti venire quel genere di pensieri per lui. E per Calipso ti ho detto che è la scelta più ovvia, perché avete una storia travagliate alle spalle, e siete fatti l'uno per l'altra.»

«Be'...»

«Stai zitto, Valdez.» lo interruppe Travis e Leo si morse la lingua per non ribattere. «Io posso darti tutti i consigli che vuoi, posso farti una lista sul momento dei pro e dei contro di quei due, ma la decisione è solo tua. E non devi pensare a James, perché James non deve vivere condannato dalla tua scelta influenzata da lui. Insomma, devi scegliere quello che sia giusto per te, perché James, se ti vedrà felice, ne sarà entusiasta. È la tua vita quella su cui devi concentrarti, non quella di James. Tuo figlio ti amerà sempre, qualunque scelta tu faccia. È un bambino intelligente, forse ora non capirà i tuoi sentimenti e desideri, ma quando sarà grande, se tu avrai scelto con il tuo cuore e non con il suo, capirà e ti vorrà bene. Se ora lo usi solo per fare una scelta ovvia, e vivrai una vita triste, una vita di cui lui penserà essere colpevole, ti odierà. Mi... mi sono spiegato?»

Leo fissò Travis con attenzione, chiedendosi se quello fosse lo stesso ragazzo con il quale era uscito a bere qualche settimana prima. Gli aveva detto di scegliere Calipso, quella sera, e ora invece gli diceva di scegliere con il suo cuore. È vero, il fatto di James influenzava non poco la sua scelta, ma scegliere il bene per il proprio figlio non era la cosa migliore? Come poteva non farsi influenzare dal proprio figlio?

Leo bevve un sorso di birra, osservando James che urlava mentre Bryan lo colpiva alle spalle con l'acqua. Suo figlio aveva bisogno di qualcuno che gli voleva bene, qualcuno che lo amava quanto lui. E sia Calipso che Will lo amavano.

«Da quando è tornato, Will non mi ha chiesto di tornare insieme.» mormorò Leo. «Non mi ha detto di amarmi ancora, nonostante mi abbia detto che lo avrebbe fatto l'ultima volta che ci siamo visti due anni fa. Non mi ha detto che faccio male a sposarmi con Calipso. Non ha detto niente che possa farmi capire questo. Ma... ha rischiato di farsi ammazzare combattendo da solo quel figlio di Ares. Facendo questo, mi ha fatto immaginare che provasse qualcosa per me. E forse è così, ma non mi dice niente. Anzi, ora si sta frequentando con Connor.»

Travis si limitò a bere e ad ascoltare l'amico, senza dire una parola.

«Calipso, invece, si è impegnata tanto negli ultimi due anni. E ultimamente ha lavorato tanto per comprarsi l'anello e farmi la proposta.» continuò Leo. «La amo, stando con lei ho ritrovato quello che mi aveva spinto a salvarla da Ogigia. E più sto con lei, più mi rendo conto che voglio passare il resto della mia vita con lei. Certo, ci sono stati degli alti e bassi, ma ora le cose tra di noi vanno bene. Be', potrebbero andare meglio se non pensassi a Will.»

Leo si passò le dita tra i capelli. Calipso o Will? Will o Calipso?

A parte picchiare e quasi morire a causa di Bruno, Will non aveva fatto granché per fargli capire i suoi sentimenti. E magari non provava niente per lui. E ora si stava frequentando con un altro...

«Ehi ragazzi!»

Leo e Travis sussultarono al suono di quella voce e sollevarono lo sguardo. Leo deglutì alla vista di Connor Stoll, in un costume da bagno verde e un cappellino sulla testa. Portava gli occhiali da sole e una collana al collo con il simbolo di suo padre. Non aveva tatuaggi, ma Leo riconobbe diversi segni di succhiotto sul petto e sul collo.

«Connor!» salutò Travis, osservando il fratello. «Non ti vedo da un paio di giorni.»

Connor scrollò le spalle, posando lo zainetto sulla sdraio del fratello. Sollevò gli occhiali da sole, e guardò i bambini che avevano deciso di fare una tregua mentre ricaricavano le pistole ad acqua.

«Ho avuto da fare.» disse Connor, sedendosi vicino al fratello e sorridendo. «Katie mi ha detto che eravate in spiaggia e ho pensato di raggiungervi.»

«Hai fatto bene.» disse Travis, lanciando un'occhiata a Leo, improvvisamente ammutolito. Notò che l'amico stava fissando i succhiotti sul corpo di Connor e tossicchiò. «Volevi giocare con Lily, vero?»

«Oh sì.» sogghignò Connor, aprendo lo zainetto e prendendo due pistole ad acqua arancioni. «La stavo cercando in cabina, ora posso andare a prenderla.»

«Ricordati che ha sette anni.» disse Travis con un sospiro. «Ha sette anni, Conny, e tu no.»

Connor lo ignorò, infilandosi la seconda pistola nella tasca e si mise a correre verso la nipote. Leo e Travis lo guardarono mentre arrivava alle spalle di Lily, facendola girare e spruzzandogli l'acqua in viso. La bambina si mise a gridare e seguì lo zio, presto accompagnata dai due amici, decisi a vendicarla.

«Non so chi dei due sia più infantile.» disse Travis con un sorriso.

«Direi tuo fratello.» sorrise Leo.

Travis gli lanciò un'occhiata. «Probabile. Mh, allora? Ci stai pensando?»

Leo annuì. «Sì, ma... è difficile.»

«Perché non ti prendi qualche giorno per pensarci? Puoi dire che tuo padre ti ha chiamato per un'impresa e lasci il Campo per una o due settimane, il tempo di capire cosa vuoi.»

Leo si mordicchiò il labbro, pensando di poterlo fare.

«E se scegliessi Will?» disse il figlio di Efesto, voltandosi a guardare Travis. «E se lui non scegliesse me? Dopotutto, sta con tuo fratello.»

Travis lanciò un'occhiata a Connor, che correva ridendo seguito dai bambini.

«Dovrei parlare con Will.» aggiunse Leo. «Vedere cosa prova per me. O per Connor.»

«Dovresti farlo.» annuì Travis. «Così ti togli questo dubbio di dosso.»

Leo si ritrovò di nuovo ad annuire alle parole dell'amico, e rimase ad osservare il figlio seguire Connor Stoll insieme ai due amichetti. Sembravano divertirsi un mondo.

 

Connor tornò da loro dopo una decina di minuti, completamente bagnato. Si pulì il viso sull'asciugamano, sedendosi accanto a Leo.

«Giocano con l'acqua salata.» borbottò Connor, scoccando un'occhiataccia al fratello. «Potevate dirmelo.»

«Dovevi arrivarci da solo.» sghignazzò Travis. «Come farebbero altrimenti ad avere sempre l'arma carica?»

Connor scosse la testa, borbottando, e Leo si ritrovò a ridacchiare. I bambini gli avevano fatto bere un sacco di acqua, in quei dieci minuti di gioco. Notò di provare troppo piacere per quello e un po' si sentì in colpa. Ce l'aveva con Connor, o con Will?

«Papà, vieni qui!»

L'urlo di Lily fece sussultare i tre uomini, che si voltarono a guardare i bambini. James e Bryan si erano messi in coppia e seguivano Lily che correva verso di loro.

«Arrivo, piccola!» esclamò Travis, afferrando l'arma del fratello e raggiungendo la figlia. «Li annienteremo!»

Leo li guardò divertito, facendo il tifo per James e il figlio di Apollo. Correvano quasi più veloci di Travis, che stava cercando di arrivare al mare per poter ricaricare la sua pistola. Distolse lo sguardo dai bambini e scoprì che Connor lo stava guardando.

«Ehm...» mormorò Leo, a disagio. «Mi hai detto qualcosa?»

Connor scosse la testa e si sedette sulla sdraio di Travis. Leo avrebbe preferito che rimanesse al suo fianco: da lì, riusciva a vedere meglio i succhiotti di Will sul corpo del figlio di Ermes.

«Tuo figlio è bravo a giocare.» disse Connor, abbozzando un sorriso. «Mi ha colpito più lui che gli altri due.»

Leo ridacchiò. «Mi dispiace.»

Connor rise a sua volta e finì di asciugarsi i capelli. Posò l'asciugamano vicino a lui e osservò verso il mare, mentre Leo teneva gli occhi fissi su di lui, chiedendosi cosa ci avesse trovato in lui Will. Aveva un bel fisico, okay, ma rubava e scherzava peggio di Travis,

«Senti, Leo...» mormorò Connor, lanciandogli un'occhiata. «Scusa se te lo chiedo, ma... provi ancora qualcosa per Will?»

Leo aggrottò la fronte a quella domanda e per un momento pensò che il figlio di Ermes lo avesse sentito mentre parlava con Travis. Avrebbe dovuto fare più attenzione a quello che diceva in pubblico.

«Io... ehm...» mormorò Leo, in imbarazzo.

«Te lo chiedo perché da oggi, io e Will ci frequentiamo.» disse Connor, ignorando i suoi farfugli, con le guance arrossate in modo delizioso.

«Vi frequentate?» ripeté il figlio di Efesto, dopo qualche minuto di silenzio. «Da oggi?»

«Già...» Connor si passò la mano tra i capelli, sorridendo entusiasta. «Abbiamo parlato giusto prima. È la cosa migliore. Credo... credo di provare qualcosa per lui.» aggiunse, imbarazzato.

«Oh.»

Leo pensò alla chiacchierata con Travis. Ora era inutile parlare con Will, aveva fatto la sua scelta. E lui non era tra le opzioni.

Gli girava la testa. Perché scoprire che Will faceva sul serio con Connor lo faceva stare così male? Voleva avere Will a portata di mano per prenderlo a pugni, ma voleva colpire anche Connor e il suo sorrisetto soddisfatto. Per non parlare di sé stesso. Will era tornato al Campo da settimane, ormai. Avrebbe potuto parlare con lui già da tempo, ma aveva aspettato. E ora...

«Te lo dico perché sei mio amico.» si affrettò a dire Connor, guardandolo. «E non voglio che tu sia arrabbiato con me.»

«Non sono arrabbiato con te.» mormorò Leo, domandandosi da quando fosse amico di Connor Stoll. «Solace è il mio ex, è libero di fare quello che gli pare, come te.»

«Okay...» sospirò Connor, sorridendo. «Ah, sono così felice! Will è... è pazzesco.»

Leo annuì appena, sapendo di cosa parlava. Era bello, affascinante, divertente, con un corpo straordinario e faceva un lavoro che amava. Era l'uomo ideale per chiunque.

Ma non aveva nessuna intenzione di parlare di Will Solace con Connor. Non era pronto a quel tipo di conversazione. Non voleva confrontare la propria relazione passata con Will in compagnia di Connor. Preferiva parlare di Will con Nina o Travis, che lo avrebbero insultato, piuttosto che con lui che ora occupava il cuore di Will.

«Vado da Travis.» disse Leo, balzando in piedi prima di dare fuoco a qualcosa. O qualcuno. «Credo che abbia bisogno di aiuto.»

Connor guardò il fratello, circondato dai bambini. Pure Lily ora attaccava il padre. Non ebbe il tempo di dire nulla a Leo, perché il figlio di Efesto stava già correndo sulla sabbia in direzione dei bambini.

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Capitolo 51
*** 70. In arena ***


Will si svegliò quel mattino sul divano di Hazel, sentendo uno strano fastidio alla bocca. Impiegò qualche minuto ad aprire gli occhi e riconoscere la stanza. Sentì un rumore e un profumo di caffè provenire dalla piccola cucina e si mise seduto a fatica, passandosi una mano tra i capelli.

«Oh, la principessa si è svegliata.» lo prese in giro Leo dalla cucina, sorridendogli con in mano una tazza di caffè.

«Cosa..?» domandò Will, perplesso, guardando il ragazzo. Dovette sbattere le palpebre più volte per riconoscere Hazel. Come mai aveva pensato fosse Leo?

«Hai dormito tutta la mattina.» aggiunse Hazel, avvicinandosi a lui e porgendogli la tazza. «Dopo aver sporcato tutto il pavimento del bagno di vomito.»

«Oh...» Will socchiuse gli occhi, prendendo la tazza e annusando l'odore del caffè. «Io... io non mi ricordo proprio.»

Hazel lo guardò divertita, e gli sedette affianco. Gli passò una mano tra i capelli arruffati, cercando di sistemargli il solito ciuffo ribelle.

«Bevi il caffè.» disse Hazel, appoggiandogli la guancia sulla spalla. «E se provi l'impulso di rigettare, evita di farlo addosso a me.»

Will annuì e bevve un sorso di caffè, cercando di ricordarsi cosa fosse successo e perché fosse proprio lì, nella cabina di Ade. Si sforzò così tanto di ricordare che dovette smetterla per l'improvviso mal di testa.

«Hai bevuto un sacco, ieri sera.» mormorò Hazel, notando la sua espressione. «Con i figli di Dioniso. Una scena davvero raccapricciante, a parer mio.»

Will bevve altro caffè. «Dove... dove sono le pillole?» chiese, a fatica.

Hazel scosse la testa. «Non ho alcuna intenzione di aiutarti.» sbuffò lei. «Quelle pillole non te le darò. Hai voluto ubriacarti? Bene, ora ne paghi le conseguenze.»

Will annuì. Era proprio una cosa da Hazel. Finì il caffè e lo posò sul tavolino, appoggiandosi allo schienale del divano con gli occhi chiusi. Non si sentiva meglio. Aveva male alla mascella, alla bocca, gli bruciava la gola probabilmente per il troppo vomito, e la testa martellava.

Al suo fianco, Hazel continuò ad accarezzargli i capelli. Ogni minuto che passava, si sentiva più incline a cercare le pillole anti-sbronza nel cassetto del bagno, ma voleva punire Will per quanto accaduto. Non voleva fargliela passare liscia.

«Hai... pulito il bagno?» si sforzò di chiedere Will. Non si sarebbe sorpreso se l'amica avesse aspettato lui.

«Io no.» mormorò Hazel, storcendo il naso. «Ho chiesto ad Raul di farlo. E ho... ehm, accettato di uscire con lui, in cambio.»

Will riaprì gli occhi. La cabina girava sempre di più, ma non gli importò.

«Uscirai con un figlio di Ecate?» si ritrovò a dire.

«E la colpa è tutta tua.» disse Hazel, arrossendo, tirandogli i capelli. «Non accettava altri metodi di pagamento.»

«Oh...»

Hazel aspettò che l'amico aggiungesse un «Mi dispiace» o «Cavoli, non dovevi proprio accettare!» ma Will non disse niente. Sperò che si fosse zittito a causa dell'alcol, d non perché ne fosse felice.

«Mi porterà fuori dal Campo.» aggiunse Hazel, tirandogli un ricciolo. «Penso che mangeremo fuori.»

«Mh...»

«Ti farò sapere come andrà.» continuò la ragazza. «E se allungherà le mani. In quel caso, gli getterò addosso un po' di Foschia e scapperò negli Inferi.»

Will sorrise. «Lo lascerai ad Ade?»

«Non credo di essere così cattiva, ma... potrei farci un pensierino.»

Will ridacchiò e Hazel si alzò in piedi, prendendo una bottiglietta d'acqua e passandola all'amico. Will la aprì, grato, e ne bevve un lungo sorso. Le dita di Hazel tornarono sui suoi capelli e Will sorrise, abbassando la bottiglietta e guardando l'amica in viso.

«Raul è il figlio di Ecate carino, vero?» domandò e Hazel scrollò le spalle.

«So che è spesso in infermeria.» disse lei. «Non mi soffermo mai a guardare la bellezza degli altri.»

Will annuì appena, pensando che era passato solo qualche giorno da quando aveva fatto uscire Raul dall'infermeria. Ripensarci gli fece venire un groppo in gola. Era lo stesso giorno in cui aveva letto il taccuino di Leo e Travis, lo stesso giorno in cui si era sentito così giù ma aveva resistito per non rovinare la giornata ad Hazel.

«Allora, vuoi dirmelo?» gli chiese l'amica, studiandolo con attenzione.

«Che cosa?» domandò Will, fingendosi confuso.

«Il perché hai bevuto così tanto ieri sera.»

Will si strinse nelle spalle, bevendo un altro sorso d'acqua. Aveva fame, ma al tempo stesso la nausea. Voleva tornare a coricarsi e dormire per il resto della giornata.

«Non posso decidere di bere, per una sera?» domandò Will.

«Puoi, certo.» annuì la figlia di Plutone. «Ma non così come ieri. Sembravi disperato. O almeno sembrava che stessi cercando di affogare i tuoi pensieri nell'alcol.»

«Mh...»

«E non credo tu ci sia riuscito.» aggiunse Hazel, osservandolo. «O sbaglio?»

Will non rispose. Certo, aveva bevuto proprio per quel motivo, per affogare le sue preoccupazioni e i suoi pensieri su Leo, Calipso e il loro matrimonio. Gli mancavano anche i suoi fratelli, senza contare che il pensiero di star ferendo i sentimenti di Connor aveva contribuito. In più, mentre accettava la quinta birra, si era reso conto di essere sulla strada dei trent'anni, di avere così tanta voglia di sposarsi e al tempo stesso aveva paura di rimanere da solo.

«Hai anche mandato dei messaggi ai tuoi ex.» proseguì Hazel, prendendo il cellulare dalla tasca. «Me l'hai detto mentre vomitavi.»

«C-Cosa?» disse Will, impallidendo, prendendo il cellulare con mani tremanti.

«Già. Purtroppo era troppo tardi per cancellarli.»

Will andò subito nelle chat e quasi sorrise nel notare di non aver mandato nulla a Leo. Una piccola vittoria. Ma aveva scritto un messaggio a Mitchell piuttosto imbarazzante – “Perché con me non volevi fare sul serio? Cos'ho di sbagliato?!?” – e un altro a Greg – “La maggior parte dei miei ex sono sposati, lo sei anche tu??”. In più, come se non bastasse, ne aveva inviato uno pure a Nico Di Angelo, ma nulla di spaventoso, secondo lui – “Sei felice con Percy?”.

«Non credevo avessi scritto a Nico.» disse Hazel, sgranando gli occhi alla vista del messaggio.

«Già, spero non arrivi qui per uccidermi.» borbottò Will, guardando la chat di Mitchell. L'ex non gli aveva risposto, ma aveva visualizzato il messaggio. Greg, invece, gli aveva scritto di no, che era solamente sposato con il suo lavoro, ma accettava proposte. Will trattenne una risatina. Poteva tornare da lui, se si fosse sentito ancora così solo, in futuro.

Hazel gli tolse il cellulare prima che potesse fare qualcos'altro di cui pentirsi e fu tentata di tirargli uno schiaffo. Will tenne gli occhi chiusi, in attesa che la ragazza lo colpisse. Non voleva essere schiaffeggiato, ma lo avrebbe preferito al suo sguardo di fuoco.

«Credo che tornerò nella mia cabina.» borbottò Will.

«Dovresti.» annuì la ragazza. «Ma puoi rimanere qui. Ti ho preso dei vestiti questa mattina, se vuoi farti una doccia. E ti preparerò qualcosa da mangiare, appena ti sarà passata la nausea.»

Will le sorrise. «Ti amo, lo sai?» le disse.

«Lo so.» annuì Hazel, con un sospiro. «E ora vai, poi ne riparleremo.»

 

Will uscì dalla doccia mezzora dopo, sentendosi molto meglio rispetto a quando si era svegliato. Certo, il fatto di aver scritto a due dei suoi ex più Nico non lo rendeva di buonumore, ma bastava non pensarci. Nessuno dei tre era lì al Campo Mezzosangue, quindi non doveva aspettarsi di incontrarli.

«Ecco qui.» disse Hazel, posando un piatto pieno di pancakes sul tavolo. «Sono con la cioccolata, ma puoi aggiungerci la marmellata, se ti va.»

«Grazie.» Will finì di asciugarsi i capelli e si sedette, giocherellando con la forchetta prima di mangiare un pancakes. Era piuttosto affamato, ma mangiare adagio era meglio che buttarsi sul cibo com'era suo desiderio.

Hazel si sedette di fronte a lui, osservandolo mangiare come una mamma apprensiva. Di tanto in tanto sbatteva la forchetta contro il bicchiere, solo per il gusto di vederlo socchiudere gli occhi per il rumore eccessivo. Will decise di ignorarla.

«Quando uscirai con Raul?» domandò Will, mangiucchiando un pancakes.

«Questa sera.» disse Hazel. «Così poi non dovrò più pensarci.»

Il biondo le lanciò un'occhiata. «Hai almeno intenzione di dargli una chance?»

Hazel arrossì appena. «Non metto in dubbio che sia un bravo ragazzo.» borbottò. «Ma il mio cuore... è di un altro.»

Will la osservò, pensando che se mai avesse visto Frank Zhang, lo avrebbe picchiato per il modo in cui aveva lasciato una donna perfetta come Hazel. Chi altri avrebbe aspettato l'amore della sua vita con così tanta sicurezza, dopo dieci anni di abbandono?

Pensò a Leo. Lo avrebbe aspettato? Provava qualcosa per lui, d'accordo, non poteva non ammetterlo, ma non intendeva perderci altro tempo. Se Leo lo voleva, poteva fare qualcosa per farglielo capire, anziché sposarsi con Calipso.

«Be'...» mormorò Will, mangiando un terzo pancakes. «Perché non tieni il tuo cuore per lui mentre il tuo corpo...»

Hazel lanciò un grido e si infilò le dita nelle orecchie, prima che l'amico potesse finire di parlare. Will la guardò a bocca aperta e scoppiò a ridere. Non si era aspettato quel genere di reazione da parte di Hazel, e fu felice che l'amica non fosse cambiata.

 

 

Dopo quel pranzo che sapeva tanto di colazione, Will aiutò Hazel a cercare qualcosa di adatto per quella sera, qualcosa di non troppo appariscente ma neanche troppo da suora. Will fu felice della sua scelta e si fece promettere sullo Stige che l'altra lo avrebbe indossato quella sera, all'uscita con Raul. Hazel non ne sembrò molto felice, ma ormai era fatta.

Will ciondolò per un po' nel Campo, salutando Amy e le sue sorelle fuori dalla cabina di Afrodite. La ragazza gli dedicò un gran sorriso e Will fu tentato di chiederle come fossero andate le cose con Holly Victor, ma c'erano troppe figlie di Afrodite nei paraggi. Non voleva che gli facessero qualche proposta o che gli parlassero della sua vita disastrosa vita amorosa. Sapeva già da solo quanto facesse schifo.

Camminando si ritrovò nei pressi dell'Arena. Si bloccò. Non andava più da quelle parti da quando aveva combattuto contro Bruno Morgan. I ricordi di quel momento tornarono prepotenti: ricordava ogni colpo subito, ogni parola che Bruno gli avesse detto, le sue labbra ruvide contro le sue. La tentazione di afferrare un'arma e spaccare ogni cosa si fece strada in lui, ma non ne aveva le forze. Voleva andarsene da lì.

«Ciao, Will.»

Will sussultò e si voltò, incrociando gli occhi scuri di Clarisse Le Rue. La ragazza era da sola, con una spada in mano. Doveva aver da poco finito un lungo allenamento.

«Ehi, Clarisse.» la salutò Will, fissando la spada.

«Tutto okay, figlio di Apollo? Sei un po' pallido.» notò Clarisse.

Will scrollò le spalle. L'ultima volta che si era trovato da solo in Arena con un figlio di Ares non era andata per niente bene. Decise di non dirlo ad alta voce, dopotutto la ragazza di fronte a lui era armata.

Ma Clarisse capì lo stesso. Mise via la spada e si passò un fazzoletto sul viso, per togliere via le ultime gocce di sudore.

«Non pensavo che ti avrei mai visto da queste parti.» disse Clarisse, avvicinandosi al tavolo delle armi e sedendosi. «Vuoi allenarti con qualche arma?»

«No, stavo solo facendo una passeggiata.»

Will e Clarisse si scrutarono con attenzione, uno pronto a correre nel caso l'altra si fosse dimostrata violenta, l'altra pronta a scappare se l'altro avesse provato a piangere in sua presenza.

«Come sta Chris?» domandò Will.

«Sta bene.» annuì Clarisse, con un sorrisetto. «Sta dormendo, è stato in missione tutta la notte.»

«Che genere di missione?»

«Un paio dei suoi fratelli si sono persi vicino al Bosco di Dodona e lui è andato a cercarli.»

«Oh. Li ha trovati?»

«Certo, Chris riesce sempre a fare tutto quello che si mette in testa.»

Will guardò la vecchia amica, sentendo male al petto. Ecco un'altra persona innamorata, fiera della propria vita, del proprio matrimonio. Lei e Chris erano sposati già da cinque anni, e non avevano voluto vivere fuori dal Campo. La vita là fuori non faceva per loro.

Non avevano figli. Will era uno dei pochi a conoscere le difficoltà della figlia di Ares di concepire, e non ne aveva mai fatto parola con nessuno. Come non aveva mai parlato di quando Clarisse, anni prima, aveva pianto sulla sua spalla, abbattuta dall'idea che non avrebbe mai dato un figlio al marito. Ogni volta che qualcuno partoriva, Clarisse era una delle prime a vedere il bambino. Come zia, era bravissima, ma Will era certo che, come madre, avrebbe superato chiunque lì al Campo Mezzosangue.

«Allora, Will...» mormorò Clarisse, osservandolo con attenzione. «Come stai?»

«Sto bene.» annuì Will, infilandosi le mani in tasca.

«Mi dispiace...»

«Lo so.» si affrettò a dire il biondo, bloccandola. «Davvero.»

Clarisse sospirò e rimase a guardarlo. Will le sorrise. Gli era sempre piaciuta la figlia di Ares, con i suoi modi bruschi e gli scatti di rabbia improvvisi. Ricordò quando l'aveva afferrato per il colletto e trascinato in infermeria per aiutare Melly a partorire. Non era un ricordo piacevole, ma dopotutto non aveva fatto quasi altro nella vita.

«Ti va di allenarti un po'?» domandò Clarisse, scendendo dal tavolo e prendendo le spade di legno da allenamento. «Con queste, così non ti fai la bua.»

Will fece una smorfia. «D'accordo. Ma sappi che non ci andrò piano con te.»

Clarisse scoppiò a ridere, e continuò a sghignazzare per tutta la durata dell'allenamento.

 

Era ormai passata un'ora quando Will decise di concludere l'allenamento. Clarisse lo aveva colpito su braccia e gambe, e Will immaginò che di lì a qualche ora, avrebbe avuto la pelle ricoperta di lividi. Ma anche lui era riuscito a colpire la figlia di Ares un paio di volte, e voleva scappare prima che la ragazza decidesse di fargliela pagare.

«Vai in infermeria?» domandò Clarisse, massaggiandosi il braccio con una strana luce negli occhi.

«Sì, prima che mi ci mandi tu.» sbuffò Will, mettendo via la spada di legno.

Clarisse sogghignò. «D'accordo. Allora ci vediamo, Solace.»

Will ricambiò il saluto e si allontanò, mentre alle sue spalle Clarisse riprendeva il suo allenamento da sola. Non si voltò a guardarla perché un'ombra tra gli alberi attirò la sua attenzione. Si avvicinò, curioso, e sorrise nel riconoscere Connor.

«Ciao.» si salutarono, e Connor ricambiò il sorriso.

«Sono venuto a cercarti in infermeria.» aggiunse il figlio di Ermes, lanciando un'occhiata in direzione di Clarisse. «E non ti ho trovato.»

«Ho fatto una passeggiata.» disse Will, passandosi una mano tra i capelli. «E sono finito qui. Con Clarisse.»

«Sì, vi ho visto. Sembravate un po' aggressivi.»

«No, non lo eravamo.»

Connor scosse la testa, divertito, e Will pensò all'allenamento con Clarisse. Forse erano stati un po' aggressivi l'uno con l'altra, dopo i primi colpi, ma tutto sommato non era andato male. Una parte di Will si era anche divertita. Per una volta faceva qualcosa di diverso dallo stare tutto il giorno in infermeria.

«Come mai mi stavi cercando?» domandò Will, osservando l'altro. Era strano vederlo all'infuori della sua camera da letto. «È successo qualcosa?»

Connor fece un cenno in direzione del Campo. «Ti va una passeggiata?»

Will annuì e si incamminò al fianco di Connor, lanciandogli occhiate di continuo, sorpreso da quello strano comportamento. Forse il figlio di Ermes voleva dare un taglio alla loro relazione. Lo avrebbe capito, naturalmente. Perché voler stare con lui? Soprattutto dopo che avevano parlato e chiarito la loro relazione. Hazel si sbagliava, dopotutto. Connor non aveva nessuna cotta per lui...

«Come stai?» domandò Connor, guardando il biondo. «Ho visto Clarisse colpirti...»

«Sto bene.» annuì Will, abbozzando un sorriso. «Clarisse non mi ha fatto molto male.»

Connor sorrise a sua volta e gli toccò il braccio, nello stesso punto dove la lama di legno della figlia di Ares era calata. Vide Will sobbalzare e spostarsi, portandosi una mano al braccio con fare protettivo.

«Okay.» borbottò Will. «Questo ha fatto male.»

«Lo immaginavo.» sghignazzò il figlio di Ermes. «Ti ho visto fare una smorfia, prima.»

«Ci stavi osservando da molto?» si incuriosì il biondo.

«Mh, sì, da quando lei ti ha raggiunto. Volevo venire in tuo soccorso, ma ho notato che ti stavi divertendo.»

«Sono pur sempre un semidio.» gli fece notare il figlio di Apollo. «Combattere è anche nella mia natura, sebbene non si direbbe.»

«Okay, sei bravo con la spada, sebbene fosse di legno.»

«Ho avuto dei bravi insegnanti.» mormorò Will, pensieroso, e sospirò. «Allora, Conny, di cosa vuoi parlarmi?»

Connor si guardò attorno. Si erano allontanati dall'Arena e dalle cabine del Campo, diretti verso il campo di fragole. Forse potevano parlare mentre si gustavano una fragola dopo l'altra... Lo avrebbe imboccato volentieri, con una, dieci, cento fragole.

«Volevo parlarti di noi.» disse Connor, dopo qualche altro minuto. Non riusciva a guardare il biondo negli occhi chiari, quindi si limitò a fissare le fragole a qualche metro di distanza.

«Okay.» annuì Will, mettendosi a braccia conserte. «Avanti, dimmi quello che devi.»

Will si rilassò, deciso a non mostrare né la paura né la delusione per le parole che presto l'altro gli avrebbe detto. Se Connor si era davvero deciso a darci un taglio, Will decise che non ci avrebbe più provato con nessun altro. Avrebbe vissuto il resto della sua vita da solo, magari con Hazel. Avrebbero comprato una casa insieme. Forse come coppia di amici potevano anche adottare un bambino oppure, più probabile, un gatto.

«So che ne avevamo già parlato, ma...» Connor si mordicchiò il labbro, sollevando lo sguardo e incrociando gli occhi azzurri di Will. «Ecco, volevo parlare di nuovo di noi.»

«L'hai già detto.»

Connor deglutì. Quegli occhi lo mettevano in soggezione. E anche l'espressione indecifrabile del figlio di Apollo non contribuiva. «Volevo chiederti se tu provi qualcosa per me.» finì di parlare Connor. «Perché io provo qualcosa per te.»

Will sussultò a quelle parole, e la voce di Hazel nella sua testa si mise a ridere. Riusciva quasi a vederla mentre si dava il cinque da sola.

«Come?» disse Will.

«Provo qualcosa per te.» mormorò Connor, arrossendo. «Volevo che tu lo sapessi.»

Will continuò a fissarlo. Non riusciva a crederci...

«Ma...» balbettò Will. «Ma...»

«Non provi lo stesso per me, e va benissimo.» lo anticipò Connor, trattenendo la delusione. «Insomma, è colpa mia, avevo detto niente sentimenti, ma... è impossibile stare in tua compagnia così a lungo e non provare niente. Sei... una bravissima persona, sei speciale. E io... mi sono preso una cotta per te come una stupida ragazzina. Se non vorrai più parlarmi lo capisco, e credo che sia meglio smettere di vederci. Non posso continuare ad essere il tuo trombamico, ci resterei troppo male. E vederti con un altro potrebbe spezzarmi. Quindi Will, penso sia il caso...»

Will continuò a guardarlo, in attesa che Connor finisse di parlare, ma il figlio di Ermes ammutolì per le troppe emozioni. Non voleva finirla con lui, ma ormai era tardi, Connor aveva confessato i suoi sentimenti ed era in imbarazzo per averlo fatto. Lo capiva. Non gli era successo lo stesso con Nico Di Angelo? Non gli aveva fatto una bellissima dichiarazione d'amore? Dichiarazione inutile, visto quello che Nico voleva dirgli?

Prima di capire quello che stesse facendo, Will posò la mano sul viso di Connor e lo guardò negli occhi. Pensare a Nico gli aveva fatto tornare in mente tutto quello che aveva provato per lui, e la sofferenza che ne era scaturita quando aveva scoperto di Percy. E gli tornò in mente anche Leo, con il suo amore così intenso per Calipso.

Erano tutti innamorati, erano tutti felici, e lui era lì, da solo, a soffrire. Qualche giorno prima aveva pensato di poter essere felice, se solo si fosse lasciato il passato alle spalle. E Connor non era la persona perfetta per questo?

Senza una parola, Will gli passò le dita sotto il mento e lo attirò verso le sue labbra. Le guance di Connor si arrossarono prima ancora che si toccassero e Will lo baciò, con tutta la dolcezza di cui era capace. Prese una mano nella sua, stringendola, accarezzandola.

«Provo anch'io qualcosa per te.» mormorò Will contro le sue labbra, e Connor lo guardò, felice e sorpreso al tempo stesso.

Connor lo baciò di nuovo, portandogli il braccio libero attorno al collo. Will lo strinse contro di sé, senza riuscire a capire se provasse davvero qualcosa per lui o se lo avesse detto solamente per non perderlo.

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Capitolo 52
*** 70.5 L'appuntamento di Hazel ***


Quando Will uscì dalla cabina, Hazel rimase per un attimo a guardarlo, mordendosi il labbro. Voleva seguirlo e prenderlo a calci nel didietro per avergli strappato una promessa giurata sullo Stige. D'accordo, l'abito che Will aveva scelto per lei era carino, ma non era adatto ad un'uscita. Perché non poteva indossare un paio di jeans e una felpa larga? Perché doveva vestirsi bene?

Un'uscita che non significava niente e che non doveva significare niente nemmeno per Raul Aviles, figlio di Ecate. Aveva accettato di uscire con lui solo perché aveva bisogno del suo aiuto per eliminare le tracce di vomito lasciate da Will nel suo bagno. Se l'avesse fatto lei, sicuramente avrebbe rigettato a sua volta, peggiorando la situazione.

Con un sospiro, Hazel si allontanò dalla porta e si avvicinò al divano, ripiegando la coperta. Si sentiva un po' stordita, e fu tentata di rimandare l'uscita. Ma il problema era proprio questo: il pensiero di dover uscire con un uomo la faceva stare male. Non voleva uscire con Raul, non voleva ritrovarsi da sola con lui. Certo, era un bravo ragazzo, lo conosceva da settimane ormai, da quando era tornata al Campo con Will. Aiutava lui e i suoi vari fratelli con le pozioni, gli amuleti, e tutto ciò in cui poteva aiutare con le sue conoscenze. L'aveva fatta ridere in più di un'occasione, ma lo considerava soltanto un amico, un collega.

Hazel si sedette sul divano, stringendo la coperta, lasciando scivolare lo sguardo su e giù per la stanza. Certe volte si sentiva così sola che le veniva voglia di piangere, un po' come in quel momento. Voleva raggomitolarsi sul divano, nascondersi sotto la coperta, e piangere pensando a lui.

Frank Zhang.

Non lo vedeva da quasi dieci anni.

L'ultimo ricordo che aveva di lui era anche il peggiore.

 

Frank la guardò negli occhi, tenendole una mano sulla guancia. La sua pelle era così calda, e il suo profumo così delizioso che Hazel impiegò qualche secondo a capire cosa le stesse dicendo.

«Mio padre vuole che parto per una missione.» mormoò Frank, accarezzandole le guance. «Devo partire oggi stesso.»

«Non puoi andartene così.» sussurrò Hazel, gli occhi puntati in quelli scuri. Sentiva il proprio cuore battere all'impazzata mentre il gelo cominciava a farsi strada dentro di sé.

«Mi dispiace, Haz, ma devo andare.»

Frank tolse la mano dalla sua guancia e si alzò in piedi. Andò all'armadio e prese una borsa grande, color verde militare, e cominciò a riempirla.

«Lasciami venire con te.» disse Hazel, alzandosi a sua volta. «Non puoi partire da solo.»

«Ma non sarò solo.» disse Frank, senza guardarla. «Anche sei dei miei fratelli hanno ricevuto la chiamata.»

Hazel lo guardò, spaventata. Sette romani, figli di Marte, erano stati chiamati dal dio in persona? Non era un buon segno, non era di buon auspicio. Era spaventoso, rischioso.

«Cosa dovete fare?» domandò Hazel, guardando Frank mentre faceva avanti e indietro per la stanza, prendendo vestiti e medicinali. Ne tenevano un po' nel cassetto per ogni evenienza.

«Non posso dirti niente.»

«Non puoi dirmi niente... o non sai niente?»

Frank non le rispose. Si limitò a chiudere la borsa e a sollevare lo sguardo su di lei. Hazel riconobbe la paura in quegli occhi scuri che amava così tanto, e anche parecchia determinazione.

«Devo andare, ora.» mormorò, avvicinandosi a lei. Le prese il volto tra le mani e la baciò, un bacio che sapeva tanto di addio.

«Fai attenzione.» sussurrò Hazel, passandogli le braccia attorno alle spalle. «Ti prego, Frank, fai attenzione.»

Frank sorrise contro le sue labbra e la baciò ancora, con passione. Hazel sperò che quel bacio non finisse mai, ma il ragazzo si spostò da lei.

«Tornerò presto da te.» le disse, baciandola sulla fronte con dolcezza. «Tornerò presto.»

 

Ripensando a quell'ultimo giorno insieme, Hazel si lasciò scappare uno sbuffo. Tornerò presto. Esistevano bugie peggiori? Odiava quelle parole, odiava quando qualcuno provava a parlare di tempo con lei. O quando le dicevano “andrà tutto bene”... Come poteva andare bene, se ormai Frank era sparito da un decennio? Non aveva più avuto sue notizie, neanche un messaggio Iride o una chiamata. Era scomparso, come i suoi sei fratelli. Gli altri, quelli rimasti al Campo Giove, non avevano più avuto loro notizie.

Hazel si passò una mano tra i capelli, con un sospiro. L'unica cosa certa era che Frank non era morto. Lo avrebbe sentito. E Nico anche. Le aveva già promesso che, se avesse percepito qualcosa su Frank, l'avrebbe informata. Purtroppo non sentiva Nico da mesi, nonostante gli avesse spedito diversi messaggi. Il fratello non l'aveva più cercata da quando era andata via con Will, forse perché sapeva che nelle mani del biondo era al sicuro.

Hazel fu sul punto di sospirare per l'ennesima volta, ma si trattenne. Era stufa di sospirare, come di aspettare. Avrebbe affrontato quella serata sperando che Raul si comportasse bene nei suoi confronti, e in caso contrario avrebbe chiamato Will per farsi salvare.

Afferrò il computer e passò il resto del pomeriggio a guardare film dei supereroi Marvel. Il piccolo James non faceva altro che parlarne quando lo incontrava, e ormai si era incuriosita.

 

Quando ormai mancava solo più un'ora all'appuntamento, Hazel spense il pc e si alzò dal divano, dirigendosi in bagno, spogliandosi non appena chiuse la porta. Era più forte di lei, sebbene fosse sola nella cabina di Ade. Quando viveva con Will, non sempre il biondino chiudeva la porta, e Hazel aveva preso l'abitudine di bussare anche quando era certa che Will fosse al lavoro.

L'acqua calda della doccia schiarì i suoi pensieri. Hazel rimase qualche minuto con gli occhi chiusi, lasciandosi scaldare. Non sapeva più se pensare a Frank o a Raul, quindi decise di cantare sotto la doccia, in modo da allontanare qualsiasi pensiero su quei due uomini. Cantò tutte le canzoni che riusciva a ricordare di Taylor Swift, scacciando dalla mente tutti i concerti ubriachi di Will con la spazzola in mano.

Quando ebbe finito la doccia, Hazel afferrò l'accappatoio e vi si infilò dentro. Guardò in direzione dello specchio, cercando di scorgere la sua figura, senza successo. Si asciugò, chiedendosi se Raul fosse già pronto o se si stesse preparando proprio come lei.

Mentre si asciugava i capelli, Hazel si rese conto che Raul doveva provare qualcosa di forte nei suoi confronti. Chi altri si sarebbe offerto di togliere il vomito dal suo bagno altrimenti? Cercò di pensare se gli avesse mai fatto capire che poteva starci, ma non era sicura. Si comportava in modo amichevole con tutti, soprattutto con Will e i suoi fratelli. Forse aveva fatto qualcosa di diverso con Raul, qualcosa che gli aveva fatto capire di poter avere una chance nei suoi confronti.

Quando i capelli furono asciutti, Hazel uscì dal bagno e si diresse nella sua camera. Guardò i vestiti che Will aveva scelto per lui e si ringraziò per non avergli fatto scegliere la biancheria. Fu tentata di chiedere a suo padre una cintura di castità, ma evitò. Era tardi per quella. Si infilò le prime cose che trovò nel cassetto e borbottò tra sé quando prese il vestito azzurro. Se non l'avesse indossato, il giuramento sullo Stige le si sarebbe ritorto contro. E conoscendo la sua fortuna, poteva finire per innamorarsi di Raul Aviles e vederlo scomparire nel giro di qualche mese. Se l'avesse indossato, però, era certa che a fine serata il giuramento si sarebbe sciolto, lasciandola ibera di poter tornare a casa e cambiarsi. Non vedeva l'ora che arrivasse quel momento.

Una volta vestita, Hazel si guardò allo specchio, cercando di sistemarsi i capelli. Una volta Will le aveva detto che con quei riccioli biondi somigliava molto a River Song. Hazel, che sapeva a chi si stesse riferendo l'amico, decise di non dargli peso. Le piaceva River Song, sebbene fosse sicura di non avere molto in comune con lei, a parte i riccioli.

Quando, alle sette e mezza in punto, sentì bussare alla porta, Hazel sussultò. Si affrettò a raggiungere l'armadio del fratello e prese una delle sue vecchie giacche di pelle, sicura che Nico non se la sarebbe presa. La indossò, sentendo il vecchio profumo di Nico e si rilassò. Quella sera avrebbe portato con sé il fratello, che lui lo sapesse o meno.

Hazel aprì la porta e rimase per un attimo incantata di fronte all'espressione di Raul Aviles. Il figlio di Ecate la guardava come se non avesse mai visto una ragazza più bella di lei. E Hazel si sentì piuttosto lusingata di quello sguardo, pensando che erano ormai anni che nessuno, oltre Will, la guardasse in quel modo.

«Ciao, Hazel.» la salutò Raul, senza smettere di guardarla. «Sei bellissima.»

«G-Grazie.» balbettò Hazel, imbarazzata. Avrebbe dovuto chiedere a Will qualche consiglio. Cosa doveva rispondere ad una frase del genere? Ma soprattutto, di cosa avrebbero parlato per il resto della serata?

«Ehm, bella camicia.» aggiunse Hazel, decidendo che rispondere al complimento con un complimento fosse la strategia migliore.

Raul sorrise e le tese il mazzo di tulipani che teneva in mano. «Li ho visti e ho pensato subito a te.»

Hazel fissò i tulipani, cercando di trovare una risposta adatta. Erano dei fiori bellissimi, e profumavano molto. Li prese, accettandoli con un sorriso, e scoprì che le tremavano le mani.

«Sono meravigliosi.» disse. «Li... li porto dentro, arrivo subito.»

Raul annuì e Hazel si affrettò ad andare in cucina, recuperando un barattolo di marmellata vuoto e riempiendolo d'acqua. Si lanciò un'occhiata alle spalle, scoprendo di aver lasciato la porta aperta. Ma Raul non si era mosso dalla soglia e stava osservando il Campo, lasciandole un po' di intimità.

Hazel infilò il mazzo di fiori nell'acqua e prese la borsetta vicino alla porta, cercando di ricordare quando fosse uscita l'ultima volta per un appuntamento. Frank la portava sempre in un milione di posti diversi, facendola trovare unica e affascinante. Era da tanto tempo che non si sentiva più così.

«Possiamo andare?» le chiese Raul osservandola mentre chiudeva la porta alle spalle.

«Sì.» annuì Hazel, stringendosi nella giacca di pelle. Non sentiva freddo, solo un po' di paura. Non per la prospettiva di passare la serata con un ragazzo che non le piaceva, ma perché aveva ripreso a sentirsi come una donna. Voleva essere corteggiata, amata. E non lo era stata per moltissimo tempo. Forse, aspettare non era più una gran idea...

 

Uscirono dal Campo a bordo della Spider rosso fiammante di Lou Ellen. Adorava le auto cabrio e Hazel capì presto il perché. Il vento che le sferzava i capelli durante il viaggio era meraviglioso, la faceva sentire libera.

Durante il tragitto, Raul tenne gli occhi fissi sulla strada, ma le chiese dove volesse andare a mangiare. Discussero per un po' e alla fine optarono per un ristorante italiano, non molto lontano dal luna park dove decisero di andare dopo cena.

Ad Hazel piacque l'atmosfera giocosa del locale, per niente romantica. E le piacque che Raul non le facesse domande troppo intime durante la cena. Parlarono del Campo Giove, di Nuova Roma, delle grandi differenze tra semidei greci e romani. Le guerre romane erano preparate e precise, quelle greche... be', l'obiettivo era sopravvivere e colpire per primi.

Raul pagò la cena, nonostante le proteste di Hazel, che decise di offrire il dolce in un locale poco distante, che vendeva cheesecake alla frutta, le sue preferite. Di nuovo si ritrovarono uno di fronte all'altra e Hazel non poté fare a meno di notare i scintillanti occhi violacei del figlio di Ecate.

«Ho due fratelli umani.» disse Raul, rispondendo all'unica domanda personale che Hazel si sentì in grado di fare. Parlare dei propri fratelli doveva essere un territorio neutro. Poi ricordò il suo, e si maledì per averli tirati in ballo. «Javier e Pablo. Siamo portoricani, loro vivono a San Juan con la madre mentre io mi sono trasferito qui con nostro padre.»

«Oh... e lo vedi spesso?»

«L'ultima volta che l'ho visto è stato un anno fa, quindi direi di no.» Raul abbozzò un sorriso. «È più sicuro per entrambi, rischio di metterlo in pericolo con la mia sola presenza. Però ci sentiamo spesso per telefono.» Raul prese un altro pezzo della sua cheesecake al cioccolato. «E tu, invece? Hai fratelli?»

«Ho solo Nico, che tu conoscerai di certo.» mormorò Hazel, chiedendosi quanta torta potesse mettersi in bocca per non rispondere.

«Oh sì, lo conosco. Non vi somigliate molto.»

Hazel sorrise. «Mamme diverse.» gli ricordò, poi aggiunse: «E anche nostro padre. Lo stesso dio, ma... con due lati diversi.»

Raul annuì, divertito. «E Nico come sta? Non lo vedo al Campo da molto.»

Hazel pensò a suo fratello, a Percy Jackson, alla loro storia... Nemmeno lei lo vedeva da tanto tempo, da quando era partita con Will due anni prima. Le si strinse il cuore al pensiero, ma non voleva disturbare Nico.

«Sta bene.» mentì Hazel, senza sapere se fosse vero. «È lontano da qui.»

«A Nuova Roma, giusto?»

Hazel annuì, giocherellando con la forchetta. Finì di mangiare la cheesecake alla frutta, guardandosi attorno. Si erano allontanati dalla Spider, ma si erano avvicinati al Luna Park. Riusciva a sentire la musica sparata a tutto volume.

«Andiamo alle giostre?» domandò Raul. «O... al cinema?»

«Preferisco le giostre.» ammise Hazel, con un sorriso, felice che avessero cambiato argomento. «Non ci vado da... da un sacco di tempo.»

Era stata alle giostre dieci anni prima, con Frank Zhang. Il ricordo poteva anche essere doloroso, se non fossero stati presenti Leo Valdez e Calipso. Era uno degli ultimi giorni mortali di Leo, chissà se il figlio di Efesto se lo ricordava.

«Allora vada per le giostre.» disse Raul, portando una mano al portafogli prima di ricordare che la ragazza aveva già pagato.

Fianco a fianco, camminarono verso le giostre. Parlarono di libri, scoprendo di averne letti molti in comune, ed Hazel fu entusiasta di aver trovato un uomo che non si vergognava di leggere romanzi d'amore. Se solo fosse stata pronta a rinunciare a Frank, forse Hazel avrebbe pensato all'aspetto piacevole di Raul.

Quando arrivarono all'entrata del Luna Park, fecero a gara per pagare il biglietto e vinse Raul perché, con un piccolo colpetto di magia, aveva fatto in modo che la borsa di Hazel non riuscisse ad aprirsi. Lei rise per il suo gesto e decise di rilassarsi. Ormai aveva inquadrato Raul, un uomo dolcissimo che si sentiva in dovere di pagare per il semplice fatto di averla invitata, nonostante Hazel gli avesse fatto rimuovere indecenti quantità di vomito dal pavimento del bagno.

«Cosa ti va di fare?» domandò Raul, guardandosi attorno.

Hazel individuò gli autoscontri, lo stand con le pistole, la ruota panoramica... «Un po' di tutto.» disse la figlia di Plutone, lasciando Raul sorpreso e piuttosto compiaciuto.

 

Più il tempo trascorreva, più Hazel si rendeva conto di non essersi mai divertita tanto nella sua vita. Certo, uscire con Will era sempre stato piacevole e il biondino l'aveva sempre trattata bene. E molte delle uscite con Frank erano ormai sbiadite dalla sua memoria. Si divertiva anche con Nico, quando il fratello era in vena di scherzi, ed era formidabile sentirlo ridere.

Ma con Raul... era diverso. Era sé stessa, felice e libera come non si sentiva ormai da tempo. Forse perché Raul era una persona nuova, diversa da quelle che frequentava di solito. Oltre Will e i figli di Apollo, Piper e Annabeth, qualche volta Reyna e Lou Ellen, non aveva molti amici e non le piaceva conoscere gente nuova, soprattutto uomini che potevano farle proposte indecenti. Con Raul era semplice divertirsi.

Hazel riuscì a colpire tutti i barattoli nella postazione di tiro al bersaglio e vinse il peluche di un pinguino, che si tenne ben stretta mentre salivano sulla ruota panoramica. Non le piacevano le altezze, ma finché era in compagnia di Raul poteva farlo. Senza contare che con un po' di foschia, non avrebbe notato la distanza da terra.

«È bellissimo da quassù.» mormorò Hazel, stringendo il pinguino e osservando la città illuminata sotto di loro. Le venne solo una leggera contrazione allo stomaco per l'altezza, ma nulla di irrisolvibile.

«Già.» disse Raul, lanciando solo una rapida occhiata alla città, prima di tornare a guardare lei.

Hazel sentì su di sé lo sguardo dell'uomo e si ostinò a guardare in basso. Il cuore le batteva rapidamente nel petto, e i suoi pensieri vorticavano. Da un momento all'altro Raul l'avrebbe baciata... e la cosa terribile era che, probabilmente, le sarebbe piaciuto.

Raul le sfiorò la mano con la quale stringeva il pinguino. «Vuoi che lo tenga io?» mormorò il figlio di Ecate e Hazel sbatté le palpebre, sollevando lo sguardo su di lui. Il momento magico era finito e Hazel si rese conto che lui non l'avrebbe mai baciata. Temeva un rifiuto. Se desiderava così tanto il bacio, doveva soltanto... essere lei a baciarlo.

A quel pensiero, Hazel capì che non sarebbe mai accaduto. Non avrebbe mai baciato un ragazzo diverso da Frank Zhang. Poteva pensare di essere superiore, di non aver bisogno di un uomo qualsiasi per vivere, ma... Frank non era una persona qualsiasi. Era il ragazzo che l'aveva fatta innamorare, il ragazzo che aveva rischiato di perdere... e che poi era sparito. Finché non avesse saputo che fine avesse fatto – che fosse morto o felice con un'altra donna – non l'avrebbe mai superata.

E c'era davvero qualcuno che pensava fosse vero amore?

 

Quando scesero dalla ruota panoramica, Hazel disse di non sentirsi molto bene e si diressero al parcheggio dove ore prima avevano lasciato la Spider. Era stata una bella serata, e l'avrebbe ripetuta volentieri, se solo fosse capace di rinchiudere i pensieri su Frank Zhang in una scatola e lasciarla cadere nelle profondità dell'oceano. Avrebbe chiesto scusa a Nettuno per un tale affronto.

In un libro, Hazel aveva letto di questa scatola nella mente dove il piccolo protagonista chiudeva i ricordi del padre. I ricordi erano sempre lì, nella scatola, se solo avesse deciso di riprenderli. Ma lei aveva paura di non averne la forza.

In macchina, pur per non lasciare che il silenzio avesse la meglio su di loro, Raul le parlò di uno suoi passatempi preferiti, ovvero la musica. Adorava suonare il clarinetto, sebbene non fosse capace come un figlio di Apollo. Lo suonava ogni volta che si trovava da solo in cabina o nella foresta, vicino al Pugno di Zeus.

«Non te ne devi vergognare.» si ritrovò a dire Hazel, archiviando i pensieri di Frank e sorridendo a Raul. «Conosco i figli di Apollo, possono sembrare sicuri e pieni di sé, un po' pomposi e fastidiosi, ma se gli dici che ti piace suonare, ti daranno una mano e ti incoraggeranno. Suonare è il passatempo di molti.»

«Ed è anche il tuo passatempo?»

Hazel scosse la testa. «L'unica cosa che suono è la testa di Will quando mi fa arrabbiare.»

Raul scoppiò a ridere a quelle parole e Hazel arrossì, compiaciuta di aver fatto una battuta apprezzata. Avrebbe chiesto scusa a Will non appena lo avesse visto.

«Tu e Will...?» domandò Raul, mentre entravano al Campo.

«Siamo amici.» lo bloccò Hazel, prima che potesse insinuare dell'altro. «È il mio migliore amico.»

«Lo so, volevo chiederti se lo siete da tanto.»

Hazel aggrottò la fronte, riflettendo a quelle parole. «Direi di sì.» annuì la ragazza, lentamente. Dopo lo scontro di Gea, Will aveva passato molto, moltissimo tempo con suo fratello Nico, e Hazel aveva finito per diventare sua amica, visto che Will non aveva la tendenza ad andarsene quando la vedeva arrivare. Hazel aveva capito subito i sentimenti di Will verso Nico, e si pentiva di non avergli mai parlato di Percy. Nel corso degli anni, la loro amicizia era diminuita, ma poi si era rafforzata.

Hazel si ritrovò a pensare che Will fosse l'unica persona che era rimasta al suo fianco negli ultimi dieci anni. Certo, per un periodo non si erano parlati, ma poi avevano recuperato ogni momento. Will era un libro aperto per lei, ed era certa che, se il figlio di Apollo fosse stato realmente interessato a lei, Hazel in quel momento non avrebbe più pensato a Frank se non come un ex ormai passato e dimenticato.

«Mi piace Will.» disse Raul, fermando la macchina. «È sempre gentile con me in infermeria, anche quando non me lo merito e ha lo sguardo che mi fa capire che vorrebbe prendermi a schiaffi.»

Hazel ridacchiò. «Usa spesso quello sguardo.»

Raul rise a sua volta e uscì dalla macchina. Hazel fece lo stesso, pensando a quanto fosse tranquillo il Campo durante la notte. Ormai le arpie non giravano più da molti anni, perché altrimenti avrebbero portato via un sacco di semidei.

«Ti accompagno in cabina.» disse Raul, offrendole il braccio, e Hazel lo accettò dopo un attimo di esitazione. Dopotutto non si sentiva bene, nonostante il viaggio in macchina, e le risate, l'avessero rinvigorita.

«Ti ringrazio, Raul.» mormorò Hazel, stringendo il pinguino con la mano libera. «Sei... davvero molto gentile. Ti ringrazio per questa splendida serata.»

Raul non disse niente mentre dal parcheggio comune dei semidei si dirigevano alla cabina 13. Non c'era nessuno nei dintorni, ma Hazel riusciva a sentire la musica provenire dalla spiaggia. Qualcuno doveva aver dato una festa, e notò di non avere alcuna intenzione di parteciparvi.

«Anch'io devo ringraziarti.» disse Raul quando la cabina 13 comparve nella loro visuale. «Hai accettato di uscire con me, sebbene... be', spero tu sappia che era solo una scusa, ti avrei pulito il bagno anche se mi avessi detto di no.»

Hazel annuì, cercando di non fargli notare il suo rossore. Non se lo aspettava, ma dopotutto doveva immaginarlo. Raul era davvero un'ottima persona.

«Spero che tu ti sia trovata bene con me.» continuò il figlio di Ecate. «Perché io mi sono trovato davvero molto bene con te. E capirò se non mi vorrai più vedere.»

Hazel tenne lo sguardo puntato sulla porta della 13. «Io...» balbettò lei, ma Raul si fermò, interrompendola.

«Lo so.» la tranquillizzò, e Hazel lo fissò senza parole. «Ci sono passato anch'io, anche se non proprio così.» Raul si passò una mano tra i capelli, in imbarazzo. «Capirò se non mi vorrai più incontrare così, se non vorrai più uscire con me. E vorrei anche dirti che, se mai lo vorrai, sarò qui ad aspettarti.»

Hazel lo fissò senza parole.

«Ognuno impiega tempi differenti a superare una relazione.» aggiunse Raul. «Io impiegai due anni a superare la storia con la mia ex, e conosco altri che ne sono ancora disperati. Quindi non voglio che tu ti senta in dovere di darmi una risposta stasera o domani. Se mai vorrai uscire di nuovo con me, quando... quando ti sentirai pronta, sarò qui ad aspettarti.» Raul sussultò appena, poi indicò la cabina 14 alle sue spalle. «Cioè, mi troverai lì, non qui davanti alla tua cabina. Anche se siamo effettivamente molto vicini...»

Hazel sorrise, trovandolo piuttosto dolce e tenero mentre farfugliava. Lo baciò sulla guancia, provocando un istantaneo rossore in entrambi.

«Ti ringrazio.» disse Hazel. «Per essere così... per capirmi. Sei un ragazzo meraviglioso, Raul Aviles.»

«Anche tu sei meravigliosa.» rispose lui di rimando, prima di fare un passo indietro.

Hazel lo guardò, e si voltò prima che potesse fare qualcosa di cui pentirsi. Salì i pochi gradini che la separavano dalla porta della cabina di Ade e vi entrò dentro. Fece un cenno di saluto con la mano e chiuse la porta mentre ancora Raul la salutava.

Hazel toccò l'interruttore vicino alla porta e osservò la sua cabina: era calda, ordinata, ma ogni mobile, ogni più piccolo oggetto, le trasmetteva solitudine. Si accasciò contro la porta, con gli occhi chiusi, cercando di trattenere le lacrime, e quel singolo nome che le aveva incatenato il cuore.

 

 

Nota autrice:

Grazie per aver letto fin qui! Vi auguro buone feste e buon anno nuovo!! Ci rivediamo l'anno prossimo con il nuovo capitolo!

Nel mentre, se avete in mente qualche personaggio di questa storia di cui vorreste un approfondimento, non esitate a dirmelo, potrei scrivere un extra proprio con lui!! :)

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Capitolo 53
*** 71. Amori nuovi e passati ***


Will era appoggiato contro il muro della sua cabina e fissava la 13 in silenzio, con le braccia incrociate, tenendo d'occhio i movimenti del figlio di Ecate. Il ragazzo era ancora lì, a tre metri di distanza dalla porta di Hazel, come indeciso su cosa fare, se bussare o andarsene. E Will lo controllava, pronto ad intervenire se la sua reazione non gli fosse piaciuta.

Era uscito dalla sua camera non appena aveva visto passare Hazel. Non che stesse controllando l'orologio e la finestra ripetutamente, infastidendo Bryan che provava a leggere un libro sugli animali. Semplicemente gli era caduto l'occhio più volte su...

Al diavolo. Stava controllando che la sua amica tornasse a casa reggendosi sulle sue gambe, che il figlio di Ecate non stesse abusando di lei. Aveva passato tutta la serata in attesa, con il cuore a mille, arrabbiato con sé stesso per non averla seguita come era stata sua intenzione.

Will aveva quasi mandato un messaggio a Leo per chiedergli se potevano usare Festus per seguire l'appuntamento di Hazel, ma Bryan, forse temendo che stesse per chiamare la figlia di Plutone, gli aveva requisito il cellulare.

Forse era meglio così. Vedere Leo, alle otto di sera, per pedinare la loro comune amica, non era la migliore delle idee, riflettendoci meglio. Soprattutto con un giro romantico su Festus per seguire le vicende di un appuntamento...

Con un sospiro, Will tornò al presente. Era inutile fantasticare su quello che avrebbe potuto succedere. Bryan gli aveva impedito di fare una cavolata, e ne era contento. Dopotutto, stava con Connor Stoll, adesso...

Scacciò via quel pensiero. Non doveva pensare a sé stesso, ma ad Hazel Levesque e Raul Aviles. Doveva andare da lei, controllare che il ragazzo non decidesse di forzare la porta con la magia...

Ma il figlio di Ecate si voltò proprio in quel momento ed entrò nella sua cabina. Will sorrise, pensando che fosse la scelta migliore, e aspettò ancora un minuto prima di incamminarsi. Controllò che Raul non lo stesse fissando dalla cabina 14 e bussò alla porta della sua amica. Lei gli aprì al secondo tocco, come se se lo fosse aspettata.

«Will.» mormorò Hazel, e Will impiegò meno di un secondo a capire il suo stato d'animo. Era nervosa, triste, arrabbiata, e in procinto di mettersi a piangere.

«Piccola.» disse Will, chiudendosi la porta alle spalle e portandole una mano sul viso. Le accarezzò la pelle calda, per un attimo indeciso se confortarla o andare da Aviles per prenderlo a calci nel sedere. «Cosa ti ha fatto?»

Hazel sbatté le palpebre, forse per chiedersi di cosa stesse parlando, e sospirò.

«Raul è stato meraviglioso.» disse lei, togliendosi la giacca e guardandola con tristezza. «Un vero gentiluomo.»

Will le prese la giacca, appendendola in modo automatico. «Allora perché... sei arrabbiata?»

Hazel si limitò a sospirare, prima di bloccarsi. Si avvicinò al divano e vi sedette sopra, allungando le gambe sul tavolino. Will fu subito in ginocchio accanto a lei, in attesa.

«Sono arrabbiata perché...» mormorò Hazel, interrompendosi. «Non lo so nemmeno io, a dirla tutta.»

Will annuì appena. Allungò una mano verso i tacchi dell'amica e li sfilò con dolcezza.

«Ho passato una bella serata.» disse la figlia di Plutone, guardando ogni suo gesto. «Mi sono sentita... bene, con Raul. Non ha fatto nulla di indecoroso. Ha pagato la cena, e poi io ho pagato il dolce e qualche giostra.»

«Giostra?» ripeté Will, perplesso.

«Siamo stati al luna park.»

«Oh.» Will posò le scarpe sul pavimento, pensando che lui e Leo avevano parlato di Luna Park qualche giorno prima. Ma voleva ancora uscire con il figlio di Efesto, dopo quanto avesse visto sul taccuino di Travis? Se Leo lo considerava allo stesso livello dei figli di Ares, significava che non lo aveva proprio perdonato.

«Sono salita sulla ruota panoramica.» continuò Hazel, e Will si concentrò su di lei. Non doveva pensare ai suoi problemi, ai suoi pensieri. Era lì per Hazel. Le doveva tanto. «E ho visto la città dall'alto. È stupenda.»

«Posso immaginarlo.» annuì Will, iniziando a massaggiarle i piedi.

«Ho vinto un pinguino.» aggiunse Hazel, cercandolo con lo sguardo e indicando un peluche vicino alla porta.

Will si affrettò a prenderlo e a passarglielo, e poi riprese il massaggio. Hazel strinse a sé il pinguino e Will fu tentato di lanciarlo via e di abbracciarla.

«È stata una serata magnifica. Will, mi sono divertita, sono stata bene. Ma poi...» Hazel si mordicchiò il labbro. «Ma poi ho pensato a Frank, e questa magia è finita.»

Will annuì, trattenendo un sospiro. Doveva immaginarlo.

«Mi sono sentita di nuovo una donna.» sussurrò Hazel e Will si allarmò di fronte gli occhi dorati lucidi della sua migliore amica. «Non succedeva da tanto...»

Will si alzò per accoccolarsi vicino a lei e la strinse tra le braccia. Hazel gli posò la guancia sul petto, stringendosi a lui, e Will la baciò sulla testa. Dannato Frank Zhang...

«So che è tutto inutile.» disse Will, piano. «Ma dovresti davvero eliminarlo dalla tua testa.»

«Non osare dirmi una cosa del genere proprio tu, Leo Valdez.» sbottò Hazel, infastidita.

Will arrossì appena, contento che l'amica non riuscisse a vederlo. «Sono andato avanti, eh.» borbottò. «Da oggi io e Connor siamo ufficialmente una coppia.»

Hazel si scostò da lui e lo fissò in volto, sorpresa. «Cosa?! Sul serio? E perché non me l'hai detto prima?!» esclamò, tirandogli un pugno sul braccio.

«Perché parliamo sempre di me, e mai di te.»

«Non parliamo mai di me perché non ho mai nulla da raccontare, Will.»

«Invece oggi ce l'hai.»

Hazel scrollò le spalle. «Sono uscita con Raul, mi sono divertita, mi sono trovata bene, ma sto ancora pensando a Frank, quindi non credo che richiamerò Raul. Bene, ti ho raccontato tutto. Ora parlami di te e Connor.»

Will sospirò. Voleva continuare a chiederle di Raul, di tutti i dettagli della serata, se quel bacio sulla guancia fosse davvero così innocente come gli era sembrato... ma preferì rimanere in silenzio. Captava che l'amica non era in vena di chiacchiere. Quell'uscita doveva aver risvegliato ogni doloroso ricordo su Frank, sui loro momenti insieme... Hazel gliene aveva raccontati a decine, prima di perdere la speranza di rivederlo.

Senza sembrare troppo scocciato, Will le parlò di come Connor gli si fosse avvicinato solo poche ore prima, di come gli aveva confessato i suoi sentimenti.

Hazel lo osservò con attenzione mentre Will diceva di provare lo stesso.

«Santi dei, Will.» mormorò Hazel, portandogli una mano sulla guancia e dandogli uno piccolo schiaffo. «Ti ho già visto mentirmi, okay? Abbiamo vissuto insieme così tanto tempo... e sei una frana nel mentirmi. Perché lo hai fatto?»

«Non sto mentendo.»

«Lo stai facendo in questo preciso momento!»

Will sbuffò, ignorando il secondo schiaffo di Hazel. La ragazza sembrò divertirsi perché gliene tirò un terzo, e l'occhiataccia di Will le fece abbassare la mano.

«Potrei innamorarmi di lui, in futuro.» decise di dire il figlio di Apollo. «Quindi perché non portarsi avanti con gli eventi?»

«Oh, Will...»

«Connor è un bel ragazzo.» continuò Will, ignorandola. «Ha un buon carattere, è leale, anche se ha la mano veloce e non sai mai se se ne sta andando con il tuo portafogli. Ha una cotta per me, e questo non guasta, giusto?»

«Non è giusto nei suoi confronti. Lo ferirai.»

«Non lo ferirò.» decise Will, serio. «Non ne ho alcuna intenzione.»

Hazel scosse la testa. «E cosa farai se Leo dovesse decidere di lasciare Calipso per tornare da te?»

Will sentì il cuore sobbalzare dalla gioia per quelle parole. Una scarica di euforia lo invase e per un attimo riuscì quasi a vedere Calipso in lacrime sullo sfondo, mentre Leo tornava da lui e gli chiedeva di sposarlo.

«Non lo farà.» disse Will, piano, tornando con i piedi per terra. «È felice con Calipso, adesso. E James è felice di avere i suoi genitori uniti, Leo non farà niente per rovinare i sogni del bambino. Lo conosco. E poi, da quando sono tornato, non mi ha mai fatto capire che volesse tornare con me.»

«Will...»

«Haz, è vero.» Will si passò una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi. «Gli ho salvato la vita quando quel figlio di puttana ha pensato bene di avvelenarlo. Ho rischiato la mia vita per... be', per difenderlo. E a parte qualche grazie, non mi ha mai detto niente. Quindi direi che le cose tra di noi sono finite.»

«Will, magari non è così.»

«Come può non essere così? Sta progettando il matrimonio, Haz. E io non sono l'altro sposo, non sarò neanche invitato!»

Will spostò lo sguardo sulla stanza, cercando di non dar troppo peso alle sue parole. Sentiva gli angoli degli occhi pizzicare, segno che da un momento all'altro sarebbero arrivate le lacrime. E Hazel era così buona che gliel'avrebbe asciugate una per una.

«Leo è andato avanti con la sua vita.» continuò Will, mentre Hazel gli accarezzava il braccio per confortarlo. «Vuole sposarsi con la donna che ama, la donna con la quale passerà il resto della sua esistenza. Vuole avere dei figli, dare dei fratellini a James, e sarà un ottimo padre per loro, proprio come lo è stato per Jam. Io... non sono nessuno. Me lo ha fatto capire spesso, nell'ultimo periodo.»

La lacrima uscì prima che Will potesse accorgersene e, come aveva immaginato, la mano calda di Hazel era lì, pronta sulla sua guancia, ad asciugarla con la punta del dito.

«Lui è andato avanti con la sua vita.» ripeté Will, guardando Hazel, sentendosi in colpa per i suoi stessi pensieri. «Perché io non posso andare avanti con la mia?»

Prima che Hazel potesse replicare, Will le prese il volto tra le mani. Hazel trattenne un sospiro mentre l'amico la baciava sulla fronte.

«Perché noi non possiamo andare avanti con le nostre vite?» le disse, appoggiando la fronte alla sua. Le punte dei loro nasi si sfiorarono. «Haz, perché?»

Hazel scosse la testa, non sapendo cosa replicare, e chiuse gli occhi, stringendo l'amico.

 

 

Leo era seduto nella veranda di casa sua, e guardava il cielo. La luna splendeva alta, e di tanto in tanto veniva nascosta dalle nuvole. Leo contava i secondi che avrebbe impiegato a rivederla di nuovo, bevendo un sorso di birra ogni minuto.

Si era divertito quel pomeriggio in spiaggia, giocando con i bambini ed evitando che Travis gli bagnasse il viso con l'acqua salata. Si era ritrovato in fretta a competere con il suo amico, con i bambini che saltavano nella squadra di uno o dell'altro ogni volta che gli faceva comodo. Leo e Lily erano riusciti a battere gli altri tre due volte, prima che la bambina si rivoltasse contro di lui.

Era stato divertente anche quando Travis si era accasciato sulla sua sdraio, borbottando di essersi scottato le spalle, e aveva sorriso mentre Lily e Connor si affrettavano a ricoprirlo di aloe per rinfrescarlo. Lui, James e Bryan non dovevano preoccuparsi del sole: Leo e James non si bruciavano facilmente al sole, mentre per Bryan era quasi impossibile. Leo lo aveva visto dormire sulla spiaggia più di una volta, e ad ogni risveglio non si era mai scoperto bruciato. Era la fortuna di essere figli del dio del sole.

Si era divertito tanto ma, nonostante le risate, la gioia di vedere suo figlio felice insieme ai suoi amici, c'era qualcosa che gli abbassava l'umore non appena i suoi pensieri lo avessero sfiorato. E passare il resto della giornata in compagnia di Connor Stoll non era stato molto d'aiuto.

Il figlio di Ermes non aveva fatto nulla di sgarbato nei suoi confronti, anzi. Aveva provato a fare amicizia con lui, chiacchierando delle invenzioni, chiedendogli dell'aspiracoriandoli. Si era già offerto di acquistarne uno per la cabina di Ermes, nonostante le occhiatacce del fratello. Connor si era comportato nel miglior modo possibile, e Leo aveva provato in tutti modi ad essere cortese con lui, ma non c'era riuscito.

A causa di Will Solace.

Solo poche ore prima Leo aveva pensato di andare da lui e parlargli, magari chiedergli di tornare insieme, riallacciare una relazione e vedere come avrebbero proseguito le cose tra di loro. E invece era stato battuto sul tempo.

Mentre lui pensava a tutto questo, Connor aveva agito. Era andato a parlare con Will, ed erano usciti dalla discussione come una coppia. Connor sorrideva continuamente al pensiero, Leo glielo aveva letto in faccia più di una volta, perché conosceva quel sorriso. Lo stesso che aveva sfoggiato più di due anni prima.

Nella sua vita aveva avuto solo due relazioni importanti, Calipso e Will, che lo avevano segnato nel profondo. Aveva liberato Calipso da una maledizione durata secoli, era sceso per lei negli Inferi, era diventato immortale solo per lei, per non doverla mai lasciare. Mentre Will lo aveva aiutato a scoprire un lato di sé stesso che non conosceva, aveva rimesso insieme i suoi pezzi, gli aveva insegnato ad amare ancora e a come si vivesse meglio con una persona che ricambiava quei sentimenti.

Calipso e Will.

Will e Calipso.

Leo si passò una mano tra i capelli, bevendo l'ultimo sorso della sua terza lattina. La schiacciò e la lanciò nella cesta a qualche metro da lui. La lattina toccò il bordo per un pelo e cadde all'interno. Leo sorrise tra sé, allungando la mano per prendere la quarta. Se avesse lanciato la lattina fuori dal cesto, avrebbe dovuto rientrare in casa e infilarsi a letto prima di combinare qualcosa di cui si sarebbe pentito.

I suoi occhi risalirono al cielo e bevve un sorso non appena la luna scomparve sotto una nuvola. Leo aggrottò la fronte. Doveva bere prima o dopo? I pensieri cominciavano ad essere confusi e spostò lo sguardo dalla luna. Si mise a guardare il Campo, soffermandosi in direzione del campo di fragole. La cerimonia l'avrebbe tenuta lì, con Chirone ad ufficiare le nozze. Calipso voleva che l'aiutasse con la lista degli invitati, e che poi accompagnasse Nina in infermeria per sapere quando avrebbe partorito.

Leo chiuse gli occhi. Così tante cose da fare... e lui voleva solamente dormire, non pensare più al matrimonio. Non voleva nemmeno pensare a Calipso. O Will. Forse doveva fare davvero come gli aveva consigliato Travis: andare via dal Campo, stare lontano da entrambi, capire chi dei due fosse la persona adatta per lui. Will e Calipso avevano i loro pregi e i loro difetti, e se continuavano a ronzargli intorno, non avrebbe avuto la giusta lucidità per scegliere.

Scegliere. Poteva scegliere? Era libero di fare le sue scelte? Aveva scelto Calipso anni prima, aveva scelto di scendere negli Inferi e diventare immortale? Oppure le sue scelte erano state soltanto guidate dalla paura di rimanere da solo? Perché alla fine, se proprio doveva rifletterci su... cosa lo aveva spinto a salvare la fanciulla dalla sua isola? Era stato l'amore, il Vero Amore, o solo la paura di dover ritrovare una persona che lo amasse come lei lo aveva amato? Non le aveva concesso il suo cuore?

E Will... c'era stato quel bacio da ubriachi. Nella sua vita aveva baciato solo Calipso, e quando Will lo aveva baciato, Leo aveva risposto. Non veniva baciato e coccolato da tanto tempo. Con Will si era lasciato andare, si era fatto amare perché ne aveva bisogno. E se non ci fosse mai stato amore tra di loro, solo desiderio e bisogno di non stare da soli? Dopotutto quando era accaduto, Will aveva appena ricevuto una bella batosta da Nico Di Angelo. E lui era solo dopo Calipso. Si erano incontrati in un momento delicato, e si erano messi insieme per colmare il vuoto. Era così, no? Si erano trovati bene per mesi, e Leo aveva davvero pensato di essersi innamorato di Will, che lo trattava come un essere umano, che lo ricopriva di amore e attenzione. Che trattava suo figlio come se fosse suo.

Ma Will gli aveva fatto male, come Calipso. Entrambe le relazioni erano finite a causa dei suoi partner, mai a causa sua.

Leo si portò una mano sul viso, chiedendosi come mai né lui né i suoi numerosi fratelli avessero mai inventato il Pensatoio di Silente. Non gli sarebbe affatto dispiaciuto, in quel momento, depositare tutti i ricordi dei suoi due partner e rivisitarli, magari analizzarli minuto per minuto. Vederli mentre lo chiamavano per nome e gli dimostravano il loro amore nei suoi confronti.

Leo svuotò la lattina di birra e la lanciò verso il cesto. Non lo sfiorò neanche, e guardò la lattina rotolare per qualche metro prima di fermarsi. Era il caso di tornarsene a dormire.

Si alzò in piedi e, con le gambe traballanti, si avvicinò alla lattina. La lasciò cadere nel cesto e osservò il Campo addormentato. Notò che l'infermeria e un paio di cabine erano ancora accese. Pensò a Will, di sicuro era in infermeria con chissà quanti pazienti. Oppure stava facendo l'amore con Connor dove un tempo l'avevano fatto loro.

Scuotendo la testa, Leo diede le spalle al Campo e si diresse verso la sua casa. La guardò per un attimo, pensando che forse, dopo il matrimonio, era il caso di trasferirsi lontano da lì, magari a Nuova Roma. James poteva frequentare le scuole lì, senza aver paura di imbattersi in un mostro. Avrebbe sofferto della mancanza di Lily e Bryan ma poteva farsi dei nuovi amici. Era un bambino dopotutto, poteva stringere amicizia facilmente.

Leo entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle, cercando di salire le scale senza far troppo rumore, per non svegliare nessuno. Sul pianerottolo notò che la luce della sua camera era accesa e immaginò che Calipso gliel'avesse lasciata per farlo entrare senza far rovesciare nessun comodino. Fissò la sua camera e si voltò verso quella di James. Si avvicinò alla porta e per qualche minuto rimase a guardare il figlio che dormiva beato.

No, non poteva trasferirsi a Nuova Roma e lasciare Lily e Bryan. James ne sarebbe uscito distrutto, e lui non voleva che suo figlio soffrisse a causa sua. Voleva solo il meglio per il suo bambino. Avrebbero continuato a vivere lì al Campo Mezzosangue, e avrebbe distolto lo sguardo da Connor e Will non appena li avesse visti. Avrebbe anche finto un sorriso quando proprio non avrebbe potuto evitarli. Sarebbe stato felice per loro, nascondendo le sue emozioni, i suoi sentimenti.

Trattenendo uno sbadiglio, Leo chiuse la porta della camera del figlio e si diresse nella sua. Si aspettava di trovare Calipso addormentata, magari con un libro appoggiato sul seno, e rimase di stucco nell'incrociare i suoi occhi.

Leo entrò nella stanza dopo i primi secondi di sorpresa e chiuse la porta dietro di sé. Si sfilò la maglietta e si avvicinò al letto, mentre Calipso toglieva il libro dal suo posto. Doveva aver letto in sua attesa. Si stese vicino a lei, posandole una mano sul braccio.

«Tutto okay?» gli domandò Calipso, osservandolo con attenzione.

«Sì, sto bene.» annuì Leo, baciandola sul braccio. «Mi sono messo a bere e ho perso la nozione del tempo.»

Calipso annuì. «Non ti devi giustificare, Leo, se vuoi berti qualche birra. Ma come mai non c'era pure Travis?»

Leo soffocò una risata. «Si è bruciato oggi in spiaggia, ed è rimasto nella sua cabina tutta la sera. Penso abbia chiesto aiuto ai figli di Demetra e di Apollo.»

Figli di Apollo. Perché dovevano sempre apparire in ogni conversazione? Leo socchiuse gli occhi, cercando di scacciare il sorriso di Will dalla sua testa, senza successo.

Quei due sono fatti l'uno per l'altro, non trovi?

La voce di Will, assieme alle parole pronunciate alla partenza dei suoi fratelli, riferendosi ad Angel e Steve... le aveva dette solo per i loro fratelli? O intendevo dell'altro?

Ma se si stava riferendo a loro, perché Will non aveva combattuto per lui? Certo, lo aveva difeso con il figlio di Ares, ma non aveva fatto niente per fargli capire che lo amasse ancora.

Ti amerò sempre, Leo Valdez.

Leo chiuse gli occhi, evitando di sbuffare. Will lo amava dicendo di amare Connor Stoll? Certo che era molto volubile, il biondino.

«Calipso.» disse, voltandosi a guardare la futura moglie, che stava sistemando il libro sul comodino. «Calipso, tu mi ami?»

Calipso lo fissò come se fosse pazzo. «Certo che ti amo.» gli disse, portandogli le mani sulle guance. «Ti amo da tanti anni.»

«E mi amerai per sempre?» mormorò Leo, guardandola dritta negli occhi. «Qualsiasi cosa succeda?»

La ragazza aggrottò la fronte. «Leo, c'è qualcosa che devi dirmi?»

Leo scosse appena la testa. Era così confuso... forse l'alcol stava influenzando i suoi pensieri, ma in quel momento si sentiva fragile, debole.

«Ti amerò per sempre.» disse Calipso, baciandolo sulla fronte, e poi sulle labbra. «Qualsiasi cosa succeda, ti amerò.»

Leo abbozzò un sorriso e le prese il volto tra le mani, ricambiando il suo bacio. Era quello che voleva sentirsi dire.

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Capitolo 54
*** 72. La festa di James ***


Erano ormai passate due settimane da quando Will e Connor avevano deciso di fare coppia. E nonostante tutta l'attenzione di Leo di non frequentare i posti comuni, si ritrovò più di una volta nelle loro vicinanze. Spesso si ritrovava a guardarli, sentendo un vuoto allo stomaco nel ricordare le labbra di Will sulle sue, ma per fortuna il suo turbamento non si notava perché non andava mai in giro da solo. Era facile nascondere le proprie emozioni quando si trovava in compagnia di altre persone.

Ed era sorprendentemente facile farlo quando stava con suo figlio. In mensa, quando Leo vedeva Will e Connor che chiacchieravano vicini, si voltava verso il figlio e gli faceva mille domande sulla scuola che lui, Bryan e Lily volevano frequentare nel mondo umano. Vedere James illuminarsi a quelle parole gli scaldava il cuore, e niente poteva raffreddarlo.

Leo e Calipso avevano parlato a lungo di James, e alla fine si erano trovati d'accordo che il figlio potesse frequentare la scuola. I figli di Ecate avevano idealizzato degli amuleti speciali che tenevano i mostri a distanza, quindi viaggiare e andare a scuola era piuttosto sicuro. Certo, alcune volte non facevano effetto, ed era per questo che Leo si ritrovava a pensare al trasferimento a Nuova Roma. Lì, James non avrebbe avuto alcun tipo di problema, a parte la voragine nel petto dovuta alla mancanza dei suoi migliori amici. Non poteva fargli questo.

Il settimo compleanno di James era arrivato dopo lunga attesa, e il bambino aveva insistito così tanto con i genitori per la sua festa in giardino che Leo soddisfò la sua richiesta. Lo aiutò con gli inviti e con le decine e decine di decorazioni dei Supereroi Marvel.

Leo, con un po' di paura, inviò gli inviti pure ai suoi vecchi amici, con la speranza di rivederli e riallacciare i rapporti con loro. Vedere James, Lily e Bryan così uniti gli aveva fatto venire un po' di nostalgia sui Sette della Profezia.

Percy Jackson fu il primo a rispondergli, dicendo che era già impegnato con sua madre e sua sorella, ma gli promise di fare un salto al Campo Mezzosangue non appena gli fosse stato possibile. Non disse niente di Nico Di Angelo (o Nico Jackson, ormai?), e Leo immaginò che il figlio di Ade non avrebbe partecipato alla festa per i suoi stessi motivi. Dopotutto, erano sposati, gli impegni di uno erano quelli dell'altro.

Jason Grace, Piper McLean e Annabeth Chase, però, si erano presentati alla festa di James in anticipo, con indosso i costumi da supereroe espressamente richiesti nell'invito. Jason aveva rinunciato al suo costume da Superman per quello di Capitan America, e Leo fu felice che l'avesse fatto. James era molto pignolo, e di certo avrebbe mandato via Jason all'istante.

Piper McLean indossava un aderente costume nero per il suo personaggio, Black Widow. Leo la trovò stupenda, e parecchio sexy, ma visto che Calipso si trovava nei paraggi, evitò di fare lo scemo. E Annabeth aveva optato per Capitan Marvel: con quei lunghi capelli biondi e lo sguardo serio, le somigliava parecchio.

Solo quando vide Annabeth chiacchierare allegramente con Piper e Jason, Leo si rese conto che Percy aveva rifiutato a causa sua. Forse non voleva farsi vedere da lei, per evitare di ferirla. Leo fu felice che Percy avesse rifiutato il suo invito. Non voleva che niente e nessuno rovinasse la sua festa.

E quando vide Hazel Levesque in avvicinamento, con un costume nero, i capelli stretti in uno chignon sulla testa e una maschera che le copriva il volto, dal quale spuntavano due orecchie nere a punta, Leo sospirò, avvicinandosi all'amica prima che questa potesse fare un altro passo.

«Mi dispiace, Catwoman non è della Marvel.» disse Leo, ripetendo le parole che James gli aveva inculcato in testa il giorno prima. «Tu non puoi passare.» aggiunse, ma quella era una citazione per sé stesso, per rendersi felice.

«Catwoman?» ripeté Hazel, aggrottando la fronte. Sembrava in imbarazzo, ma il suo sguardo era duro. «Sono Black Panther.»

Leo sbatté le palpebre e la guardò meglio. In effetti il costume era ben diverso da quello in pelle nera di Halle Barry.

«Scusami.» disse Leo, ammettendo il suo sbaglio. «Non l'avevo notato. Quelle... be', quelle mi hanno distratto un po'.»

Hazel arrossì mentre Leo le indicava il seno con un sorrisetto. Si mise a braccia conserte, borbottando che non fosse colpa sua che il costume fosse così aderente. Per fortuna, Piper arrivò in suo soccorso.

«Cosa fai, Valdez?» disse Piper, passando un braccio attorno alle spalle di Hazel in modo protettivo. «Stai importunando la mia amica?»

«Certo che no.» sbuffò Leo, ridacchiando appena. «Le sto solo facendo notare che il suo Black Panther sembra una Catwoman.»

«Hazel sta benissimo così.» si intromise Jason, accompagnato da Annabeth. «Ha un costume davvero forte.»

«In effetti somiglia a Catwoman.» notò Annabeth, studiando l'amica con attenzione. «Ma solo perché è una ragazza.»

Gli sguardi di Leo e Jason si spostarono di nuovo su Hazel, che rimpianse di non aver indossato il costume di un altro supereroe, uno con il mantello.

«Direi di chiedere aiuto ad un esperto.» disse Piper, scoccando un'occhiataccia al fidanzato e al suo vecchio migliore amico.

«Non vorrai mica dire...» mormorò Hazel, sgranando gli occhi, mentre Piper cercava qualcuno con lo sguardo.

«Oh, eccolo.» sogghignò la figlia di Afrodite. «James! Puoi venire qui un momento?»

Leo ridacchiò allo sguardo spaventato di Hazel e attese l'arrivo del figlio. Lo guardò con affetto mentre si fermava di fronte a loro, con i suoi amici. Indossava il costume di Thor, con tanto di martello stretto in mano. Schierati al suo fianco, una piccola Scarlet e un Hawkeye li guardavano di sbieco.

«Chi osa disturbare il potente dio del tuono?!» esclamò James, e Jason rabbrividì.

«Ti prego, non fare così.» borbottò, e Annabeth si lasciò scappare una risatina.

«Thor, ti abbiamo chiamato per una consulenza.» disse Piper e James le lanciò un'occhiata. «Secondo te, chi è lei? Catwoman o Black Panther?»

Gli occhi di James scattarono su Hazel non appena sentì Catwoman. Hazel si sentì di nuovo in imbarazzo sotto quello sguardo e decise che avrebbe picchiato Will non appena l'avesse visto: le aveva detto che era perfetta.

Leo tenne lo guardo puntato su James, che continuava a studiare il costume di Hazel nei minimi particolari. Spostò appena lo sguardo su Bryan e Lily, splendidi nei loro costumi, e trattenne un sorriso nel notare lo sguardo del biondino puntato sul seno di Hazel.

«Non ci sono dubbi.» disse James, e tutti lo guardarono in attesa. Il bambino incrociò gli avambracci al petto, subito seguito dai suoi amici, e incrociò lo sguardo di Hazel. «Wakanda forever!»

Hazel ripeté lo stesso movimento con un sorriso. «Wakanda forever.»

Dopodiché, James scoccò un'occhiataccia agli amici del padre. «Se non avete riconosciuto Black Panther, avete dei gravi problemi.» disse, prima di voltarsi e tornare alla sua festa.

«Mi aspetto delle scuse.» mormorò Hazel, divertita, guardando Annabeth e Jason, che sospirarono.

«Leo, dov'è Calipso?» domandò Piper, divertita, lanciando un'occhiata nella folla. «Non la vedo.»

Leo si voltò verso la casa, cercando di ricordarsi dove avesse visto la fidanzata l'ultima volta. Sorrise nel vederla spuntare in compagnia di Travis e Katie, uno tutto verde per il suo costume di Hulk e l'altra con la tuta blu di Susan Storm, la donna invisibile. Connor era una versione sorridente di Loki e Calipso, invece, era splendida nelle sembianze di Wanda Maximoff.

«È laggiù.» disse, facendole un cenno con la mano. Calipso sorrise nella sua direzione, ma non si avvicinò, impegnata com'era a chiacchierare con Travis, Katie e Connor. «Penso che possiate raggiungerla.»

Hazel e Piper annuirono, e si allontanarono da loro. Leo evitò di guardare le due amiche allontanarsi, un po' per rispetto nei loro confronti, un po' perché Jason lo stava fissando.

«A quando le nozze?» domandò Jason, osservandolo con curiosità.

«Non lo so.» ammise Leo, chiedendosi se Calipso avesse spedito gli inviti ai loro amici. «Stiamo aspettando che mia sorella Nina partorisca.»

«Capisco.» annuì Jason, lanciando un'occhiata ad Annabeth, che stava osservando con estremo interesse la casa di Leo. «Quindi... quando avrai la data...»

«Manderò gli inviti.» lo rassicurò Leo, prima di aggiungere: «E mi auguro che tu possa esserci.»

Jason abbozzò un sorriso e annuì. Leo si sentì scaldare il petto per quel sorriso, e si rese conto di quanto gli fosse mancato il suo migliore amico. Sistemò la manica del suo costume da Iron Man, sperando di non andare a fuoco dalla gioia.

«Inviterai anche me?» chiese Annabeth, spostando gli occhi grigio tempesta su di lui.

«Ma certo.» annuì Leo. «Inviterò te. Percy di sicuro capirà.»

«Percy?» ripeté Annabeth, tesa.

«Be', o tu o lui, no? E preferisco te, a dirla tutta.»

Annabeth continuò a fissarlo e Leo si chiese se avesse detto qualcosa di sbagliato. Dal canto suo, Jason ebbe il folle desiderio di scappare da quella situazione spiccando un salto e un volo, ma ebbe il timore che Bryan, su ordine di James, gli sparasse una freccia. Dopotutto Capitan America non poteva volare.

«Puoi invitare anche Percy.» disse infine Annabeth.

Leo la scrutò con attenzione. «Sei sicura?»

La figlia di Atena annuì e si zittì, forse pensando a vecchi ricordi. Leo fu sul punto di posarle una mano sulla spalla per farla sfogare quando sentì il suo nome gridato. Si voltò di scatto, spaventato all'idea che a Calipso o a James fosse successo qualcosa, ma si rilassò appena. I due erano al sicuro.

Butch arrivò trafelato di fronte a lui. Era del tutto verde pure lui, segno che avesse provato a truccarsi da Hulk, ma a metà si fosse interrotto.

«Che succede?» domandò Leo, agitandosi sotto lo sguardo del figlio di Iride.

«Nina. È in infermeria.»

 

Will chiuse il fascicolo di Nina Pope e guardò la ragazza stesa sul lettino, che fissava lo schermo dell'ecografia. Teneva una mano dietro la testa, e con l'altra tamburellava le dita sulla pancia, sempre più grande e tonda. Will voleva toccarla, accarezzarle la pancia, e parlare al bambino, ma evitò. Ricordava piuttosto bene lo sguardo di disgusto che la figlia di Efesto gli aveva lanciato due anni prima. Non voleva farla arrabbiare.

«Tutto okay?» domandò Will, osservandola.

«Sì.» Nina continuava a fissare il suo bambino che si muoveva lentamente nello schermo. «È solo che non vedo l'ora che nasca.»

«Lo capisco.» annuì Will, con un sorriso. «Non vedi l'ora di averlo tra le braccia e stringerlo.»

«Ehm, no.» Nina gli lanciò un'occhiata. «Non vedo l'ora che esca fuori da me. Non riesco più a vedermi i piedi, non posso mangiare il pesce crudo e devo fare pipì continuamente.»

«Oh.» mormorò il figlio di Apollo, imbarazzato. «Be', presto potrai vedere i tuoi piedi.»

«Presto quanto?»

Will abbassò lo sguardo sulla cartella che teneva in mano. Rose era stata la dottoressa di Nina, e ora i suoi pazienti erano passati a lui. Non gli dispiaceva, il lavoro in più. Mentre leggeva i commenti della sorella, Will sentì la sua mancanza. La cabina 7 era così silenziosa senza di lei.

«Stando a quello che scrive Rose, e quello che ho visto io...» cominciò a dire Will, sollevando lo sguardo sulla ragazza, ma fu interrotto dall'arrivo di Leo e Butch. Will sbatté le palpebre nel vederli, uno vestito da Iron Man e l'altro da Hulk solo per metà.

Nina girò la testa verso il fratello e il fidanzato, e li fissò senza parole.

Leo guardò prima la sorella, poi Will e infine Butch. «Mi hai detto che stava partorendo.» disse il figlio di Efesto.

«Pensavo stesse partorendo.» disse Butch, guardando la fidanzata. «Stai partorendo?»

«Ti sembra che io stia partorendo?!»

Will si alzò in piedi, guardando i due intrusi. «Dovete uscire da qui.» disse, serio. «State disturbando Nina e gli altri miei pazienti.»

Leo lo fissò torvo. «È mia sorella.» sbuffò. «Sono preoccupato per lei. Rimango.»

Will scosse la testa, ma prima che potesse ribattere, si intromise Butch.

«Perché Nina è qui?» domandò il figlio di Iride. «Se non sta partorendo, perché si trova qui?»

«Non mi sentivo bene e sono venuta in infermeria.» brontolò Nina. «Non pensavo di doverti scrivere ogni mio spostamento.»

«Be', se andavi in mensa non mi preoccupavo affatto, ma visto che sei qui...»

«Non stava bene.» disse Will, fissando Butch come se fosse duro d'orecchi. «Ed è venuta qui.»

Leo guardò Will e Nina. La sorella stava arrossendo, lanciando occhiate a Will, e Leo si domandò come mai Will la stesse difendendo.

«E perché?» insistette Butch, scaldandosi, guardando torvo Will. «È successo qualcosa al bambino? Voglio saperlo, non potete tenermi all'oscuro!»

«Ho avuto mal di pancia e sono venuta qui!» esclamò Nina, prima che il fidanzato potesse aggredire il biondino. «Scusami se non ti ho avvisato!»

Leo aggrottò la fronte e Butch rivolse la sua completa attenzione alla ragazza. «Come, scusa?»

Will tossicchiò e finse di leggere la sua cartella, cercando di trattenere una risatina. Non doveva ridere dei problemi dei suoi pazienti, ma la scenetta tra Butch e Nina era così divertente che proprio non poteva trattenersi.

«Aria nella pancia.» disse Nina a denti stretti e Leo capì. Dopotutto, ci era passato. Be', non lui, ma Calipso. Ricordava fin troppo bene la paura che aveva provato per ogni dolore improvviso della sua ragazza.

«Oh!» esclamò Butch, fissandola. «Oh, oddei!»

Butch sembrava sul punto di voler aggiungere qualcosa, ma Will decise di intromettersi e porre fine a quella conversazione.

«Ora che sapete che Nina sta bene, perché non uscite?» disse, ma sia Leo che Butch lo ignorarono. Leo guardò il monitor, osservando la ripresa dell'ecografia, e Butch si avvicinò alla fidanzata, prendendole la mano.

«Potevi dirmelo.» le sussurrò, ma Nina gli fece la linguaccia.

«Ci sono cose che preferisco tenere per me.» borbottò, poi sollevò lo sguardo su Will. «Comunque, tralasciando questo spiacevole episodio...»

«Questo puzzolente episodio...» la corresse Leo, sogghignando.

Nina avvampò, Butch sorrise verso Leo. «Non può puzzare se non riesce, no?»

«Giusto, hai ragione!»

Will sospirò, scuotendo la testa, e si concentrò su Nina. «Cosa vuoi sapere?» chiese il figlio di Apollo, passandosi le dita tra i capelli.

«Rose ha scritto tra quanto dovrei partorire?»

Leo smise di ridere, interessandosi subito all'argomento. Guardò Will, cercando di non badare troppo ai muscoli che si intravedevano dal camice o i morbidi ciuffi biondi che gli ricadevano come onde vicino alla punta delle orecchie.

«Rose ha scritto che dovresti partorire entro la prima settimana di novembre.» disse Will, controllando la cartella. «Quindi praticamente... tra trenta, trentacinque giorni.»

Butch sorrise a quella notizia, e Leo si sentì invadere da una strana sensazione. Se Nina avrebbe partorito il mese successivo, significava che lui e Calipso potevano dare una data, ovvero quella di dicembre, al loro matrimonio. Era un bene fissare la data, giusto?

Lo sguardo di Leo scivolò di nuovo su Will. Quegli occhi azzurri, i capelli biondi, le labbra morbide... ricordava tutto di lui, come la moltitudine di lentiggini sulla schiena. Ricordava quanto fosse calda la sua pelle ad ogni bacio. Ricordava il suono della sua voce di prima mattina. Era davvero pronto a voltare pagina? Quella decisione nella sua testa – Will o Calipso – non sembrava più così semplice.

«Altri trentacinque giorni?!» esclamò Nina, scioccata da quelle parole. «Oh no, no, no!»

Leo sbatté le palpebre e guardò la sorella sorpreso. «Nina?» disse, ma la ragazza stava fissando Will ad occhi sgranati.

«Solace, non ce la faccio più!» gemette Nina, scrollando via la mano di Butch dalla sua. «Questo... questo bambino è qui da troppo tempo!»

«In realtà solo da trentasette settimane...» disse Will, abbassando per un attimo lo sguardo sulla cartella.

«Sembrano passati anni! Voglio partorire subito, Will, oggi!»

Lo sguardo di Nina era esausto, e Will la compatì per qualche secondo, prima di dirle: «Mi dispiace, ma è ancora troppo presto.»

«Voglio un Cesareo!»

«È ancora troppo presto.» ripeté Will.

«Non puoi fare un Cesareo.» disse Butch, guardando la ragazza ad occhi sgranati. «Avevamo deciso un parto naturale, ricordi?»

«Faccio quello che mi pare!»

«Will, è possibile?» chiese Leo, intromettendosi nella conversazione. Teneva gli occhi puntati su Will, temendo la sua risposta.

«Oggi è troppo presto.» ripeté Will per la terza volta, chiedendosi se non fosse il caso di fare una visita uditiva a tutti e tre. «Però...»

«Però?» lo incalzò Nina, con un tono vittorioso.

«Però posso proporti una cosa.» Will chiuse il fascicolo e guardò la ragazza. «Se non avrai partorito da sola entro trenta giorni a partire da oggi, faremo il Cesareo.»

Nina lo fissò con attenzione. «Quindi... tra trentuno giorni faremo il Cesareo?»

«Se starai bene, e non ci saranno problemi di alcun genere in queste settimane, sì. Lo farò personalmente.»

Nina finse di pensarci su, Will glielo lesse in faccia un secondo prima che dicesse «D'accordo.»

«Ottimo.» Will riaprì il fascicolo e prese la penna dal taschino. «Lo segno qui.»

«Non segni un bel niente, Solace.» ringhiò Butch, facendolo sobbalzare. «Nina, tu non farai nessun parto Cesareo, e di certo non con lui come dottore!»

Will sollevò lentamente lo sguardo sul figlio di Iride, che fissava in cagnesco sia lui che la fidanzata. Nina sbatté le palpebre, un po' sorpresa da quello scatto d'ira.

«E chi vorresti che lo facesse, Butch?» disse Leo, facendo voltare tutti nella sua direzione. «Vuoi che lo faccia io? O vorresti farlo tu?»

«Può farlo benissimo qualche altro figlio di Apollo.»

«Solo Will a un sacco di esperienza alle spalle! Mi trovassi nella tua situazione, accetterei subito. Ma,» aggiunse Leo, fissando torvo il cognato, «non sei tu a dover decidere, o sbaglio?»

«Ti resterà la cicatrice.» si affrettò a dire Butch, prima che la sorella potesse dire la sua. «Una grossa cicatrice.»

Will fissò la coppia, trattenendosi dal voltarsi a guardare Leo. Aveva preso le sue difese! Aveva parlato bene di lui con Butch e Nina! Significava forse qualcosa?

«Butch, non ho intenzione di aspettare che questo bambino esca da solo quando gli farà comodo.» sbottò Nina. «Gli lascio trenta giorni per nascere. Se non ne ha alcuna intenzione, mi sottoporrò all'operazione.»

«Nina, non...»

«Vi lascio discutere da soli.» disse Will, alzandosi in piedi. «Vado a controllare un altro paziente. Non alzate la voce, o Butch ti farò uscire.»

Butch gli scoccò un'occhiataccia, ma si affrettò a distogliere lo sguardo quando notò l'occhiata di ghiaccio che gli aveva dedicato il figlio di Apollo. Will si allontanò dal lettino di Nina tirandosi la tenda alle spalle, sospirando di sollievo per essersi lasciato quella vicenda, e fu sul punto di avvicinarsi ad un'altra tenda quando sentì dei passi dietro di sé.

«Puoi operarla davvero?» domandò Leo, e Will si voltò verso di lui. Nonostante il costume di Iron Man, riusciva a scorgere quella figura da folletto che gli piaceva tanto. «Insomma, senza rischi? Qui al Campo?»

«Certo.» annuì Will, lanciando un'occhiata in direzione della tenda. Le voci di Butch e Nina si sentivano ad intermittenza, come se qualcuno stesse regolando il volume della loro voce. «L'ho già fatto, ed è andata sempre bene.»

Leo si mise a braccia conserte, riflettendo. Non gli piaceva molto quel tipo di operazione, la trovava rischiosa, ma Nina sembrava così entusiasta all'idea...

«Se dovesse partorire nelle prossime settimane, però, non servirà più questa operazione.» aggiunse Will, notando lo sguardo assorto del figlio di Efesto. «È sempre bello avere un piano di riserva, no? E Nina sembra piuttosto convinta.»

«Già, quando si mette in testa qualcosa...» sospirò Leo, passandosi una mano tra i capelli. Guardò Will e aggrottò la fronte. «Perché sul tuo camice c'è una targhetta che dice Dr. Stephen Strange?»

Will sogghignò. «Finalmente qualcuno se n'è accorto!» disse, compiaciuto, e sotto lo sguardo perplesso di Leo, si affrettò ad aggiungere: «Volevo venire alla festa di James, ma ho dovuto sostituire mio fratello qui.»

«E ti sei messo il costume di chi, esattamente?»

«Be', Doctor Strange era un dottore prima del suo incidente, e be', Jam non ha specificato come dovessero essere i costumi, no?»

Leo lo fissò, pensando al figlio. «Sai, credo proprio che tu sia fortunato ad esserti fermato qui. James ti avrebbe spedito fuori a calci dalla sua festa se ti fossi presentato così.»

Will sembrò leggermente offeso e divertito alle sue parole. «Almeno ho avuto un po' di inventiva. Tu perché saresti Iron Man? Perché non hai scelto l'Uomo torcia?»

Leo arrossì appena. «Iron Man costruisce cose, cosa che preferisco al prendere fuoco.»

«Pensavo ti piacesse di più questa seconda.»

Si sondarono con lo sguardo e Leo si domandò se quella scarica di adrenalina la sentisse soltanto lui o se ci fosse qualcosa nell'aria. Voleva avvicinarsi a Will, vedere se il biondo provasse ancora qualcosa nei suoi confronti o se fosse soltanto una sua impressione. Fu sul punto di muoversi, quando gli tornò in mente il volto di Connor Stoll. Se Will provava davvero qualcosa nei suoi confronti, allora perché ora faceva coppia con un altro?

«In ogni caso, il tuo matrimonio ora può avere una data.» disse Will, sforzandosi di sorridere, facendo tornare Leo alla realtà. «Che sia un parto Cesareo o naturale, dal venti novembre Nina starà bene.»

«Già.» annuì appena Leo. Il suo primo pensiero fu quello di non dire niente a Calipso, ma prima o poi la sua futura moglie lo avrebbe scoperto. «Mh, grazie. Per esserti occupato di mia sorella, intendo.»

Will picchiettò il dito sulla targhetta. «Non sarà il mio vero nome, ma sono un dottore.» gli ricordò. Leo abbozzò un sorriso. Come poteva dimenticarlo?

«Will!»

Il figlio di Apollo sussultò e si voltò verso la tenda che nascondeva Nina e Butch. L'uomo lo stava fissando quasi con cattiveria.

«Va bene il Cesareo.» borbottò Butch. Ogni parola sembrava essere pronunciata con uno sforzo enorme. «Se non partorirà da sola.»

«Ottimo.» disse Will, con un grosso sorriso. «Allora potete andare, quando volete.»

Butch chiuse di nuovo la tendina borbottando e Will segnò l'appunto sulla cartella, senza accorgersi dello sguardo di Leo fisso sul suo sorriso.

«Ah, Leo.» mormorò Will, finendo di scrivere e incrociando gli occhi scuri. «Volevo chiederti una cosa.»

Leo ebbe difficoltà a deglutire nel sentire quelle parole. «Dimmi pure.»

«Visto che ho saltato la festa di James... che ne diresti se portassi lui, Bryan e Lily al Luna Park, domani?»

«Domani?» ripeté Leo.

«Sì. Se non hai nulla da fare...»

«Intendi portarli insieme?»

Will scrutò per un attimo il figlio di Efesto.

«Potremmo andarci insieme a Travis.» si affrettò a dire Will, fraintendo il suo sguardo. Leo aveva ancora paura a stare da solo con lui, nonostante avessero deciso di essere amici? Non era arrabbiato con lui per questo, dopotutto si era comportato davvero male nei suoi confronti, lo capiva.

Leo annuì lentamente. «Certo, con Travis va bene.» mormorò Leo, chiedendosi cosa sarebbe accaduto se lui e Will fossero rimasti da soli insieme. Di certo nulla di buono, almeno da parte sua.

«Ottimo.»

Leo continuò a guardarlo, e aggiunse, senza riflettere: «Chiederò anche a Calipso di venire con noi.»

Will sgranò gli occhi per un momento. «Calipso?» ripeté, pensando all'ultima volta che l'aveva vista. Non era proprio molto felice di vederlo, figuriamoci passare l'intera giornata in sua compagnia. «Mh, okay. Allora... allora chiederò a Connor di aggiungersi.»

Leo si conficcò le unghie nel palmo della mano. «Bene, ottimo. Allora ci vediamo domani.»

«Domani, per le dieci.»

Leo annuì e gli diede le spalle, chiedendosi come avrebbe potuto resistere per un'intera giornata alla tentazione di colpire Connor Stoll in pieno volto. Già vederli insieme in mensa era difficile...

Calipso. Avrebbe superato la giornata insieme alla futura moglie. E ora aveva anche una notizia da darle: potevano fissare le nozze per dicembre.

 

Will guardò Leo allontanarsi, maledicendosi tra sé. Una giornata al Luna Park con Leo e Calipso? Perché non si portava direttamente dietro un pugnale, per mettere fine alle sue sofferenze? Sperò che la presenza di Connor potesse aiutarlo.

Il figlio di Ermes era davvero meraviglioso nei suoi confronti, non faceva nulla per dargli fastidio. Col passare dei giorni, Will aveva scoperto che Connor gli piaceva davvero tanto. Era semplice, di bell'aspetto, e quando stava in sua compagnia non pensava mai a nient'altro che non fosse il suo portafoglio, ben al sicuro sotto al materasso della sua cabina. Ormai non se lo portava nemmeno più dietro se doveva vedere Connor.

Ma Calipso... passare tutta la giornata in compagnia di Calipso... già il solo pensiero lo stordiva. Non avrebbe retto i suoi sguardi, né le sue frecciatine. Se lei gli avesse detto qualcosa di sbagliato, non poteva assicurare la sua solita indifferenza. E a proposito di indifferenza... non era arrabbiato con Leo per quello che aveva letto nel taccuino di Travis?

«Per James.» mormorò tra sé Will, avviandosi dal suo paziente figlio di Demetra. «Lo faccio soltanto per James.»

 

Quando più tardi Will vide Connor nella sua cabina, gli parlò dei suoi progetti per il giorno seguente. Connor, intento a togliersi via il trucco da Loki, gli lanciò un'occhiata strana.

«Vuoi passare la giornata di domani in compagnia del tuo ex?» gli disse Connor, fissandolo.

«In compagnia del mio ex, della sua futura moglie e di tuo fratello.» precisò Will, riponendo la targhetta del Dottor Strange nel cassetto.

«Mh... Non mi piace.»

Will gli lanciò un'occhiata. Era strano vedere il suo Connor con quegli abiti verdi e l'elmo di Loki, un dio norreno probabilmente esistente nella loro realtà.

«Perché non ti piace?» chiese Will, immaginando la risposta.

«Mi sembra un'uscita fuori luogo.» Connor si tolse l'elmo. «Insomma, Leo è il tuo ex.»

«Ma non usciremo solo con lui.» ripeté Will, trattenendo un sospiro. «Ci saranno anche Calipso e Travis, senza contare i bambini.»

«Lo hai già detto ai bambini?»

«Certo.» Will abbozzò un sorriso. Bryan aveva ululato dalla gioia quando, mezz'ora prima, gliene aveva parlato. Era corso da James, solo per scoprire che il suo migliore amico già lo sapeva. «Devono pur prepararsi per domani, no?»

Connor si mise a braccia conserte, per nulla convinto. Will si tolse la maglietta e si avvicinò al figlio di Ermes, portandogli una mano sul petto, accarezzandogli la maglia verde.

«È un'uscita per i bambini.» mormorò Will, trattenendo un sorriso nel sentire Connor fremere al semplice tocco delle sue dita sul petto. «Non ho potuto esserci alla festa di James, quindi vorrei farmi perdonare portandolo al Luna Park. James è un bambino piuttosto rancoroso, certe volte.»

Will ricordò come lo avesse colpito sulla spiaggia al suo ritorno, e notò Connor annuire.

«Già, oggi ha mandato via dalla sua festa un sacco di persone perché non erano vestite a dovere.» disse, e sorrise. «Okay, d'accordo. Scusami se ci ho messo un attimo a digerire la notizia.»

«Non preoccuparti, è normale avere dei dubbi.»

Connor annuì per un momento, lo sguardo fisso sulle sue labbra, e Will lo baciò, stringendolo a sé. Chissà se un giorno, con il passare dei mesi o degli anni, avrebbe scoperto di amarlo. A volte gli sembrava facile pensarlo, altre lo trovava difficile.

I suoi pensieri su Leo, ormai, erano sempre più insistenti. E ora che la coppia poteva programmare le nozze, Will era certo che quei pensieri sarebbero raddoppiati. Già immaginava di imbucarsi alle nozze, di urlare di non esserne d'accordo quando Chirone, o chiunque altro avesse ufficializzato le nozze, lo avesse chiesto. Si vedeva mentre scappava via mano nella mano con Leo...

Forse doveva davvero smetterla di guardare Grey's Anatomy con Hazel.

«Facciamo il bagno insieme?» domandò Connor, scostandosi appena dalle sue labbra.

Will annuì, cercando di ignorare dove fosse la mano del bruno, e lo seguì obbediente fino alla vasca.

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Capitolo 55
*** 73. Al Luna Park ***


James era elettrizzato al pensiero di passare tutta la giornata in compagnia dei suoi migliore amici al Luna Park. Aveva passato la notte insonne, correndo di continuo dai genitori per chiedergli il permesso di salire sull'ottovolante, sugli autoscontri, se poteva maneggiare il fucile e colpire i barattoli. La prima volta i genitori risero per le sue domande, ma dopo essere stati svegliati per la quarta volta alle due di notte, nessuno rideva più.

«Se non torni immediatamente a letto, James Leonidas Valdez, giuro che non andrai da nessuna parte, né oggi né mai!» ringhiò Calipso quando la porta della sua camera cominciò ad aprirsi.

James si affrettò a richiudere la porta e Leo sentì i suoi passi tornare in camera. Non riuscì a trattenere una risata e passò le dita tra i capelli della futura moglie.

«Hai sonno?» domandò Leo, mentre Calipso tornava a coricarsi al suo fianco e appoggiare la testa sulla sua spalla.

«Da morire.» sospirò lei, lanciando un'occhiata alla sveglia. «Sono solo le due.»

«La prossima volta, glielo diremo solamente al mattino.» annuì Leo, trattenendo uno sbadiglio. Anche lui aveva sonno, quella giornata era stata piuttosto movimentata, con la festa di James.

Jason lo aveva invitato a bere una birra in spiaggia solo loro due e avevano chiacchierato per ore, parlando dei loro vecchi ricordi. Jason si era scusato per essere sparito dalla sua vita, e gli aveva rivelato che lui e Piper, anni prima, quando Leo era alle prese con il piccolo James, si erano lasciati. Per la precisione, era stata Piper a mollarlo perché aveva bisogno di riscoprire sé stessa. Per Jason era stato un periodo piuttosto difficile, e Leo si era trattenuto a stento dal prenderlo a pugni.

Però almeno Jason si era scusato per essere sparito così all'improvviso dalla sua vita e Leo si era ritrovato in parte felice, sperando che quello fosse l'inizio del loro ritorno insieme come amici.

Calipso annuì, chiudendo gli occhi. Leo la osservò con attenzione, trovandola bellissima. Le passò le dita sul volto, cercando di concentrarsi su di lei, e non sulla giornata che li aspettava al mattino.

«Perché Will vuole portarci al Luna Park?» domandò Calipso all'improvviso, quando Leo immaginava che ormai si fosse addormentata.

«Te l'ho detto perché.» disse Leo, posandole la guancia sulla testa. «Voleva scusarsi con James per non essere venuto alla sua festa di compleanno. Portare i bambini al Luna Park non è una cattiva idea, no? E poi, tempo fa gliel'avevo proposto io.»

«Ma perché anche noi? E non solo i bambini?»

Leo la guardò dubbioso. «Non vuoi andare?»

Calipso aprì gli occhi. «Ormai ho dato la mia parola.» disse, abbozzando un sorriso e guardando il figlio di Efesto. «Però la prossima volta, lascia andare solo James, così noi possiamo prenderci una giornata solo per noi due.»

Leo ridacchiò e la baciò sulla guancia. «La prossima volta faremo così, te lo prometto.»

Calipso si appoggiò contro di lui e dopo qualche secondo si addormentò. Leo le passò le dita tra i capelli, osservando la porta socchiusa, pensando a Jason, a James, a Will. Aveva invitato Jason al Luna Park, ma il figlio di Giove aveva declinato l'invito. Voleva passare la giornata in compagnia di Hazel, Piper e Annabeth, e Leo decise che, dopo il Luna Park, avrebbe passato anche lui una serata con i suoi amici al completo. Forse potevano chiedere anche a Percy di unirsi, visto che Annabeth non era più arrabbiata con lui. Ma Frank avrebbe mancato a quella riunione, come mancava da un decennio nella loro vita.

Scacciando via i pensieri dolorosi, Leo chiuse gli occhi, cercando di non soffermarsi troppo su Will Solace. Quella giornata doveva essere tranquilla, doveva comportarsi bene nei confronti del suo ex, doveva fargli capire che non gli importava più niente di lui.

E forse, se avesse continuato a ripeterlo, prima o poi ci avrebbe creduto.

 

Will si svegliò presto quel mattino, non tanto per l'ansia provocata dalla giornata in compagnia di Leo e della sua famiglia, ma per Bryan, che aveva insistito tanto per dormire con lui e lo aveva preso a calci tutta la notte. Nonostante questo, e il fatto che si sentisse tutta la schiena indolenzita, Will non era arrabbiato con il fratello minore. Lo guardò dormire, pensando a quanti progressi avesse fatto negli ultimi mesi, da quando erano arrivati lì al Campo. All'inizio, dopo la morte della madre, Bryan si era chiuso in sé stesso, parlando a scatti, dicendo il minimo indispensabile. Quando erano arrivati al Campo, e aveva scoperto che Will diceva la verità su suo padre, dopo aver visto la lira dorata simbolo di Apollo sulla sua testa, il bambino si era aperto di più, era uscito dal suo guscio. Conoscere James Valdez e Lily Stoll, però, lo aveva del tutto cambiato.

Will passò le dita sui capelli del fratellino, pensando di aver agito nel giusto tornando lì al Campo. Se n'era andato di tutta fretta, senza pensare ad un possibile ritorno, deciso solo ad allontanarsi da quella vita. Ora che aveva trovato Bryan, una parte di lui era felice di aver lasciato il Campo. Non l'avrebbe mai trovato, altrimenti.

Will cercò di non far andare oltre i suoi pensieri, di non ricordare il sorriso di Leo e il suo viso riflesso in quei meravigliosi occhi scuri, ma non ci riuscì. Era combattuto. Se non avesse fatto quello che aveva fatto, se non avesse dato retta ai pensieri nella sua testa, non avrebbe trovato Bryan. Il suo caro fratellino avrebbe fatto la fine degli orfani, avrebbe vissuto nella paura e nel terrore, e avrebbe potuto incontrare la morte per mano di qualche mostro. Abbracciò il fratellino, sentendosi dilaniare dall'interno.

«Mi stai soffocando.»

Il brontolio di Bryan lo riscosse dai suoi pensieri e Will lo lasciò andare in fretta, prima che potesse morderlo o tirargli un altro calcio. Bryan lo fissò torvo solo per qualche secondo, lasciandosi scappare uno sbadiglio e sorridendo nel ricordare che giorno fosse.

«Andiamo al Luna Park!» esclamò il ragazzino, scendendo dal letto con un balzo. Afferrò i vestiti che Will gli aveva preparato la sera prima e corse a chiudersi in bagno.

Will ridacchiò, alzandosi dal proprio letto. Sistemò la camera mentre aspettava che il bagno si liberasse e prese il cellulare, mandando un messaggio a Connor per chiedergli se fosse sveglio. La risposta del figlio di Ermes non si fece attendere e Will si ritrovò a sorridere nel leggere il messaggio pieno di cuoricini. Connor era proprio la persona giusta per lui. La sera prima avevano fatto il bagno insieme, e Will era tornato nella propria cabina perché non voleva lasciare Bryan da solo, voleva controllare che dormisse. Al rientro, però, aveva scoperto che il fratellino si era già appisolato nel suo letto e, anziché spostarlo, Will si era coricato lì con lui.

«Scrivi al tuo fidanzato?»

Will alzò lo sguardo su Bryan, che si stava asciugando il viso. Si era già vestito e se non fosse stato per i capelli bagnati, Will avrebbe avuto qualche dubbio sul fatto che si fosse lavato.

«Sì.» annuì Will, occhieggiandolo. «Hai usato il sapone?»

«Perché avete tutti quella faccia da scemi quando scrivete al vostro fidanzato?» domandò Bryan di rimando, ignorando la domanda del fratello maggiore.

Will arrossì appena e posò il cellulare sulla scrivania. L'impulso di correre e controllare la sua espressione allo specchio era alta. Aveva davvero una faccia da scemo mentre scriveva a Connor?

«Hai usato il sapone?» si ritrovò a ripetere e guardò Bryan scrollare le spalle.

«A che serve? Tanto ora mi metto a correre e suderò di nuovo...» borbottò Bryan, prendendo il deodorante di Will e spruzzandoselo addosso. Will alzò un sopracciglio e trattenne un sorriso alla vista dei capelli biondi che lentamente cominciavano ad asciugarsi da soli. «Vado a fare colazione, e vado a svegliare Lily e James.»

«D'accordo, ma non mangiare troppo!» esclamò Will, ma il fratello era già uscito dalla loro stanza e sfrecciava nei corridoi verso la porta.

 

Quando Will uscì dalla cabina, trovò Bryan, Lily e Connor vicino all'uscita del Campo. I bambini saltellavano eccitati e si scambiavano il programma della giornata, mentre Connor fissava il cellulare con le labbra socchiuse. Ma nel sentire i suoi passi in avvicinamento, il figlio di Ermes sollevò lo sguardo su di lui e si illuminò, sorridendo alla sua vista. Al tempo stesso, il cuore di Will fece una capriola. Poteva davvero abituarsi ad una reazione del genere.

«Ciao!» lo salutò Connor, andandogli incontro e baciandolo. «Travis e Katie stanno per arrivare, hanno avuto degli impegni in camera da letto.»

Will sorrise, ricambiando il bacio. «Chissà che impegni...» mormorò e Connor ammiccò nella sua direzione. «E James?»

«Si sono appena svegliati.» sospirò Bryan, mentre Lily scuoteva la testa per esprimere il suo disappunto. Somigliava molto a sua madre. «Non hanno sentito la sveglia.»

«Arriveranno.» disse Connor, passando le braccia attorno al collo di Will. «Leo mi ha detto che si sono addormentati tutti un po' tardi.»

Will annuì, cercando di non pensare al motivo per cui si fossero addormentati tardi. Immaginò che fosse simile al motivo per cui Travis e Katie facessero ritardo... Scacciò quel pensiero dalla testa. Quello che faceva Leo, dopotutto, non era affar suo.

Baciò Connor dolcemente, ignorando i versi di disgusto dei bambini, cercando di pensare ad una vita con lui. Se continuavano così, di certo prima o poi si sarebbe innamorato.

«Eccoli!»

La voce di Lily fece scostare Will e Connor, che si voltarono a guardare James in avvicinamento. Il suo sorriso era così enorme che Will temette per un attimo che fosse passato Joker a fargli visita. Si tuffò tra le braccia dei suoi amici e tutti e tre cominciarono a parlare nello stesso momento, trasmettendo la loro gioia. Will sorrise e spostò lo sguardo su Calipso, ancora assonnata, e su Leo. Incrociò i suoi occhi per un attimo, poi tornò a guardare i bambini. Che giornata lunga si prospettava.

 

Vedere Will e Connor in atteggiamenti intimi, proprio di fronte a lui, non migliorò l'umore di Leo, ma neanche lo peggiorò. Non poteva mostrarsi arrabbiato di fronte a Calipso, perché la fidanzata avrebbe capito subito il suo malcontento. Calipso non era un'idiota, e Leo l'amava proprio per questo. Era una splendida donna, intelligente e meravigliosa. L'amava, era sicuro di amarla perché provava lo stesso sentimento da anni, da quando si erano innamorati su Ogigia. E, nonostante i loro trascorsi, continuava ad amarla.

Un po' come i sentimenti che provava per Will. Ma quelli doveva soffocarli fino a farli scomparire. Giusto?

«Ciao!» salutò Leo, fermandosi a qualche passo di distanza da Connor e Will. «Dove sono Travis e Katie?»

Cercò di nascondere il tono preoccupato della voce. Voleva il suo migliore amico in quell'uscita, non voleva ritrovarsi al Luna Park con i bambini e il suo ex con il suo nuovo ragazzo. Sarebbe esploso, e non voleva rischiare di ferire nessuno.

«Stanno arrivando.» disse Connor, controllando il cellulare. «Un paio di minuti e sono qui.»

«Ottimo.» disse Leo, infilando le mani in tasca. Al suo fianco Calipso sbadigliò e si stiracchiò. Avevano dormito solo sei ore, dall'ultima volta che James li aveva svegliati, e nessuno dei due aveva sentito la sveglia. Solo le urla isteriche del bambino nello scoprire che i genitori non erano ancora in piedi.

Per qualche secondo nessuno parlò, imbarazzato. I pensieri di Leo erano un turbinio di emozioni, di sentimenti contrastanti, di odio verso sé stesso. Perché aveva accettato quell'uscita? Will e Calipso nello stesso posto, nello stesso momento, con lui. Era proprio sadico.

«Come andiamo al Luna Park?» domandò Calipso, interrompendo il silenzio e guardando i due ragazzi di fronte a lei. «Avete la macchina?»

«Ho chiesto la Volvo a mio fratello.» disse Will, toccandosi la tasca dei jeans per prendere la chiave, ma lasciò perdere quando la vide tintinnare tra le dita di Connor. «In cinque, lì ci stiamo.»

«Stavo pensando che io e Will potremmo partire con i bambini.» aggiunse Connor. «Così non li dividiamo.»

«Sul serio?» disse Leo, trattenendosi a stento dallo sbuffare. «Volete fare un viaggio di mezz'ora con tre ragazzini urlanti in macchina?»

Gli sguardi di tutti e quattro si puntarono sul gruppetto che, nel sentire quella frase, cominciò a sghignazzare e parlare il più veloce possibile.

«Sì.» annuì Connor, sebbene il sorriso cominciasse a spegnersi. «Insomma... mi sembrava una buona idea...»

«Lo è.» lo rassicurò Will, dandogli una pacca sulla schiena e sorridendo, dedicandogli uno di quei sorrisi che Leo adorava. «È un'idea fantastica!»

Connor ricambiò il sorriso, e lo sguardo che si scambiarono fece venir voglia a Leo di dare fuoco a qualcosa. Si guardò attorno, sperando in una distrazione, e quando vide Travis, sospirò dalla gioia.

«Ciao ragazzi!» li salutò Travis, fermandosi a qualche passo dalla figlia, che corse da lui per dargli un bacio sulla guancia. «Scusate se ci abbiamo messo tanto.»

L'espressione imbarazzata e soddisfatta di Katie fece intuire a Leo cosa li avesse fatti tardare e non riuscì a trattenere un sorriso. La spallata di Calipso, però, gli evitò di fare battute idiote davanti ai bambini.

«Allora, voi due e i bambini sulla Volvo.» riprese Calipso, guardando Connor. «E noi? Come andremo al Luna Park?»

«Potremmo andarci con Festus.» disse Travis, e Leo scosse la testa.

«Meglio evitare di appesantirlo.» disse il figlio di Efesto, trattenendo un sospiro. Dopo l'avvelenamento, lo aveva rimesso in piedi, ma aveva ancora paura per lui. Non voleva dargli troppo lavoro. E poi, Festus era libero nel bosco da così tante settimane che ormai doveva essere diventato un drago selvatico.

«Vado a chiedere l'auto a Pearl.» disse Katie. «Ci metto un minuto.»

Travis annuì e Katie corse di nuovo nella sua cabina. I bambini continuavano a parlare e Will non riusciva a capire di cosa parlassero. Anche lui da bambino era così? Be', con una madre come la sua, forse no.

«Will, hai invitato Hazel?» domandò Calipso, trattenendo uno sbadiglio.

«Certo, ma era impegnata con Piper e gli altri.» disse Will, con un'alzata di spalle. «Ma forse è meglio così, siamo tutti delle coppie.»

«Già, vero.» annuì Calipso, guardando prima figlio di Apollo e poi quello di Ermes al suo fianco. «Siete proprio una bella coppia.»

Leo ebbe la tentazione di accompagnare la frase della moglie con un dito in gola e l'inconfondibile suono del rigetto, ma evitò per un pelo.

«Grazie.» disse Connor e Will nello stesso momento, prendendosi per mano come per sottolineare il loro rapporto. Si lanciarono un'occhiata divertita, forse sorpresi di aver fatto la stessa cosa.

Calipso sorrise a Will, e Leo cercò di rimanere impassibile. Calipso aveva forse seppellito l'ascia di guerra? Forse vedere Will con un altro ragazzo le aveva fatto capire che Will non era più una minaccia per la sua relazione. Calipso si fidava ciecamente di lui, ormai.

Leo si domandò se potesse rinunciare all'uscita per passare la giornata da solo con i suoi pensieri, ma non ebbe il tempo di formulare la domanda ad alta voce che Katie fu di ritorno con un mazzo di chiavi che passò al fidanzato.

«Pearl ci ha lasciato le chiavi della sua auto.» disse la figlia di Demetra, sorridendo. «Ma ci ha chiesto di non sporcarle i sedili, quindi evitate di mangiare.»

Leo e Travis si lanciarono un'occhiata e scoppiarono a ridere. Connor ridacchiò a sua volta mentre chiamava i bambini e si avviava con loro alla Volvo, subito seguiti da Will.

 

Connor aveva trovato un cd della Disney nella stanza di Lily, e l'aveva infilato nel lettore della Volvo. I tre bambini cantarono per tutto il viaggio fino al Luna Park, con Will che li teneva d'occhio lanciando loro occhiate dallo specchietto retrovisore. All'inizio, Lily e James non avevano voluto cantare con Bryan, che aveva il tono melodioso e per nulla stonato dei figli di Apollo. Quando Bryan si era fermato in imbarazzo, i suoi amici avevano deciso di cantare e divertirsi. Connor, non occupato a guidare, fece loro diversi video con il cellulare per mostrarli ai loro genitori.

Quando arrivarono al parcheggio del Luna Park, Will notò di non essere affatto stanco. Gli era piaciuto ascoltare i bambini cantare a squarciagola, e lo aveva fatto pure lui, trascinando quasi a forza Connor in un duetto. Era stato un bel viaggio, ma sperò che al ritorno i bambini decidessero di dormire. Aveva la gola in fiamme, ormai.

«I vostri genitori non sono ancora arrivati.» notò Bryan, non appena furono scesi dalla macchina. Connor distribuì succhi di frutta ai bambini e si sedette sul cofano in attesa degli altri.

«Pensate che si siano persi?» domandò Lily, bevendo un po' di succo con una strana espressione.

«Non possiamo scoprirlo dopo?» ribatté James, lanciando un'occhiata al cancello del Luna Park. «È così vicino... non possiamo prima fare qualche giostra e poi preoccuparci per loro?»

Will e Bryan risero, mentre Lily annuiva con lui.

«Finite il succo, poi entriamo.» disse Connor, controllando il cellulare. Il fratello gli aveva scritto mezz'ora prima per avvertirlo che erano partiti qualche minuto dopo di loro. «Credo proprio che ci sia Travis alla guida. Quindi, arriveranno tra un bel po'.»

«Papà guida pianissimo.» rivelò Lily.

«Forse è per questo che voleva andare con Festus.» mormorò James.

«Chi è Festus?» domandò Bryan, curioso.

«Te lo farò conoscere quando torniamo al Campo, promesso.»

Bryan sorrise a James, che ricambiò il sorriso con un sorrisetto per niente rassicurante. Will decise di avvisare Leo, di tenere Festus fuori dalla portata dei bambini. Di sicuro James voleva portare i suoi amici a fare un giro sul drago volante della famiglia.

Aspettarono qualche minuto l'arrivo dell'auto, e Will, notando che i bambini stavano cominciando ad essere piuttosto su di giri, decise di farli entrare. Lui e Connor seguirono i bambini all'interno del Luna Park e li accompagnarono ai mini autoscontri. Will li tenne d'occhio mentre giravano per la pista, sbattendo l'uno contro gli altri. Riusciva a sentire le loro risate di sottofondo.

«Sono arrivati.» disse Connor, posando una mano sulla spalla di Will per farlo voltare verso l'entrata. «Al ritorno, chiediamo a Leo di guidare.»

Will ridacchiò, osservando le due coppie appena arrivate. Calipso e Katie stavano discutendo con Travis, che sembrava piuttosto fiero di ignorarle. Leo, qualche passo dietro di loro, stava cercando in tutti i modi di non ridere. Will sorrise a quella vista, pensando che fosse proprio un comportamento da Leo.

«Ce l'avete fatta.» disse Will, mentre i quattro li raggiungevano.

«Andavamo un po' piano.» disse Leo, con una scrollata di spalle e trattenendo un sorriso.

«Piano e al sicuro.» aggiunse Travis, mentre Katie alzava gli occhi al cielo.

«Ho visto vecchiette in bici superarci.» borbottò la figlia di Demetra.

«Ma siamo arrivati senza incidenti nel percorso e tutti in ottima salute.» precisò Travis.

«Be', siamo tutti un po' arrabbiati per aver fatto ritardo.» gli fece notare Calipso.

«Ma è stato un viaggio senza bambini. Non vi è bastato?»

Alle parole di Travis, Katie e Calipso si lanciarono un'occhiata. «In effetti ha ragione.» mormorò Calipso. «Ci siamo riposati, durante questo viaggio.»

Travis sorrise gongolante e Leo scosse la testa, divertito. Incrociò per un attimo gli occhi di Will, ma il figlio di Apollo distolse lo sguardo per puntarlo ai bambini che ancora si divertivano alle loro spalle.

«Non pensiamo più a questo triste viaggio.» disse Connor, con fare un po' teatrale. «Godiamoci la bella giornata e i giochi. E i bambini, ovviamente.»

 

Il viaggio di andata non è stato così male, pensò Leo mentre prendeva la mira con il fucile e colpiva l'ennesimo barattolo. Aveva avuto modo di restare in silenzio e pensare, cosa che ormai faceva di continuo. La testa gli doleva per tutti i pensieri che la affollavano. E le due donne che insultavano Travis, che per tutta risposta alzava il volume della musica, non avevano contribuito a separare i suoi pensieri.

Ormai lui e Calipso avevano una data per il matrimonio. Be', non l'avevano ancora scelta, ma ne avevano parlato di sfuggita il giorno prima, mentre ritiravano gli avanzi e i regali della festa di James. Non ne avevano discusso più del dovuto, preferendo riflettere sulla data. Dopotutto, il giorno del loro matrimonio non era solamente una giornata: avrebbero festeggiato quell'anniversario per tutto il resto della loro vita. Volevano che fosse un giorno importante. O almeno, era Calipso a desiderarlo.

Leo finì di sparare all'ultimo barattolo e scelse il peluche di una tigre per la moglie, che lo apprezzò moltissimo. Si scambiarono un bacio mentre Connor prendeva il suo posto con il fucile e sparava in rapida successione a tutti i barattoli, facendo un punteggio superiore a quello di Leo. Il figlio di Efesto cercò di non farci caso, e si domandò distrattamente se Connor volesse dimostrare a Will di essere un fidanzato migliore di lui. Forse era proprio così, viste le continue occhiate del figlio di Ermes al biondino. Ma non gli bastava considerarlo il suo ragazzo? Doveva per forza mettersi così in mostra?

Forse era proprio così.

Calipso sembrava apprezzare il rapporto di Connor e Will, e Leo ne fu un po' felice. Almeno la sua futura moglie non avrebbe più avuto modo di essere gelosa con il figlio di Apollo. Ormai poteva essere certa che Will avesse voltato pagina, e che non avrebbe più rubato il suo uomo. Chissà cosa avrebbe detto, se avesse scoperto i pensieri di Leo...

Per fortuna c'erano i bambini con loro. Non davano tempo ai suoi pensieri di focalizzarsi, di concentrarsi, di sospirare per Will. Doveva occuparsi solo di James, e controllare che si divertisse abbastanza.

Quando decisero di andare sulla ruota panoramica, Connor e Will salirono insieme ai bambini. Le altre due coppie decisero di approfittarne per andare prima nel tunnel dell'amore, e poi in quello degli orrori, in modo far contenti ognuno il proprio partner. Dopo una lenta pomiciata con Calipso nel tunnel dell'amore, fu felice di sentirla stretta a lui mentre mostri di ogni tipo comparivano alla loro vista. Leo ridacchiò per la reazione di Calipso, ma anche per quella di Travis e Katie, saliti nella carrozza insieme a loro. Strillavano tutti e due come se fossero i mostri peggiori che avessero visto. Ricordando la sua unica visita negli Inferi, per Leo fu una passeggiata. C'erano cose ben peggiori, in giro.

Uscirono dal tunnel degli orrori ridendo. Si fermarono a prendere un milkshake a testa, poi tornarono alla ruota panoramica, solo per scoprire che i ragazzi si erano allontanati. Trovarono Will dopo qualche minuto, che teneva d'occhio i bambini mentre facevano un giro sulle piccole montagne russe. Sembrava in preda all'ansia, con Connor al fianco annoiato che guardava il cellulare.

«Ehi.» li salutò Leo, avvicinandosi, notando lo strano pallore di Will. «Che succede?»

«I bambini sono al loro terzo giro.» disse Connor, prima che il figlio di Apollo potesse dire qualcosa. «E Will li sta fissando così tanto che sto cominciando a preoccuparmi.»

«La ruota panoramica.» brontolò Will, mentre Katie lo affiancava. «Era più alta del previsto.»

«Può succedere.» disse Calipso. «Vuoi sederti?»

«Dobbiamo chiamarti un dottore?» domandò Travis, osservando il biondo. «Un dottore per il dottore?»

Will scosse la testa, accennando un sorriso. «Sto meglio, non preoccupatevi. Non soffro di vertigini, ma non la smettevano di guardare giù che mi sono incuriosito anch'io. E, a proposito...» Will infilò una mano in tasca e ne estrasse una mezza dozzina di semi di girasole. Li porse a Travis. «Lily ha fatto cadere questi, e non so dirti se le sono usciti dalle mani o dalle tasche.»

«Direi dalle mani.» annuì Travis, prendendo i semi. Katie si illuminò nel vederli. «Ha riempito il letto di semi di girasole.»

Katie sorrise, dando una pacca sulla spalla di Travis. «Direi che Lily è più una nipote di Demetra che una nipote di Ermes.»

«È ancora presto per dirlo.» disse Connor, intromettendosi nella conversazione e lasciando perdere il cellulare. «Per quel che ne sapete, potrebbe averli rubati, quei semi.»

«Non credo proprio.» sbuffò Katie, mettendosi a braccia conserte. «Come farebbe a rubarli, durante la notte?»

«Potrebbe essere sgattaiolata fuori dalla finestra...»

«Ha sette anni!»

«Ha il sangue di Travis nelle vene, prima o poi ruberà qualcosa, ne sono sicuro!»

«La natura ha avuto la meglio sul sangue di Travis, ha solo doti di Demetra!»

«Che ne direste di abbassare il volume?» si intromise Leo, guardandosi attorno. «Parlare di dei tra gli umani non è una buona idea, sapete?»

Connor e Katie lo fulminarono con lo sguardo e Leo si pentì di essersi intromesso. Fece un passo indietro, e nello stesso istante, i due cominciarono a litigare in greco antico.

«Forse davano meno nell'occhio prima.» mormorò Will, incrociando lo sguardo di Leo, scoppiano a ridere.

Leo ridacchiò a sua volta, subito seguito da Calipso. Travis si lasciò scappare un sorrisetto mentre cercava di fermare la fidanzata e il fratello. Sembrava un po' stanco di quella conversazione, e Leo si domandò quante altre volte aveva dovuto fermarli.

Si girò a guardare Calipso. Non avevano mai avuto dubbi su quali poteri avesse ereditato James. Lo aveva sempre portato con sé in fucina da quando era piccolissimo, e il calore non lo aveva mai scalfito.

Come se avessero captato la conversazione su di loro, i bambini comparvero vicino a Will proprio in quel momento. Avevano tutti e tre le guance accaldate ed enormi sorrisi. Lily scoccò una rapida occhiata agli zii, che smisero di litigare e si fissarono in cagnesco, con il padre in mezzo come a volerli dividere.

«Vi siete divertiti?» domandò Calipso, proprio mentre Bryan chiedeva: «Dove siete stati?»

«Ehm, abbiamo fatto un giro.» disse Leo, stringendosi nelle spalle.

«Un giro dove?» si incuriosì James.

«Ehm, nel tunnel dell'amore...»

«Bleah, che schifo!» esclamarono i bambini, storcendo il naso.

«...e nel tunnel degli orrori.» concluse Leo.

I bambini si illuminarono a quelle parole.

«Papà, possiamo andarci anche noi?» domandò James, quasi saltellando sul posto.

«Ehm...»

Leo tossicchiò, imbarazzato. Forse avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa, ma ormai il danno era fatto. Era normale che dei bambini di sette anni volessero andare nel tunnel degli orrori. Pensò velocemente ad ogni mostro incontrato nel tunnel: vampiri, scheletri, lupi mannari, mummie, streghe, zombie... nulla di così spaventoso. Nulla di reale. I mostri di cui dovevano aver paura erano ben altri, avendo il sangue degli dei nelle vene.

Leo lanciò un'occhiata a Travis, sperando che l'amico andasse in suo soccorso, ma il figlio di Ermes si limitò a scrollare le spalle. Per lui andava bene qualsiasi cosa. Guardò Calipso, che lo stava fissando torva e la sentì borbottare: «Sai, non devi sempre raccontare tutto tutto

«Ehm... Tu cosa ne pensi, Will?» chiese Leo, sperando che Will lo tirasse fuori da quella situazione. Di solito aveva sempre la battuta pronta.

«Per me va benissimo.» disse Will, e Bryan sollevò la mano per battere il cinque al fratello maggiore. «Solo che c'è la possibilità che facciate degli incubi, questa notte.»

«Non succederà.» lo rassicurò Bryan. «Dormirò nel mio letto, in ogni caso.»

Will guardò Travis, Leo e Calipso. «Voi cosa dite?»

«Per me va bene.» annuì Travis, infilandosi le mani in tasca. «Però Lily, in caso di incubi di mostri spaventosi, dovrai dormire anche tu nel tuo letto. Intesi?»

Lily annuì, leggermente spaventata al pensiero di poter fare degli incubi. Ma non voleva essere di meno dei suoi amici.

«Miranda ti ucciderà.» disse Katie, seria.

«Lo farà se mi troverà.» le fece notare Travis, sogghignando assieme al fratello.

Katie scosse la testa, lasciandosi scappare un sorrisetto.

Leo e Calipso si guardarono negli occhi. Ormai mancava solo la loro approvazione. Se avessero detto di no, James avrebbe fatto i capricci e avrebbe pianto mentre i suoi amici entravano nel tunnel degli orrori senza di lui. Ma se avessero detto di sì, James avrebbe potuto spaventarsi e tenerli svegli un'altra notte.

«D'accordo.» acconsentì Calipso, e Leo si trattenne dallo strabuzzare gli occhi per la sorpresa. «Ma in caso di incubi, te ne occuperai tu, caro.» aggiunse.

Leo roteò gli occhi. «Allora c'era la fregatura.» borbottò, ma sorrideva. Meglio passare la notte insonne che dover vedere il viso triste del figlio mentre gli amici si divertivano o parlavano di quell'esperienza che lui non aveva potuto fare.

«Puoi andare.» disse Leo, e James sorrise, voltandosi verso i suoi amici. I tre cominciarono subito a saltellare entusiasti, poi Katie domandò: «Chi li accompagna?»

Connor si guardò attorno. «Io no, vorrei evitare il tunnel degli orrori...» borbottò.

«Hai paura?» chiese Will, curioso.

«No!» L'esclamazione di Connor fece capire a tutti il contrario. «Solo che non mi sento a mio agio, nei posti bui.»

«Conny, che ne diresti di andare a sparare a qualche altro barattolo?» disse Travis, dando un colpo sulla spalla del fratello. «Facciamo a gara a chi fa più punti!»

«Sì!» esclamò Connor, entusiasta quanto i bambini a quell'idea. Lui e Travis partirono subito verso lo stand con le pistole più vicino, lasciando i quattro adulti a guardarli.

«Credo che andrò con loro.» disse Katie, lanciando un'occhiata a Leo. «Li accompagni tu, vero?»

«Certo.» sospirò il figlio di Efesto, fingendosi contrariato anche se l'idea lo faceva sorridere. Poteva spaventare i bambini quando le luci si sarebbero spente all'improvviso, prima della comparsa della perfida strega.

Calipso gli diede un buffetto sul naso. «Non spaventare nessuno.» gli disse, sorridendo, come se gli avesse letto nel pensiero. «Vado con Katie, magari possiamo andare a farci leggere la mano.»

«Sì, sarà divertente!» si entusiasmò Katie, prendendo Calipso a braccetto. Leo le guardò allontanarsi, scuotendo la testa. Chissà cosa avrebbe pensato di loro due la cartomante. Avrebbe notato di non aver a che fare con due semplici umane o si trattava solo di una cialtrona qualsiasi?

Leo si voltò verso i bambini e quasi sussultò alla vista di Will, a qualche metro da lui, che lo guardava quasi imbarazzato.

«Vengo con te.» disse il figlio di Apollo, lanciando una rapida occhiata ai bambini. «Sarà dura, da solo, con tutti e tre.»

«Posso cavarmela.» si ritrovò a dire Leo, osservandolo. «Puoi andare a fare il tifo per Connor.»

Will lo guardò, con quegli incredibili occhi azzurri. «Con Travis al suo fianco, immagino che Connor non si renderà nemmeno conto della mia presenza. Vado a fare i biglietti.» aggiunse, allontanandosi.

 

Leo tenne gli occhi fissi su Will mentre, con i biglietti in mano, tutti e cinque salivano sulla carrozza che li avrebbe condotti nel tunnel. I bambini si sedettero uno vicino all'altro, parlando sottovoce, guardandosi attorno e chiedendosi cosa avrebbero visto. Bryan borbottava qualcosa riguardo a delle mummie e Leo pensò che, se il bambino ne era spaventato, lo avrebbe visto trasalire molto presto.

«Fa tanta paura, questo giro?» domandò Will, con un sussurro, quando la carrozza cominciò a partire.

Leo lo guardò divertito. «Hai paura?»

«No.»

«Vuoi tenermi la mano?»

Will sbuffò. «Non ho paura.» borbottò. «Altrimenti ti avrei lasciato andare da solo.»

«Puoi aver paura lo stesso.»

Will non rispose e Leo trattenne una risata, pensando a quanto fosse strano e al tempo stesso familiare quel momento tra loro, in compagnia dei bambini. Gli tornarono in mente le loro uscite in passato con James. Si era sempre trovato bene in compagnia del biondino.

Come aveva immaginato Leo, Bryan sussultò alla vista delle mummie. Lily lanciò un grido quando un lupo mannaro si avvicinò un po' troppo alla loro carrozza e James rise per le loro reazioni, sebbene con una nota di panico nella voce. Bryan e Lily ottennero la loro rivincita quando James saltò in aria alla comparsa di uno zombie, facendogli il solletico sui fianchi quando si allontanarono dall'area per passare a quella successiva.

«Hai avuto paura finora?» domandò Leo sottovoce a Will. Lo aveva visto agitarsi per un attimo, quando gli zombi erano comparsi toccandogli i capelli, ma non aveva gridato.

«No...» Il tono di Will non era dei più allegri e Leo si ritrovò a sorridere. Forse doveva evitare di prenderlo in giro, prima che Calipso potesse raccontare com'era trasalito lui almeno un'ora prima.

«Tra un po' si spegneranno le luci.» continuò Leo, avvicinandosi al viso di Will per non farsi sentire dai bambini. «Non ti spaventare.»

«Non ho paura!» ripeté Will a denti stretti, e Leo si morse il labbro per non scoppiare a ridere. Era più forte di lui prenderlo in giro. Come se non fosse mai successo niente tra loro. Come se Will non avesse una relazione con il fratello del suo migliore amico, o come se lui non fosse in procinto di sposarsi.

La velocità della carrozza raddoppiò, facendo strillare i bambini e facendo scappare un urletto a Will, ma non ebbero il tempo di abituarsi che la carrozza si bloccò di colpo, lasciandoli tutti turbati. A parte Leo, che sapeva già come sarebbe accaduto.

Le luci si spensero all'improvviso, facendo gridare James. Leo sentì Lily piagnucolare come se si trovasse lontano da lei. Bryan batteva i denti.

Dieci secondi di buio completo, con i mostri che li fissavano da ogni parte per spaventarli a dovere appena le luci si fossero riaccese. Era il gran finale.

Nove secondi, otto.

Leo si voltò verso Will, lo sentiva agitarsi e borbottare ai bambini che andava tutto bene. Ma più che per i bambini, sembrava che lo stesse dicendo principalmente per sé stesso.

Sette secondi, sei...

Leo si ritrovò a sentire il profumo di Will, un profumo di fiori, un po' dolciastro, che gli era sempre piaciuto. Non gli aveva mai chiesto dove l'avesse comprato o di cosa fosse fatto. Immaginò che fosse giacinto, i figli di Apollo ne andavano pazzi, forse per il legame con il padre.

Cinque.

Leo avvicinò il volto a quello di Will e gli sfiorò le labbra prima che potesse capire che non fosse una buona idea. Il gemito sorpreso di Will gli confermò che il biondo non si aspettava quel gesto da parte sua. Non avrebbe dovuto farlo. Era stato un errore, un impulso dovuto al buio. Si sentì un completo idiota. Forse poteva ancora salvarsi, poteva dire di aver sbagliato, e...

Will ricambiò il bacio, stringendo la mano sulla sua coscia solo per un secondo, solo un battito di cuore. Quello di Leo aumentò i battiti, assaporando quelle labbra che gli erano mancate così tanto negli ultimi due anni.

Due.

Leo si allontanò di scatto da Will, con il cuore che batteva così forte che ebbe paura di vederlo uscire dal petto come nei cartoni animati. Si portò una mano al petto, cercando di calmarsi, chiedendosi se avesse le guance rosse come un adolescente. Stava ancora guardando Will quando le luci si riaccesero, e incrociò gli occhi azzurri del figlio di Apollo. Lui sì che aveva le guance arrossate. Ricambiò il suo sguardo per una frazione di secondo, poi lo vide sussultare alla vista dei mostri sparpagliati per la sala.

«Oh!»

L'esclamazione sorpresa di Bryan fu coperta dall'urlo di James e Lily. Leo vide che nel buio si erano abbracciati tutti e tre. Bryan era spaventato, ma lo sguardo che lanciò a Leo non era di paura. Il figlio di Efesto si domandò se li avesse visti, ma era impossibile. Si erano separati prima che le luci si riaccendessero. E i figli di Apollo non vedevano al buio. Giusto?

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Capitolo 56
*** 74. In infermeria ***


«Mi sa che quel tunnel, li ha spaventati proprio a dovere.» disse Connor, mezzo coricato nel sedile del passeggero, lanciando di tanto in tanto delle occhiate ai tre bambini alle loro spalle.

«Mh, sì.» annuì Will distrattamente, gli occhi fissi sulla strada, cercando di non guardare più del dovuto l'auto che li seguiva. Si sentiva confuso e su di giri al tempo stesso. Non era un buon segno.

«Ecco cosa farò quando Lily non mi darà ascolto.» continuò Connor, divertito. «La porterò nel tunnel degli orrori!»

«No, zio, basta!» esclamò la bambina con voce flebile, ancora terrorizzata.

James, piuttosto pallido, e Bryan, piuttosto silenzioso, la presero per mano per tranquillizzarla. Lily strinse le mani dei suoi amici con energia e non disse niente. Quel giro nella carrozza li aveva proprio spaventati. Non avevano quasi parlato durante il pranzo, e nel pomeriggio avevano riso un po' sugli autoscontri, che però non li avevano distratti abbastanza.

Se non avesse avuto dei pensieri insistenti, Will avrebbe messo la musica e provato a rimediare a quella brutta esperienza che i bambini avevano vissuto. Quella notte avrebbero avuto incubi orribili tutti e tre.

Will lanciò un'occhiata a Connor. Nella gara tra lui e il fratello, era riuscito a vincere con oltre venti punti di differenza. Non aveva fatto altro che gongolare per il resto della giornata al Luna Park, pavoneggiandosi e prendendo in giro il fratello ogni volta che poteva. Will non aveva detto nulla riguardo il suo comportamento, perché il bacio di Leo lo aveva folgorato. Non se l'era aspettato, e dall'espressione del figlio di Efesto aveva capito che era stata una sorpresa pure per lui. E non avrebbe immaginato di sentirlo ricambiare.

«Tutto okay?» domandò Connor, osservandolo. «Sembri su un altro pianeta.»

«Sto bene.» annuì Will.

«Il tunnel degli orrori ha spaventato pure te?»

Will accennò un sorriso. «Può darsi.» borbottò. Il tunnel degli orrori gli era piaciuto, avrebbe fatto un altro giro insieme a Leo, in attesa di quei pochi secondi di buio. Gli aveva posato la mano sulla coscia. Riusciva ancora a sentire il suo calore.

«Non avresti dovuto andarci.» disse Connor, con un sospiro. «Ma se avrai degli incubi, prometto che mi prenderò cura di te, questa notte.»

Lo sguardo di Connor gli fece capire il modo in cui intendeva prendersi cura di lui e Will si ritrovò a forzare un sorriso. Come poteva pensare a Connor, se i suoi pensieri erano pieni di Leo?

«Questa notte dovrò stare in infermeria.» disse Will, chiedendosi da dove gli fosse uscita quella bugia. «Mi ha scritto mio fratello prima che salissimo in macchina.»

«Oh. Be', potremmo vederci domani.»

«Certo, domani va benissimo.»

Connor gli sorrise e tornò a guardare il cellulare. Will cercò di tenere gli occhi e i pensieri sulla strada, ma i pensieri correvano nella sua testa, su Leo. Da quando era tornato al Campo, Leo non gli aveva mai fatto capire di provare ancora qualcosa per lui. Anzi, lui e Calipso avevano pure deciso di sposarsi. E ora... quel bacio. Santi dei, quel bacio.

 

Quando arrivarono al Campo, Will, con la testa più confusa di quando era partito, controllò il cellulare. Mandò subito un messaggio al fratello, per chiedergli di cambiare turno con lui, e Nate gli rispose che andava benissimo. Will trattenne uno sbuffo divertito. Immaginò che Nate non vedesse l'ora di cambiare turno, non gli piaceva mai il turno di notte. Si mordicchiò il labbro, pensando ad Hazel. Non aveva tempo di correre da lei e raccontarle cosa fosse successo, ma decise che l'avrebbe fatto il mattino dopo, appena si fosse svegliato. Riusciva ad immaginare la rabbia della sua migliore amica.

Will aspettò qualche minuto, fino a quando Katie parcheggiò vicino a loro. Se avesse guidato Travis, come all'andata, probabilmente erano ancora a metà del viaggio. Will guardò Leo scendere dalla macchina, chiedendosi se il figlio di Efesto fosse turbato quanto lui, ma quando lo vide ridere e scherzare con Travis, distolse lo sguardo.

«Papà!»

James e Lily corsero dai padri, mentre Bryan li guardava, un po' in imbarazzo, visto che non aveva nessuno da cui andare. Will gli si avvicinò, posandogli la mano sulla spalla, pensando a quanto potesse sentirsi solo il fratello quella notte.

«Non pensavo potesse farti così paura, quel tunnel dell'orrore.» disse Travis, prendendo la figlia in braccio.

«Non così tanta.» disse Lily, in imbarazzo. «Un po'.»

«Anch'io ho un po' di paura.» precisò James guardando i genitori. «Non tantissima, eh.»

«Te la senti di dormire nel tuo letto da solo, questa notte?» domandò Calipso, mentre al suo fianco Leo sorrideva.

James deglutì forte prima di annuire. «Ma certo, che domande.» sbuffò, con uno sguardo che faceva capire il contrario.

«Se hai bisogno, questa notte potrai dormire con Grant.» mormorò Will al fratello, che sollevò lo sguardo su di lui.

«Già, perché tu devi lavorare.» rispose Bryan, e quello sguardo così serio lo fece arrossire.

«Sì, devo lavorare.» annuì Will. «Nate ha cambiato il suo turno con me.»

«Già, ovvio.»

Will aggrottò la fronte, chiedendosi perché il fratello minore gli sembrasse così scocciato. Forse perché gli aveva promesso che avrebbero dormito insieme? O forse... era impossibile che avesse visto il bacio tra lui e Leo. Era successo al buio, e Bryan non poteva aver visto niente. Giusto?

«Non puoi proprio cambiare turno?» domandò Connor, avvicinandosi a lui, posandogli la mano sul petto.

«Mi piacerebbe, ma non posso.» rispose Will, stringendosi nelle spalle. «Ma domani ci vedremo di certo.»

Dopo che avrò parlato con Hazel, pensò Will tra sé. E dopo che lei mi avrà picchiato. È certo che mi picchierà.

Connor lo baciò e Will si ritrovò a ricambiare. Avrebbe voluto che l'altro non lo facesse, ma ormai erano una coppia, era normale che Connor volesse scambiare delle effusioni in pubblico. Ma davanti a Leo...

«Direi che sia il caso di andare.» disse Travis, distogliendo lo sguardo dal fratello e puntandolo sull'amico, che giocherellava con un ricciolo ribelle del figlio. «Meglio affrontare subito le proprie responsabilità.»

«Vuoi andare davvero da Miranda?» domandò Leo, aggrottando la fronte.

«Oh, no. Manderò Katie, da Miranda.»

«Non ci penso proprio.» sbuffò la figlia di Demetra, scuotendo la testa. «Andrai da mia sorella e le dirai la verità. Senza farti uccidere, se riesci.»

Travis la guardò meravigliato, poi spostò lo sguardo sulla figlia. «Quanto vuoi per non avere incubi, questa notte?» borbottò.

«Troppo.» ribatté la figlia, con un piccolo sorriso.

«Uff, ha preso da Connor.» sospirò Travis. «Be', addio amici miei.»

«Addio.» lo salutò Leo, divertito, prendendo a sua volta il figlio in braccio, che gli si avvinghiò come un koala. «Meglio andare anche noi, così prepariamo la cena.»

«Va bene.»

«Ciao, ragazzi.» salutò Leo, lanciando un'occhiata veloce a Will, che si sentì sottosopra. Cos'era quella semplice occhiata? Voleva parlare in privato con lui, ma era improbabile che Calipso li avrebbe lasciati soli. Un po' come Connor. Il suo ragazzo non si fidava del suo ex. Oppure era di lui che non si fidava?

«Ciao.» salutò Will, domandandosi perché mai dovesse fare quel genere di pensieri proprio in quel momento. Se Connor non si fidava davvero di lui, faceva bene. Insomma, il suo ex lo aveva baciato e Will aveva ricambiato. Se non provava niente per Leo, lo avrebbe detto a Connor, no? E invece preferiva tenere la bocca chiusa, e lasciare che quel bacio tra loro rimanesse lì, in sospeso, in attesa che uno dei due facesse qualcosa.

 

 

Dopo la doccia, e la cena piuttosto veloce, Will si diresse in infermeria. Bryan si era un po' calmato una volta entrato nella cabina, e aver passato un po' di tempo a leggere il suo fumetto preferito sembrava averlo tranquillizzato. Di tanto in tanto rabbrividiva, forse ricordando quelle mummie che lo avevano tanto spaventato durante il giro nel tunnel.

Will fu tentato di proporgli di venire con lui in infermeria, ma si bloccò. Bryan poteva accettare, e non voleva correre il rischio che il fratellino vedesse qualche figlio di Ares o di Efesto conciato male. Un conto erano i mostri finti alle giostre, un altro le quantità di sangue versate dai semidei.

Salutò Bryan con un bacio sulla testa prima di lasciarlo alle cure dei fratelli e uscì dalla cabina, ignorando Nate che lo ringraziava per quella serata libera. Aveva intenzione di uscire con una figlia di Afrodite e Will gli augurò buona fortuna: Nate non era mai stato tanto bravo con le uscite, e si augurò che nessuna figlia di Afrodite gli spezzasse il cuore, quella sera.

In infermeria, Will fece un rapido controllo dei pazienti e si rilassò. Era ricoverato solo un figlio di Ares con una frattura alla gamba e a cui, a causa delle molteplici imprecazioni e piagnucolamenti, gli era stata somministrata una dose piuttosto eccessiva di sonnifero.

«O io o lui.» disse sua sorella Helen, quando Will, controllando la cartella del figlio di Ares, le fece notare la somministrazione alta. «E ho preferito lui.»

«Okay.» Will chiuse la cartella, trattenendo una risatina. «Vai pure, riposati.»

La sorella lo salutò e Will decise che avrebbe tenuto sotto controllo il figlio di Ares durante la notte. Ne erano già morti abbastanza, di figli di Ares, non voleva che ne morisse un altro durante il suo turno.

Evitò di pensare ai vari motivi per cui gli altri figli di Ares erano morti in sua presenza e cercò di distrarsi facendo l'inventario delle medicine, delle garze. Controllò le cartelle dei pazienti dimessi e quando guardò l'orologio, Will si sorprese di scoprire che era passata solamente un'ora da quando era entrato. La nottata si prospettava lunga e decisamente noiosa. Nessuno poteva avere un incidente in quel momento? Una bella mano mozzata lo avrebbe di certo distratto e tenuto occupato per un paio d'ore, senza dargli il tempo di pensare a Leo.

Will controllò il cellulare, mandando un messaggio ad Hazel e chiedendole come stesse. L'amica impiegò un po' di tempo a rispondere, e Will la immaginò sul divano, intenta a bere una tazza di tè, guardando Grey's Anatomy o qualche film della Marvel con la quale era in fissa in quei giorni. Fu sul punto di scriverle se le andasse di raggiungerlo in infermeria, quando qualcuno entrò.

«Oh, finalmente.» mormorò Will, lasciando perdere il cellulare e balzando in piedi. Si avvicinò alla porta, chiedendosi cosa potesse avere il suo nuovo paziente, e si bloccò alla vista di Leo Valdez, che teneva un fazzoletto stretto nella mano. Sembrava sporco di sangue.

«È grave?» domandò Will, guardandolo dritto negli occhi, non riuscendo a distogliere lo sguardo da lui.

«No.» rispose Leo, lasciando cadere il fazzoletto, mostrandogli la mano, sebbene non gliene importasse nulla. E, dall'espressione di Will, capì che non fregava nulla nemmeno a lui.

 

 

Vedere Connor e Will baciarsi a così poca distanza da lui, senza poter dire niente, aveva ferito Leo più di quanto potesse immaginare. Aveva sperato che il bacio dato a Will gli facesse capire che lo desiderava ancora, che voleva stare con lui. Ed ecco Will che baciava il suo ragazzo come se non fosse successo nulla tra di loro, in quei pochi secondi di buio nel tunnel dell'orrore. Riusciva ancora a sentire la sua mano sulla sua coscia.

Calipso cercò di far parlare James mentre si dirigevano a casa. All'inizio il bambino rispose a monosillabi, accettando senza lamentarsi di fare il bagno prima di cena. Dal tono di voce, Leo capì che i pensieri del bambino erano ancora tutti puntati sul tunnel, proprio come lo erano per lui.

«Papi, facciamo il bagno insieme?» domandò James, lanciandogli un'occhiata e arruffandogli per un attimo i capelli.

«Certo, mijo.» annuì Leo, trattenendo un piccolo sorriso. Il figlio era proprio diventato mansueto, dopo un po' di paura. Magari poteva mostrargli qualche film dell'orrore quando si comportava male. Abolì subito l'idea: forse era meglio controllare come si comportava durante la notte, prima di prendere decisioni del genere.

Calipso gli sorrise. «Allora io preparerò la cena. Avete qualche richiesta particolare?»

«È avanzata la torta di ieri?» domandò James, illuminandosi.

«Sì, ma per dopo cena.» annuì Leo, sorridendogli.

«Okay, posso aspettare.»

Il figlio sembrava aver ripreso un po' di vitalità dopo quello scambio di battute. Si fece posare a terra e corse fino alla casa, fermandosi di tanto in tanto per non allontanarsi troppo dai genitori. Leo immaginò che lo facesse per la paura di incontrare qualche mostro nel bosco, e non perché rischiava di venire sgridato dai genitori.

La mano di Calipso si infilò nella sua e Leo sentì una stretta allo stomaco. La mano della futura moglie era calda, morbida, accogliente, ma non calda quanto la mano del figlio di Apollo.

«Tutto okay?» domandò Calipso, osservandolo. «Da quando sei tornato dal tunnel degli orrori, ti vedo un po' strano.»

Cazzo, pensò Leo, preoccupato. Non è che è riuscita a leggere sulla mia faccia quello che è successo?

«Mi sento in colpa. Per James.» disse Leo, sentendosi arrossire. «Insomma, se non avessi parlato, non avrebbe deciso di andare in quel tunnel, spaventandosi a morte.»

«Lo avrebbe deciso da solo, e avrebbe trascinato i suoi amici lì sul tunnel quando non avremmo guardato. Quindi va bene così.»

Leo annuì appena, pensando che forse Calipso aveva proprio ragione. James gli somigliava ogni giorno di più. Ma sperò che la sua adolescenza fosse ben diversa dalla sua.

Quando arrivarono nei pressi della casa, Leo lanciò le chiavi al figlio, che si affrettò ad aprire la porta. I genitori entrarono subito dopo di lui, notando il casino che avevano lasciato dal giorno prima. Dopo la festa, non avevano avuto nemmeno il tempo di riordinare.

«Lo faccio dopo.» disse Leo, mentre James cominciava a correre su per le scale. «Te lo prometto, lo faccio dopo.»

«D'accordo.» disse Calipso, entrando in cucina.

Leo si passò una mano tra i capelli, osservando il disordine, e sospirò. Non aveva ancora inventato un robot che facesse le faccende domestiche al suo posto? Pensò al bunker 9, a com'era sempre in ordine... poi ricordò che lo faceva Will senza farsi dire niente. Abbozzò un sorriso nel ricordare quanto si fosse arrabbiato nello scoprire che Will aveva riordinato tutti i suoi cassetti, numerandoli e indicando il contenuto di ognuno di essi su un'etichetta. Dovevano esserci ancora, se i suoi fratelli non avevano tolto niente dal bunker.

James si stava già spogliando, lasciando vestiti dalle scale fino al bagno. Leo si affrettò a raccoglierli, scuotendo la testa divertito, e quando entrò in bagno, trovò James seduto sul bordo della vasca, intento a controllare la temperatura dell'acqua.

«Hai messo il tappo?» domandò Leo, infilando i vestiti nel cestino.

«Ehm, sì.» annuì James, e Leo si girò, fingendo di aver sentito un rumore, lasciandogli il tempo di sistemare il tappo nella vasca.

«Menomale, sennò avremmo aspettato per niente.» disse Leo, e il figlio gli fece la linguaccia, con le guance leggermente arrossate.

«Mettiamo le bolle?»

«Ovvio, sennò che bagno è?»

Leo rovesciò un po' di bagnoschiuma nell'acqua e aspettò che fosse piena abbastanza prima di chiudere il rubinetto. Il figlio finì di spogliarsi ed entrò in acqua, senza aspettare. Leo si spogliò a sua volta e si sedette di fronte a lui, guardando l'acqua uscire dal bordo.

«Ti sei divertito, oggi?» chiese Leo, cercando di non pensare a quanto avrebbe dovuto pulire più tardi.

«Sì.» annuì James, giocando con le bolle. «Mi sono divertito tanto. È stato bello uscire di nuovo con... be', con Will.»

La voce del figlio si era fatta un sussurro e Leo cercò di non dare troppo peso alle sue parole, nonostante il cuore gli battesse più veloce di prima. James si era divertito in quell'uscita grazie a Will? Li aveva visti ridere e scherzare insieme, con Bryan e Lily, e si domandò cosa avessero fatto in auto con Will e Connor.

«Mi dispiace che non sia venuto ieri alla festa.» aggiunse James, soffiando le bolle nella direzione del padre. «Però si è fatto perdonare, oggi.»

«Buon per lui.» ridacchiò Leo, lanciando un'occhiata al figlio. «Non ti ha fatto il regalo, però.»

James scrollò le spalle. «Ha pagato un sacco di giostre. Va bene uguale.»

Leo notò che il figlio aveva ragione e si mordicchiò il labbro. Non aveva fatto molto caso a chi pagasse le giostre, e decise che un giorno lo avrebbe ripagato in qualche modo.

«Cos'avete fatto in macchina?» si incuriosì il figlio di Efesto. Il bambino sorrise e cominciò a parlargli di tutte le canzoni che avevano cantato a squarciagola, divertendosi un mondo. Leo sorrise a sua volta, pensando che doveva essere stato proprio un viaggio lungo, per Will e Connor.

 

Quando finirono il bagno, Leo asciugò sé stesso e il bambino con il semplice tocco della propria mano. L'ultima volta che James aveva provato a farlo da solo, aveva dato fuoco all'asciugamano. Piano piano avrebbe avuto il pieno controllo dei suoi poteri.

Leo diede una rapida ripulita al bagno prima di scendere al piano di sotto, controllando di avere i vestiti in ordine. Calipso era ancora impegnata a cucinare, quindi Leo si ritrovò a riordinare il soggiorno prima di sedersi a tavola per la cena. Chiacchierarono della giornata, evitando di nominare Will, sebbene Calipso sfiorò l'argomento dicendo, quasi con tono distratto, quanto stesse bene con Connor. Leo si domandò perché lo avesse detto: solo per dargli fastidio o per vedere se gli desse fastidio? Si limitò a scrollare le spalle, cambiando argomento, e James fu ben felice di intromettersi nella conversazione e parlare dei nuovi film che voleva vedere.

«Vedremo due film domani.» disse Leo, osservando il figlio mentre si strofinava gli occhi e tratteneva uno sbadiglio. «Per questa sera, è meglio se vai a dormire. Puoi guardare un po' di tv prima di infilarti a letto.»

«Grazie, papà.»

Leo si alzò per sparecchiare il tavolo, cercando di pensare alla sua famiglia, a suo figlio e alla futura moglie. Scacciò dalla mente qualsiasi cosa potesse associare al figlio di Apollo che in quel momento, era in infermeria, stando alle parole di Bryan.

Will era in infermeria. Nulla di sorprendente, era sempre lì. A parte quei due anni terribili in cui se n'era andato dal Campo, quando Leo si era convinto di poter tornare ad amare Calipso, e Calipso soltanto. Ora che era tornato, ora che lo aveva baciato al buio dopo tanto tempo... i pensieri su di lui si erano fatti più insistenti del solito. Will o Calipso, Calipso o Willl... sentiva la testa fumare.

«Attento a non tagliarti, con quel coltello.» disse Calipso, con un sorriso, mentre lo aiutava a sparecchiare il tavolo. Leo le lanciò un'occhiata, guardando i suoi capelli scuri, la sua pelle color miele, sentendo il suo profumo di cannella così prepotente nell'aria. Poi abbassò lo sguardo sul coltello, piuttosto affilato. E non dovette pensarci un secondo di più.

Abbassò il palmo della mano sul coltello, sentendo dolore per il taglio. Vide il sangue colare dalla ferita e sollevò lo sguardo su Calipso, con una smorfia.

«Cosa hai detto?» le disse, mostrandole il palmo.

Calipso sbarrò gli occhi, e si affrettò ad avvicinarsi, tirando fuori un fazzoletto dalla tasca. Avvolse la mano nel fazzoletto, scuotendo appena la testa.

«Sei così sbadato.» gli disse, con un sospiro.

«Non l'ho mica fatto apposta.» mentì Leo, guardandola fare il nodo al fazzoletto.

«Lo so, non sei un idiota.»

«Credo di dover fare un salto in infermeria, però.» mormorò Leo.

«Lo penso anch'io. Dovranno darti almeno un paio di punti, secondo me.»

Leo ritirò la mano. Sentiva il dolore, pungente, ma c'era qualcos'altro sotto. La felicità di dover andare in infermeria, da Will. «Spero di non fare troppo tardi.»

 

Quando Leo entrò in infermeria, il sangue aveva smesso di sgorgare dalla ferita. Cercò Will con lo sguardo, notando che l'infermeria era vuota, a parte per delle tende tirate attorno ad un letto. Non sentiva rumori provenire da lì dietro, quindi immaginò che il paziente in questione fosse addormentato.

Fu sul punto di chiedere se ci fosse qualcuno, quando vide Will avvicinarsi. Indossava il camice bianco sopra un maglione blu, che si intonava alla perfezione con i suoi occhi. Quando lo riconobbe, Will si bloccò. Vide i suoi occhi spostarsi per un secondo sul fazzoletto che ancora stringeva in mano.

«È grave?» domandò Will, incrociando il suo sguardo, e Leo sentì un calore familiare al petto.

«No.» disse Leo, sciogliendo il nodo e lasciandolo cadere sul pavimento. Non era grave. Il dolore stava già passando, un po' come il sangue che si era fermato. Di sicuro, appena avrebbe abbassato lo sguardo sulla ferita, avrebbe scoperto di essersi fatto un taglio di poco conto, un taglio che poteva guarire facilmente con un po' di nettare. Ma almeno aveva avuto la scusa per andare lì, in infermeria, da Will, per potergli parlare del loro bacio, del loro piccolo momento speciale nel tunnel degli orrori.

Ma non riusciva a parlare. Era come se la voce lo avesse abbandonato mentre lasciava cadere il fazzoletto in terra, quando aveva incrociato quegli incredibili occhi azzurri che spesso avevano popolato i suoi sogni.

«Fammi vedere.» mormorò Will, indicandogli con un cenno del mento la mano, e Leo si riscosse dai propri pensieri. Riuscì a muoversi, ad avvicinarsi al figlio di Apollo. Sollevò la mano ferita per mostrargliela, ma fece un passo di troppo, ritrovandosi fra le braccia di Will. Gli portò le mani sulla schiena mentre quelle di Will gli si posarono sul viso, calde e piacevoli, come il tocco dolce delle sue labbra.

Leo sospirò contro quelle labbra calde, chiedendosi da quanto tempo le avesse desiderate sopra le sue. Provò a baciarlo con dolcezza, cercando di fargli capire quanto gli fosse mancato in tutto quel tempo, ma non ci riuscì. La dolcezza si trasformò ben presto in passione, le mani di Will si strinsero sui suoi fianchi e Leo gli passò le braccia attorno al collo, sentendosi sollevare. Non spostò le labbra da quelle del biondo, che non sembrava aver bisogno di guardare dove stesse camminando. Leo sussultò appena quando sentì una porta chiudersi alle sue spalle e si scostò solo per un secondo dalle sue labbra, cercando di capire dove si trovasse. L'ufficio di Will non era cambiato minimamente dall'ultima volta che lo aveva visto.

Lo scatto della serratura fece sollevare lo sguardo di Leo. Incrociò gli occhi di Will, così limpidi e seri, e dimenticò ogni buonsenso, anche se ormai quello lo aveva abbandonato. Gli passò le dita sulla guancia, in silenzio, cercando di dare un senso alle emozioni che provava. Annuì appena, dando il permesso all'altro di fare quello che voleva, perché era lo stesso che voleva lui.

Ripresero a baciarsi, con più foga, con più desiderio, consci che da un momento all'altro potevano interromperli. Era sempre stato così, in infermeria. Un paziente poteva arrivare all'improvviso, oppure quel figlio di Ares ricoverato poteva risvegliarsi dall'eccessiva dose di sonnifero e dare i numeri.

Le mani di Leo aprirono il camice bianco e Will si sentì sollevare il maglione fino al petto. Abbozzò un sorriso contro le sue labbra, sentendo le dita toccargli gli addominali e poi giù, fino ai pantaloni. Li sentì abbassarsi e gemette quando la mano del figlio di Efesto gli si infilarono nei boxer.

«Mh, è il piercing?» domandò Leo, contro le sue labbra.

«Ovvio.»

«Non pensavo...»

«Dubitavi di me?»

Leo non rispose. Non dubitava di lui, ma Will, come ogni volta, lo aveva sorpreso. Quello stupido gioco sulla spiaggia, non credeva che qualcuno lo avrebbe preso seriamente. Voleva chiedergli se gli avesse fatto male, se avesse mai pensato di toglierlo, ma pensò che non fosse il caso, aggrappato a lui in quel modo, con la sua erezione nella mano. La mosse lentamente, sentendo il biondo gemere contro la sua bocca.

Will lasciò che i pantaloni e i boxer gli scivolassero lungo i fianchi, scalciando per un attimo per liberarsi di loro. Non riusciva a pensare ad altro che al ragazzo di origini messicane stretto a lui, spinto contro il muro.

Tenendolo ben saldo, Will lo portò nel letto, che ormai non usava praticamente più. Gli sbottonò i jeans, tirandoli via, sulla scrivania. Incontrò di nuovo le sue labbra e lo baciò, captando la sua urgenza. Quasi gli strappò i boxer di dosso e lo toccò, sentendolo gemere e ansimare il suo nome.

Leo socchiuse gli occhi nel sentire le dita di Will farsi strada dentro di lui e cercò di rilassarsi, sebbene non vedesse l'ora di averlo dentro di lui. Non desiderava altro da quel bacio improvviso del mattino. Santi dei, sembrava passata una vita, da allora.

«Will...» mugugnò Leo e Will sfilò le dita, sollevandogli i fianchi. Lo baciò per un attimo prima di penetrarlo, lasciandosi scappare un gemito nel sentire il suo calore.

Leo digrignò i denti per un secondo, prima di sospirare di piacere. Ecco cosa gli era mancato negli ultimi due anni della sua vita: il calore di Will, il suo corpo, il modo in cui si muoveva dentro di lui. Gli passò le braccia attorno al collo, avvicinandolo a sé per riprendere a baciarlo, muovendo i fianchi con lui, gemendo nella sua bocca. Gli graffiò la schiena, pensando distrattamente che Will avesse fatto bene a tenere il camice.

Fecero l'amore con lentezza, sebbene il pericolo di venire interrotti. Erano entrambi concentrati sull'altro, sul dargli piacere, sul vivere quel momento che aspettavano da troppo tempo. Non pensarono ad altro, solo alle loro labbra, ai loro corpi, ai loro gemiti che cercavano disperatamente di soffocare nella bocca dell'amante.

 

Will recuperò i vestiti di Leo e glieli lanciò, sentendo un «Grazie» bofonchiato in risposta. Infilò i propri boxer e pantaloni, lanciando occhiate alla porta, sperando che quel momento passasse senza che nessuno dovesse dire una parola. Ma era impossibile.

Si voltò verso Leo, che aveva appena sollevato il dolorante bacino per infilarsi i boxer. Guardò i suoi capelli spettinati, le guance arrossate, il petto che ancora si sollevava velocemente. Incrociò il suo sguardo e Leo si morse il labbro.

«Sei già vestito.» notò il figlio di Efesto, inarcando un sopracciglio.

Will si strinse nelle spalle. «Fosse per me, ti stringerei sul letto, in questo momento.»

Leo lo fissò. «E perché non lo fai?»

Will abbozzò un sorriso. «Perché sono al lavoro.»

«Oh, giusto. Questo è contato come straordinario?»

«È contato come straordinario solo perché è stato straordinario

Leo arrossì, infilandosi i jeans e allacciandoli. Si sentiva stordito, su di giri. Gli tremavano le ginocchia, il cuore gli galoppava nel petto e nonostante il dolore fisico che provava, avrebbe volentieri lasciato a Will la possibilità di un secondo round.

Ripresero a guardarsi, non sapendo bene cos'altro aggiungere. C'erano tante cose di cui parlare, di cui discutere, e non solo quel momento di sesso selvaggio che c'era appena stato tra loro. Will si passò le dita tra i capelli, sperando di riuscire a sistemarli almeno un po'.

«Lo so.» disse Leo, fraintendendo il suo gesto. «So che... che dovremmo parlare, ma... voglio solo che tu ora ti siedi vicino a me.»

Will annuì appena, obbedendo alle sue parole. Si sedette sul letto, e Leo si mise a cavalcioni su di lui, prendendogli il volto tra le mani. Nessuno dei due fiatò, guardandosi negli occhi, i loro cuori che battevano all'unisono. Si baciarono con calma, senza più quell'urgenza che li aveva avviluppati solo mezz'ora prima. Non avevano più bisogno di toccare l'altro come se ne andasse delle loro vite.

Leo pensò che, forse, dopotutto, un secondo round potevano anche farlo, ma non ebbe il tempo di formulare il pensiero ad alta voce che udì una voce femminile provenire dall'infermeria. Si irrigidì e si allontanò di scatto.

«È Cal?» domandò Leo, sentendo per un attimo la testa girare. Si spostò dalle gambe di Will, a disagio.

«Non credo.» Will si alzò in piedi e si sistemò il camice, avvicinandosi alla porta. «Penso sia una paziente.»

«Okay. Credo sia meglio che io me ne vada.»

Will gli lanciò un'occhiata. «D'accordo. Vuoi, ehm...»

«Passare dalla finestra? Sì.»

Leo si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra. La aprì e si voltò, sperando che Will si fosse avvicinato nel frattempo. Ma era ancora in piedi vicino alla porta, gli occhi fissi su di lui.

«Io... vado.» borbottò Leo, uscendo dalla finestra. Nello stesso momento, vide Will uscire dalla porta della stanza.

Leo sperò che nessuno lo avesse visto uscire dalla finestra di Will. Si guardò attorno, ma la totale assenza di luce su quel lato dell'infermeria lo tranquillizzò. Se lui non vedeva niente, era improbabile che qualcuno vedesse lui. Posò la mano sana sul muro e si fece strada con esso, pensando a Calipso. Si era forse preoccupata, non vedendolo tornare subito? Lo stava aspettando? E cosa le avrebbe detto, una volta tornato a casa?

Il figlio di Efesto si fermò, appoggiandosi al muro. Tutto ciò a cui non aveva pensato mentre si trovava fra le braccia di Will, ora faceva capolino nella sua mente. Calipso, il tradimento, le litigate che ne sarebbero seguite... Non aveva forse lasciato Calipso perché lo aveva tradito? Non l'aveva lasciata a sé stessa, trasferendosi al Campo Mezzosangue con il figlio, perché lei era stata con un altro? Ora aveva fatto la stessa cosa. Ma non era andato a letto con una ragazza qualsiasi, bensì con Will Solace, il suo ex. Colui che lo aveva fatto soffrire e fatto tornare dall'ex amore della sua vita.

Pensò a James. Avrebbe deluso il figlio, dicendogli ciò che aveva fatto? James non vedeva l'ora di vedere i suoi genitori sposati, inseparabili. Ora... dopo quanto accaduto...

Leo inspirò profondamente. Perché doveva rovinare quella serata con quei pensieri? Fino a pochi minuti prima, prima che quella voce di donna risvegliasse i suoi pensieri sulla futura moglie, si era trovato bene, fra le forti braccia di Will. Il suo profumo lo invadeva, un po' come il calore del suo corpo. Riusciva ancora a sentirlo dentro di sé, con il respiro sul suo collo, le labbra calde sulle sue, la sua lingua che lo accarezzava...

Leo si tirò uno schiaffo e strabuzzò gli occhi per il dolore alla mano. Fissò il palmo, il taglio ancora aperto ma non più sanguinante, e avvampò. Era proprio un idiota.

 

Will si avvicinò alla figlia di Ares e le medicò la ferita alla testa. La sentì borbottare di un colpo a sorpresa alle spalle da uno dei suoi fratelli, ma non le chiese altro. Doveva immaginarsi che, sebbene fosse tardi, i figli di Ares continuassero a picchiarsi pure in casa, quando dovevano solo riposarsi e dormire e non preoccuparsi degli attacchi improvvisi dei propri fratelli.

Le diede due punti, rispondendo di tanto in tanto ai borbottii della giovane, che non lo ascoltava. I suoi pensieri erano da tutt'altra parte. Si domandò se Leo fosse già arrivato a casa. Gli dispiacque che se ne fosse andato. Se non avessero avuto altri impegni, altre persone da cui tornare, forse avrebbero potuto passare la notte insieme, a coccolarsi, a guardarsi dormire, oppure...

«Ehm, c'è qualcuno?»

Will quasi lasciò cadere il disinfettante mentre alzava lo sguardo verso la porta. Leo Valdez era lì, con i vestiti tutti sgualciti e i capelli arruffati. Sembrava essersi appena svegliato. Oppure, come Will sapeva, sembrava aver appena avuto un momento di passione.

«Sono qui.» gracchiò Will, tossicchiando. «Hai, ehm, bisogno?»

Leo alzò la mano ferita, arrossendo. «Mi sono tagliato.» borbottò.

Will gli fissò la mano per un attimo, poi tornò a concentrarsi sulla scorbutica figlia di Ares che, a braccia conserte, fissava il suo dottore in attesa che la rimandasse a casa.

«Qui ho finito.» disse Will, togliendosi i guanti. «Fai attenzioni ai colpi alle spalle.»

«Mh-mh.» annuì la ragazza, scrollando le spalle. «Patrick come sta?»

«Sta dormendo.» disse Will, sperando che dormisse ancora per davvero. «Domattina, se starà bene, potrò dimetterlo.»

«D'accordo. Grazie, doc.»

Will le sorrise e la guardò mentre usciva dall'infermeria, scalciando il fazzoletto che Leo aveva fatto cadere e ignorando del tutto Leo Valdez. Il figlio di Efesto rimase a fissare l'infermeria in silenzio, e Will gli fece cenno di sedersi di fronte a lui. Infilò un altro paio di guanti e guardò Leo, cercando di non pensare a quando, poco prima, era mezzo nudo di fronte a lui.

«Cosa ti sei fatto?» domandò Will, prendendogli la mano con delicatezza, osservando il taglio. Il sangue non usciva più.

«Mi sono tagliato con un coltello, a casa.»

Will si affrettò a pulire la ferita e a disinfettarla, maledicendosi per non averci pensato prima. Nonostante la passione, era pur sempre un dottore. Doveva occuparsi prima della sua ferita, poi di portarlo a letto.

Leo lo guardò lavorare in silenzio, notando quanto avesse le mani ferme. Lui non sarebbe riuscito ad avere tutta quella compostezza se Will si fosse presentato in fucina e avessero fatto sesso. Ma era ben diverso dal figlio di Apollo che aveva fatto del suo lavoro tutta la sua vita.

«Sei bravo.» disse.

Will alzò un sopracciglio, continuando ad occuparsi della ferita. «Pensavo che questo lo avessimo già appurato.»

«Insomma, sei bravo nel tuo lavoro.» borbottò Leo. «E, be'...»

Will trattenne un sorrisetto e posò il disinfettante, prendendo una garza e lanciandogli un'occhiata. Leo si sentì stringere lo stomaco nel ricambiare il suo sguardo.

«Sai, se non te lo ricordassi, sono un medico.» disse Will, osservando la garza per un attimo e scrollando le spalle, preferendo il nettare. «Ho anni di esperienza alle spalle.»

«Me lo ricordo bene.» annuì Leo. «Come so che il tuo lavoro è importante, più di chi ti circonda.»

Will si fermò un attimo prima di versare il nettare sul palmo del figlio di Efesto. Tenne lo sguardo puntato sulla ferita, pensando alla loro relazione passata. E pensò a Bryan, al modo in cui lo aveva guardato quando gli aveva detto di dover lavorare, quella notte.

«Forse è vero.» disse Will, calmo, versando qualche goccia di nettare sul taglio. «Il mio lavoro è importante, ma non più di chi mi circonda.»

«Mh...»

«Non mi pare ti dispiacesse tanto, quando ho salvato Cal dalla tossicodipendenza.» mormorò il figlio di Apollo.

«No, infatti, te ne sono grato. Ma mi hai sempre fatto capire quanto il lavoro fosse più importante di me.»

Will sollevò lo sguardo su Leo. «Non voglio litigare con te.» sbuffò.

«Come al solito.»

«Leo, non so se te ne sei accorto, ma il mio lavoro è quello di salvare le persone, non costruire giocattoli esplosivi.»

«Vuoi dirmi che il mio lavoro è inutile?!»

«Non dico questo, solo che non sono paragonabili.»

«Io non ho detto una sola parola sul mio lavoro.»

«Però dici che il mio è importante, quando mi ricordo piuttosto bene quanto il tuo lo fosse per te. Soprattutto i giochi scemi che facevi con i tuoi fratelli.»

Will bendò la mano dell'altro, che stava cercando di trattenersi dal mettersi ad urlare.

«Domani sarai guarito. E ho finito, puoi andartene.» disse Will, duro, alzandosi in piedi e buttando via i guanti. Leo osservò la benda sulla mano, stringendo le dita per un momento, poi sollevò lo sguardo.

«Will...» mormorò Leo, non sapendo cosa dire. Non voleva offenderlo, non voleva nemmeno litigare con lui. Ma ormai era tardi. Will era piuttosto suscettibile, riguardo il suo lavoro. E nel ricordare quanto fosse pronto ad abbandonare il letto per arrivare al lavoro.

«Leo, davvero, è ora di andare.» Will lanciò un'occhiata all'orologio. «Non vorrai mica che tua moglie si insospettisca.»

«Non è mia moglie.» scattò Leo, alzandosi in piedi.

«Non lo è ancora.» mormorò Will, guardandolo negli occhi. «Ma lo sarà presto, no?»

Leo non rispose, non sapendo bene cosa dire. Abbassò lo sguardo, cercando di non pensare troppo a Calipso o a quello che era successo poco prima con il figlio del dio del sole. Quando sollevò lo sguardo, Will se n'era andato.

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Capitolo 57
*** 75. Confidenze ***


«Tu... hai fatto... cosa?!»

L'urlo di Hazel, subito seguito dalla spazzola, fece sussultare Will. Si alzò dal divano, sentendo la spazzola sbattere contro la sua spalla e cercò di nascondersi, senza risultati. La figlia di Plutone gli si avvicinò brandendo il cucchiaio di legno. Will strabuzzò gli occhi alla sua vista e provò a saltare sul divano per scappare, ma ormai l'amica lo aveva afferrato per la maglietta. Lo colpì sul fianco, e Will si lasciò scappare un grido.

«Ma sei pazza?!»

«Io?!»

Hazel continuò a colpirlo e Will si limitò a proteggersi la testa, sebbene i colpi della ragazza rimanessero tutti sul fianco o sullo stomaco. Quando capì le sue intenzioni, ebbe giusto il tempo di spostarsi di lato.

«Dove volevi colpirmi?» gracchiò Will, portandosi una mano sul basso ventre.

«Proprio lì!» esclamò Hazel. Dire che fosse infuriata era ben poco: si sentiva molto arrabbiata, furiosa, disgustata e delusa dal suo migliore amico. «Sei... orribile, Will Solace.»

Will si accasciò sul divano, provando un senso di vergogna a quelle parole. Si portò una mano tra i capelli, nervoso. Sei orribile. Hazel era sempre stata dalla sua parte, e ora...

«Il tradimento è la cosa più orribile di questo mondo!» continuò Hazel, menando fendenti all'aria con il suo cucchiaio di legno. «Hai tradito Connor, e Calipso...»

«Ehi, io non ho tradito Calipso.» sbuffò Will e lo sguardo assassino dell'amica non lo frenò. «Colpiscimi pure quanto ti pare, ma io non ho tradito Calipso. Né tanto meno la sua fiducia nei miei confronti. Non è la mia donna, non è nessuno per me.»

«Però hai tradito Connor.»

«Questo è vero.» ammise Will. «E mi sento abbastanza in colpa per averlo fatto.»

Hazel lo studiò attentamente. «Ti senti in colpa?» ripeté. «Vuol dire che ti rendi conto di quello che hai fatto?»

«Sì, me ne rendo conto... e probabilmente lo farei di nuovo.» aggiunse il figlio di Apollo, pensando a Leo.

Hazel digrignò i denti e lo colpì di nuovo con il cucchiaio, questa volta sul braccio, con forza. Will si portò in modo automatico la mano sul punto dolorante. Il giorno dopo avrebbe avuto un sacco di lividi, a causa della sua amica.

«Lo faresti di nuovo?» ripeté Hazel, scaldandosi. Will vide un rubino scivolare giù dalla manica della ragazza, ma decise di non farglielo notare. «Tradiresti di nuovo il tuo ragazzo?»

«Non ho tradito Connor con uno qualunque, Haz. L'ho tradito con Leo Valdez. E sì, lo farei di nuovo, anche se immagino che non possa esserci niente tra noi.»

Hazel strinse con più forza il cucchiaio. «Spiegati.» disse a denti stretti. «O ti colpirò in testa.»

Will annuì, pensando che fosse la cosa giusta da fare. «Ho litigato con Leo, dopo... be', dopo tutto.»

«Hai litigato con Leo. Per cosa?»

«Lui dice che penso solo al mio lavoro, che è più importante di chi mi circonda.»

Hazel lo fissò. «E poi?»

«E niente, solo questo.»

«Mh. Be', ha ragione, no?»

Will sbatté le palpebre, sorpreso. «Cosa?»

La figlia di Plutone si sedette sul divano, scalciando il rubino sotto il tavolino. Lo guardò per un attimo, quasi distrattamente, poi tornò a guardare l'amico.

«Leo ha ragione, ma non voglio che lo prendi come un insulto. Ami il tuo lavoro, pensi sempre a quello, e quando sei con qualcuno, non ti fai problemi ad andartene per lavorare.»

«Non sono un fioraio, Haz. Sono un medico! Se scappo per lavorare, è perché qualcuno ha bisogno di me!»

«Lo so, lo capisco, ma non puoi non ammettere che molli sempre chiunque sia con te per correre al lavoro. Ci sono altri tuoi fratelli in infermeria, potresti lasciare che ci pensino loro e cambiare qualche turno, ogni tanto.»

Will la fissò incredulo, senza parole.

«Ricordi l'altra volta?» continuò Hazel. «Siamo andati in infermeria sebbene dovessimo passare la giornata sul divano a guardare Grey's Anatomy.»

«Dovevo dimettere Raul.» le ricordò Will. «E poi è arrivato un paziente grave.»

«E ti sei dimenticato di me, che ti stavo aspettando.»

«Non mi sono dimenticato...»

Hazel alzò la mano con il cucchiaio e Will si zittì. «Ti sei dimenticato di me, almeno mentre lavoravi. Perché non essendo il tuo turno, potevi semplicemente far chiamare uno dei tuoi fratelli e lasciare che ci pensassero loro. Invece ti sei fermato.»

«E ho fatto male? Insomma, guarire le persone...»

«Non hai fatto male! Dico solo che pensi spesso al tuo lavoro, e non a chi ti circonda. Quindi Leo non ha tutti i torti.»

Will si mise a braccia conserte, borbottando. Hazel balzò in piedi e corse in cucina, affrettandosi a servire il tè ormai bollente. Portò il vassoio con molta calma sul tavolino e prese di nuovo posto sul divano, osservando il suo migliore amico.

«Sei un bravissimo dottore, Will.» mormorò Hazel. «Ti piace occuparti dei tuoi pazienti, ti piace lavorare, e lo apprezzo. Ma se ti ricordassi di essere con qualcuno, e che non c'è solo il lavoro...»

«Per molto tempo, c'è stato solo il lavoro.» le ricordò Will.

«Ora no. Ora hai Bryan, Connor, me.»

Will annuì, ripensando al fratello minore. Negli ultimi due giorni – non riusciva a credere di aver aspettato così tanto per parlare con Hazel – aveva passato il tempo con Bryan, cercando in tutti i modi di evitare Connor e l'infermeria. Vedere il suo ragazzo gli faceva pensare alla notte di fuoco con Leo, e lo stesso valeva per l'infermeria. Si era fatto perdonare da Bryan portandolo in città, facendo un po' di shopping e portandolo alla sala bowling. Bryan si era divertito un mondo, ed era questa la cosa più importante.

Per fortuna, Connor non se l'era presa troppo per questa assenza. Capiva il suo bisogno di dover stare con il fratello, ne aveva tanti anche lui. Will, però, capì che Connor ne era un po' offeso e non sapeva cosa fare per rimediare.

Will si voltò a guardare l'amica. Era andato da lei a parlarle con la speranza di riuscire a districare un po' i pensieri confusi nella sua testa, e invece si era ritrovato pieno di lividi, con i pensieri più confusi di prima.

«Comunque dovevamo parlare di... be', di quello, non del mio problema con il lavoro.» borbottò Will, e Hazel gli scoccò un'occhiataccia.

«Non l'ho dimenticato. Solo che preferisco parlare del tuo stakanovismo piuttosto che di quello che è successo.»

Will sospirò. «D'ora in poi, cercherò di rispettare i miei turni e di prendere qualche giorno di pausa in più da passare con te, Bryan e...» Si interruppe, imbarazzato.

«Ecco.» Hazel lo osservò con attenzione. «Leo e Connor. Allora. Cosa vuoi fare, adesso?»

«Ecco...»

«Se fosse per me, io lascerei Connor.» continuò Hazel, prendendo la sua tazza di té e soffiandoci sopra. «Lascerei Connor senza scendere troppo nei dettagli, gli direi soltanto che non ho dimenticato il mio vecchio amore, e che non sono pronto per una relazione.»

Will la guardò meravigliato. «Sul serio? Non dovrei scendere nei dettagli?»

«Sì che dovresti scendere nei dettagli!» ruggì la figlia di Plutone, facendo trasalire l'altro. «Io scherzavo! Vedi? Scegli sempre la soluzione più semplice. Hai sbagliato, hai fatto una cosa atroce, una cosa imperdonabile, e speri di cavartela con il tuo attuale compagno per dirgli che pensi ancora a quello prima!»

«Lo hai detto tu! Io credevo mi stessi suggerendo!»

Hazel sibilò. «Stavo dicendo soltanto quello volevi sentirti dire, William. Ma in casi come questi, dovresti cercare di capire che tipo di uomo sei. L'infedele che ammette le sue colpe o l'infedele che non capisce cosa ha fatto di sbagliato.»

Will guardò il tè bollente che lo aspettava, riflettendo. «So di dover prendermi la colpa di quanto accaduto, ma... non so proprio cosa fare, Hazel. Leo mi ha fatto capire che nonostante quanto accaduto, non lascerà Calipso. Quindi... cosa dovrei fare, io?»

«Prima di tutto, chiedere scusa a Connor.» disse Hazel. «È un bravo ragazzo, forse ti capirà. Non ti perdonerà, ne sono certa, ma essendo uomo e innamorato, capirà cosa ti è successo.»

«Mh...»

«Seconda cosa, dovresti parlare con Leo. Da vestito, intendo.»

Will aggrottò la fronte. «Dovrei parlare con Leo?»

«Will, tu e Leo avete... fatto sesso due notti fa.» mormorò Hazel. «Ed eravate entrambi consenzienti. Senza contare che lui ti ha baciato durante la giostra. È evidente che proviate ancora qualcosa per l'altro, quindi penso che la cosa migliore da fare sia affrontarvi, parlarvi, chiarirvi. Se è stata solo una cosa di una notte... be', brucerete negli Inferi per questo, ma è una cosa che si può facilmente dimenticare. Ma se è una cosa che potrete continuare, perché ferirvi? Senza parlare con Connor e Calipso, non farete altro che ferire loro due, e ferire anche voi stessi.»

Il figlio di Apollo si passò una mano tra i capelli, più confuso di quando era entrato in quella cabina. L'amica aveva ragione: lui e Leo dovevano vedersi e parlare. Se Leo era disposto a dargli una seconda chance, e a lasciare la promessa sposa, allora poteva anche pensare ad una loro possibile relazione. Ma se Leo si fosse pentito di quanto avessero fatto, allora si sarebbero detti addio. Ne avrebbe parlato con Connor, sperando che il figlio di Ermes non desse di matto.

«Che casino.» sospirò Will, prendendo il suo tè. «È tutto un dannato casino.»

«Tutta colpa del tuo pene.» disse Hazel. «Sono contenta di non averne uno che crea casini.»

Will sorrise. «Colpa del mio?»

«Sì, esatto. Il tuo ha iniziato tutto.»

«Be', tecnicamente Leo si è ferito la mano ed è venuto da me...»

«Però tu... be', il tradimento è stata opera tua.»

Will la guardò divertito. «Intendi dire che, essendo il mio pene, ed essendo io colui che ha penetrato, sono il traditore? Leo è soltanto la vittima del mio pene?»

«Basta dire pene.» sospirò Hazel, arrossendo. «E sì, l'idea è quella. E no, non mi interessava sapere come funzionassero le cose tra voi.»

Il figlio di Apollo alzò gli occhi al cielo. «Devo parlare con Leo.»

«Devi assolutamente.» Hazel bevve un sorso di tè, guardando l'amico. «Mi volete come chaperon? Così almeno non vi strapperete i vestiti di dosso.»

«Non credo serva.»

Hazel sospirò. «Le ultime parole famose.» borbottò, e Will sogghignò.

 

 

Leo finì di raccontare quello che era successo due notti prima e si zittì, sentendosi arrossire. Forse aveva parlato, forse aveva sbagliato persona con la quale confidarsi.

Ma con chi poteva parlare?

Will lo ignorava ormai da due giorni. Be', in verità non l'aveva più visto, dopo quella loro piccola litigata in infermeria. Non l'aveva visto in infermeria, né in mensa, né tanto meno in spiaggia quando vi era passato con Calipso per fare una passeggiata e parlare del viaggio di nozze.

Travis era fuori discussioni, visto quanto era successo. Di certo non si sarebbe schierato dalla sua parte, scoprendo che suo fratello era stato cornificato. Non voleva litigare con Travis, ma sapeva che, un giorno, avrebbe dovuto parlargliene. Era il suo confidente, il suo migliore amico ormai da anni. Non poteva tacergli una cosa del genere. Ma forse era meglio aspettare che Will ne parlasse con Connor, prima, in modo da non farlo troppo arrabbiare.

Nina era troppo arrabbiata con Butch per potergli dedicare attenzioni. Dopo quel piccolo episodio dell'infermeria, Butch non aveva finito di prenderla in giro per i suoi problemi di intestino, il che li aveva portati a litigare. In più, la storia del Cesareo li aveva ulteriormente divisi. Era ingiusto appesantirla di nuovi problemi.

Gli altri suoi fratelli erano troppo impegnati con la fucina per tormentarli, tralasciando il fatto che non aveva un rapporto saldo con nessuno di loro.

E Hazel... erano amici, ma era certo che la figlia di Plutone con la quale aveva viaggiato aveva il suo bel da fare con Will. E sarebbe stato alquanto imbarazzante se entrambi le avessero confidato lo stesso segreto. Riusciva ad immaginare Will, steso sul divano, che discuteva con Hazel di quanto capitato, e lui che aspettava pazientemente che il biondino finisse per parlare con la sua amica.

Non gli era rimasto nessun altro, al Campo, con cui parlare, a parte un ragazzo biondo con gli occhiali, che non vedeva da tanto tempo. Si erano incontrati in spiaggia, si erano seduti nella sabbia e Leo aveva cominciato a parlare dei suoi problemi, senza pensare.

«Mh...» disse Jason Grace, non sapendo bene cosa dire. «Non sono un esperto di consigli, per questo c'è la mia ragazza.»

«Una figlia di Afrodite è l'ultima persona con la quale voglio parlare ora.» ammise Leo, pensando a Piper. «E poi, lei dov'è?»

«Lei e Annabeth sono andate in città per fare un po' di shopping. Domani torniamo al Campo Giove.»

«Oh.» Leo giocherellò con il cacciavite che gli era scivolato in mano mentre parlava. «Non volete stare qui?»

Jason si strinse nelle spalle. «Mi piace il Campo Mezzosangue, ma non lo sento come casa mia. Il Campo Giove, invece, è la mia casa, ci sono cresciuto. E qualcosa mi dice che ci morirò anche.» aggiunse, sorridendo.

Leo gli fissò per un attimo la cicatrice sul labbro inferiore. «Capisco. Be', spero che tornerete a farmi visita.»

Jason annuì, poi aggiunse: «Pensavo di tornare per il tuo matrimonio, ma... ora non sono più sicuro che si celebrerà.»

Leo lasciò cadere il cacciavite nella sabbia. «E perché no?»

Il figlio di Giove guardò l'altro, trattenendo una smorfia. «Perché sei andato a letto con il dottore. Questo potrebbe rovinare il matrimonio, sai?»

«Lo so, lo so, ma... Sono due giorni che Will non mi parla. Immagino che per lui, quello che è accaduto tra noi non è niente di che. Era una cosa che doveva capitare, ma che ora è finita lì.»

«Forse.» annuì piano Jason. «Oppure, semplicemente dovete vedervi e parlare, capire cosa c'è ancora tra voi. Se ti sposerai con Calipso, non credo che Will si farà più vedere.»

Leo annuì. «Ho questa sensazione anch'io.»

Jason guardò il suo vecchio migliore amico, pensando a quanto fosse cambiato e fosse rimasto uguale al tempo stesso.

«Ami Calipso?» gli chiese, dopo qualche minuto di silenzio.

«Sì, la amo.» disse Leo.

«E ami anche Will?»

«Credo di sì.» rispose il figlio di Efesto, dopo un attimo di esitazione. «La nostra storia si è conclusa per via del suo comportamento, non perché eravamo arrivati al termine. Lui si è sempre comportato bene con me e con James, mi faceva stare bene e adoravo il suo modo di fare con mio figlio.»

«E Calipso?»

«Anche con lei la relazione è finita male, l'ho lasciata e sono scappato. Ma in questi ultimi anni, sono tornato con lei perché mi sono reso conto di amarla ancora. Ed è così, la amo. Solo che... amo pure Will.»

Jason si portò una mano tra i capelli, pensieroso. «Parla con Will. È l'unico consiglio che ti posso dare, oltre a... be', cercare di capire chi ami di più dei due. Se continui così, non farai altro che ferire entrambi, e ti ritroverai solo, per moltissimo tempo.»

Leo gli lanciò un'occhiata. «Sai che sono immortale, vero?»

«Lo so, per questo dico che sarai solo per moltissimo tempo.»

Il figlio di Efesto sospirò, coricandosi nella sabbia. Guardò il cielo, i pensieri che correvano frenetici nella sua testa. Alla fine, con qualsiasi persona avrebbe parlato, il consiglio finale sarebbe stato quello: parlare con Will. Capire le sue intenzione. Le loro intenzioni.

Leo si portò le mani sul volto. «Si possono volere due persone al tempo stesso?»

Jason abbozzò un sorriso e si coricò al fianco dell'amico. «Sì, ma devi vedere se vale lo stesso per queste due persone.»

Leo sospirò. Se solo Will e Calipso fossero stati diversi, non avrebbe esitato a proporgli una cosa a tre. Will poteva fare da amante per entrambi, e al tempo stesso avrebbe avuto un posto in prima fila nella sua famiglia.

«Devo dirti una cosa, ma non dire a nessuno che te l'ho detto.» mormorò Jason.

Leo allargò le dita delle mani e scrutò l'amico. «Sei innamorato di me?» gli chiese. «Perché ne sono lusingato, davvero, ma in questo momento ho altri pensieri, amico.»

«Stai zitto, Valdez.» sbuffò Jason, ridacchiando. «Non sono innamorato di te.»

Leo si portò la mano al petto. «Lo sapevo, ma sentirlo... fa proprio male.» scherzò.

«Smettila di fare l'idiota!»

Il figlio di Efesto rise, sentendosi più leggero, almeno per qualche minuto. Non faceva altro che pensare ai due grandi amori della sua vita, che aveva quasi dimenticato cosa significasse scherzare e divertirsi. Voleva che Jason rimanesse al suo fianco per un po', per riprendere il loro rapporto di una volta.

«...è incinta.»

Leo strabuzzò gli occhi e si voltò verso Jason. La sua espressione seria lo fece trasalire.

«Congratulazioni!» esclamò Leo, sorridendogli. «Togliti quell'espressione dalla faccia, avere un figlio non è un peso, tutt'altro. Ho adorato James dal primo minuto in cui è nato, sebbene strillasse e fosse sporco di...»

«Leo.» Jason si mise seduto e lo guardò arcigno. «Cos'hai capito, esattamente?»

«Piper è incinta.» disse Leo, aggrottando la fronte. «Quindi ti faccio le mie congratulazioni.»

«Piper non è incinta!» sospirò Jason, portandosi la mano alla fronte.

«Ah, ma tu hai detto...»

«Ho detto che Annabeth è incinta. Non sono neanche due nomi simili...»

«Annabeth è incinta?!» ripeté Leo, alzando il tono di voce. «Annabeth..?»

«Sì!» Jason si affrettò a tappargli la bocca, prima che Leo potesse urlarlo ai quattro venti. Si lanciò un'occhiata attorno, ma per fortuna non c'era quasi nessuno in spiaggia. Le uniche eccezioni erano loro due, e un gruppetto di figli di Ecate che si divertiva a creare mulinelli di sabbia.

«Anbeth inta.» mugugnò Leo sulla bocca dell'amico, che si affrettò a togliere la mano. «Annabeth è incinta!» ripeté Leo, pensando all'amica bionda. «Non si vede affatto!»

«Sono solo tre mesi.» disse Jason, pronto a saltare addosso a Leo se questi avesse ripreso ad urlare.

«Ed è tuo?»

Jason fece scattare la mano in direzione della guancia di Leo, che scattò all'indietro, ricadendo sulla sabbia.

«No.» rispose il figlio di Giove a denti stretti. «Non è mio. Sono solo suo amico, per questo lo so. E perché me l'ha detto Piper venti volte, in circa due minuti. Proprio come hai fatto tu, in effetti. Però noi eravamo a casa nostra.»

L'occhiata che Jason gli lanciò, fece imbarazzare Leo, che si limitò a scrollare le spalle.

«Quando scopri che una tua cara amica è in dolce attesa, non puoi che reagire in questo modo.» disse Leo, passandosi una mano tra i capelli e togliendo via un po' di sabbia. «Comunque, se non sei tu... chi è il padre?»

Jason non rispose, improvvisamente interessato ai lacci delle sue scarpe.

«È Piper, per caso?» chiese Leo, giusto per distrarlo.

«Come fa Piper ad essere il padre del figlio di Annabeth?» domandò Jason, scocciato.

«Non lo so, l'ho chiesto per distrarti.»

«Non so se te lo dirò.»

«Ora che mi hai detto di Annabeth, mi aspetto almeno che tu mi confessi chi sia il padre! È qualcuno che conosco?»

«Mh, direi di sì.»

«Un romano?»

«All'incirca.»

Leo aggrottò la fronte. «È umano?»

«No.»

«Ha i baffi? Gli occhiali da sole? I capelli rossi?»

Jason lo guardò. Con gli occhiali sembrava un professore, alle prese con uno studente particolarmente fastidioso. «Non stiamo giocando a Indovina chi

«Per un attimo mi è sembrato di sì, amico. Allora, vuoi dirmelo? Perché posso continuare così per ore, se non per giorni interi...»

«È Percy.»

«...o anche notti intere, e...» Leo si interruppe, guardando il figlio di Giove, improvvisamente ammutolito. Annabeth era incinta di Percy?

«Ma... Percy Jackson?» disse Leo, perplesso.

«No, Percy Johnson.»

«Oh.» Leo sospirò. «Per un attimo ho creduto che... Aspetta. Chi è Percy Johnson?»

Jason lo fissò, poi scoppiò a ridere. Leo si sentì offeso, ma si limitò a sorridere.

«Okay, okay, mi hai preso in giro, ahah, che ridere.» disse Leo. «Quindi Percy è il padre del bambino di Annabeth.»

«Già.»

«Come è successo?»

«Be', quando un uomo e una donna si vogliono molto bene...»

«Grace, non intendo in quel modo. Percy è sposato con Nico.»

Jason tornò ad interessarsi ai lacci delle sue scarpe.

«Jas, Percy è sposato con Nico.» ripeté Leo, fissandolo. «Giusto?»

Il biondo si sfilò le scarpe, immergendo i piedi nella sabbia. «Sbagliato.» disse il figlio di Giove. «Percy e Nico stavano organizzando il matrimonio, ma non si sono sposati.»

Leo lo fissò. «Si sono lasciati tre anni fa?»

«Sì.»

«E... e perché nessuno me l'ha detto?!»

Jason si strinse nelle spalle. «Sei sempre qui al Campo Mezzosangue, non ti interessi mai di noi.»

«Mi interessa di voi.»

«Si vede, infatti. Non sapevi che Percy e Nico stessero insieme, né che si sono lasciati. E non sapevi di me e Piper.»

«Voi mi avete allontanato perché avevo un bambino, perché dovevo crescerlo! Mi avete abbandonato, non vi è più importato di me!»

«A me è sempre importato di te!» gridò Jason, fissandolo torvo. «Ho sempre voluto tornare ad essere tuo amico proprio come una volta. Ma ogni volta che provavo a venire da te, dovevi occuparti di James. E non sono offeso per questo tuo comportamento, lo capisco, lo accetto, ma sei tu ad averci tagliato fuori, non il contrario. Piper ha sempre desiderato venire da te, ma tu non ci hai mai invitato, non sapevamo nemmeno dove abitassi!»

Leo lo guardò torvo. «Bastava chiedermelo, e ve lo avrei detto. Mi sarebbe piaciuto avere una mano. Non c'era nessuno ad aiutarmi.»

«Hai allontanato tutti, Leo, e poi hai dato la colpa a noi.»

Leo scosse la testa, un po' a disagio, un po' arrabbiato per le parole dell'amico. Non era vero, non li aveva allontanati. Loro non si erano più fatti vedere. Gli avevano scritto dei messaggi, è vero, ma non gli avevano mai proposto una mano. Non avevano mai fatto nulla per fargli capire che volessero stare lì con lui, con loro, con James. Erano spariti tutti quando aveva avuto bisogno di loro. Ne aveva sempre sofferto.

«Credo che io e le ragazze torneremo al Campo Giove questa sera.» disse Jason, alzandosi in piedi, togliendosi la sabbia dai vestiti. Prese le scarpe per i lacci e guardò il figlio di Efesto. «Parla con Will. Cerca di capire quello che vuoi.»

Leo annuì. Lo guardò dargli le spalle, senza avere la forza di fermarlo. Vederlo allontanarsi era un fallimento, l'ennesimo della sua vita. Eccolo, di nuovo, che si sentiva sprofondare in una voragine, una voragine che gli faceva male al cuore.

«Jason...» mormorò Leo, alzandosi in piedi. Il figlio di Giove si voltò a guardarlo. «Ti va una birra?»

Jason lo sondò con lo sguardo, poi annuì. Leo si rilassò. Forse, poteva smettere di vedere le persone scivolare via dalle sue mani, e cominciare ad afferrarle.

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Capitolo 58
*** 76. Bunker 9 ***


Will era nel suo letto ad annoiarsi quando sentì il cellulare squillare per l'arrivo di un messaggio. La sua prima reazione fu quella di nascondersi sotto le coperte, con la speranza di non essere visto. Evitava Connor ormai da quattro giorni, da quella notte in infermeria con Leo. Vedere il suo ragazzo lo metteva a disagio, perché non faceva altro che pensare ai baci di Leo, al corpo di Leo contro il suo, i suoi gemiti. Vedere Connor gli avrebbe fatto capire quanto avesse sbagliato con Leo, e già si sentiva abbastanza una merda da solo, figuriamoci sotto lo sguardo dolce del figlio di Ermes.

Connor era un bravo ragazzo, tralasciando le sue rapine e i furti. Sembrava adorarlo, e Will ne era felice. Dopo tanto tempo passato da solo, avere qualcuno che ti rendeva felice e ti stava appresso come se sbavasse dalle sue labbra, era bello. Ed era certo che, con un po' di tempo, anche lui si sarebbe innamorato di Connor Stoll.

Se solo avesse smesso di pensare a Leo.

Gli arrivò un secondo messaggio e Will infilò la testa sotto il cuscino. Doveva comportarsi da uomo e affrontare i suoi problemi. Parlare con Connor, spiegargli cosa fosse successo, promettergli che non si sarebbe più ripetuto. E doveva parlare con Leo, dirgli che non avrebbe più fatto una cosa del genere. Non voleva ripetere quell'errore. Non voleva tradire un bravo ragazzo come Connor. Non poteva rovinare la sua vita futura con il figlio di Ermes.

Will uscì da sotto le coperte, fissando il soffitto con una strana sensazione di solitudine al petto. Se Connor lo avesse lasciato, chi lo avrebbe preso? Si sarebbe ritrovato solo di nuovo, per l'ennesima volta. Presto Leo si sarebbe sposato, lo avrebbe lasciato solo, e la loro notte di passione sarebbe stata solo un lontano ricordo, qualcosa di cui pentirsi nel corso degli anni. Uno sbaglio. Sì, il sesso era stato buono, ma non potevano andare avanti così.

Leo non si era fatto sentire in quei giorni, quindi quello che gli aveva detto Hazel era uno sbaglio. Lui non provava più nulla. Quel che era successo nel tunnel degli orrori era stato un semplice sbaglio, un errore, che poi si era ingigantito quando si erano visti in infermeria, da soli. Non avevano più ragionato con la loro testa, ma con tutt'altro. Era stata solo colpa del pene, come diceva Hazel. Del suo o di quello di Leo, non aveva importanza.

Will sospirò, mettendosi seduto. Il suono di altri messaggi in arrivo era insopportabile. Guardò la luce del sole illuminare il letto vuoto di Bryan e il biglietto che il fratello minore gli aveva lasciato sul cuscino. Si alzò, curioso di sapere dove fosse andato quel giorno, e abbozzò un sorriso. “Sono al corso di pittura – B.” Non molto dettagliato, ma almeno avrebbe saputo dove trovarlo.

Lasciò il biglietto sul cuscino e si stiracchiò, osservando la camera. La sera prima aveva obbligato Bryan a rimettere in ordine i suoi giocattoli e i vestiti, e forse era quello il motivo che aveva spinto il fratello minore a svegliarsi presto e a dirigersi alla lezione di pittura.

Will aprì la finestra, lanciando un'occhiata al vaso di giacinti che cresceva orgoglioso. Crescevano solo lì, nei dintorni della cabina 7, e Will li adorava, sebbene fossero nati a seguito di una storia triste. Pensò a suo padre e al suo amante, chiedendosi cosa avrebbe fatto Apollo nei suoi panni. Scacciò il pensiero dalla testa, prima che il divino dio delle arti si presentasse alla sua porta, dicendogli di spassarsela con entrambi, con un «La vita è breve, figliolo!» ripetuto a gran voce, magari infilato in un haiku.

La vita è breve,

dunque

scopali entrambi.

Will si trattenne dallo scoppiare a ridere. Non era mai stato bravo nelle poesie, negli haiku, e qualsiasi altra cosa che potesse richiedere la sua vena artistica. Suonava la chitarra, certo, ma non si era mai spinto più in là. Preferiva la medicina, il tiro con l'arco. Sua madre lo aveva sempre sgridato per la sua mancanza di ispirazione artistica, e forse era proprio a causa della donna che vedeva il componimento come una nemica.

Will sospirò, scacciando i pensieri sulla madre. Con il genitore umano, non gli era andata così bene, ma non aveva subito traumi come Leo. A otto anni si era fatto portare al Campo Mezzosangue, e nel corso degli anni aveva visto raramente la madre. Sua sorella Wendy, però, era un'eccezione. La vedeva volentieri, soprattutto per via dei nipotini, Penny, Amber e Joshua. Lui e Hazel erano passati a trovarli, in quei due anni lontani dal Campo. I bambini somigliavano sempre di più alla madre.

Prese il cellulare, pensando che forse sua sorella poteva aiutarlo, con Leo e Connor. Oppure semplicemente poteva insultarlo, proprio come facevano i fratelli e le sorelle tra loro. Controllò i messaggi, alla ricerca della chat della sorella, e si bloccò alla vista dei tre contatti che gli avevano scritto negli ultimi venti minuti. Di uno non era sorpreso, mentre gli altri due... lo sorpresero parecchio.

Connor gli chiedeva come stesse, se gli andasse di vedersi più tardi, che aveva un lavoro da svolgere durante il weekend. Will visualizzò solo i messaggi, scoprendo che non gli dispiaceva così tanto se il figlio di Ermes si fosse allontanato dal Campo per qualche giorno. Lo avrebbe salutato però, quindi magari poteva scrivergli che gli andava bene se si vedevano prima di pranzo.

Poi visualizzò il messaggio di Leo. Non gli scriveva mai, pensava che avesse eliminato il suo numero dal cellulare. Il messaggio del figlio di Efesto non aveva bisogno di spiegazioni: “ci vediamo al bunker 9, dopo le tre”. Il cuore di Will cominciò a battere furiosamente e sollevò lo sguardo, sorridendo come un ebete. Allora forse, nonostante avessero litigato, Leo voleva dargli un'altra occasione. Oppure avrebbero ripreso a litigare. Ma almeno si sarebbero visti.

L'ultimo messaggio era di Mitchell, il suo ex, figlio di Afrodite. Gli aveva mandato diversi messaggi e Will si domandò se valesse la pena leggerli. Se gli avesse scritto per chiedergli di tornare insieme, probabilmente sarebbe andato da lui per prenderlo a testate. Con un sospiro, aprì la chat.

Ciao, Will. Non hai nulla di sbagliato, e mi dispiace davvero tanto sapere che tu pensi una cosa del genere di te stesso. Sei un uomo speciale, un ottimo medico, un fantastico amico. Le persone sono fortunate ad incontrarti, anche se solo per pochi minuti.

Non è che non volessi fare sul serio con te. Passando tutto il mio tempo con te, vedendoti così preso dal tuo lavoro, così assorto dai tuoi casi, mi hai fatto sentire inadeguato. Non ero adatto a te, ad una persona come te, così di buon cuore, così meravigliosa. Quando stavamo insieme, non avevo progetti, non avevo idee su cosa fare nel futuro. Ho provato a capire più volte cosa volessi fare. Ti ho lasciato perché era giusto così. Stando troppo con me, avresti finito per zoppicare anche tu, come quel vecchio detto.

Sei fantastico, Will. Non pensare mai più di avere qualcosa di sbagliato. Non ti accontentare di chi ti dice il contrario.

L'ultima volta che ci siamo incrociati, non eri messo benissimo. Spero potremmo vederci per un caffè. Ti voglio bene, Will.”

Will rilesse i messaggi di Mitchell, sentendo un groppo in gola. Aveva pensato per anni di essere lui il problema, di essere lui che faceva passare la voglia agli altri di stare con lui. E invece Mitchell si sentiva inadeguato nello stare con lui. Gli dispiacque che il figlio di Afrodite non si fosse mai aperto così con lui, avrebbe apprezzato le sue parole, sentire pronunciare a voce alta una frase simile gli avrebbe fatto almeno un po' piacere.

Gli rispose in fretta, programmando l'uscita per il caffè e ringraziandolo per le belle parole, poi si soffermò sulla chat di Leo. Gli scrisse “okay”, senza dilungarsi più del dovuto. Avrebbero parlato più tardi, di persona, da soli.

 

 

L'idea di vedersi con Will nel bunker 9 gli era sorta spontanea, quel mattino appena sceso dal letto. Non era il posto ideale, forse, per incontrarsi proprio con lui, ma quale altra scelta aveva? Il campo di fragole era troppo visibile. L'infermeria e la fucina erano del tutto abolite. In mensa qualcuno rischiava di sentirli. E nelle cabine... Leo tremò al pensiero di cosa avrebbe pensato Calipso nel vederli sparire insieme nella stessa cabina. Be', nulla di terrificante, visto che quel che poteva capitare, era già successo...

Leo finì di riordinare la casa e si guardò attorno, in attesa che Calipso gli dicesse quanto fosse orgogliosa di lui. Ma la sua ninfa non era in casa, era al lavoro, e sarebbe rientrata per cena. Leo aveva tutta l'intenzione di essere già a casa, per le sei e mezza, quando Calipso fosse rientrata. Non voleva darle nessun sospetto di quello che accadeva fuori da quelle mura. Non voleva che lei scoprisse di Will.

Il figlio di Efesto si passò una mano tra i capelli, tornando in cucina. Aveva ripulito ogni centimetro del soggiorno e della cucina, perché Calipso si era lamentata del disordine dopo la festa di James. Con tutti i pensieri che aveva avuto in quei cinque giorni, Leo si era proprio dimenticato di averle promesso di ripulire la casa. Ora sperò che lo perdonasse, per quei giorni passati in standby dalla propria vita.

Si era divertito il giorno prima, con Jason. Avevano bevuto un po', camminando su e giù per la spiaggia, parlando della loro vita passata, dopo la sconfitta di Gea. Avevano discusso sul suo modo di fare quel giorno, su come avesse sacrificato la sua vita. Avevano parlato delle loro relazioni, chiacchierato di Calipso, Piper, Will. Jason era stato con Reyna, dopo essersi lasciato con Piper, durante il loro periodo di separazione. Parlarono di Frank, chiedendosi dove fosse finito, e del bene che auguravano entrambi ad Hazel, così perdutamente innamorata del figlio di Marte che aveva messo in pausa la sua vita.

Evitarono di parlare di Percy, Annabeth e Nico. Leo moriva dalla voglia di sapere di più, di conoscere più dettagli, ma una parte di lui, quella a cui dava ascolto, pensava che non fosse il caso di chiedere più informazioni. Quel triangolo amoroso lo intrigava e si domandò che fine avesse fatto Nico, visto che nessuno aveva più notizie di lui. Aveva deciso di chiederlo ad Hazel alla prima occasione: lei di sicuro doveva sapere dove si trovasse suo fratello.

Leo controllò di non avere altro da fare in cucina e uscì di casa, diretto al Bunker 9. Quel mattino James si era svegliato presto per dirigersi al corso di pittura con Bryan e Lily. Leo lo aveva lasciato andare, sorpreso dal fatto che il figlio avesse deciso di frequentare i corsi del Campo. Gli avevano sempre detto che poteva fare quello che più desiderava, e a quanto pareva, il corso di pittura era nei suoi desideri.

Si diresse al Bunker 9, pensando a tutte quelle giornate trascorse lì con Will Solace. Troppe, non riusciva a contarle. Sperò che il figlio di Apollo non fosse arrabbiato con lui, dopo quella specie di litigio in infermeria.

Leo si sentì attraversare da un brivido pensando alle mani di Will sulle sue. Ogni volta che tornava con la mente a quell'incontro veloce e passionale in infermeria, era felice che nessuno potesse leggergli nel pensiero.

Leo impiegò qualche minuto ad arrivare al Bunker 9. Negli ultimi anni aveva riempito il Campo di passaggi segreti per il Bunker 9, in modo da non dover sempre entrare dall'ingresso principale. Ce n'era uno poco distante dalla sua casa, che non usava più da anni, ricoperto da rami e fogli. Si mise di impegno per liberare il passaggio ed entrò nel bunker, chiedendosi in che stato lo avrebbe trovato.

Le luci si accesero non appena mise piede all'interno e Leo rimase per un po' a fissare il Bunker 9, con la sensazione di vedere Will uscire dal bagno o in piedi davanti alla caffettiera, intento a versarsi una tazza di caffè.

Non era cambiato quasi niente, di come se lo ricordava. La stanza era sempre al suo posto, come la cucina, il piccolo soggiorno con il tavolo da lavoro. Ma il letto era disfatto, c'erano vestiti sparpagliati per la camera e non si sentiva da nessuna parte il buon profumo di Will.

Leo sospirò. Quel bunker veniva ormai utilizzato dai suoi fratelli come alcova d'amore, da quando Leo aveva smesso di entrarci. E l'ultimo di loro che era stato lì, non si era nemmeno preoccupato di riordinare.

Trattenendo a stento il desiderio di dare fuoco a tutto, Leo cominciò a raccogliere i vestiti dal pavimento e tirò via le lenzuola e le coperte dal letto, senza indagare sul loro stato. Buttò tutto nella lavatrice, azionandola, sperando che fosse sufficiente un lavaggio per ripulirle. Girò il materasso, rifacendo il letto con delle lenzuola pulite, ed entrò in cucina, fissando il frigorifero con un po' di astio. Aveva paura di quello che poteva trovarci all'interno.

Per l'ora successiva, Leo si ritrovò a ripulire la cucina, il bagno, il corridoio. Quando il bunker ebbe di nuovo ottenuto l'aspetto di un tempo, Leo si concesse un sorriso. Sembrava che fosse passato Will a dare una ripulita. Si chiese se il biondo figlio di Apollo sarebbe rimasto sorpreso di quanto avesse fatto. Non che glielo avrebbe detto. Non voleva fargli sapere quanto tempo avesse impiegato a rendere quel posto di nuovo presentabile.

Leo si avvicinò ad una delle pareti, scoprendo il pannello e trovandosi di fronte i tasti di controllo del bunker. Cominciò a toccarli con il cacciavite, bloccando l'accesso a tutti i semidei del Campo Mezzosangue, a parte lui e Will. Tutti i passaggi segreti, ora, erano bloccati. Nessuno avrebbe messo piede lì dentro, a parte loro due.

Leo sentì un brivido lungo la schiena non appena ebbe fissato quei parametri. Ripensò a Will, al suo comportamento l'ultima volta che erano stati insieme in quel bunker, quel momento di pazzia che gli aveva perdonato. E se lo avesse ripetuto? Se Will avesse provato di nuovo ad essere violento con lui? Cosa avrebbe dovuto fare, a proposito?

Il figlio di Efesto si passò le dita tra i capelli, poi si guardò la mano, quella che Will aveva bendato pochi giorni prima. La osservò mentre prendeva fuoco, e sperò di non dover mai ricorrere a quel trucchetto.

 

Will baciò frettolosamente Connor e si alzò in piedi, sistemandosi la camicia, borbottando che doveva tornare in infermeria. Il figlio di Ermes lo guardò divertito.

«Ci vediamo tra un paio di giorni, allora.» disse Connor.

«Cerca di non farti male, eh.» disse Will, dandogli un buffetto sulla testa. «E non ti far sparare!»

«Devo solo uscire con i miei amici.» Connor afferrò il borsone e lo guardò sorridendo. «Tu non piangere dalla disperazione, se dovessi fare ritardo.»

«Non lo farò.» mormorò Will, sincero, pensando a Leo Valdez. Erano già le tre, ormai. Doveva incontrarsi con il figlio di Efesto.

Connor lo baciò un'ultima volta, poi insieme uscirono dalla cabina di Ermes. Avevano passato le ultime due ore insieme, a baciarsi e a coccolarsi, a parlare del lavoro di Connor. Non doveva rubare niente, doveva incontrarsi con gli amici umani per uno spettacolo. Connor aiutava con il balletto. Era bravo a ballare, Will non ci avrebbe puntato un dollaro, ma il ragazzo dai capelli castani aveva movimenti sinuosi, come quelli di un gatto.

Connor si diresse verso l'uscita del Campo e Will lo seguì con lo sguardo, per assicurarsi che se ne andasse davvero. Ma rimase fermo e immobile nello stesso punto anche quando il ragazzo se ne fu andato.

Com'era diventato? Mentre stava con Connor, non aveva fatto altro che pensare a Leo. Aveva tradito il suo ragazzo con il suo ex. E ora stava aspettando di rifarlo. O almeno, di parlarne e discutere. Se Leo gli avesse detto che intendeva lasciare Calipso per lui, non avrebbe esitato a mollare Connor, dicendogli tutta la verità. Ma se Leo non voleva lasciare la futura moglie, cosa avrebbe fatto lui?

Will si passò una mano tra i capelli, cercando di non sembrare troppo disperato, poi si diresse nel bosco. Non aveva turni in infermeria quel pomeriggio, solo il turno di notte, sperando che Leo non lo facesse tardare. Non voleva che i fratelli si insospettissero, o che gli facessero domande. Temeva che le risposte le avrebbero lette direttamente sul suo viso.

Camminando nel bosco, diretto ad una delle entrate del Bunker, Will si fermò. Non aveva bisogno della sua coscienza per sapere che non stava facendo la cosa giusta. Non solo per via di Connor, ma anche per se stesso. Presentarsi a Leo in quelle condizioni, con il cuore in alto mare, non gli avrebbe fatto male? Certo, sapere che Leo voleva vederlo gli accendeva la speranza del petto, ma c'era anche la possibilità che Leo desiderasse solo esprimere il suo disappunto per quanto avessero fatto. E non era certo che avrebbe retto quelle parole. Se Leo avesse ribadito il suo amore per Calipso, nonostante tra loro nulla fosse finito... non l'avrebbe retto.

Ma d'altra parte...

Will deglutì, scacciando tutti i suoi pensieri, scacciando la paura e la speranza annidate nel suo cuore. Non poteva continuare a pensare. Aveva già pensato e riflettuto abbastanza negli ultimi mesi. Ora doveva affrontare Leo, affrontare qualsiasi cosa a testa alta.

 

Leo si stava torcendo le dita seduto ai piedi del letto, lanciando occhiate continue all'orologio. Le tre erano ormai passate da un po', e si chiedeva se Will avesse deciso di non presentarsi. Se così fosse stato, cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva chiedergli di incontrarlo in pubblico... ma forse, il fatto che Will non si fosse presentato nonostante gli avesse risposto, era già per sé una risposta. Forse...

O forse Will non ricordava più la strada per il Bunker, e si era perso nel bosco. Forse doveva andare a controllare...

Le luci del corridoio si accesero all'improvviso e Leo sollevò lo sguardo. Si accendevano solo in presenza di qualcuno. Erano spente da più di venti minuti, ovvero da quando si era seduto dopo aver camminato su e giù per tutto il bunker. Il cuore cominciò a battergli all'impazzata quando udì dei pazzi e riuscì a captare quel profumo di Will che per mesi aveva allietato il suo sonno.

«Oh, ciao.» salutò Will, fermandosi di fronte alla porta della camera, spostando lo sguardo su di lui. «Non è cambiato niente, eh?»

Leo lo fissò, osservando i suoi capelli biondi e lunghi, i suoi occhi luminosi e tristi, le sue labbra gonfie di baci che non aveva dato a lui.

«A parte noi, intendi?» mormorò Leo, non sapendo se alzarsi o rimanere seduto.

Will si appoggiò con la spalla allo stipite della porta, mettendosi a braccia conserte. «Già, a parte noi...»

Il figlio di Efesto continuò a guardare il figlio di Apollo, sentendosi quasi come se si trovasse al cospetto di uno sconosciuto. Se si sforzava, riusciva a ricordare ogni più piccolo dettaglio di quel corpo meraviglioso che si trovava di fronte. Ma era l'altra parte, quella che non poteva vedere, che era cambiata. I suoi sentimenti, i suoi pensieri, i suoi desideri... poteva dire di conoscerli?

Non gli chiese di sedersi vicino a lui, e Will lo apprezzò. Rifiutarsi di fare una cosa così semplice poteva segnare l'inizio di quella conversazione.

Leo sospirò, posando le mani sul letto e guardando un punto imprecisato di fronte a sé. «Ti ho chiesto di venire qui per parlare.» disse, con la voce più bassa di quella che si aspettava. La presenza dell'altro lo intimoriva così tanto?

«Sono qui proprio per questo.» annuì Will, guardando il ragazzo sul letto. «Quindi... ti ascolto.»

«Perché dovrei iniziare io?»

«Perché tu mi hai chiesto di venire qui. E, tra i due, la tua relazione è quella più in pericolo.»

Leo aggrottò la fronte. «Che significa? Che la tua non è importante?»

«Non ho detto questo.»

Leo si passò una mano tra i capelli. «A me sembra proprio di aver capito questo...»

«Leo, non voglio sminuire la mia relazione con Connor.» sbuffò Will. «Ma in questo caso, sei tu a perdere di più.»

«Non voglio lasciare Calipso.» disse Leo.

«Allora questa conversazione è già finita.»

Will si voltò, pronto ad andarsene, ma Leo scattò in piedi, con la paura di vederlo allontanarsi.

«Aspetta!» esclamò, frustrato. «Io... io non voglio lasciare nemmeno te.»

Will fissò la porta, cercando di non cedere a quelle parole. Una parte di lui, voleva gettare le braccia al collo del moro e accettare il ruolo che gli stava proponendo – quello di amante, l'emarginato, colui che si struggeva per amore e non poteva mostrare a nessuno questo dolore. L'altra parte, invece, quella che si amava e si voleva bene, si irrigidì, disgustata al solo pensiero di dover sentire quel discorso.

«Non vuoi lasciare Calipso.» ripeté Will, sforzandosi di non girarsi. «E non vuoi lasciare nemmeno me.»

«Esatto.» annuì Leo alle sue spalle, sorpreso che il biondo avesse capito. «Io...»

«Tu vuoi sposarti, avere una moglie, e magari altri figli, mentre io cosa posso avere?» chiese Will, voltandosi a guardarlo. Leo fece un passo indietro, incrociando il suo sguardo azzurro, piuttosto furioso. «Cosa avrò, Leo? Un paio di sere alla settimana? Un bacio fugace quando non c'è nessuno nei paraggi? È possibile che tu abbia davvero così poca considerazione di me?»

«Will, cerca di capirmi. Sono innamorato di te, quanto di Calipso.» mormorò Leo. «E sul momento non riesco a pensare di lasciare te o lei.»

«Hai avuto diversi giorni per pensarci.» gli fece notare Will, mettendosi a braccia conserte. Sentire quelle quattro parole gli avevano fatto tremare le gambe. «E non è una scelta così difficile. Chi ami di più?»

Leo si passò una mano tra i capelli. «Non riesco a capirlo.» ammise. «Per me siete stati entrambi una storia importante, e non riesco... a capire... non riesco ad immaginarmi senza lei, o senza di te.»

Il figlio di Apollo rimase in silenzio a guardare l'altro, aspettando che proseguisse. L'inizio di quel discorso non gli piaceva per niente, ma forse Leo avrebbe tirato fuori qualcosa di interessante. Forse.

«Lo so, sono pessimo nei discorsi.» disse Leo, muovendo le dita come se avesse con sé il suo cacciavite. «Però è così. Amo Calipso, è importante per me, è la prima donna di cui mi sono innamorato. Ho un figlio con lei, e fino a qualche mese fa pensavo di poter avere un futuro con lei. Ma da quando sei tornato al Campo... penso anche a te. Alla nostra storia. A quanto sia stata importante per me, mi hai fatto tornare a vivere, in un certo senso. Rivederti, pensare a come è finita, vederti con un altro... mi ha fatto tornare indietro, a quei momenti in cui ti consideravo davvero l'uomo più importante per me.»

Leo deglutì, cercando di ignorare il leggero tremolio nella propria voce. Non aveva preparato quel discorso, le parole gli uscivano quasi naturali, sebbene sembrassero un po' forzate, un po' stupide alle sue orecchie.

«Ero innamorato di te due anni fa, e penso di non aver mai smesso di amarti, in questi anni.» continuò Leo. «Tra noi è finita male, e se potessi tornare indietro, cambierei le cose. Quel momento di gelosia ora lo capisco, e soffro al pensiero che tu possa aver potuto pensare che ti avessi tradito. E capisco anche quel tuo momento di follia. Ti ho perdonato, e ti perdono di nuovo ora. E ti chiedo scusa per essere stato un fidanzato terribile.»

«Non sei stato terribile.» mormorò Will, puntando lo sguardo poco più sopra della spalla del moro. «Io sono stato terribile, dopo quello che ho fatto e detto. Avrei dovuto fidarmi di più di te.»

«Avrei dovuto farti capire che potevi fidarti di più.» ribatté Leo. «Forse avrei potuto chiederti di venire con me, in quell'incontro con Calipso. Forse avrei fatto meglio un sacco di cose, ma purtroppo non ho la possibilità di tornare indietro nel tempo.»

Will spostò lo sguardo sul viso dell'altro, sentendo un nodo alla gola. «Cosa vuoi da me, Leo?»

«Voglio te.» rispose il figlio di Efesto, semplicemente. «Rivoglio te, il rapporto che avevamo una volta, voglio svegliarmi tra le tue braccia e non pensare a niente.»

Il figlio di Apollo chiuse gli occhi, mentre la parte più cosciente di lui gli diceva di ignorare quelle parole. Era debole, cosa poteva farci?

«E... E lei?» sussurrò Will, sentendosi non sono debole, ma piccolo sotto quelle parole.

«Con il tempo non la vorrò più.» mormorò piano Leo, avvicinandosi al biondo.

«Ma...»

Leo gli posò un dito davanti alle labbra, socchiudendo gli occhi nel sentire il suo profumo, così forte, dolce e buono, lo stesso profumo che gli era mancato molto negli ultimi anni.

Quello che aveva detto a Will era vero. Lo rivoleva con lui. Era la cosa giusta per sé, e per l'altro, lo capiva dal modo in cui il suo cuore batteva. Riusciva a sentirlo, solo sfiorandogli il petto con il braccio.

Will chiuse gli occhi, sentendo la testa girare. Forse non era la cosa migliore per sé stesso, forse poteva insistere e ottenere qualcosa di concreto, non solo parole. Ma la sua debolezza era di nuovo uscita fuori, era lì, così vicina da poterla toccare. E la toccò, la strinse tra le braccia, lasciando che fosse l'altro a passargli le braccia attorno al collo. Cercò le sue labbra e le trovò, pronte ad accoglierlo nel più dolce dei baci.

Rimasero lì, stretti l'uno all'altro, per minuti interi, prima di spostarsi con lentezza sul letto. All'inizio si limitarono solamente a baciarsi, a godersi il tocco caldo dell'altro, a gemere piano contro le loro labbra. Con la stessa calma si spogliarono, esplorando il corpo del partner come se fosse la prima volta, con le labbra, la bocca, la lingua...

 

 

Quando si ritrovarono stesi l'uno accanto all'altro, con il respiro affannoso ormai calmato, si voltarono per potersi guardare in viso. Will notò subito quanto fossero luminosi gli occhi scuri di Leo, e sapere che fosse merito suo, gli scaldò il petto di quell'amore che credeva fosse ormai un lontano ricordo.

«Va bene così.» disse Will, e lo sguardo di Leo si fece un po' confuso.

«Cosa?» chiese, chiedendosi se non avesse parlato ad alta voce. Il suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi, continuava a rabbrividire di piacere. Non lo avrebbe sorpreso più di tanto sapere che anche la sua voce fosse fuori controllo.

«La nostra relazione. Va bene così.»

Leo lo osservò. Gli occhi azzurri, le lentiggini, la pelle abbronzata, le labbra rosee... era tutto come se lo ricordava. Di diverso c'era solo una luce negli occhi, una luce profonda, che gli faceva capire che ne aveva vissute tante nella sua vita.

«Per ora va bene così.» lo corresse Leo, allungandosi verso di lui e baciandolo sulla fronte. «Ma cambierà, te lo prometto.»

Will sorrise, chiudendo gli occhi, sentendosi al sicuro nell'udire quelle parole. Leo lo strinse a sé, passandogli le dita tra i capelli. Una parte di lui, quella non distratta dal profumo del figlio di Apollo, si domandò se fosse in grado di mantenere una promessa simile.

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Capitolo 59
*** 77. Un giorno per sè stessi ***


Una settimana.

Will si concesse una settimana di tempo prima di decidersi a parlare della sua relazione segreta con la sua migliore amica. Avrebbe voluto parlarne prima con il suo attuale ragazzo, ma quando Connor era rientrato, tre giorni dopo, era esausto, e lo aveva trascinato a letto, senza dargli la possibilità di dire la sua. Connor era così stanco che si era limitato ad abbracciarlo, risparmiando a Will la fatica di inventarsi una scusa.

Ma scappare alle sue grinfie nei giorni seguenti fu più difficile. Will però aveva intenzione di lasciarlo a bocca asciutta fino a quando non avrebbe parlato con Hazel. Sapeva già cosa l'amica gli avrebbe detto – «Lascia subito Connor!» – ma una parte di lui non voleva farlo.

Era difficile da spiegare, persino a sé stesso. Will passava ore a rigirarsi nel letto, riflettendo su quanto stesse accadendo nella sua vita, dando così fastidio a Bryan nel letto affianco, che il fratellino ormai aveva rinunciato a dormire con lui, preferendo il pavimento della camera delle sorelle.

I suoi pensieri erano tutti focalizzati su Leo, colui con il quale aveva una relazione segreta ormai da una settimana. Si incontravano di nascosto nel Bunker 9, una o due volte al giorno, a volte solo per vedersi, altre solo per spogliarsi. I suoi fratelli non sospettavano nulla, e Will fu grato di aver sempre avuto la passione per il jogging: nessuno lo squadrava male se, nel bel mezzo del suo turno in infermeria, diceva che andava a fare una corsetta per scaricare la tensione.

Si divertiva con Leo, ed era felice che l'altro lo amasse come un tempo. Ma non parlavano mai del loro futuro insieme, o del matrimonio di Leo. Per Will era un argomento tabù, o almeno aspettava che fosse Leo ad iniziare il discorso, dicendogli che aveva lasciato Calipso e chiedendogli di vivere insieme.

Will sapeva che avrebbe dovuto aspettare, forse mesi e non solo settimane. Leo doveva fare le cose con calma, senza agitare la ninfa, senza darle motivo di sospettare della loro relazione, senza ferire James: Will non aveva idea di come il figlio di Efesto avrebbe fatto tutto questo, e decise di non chiedere. Quando Leo fosse stato pronto, avrebbe parlato, cambiando le loro vite per sempre.

Ma i suoi pensieri non erano solo fissi su Leo. Will pensava a Connor, alla sua gioiosità, alla sua passione, alle sue risate. Gli piaceva stare con Connor Stoll, lo faceva sentire amato nonostante ormai non facesse più nulla per meritarsi quel tipo di attenzioni. Connor lo adorava come se fosse un dio, e Will notò che non gli dispiaceva molto quel comportamento. Poteva tenergli la mano in pubblico, o baciarlo in mensa per distrarlo e rubargli un pezzo di dolce. Poteva passeggiare con lui sulla sabbia, programmando un'uscita per il weekend, senza doversi nascondere.

Con disappunto, Will si era reso conto di aver passato troppo tempo della sua vita a nascondersi. Ormai aveva quasi ventisei anni, era fiero di essere un semidio, gay, dottore al Campo Mezzosangue. Agli inizi della sua vita, si era vergognato di essere un semidio, il cuore lacerato ogni volta che sua madre lo insultava per essere “il bastardo che non sapeva suonare” del dio della musica. Quando aveva lasciato la sua casa e aveva iniziato a vivere al Campo Mezzosangue, non aveva impiegato molto ad accorgersi che i suoi sentimenti non erano simili a quelli degli altri semidei. Si era nascosto un'altra volta, ferendosi ogni giorno di più, finché la presenza di Nico Di Angelo al Campo non lo aveva stabilizzato. Aveva fatto coming out con la speranza che il figlio di Ade facesse lo stesso – per Will era sempre stato palese! – ma non era successo, almeno non subito.

Però non aveva mai dovuto nascondere il fatto di essere un dottore. Almeno qualcosa della sua vita lo aveva fatto sin da subito alla luce del sole.

Ora c'era Leo, che vedeva di nascosto, quando non voleva altro che una relazione simile a quella con Connor. Passeggiare mano nella mano con Leo Valdez, in pieno giorno, sotto gli sguardi di tutti i semidei... era questo il suo desiderio più profondo.

Con un sospiro Will scacciò quei pensieri dalla testa. Sapeva a cosa andava incontro, quando aveva accettato quella relazione. Finché Leo non si fosse sentito pronto, quando il figlio di Efesto non avesse trovato il momento giusto per lasciare la futura moglie, non avrebbe mosso un dito. Non avrebbe affrettato la sua scelta. Il semplice fatto che Leo si trovasse al Bunker 9 quando Will vi si recava, senza che i due si fossero consultati prima, era sufficiente.

Un giorno, però, avrebbe pensato a tutto quello che Leo potesse dargli, e sorrise. Avrebbe preso tutto quello che il figlio di Efesto gli avrebbe offerto, e anche molto di più. Non voleva altri nella sua vita: forse, il matrimonio di Calipso e Leo poteva diventare il loro...

Sorridendo come un ebete, Will decise di non andare in infermeria. Aveva bisogno di un giorno per sé stesso, senza pensare a niente che non fosse lui. Dopo tutto quel tempo trascorso in infermeria, se lo meritava. Pensò a dove potesse andare, e il suo primo pensiero si soffermò sul Bunker 9: poteva mettere un po' d'ordine e rigirarsi in quel letto meraviglioso, in attesa che Leo lo raggiungesse.

Will scacciò il pensiero. Non andava bene. Voleva stare da solo, sì, ma non chiuso in un bunker senza luce del sole. Voleva dare libero sfogo ai suoi pensieri, divertirsi, magari stare in compagnia di qualcuno dei suoi fratelli. E l'unico posto possibile...

Will ridacchiò, andando a mettersi il costume da bagno e prendendo la sua tavola da surf nel capanno della cabina. Si domandò perché avesse impiegato così tanto tempo per capire che la spiaggia fosse il posto di cui aveva bisogno.

 

 

Leo era appena uscito dalla cabina 9 quando vide Will in costume da bagno, con la tavola da surf sotto braccio. Portava gli auricolari e giocherellava con il cellulare, forse per mettere una canzone. Leo sentì le gambe tremare alla sua vista e si sforzò di distogliere lo sguardo, prima che Nina, che ancora sbraitava per il loro breve incontro, riuscisse a vederlo.

Era ormai da una settimana che si vedeva di nascosto con Will, ed era stata la settimana più bella della sua vita. Non solo perché aveva riavuto il figlio di Apollo, ma perché non aveva bisogno di mentire a Calipso. Usciva sempre quando la ragazza era al lavoro, e rientrava sempre prima di lei. Aveva tutto il tempo per prepararle la cena, e ascoltarla parlare di lavoro. Lei non sospettava niente, e Leo non le dava niente per farla sospettare.

Ora che anche James era impegnato con i corsi del Campo, Leo era più tranquillo. Non doveva preoccuparsi del figlio, perché il bambino aveva altri mille pensieri per la testa. E gli andava bene così.

Leo sollevò di nuovo lo sguardo, scoprendo che Will si era allontanato in direzione della spiaggia. Doveva aver trovato una canzone che gli piaceva, visto il passo spedito. Con una stretta allo stomaco, Leo si accorse di tutti gli sguardi che seguivano il figlio di Apollo. Impiegò qualche minuto a rendersi conto che quella stretta fosse gelosia e sospirò. Non poteva ingelosirsi, non quando lo aveva per sé.

«Non va bene.» mormorò tra sé Leo, scuotendo appena la testa. Si affrettò a scendere le scale, pensando che non fosse un bene essere geloso di Will. Il biondino era suo, ma non ancora, visto che stava con Connor. Non capiva perché i due stessero insieme, perché Will non si fosse deciso a lasciarlo dopo una settimana. Forse aspettava che lui lasciasse Calipso? Gli aveva detto di non essere pronto, che aveva bisogno di un po' di tempo per farlo. Will intendeva rimanere con Connor fino ad allora?

Senza pensarci, senza averci riflettuto, senza averlo premeditato, Leo si ritrovò di fronte alla cabina 13. Fissò per un po' la porta, pensando ai suoi amici. Jason, Annabeth e Piper erano tornati al Campo Giove un paio di giorni prima, dopo una piccola festa sulla spiaggia. Leo aveva chiacchierato per un po' con Annabeth, notando quanto fosse luminosa, cercando di non chiederle nulla su lei e Percy. Annabeth gli aveva parlato del suo lavoro come architetto, degli edifici che stava progettando per New York e della sua casa al Campo Giove. Gli aveva anche detto che stava frequentando uno del Campo, e Leo si limitò a sorridere e ad annuire, senza fare altre domande. Se la figlia di Atena non si sentiva a suo agio a parlarne, Leo avrebbe rispettato i suoi spazi.

Inoltre, Leo immaginò che Annabeth sapesse che lui sapeva, visto che si era unito a Jason e a Piper nel toglierle di mano tutti i drink alcolici che gli altri semidei le passavano, vedendola con il bicchiere vuoto in mano. Jason era stato il primo a crollare ubriaco al quarto drink, mentre lui e Piper erano riusciti a resistere un po' di più, ritrovandosi poi a cantare stonati una canzone del Campo Mezzosangue di fronte a due imbarazzate Calipso e Annabeth.

Leo sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Aveva visto anche Hazel a quella festa di addio sulla spiaggia, sempre in compagnia di Will che sembrava farle da guardia del corpo. Li aveva visti ridere e chiacchierare, ma Leo fu certo che Will non avesse detto nulla alla figlia di Plutone. Conoscendola, non l'avrebbe presa così bene.

Bussò alla porta della cabina 13, sperando che la ragazza non ci fosse, che fosse impegnata con il suo lavoro nella cabina di Ecate. Aveva bussato prima di rendersene conto, prima di aver capito cosa volesse da Hazel. Confessarle il suo tradimento? Chiederle se potesse essere perdonato? Scoprire cosa Will le avesse raccontato? O se stesse facendo la cosa giusta?

Non aveva desiderato Will come amante e Calipso come moglie? Era sulla buona strada per avere entrambi. Hazel forse poteva illuminargli la strada...

La porta si spalancò prima che Leo avesse deciso il da farsi. Incrociò subito lo sguardo dorato dell'amica, sorpresa durante uno dei suoi momenti di pace in casa: aveva i capelli in disordine, legati malamente con una matita; indossava una delle grandi felpe azzurre di Will sopra i pantaloni di una tuta grigi che avevano visto giorni migliori. Per completare il tutto, aveva delle briciole agli angoli della bocca.

«Oh no.» disse Hazel, fissandolo.

«Ciao anche a te.» ribatté Leo, abbozzando un sorriso. «È un brutto momento?»

«Dipende da cosa vuoi.»

Leo aggrottò la fronte. «Wow, come siamo simpatiche. Ti sei alzata con il piede sbagliato?»

«Può darsi.» annuì lei, infastidita, fissandolo. Leo si chiese se Will le avesse già parlato, perché quello sguardo che gli scoccava la ragazza, gli faceva pensare di sì.

«Mh, allora forse è meglio se vado...»

«Entra.»

Il grugnito di Hazel fece sorridere il figlio di Efesto, che eseguì l'ordine prima che potesse ricevere la porta in faccia. Si soffermò a guardare la cabina di Ade: non vi entrava spesso, ma non era cambiata da come l'aveva arredata anni prima Nico Di Angelo. Be', tralasciando i cuscini con i fiori e i vestiti colorati sul pavimento.

«Hai avuto qualche incontro piccante?» domandò Leo, osservando i vestiti.

Hazel sbuffò. «No, ho deciso di prendermi un giorno di vacanza.»

«Un giorno di vacanza?» ripeté Leo. «Da cosa?»

«Da me.» La figlia di Plutone si diresse in cucina, prendendo il pentolino per preparare il tè. «Sono stanca di dover riordinare tutti i giorni, quindi ho deciso che oggi è il mio giorno di riposo.»

«Ma questo vuol dire che domani dovrai lavorare il doppio.» le fece notare Leo, notando la pila di piatti nel lavandino.

«Non importa, ci penserò domani.»

«Questi sono tutti tuoi?» chiese Leo, entrando in cucina, indicando il lavandino.

Hazel guardò i piatti, scuotendo la testa. «Ho invitato Piper e Jason qui a cena negli ultimi giorni, e quando sono andati via... be', dovevo lavorare e ho trascurato alcune cose.»

Leo si mordicchiò il labbro, lanciando un'occhiata alla ragazza, che gli dava le spalle. Doveva essere dura, per lei, trovarsi sempre da sola, senza suo fratello, senza i suoi amici, senza un compagno. E dover rifare tutti i giorni sempre le stesse cose... doveva essere stressante.

«Li lavo.» si offrì Leo, tirandosi su le maniche.

Hazel gli scoccò un'occhiata. «E perché?»

«Perché voglio farlo. E poi, mi stai preparando il tè. Devo pure ingannare il tempo.»

Hazel annuì, lasciandolo fare. Leo cominciò a lavare i piatti, pensando che fosse rilassante stare lì, e ripetere lo stesso movimento più e più volte. Non disse una parola, aspettando che fosse Hazel a dire qualcosa, ma la figlia di Plutone teneva gli occhi puntati sul pentolino, come se senza il suo sguardo, l'acqua non si sarebbe scaldata.

Leo aveva già svuotato metà del lavandino quando sospirò. «Non mi chiedi perché sono qui?» disse, lanciando una rapida occhiata alla ragazza.

Hazel prese le due tazze e le bustine del tè. «Mh, non mi va.» borbottò.

«Perché no?»

«Perché ho il sospetto di sapere, ma voglio rimanere nella mia ignoranza ancora per un po'.»

«Haz, sei meravigliosa.»

«Non lisciarmi con i tuoi complimenti.»

Leo ridacchiò, finendo di lavare i piatti mentre Hazel sistemava le tazze con il tè bollente su un vassoio. Prese dei biscotti fatti in casa da una scatola e portò il tutto sul tavolino davanti al divano. Leo si asciugò le mani scaldando la pelle, seguendola fino al divano.

«Li hai fatti tu?» domandò Leo, guardando i biscotti.

«No, li ha fatti Raul.»

«Raul?» ripeté Leo, curioso. «Raul chi?»

«Raul Aviles, figlio di Ecate.»

«Aviles? Come Reyna..?»

«All'incirca, è un nome molto diffuso.»

Leo annuì, doveva immaginarselo. Prese un biscotto, trovandolo delizioso e guardò l'amica. «Come mai ti ha preparato i biscotti? Ti vedi con lui?»

Hazel scosse la testa. «Li ha preparati per tutti, non ci esco insieme.»

«Per tutti i figli di Ecate?»

«Sì.»

«Tu non sei figlia di Ecate.»

«Sono contenta che tu lo sappia.» Hazel si lasciò scappare un sorriso. «E so cosa stai per dire. Te li ha dati anche se non sei figlia di Ecate, gli piaci! Ma siamo amici, praticamente colleghi, ed è stato un gesto molto carino da parte sua. Sono buonissimi.»

Leo annuì, divertito.

«E ci sono già uscita insieme.» continuò Hazel, prendendo un biscotto. «Ma non fa per me.»

«Wow.» Leo strabuzzò gli occhi. «Sei uscita con un uomo? E non ne sapevo niente?!»

«Sono uscita con Raul, e non è un'uscita da ricordare.» Hazel bevve un sorso di tè, poi si corresse: «Sì, in realtà ho passato proprio una bella serata, ma non si ripeterà. Non sono ancora pronta per una relazione.»

«Non sei ancora pronta per una relazione?» ripeté Leo. «E cosa stai aspettando? Cioè, sì, so cosa stai aspettando, ma...» Leo si interruppe, mordendosi la lingua.

«Avanti, dillo.» sbuffò Hazel, infastidita. «Non ti curare dei miei sentimenti.»

«Non tornerà.» disse Leo, piano, guardandola. «Lo sai, vero?»

La mano di Hazel tremò appena mentre si portava di nuovo la tazza alle labbra. «Non importa.» disse lei. «Non mi importa più. Io... non so come spiegarti, ma...» Hazel si portò la mano al petto. «È come se avessi eretto un muro attorno al cuore, in quest'ultimo decennio. Non c'è nulla che io possa fare per buttarlo giù.»

«Qualcosa di sicuro ci sarà.» mormorò piano Leo, posandole una mano sul braccio.

«Piper dice che esistono delle pozioni che mi potrebbero far dimenticare di lui, ma... non mi sento ancora pronta per prenderle. Forse, un giorno, tra un anno o due, lo farò, ma per il momento...»

«Hazel, sappi che se hai bisogno di un amico, io ci sarò per te, sempre.» le disse. «Se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, ti aiuterò io. Se vuoi parlarne, se hai bisogno di urlare, se hai bisogno di fare un giretto in cielo, ci sono io.»

«Leo, ti ricordi che ho praticamente vomitato per tutta l'Argo II, vero?» disse Hazel, sorridendo. «Non puoi propormi un giro su Festus.»

«Me lo ricordo.» annuì Leo, sorridendo a sua volta. «Ma se voleremo su Festus, non c'è il rischio che gli vomiti addosso. Si dovranno preoccupare solo quelli di giù.»

Hazel rise. «Che schifo.»

Leo ridacchiò a sua volta, sorseggiando il suo tè. Era bello sentire Hazel ridere e si domandò perché non uscisse spesso con lei. Certo, c'erano stati dei momenti un po' imbarazzanti sull'Argo II, e forse il fatto che Will passasse un sacco di tempo con lei l'aveva un po' frenato dal frequentarla. Sperò che ora, ora che tra lui e Will le cose andavano di nuovo bene, potesse tornare il rapporto con Hazel di una volta.

«Allora.» disse la figlia di Plutone, stringendo la tazza tra le mani. «Come mai sei venuto qui da me? Devi confessarmi qualcosa? Ti piace essere punito?»

«Non mi piace essere punito.» disse in fretta Leo. «E se stai per farmi delle proposte strane...»

«Leo!»

Il figlio di Efesto scoppiò a ridere. «Scusami, è stato più forte di me, me l'hai praticamente servita su un piatto d'argento!»

Hazel scosse la testa, portandosi una mano alla fronte. «Se hai intenzione di fare altre tristi battute, sei pregato di andartene...»

«No, no, non ne farò più.»

«Lo prometti?»

«Mh, quasi.»

Hazel roteò gli occhi al soffitto e sospirò, pensando che forse era l'unica cosa che poteva accettare da Leo Valdez. Una quasi promessa sul non fare più battute.

«Haz, Will ti ha raccontato qualcosa..?» domandò Leo, sperando che il biondino avesse fatto tutto il lavoro sporco al suo posto.

Hazel inarcò un sopracciglio. «Will mi ha raccontato qualcosa.» annuì lei. «Ma vorrei sentirlo anche dalla tua bocca.»

Leo sospirò. Doveva immaginarselo. Si passò una mano tra i capelli, riflettendo. Partire dal bacio nel tunnel degli orrori o parlargli di tutto quanto?

«Be'...» cominciò Leo, imbarazzato. «Immagino tu sappia tutto. Pensi che stiamo facendo la cosa giusta?»

«Come?»

«Sì, insomma, questa relazione. Secondo te riusciremo a nasconderla a lungo? So che...»

Hazel gli posò una mano sul viso, per bloccarlo. «Cosa stai dicendo?» gli disse. «Quale relazione? Cosa state facendo?!»

Leo la guardò negli occhi, e si sentì impallidire. Hazel non sapeva niente? Will non le aveva detto nulla riguardo quella settimana colma di amore e passione?

«W-Will n-non ti ha...?» balbettò il figlio di Efesto.

«Will non mi ha detto niente.» ringhiò Hazel. «Avanti, parla, dimmi tutto, Valdez. Poi andrò ad uccidere Solace.»

 

 

Will stava facendo surf quando gli scappò un terzo starnuto. Si toccò il naso, perplesso. Non aveva alcun sintomo influenzale, non aveva allergie... ma da quando era arrivato in spiaggia, non faceva altro che starnutire. Forse qualcuno stava parlando male di lui? Mh, improbabile, chi mai poteva avercela con lui?

Con un sospiro, Will prese l'ultima onda della mattinata e si lasciò guidare verso la spiaggia. Non gli andava più di surfare, soprattutto se c'era il rischio di prendersi un malanno. Lasciò la tavola da surf accanto a sé, e si sedette nella sabbia, sollevando lo sguardo sul cielo. Il sole cocente sembrava accarezzarlo, come un padre doveva fare con i figli. Will si chiese distrattamente se avrebbe mai avuto la possibilità di incontrare il proprio padre divino, scambiarci due chiacchiere, sentirsi dare un paio di consigli. Ma era improbabile. Apollo aveva fin troppi figli per passare del tempo con ognuno di loro.

Si stese nella sabbia, chiudendo gli occhi, lasciando che il sole lo asciugasse. Non sentiva niente, a parte il rumore delle onde e le risate dei bambini poco distanti. Era una bella giornata di sole, tranquilla, quasi impossibile da rovinare. Avrebbe passato quel giorno da solo, senza preoccuparsi di Connor, di Leo, dei suoi fratelli, dell'infermeria. Ogni tanto serviva staccare un po', almeno per la propria salute mentale.

Ma sebbene non volesse presentarsi di persona dai suoi problemi, si ritrovò ben presto a sognarli. Connor e Leo erano così diversi tra loro, ma occupavano una parte consistente nel suo cuore. Se Leo avesse deciso di lasciarlo e di tornare da Calipso con la coda tra le gambe, avrebbe avuto comunque Connor al suo fianco. Ma non avrebbe esitato a lasciarlo, se Leo avesse scelto lui. Poteva considerarlo amore? No, forse era più bisogno che amore...

Will aprì gli occhi, fissando il cielo davanti a sé. La testa gli rimbombava di pensieri, il cuore traboccava di amore e desiderio. Voleva solo amare, essere amato, e uscire a testa alta per la strada. Non chiedeva molto.

Con un altro sospiro, Will si alzò e raccolse le sue cose. Non aveva più voglia di stare lì, all'aperto. Poteva rimanere un po' da solo anche nella sua cabina, nella sua camera, ascoltando la musica. Forse avrebbe trovato una canzone, qualcosa che avrebbe descritto appieno i suoi sentimenti.

 

 

Hazel si massaggiò le tempie e tenne gli occhi fissi sul tappeto ai suoi piedi. Leo guardò il tè ormai freddo nella sua tazza, e scaldò appena le dita per poterlo finire. Avrebbe voluto averne di più, o avere qualcosa per proteggersi dalla sfuriata di Hazel. La ragazza aveva smesso di parlare ormai da parecchi minuti, prima o poi sarebbe esplosa.

Perché Will non le aveva detto niente? Aspettava forse il momento giusto? O per il biondino, la loro relazione non era degna di essere raccontata alla sua migliore amica?

«Okay.» disse Hazel, così all'improvviso che Leo sobbalzò. «Okay.»

«Okay?» ripeté Leo, confuso.

«Okay.»

Leo si passò una mano tra i capelli, sempre più confuso. Si domandò se non avesse portato Hazel ad un esaurimento nervoso. Non lo avrebbe sorpreso, una cosa del genere. Hazel sembrava piuttosto instabile in quel momento.

«Okay.» Hazel inspirò profondamente. «Voi due siete dei grandissimi bastardi.»

Leo si portò una mano al petto. «Come, scusa?» disse, pensando di aver sentito male.

«Siete dei bastardi.» ripeté Hazel, scoccandogli un'occhiataccia. «Vuoi forse dire il contrario?»

«Oh, no, no, ma...»

«Avete distrutto la fiducia dei vostri partner.» continuò la figlia di Plutone. «Una volta può capitare, presi dalla passione. Ve lo posso perdonare. Ma... state continuando una relazione clandestina da una settimana. Non ci sono più scusanti. Will sta facendo soffrire un ragazzo dolce, che gli interessa davvero. Tu stai distruggendo ogni possibilità di perdono da parte di Calipso, colei che un giorno, mi pare di capire, diventerà tua moglie.»

Leo aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse, non sapendo bene cosa dire.

«So che è quello il tuo obiettivo.» sbuffò la ragazza. «Vuoi sposarti con Calipso, nonostante le belle parole che dici a Will.»

«Non voglio...»

«Sì invece! Will ti sbava dietro, Will prenderà per oro tutto ciò che dirai. Quindi se oggi gli dici che lascerai Calipso, prima o poi, lui ti crederà. Ma non è tua intenzione lasciarla, dico bene?»

«Haz, la voglio lasciare. Ma non ora, quando sarà il momento.»

«E quando sarà il momento, Leo Valdez? Se non è ora, che la stai tradendo con il tuo ex, quando sarà? Dopo il matrimonio? Tra cinque anni?»

«Senti Haz, io...»

«Se non volevi che ti parlassi così, perché me lo hai raccontato?» sbottò Hazel, alzandosi in piedi. Cominciò a raccogliere i vestiti sparsi per la stanza. «Venite da me, mi raccontate i vostri problemi, e a me va benissimo, non ho altro di meglio da fare, ma dovete darmi l'opportunità di sfogarmi, altrimenti è tutto inutile. Se volete qualcuno che vi ascolta senza giudicare, parlatene con un prete!»

«Credo che ci giudicherebbero anche loro.» mormorò Leo. «Condannandoci negli Inferi.»

Hazel gli scoccò un'occhiataccia e Leo si alzò in piedi, decidendo di portare via le tazze del tè. Riordinare sembrava un bel modo per evitare di essere linciato, e non ci teneva molto a tornare a casa con un occhio nero. Spiegare a Calipso il motivo per cui fosse stato colpito, non avrebbe fatto altro che suscitare un altro pugno.

Leo portò le tazze nel lavandino e le lavò, lanciando un'occhiata all'amica che continuava a fare avanti e indietro per il soggiorno. Raccolse tutti i vestiti e li portò in bagno, poi tornò con l'aspirapolvere. Lo appoggiò al divano e Leo si affrettò a raggiungerla.

«Leo, tu cosa vuoi?» domandò Hazel, guardando l'amico negli occhi. Poi si corresse. «Chi vuoi?»

Leo ricambiò il suo sguardo, pensando alla conversazione con Will. «Voglio Will.» disse, piano. «Ma... anche Calipso.»

«Devi fare una scelta.»

«Lo so.»

«Non puoi averli entrambi.»

«So anche questo.»

«Sono contenta che ti sia rimasto un po' di cervello in quella zucca.»

Leo lanciò un'occhiata ad Hazel.

«Per favore, Valdez. Non far soffrire Will.» mormorò la figlia di Plutone. «Non so se sarà capace di alzarsi un'altra volta.»

Leo pensò a Will, il figlio di Apollo, il dottore che curava chiunque con un sorriso. Pensò ai suoi baci, alla sua espressione quando avevano litigato in infermeria, o quando gli aveva parlando nel Bunker 9. Era vero, forse Will non avrebbe retto un'altra rottura tra loro, ma aveva accettato la relazione, aveva accettato di aspettare che Leo si sentisse pronto per lasciare Calipso. Will aveva accettato tutto facilmente...

«Will ti ama per davvero.» disse Hazel, guardandolo.

«Anch'io lo amo per davvero.» disse Leo, di scatto. «Pensi che il mio amore per lui sia inferiore al suo?»

«Non dico questo, ma...»

Hazel si interruppe e spostò lo sguardo verso la finestra. Anche Leo alzò lo sguardo, confuso. Aveva sentito un rumore, o una voce, provenire da fuori.

«L'hai sentito anche tu?» domandò Hazel, alzandosi in piedi.

«Forse qualcuno ha fatto uno scherzo ai figli di Ares...» disse Leo, ma si zittì subito. Voleva sentire, voleva...

«HAZEL LEVESQUE!»

I due sussultarono e si guardarono.

«Hai fatto qualcosa?» domandò Leo, fissando l'amica.

«Nulla!» ribatté lei.

«E allora chi..?»

«HAZEL LEVESQUE! VIENI QUI!»

Il cuore di Hazel ebbe un sobbalzo mentre Leo impallidiva.

«Questa voce...» mormorò la ragazza, impallidendo a sua volta. «Questa voce...»

Leo la guardò.

Quella voce era familiare.

Fin troppo familiare, nonostante non la sentisse da anni.

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Capitolo 60
*** 78. Il grande ritorno ***


Dopo il rientro frettoloso in cabina, Will fece una doccia veloce e si sedette sulla sua poltrona preferita del soggiorno, ignorando i pezzetti di imbottitura che uscivano dalle cuciture. Doveva decidersi a buttarla, ma ne era troppo affezionato. Quella poltrona era stata dei suoi fratelli maggiori, Lee Fletcher e Michael Yew, ex capocabina, entrambi morti. Quando Will si era ritrovato al loro posto, si era sempre aspettato di morire giovane, ma non era successo.

Will prese l'ultimo libro uscito mesi prima di Shadowhunters e lo aprì. Non aveva mai trovato il tempo per leggerlo, ma quel giorno ce l'avrebbe fatta. Finalmente poteva concludere una delle sue saghe preferite, poteva...

Will sollevò la testa appena sentì il grido provenire fuori dalla finestra. Chiuse il libro di scatto e si ritrovò in piedi, inclinando appena la testa. Con il suo udito, più fine rispetto a quello di altri semidei, forse per poter apprezzare a pieno la musica, capì subito che si trattava di una voce maschile, che aveva appena urlato il nome della sua migliore amica.

«Ma che diamine..?» borbottò, posando il libro sulla poltrona. Si affrettò ad uscire fuori dalla cabina, ignorando i fratelli che lo guardavano incuriositi, chiedendosi chi mai potesse chiamare la sua Hazel in quel modo.

«HAZEL LEVESQUE!»

Will sussultò mentre sentiva di nuovo quell'urlo e si appoggiò alla ringhiera della sua cabina. Rimase immobile, quasi senza respirare, nello scoprire a chi apparteneva quella voce. Una figura alta, malconcia, che lasciava impronte rosse ad ogni passo malfermo, camminava tra le cabine, avvicinandosi alla sua. Si trascinava dietro una borsa, e legata alla vita portava una spada.

«Per gli Inferi!» esclamò Nate, affiancando il fratello e fissando l'uomo che li superò senza dargli nemmeno un'occhiata. Si stava dirigendo alla 13, alla cabina di Hazel. «È Zhang!»

Will strabuzzò gli occhi e osservò meglio lo sconosciuto quando lo vide di fronte. In effetti, sotto gli strati di sangue e i lunghi capelli neri che gli nascondevano metà del volto destro, Will riconobbe i lineamenti orientali del figlio di Marte. Non lo vedeva da più di dieci anni, ormai, da quando aveva lasciato il Campo Mezzosangue con Hazel. Poche settimane prima di andarsene dalla vita della compagna.

Era cambiato molto, per questo non lo aveva riconosciuto subito. Era diventato più alto, più muscoloso, più terrificante...

Will lo seguì con lo sguardo, non più sorpreso, ma attento. Individuò diverse ferite alle braccia e al fianco destro, alcune sulla porzione del volto visibile e... Il figlio di Apollo strinse le mani sulla ringhiera d'oro della sua cabina per evitare di correre dal romano. Da quel che aveva visto, dell'orecchio sinistro non c'era rimasto più molto, solo un brandello di sangue, come se qualcuno lo avesse azzannato più volte sulla testa.

«HAZEL LEVESQUE, VIENI QUI!»

«Nate, avverti i nostri fratelli di riposo.» mormorò Will, affrettandosi a superare il fratello. «E di' a quelli di turno di tenersi pronti. Avremo un bel po' da fare, oggi.»

 

 

Leo spalancò la porta della cabina 13 prima che Hazel riuscisse a reagire. La mano libera prese fuoco non appena uscì sulla veranda e i suoi occhi scuri si mossero veloci sulla scena di fronte a loro. Individuò diversi semidei, tutti curiosi e spaventati al tempo stesso, tutti che fissavano la stessa figura che, dopo un altro paio di passi, si fermò ad una ventina di metri dalla cabina di Ade.

«HAZEL!» gridò la figura e Leo quasi prese del tutto fuoco nell'incrociare gli occhi a mandorla – l'occhio a mandorla, perché il destro nascosto dai capelli era chiuso e violaceo – di Frank Zhang. «HAZEL!»

La figlia di Plutone fece capolino alle spalle di Leo, che allungò il braccio per evitarle di proseguire, di vedere il suo ex ragazzo. Frank era pieno di sangue – Leo notò parecchie ferite, oltre i vestiti intrisi di sangue – e l'orecchio sinistro sembrava un burger masticato nella bocca del figlio. Due tagli ai lati della gola continuavano a sanguinare, come le ferite sulla gamba, e Leo notò la scia di impronte rosse che il figlio di Marte si era lasciato alle spalle. Indossava una tuta verde militare, ma così rovinata e intrisa di sangue che era diventata marrone.

«Hazel.»

Ora che l'aveva di fronte, il figlio di Marte aveva smesso di urlare. I suoi occhi ignorarono completamente Leo e sembrarono addolcirsi quando Hazel ricambiò il suo sguardo.

«Frank, stai indietro.» disse Leo, spegnendo la mano. Il vecchio amico ne aveva già passate tante, e forse una bruciatura non era il modo migliore per accoglierlo al Campo Mezzosangue. Fissò torvo il romano. «Non ti avvicinare ad Hazel.»

Frank rimase immobile a guardare la figlia di Plutone, che sembrava aver perso l'uso delle parole. Leo la sentiva rilasciare dei piccoli squittii sorpresi, come se le avessero calpestato la coda. Il figlio di Efesto inspirò profondamente, notando di essere l'unico adulto responsabile e pensante.

«Sei sparito per anni.» continuò Leo, agitando la mano in direzione del vecchio amico, e provò a calmarsi quando vide le scintille scappare via dalle sue dita. «Non puoi tornare qui e urlare il nome di Hazel come se... come se te ne fossi appena andato! Suvvia, un po' di contegno, Zhang!»

Frank lo ignorò, l'occhio fisso su Hazel. Leo la sentiva balbettare vicino a lui, e immaginò che gli stesse dando ragione. O che provasse a farlo star zitto.

«Figli di Apollo!» chiamò Leo, notando le numerose teste bionde che spuntavano dalla cabina 7. «E figli di Ares! Portatelo via!»

Nessuno si mosse, a parte Frank. La sua mano destra – Leo notò il grosso taglio sul palmo, che riprese a sanguinare proprio in quel momento, probabilmente per il movimento improvviso – si infilò nella tasca della tuta e ne estrasse qualcosa. Poi, mentre Leo sbarrava gli occhi per la sorpresa, il figlio di Marte si mise in ginocchio, quasi rischiando di cadere di faccia sui gradini.

«Hazel Levesque.» proruppe la voce profonda dell'uomo. «Vuoi sposarmi?»

Hazel sussultò a quelle parole e i piccoli balbettii che aveva provato ad emettere negli ultimi secondi si intensificarono. Leo tenne gli occhi fissi sull'anello, guardando lo scintillio del sole sulla pietra. Dal colore doveva essere un ametista. L'anello era incantevole, di fine argento, stupendo, ma l'atmosfera romantica perse il suo fascino quando si tinse di rosso.

«I-Io...»

Il balbettio di Hazel stava diventando più comprensibile e Leo si voltò a guardarla. Si trattenne dallo sgridarla solo perché vide il suo colorito pallido, e la moltitudine di emozioni diverse che le attraversarono il viso: sorpresa, paura, tristezza, gioia, spavento, rabbia, amore.

Ed era tutta una questione di amore, dopotutto.

«Hazel, non rispondere!»

La voce di Will superò i mormorii e le risatine dei semidei, e Leo spostò lo sguardo su di lui. Doveva immaginarsi che tra quelle decine di teste bionde della cabina di Apollo, una fosse la sua. Lo vide avvicinarsi a Frank, ancora in posizione con un ginocchio piantato nel suolo, scansando la pozza di sangue che lentamente si allargava sotto di lui. Aggrottò la fronte quando lo vide prendere la scatolina con l'anello di ametista dalle mani di Frank, e per un folle secondo pensò che Will avesse deciso di accettare al posto di Hazel.

«È svenuto.» spiegò Will, fissando per un attimo l'anello prima di farlo sparire nella tasca dei suoi pantaloncini. «Per questo non ti conviene rispondere, cara.»

Leo sospirò e prese Hazel per mano mentre questa sembrava tornare alla realtà.

«È svenuto?» ripeté Hazel, fissando Frank.

«Non è morto?» domandò Leo, ignorando l'occhiataccia di Will e il pugno sulla spalla di Hazel. Si trattenne a stento di accompagnare le sue parole da un gesto con la mano in direzione dell'enorme chiazza di sangue che si stava allargando sotto il romano.

«No, è svenuto. Penso si sia trascinato qui solo per... be'...» Will guardò Hazel con mezzo sorriso, poi si concentrò sul figlio di Marte. Gli portò le dita sotto il mento e annuì. «Confermo di nuovo: è svenuto. Fratelli, ho bisogno di una mano, qui!»

Will afferrò Frank sotto le ascelle mentre un paio dei suoi fratelli lo prendevano per i piedi. Tre figli di Ares corsero ad aiutarli e tutti insieme, trasportarono il romano in infermeria, accompagnati da altri figli del dio della guerra che allontanavano tutti i curiosi. La borsa di Frank era rimasta di fronte alla cabina di Ade, ma Grant si affrettò a prenderla e corse dietro ai fratelli.

«Per gli Dei!» squittì Hazel e Leo si voltò a guardarla spaventato. «Leo! Oddei!»

Leo fu sul punto di posarle una mano sulla spalla per tranquillizzarla, ma la figlia di Plutone provò a scappare alla sua presa.

«Devo andare da lui!» gli disse, cercando di liberarsi dalla sua mano. Sembrava impazzita.

«Haz, no!» Leo scosse la testa. «Hai visto in che stato si trova. Non puoi andare di là e... e assistere. E poi, non puoi distrarre Will!»

«Non sono io che distraggo Will!» sbuffò Hazel, infastidita. «Devo andare, devo vedere come sta, devo...»

«No!»

«È TORNATO PER ME!» urlò Hazel, e dal terreno ai suoi piedi cominciarono a spuntare delle grosse pietre viola. «LUI È TORNATO PER ME!»

«È messo malissimo!» urlò Leo a sua volta, cercando di essere ragionevole. «Non puoi andare...»

«Non hai mai assistito Will quando era messo peggio, vero?!»

Leo sobbalzò a quelle parole e alla voce carica di rabbia della figlia di Plutone. Pensò a Will, al modo in cui era stato ferito in passato dai figli di Ares, e anche solo il mese prima, per vendicarlo. La lasciò andare e per un attimo i due si fissarono negli occhi.

«Vengo con te.» si limitò a dire il figlio di Efesto e Hazel annuì. Questo poteva accettarlo.

 

 

«Per le mutande di Ade!» esclamò Helen, fissando Frank Zhang che veniva caricato su uno dei lettini dell'infermeria. «Cos'è successo qui?!»

«Non lo so, ma presumo un bel po' di cose.» borbottò Will, prima di voltarsi verso i figli di Ares. «Grazie per l'aiuto.» aggiunse. «Per favore, tenete fuori tutti i ficcanaso da qui. A parte...»

«Lo sappiamo, doc.» annuì uno dei figli di Ares, e Will riconobbe Ellie, la figlia di Ares che era stata colpita alle spalle da uno dei suoi fratelli durante la notte. Proprio quella notte in cui Leo si era ferito la mano in infermeria. «Non faremo entrare nessun altro.»

Will le sorrise, grato, e la guardò uscire. Lei e i fratelli presero le salviette che Helen offriva loro per ripulirsi dal sangue e Will decise di non chiedersi quanto ne avesse lui addosso.

Abbassò lo sguardo e si concentrò suo suo nuovo paziente. Nate aveva appena finito di tagliare via la maglietta del romano, e la gettò nel cestino lì vicino. Will si chiese tra sé da dove iniziare. C'erano così tanti tagli, così tanto sangue, e così tante domande...

«Nate, controlliamo gli organi interni.» disse Will, tendendo la mano destra al fratello. Posò la sinistra sul pettorale di Frank, sopra dei segni neri, che forse era un tatuaggio oppure del sangue raggrumato sull'ennesimo ferita. «Helen, porta tutto quello che abbiamo a disposizione, bende, disinfettante, altri cestini. Hailey, dimetti tutti i nostri pazienti che non hanno bisogno di stare qui.»

Nate afferrò la mano di Will mentre Grant entrava in infermeria, lasciando il borsone di Frank vicino ad uno dei letti occupati. Tirò le tende attorno a Will e gli posò una mano sulla spalla. Will chiuse gli occhi e cominciò l'incantesimo assieme ai due fratelli.

 

«Possono passare.» disse Ellie ai fratelli, liberando il passaggio occupato dalle lance quando Hazel e Leo si avvicinarono. «Non disturbate i dottori.»

Leo annuì ed Hazel entrò per prima, girando subito la testa a destra, dove riconobbe la voce di Will occupata con un incantesimo di guarigione. Non era sola, e ne fu felice. Will si riduceva sempre fino alla stanchezza quando faceva quel genere di cose da solo.

«Senza disturbare.» ripeté Leo a bassa voce, prendendo Hazel per mano. Lei annuì e si diressero verso le voci dei figli di Apollo. Leo scostò appena la tenda e strinse con più forza la mano di Hazel.

Ora che Frank era steso sul lettino, con il viso libero dai capelli, le ferite sul volto erano più visibili. L'occhio gonfio e nero, i tagli sulle guance, quelli sul collo, l'orecchio sinistro maciullato. Hazel si portò una mano alla bocca per evitare un singhiozzo e Leo, non riuscendo a sopportare la vista del vecchio amico, spostò lo sguardo su Will. Lui e i due fratelli erano circondati da una debole luce gialla, come se la loro pelle stesse rilasciando luce. Si mordicchiò il labbro guardando il suo figlio di Apollo e spostò di nuovo lo sguardo su Frank. Le ferite sul petto e l'addome erano brutte quanto quelle sul viso.

Chiuse gli occhi, cercando di tradurre le parole di Will. Aveva studiato greco a scuola, senza molto successo, ma l'aveva ripreso lì al Campo Mezzosangue. Tutti conoscevano quella lingua, sembravano tutti pronti ad insultarti in greco alla prima occasione, soprattutto i piccoli figli di Ares.

L'incantesimo di Will era di guarigione, ma era rivolto alla guarigione degli organi interni, non alle ferite esterne. Dal pallore di Nate, quello a lui più vicino, immaginò che il figlio di Marte ne avesse abbastanza anche di quelle. Leo si domandò cosa potesse essergli successo: uno scontro con un gruppo di mostri mentre si avvicinava al Campo Mezzosangue? Una guerra dell'ultimo minuto? Forse doveva controllare, doveva...

Il sospiro di Hazel gli fece aprire gli occhi. Guardò Will, Nate e Grant. Quest'ultimo stringeva così forte la spalla di Will da avere le nocche bianche della mano. Nate si muoveva appena, come se stesse per svenire. E Will... era fermo, solido come una roccia, con la pelle più chiara rispetto al solito ma senza cenni di cedimento. Sembrava infastidito, e un secondo dopo Leo capì il perché: Will lasciò la mano di Nate quasi con rabbia, e Nate voltò la testa di scattò, afferrando il cestino e vomitandoci dentro.

Leo storse il naso. Nate non aveva un bell'aspetto. Gli posò una mano sulla spalla e lo aiutò, cercando di non rigettare il tè di poco prima. Aiutò Nate ad alzarsi e ad allontanarsi da Frank, accompagnandolo su un lettino vuoto. Nate si stese, tenendo la mano sporca di sangue sul viso, rabbrividendo, e Leo si voltò verso Will. Forse doveva avvicinarsi a lui e a Grant, pronto ad aiutarli in caso di mancamento...

Ma nessuno dei due sembrava sul punto di lasciarsi andare. Grant tremava, in piedi dietro Will, e Leo si trattenne dallo spingerlo su una delle sedie. Doveva aver pensato che non era necessario sedersi, che avrebbero fatto tutto in un lampo.

In silenzio, Hazel si sedette al posto di Nate. I suoi occhi passarono in rassegna le ferite di Frank, poi si soffermò sulla mano di Will. Leo capì le sue intenzioni e la bloccò con un'occhiata: era meglio non infastidire un incantesimo di guarigione con i poteri di Plutone. Hazel sembrò capire e lo fulminò con lo sguardo, poi sorrise, un piccolo sorriso, una piccola vittoria. Leo ricambiò il sorriso, pensando che fosse un notevole passo avanti. Poco prima gli aveva urlato addosso, e ora gli sorrideva. Meglio così.

Leo tenne gli occhi puntati su Will, indeciso se arrivargli alle spalle e sostenerlo, come Grant. Forse doveva farlo, e infischiarsene delle occhiate che gli altri figli di Apollo gli avrebbero lanciato. Non erano loro l'attrazione principale in quel momento, ma Frank Zhang, partito in missione per conto di suo padre dieci anni prima, improvvisamente comparso al Campo Mezzosangue.

Leo si domandò di nuovo cosa fosse successo al figlio di Marte. Tutte quelle ferite... e tutti quei muscoli... doveva aver passato gli ultimi dieci anni in guerra, visto il suo stato. Ma quella zazzera corvina sulla sua testa lo faceva riflettere. I capelli lunghi per i soldati erano un intralcio. Però...

Le voci di Will e Grant si spensero e Leo sbatté le palpebre, guardando il suo ragazzo biondo. Era pallido, ma non quanto il fratello, che gli lasciò la spalla e camminò con passo incerto fino ad uno dei lettini.

«L'emorragia interna si è fermata.» mormorò Will, aprendo gli occhi e guardando il suo paziente. «Ora dobbiamo solo occuparci di...»

Si interruppe, sollevando lo sguardo su Hazel e Leo, che lo guardarono imbarazzati.

«Voi che ci fate qui?» borbottò Will, perplesso, poi scrollò le spalle. «Non c'è bisogno che rispondiate. Hailey, hai fatto uscire tutti i pazienti?»

«Sì!» La figlia di Apollo si avvicinò quasi correndo, fermandosi a pochi passi da Will e passandogli una bottiglietta di nettare. Poi si affrettò in direzione di Grant, aiutandolo a stendersi.

Will bevve un sorso di nettare, attese una manciata di secondi che facesse effetto e si alzò, posando la bottiglietta sul comodino.

«Ragazzi, mi serve che mi lasciate spazio.» disse Will, e Hazel scattò in piedi nel sentire quel tono così autoritario. «Potete rimanere vicino, ma indietreggiate ancora di qualche passo.»

Hazel e Leo obbedirono e rimasero in disparte mentre altri due fratelli di Will si avvicinavano al lettino. Leo continuò a fissare Will, sentendolo parlare di emorragie e infezioni, bloccate dall'incantesimo di guarigione di Apollo. Sembrava stremato, ma con la forza necessaria per continuare il suo lavoro. Lo guardò dare ordini, infilarsi i guanti e cominciare a tastare le numerose ferite di Frank sul viso, mentre i fratelli si occupavano delle ferite al petto. Helen si avvicinò a Frank e, senza tanti complimenti, gli sfilò la cintura. Assieme a Grant, che nel frattempo si era avvicinato, gli tolsero i pantaloni, scoprendo altre ferite e una porzione di pelle mancante sul polpaccio sinistro.

Hazel voltò la testa verso Leo, che la circondò con un braccio e la baciò sulla fronte.

«Vuoi uscire?» le chiese Leo, piano, mentre Hazel diceva: «Prendiamo una boccata d'aria?»

Si sorrisero, un sorriso appena accennato, e in silenzio, gettando un'ultima occhiata ai cinque figli di Apollo impegnati con Frank, uscirono dall'infermeria. Leo tenne d'occhio Will, ma il ragazzo non si voltò a guardarlo.

 

Will impiegò qualche minuto a rendersi conto che Hazel e Leo fossero usciti dall'infermeria. Quando si girò verso la porta, era ormai tardi per salutarli. Si voltò di nuovo verso Frank, cercando di scacciare la voglia di urlare e di svenire. Aveva dato fondo a tutta la sua magia guaritrice per salvare Frank, o almeno i suoi organi interni. A causa di tutte quelle ferite, un'infezione si era fatta largo nel figlio di Marte, e aveva impiegato più tempo e forza del previsto per eliminarla. Per fortuna Grant e Nate lo avevano aiutato, altrimenti...

Will scacciò dalla mente ogni pensiero. Non poteva permettersi di distrarsi. Non poteva distogliere la propria attenzione da Frank Zhang, il figlio di Marte, l'ex ragazzo della sua migliore amica, il romano che le aveva rubato il cuore e che non l'aveva più lasciata libera nell'ultimo decennio. Avrebbe fatto tutto il possibile per salvarlo. Avrebbe impiegato ogni energia, ogni cellula del suo corpo per evitare che Frank Zhang morisse. Non tanto per il soldato, ma per Hazel.

Se fosse successo qualcosa a Frank per colpa sua, come avrebbe potuto guardare la figlia di Plutone negli occhi? La ragazza non l'avrebbe mai perdonato. E Will non se la sarebbe presa, perché se lo meritava. Che genere di medico era, se non riusciva nemmeno a salvare il proprio paziente?

 

 

Fuori dall'infermeria, Hazel inspirò profondamente e Leo la prese per mano. L'avrebbe riportata alla cabina 13 e sarebbe rimasto con lei fino a sera, o fino al giorno seguente, se necessario. Avrebbe aspettato che Will, o qualcun altro, gli dicesse che Frank stava bene, che si era svegliato, che non c'era più rischio che morisse.

Dopotutto, i figli di Apollo erano eccezionali, soprattutto il suo Will Solace. Avrebbero guarito Frank. Il romano avrebbe avuto solamente delle brutte cicatrici in ricordo di quanto capitato.

Senza una parola, Leo accompagnò Hazel in cabina, notando distrattamente che sul terreno non c'erano più tracce di sangue. I figli di Ares continuavano a pattugliare la strada, fermando tutti coloro che provavano a fare più di due passi in direzione dell'infermeria. Leo incrociò lo sguardo di Clarisse Le Rue, che sollevò le sopracciglia, come a volergli chiedere come stesse Frank. Leo si strinse nelle spalle per il primo secondo, poi mimò con le labbra il nome di Will. Clarisse annuì, con un sorrisetto, e Leo si domandò se avesse capito. Perché lui, al suo posto, non avrebbe capito nulla.

«Vuoi un tè?» domandò Leo, non appena furono entrati nella cabina 13.

Hazel scosse la testa. «No.» mormorò, sedendosi sul divano. Leo le sedette affianco, notando il modo frenetico in cui muoveva le mani, desiderando poter fare qualcosa per tranquillizzarla.

«Leo, si risveglierà?» domandò Hazel, tenendo lo sguardo basso.

«Non sono un medico.» disse Leo. «Però... sì, si risveglierà.»

«Ne sei così certo?»

«Va bene che è messo male, che ha tagli e ferite ovunque, ma... i figli di Apollo, Will... sanno cosa devono fare.»

Hazel si strinse nelle spalle.

«Non hai fiducia nelle loro capacità guaritrici?» chiese Leo, confuso.

«Ho fiducia in loro.» annuì la figlia di Plutone, guardandolo. «Li conosco tutti, i figli di Apollo. Sono brave persone e sono brave in quello che fanno. Ma il problema non sono loro. Frank... è così messo male. E se... se dovesse succedergli qualcosa...»

Leo le prese la mano. «Ci penserà Will.» le disse, chiedendosi se quel sentimento che gli riempiva il cuore fosse amore o l'estrema fiducia che provava nei confronti del dottore. «Will è bravo, è esperto, sa usare alla perfezione le sue arti guaritrici, senza contare che è anche un ottimo dottore per gli umani. Sistemerà Frank in un batter d'occhio. Tu... io rimarrò con te, finché mi vorrai.»

Hazel gli appoggiò la guancia sulla spalla. «So che Will è bravo.» sussurrò, e Leo abbassò lo sguardo su di lei. «Ma se non dovesse farcela, se non dovesse riuscire a guarirlo... Non sono sicura che si riprenderà.»

Leo la strinse con un braccio, senza sapere cosa ribattere. Era vero, Will si sarebbe preso tutta la colpa per quanto successo. Niente e nessuno avrebbe potuto tirarlo su dal baratro che l'avrebbe afferrato se Frank...

Leo chiuse gli occhi e, per la prima volta dopo tanto tempo, si ritrovò a pregare gli dei.

Fate in modo che Will salvi Frank, si ritrovò a pensare. Per favore, fate in modo che Frank si salvi.

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Capitolo 61
*** 79. Quarantena ***


Calipso lanciò un'occhiata ad Hazel, seduta sul divano di casa sua, che guardava un film insieme a James. Si mordicchiò il labbro, non sapendo se allontanare il figlio dall'amica o lasciarli stare. Si voltò verso Leo, per avere un opinione, ma Leo stava guardando fuori dalla finestra. Il suo sguardo distratto gli fece capire che stava pensando a Frank. Ormai nessuno pensava ad altro.

«Leo.» mormorò Calipso, posandogli una mano sul braccio. Il figlio di Efesto si voltò a guardarla, mettendola a fuoco quasi con fatica.

«Sì, Cal?» mormorò Leo a sua volta, riprendendosi dai suoi pensieri. Non aveva notizie di Will ormai da cinque giorni, dall'arrivo di Frank. Sapeva che Will non era ancora uscito dall'infermeria da allora, ma il pensiero di non averlo visto, di non aver sentito la sua voce per così tanto tempo, lo faceva soffrire.

«È saggio che Hazel e James stiano insieme?»

Leo guardò la futura moglie, poi spostò lo sguardo sul figlio e su Hazel. Stavano guardando un film Marvel, Thor. Era la terza volta che lo guardavano in quei giorni. James adorava Thor, e ad Hazel piacevano i film con i supereroi. Erano una coppia perfetta.

«Hazel non sta piangendo.» le fece notare Leo. «Non ha scatti di rabbia. Può stare con James.»

«Lo so, è che...» Calipso guardò di nuovo in direzione di Hazel e Leo percepì la barriera attorno a loro. Non si era accorto che la maga l'avesse fatta apparire, e si rilassò. Almeno così non c'era il rischio che la figlia di Plutone potesse sentirli.

«Che..?» la incalzò Leo.

«Non dovrebbe averli?» Calipso guardò Leo. «Non dovrebbe piangere? Non dovrebbe essere disperata?»

«Ognuno risponde al dolore a modo suo.» disse Leo. «E poi... Frank non è morto.»

«Da come me l'hai descritto... forse era meglio.»

Leo le scoccò un'occhiataccia, ma Calipso si era già voltata. La guardò, chiedendosi come potesse dire una cosa del genere, ma si trattenne. Conosceva Will, conosceva i figli di Apollo. Sapeva di cosa erano capaci, pur di salvare un paziente. E cos'erano disposti a sacrificare pur di farlo.

Leo ripensò a quando Calipso, anni prima, era stata ricoverata da Will per ripulirsi. Will aveva sacrificato lui e il sonno pur di guarirla, e alla fine ci era riuscito. Calipso era pulita solo grazie a Will.

«Se una persona è ancora viva, sebbene in condizioni pietose, si deve far di tutto per salvarla.» disse Leo, piano, e Calipso si voltò a guardarlo, dubbiosa.

«È vero.» gli disse. «Però... sono passati cinque giorni, Leo. Non ti sembra... troppo?»

Leo si strinse nelle spalle, guardando il foglio di carta. Si era messo a scrivere dei nomi sul foglio, per il figlio di Nina e Butch. Da una parte quelli da femminuccia, dall'altra quelli maschili. Nina voleva chiamarlo Charles, per il loro fratello ormai scomparso da tanto tempo, ma Butch era contrario. Era superstizioso, a riguardo. Però era d'accordo sul metterlo come secondo nome.

«Non lo so.» ammise Leo. «Le guarigioni richiedono tempo. I figli di Apollo...»

«I figli di Apollo non fanno altro che occuparsi di lui.» gli fece notare Calipso.

«Già...»

Leo si passò una mano tra i capelli, non sapendo cosa pensare. Forse sì, i figli di Apollo ci stavano impiegando troppo tempo a guarire Frank, o forse era il figlio di Marte che impiegava troppo tempo a svegliarsi.

«E poi, non si vedono più figli di Apollo in giro.» continuò Calipso. «Né ai corsi artistici, né in mensa, né in spiaggia.»

Né nel bunker 9, pensò Leo, sospirando.

«Sono... sono tutti in infermeria.» disse Calipso, guardandolo preoccupata. «Pure Bryan, che ha otto anni.»

Leo annuì appena. Quando James era andato a chiamare Bryan per giocare, era tornato a casa piuttosto mogio dicendo che Bryan era in infermeria. I genitori si erano preoccupati, pensando che gli fosse successo qualcosa, ma James li aveva rassicurati dicendo che l'amico stava bene. Era in infermeria per aiutare i fratelli, nient'altro.

«Hanno anche chiuso la fucina, l'arena di combattimento, il muro d'arrampicata.» aggiunse Calipso, e Leo si trattenne a stento dallo sbattere il pugno sul tavolo. Cosa serviva ripetere quello che già sapeva?

I figli di Ares, sotto ordine di Will e Clarisse, avevano obbligato i figli di Efesto a chiudere la fucina fino a quando Frank non fosse stato dimesso. Volevano evitare il sopraggiungere di altri pazienti in infermeria, e secondo Leo era giusto così. Ricordò quasi divertito Nina e Jared intenti ad urlare ai figli di Ares, obbligandoli a fare lo stesso con l'Arena. Dopotutto, i figli di Ares finivano ricoverati quanto i figli di Ermes. Dieci minuti dopo, anche l'Arena era stata chiusa e tutti rispediti in cabina.

Leo non era appesantito dal riposo forzato. Anzi, ne era contento. Ormai non faceva altro che pensare a Frank e a Will, e se avesse passato del tempo in fucina, senz'altro si sarebbe fatto male, distratto com'era.

I figli di Ares non facevano altro che allenarsi in spiaggia singolarmente, controllando che nessuno decidesse di affogare in piscina. Quando Leo aveva portato James in spiaggia il giorno prima, il figlio, dopo aver visto un gruppetto di progenie di Ares urlare in faccia a dei ragazzini perché si tuffavano dagli scogli senza supervisione, aveva ripreso le sue cose e l'aveva costretto a tornare a casa dicendo che, dopotutto, il divano non era poi così male.

Leo sospirò. Ormai non facevano altro che stare in casa, uscivano raramente per andare in mensa. Solo Calipso lavorava, e Leo si era ritrovato ad essere geloso di lei, del tempo che trascorreva fuori casa. Si era anche rifiutato di fare l'amore con lei la sera prima, per questo motivo... ma Calipso era riuscita a convincerlo.

In quel periodo in casa, però, Leo aveva provato a capire i suoi sentimenti, a districare i fili nel cuore che mescolavano Will e Calipso. Gli mancava Will, la sua voce, il suo corpo caldo. Ma apprezzava ogni giorno di più la futura moglie. Calipso era lì, accanto a lui, disposta a parlare, a farlo ridere, a giocare. Avevano recuperato tutti i giochi da tavolo e avevano fatto un paio di partite con ciascuno di loro, prima di rimetterli via. James impazziva per i giochi da tavolo, e dava il peggio di sé con il padre, entrambi piuttosto competitivi.

Calipso non si era minimamente arrabbiata quando, il giorno del ritorno di Frank, Leo aveva portato Hazel a stare da loro, per non lasciarla sola. Si era subito mossa per prepararle la cena, e le aveva preparato le lenzuola per il divano letto. Le aveva anche proposto di dormire nel loro letto, e loro sul divano, ma Hazel si era rifiutata. Non le era sembrato il caso di spedire i padroni di casa sul divano.

«Volendo, potremmo dormire tutti e tre insieme.» aveva scherzato Leo, passando per porco sia da parte dell'amica che della futura moglie.

Svegliandosi al mattino, Leo aveva trovato molte volte Calipso e Hazel che parlavano ridendo in cucina, con una tazza di tè in mano. Leo era contento che stessero stringendo amicizia, sebbene le occhiate di fuoco che gli lanciava Hazel lo atterrivano. Immaginò che per la figlia di Plutone fosse uno sforzo immenso non raccontare la verità di Leo e Will a Calipso, così buona nei suoi confronti da farla sentire a disagio. Ma Hazel teneva la bocca chiusa, e Leo non sapeva come ringraziarla.

Più tempo passava lontano da Will, più i suoi sentimenti per Calipso si rafforzavano. Leo non riusciva a spiegarselo. Pensava tanto a Will, soprattutto alla sua salute, ma spesso i suoi pensieri venivano interrotti e invasi da Calipso, dalla sua voce, dal suo sorriso, dal suo profumo di cannella che ormai invadeva le sue narici giorno dopo giorno. Trascorrevano tutte le notti insieme, parlando del matrimonio, parlando del loro futuro. Quando Calipso aveva affrontato l'argomento di avere altri figli, Leo si era sentito al settimo cielo. Aveva sempre pensato che Calipso non ne voleva, e invece aveva scoperto di avere torto. Ne era rimasto così felice che avevano deciso di fare le prove in quel momento.

Leo chiuse gli occhi. Cinque giorni. In cinque giorni aveva ritrovato la gioia di stare con Calipso. Era immortale, quindi avrebbe vissuto per secoli, con lei. Con Will... c'era davvero così tanto futuro, con lui?

 

I pensieri di Leo, di nuovo confusi, si interruppero nel sentire i colpi sulla porta. Sollevò lo sguardo su Calipso, che fece cadere la barriera dalla sorpresa. Non vedevano nessuno da giorni, a parte quelle poche persone che intravedevano in mensa quando decidevano di fare una passeggiata.

Hazel mise in pausa il film, guardando in direzione di Leo. Incrociò il suo sguardo, e vide la paura nei suoi occhi. Era forse un figlio di Ares che comunicava loro... di Frank? Una notizia buona? Una cattiva? Leo non seppe cosa sperare.

Si alzò in piedi. Essendo l'unico uomo, pensò di dover essere lui ad aprire la porta di casa e ascoltare la notizia per primo. Sperò di rimanere impassibile, e di non scoppiare – in lacrime o di gioia – di fronte al portatore di notizie.

Leo aprì la porta, trattenendo il fiato. Si aspettava di incrociare degli occhi scuri, e invece ne incrociò un paio azzurri, circondati da lentiggini e ciocche bionde che quasi li ricoprivano.

«Ciao, signor Valdez.» salutò Bryan. «C'è James?»

 

Leo fissò Bryan in silenzio, ritrovandosi ad annuire. Bryan entrò in casa, guardando con curiosità Calipso che lo fissava a bocca aperta. James, sentendo la voce dell'amico, era già sceso dal divano e stava sfrecciando verso di lui, urlando di gioia. Leo li guardò mentre si abbracciavano e cominciavano a saltellare.

«Sei da solo, Bryan?» domandò Leo, lanciando un'occhiata fuori dalla porta. Non vedeva nessuno, ma era sempre meglio chiedere.

«Sì.» annuì Bryan, sciogliendo per un attimo l'abbraccio di James, che subito lo ristrinse. «Julie mi ha lasciato allo sbocco della foresta, ha detto che potevo farcela da solo.»

Leo aggrottò la fronte e chiuse la porta. D'accordo che non c'erano pericoli, ma lasciare il bambino così... Immaginò che Julie, figlia di Apollo, sorella minore di Hailey, senza alcuna particolare ambizione nella medicina, non volesse parlare con nessuno, e le concesse un punto. Se fosse tornata più tardi a prendere il bambino, l'avrebbe riempita di domande.

«Andiamo a giocare in camera mia?» chiese James, sciogliendo l'abbraccio e guardando l'amico con un sorriso così grande che Leo ebbe paura che potesse avere una paralisi.

«Sì...» disse Bryan.

«NO!» gridarono Leo, Calipso e Hazel nello stesso momento, facendo sobbalzare i due bambini che guardarono gli adulti spaventati.

«Bryan, scusaci.» mormorò Hazel, imbarazzata.

«Sai qualcosa di... di Frank?» domandò Leo, portandosi la mano tra i capelli.

«Com'è la situazione in infermeria?» aggiunse Calipso.

Bryan li guardò per un attimo, poi si voltò verso Hazel. «Frank non è ancora fuori pericolo, secondo Will.» le disse. «Will ti saluta, e ti dice che sta facendo il possibile.»

«Lo so.» annuì Hazel, con un sospiro. «Ma si riposa?»

Bryan arrossì. «Ehm...»

«Com'è la situazione in infermeria?» domandò Leo, occhieggiando Bryan. Il suo modo di arrossire non gli era piaciuto. «Tu eri lì?»

«Ho aiutato Will e Grant.» annuì Bryan, giocherellando con le dita. Aveva un aspetto riposato, quasi rilassato. «Ehm... Frank non sta né peggiorando né migliorando. Certo, oddei, Will gli ha sistemato l'orecchio e il polpaccio, Helen gli ha fatto guarire le ferite in faccia e Hailey gli ha tagliato i capelli, quindi è migliorato rispetto a prima. Non perde più sangue. Non ha più... infezioni... nel sangue...»

Bryan socchiuse gli occhi, cercando di ricordare la valanga di frasi che i fratelli gli avevano detto prima di uscire dall'infermeria.

«Okay.» Bryan si sedette sul divano, mentre gli altri gli si avvicinavano. «Non perde più sangue, il che è un passo avanti, per Nate. Aveva un sacco di capelli, ma Hailey ha tagliato tutto per controllare che non avesse ferite in testa. E in effetti aveva un brutto taglio infetto sotto i capelli, che schifo... Il braccio sinistro era anche rotto, ma Will lo ha aggiustato. Sta prendendo il nettare ogni sei ore, ma ancora non si sveglia. Secondo Will, è esausto, e sta solo dormendo a causa degli antibiotici e delle medicine che gli hanno dato. E... basta, credo.»

Bryan guardò gli adulti, che nel mentre si stavano guardando tra loro. Sapere che era migliorato, che aveva smesso di sanguinare, per Hazel era più che sufficiente. Fu tentata di salire di corsa al piano di sopra e prepararsi per uscire, per andare a trovarlo, ma il bambino la frenò.

«Non può ricevere visite.» aggiunse. «Will non vuole che nessuno entri. Teme che, ehm, una delle infezioni possa essere contagiosa. Lui e gli altri sono stati un po' male, in questi giorni.»

«Non sono stati male per aver usato troppo potere di guarigione?» chiese Calipso, guardando il ragazzino.

«Will pensa anche questo, ma non vuole escludere niente. Noi figli di Apollo siamo più resistenti alle infezioni rispetto agli altri, a parer suo.»

Leo sbuffò, seguito da Hazel.

«Tipico di Will.» borbottò lei, e Leo la ringraziò mentalmente per avergli rubato le parole di bocca. Stava per dirlo lui.

«Toccando Frank e il sangue infetto, per Will siamo andati incontro ad una piccola, ehm, epidemia, ma visto che in infermeria non c'era nessun altro, siamo riusciti a contenerla.»

«Epidemia zombie?» si incuriosì James.

«Purtroppo no.» disse Bryan, schioccando le labbra scontento.

«Non c'era nessun altro paziente?» chiese Calipso, ignorandoli.

«Nessuno. Helen ha rispedito tutti a casa. E tutte le ferite piccole, quelle non da operarsi diciamo, sono state controllate dai figli di Ecate, insieme a Kenny e me.»

«Hai fatto il medico?» chiese James, guardandolo ammirato.

Bryan si strinse nelle spalle, imbarazzato. «Ho fatto qualcosina.» ammise, guardandosi i palmi delle mani. «Ma non sono bravo quanto Will e Grant. Loro... wow, sono incredibili! Voglio diventare come loro, da grandi.»

James sorrise e Bryan ripensò a quello che aveva fatto negli ultimi giorni. «Ho sistemato delle dita rotte, ho riparato un naso, ho ricucito una ferita alla mano... e ho usato la magia per rimediare ad un raffreddore!»

«Che forte!» esclamò James, e i suoi occhi scintillanti, quanto quelli di Bryan, misero il padre in allerta.

«James, ti vieto in ogni modo di farti del male per farti curare dal tuo amico.» disse Leo in fretta, mentre Calipso sbarrava gli occhi di fronte a quella possibilità.

«Oh. Va bene.» sospirò James, e Bryan sogghignò.

«Will come sta?» chiese Hazel, mettendosi a braccia conserte e osservando il biondino. «Sta bene? Si riposa?»

Bryan lanciò un'occhiata allo schermo della tv. Riconobbe la scena del film, ma tornò a guardare Hazel. «Will e i miei altri fratelli hanno usato tutta la loro magia per guarire Frank, e un po' a turno sono stati male. Will è svenuto per mezza giornata, tre giorni fa. Grant per tutto il giorno. Hailey per due giorni. E Nate, che ha toccato il sangue infetto ed è svenuto, è stato male per tre giorni, per questo Will ha iniziato a pensare che potesse esserci un problema con il sangue di Frank. Ma ora sta bene. Sia Nate che Frank, intendo.»

«E tu?» chiese James, guardando Bryan. «Tu sei stato male?»

«Un po', all'inizio.» ammise Bryan. «Ma poi è passata. Will mi è stato vicino, quando stavo male. Oggi mi ha detto che potevo andare via, e sono venuto qui con Julie.»

James annuì, poi sollevò lo sguardo sugli adulti. «Possiamo andare a giocare adesso?»

Leo annuì, sebbene volesse continuare a chiedergli di Will. Sapere che era svenuto per mezza giornata non lo rendeva proprio contento. E si sorprese, quando scoprì di essere preoccupato anche per gli altri figli di Apollo.

Bryan scese dal divano, e abbracciò Hazel, che ricambiò, stupita.

«Da parte di Will.» spiegò, arrossendo, poi sfrecciò fuori dalla stanza seguito da James.

Hazel sorrise, divertita, e guardò il corridoio. Leo sentì i bambini salire le scale e chiudere la porta della stanza di James.

«Credo proprio che Bryan si fermerà qui per la notte.» disse Calipso, sorridendo.

«Lo penso anch'io.» annuì Leo.

«Se è un problema, posso andarmene.» disse Hazel, mesta.

«No, non è un problema.» la tranquillizzò Calipso. «Gli ospiti sono più che accetti. Mi aiuti a preparare il pranzo?»

«Certo.»

«Mando un messaggio a Will, per dirgli che Bryan resterà qui.» disse Leo, prendendo il cellulare. Le due donne annuirono e Leo si lasciò cadere sul divano, spegnendo la televisione. Guardò la chat vuota di Will e sospirò. Con il rischio che Calipso gli prendesse il cellulare, aveva eliminato la chat con il figlio di Apollo, per evitare che Calipso potesse leggere qualcosa di inopportuno. Gli scrisse un semplice messaggio, ovvero che Bryan avrebbe dormito da loro, e sperò che Will lo leggesse in fretta. In effetti Will lo lesse un secondo dopo e Leo aggrottò la fronte, domandandosi cosa stesse facendo in infermeria per rispondergli subito. Forse era un momento di pausa, o forse stava scrivendo a Julie per chiederle di Bryan. Will gli rispose con un semplice okay, e Leo mise via il cellulare, pensieroso.

 

 

Will rispose a Leo e tornò a controllare i messaggi di Connor. Il figlio di Ermes sembrava piuttosto arrabbiato nei suoi confronti, e Will scoprì che non gliene importava nulla.

Era stanco, esausto come non si era mai sentito prima. La magia di Apollo sembrava aver abbandonato il suo corpo, e ormai si teneva in piedi solo grazie al nettare e all'ambrosia. Non mangiava altro da giorni, da quando Frank era finito in infermeria.

Will si passò la mano sul viso e infilò il cellulare in tasca, ignorando l'ennesimo messaggio di Connor. Non sembrava capire quanto fossero snervanti i suoi lamenti, quanto lo infastidisse il fatto che il figlio di Ermes non capiva che quello era il suo lavoro, non un hobby. Non stava giocando a bowling con gli amici, stava controllando dei pazienti. E cercava di tenere un infezione contagiosa al sicuro.

Be', ormai l'infezione era passata. Nel sangue di Frank non c'erano più tracce e Will aveva passato i giorni successivi a controllare il romano, sé stesso e i propri fratelli. Nate era quello messo peggio, agli inizi: aveva toccato il sangue di Frank e poi, anziché pulirsi le mani, era svenuto sul lettino, lasciando che l'infezione gli entrasse in circolo da un piccolo taglio sul palmo della mano. Per fortuna Will era stato tempestivo con i suoi incantesimi e, fuori dall'infermeria, Raul Aviles aveva eliminato le tracce di sangue lasciate da Frank. Will era certo che l'avesse fatto per Hazel, ma aveva comunque intenzione di ringraziarlo il prima possibile. Eliminando il sangue a colpi di magia, aveva evitato che l'infezione si espandesse e contagiasse tutto il Campo.

Oltre Raul, anche i figli di Ares avevano contribuito al mantenimento dell'epidemia. Aveva chiesto ad Ellie di eliminare il sangue per strada, scoprendo poi che se n'era già occupato Raul. Allora, concordando con Clarisse, le aveva chiesto di far chiudere la fucina, per evitare che i figli di Efesto creassero marchingegni che potessero ferire altri semidei. Quando Ellie era tornata per dirgli che un paio di figli di Efesto avevano fatto storie per la fucina, Will disse loro di chiudere anche l'Arena. L'Arena era quasi più preoccupante rispetto la fucina, in effetti.

Era andato tutto bene. L'infezione non era uscita dall'infermeria, al Campo stavano tutti bene. Lì in infermeria la faccenda era tutt'altra, ma gestibile. Si era ammalato solo Nate. Hailey aveva vomitato un po', ma solo a causa della magia utilizzata per guarire Frank. E per tutto il pus giallastro e maleodorante che aveva trovato sulla testa del romano.

Will sospirò, guardando l'infermeria. Era seduto sulla sedia vicino a Frank, con le gambe stese sotto al lettino. Frank dormiva di fronte a lui, il respiro calmo e regolare. I primi giorni lo aveva visto agitato, forse a causa dell'infezione che lentamente veniva eliminata dal suo corpo. Quando gli aveva sistemato l'orecchio, con Grant che gli tagliava la barba, Frank si era svegliato per una manciata di secondi, colpendo Grant in pieno viso, con un ruggito che aveva fatto piangere Helen dallo spavento. Per fortuna Hailey aveva agito più velocemente di lui: aveva afferrato una siringa piena di calmante e gliel'aveva conficcata nel collo, prendendo spunto da chissà quale film. Will, in piedi con in mano l'occorrente per ricucirgli l'orecchio, sorpreso per ciò che era successo così all'improvviso, non le aveva detto nulla. Frank non si era più svegliato da allora, sottolineando che forse la dose di calmante era stata un po' eccessiva.

Will pensò a Grant, all'occhio nero e al naso rotto che il romano gli aveva procurato con un singolo pugno. Kenny si era occupato subito di lui, mentre Bryan aveva guarito il raffreddore di una figlia di Demetra senza farsi dire cosa fare. Will si era trovato così orgoglioso di lui e della sua vena medica, sperando che decidesse di intraprendere la sua stessa strada da grande, sebbene fosse un musicista e un arciere di talento. L'aveva spedito in cabina una volta accertato che il ragazzino stesse bene, e non si era affatto sorpreso nel ricevere il messaggio di Leo. Doveva aver convinto Julie o un altro dei loro fratelli a farsi accompagnare dai Valdez.

La suoneria del cellulare gli fece abbassare lo sguardo. Connor gli aveva scritto un altro messaggio. Will chiuse gli occhi, sperando che quel fastidioso mal di testa passasse. Sapeva che Connor era testardo, ma la sua dolcezza certe volte copriva questo lato di lui. Spense il cellulare, posandolo sul comodino e si portò la mano sulla fronte. Forse doveva bere un altro po' di nettare, o fare un pisolino. O uscire, mettere la testa fuori dalla finestra del suo ufficio e prendere una boccata d'aria. Quando quella quarantena si sarebbe conclusa – anche se sperava fosse soltanto una settimana, massimo dieci giorni – avrebbe passato giorni sulla spiaggia, a prendere il sole e a respirare l'aria dell'oceano. Avrebbe giocato a pallavolo con i suoi fratelli, avrebbe tirato con l'arco con Bryan e avrebbe fatto una gara di nuoto. E nessuno gli avrebbe tolto la possibilità di bersi un'intera cassa di birra.

«Dove... sono?»

La voce lo riscosse dai suoi pensieri. Will tirò via subito le gambe da sotto al letto, sperando di non essere sobbalzato al tono roco della voce. Guardò Frank Zhang, con gli occhi a mandorla spalancati e storditi per il troppo sonno. Osservando il suo viso, e la cicatrice che proprio non erano riusciti ad eliminare dalla sua guancia, pensò ad Hazel. Poteva mandarle un messaggio, per dirgli che il suo romano preferito era sveglio, ma era troppo stanco per allungare di nuovo il braccio verso il comodino. Senza contare che, dallo sguardo del figlio di Marte, si capiva benissimo che presto avrebbe schiacciato un altro lungo pisolino.

«Sei in infermeria.» disse Will, avvicinandosi appena con la sedia.

«Infermeria... romana?»

Will scosse la testa. «Sei al Campo Mezzosangue.» spiegò.

Frank disse qualcosa in latino che, ad intuito, non era nulla di buono. Will abbozzò un sorriso, pensando che alla fine i romani non erano poi così diversi da loro greci. Si alzò in piedi, ignorando il tremolio e il dolore alle gambe, e prese un bicchiere d'acqua. Si avvicinò al figlio di Marte, che guardò l'acqua come se fosse la cosa più bella del mondo.

Will lo aiutò a bere, asciugando le gocce scappate sul mento. Nessuno si era più proposto di tagliargli la barba, per evitare cazzotti, e Will non aveva insistito. Frank Zhang con la barba era decisamente più carino, più virile.

«Come sono arrivato qui?» domandò Frank, sollevando gli occhi su di lui.

Will sorrise stanco, posando il bicchiere sul comodino. «Speravo potessi dirmelo tu.» disse e, con la coda dell'occhio, vide Grant ed Helen avvicinarsi titubanti.

«Io... non lo so.» mormorò Frank, socchiudendo gli occhi scuri. «Io... stavo combattendo, stavo...» Strinse le mani a pugno. «Non ricordo nulla, solo...»

Will rimase in silenzio mentre i fratelli lo raggiungevano. Dovevano essersi incuriositi nel sentirlo parlare con il romano che dormiva da giorni. Grant si teneva a debita distanza, con una mano sul viso, all'altezza dell'occhio nero. Helen fissava Frank come se il figlio di Marte fosse sul punto di saltare giù dal letto e picchiarli. Hailey non si vedeva da nessuna parte, ma Will ebbe il forte sospetto che stesse dormendo sul suo letto insieme a Nate e Kenny. I tre erano stati fin troppo silenziosi nelle ultime ore.

«Hazel.» La voce di Frank tornò, più forte di prima. I suoi occhi scuri sembravano mandare lampi quando incrociò quelli azzurri di Will. «Hazel è qui? Io... devo vederla.»

«È qui.» disse Will, annuendo appena, spostando appena la sedia all'indietro. Sapeva che la frase che stava per dire gli avrebbe provocato un occhio nero, ma non poteva fare nient'altro che aprire bocca. «Non puoi vederla.»

La rabbia fece capolino negli occhi del romano, e Will sentì Helen indietreggiare. «Perché no?»

Will osservò Frank. «Non stai ancora abbastanza bene per mostrarti di fronte a lei.» spiegò.

«Sto benissimo!»

«Questo lo dici tu.» sbottò Will, e pure Grant si allontanò da lui. «Ma io sono il tuo medico, e dico tutt'altro. Forse voi romani siete abituati ad altro, ma nella mia infermeria si fa così. Quando dirò che sarai pronto per vedere Hazel, allora la manderò a chiamare. Non sei pronto. Sei ancora debole.»

Frank sembrava sul punto di saltargli addosso e Will fu tentato di indietreggiare come i fratelli. Ma era troppo stanco, troppo esausto, e le gambe non rispondevano al suo bisogno di alzarsi in fretta. Se si fosse alzato, sarebbe caduto dritto sui pugni del figlio di Marte.

«Hai portato un'infezione, con te.» aggiunse Will, e lo sguardo dell'uomo nel lettino sembrò cambiare. «Nulla di grave, eh. Ti abbiamo aiutato ad eliminarla con la nostra magia guaritrice, ma è possibile che ne sia rimasta ancora traccia in qualcuno di noi. Quando sarà passata l'emergenza, e tu sarai in forma, allora chiamerò Hazel. Te lo prometto.»

Frank continuò a fissarlo e Will ricambiò il suo sguardo senza demordere. Aveva così tante domande da porgergli – chiedergli dove avesse preso quel bellissimo anello con l'ametista incastonato era la prima – ma sapeva che non era lui a doverlo fare. Doveva aspettare Hazel. Avrebbe ascoltato tutto da dietro la tenda, ovviamente, ma avrebbe lasciato a lei il compito di riempire l'ex fidanzato di domande e di riempire a parole quel tempo di dieci anni che era trascorso da quando era partito in missione per il padre divino.

«Mh.» fu la risposta del figlio di Marte, prima di voltarsi sul fianco. Will rilasciò l'aria che aveva trattenuto negli ultimi minuti e guardò i fratelli.

«Portami una pozione per dormire senza sogni.» disse.

«Non ne ho bisogno.» grugnì Frank, con la voce già impastata.

«Non è per te.» sbuffò Will.

Grant si affrettò a prenderla mentre Helen aiutava il fratello maggiore ad alzarsi. Frank si era svegliato, aveva parlato, aveva alzato la voce. Stava bene. Poteva riposarsi, concedersi un sonnellino come non si concedeva da giorni.

«Quanto dovremmo stare in quarantena?» domandò Helen, accompagnandolo nella sua camera.

«Penso... sette, dieci giorni.» borbottò Will. «Chi c'è nel mio letto?»

«Non preoccuparti, butto giù Hailey.» disse Grant, precedendoli nella stanza. Will si lasciò scappare un sorrisetto nel sentire il grido di Hailey.

«Stai dormendo da cinque ore, sorellina!» esclamò Grant, tenendola stretta a sé. «Ora darai il cambio a Will!»

«Ma... ma non voglio!» piagnucolò la ragazza. Will la guardò, pensando che se non fosse stato così stanco si sarebbe fatto prendere dal senso di colpa e l'avrebbe lasciata dormire. Helen lo accompagnò fino al letto e Will si stese, prendendo la pozione che Grant gli tese. La bevve tutta in un sorso, trovandola dolce e calda al tempo stesso.

«Non fate entrare o uscire nessuno.» li avvisò Will, spingendo Kenny in mezzo per sistemarsi meglio. «Controllate Nate e Frank, fate altre analisi del sangue.»

«D'accordo.» annuì Grant. «Ora dormi. E stai zitto.»

Will abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi. La pozione avrebbe fatto effetto nel giro di qualche minuto, e cercò di districare un po' i pensieri che aveva nella testa.

Non vedeva Hazel da giorni, da prima dell'arrivo di Frank. Si era promesso di raccontarle tutto di lui e Leo, ma non c'era riuscito. Il romano aveva distrutto i suoi piani, e forse era un bene. Hazel lo avrebbe di certo picchiato nello scoprire quanto accaduto tra lui e Leo, e non avrebbe sopportato né le sue parole, né le sue botte. Ora che Frank era tornato, i pensieri di Hazel non si sarebbero più focalizzati su di lui. E forse il figlio di Marte gli aveva salvato la vita.

Connor. Cielo, fino a qualche giorno prima pensava di poter continuare a frequentarlo, di mostrarsi con lui in giro per il Campo. Aveva pensato di potersi innamorare di lui, sebbene un amore leggero, e mai pieno come meritava. In quella situazione difficile, Connor non accettava l'idea che Will se ne stesse tutto il giorno e tutta la notte in infermeria, nonostante il figlio di Apollo gli avesse parlato dell'infezione e del rischio in cui si sarebbero imbattuti se l'epidemia si fosse estesa al Campo. Senza contare che avrebbero contagiato pure il raccolto di fragole, e trasportato la malattia in città, dove avrebbero venduto le fragole ai cittadini normali, ai babbani, i non semidei. Forse era una semplice infezione, qualcosa che gli umani avrebbero capito meglio di lui, ma Will non intendeva rischiare. Ed era certo che Chirone, che non aveva risposto alla sua lettera, fosse d'accordo con lui.

Voleva che Connor fosse lì. Almeno avrebbe smesso di arrabbiarsi per ogni minima cosa, e avrebbe aperto gli occhi. L'infezione c'era, bastava vedere il colorito pallido di Nate. Per fortuna il fratello si stava riprendendo e, a giudicare dallo stato di stanchezza e dai brividi che cominciarono ad assalirlo, Will immaginò che se lo fosse preso pure lui. Sperò di essersi sbagliato. Sette giorni, probabilmente dieci, di quarantena erano più che sufficienti.

E Leo. Non vedeva l'ora di vedere Leo, sebbene avesse smesso di pensare al figlio di Efesto. Il suo lavoro con Frank lo aveva del tutto assorbito. E dare ordini ai fratelli e litigare con quelli che avevano deciso di non presentarsi in infermeria quando chiamati, gli aveva fatto esaurire le energie.

Si girò sul fianco, dando la schiena a Kenny, le palpebre così pesanti da non riuscire più ad aprirle. I pensieri nella sua mente, così numerosi e confusi, lentamente cominciarono ad abbandonarlo e Will si assopì in un lungo sonno senza sogni.

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Capitolo 62
*** 80. Verità ***


«Io e te dobbiamo parlare.»
Leo si fermò dal lavare i piatti e sollevò lo sguardo su Hazel, appena comparsa alla sua sinistra. Il suo aspetto, metà tra il rilassato e metà tra l'esasperato, lo fecero sorridere per un secondo.
«Non sgriderò James perché è entrato in bagno mentre eri sotto la doccia.» sbuffò, divertito. «Almeno, non lo farò di nuovo.»
Hazel arrossì, ricordando quello spiacevole episodio avvenuto due giorni prima. «Non è quello.» borbottò. «Anche se dovresti insegnare a tuo figlio di non forzare la serratura del bagno...»
«Si è scusato, no? E poi, ha detto di non aver visto niente.»
Hazel si mordicchiò il labbro imbarazzata. «Forse qualcosa lo ha visto.»
Leo scrollò le spalle. «Non ha avuto gli incubi per questo. E poi, sono certo che, prima o poi, sarebbe accaduto.»
La figlia di Plutone si mise a braccia conserte, e Leo si asciugò le mani scaldandole. Si voltò a guardarla, osservando i ricci dorati e scomposti che le ricadevano sulle spalle in due ciocche identiche. Era adorabile. Si sorprese di notare quanto le volesse bene.
«D'accordo, dopo lo sgriderò di nuovo.» annuì Leo, trattenendo un sospiro. «Giusto per evitare che possa accadere ancora.»
«Grazie.» mormorò Hazel, poi aggiunse: «E sgrida anche Bryan.»
«Lo farò. Sai, pensò che quel bambino abbia una bella cotta per te.»
«Lo penso anch'io.»
Hazel sospirò e si appoggiò al muro, guardando l'amico. Leo arrossì per il suo sguardo insistente e si sfilò il grembiule a fiori che Calipso gli aveva infilato dieci minuti prima a tradimento, prima di scoccargli un bacio sulle labbra e uscire per andare al lavoro.
«Ti sta bene.» disse Hazel, e Leo appese il grembiule al muro, prima che potesse bruciarlo.
«Lo so, lo tolgo solo per non stropicciarlo.» borbottò Leo, voltandosi verso l'amica. «Vuoi dirmi altro? Devo passare l'aspirafoglie sul tetto...»
«Perché devi passare l'aspirafoglie sul tetto?» chiese Hazel, perplessa. «E cos'è un aspirafoglie?»
Leo sorrise. In quei giorni a casa, aveva ideato un marchingegno più grande dell'aspiracoriandoli, che gli permetteva di aspirare le foglie anziché allontanarle con un colpo d'aria. Era utile, poteva creare montagne di foglie in giardino in meno di un quarto d'ora di lavoro.
«Aspetta, non mi interessa.» disse Hazel, sollevando una mano prima che il figlio di Efesto cominciasse a parlare. 
«Te l'ho già spiegato ieri.» le fece notare Leo.
«Credo di essermelo dimenticato.»
Leo sospirò, affranto. Nessuno apprezzava il suo lavoro.
Hazel si spostò dal muro e si sedette sulla sedia della cucina, lanciando occhiate in direzione del soggiorno. Bryan e James erano saliti al piano di sopra dopo pranzo, come ormai facevano tutti i pomeriggi. Giocavano per tre ore in camera, poi uscivano in giardino a rincorrersi e a giocare con la palla, urlando come matti e disperdendo foglie in tutto il cortile. Per loro fortuna, Leo era più che felice di usare il suo nuovo giocattolo.
«Si tratta di te e Will.» mormorò Hazel.
Leo sussultò e sbatté le palpebre, osservando la figlia di Plutone. Non pensava più a Will da... mh, forse dalla colazione, quando aveva preparato il caffè. Will adorava il caffè.
«Cosa devi dirmi?» chiese Leo, lanciando un'occhiata al soggiorno. I bambini non si vedevano da nessuna parte, ma le loro risate si sentivano nonostante il piano di distanza.
«Hai più pensato a cosa fare?»
Leo si sedette di fronte all'amica. Aveva passato gli ultimi quattro giorni a pensare a Will, al suo desiderio di vederlo e baciarlo, ma com'era successo all'inizio di quella quarantena forzata, il sorriso di Calipso abbatteva i suoi pensieri. Non solo il sorriso, ma la sua voce sensuale, i baci caldi, il suo corpo fremente...
«So cosa fate tu e Calipso tutte le sere.» aggiunse Hazel, arrossendo di nuovo.
«Oh.» Leo arrossì a sua volta. «Pensavo che Calipso, ehm, togliesse il suono.»
«Lo fa, certo. Ma si preoccupa solo del lato verso la camera dei bambini e la porta. Non ferma il suono che proviene da, be', da sotto la vostra stanza.»
Leo si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. «Presto sarà mia moglie.» le ricordò Leo.
«Quindi hai scelto lei?»
Il figlio di Efesto non rispose. Voleva dirle di sì, voleva farlo. Ce lo aveva sulla punta della lingua. Ma non riusciva. Perché se pensava che avrebbe passato il resto della sua vita con Calipso, il sorriso caldo di Will compariva nella sua mente e lo bloccava.
Will gli mancava da morire, ma non riusciva a dimostrarlo. Non riusciva a soffrire per la sua mancanza. Ogni volta che si muoveva per casa, incontrava qualcuno, Calipso, Hazel, Bryan e James, che gli proibivano di pensare, di stare da solo. Se provava ad uscire in cortile, nel giro di qualche minuto avrebbe trovato i bambini intenti a giocare ad acchiapparella, trascinando pure lui nel gioco. Calipso lo raggiungeva in bagno quando si trovava sotto la doccia oppure in camera da letto, se si ritirava subito dopo cena. E Hazel sembrava percepirlo quando si svegliava nel cuore della notte per uno spuntino notturno: la trovava sempre là, davanti al fornello, intenta a scaldarsi una tazza di tè.
Era difficile stare da solo in una casa così piena.
«Io... non lo so.» mormorò Leo, sentendosi stupido non appena ebbe finito di parlare. «Non lo so.»
«Leo, se hai scelto lei, non c'è nulla di male, sai?»
Leo si portò la mano sul volto. «Ora scelgo lei.» disse Leo. «Scelgo di sposarmi, scelgo di avere altri figli con lei. Ma non appena vedrò Will, tutte queste mie certezze, questo... questo castello che mi sono costruito nella mente, cadrà, come se fosse fatto di carte.»
Hazel rimase in silenzio a guardarlo.
«Se non dovessi più vedere Will per il resto della mia vita, sarò felice con Calipso.» aggiunse Leo, togliendosi la mano dal volto. Si vergognava di quelle parole, di quei pensieri che si erano fatti strada in quei giorni senza vedere l'amante, il suo ex ragazzo. «Potrei anche dimenticarlo. Ma so che non accadrà, perché io lo vedrò, e i miei sentimenti per lui torneranno forti come prima, facendomi perdere lucidità, facendomi perdere ogni cosa.»
Hazel chiuse gli occhi. Leo ebbe l'istinto di battere il pugno sul tavolo e mettersi ad urlare. Perché i sentimenti dovevano essere così pesanti? Perché non poteva semplicemente liberarsi di tutto quanto? Forse la pozione di cui aveva sentito parlare, quella che ti faceva dimenticare di essere innamorato di una persona, faceva per lui. Poteva berla, e dimenticarsi di Will. O di Calipso. O di entrambi.
O di nessuno dei due.
«Quando vedrò Will, sarò di nuovo pazzo di lui.» mormorò Leo. «Lo so. Lo sento, lo percepisco. Anche solo vedere il suo sorriso quando mi concentro, mi fa tremare il cuore. E sono... un egoista. Perché non so scegliere, non so decidermi. Non so chi lasciare, non so chi far smettere di soffrire. So solo che... così facendo... rischierò di rimanere da solo. E io... io non voglio rimanere da solo. Penso tu possa capirmi.»
Hazel lo osservò con attenzione. «Ti capisco, ma io ho accettato l'idea di rimanere da sola.» ammise. «Senza Frank al mio fianco, avevo scelto di restare da sola. Era una mia decisione e l'ho presa alla lettera. Sono uscita con Raul perché gli dovevo un favore, e nonostante quella serata sia stata magnifica, ho comunque deciso di non frequentarlo. Frank mi mancava troppo. E non l'ho sostituito con nessuno, perché per me era insostituibile.»
Leo si morse il labbro.
«Non dico che Calipso o Will siano insostituibili.» si affrettò a dire Hazel. «Sono unici a modo loro, come è unica la sensazione che ti lasciano. Sono due ottime persone, con i loro pregi e difetti. È normale amarli entrambi, secondo me. Ma... scegliere è una decisione che spetta a te. Io ti posso aiutare, chiedendoti a chi pensi di più durante il giorno, chi ti fa battere più il cuore. Ma se mi dici che non vedere Will per giorni ti ha fatto perdere interesse nei suoi confronti, allora forse...»
«Il problema è che quando sono con Will, non penso affatto a Calipso.» disse Leo. «Lo so. Ho un problema. Credo di dovermi ricoverare. C'è un posto adatto, al Campo Giove?»
«Certo, abbiamo un ospedale, lì. Molto più grande della nostra infermeria, e non c'è il rischio di incontrare figli di Apollo. I nostri medici sono di più... anche se non dovrei chiamarli i nostri medici. Non mi sento più romana da molto tempo.»
Leo allungò la mano verso la sua e la strinse.
«Se tu andassi via una settimana al Campo Giove, riuscirai a chiarire i tuoi pensieri.» gli disse Hazel. «Senza vedere né uno né l'altra. Così capirai per chi ti batte più forte il cuore.»
Leo annuì. Era la seconda persona a dirgli di doversene andare dal Campo. Non aveva ascoltato Travis, ma forse avrebbe ascoltato Hazel.
«Puoi dire che Jason ti ha invitato da lui.» disse Hazel. «Oppure, possiamo partire insieme. Potremmo dire che devo andare al Campo Giove, e che non mi vuoi lasciare da sola.»
«Perché dovresti andare al Campo Giove?» le chiese Leo, confuso. «Frank è qui.»
Hazel roteò gli occhi. «Lo facevo per te, idiota.» borbottò.
Leo sorrise. «E ti ringrazio tanto. Però...»
«È una cosa di cui ti devi occupare da solo?» gli suggerì la figlia di Plutone.
«Credo di sì.»
«Stai diventando grande.»
«Per fortuna.»
Hazel sorrise e si alzò, avvicinandosi ai fornelli per preparasi il tè. Leo la osservò, cercando di liberare i pensieri da Calipso e Will. Ormai non faceva altro che parlare dei suoi amori, non parlava di Frank con la ragazza.
«Cosa vuoi fare con Frank?» chiese Leo.
«Cioè?»
«Accetterai di sposarlo?»
«Mi conosci davvero così poco da pensare che accetterò?»
Leo sogghignò. «Lo so, ma volevo sentirtelo dire. Lo manderai al diavolo?»
«Certo, ma non con queste parole. Userò un po' più di tatto, con lui.»
«Be', me lo auguro. Con tutta la strada che ha fatto per arrivare da te...»
Hazel tamburellò le dita sul tavolo. «Però... questo è un problema, no? Insomma, Clarisse ha detto di aver seguito i passi di Frank fino all'entrata del Campo Mezzosangue. Le impronte si sono interrotte. È come... come se si fosse materializzato dal nulla.»
«Non ci si può materializzare o smaterializzare fuori dal Campo Mezzosangue.» citò Leo.
«Ehm, non penso che sia proprio così.»
«Ho usato la citazione sbagliata.» Leo ridacchiò. «E se fosse arrivato in volo?»
«Nessuna delle sentinelle lo ha visto arrivare. Né in volo né a terra.»
Leo sospirò, portandosi la mano sul viso. Frank era comparso dal nulla, e nessuno riusciva a dargli una spiegazione.
«Forse... non lo so, non ne ho idea.» ammise Leo. «Dovremmo aspettare e chiedere a lui.»
«Credo proprio di sì.»
Leo osservò Hazel, invidiando un po' la sua calma. Se qualcuno gli avesse impedito di vedere Will in infermeria, lui avrebbe urlato come un pazzo fino a quando non gli avessero dato l'okay di procedere. Ma Hazel... era tranquilla, forse più pensierosa del solito. Rideva e scherzava con loro, giocava con i bambini e non si lamentava mai. Era forte, molto più di quanto lei stessa pensava.
«Ormai sono passati dieci giorni da quando Frank è arrivato.» mormorò Hazel. «Pensi che possa scrivere a Will..?»
«Mi sembra strano che tu non l'abbia ancora fatto.»
Hazel prese il cellulare e mandò un messaggio a Will. «Avevo paura di disturbare, di poter interrompere il suo lavoro o riposo.» ammise la figlia di Plutone, imbarazzata.
«Non penso che Will tenga il cellulare a tutto volume.» la tranquillizzò Leo. «Anzi, è probabile che non leggerà il tuo messaggio fino a stasera.»
«Non importa. Aspetterò.»
Leo sospirò, pensando che fosse proprio incredibile. Continuava ad essere così paziente, così tranquilla, così serena. Erano su due lunghezze diverse. Be', lei era nata negli anni 40 ed era morta, condannata negli Inferi fino all'arrivo di suo fratello, un secolo dopo. 
Fratello...
«Haz, posso farti una domanda?» chiese Leo e Hazel annuì, guardandolo con curiosità.
«Vuoi sapere cosa farei io al tuo posto?» domandò la figlia di Plutone.
«No, non voglio saperlo. Di sicuro sarà qualcosa di intelligente, e io non lo sono.»
«Leo, tu sei intelligentissimo...»
«Grazie, ma non siamo qui per parlare di me, o sbaglio?»
Hazel sollevò gli occhi al soffitto, indecisa se insultarlo o meno. 
«Haz, perché non hai detto niente su Percy e Nico?»
La figlia di Plutone sussultò a quelle parole e dalle sue dita comparvero delle gemme preziose, tutte colorate. Leo le osservò, trovandole bellissime, e prese uno zaffiro tra le dita.
«Posso regalarle a Calipso?» domandò Leo, ma Hazel scosse la testa.
«C-Cosa avrei dovuto dire su P-Percy e Nico?» balbettò la ragazza, stringendo le pietre tra le dita.
«Be', tanto per cominciare... che non si sono sposati.» disse Leo, passandole lo zaffiro. «E che poi si sono lasciati. E che Nico è scomparso.»
«Sai... tante cose...»
«Me l'ha detto Jason. Anche lui sembrava un po' stupito che non ne sapessi niente.»
Hazel si alzò in piedi, arrossendo, prendendo con sé le pietre. Leo si alzò a sua volta, seguendola fuori dalla casa. La vide buttare le pietre sul terreno, che si aprì di qualche centimetro per ingoiare le pietre della figlia di Plutone.
«Grazie per non averlo fatto in casa.» mormorò Leo.
«Lo stavo per fare.» ammise Hazel, imbarazzata.
Leo decise di non commentare e guardò la donna, in attesa che dicesse qualcosa.
«Nico mi aveva fatto promettere di non dire niente.» mormorò Hazel. «Soprattutto a Will.»
«Perché?» chiese Leo, confuso. «Perché non potevi dirlo a nessuno? Tanto meno a Will?»
«Sai che...»
«Sì, lo so, Will aveva una cotta tremenda per Nico Di Angelo.» sbuffò Leo, mettendosi a braccia conserte. «Lo so bene. Se ora sono qui, indeciso, è anche per colpa di questo, visto che Will mi ha baciato per via del suo amore non corrisposto con tuo fratello.»
«Nico ha detto a Will di essere felice con Percy.» continuò Hazel. «Nico ne era davvero innamorato. Ma quando ha scoperto che Percy lo tradiva, Nico si è come spezzato. Ha avuto paura che tutti, persino Will, potessero prenderlo in giro per essersi innamorato di un ragazzo come Percy. Aveva paura di venire deriso, preso in giro, comparato a Percy Jackson e a Will Solace. Il ragazzo di cui aveva una cotta e il ragazzo che aveva una cotta per lui. Nico... si sentiva soffocare da questi pensieri. Per questo è sparito quando Percy lo ha lasciato. Voleva tornare qui al Campo Mezzosangue, come gli avevo consigliato io, ma non riusciva a reggere la pressione. E quindi se n'è andato.»
«Se n'è andato dove?» domandò Leo.
«Non ne ho idea. Mi ha mandato due lettere da quando ha lasciato il Campo Giove. Una per dirmi che stava bene, e l'altra per dirmi di essere andato a trovare la madre. Non mi ha più scritto niente. Io non ho mai potuto scrivergli perché non sapevo dove cercarlo, non avevo un indirizzo, e i messaggi Iride con lui non funzionano. È scomparso. So che non è morto perché altrimenti lo sentirei. Non ho i suoi stessi poteri, ma percepisco la morte di chi mi sta attorno solo perché, un tempo, sono stata morta anch'io. So che sta bene, ma non so dove si trovi.»
«Magari è negli Inferi.» disse Leo, sperando di confortarla. «Oppure in Alaska. Non sempre prendono i messaggi Iride da quelle parti.»
«Può darsi.» annuì Hazel. «Ma non credo sia negli Inferi. Sono passati tre anni da quando Percy lo ha lasciato. Se fosse rimasto così tanto negli Inferi... un periodo così prolungato... E se fosse morto lì, io non lo sentirei. Will gli ha scritto un messaggio tempo fa e...»
«Will gli ha scritto?» ripeté Leo. «Will ha scritto a Nico?»
«Sì.» Hazel lo osservò. «È un problema per te? Sono amici.»
«Mh... non può essere amico...»
«...di uno che gli piaceva? Scherzi? Will è rimasto amico con molti dei suoi ex, persino con te. Ricordi?»
Leo annuì. Ricordava fin troppo bene. Ed era possibile che Will provasse a diventare amico pure dei sassi sulla spiaggia. Ma... il fatto che Will avesse scritto a Nico non gli piaceva. Nico era stato il grande amore non corrisposto di Will, come per lui Calipso. Voleva sapere cosa gli avesse scritto, se il figlio di Ade avesse risposto, se...
«Comunque Nico non ha risposto.» continuò Hazel con un sospiro e Leo si sentì più rilassato. «Ho controllato, ma niente. Penso che Will non gli abbia nemmeno dato troppa importanza.»
«Be', Will, come quasi tutto il Campo Mezzosangue, crede che Nico sia sposato con Percy. È normale che non si sia fatto troppe domande sul perché tuo fratello non gli abbia risposto, no?»
«Penso che questo, ovvero la loro relazione, sia una cosa di cui debbano parlare i diretti interessati.»
Leo scosse la testa. «Invece no, soprattutto se una delle due parti coinvolte è scomparsa.»
«Come mai tutto questo interesse per la relazione di Nico, Leo? Di cosa hai paura? Che Will possa correre da lui, come tu hai fatto con Calipso?»
Il figlio di Efesto spostò lo sguardo su Hazel, sorpreso dalle sue parole così dure e sincere. La donna sembrava colpita quanto lui per le parole che le erano uscite dalla sua bocca, ma non le rimangiò. Ormai era impossibile farlo.
Era quello il problema? Temeva davvero che Will potesse correre da Nico per confortarlo? Forse sì. Anzi sì, decisamente. Dopotutto la loro relazione si era basata su Nico Di Angelo. Nico, che aveva spezzato il cuore a Will, che si era ubriacato e aveva baciato Leo Valdez dopo una serata passata insieme a bere e divertirsi. Se Will non avesse avuto il cuore spezzato dal figlio di Ade, ora Leo non si sarebbe trovato lì, a chiedersi se fosse meglio vivere una lunga vita con Calipso o vivere qualche decennio in compagnia del figlio di Apollo.
Will... conosceva Will. Se Nico fosse riapparso, Will avrebbe fatto di tutto per andare da lui, senza aspettare. E se Will avesse scoperto che il suo amico era scomparso, lo avrebbe cercato. Avrebbe creato pure un'impresa per cercare il figlio di Ade.
«Perché non lo hai detto a Will?» domandò Leo, fissando la ragazza.
«Perché pensavo che lo avrebbe cercato.» rispose Hazel, ricambiando il suo sguardo. «E Nico non voleva essere trovato, altrimenti avrebbe fatto sapere a qualcuno dove fosse andato.»
«Pensi che Will possa essere ancora innamorato di Nico?»
«Tu hai mai smesso di amare davvero Calipso?»
Leo si mordicchiò il labbro. «Sì che ho smesso.» disse. «Altrimenti non l'avrei lasciata da sola, portando via James.»
«Ti sbagli. Hai agito per tuo figlio, non per lei. Se non fosse stato per James, saresti rimasto lì con lei per tutto il tempo.»
«Forse è vero. Ma puoi biasimarmi? Mi piaceva la vita con Calipso. Ma per James...»
«Per James l'hai lasciata e sei venuto qui. Non hai smesso di amarla. I tuoi sentimenti erano solo focalizzati su James. Hai pensato che non avresti potuto amarla più, ma quando si è ripulita, quando ti sei ritrovato di nuovo da solo, non ci hai messo molto per tornare da lei.»
«Haz, tu vuoi che Will si metta con Nico?»
«No, voglio che Will sia felice. Che possa smettere di nascondersi. Che possa essere libero di amare chi vuole, alla luce del sole. Will è buono, è meraviglioso. Will ama con tutto sé stesso, ogni volta che si innamora. Voglio che la persona che lui sceglierà, lo sceglierà a sua volta, completamente.»
Leo si lasciò scappare uno sbuffo. «Quindi pensi che io...» si interruppe. Il sangue sembrava ribollirgli nelle vene. Hazel lo stava facendo infuriare.
«Penso che tu sia ancora tanto confuso sui tuoi sentimenti.» disse Hazel. «Penso che tu, ora, non sia la scelta giusta per Will. Will avrebbe finito per amare Connor, se non l'avessi travolto con il tuo...» 
Hazel si interruppe e Leo digrignò i denti.
«Con il mio egoismo?» chiese. «Pensi che Will sarebbe stato felice con quello, se io non lo avessi travolto con il mio egoismo?»
Hazel non rispose, si limitò a fissarlo. Leo era tentato di rilasciare il fuoco che a fatica stava trattenendo. Non era come diceva lei. Non aveva baciato Will per egoismo. Lo aveva baciato per capire se potesse esserci ancora qualcosa tra loro. E gli era andata bene. Will era ancora innamorato di lui, come Leo. La passione che travolgeva entrambi ogni volta era più che sufficiente per fargli capire quanto amore provassero.
«Haz, io ti voglio bene.» disse Leo, piano. «Ma penso che queste non siano cose che ti devono riguardare.»
«Sono amica di Will. E anche tua. Perché non dovrebbero riguardarmi?»
«Sei stata innamorata di una sola persona nella tua vita. E quando questa se n'è andata, anziché provare ad essere felice con qualcun altro, l'hai aspettata come un cane bastonato. Questo non è amore, è...»
«Non è amore?» ripeté Hazel, incredula. «E cosa sarebbe l'amore, Valdez? Essere innamorato di due persone e fare sesso con entrambe, senza sapersi decidere?»
Leo sbuffò appena, e riprese: «Tu avevi paura di restare da sola, di...»
«Io? Paura di restare da sola? Sono rimasta dieci anni da sola, senza la necessità di passare in tutti i letti del Campo. Ho sbagliato? Forse sì. Ma è un errore di cui non mi pento. Non ho sprecato la mia vita in questi anni senza Frank. Sono andata avanti. Ho imparato. Ho lavorato. Ho viaggiato. Non da un Campo all'altro, ma per il mondo, con Will. Ho visto posti meravigliosi. Mi sono divertita moltissimo. E ora che Frank è tornato, la mia scelta, quello che deciderò di fare con lui ora, sono solo affari miei, di nessun altro.»
«Lo so benissimo cosa farai con lui. Lo sposerai, per evitare che scappi di nuovo.»
Hazel scosse la testa. «Se pensi che io possa sposarlo così, senza riflettere, su due piedi, significa che non mi conosci abbastanza. Io ho le idee chiare su cosa fare.»
«Haz...»
«Leo, ascolta. Forse un giorno lo sposerò, ma non oggi, non domani, non tra una settimana. Lui è tornato, ma non ho questa paura irrazionale che possa scappare di nuovo, sai? Se è tornato da me, significa che vuole stare con me. E sai cosa farò, Leo? Glielo dirò. Gli dirò tutto quello che mi passa per la testa. Sarò sincera con lui. Non gli mentirò. E se lui mi ama davvero come spero, allora resterà al mio fianco anche se non volessi parlargli per altri dieci anni.»
Leo guardò Hazel. Litigare con lei non era stato nei suoi pensieri, quel mattino. Ma ormai il danno era fatto. Si sentiva stremato, sotto sopra, i pensieri più confusi di prima. E lo sguardo di Hazel, un misto di rabbia e compassione, non aiutava i suoi sentimenti. Cosa doveva fare? Perché Hazel aveva i pensieri più chiari sulla sua relazione? Perché non poteva essere come lei?
«Ora vado, torno nella mia cabina.» disse Hazel. «Tornerò più tardi a prendere le mie cose.»
«Senti, non c'è bisogno che tu te ne vada.»
«Ho bisogno di stare un po' da sola.»
Hazel gli diede le spalle e fece per incamminarsi, ma si bloccò.
«Annabeth e Percy sono tornati insieme.» disse.
Leo sospirò. «Lo so.»
«Lei è incinta.»
«So anche questo.»
«Percy ha tradito Nico con Annabeth.»
Leo aggrottò la fronte. «Questo non lo sapevo.»
Hazel sospirò a sua volta. «Visto? Alla fine uno torna sempre dalla prima persona che ha amato.»
Leo la guardò andare via, senza sapere cosa replicare. Voleva tornare indietro nel tempo e non chiederle niente di Nico, di Will.
Il cellulare vibrò nella sua tasca e Leo lo prese. Era un messaggio di Will. Si chiese cosa potesse avergli scritto e quando visualizzò il messaggio, sentì le ginocchia tremargli.
Frank è sveglio.
La quarantena era finita.

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Capitolo 63
*** 81. Frank Zhang ***


Will spedì il messaggio con la buona notizia a Leo, Hazel e Clarisse, e mise via il cellulare, entusiasta. Il romano stava bene, l'infezione era completamente sparita, i suoi fratelli stavano litigando per chi dovesse fare il primo bagno. Will sentì fare il suo nome più volte, ma non si intromise nella conversazione. Stava procedendo tutto per il meglio. Ora poteva rivedere Hazel, poteva rivedere Connor... e poteva rivedere Leo. Sperò che il figlio di Efesto si presentasse presto alla sua porta.

Will si allontanò dai fratelli e tornò da Frank. Era ancora a letto, in attesa che il braccio, l'orecchio e la gamba guarissero. Will poteva congedarlo quando voleva, ma una parte di lui temeva che, se gli avesse detto di poter andare, Frank sarebbe scomparso nel nulla, come negli ultimi dieci anni. E non avrebbe sopportato di dirlo ad Hazel.

Will si sedette vicino al letto di Frank, osservandolo. Quel mattino il romano era sceso dal letto, sotto lo sguardo attento di Helen. Era andato fino al bagno e si era fatto la barba, chiedendo scusa a Grant per il pugno di qualche giorno prima. Will continuava a tenerlo d'occhio, osservando il lavoro che aveva fatto all'orecchio del figlio di Marte. Non era male, somigliava più ad un orecchio che ad una polpetta. L'udito funzionava bene, quindi era solo una questione estetica. E per le questioni di questo genere, si poteva chiamare solo un figlio di Afrodite, uno di cui ci si fidava. Will aveva già mandato un messaggio a Mitchell, che gli aveva promesso di passare al Campo al più presto.

«Dottor Solace.» lo salutò Frank, alzando lo sguardo dal libro che stava leggendo.

«Puoi chiamarmi Will.» ripeté il figlio di Apollo, forse per la decima volta nel giro di un'ora.

Frank finse di non sentirlo. «Hai detto ad Hazel che, ehm, sono sveglio?»

«Sì. Di sicuro arriverà prima di questa sera a trovarti.»

«Grazie.»

Will gli sorrise. Aveva così tante domande da fargli, era così curioso di avere delle risposte, ma gli mancava il coraggio per aprire bocca. Doveva lasciare che fosse Hazel a colmare quelle lacune. Hazel meritava tutta la verità, e soprattutto era la prima a doverla sapere.

«Will?»

Il figlio di Apollo si alzò, voltandosi verso Clarisse Le Rue in avvicinamento. Aveva il solito aspetto serio, quasi militare, con i capelli scuri legati in una coda. Aveva una brutta cicatrice sul collo e Will ebbe l'impulso di toccarla, per vedere se potesse fare qualcosa.

«Will, devo parlare con mio fratello.» disse Clarisse, fermandosi di fronte al letto di Frank.

«Tuo fratello?» ripeté Will, perplesso, chiedendosi a cosa si riferisse. Poi ricordò. Frank era il fratello di Clarisse. «Oh giusto.»

Will rimase immobile e Clarisse sospirò.

«Devo parlargli da sola.» aggiunse.

«Oh, certo.» Will si allontanò di qualche passo.

«In privato.» concluse Clarisse.

Will si limitò a tirare la tenda attorno al letto di Frank, che nascose il volto nel libro soffocando una risatina.

 

Will non riuscì ad origliare la conversazione tra i due fratelli figli del dio della guerra, perché si presentò alla porta una figlia di Demetra con un brutto taglio sulla mano. La sorella in lacrime al suo fianco gli spiegò che era stato un incidente, aveva abbassato la lama mentre tagliava il grano, senza accorgersi di lei. Will si affrettò a medicarla, sperando di riuscire ad ascoltare qualche parolina.

Ma quando alzò lo sguardo dalla mano della paziente, Will vide Clarisse uscire dall'infermeria e sospirò. Ora doveva per forza chiedere a Frank di cosa avessero parlato. Fu sul punto di andare da loro quando Hazel comparve sulla soglia.

«Hazel!» esclamò Will, felice di vederla. «Ti trovo in forma!»

Hazel voltò la testa verso di lui, gli sorrise e corse ad abbracciarlo. Will ricambiò l'abbraccio, stringendola forte a sé. Gli era mancata molta, soprattutto i suoi tè bollenti preparati ad ogni ora del giorno e della notte.

«Come stai?» domandò Hazel, sciogliendo l'abbraccio e prendendogli il viso tra le mani. «Stai bene? Ti sei riposato?»

«Sto bene.» la rassicurò Will. Il fatto che l'amica dedicasse a lui tutte quelle attenzioni un po' lo commuoveva. «Sto benissimo, in verità. Mi sono riposato, ho mangiato, e più tardi uscirò da quest'infermeria. Non ci tornerò più almeno per una settimana.»

«Fai bene.» annuì Hazel, divertita. «Tienimi un posto in spiaggia, accanto a te.»

«Lo farò.» la rassicurò Will, e per qualche secondo rimasero a fissarsi. Poi il figlio di Apollo fece un cenno con la testa alle sue spalle. «Lui è lì.»

Hazel annuì, titubante. Will si domandò se l'amica fosse stata realmente sul punto di dirgli qualcosa, o se fosse stata una sua impressione. In ogni caso, indicandogli il letto di Frank, doveva averle risposto.

Seguì Hazel con lo sguardo e quando la vide tirare la tenda attorno al letto, Will si avvicinò quasi di corsa, nascondendosi in un punto in cui la figlia di Plutone non potesse vederlo.

 

Frank quasi lasciò cadere il libro quando vide Hazel. La gola gli si seccò all'istante, mentre la ragazza tirava le tende. Frank sentì dei passi ma non ci fece caso. Era un'infermeria, c'erano figli di Apollo che camminavano da ogni parte.

«Hazel.» disse, sperando di riuscire a contenere l'emozione nella sua voce. La donna di fronte a lui era così diversa da un tempo, ma anche così simile. I lineamenti, i capelli chiari, gli occhi dorati... tutto in lei gli era familiare. A parte quello sguardo, così severo e sorpreso al tempo stesso.

«Come stai?» domandò la figlia di Plutone, appoggiando una mano al lettino, lontana da lui.

«Sto bene.» mormorò Frank. «Il dottor Solace... ha sistemato tutto.»

Hazel gli lanciò una rapida occhiata all'orecchio sinistro. «Si vede, in effetti.» disse lei. «Puoi chiamarlo Will.»

«Lo so, ma...» Frank si strinse nelle spalle. «Non riesco a chiamarlo in modo diverso. Mi ha salvato la vita.»

«Già, Will è fatto così.» Hazel si sedette nella sedia libera. «Salva tutti, anche i casi disperati.»

«Come me. Ero un caso disperato. Non so come abbia fatto a salvarmi.»

Hazel sorrise dolcemente. «Più sono disperati, più lui mette tutto sé stesso.»

Frank annuì. Ricordava vagamente il dolore che aveva provato quando era arrivato al Campo Mezzosangue, e quasi non riusciva a crederci di avere ancora tutti gli organi, sia interni che esterni. Essere medici era senz'altro più impegnativo che essere un militare.

«Allora, Frank...» mormorò Hazel, ma il romano la interruppe.

«State insieme?» domandò, a bruciapelo.

Hazel aggrottò la fronte. «Chi? Io e Will?»

«Ho visto come vi siete abbracciati.»

«È il mio migliore amico.»

«Il modo in cui ti stringeva...»

«Frank, è il mio migliore amico. Non c'è nient'altro.»

Frank annuì, preferendo chiudere la bocca. Se Hazel diceva che era il suo migliore amico, allora doveva crederle.

«Frank, dove sei stato?» domandò Hazel, a bassa voce.

Frank ripensò al suo breve incontro con la sorella greca di poco prima. Clarisse gli aveva fatto la stessa domanda, e Frank si ritrovò a ripetere: «Sinceramente, non ne ho idea.»

«Non ne hai idea?» ripeté Hazel, studiandolo, chiedendosi se lo stesse prendendo in giro.

«Già. Se provo a pensarci, la testa mi fa molto male.» spiegò Frank, portandosi una mano sulla fronte. «Fa così male che mi viene da rigettare.»

«Ricordi qualcosa? Senza sforzarti.»

Frank socchiuse gli occhi. «Ricordo che... stavo combattendo.» spiegò. «Stavo combattendo al fianco di mio fratello Sean, eravamo circondati. E poi... niente. Solo che stavo camminando tra le cabine. Ricordo il dolore del mio corpo, ma anche... Ricordo che dovevo farti una domanda.»

Hazel arrossì.

Frank inclinò appena la testa di lato. «Te l'ho fatta?»

«Sì, me l'hai fatta. Ma poi sei svenuto.»

«E mi sono risvegliato circondato da figli di Apollo greci.» annuì Frank. Questo lo ricordava.

«Nient'altro?»

Frank scosse la testa. «Nient'altro.»

Hazel lo osservò a lungo, e Frank ricambiò lo sguardo. La sua Hazel era diventata così bella... era una donna. Era diventata meravigliosa.

«Pensavo di essere al Campo Giove.» mormorò Frank. «Insomma... sarebbe stato più plausibile, il Campo Giove.»

«Forse tuo padre ti ha spedito qui perché dovevi farmi una domanda.» mormorò a sua volta Hazel, con il volto arrossato.

«Non credo, però... che domanda era?»

Come quelle parole uscirono dalla bocca del romano, Frank ricordò. L'anello, l'ametista, quella domanda che continuava a rimbombargli nella testa. Ricordava a stento le facce dei semidei che aveva incrociato entrando in quel Campo. Aveva in mente solo Hazel e l'anello.

«Ti ho f-fatto una pr-proposta di mat-mrimonio.» balbettò Frank, arrossendo fino alla radice dei capelli. «V-Vero?»

«G-Già.» balbettò Hazel in risposta, arrossendo quanto lui.

«E, ehm, tu hai, mh, risposto..?»

Hazel scosse la testa. «No, non ho risposto.» disse, quasi in un sussurro. «E non so cosa rispondere. Sai quanto tempo è passato, dall'ultima volta che ci siamo visti?»

Frank annuì. «Sì... Una delle dottoresse mi ha detto che sono sparito più di dieci anni fa. Mi dispiace.»

Hazel allungò la mano verso la sua e Frank abbassò lo sguardo sulle sue dita calde premute sulla pelle. Hazel era lì, era vera, stava bene, e lo guardava. Non sembrava più arrabbiata con lui, nonostante non ricordasse nulla. Pensò a diversi anni prima, quando un semideo che controllava l'acqua si era presentato al loro Campo. Nemmeno lui ricordava la sua vita. Dimenticare, non ricordare, era una cosa così naturale per loro semidei.

«Quando il dottore mi dimetterà, cercherò di ricordare.» mormorò Frank. «Ricorderò tutto. E mi auguro che... in futuro...»

Hazel arrossì di nuovo, prendendo la mano nelle sue. «Mi auguro che in futuro, possa dirti di sì.» sussurrò lei in risposta.

 

Will si infilò una mano in bocca per evitare di singhiozzare. Quei due erano meravigliosi, insieme. Una parte di lui voleva prendere a calci il romano e intimargli di stare lontano dalla sua migliore amica, ma l'altra era più sentimentale, voleva solo mangiare una confezione di gelato osservando i due scambiarsi sguardi dolci.

Helen notò il suo sguardo mentre gli passava vicino e lo trascinò via prima che potesse farsi sentire. Anche lei, notando il fratello maggiore, non aveva potuto fare a meno di avvicinarsi.

«Sono così carini.» mormorò Helen, asciugandosi gli occhi quando furono a debita distanza.

«Già.» annuì Will. Purtroppo Frank non ricordava niente degli ultimi dieci anni, ed era certo che Hazel non gliel'avrebbe fatta passare liscia, ma non importava. Erano comunque una bellissima coppia. «Penso che sia il caso di dimetterlo.»

Helen gli lanciò un'occhiata. «Sei sicuro?»

«Sì. Non c'è più infezione, riesce a camminare da solo. Non abbiamo più scuse per tenerlo qui.»

«Ma...»

«Sono sicuro.» annuì Will. «Se la ama davvero, non scapperà.»

Helen annuì.

Will si asciugò gli occhi e si avvicinò alla tenda tirata, spostandola da un lato giusto il tempo per passare. Intravide uno di quegli sguardi sdolcinati che stava solo immaginando e quasi si sciolse.

«Frank, quando te la senti, puoi andartene dall'infermeria.» disse Will, trattenendosi dallo scoppiare a piangere.

«Oh.» mormorò Frank, sorpreso.

«Dove andrai?» chiese Hazel, con una nota di panico nella voce.

«Clarisse mi ha detto che sono libero di andare alla cabina 5.» la tranquillizzò Frank. «Dopotutto, sono i miei fratelli.»

«Sono contento che tu possa andare lì.» disse Will, con un sorriso. Posò la mano sulla spalla di Hazel, notando divertito lo sguardo indagatore di Frank. «Sappi che dovrai tornare qui almeno una volta ogni tre giorni. Devo controllare i punti all'orecchio e quelli alla gamba.»

«D'accordo, dottore.»

«Ma è probabile che mi troverai in spiaggia.» disse Will, pensieroso.

«Vai a festeggiare?» chiese Hazel, osservandolo.

«Oh, sì. Io e tutti i miei fratelli di turno in questi giorni ci trasferiremo in spiaggia almeno per una settimana. E non vedo l'ora.»

«Divertiti, e riposati.» gli disse la figlia di Plutone, guardandolo. «E poi... vieni da me, okay? Ti devo parlare.»

Will annuì, osservandola con curiosità. Di cosa doveva parlargli? Di Frank? Di quei giorni in infermeria?

Decise che avrebbe aspettato qualche giorno prima di scoprirlo. Qualsiasi cosa fosse, poteva aspettare.

 

Quando Leo vide il messaggio di Will, impiegò quasi un'ora a convincere i bambini a seguirlo. Non poteva lasciarli da soli in casa, sia per evitare che i due si facessero male, sia per evitare una possibile litigata con Calipso. Per quel giorno ne aveva avute abbastanza di litigate.

Vide Travis seduto fuori dalla cabina di Demetra, intento a pomiciare con Kate. I due si comportavano ancora come due adolescenti, e Leo si domandò cosa stesse aspettando l'amico a chiederle di sposarlo. Stavano insieme da anni, e Kate non lo aveva liquidato per aver avuto una figlia con la sorella.

«Ehi Trav, mi guarderesti i bambini?» domandò Leo, ignorando lo sguardo di disprezzo dell'amico.

«Non vedi che sono impegnato?» sbuffò Travis, mentre Kate ridacchiava.

«Dai, devo andare in infermeria. Frank si è svegliato.» mormorò Leo, e Travis sospirò.

«D'accordo, li porto da Lily. Mi devi un favore.»

«Anche due.»

Travis spostò lo sguardo su James e Bryan, e non ebbe il tempo di lamentarsi che Leo era già partito di corsa verso l'infermeria. Pensava a Will, a quello che poteva dirgli, e ad Hazel. Era arrabbiato con l'amica, per come l'aveva fatto sentire. Si erano detti parecchio cose, e Leo non aveva smesso di pensarci. Non era vero che si tornava sempre al primo amore: forse capitava, ma altre volte no. E il fatto che la maggior parte dei loro amici avesse preferito il primo amore, era un'eccezione.

Leo pensò a Calipso. Sì, lei era stata il suo primo amore – ignorando tutti i flirt senza successo avuti nel corso della sua vita – ed era tornato da lei solo perché aveva vissuto un periodo difficile. Senza contare che avevano un figlio insieme. James li aveva fatti avvicinare, e Leo non si era pentito della sua scelta. Amava Calipso.

Ma amava anche Will.

Perché la sua vita doveva essere così complicata?

Leo entrò in infermeria, guardando da un lato all'altro della stanza per vedere Will. Notò parecchie teste bionde, ma nessuna era quella giusta. Si avvicinò ad una ragazza dai capelli biondi, che sistemava l'interno di un cassetto.

«Ciao.» la salutò Leo, e la ragazza sollevò gli occhi verdi su di lui. «Hai visto, ehm...»

«Sono lì.» disse Julie, indicando delle tende chiuse.

«Okay, grazie.»

Leo cercò di non mettersi a correre mentre si avvicinava al letto. Pensò a Will, a quante probabilità ci fossero che lo avrebbe abbracciato con slancio non appena lo avesse visto, e sperò che non ci fosse nessun paziente oltre quelle tende.

Quando le scostò, Leo sentì il cuore in gola alla vista di Frank Zhang. Se non fosse stato per Hazel seduta lì accanto, non lo avrebbe nemmeno riconosciuto. Era diverso dal ragazzo sanguinolento che aveva visto dieci giorni, che urlava il nome della figlia di Plutone e sveniva con in mano un anello.

«Ciao ragazzi,» salutò Leo. «Ciao, Frank.»

«Leo Valdez.» Frank sorrise nel riconoscerlo. «Santi dei, sei proprio cambiato.»

Leo sorrise al romano, cercando di non dare troppo peso all'assenza di Will. Aveva sperato di trovare il figlio di Apollo lì, e non Hazel. La ragazza gli scoccò un'occhiataccia che Leo finse di ignorare, avvicinandosi al letto e porgendo la mano a Frank. Non aveva più nessun segno di quanto accaduto, a parte una cicatrice sulla guancia.

«Stavi meglio con i capelli lunghi.» disse Leo, sedendosi ai piedi del letto.

«Non è vero.» disse Hazel. «Sta meglio così.»

Frank si passò le dita sulla testa rasata. Ricordava vagamente una delle figlie di Apollo che gli radeva i capelli. Era stato cosciente, durante quell'atto? Sapeva solo di aver sentito un suono di disgusto seguito da un poco professionale «Che schifo» nello scoprire la ferita sulla testa. La sfiorò con le dita. Ormai era rimasta solo una cicatrice, l'ennesima.

«Non me li farò crescere tanto presto.» disse Frank, guardando Leo con un altro sorriso. «Sto bene così.»

«Ti sei fatto influenzare da Hazel.» disse Leo, divertito. «Lo hai detto solo perché l'ha detto lei.»

Frank ridacchiò appena e Leo continuò ad osservare l'amico. Ricordò quando Frank, anni prima, gli aveva posato la mano sul braccio. «Vengo con te.» gli aveva detto, dopo che Leo aveva parlato del suo viaggio negli Inferi per recuperare il fiore di Persefone, che lo avrebbe reso immortale.

Frank doveva aver pensato la stessa cosa, perché gli chiese: «Sei ancora immortale?»

«Sì. Sai, non è una cosa che si smette di essere così.» sbuffò Leo, divertito.

«Pensavo esistesse una contro formula. O che qualche dio ti avesse tolto l'immortalità.»

«Non è successo, e non so se è possibile. Al momento, sono ancora immortale.»

Frank lo guardò meglio. «In effetti, non sei affatto cambiato dall'ultima volta che ci siamo visti. A parte che, be', non sei più a fette.»

Leo ricordò i tagli che si era procurato sul petto negli Inferi. «Sì, be', le ferite guariscono.»

Leo spostò lo sguardo su Hazel, che teneva gli occhi puntati sul romano. Forse voleva evitare di guardarlo, per evitare di arrabbiarsi.

«Tra quanto ti dimetteranno?» domandò Leo. I ricordi del fiore di Persefone non facevano altro che spuntargli nella mente. Per Calipso, aveva scelto l'immortalità. Non era amore, questo? E cos'era disposto a fare per Will? Continuare a promettergli che avrebbe lasciato Calipso? Sposare la ninfa? Cosa poteva fare per Will?

«Il dottor Solace mi ha già dimesso.» disse Frank. «Sto solo aspettando l'ultima visita prima dell'uscita.»

«Oh. E tra quanto ti visiteranno?»

«Circa dieci minuti.» disse Hazel. «Verrà Julie. Gli deve controllare le due ferite più gravi e sistemare il bendaggio.»

«Julie? Perché non lo fa Will? O Grant?» domandò Leo, perplesso.

«Perché sono in ferie.» disse Hazel, spostando lo sguardo su di lui. «Da circa venti minuti. Visto che negli ultimi dieci giorni sono stati chiusi qui, ora si sono presi una vacanza. Per fortuna hanno abbastanza fratelli con cui cambiarsi.»

«Oh...» Leo si passò una mano tra i capelli. Will non era più in infermeria. L'aveva mancato di poco. Se solo avesse guardato nella cabina di Apollo prima di lasciare i bambini a Travis...

«Quando uscirò da qui, andrò a fare la doccia.» disse Frank, distogliendo Leo dai suoi pensieri. «Poi spero vi possiate unire a me, per la cena.»

«Certo.» annuì Hazel, sorridendogli. «Ti aspetterò.»

«Io devo andare da Calipso.» disse Leo, imbarazzato da quegli sguardi dolci. «Quindi credo che...»

«Stai ancora con Calipso?» disse Frank, guardandolo felice. «Sono contento, è proprio la donna giusta per te.»

Leo lo guardò in silenzio per qualche secondo. Sì, era la donna giusta, ma forse non la persona adatta per lui.

Quei mille pensieri lo assalirono di nuovo. Will o Calipso? Calipso o Will? Ora il suo nome diceva solo Calipso. Ma quando avrebbe visto Will...

«Penso che Calipso potrà unirsi a noi.» disse Hazel, visto che Leo impiegava troppo tempo a rispondere. «Che ne pensi, Leo?»

Leo guardò l'amica. Gli dispiaceva rovinare l'atmosfera, e Frank sembrava davvero felice di incontrare la ninfa. Annuì solo per far contento il vecchio amico e si domandò, per l'ennesima volta, cosa dovesse fare della sua vita.

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Capitolo 64
*** 82. Una serata tra amici ***


Il primo tuffo al mare toccò a Will. Secondo i suoi fratelli, se lo meritava, visto tutto quello che aveva fatto negli ultimi dieci giorni. L'acqua era bellissima, né troppo fredda, né troppo calda, e non c'era quasi nessuno in spiaggia. Il sole era troppo forte, per gli altri semidei. Ma per i figli del sole era l'ora perfetta, soprattutto dopo aver passato dieci giorni chiusi in infermeria, senza poter mettere il naso fuori dalla struttura.

Will e i fratelli fecero gare di nuoto per ore, finché il sole tramontò. Solo allora decisero di uscire dall'acqua, tutti infreddoliti, e si sedettero sulla sabbia, ridendo e scherzando tra di loro. Will si rese conto di quanto gli piacesse quel momento privato con i suoi fratelli. Ormai loro erano la sua famiglia da anni, ed era bello sapere che, comunque fossero andate le cose, poteva sempre contare sui suoi fratelli semidivini.

«Dovremmo fare una grigliata.» disse Grant, stringendosi così tanto nell'asciugamano da diventare un tutt'uno con esso.

«Purtroppo non abbiamo preparato niente.» notò Hailey, sotterrando i piedi nella sabbia.

«Possiamo andare a prendere un po' di carne in mensa.» disse Kenny, elettrizzato all'idea. Will lo guardò divertito: aveva solo quindici anni, ed era quasi una sua copia. Solo che lui non si era mai elettrizzato tanto al pensiero delle bistecche.

«Oppure potremmo prendere delle pizze.» disse Helen, schioccando le labbra.

«Andare in città?» domandò Nate. «Nella pizzeria con quella bella pupa piena di curve?»

Helen diede un pugno sulla spalla del fratello, che con le mani stava cercando di descrivere le curve della cameriera. Will rise, mentre Grant sogghignava.

«Si chiama Cecile.» disse Grant. «E ha tutto al posto giusto.»

«La conosci?» si stupì Nate.

«Non sei l'unico che esce dal Campo, eh.»

«Non dirmi che ci sei andato al letto!»

«Okay, non te lo dico.»

Will si portò una mano alla bocca mentre Nate si sdraiava sulla sabbia, con l'espressione dolente di chi gli è appena caduto il mondo addosso. Grant fece l'occhiolino a Will, e si alzò in piedi.

«Per me va bene la pizza.» disse, porgendo la mano a Will. «Voi cosa ne dite?»

«Per me va benissimo.» disse Will, accettando la mano del fratello e rimettendosi in piedi. «Direi che ci siamo proprio meritati una serata solo per noi cinque.»

«Io ci sto!» esclamò Hailey. «Così posso sbatterlo in faccia a Julie. Se fosse venuta anche lei, quei giorni in infermeria... ah, non vedo l'ora di vederla incazzarsi!»

«Se fosse venuta anche lei, vi sareste uccise a vicenda.» le fece notare Helen.

«Quindi è meglio se non è venuta.» annuì Will, divertito.

«Non penso sarebbe finita così...» borbottò Hailey.

«Invece sì.» ridacchiò Grant. «Ah, quanto mi mancano i battibecchi con Angel e Rose...»

Will sospirò. Mancavano molto anche a lui. Il giorno dopo avrebbe fatto loro una chiamata con messaggio Iride. Gli mancavano moltissimo.

«Will?» lo chiamò Nate, e Will sollevò gli occhi su di lui. «Vuoi, ehm, invitare anche Connor?»

Will scosse la testa. «Non credo, no.» disse, trattenendo a stento un sospiro. Uscire con Connor significava litigare per gli ultimi giorni passati, e quella sera voleva soltanto divertirsi.

«Ah, okay. Allora faresti meglio a non dirgli niente. Si sta avvicinando.»

Will si girò e scoprì che il fratello aveva ragione. Connor era in avvicinamento, con l'espressione corrucciata. Teneva gli occhi puntati su di lui e Will ebbe l'impulso di voltarsi e tuffarsi in acqua, e nuotare fino all'orizzonte. Helen gli posò la mano sulla schiena, come se gli avesse letto nel pensiero, e forse era davvero così. Dopotutto, i figli di Apollo erano anche veggenti.

«Noi andiamo in cabina.» disse Grant, prima che Connor arrivasse. «Quando riesci, raggiungici. Ti aspettiamo.»

«Grazie.» mormorò Will e i fratelli si allontanarono, facendo un cenno di saluto al figlio di Ermes. Will tentò di asciugarsi i capelli e rabbrividì appena quando il ragazzo fu di fronte a lui.

«Ciao Connor.» lo salutò Will, provando a sorridere. «Non ci vediamo da un sacco!»

Connor lo fissò torvo. Will percepì quanto fosse arrabbiato e sperò di non doversi sorbire una sfuriata lì, in spiaggia, con indosso solo il costume da bagno. Non l'avrebbe sopportato.

«Perché non sei venuto a salutarmi?» disse Connor, e Will trattenne un sospiro. «Sei sparito in infermeria per dieci giorni, e non sei venuto a salutarmi quando sei uscito.»

«Conny, volevo solo riposarmi, è stato stressante...»

«Anche per me è stato stressante non poterti vedere per così tanto tempo! O pensi che mi sia divertito?»

«No, non lo penso, ma...»

«Avrei voluto entrare in infermeria più di una volta per vederti, ma i figli di Ares non me l'hanno permesso.»

«Ti ho spiegato perché non dovevi farlo. C'era questa infezione...»

«Me l'hai detto. Ma mi sarei ammalato pur di stare con te.»

Will scosse la testa. «Non si scherza su queste cose.» sbuffò. «Il mio compito come medico non è incoraggiare un atto del genere, sai? E se tu, consapevole, fossi entrato e ti saresti ammalato, io e i miei fratelli avremmo avuto solo un paziente in più di cui occuparci. Non ci sarebbe stato nessun incontro romantico o chissà che.»

«Volevo solo passare del tempo con te.»

«Bene, da domani possiamo passare del tempo insieme. Ora ho da fare...»

«Dove vai?» domandò Connor, perplesso. «Non possiamo passare la notte insieme?»

«No, ho preso un impegno con i miei fratelli, per questa sera...»

«Non ci posso credere!» Connor lo guardava in cagnesco. «Sei libero dall'infermeria e preferisci uscire con i tuoi fratelli?! Non con il tuo ragazzo?!»

«Conny, davvero. Voglio stare un po' con loro, noi...»

«Noi stiamo ancora insieme? O mi hai lasciato senza dirmelo?»

Will aggrottò la fronte alle sue parole. Quegli ultimi dieci giorni erano stati pesanti, riusciva a sentirne il peso sulle spalle. Il lungo bagno di quella sera non l'aveva cancellato via. E ora che era libero di poter tornare alla sua vita, ecco che Connor lo spiazzava con quelle frasi, creando un litigio non necessario.

«Connor, ne parliamo domani.» borbottò Will, notando un gruppo di ninfe che li osservava da lontano.

«No, ne parliamo adesso! Prima di andare in infermeria non facevi altro che evitarmi, e ora che ne sei uscito, continui!»

«Non ti sto evitando!» esclamò Will. «Voglio solo riposarmi un po', tutto qui.»

«Se ti volessi riposare davvero, verresti in cabina con me, non usciresti con i tuoi fratelli.»

«Sono la mia famiglia.»

«Potrei esserlo anch'io.»

Lo sguardo di Connor lo fece infuriare.

«Non credo.» sibilò il figlio di Apollo, pensando a Leo. «Non credo potrai essere la mia famiglia, se non rispetti i miei spazi e il mio bisogno di stare con i miei fratelli dopo quasi due settimane intense come quelle che ho vissuto. Ora devo andare, mi stanno aspettando.»

Will superò il figlio di Ermes dandogli una spallata, i pensieri un turbine infinito nella mente. Poteva lasciarlo, poteva dirgli di essere stato a letto con Leo e di avere una relazione segreta con lui. Poteva farlo, mettere le cose in chiaro, salutarlo in modo definitivo e non pensarci più. Ma quel gruppo di ninfe... Will era certo che in mezzo a loro ci fosse Calipso, o qualcuna che non avrebbe esitato a dirglielo. E non voleva rovinare il rapporto con Leo se lui ancora non si era deciso a dirle niente.

«Ti aspetto domani in cabina!» gridò Connor e Will annuì. Ne avrebbero riparlato meglio il giorno seguente.

 

Leo e Hazel aspettarono Frank seduti al tavolo 13, lui con le braccia conserte, lei giocherellando con una ciocca di capelli. Avevano provato a chiacchierare, ma la loro ultima litigata bruciava ancora troppo nei pensieri di entrambi. Leo si domandò come avesse potuto l'amica dargli del bugiardo per la sua relazione con Will, quando lei stessa conservava il segreto di Nico Di Angelo da più di tre anni. Perché lì al Campo Mezzosangue la notizia non era girata? Probabilmente i romani non erano così pettegoli come i greci...

Un punto in più per il Campo Giove.

Un mormorio cominciò ad alzarsi tra i semidei e Leo sollevò lo sguardo. Frank era appena entrato in mensa, con lo sguardo imbarazzato mentre numerosi semidei si alzavano e andavano a salutarlo.

Leo aggrottò la fronte: metà di loro non lo conosceva neanche. Come potevano rivolgersi a lui in quel modo così amichevole?

«Hanno fatto così anche con te.» mormorò Hazel, guardando Leo. «Quando sei tornato dopo la battaglia di Gea.»

«Sul serio? Non me lo ricordo.» ammise Leo, fissando il romano che accettava abbracci da sconosciuti e sorrideva alle battute dei figli di Ares.

«Eri con Calipso, per questo non te lo ricordi. Eri così felice con lei.»

Il figlio di Efesto spostò lo sguardo su Hazel. «Le cose cambiano.» disse lui, piano.

«Non proprio, visto che la vuoi sposare il mese prossimo, no?»

Leo la fissò torvo, e spostò lo sguardo su Frank che, lentamente, si stava avvicinando a loro. Delle figlie di Afrodite cominciarono a fargli i complimenti e Frank arrossì talmente tanto che Leo scattò in piedi, pronto per aiutarlo.

«Non c'è niente da vedere.» disse Leo, afferrando l'amico per il braccio e scortandolo verso il tavolo 13. «A parte i muscoli, i venti centimetri di altezza in più e quella cicatrice sexy sulla guancia.»

Le figlie di Afrodite ridacchiarono ma non appena Frank si sedette di fronte ad Hazel, la folla evaporò. Leo riusciva a sentire ancora dei chiacchierii, e immaginò di non essere l'unico a fare il tifo per la coppia che aveva vicino.

«Sembri una persona diversa.» disse Leo, osservando l'amico.

«Per la doccia?» domandò Frank, curioso.

«Anche. Non hai più quell'odore di morte addosso...»

«Questa frase me l'avrebbe detta Nico.» Frank guardò Hazel. «Tuo fratello è al Campo Giove?»

«Non ne ho idea.» ammise Hazel, ignorando l'occhiata di Leo. «Non lo sento più da un po'.»

«Oh.»

Frank si guardò le mani, imbarazzato, e Hazel si alzò in piedi. «Vado a prendere da mangiare per tutti.» disse, allontanandosi dal tavolo.

«Nico è in viaggio.» disse Leo al romano. Non capì perché disse quelle parole, forse per colmare il vuoto del figlio di Ade, almeno a parole. «Non sempre Hazel sa dove si trova. E, be', Nico non sempre risponde.»

«Capisco. Be', l'importante è che non sia sparito nel nulla.»

Leo si mordicchiò la lingua e spostò lo sguardo su Hazel, che stava riempiendo i vassoi. Era strano, ma le persone che circondavano la figlia di Plutone sparivano. Almeno Frank era tornato, e forse un giorno sarebbe tornato anche Nico da lei.

«Ricordi qualcosa?» domandò Leo a Frank,

«No.» sospirò Frank. «Me l'hanno chiesto anche i greci in cabina, mentre ero sotto la doccia. Non ricordo ancora niente.»

«Forse i figli di Ipno possono aiutarti a ricordare. Avranno qualche pozione che fa effetto durante la notte...»

«In verità, Leo, ora non voglio ricordare. Voglio... provare a salvare il rapporto che c'è tra me e Hazel. Voglio provare a fare tutto il possibile, e immagino che avere gli incubi sui miei ultimi dieci anni potrebbe non aiutarmi molto.»

«Giusta osservazione.» mormorò Leo, abbozzando un sorriso. «Sai, Hazel è stata meravigliosa in questi anni.»

Frank gli lanciò un'occhiata. «Davvero?»

«Già. Non ha fatto altro che aspettarti, sicura che un giorno saresti tornato da lei.»

Il romano rimase in silenzio, e Leo distolse lo sguardo quando notò i suoi occhi lucidi.

«Era sempre disponibile a fare due chiacchiere o aiutare qualcuno in difficoltà.» continuò Leo, mentre Hazel tornava verso di loro, in compagnia di una figlia di Ecate che le portava un vassoio. «È rimasta la stessa, solo più combattiva. Per questo non ti dirò che, se la lascerai di nuovo, ti picchierò, perché ora è più che capace di prenderti a calci in culo da sola.»

«Non ho intenzione di lasciarla.» disse Frank, piano, con un lieve sorriso sulle labbra al pensiero di Hazel intenta a picchiarla. «Non lo farò mai più.»

Leo gli diede un colpetto sulla spalla, e sorrise quando Hazel si fermò davanti a loro. Posò i vassoi sul tavolo, ringraziò la figlia di Ecate per l'aiuto e si sedette di fronte a Frank, che la guardava con amore. Hazel ricambiò lo sguardo e Leo abbassò il suo sul vassoio pieno di pizza. Pensò a Calipso, chiedendosi se l'avesse mai guardata così, e non ebbe il tempo di pensare a Will, perché la ninfa comparve davanti ai suoi occhi.

«Ciao ragazzi.» salutò Calipso, sorridendo ad Hazel e Leo, puntando lo sguardo sul figlio di Marte. «Frank Zhang... santo cielo, quanto tempo.»

«Calipso!» esclamò Frank, balzando in piedi, osservandola. «Wow, sei... sei come... sei.»

«Sei come sei.» ripeté Leo, divertito, mentre Calipso e Hazel si mettevano a ridere. «Bel complimento.»

Frank arrossì. «Intendevo... sei rimasta uguale a prima.» borbottò.

«Ti ringrazio.» Calipso si affrettò ad abbracciare il romano per sviarlo dall'imbarazzo e si sedette affianco ad Hazel, con un grosso sorriso sulle labbra. «Sono contenta che mi ricordi così, nonostante siano passati dieci anni e la gravidanza.»

«Gravidanza?» ripeté Frank, sorpreso, spostando lo sguardo da Leo alla ninfa. «Avete un figlio?»

«Dopo questa settimana, potrei dire di averne due.» scherzò Calipso, riferendosi a Bryan. «E il secondo non ho dovuto nemmeno partorirlo.»

«Si chiama James.» disse Leo. «Ha compiuto sette anni qualche settimana fa.»

«Oh! Non riesco a crederci!»

«Dov'è, a proposito?» domandò Calipso. «Non li vedo.»

«Li ho lasciati a Travis. Era da un po' che non vedevano Lily.»

«Oh, giusto. Be', direi di organizzare qualche pigiama party per loro, nei prossimi giorni.»

«Cal, prendi il mio vassoio.» disse Leo, spingendole il vassoio davanti. «Vado a prenderne un altro.»

«Grazie amore.»

Il sorriso di Calipso e lo sguardo di Hazel lo mettevano in imbarazzo. Perché si era seduto proprio accanto a Frank? Si alzò in piedi, provando a impiegarci più tempo possibile per prendere la cena, ma dopo due minuti era di nuovo seduto al suo posto, ascoltando Calipso parlare della sua giornata di lavoro. Hazel la ascoltava interessata, mentre Frank mangiava un pezzo di pizza alla volta, come se temesse il sapore o semplicemente non volesse ingozzarsi. Leo si domandò distrattamente cosa gli avessero dato in infermeria in quei giorni.

«Ho visto Will, sulla spiaggia.»

Le parole di Calipso quasi bloccarono il figlio di Efesto, che si sforzò di mangiare nella più totale differenza.

«Il dottor Solace si è preso una settimana di vacanza.» disse Frank, felice di poter dire qualcosa che sapeva. «Lui e i suoi fratelli che erano in infermeria con me.»

«Capisco.» annuì Calipso, dando un morso alla pizza. «Non ho visto i suoi fratelli, però, solo Connor Stoll.»

«Oh.» disse Hazel.

«Stavano litigando.» aggiunse Calipso, e Leo capì perché Hazel non diffondeva la notizia di Nico. Se l'avesse detto, nel giro di due minuti lo avrebbe saputo tutto il Campo Mezzosangue. «Will è andato via da solo, e Connor è rimasto sulla spiaggia. Era così arrabbiato... avrei voluto sapere cosa si sono detti.»

«Perché Solace dovrebbe litigare con Stoll?» domandò Frank, perplesso, guardando Hazel. «Il dottore ha fatto qualcosa di sbagliato?»

«Immagino che passare dieci giorni in infermeria lontano dal suo ragazzo, abbiano contribuito questa rabbia repressa di Connor.» spiegò Hazel, prima che Leo potesse aprire bocca.

Frank aggrottò la fronte, e Leo gli lanciò un'occhiata divertita. Intuì che Frank avesse capito quando lo vide sgranare gli occhi.

«Oh!» esclamò il romano. «Oh! Il tuo migliore amico è...»

«È Will.» concluse per lui Hazel. «Il mio migliore amico è Will. Non c'è nient'altro da aggiungere, Frank.»

Il figlio di Marte annuì, e Leo immaginò che fosse più contento. Chiunque vedesse Will e Hazel insieme poteva fraintendere il loro rapporto, e ora che aveva la certezza che Will non fosse minimamente interessato ad Hazel, Frank di certo ne era più felice.

«Dopo voglio vedere James.» disse Frank, guardando Leo. «Ti somiglia?»

«Come due gocce d'acqua.» sospirò Calipso, rispondendo per l'altro.

«Santi dei, sarà difficile stare dietro ad entrambi.»

«Il bambino non mi preoccupa, ma quello più piccolo sì.»

Frank rise, e Leo guardò la futura moglie. «Questo era un insulto?» domandò, ignorando le risatine.

«No, no, certo che no...» mormorò lei, divertita.

 

Quando finirono di cenare, continuando a parlare di argomenti allegri, i quattro si avviarono verso la cabina di Demetra. Travis non c'era, ma trovarono Kate e Miranda insieme ai bambini, che si lasciarono convincere facilmente a fare una passeggiata sulla spiaggia prima di mettersi a dormire. Si aggiunse anche Lily, e Bryan era diventato ormai di famiglia che andare via senza di lui era impossibile per Leo.

Frank guardò James per tutto il tragitto, facendo i complimenti ai genitori per come fosse beneducato e simile a loro. James guardò il padre un po' imbarazzato e Leo sogghignò: se James avesse continuato a comportarsi da angioletto di fronte a Frank, forse un giorno il figlio di Marte si sarebbe fatto convincere a prenderlo per un giro al parco, lasciando i genitori da soli.

Passeggiarono sulla spiaggia per più di un'ora, sgridando i bambini quando si avvicinavano troppo all'acqua. Bryan sembrava tentato di tuffarsi in acqua, e Leo si maledì per non averci pensato. Bryan era rimasto lontano dall'acqua quanto i fratelli maggiori, era normale che non vedesse l'ora di farsi un tuffo. Gli promise che lo avrebbe portati in spiaggia il giorno dopo e sorrise alla vista del bambino euforico per quella promessa.

Quando James e Lily cominciarono a dare segni di cedimento, Frank non si fece problemi a prenderli in braccio entrambi e accompagnarli a casa. Sembravano così leggeri tra le sue braccia. Bryan sembrava un po' infastidito dalla presenza di Frank, e Leo immaginò che fosse per via della sua cotta per Hazel. Non poteva più flirtare con la ragazza, se era tornato il suo grosso fidanzato. Leo si ritrovò a ridere al pensiero.

Mentre Frank lasciava Lily a Kate, Bryan si illuminò guardando verso l'entrata del Campo. Leo provò a guardare in quella direzione, ma il grido del bambino lo fece sussultare.

«Will!»

Bryan scattò in direzione del fratello maggiore e Leo incrociò vari occhi azzurri e verdi dei figli di Apollo. Dovevano essere tornati in quel momento da fuori del Campo. Grant era piuttosto ubriaco e si reggeva a Helen, che cercava di camminare dritta. Hailey ridacchiava e Will si piegò per prendere il fratellino in braccio.

«Come state? Dove siete andati? Dov'è Nate?» domandò Bryan, stringendosi a Will.

«Abbiamo mangiato la pizza.» spiegò Will, con voce un po' strascicata. Doveva aver bevuto. «E Nate... ehm, è rimasto con un'amica.»

Hailey ridacchiò mentre Grant borbottava di avere il cuore a pezzi per quell'oltraggio.

Leo cercò di non guardare troppo Will, ma non ci riuscì. Il figlio di Apollo sembrava aver catturato tutta la luce della strada. Nonostante le guance arrossate, era comunque il più bel ragazzo che Leo avesse mai visto. Doveva puzzare di birra, perché Bryan sciolse in fretta l'abbraccio e raggiunse Hazel.

«Ehi.» Will sorrise ad Hazel. «Dov'è Frank?»

Hazel indicò il romano con un cenno della mano. Frank stava cercando di non far cadere James, e si avvicinò alla figlia di Plutone. Will sorrise nel vederli e il suo sguardo si spostò prima su Calipso e infine su Leo.

Leo sentì una stretta allo stomaco nell'incrociare quegli occhi chiari. Una parte di lui voleva correre e abbracciarlo proprio come aveva fatto Bryan, ma non si mosse. Rimase al fianco di Calipso, e si domandò se non gli avesse fatto capire la sua scelta in quel modo, senza fare niente per fargli capire che gli fosse mancato.

«Cal, Leo, grazie per esservi occupati di Bryan in questi giorni.» disse Will.

«Ma figurati, Will. Avevi più che da fare in infermeria.» disse Calipso, sorridendogli.

«Ah, sono contento che qualcuno lo capisca...» borbottò il figlio di Apollo, poi prese Hailey per mano. «Può restare da voi ancora... questa sera?»

«Sì.» dissero Bryan e Leo nello stesso momento.

«Non c'è alcun problema.» aggiunse Leo.

«Voi riprendetevi dalla sbronza, mi raccomando.» disse Calipso, trattenendo una risatina.

Will annuì, divertito, e si diresse con i fratelli alla cabina 7. Leo non li seguì con lo sguardo, si concentrò su James tra le braccia di Frank. Voleva rilasciare il fiato che stava trattenendo da qualche secondo, ma non osò, non con Calipso così vicina.

«Andiamo anche noi.» disse Hazel, e Frank tese James al padre, che lo prese senza una parola. «È tardi, e sono certa che Frank sia troppo cortese per poterlo dire.»

«Mh...» borbottò il figlio di Marte, arrossendo.

«Ci vediamo domani.» disse Calipso, abbracciando l'amica, mentre Leo si limitava ad un cenno con la mano.

«Certo.» annuì Hazel, stringendola a sua volta e dando le spalle a Leo. «Ci vediamo domani.»

Leo e Calipso si diressero verso la loro casa nel bosco, seguiti da Bryan che sbadigliava. Di tanto in tanto punzecchiava l'amico sul fianco, con la speranza che si svegliasse, ma James aveva il sonno pesante quasi quanto quello del padre. Bryan li precedette per la strada, e Calipso lo tenne d'occhio.

«Sai, potremmo adottarlo.» disse lei, quando il bambino fu piuttosto lontano.

Leo aggrottò la fronte. «Come, scusa?»

«Potremmo adottare Bryan. È sempre a casa nostra, va d'accordo con James...»

«Avevo capito che volessi un figlio nostro.»

«E lo voglio, certo.» annuì Calipso, guardando il futuro marito negli occhi. «Ma... be', credo di essermi un po' affezionata a quel ragazzino.»

Leo spostò lo sguardo su Bryan, che saltellava a pochi passi da loro. Pensò a James, avrebbe fatto i salti di gioia nello scoprire che volessero adottarli. E notò che anche lui si era piuttosto affezionato al bambino.

«Will e i fratelli potrebbero vederlo quando vogliono.» continuò Calipso. «Ma... be', almeno avrebbe dei genitori.»

«Lo dirò a Will.» disse Leo. «E ti farò sapere cosa mi dirà a proposito.»

Calipso sorrise e gli passò un braccio attorno alla schiena. Leo le schioccò un bacio sulla guancia, sorridendole. Era felice che la maga facesse quel genere di progetti, e immaginò che la loro vita insieme sarebbe stata meravigliosa.

Se solo non avesse pensato a Will.

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Capitolo 65
*** 83. Ti sto evitando ***


«Volete andare al Campo Giove?»

Hazel annuì, torcendosi le dita, osservando il suo migliore amico. Aveva impiegato quasi un'ora a trovarlo, nascosto in un angolo della spiaggia dove quasi nessuno vi si addentrava. Doveva essersi nascosto per evitare Connor, oppure per evitare di essere chiamato dai fratelli in infermeria.

«Frank pensa che sia la cosa giusta.» disse Hazel. «Insomma, è partito da lì. Spera che entrando nel Campo, possa ricordare qualcosa di questi dieci anni di vuoto. E poi... vuole controllare se gli altri suoi fratelli sono lì. Sono partiti in sette, dopotutto.»

Will annuì, passandosi una mano tra i capelli. Capiva benissimo il desiderio di Frank di tornare a casa, di rivedere i suoi fratelli, i suoi amici. E capiva anche il motivo per cui Hazel volesse seguirlo. Nemmeno lui lo avrebbe più lasciato andare.

«Okay, d'accordo. Prima di partire, deve passare in infermeria. Gli cambiamo la medicazione e poi è libero di andare. A patto che...»

«Che si farà visitare dai dottori del Campo Giove, lo so.» annuì Hazel, trattenendo un sorriso. «Lo porterò personalmente in ospedale.»

«Ottimo.»

Will le sorrise e la guardò. «Mi mancherai moltissimo.» le disse, serio.

«Lo so. Al momento vogliamo solo andare al Campo Giove per trovare i suoi fratelli e i nostri amici, ma non escludo che... be', che ci prenderemo un po' di tempo per noi.» ammise Hazel.

«Hai intenzione di perdonarlo?»

«Sì. Non ricorda cosa ha fatto, quindi immagino che siano stati gli dei a cancellargli i ricordi. Non vorranno far sapere cos'è successo. E se non ricorda cosa ha fatto, è anche possibile che sia stato trattenuto contro la sua volontà.»

«E poi non vuoi non ammettere che trovartelo davanti, in fin di vita, con solo te in testa, non abbia contribuito.»

Hazel arrossì. «Potrebbe, in effetti.»

Will le prese le mani tra le sue, stringendole forte. «Sei sicura che sia la scelta migliore per te?»

«Sì, Will. L'altra sera, quando tu eri ubriaco, io e Frank abbiamo parlato molto. Lui vuole sposarmi, ma capisce che per me è stata dura senza di lui. Non vuole mettermi fretta.»

«Se non voleva metterti fretta, poteva evitare quella penosa proposta...»

«Gliel'ho detto!» ridacchiò Hazel. «Gli ho detto che dovrà fare di meglio, per avere un mio sì. E lui mi ha guardato in un modo... sono certa che la prossima proposta sarà migliore.»

«Non ci vorrà molto, eh...»

«E io dirò di sì. Santi dei, Will, gli dirò di sì.»

Will abbracciò l'amica, che sembrava sul punto di piangere. La strinse forte, pensando a quanto dolore si fosse portata dentro nel corso di quegli anni, senza sapere se Frank fosse vivo o meno. Doveva essere snervante, andare a dormire tutti i giorni per dieci anni senza avere delle risposte. La sentì singhiozzare sulla sua spalla e sorrise dolcemente.

«Grazie, Will...»

Will sciolse l'abbraccio e guardò l'amica con curiosità. «Grazie? Di cosa? Di essere stato un amico così buono con te? Per farti da testimone di nozze? Perché sai, io sarò il tuo testimone di nozze, nessun altro. Soprattutto nessun fratello che possa vantare legami di sangue.»

Hazel rise. «Stai tranquillo, quel posto è tuo. E tu sei come un fratello per me.»

Will fu felice di sentirglielo dire. La guardò con amore, pensando a tutto quello che avevano vissuto insieme. La convivenza, i viaggi, le chiacchierate notturne... e tutti quei segreti non confessati.

«Will, tu cosa farai, adesso?» domandò Hazel, asciugandosi la guancia. Aveva iniziato a piangere senza rendersene conto.

«Credo che continuerò a prendere il sole.» disse Will, alzando le spalle. «E farò un po' di surf. Nate voleva fare un giro con la vela, però non saprei, nessuno di noi sa guidare una barca...»

«Will, non intendo questo.»

Will si interruppe e guardò l'amica. «Lo so.» disse. «Solo che è più facile rispondere a questa domanda, piuttosto che all'altra.»

Hazel sospirò.

«Non ne ho idea.» disse Will, passandosi una mano tra i capelli. «Sono tre giorni che Leo non mi cerca, e non risponde ai miei messaggi. Penso abbia bloccato la mia chat. Sono anche andato nel bunker 9, ma non l'ho trovato.»

Hazel lo osservò attentamente. «Magari ha scelto... Calipso.»

Will guardò il mare, sentendo un vuoto nel petto. «Va bene.» annuì, piano. «Per me va bene se sceglie Calipso. Se sarà felice. Dico davvero. Solo che... be', potrebbe dirmelo. Se dice di amarmi, potrebbe anche dirmi le cose come stanno, non ti pare?»

«A te andrebbe davvero bene se non scegliesse te?»

«Io... no, Hazel. Non mi andrebbe bene se scegliesse lei. Però... potrei capirlo, o almeno sforzarmi di farlo. Loro sono immortali, io no. Io morirò, un giorno, magari tra una trentina d'anni. Ma se non ha il coraggio di dirmi niente...»

Will si interruppe, non sapendo cosa dire. In quei tre giorni senza notizie da parte di Leo, aveva immaginato ogni possibilità del figlio di Efesto. Leo poteva sceglierlo oppure scegliere Calipso. Ma anche se la scelta sembrava così semplice, una volta fatta si sarebbero trovati di fronte altre possibilità.

«Ho pensato molto a noi.» ammise Will, mordicchiandosi il labbro. «Mentre ero in infermeria. Sai, volevo stare con Connor perché con lui posso fare le cose alla luce del giorno, ma non me ne fregherebbe nulla di lui se Leo mi scegliesse. E non voglio lasciare Connor perché ho paura di rimanere da solo. So che potrei trovarmi un altro ragazzo, ma... non voglio. Voglio Leo. Forse avrei dovuto parlargli quando mi ha parlato del matrimonio la prima volta. Avrei dovuto combattere per lui, dirgli che secondo me stava facendo una cazzata. Ora... forse è tardi.»

«Non è tardi.» disse Hazel, posando la mano sulla sua. «Finché non avrà l'anello al dito, non sarà tardi.»

«L'unica cosa che mi rincuora è che ha deciso di aspettare che sua sorella partorisca, prima di sposarsi. Immagino che abbia un po' sperato che non succedesse. Ma ormai Nina è agli sgoccioli, manca circa una settimana allo scadere del suo tempo. E poi provvederò a fare un Cesareo.»

«Dovresti parlare con Leo...»

«Ho già parlato con Leo. Mi ha detto che non poteva lasciare Calipso così, su due piedi. Che aveva bisogno di tempo. Ma sono passate due settimane da allora, quasi tre. Io...»

«Come va con Connor?» domandò Hazel, curiosa.

«Va male.» Will sospirò. «Mi sono nascosto qui per evitarlo. Quella sera che sono uscito con i miei fratelli, ho litigato con Connor. Dovevamo parlarne il giorno dopo, ma... con la scusa della sbronza, mi sono evitato quella conversazione. E ora... santi dei, mi nascondo come un ragazzino che ha rotto un soprammobile ai genitori.»

«Ah, quindi sei qui per questo...»

«Già. Non so come faccio a piacere a qualcuno, visto come affronto la mia vita incasinata. Non sono per niente maturo. Forse dovrei venire al Campo Giove con te, e iniziare una nuova vita tra i romani.»

«Secondo me, non è necessario che tu inizi una nuova vita.» sorrise Hazel. «Dovresti lasciare Connor, e Leo, e restare un po' da solo.»

Will la guardò. «Come, scusa?»

«Dovresti restare un po' da solo. Sei mai stato solo?»

Il figlio di Apollo ripensò alle sue relazioni. «Be', sì.»

«No, intendo... sei mai stato solo a lungo?»

«A lungo? Intendi... per dieci anni?»

Hazel gli tirò un pugno non molto amichevole sulla spalla. Will evitò di gridare perché sentiva degli schiamazzi sulla spiaggia, e voleva evitare di attirare l'attenzione su di sé.

«Non per dieci anni, idiota.» borbottò Hazel. «Intendo... per un po'. Magari qualche anno...»

«Be'...»

«...senza però avere rapporti di nessun genere con nessuno!»

Will si zittì. «Allora no.»

«Secondo me dovresti stare un po' da solo, e capire cosa vuoi da una relazione amorosa.»

«So già cosa voglio, Hazel. Voglio qualcuno che mi ami, con il quale sposarmi e invecchiare, e a cui non dispiaccia poter adottare un paio di marmocchi.»

Hazel alzò gli occhi al cielo. «Allora, se sai già cosa stai cercando... Leo rispecchia queste tue intenzioni? Oppure Connor? Perché sei stai con qualcuno che non la pensa come te sui bambini o sul matrimonio, è inutile starci insieme, no?»

«Sai, Haz, non c'è giorno in cui non mi pento di non essere etero. Perché altrimenti ti avrei già sposato...»

La figlia di Plutone arrossì, ma scoppiò a ridere. «Ti avrei lasciato non appena avessi rivisto Frank.» gli disse.

«Forse, oppure te l'avrei fatto dimenticare.»

«Improbabile. Quando due persone sono fatte per stare insieme, nulla può dividerle.»

Will la guardò, un po' divertito, un po' con il cuore a pezzi. Hazel sembrava raggiante, ormai, da quando Frank era riapparso nella sua vita. E i suoi ragionamenti non facevano una piega.

«Devo parlare con Connor.» sospirò Will. «E vedere un po' cosa vuole fare Leo.»

Hazel annuì, spostando lo sguardo sul mare. Will la osservò per un attimo, chiedendosi se lei sapesse qualcosa su Leo. Dopotutto, gli aveva detto di aver passato con lui quella settimana, con lui e Calipso. Si era limitata a dirgli che con i due amici si era trovata bene, che James era entrato in bagno mentre lei si trovava sotto la doccia e che doveva aver visto più di quanto avesse ammesso con il padre. Chissà cosa aveva deciso di non dirgli...

Will deglutì. Immaginò cosa Hazel avesse deciso di tenersi per sé, e non seppe se esserne arrabbiato, geloso o se, semplicemente, dovesse far finta di niente. Leo non gli aveva mai detto che avrebbe smesso di avere una relazione fisica con Calipso.

Will si passò una mano sul viso. Santo cielo, faceva davvero schifo. Una parte di lui ebbe l'impulso di alzarsi, cercare Leo e chiedergli di mettere bene in chiaro la loro situazione. Non poteva più continuare in quel modo. Doveva capire quali fossero le vere intenzioni del figlio di Efesto. Il matrimonio era stato programmato, dopotutto. Cosa voleva fare? Ma non si alzò, rimase lì, seduto sulla sabbia, con la paura di poter perdere il ragazzo di fuoco se avesse aperto bocca.

«Will, ti devo parlare di una cosa.» mormorò Hazel, passandosi le dita sui jeans. Teneva gli occhi puntati sulla gamba di Will, su una delle sue vecchie cicatrici. Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.

«Sei già incinta?» scherzò Will, guardandola divertito. «Dopo tre giorni?»

«No! E non credo capiterà prima del matrimonio...»

«Oh cielo.» sospirò Will. «Povero Frank.»

Hazel arrossì appena e alzò lo sguardo su una delle rocce che dividevano quella parte di spiaggia all'altra. Riusciva a sentire gli schiamazzi e le urla degli altri semidei. Qualcuno doveva essere appena finito in acqua contro la sua volta, a sentire le grida e le imprecazioni.

«Si tratta di Nico.»

Will rabbrividì e guardò l'amica. Una strana sensazione gli si allargò nel petto e cercò di scacciarla via. Non poteva essere morto, Hazel gliene avrebbe parlato tempo prima. Non poteva avergli nascosto una cosa del genere.

«Ecco, lui mi ha fatto promettere di non dire niente, per questo ho dovuto tenertelo nascosto.» continuò Hazel, giocherellando con una ciocca di capelli. «Quindi, non ti arrabbiare...»

«Haz, non dire niente.»

Hazel strabuzzò gli occhi e sollevò lo sguardo su Will, che sorrideva, un sorriso triste. «Non vuoi sapere cosa ti ho tenuto nascosto?» chiese, perplessa.

«In realtà, no. Capisco che, come sua sorella, tu sia stata costretta a mantenere dei segreti di Nico, ma... no, non li voglio sapere.»

«Ma...»

«Ti ha fatto promettere di non dire niente. È cambiato qualcosa da allora?»

«No, ma...»

«Allora non dirlo. Non voglio saperlo. La questione Nico... ormai è chiusa, lontana. Gli ho scritto quel messaggio l'altra volta, ma perché ero ubriaco. Spero stia bene.»

Hazel si mordicchiò il labbro. «Mh...»

«Sta bene? Non volevi dirmi che è morto, vero?» aggiunse in fretta Will, fissandola.

«No, no, figurati. Non te l'avrei detto di certo in questo modo.»

«Bene.»

Will tornò a guardare il mare. Per tanti anni aveva sperato di avere una relazione con Nico Di Angelo. Aveva davvero sperato che il suo amore potesse essere ricambiato. Ma non era così. Forse, in un'altra vita, Nico aveva friendzonato Percy Jackson per mettersi con lui. Non poteva che essere felice per quell'altro Will. Doveva concentrarsi sul presente, su quella realtà. Era innamorato di Leo, e ora...

«Will!»

Nel sentire il suo nome urlato, Will si nascose meglio dietro le rocce, chiedendosi se i suoi capelli lo avessero tradito. Provò ad appiattirli, ma senza successo.

«Will! Sei qui?»

Will spostò lo sguardo su Hazel, che si strinse nelle spalle. «Non ho detto a nessuno dov'eri.» lo rassicurò Hazel.

«Be', non ne hai avuto il tempo...» borbottò Will, alzandosi in piedi, togliendosi via la sabbia dalle gambe.

«Eccoti, Will!»

Will riconobbe la voce di sua sorella Julie. Sembrava troppo sconvolta per essersi resa conto di aver trovato uno dei posti segreti del fratello maggiore.

«Che succede, Jules?» domandò Will, osservandola. «Non sei di turno in infermeria?»

«Arrivo da lì, infatti.» Julie si passò una mano tra i capelli. «La figlia di Efesto... sta per partorire. Le si sono rotte le acque.»

Will sussultò. «Nina?»

«Ce ne sono altre?» domandò la sorella, perplessa.

Will si voltò a guardare Hazel. «Haz, devo andare.»

La figlia di Plutone annuì. «Vai. Avviso io Leo, se riesco a trovarlo in tempo.»

«Va bene. Haz... ci vediamo dopo.»

La ragazza annuì. Will afferrò la maglietta e si mise a correre verso l'infermeria, trattenendo un sorriso. Nina doveva essere felice di partorire. Almeno avrebbe evitato un'operazione... E poteva considerarsi felice anche lui.

Ma allora cos'era quel peso sullo stomaco?

 

Mentre Will correva in infermeria con la sorella al seguito, Leo si trovava nel campo di fragole, intento ad infilarsene il più possibile in bocca. James l'aveva sfidato pochi minuti prima, e Leo aveva accettato la sfida. Bryan era lì con loro, a fare da giudice, con una smorfia disgustata sul viso.

«Otto.» disse il figlio di Apollo, lanciando una rapida occhiata all'amico. «Jam, sei tutto rosso, tutto okay?»

James emise un suono con la bocca che Bryan prese per un sì, sperando che l'amico avrebbe detto qualcosa in più nel caso una fragola gli fosse andata di traverso. Guardò Leo, che stava per infilarsi in bocca la nona, e sospirò.

«Non potreste fare qualche altro gioco?» domandò Bryan, mentre affianco a lui James si affrettava a prendere la nona fragola. «Tipo una partita a basket? O a pallavolo?»

Leo scosse la testa, evitando di parlare per non ingoiare una fragola intera. Infilò la nona in bocca, sotto lo sguardo disgustato del biondino, che si voltò verso James, in tempo per vedere l'amico fare la stessa cosa.

«Sapete, mi state facendo venire il disgusto per le fragole.» disse Bryan, tetro. «E per il cibo in generale.»

Leo rise, o almeno ci provò. La battuta di Bryan lo fece sorridere e, così facendo, sentì scivolare una fragola in gola. Ebbe appena il tempo di rendersi conto che stava soffocando, prima che Bryan lo colpisse alla schiena così forte da fargli rigettare tutte le fragole.

«Perfetto, è finita.» sospirò Bryan, continuando a dare dei colpetti sulla schiena del figlio di Efesto. «James, hai vinto. Tuo padre le ha vomitate.»

James alzò un braccio al cielo, e si affrettò a tirare fuori qualche fragola, masticando le altre. Leo continuò a tossire, asciugandosi i lati degli occhi e scoccando a Bryan un'occhiataccia.

«Sono sicuro che non si salva così, qualcuno che sta soffocando.» borbottò. Gli faceva ancora male la schiena.

«Sì, be', prego.» sbuffò in risposta Bryan, scoccandogli la stessa occhiataccia. In quello sguardo Leo vide così tanto di Will, e di Apollo, che non riuscì a replicare.

«Credo che andrò in spiaggia.» aggiunse Bryan, alzandosi in piedi, stiracchiandosi.

«Vengo anch'io.» disse James, finendo di ingoiare le ultime fragole.

«Mh, prima che tu possa fare il bagno, sarà passata mezza giornata!»

«Allora andiamo nella tua stanza, facciamo qualcosa!»

Bryan annuì, non molto convinto. James si alzò, dando un leggero abbraccio al padre prima di mettersi a correre con l'amico in direzione delle cabine. Leo afferrò una fragola, osservando il figlio con l'accenno di un sorriso. Era diventato abbastanza grande da non chiedergli nemmeno più il permesso, prima di fare qualcosa.

Leo rimase nel campo di fragole, a godersi il fresco della giornata. Quel giorno aveva saltato il suo lavoro in fucina per passare un po' di tempo con i ragazzi, e loro se n'erano andati senza nemmeno chiedergli cosa volesse fare. Dopotutto erano bambini, ed erano così uniti che un po' lo spaventavano. Erano più che amici, fratelli in tutto per tutto. Forse la decisione di Calipso non era così sbagliata. Forse...

«Valdez!»

Leo sussultò e sollevò lo sguardo. Riconobbe Hazel, i suoi capelli ricci che sembravano volare alle sue spalle. Aveva il volto arrossato e una strana luce negli occhi.

«Haz, tutto okay?» domandò Leo, balzando in piedi. L'espressione dell'amica lo fece preoccupare. «È successo qualcosa ai bambini? A Cal?»

Hazel scosse la testa, portandosi una mano sul fianco. Aveva passato gli ultimi minuti a correre da una parte all'altra del Campo Mezzosangue, alla ricerca di Leo. Se non avesse visto James e Bryan spuntare dal campo di fragole, probabilmente avrebbe continuato a correre in direzione del Bunker 9.

«Nina.» disse infine Hazel, quando trovò un po' di fiato. Doveva rimettersi in forma, al Campo Giove. «Infermeria. Bambino.»

Leo la guardò, confuso. «Nina è in infermeria con un bambino?» disse. «Il bambino di chi?»

Hazel gli scoccò un'occhiataccia e Leo capì.

«Oh santi dei!» esclamò il figlio di Efesto. «Nina sta partorendo!»

«Io ti raggiungo...» borbottò Hazel, mentre Leo partiva di corsa verso l'infermeria. Il cuore gli batteva così forte che temette di vederlo schizzare via dal petto. Si chiese perché fosse così agitato, non era figlio suo dopotutto. Ma forse era solo felice per la sorella, che finalmente avrebbe potuto tenere in braccio il suo pargoletto.

E forse era anche leggermente spaventato.

Pensò a Calipso. Avevano già fissato la data del matrimonio, e spedito gli inviti. Quindi, forse... ma no, anche se Nina stava partorendo in anticipo, Calipso non avrebbe voluto avvicinare la data delle nozze. Avrebbe...

Leo si fermò. Quel pensiero, la possibilità che Calipso volesse anticipare le nozze di un paio di settimane, lo atterriva, ma al tempo stesso lo tranquillizzava. Prima si fosse messo l'anello al dito, meglio sarebbe stato per tutti.

Però... ancora non riusciva a capire cosa volesse. Voleva Calipso, voleva Will... non poteva avere entrambi.

«Leo!»

La voce di Calipso gli fece alzare lo sguardo. La ninfa lo stava chiamando dall'infermeria. Sembrava agitata, forse entusiasta. Leo si affrettò a raggiungerla, dandole un bacio a stampo.

«Sai di fragole.» notò lei, divertita.

«Credo di averne mangiate fin troppe, con James.» mormorò Leo, imbarazzato.

Cal alzò gli occhi al cielo. «Ora capisco perché si teneva la pancia mentre entrava nella cabina 7.»

Leo si trattenne appena dal ridacchiare. Si domandò se Bryan avesse qualcosa per il mal di pancia, nella sua cabina, e immaginò di sì. Dovevano essere attrezzati quanto l'infermeria, lì dentro.

«Hai saputo di Nina?» domandò Calipso.

«Ho altri motivi per correre verso l'infermeria?» chiese Leo, abbozzando un sorriso.

«Magari avevi mal di pancia anche tu.»

Leo ignorò la presa in giro e guardò l'infermeria. Alcuni dei suoi fratelli erano lì, tutti in attesa di avere notizie di Nina.

«Non possiamo entrare?» domandò Leo, perplesso.

«Già. I figli di Apollo non vogliono nessuno di voi, dentro. Credo che Nina si sia fatta sentire, nonostante il parto.»

«È ingiusto!»

«Se tu fossi nei suoi panni, vorresti le tue dozzine di fratelli intenti a guardare e a fare gli scemi?»

Leo rabbrividì. «Okay, no. Non li vorrei. Nemmeno fuori dall'infermeria.»

Calipso ridacchiò.

In quel momento Hazel si avvicinò a loro, posando una mano sulla spalla di Leo, che la guardò divertita.

«Ti sei ripresa?»

«Abbastanza per venire fino a qui.» sospirò Hazel, osservando la piccola folla che si era creata. «Non fanno entrare nessuno?»

«Già.» Calipso sorrise. «Ma sono certa che Will ti farà entrare.»

«Forse sì, ma non voglio farlo. Nina ha già abbastanza pensieri al momento.»

Leo annuì, divertito, e guardò la porta dell'infermeria, pensando alla sorella. Avendo assistito al parto di Calipso, non gli era difficile immaginare cosa stesse succedendo. Si chiese se Butch avrebbe resistito fino alla fine o se fosse già svenuto.

«Potremmo dover aspettare tutto il pomeriggio.» disse Calipso, ad un tratto.

«Allora direi di sederci.» scherzò Hazel.

«Dov'è Frank?» le chiese Leo, guardandola.

«Mh, l'ultima volta che l'ho visto i suoi fratelli greci lo stavano trascinando in arena, quindi presumo sia ancora lì.»

Calipso la guardò. «Non vuoi essere sicura di dove si trovi?»

Hazel si strinse nelle spalle. «Ora che è tornato, mi basta sapere che si trova qui al Campo. Non devo per forza tenerlo d'occhio tutto il tempo. Dovevo parlare con Will in privato, poi...»

«Oh, capisco.»

Leo spostò lo sguardo da Hazel, chiedendosi di cosa avessero parlato lei e Will. La loro amicizia durava da anni, quindi poteva essere qualsiasi cosa: Frank, Leo, Connor... oppure Nico. Hazel aveva parlato all'altro di Nico? E Will? Ora che sapeva che la sua più grande cotta fosse single, sarebbe tornato da lui?

Leo si sentì girare la testa. Portò la mano sulla fronte, sperando di riuscire a scacciare quei pensieri. Poco prima aveva deciso di sposare Calipso, anzi non vedeva l'ora di farlo, e ora pensare che Will avrebbe lasciato lui e Connor per tornare con Nico, lo mandava in confusione. Era geloso? Più di una volta si era reso conto che provava gelosia nei confronti di Will. Ma non era un sentimento che gli faceva bene. Non poteva restare in quella situazione per sempre.

«Will è con Nina?» domandò Calipso ad Hazel, che annuì.

«Oh sì. Sua sorella July è venuta a chiamarlo, immagino che Nina lo abbia voluto.»

«Be', è bravo.» dissero Calipso e Leo nello stesso momento, pensando alla nascita di James. Si guardarono, un po' divertiti, e Calipso rimase a fissare il futuro marito nonostante questi avesse distolto lo sguardo.

Hazel si mise a chiacchierare con Calipso, chiedendole del suo lavoro, e Leo si infilò le mani in tasca, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare. Forse doveva andare davvero dai figli di Ecate e farsi dare una pozione, ma per dimenticare chi, non riusciva a capirlo.

La porta dell'infermeria si aprì e le due ragazze smisero di parlare, gli occhi di tutti puntati sulla porta. Leo abbozzò un sorriso quando vide Butch, che indossava un camice sopra i suoi vestiti. Sembrava stralunato, come se fosse appena arrivato da un altro universo.

«È un maschio!» esclamò Butch e i vari semidei presenti cominciarono ad applaudire.

«Non lo sapevamo già?» domandò Leo, perplesso.

«Be', ora hanno la conferma.» disse Calipso, divertita.

Leo fu tentato di avvicinarsi all'amico, ma si trattenne. Butch era più pallido del solito. Doveva aver visto troppo del parto, e Leo voleva evitare che gli crollasse addosso. Rispetto a lui, era un vero armadio.

Butch sembrò sentire il suo sguardo e incrociò i suoi occhi. Gli si avvicinò a grandi passi, e Leo indietreggiò, temendo che il cognato potesse picchiarlo. Invece, si ritrovò stretto tra le sue grandi e forti braccia.

«Nina vuole che sia tu il padrino.» disse Butch, e Leo sentì gli occhi inumidirsi, se per il dolore alle ossa o per la commozione non lo capì. «E che Calipso sia la madrina. Spero che accetterete.»

«Certo.» annuì Calipso, e Butch sciolse l'abbraccio con Leo solo per voltarsi verso la ninfa e stringere lei. Leo la sentì lanciare un gridolino e cercò di stiracchiarsi, per capire se avesse qualche osso rotto.

«Siamo felici di essere i padrini del vostro bambino.» disse Leo. «Avete già scelto il nome?»

«Non ancora.» Butch lasciò Calipso che si resse a Leo per riprendersi dalla stretta poderosa. «Ma lo troveremo in giornata. Ora devo rientrare.»

«Vai.» disse Hazel, osservandolo. «Vai dalla tua famiglia.»

Butch le sorrise, e Hazel lanciò uno squittio di sorpresa quando il figlio di Iride la abbracciò, per poi tornare in infermeria. Hazel sembrava distrutta quanto Calipso dopo quell'abbraccio, e Leo fu tentato di ridere, se solo non gli avessero fatto così male le costole.

 

Quando Butch rientrò in infermeria, Will gli sorrise, facendogli cenno di seguirlo.

«Come sta Nina?» domandò Butch, lanciando un'occhiata alle tende che coprivano la sua ragazza.

«Sta bene, ora sta riposando.» lo rassicurò Will. «Volevo portarti dal bambino.»

«Grazie. Ma sta... sta bene, vero?»

Will annuì. Aveva fatto uscire Butch dopo la nascita del bambino, per fargli prendere una boccata d'aria prima che potesse svenire addosso alla ragazza. Nina si era comportata alla grande, salvo gli insulti che le erano usciti di bocca per quasi tutta la durata del parto. Will si era quasi aspettato che il piccolo imprecasse con il suo primo vagito, ma si era limitato a piangere come tutti i bambini.

«Avete scelto il nome?» chiese Will, mentre accompagnava Butch in una stanza più appartata. Sua sorella July stava ripulendo il bambino, che fissava il soffitto con lo stesso sguardo truce di Nina.

«A me... A me piace Montgomery.» ammise Butch, guardando il suo bambino con un'espressione così dolce che Will si sentì sciogliere. «Ma non ho voce in capitolo. Nina vorrebbe chiamarlo Charles. Sai...»

Will annuì. Charles Beckendorf, figlio di Efesto morto tanti anni prima, uno dei molti caduti nella guerra di Luke Castellan. Non si sorprese che Nina volesse chiamarlo come il fratello maggiore.

«Perché non hai voce in capitolo?» domandò Will, lanciando un'occhiata a Butch. «È anche figlio tuo, no?»

Butch si lasciò scappare una risatina, gli occhi puntati sul bambino. «Potrei proporlo a Nina come nome, ma sono sicuro che lei mi scorticherà vivo. Dopotutto l'ha tenuto lei in pancia per nove mesi. E poi... dopo la nostra ultima litigata, non sembrava molto felice di farmi scegliere qualcosa per il bambino.»

Will annuì appena. Avevano litigato parecchio per il taglio Cesareo, e Will si chiese se avessero mai finito di litigare dopo quel giorno. Lanciò un'occhiata a Butch, del tutto innamorato perso del bambino che non aveva ancora tenuto in braccio.

«Sarai un ottimo padre.» disse Will, mentre July si avvicinava. «E secondo me, piacerà anche a lei come nome.»

Butch annuì appena e prese il piccolo in braccio. Will sorrise, pensando che con il bambino sembrasse così minuscolo tra le braccia grandi del padre. Si allontanò di qualche passo, per lasciargli un po' di privacy, e lo sentì mormorare: «Cosa ne pensi di Montgomery?»

 

Will uscì dall'infermeria e si diresse in mensa. Aveva male alle braccia e gli brontolava lo stomaco. Controllò il cellulare, scoprendo che Connor gli aveva mandato diversi messaggi. Sospirò, mettendolo via. Non aveva tempo e testa per preoccuparsi di Connor.

In mensa, Will riempì una busta di panini al formaggio e prosciutto, per sé e per le sorelle con lui in infermeria. Prese qualcosa anche per Butch e Nina, dovevano aver fame, ormai. Prese un frullato di verdura per sé, ed era pronto ad assaggiarlo quando vide Hazel fargli cenno di avvicinarsi dal tavolo di Ade. Will annuì, sorridendo, e il sorriso gli tremolò sulle labbra alla vista di Leo e Calipso seduti con lei.

«Ehi, Will.» lo salutò Calipso, mentre Leo si limitava a fargli un cenno con la mano. «Tutto okay? Come sta il bambino?»

Will si sedette accanto ad Hazel, ritrovandosi Calipso di fronte. La osservò per un attimo, notando quanto fosse più carina e solare del solito. Be', il suo matrimonio si sta avvicinando... pensò Will, bevendo un sorso di frullato.

«Il bambino sta bene.» annuì Will. «È in ottima salute. Ha gli occhi di Nina.»

«Oh, spero non anche il carattere.» sogghignò Leo, senza guardarlo.

«Si scoprirà solo quando crescerà.» disse Hazel, lanciando un'occhiata a Will. «Nina come sta?»

«Sta dormendo. È stata tosta, per lei. Mi hanno detto che ha impiegato quasi un'ora ad arrivare in cabina, dopo che le si sono rotte le acque. Stava finendo di fare un lavoro a maglia per il bambino, e non voleva lasciarlo a metà.»

«Un lavoro a maglia?» ripeté Leo, sorpreso.

«Non lo sapevi?» disse Calipso, guardandolo. «Mi ha chiesto aiuto qualche settimana fa, voleva preparare un completino per il piccolo con della lana magica. Crescerà con lui, per i prossimi due anni.»

«Non lo sapevo.»

«L'ha completato?» aggiunse Calipso, guardando Will.

«Credo di sì.» annuì lui.

«Vado a controllare.» Calipso baciò il futuro marito e si alzò in piedi, diretta alla cabina di Efesto. Will la seguì con lo sguardo, prima di voltarsi verso Leo e Hazel. Leo trovò molto interessante un segno sul tavolo, un graffio con il coltello che somigliava terribilmente all'osso di un braccio. Doveva averlo fatto Nico.

«Che gelo.» disse piano Hazel, e Will la ignorò, continuando a bere il suo frullato.

«Quando possiamo passare a trovare Hazel?» chiese Leo.

«Tra un paio d'ore, quando sarà sveglia.» disse Will. «Così avrà anche il tempo di vedere il suo bambino.»

«Non l'ha visto?» chiese curiosa Hazel.

«Non proprio. Ha avuto giusto il tempo di dirgli “ciao stronzetto” e ha perso i sensi. Era davvero stremata. Ora devo andare, ho due pazienti di cui occuparmi.»

Will si alzò in piedi e Hazel scoccò un'occhiata a Leo, chiedendosi perché l'amico chiacchierone avesse perso l'utilizzo della voce in presenza del figlio di Apollo. Forse si vergognava per quanto successo tra di loro? O non sapeva cosa dire? Oppure... voleva lasciarlo, ma non sapeva cosa fare?

Hazel guardò Will allontanarsi verso l'infermeria, e fu quasi sul punto di voltarsi verso Leo quando vide Frank e il fratello Alan avvicinarsi a Will. Alan aveva una freccia che gli spuntava dalla spalla mentre Frank si teneva il fianco, dal quale colava sangue.

«Oh, che pirla.» sospirò Hazel, voltando la testa e guardando Leo.

«Pirla?» ripeté Leo, fissandola torvo.

«Intendo Frank. Penso che lui e il fratello si siano colpiti a vicenda.»

Leo guardò fuori dalla mensa, giusto in tempo per vedere Will sollevare le braccia al cielo con espressione affranta. Frank e il fratello lo seguirono in silenzio, entrambi con le ferite sanguinanti.

«È proprio un pirla.» annuì Leo, divertito. «Sicura di volere proprio lui? Sei ancora in tempo per cambiare idea.»

«Non cambierò idea.» sospirò Hazel. «È il mio pirla.»

«Lo immaginavo.»

«E sei un pirla anche tu.»

Leo sollevò lo sguardo sull'amica. «E perché, scusa?»

«Lo sai benissimo perché.» Hazel si lanciò un'occhiata alle spalle, poi tornò a guardarlo. «Li hai avuti tutti e due qui davanti, e non riuscivi a guardare negli occhi nessuno.»

Leo avvampò. «Sì, be', può capitare, no?»

Hazel sospirò. «Cos'hai intenzione di fare?»

«Sinceramente Hazel, non ne ho la minima idea.»

Hazel scosse la testa, e fu sul punto di rispondere quando il cellulare le squillò. La figlia di Plutone aggrottò la fronte, prendendolo.

«Sarà Will che ti informa di Frank.» disse Leo.

«Oddei!» Hazel balzò in piedi, lo sguardo fisso sul cellulare. Sembrava al settimo cielo, ma al tempo stesso spaventata a morte. Corse via, ignorando Leo, ignorando chiunque la stesse guardando, lasciando Leo intento a fissare il vuoto.

 

Sebbene Will avesse detto di aspettare un paio d'ore, trovandosi solo al tavolo di Ade, Leo decise che fosse il caso di andare a trovare Butch e Nina. Magari, con la scusa di trovarsi in infermeria, avrebbe anche potuto parlare con Will, e decidersi finalmente una volta per tutte. Il suo cuore gli diceva di scegliere Calipso, e vivere felicemente con lei. Ma l'altro lato del suo cuore, diceva lo stesso per Will. Stava diventando impossibile stare dietro ai suoi sentimenti.

Leo entrò in infermeria qualche minuto dopo, incrociando lo sguardo di Frank steso sul lettino senza maglietta. Teneva una mano dietro la testa, muovendola appena a tempo con i lamenti di Alan nel lettino a fianco.

«Ehi, Frank.» disse Leo, e il figlio di Marte spostò lo sguardo su di lui. «Tu e tuo fratello ve le siete date di santa ragione, eh?»

Frank scosse appena la testa. «In verità, può sembrarlo, ma non è andata così.» mormorò, affranto, e Leo immaginò che Will non volesse sentirlo. «Stavo mirando a, be', al bersaglio, ma Ellie mi ha colpito con la spada per vedere se fossi capace di evitare l'attacco nonostante stessi mirando con l'arco.»

«E tu per il dolore ti sei voltato e hai lanciato la freccia contro Alan.» finì per lui Leo, con un sorriso.

«Esatto!» annuì Frank, guardandolo. «Come fai a saperlo?»

«Mi è capitata una cosa del genere una volta, quando giocavo ai Nail games con i miei fratelli...»

«I cosa?»

Leo si affrettò a spiegargli dei giochi che facevano in fucina e, mentre lo raccontava, notò che l'espressione di Frank somigliava molto a quella di Hazel, quando aggrottava la fronte e stringeva le labbra, chiaramente disturbata dalle sue parole.

«Okay.» mormorò Frank. «Non stavamo facendo nessun gioco pericoloso, io e Alan. È tutta colpa di Ellie.»

«Will non ti ha creduto?»

«No. Ha detto che ne ha abbastanza delle cavolate dei figli di Ares.»

«Be'... ne ha subite abbastanza, dai figli di Ares. Senza contare che vi fate parecchio male...»

Frank sbuffò.

«Comunque, perché non ti sta curando?»

«È con Alan. Ha detto che la sua ferita era più importante.»

Leo annuì. In effetti, una freccia che aveva fatto un buco da parte a parte, sembrava più grave di un taglio...

«Leo, prima ti ho visto con Hazel.» disse Frank, e Leo tornò a guardarlo.

«C'era anche Cal.» spiegò Leo. «Quindi non ero proprio solo con lei...»

«Tranquillo, Leo. Ho sentito fin troppo sul tuo conto per avere il sospetto che tu possa fregarmi la ragazza.»

Leo aggrottò la fronte, poi arrossì. Frank abbozzò un sorriso, e Leo si domandò cosa gli avessero raccontato. E chi. Ma era improbabile che si trattasse di Hazel, forse era stato Alan...

«Hazel ti ha detto che partiamo per il Campo Giove?»

Leo sussultò. «Davvero?»

«Sì.» Frank cercò di sistemarsi meglio sul lettino, e fece una smorfia di dolore. «Volevo andare al Campo Giove, per vedere se i miei fratelli sono tornati. Hazel ha scritto ad alcuni dei suoi amici del Campo Giove, ma nessuno ha risposto.»

«Nemmeno Jason o Piper?»

«Nemmeno loro.»

Leo pensò alla chiamata di Hazel. «Forse qualcuno ha risposto ora, sai? Ho visto Hazel scappare via per rispondere ad una chiamata.»

Frank sorrise. «Davvero? Spero siano tornati. Non mi perdonerei mai se... se io fossi qui, vivo, e loro no.»

Leo annuì. Doveva essere terribile, partire in sette per una missione ed essere l'unico a tornare. Almeno loro dell'Argo II, erano partiti in sette e tornati in sette, prima che lui scomparisse.

«Spero che li troverai lì.» disse Leo, mentre Will scostava la tenda dell'altro letto e si avvicinava a loro.

«Lo spero tanto. Credo di aver pregato gli dei per questo...» mormorò Frank. Will prese un paio di guanti puliti e si sedette sullo sgabello vicino a Frank, lanciando loro un'occhiata.

«Interrompo qualcosa?» domandò Will, prendendo il disinfettante.

«Oh no, tranquillo.» mormorò Frank, guardandolo.

«Alan mi ha spiegato cos'è successo.» sospirò Will.

«Gli credi?»

«Può darsi.»

Frank sorrise, ignorando il dolore del disinfettante sulla ferita. Leo osservò Will che medicava il taglio, con la stessa cura e attenzione di sempre. Leo trattenne un sospiro. Fino a qualche settimana prima, quelle mani lo facevano impazzire, e ora... non provava niente.

«Ora devo cucire.» disse Will, guardando Frank.

«Okay.»

«Vuoi qualcosa per il dolore?»

«Alan ha preso qualcosa?»

«Be', sì, il suo non era mica un graffio.»

«Mh, io non voglio niente, grazie.»

Leo sorrise mentre Will cercava di non alzare gli occhi al cielo. Diede i punti a Frank, che non batté ciglio, guardando pure il medico al lavoro. Leo dovette distogliere lo sguardo più di una volta, sentendo il pranzo rigirarsi nello stomaco.

«Posso andare?» domandò Frank, non appena Will ebbe finito.

«Aspetta.» Will coprì la ferita con una garza e una benda, poi annuì. «Puoi andare. Non fare sforzi, o si riapriranno i punti.»

«Okay. Alan?»

«Tra mezz'oretta potrà uscire, il tempo che finisca l'effetto della medicina.»

Frank annuì. Leo immaginò che non vedesse l'ora di scoprire chi avesse chiamato Hazel. Lo capiva benissimo, dopotutto. Anche lui avrebbe voluto sapere al più presto una cosa del genere.

Will si tolse i guanti sporchi e sollevò lo sguardo su Leo. Sembrava stanco, ma il suo sguardo era allegro, felice. Far nascere una nuova vita doveva trasmettergli molta gioia.

«Stai bene?» domandò Leo, osservandolo.

Will annuì. «Sì. È stata una giornata piuttosto impegnativa, ma piacevole. Tu come stai?»

«Bene.»

«Hai bisogno di essere curato?»

«No, volevo vedere Nina.»

Will sospirò. «Ci metterà ancora un po' a svegliarsi, ma... se vuoi puoi vedere il piccolo.»

Leo sorrise. «Oh sì, voglio vederlo.»

«Posso vederlo anch'io?» domandò Frank, indossando la maglietta.

Will si alzò in piedi, mettendo via il kit di primo soccorso che aveva portato per Frank. «Certo, ma non potete prenderlo in braccio, o Nina vi ucciderà.»

Leo annuì. La sorella era capacissima di farlo, sebbene distrutta dal parto. Seguì Will nel corridoio fino ad una piccola stanza, dove trovarono Butch seduto su una sedia, intento a contemplare il suo bambino. Quando li vide arrivare, Butch sollevò lo sguardo su di loro. Leo non si sorprese di vedere che avesse pianto. I bambini ti facevano pensare a molte cose.

«Ehi.» li salutò Butch. «Nina si è svegliata?»

«Non ancora.» lo rassicurò Will. «Puoi dormire un po', se ti va. Così anche il piccolo Monty si riposa.»

«Oh, Will, non mi far affezionare a quel nome.» sospirò Butch. «Sarà difficile contraddire Nina.»

«Se vuoi chiamarlo Monty, questo è il momento migliore per farti valere.» sorrise Will, mentre Leo si avvicinava al nipotino. «Insomma... quando Nina si sveglierà, non sarà in forma al cento percento, quindi puoi averla vinta su di lei.»

«Mh... dici che dovrei approfittarmi della sua debolezza per scegliere il nome di mio figlio?»

«Sì.» annuirono Will e Leo nello stesso momento.

«Potresti anche parlarle e dirle che ti piace il nome Monty.» aggiunse Frank, zittendosi quando i tre lo guardarono con espressione divertita.

«Con Nina non è molto semplice avere un dialogo.» ammise Leo. «Quindi... meglio fare i furbi, quando è possibile.»

Frank scosse appena la testa, poi si avvicinò al bambino. Butch si alzò in piedi, stiracchiandosi, poi guardò Will.

«Vado a dormire vicino a Nina.» gli disse.

«Mentre vai da Nina, chiama Julie.» gli rispose Will, trattenendo uno sbadiglio. «Ah, ti ho lasciato dei panini sulla scrivania, se hai fame. E se avrà fame Nina, quando si sveglierà.»

«Grazie. Non consumatemi il bambino, voi.» aggiunse Butch, in direzione di Frank e Leo, prima di uscire dalla stanza.

Leo ridacchiò, senza riuscire a togliere gli occhi di dosso dal piccolo Monty. Era così carino, e somigliava molto a Nina quando dormiva. Se somigliava anche solo lontanamente alla madre con il carattere... be', povero Butch.

«È bellissimo.» disse Frank, guardando il bambino con dolcezza. «Passerò più tardi con Hazel, lo vorrà vedere anche lei.»

«D'accordo.»

«Ora vado, a dopo, ragazzi.»

Frank si allontanò in tutta fretta, con una mano posata sul fianco, all'altezza della ferita. Will lo seguì con lo sguardo, sperando di non vederlo più tardi con la ferita di nuovo aperta, e spostò lo sguardo su Leo. Aveva tante cose di cui parlare con il figlio di Efesto, ma capì che non era il momento giusto, dal modo in cui il ragazzo fissava il nipote. Will si domandò se non stesse pensando a James, oppure a tutti i bambini che lui e Calipso avrebbero avuto, se si fossero sposati.

Questo pensiero lo fece indietreggiare. Lo lasciò da solo, sperando che non intendesse lasciarlo così, in quel momento. Ma poteva ancora considerare che lui e Leo avessero una relazione segreta? Non si parlavano da giorni, non si mandavano nemmeno messaggi. Forse Leo aveva già chiuso con lui, senza dirgli niente.

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Capitolo 66
*** 84. Partenze e ritorni ***


Due giorni dopo, Will abbracciò Hazel, dandole un bacio sulla guancia. Provava una strana sensazione allo stomaco, una sensazione di abbandono mista a tristezza. La sua migliore amica lo stava abbandonando al Campo Mezzosangue, dopo che avevano passato gli ultimi tre anni insieme, vedendosi sia di giorno che di notte. Era normale provare un po' di tristezza, ma sentire così tanto dolore al petto...

«Ti scriverò tutti i giorni.» lo rassicurò Hazel, che nel profondo stava provando le stesse cose di Will. Lo aveva sopportato per tre anni, avevano vissuto insieme, si erano confidati... erano più che amici, quasi fratelli.

«Ti scriverò tutti i giorni anch'io.» disse Will, stringendole le mani e guardandola negli occhi. «E mi aspetto un incantevole invito per il matrimonio.»

«Lo avrai.» annuì Hazel, arrossendo. «Ma non te lo aspettare tanto presto, eh. Minimo un anno.»

«Un anno?! Oh cielo...»

Hazel gli diede un ultimo abbraccio, poi lo lasciò. Will le passò una mano sulla guancia, chiedendosi quando l'avrebbe rivista. Senza di lei, pronta ad ascoltare i suoi mille discorsi senza capo né coda, non ce l'avrebbe fatta, lì al Campo. Frank gli fece un saluto imbarazzato, guardandolo con intensità. Will ricambiò lo sguardo, confuso. Per un attimo pensò che stesse valutando l'ipotesi di prenderlo a pugni, visto quanto era durato il suo abbraccio con Hazel, ma invece Frank gli si parò davanti, tendendogli la mano.

«Ti ringrazio per esserti preso cura di Hazel.» disse, e Will gli strinse la mano, trovando la stretta vigorosa e forte. «E grazie anche per non avermi fatto morire.»

«Ho fatto entrambe le cose con piacere.» sorrise Will, cercando di restituire la stretta nello stesso modo, senza successo. «Mi raccomando, Frank. Non sparire di nuovo. Non farmi pentire di averti salvato la vita.»

«Non capiterà più.» gli promise Frank, mentre Hazel guardava due degli uomini più importanti della sua vita che si guardavano negli occhi. Will l'abbracciò un'altra volta, non riuscendo a farne a meno, e li guardò mentre andavano a salutare gli altri ragazzi del Campo.

A braccia conserte, gli occhi di Will si spostarono sulla famiglia Valdez. Leo, Calipso e James sorrisero a Frank ed Hazel quando si avvicinarono, e Will abbassò lo sguardo, morendo dalla voglia di essere lì con loro.

 

«Invitateci, al matrimonio.» disse Frank, con un sorriso dolce, abbracciando i suoi vecchi amici. «Ci saremo senz'altro.»

«Ho già spedito gli inviti.» lo rassicurò Calipso, dandogli una leggera pacca sulla spalla. «Zhang, sei enorme, sai?»

Frank arrossì, sciogliendo in fretta l'abbraccio.

«L'importante è come si muove, però.» scherzò Leo, sollevando le sopracciglia in direzione di Hazel, che gli tirò un pugno sulla spalla, borbottando.

James guardò gli adulti un po' perplesso, chiedendosi di cosa stessero parlando.

«Sentiamoci, ogni tanto.» disse Calipso, guardando Hazel, divertita per il pugno.

«Lo farò.» annuì Hazel, scoccando un'occhiataccia a Leo, che si massaggiò il braccio.

«Fate buon viaggio!» esclamò James, abbracciando entrambi brevemente.

Hazel annuì, pensando al viaggio in treno che li aspettava. Avevano deciso di fare il giro lungo, per poter passare più tempo insieme. Fu sul punto di incamminarsi, quando Bryan corse da lei e l'abbracciò.

«Mi mancherai.» le disse, serio, scoccando un'occhiataccia a Frank e prendendo James per mano. I due bambini si allontanarono verso la cabina di Demetra, ignorando Calipso che cercava di richiamare indietro il figlio, senza successo.

«Quel bambino è davvero innamorato di te.» ridacchiò Leo, spostando lo sguardo per il Campo e vedendo Will. Distolse in fretta lo sguardo, imbarazzato all'idea che Calipso potesse notare quella sua occhiata.

«Allora dovrò affrettarmi.» disse Frank, guardando con amore la sua Hazel, che arrossì fino alle punte dei capelli.

«Andiamocene.» disse Hazel. Il suo sguardo si spostò su Will, e i suoi occhi si inumidirono. Leo le posò una mano sulla spalla, e Hazel scosse appena la testa.

«Vuoi portarlo con noi?» chiese Frank, scherzando, prendendo le borse.

«Non credo che Will accetterebbe.» sospirò Hazel, prendendo una delle borse. Frank aggrottò la fronte a quel gesto, ma non fece commenti. Leo, invece, sorrise. Hazel era ormai una donna abituata a fare tutto da sola. Frank avrebbe avuto il suo bel da fare, per riacquistare la sua fiducia.

«Sei sicura? Cambiare aria gli potrebbe fare bene.» disse Calipso, mentre partivano insieme verso l'uscita del Campo.

Hazel la guardò. «Will non è un cane.» disse, stringendosi nelle spalle. «Non posso portarlo via come se qui non avesse una vita, o delle persone che tengono a lui.»

Calipso fu sul punto di rispondere, ma si trattenne. Leo si domandò cosa volesse dire, e salutò nuovamente gli amici. Li guardò salire sulla macchina di Argo – ne aveva cambiate a centinaia, ormai, nel corso degli anni – e distolse lo sguardo quando li vide sparire.

«Perché hai detto quella frase su Will?» domandò Leo, curioso, guardando Calipso.

Lei si strinse nelle spalle. «Perché ha passato tutto quel tempo in infermeria, a curare Frank.» disse. «Un po' di svago potrebbe fargli bene.»

Leo si rilassò appena. «Credo si sia divertito parecchio negli ultimi giorni. Andiamo a trovare Monty?»

Calipso sorrise. «Vado nella cabina di Demetra, prima. Volevo chiedere a Miranda una cosa per il matrimonio.»

«E cosa?»

«L'addio al nubilato.»

Leo si mise le dita nelle orecchie, avviandosi verso la cabina di Iride. «Non voglio sentire niente.»

Calipso rise e si allontanò. Leo la seguì con lo sguardo, dirigendosi verso la cabina di Iride, con il cuore in gola. Per un momento aveva pensato che Calipso sapesse di lui e Will, e che fosse questo il motivo per cui voleva che Hazel si portasse via il figlio di Apollo. Per fortuna non era così.

Will era ancora fermo e immobile nello stesso punto in cui Hazel lo aveva lasciato. Leo incrociò il suo sguardo, sentendo le ginocchia deboli sotto quegli occhi azzurri. Si fissarono per qualche secondo, e fu Leo a distogliere lo sguardo, imbarazzato. Non si erano più visti dopo quella sorta di quarantena. Quasi non avevano più parlato. Non era il momento di farlo? Dopotutto, stavano insieme.

O forse no, non stavano più insieme? Ma chi l'aveva deciso?

«Vai a trovare Monty?» domandò Will, quando Leo gli fu vicino.

«Sì.» Leo si ritrovò a sorridere alla nomina del nipotino.

«Vengo con te.»

Leo annuì, pensando che non ci fosse nulla di male in quel gesto. E si ritrovò a sperare che Calipso non li stesse guardando.

Salirono gli scalini della cabina 17 e Leo bussò alla porta, in attesa, sperando di non aver svegliato nessuno, soprattutto Nina. Si era momentaneamente trasferita lì, visto che Butch non aveva molti fratelli. Fu proprio Butch ad aprire la porta, con gli occhi infossati dal sonno e la maglietta al rovescio.

«Leo. Dottor Solace.» salutò Butch, trattenendo uno sbadiglio. «Volete vedere la bestia?»

«Siamo qui per Monty, in realtà.» disse Leo, e Butch gli tirò un pugno piuttosto forte sulla spalla, sorridendo. «Ouch.» aggiunse il figlio di Efesto, portandosi una mano sulla spalla.

Butch si scostò per farli entrare e Will guardò l'interno della cabina, cercando di non dar troppo peso al disordine o all'odore di vomito infantile che aleggiava nella stanza. Si domandò che fine avessero fatto i fratelli di Butch: era probabile che avessero abbandonato la loro cabina e cercato riparo in qualche altra casa.

Butch li accompagnò fino alla camera da letto, e Will sorrise alla vista di Nina, sempre così altera quando si trattava del bambino, stesa sul letto con il figlio in braccio, che lo guardava come se fosse la cosa più bel mondo.

«Oh, ecco la bestia.» sorrise Leo, guardando con amore la sorella e il nipotino. «Come state?»

Nina gli scoccò un'occhiataccia, e Will riconobbe la solita figlia di Efesto che era sempre stata. «Stiamo bene. Si è appena addormentato.»

«Quindi dobbiamo parlare sottovoce?» sussurrò Will, ma Butch scosse la testa.

«Vogliamo che dorma anche con i rumori forti, con le voci. Sopratutto se dovrà vivere con noi per il resto della sua vita. Siamo molto rumorosi, quando parliamo.»

«Intendi voi come figli di Efesto?» si incuriosì Will, ricordando quanto parlasse Leo.

«No, intendo noi.» Nina indicò sé stessa e Butch con un cenno del capo.

«Urliamo per capirci meglio.» spiegò Butch, e Leo rise, immaginandoselo.

Nina li osservò per un attimo, e Will tenne gli occhi incollati sul bambino. Alla fine, Butch era riuscito ad avere la meglio sul nome. Montgomery Charles Pope. Nina gli aveva concesso il nome, ma non il cognome. E Butch, che odiava il padre umano tanto da non aver mai rivelato il suo cognome, non se la prese.

«Perché siete qui insieme, comunque?» domandò Nina, accarezzando il viso del figlio. «Dovete confessarvi?»

«No.» disse Will, scuotendo la testa, mentre Leo arrossiva. Butch borbottò qualcosa e uscì dalla camera, mettendosi a pulire il soggiorno.

«Sapete, dovreste proprio chiarirvi, voi due.» continuò Nina, dopo qualche minuto. «Si vede che provate ancora qualcosa l'uno per l'altro, e...»

«Non credo che siano affari tuoi, questi.» disse Will, piano, e Leo sussultò, voltandosi a guardare il biondo. Teneva lo sguardo puntato sul viso di Nina, che subito assunse un'espressione furiosa.

«Sì invece.» ringhiò lei, e Butch rientrò in tutta fretta. «Visto che poi farai soffrire mio fratello...»

«Non sono io che sto programmando le nozze, mi pare.» rispose gelido Will, nonostante il cuore gli battesse a mille. Prendersela con una donna a due giorni dal parto non era una bella idea. «Non sono io che non gli rivolgo la parola da giorni.»

«Ma se non mi scrivi mai.» ribatté Leo, guardando il biondo stralunato. «Non mi hai più scritto, da quando...»

«Leo.» Will lo guardò torvo. «Te lo ripeto. Non sono io che sto programmando le nozze. Non sono io che ho deciso di sposarmi. Sei tu. Quindi, se riesci a capire quello che desideri prima di rovinarti il matrimonio, fammi un fischio. Butch, Nina, scusate il disturbo.»

Will uscì dalla stanza, ignorando i borbottii di Nina. Will era quasi arrivato alla porta quando sentì una mano sulla spalla.

«Will, ne avevamo parlato nel bunker.» gli disse Leo.

«Sì, lo ricordo.» rispose Will a denti stretti. «Ma hai smesso di cercarmi, da quando Frank è tornato.»

«Ti vedevo sempre impegnato.»

«Leo, dimmi la verità. Hai scelto Calipso, giusto?»

Leo rimase in silenzio, e Will continuò a guardarlo negli occhi, in attesa che negasse.

«Okay, d'accordo.» disse Will, piano, passandosi una mano tra i capelli. Sentiva il suo cuore incrinarsi. «Lo capisco. Dico davvero. Avete un figlio, e...»

«Vado da lei e le racconterò tutto.» disse Leo, in fretta. «Vado da lei subito, te lo giuro.»

«Me lo giuri sullo Stige?»

Leo si bloccò, fissandolo a bocca aperta. Il sorrisetto sulla bocca di Will era così estraneo al figlio di Apollo che il bruno non riuscì a rispondergli.

«Lo immaginavo.»

Will uscì dalla cabina, lasciando Leo lì in piedi, da solo. Si sentiva del tutto scombussolato dal figlio di Efesto. Non avrebbe voluto dirgli quelle parole, ma gli erano scappate. Prima dell'arrivo di Frank, era convinto di poter aspettare Leo finché gli fosse possibile. Ma ora che Frank era tornato dalla guerra, ridotto ad uno straccio, con in mente solo Hazel... capì di volere un amore del genere. Se Leo non sapeva decidere tra lui e Calipso, non era meglio scaricarlo e lasciargli vivere l'eternità come desiderava?

L'eternità... Will chiuse gli occhi per un momento, prima di riprendere a camminare fino alla cabina 7. Leo aveva l'eternità di fronte a lui. E lui cosa aveva? Qualche decennio? Quando si guardava allo specchio, aveva sempre paura di vedere un capello bianco tra quelli gialli. Tra quanto gli sarebbe spuntato il primo? Sempre se non fosse già lì, nascosto, a farsi beffe di lui.

Di fronte alla cabina 7, che giocherellava con un fazzoletto, c'era Connor Stoll. Will si fermò prima di salire i gradini, guardandolo del tutto sorpreso. Non si aspettava di vederlo lì. Dopo che avevano litigato sulla spiaggia, non si erano più visti. E Will sapeva che la colpa era sua. Connor gli aveva chiesto di vedersi, ma lui non si era presentato.

«Scusami.» disse Connor, osservando la sua espressione stralunata. «Non mi sarei dovuto presentare qui. Solo che non volevo mandarti un messaggio. Volevo chiederti scusa per... come mi sono comportato con te. Ho sbagliato. Tu... sei un dottore. Ti sei comportato benissimo. Hai salvato Frank, e anche tutto il Campo impedendo l'espandersi di quella epidemia. Tu sei un eroe, in pratica. E...»

Will non aspettò che finisse di parlare. Salì in fretta i gradini, avvicinandosi al figlio di Ermes e afferrandolo per il colletto della maglietta. Poi lo baciò, spingendolo contro la parete della cabina, grato che si fosse presentato da lui, che gli avesse chiesto scusa. Connor ricambiò il bacio, sorpreso ma felice, passandogli le braccia attorno al corpo.

Il cuore di Will batteva forte nella sua cassa toracica. Aver risposto male a Nina, e poi a Leo, lo aveva mandato fuori di testa. Vedere Nina e Butch così felici con il loro bambino... E poi Hazel, che per dieci anni aveva atteso il ritorno dell'amato...

Era sbagliato volersi sentire amato? Volere che qualcuno gli dimostrasse amore? Era sbagliato desiderare di amare Connor Stoll, sebbene i suoi forti sentimenti verso Leo Valdez? Era sbagliato provare l'impulso di inginocchiarsi e chiedere all'altro di sposarlo, così, di punto in bianco?

Connor gemette tra le sue labbra e Will sciolse il bacio, arrossendo appena, osservandolo. Il figlio di Ermes aveva gli occhi luminosi, e le sue labbra semiaperte desideravano altri baci.

«Quindi... pace?» chiese Connor, accarezzandogli la schiena.

«Sì, pace.» annuì Will, abbozzando un sorriso, riprendendo a baciarlo.

 

Leo, fuori dalla cabina 14, si immobilizzò a quella vista. Sentì la gelosia prendere il sopravvento su di lui, nonostante non potesse più vantare nessun diritto sul figlio di Apollo. Fece comparire una palla di fuoco nelle sue mani, pronto a scaraventarla verso la cabina 7, o meglio, su Will e Connor. Ma Butch, comparso alle sue spalle, posandogli una mano sulla testa, glielo impedì.

«Non mi pare il caso.» borbottò il figlio di Iride, occhieggiando male i due sulla veranda. «Aspetta che si allontanano dalla cabina, almeno.»

Leo abbozzò un sorriso e lasciò scomparire il fuoco. Si sentiva ribollire di rabbia. Voleva andare da loro, non capendo se volesse prendere a schiaffi Will oppure dire a Connor che avevano fatto un sacco di sesso tre settimane prima, nel bunker 9.

«Will ha ragione.»

La voce di Butch lo fece voltare verso il cognato, che sembrò imbarazzato sotto il suo sguardo.

«Hai deciso di sposarti, e nonostante questo... ti vedi con Will. Non è proprio una bella cosa, sai?»

«Lo so.» Leo si morse il labbro. «Ma io voglio questo matrimonio. E voglio anche Will.»

«Se continui così, non avrai né uno né l'altro. Lo sai, vero?»

Leo annuì. Tornò a guardare Will e Connor – le mani del figlio di Ermes si erano appena infilate sotto la maglia dell'altro – e sospirò. Forse poteva chiamare Hazel e chiedergli di aspettarlo. Una settimana al Campo Giove, senza Calipso e Will, gli avrebbe solo fatto bene. Poteva liberare la testa dai pensieri su di loro, e...

«Chi è quello?»

La voce di Butch lo riscosse dai suoi pensieri. Leo spostò lo sguardo tra le cabine, chiedendosi di chi stesse parlando, poi lo vide. Un uomo completamente vestito di nero dalla testa ai piedi, con indosso dei jeans strappati e delle tracce di sangue sulle gambe. Portava i capelli neri da un lato, con un ciuffo che gli copriva l'occhio sinistro. Gli occhi scuri saettarono per il Campo, guardando le varie cabine, forse alla ricerca di cambiamenti. Le labbra erano tirate in una linea, ma sembrò accennare un sorriso nella sua direzione. La pelle era pallida, come se non vedesse la luce del sole da mesi. Portava un borsone appoggiato alla spalla sinistra, e dal fianco destro pendeva una spada nera scintillante, una spada che Leo non vedeva più da anni.

Nico Di Angelo era tornato.

 

 

«Valdez. Figlio di Iride.»

La voce di Nico si era fatta più profonda negli ultimi anni, e Leo scoprì di non riuscire a levargli gli occhi di dosso. Sebbene la pelle pallida, sembrava stare molto bene. Il suo sguardo era serio, ma trasmetteva una sorta di tranquillità.

Dall'altra parte, di fronte alla cabina 7, Will si staccò di colpo da Connor e si voltò, gli occhi chiari che si posarono subito sul figlio di Ade. Sgranò gli occhi alla sua vista, e per un momento perse l'utilizzo delle parole.

«Stoll. Solace.» aggiunse Nico, facendo loro un cenno con la testa.

Will rimase imbambolato a guardarlo, con il cuore che aumentava di battiti. Da quanto non lo vedeva? Da quella volta nella sua cabina, quando gli aveva confessato i suoi sentimenti. Rimase a fissarlo, osservando il suo modo di camminare, i capelli lunghi e neri. Con un movimento della mano, Nico spalancò la porta della cabina 13 e vi sparì dentro.

«Connor...» mormorò Will, voltandosi appena verso il figlio di Ermes.

«Vai pure.» annuì Connor, con lo sguardo luminoso per il bacio. «Però poi riprendiamo da dove ci siamo interrotti, okay?»

Will annuì, affrettandosi a scendere i gradini e a dirigersi alla cabina 13. I pensieri che poco prima lo avevano assalito, su Connor e una richiesta di matrimonio, gli galleggiavano nella mente.

«Neanche il tempo.» disse Leo nel vederlo, stringendo i pugni. Ora sì che voleva colpirlo con una palla di fuoco.

Will lo sentì. Gli lanciò un'occhiata torva, e per un attimo nessuno fiatò. Poi il figlio di Apollo proseguì per la sua strada, lasciando l'altro a fumare sulla veranda della cabina di Iride.

«Santi dei!» esclamò Butch con un salto, spingendo Leo per farlo smettere di fumare. «Stai per darmi fuoco alla casa!»

Leo sussultò, cercando di riprendere il controllo di sé stesso. Era difficile, quando il primo amore del suo amante gli era appena passato di fronte per chiudersi in cabina con lui. Spostò lo sguardo su Will, vedendolo entrare nella cabina 13, e rilasciò il fiato.

«Butch.» disse Leo, con gli occhi puntati sulla cabina nera. «Cosa devo fare?»

«Leo...» Butch si interruppe, osservando Connor Stoll andare via fischiettando. «Non importa quello che ti dirò io. Devi scegliere tu, è una decisione tua. So solo che, più aspetti, più farai soffrire chiunque ti stia nei dintorni.»

Leo non rispose, concentrato com'era su Will e Nico. Cosa avrebbero potuto fare nella cabina 13? Fu tentato di spiarli da una delle finestre, ma non osò farlo. Con quale coraggio poteva intromettersi nella vita di Will? Pensò a Frank Zhang. Se non fosse stato per il romano, che gli aveva impedito di vedersi con Will, ora avrebbe avuto un'idea su cosa fare.

«Devo parlare con Calipso.» si decise a dire Leo, spostando lo sguardo dalla cabina 13.

Butch aggrottò la fronte. «Sul serio?»

«Sì. Penso che sia arrivato il momento di farlo.»

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Capitolo 67
*** 85. Nico, Percy... e Annabeth ***


Will bussò tre volte alla porta della cabina 13, il cuore che gli galoppava nella cassa toracica. Come poteva essere così turbato da quell'incontro? Non vedeva Nico da tre anni, da quando gli aveva confessato i suoi sentimenti. E da quando lo aveva baciato a tradimento. E da quando si era arrabbiato così tanto con lui da perdere il controllo.

Will abbassò la mano, pensando che forse non era una grande idea continuare a bussare. Non dopo quello che aveva fatto al figlio di Ade. Lo aveva ferito e spaventato. E Will ricordava fin troppo bene le percosse seguite da Percy. Non voleva che succedesse di nuovo.

Ma Nico... Era stato il suo migliore amico per anni. E gliene erano successe di tutti i colori. Un po' come a lui. Se solo avesse ricevuto un suo messaggio ogni tanto, o una lettera...

La porta si aprì e Will sentì odore di bruciato.

«Sono letteralmente appena arrivato, Solace.» sbuffò Nico, guardandolo vicino al caminetto. «E già non riesci a fare a meno di tormentarmi?»

Will lo guardò in silenzio. Il sorrisetto di Nico lo convinse ad entrare nella cabina che conosceva così bene. La porta si chiuse subito alle sue spalle, e Will lanciò un'occhiata curiosa a Nico.

«Come hai fatto a chiuderla?» domandò, sebbene volesse fare un'altra domanda.

«Magia dell'Oltretomba.» disse Nico, con una scrollata di spalle. «La porta è fatta di ossa. E ora riesco a controllare molto bene la mia magia.»

Will fece una smorfia, trattenendosi a stento dal pulirsi la mano sulla maglietta. «È fatta di ossa? Dici davvero?»

«Certo.» Nico alimentò ancora il fuoco, poi annuì. «È abbastanza caldo...»

Will lo guardò, chiedendosi il motivo per cui avesse acceso il fuoco. La cabina non era poi così fredda, Hazel era andata via solo un'oretta.

«Hazel era qui.» disse Will. «L'hai mancata di poco.»

«L'ho beccata fuori.» disse Nico, con una scrollata di spalle, alzandosi in piedi. Si passò una mano tra i capelli e si voltò a guardarlo.

«Sei stato molto fortunato.» notò Will, mordicchiandosi il labbro.

«Le avevo scritto. Solace, è un interrogatorio questo? Perché mi sembra davvero così.» Nico afferrò uno dei cuscini a fiori di Hazel e lo gettò nel camino. Will trattenne un sorriso nel vedere le fiamme che lo divoravano.

«No, è che... Sono davvero contento di vederti. Ne è... passato di tempo.»

Nico afferrò il secondo cuscino, e lo stritolò tra le mani. Will tenne gli occhi incollati su di lui, tirando un sospiro di sollievo quando lo vide lanciare anche quello nel fuoco.

«È stata una lunga giornata.» disse Nico, mettendosi a braccia conserte. «Ho bisogno di una doccia.»

«Il bagno è dietro alle camere.»

Nico lo fissò torvo, e sospirò affranto. «Non sei affatto cambiato, eh?» disse, ma sorrideva, un sorriso sincero.

«Già. Cioè sì, sono cambiato molto, ma per il resto, sono rimasto tale e quale.»

«Sempre appiccicaticcio come una piovra.»

«Esatto.»

Nico lo guardò, e sospirò di nuovo, più forte. Will trattenne un sorriso.

«D'accordo.» disse Nico, sedendosi sul divano e sfilandosi le scarpe. «Cosa vuoi sapere da me?»

 

Will si sedette sul divano, riflettendo. Cosa voleva sapere da Nico? Tutto era eccessivo? Spostò lo sguardo su di lui e sulla cabina, che ora con la presenza del figlio di Ade sembrava ben diversa. Forse perché Hazel era abituata a spalancare tutte le finestre o accendere tutte le luci. Nico aveva acceso solo la luce del soggiorno, e le finestre erano ancora ben chiuse.

«Dove sei stato?» chiese infine Will, osservando il ragazzo che si stava guardando le punte dei capelli.

«Negli Inferi.» disse Nico.

«E da quando?»

Nico non spostò lo sguardo. «Da quando le mie nozze non sono andate a buon fine. Hazel te l'avrà detto di sicuro.»

Will lo fissò in silenzio, con il cuore a mille.

Nico sollevò lo sguardo. «Sul serio? Hazel non ti ha detto niente?»

«Non proprio.» ammise il figlio di Apollo, imbarazzato. «Hazel voleva parlarmi di te, ma... non ho voluto che lo facesse.»

«Solace, sei un idiota.»

Will arrossì appena.

Nico alzò gli occhi al soffitto, pensieroso. Nell'ultimo anno, pensare a quel determinato stronzo non gli aveva più fatto male come all'inizio. Forse, ora poteva parlarne liberamente.

«Ti ho detto, no, che io e Jackson avevamo cominciato a frequentarci cinque anni fa?» disse Nico, osservando il soffitto. «Be', avevamo deciso di sposarci. Poi siamo venuti qui. Volevo prepararmi la borsa in santa pace, ma c'eri tu ad intralciarmi.»

«Cosa c'entro io?» borbottò Will, confuso.

«Stai zitto, Solace. Comunque, tu volevi baciarmi, e Jackson è arrivato in quel momento. Ti ricorderai senz'altro.»

Will annuì. Ricordava le botte, i lividi, la vergogna, il cuore spezzato.

«Quando siamo tornati al Campo Giove, ho litigato con lui.» continuò Nico, mettendosi a braccia conserte. «Non avevamo parlato per tutto il viaggio di ritorno. Gli ho detto che avrebbe potuto evitare di farti così male. E lui mi ha risposto che avrebbe dovuto fare di peggio. Poi mi ha chiesto se volessi fare sesso con te. Gli ho detto di no, e lui mi ha guardato male. A quanto pare, il fatto che stessi cercando tu di baciarmi non era importante. Per un po' ha pensato che lo volessi anch'io, nonostante gli abbia chiesto di aiutarmi.»

Nico sospirò, borbottando qualcosa in italiano che Will non capì.

«Non ci siamo parlati per una settimana, dopo quella volta.» Le parole di Nico colpirono l'altro nel petto con forza, e Will impallidì. Era stata colpa sua? «Non tornò a casa per giorni, e mi stavo preoccupando che se ne fosse andato con Jason in qualche impresa folle. Ma Jason mi disse che non era con lui, e io rimasi in casa, ad aspettare. Poi, un giorno, presi carta e penna e ti scrissi una lettera. Era una bellissima lettera in cui ti dicevo quanto ti odiavo.» Nico abbozzò un sorriso al ricordo. «E Jackson tornò a casa proprio in quel momento. Bruciai la lettera, prima che fraintendesse ogni parola, e mi chiese scusa per essere scomparso. Facemmo la pace, ma... c'era qualcosa che non andava.»

Nico si mise seduto, portandosi le ginocchia al petto, spostando il ciuffo di capelli da davanti agli occhi. Fissò il fuoco, e Will si domandò cos'altro fosse successo per colpa sua.

«Dovevamo sposarci di lì a tre mesi.» continuò Nico, senza spostare lo sguardo dalle fiamme vive. «Io... ah, studiavo e andavo al lavoro. Lui... pensavo lavorasse. Invece, ho scoperto che non andava così spesso al lavoro. Aveva iniziato a rivedersi con una sua ex, e me ne sono accorto perché il nostro rapporto... si era man mano raffreddato. All'inizio pensavo che la colpa fosse tua, per il fatto che Jackson ci avesse visto qui, e avesse frainteso la situazione. Una sera, mi disse che doveva fare un turno extra, e decisi di seguirlo. Lavorava come bagnino e istruttore di nuoto lì al Campo Giove. Il fatto che dovesse fare un turno notturno non mi sorprese. Insomma... ci sono parecchi semidei che fanno il bagno di notte, e hanno rischiato di affogare in tanti prima che qualcuno si decidesse ad inserire i turni. Seguii Jackson, con la speranza che andasse al mare. Invece, proseguì verso gli appartamenti, e lo vidi salire al sesto piano, dalla sua ex. Sono rimasti insieme tutta la notte, e non ho bisogno di essere un indovino per sapere cosa avessero fatto.»

Will fu tentato di posare una mano sulla spalla dell'amico, ma si trattenne. Quel racconto lo stava ferendo, proprio come aveva ferito Nico tanti anni prima.

«Non gli dissi niente, quando tornò a casa. Avevo bisogno di altre prove. Provai a fare l'amore con lui, ma mi rifiutò. “C'è tempo, dopo il matrimonio”, mi rispose. Me lo diceva ormai da settimane. Quando quella sera lo vidi di nuovo entrare nell'appartamento, lo seguii con un viaggio ombra. Si stavano spogliando e infilando a letto in quel momento. Avrei voluto uccidere quella sgualdrina, ma...» Nico spostò lo sguardo su Will, con aria afflitta. «Annabeth Chase era mia amica, no? E le avevo rubato il ragazzo. Pensavo fosse una sorta di vendetta nei miei confronti. Volevo far loro del male, ma rimasi fermo e immobile nell'ombra. E li sentii parlare.»

Nico chiuse gli occhi, mentre il dolore di quella sera lo investiva di nuovo, come un treno. Si portò una mano tra i capelli, senza lacrime. Aveva pianto abbastanza, tre anni prima. Non aveva altre lacrime da versare.

La mano di Will gli si posò sulla spalla e Nico sussultò appena a quel contatto. Fissò la mano grande del figlio di Apollo e distolse lo sguardo, apprezzando però quel gesto di conforto.

«Stavano parlando del nostro matrimonio.» continuò Nico. «Jackson non aveva intenzione di andare fino in fondo. Insomma, non capii se intendeva sposarmi davvero o no, ma le sue parole... Quella sera, scoprii che non aveva mai lasciato realmente Annabeth. Si sentivano in colpa per come erano andate le cose con... be', con Bianca. Si sentivano in colpa per la morte di mia sorella. Quindi, in un qualche gioco malato che decisi di non approfondire, loro pensavano che se avessi amato Jackson, prima o poi il dolore per Bianca sarebbe scomparso. Percy mi ha baciato quella volta, in caffetteria, per tirarmi su di morale. E visto che aveva funzionato, ha pensato bene di fingersi il mio ragazzo.»

Nico si portò un dito alla guancia, fissando con rabbia quella singola lacrima che aveva lasciato i suoi occhi.

«Quando venni qui, ti dissi che io e Percy facevamo sesso di continuo.» borbottò Nico, e Will annuì, angosciato. «Non era vero. Non lo facevamo così spesso. Volevo solo vantarmi con te. Volevo allontanarmi. Non volevo che soffrissi ulteriormente. In due anni di relazione, l'avremmo fatto sì e no... una dozzina di volte. Che non sono niente, per una coppia innamorata alla follia che desidera sposarsi e passare il resto della propria vita insieme.»

Nico si mordicchiò il labbro per qualche secondo. Will non spostò la mano dal suo ginocchio.

«In ogni caso, quella notte scoprii tutta la verità. Percy voleva che ci sposassimo solo per ripagare il suo debito. Avrebbe annullato le nozze entro qualche mese, cercando di far ricadere la colpa su di me. E Annabeth era d'accordo. E non era gelosa, del fatto che ci baciassimo e toccassimo. Credo ne fosse eccitata. Il che mi rende il tutto ancora più disgustoso. Non ascoltai oltre. Tornai nella nostra casa, presi una borsa e scrissi un biglietto. Gli dissi che sapevo tutto, e che me ne andavo. Mentre scrissi quelle parole...» Nico si portò una mano al petto. «Fu come se qualcuno mi avesse dato una pugnalata. E ne ho prese, di pugnalate, nella mia vita. So di cosa parlo. Il dolore... era davvero insopportabile. Lasciai il biglietto sul letto e me ne andai con un viaggio ombra. Dritto nella camera di Hazel. Le raccontai che Percy mi tradiva, sebbene... avessi paura di parlare. Le parole erano come bloccate nella mia gola. Avevo paura che Hazel mi prendesse in giro, che mi chiedesse come avessi fatto davvero a pensare che uno come Percy Jackson avrebbe potuto provare amore per me. E temevo che ti nominasse, che potesse dire “hai lasciato un ragazzo con una cotta mostruosa per te per metterti con uno che fino al bacio in caffetteria, era completamente etero”. Mi sentii distrutto. Piansi tutta la notte. Hazel non riusciva a confortarmi.»

Nico posò per un attimo la mano su quella di Will, e la allontanò. Will lo guardò, sentendosi male per lui.

«Percy mi trovò subito, il giorno dopo.» continuò il figlio di Ade. «Mi disse che non era stata sua intenzione farsi scoprire. Mi lasciò lui. Capisci? Nonostante gli avessi scritto un biglietto per dirgli che sapevo tutto, e che doveva lasciarmi in pace, lui mi ha cercato, mi ha trovato e... mi ha dovuto scaricare. Come se non lo avessi già fatto io con carta e penna.» Nico scosse la testa, disgustato. «Hazel mi consigliò di andare al Campo Mezzosangue, di riprendermi lì, lontano da tutti i romani. Non ci riuscii. Non potevo reggere la pressione, le domande della gente su Percy, sul nostro matrimonio mancato. Quindi, quella sera stessa, mentre Hazel era sotto la doccia, me ne andai. Le scrissi qualche giorno dopo di non preoccuparsi per me.»

«Dove andasti?» domandò Will, con tono di voce dolce.

Nico alzò gli occhi al cielo per quel tono, ma non si lamentò. Dopotutto, era Will Solace. Trasmetteva compassione e dolcezza da ogni poro della pelle.

«Viaggiai per il mondo per sei mesi.» mormorò Nico. «Ho visitato tutta l'Italia. Mi sono fermato a Venezia, per andare a trovare la tomba di mia madre. Ovviamente il corpo di Maria Di Angelo è stato disintegrato, da qualche parte qui negli Stati Uniti. Ma Ade le fece la tomba lì, nel suo luogo di nascita. Rimasi lì il tempo necessario per far fare una lapide anche a Bianca. Almeno avevo un posto dove piangerla, se avessi voluto fare tutta quella strada. Scrissi una seconda lettera ad Hazel, per dirle dove mi trovassi. Pensavo di continuare a girare il mondo, visto che era un ragazzo single senza prospettive per il futuro, ma... ereggere una tomba per Bianca accanto a quella di mia madre attirò le attenzioni di Ade. Mi venne a trovare e mi offrì riparo e conforto negli Inferi. Accettai. Il mondo di sopra mi aveva già stufato.»

Will guardò Nico in silenzio. Capiva benissimo il suo dolore, ne aveva provato di ogni tipo in quegli ultimi anni.

«Negli Inferi, mi dimenticai di contattare Hazel.» disse infine Nico. «I messaggi non arrivano, negli Inferi. Ade... mi ha insegnato il suo lavoro. Smistare le anime. Leggere la vita delle persone con un semplice sguardo. Mi ha lasciato anche campo libero su come smistare i traditori.» Nico sogghignò al ricordo. «È stato piacevole. Ho passato più di due anni negli Inferi. Sono uscito giusto qualche giorno fa. Ho contattato Hazel, e ho scoperto che era qui. E siccome io non metterò mai più piede al Campo Giove, sono venuto qui. Haz è partita apposta per lasciarmi la cabina, per stare con Zhang. Per lasciarmi la mia solitudine e riservatezza. Quindi, se ho risposto alle tue curiosità, Solace, sei pregato di andartene. Vorrei fare la doccia, dormire e dare fuoco ad altri cuscini con i fiori.»

«Me ne vado.» assentì Will, alzandosi in piedi. Il racconto dell'amico, del ragazzo per cui aveva avuto una cotta anni prima, lo aveva colpito nel profondo. «Ma tornerò. Magari più tardi, o domani mattina.»

«Guai a te se ti presenti alle sei del mattino per farmi correre.» ringhiò Nico, alzandosi a sua volta. «Posso farti soffrire in molti modi, me li ha insegnati mio padre.»

Will abbozzò un sorriso. «Nessuna corsa mattutina, promesso.»

Si guardarono negli occhi, e Will fu felice di notare che, nonostante avesse passato due anni negli Inferi, Nico sembrasse così in forma. Lo ricordava sprezzante e pieno di sé solo tre anni prima, quando lo aveva scaricato per Percy Jackson. Ora che le cose erano andate così, per lui, si domandò se si fosse pentito.

«Sparisci.» ripeté Nico, distogliendo lo sguardo dal figlio di Apollo. Sembrava in imbarazzo. «Voglio restare da solo.»

Will gli si avvicinò e lo abbracciò forte. Nico si irrigidì completamente. Era il primo vero contatto che aveva da quando era sceso negli Inferi. Suo padre non l'aveva mai abbracciato, e menomale. Dopo averlo visto torturare – dopo che si erano visti torturare – anime condotte alla pena eterna, il loro rapporto si era solidificato, ma non tanto da abbracciarsi come un padre e un figlio.

Will si sorprese quando il figlio di Ade ricambiò l'abbraccio, portandogli le mani sulla schiena. Rimasero stretti l'uno all'altro per qualche minuto, in silenzio, poi Will si scostò. Nico tenne gli occhi puntati sui resti dei cuscini nel camino.

«Vai via, adesso.» ripeté Nico, muovendo appena le dita per spalancare la porta della cabina. «E non preoccuparti di chiudere la porta.»

Will annuì senza una parola. Nico non sembrava riuscire a reggere il suo sguardo, e Will immaginò che fosse a causa della stanchezza. Uscì dalla cabina con la testa che gli girava, contento che Hazel non gli avesse mai raccontato la verità su Nico Di Angelo. Temeva che sarebbe andato alla sua ricerca. La porta si chiuse da sola alle sue spalle e Will sorrise nel sentire la chiave che scattava nella serratura.

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Capitolo 68
*** 86. In mensa ***


Leo rimase arrabbiato con Will Solace per tutto il giorno, dopo averlo visto sparire nella cabina 13. Will non aveva atteso nemmeno un minuto prima di strisciare dal suo ex, o meglio dalla sua prima vera cotta adolescenziale. Nico non aveva avuto nemmeno il tempo di disfare le valigie, quando Will si era presentato alla sua porta come un cagnolino bastonato.

Non riusciva a fare a meno di pensare a loro due dentro la cabina. Will lo aveva baciato? Avevano forse fatto sesso sul divano, tra i cuscini a fiori di Hazel? O Nico era più quel genere di ragazzo che preferiva essere sbattuto al muro? In ogni caso, Will doveva essere stato ben felice di accontentarlo ancora e ancora.

Butch rientrò dopo di lui, Leo diretto dalla sorella per chiederle scusa del comportamento di Will e del suo. Nina lo perdonò, ma non accettò le scuse del fratello da parte di Will. Se il bel dottore voleva chiederle scusa, avrebbe dovuto presentarsi di persona, e non per una visita a domicilio.

Leo sbuffò, ma annuì. Capiva benissimo la sorella. Anche lui non avrebbe voluto ricevere così le scuse da parte di un'altra persona. E poi... Leo cercò di scacciare dalla testa il pensiero di Will e Nico insieme. Non ci riuscì. Will non aveva problemi a tradire, e Nico era triste e con una brutta storia da raccontare. Will non avrebbe impiegato più di un minuto per fargli slacciare i pantaloni.

Notando il suo turbamento, Nina gli suggerì che, per schiarire i pensieri, riordinare le case degli altri poteva aiutare. La ragazza tratteneva a stento un sorriso, e Leo era talmente pensieroso e nervoso all'idea di quei due insieme, che annuì del tutto convinto. Vedendolo puntare verso il soggiorno, Nina e Butch tirarono un sospiro di sollievo. Con il bambino addormentato, e un “domestico” d'eccezione, avrebbero potuto rilassarsi.

Leo cominciò raccogliendo i vestiti sporchi da tutta la cabina, infilandoli in lavatrice e attaccandola. Lavò montagne di piatti, passò la scopa in tutta la cabina e lavò il pavimento. Cambiò persino le lenzuola del letto di Nina, obbligandola ad alzarsi con l'aiuto di Butch, che la portò nella vasca da bagno. Leo li ascoltò ridere in bagno, e fu un po' contento che almeno qualcuno, cogliesse il buono di quella situazione.

Mentre la lavatrice suonava il motivetto di fine lavaggio, Leo si bloccò nel corridoio, rendendosi davvero conto di quanto fosse successo. Nico Di Angelo era tornato al Campo mezzosangue, single, senza nessun tipo di impegno, con il cuore forse ancora a pezzi a causa di Percy Jackson. E Will? Non era single, ma Leo sapeva benissimo che non aveva problemi a tradire il suo ragazzo. Senza contare che Nico rimaneva nel cuore di Will, proprio com'era successo per Leo con Calipso. Non avrebbe mai potuto dimenticare il primo amore, qualsiasi impegno ci mettesse. Lui non era riuscito a resistere al tornare con Calipso, sebbene avessero un figlio insieme e in quel momento si trovasse in piena crisi emotiva.

Leo si passò una mano tra i capelli, nervoso. Notò di odiare il figlio di Ade per il suo ritorno improvviso. Non avrebbe potuto avvisare tutto il Campo del suo ritorno, e magari mandare un messaggio con scritto “chiudere Will Solace in cabina”? Non avrebbe potuto...

Leo chiuse gli occhi, pensando ad Hazel. La sua cara amica non aveva forse ricevuto un messaggio, mentre si trovava con lui? Un messaggio che l'aveva fatta balzare in piedi e correre via tutta felice, ma anche preoccupata?

Il figlio di Efesto sospirò, capendo. Hazel sapeva benissimo chi stava per arrivare al Campo, e non l'aveva detto a nessuno. Era rimasta in attesa che Nico gli desse una data precisa, e se n'era andata per viaggiare con Frank e restare sola con lui. Sì, certo, come no, pensò Leo, infastidito dal comportamento dell'amica. Si domandò quante risate si fosse fatta, a sua insaputa, mentre gli parlava dei suoi sentimenti per Will, sapendo che Nico sarebbe tornato e avrebbe distorto ogni cosa.

Leo si appoggiò contro la parete del corridoio, passandosi un dito sulla tempia. I suoi pensieri su Will e Nico stavano facendosi sempre più insistenti. Le dita della mano presero fuoco all'improvviso, e Leo dovette allontanarle da sé. Non poteva darsi fuoco da solo, ma forse poteva evitare di bruciare la cabina 17. Arrivò fino alla finestra e l'aprì, giusto in tempo per vedere un Will sorridente uscire dalla cabina 13. Non si guardò attorno, non lanciò nessuna occhiata per le cabine alla sua ricerca. Camminò spedito fino alla 7 senza nemmeno guardarsi alle spalle.

Leo sventolò la mano, facendola spegnere. Guardò la 7, l'unica cabina che splendeva sotto i raggi del sole. Cosa avevano fatto, quei due? Ricordava bene il sesso con Will. Lo avevano fatto? Perché non poteva andare da lui e dirglielo? Rivelargli la verità?

«Ehi, la lavatrice ha finito.»

La voce di Butch alle sue spalle lo fece trasalire. Leo si voltò, notando i capelli bagnati del cognato e immaginò che Nina l'avesse trascinato nella vasca con lui.

«Sì, be', mi sto prendendo una pausa.»

Butch lo osservò e sospirò, mettendosi a braccia conserte. Leo notò che non sembrava molto desideroso di fargli la paternale, e sperò che non lo facesse.

«Sai...» disse Butch, e Leo sollevò gli occhi al soffitto, proprio come faceva James quando i genitori cominciavano a fargli la ramanzina. «Certe volte, per sapere la verità, bisognerebbe affrontare la persona in questione e chiedere.»

«Dici che dovrei andare da Will e chiedergli se si è scopato Nico?»

Butch spalancò la bocca per la sorpresa. «Cosa?» disse.

«Dovrei andare...»

«No!» Butch scosse la testa, portandosi indietro i capelli con la mano. «Non puoi andare da Will e chiedergli una cosa del genere! Vuoi che ti mandi davvero a quel paese?»

«Lo hai visto anche tu! Come è arrivato Nico...» disse Leo, esasperato.

«Leo. Hai fatto la stessa cosa anche tu, con Calipso.» gli ricordò Butch, con tono duro. «Hai letteralmente lasciato Will e sei andato da Calipso. Tu e Will vi siete lasciati per questo, no? Per la tua gelosia nei suoi confronti. Gelosia infondata, visto che tra te e Calipso non c'era niente. E poi... ora tra te e lui cosa c'è, esattamente? Avete avviato una relazione segreta che si è interrotta per via del ritorno di Frank. Dovreste parlarne, prima che tu possa lamentarti del fatto che sia andato a trovare un vecchio amico.»

Leo lo guardò, e poi distolse lo sguardo. Aveva ragione. Almeno, su lui e Calipso. Tutta quella gelosia da parte di Will... e ora lui faceva la stessa cosa. E Nico era tornato solo da mezz'ora.

«Sono stanco di tutta questa situazione.» disse Leo, sospirando.

«Ehi, sei stato tu a baciarlo, sulle giostre.» gli ricordò Butch, con un sorrisetto.

«Ci siamo baciati nello stesso momento...»

«Sì, be', per me è comunque colpa tua.»

Leo scosse la testa e Butch tornò dalla sua ragazza, che gli propose di andare in mensa, quella sera. Leo sorrise alla reazione entusiasta di Butch. Da quando erano tornati con il bambino, non erano quasi più usciti dalla cabina.

 

Leo e Calipso si sedettero insieme al tavolo 17, mentre Butch finiva di scegliere la cena per lui e Nina. Leo osservò Calipso, che sembrava più raggiante del solito. Si domandò cosa gli avesse proposto Katie come addio al nubilato, e preferì non saperlo. Gli bastava vederla sorridere.

«Uh!»

L'esclamazione di Nina di fronte a lui gli fece voltare lo sguardo. La sorella stava fissando Butch, in avvicinamento con due vassoi carichi di cibo.

«Non avete mangiato, negli ultimi giorni?» domandò Calipso, prendendo del formaggio e spalmandolo su una fetta di pane.

«Sì, ma solo roba prescaldata.» disse Nina, con lo sguardo luminoso. Butch posò i vassoi e si sedette, mentre la sua ragazza cominciava a mangiare di gusto. I due sembrarono cominciare una gara a chi si ingozzasse di più, e Leo abbassò lo sguardo sul suo vassoio, trattenendo una risata. Se li avesse guardati più a lungo, gli si sarebbe chiuso lo stomaco.

«Avete sentito la novità?» domandò Calipso, lanciando un'occhiata alla coppia davanti, e posando gli occhi scuri sul viso di Leo. «Nico Di Angelo è tornato.»

«L'ho visto.» disse Butch, inghiottendo un grosso boccone e mandandolo giù con della Coca-Cola.

«Io no.» disse Nina, tenendo gli occhi su Calipso. «Spero si faccia vedere, nei prossimi giorni. Sono curiosa di sapere com'è, essere sposato con Jackson.»

Leo cominciò a mangiare, ignorando le loro chiacchiere. La verità su Nico e Percy rischiava di fargli passare la fame, ma si impegnò a non farsi distrarre.

«Ho sentito che si è fatto più figo.» disse Calipso, e Leo le scoccò un'occhiataccia. «Ehi, guarda che l'ho solo sentito.»

«E ora potrai anche constatarlo con i tuoi occhi.» disse piano Leo, notando una figura nera che entrava in mensa.

Gli sguardi di tutti e quattro si puntarono sul figlio di Ade appena arrivato. Indossava vestiti neri, che sembravano aver avuto giorni migliori. I capelli erano lunghi, più di quanto li portasse una volta, legati sulla testa, lontani dal viso. Era pallido, più di quanto Leo ricordasse. La pelle era bianca come la carta, ma forse era a causa dei vestiti neri che indossava. I suoi occhi scuri scivolarono sulla mensa, sorvolando sulle facce senza fermarsi su nessuno in particolare. Leo si domandò se non stesse cercando Will. Il figlio di Apollo non c'era, forse aveva cenato presto o intendeva farlo più tardi. Leo gettò un'occhiata al tavolo 7, dove James, Bryan e Lily cenavano sotto gli occhi attenti di Nate.

«Sì, lo è.» disse Nina, dando un colpetto alla mano di Calipso, che ridacchiò.

Fu Butch a lanciare un'occhiataccia alle due ragazze, mentre Leo teneva d'occhio il bruno. Il suo sguardo serio si era posato sul buffet. Vi si avvicinò deciso, afferrando un vassoio e mettendoci dentro un piatto di pasta al pomodoro e della carne. Leo aggrottò la fronte per quell'abbinamento, soprattutto perché Nico Di Angelo non era un tipo da carne.

«Ehi, Nico!» chiamò Calipso, ignorando lo sbuffo di Leo e il borbottio di Butch. Nico spostò lo sguardo su di loro. «Vuoi venire a sederti con noi?»

Nico passò lo sguardo su di loro e annuì appena. Butch si spostò di lato per lasciargli posto, e Nico lo ringraziò con un cenno.

«Santo cielo.» disse Calipso, osservandolo. Leo si domandò se anche lei avesse notato il suo fisico asciutto e le braccia più muscolose. «Non credevo che ti avrei più rivisto.»

«Non lo pensavo nemmeno io.» disse Nico, guardandola per un lungo momento, prima di incrociare gli occhi scuri di Leo. «Valdez. Quanto tempo.»

«Nico.» sorrise Leo, cercando di sembrare il più naturale del solito. «Mi sembri in forma.»

«Ho seguito un rigido allenamento.» disse Nico, con un'alzata di spalle. «Anche tu... mi sembri in forma.» aggiunse il bruno.

«Wow, quanto gelo.» disse Nina, spingendo di lato Butch e allungando la mano verso Nico. «Nina Pope, figlia di Efesto.»

«Piacere.» disse Nico, stringendole la mano e accennando un sorriso. «Non somigli per nulla a Leo.»

«Per fortuna.» ribatté lei.

«Ehi!» esclamò Leo, guardando la sorella.

«Di carattere sono molto simili.» disse Butch, allontanando la mano della ragazza con uno sbuffo. «Più di quanto immaginano. Io sono Butch, figlio di Iride.»

«Butch..?» disse Nico, aggrottando la fronte.

«Butch, figlio di Iride.» ripeté.

«Butch Pope.» si intromise Calipso, sorridendo nel notare i due che arrossivano nello stesso momento. «Solo che non è ancora ufficiale.»

Butch borbottò qualcosa su Nina che non intendeva sposarsi, e la ragazza riprese a mangiare, ignorando quei commenti.

«Allora, cosa fai qui al Campo?» domandò Calipso, curiosa, mentre Nico cominciava a mangiare lentamente un piatto di pasta al pomodoro. «Percy è tornato con te?»

Nico tenne gli occhi incollati sul suo piatto, e Leo si morse la lingua. La domanda di Calipso era piuttosto lecita. Dopotutto, nessuno, lì, sapeva della sua storia con Percy.

«Preferirei non parlare di Percy.» disse Nico, senza alzare lo sguardo. Lo guardarono tutti, a quel tavolo. «E se potesse dirlo a tutti, ve ne sarei grato. Ora, un paio di risposte veloci prima che possiate fare domande. No, non ci siamo sposati. No, non sono affari vostri. No, non dirò altro. Come sta James?»

Calipso rimase a bocca aperta, come Nina e Butch. Leo, che già conosceva la storia, finse sorpresa. Osservò Nico con attenzione. Il suo atteggiamento rilassato e lo sguardo fisso sul cibo gli fecero schiarire la gola.

«È al tavolo 7.» disse Leo, e Nico sollevò lo sguardo. Per un attimo si guardarono negli occhi, e Leo si sentì arrossire. Nico abbozzò un sorriso, e Leo capì che sapeva di lui e di Will. E che sapeva che qualcuno, sicuramente un romano, gli avesse raccontato della sua disavventura con Percy.

«Ha dei bei capelli.» si limitò a dire Nico, osservando la schiena del piccolo Valdez seduto in compagnia dei suoi amici. «Immagino abbia il tuo carattere, eh, Leonidas?»

«Oh sì. Ha preso tutto da me.» sogghignò Leo, mentre l'imbarazzo passava. Gli occhi scuri di Nico si spostarono su Calipso, che ancora lo guardava a bocca aperta. «Qualche volta quando urla mi ricorda Cal, ma non tantissimo.»

«Immagino.» Nico continuò a mangiare, e Leo diede una gomitata a Calipso, facendola riprendere.

«Nico, io...» mormorò Calipso, imbarazzata.

«Non serve dire niente.» la rassicurò Nico, con lo sguardo di uno capace di evocare un esercito di zombie per farla zittire. «Dico davvero. Non dire niente. Nessuno dica niente.»

Rimasero tutti in silenzio a fissare Nico, che finì di mangiare la sua pasta al pomodoro. Si asciugò le labbra, lanciando un'altra occhiata ai bambini che sembravano divertirsi un mondo. Il figlio di Apollo che li teneva d'occhio, invece, non sembrava così divertito.

«Quindi... in questi anni... cos'hai fatto?» domandò Calipso, sforzandosi di non nominare Percy, sebbene la voglia fosse tanta.

«Ho viaggiato per tutta l'Italia.» disse Nico, con una scrollata di spalle. «E poi... sono stato un paio d'anni negli Inferi. Sono uscito giusto qualche giorno fa.»

«Ah, ora capisco la tua abbronzatura.» sorrise Leo, osservando la sua pelle.

Nico abbozzò un sorriso. «Già. Ora che sono uscito, sto cercando di evitare il sole cocente, cercherò di prenderlo a piccole dosi.»

«Quindi niente spiaggia in questi giorni, eh?» scherzò Nina, e Nico scosse la testa, divertito.

«Non mi ci vedresti neanche di notte, in spiaggia.» disse Nico, aprendo il budino al cioccolato. «E probabilmente non mi vedrete molto in giro, di giorno. Ma potete pass... no, scherzo. Non passate da me.»

«Allora dammi il tuo numero.» disse Leo, guardando il figlio di Ade. «Così possiamo invitarti a prendere una birra, ogni tanto. Dopo il tramonto, ovvio.»

«Non bevo, ma okay.» Nico gli dettò il suo numero e Leo prese nota. Si guardarono negli occhi per un secondo, e Leo trattenne un sospiro. Avrebbe dovuto parlargli, prima o poi, e chiedergli di mantenere il segreto.

«Avete visto Will?» domandò Nico, mettendo via il cellulare.

«Di solito è in infermeria.» spiegò Butch. «O in spiaggia.»

«Direi che non è cambiato granché.»

«No, infatti.» ridacchiò Nina, affrettandosi a finire la sua cena prima di poter guardare il fratello con un sorrisetto.

Leo si sentì stringere lo stomaco. Il fatto che Nico cercasse Will non lo confortava molto. Lanciò un'occhiata al figlio di Ade, che si stava gustando il budino, però ben attento a non sporcarsi. Era una cosa reciproca? Si cercavano a vicenda?

«Nico, non so se hai sentito che ci stiamo per sposare.» disse Calipso, e Nico sollevò gli occhi scuri su di lei. «Nel caso sarai ancora qui, sei invitato al nostro matrimonio.»

Nico guardò prima lei, poi il figlio di Efesto, che sembrava del tutto assorbito dal suo piatto. Esitò appena prima di rispondere. «I matrimoni non fanno per me, non penso che verrò. Ma grazie dell'invito.»

«Se cambiassi idea, ti scriverò la data e il giorno tramite Leo.»

«D'accordo.» Nico si alzò in piedi, prendendo il suo vassoio. «Grazie per la chiacchierata. Buonanotte.»

Leo aggrottò la fronte, guardando il figlio di Ade andare a posare il vassoio e avvicinarsi a Nate, il figlio di Apollo che faceva da babysitter. Nate rise e annuì, e Nico se ne andò dalla mensa roteando gli occhi al cielo.

Quella strana sensazione lo assalì di nuovo allo stomaco. Leo si morse la lingua più volte, per impedirsi di seguire Nico Di Angelo e controllare dove si stesse dirigendo. Stava andando in infermeria da Will? Perché voleva andare da Will? Non poteva parlare con Nate? O con loro, se aveva qualche problema, o dubbio? Perché doveva andare proprio da Will?

Quando Nico scomparve dalla mensa, gli sguardi di Nina, Butch e Calipso si puntarono su di lui. Leo, sotto quelle occhiate, si sentì arrossire.

«Cosa?» disse, chiedendosi se non avesse detto il nome di Will ad alta voce.

«Tu lo sapevi? Di Nico e Percy?» chiese Butch, senza parole.

«Sì...» borbottò il figlio di Efesto, mettendosi a braccia conserte. «Lo sapevo. Me ne ha parlato Jason, quando era qui.»

«E non hai pensato di dirmelo?» disse Calipso. «Ho mandato loro l'invito di matrimonio!»

«Jason non voleva che ne parlassi.» rispose Leo, stringendosi nelle spalle. «E perché hai mandato l'invito a loro? Chi ti ha detto che li volevo al mio matrimonio?»

Lo sguardo di Calipso si fece serio. «Be', li volevo io. Sono pur sempre nostri amici.»

«Sì, si vede, infatti.»

Calipso si alzò in piedi, ritirando il suo vassoio e uscendo dalla mensa con l'aria ferita. Leo alzò gli occhi al cielo, e la seguì, con Butch che scuoteva la testa nella sua direzione.

«Cal, aspetta!»

La ninfa si fermò poco fuori dalla mensa e si mise a braccia conserte. Lo stava guardando, e Leo lo considerò un notevole passò avanti. Le posò le mani sui fianchi, guardando il suo viso scontroso, gli occhi guardinghi e le labbra corrucciate. Nonostante quell'espressione assassina, sorrise. Voleva davvero vedere quel volto ogni singolo giorno della sua eterna vita?

«Senti, Jason mi ha chiesto di non dirlo a nessuno.» ripeté Leo, pensando che quando avrebbero annunciato la gravidanza di Annabeth, avrebbe dovuto fare una faccia sorpresa più reale. «E ho ascoltato il mio amico. Non conosco i dettagli, solo che non si sono più sposati e che Nico se n'è andato. Come hai notato, Hazel sapeva tutto e non ci ha detto niente.»

«Okay, però...» Calipso si guardò attorno. «Avrei voluto saperlo prima. Mi sono fatta... davvero una brutta figura, con Percy.»

Leo si strinse nelle spalle e la baciò a stampo. «Non importa. Percy capirà. Infondo, nemmeno lui lo sta sbandierando ai quattro venti.»

Calipso sembrò addolcirsi e Leo la baciò di nuovo, questa volta più a lungo. Pomiciare davanti alla mensa non gli sembrava una grande idea, ma non riuscì a resistere. Spinse la sua ragazza – la sua futura moglie – contro una delle colonne della mensa e la baciò ancora e ancora, approfondendo il bacio con un audacia che non credeva possibile.

«Forse dovremmo andare a casa...» mormorò Cal, sorridendo sulle sue labbra.

«Direi nella mia vecchia camera, nella 9.» sorrise Leo, stringendosi a lei. «Non credo di riuscire ad arrivare a casa.»

Calipso sorrise e si presero per mano, quasi correndo verso la cabina numero 9. Lì, si intrufolarono nella cabina semi vuota e si diressero nella vecchia stanza di Leo. Nessuno la stava usando, perché Leo spesso si trascinava ancora sul suo vecchio letto quando usciva stanchissimo dalla cabina. Qui, chiusero la porta a chiave e si svestirono a vicenda, baciandosi e toccandosi senza poterne fare a meno, come una coppia di adolescenti innamorati. Si sdraiarono sul letto e fecero l'amore con dolcezza, pensando a quando si sarebbero sposati, di lì ad un paio di settimane.

Leo non pensò a nient'altro che alla sua futura moglie, non vedendo l'ora di poterla considerare tale.

Will, che in piedi sui gradini della cabina 7 aveva visto la loro corsa mano nella mano, si richiuse in cabina, con un vuoto nel petto che non credeva avrebbe mai più riempito.

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Capitolo 69
*** 87. Negli Inferi ***


Nei giorni che seguirono, Will incontrò più spesso Nico Di Angelo, in mensa, tra le cabine, e pure in infermeria. Lo vedeva entrare e uscire di continuo, sebbene non sembrasse intenzionato a fermarsi per più di un minuto. Prendeva del nettare, della crema post abbronzatura e si dileguava in cabina di giorno, e si ritrovava in arena a combattere verso sera, dopo cena. Will era stato intenzionato a seguirlo più di una volta per farci due chiacchiere, ma da quando era tornato Nico, Connor gli si era appiccicato addosso come un koala.

Quando Will finiva il turno in infermeria, Connor era lì, pronto ad accompagnarlo in mensa a prendere da mangiare oppure lo portava nella vasca da bagno, intenzionato a massaggiargli la schiena. Gliel'aveva lasciato fare più di una volta, trovando il suo tocco più che piacevole. Connor sapeva sempre che punti toccare per rilassarlo, e Will, ora che la sua confidente più fidata se n'era andata, aveva notato di essere sempre teso.

Dopo la litigata con Leo nella cabina di Iride, e dopo averlo visto sparire nella cabina 9 con Calipso, Will non lo aveva più visto. Non si era nemmeno domandato dove fosse finito, perché sapeva che, se l'avesse incontrato, gli avrebbe posto una nuova domanda: perché non si decideva a dirgli che aveva scelto Calipso? Non capiva che, più tempo impiegava a dirglielo, più gli avrebbe fatto male? Sapeva che la scelta sarebbe caduta su di lei, e una parte di lui stava già metabolizzando questa notizia: perché non dirglielo? Non era più semplice?

Will sospirava sempre a quei pensieri. Se Leo avesse chiarito subito la situazione, avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo, accettarlo e mettere di nuovo insieme i pezzi del suo cuore. Ma il fatto che Leo continuasse a dargli false speranze... Will si pentì di essere tornato al Campo, mesi prima. Avrebbe dovuto partire per il Campo Giove e lasciare che Bryan crescesse come un romano.

Poi c'era Connor Stoll. Il suo sguardo era sincero quando gli parlava, e Will desiderava davvero poter pensare a lui notte e giorno, come faceva con il figlio di Efesto. Voleva poter ricambiare il suo amore, e c'erano dei giorni in cui Will si metteva a guardarlo dormire, pensando che forse era il caso di comprargli davvero l'anello, e dimenticare i suoi pensieri su Leo.

Nel suo cuore spiccava ancora la voglia di sposarsi e avere una famiglia. Voleva fare tutte le cose da fidanzati alla luce del sole. Voleva che i suoi fratelli ridacchiassero quando lo vedevano sbaciucchiarsi con il suo ragazzo, non che si intristissero vedendolo solo.

Connor non era perfetto per lui, ma nemmeno lui era perfetto. Si incastravano perfettamente, sebbene Will gli mentisse così spesso. Però Connor non aveva paura di prenderlo per mano tra le cabine. Non aveva paura di baciarlo in pubblico, in mensa, o in infermeria dopo avergli portato una fetta di torta alle fragole. Connor non era in procinto di sposarsi con una donna che lo aveva precedentemente ferito. Connor era libero, con i suoi difetti, e completamente innamorato di lui.

E sembrava così felice, nel frequentarlo. Il figlio di Ermes si vantava spesso di lui, a come gli fosse andata bene incontrare e innamorarsi di un dottore così in gamba. Will si lasciava riempire di complimenti, felice di essere apprezzato, nonostante il suo cuore soffrisse. Non solo per Leo, ma pure per Connor. Quando si trovava avvinghiato a Connor, che fosse la vasca, il pavimento o il letto, pensava a Leo. Dove si trovava, in quel momento? In fucina? Nel bunker 9? Con Calipso? Quei pensieri lo facevano ammattire, e ora non aveva più nessuno con cui parlarne. Parlare con Hazel al cellulare non gli sembrava giusto, non ora che lei aveva ritrovato il suo Frank.

A volte si pentiva di non aver seguito Angel e Rose in Africa. Almeno lì avrebbe aiutato qualcuno, i suoi problemi erano microscopici in confronto alla vita che avrebbe avuto lì.

Con nostalgia, Will pensò ai fratelli. Di tanto in tanto gli mandavano una cartolina per fargli sapere che stavano bene. Will rispondeva con delle cartoline di Long Island, alcune del Campo Mezzosangue, per fargli sapere che la sua vita, lì, non era affatto cambiata. Angel gli ricordava sempre che poteva passare da loro quando voleva, e Will desiderava tanto poterlo fare.

Come se non bastasse, la data del matrimonio di Leo e Calipso si stava avvicinando. Mancava sempre meno, e il Campo sembrava non vedesse l'ora di festeggiare quel matrimonio. Forse da una parte si erano stufati pure loro, di quel tira e molla, di tutta quell'attesa.

 

Erano passati quattro giorni dal ritorno di Nico, e Will notò che ogni volta che i suoi piedi puntavano nella direzione della cabina 13, Connor Stoll compariva al suo fianco, proponendogli qualche attività da fare insieme. Era come se Connor non volesse che si avvicinasse ulteriormente al figlio di Ade, come se potesse decidere lui. Quando Nico era arrivato, Connor lo aveva lasciato andare, forse sentendo il suo bisogno di risposte. E ora sembrava essersi pentito di quella sua scelta. Forse Connor captava qualcosa, qualcosa che non esisteva.

Sì, Will doveva ammettere che scoprire che Nico fosse ancora single dopo tutti quegli anni, lo aveva colpito. Aveva pensato, un po' come tutti i ragazzi del Campo – ormai la notizia che i due non si erano sposati aveva fatto il giro del Campo – che negli ultimi tre anni Nico fosse felicemente fidanzato con il figlio di Poseidone, e invece... Ora Will si pentiva di aver sempre pensato a loro come una coppia indistruttibile. Non erano mai stati una coppia, nemmeno per un secondo, nemmeno dopo i primi baci. Non lo erano mai stati. E Will gli aveva mandato un messaggio, sotto lo sguardo scioccato di Hazel. Ora capiva meglio l'amica. Era arrabbiato con lei, e gliel'aveva fatto sapere tramite messaggio. Hazel si era limitata a mandargli delle emoticom, e Will l'aveva perdonata un po' a fatica. Dopotutto, Hazel aveva provato a parlargli di Nico, e lui non aveva voluto ascoltarla.

Quando Will decise di andare a trovare Nico in cabina – spesso lo intravedeva fuori dalla 13, seduto sui gradini, a prendere il sole, sebbene non restasse mai per più di dieci minuti – si affrettò ad andare in mensa a prendere qualcosa da mangiare. Era certo che il figlio di Ade avrebbe impiegato più tempo a scacciarlo, vedendolo con del cibo. Preparò il sacchetto con il pranzo per entrambi, e si affrettò a dirigersi verso la cabina nera come la pece.

Ma proprio mentre superava la sua cabina, Will sentì i passi inconfondibili di Connor alle sue spalle. Lo stava pedinando? Will immaginò che sapesse i suoi turni a memoria, ma in quel momento avrebbe dovuto trovarsi in infermeria, e aveva chiesto a Nate di prendere il suo posto, almeno per quel pomeriggio.

«Ehi, Will.» lo salutò Connor, posandogli una mano sulla spalla con un grosso sorriso. «Dove stavi andando? Cos'è quello?»

Will abbassò lo sguardo sul sacchetto di carta che teneva in mano. Sentiva uno strano ronzio nelle orecchie. «È un sacchetto.» spiegò. «E dentro c'è il pranzo.»

«E dove stavi andando a mangiare?»

«Da Nico. Volevo salutarlo, assicurarmi che stesse bene.»

«Ah...» Il figlio di Ermes non sembrò sorpreso dalle sue parole. «Sai, ho un po' di tempo libero, cosa ne diresti se..?»

«Connor.» Will cercò di contenere il tono di voce, sebbene il ragazzo avesse superato il limite. Inspirò profondamente, contando fino a tre e sibilò: «Volevo passare da Nico. Spero non sia un problema, per te, se vado a trovare il mio amico.»

Almeno non aveva urlato. Will lo trovò un grosso traguardo.

Connor lo fissò in silenzio per qualche secondo, e arrossì. «Certo che no.» borbottò, trattenendosi a stento dal mettersi a braccia conserte. «Non ti sto proibendo niente, Willy. Ehm, ci vediamo più tardi?»

Will annuì, dandogli un bacio a stampo e avviandosi alla cabina 13 con il cuore più leggero. Gli dispiacque un po' aver scaricato Connor in quel modo, ma non del tutto. Connor gli stava sempre addosso, ormai. E Nico era solo un amico. Avrebbe dovuto invitarlo, ma era sicuro che il figlio di Ade non avrebbe apprezzato la compagnia di un ladruncolo.

Be', non avrebbe apprezzato nemmeno la sua, di compagnia, ma Will non intendeva pensarci troppo.

Bussò alla cabina 13, e rimase in attesa. Questa volta fu Nico in persona ad aprirgli. Aveva i capelli spettinati e slegati, la felpa stropicciata e dei pantaloncini piuttosto corti. Will abbassò lo sguardo in modo quasi istantaneo, e notò il tatuaggio sulla sua gamba.

«Oh, wow.» disse Will, osservando il teschio ghignante, grosso quanto una mela. «Bello, dico davvero.»

Nico alzò un sopracciglio. «Cosa vuoi, Solace?» domandò, socchiudendo gli occhi alla luce del sole. Nonostante i brevi bagni di luce che gli avevano consigliato dei figli di Apollo, la luce diretta del sole continuava ad infastidirlo, sebbene avesse abbandonato gli Inferi da tempo.

«Ho portato il pranzo. Pensavo potessimo pranzare insieme.» disse Will, con un sorriso.

Nico lo fissò in silenzio, poi sospirò, aprendo di più la porta. Will entrò nella cabina in fretta, con la paura che l'altro potesse cambiare idea, impiegando qualche secondo a riconoscerla. Lo zampino di Nico si vedeva già in ogni stanza: c'erano vestiti sparsi sul pavimento, assieme ai cartoni vuoti di pizza, lattine e una pila di piatti sporchi nel lavandino. Il pc di Hazel era posato sul divano, e Will riconobbe il volto di Evan Peters sullo schermo.

«Guardi American Horror Story?» chiese Will, avvicinandosi al divano, ben attento nel non inciampare in una bottiglia a metà.

«Ho qualche stagione da recuperare.» ammise Nico, chiudendo la porta.

«Questa è la quarta, la mia preferita.» disse Will, sedendosi.

«Tu l'hai visto?» lo guardò Nico, confuso e sorpreso al tempo stesso.

«Oh, certo. Io e Hazel abbiamo vissuto insieme per un po', e quando potevo, guardavamo un sacco di serie insieme.» sorrise Will, lanciandogli un'occhiata. «È così sorprendente?»

«Un po'.» Nico tornò a sedersi al suo posto, guardando il sacchetto. «Non ti credevo tipo da guardare una serie del genere.»

Will scrollò le spalle e aprì il sacchetto, notando il suo sguardo insistente, passandogli un contenitore pieno di lasagna. Nico si illuminò nel vederla.

«Lasagna!» esclamò il figlio di Ade, aprendo il contenitore. «Ne ho mangiata un sacco, in Italia, ma non rifiuto un piatto.»

«Hai mangiato anche la pizza?»

«Oh sì. Decisamente imbattibile. Quella di qua...» Nico scosse la testa, prendendo una forchetta dalle mani di Will e cominciò a mangiare con gusto.

Will lo osservò. «Ma stai mangiando?» gli domandò, e ora toccava a lui essere confuso. Lo aveva visto in mensa più di una volta – tutto il Campo l'aveva visto, e molti gli stavano alla larga per via delle ombre scure che circondavano il tavolo 13 – e gli era sembrato di vederlo mangiare.

«In verità, mangio un sacco.» borbottò Nico, pulendosi le labbra, imbarazzato. «Da quando ho lasciato gli Inferi, il mio appetito è come raddoppiato. Solo che... non ho voglia di vedere tutta quella gente, in mensa, quindi certe volte cerco di farmi bastare quello che trovo qui.»

Il figlio di Apollo rise. «Lo immaginavo.»

Nico gli lanciò un'occhiata. «Non dovresti essere in infermeria? O... con il tuo ragazzo? È Connor Stoll, giusto? O Travis?»

«Connor.» annuì Will, stringendosi nelle spalle. «In realtà... è da un po' che volevo venire qui, e lui mi sta con il fiato sul collo. Me ne sono liberato.»

Nico si pulì le labbra con la manica della felpa, alzando un sopracciglio. «Il tuo ragazzo ti ha visto mentre venivi qui? E cosa gli avresti detto, per liberartene?»

«Solo che oggi volevo pranzare con un amico.»

Il figlio di Ade lo squadrò torvo.

«Nico, non ti spaventare.» disse in fretta Will, con un sorrisetto. «Lo sai che ti considero mio amico.»

«Visto che fai amicizia anche con i sassi, non mi preoccupo per questo. Ma ti ho... trattato davvero male, tre anni fa.»

«Ho fatto lo stesso con te.» gli ricordò il biondo, ricambiando il suo sguardo. «Quindi direi che siamo pari.»

Nico scrollò le spalle, capendo che era inutile discutere, e finì di mangiare. Will lo guardò divertito, pensando a quanto dovesse implorarlo, da giovane, per fargli inghiottire anche solo un boccone. Gli porse la sua porzione di lasagna, e Nico fissò il contenitore, indeciso.

«E tu cosa mangi?» domandò, imbarazzato per la fame.

«Ho portato della torta alle fragole.» disse Will, prendendo un terzo contenitore.

«Ah. Bene, allora.»

Will cercò di non guardare l'altro più del dovuto, sebbene non riuscisse a smettere. Nico era davvero cambiato, in tutti quegli anni. Era ancora magro, ma non quel magro malaticcio che Will ricordava. Era anche più muscoloso, atletico. Si domandò che razza di allenamento avesse seguito, negli Inferi.

«Cosa facevi negli Inferi?» domandò Will a bruciapelo, cominciando a mangiare la torta alle fragole, panna e cioccolato.

«Te l'ho detto. Selezionavo le anime con mio padre.» disse Nico, stringendosi nelle spalle, ripensando a quel periodo. «E a volte le torturavo. Non era male.»

«Ti divertivi a torturare le persone?»

«Non persone.» lo corresse Nico, guardandolo dritto negli occhi con un'intensità tale che Will si sentì arrossire. «Torturavo le anime di persone che, in questo mondo, si erano comportate nei peggiori dei modi. Ho torturato pedofili, stupratori, assassini di bambini... Tutti quelli che si meritavano una morte peggiore di quella che hanno avuto. E... ho punito anche molti traditori.»

«E come facevi a sapere quello che avevano fatto?» domandò Will, abbassando appena la forchetta.

«Ti ho detto anche questo. Ma con chi parlavo l'altra volta?» sbuffò Nico, prendendo un'altra forchettata di lasagna, trovandola sempre più gustosa. «Ade mi ha passato alcuni dei suoi poteri, mentre mi trovavo lì. Con un semplice sguardo potevo vedere tutta la vita di chi mi trovavo davanti. Valutavo la sua vita, le sue azioni, le sue scelte. Ricordo una donna che ha tradito il marito violento, e ha vissuto una vita di merda a causa sua. Con l'aiuto dell'amante, è riuscita a far scappare sé stessa e i figli da quell'uomo. Ha meritato i Campi Elisi, nonostante il tradimento. Altri traditori, no. Li ho guardati bruciare.»

Il ghigno di Nico fece preoccupare Will. Posò la torta sul tavolino, all'improvviso con lo stomaco chiuso. Il figlio di Ade notò il gesto. Osservò la torta, solo smangiucchiata, poi Will.

«Dolce figlio di Apollo.» disse Nico, prendendolo in giro con un tono cantilenante. «Ti ho fatto passare la fame?»

«Un po'.» ammise Will. Sentiva la torta fare su e giù nel suo stomaco. «Ma non perché sono disgustato da quello che hai fatto.»

Nico alzò un sopracciglio. «Ah no? Non sono ancora sceso nei dettagli, eh...»

«Non mi importa dei dettagli.» mormorò Will, passandosi una mano tremante tra i capelli. «E che... faccio parte di quelle persone che hai torturato ultimamente. Sono un traditore.»

Nico assottigliò lo sguardo, smettendo di mangiare. «Hai tradito Connor?»

«Sì.»

«Con chi?»

Will non rispose, improvvisamente a corto di parole

«Con Leo Valdez?» chiese Nico, e Will gli lanciò un'occhiata sorpresa.

«Come fai..?»

«Hazel.» Nico lanciò un'occhiata al suo cellulare, abbandonato sul tavolo della cucina. «Mi ha chiesto di tenere d'occhio te e Valdez. E sapevo che stavate insieme, quando sono entrato negli Inferi. Io...» Nico spostò lo sguardo. «Le notizie corrono, tra i Campi. Almeno quelle belle.»

Will abbassò lo sguardo, imbarazzato da sé stesso. Ora che si trovava al fianco di Nico, un Nico che aveva subito sulla pelle il tradimento, un Nico dal cuore spezzato, il fatto di aver tradito Connor lo metteva a disagio. Non gli importava di Calipso: non era il suo promesso sposo. Connor si fidava di lui, lo guardava con quello sguardo così innamorato da scaldargli il cuore.

«Connor è un bravo ragazzo.» disse infine Will, lasciando uscire i suoi pensieri. «Mentre io...»

«Lo sei anche tu.» lo interruppe Nico, prima che il biondo potesse dire l'esatto opposto. «Solo che... sei un completo idiota. Sei ancora innamorato del tuo ex. Dovresti parlare con lui.»

«L'ho fatto. Abbiamo parlato, settimane fa, prima dell'arrivo di Frank.»

Nico spostò il contenitore vicino alla torta, mettendosi a gambe incrociate sul divano, in attesa che l'altro parlasse. Hazel gli aveva detto che Will avrebbe cercato conforto in quella cabina. E sebbene non fosse la persona adatta per ascoltare, avrebbe fatto del suo meglio.

«Cos'è cambiato, all'arrivo di Frank?» domandò il figlio di Ade, cercando di tenere un tono calmo e leggero. Conosceva la storia a grandi linee, ma non tutta nei dettagli. E ora che non poteva più leggere i pensieri degli altri, era seccato e curioso al tempo stesso.

Will tamburellò le dita sulla gamba, pensieroso. Non sapeva cosa e quanto raccontargli. Si fidava di lui, ma quel Nico era ben diverso da quello che lo aveva abbandonato tre anni prima. Non era molto sicuro di potersi fidare di lui, però... a chi altro poteva dirlo?

«Io e Leo abbiamo cominciato una relazione segreta.» disse Will, sentendosi arrossire dopo lo sbuffo piuttosto sonoro del figlio di Ade. «Abbiamo ripreso a vederci nel bunker 9, ed era tutto perfetto, o lo era in parte. Leo non mi ha mai nascosto il suo desiderio di sposare Calipso, e io... be', ne ero ferito, ma mi andava bene così, pur di averlo.»

Nico sembrò sul punto di dire qualcosa, ma si trattenne.

Will lo ringraziò con lo sguardo.

«Ma poi è arrivato Frank Zhang. Dovevi vedere com'era ridotto. Si reggeva in piedi a malapena.» sospirò Will, passandosi la mano tra i capelli. «Era pieno di ferite e di sangue, ovunque. E si muoveva nel Campo spinto da un unico pensiero: chiedere la mano di Hazel.»

«Se ci fossi stato io, probabilmente avrei tagliato la sua, di mano.» mormorò Nico.

«Lo immagino. E io gliel'avrei sistemata.» sorrise Will, divertito dalle sue parole. Poi tornò serio. «Frank aveva questa infezione nel sangue, e ho pensato che fosse il caso di sigillare l'infermeria e mettere in quarantena il Campo. Quindi, sono rimasto per una settimana in infermeria con Frank e i miei fratelli, senza ricevere notizie da Leo. Questo mi ha ferito molto. Mi aspettavo almeno qualche messaggio, sebbene avessi i pensieri da tutt'altra parte, ma Leo non si è fatto sentire. Gli ho scritto io, per dirgli di Frank. E da allora, da quando Frank si è rimesso in piedi, non abbiamo più parlato. Be', a parte il giorno in cui sei arrivato.»

Nico attese in silenzio che l'altro riprendesse a parlare. Il suo volto era inespressivo.

«Quel giorno ho litigato con Leo.» continuò Will, con un sospiro. «Hazel ha aspettato Frank per dieci anni senza mai darsi per vinta, e lui alla fine è tornato. Mezzo morto, ma è tornato. E sono andati via insieme, e magari un giorno molto lontano si sposeranno. E io? Io cos'ho? Non ho niente. Ho un ragazzo che non amo e che sbava per me. E ho un altro ragazzo che è sul punto di sposarsi con la madre di suo figlio, un ragazzo che non mi ha cercato per giorni e chissà cos'ha fatto chiuso nella sua casa con la futura moglie. Frank ha attraversato la guerra per Hazel, e Leo non sa decidere tra me e Calipso. E questa decisione va avanti da un bel po'. Io voglio una famiglia, un marito, dei bambini, senza dovermi nascondere. Non credevo fosse una richiesta tanto assurda.»

Will tirò su col naso e prese un tovagliolo dalla busta di carta. Si sentiva un idiota a parlare delle sue pene amorose a Nico, proprio lui che era stato tradito dal fidanzato per anni.

«Sai, non somiglia per niente alla mia storia passata.» mormorò Nico, come se gli avesse letto nel pensiero. «Anch'io volevo un marito, un posto da chiamare casa dove ad attendermi avrei trovato l'amore della mia vita. Purtroppo, la mia era solo un'illusione.» Il figlio di Ade accennò un sorriso. «Tu invece... hai trovato l'amore della tua vita. Hai solo qualche ostacolo da togliere. Se vuoi, posso darti una mano.»

«Vuoi uccidere Calipso?» disse Will, pensieroso, accarezzando l'idea. «Mi dispiace un po' per James, ma avrà me...»

«Solace.» La voce di Nico lo riscosse dai suoi pensieri e il figlio di Apollo guardò l'altro negli occhi scuri, piuttosto divertiti. «Da quando sei diventato così melodrammatico?»

«Oh.» bofonchiò Will, arrossendo. «Ho immaginato che tu... insomma...»

«Che io, da bravo figlio del signore dei morti, ti proponessi di ammazzare qualcuno? Solace, credevo che proprio tu non dessi peso agli stereotipi.» sorrise Nico, divertito dal rossore dell'altro.

Will si portò una mano al viso, vergognandosi per quello che aveva detto. Certo, uccidere Calipso era una delle opzioni, ma non era affatto fattibile. Leo avrebbe avuto il cuore a pezzi, e nemmeno tutto il suo amore sarebbe riuscito a farlo stare meglio.

«E comunque, intendevo mandare un messaggio a Valdez.» continuò Nico, dandogli uno spintone per farlo smettere di pensare. «Gli ho chiesto il numero, l'altro giorno in mensa. Gli chiederò di venire qui, e ci sarai tu ad aspettarlo. Dovete parlare, e in fretta. Il matrimonio si sta avvicinando.»

Will si mordicchiò il labbro. «Hai ricevuto l'invito?»

Nico esitò prima di annuire. «Sì, ma me l'ha detto Cal, a voce.» mormorò, a disagio. «Non credo proprio che parteciperò, i matrimoni non sono per me, né seduto tra i familiari, né sull'altare.»

Will guardò l'altro, e non trattenne il suo impulso di abbracciarlo. Nico bofonchiò di lasciarlo subito, e Will ubbidì dopo qualche secondo, sebbene desiderasse abbracciarlo tanto a lungo da fargli dimenticare tutto il dolore subito da Jackson.

«Non ti azzardare più.» brontolò Nico, stizzito, mettendosi a braccia conserte.

«Scusami. È stato più forte di me.»

Nico lo ignorò, lo sguardo puntato sul camino spento. Non lo aveva più acceso dal primo giorno, quando aveva bruciato i cuscini di Hazel e gli ultimi ricordi di Jackson che possedeva nella sua camera, come delle foto e dei lacci blu per i suoi stivali.

«Comunque, vi lascio la mia cabina per parlare.» precisò Nico, alzandosi in piedi e andando a prendere il cellulare. Will lo seguì con lo sguardo. «Se osate fare dell'altro, farò un giuramento allo Stige che riguarda la mia lama e i vostri uccelli.»

Will fece una smorfia di dolore al pensiero. «D'accordo, cercherò di ricordarmelo.»

Nico gli lanciò un'occhiata. «Qui tra un'ora?»

Il figlio di Apollo annuì e il corvino inviò il messaggio. Come gli aveva ricordato Nico, il matrimonio di Calipso e Leo era vicino. Troppo vicino. Prima parlavano e si chiarivano, meglio era per tutti.

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Capitolo 70
*** 88. Nella cabina 13 ***


Valdez. Ho bisogno di vederti. Nella mia cabina. Tra un'ora. Nico.

 

Leo aggrottò la fronte nel ricevere quello strano messaggio dal figlio di Ade. Se era un messaggio, e aveva salvato il suo numero, perché doveva firmarsi? Non era necessario. Gli ricordò il personaggio di una serie vista qualche anno prima.

«Chi è?» domandò Calipso, lanciandogli un'occhiata curiosa.

«È Nico.» disse Leo, osservando la chat e mandando un pollice di risposta. «Vuole vedermi.»

«Oh! Magari vuole raccontarti di Percy.» sorrise la ninfa, e Leo incrociò il suo sguardo con un sorriso.

«Non credo che Nico Di Angelo abbia intenzione di spettegolare con me, ma lo prendo come un invito ad andarci.» sorrise e si allungò per baciarla. Stavano finendo gli ultimi ritocchi per il matrimonio. Tra due settimane, sarebbero stati marito e moglie.

Leo fremeva dalla voglia di vederla sull'altare al suo fianco.

Ma i pensieri su Will bloccavano questa immagine che si era fatto in testa. Lui e Calipso insieme per il resto della loro vita. E Will... solo una nota a margine.

Leo finì di sistemare il tavolo degli invitati e osservò il disegno. Non era male, sebbene avesse messo vicino persone che non intendeva assolutamente che si vedessero. Avrebbero litigato tutto il tempo, rubando loro la scena. E non voleva che succedesse. Almeno, non fino a quando le nozze non sarebbero concluse.

Anche Calipso glielo fece notare, e Leo si affrettò a sistemare. Aveva messo i famosi Sette della Profezia – be', sei, visto che, in quanto sposo, doveva restare al tavolo con la moglie – nello stesso tavolo. Hazel e Frank ne sarebbero stati felici, come Jason e Piper. E Leo si ritrovò a guardare i due nomi rimasti: Percy Jackson e Annabeth Chase. Calipso stava cancellando in fretta il nome di Percy, per metterlo in un tavolo distante. Leo li guardò. Qualcosa gli diceva che nessuno dei due si sarebbe lamentato di quella vicinanza.

Ma non lo disse a Calipso. Era il segreto di Annabeth, e lui non voleva mettersi in mezzo. I suoi amici avevano bisogno di un po' di riservatezza, almeno fino a quando non avrebbero trovato l'occasione adatta per parlarne. Magari poteva succedere proprio al loro matrimonio.

Le parole di Hazel gli risuonavano nella testa. Alla fine uno torna sempre dalla prima persona che ha amato. Da un lato aveva senz'altro ragione, ma se era successo, doveva esserci qualcosa sotto. Per un attimo sperò davvero che Nico Di Angelo volesse raccontargli di Percy Jackson.

«Vado a prendere una boccata d'aria.» disse Leo, alzandosi, e Calipso annuì, fischiettando un motivetto allegro. Non vedeva l'ora che arrivasse il giorno delle loro nozze. Leo un po' la capiva. Per lei, non esisteva nessun altro, a parte lui, e James.

Leo uscì fuori, appoggiandosi alla casa e guardando il cielo. Era pomeriggio, aveva passato tutta la giornata con la futura moglie, mentre James e i suoi amici erano in spiaggia con Katie e Travis. Non gli era dispiaciuto vedere il figlio andare via con loro. Avrebbe voluto seguirli, ma l'occhiataccia di Calipso l'aveva tenuto fermo sul posto.

Leo sospirò, cercando le sigaretta nella tasca. Non fumava da così tanto, ormai. Fino a qualche mese prima, non gli era dispiaceva accenderne una. Non ricordava nemmeno quando avesse smesso. Quando Will era tornato al Campo Mezzosangue? Quando avevano fatto pace? O era successo prima, in quei mesi in cui Will era lontano e finalmente il suo cuore aveva ripreso a respirare?

Leo fece spuntare le fiamme sulla punta delle sue dita e le osservò. Era sempre stato affascinato dalle fiamme, e quella passione non era mai andata del tutto via.

«Tutto okay?»

La voce di Calipso, così all'improvviso, lo fece sussultare. Si voltò a guardare la donna, che lo osservava seria e divertita al tempo stesso.

«S-Sì.» balbettò Leo, scrollando le spalle. «Tutto bene.»

«Ti ho spaventato, vero?»

«No...»

Calipso ridacchiò e gli si avvicinò, sfiorandogli la guancia. Leo la guardò negli occhi, chiedendosi come potesse fare una scelta diversa da lei. Si baciarono dolcemente, e Leo percepì il suo odore di cannella farsi strada nelle sue narici. Sospirò contro le sue labbra, pensando che non potesse desiderare di meglio per la sua eternità. Calipso sarebbe stata per sempre lì con lui.

«Forse un pochino.» ammise Leo infine, e Calipso ridacchiò contro le sue labbra.

«Dai, vai da Nico.» disse Calipso, arruffandogli i capelli, trovandolo adorabile con tutti i ricci in disordine. «Se ti parla di Percy, mi dovrai raccontare tutto. O almeno il più possibile.»

«D'accordo.» annuì Leo, dandole un ultimo bacio. «Ci vediamo dopo.»

 

Leo camminò nel bosco, diretto alle cabine. Pensava sia a Calipso che a Will. Se ci fosse stata anche solo la possibilità di far funzionare le cose tra tutti e tre, non ci avrebbe pensato due volte a proporre una relazione. Un triangolo, senza dover far scontento nessuno. Will avrebbe adottato i figli suoi e di Calipso, e avrebbero vissuto tutti nella stessa casa.

Leo sospirò, cercando di cacciare via quel sogno dalla testa. Purtroppo lui era Leo Valdez. Non aveva avuto un'infanzia semplice, quindi perché avrebbe dovuto avere un'eternità semplice?

Arrivato alle cabina, Leo notò subito Miranda Gardner che chiacchierava amabilmente con Connor Stoll. Miranda stava ridendo per qualche battuta del figlio di Ermes, e Leo si domandò se avesse intenzione di spassarsela anche con lui. L'espressione di Connor, però, era ben lontana da quella di uno interessato. Non lo vide passare o, se lo vide, lo ignorò alla grande.

Leo passò davanti alla cabina 7, cercando di non pensare a quando Will aveva baciato Connor di fronte a lui, per dispetto. Almeno, era stato dispetto? O voleva provocarlo? Tanto aveva smesso in fretta, con l'arrivo di Nico al Campo. Non aveva perso tempo prima di correre da lui.

Leo sentì la gelosia bruciargli nel petto. Si domandò come mai. Era geloso di Connor e di Nico. Ed era lui il primo a stare con un'altra persona, come gli aveva ricordato Will pochi giorni prima. Non era uno stronzo, a chiedere all'altro di non avere relazioni?

Arrivò fino alla cabina 13, sperando che Nico riuscisse a distrarlo per un po' dai suoi problemi. Bussò alla porta, chiedendosi quanto dovesse essere meravigliato alla notizia di lui e Percy... e ricordò che il figlio di Ade già lo sospettava. Era stato l'unico non sorpreso, a cena.

Leo bussò alla porta, sperando che Nico non si fosse addormentato. Tutte le finestre erano chiuse, dando alla cabina un aspetto tetro, ben diverso dal luogo accogliente che Hazel aveva lasciato. Mentre la porta si apriva da sola davanti a lui, Leo si sentì rabbrividire dal terrore. Avrebbe lasciato la porta aperta, giusto per far passare un po' di luce.

«Nico? Sto entrando.» disse Leo, aprendo un po' di più la porta, e lasciandola socchiusa. Le luci erano quasi tutte spente, a parte una vicina ai divani.

«Sei un po' in anticipo.» disse la voce fredda di Nico, e Leo scrollò le spalle, avvicinandosi ai divani.

«Sì, be', ero curioso.» ammise Leo, fermandosi di fronte a Nico. Il figlio di Ade indossava una felpa nera e dei pantaloncini. Gli occhi del figlio di Efesto si puntarono subito sul tatuaggio al polpaccio. Un teschio. Non poteva aspettarsi altro, da quel ragazzo circondato dalla morte tutto il giorno.

«Non mi piace chi arriva così presto.» disse Nico, schioccando le labbra e guardando l'orologio sul pc aperto sul tavolino. «Mezz'ora in anticipo...»

«Vuoi uccidermi?»

«No, quello lo avrei fatto se fossi arrivato tardi.» Nico chiuse il pc e si alzò in piedi, tirandosi il cappuccio sulla testa. «Vado a prendere qualcosa da mangiare in mensa.»

Leo aggrottò la fronte, confuso. «Ma come?» disse, guardando il ragazzo che cercava le scarpe con lo sguardo. «Sono venuto qui da te, e te ne vuoi andare a mangiare? Va bene, sono arrivato in anticipo, me ne assumo la colpa, ma... è proprio necessario prendere uno spuntino?»

Nico lo guardò negli occhi. Sembrava divertito e Leo si domandò cosa fosse successo a quel ragazzino di tanti anni prima. Era davvero cambiato. Poteva sembrare in meglio, ma nei suoi occhi c'era un dolore tutto nuovo.

«Sì, è necessario.» si limitò ad annuire Nico. E poi, prima che Leo potesse aggiungere qualcos'altro, il figlio di Ade entrò nell'ombra del divano e scomparve dalla cabina, lasciando solo una scia di profumo al sandalo per segnalare la sua presenza.

«Oddei.» borbottò Leo, scuotendo la testa. «Non è proprio il modo adatto per trattare un ospite.»

«Nico, scusa se ci ho messo tanto. Non trovavo il pettine. Potevi dirmelo che non...»

Leo sussultò al suono di quella voce e puntò lo sguardo su Will Solace, appena uscito dal bagno. I suoi occhi azzurri erano puntati sul suo viso, ingigantiti per la sorpresa di vederlo lì. Aveva i capelli un po' umidi, come se li avesse bagnati più volte per ravvivarli.

«Ah, sei già qui.» disse Will, portandosi una mano ai capelli e sistemando un ciuffo ribelle. «Ti aspettavo tra mezz'ora.»

«Me l'ha detto anche Nico.» rispose Leo, mordicchiandosi il labbro. «Allora... cosa succede, qui?»

«Nico ci sta offrendo il suo soggiorno per farci parlare.» disse Will, infilandosi le mani in tasca.

«Quindi hai lasciato che fosse lui a mandarmi il messaggio perché non hai il coraggio?»

«No, è stata una sua idea. Immagino che non voglia più sentirmi piagnucolare il tuo nome.»

Leo roteò gli occhi al cielo, ma capiva benissimo il figlio di Ade. Anche lui, in passato, aveva spinto i fratelli tra le braccia della donna, o dell'uomo, dei loro sogni, per farli smettere di rompere le scatole. Guardò Will che andava a sedersi sul divano, nello stesso punto in cui, poco prima, Nico era stato seduto.

«Di cosa vuoi parlare?» domandò Leo, rimanendo in piedi, senza muoversi. «Di quanto sei stato stronzo l'altro giorno? Soprattutto con Nina.»

«Mi scuso per l'altro giorno.» annuì Will. «Ma... mi hai fatto proprio arrabbiare. Leo, sono stanco. Il tuo matrimonio è sempre più vicino. E noi non ci vediamo più da settimane. Voglio sapere cos'hai deciso. Perché ti vergogni a dirmi la verità?»

«E quale sarebbe, la verità?»

«Hai scelto Cal. Ammettilo. Non... Non ti odierò, per questo. Ma lo farò, se continuerai a tergiversare, facendomi soffrire giorno dopo giorno.»

Leo si strinse nelle spalle. «Non lo so.» ammise infine, e arrossì sotto lo sguardo del figlio di Apollo.

«Come non lo sai?» chiese Will, confuso. «Tra due settimane ti sposi.»

«Sì, ma niente di serio.» borbottò Leo, passandosi la mano tra i capelli. Si sedette all'altro lato del divano, lontano da Will, ma non così tanto da non sentire il profumo di Nico che si era spruzzato in bagno.

«Leo...» disse Will, sforzandosi di non alzare la voce.

«Will, è difficile, okay?» disse l'altro, esasperato. «Io ti amo, lo giuro, ma... amo anche Calipso. È difficile da capire?»

«Non è difficile. Ci sono arrivato, sai? Solo che... io voglio una risposta da parte tua, una risposta sincera e concisa. E sono stanco di pendere dalle tue labbra. Leo, hai intenzione di sposarti?»

Leo rimase a guardare Will negli occhi per quelle che parvero ore.

«Sì.» ammise infine. «Sì, ho intenzione di sposarla.»

«Molto bene.» annuì Will, serio. «Allora il giorno in cui ti dovrai sposare, io ti rovinerò il matrimonio e ti porterò via da lei.»

Leo aprì la bocca per la sorpresa. «Guardi troppe serie tv, sai?» disse, portandosi una mano al petto. Il cuore gli stava battendo all'impazzata per quella possibilità. Già lo vedeva, Will Solace, imbucato al suo matrimonio, che buttava giù sedie e invitati, allontanava Calipso dall'altare con un calcio, prendendolo di peso e portandolo via.

«Può darsi.» mormorò Will, con un sorrisetto. «È che non ho più intenzione di aspettare che sia tu a decidere. Se aspettassi te, e la tua decisione, morirei vecchio. Quindi... okay, Valdez, sposati pure. Ma sappi che rovinerò le tue nozze.»

Lo sguardo di Will era così serio e determinato che Leo sentì le ginocchia tremare. La sua promessa gli piacque sopra ogni altra cosa. E gli credeva sul serio. Credeva ad ogni sua parola.

«Ovviamente, potrai respingermi, quel giorno.» disse Will, avvicinandosi a lui sul divano e posandogli una mano sulla coscia. «È una tua scelta. Ma dopo quel giorno... se mi dirai di no... non mi vedrai mai più.»

Leo chiuse gli occhi, fremendo dal desiderio. Voltò la testa verso di lui, sfiorandogli le labbra con le proprie. Will sorrise a quel gesto e lo baciò, un bacio dolce e passionale al tempo stesso.

«Will...» mormorò Leo, ricambiando il bacio, non riuscendo a fare a meno delle sue labbra. «Will... perché non scappiamo via adesso?»

Will aggrottò la fronte. «Come?»

«Andiamocene adesso.» ripeté Leo, portandogli le mani sulle guance. «Andiamo via dal Campo Mezzosangue adesso, non aspettiamo il matrimonio. Possiamo... andare ovunque tu voglia. Andrò a risvegliare Festus, mi ci vorranno forse un paio d'ore, non lo cavalco da molto, ma...»

«Leo.» Will si allontanò da lui, e Leo lasciò ricadere le mani sul suo grembo. «Non fare promesse che non intendi mantenere.»

«Ma Will... sono serio.»

«Non sei serio. Sei solo preso dalla passione.» sospirò Will, baciandolo di nuovo. Leo ricambiò il bacio, sentendosi in estasi. E sì, Will aveva ragione.

«E cosa farai con James?» aggiunse il figlio di Apollo, succhiandogli il labbro inferiore.

«Resterà con Cal finché non ci saremo sistemati.» mormorò Leo, il cui cuore aveva cominciato a battere all'impazzata. Quelle erano solo parole, aria fritta, ma... lo attiravano. Molto più del matrimonio con Calipso. È dire che solo mezz'ora prima era stato così sicuro di sposarla...

«Sistemati?» ripeté Will, e Leo se lo ritrovò sopra, con i capelli biondi che gli solleticavano il volto.

«Costruirò una casa per noi.» annui Leo, passandogli le dita sul petto. Quei muscoli tonici gli erano mancati. Erano così diversi dalla morbidezza della ninfa... «Con tutte le stanze che vorrai. Potremmo... andare a vivere al Campo Giove, così potrai lavorare lì in ospedale. Oppure...»

Will lo baciò di nuovo, tappandogli la bocca, prima che potesse promettere altro. Avrebbe desiderato davvero una casa costruita da Leo, un giardino, magari dei bambini orfani da adottare che avrebbero corso nel loro giardino. Poter tenere la mano al figlio di Efesto mentre erano seduti sulla veranda a godersi una birra fresca, senza sentirsi giudicare da nessuno.

Leo ricambiò il bacio, portandogli le mani tra i capelli. Gli erano mancate quelle labbra, ma era troppo testardo per poterlo ammettere. Continuò a toccarlo dappertutto, inarcandosi contro il figlio di Apollo. Lo desiderava completamente, con tutto sé stesso, più di quanto volesse Calipso. Doveva essere quella, la risposta che stava cercando. Desiderava Will più di Calipso. Non l'aveva desiderato dal primo momento in cui l'aveva visto in spiaggia, pochi mesi prima? Avrebbe parlato con Cal il giorno stesso, appena fosse tornato da lei. Quel matrimonio, quella falsa, non poteva andare avanti. Forse la sua Calipso avrebbe capito.

La porta della cabina si spalancò e sbatté. I due si staccarono di colpo, spostando lo sguardo sulla figura alta e snella appena entrata come una furia. Leo sgranò gli occhi a quella vista, ma non riuscì a reagire in tempo. Will tentò di mettersi seduto, il volto completamente impallidito, ma non riuscì a dire niente. Un pugno lo colpì dritto sulla mascella, facendolo cadere dal divano.

«BASTARDO!» urlò Connor Stoll, colpendo nuovamente Will al volto. «MI FIDAVO DI TE, BASTARDO!»

Will cercò di difendersi, ma il figlio di Ermes stava utilizzando una forza che il dottore non aveva mai visto. Sentiva il labbro rotto e un tremendo dolore alla mascella. Forse gli aveva fatto saltare anche un dente. Il sapore del suo sangue lo colse impreparato.

«Smettila!» gridò Leo, dopo i primi secondi di sorpresa. Si alzò in piedi, cercando di afferrare il moro che aveva cominciato a tirare calci sulla pancia di Will, che gemeva di dolore steso sul pavimento. «Lascialo stare, Stoll!»

Connor si bloccò nel mezzo di un calcio e si voltò verso Leo. Il suo sguardo faceva paura. Non c'era posto per le lacrime, tra il dolore e il disprezzo che emanava dagli occhi scuri.

«Come osi rivolgermi la parola?» gridò Connor, e Leo si inginocchiò accanto a Will prima che Connor potesse colpirlo. «Tu, piccolo nano bastardo? Come ti permetti di toccare il mio Will? Ma è mai stato mio?»

Connor si passò una mano tra i capelli, guardando Will che lentamente spostava le mani dal viso. Il sangue sul suo volto fece arrabbiare Leo, che sollevò lo sguardo sul figlio di Ermes.

«Siete dei grandissimi bastardi, tutti e due.» ringhiò Connor, e Leo notò le lacrime agli angoli dei suoi occhi. «Vi odio. Dovete bruciare negli Inferi, quando arriverà la vostra ora. Spero che Calipso sarà d'accordo con me.»

Connor si mise a correre verso la porta, sbattendola alle spalle. Leo fissò la porta chiusa, che aveva fatto tremare i vetri della cabina. Calipso? Perché Connor l'aveva messa in mezzo? Forse voleva...

«Leo.» disse Will, cercando di mettersi seduto e sputando uno dei suoi denti. Lo guardò rotolare sul tappeto nero e rabbrividì dal dolore. «Leo, prendimi... Leo

Il figlio di Efesto scattò in piedi. Non guardò Will. Si avvicinò alla porta e la spalancò, guardando la schiena di Connor Stoll sparire tra gli alberi, diretto verso casa sua.

Il sangue lasciò il volto di Leo. Stava andando da Calipso. Le avrebbe detto ogni cosa. Il suo cuore saltò un battito nel vedere il figlio di Ermes parlare con la sua bella Cal, raccontarle cosa aveva visto e sentito. Non doveva andare così, anche se...

«No...» sussurrò, cominciando a correre, dando una spallata a Nico Di Angelo che stava salendo i gradini, con in mano un sacchetto pieno di patatine.

«EHI!» urlò il figlio di Ade, mentre il sacchetto volava in aria. Riuscì a prenderlo prima che toccasse terra, ma alcune patatine erano volate sui gradini e tra i capelli di Leo. «VALDEZ, CHE CAZZO..?»

Ma Leo non si fermò. Continuò a correre, sordo alle sue parole e ai suoi stessi pensieri.

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Capitolo 71
*** 89. Non per me ***


«Will?»

Will si era steso di nuovo per terra, ignorando il dolore al volto e alla pancia. Sentiva i calci di Connor come se stesse continuando a darglieli, nonostante avesse smesso. Gli girava la testa, e il sangue che colava dal naso e dal suo labbro, mescolati alle lacrime, di certo non lo aiutava.

«Porca troia. Will!»

Nico Di Angelo lasciò cadere il sacchetto sul pavimento e corse da Will. Gli si inginocchiò affianco, prendendo una vecchia maglietta e passandola sul volto del figlio di Apollo, cercando di capire da dove provenisse il sangue. Il naso gli stava diventando color melanzana e il figlio di Ade sentì la prima ondata di panico attraversarlo. Poi, il vuoto assoluto.

«È stato Valdez?» ringhiò, asciugandogli le lacrime.

Will scosse la testa e Nico lo mise seduto, facendogli appoggiare la schiena contro il divano. Lo guardò singhiozzare, senza riuscire a capire le sue parole.

«Aspetta...» mormorò Nico, scomparendo in una chiazza d'ombra, e ricomparendo dopo un minuto con un kit di pronto soccorso tra le mani.

«D-Dove..?» singhiozzò Will, tirando su col naso e peggiorando la situazione.

«L'ho rubato dall'infermeria.» spiegò Nico, tornando a sedersi vicino a lui. Aprì il kit e cominciò ad estrarre disinfettante e cotone, tamponandogli le ferite. Will non fece caso al modo familiare di quei gesti. «Lo rimetterò al suo posto, promesso.»

Will annuì, chiudendo gli occhi, cercando di non pensare alle mani fredde del figlio di Ade sul suo viso. Pensava a Leo, che era partito come un razzo alla ricerca di Connor. Sperò con tutto il cuore che l'avesse fatto per lui, ma era certo che volesse proibirgli di arrivare da Calipso. Il figlio di Ermes aveva lo sguardo di uno a cui era appena stato brutalmente spezzato il cuore in più parti.

«Okay.» disse Nico, dopo qualche minuto, infilandogli del cotone nel naso. «Non ho le tue doti guaritrici, ma per il momento può bastare. E anche il labbro... Ti è caduto un dente, sai?»

Will scrollò le spalle. Non gli importava di niente, in quel momento. Nico lo studiò attentamente, poi si voltò alla ricerca del dente, sperando che l'altro non lo avesse ingoiato. Lo vide sul tappeto e si rilassò appena, per quanto potesse farlo data la situazione.

«Puoi riattaccartelo?» domandò Nico, prendendolo, e voltandosi a guardarlo. «Ti ho già visto farlo.»

Will annuì e Nico si alzò in piedi. Sciacquò il dente nel lavandino, rischiando di farlo cadere, e lo mise in un bicchiere di vetro, al sicuro fino a quando il figlio di Apollo non fosse stato capace di riattaccarselo. Poi tornò da lui, sedendosi al suo fianco e continuando a medicargli il viso.

«Dove... dove hai imparato?» mormorò Will, socchiudendo gli occhi. Pensare a Leo lo faceva stare male, gli serviva una distrazione.

«Mh, ti ricordi tutte quelle volte che mi trascinavi in infermeria per “aiutarti”?» gli disse Nico, abbozzando un sorriso, mimando le virgolette con le dita. «Be', vederti riattaccare braccia e gambe mi ha fatto vedere il tuo lavoro in modo... meno noioso. Ho iniziato a studiare come infermiere al Campo Giove. Non ho praticato molto, ma... qualcosa mi è rimasto.»

Will lo guardò negli occhi. Nico cercò di non dar troppo peso alle sue lacrime di dolore. «Sei un infermiere?»

«Non ho ancora superato gli ultimi test.» ammise Nico, imbarazzato. «Ma ho avuto tempo di studiare molto, in questi anni. Però sì, mi piacerebbe diventarlo. Il ruolo da dottore rompipalle del Campo lo lascio a te, però.»

Will continuò a guardarlo e Nico finì di medicargli l'occhio destro, che stava diventando violaceo come il naso. Non erano dei colori molto positivi, e Nico si affrettò a cercare dell'ambrosia e del nettare nel kit. Staccò un pezzo di ambrosia e gliela porse. Will la prese riluttante, e Nico abbozzò un lieve sorriso, tornando indietro nel tempo, ripensando a quando la situazione era al rovescio.

«Cos'è successo?» domandò Nico, spalmandogli del nettare sull'occhio e sul naso nel modo più delicato possibile.

«Connor... ci ha visto.» singhiozzò Will, tenendo gli occhi chiusi. Rabbrividì nel ricordare quelle mani dolci che aveva sentito sul suo corpo decine di volte, picchiarlo con tutta quella violenza. «Lui... non so, la porta d-della cabina era ap-aperta e... mi è saltato addosso.»

«Ah...» Nico si mordicchiò il labbro. Lui era uscito con il viaggio ombra... doveva essere stato Leo a lasciare la porta aperta.

Will si portò le mani al viso, asciugandosi le lacrime e strofinando via il nettare dalla pelle. Cercò di tenere il tono fermo mentre mormorava un inno ad Apollo per far scomparire il dolore al naso e all'occhio. Nico lo guardò fare, osservando le ferite farsi sempre meno brutte. Ma non sparirono. Nico immaginò che volesse tenerle come ricordo, oppure il biondino era del tutto stanco.

«Nico, ci ho provato.» disse Will, tirando su col naso e guardandolo. «Ho parlato con Leo. Gli ho... gli ho detto quello che ho intenzione di fare. E lui...»

«E lui?» domandò Nico con dolcezza, passandogli le dita tra i capelli. Conosceva già la risposta. L'aveva vista con i suoi occhi.

«Lui ha rincorso Connor.» sussurrò Will. «L'ha rincorso... e non per me.»

Nico annuì appena e aprì le braccia, lasciando che il figlio di Apollo singhiozzasse sulla sua spalla. Lo strinse a sé, cercando di non fargli male, e con un movimento delle dita fece scattare la serratura della porta. Nessun altro sarebbe entrato.

 

 

Connor Stoll correva veloce, saltando sui rami spezzati ed evitando le tane di coniglio come se le conoscesse a memoria. Leo lo seguì con il fiatone, chiedendosi quante altre volte avesse percorso quella strada. Non l'aveva mai visto nei dintorni di casa sua. E se... un pensiero gli entrò nella testa. Lui e Calipso si conoscevano? Avevano forse una relazione alle sue spalle? Il pensiero lo fece infuriare. Creò una piccola palla di fuoco e la lanciò verso il figlio di Ermes, colpendolo alle spalle. Strillò e cadde a terra, per spegnere il fuoco sulla schiena.

Leo batté le mani su di lui per aiutarlo a diradare le fiamme, sebbene fossero ormai del tutto spente. Non aveva lanciato una palla abbastanza grossa da provocare incendi nel bosco o ustioni di terzo grado al ragazzo. Ma era stata sufficiente per farlo fermare.

«Stoll.» ringhiò Leo, sedendosi sopra il ragazzo e fermandogli le mani che cercavano di colpirlo. «Cosa hai intenzione di fare?»

Connor si lasciò scappare un rantolo. Non gli piaceva lo sguardo pazzoide di Leo. Sembrava sul punto di dar fuoco all'intera foresta oppure, più probabile, a lui stesso. Scacciò le lacrime dagli occhi.

«Vado a parlare con Calipso.» sbottò Connor, con lo stesso tono ringhioso dell'altro. «Le dirò tutto quello che ho visto e sentito... visto che non hai le palle per farlo.»

Leo strinse più forte le mani sulle sue, sentendole scaldare. Connor lanciò un gridolino, e Leo si affrettò a coprirgli la bocca con la mano.

«Posso ucciderti.» disse Leo, piano, con lo sguardo indemoniato. «Quindi fai il bravo. E rispondi alle mie domande.»

Connor annuì, tremando. Lo sguardo del figlio di Efesto lo spaventava. Non aveva più intenzione di parlare con Calipso del matrimonio e di Will, se questo significava mettere a rischio la sua vita.

«È stato Nico?» chiese Leo, sedendosi sopra di lui. Connor era più forte fisicamente, ma era spaventato dal suo tocco caldo. «Ti ha detto Nico quello che stava succedendo?»

Quando aveva visto il figlio di Ade fuori dalla cabina, quel pensiero gli si era fermato in testa. Voleva una risposta. Voleva sapere se doveva aggredire il ragazzo corvino.

Ma Connor scosse la testa.

«No.» bofonchiò da sotto la sua mano e Leo la sollevò per lasciarlo parlare. «Io... ti ho visto andare verso la 13. Sapevo che c'erano... Will e Nico, ma pensavo dovessi parlare con Nico. E poi... ho accompagnato Miranda in mensa... e ho visto Di Angelo lì, che prendeva le ultime patatine fritte dal buffet e riempiva un sacchetto per sé davanti ai bambini. E... ho capito che eravate da soli.»

Leo lo guardò negli occhi, e capì dalle sue lacrime che non stava mentendo. Nico Di Angelo non c'entrava niente. Era solo colpevole di aver rubato tutte le patatine dalla mensa. Una parte di lui si tranquillizzò, ma solo una piccola parte.

«Cos'hai sentito?» chiese Leo, e Connor non riuscì a distogliere lo sguardo dal suo.

«Abbastanza.» disse Connor, cercando di divincolarsi. Ma il calore delle mani di Leo lo trattenne. «Io... ti ho sentito dire di andare via subito. Che James lo avresti recuperato in un secondo momento. Sono rimasto senza parole. Non riuscivo a muovermi.» Calde lacrime lasciarono gli occhi del figlio di Ermes. «Mi avete spezzato il cuore.»

Leo lo lasciò andare e si alzò in piedi, passandosi la mano tra i capelli. Connor cominciò a piangere a dirotto e Leo si sentì a disagio, a vederlo lì, in quello stato. Non aveva mai pensato alle conseguenze delle sue azioni.

«Da quanto va avanti?» singhiozzò Connor, guardandolo. «Te e Will... da quando?»

Leo incrociò il suo sguardo. «Dal giorno del Luna Park.» disse, senza provare nemmeno un po' di rimorso al volto scioccato dell'altro. «Ci vedevamo al bunker 9.»

Connor si asciugò il volto con la maglia, peggiorando solo la situazione. Lacrime e muco erano dappertutto, sul suo volto. «E Zhang... era una scusa? Eri con lui?»

«No. Frank era vero.»

Connor si lasciò scappare un singhiozzo. Si prese la testa tra le mani, pensando all'amore che provava per il figlio di Apollo così perfetto, dolce, con quel sorriso che lo faceva impazzire ogni volta che gliene concedeva uno. Quasi tutta la loro relazione... era stata una bugia. Quanti di quei sorrisi erano sinceri? Quanti falsi?

«Come conosci la strada?» domandò Leo, dandogli un piccolo calcio sulla gamba. «Come conosci la strada per casa mia?»

Connor trattenne un sospiro. Sollevò la testa, incrociando gli occhi scuri, di nuovo fiammeggianti. «Sono abituato a correre per tutta la foresta del Campo da quando ero piccolo.» sibilò il figlio di Ermes. «Gli unici bastardi traditori, qui, siete tu e Will.»

Leo decise di lasciarlo in pace. Si allontanò di qualche passo, mentre il ragazzo tornava a piangere per la sua relazione finita male. Gli diede le spalle, sapendo di non doverlo minacciare. Connor sapeva, o doveva immaginarlo, che se si fosse avvicinato a Calipso, avrebbe istantaneamente preso fuoco. Si augurò che lo sapesse.

Leo camminò con passi incerti fino a casa sua, girandosi un'ultima volta verso il Campo. Doveva andare da Will, vedere come stava, chiedergli scusa per quanto avesse fatto... ma non ci riuscì. Vederlo in quello stato... avrebbe solo peggiorato la situazione del suo cuore. Con uno sforzo, temendo di averlo perso, si incamminò verso casa.

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Capitolo 72
*** 90. Nico e Calipso ***


Will impiegò un paio d'ore a riprendere il controllo di sé stesso e dei suoi poteri. Fece sparire i danni al naso e all'occhio destro, si sistemò la gengiva e poi il dente, facendolo tornare al suo posto, e controllò i danni alla pancia. Era pieno di ematomi dove i calci di Connor lo avevano colpito, e decise di non guarirli. Dovevano essergli da lezione. Innamorarsi di un figlio di Efesto etero... doveva rimanergli impresso la stupidata fatta, sebbene quei danni sarebbero guariti nel giro di qualche giorno.

Uscì dal bagno con la testa che gli girava e guardò Nico intento a sistemargli le coperte sul divano. Gli lanciò una singola occhiata, e Will si sentì sul punto di piangere ancora. Il figlio di Ade voleva che restasse lì a dormire... immaginò non lo facesse per piacere, ma non gli importò. Ne era felice. Dopotutto, lui cercava sempre riparo, in quella cabina.

«Hazel mi ha detto che ti piace bere.» disse Nico, e Will si avvicinò al divano, notando le diverse bottiglie sparpagliate sul tavolino. «Quindi... serviti pure. Ma non vomitare nel bagno. Non ho alcuna intenzione di uscire con un figlio di Ecate per convincerlo a pulirlo al mio posto.»

Will si rimise a piangere a quelle parole. Gli mancava troppo la sua amica figlia di Plutone. Lei lo capiva sempre alla perfezione. E pianse per Nico, che aveva ben appreso le lezioni su di lui da Hazel.

«Smettila.» disse Nico, a disagio, guardando le sue lacrime. «Bevi e smettila di piangere.»

Will annuì, tirando su con il naso. Si sedette sulle coperte del divano e Nico gli infilò una birra in mano, togliendo il tappo con la pressione delle dita.

«Hai un aspetto migliore.» disse il figlio di Ade, ignorando le sue lacrime e il moccio. «Hai ancora male da qualche parte?»

Will si limitò a toccarsi il petto. Nico evitò di infilarsi due dita in gola per quell'attimo sdolcinato e afferrò una bottiglia di birra analcolica al limone. Non gli piaceva bere, e sperò che Will non avrebbe badato a lui, tra una birra e l'altra.

Will bevve un sorso della birra che l'altro gli aveva infilato in mano e guardò il camino spento. Si sentiva sottosopra, a pezzi, con i lividi che gli dolevano quanto il cuore. Buttò giù mezza bottiglia prima di dire ciò che gli passava per la testa.

«Non è venuto qui.» disse Will, e Nico tenne gli occhi puntati sul tappeto, sulla chiazza di sangue lasciata da Will. «Avrebbe potuto fermarlo e tornare da me... non l'ha fatto.»

Nico si morse la lingua per non rispondere. Gli venivano solo offese riferite verso il figlio di Efesto. Gli tornò in mente Percy Jackson, e scacciò quel pensiero. In quel caso, lui era Calipso, non uno dei traditori.

«Voleva che scappassimo oggi stesso.» continuò Will, e Nico spostò lo sguardo su di lui, sorpreso. «Voleva lasciare tutto e scappare oggi. Io... io gli ho detto che, se avesse deciso di continuare questa storia delle nozze, io... l'avrei portato via dall'altare. E in risposta mi ha detto questo. Se non fosse entrato Connor...»

Will non finì la frase, si limitò a svuotare la bottiglia di vino e a lasciarla sul pavimento, cercando la seconda con lo sguardo. Nico doveva aver svuotato la mensa, con tutta quella birra. Hazel quanto gli aveva detto che beveva, esattamente?

«Forse è meglio che sia entrato.» disse Nico lentamente, giocherellando con la bottiglia.

Will lo fulminò con lo sguardo. «Ha fatto bene a massacrarmi di botte?»

«Non sto dicendo questo.» si affrettò a dire il figlio di Ade, avvampando per l'imbarazzo. «Dico che... Connor ha fatto bene ad entrare. Così hai visto che razza di persona è Leo. Così... sai che, per quante belle parole ti dirà, alla fine sceglierà sempre Calipso.»

Will si portò una mano al petto, massaggiandosi la pelle sopra il cuore. Non stava avendo un infarto, ma il cuore gli faceva proprio male. Quelle parole erano vere, e da un lato era anche d'accordo con Nico Di Angelo.

«Io non so perché sia così indeciso, con tutto quello che lei gli ha fatto passare.» continuò Nico, sorseggiando la sua birra mentre Will si decideva a prendere la seconda. «E con quello che gli hai fatto passare tu... Credevo che ti avrebbe scelto ad occhi chiusi.»

«Lo pensavo anch'io. Però...» Will addolcì il tono di voce, e sentì le lacrime scorrergli sulle guance. «Leo non è sempre stato così. Agli inizi... tu non puoi immaginare quello che ha fatto per me. Io... credevo che non ci saremmo mai lasciati.»

Nico giocherellò con la bottiglia che teneva in mano. Will si perse nei ricordi del suo amore iniziale per Leo. Era tutto perfetto, a parte per qualche ricordo amaro che ancora gli bruciava la gola. Leo...

«Io lo so.»

Will sbatté le palpebre e spostò lo sguardo su Nico. «Cosa?» chiese, confuso.

«So cosa ha fatto Leo. E cosa hai fatto tu.»

Will lo fissò a bocca aperta. Gli occhi neri di Nico si spostarono lentamente sul suo volto. Sembrò valutare la situazione, prima di annuire.

«Ero negli Inferi, quando è arrivata l'anima di quel figlio di Ares.» mormorò Nico a bassa voce, e Will pensò a Marcelus Morgan. Non ci pensava più da anni. Gli tornò in mente tutto quello che aveva passato a causa sua. «Mio padre... ha visto anche lui i suoi ricordi, prima di me. Me l'ha tenuto da parte, perché sapeva che ero tuo amico. E quando ho visto quello che ti ha fatto...» Nico chiuse gli occhi, chiudendo la mano a pugno. «Ho provato solo odio e disgusto.»

Gli occhi di Will si riempirono di lacrime, ma non riuscì a parlare.

«È stato il primo che ho torturato.» continuò Nico, prendendogli la bottiglia di mano e bevendone un sorso generoso. Rabbrividì e storse il naso, restituendogli la bottiglia. «L'ho torturato per ore, gli ho fatto pagare ogni minuto in cui ti ha fatto del male. Ora è nei Campi della Pena, ha subire per i prossimi cento secoli quello che ti ha fatto. E suo fratello... è con lui. Lo stesso trattamento.»

Will appoggiò la bottiglia quasi vuota sul tavolino. Ombre scure stavano uscendo dalla pelle di Nico, ombre che gli facevano pensare solo a cose orribili. Ma Will gli posò la mano sulla spalla, suscitando un sussulto nel figlio di Ade, pallido come non mai.

«Io...» mormorò Will, ma Nico scosse la testa.

«Con tutto quello che hai fatto per me, era il minimo.» mormorò Nico, imbarazzato. «Non devi ringraziarmi. Quello che ho fatto non merita un ringraziamento. E tu... non meriti di versare lacrime per Leo Valdez. Se preferisce Calipso, è perché non si rende conto di chi ha di fronte. Oltre, ovviamente, ad essere un idiota.»

Le ombre sparirono dal corpo di Nico, che si alzò in piedi.

«Vado a dormire.» disse il figlio di Ade, infilandosi le mani in tasca, senza riuscire a guardarlo. «Tu... non preoccuparti. Bevi quanto ti pare. Puoi bere quello che vuoi. C'è un secchio, in cucina, per le emergenze. E dormi pure sul divano.»

Nico si dileguò nella sua stanza e Will si stese sul letto, portandosi le mani sul volto, con il cuore più pesante di prima.

 

 

Leo vagò nella foresta per un'ora prima di trovare il coraggio per tornare a casa. Trovò Calipso intenta a riordinare, il cellulare vicino all'orecchio. Quando lo vide, creò una bolla attorno a sé, e Leo immaginò che stesse parlando del suo vestito da sposa o dell'addio al nubilato. Ormai mancava poco, prima che Travis e Katie li trascinassero nei loro rispettivi posti, a ballare e a fare chissà cosa con i loro amici.

Leo salì al piano di sopra, scoprendo che James non era ancora rientrato. Si aspettava di vedere anche Bryan. Non avevano ancora comunicato ai figli di Apollo le loro intenzioni di adottare il biondino, aspettavano il matrimonio. Un matrimonio che Leo non era più sicuro di voler portare a termine.

Il figlio di Efesto si infilò nella doccia, chiudendo gli occhi al contatto con l'acqua gelida. Sentiva la pelle ribollire, come se stesse andando a fuoco da solo, senza controllo, con l'acqua che però evitava questo incendio improvviso.

Non aveva fatto del male a Connor, e per i primi venti minuti di vagabondaggio, se n'era pentito. E se fosse corso da Calipso alla prima occasione? Perché non gli aveva tappato la bocca? Dopotutto, aveva già ucciso, per Will Solace.

Leo sospirò. Non voleva più che succedesse. E non voleva nemmeno sposarsi. Ma non voleva neppure scappare con Will. Né lui né Calipso lo meritavano. Ma allora perché insisteva? Perché esitava? Perché non poteva liberare entrambi della sua presenza, prendere Festus e partire per il mondo, cercare qualcuno da amare in un modo che non fosse complicato? Perché doveva essere così complicato vivere, per un semidio?

Leo si sciacquò il viso, guardandosi le mani. Le aveva passate sul corpo di Will e sui suoi riccioli biondi, prima di stringerle attorno ai polsi di Connor Stoll e scaldarle, come se volesse dargli fuoco. Cos'era stato quel moto di rabbia improvvisa? Se avesse ferito il figlio di Ermes a morte, chi lo avrebbe perdonato? Nessuno, immaginò. Nemmeno lui si sarebbe perdonato per un'azione simile. E poi... il suo migliore amico, Travis. Come avrebbe reagito ad un'azione del genere?

Leo rimase sotto l'acqua per qualche altro minuto, prima di uscire. Non aveva voglia di usare la sua magia, quindi si limitò a tamponarsi la pelle con un asciugamano, e si vestì. Gli pulsava la testa, desiderava solo infilarsi nel suo letto e non svegliarsi più. Ma si costrinse a scendere al piano di sotto. Presto sarebbe arrivato James per la cena, e non voleva che Calipso si preoccupasse non vedendolo tornare.

La ragazza era ancora impegnata nella sua telefonata privata, e Leo la osservò ridere e accarezzarsi il braccio. Sembrava luminosa, più del solito. Ricordò quando l'aveva salvata da Ogigia, i bei momenti che avevano passato assieme prima di finire nel cerchio della droga. Ripensò alle risate e alle battute che si erano scambiati nel corso degli anni. Le era mancata parecchio, quando aveva preso James ed era scappato dalla loro casa, lasciandola da sola e con solo una lettera senza spiegazioni. Ora, Calipso era al massimo della sua forma, felice, capace di badare a sé stessa e di organizzarsi il matrimonio perfetto senza battere ciglio. Era stata addirittura lei a chiedergli di sposarlo, perché sapeva già che se avesse aspettato lui... avrebbero passato la vita eterna in eterna attesa di un movimento dell'altro.

Il bussare alla porta riscosse Leo dai suoi pensieri. Si affrettò ad aprire, sperando che Connor non avesse ancora parlato con il fratello. Non avrebbe retto la litigata con il suo migliore amico.

«Ehi, Trav.» salutò Leo, incrociando gli occhi scuri dell'amico. «Come..?»

Il pugno di Travis non si fece attendere ulteriormente. Lo colpì dritto allo stomaco, facendo sussultare il figlio di Efesto che, nonostante se lo aspettasse, era riuscito comunque a beccarlo impreparato. Scivolò all'indietro, per evitare il secondo pugno del giovane fuori di sé, e Calipso li guardò a bocca aperta.

«Sei un bastardo!» esclamò Travis, afferrandolo per il colletto e strattonandolo. «Sei un...»

«Dov'è James?» chiese invece Leo, atterrito più dall'idea che suo figlio stesse assistendo che dai colpi del figlio di Ermes.

«I bambini sono con Katie.» disse Travis, stringendo sempre di più le dita nella maglietta. «Stasera dormiranno nella cabina di Demetra. Tu...»

«Non c'è bisogno di minacciarmi.» sbuffò Leo, sentendosi più tranquillo. Travis lo lasciò andare, scocciato dalla sua tranquillità. «Immagino che ti abbia detto tutto.»

«Sì.» Travis si trattenne dallo sputargli in faccia. «Mi hai... guardato negli occhi e giurato...»

«Non ho giurato.» gli ricordò Leo, con tono affabile. «Ed è stato... prima.»

Travis continuò a guardarlo male, poi scosse la testa. «Mi fai schifo, Valdez.» mormorò, dandogli le spalle. Leo lo seguì con lo sguardo, travolto dalla tristezza. Se il suo migliore amico l'aveva trattato in quel modo, non osò immaginare come si sarebbe comportata Calipso... Continuò a guardarlo, stringendo le dita sulla maniglia, temendo quel momento, quell'incontro.

Leo si decise a chiudere la porta, facendo scattare la chiave nella serratura. Era contento che James fosse a casa di Katie. Non avrebbe assistito a nessun tipo di dramma, in quella cabina. Invece, Travis avrebbe avuto il suo bel da fare a confortare Connor.

E da Will?, pensò ad un tratto Leo, gli occhi puntati sulla porta chiusa. Chi c'è con Will?

Non aveva più pensato al suo ragazzo. O ex ragazzo? Non riusciva a capirlo. Will gli aveva detto che avrebbe rovinato le sue nozze portandolo via, e lui... se n'era semplicemente andato, rincorrendo il figlio di Ermes che lo aveva pestato, senza nemmeno controllare le sue condizioni. E solo per impedirgli di andare da Calipso e raccontargli la sua tresca.

Ma si poteva parlare di tresca, nei confronti di Will Solace? Lui era l'unico ragazzo capace di fargli battere il cuore in quel modo, come se si trattasse di Calipso. Non aveva mai guardato altri uomini. Non ne aveva mai amati altri. Solo... Will Solace.

«Leo?»

La voce di Calipso lo raggiunse come se la ragazza si trovasse ancora dentro la sua bolla. Leo sospirò, chiudendo gli occhi, pronto a quella lite.

«Leo? Cos'è successo con Travis?»

Leo riaprì gli occhi, passandosi una mano tra i capelli ancora bagnati. Era stanco di scappare, di non affrontare i suoi problemi. Si voltò verso Calipso, che si era avvicinata nel corridoio. Aveva posato il cellulare sul divano, e lo guardava con tristezza e rabbia, come se una parte di lei avesse capito. Le parole di Travis erano state un po' fraintendibili, però...

«Si tratta di Will Solace?»

Leo sbatté le palpebre e la guardò in silenzio. Calipso annuì tra sé, andando poi a sedersi sul divano, facendogli cenno di seguirla. Leo obbedì, buttandosi nel divano di fronte a lei, cercando di guardarla in volto. Scoprì di non riuscirci.

«Raccontami tutto.» mormorò Calipso, stringendo il pugno sul ginocchio. «Ogni cosa. Io... Non ti trattenere. Parla. Leo, dimmi tutto quanto.»

Leo annuì, sentendo un macigno nel petto. Era dolore? O semplicemente il peso di tutte quelle parole lasciate in sospeso?

«Io e Will ci siamo baciati, al Luna Park.» disse Leo, e Calipso trasalì a quelle parole. Ma non sembrò sorpresa. Era come se sospettasse qualcosa. Leo decise di non chiederle niente. Non c'era niente di peggio, secondo lui, di confermare i peggiori sospetti. «E... abbiamo cominciato a vederci di nascosto nel bunker 9.»

Calipso annuì di nuovo. La sua espressione si era fatta seria, ed era anche sbiancata. Leo immaginò che lo stesse odiando con tutto il cuore. Mentre lei era lì, ad occuparsi del loro matrimonio e del loro bambino, lui tradiva la loro fiducia con il suo ex.

«Ti dicevo che andavo in fucina, e i miei fratelli mi spalleggiavano.» continuò Leo. «A loro non importava quello che stessi facendo. Loro... avrebbero spalleggiato ogni mia parola.»

«Quindi... quindi va avanti dal Luna Park?» mormorò Calipso, guardandolo in viso. Leo notò che non aveva lacrime da versare. Si era preparata una conversazione del genere?

«Sì, all'incirca.» annuì Leo. Confessare tutto faceva male, ma stava anche cominciando a sentire meno pressione sul petto. Una volta che avrebbe finito di parlare, l'unico dolore che avrebbe dovuto combattere era quello di Calipso.

«All'incirca? Leo... spiegati.»

Leo annuì. «Ecco... quella sera mi sono tagliato con il coltello, e sono andato in infermeria. Io e Will... è stato come se non ci vedessimo da pochi minuti. È tornato tutto come una volta. E... siamo stati insieme.»

Calipso non commentò. Ricordava bene Leo che si feriva il palmo con il coltello. Non aveva badato molto a quel gesto. Dopotutto, il suo Leo era un imbranato.

«E dopo abbiamo litigato.» continuò il figlio di Efesto, stringendosi nelle spalle. «Non me lo aspettavo, ma abbiamo cominciato a litigare e io sono tornato a casa.»

Leo tamburellò le dita sulla gamba, ripensando a tutti quei momenti. Era strano, ma era successo tutto giusto un mese prima. Il compleanno di James, Will impegnato in infermeria, il Luna Park... la ferita alla mano, il litigio, e poi...

«Gli ho scritto io, chiedendogli di vederci nel bunker 9.» continuò Leo, abbassando lo sguardo sul tavolino. «Abbiamo fatto pace, quel giorno, e abbiamo deciso di cominciare questa relazione segreta. Lui avrebbe atteso che ci sposassimo, sai? Voleva solo stare con me, sebbene significasse guardarmi con te. Stava filando tutto liscio, almeno fino a quando non è arrivato...»

«Frank Zhang.» disse Calipso, aggrottando la fronte. Sentiva la gola secca, e una strana voglia di picchiare prima Leo e poi Will. Cosa significava che il dottore avrebbe atteso? Voleva rovinare le loro nozze? Era possibile che fosse così scemo da restare nell'ombra, nel ruolo di semplice amante? «Con il suo arrivo, tu e Will...»

«Già.» Leo deglutì. «Will si è chiuso in infermeria con i suoi fratelli per salvare la vita di Frank, e non mi ha mai scritto un messaggio.»

«Forse aveva paura che lo intercettassi io.» mormorò Calipso, con un mezzo sorriso. «Oppure era davvero impegnato.»

Leo aggrottò la fronte. «Stai difendendo Will?» le chiese, perplesso.

Calipso tornò a guardarlo negli occhi. Una piccola vena cominciò a pulsarle sulla fronte, e Leo decise di non commentare ulteriormente.

«Be', quando Will è uscito dall'infermeria, non si è fatto sentire.» continuò Leo, portandosi una mano ai capelli. «E credevo che... fosse arrabbiato con me. Nemmeno io mi ero fatto sentire, ma perché ero sempre con te e temevo che avresti letto il messaggio. Forse sì, lui aveva paura della stessa cosa.»

Calipso annuì, portandosi una mano alla tempia. «Hazel... sapeva tutto?» domandò, senza guardarlo.

«Sì. Sapeva tutta la storia. Lei... è la migliore amica di Will. E anch'io... mi sfogavo con lei. Non è male ad ascoltare e a dare consigli.»

Calipso annuì di nuovo, gli occhi chiusi. Pensò ad Hazel, al modo di guardare lei e Leo... e si domandò quante volte avesse desiderato parlarle di quella relazione segreta. Hazel era una brava persona, nonostante l'enorme segreto che le aveva taciuto. Da una parte riusciva anche a capirla. Ma dall'altra... le aveva offerto un tetto sopra la testa, una casa, un'amica, mentre il suo uomo lottava contro la morte in infermeria, sotto le cure dei figli di Apollo.

«Ne parlavi con Travis?» chiese Calipso, sebbene conoscesse già la risposta.

«No. Lui e Connor sono molto legati, dopotutto. Non gli ho mai detto niente.»

«E cos'è cambiato, oggi?» domandò la donna, sollevando di nuovo lo sguardo e incrociando i suoi occhi scuri. «Perché Travis ti ha colpito? Perché... ti ha detto quelle cose? Credevo che fosse la sua idea di inizio di addio al celibato.»

«Ecco...» Leo si mordicchiò il labbro. «Sai, Nico mi ha mandato un messaggio e sono andato da lui. Solo che... c'era Will ad aspettarmi, nella cabina 13. Nico era d'accordo sul fatto che ci vedessimo, e chiarissimo una volta per tutte. Non so cosa gli abbia raccontato Will, oppure Hazel, ma conosceva la storia.»

Calipso rimase a guardarlo.

«Nico ci ha lasciati da solo ed è andato in mensa.» continuò Leo, ripensando alle parole del figlio di Ermes. «Aveva fame, e immagino non volesse assistere. E lì... Connor l'ha visto. Connor sapeva che Will era andato a trovare Nico, e aveva visto me entrare nella cabina 13. Immagino non si fosse allarmato, visto che c'era il figlio di Ade con noi. Ma vedere Nico in mensa... è venuto di corsa alla 13, per vedere quello che stava succedendo.»

Calipso aspettò che l'altro aggiungesse qualcosa. Ma Leo rimase in silenzio, perso nei ricordi.

«Allora... cosa stava succedendo?» domandò Calipso, dopo un minuto di silenzio. Il ticchettio dell'orologio la stava facendo innervosire.

«Mh?» Leo la guardò. «Be'... ci stavamo baciando. Connor è entrato e ci ha visto insieme sul divano. Ha pestato Will, poi si è messo a correre per venire qui da te e raccontarti tutto.»

«Io non l'ho visto.» disse Calipso in fretta. Avrebbe di certo prestato attenzione a Connor Stoll, se si fosse presentato da lei.

«Lo so. L'ho seguito, placcato e minacciato. Ma... ha raccontato tutto a Travis. Hai visto la sua reazione.»

«Sì, l'ho vista.» mormorò Calipso, appoggiandosi allo schienale del divano. Si sentiva esausta. Voleva mettersi a letto, ma voleva anche mangiare. Si portò la mano alla pancia, sentendo i brontolii del suo stomaco. «E Will? Cosa gli ha fatto Connor?»

«Non ho visto molto.» ammise Leo. «So che gli ha tirato dei calci alla pancia e qualche pugno in viso. Non ho visto altro, ero più interessato a Connor.»

Calipso spalancò la bocca per la sorpresa. «Cosa? Lo hai lasciato da solo... in quelle condizioni?»

«Non era da solo.» la tranquillizzò Leo, trovando anche lui la risposta alla domanda che si era posto prima. «Con lui c'era Nico Di Angelo. L'ho quasi travolto, mentre seguivo Connor.»

Calipso rimase a guardarlo senza parole. Anche Leo la stava osservando, forse chiedendosi come mai di quella espressione tanto meravigliata.

Poi Calipso cominciò a ridere.

«Cosa c'è di divertente?» sbuffò Leo, sentendosi scaldare. I suoi capelli si asciugarono nel giro di pochi secondi.

«Hai lasciato Will Solace, il tuo grande amore, ferito e sanguinante per stare dietro a Connor Stoll.» disse Calipso, asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi. Continuava a ridere. «Gli hai fatto capire che, nonostante tutto, io sono molto più importante di lui. E di questo ti sono davvero grata, Leo. Mi dà ancora speranza.»

Calipso si alzò in piedi, continuando a ridere, e Leo la seguì, furioso. Non ci trovava niente di divertente. Aveva lasciato Will in quello stato pietoso, okay, ma... il figlio di Apollo avrebbe capito le sue intenzioni. Avrebbe capito perché era stato costretto a farlo.

E invece no, disse la voce di Will al suo orecchio. Avevamo deciso di scappare insieme al tuo matrimonio... Potevi lasciare che fosse Connor a raccontare tutta la storia a Calipso. Hai rovinato tutto, Leo Valdez, come sempre.

Leo si bloccò non appena mise piede in cucina. Quella voce... aveva ragione. Avrebbe potuto lasciare a Connor il lavoro sporco, e di conseguenza scappare via subito con Will, senza guardarsi indietro. Avrebbe scritto un messaggio alla donna che avrebbe dovuto sposare per dirle che presto sarebbe tornato per prendere James e Bryan. Non avrebbe potuto finire meglio di così, la loro relazione. E invece...

«Will ne ha passate tante, nella sua vita da mortale.» disse Calipso, aprendo i mobili della cucina alla ricerca di un barattolo particolare. «E guarda cosa gli hai fatto tu. Il grande amore della sua vita. Che lo abbandona per correre dalla futura moglie.»

Calipso mosse le dita e un barattolo di vetro con la scritta “Tè senza zucchero” scese di fronte a lei. Calipso svitò il coperchio e guardò il contenuto, sorridendo, prendendo una fiala dal colore viola. Leo fece istantaneamente un passo indietro.

«È una pozione che mi hanno dato i figli di Afrodite.» spiegò Calipso, posandola sul mobile. «Fa disinnamorare le persone. Ovviamente, sapevo che tra te e Will potesse esserci di nuovo qualcosa. Non sono scema. Ho visto come vi guardavate. Come Hazel abbassava lo sguardo quando Will compariva tra noi. Quindi... mi sono preparata.»

Leo fissò la fialetta sigillata. «Avevi intenzione di somministrarmela a mia insaputa?» domandò, con il tono di voce rabbioso. Il suo cuore, però, stava galoppando nel petto. Se l'avesse presa... avrebbe dimenticato Calipso per sempre.

«Oh no.» Calipso scosse la testa, con l'espressione corrucciata. «Non te l'avrei mai data. Non va presa così. Chi la beve, deve pensare alla persona che ama. A tutti i ricordi felici che ha con questa. Dopodiché, tutti gli altri non avranno più posto nel suo cuore. È adatta a chi è indeciso, come te. A chi non sa prendere una decisione da solo, come te. A chi aspetta che siano gli altri a scegliere per sé, come te.»

«Calipso...»

«Io voglio sposarmi.» disse Calipso, con le lacrime agli occhi. «Per il semplice motivo che ti amo con tutta me stessa. Sono venuta a cercarti proprio per questo. Perché ti amavo ancora e perché amavo James. Ho fatto degli errori, ti ho tradito anch'io, ne sono consapevole. Ti volevo nella mia vita, ma ho cercato in tutti i modi di non esserti d'intralcio mentre stavi con il bel dottore. Avete fatto tutto da soli, alla fine, a causa della mia presenza. E quando lui è tornato... ho avuto paura che potesse portarti via di nuovo da me. Per questo ti ho chiesto di sposarmi. Ma non fraintendere. Io ti amo davvero.»

Calipso tirò su col naso, prendendo la fiala.

«Io non ho altri grandi amori a cui tornare.» mormorò la ninfa. «Sono stata innamorata di Percy Jackson per un po', ma ora lui è di nuovo felice con Annabeth Chase. Presto avranno anche un bambino... Pensavi davvero che non lo sapessi?» aggiunse, notando lo sguardo sorpreso del figlio di Efesto. «Me ne ha parlato Piper, e mi ha fatto promettere di tenere la bocca chiusa. Ed è quello che ho fatto. Non conosco tutti i dettagli della relazione tra Percy e Nico, ma ne so abbastanza da capire che Percy era innamorato di Annabeth, nonostante tutto.»

Calipso sospirò, e gli porse la fiala.

«Ti amo tantissimo.» disse infine, e Leo prese la fiala con mano tremante. «Per questo lascio a te la decisione finale. Pensa a me, pensa a Will. Pensa alla tua felicità. Con chi saresti più felice? Lo lascio decidere a te. Bevi, e pensa a quella persona. Non mi arrabbierò se sceglierai lui. È così ovvio, siete così innamorati. Continuerò a vivere in questa casa, però, con James, che potrai vedere quando vorrai. E adotterò comunque Bryan, per tenere compagnia al piccolo. Quel bambino fa così bene al nostro.»

«Quindi... non sei arrabbiata?» domandò Leo, debolmente, fissando la pozione.

«Sono arrabbiata.» annuì Calipso. «Furiosa. Mancano solo due settimane al nostro matrimonio. Ci ho speso soldi e fatica per realizzarlo. E tu te ne esci fuori con Will Solace solo adesso. Ma non importa più. Se prenderai la fiala, e ti dimenticherai di Solace, ti sposerò, e questi ultimi mesi sarà come se non fossero mai esistiti. Se prenderai la fiala, e ti dimenticherai di me... be', il tuo amore per me sarà finito, ma James continuerà a volertene. Il tuo rapporto con lui non cambierà. Preferisco... preferisco che le cose vadano così, che sposarti, e vederti sempre distratto dal bel dottore.»

«Calipso...»

Lei scosse la testa, mettendosi a braccia conserte. Aveva smesso di piangere, e lo guardava in silenzio.

Leo aprì la boccetta. La pozione aveva un forte odore di lampone, e rilasciava fumo rosato.

Will o Calipso?

Finalmente era arrivato alla decisione finale.

Calipso non si sarebbe arrabbiata con lui, se avesse scelto Will.

E Leo non vedeva l'ora di poter correre da Will.

Il figlio di Efesto si portò la fiala alle labbra, pensando a Will Solace. Al loro primo bacio. A tutte le volte che si erano visti in infermeria. Al modo dolce in cui Will guardava James. Al loro modo di fare l'amore. Al bunker 9, completamente ripulito, con i cassetti etichettati come solo un maniaco dell'ordine poteva fare. Pensò al sorriso caldo di Will.

«Aspetta, Leo.» mormorò Calipso, e Leo abbassò appena il braccio che teneva la fialetta, incrociando il suo sguardo. Negli occhi della ninfa era appena passato un lampo divertito, e sulle sue labbra spiccava un sorriso. «Prima che tu prenda quella pozione, devo dirti solo un'ultima cosa, e poi potrai berla, senza più dover pensare a me.»

Leo annuì, in attesa. Le labbra fremevano dalla voglia di bere quel liquido al lampone. Ma quando Calipso parlò, Leo si pentì che l'avesse fatto.

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Capitolo 73
*** 91. Svolte ***


Will Solace dormiva sul divano della cabina 13 ormai da una settimana. Nico Di Angelo si svegliava tutti i giorni nel suo letto, sentendo quel tremendo russare provenire dall'altra stanza. I primi due giorni, aveva urlato nel cuscino per via di quel rumore, così diverso da quelli a cui era abituato. Poi, pensando che ultimamente aveva sentito solo anime urlare, disperarsi e pregare, notò che non era un suono così sgradevole.

Tutte le mattine, Nico preparava il caffè per il biondo addormentato e glielo posava sul tavolino, facendo sparire le bottiglie vuote di birra facendo più fracasso possibile, con la speranza di svegliarlo. E quando lo sentiva borbottare, si infilava in bagno a farsi la doccia, dandogli il tempo di aprire gli occhi e bere il caffè. Aveva scoperto a sue spese che Will non era affatto così amichevole e di buonumore dopo una sbronza e prima del caffè. Quindi lasciargli il suo tempo era necessario per non farsi insultare.

Ma quel mattino, dopo sette giorni consecutivi, Nico decise di sedersi sulla poltrona libera e guardare Will, sorseggiando il suo caffè. Ne aveva messo di più nella stessa tazza, tanto sapeva che il figlio di Apollo non si sarebbe arrabbiato. Dopotutto, era il suo caffè, il caffè che Nico preparava tutti i giorni con estrema pazienza.

Nico contò velocemente le bottiglie sopra e sotto il tavolo. Sette. Meno del giorno prima, un notevole passo avanti. Forse Will si stava calmando. Forse aveva ucciso tutto il dolore dentro di sé, con quell'alcol. O forse, si era addormentato prima di cominciare la numero otto.

Non avevano più parlato molto dopo la sua confessione. E Nico si pentiva di aver parlato delle torture ai figli di Ares. Aveva sorpreso Will a guardarlo disgustato più di una volta, dopo il racconto, e Nico aveva desiderato andarsene dalla sua cabina ogni volta, imbarazzato, vergognandosi per quello che aveva fatto. Ma gli era sembrato così giusto, in quel momento...

Nico sospirò, bevendo un sorso di caffè. A lui piaceva amaro, a Will con lo zucchero. Non era male in nessuno dei due modi. Com'era quel detto? “Già la vita è amara di suo, almeno il caffè fammelo prendere dolce.” Lo diceva davvero qualcuno, o era una sua invenzione?

Nico stava assaporando il caffè quando vide Will stiracchiarsi. Lanciò una rapida occhiata all'orologio che Hazel aveva messo vicino l'entrata: erano quasi le undici di mattina. Il giorno prima, Will si era svegliato a mezzogiorno passato, ma aveva bevuto nove birre. Poteva considerarlo davvero un progresso, quello che stava compiendo il biondino.

Gli occhi azzurri si aprirono lentamente, puntandosi al soffitto. Will sospirò, desideroso di portarsi una mano tra i capelli, ma senza la forza necessaria di farlo. Si sentiva stordito, la testa gli girava e gli fischiavano le orecchie, come se qualcuno stesse sparlando di lui. Sicuramente era Connor. O la cabina 11 in generale. Chi altri?

«Hai un aspetto migliore rispetto a ieri.»

Will voltò appena la testa verso Nico, seduto in felpa e pantaloncini sulla poltrona, con una tazza fumante di caffè. La stringeva tra le mani pallide, come per darsi forza, e Will immaginò di non avere un buon aspetto.

«Mh?» bofonchiò, cercando di mettersi almeno seduto.

Nico sospirò, senza aggiungere altro. Will lo guardò portarsi la tazza alle labbra e bere un sorso, prima di posargliela davanti.

«Ti ho fatto il caffè.» gli disse, e Will trattenne una smorfia. Non gli dispiaceva bere dalla tazza di Nico, chissà quante volte era capitato, negli ultimi giorni.

Will borbottò qualcosa e Nico lo ignorò perché non capiva le sue parole. Si alzò in piedi, cominciando a ritirare le bottiglie, facendole tintinnare tra loro. Will socchiuse gli occhi a quel suono e si mise seduto. La testa gli girava di più, adesso, ma non provava nessun impulso di vomitare.

«Pensi che sia il giorno giusto per tornare alla 7?» gli chiese Nico, buttando le bottiglie nel cestino del vetro, fissandole. Aveva riempito già più di metà del bidone. Non lo avrebbe mai alzato tutto da solo.

«No.» grugnì Will, scoccandogli un'occhiataccia.

«Chiedo.» sospirò Nico, con un'alzata di spalle.

Will sorseggiò il caffè, trovandolo caldo e dolce il giusto. Chiuse gli occhi, lasciando che quella sensazione di torpore lo assalisse... e spalancò gli occhi quando Nico gli posò una mano tra i capelli.

«Però... almeno la doccia?» chiese Nico, guardandolo negli occhi. «Posso chiederti di fare almeno la doccia? Sei bellissimo e tutto, okay, ma... puzzi.»

Will fece una smorfia e annuì, arrossendo imbarazzato.

«Ci sono anche delle lamette nel cassetto, se vuoi farti la barba.» aggiunse Nico, dirigendosi nella sua stanza. «Ti porto dei vestiti puliti.»

I passi di Nico sparirono e Will immaginò che avesse fatto un viaggio ombra fino alla sua camera nella cabina di Apollo. Non avevano la stessa taglia, Nico era più snello rispetto a lui, e i suoi vestiti gli sarebbero stati parecchio scomodi.

Il caffè aiutò Will a schiarirsi i pensieri. Guardò la stanza, notando che ormai si era adeguato alla penombra della cabina 13. Ricordava solo vagamente come Hazel spalancasse ogni finestra, rendendola un luogo accogliente e ben diversa da quella di Nico. Sembravano due cabine differenti, e forse era un bene che Hazel se ne fosse andata. Quei due insieme avrebbero distrutto la cabina 13.

Will si alzò in piedi, scoprendo di essere in mutande. Si spogliava sempre mentre beveva. Cercò i suoi vestiti con lo sguardo, ma decise di non indossarli, dirigendosi al bagno. I passi malfermi lo mettevano a disagio, e finì il caffè posando la tazza nel primo posto che gli capitò.

«Spero vadano bene.» disse Nico, comparendo dalla camera e puntando subito lo sguardo su di lui. Non sembrò sorpreso di vederlo in biancheria. «Ho sentito dei tuoi fratelli lamentarsi di te, che stai saltando i turni...»

Will scrollò le spalle. «Me ne infischio.» sbuffò.

Nico sogghignò e gli porse i vestiti. «Mi piace questo Will menefreghista.» mormorò.

 

 

Connor Stoll tenne gli occhi puntati sulla porta della cabina 7, in attesa di vedere Will Solace. Voleva chiedergli scusa per il modo in cui lo aveva colpito, proprio lui che amava così tanto. Will non si meritava un comportamento del genere da parte sua. Will era troppo dolce. Era tutta colpa di Leo, che doveva sposarsi di lì a una settimana, e nonostante tutto, non aveva annullato le nozze. Calipso lo aveva invitato, e Connor non vedeva l'ora di rovinare quello stupido matrimonio. Avrebbe fatto sentire Leo in colpa per tutte le menzogne che aveva raccontato alla sua partner. E avrebbe riavuto Will tutto per sé.

Però...

Guardava la porta della cabina dorata da ore, e ancora non l'aveva visto uscire. Ormai erano le undici di mattina passate. Avrebbe dovuto trovarsi in infermeria, o almeno uscire per qualche visita a domicilio. Non vedeva Will da giorni, da quando l'aveva picchiato nella cabina 13.

Lo sguardo di Connor scivolò verso quella cabina, giusto in tempo per vedere Nico Di Angelo uscire in felpa e jeans, diretto all'arena. Il suo sguardo ombroso e l'andatura veloce non erano cambiate. Il figlio di Ade usciva tutti i giorni alla stessa ora per allenare le matricole assieme a Clarisse Lerou, ora che il sole non lo feriva più come agli inizi. Sembrava aver trovato un ottimo modo per passare il tempo.

«Che fai?»

La voce di Miranda Gardner attirò il suo sguardo verso di lei. La testa castana spuntava dalle coperte, come i suoi occhi dolci e grandi. Forse andare a letto con l'ex del fratello non era una grande idea, ma dopotutto Travis e Miranda avevano fatto sesso una volta sola, da ubriachi, e lei era rimasta incinta. Non poteva considerarla proprio una ex.

«Aspetto Solace.»

Miranda alzò gli occhi al cielo e si voltò, scacciando le coperte e passandosi una mano tra i seni, in modo sensuale. Connor sentì la bocca asciutta a quel gesto, e si sforzò di guardare di nuovo fuori dalla finestra.

Miranda era una buona distrazione dal dolore provocatogli da Will Solace, ma non era la persona giusta per lui. Il dottore sì. Ma il dottore aveva in testa solo Leo Valdez, e Connor non capiva proprio il perché. Il figlio di Efesto non era niente di che. Invece lui...

Connor sospirò e si voltò verso Miranda, che si era alzata in piedi e ora si trovava di fronte a lui. Lo stava toccando con le mani, gli occhi verdi scintillanti.

«Connor, smettila di pensarci.» gli intimò la ragazza, e Connor rimase per qualche secondo distratto dal suo seno perfetto. «Hai me, adesso.»

«Ma Will...»

«Lascia perdere Will.» Miranda gli si avvicinò e lo baciò. Connor ricambiò il bacio, portandole le mani sulla schiena e stringendola a sé. Quel corpo si incastrava perfettamente contro il suo. La toccò dappertutto, già desideroso di trovarsi dentro di lei.

Miranda si separò dal bacio e lo guardò negli occhi. «Conny, capisco quanto sia difficile.» mormorò, e Connor le toccò il seno, sorridendo nel vederla rabbrividire. «Ma non meriti di soffrire per quello stronzo. Capisco benissimo cos'hai provato per lui, ma... potresti essere felice anche con me.»

Connor annuì, da una parte felice e dall'altra un po' meno. Will Solace era stato l'apice dei suoi sogni. Bello in una maniera inverosimile, con un fisico perfetto, intelligente, un vero dottore. Era l'uomo dei sogni di chiunque.

Connor aveva passato gli ultimi giorni a disperarsi assieme a suo fratello Travis, che aveva sopportato i suoi mille discorsi e le bevute, gli aveva tenuto indietro i capelli mentre vomitava e detto sempre parole gentili. Fino a quando non lo aveva scosso, dandogli un ceffone e dicendogli di riprendersi.

«Non era adatto a te.» gli aveva detto Travis, dopo il terzo ceffone. «Amplia i tuoi orizzonti, fratellino.»

E Connor li aveva ampliati per davvero. Con Miranda c'era sempre stata una grandissima intesa, dai tempi della gravidanza. Le era sempre piaciuta, ma non aveva mai tentato nessun approccio. Sapeva che Travis la considerava solo la madre di sua figlia, ma temeva che il fratello potesse arrabbiarsi se l'avesse anche solo guardata. Ma Miranda, due giorni prima, quando si era presentata alla sua porta con indosso solo un impermeabile e delle autoreggenti, gli aveva fatto capire di non essere proprietà di nessuno.

Le labbra sensuali e socchiuse di Miranda fecero perdere ogni interesse per il dottore. Certo, Connor soffriva ancora, era stata una relazione piuttosto lunga per lui, e non aveva nemmeno immaginato una possibilità del genere. Aveva temuto per un po' Nico Di Angelo, ma Nico non sembrava interessato. E Leo Valdez... Will gli aveva assicurato che ormai erano solo amici. E invece...

«Sai una cosa?» disse Connor, aggrottando la fronte, dando le spalle alla finestra. Strinse i seni della figlia di Demetra nelle mani, e il suo gemito lo eccitò. «Hai ragione. Basta pensare al dottore. Tu... sei molto meglio.»

Miranda sorrise felice e gli buttò le braccia attorno al collo. Connor la sollevò e la portò nel letto, che negli ultimi giorni ne aveva viste di tutti i colori. Scivolò dentro di lei con un unico movimento, gemendo sulle sue labbra e baciandola con dolcezza.

Non avrebbe più pensato a quella cicatrice sul cuore chiamata Will Solace.

 

 

Travis Stoll cercò di ignorare i gemiti provenire dalla stanza del fratello, e fu felice che Lily fosse in cabina con Katie. Il fatto che Connor fosse con Miranda – aveva riconosciuto i suoi gemiti – non lo disturbava per niente. Miranda era stata una botta e via da ubriaco, che gli aveva regalato la bambina più bella e dolce del mondo. Miranda era d'accordo con lui. Katie era la donna giusta, nonostante non avesse trovato ancora il momento adatto per farle la proposta di matrimonio.

Teneva l'anello nel cassetto, pronto a quell'eventualità. Una parte di lui voleva farle la proposta il giorno delle nozze di Leo, ma... con tutto quello che era successo tra Leo, Will e Calipso, preferì aspettare ancora qualche settimana. Dopotutto, che male c'era? Katie era felice con lui, anche senza anello al dito. E Travis desiderava soltanto renderla felice. Le avrebbe fatto la proposta a Natale, oppure a San Valentino. Non molto originale, lo sapeva.

Quando i rumori dell'altra stanza cominciarono a farsi più insistenti, Travis si alzò, si infilò una felpa e uscì dalla sua camera. Trovò i suoi fratelli nel soggiorno della cabina, tutti con la stessa aria afflitta causata da Connor e Miranda. Volevano scappare, ma non sapevano dove.

«Tutti d'accordo nel chiedere ai figli di Efesto un qualche marchingegno per insonorizzare le pareti?» chiese Cecil, lanciando un'occhiata a Travis.

Alzarono tutti le mani.

«Ottimo. Trav..?»

«Sì, ci penso io.» annuì Travis, pensando a Leo Valdez. Non lo vedeva dal giorno in cui gli aveva tirato un pugno sulla porta di casa sua. Forse era il caso di passare a trovarlo. Ma prima, si sarebbe fermato in fucina.

 

 

Leo Valdez era seduto sulla panchina fuori dalla sua casa quando vide comparire Travis Stoll dal bosco. Lo osservò con attenzione, portandosi automaticamente una mano allo stomaco per proteggerlo in caso di nuovi pugni. Ma lo sguardo di Travis era amichevole, e Leo si rilassò.

«Mi dispiace.» disse in fretta Leo quando Travis gli si parò davanti. L'espressione del figlio di Ermes mutò all'istante.

«Lo so.» disse infine Travis, lanciando un'occhiata alla casa. «Hai raccontato tutto a Calipso?»

Leo annuì, sentendosi sbiancare, ma sorrise. «Sì, è tutto risolto. La sposerò.»

«E... lui lo sa?»

Leo si strinse nelle spalle. Non aveva alcuna intenzione di dirlo a Will, sebbene sapesse che doveva farlo. Giusto per mettergli il cuore in pace. Riusciva ancora a sentire le sue labbra sulle sue, dopo quei baci infuocati nella cabina 13.

«È giusto che lo sappia.» aggiunse Travis. Sebbene volesse prendere a pugni Will fino allo sfinimento, dopo aver visto suo fratello piangere per lui, era giusto che Will conoscesse la sua decisione finale. Ma immaginò che il dottore già lo sapesse. C'era qualcosa nello sguardo di Leo... e in più, non vedeva il dottore in giro da almeno una settimana.

Leo annuì di nuovo, senza guardarlo. Travis gli si avvicinò, posandogli una mano tra i capelli. Una parte di lui desiderò schiaffeggiarlo, ma si limitò a dargli dei piccoli colpetti sulla testa, come se stesse bussando.

«Tutto okay?» domandò Travis, mordendosi la lingua. Certo che non era tutto okay.

«Non proprio.» ammise Leo, sollevando lo sguardo, cercando di allontanare la sua mano dalla testa. «Insomma, tra una settimana mi sposo...»

«E...?» chiese Travis, aggrottando la fronte nel sentire la sua pausa.

«...e non ho ancora ricevuto una festa di addio al celibato.» mormorò Leo, sorridendo debolmente. «Quanto dovrò aspettare, ancora?»

Travis ridacchiò. Con tutto quello che era successo con Connor, aveva pensato bene di rinviare la festa. Ma ora che Leo gli sembrava convinto delle sue azioni, immaginò che fosse il caso di ripristinare gli inviti.

«Domani sera.» disse Travis. «Non prendere impegni.»

«Non ne prenderò.» annuì Leo, divertito al pensiero. «Ci sarà da bere?»

«Tutto quello che riuscirai a buttare giù.» gli promise Travis, e Leo fu felice che, almeno qualcosa della sua vita, non fosse cambiata in modo irreparabile. Avrebbe avuto bisogno di Travis nei mesi a venire. Avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo tenesse a galla.

 

 

Nico passò la giornata in compagnia di Clarisse Lerou. La figlia di Ares aveva un modo tutto suo di allenarsi e di allenare i semidei greci, e Nico richiamò interi eserciti di scheletri per farli combattere con i ragazzini. Ricordò divertito che, alla prima ondata, molti si erano messi a piangere per la paura. Clarisse li aveva costretti a fare cinquanta giri del Campo, prima di ripresentarsi.

Nico si era divertito a richiamare scheletri e a mescolare le loro ossa, dando vita a nuovi mostri. Clarisse aveva riso con lui per tutto il tempo, e alla fine della lezione lo aveva abbracciato. Dire che Nico si fosse irrigidito per il disagio era un eufemismo, ma la figlia di Ares non gli aveva dato importanza. E visto che era grande e grossa e minacciosa, Nico l'aveva lasciata fare.

Il figlio di Ade sbadigliò, lanciando un'occhiata al cielo. Dovevano essere le tre del pomeriggio. Aveva saltato il pranzo, se non contava quel misero sandwich che Clarisse gli aveva offerto due ore prima. Era affamato, ma stanco e ricoperto di polvere e sudore. Voleva farsi una doccia veloce, prima di presentarsi in mensa e strafogarsi di cibo.

Mentre si avvicinava alla 13, Nico notò James Valdez in compagnia di Lily Stoll e del biondissimo figlio di Apollo, Bryan, di cui non conosceva il cognome. Stavano giocando nel giardino della cabina 11, sotto la supervisione di un paio di figli di Ermes, tra cui Connor Stoll. Il ragazzo teneva gli occhi puntati sulla nipote, come un genitore orgoglioso.

Quando Connor sollevò lo sguardo, incrociando i suoi occhi, Nico si trattenne a stento dal sollevare il pollice e passarselo sulla gola. Ricordava fin troppo bene come aveva ridotto Will. Gli avrebbe fatto passare la voglia di rivederlo ancora. Connor sembrò leggerglielo negli occhi perché gli fece un cenno con la testa e abbassò subito lo sguardo, imbarazzato. Nico abbozzò un sorrisetto, tentato di far comparire uno scheletro tra i bambini, ma era così stanco che non avrebbe evocato nemmeno un ossicino di pollo.

La porta della cabina 13 si aprì al gesto della sua mano e Nico entrò nella sua cabina, sperando di potersi riposare. Si ritrovò a socchiudere gli occhi per via della luce che inondava la sua casa, e non riuscì ad aprire bocca a causa dell'odore di cibo che si stava cuocendo. Lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle con un colpo secco, giusto per ricordare a sé stesso di essere nella cabina giusta.

«Oh, Nico.» sorrise Will, lanciandogli un'occhiata. «Mi hai spaventato.»

Nico si avvicinò guardingo alla cucina, osservando il divano con le coperte ben piegate. Non c'erano più birre in giro, né piene né vuote. La cabina profumava di fiori, simile a quel nauseante profumo che aveva comprato Hazel e che aveva lasciato lì. Nico ricordava di averlo gettato nella spazzatura al suo arrivo, ma a quando pareva, Hazel non era l'unica a possederlo.

«Cosa stai facendo?» domandò Nico, sebbene lo vedesse benissimo. Will stava preparando la lasagna. Ne aveva ormai mangiate a quintali da quando si trovava lì, e subito l'appetito si fece più forte.

«Ti sto preparando il tuo piatto preferito.» disse Will, con un'alzata di spalle, controllando il forno. «Visto che sei stato così buono con me nell'ultima settimana, ho pensato di ricambiare il favore. Ho pulito tutta la cabina, e ti ho preparato la cena. La sto cuocendo adesso, ma più tardi potremmo scaldarla...»

«Cena?» ripeté Nico, stizzito. «Col cazzo che la mangio per cena. Inizia a tirarla fuori, faccio la doccia e arrivo.»

Will lo guardò sorpreso, ma Nico non aveva tempo da perdere. La sua fame si faceva sempre più grande ogni secondo che scorreva lì, con quel buonissimo odore dritto su per le narici. Evitò di spogliarsi prima di entrare nel bagno, solo perché riconobbe il passaggio dell'altro: la cabina era davvero più pulita di quanto l'avesse lasciata.

Si spogliò e si infilò in doccia, cercando di non badare alle piastrelle tirate a lucido. Will aveva davvero bisogno di sfogarsi con le pulizie? O gli serviva soltanto per non pensare? In ogni caso, fino a quando avrebbe cucinato quelle lasagne che da fuori sembravano buonissime, poteva restare in quella cabina.

Quando Nico si rivestì, indossando la sua inseparabile felpa nera con il cappuccio e dei pantaloncini, scoprì che le finestre del soggiorno erano state chiuse. Will doveva aver notato il suo disappunto, quando era entrato in quella cabina tutta piena di luce. Ora che le finestre erano chiuse, quel luogo gli era più familiare. Si sedette a tavola, osservando Will intento ad apparecchiare per due.

«Non hai pranzato?» domandò Nico, senza distogliere lo sguardo dalla lasagna.

«Mh, no, ero troppo occupato.» disse Will, scrollando le spalle, servendolo. Poi si sedette di fronte a lui, guardandolo con un sorriso. «Dimmi se ti piace.»

Nico non se lo fece ripetere due volte. Prese la prima forchettata, e desiderò solo divorarla tutta, senza dover darne un pezzo a nessun altro.

«È buona.» si limitò a dire, ma Will dovette leggere qualcosa in più nel suo sguardo perché rise. Nico non fece domande e Will non insistette.

Mangiarono in silenzio, senza guardarsi, sebbene Will lanciasse occhiate continue al figlio di Ade, che prese una seconda porzione, più abbondante della prima. Will sorseggiò un bicchiere d'acqua, chiedendosi quanto potesse andare avanti senza parlare, poi sospirò.

«Sei stato in infermeria?» chiese Will, e Nico sollevò lo sguardo, confuso.

«Non dovrei chiederlo io a te?» disse Nico, appoggiandosi allo schienale della sedia.

«Be', la mia risposta è no.» Will arrossì per l'imbarazzo. «Non voglio uscire dalla tua cabina. Non... voglio incontrare certe persone.»

«Lo so. Non ti sto dicendo di andartene.» lo tranquillizzò Nico, lanciando un'occhiata alla lasagna. «Puoi restare qui tutto il tempo che desideri, dico davvero. L'unica cosa che volevo da te era che ti facevi la doccia, e mi pare che tu l'abbia fatto.»

«Sì, l'ho fatto. E ho anche tolto la barba.» annuì Will, accarezzandosi le guance lisce. «E grazie.»

«Non preoccuparti.» annuì Nico, giocherellando con la forchetta. «Comunque no, non sono andato in infermeria.»

«Dovrò farti qualche esame. Questa tua fame...»

«Will, ho passato gli ultimi due anni a nutrirmi dei cereali dell'orto di Persefone.» sbuffò Nico, esasperato. «D'accordo, negli Inferi non avevo bisogno di nutrimi ogni giorno come succede qui, ma è normale se ora ho così tanta fame. Il mio metabolismo funziona diversamente, adesso.»

«Okay, ma preferirei farti delle analisi lo stesso.»

Nico alzò gli occhi al soffitto e si mise a braccia conserte. Will lo guardò per qualche altro secondo, prima di alzarsi e cominciare a sparecchiare. Nico si mordicchiò il labbro. Forse doveva accettare quella richiesta di Will, ma... stava bene. Aveva anche iniziato a mangiare di meno, negli ultimi giorni. Il suo corpo era ormai abituato alla nuova condizione.

«Sicuro?» lo punzecchiò Nico. «Farmi delle analisi significa tornare al lavoro...»

«Magari per me è un hobby.» scherzò Will, e Nico sospirò di nuovo. Quel ragazzo lo mandava fuori di testa.

 

 

Nico sapeva, grazie ad esperienze passate, che l'unico modo per liberarsi di Will Solace e delle sue insistenze fosse quello di assecondarlo. Per questo, quando Will, dopo aver finito di sparecchiare la tavola, gli disse che potevano fare le analisi il giorno seguente, di prima mattina, Nico accettò. Prima le avesse fatte, prima Will lo avrebbe lasciato in pace. E avrebbe continuato a cucinare quelle deliziose lasagne per lui.

Il resto del pomeriggio Nico lo passò sul divano, intento a finire la quarta stagione di American Horror Story, mentre Will faceva avanti e indietro per la cabina pulendo e riordinando. Più di una volta Nico si offrì di aiutarlo, ma il figlio di Apollo lo rimandò a rilassarsi. Pulire lo aiutava a pensare, e in quei giorni aveva molte cose a cui pensare.

Nico si mordicchiò il labbro, tenendo il cellulare vicino. Aveva già spedito diversi messaggi ad Hazel, che gli rispondeva sempre nel giro di pochi minuti. Lo infastidiva doverla disturbare, in quel viaggio di riconciliazione con Frank, ma... chi altri conosceva Will Solace meglio di lei? Hazel gli stava dicendo di lasciargli i suoi spazi, e Nico si domandò, lanciando un'occhiata al biondo che entrava nella sua camera, se poteva lasciargli i suoi spazi nella sua cabina. Sospirò, pensando che dopotutto Will era stato lì più tempo di lui, e spense il cellulare.

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Capitolo 74
*** 92. Fame ***


Will camminò pimpante fino all'infermeria, senza guardarsi attorno nemmeno una volta. Aveva deciso di andarci di primo mattino, quando gli altri semidei erano in mensa oppure in spiaggia. Sperò di non incontrare nessun volto troppo familiare tra quelle mura bianche. Vide solo un paio dei suoi fratelli, Nate e Grant, intenti a ripulire chiazze di vomito e sangue dal pavimento.

Will le guardò attentamente, aggrottando la fronte.

«Non vuoi saperlo davvero.» disse Grant, con un sorrisetto mentre Nate fingeva un attacco di vomito.

«No, in effetti.» disse Will, con una scrollata di spalle. Non gli interessavano molto i dettagli. Sperò che non fosse tutto di un unico semidio, e sperò di non doversene accertare di persona.

Nate gli si avvicinò, e Will immaginò che volesse fargli una ramanzina per aver saltato gli ultimi turni in infermeria. Will attese, ma Nate rimase in silenzio di fronte a lui, infilandogli poi una mano tra i capelli.

«So cos'è successo, con Connor.» mormorò Nate, e Will sentì il cuore salirgli in gola. «Se hai bisogno di sfogarti, vieni da me. O da Grant.»

«Io...» Will deglutì. Si domandò quanto i fratelli sapessero veramente di lui e Connor, e di cosa li avesse spinti a lasciarsi, e immaginò di no. «Grazie ragazzi.»

Nate gli sorrise, arruffandogli i capelli, e riprese a pulire. Grant si limitò a fargli un cenno col capo, e Will si domandò da quanto fosse in piedi. Sembrava piuttosto stanco. Si chiese chi avesse coperto i suoi turni, e immaginò che la risposta ce l'avesse di fronte.

«Devo fare delle analisi del sangue a Nico.» disse Will, cercando con lo sguardo una stanzetta più oscura delle altre. «Potreste per favore non disturbare? Nico è un tantino irascibile.»

«Ah sì?»

Il figlio di Ade era appena comparso sulla porta dell'infermeria, i capelli scompigliati e l'espressione furente. Will spalancò la bocca per la sorpresa e lanciò un'occhiata all'orologio.

«Ti aspettavo tra... un'oretta, all'incirca.» mormorò, mentre Grant e Nate smettevano di pulire per poterli osservare.

«Sì, be', la prossima volta, fai meno rumore.» sbottò Nico, avvicinandosi a lui con gli occhi socchiusi. Grant alzò un sopracciglio, curioso, e Nate gli diede una gomitata nelle costole. Anche lui moriva dalla voglia di avere altri dettagli, ma non gli sembrò il momento più opportuno.

«C'è la macchinetta del caffè, di là.» disse Will, imbarazzato, lanciando un'occhiata ai fratelli. «Potreste prepararlo?»

«Mhmh.» annuì Grant, massaggiandosi le costole, seguendo il fratello nello studio di Will, dove era presente l'unica macchinetta del caffè.

Nico si sedette sul lettino più vicino a Will, tirando su la manica della felpa. «Ficcalo in fretta.» sbuffò il figlio di Ade, mentre Will si metteva i guanti. «Ho fame.»

Will trattenne uno sbuffo. «Sai quanto me che non è così semplice.» gli disse, prendendo il laccio e legandoglielo al braccio.

Nico alzò gli occhi al soffitto. Sentiva dolore allo stomaco per la fame, un dolore così forte che aveva rischiato più volte di ingoiare il dentifricio solo per poterla placare. E ora che era così vicino a Will, voleva morderlo. Si mordicchiò il labbro per trattenersi. C'era davvero qualcosa che non andava. Con la mente, ripensò al periodo in cui lui e Will erano inseparabili, ovvero quando il figlio di Apollo gli stava sempre appresso e lui cercava di liberarsene in tutti i modi. Aveva sempre odiato il fatto che il biondo avesse ragione.

Will prelevò il sangue al figlio di Ade, che lo stava guardando in maniera sempre più preoccupante. Will lo tenne d'occhio, deglutendo a fatica. Quello sguardo non gli piaceva per niente. Si domandò se fosse lo stesso che aveva visto Leo due anni prima, quando si erano lasciati a causa sua, dopo quella brutta scena al bunker.

Pensare a Leo lo mise di malumore. Gli tremò la mano mentre ritirava il sangue dell'altro, e si allontanò lentamente dal lettino, fissando la fiala. Il colore era scuro, più di quanto fosse normale. Lanciò un'occhiata a Nico, che si stava mettendo un cerotto.

«Nico...» mormorò Will, agitando appena la fialetta di sangue. «Mentre eri negli Inferi, cosa hai detto che mangiavi?»

«Cereali di Persefone.» disse Nico, stringendosi nelle spalle, osservando il suo sangue. Si portò la mano allo stomaco, facendo una smorfia per il dolore. Quella fialetta gli faceva venire sete.

«Mh... Mangiavi solo quelli? Erano puliti bene? Che tipo di cereali?»

«Solace, erano cereali. Dei cazzo di cereali. Dell'orto di Persefone.»

«L'orto di Persefone, negli Inferi.»

Nico lo guardò torvo. «Sicuro che non debba essere io a fare delle analisi a te?»

Will continuò a guardarlo, pensieroso. Quella fame... il modo in cui si stringeva la mano sulla pancia... gli facevano pensare solo ad una cosa, ma se non aveva mangiato carne...

«E la carne?» chiese Will con curiosità. «Non ne hai mai mangiata?»

Nico si massaggiò lo stomaco. Gli girava la testa per la fame che aveva. «Ora che mi ci fai pensare... l'altra settimana, quando ho detto ad Ade che me ne sarei andato, abbiamo fatto un barbecue di addio. Ha ucciso una qualche mucca infernale mitologica.»

«E l'hai mangiata.»

«Be'... l'odore era ottimo.»

Will scosse appena la testa e andò ad analizzare il sangue. Nico tamburellò le dita sulla gamba, pensando a quel barbecue. Era durato non più di dieci minuti, il tempo di mangiare un paio di costolette e una bistecca, prima di andarsene definitivamente. Non sapeva se sarebbe tornato negli Inferi in futuro, ma quel soggiorno, per il momento, gli era bastato. Sbuffò, stizzito per il trattamento, e seguì Will nel piccolo laboratorio. Lo guardò mentre si sedeva e metteva una goccia del suo sangue su un vetrino, per guardarlo al microscopio.

«Cosa pensi di trovarci?» chiese Nico, guardandosi le unghie, ignorando Will che era appena saltato in aria.

«Nico...» Will si portò una mano al petto per lo spavento. «Dovevi restare di là.»

«Non l'hai specificato.»

«È la norma.»

Nico scrollò le spalle, e si appoggiò allo stipite della porta. Infilò le mani tremanti in tasca. La fame era così forte che voleva affondare i denti nel collo di Will.

Will alzò gli occhi al cielo, e tornò a guardare nel microscopio. Dopo qualche minuto, accennò un sorriso. «Lo sapevo.»

«Cosa?»

Will lanciò un'occhiata al figlio di Ade, che era ancora fermo e immobile vicino alla porta. Aveva lo sguardo famelico. «Hai la tenia.»

Nico inclinò la testa di lato. «Cos'è?»

«Il verme solitario.»

Nico storse il naso. «Che schifo.»

«Già. Hai delle tracce nel sangue.»

«Ma...»

«Si può prendere dalla carne.»

«Era meglio se continuavo a mangiare cereali.» borbottò Nico.

«E il tuo corpo era indebolito dal fatto che mangiavi solo cereali. Non credo saresti resistito ancora tanto.»

Nico roteò gli occhi. «D'accordo, una o due volte al mese Ade mi portava al McDonald's. Gli ho lasciato un sacco di giochini dell'happy meal.»

Will ridacchiò.

Nico si portò un dito alla gola. «Come tolgo... questa cosa?»

«Dovresti espellerla. Servirà...»

«Espellerla?»

I due si guardarono negli occhi e Nico ebbe un conato al pensiero.

«Non c'è altro modo di toglierla?» chiese Nico, non riuscendo a fare a meno di pensare ad un serpente di sei metri che gli cresceva nello stomaco.

«Be', potrei operarti, ma...»

«Ottima idea! Dove mi spoglio?»

«...ma non mi sembra il caso.» continuò Will, fissandolo con un sorriso. «Non mangi da ieri sera, no? Se resti a digiuno ancora per un po', prima o poi uscirà da sola.»

«E da che parte?»

Will si strinse nelle spalle. «Bisogna solo aspettare.»

Nico storse il naso e uscì dal laboratorio. Camminò fino ai lettini, annusando l'odore di caffè nell'aria. Gli si torse lo stomaco per la fame. Si voltò, quasi scontrandosi con Will, posandogli le mani sul petto forte. L'odore del caffè quasi sparì dall'aria, nascosto da quello pulito e fresco che proveniva dal biondo. Nico spalancò la bocca per mordere il figlio di Apollo.

Una palla di fuoco volò vicino a Nico, che captò il pericolo e si chinò giusto in tempo. Will si portò una mano alla gola spaventato, osservando la palla di fuoco colpire le tende del lettino, che subito presero fuoco.

«Che cazzo sta succedendo?» domandò Leo Valdez, fissando prima uno e poi l'altro, lo sguardo torvo e la mano fiammeggiante.

 

 

Will si affrettò a prendere l'estintore e a spegnere il piccolo incendio, mentre Nico e Leo si fronteggiavano. Lo sguardo di Nico non era niente di buono, ma non era spaventoso come quello di Leo.

«Ho fame.» ringhiò Nico, stringendo i pugni.

«Non è un buon motivo per azzannare Will.» ribatté Leo, lasciando che la mano prendesse fuoco. Gli piaceva il fatto di accendere le parti del suo corpo come la Torcia Umana.

«Ha un buon profumo.»

La voce gutturale di Nico fece alzare lo sguardo al figlio di Apollo, che si affrettò ad abbassare l'estintore. L'istinto gli disse di tenerlo pronto contro il corvino davanti a lui. Leo spostò lo sguardo da uno all'altro, e Will provò ad incrociare quei grandi occhi marroni, senza successo.

«Will, perché il figlio di Ade vuole mangiarti?» domandò Leo, senza distogliere lo sguardo da Nico, che si stava muovendo nella sua direzione.

«Ha la tenia.» spiegò Will, abbassando appena l'estintore. «L'ha presa negli Inferi.»

«Cosa?» domandò Leo, confuso, guardando Will.

«Il verme solitario.» sospirò Will, incrociando gli occhi del figlio di Efesto. Non avrebbe voluto che si guardassero in faccia dopo una frase del genere, ma... Will trattenne un altro sospiro. Riusciva a leggere il dolore in quegli occhi che aveva imparato ad amare e a leggere così bene.

«Che schifo!» esclamò Leo, disgustato.

Nico attaccò Leo in quel momento, che per la sorpresa scivolò all'indietro e sbatté contro il lettino alle sue spalle. Will azionò l'estintore puntandolo sul figlio di Ade, che aveva spalancato la bocca per azzannare l'altro. Gridò, e per qualche secondo non si udirono altro che le loro grida, e quelle dei fratelli appena comparsi sulla scena.

«Che cazzo sta succedendo?!» urlò Grant, mentre Nate correva da Nico e lo afferrava per la vita, tenendosi lontano dalla sua bocca aperta e urlante. Era ricoperto della schiuma dell'estintore.

«Ha la tenia!» strillò Will.

«Che schifo!» esclamò Nate di rimando, e Will sorrise per un secondo, felice che finalmente qualcuno avesse capito.

Will corse da Leo, che si stava massaggiando la spalla, ma per fortuna Nico non lo aveva morso, solo graffiato. Il figlio di Ade si stava agitando tra le braccia di Nate, e Will capì che non avrebbe retto a lungo. Corse al mobile più vicino, prendendo ambrosia e nettare, pensando velocemente.

«Se ha preso il verme solitario negli Inferi...» mormorò Will, sentendosi sudare per la tensione e la paura di sbagliare. «È una tenia infernale.»

Il ragionamento non lo aiutava molto. Non poteva pugnalare Nico allo stomaco e sperare di colpire la tenia. E di certo non poteva aspettare che se ne liberasse da solo. Si voltò verso il figlio di Ade, e i suoi occhi rossastri lo spaventarono. Gli si avvicinò in fretta, prendendo un grosso pezzo di ambrosia e avvicinandoglielo alla bocca. Nico si bloccò, sentendo l'odore del cibo e il profumo della sua pelle. Aprì la bocca e Will gli ficcò l'ambrosia dritta in gola, con un gemito. Non aveva fatto abbastanza in fretta, l'altro aveva chiuso la bocca sulla sua mano. Non così forte da staccargliela, però.

Nico lo guardò negli occhi e Will si specchiò in quella pozza rossa. Sperò che funzionasse. Lo vide tremare e inghiottire l'ambrosia. Gliene aveva data molto più di quanto dovesse, e sperò che il ragazzo non prendesse fuoco davanti ai suoi occhi. Non voleva vederlo morire.

Nico rigettò l'ambrosia con un ringhio e Will gliela spinse giù in gola. I figli di Apollo agirono tutti insieme, come se si leggessero nella mente. Grant afferrò la boccetta di nettare, Nate gli tappò il naso, inclinandogli la testa all'indietro, e Will gli spalancò la bocca. Grant si affrettò ad aprirla e ne versò una dose generosa nella bocca del figlio di Ade, che provò a ribellarsi e si contorse tra le loro braccia.

«Non state esagerando?» borbottò Leo, che non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi ai quattro. Rischiare di essere morso gli era più che sufficiente.

I figli di Apollo non risposero. Sapevano che la risposta era sì, ma non avevano mai avuto a che fare con una tenia infernale. Will sperò con tutto il cuore di non aver ucciso il suo vecchio migliore amico e si scostò appena mentre Nico si divincolava e crollava a terra. Fu preso dalle convulsioni e Will lanciò un gridolino spaventato, inginocchiandosi accanto a lui.

«Oh cazzo.» mormorò Grant, sbiancando, lasciando cadere la fiala, e Nate la prese al volo prima che potesse rompersi.

Nico si fermò dopo un intero minuto, portandosi le mani alla gola e rigirandosi. Vomitò. Will storse il naso alla vista del liquido dorato sul pavimento, e dei frammenti di ambrosia, e trattenne un conato quando vide un lungo verme rosso che si contorceva nella pozza. Nate emise un verso disgustato e Grant si avvicinò al cestino più vicino, rigettando il caffè bevuto poco prima.

Nico era ancora percorso dai tremiti mentre riapriva gli occhi, ora non più rossi. Sentiva la gola in fiamme, ed era ricoperto da roba biancastra. Incrociò gli occhi azzurri e rassicuranti di Will, poi abbassò lo sguardo sulla chiazza davanti a sé.

«Oh, che schifo.» mormorò Nico debolmente. «C'era... quel coso... dentro di me?»

«Già.» Will gli accarezzò la schiena, trattenendo un sorriso. «Meglio fuori che dentro, no?»

Nico storse il naso e non rispose, chiudendo gli occhi e appoggiandosi al figlio di Apollo, che lo cinse con un braccio. Nate si affrettò a prendere delle pinze e una fiala, afferrando il verme che ancora si contorceva. Lo infilò a fatica nella fialetta, sigillandola.

«Questa va dritto in laboratorio.» disse Nate che, dopo il primo momento di disgusto, ora era interessato alla parte scientifica.

Grant continuò a vomitare, e Nico svenne tra le braccia di Will, che si alzò in piedi prendendolo tra le braccia. Il figlio di Apollo si voltò verso i lettini, chiedendosi quale fosse il migliore per il figlio di Ade, e incrociò gli occhi scuri di Leo. Il figlio di Efesto sembrò infastidito per quel gesto, oltre che disgustato dall'intera scena.

«Possiamo parlare in privato?» gli domandò lentamente, e il suo sguardo vagò sul corvino tra le sue braccia.

Will annuì, sentendo un groppo in gola, e seguì Leo nel suo ufficio. L'odore del caffè era forte, e Will si domandò se fosse ancora caldo. Nonostante tutto, ne voleva un sorso, ma immaginò che Leo non avrebbe gradito.

Will si avvicinò al letto del suo ufficio, che aveva condiviso spesso con Leo durante la loro relazione. Posò Nico sulle coperte, guardando la sua espressione rilassata mentre dormiva e la pelle più pallida. Attese un intero minuto prima di voltarsi verso Leo, che nel frattempo aveva chiuso la porta e si era avvicinato alla scrivania. Si guardarono negli occhi, e Will capì che, finalmente, dopo tutto quel tempo, Leo aveva fatto una scelta.

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Capitolo 75
*** 93. Decisioni difficili ***


«Ho intenzione di sposare Calipso.» disse Leo, conficcandosi le dita nel braccio mentre si sentiva dire quelle parole. «Porterò a termine la cerimonia, quindi... ti pregherei di non interromperla. Non presentarti nemmeno, tanto non sei stato invitato. E i figli di Ares non ti faranno comunque entrare. L'ho chiesto a Clarisse.»

Will sbatté le palpebre per la sorpresa e Leo sentì un vuoto nel petto. Non avrebbe voluto dire quelle parole. Voleva scappare con lui, sparire dal Campo Mezzosangue e viaggiare per tutto il mondo con quel figlio di Apollo dall'aria dolce e angelica. Avrebbe voluto fare tante cose, ma ormai la sua vita era cambiata per sempre.

«D'accordo.» disse Will, piano, inspirando profondamente, senza smettere di guardarlo negli occhi. Leo vi scorse il dolore, ma non aveva alcuna intenzione di sprofondarci senza dire la sua un'ultima volta. «D'accordo, accetto la tua decisione. Solo che...»

«Solo che?» domandò Leo, aggrottando la fronte.

«Potevi deciderti un po' prima, non ti pare?»

Il gelo nelle sue parole lasciò l'altro spiazzato. Leo non si era aspettato che Will rispondesse con tutta quella rabbia e freddezza. Nella sua testa, mentre preparava quel discorso allo specchio, Will indietreggiava e scoppiava in lacrime, pregandolo di ricambiare il suo amore. E lui, a malincuore, doveva rifiutarsi. L'amore della sua vita era Calipso, dovevano accettarlo entrambi.

«Will...» mormorò Leo, deglutendo a fatica. «Pensi sia stata una scelta facile?»

«No.» Will scosse appena la testa. «No, perché sapevi già che avresti scelto lei.»

«Non è vero.»

«Tutto quello che ci siamo detti l'ultima volta...»

«Lo pensavo davvero.»

«E cos'è cambiato?» lo sfidò Will, gli occhi chiari fiammeggianti. «Cos'è cambiato da allora?»

Leo lo guardò, i pensieri che vorticavano in fretta. Quella conversazione non somigliava per niente a quella avvenuta nella sua testa poco prima. Spostò lo sguardo sul figlio di Ade, svenuto nel letto che un tempo avevano condiviso.

«Lui.» disse Leo, facendo un cenno verso Nico. Non stava nemmeno mentendo, si rese conto. «È cambiato lui.»

Will voltò la testa, senza capire. Guardò il corvino, che non aveva fatto nulla di male se non tornare al Campo per proseguire la sua vita dopo essersi ricucito le ferite sul cuore negli Inferi. Era davvero lui il motivo della scelta finale di Leo? Si voltò di nuovo verso il figlio di Efesto, che si stava mordendo il labbro.

«Tra me e Nico non c'è niente.» spiegò calmo Will, sebbene si stesse arrabbiando ogni secondo che passava. «Non c'è mai stato niente. È mio amico.»

«Sei corso subito da lui, quando è arrivato.»

«Per forza. Non lo vedevo da anni. Volevo sapere come stesse. E Hazel... mi aveva detto che era sparito.»

«Ma non hai nemmeno aspettato un minuto...»

«Leo, credi davvero a quello che stai dicendo? Sei geloso di Nico? Non sono mai stato con lui.»

«Tra noi, tutto ha avuto inizio a causa sua! Questo te lo sei dimenticato?»

Will si accigliò. «No, non l'ho dimenticato.» mormorò. «Ma si dà il caso che, come ti ho già ripetuto, tra me e lui non c'è stato nulla anni fa, e non c'è stato nulla di recente. Nico è mio amico. Mi ha aiutato molto in questi giorni.»

«Il modo in cui lo tenevi prima la dice lunga, sai?»

«Hai visto che cosa ho dovuto fare per tirargli fuori quella cosa?» sbuffò Will, mettendosi a braccia conserte, stringendosi i gomiti con le mani. Quella conversazione non gli piaceva. Leo stava cercando di girare la colpa su di lui, come se fosse realmente colpa sua per la sua scelta. Nonostante tutti i loro trascorsi, non era cambiato. «Ho quasi rischiato di ucciderlo, facendogli ingerire tutta quell'ambrosia.»

Leo rimase in silenzio, ripensando a quello che era successo negli ultimi dieci minuti. Era entrato in infermeria per poter parlare con Will, sperando di trovarlo lì e non nella cabina di Ade. Invece aveva trovato una situazione del tutto anormale, con Nico Di Angelo contro di lui che voleva azzannarlo. La palla di fuoco aveva lasciato la sua mano prima che potesse rendersene conto. Nonostante tutto, voleva ancora troppo bene a Will, per permettere a chiunque di fargli del male.

Il figlio di Efesto si passò una mano tra i capelli. Era rimasto a guardare mentre i figli di Apollo placcavano Nico, e il ricordo di quello che gli era uscito dalla bocca gli strinse lo stomaco. Non avrebbe toccato cibo per il resto della giornata, probabilmente.

«Quel giorno...» mormorò Will, e Leo tornò a guardarlo negli occhi. «Sei riuscito a bloccare Connor?»

«Sì...»

«Immagino tu sia contento di averlo fatto. Così Calipso...»

«Le ho raccontato tutto.»

Will sussultò a quelle parole.

Leo vide la sorpresa sul suo viso, e ciò lo ferì.

«Pensavi davvero che non lo avrei fatto?» gli chiese, piano.

«Sinceramente?» mormorò Will, senza distogliere lo sguardo da lui. «No. Pensavo che avresti continuato a temporeggiare, aspettando la mia morte.»

«Will, sei uno stronzo.»

«Anche tu.»

Leo si mise a braccia conserte, trattenendosi a stento dal mettersi a lanciare palle di fuoco sulla stanza. Ricordava fin troppo bene ogni momento passato con Will lì dentro. Come la loro prima volta insieme, quando si erano coccolati su quel letto subito dopo. Il corpo di Will contro il suo, quei muscoli forti contro le sue dita. Ricordava tutto troppo bene. Come l'ultima volta, nel bunker. O i baci sul divano della cabina di Ade.

«Tu... non avresti detto altro?» domandò Leo, sentendosi stanco di tutta quella situazione. «Insomma, nel bunker mi hai detto che avresti aspettato.»

«So cosa ti ho detto.» annuì Will. «E lo avrei fatto. Volevo te. Ma... il ritorno di Frank ha cambiato tutto, per me. Hazel non ha mai smesso di aspettarlo, nonostante chiunque al suo posto avrebbe gettato la spugna. Ma alla fine lui è tornato da lei, e non credo che si lasceranno mai più. Io voglio un amore del genere. Non voglio aspettare nell'ombra che tu ti decida a far sapere a tutti di chi sei veramente innamorato.»

«Difatti ora non mi sto nascondendo, Solace. Sono innamorato di Calipso.»

Ricevere una pugnalata al petto avrebbe fatto meno male, per Will, anziché udire quelle parole. Arretrò di un passo, spostando lo sguardo su e giù per la stanza, senza sapere cosa fare.

«Credevo di essere innamorato di te.» continuò Leo, lentamente, sebbene quelle parole lo stessero ferendo. «Ma mi sbagliavo. Con Calipso... sono davvero felice. Il matrimonio è tra pochi giorni, e la sposerò. Faremo una lunga luna di miele prima di tornare al Campo. E al mio ritorno, mi auguro di non trovarti più qui.»

Will scacciò le lacrime dagli occhi, fissando una macchia sul pavimento. Nate o Grant dovevano aver fatto cadere una goccia di caffè. Era così fastidioso, vedere la macchia, e non poter fare nulla per eliminarla.

«Fino all'altro giorno dicevi di amare me.» sussurrò.

«Be'... le cose cambiano. I miei sentimenti per Calipso sono decisamente più veri di quelli per te.»

Will sentì una seconda pugnalata nel petto. Ora capiva meglio Nico, quando gliene aveva parlato. Doveva aver provato quella stessa sensazione.

«Con Calipso è vero amore.» spiegò Leo, con il cuore che gli batteva forte nel petto. «L'ho amata dalla prima volta che l'ho vista, su Ogigia. Ne abbiamo passate tante, insieme, di ogni tipo. Abbiamo avuto i nostri alti e bassi, e... quando sono tornato al Campo, dopo averla lasciata, per me esisteva solo James. Quello che ho provato per te, quello che ho creduto di provare per te, era solo... bisogno. Avevo bisogno di una persona al mio fianco che mi aiutasse con mio figlio, che mi aiutasse a dimenticare Calipso. E ho conosciuto te, te che avevi bisogno della stessa cosa, per dimenticare il figlio di Ade.»

«Ma io non ti ho usato.»

«Sì, invece. Puoi dirmi quello che vuoi, Will, ma lo sai che è così. Mi hai baciato perché volevi dimenticare Nico. E ci sta, può succedere. Solo che il fatto che io ricambiassi quel tuo stesso sentimento, ha fatto credere ad entrambi che fosse amore. Ma non è così. Era solo bisogno. Avevamo bisogno l'uno dell'altro per sopravvivere. I sentimenti che ne sono scaturiti erano solo per questo bisogno. Nient'altro.»

«Non provare a sminuire i miei sentimenti per te.» sbottò Will, che ormai sentiva di avere una voragine nel petto. «Io ti amavo davvero. Ti amo ancora.»

Leo scosse la testa, ignorando la voglia matta che aveva di gridare che per lui fosse lo stesso. «Per me non era così.» si limitò a dire. «Quando ho visto Calipso... sapevo di dover stare con lei.»

«Leo...»

«Calipso è tornata per chiedermi scusa per quanto avesse fatto a me e a James. E io l'ho perdonata. Non era adatta ad essere madre, né una compagna, ma la lontananza le ha aperto gli occhi. E poi... tu l'hai aiutata a ripulirsi, facendola tornare la splendida donna di cui mi ero innamorato.»

«Leo, non è andata così...»

«È andata così. Perché credi di sapere qualcosa su di me, meglio di me?» mormorò Leo, fissandolo. «Credevo di amarti, okay, ma era solo necessità per James e per me. E Calipso... lei era la persona giusta da avere al mio fianco. Lo è sempre stata. E quando tu ed io ci siamo lasciati... non ho impiegato molto per tornare da lei.»

Will si sfregò la mano sugli occhi, prima che l'altro potesse vedere le sue lacrime. Ma Leo le aveva già viste. Il figlio di Efesto distolse in fretta lo sguardo, prima di lasciare all'angoscia il potere di sopraffarlo e di correre dal suo amato biondino. Camminò per la stanza, cercando altre parole da lanciargli, altre frasi che potessero ferirlo. Qualunque cosa potesse fargli dimenticare di lui.

«Se tu non ti fossi comportato da stronzo, quella volta nel bunker...» mormorò Leo, osservando il caffè nero nella caffettiera. Fumava ancora. «Probabilmente avrei trovato un altro motivo per lasciarti. Calipso... era tornata come una volta. Splendida, divertente, amorevole. Sono stato felice di tornare con lei.»

«E allora perché mi hai baciato, al Luna Park?» domandò Will, sollevando gli occhi lucidi, guardandolo in faccia. «Perché... lo hai fatto, se eri così felice senza di me?»

Leo chiuse gli occhi, non sapendo come rispondere. «Credevo... credevo che tra noi, le cose non fossero ancora finite. Credevo che se non l'avessi fatto io, probabilmente l'avresti fatto tu. E volevo tenere la situazione sotto controllo...»

Quell'esitazione bastò a Will per capire la verità.

«Leo, mi stai raccontando solo cazzate. Cos'è successo? Cosa ti ha fatto cambiare idea in modo così drastico? Fino all'altro giorno, mi amavi ancora.»

Leo si voltò a guardarlo. «Non era vero.» disse semplicemente. «Non ti amavo. Pensavo di assecondare questi tuoi pensieri...»

Will scosse la testa. «Non lo accetto. Non è la verità.» Il figlio di Apollo si mordicchiò il labbro. O lo era? Poteva dire di conoscerlo, dopo tutto quel tempo? «Posso anche crederti, fino ad un certo punto. Posso credere alle tue parole, che cercavi solo qualcuno che si prendesse cura di te e James. Credo davvero che per te sia stato solo un errore. Ma... se è davvero così, cosa ti ha spinto a baciarmi, quel giorno? E cosa ti ha spinto a tornare da me, nelle volte successive? Leo, se devi mentirmi, ti prego almeno di farlo bene.»

Leo spostò lo sguardo sul figlio di Ade, immobile nel letto, poi tornò a guardare Will con estrema fatica. Odiava quella situazione che si era creata. Perché non aveva mandato Travis a parlare al posto suo? Perché non gli aveva scritto un messaggio, per finirla una volta per tutte? Perché... non aveva ancora preso quella pozione? La sentiva in tasca, contro il tessuto leggero dei pantaloni, pesante come un macigno. Avrebbe dovuto prenderla, e aspettare che si dimenticasse di quel biondino una volta per tutte.

«E Nico non c'entra niente.» aggiunse Will, notando lo sguardo dell'altro. «Tienilo fuori da questa storia. Perché io e lui non siamo mai stati insieme. Lo amavo? Sì, certamente. Lo sapevano tutti, tranne lui.»

Leo storse il naso a quelle parole.

«Non so perché ti ho baciato.» si decise a dire Leo. «Forse perché le cose tra noi sono finite di merda a causa del tuo comportamento. Forse perché speravo che tra noi le cose potessero essere diverse. Oppure, perché credevo di poter ancora avere bisogno di te. Ma non è stato così. Anche se stavo con te in segreto, tornavo sempre da Calipso.»

«Questo non era di sicuro un segreto, per me.»

«E non ti dà fastidio saperlo?»

«Leo, ti avevo detto che avrei aspettato...»

«Ora non serve più farlo. Ho preso la mia decisione. E mi auguro che tu la rispetterai.»

«E come? Andando via dal Campo? Come mi hai chiesto poco fa?»

Lo sguardo di Leo si indurì. «Sì.»

Will lo fissò in silenzio, chiedendosi come aveva fatto a credere che quel ragazzo potesse essere realmente innamorato di lui. «Dimmelo, me lo merito.» si limitò a dire. «Cosa ti ha fatto cambiare idea? Ho fatto qualcosa?»

Leo si strinse nelle spalle. «Oltre a baciare Connor in mia presenza?»

«Stai scherzando?»

Il figlio di Efesto non rispose.

«Ti dava fastidio che baciassi Connor?»

«Will, basta. Sposerò Calipso. Le cose dovevano andare così.»

«No, non è vero. Stanno andando così perché non vuoi dirmi cosa ti ha fatto cambiare idea. Continui a dire che il problema è Nico, perché è tornato, perché credi che sia ancora follemente innamorato di lui, e ora mi dici che in verità ti dava fastidio vedermi baciare Connor? Quando tu e Calipso facevate ben altro in continuazione? Non sono un idiota, sai?»

«Be', un po' lo sei, visto che continui a non capire. Ti sto lasciando. Qualsiasi cosa ci sia stata tra di noi, ora deve finire. Calipso è l'amore della mia vita. Non tu. Tu sei stato solo un passatempo. Ne avevo bisogno. Fine della storia. Calipso... è tutto quello che desidero per la mia vita eterna.»

Will non provò nemmeno a scacciare le lacrime, adesso. Quelle parole di Leo lo stavano ferendo troppo per continuare a nasconderle. Sembrava che lo scopo del figlio di Efesto fosse quello. Ferirlo a più non posso, in modo che non potesse più tornare da lui.

«Ti ha minacciato?» chiese Will, tirando su col naso. Non voleva lasciar perdere. Voleva una risposta sincera. «Calipso, intendo. Ha minacciato di portarti via James, se questa storia dovesse continuare?»

«No, non l'ha fatto.»

«E allora... allora cosa ti ha fatto cambiare idea?»

Leo non rispose. Distolse lo sguardo, puntandolo verso la porta. Si era fatto tardi. Calipso di sicuro lo stava cercando...

«Leo, mi merito almeno una risposta!» gridò Will, stringendo i pugni. «Forse tu mi stavi solo usando come stai cercando di dirmi, ma per me quei sentimenti erano sinceri. Lo sono sempre stati. E avrei lasciato Connor alla prima tua richiesta. Volevo stare con te, con nessun altro. Sognavo di vivere con te, di...»

«Will, basta. Non...»

«Non merito di sapere la verità? Non merito di sapere perché stai buttando via il mio amore per te in questo modo? Non merito di...»

«Vuoi la verità?» Leo lo guardò dritto negli occhi, il tono di voce piuttosto alto. «Negli ultimi mesi ho capito di amare solo Calipso. Tu sei stato un passatempo. Non ho deciso di sposarla per divertimento, io la amo. Tu sei solo un uomo appiccicaticcio, che si affeziona troppo e non mi fa respirare. E nel periodo in cui sono stato con te, me ne sono capitate di tutti i colori per colpa tua. Vedi quei figli di Ares, per esempio, quelli che non nominiamo mai. Ho... ucciso... a causa tua.»

«Non ti ho chiesto di farlo.»

«Se non l'avessi fatto, me l'avresti fatto pesare per sempre.»

«Non è vero...»

«Sì invece, lo sai.»

Will scosse la testa. Ricordò la sorpresa e il dolore di quando aveva scoperto di Leo e di Marcelus Morgan. Non si era aspettato un gesto del genere. E ora... a distanza di anni... glielo rinfacciava.

«Amo Calipso.» continuò Leo, portandosi una mano tra i capelli. «E non c'è posto per te nella mia vita. Fattene una ragione, Will.»

Il figlio di Apollo rimase fermo e immobile ad assorbire quelle parole. Conosceva Leo Valdez, e non era ancora convinto. Leo dovette leggerglielo negli occhi perché inspirò profondamente.

«Calipso aspetta un bambino.» disse infine il figlio di Efesto, e Will si portò una mano al petto, come se quelle parole lo avessero pugnalato al cuore. «Aspetta il mio bambino. Con lei posso avere tutti i bambini che ho sempre desiderato.»

Will non seppe cosa rispondere. Da una parte, ora capiva tutto l'atteggiamento di Leo negli ultimi venti minuti. Ma... non capiva perché dovesse essere così duro nei suoi confronti. Perché gli diceva di non averlo mai amato, quando sapevano entrambi che non era così?

«Vattene.» disse infine Will, con la voce incrinata dal dolore. «Non voglio più vederti.»

Leo gli lanciò un'ultima occhiata prima di aprire la porta e andarsene da quell'ufficio. Rifece la strada fino all'uscita, notando come i fratelli di Will avessero ripulito lo schifo lasciato da Nico. Non c'era più traccia di quel vomito dorato. E nemmeno l'odore.

 

Fuori dall'infermeria, Leo tirò fuori la fiala dalla tasca. Il cuore gli batteva forte, e voleva solo nascondersi e piangere tutte le sue lacrime per aver ferito il figlio di Apollo così tanto. Avrebbe voluto abbracciarlo e chiedergli scusa. Svitò il tappo della fiala, guardando quel liquido viola e invitante.

«Addio Will Solace.» mormorò Leo tra sé, chiudendo i pensieri su Will in una scatola nella mente e lasciando che quelli su Calipso lo invadessero. Vide il suo sorriso, i suoi capelli, il suo corpo. La rivide su Ogigia, così insolente e sprezzante di lui. Sentì l'odore di cannella che emetteva, il suono della sua risata, i suoi gemiti di piacere. Vide tutta la vita che lo aspettava con lei, e bevve la pozione. Il liquido caldo gli bruciò la gola per i primi secondi, e Leo chiuse gli occhi, mentre il suo amore per Calipso lo invadeva da cima a fondo.

Leo rimase fermo a guardarsi attorno, chiedendosi cosa ci facesse lì. Ricordava cos'era successo tra Nico e i figli di Apollo, ma nient'altro di importante. Guardò la fiala vuota che teneva in mano e la lasciò cadere in uno dei cestini fuori dall'infermeria. Osservò la porta per un'ultima volta, e si incamminò verso la sua casa.

L'amore che provava per Will era solo un ricordo lontano, a tratti bello, a tratti brutto, ma soprattutto un amore concluso. Calipso lo stava aspettando, assieme a James e a quel piccolo bambino non ancora nato che già amava con tutto il cuore.

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Capitolo 76
*** 94. Conclusione ***


Will si sentì travolgere da una miriade di emozioni contrastanti quando i passi del figlio di Efesto scomparvero. Si lasciò scappare un mugolio, e si ritrovò inginocchiato a terra, con le mani sugli occhi, che sembravano essere diventate due cascate. Non riusciva quasi a respirare dal dolore che sentiva nel petto. Tutte quelle parole contrastanti, tutto quel dolore... se gli avesse detto subito della gravidanza, avrebbe capito. E non avrebbe avuto bisogno di sentirsi dire altro.

Mani fredde e gentili si posarono su di lui, e Will si costrinse a tenere gli occhi chiusi nonostante la sorpresa, ritrovandosi a singhiozzare sulla spalla di Nico Di Angelo. Il figlio di Ade aveva sentito molto più di quanto avesse voluto, e solo con uno sforzo di volontà si era trattenuto dall'alzarsi in piedi e picchiare il figlio di Efesto. Avrebbe voluto aprire una voragine sotto i suoi piedi e mandarlo dritto da suo padre giù negli Inferi, ma sapeva che Will non avrebbe apprezzato. Will, che ora tremava e piangeva contro di lui in un modo così triste e inconsolabile da fargli stringere il cuore. Will, che gli era sembrato tanto forte da poter sopportare qualsiasi cosa.

Nico non disse niente, si limitò ad accarezzargli la schiena, e ad assicurarsi che tra un singhiozzo e l'altro respirasse. Will strinse il corvino con forza, trovando difficoltà a respirare più di una volta. Si era spezzato qualcosa dentro di lui, e non aveva più motivo di vivere, o di smettere di piangere. Voleva andarsene, ma solo per evitare di incrociare Leo e Calipso felici, mano nella mano per il Campo, che guardavano con amore il bambino nato dalla loro passione.

Will non incolpava quel piccolo non ancora nato per la scelta di Leo. Sapeva che ormai era solo questione di tempo prima che Leo gli dicesse di aver scelto Calipso. Glielo aveva letto negli occhi un'infinità di volte, nelle ultime settimane, solo che l'aveva sempre ignorato. E quando si erano ritrovati a baciarsi sul divano della cabina di Ade, Will aveva davvero sperato che le sue parole fossero vere. Lo aveva sperato davvero, fino a quando il pugno di Connor Stoll si era abbattuto sul suo volto, e Leo aveva seguito il figlio di Ermes per impedirgli di dire la verità a Calipso.

Se solo Leo non lo avesse fatto, Will avrebbe avuto ancora un po' di speranza nel cuore. E invece...

«N-Nico, i-io...»

«Sst.» sussurrò Nico al suo orecchio, e Will provò a trattenere un singhiozzo. «Sfogati. Liberati. Sono qui per te. Non vado da nessuna parte, Will.»

A Will dispiacque un po' riempire di lacrime e muco la maglietta del figlio di Ade, ma non riuscì a spostarsi. Il corvino sembrava abituato a quel genere di cose, ormai. Le lacrime di Will aumentarono al pensiero di Nico, che aveva superato il dolore per Percy tutto da solo, senza battere ciglio, senza nessuno da cui andare, a parte sua sorella.

Will si ritrovò a piangere per sé, per il dolore che sentiva nel petto, per Leo, che aveva rinunciato alla felicità che poteva avere con lui a causa della gravidanza di Calipso. Pianse per Hazel, che aveva atteso per un decennio il ritorno del suo grande amore, e pianse per Frank, che era tornato ricoperto di ferite e moribondo dalla donna che amava. Pianse per Nico, che aveva pensato di aver trovato un vero amore e che aveva poi scoperto essere solo una montatura. Pianse per Percy e Annabeth, che avevano pensato fosse una buona idea mentire a Nico, senza pensare alle conseguenze. Pianse per Angel, che aveva trovato l'amore, e che a causa di Marcelus Morgan l'aveva perso.

Il pensiero su Angel gli rimase fisso nella testa mentre si scostava da Nico. Sentì le sue mani sulla guancia, che cercavano di asciugare qualche lacrima senza molto successo.

«Io...» mormorò Will, ma Nico lo zittì di nuovo.

«Qualsiasi cosa sia, può aspettare.» mormorò Nico, con voce tetra. «Fidati, so di cosa parlo.»

Will annuì appena, e si appoggiò di nuovo a lui.

 

Quando Will aprì gli occhi, scoprì di essere sul divano della cabina 13. Per qualche minuto si crogiolò all'idea che quanto accaduto con Leo fosse solo un brutto sogno. Non era successo, Leo non lo aveva ferito, Leo non gli aveva rivelato la verità sulla gravidanza. Era stato un incubo della peggior specie. E Nico non aveva vomitato davvero una tenia infernale. Era successo tutto nella sua mente, forse a causa della mente creativa che possedeva essendo figlio di Apollo. Oppure... doveva succedere, e quella era stata solo una profezia.

«Come ti senti?»

La voce di Nico lo colpì come se il corvino gli avesse urlato nelle orecchie. Will si portò una mano alla fronte, sentendo quello che all'inizio aveva provato ad ignorare. Gli facevano male gli occhi, il naso e la gola, come se stesse covando il raffreddore. Aveva le ciglia appiccicate per via delle lacrime, e si sentiva tutto sottosopra.

«Will?»

Il figlio di Apollo girò appena la testa in direzione di Nico, seduto sulla poltrona, gli occhi puntati su di lui. Teneva una tazza di tè in mano e un pacchetto di gocciole era abbandonato sul tavolino. Era piuttosto pallido, ma nulla di preoccupante.

«Mh?»

Nico sospirò a quel suono. Non era granché, ma era un passo avanti. Posò la tazza vuota sul tavolino e si alzò in piedi, avvicinandosi a lui e passandogli le dita tra i capelli. Will chiuse gli occhi a quel gesto, trovandolo amichevole. Era come se ci fosse Hazel lì con lui. Gli offriva sempre una tazza di tè quando qualcosa non andava.

«Ho fatto il tè.» disse Nico, e Will riaprì gli occhi, fissandolo sorpreso. «Te ne porto una tazza. Non guardarmi così.» aggiunse il figlio di Ade, imbarazzato. «Hazel mi ha detto che ti piace il tè quando sei depresso.»

«Ah, già, grazie. Per avermelo ricordato.» mormorò Will, sentendo di nuovo la tristezza assalirlo. Chiuse gli occhi mentre Nico si allontanava borbottando in italiano chissà cosa.

A fatica, Will si mise seduto, tirandosi la coperta fino al collo. Le parole di Leo, che a quanto pare non era stato un brutto sogno, gli galleggiarono di nuovo nella testa. Perché non gli aveva detto subito del bambino? Avrebbe accettato la situazione. Anzi, lo avrebbe portato lui all'altare, facendolo sposare con Calipso senza imprevisti. Invece aveva dovuto sminuire il loro amore, distruggere i suoi sentimenti. E gli aveva detto di andarsene da lì. Forse voleva evitare di vederselo di fronte tutti i giorni, oppure aveva paura che potesse rovinare quella felicità che si era appena instaurata tra lui e Calipso.

Nico gli portò la tazza di tè e Will l'accettò, sentendosi confortare dal calore della tazza. Guardò il figlio di Ade che prendeva di nuovo posto, soffiando sulla tazza e bevendone un piccolo sorso.

«Come stai?» mormorò Will con voce roca.

«Sto bene.» annuì Nico, arrossendo appena. «Non ricordo molto di quello che è successo in infermeria, ma i tuoi fratelli me lo hanno raccontato. Senza andarci piano con i dettagli.»

Will abbozzò un sorriso.

«Non volevo morderti.» aggiunse il figlio di Ade. «Almeno, non consciamente. Avevo solo... una fame tremenda. E... ricordo di aver pensato che avevi un buon odore mentre camminavo davanti a te. Poi... più niente, finché non ho vomitato quel verme.»

«Mh...»

«Sono svenuto forse per una manciata di minuti.» Nico bevve un sorso di tè, spostando lo sguardo per la cabina. «E mi sono svegliato... mentre tu e lui stavate parlando.»

Will annuì. Doveva immaginarselo. Tralasciando che né lui né Leo avevano avuto un tono basso, mentre litigavano. Ricordava di aver gridato.

«Mi dispiace.»

La voce di Nico sembrò arrivare da lontano e Will lo mise a fuoco a fatica. Aveva ripreso a piangere senza rendersene conto. Nico gli lanciò un pacchetto di fazzoletti sul petto prima ancora che potesse chiederli.

«Mi dispiace che ti sia innamorato di uno stronzo del genere.» mormorò Nico, stringendosi nelle spalle, senza smettere di guardarlo negli occhi. «Forse in futuro troverai qualcuno adatto a te. Per ora, credimi, è meglio se te ne sei liberato. Non ti merita. Non merita nemmeno una tua unghia.»

Nico bevve un altro sorso e Will si soffiò il naso.

«Ti ha detto delle cose tremende. Volevo davvero alzarmi e prenderlo a pugni al posto tuo. Ma... ho immaginato che non avresti apprezzato.»

Will scrollò le spalle, abbozzando un lieve sorriso. Forse non avrebbe apprezzato, ma avrebbe gradito ripensandoci.

«Ad ogni modo, sono molto tentato di far comparire un po' di ossa nella loro torta nuziale.» aggiunse Nico, osservando un punto sopra la testa di Will. «Anche se mi dispiacerà per la torta. Sarà uno spasso, però, vederli sgranare gli occhi nel sentire l'osso in bocca.»

«Non ci sarò al matrimonio.»

Nico gli lanciò un'occhiata. «So che non sei stato invitato, l'ho sentito, ma hanno invitato me. Posso andarci... e portarti come mio più uno.»

Will scosse la testa. «Non ci sarò.» ripeté. «Voglio andarmene da qui.»

 

 

Calipso lanciò un'occhiata a Leo, seduto sul pavimento del soggiorno intento a fare un puzzle con James. Dal modo in cui il ragazzo di fuoco sorrideva e scherzava, Calipso capì che aveva preso la pozione che gli aveva dato giorni prima. Una parte di lei si rincuorò. Aveva temuto davvero che Leo potesse prenderla e dimenticarsi del loro amore. Vedendo Will e Leo insieme, li aveva sempre considerati una coppia forte, una coppia capace di superare ogni cosa.

Però... ne erano successe davvero di tutti i colori tra loro. Will si era comportato male con Leo, e Leo l'aveva lasciato per la paura. E lei... sì, le era dispiaciuto che Leo avesse sofferto così tanto per il figlio di Apollo, ma non aveva potuto fare a meno di immischiarsi in quel dolore. Si era introdotta nella vita di Leo giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, fino a quando non si erano baciati. E poi era tornata nella sua vita, nella vita del figlio come una mamma a tempo pieno.

Calipso si appoggiò al muro del soggiorno, riflettendo. Gli ultimi anni li aveva passati ad amare suo figlio e l'uomo che un giorno intendeva sposare. Si era comportata malissimo nei suoi confronti in passato, ed era felice che lui l'avesse perdonata, nonostante tutto quello che gli avesse fatto. Si portò una mano alla pancia, sperando che quel bambino avrebbe portato solo più gioia e felicità.

«Trovato!»

«Nooo!»

Calipso sollevò lo sguardo, osservando divertita il figlio che cercava di allontanare le mani del padre dal puzzle, per impedirgli di attaccare l'ultimo pezzo dell'armatura di Iron Man. Non importava se ci fosse ancora più di metà puzzle da completare.

Leo alzò lo sguardo su di lei come attirato dai suoi pensieri e James gli prese il pezzo di mano, attaccandolo ed esultando. Il padre gli batté il cinque e tornò a guardare la futura moglie, con un sorriso che gli si allargava sul volto. Calipso incrociò i suoi occhi scuri e caldi, contenta che, di lì ad una settimana, l'avrebbe chiamato marito.

«Vieni?» domandò Leo semplicemente, e Calipso gli si avvicinò, sedendosi accanto a loro. Leo le baciò la spalla e la guancia, stringendola con un braccio, e tornò ad osservare il puzzle. Calipso guardò tutti quei pezzi, senza capirci molto, e si limitò ad osservare le mani di Leo.

Wade, il figlio di Afrodite che gli aveva dato quella pozione, le aveva assicurato che l'amore di Leo sarebbe stato naturale, nulla di forzato. Solo i suoi sentimenti verso l'altra figura amorosa – in questo caso Will – si sarebbero affievoliti nel corso degli anni, scomparendo del tutto. Wade le aveva assicurato che la pozione avrebbe agito più in fretta in base a quello che Leo provava nei suoi confronti, e Calipso sperò che la storia della gravidanza avesse aiutato quei sentimenti.

Non aveva mentito a Leo. Era davvero incinta di suo figlio. Ma a causa del ritorno di Frank Zhang, aveva solo aumentato il processo.

Calipso aveva notato il modo in cui Leo e Hazel evitavano certi argomenti di fronte a lei. Per qualche ora, Calipso aveva anche temuto che Leo potesse avere una relazione con la loro amica, ma ciò era stato smentito in fretta dal modo in cui Hazel temeva di pronunciare il nome di Will Solace in sua presenza.

Inizialmente, Calipso aveva immaginato che fosse a causa della relazione passata con Leo, ma... più i giorni passavano, più si era resa conto che il motivo doveva essere un altro. Leo era ancora innamorato del bel dottore? Rischiava di rovinare il matrimonio, a causa di questo fatto?

Calipso non ci aveva pensato due volte. Per essere sicura che Leo la sposasse, aveva chiesto una pozione della fertilità a Wade, che era stato ben felice di aiutarla. L'aveva pagata cara, ma quando aveva scoperto di aspettare un bambino era stata al settimo cielo. Si era tenuta quel segreto dentro per giorni, e non vedeva l'ora di sorprendere il fidanzato. Solo che lui l'aveva sorpresa per prima, con quella storia di Will Solace. Non ne era rimasta così tanto sbalordita, però. Una parte di lei l'aveva sempre sospettato.

Calipso sospirò appena, osservando Leo che si divertiva ad attaccare un pezzo dopo l'altro. Doveva accertarsi che la pozione funzionasse...

«Che ne pensi di Solace?» domandò Calipso a bruciapelo, e Leo aggrottò la fronte.

«Per cosa? Come nome..?» chiese Leo, con un sorrisetto. Calipso fu tentata di colpirlo. Non avevano ancora detto niente a James, e avrebbero aspettato fino a dopo il matrimonio.

«No, intendo come dottore...» borbottò Calipso, sfiorandosi la pancia.

«Ah. Mh...» Leo trovò un pezzo di Hulk e lo inserì tra gli altri pezzi. «Direi che può andare. È uno dei migliori medici del Campo. Senza contare che ha, ehm, anche fatto nascere James e tanti altri bambini.»

«Ed è il fratello migliore per Bryan.» aggiunse James, che stava ascoltando la conversazione solo per metà. «Bryan lo idolotra sempre.»

«Idolatra.» lo corresse Calipso, con un sorrisetto.

«Ah, la dislessia da semidio...» sospirò Leo, divertito, arruffando i capelli al figlio.

Calipso continuò a tenere d'occhio Leo, aspettando di vedere una qualche altra reazione sul volto del figlio di Efesto, ma non accadde. Leo era solo interessato al puzzle, a completare più parti possibili prima del figlio di sette anni. Calipso si rilassò. Poteva stare tranquilla. La pozione aveva fatto effetto, e funzionava a meraviglia. Lo avrebbe tenuto d'occhio con il passare gli anni, ma dopotutto, Will Solace era destinato a morire. Non avrebbe dovuto attendere molti anni per la sua scomparsa.

 

 

Nico sbatté le palpebre per la sorpresa mentre Will posava la tazza sul tavolino e si metteva alla ricerca del suo cellulare.

«Immaginavo volessi andartene.» disse piano il figlio di Ade. «Ma non credevo...»

«Nico, hai subito peggio di me.» disse Will, alzandosi in piedi e scoprendo il cellulare sul tavolo della cucina. Andò a prenderlo. «Quindi immagino che tu possa capire come mi sento al pensiero di doverli ancora vedere. Andrò via, e mi auguro di farlo questa sera stessa.»

Quel pensiero aveva preso forma nella sua mente mentre aspettava la tazza di tè. Non aveva molti posti in cui andare, ma avrebbe trovato qualcosa. Aveva dei soldi dopotutto, poteva prendere un monolocale in città, oppure allontanarsi ancora di più dal Campo Mezzosangue. Però poteva viaggiare fino al Campo Giove. Avrebbe trovato un posto per sé, lì...

«Dove vorresti andare?» chiese Nico, osservandolo.

«In Africa, da mio fratello Angel.» disse Will, asciugandosi le lacrime con la manica della maglia. «Mi aveva invitato tanto tempo fa. Ora mi pento di non aver accettato il suo invito la prima volta. Mi sarei evitato tante delusioni, tante ferite. Tanto dolore.»

Will inviò un messaggio in tutta fretta, trattenendo un singhiozzo. Prendere decisioni del genere quando si era arrabbiati o feriti non era mai una buona idea, ma non gli importò. Voleva andare via. Salutare il Campo Mezzosangue una volta per tutte, questa volta. Non sarebbe tornato. Non avrebbe commesso di nuovo quell'errore.

Nico non disse una parola, e Will lo ringraziò con lo sguardo. Non avrebbe sopportato altre parole gentili dal figlio di Ade. Tornò al divano, sedendosi, prendendo la tazza di tè e sorseggiandola, tenendo d'occhio il cellulare. Aspettava una risposta. Appena l'avesse ricevuta...

Il cellulare squillò e Will quasi fece cadere la tazza. Non si era aspettato di ricevere un messaggio così presto.

«È Angel?» chiese Nico, prendendo un biscotto.

«È Wendy, mia sorella maggiore.» disse Will, leggendo il messaggio, sentendosi rassicurato. «Le ho chiesto se potevo restare da lei per un po'. Ha detto di sì.»

Nico diede un morso al biscotto e lo guardò in silenzio. Will incrociò il suo sguardo.

«Quella fame che avevi... ti è passata?» chiese Will, interrompendo quel silenzio glaciale. Il cuore gli batteva forte all'idea di andarsene. Ma aveva preso la sua decisione.

«Sì.» annuì Nico. «Ora è più o meno come al solito. Ma sto mangiando solo biscotti da stamattina, e qualche tazza di tè. Vorrei evitare di vomitare ancora.»

«Ottima decisione.»

Will finì di bere la tazza di tè e si alzò in piedi, seguito a ruota da Nico, che si ripulì le dita sui pantaloni. I due si guardarono negli occhi.

«Nico, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me negli ultimi giorni.» disse Will, passandosi una mano tremante tra i capelli. «Non credo che potrò mai ringraziarti abbastanza. Mi hai dato sostegno, un posto dove stare, e qualche parola gentile di tanto in tanto. Ti devo molto.»

«Will, potrei dire lo stesso di te.» mormorò Nico, con un sorrisetto. «A parte per le parole gentili. Di quelle me ne hai date parecchie.»

«Se avrai bisogno di me, chiamami, a qualsiasi ora. E se vorrai fare un salto al McDonald's, avvertimi, ti terrò compagnia.»

Nico rabbrividì al pensiero. «Grazie, ma farò a meno della carne per qualche mese. Vorrei evitare altri serpenti infernali nel mio stomaco.»

«Non era un serpente...»

Il figlio di Ade sollevò un dito per zittirlo. «Per me sì.»

Will sorrise a quel gesto. Fu Nico ad avvicinarsi e ad abbracciarlo. Will chiuse gli occhi a quel contatto, passandogli le braccia attorno alla vita e stringendolo prima che potesse sfuggirgli. Lo sentiva rigido tra le sue braccia, ma era felice che avesse agito per primo.

«Fatti sentire, ogni tanto.» gli disse Nico, sciogliendo in fretta l'abbraccio e guardandolo imbarazzato. «Non sparire, ovunque andrai.»

«Ci proverò, te lo prometto. Nico... stammi bene.»

 

 

Will si allontanò dalla cabina di Ade e si ritrovò quasi a correre mentre si dirigeva alla 7. L'ultima volta che era uscito da quella cabina era felice di poter tornare al lavoro, e si trattava solo di quella mattina. Ora, dopo diverse ore, voleva solo rifugiarsi nella propria camera e non uscirne fino a sera.

Intravide Connor Stoll e Miranda Gardner appoggiati al muro della cabina 11, ma erano troppo impegnati con la lingua per poterlo degnare di un'occhiata. Will non riuscì a sorridere a quella vista, sebbene fu contento che il figlio di Ermes lo avesse già dimenticato. Era quello che si meritava per averlo ferito. Connor era già andato avanti con la sua vita, senza nemmeno guardarsi indietro.

Will scoprì che gli andava bene così.

Il figlio di Apollo entrò nella sua cabina e si diresse nella sua stanza. Osservò tutti i suoi averi, pensando che fossero perlopiù oggetti che poteva lasciare lì, alle cure dei suoi fratelli. Ne avrebbero avuto più bisogno di lui. Prese la borsa da sopra all'armadio e cominciò a metterci dentro i suoi vestiti, ben ripiegati, chiedendosi cosa potesse portare in Africa. Avrebbe chiamato Angel più tardi per chiederlo direttamente a lui. Ora, andando da sua sorella, si sarebbe goduto qualche giorno con i suoi nipotini mortali, cercando di non pensare a niente.

«Will?»

Will sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi di Nate. Il fratello non sembrò sorpreso di vederlo indaffarato a prepararsi una borsa.

«Sì?» chiese Will, sperando che non cominciasse a dare di matto.

«Io e Grant ci siamo messi a studiare la tenia.» continuò il fratello con un sorrisetto. «È un esemplare fighissimo, sai? Sarebbe possibile chiedere a Di Angelo di portare altre creature infernali da analizzare?»

«Be', visto che a causa di quella tenia Nico stava per azzannarmi alla gola, diventando cannibale per la fame, direi di no.» sorrise stanco Will, e il sorriso di Nate si spense. «Ma sono contento che hai trovato il lato positivo della faccenda.»

Nate cominciò a borbottare che voleva i mostri infernali solo per analizzare la loro influenza sui semidei, e Will lo osservò divertito. Gli si avvicinò, portandogli una mano sulla spalla.

«Sai, Nate? Mi piace questa tua voglia di imparare. Ti nomino medico principale dell'infermeria.» disse Will, senza smettere di sorridere.

«C-Come?» balbettò Nate, senza parole, fissando il fratello. Lo aveva capito benissimo, ma...

«Ti nomino medico principale dell'infermeria del Campo.» ripeté Will ad alta voce. Grant ed Helen spuntarono alle spalle di Nate. «Io me ne sto andando, e mi auguro che le tue mani siano le più sicure, qui.»

Nate annuì, il petto pieno d'orgoglio. Era un onore, per lui, ritrovarsi a gestire l'infermeria. Grant non sembrò molto preoccupato per non aver ottenuto la promozione. Più che un onore, sarebbe stato un vero inferno.

«Quindi te ne vai?» chiese Helen, guardandolo con tristezza.

«Sì, piccola. Me ne vado.»

Will non ebbe bisogno di aggiungere altro. Il matrimonio si stava avvicinando. Era notevole che avesse resistito così a lungo.

«A proposito...» mormorò Grant, mordicchiandosi il labbro. «Ehm... hanno richiesto l'adozione di Bryan, dopo il matrimonio...»

Will annuì. «Penso che sarà in ottime mani, con loro.» si limitò a dire, pensando solo alla gioia di James e a quella di Bryan, che finalmente avrebbe avuto una famiglia.

Helen lo abbracciò di slancio e Nate la seguì a ruota. Grant lo obbligò a rimanere lì fino a sera, e Will accettò, sebbene avesse intenzione di partire da lì a cinque minuti. Ormai quel posto non faceva più per lui. Perché restare?

Will lo capì qualche minuto più tardi. L'ultima volta che se n'era andato, non aveva salutato nessuno dei suoi fratelli, rendendoli tutti tristi e senza parole. Ora, trattenendosi anche solo per un paio d'ore in più, ebbe il tempo di salutarli tutti. Abbracciò Hailey e Julie per quasi dieci minuti, mentre Kenny gli singhiozzava sulla spalla, chiedendogli poi se poteva trasferirsi nella sua camera, le lacrime misteriosamente scomparse. Ma per Will, fu più doloroso salutare Bryan che tutti gli altri suoi fratelli messi insieme.

Aveva trovato Bryan mesi prima in Alaska. Per il fratello, era come un padre. Lo aveva portato lì, tenendolo al sicuro dai mostri, facendogli da genitore, amandolo alla follia. E ora doveva salutarlo. Non era un addio, una parte di lui non avrebbe mai sopportato davvero l'idea di non ritornare al Campo Mezzosangue, ma per il momento lo era.

Bryan lo abbracciò forte, con gli occhi lucidi e il labbro tremante. Will si trattenne a stento dal piangere a sua volta. La tentazione era alta, ma si costrinse ad essere il fratello maggiore, per una volta.

 

 

Alle nove in punto, Travis comparve sulla soglia della casa di Leo e bussò alla porta per un minuto, sbuffando appena, chiedendosi se Leo avesse dimenticato la sua festa di addio al celibato. Gli aveva detto che era organizzato per quella sera, e poi l'amico non si era più fatto sentire.

Ma Leo gli aprì dopo qualche minuto, con un sorriso e l'aria da folletto malefico. Indossava una camicia azzurra, che gli dava un'aria più adulta, nonostante il volto così giovane.

«Sei in ritardo.» lo salutò Leo, e Travis alzò gli occhi al cielo.

«Hai impiegato quasi cinque minuti ad aprirmi la porta.» borbottò Travis, notando Calipso alle spalle di Leo. Le fece un cenno con la mano e lei ricambiò, prima che Leo si chiudesse la porta alle spalle.

«Dove andiamo?» domandò Leo con il solito sorriso, e Travis lo guardò con attenzione. Qualcosa in lui era cambiato, ma non capiva cosa.

«È una festa a sorpresa.» gli ricordò Travis, e il figlio di Efesto annuì divertito.

«Oh, giusto. Certe volte me lo dimentico.» Leo si passò una mano tra i riccioli scuri, lanciando un'occhiata alla porta di casa. Si sentiva osservato, ma non c'era nessuno nei dintorni, a parte Travis.

«Come stai?» chiese Travis, cominciando a camminare. Dovevano uscire dal Campo per poter cominciare la festa.

«Sto bene.» sorrise Leo, pensando al bambino. «Sono al settimo cielo. Non vedo l'ora di sposarmi, dico davvero. »

Travis aggrottò la fronte. «E Solace? Hai chiuso definitivamente con lui?»

«Sì.» annuì Leo, senza smettere di sorridere. «È una storia finita. Amo solo Calipso.»

«Sei felice?»

«Con Calipso molto, Trav. Non avrei dovuto farmi distrarre da nulla. Ora per me c'è solamente lei. Lei e i nostri bambini.»

«Ami già così tanto Bryan?» Leo gli aveva parlato della loro intenzione di adottare il figlio di Apollo.

«Già.»

Leo si morse la lingua per non dire al suo migliore amico di Calipso. Gliene avrebbe parlato dopo il matrimonio. Pensò a Solace, al fatto che sia Cal che Travis gli avessero chiesto di lui. Qualsiasi cosa ci fosse stata tra di loro, ormai era passata. Forse aveva avuto una ricaduta, e se ne pentiva. Era fortunato ad essersi innamorato di una donna come Calipso, che lo aveva perdonato e aveva deciso di sorvolare sul suo tradimento per l'amore che provava nei suoi confronti. Leo si rese conto di non meritarla. Avrebbe fatto in modo di non farle pentire della sua scelta, amandola ogni giorno di più, per l'eternità.

 

 

Erano quasi le dieci di sera quando finalmente Will riuscì ad uscire dalla cabina. Teneva una borsa sulla spalla, e Grant gli prese l'altra. Nate era già andato a recuperare la macchina, e li aspettava ai confini del Campo.

«Puoi salutare tutti gli altri per me, domani?» domandò Will, avviandosi verso l'auto.

«Certo.» sorrise tristemente Grant, dandogli una pacca sulla spalla. «Però potresti...»

«Non credo, no.»

Grant annuì e non aggiunse altro. Will si avvicinò per primo alla macchina, infilando la borsa nel bagagliaio. I fratelli lo avrebbero accompagnato fino alla fermata del pullman in città. Non voleva che facessero troppo tardi, e che venissero rincorsi dai mostri a quell'ora, nonostante ormai portassero tutti gli amuleti dei figli di Ecate con sé.

Will si guardò attorno per il Campo, con un sorriso amaro sulle labbra. Gli sarebbe dispiaciuto non svegliarsi più lì, senza la possibilità di andare in spiaggia a qualsiasi ora del giorno e della notte. Però, forse un giorno, avrebbe avuto di nuovo il coraggio di tornare.

Salì in macchina, preferendo i sedili posteriori, lasciando i fratelli davanti. Non aveva nemmeno voglia di guidare, voleva solo deprimersi e guardare il mondo scorrere attraverso il finestrino. Infilò la cintura, e appoggiò il mento alla mano, mentre Nate cominciava a guidare.

Grant e Nate parlarono di una partita a pallavolo che avrebbero giocato il giorno successivo, e Will rimase ad ascoltarli, felice che avessero deciso di chiacchierare tra loro senza includerlo. Non aveva la forza di parlare. Non aveva nemmeno la forza di ascoltare. Chiuse gli occhi, pensando che avrebbe schiacciato un pisolino per ingannare l'attesa, e non pensare a quel vuoto nel petto.

«Ma che cazzo è quello?!»

Il grido di Grant gli fece spalancare di nuovo gli occhi. Will si spostò di lato, per poter guardare anche lui dal parabrezza mentre Nate frenava di colpo. Will aggrottò la fronte alla vista di un paio di scheletri che li fissavano.

«Dite che... li manda un... mostro?» mormorò Grant, lanciando un'occhiata ai fratelli.

«Non credo.» disse Nate, lanciando un'occhiata allo specchietto retrovisore. Will si voltò direttamente, trattenendo un sorriso alla vista di Nico Di Angelo che si avvicinava alla macchina senza fretta, con la borsa sulla spalla.

Nate si affrettò ad aprire il bagagliaio e Nico lanciò la borsa al suo interno, sedendosi poi accanto a Will. I due si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Nico guardò Nate.

«Ora ci siamo tutti.» disse il figlio di Ade, mentre gli scheletri ricadevano come mucchi d'ossa davanti a loro, sparendo nel terreno. «Ora puoi partire.»

Nate annuì, divertito, e Grant lanciò un'occhiata a Nico, un po' dubbioso e ancora spaventato.

«Dove stiamo andando?» chiese Nico a Will, dopo un minuto di silenzio.

«Da mia sorella Wendy.»

«Ottimo.»

Nico si guardò le unghie in silenzio e Will non riuscì a togliergli gli occhi di dosso.

«Smettila.» disse il figlio di Ade, dopo un po'.

«Scusa, è che non capisco.»

Nico lo guardò perplesso. «Cosa non capisci?»

«Cosa fai qui?»

«Sei davvero un idiota, Solace.» disse Nico, fissandolo dritto negli occhi. «Sei il mio dottore. E ho bisogno di cure. Non posso restare senza dottore.»

«Oh, giusto.» annuì Will, trattenendo un sorriso, mentre Nico si allacciava la cintura dopo la prima curva larga di Nate. Il figlio di Apollo si era distratto ascoltandoli. «Non ci sono altri medici al Campo.»

Nico si sistemò la cintura e chiuse gli occhi, appoggiando la testa al finestrino. «No.» rispose semplicemente.

Will continuò a guardarlo per un po', obbligandosi poi a puntare lo sguardo fuori dal finestrino. Il dolore era ancora forte nel suo petto, al pensiero di Leo, ma lo rincuorò sapere che, prima o poi, sarebbe guarito.

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Capitolo 77
*** Epilogo ***


Leo Valdez baciò Calipso una seconda volta, prima di tornare a guardare la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Erano passati ormai due anni dal suo matrimonio con la ninfa, e non rimpiangeva nulla, a parte qualche stupido litigio che per fortuna non aveva fatto altro che avvicinarli. Come il nome della loro bambina, Soledad, che ora dormiva accanto a Leo, stretta dal suo braccio. Ne avevano discusso parecchio, e alla fine erano arrivati a scegliere tra Soledad e Lucita. Leo non se l'era sentita di chiamare la bambina Esperanza, come sua madre, ma forse in futuro avrebbe accettato quell'idea. Calipso gli aveva fatto intendere di volere altri bambini, e a Leo non dispiacevano quei bambini che scalciavano per casa.

Lo sguardo di Leo si puntò su James, che sembrava sul punto di soffocare all'interno del suo abito. Solo grazie a Lily al suo fianco evitava di toccarsi la cravatta in continuazione, lanciando occhiate a Bryan al suo fianco, che sembrava irradiare luce con il suo completo scuro. Leo notò che suo figlio – ormai lo definiva così, e Bryan aveva impiegato mesi per chiamarlo papà – stava davvero irradiando luce e trattenne una risata mentre James gli dava una gomitata per farlo smettere. Bryan si calmò, lanciando un'occhiata nella sua direzione, e Leo gli sorrise. Quel ragazzino si faceva ogni giorno più somigliante ai suoi fratelli della casa 7, ed era un bene per James poter contare su un fratello maggiore del genere.

Lo sguardo di Bryan si spostò da lui e Leo aggrottò la fronte, chiedendosi cosa stesse guardando. Lo vide illuminarsi di nuovo, e stavolta toccò a Lily dargli una gomitata piuttosto forte. Vide Bryan strabuzzare gli occhi per un secondo, ma subito si ricompose, guardando gli sposi.

Anche Leo provò a concentrarsi sugli sposi. Dopo anni, Travis era riuscito a chiedere la mano di Katie senza provocarle imbarazzo. L'aveva chiesto di sposarla dopo aver visto un film al cinema, per ricordare il loro disastroso appuntamento. Niente di particolarmente romantico, ma Katie ne era rimasta colpita. Del fatto che se lo ricordasse, immaginò Leo.

Il figlio di Efesto strinse la figlia da una parte e la moglie dall'altra, che sembrò volersi accoccolare accanto a lui. Guardò la coppia felice che si scambiava gli anelli di fronte al Signor D, che sembrava desideroso di trovarsi da un'altra parte. Osservò Connor Stoll, che sembrava sul punto di mettersi a piangere dalla gioia, e Leo immaginò che poteva benissimo farlo.

Gli occhi chiari di Bryan si spostò di nuovo tra gli ospiti della sposa, e Leo si ritrovò curioso. Chi stava guardando? Leo lasciò scivolare lo sguardo tra i vari invitati, domandandosi se Bryan avesse notato qualche ragazza o ragazzo carino. Notò una testa di riccioli biondi e una mano abbronzata che salutava il ragazzino vicino gli sposi, e Leo immaginò che si trattasse di lui. Bryan tornò a concentrarsi sulla cerimonia prima che James o Lily potessero colpirlo un'altra volta.

Leo rimase a guardare quella testa riccioluta. Capì di chi si trattasse solo quando incrociò un paio di occhi azzurri e un sorriso un po' timido. Will Solace lo stava guardando e Leo si limitò a fargli un cenno del capo e un mezzo sorriso, notando Nico Di Angelo che borbottava al fianco del biondo. Will si voltò subito, mormorando qualcosa che fece ridere il figlio di Ade, che si portò una mano davanti alla bocca per evitare di fare rumore. Will passò il braccio attorno alle spalle del corvino, che si appoggiò a lui, con le guance leggermente arrossate e l'espressone contenta.

Leo sorrise, distogliendo lo sguardo. Vedere Will insieme a Nico non gli provocava niente. Ormai aveva superato i suoi sentimenti verso di lui. Era contento che fosse andato avanti. Calipso gli aveva raccontato qualcosa della loro relazione passata. Leo capiva ciò che lo aveva spinto tra le braccia del figlio di Apollo, ma preferiva che fosse andata così. Calipso era l'amore della sua vita, nessun altro.

Come se avesse sentito i suoi pensieri, Calipso gli prese la mano e la strinse, sorridendogli con dolcezza. Leo ricambiò il sorriso nello stesso modo, stringendo la loro bambina. Non poteva essere più felice di così.

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

Avviso

Grazie a tutti voi per essere arrivati fino a qui. So che è stata una tortura per voi dover aspettare così tanto, ma è stata dura anche per me continuare a scrivere queste storia. Ho avuto il blocco dello scrittore, motivi personali, e qualche commento che mi ha un po' fermata dal continuare.

Spero che la storia vi sia piaciuta, con questo finale. Prossimamente caricherò qualche capitolo su alcuni personaggi, ma la storia principale è conclusa.

Buon 2024 a tutti voi.

Debby

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