Di ritorni e attacchi di panico

di Mnemosine__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Di ritorni e attacchi di panico pt. 1
 

Peter non era sicuro di riuscire a parlare, se gli fosse stato richiesto in quel momento.
La giornata era iniziata in modo tranquillo, quella mattina: aveva fatto colazione con May e preso lo scuolabus per la gita scolastica al MOMA.
Avrebbe dovuto passare la giornata al museo insieme al resto della propria classe, vivendo almeno per un giorno come Peter Parker e non come Spider-man.
Lui era un amichevole Spieder-man di quartiere: aiutava le anziane signore ad attraversare la strada, gestiva gli incidenti stradali insieme alle forze dell’ordine, occasionalmente si occupava di super criminali. Quella mattina, invece, si era gettato in soccorso del Signor Stark per impedire che degli alieni – alieni! – rubassero uno strano ciondolo ad uno stregone.

Pochi minuti e si era trovato a bordo di un’astronave – un’astronave! – in compagnia del proprio mentore, del signor dottor Strange e di un simpatico mantello fluttuante.
Sì, aveva agito d’impulso, quando il signor Stark aveva cercato di rimandarlo sulla Terra e lui, invece, era riuscito a liberarsi dal paracadute della nuova armatura ed entrare di soppiatto all’interno di quel mezzo alieno.
E, dopo essere atterrati su un pianeta sconosciuto e aver fatto la conoscenza di insoliti alleati, non senza una sonora strigliata dal signor Stark per essere stato così incosciente da seguirli fin lì, le cose erano peggiorate esponenzialmente.
Thanos li aveva raggiunti ed annientati. Certo, avevano combattuto, all’inizio erano quasi riusciti a sottrargli il guanto, ma quell’essere era in possesso di quattro gemme.

Peter non sapeva esattamente come fossero andate le cose – era parecchio dolorante e si era premurato di risparmiare una brutta fine ai compagni di cui non riusciva ancora a ricordare i nomi – ma Thanos era sparito e il signor Strange aveva perso la propria gemma.
Peter aveva aiutato i compagni a rimettersi in piedi, controllato che stessero tutti bene ed era corso da Iron Man. Non aveva fatto in tempo a chiedere cosa fosse successo che, intorno a lui, i compagni avevano iniziato a scomparire. Uno alla volta si erano trasformati in cenere, dissolti nel nulla.
E poi, poi era toccato a lui. Lo aveva sentito arrivare nelle proprie viscere, il senso di ragno era impazzito e, d’un tratto, i propri piedi si erano dissolti.
Aveva fatto fatica a respirare, cercando di razionalizzare cosa gli stesse succedendo. Era riuscito a chiamare il signor Stark una volta ed aveva incrociato i suoi occhi scuri. Tony si era immobilizzato, forse in preda al terrore, forse alla sorpresa. Aveva aperto la bocca in un grido muto, si era gettato verso di lui per non farlo cadere sulla roccia.

Peter non era riuscito più a pensare a nulla. Morto. Sarebbe morto in pochi secondi. La morte non gli aveva mai fatto paura, ormai la considerava una vecchia amica: prima i propri genitori e poi zio Ben; la morte faceva parte della vita. Arrivava e ti strappava dal tuo corpo.
Ma lui un corpo non lo aveva più. Sarebbe diventato nulla, polvere dispersa nell’aria di un pianeta in una galassia lontana da casa.
Non voleva morire così. Non era giusto, non era la sua ora.
L’ultima cosa che vide fu lo sguardo implorante di Tony, che lo guardava senza poter fare nulla per aiutarlo, ma che era lì con lui mentre faceva il suo ultimo respiro.
Tempo di pochi secondi e Peter era tornato a respirare. Aveva di nuovo un corpo, delle mani, si sentiva le dita dei piedi e sapeva di essere disteso sulla dura roccia di Titano.
Al suo fianco, il dottor Strange si fissava le mani, tremolanti ma solide, così come gli altri tre compagni che li avevano aiutati in quello scontro.
Ma mancava qualcuno, all’appello. Dov’era il Signor Stark?

Come a rispondere alla propria muta domanda, il dottor Strange aveva spiegato che erano passati cinque anni, dalla battaglia contro Thanos e che ora erano ancora in tempo per ribaltare le sorti di quello scontro, ma avrebbero dovuto fare in fretta.
Peter non capiva come fosse possibile una cosa del genere. Come facevano ad essere passati cinque anni, se per lui erano stati solo pochi secondi?
Il signor Lord aveva fatto quella stessa domanda pochi secondi dopo, cercando una spiegazione logica a cosa fosse successo esattamente.
Strange aveva stretto le mani a pugno, lungo i fianchi, e aveva contratto la mascella.
Veloce, aveva spiegato tra un tentennamento e l’altro che Thanos inizialmente aveva trovato tutte le gemme ed era riuscito a cancellare metà della popolazione dell’universo, loro compresi, ma che ora era loro compito tornare sulla Terra e sconfiggere il titano pazzo una volta per tutte.

Il cuore di Peter andava a mille: Ned, Zia May, il Signor Stark… erano sopravvissuti?
Non aveva fatto in tempo a formulare nessuna domanda che, grazie alla maglia dello stregone, era stato catapultato al centro di una battaglia, affiancato da tutti gli Avengers ed era riuscito persino a ricevere un abbraccio dal Signor Stark che, da quando Peter lo conosceva, si era sempre rifiutato di concedergliene uno.
Ora, a battaglia conclusa, Peter faticava a respirare. Non sapeva nemmeno come riuscire a far arrivare automaticamente l’aria nei propri polmoni, era costretto a pensare ripetutamente di espirare ed inspirare, altrimenti sarebbe potuto morire asfissiato.
Il suo stomaco era in subbuglio, aveva la nausea e sapeva che, se non si fosse trattenuto, avrebbe potuto vomitare lì, in volo. Probabilmente non sarebbe stato un bello spettacolo, né per lui né per le persone sotto di loro. Il colonnello Rhods lo teneva da sotto le ascelle mentre, più veloce che poteva, seguiva Carlo Denvers fino allo Stark Hospital.

“Starà bene.” Diceva, ogni tanto. Peter non sapeva se per tranquillizzare lui o se stesso, ma non gli importava.
Era nel panico. Tony aveva schioccato le dita, li aveva salvati tutti, aveva sconfitto Thanos.
Peter non aveva nemmeno fatto in tempo ad esultare che Tony Stark era caduto a terra, con metà del corpo sfigurato e gli occhi vitrei.
Peter era paralizzato, così come Rhody e Pepper che era atterrata al suo fianco dopo la scomparsa del titano.
A conti fatti tutti erano nel panico, ora che ci pensava. Ma non Captain Marvel.
Era stata lei che, in fretta, aveva preso il corpo inerme di Tony sottobraccio ed era decollata alla velocità della luce, gridando degli ordini a Bruce Banner.
Con qualche secondo di ritardo, anche gli altri si erano riscossi: Thor aveva preso con sé Hulk ed era volato dietro la donna, così come Shuri e Pepper.

Un po’ più lentamente i super eroi rimanenti si erano organizzati, anche grazie al sangue freddo di Steve Rogers. Gli stregoni sarebbero rimasti ad arginare i danni, con l’aiuto dei wakandiani.
Peter aveva assistito in silenzio, immobile, finché Rhody non lo aveva scosso per le spalle e gli aveva detto che sarebbero andati insieme fino all’ospedale dove Carol aveva portato Tony.
Rhody atterrò sul tetto di un grattacielo, nello spazio riservato agli elicotteri. Era stato sempre Rhody che, liberatosi dell’armatura, l’aveva spinto leggermente verso la porta e poi per le scale. “Dovresti mettere la maschera, ragazzo.” Aveva aggiunto prima di raggiungere il corridoio principale.

Peter aveva sussultato, ma era riuscito ad indirizzare i nano bot dell’armatura fino al proprio viso. Non si sarebbe potuto nemmeno cambiare, in quel momento. All’interno dell’armatura indossava il proprio costume e non aveva nessun vestito a portata di mano. Non che la sua identità segreta avesse importanza, comunque. Niente era importante, oltre a Tony.
Incrociarono un paio di infermieri, fermi davanti all’ascensore.
“Colonnello Rhods! Quello è Spider-man?” chiese uno, voltandosi allarmato verso di loro.
“State bene?” chiese l’altro, facendo qualche passo in avanti. “Possiamo…”
“Dov’è Tony?” li interruppe War Machine, continuando a tenere Peter per le spalle.
“Al dodicesimo piano, nel laboratorio della dottoressa Cho con il dottor Banner e la principessa wakandiana.” Rispose il primo, alternando gli occhi tra Rhody e Peter. “Hanno vietato a tutti di entrare. Anche la signora Stark sta aspettando all’esterno.”
Peter e Rhody superarono gli infermieri, e il più anziano premette tasto di chiamata.
Peter tremò. E se Tony non fosse sopravvissuto?

Non poteva perdere anche lui, non dopo tutto quello che era successo. Conosceva Tony Stark da un anno, ormai, sempre che di anno si potesse parlare, visto i recenti avvenimenti, e in quell’arco di tempo aveva imparato a conoscerlo. Non sarebbe potuto morire. Non così.
Per un attimo, si immaginò Tony vestito con il suo completo preferito, gli occhiali che tanto adorava a coprirgli il viso e le mani chiuse in grembo. Per un attimo, Peter vide Tony in una bara.

Peter socchiuse gli occhi, reprimendo la nausea e cercando di scacciare quell’immagine dalla mente, ma, involontariamente, si lasciò scappare un gemito dalle labbra. Faticava addirittura a capire come camminare ed era costretto a guardare i propri piedi per non inciampare.
“Colonnello… Spider-man sta bene?”
Rhody rafforzò la presa sulle spalle di Peter, spingendolo delicatamente in avanti quando le porte dell’ascensore si aprirono davanti a loro.
“Ragazzino…”

Peter scosse la testa, cercando di ignorare il proprio cuore battere nel proprio petto in modo troppo forte per i suoi standard.
“Ragazzino?” sussurrò uno degli infermieri all’altro.
Com’era possibile? L’ultima volta che aveva visto Tony, era lui quello moribondo. E ora, invece, Tony si trovava in chissà quale stanza di ospedale a lottare contro la morte.
“Peter, i tuoi livelli di ossigeno sono estremamente bassi.” Sentì la voce di Karen all’interno della maschera. “E la pressione…” Peter smise di ascoltare.

Non riusciva a respirare. Il cuore batteva all’impazzata e lui non riusciva a respirare. Come poteva non riuscire a respirare se faceva entrare e uscire l’aria ogni cinque secondi?
Tony disteso in una bara.
Vide gli infermieri lanciarsi uno sguardo preoccupato ed entrare simultaneamente con loro in ascensore un secondo prima che le porte si chiudessero.
Rhody cercò di guardare Peter negli occhi, anche se attraverso la maschera, quando lui inspirò rumorosamente e a fatica.
“Ragazzino, mi senti?” chiese di nuovo.
“Credo…” Peter si sorprese, quando la sua voce uscì come un misero squittio. Cercò di respirare a fondo, ma la cosa iniziava a risultare difficoltosa.
Più si rendeva conto di quanto difficile fosse continuare a respirare, meno aria entrava nei suoi polmoni. “Credo che sia un attacco di panico.”

Il campanello dell’ascensore trillò e le porte si spalancarono.
“Merda.” Ringhiò Rhody scattando verso il corridoio, seguito dagli infermieri.
Si trovavano in una stanza dai muri rossi con decorazioni dorate, abbellita da alcuni disegni di bambini che raffiguravano Iron Man e Spider-man incorniciati ed appesi sulle pareti e alcune poltrone e divanetti addossati alle pareti.
Vide con la coda dell’occhio Pepper e Thor, seduti su delle poltrone dall’altro lato della sala d’attesa, scattare in piedi non appena li notarono.

Thor era ancora vestito da dio norreno, ma Stormbreaker era appoggiata al muro, inoffensiva.
Peter si portò una mano al petto, cercando di artigliarsi il cuore. Perché gli risultava così difficile fare entrare dell’ossigeno nei suoi polmoni? L’aria passava, ma non era mai abbastanza. Perché non era abbastanza?
Peter si sentì strattonare, da chi non sapeva dirlo con certezza. “Qui.”
Si ritrovò seduto su una delle tante poltroncine, mentre uno dei due infermieri, un uomo di mezza età dai capelli scuri, si inginocchiava alla sua destra.
“Ehi, ragazzo…” iniziò a dire, con voce lenta e calma. “Sei un ragazzo, vero? Concentrati sulla mia voce, d’accordo? Solo sulla mia voce.”
Peter tremò, scuotendo la testa e toccandosi il petto più volte. “Sei al sicuro. Nessuno ti farà del male.” Continuò, annuendo alle sue stesse parole.

Sentì i passi di Pepper e Thor farsi sempre più vicini.
“Ho dato a Tony una scossa, una volta. Si è sentito subito meglio. Lo faccio anche al ragazzo-ragno?” chiese il dio del tuono facendosi scappare una scintilla dalle dita.
Peter si lasciò sfuggire uno squittio dalle labbra e scosse la testa.
Aveva la nausea, era sicuro di aver bisogno di vomitare e le sue mani tremavano senza controllo. Perché era così difficile respirare?
“Non è un infarto.” Rhody fece un ampio movimento con le mani in orizzontale, facendogli segno di no.
“Colonnello Rhods, sarebbe più facile senza la maschera.” Sussurrò il secondo infermiere a Rhody.
Peter fece un apio respiro, chiudendo gli occhi e reprimendo l’ondata di nausea che l’aveva pervaso.

“Sei al sicuro.” Ripeté l’infermiere in ginocchio. “Nessuno rivelerà la tua identià. Segreto professionale. Puoi fidarti.”
Peter scosse la testa. “Non riesco… non – non respiro…”
“Lo so. Sono qui per aiutarti. Concentrati su di me…”
Scosse di nuovo la testa, artigliando il bracciolo della poltrona. Sentì la stoffa piegarsi sotto le sue dita fino a deformarsi. Probabilmente aveva appena rotto una delle poltrone di Tony ma, in quel momento, la sensazione di stringere qualcosa di morbido e reale, lo rendeva un po’ più conscio di ciò che aveva intorno.
“Mi – mi dispiace – io…” guardò Pepper Potts stringendo ancora di più la stoffa. Pepper aveva gli occhi rossi e gonfi, le tramava il labbro inferiore, ma quando incrociò gli occhi di Peter cercò di sorridergli. “Pete.” disse, alzando le mani e facendo un passo verso di lui, come a mostrargli che non ci fosse niente di cui aver paura. “Tony ti chiamava così, ti ricordi?”

Pepper si accovacciò al suo fianco, coprendogli una mano con le proprie. “Sta bene. Secondo Bruce ce la farà.” Scandì lentamente.
Con delicatezza, aiutò Peter a togliere la mano dall’interno del bracciolo, spazzando via con le proprie dita i pezzetti di imbottitura incastrati tra i nano bot del costume. “Ce la farà, capito?”
Peter annuì, stringendo gli occhi.
“Stark è forte.” Aggiunse Thor, soddisfatto del proprio contributo.

Sapeva di star respirando, lo stava facendo da quando era tornato, ma l’ossigeno non era abbastanza. Non riusciva a riempire i propri polmoni. Era incapace, non poteva respirare, non avrebbe dovuto.
“Tesoro, prova a togliere la maschera, senza il metallo respirerai molto meglio. Te lo prometto.”
Pepper gli strinse la mano per dargli sicurezza.
“Anche Tony ogni tanto ne aveva bisogno, Peter.” Aggiunse Rhody.
Gradualmente, la maschera di Spider-man si dissolse e Peter si provò a prendere una grossa boccata d’aria.

Vide i due infermieri sussultare e guardarsi negli occhi. “È veramente un ragazzino.” Sussurrò quello in piedi.
Non era abbastanza. L’aria fresca che sentiva passare dentro di sé non era abbastanza.
“Peter.” Lo chiamò l’uomo inginocchiato accanto a lui. “Ti chiami così? Raccontami della tua scuola, hai una ragazza?”
“Che cosa fa?” sibilò Rhody.
“Io – non… non lo…” Peter pensò a MJ. L’immagine del suo viso gli si parò davanti agli occhi e, per un breve momento, i problemi sembrarono sparire. MJ gli sorrideva, seduta lì sulla poltrona davanti a lui. Gli diceva che poteva farcela, di tenere duro.
“Come si chiama?” chiese l’uomo “Sono sicuro che sia una bella ragazza.”

“Michelle.” Peter espirò dal naso, questa volta senza fatica. “Non è la – noi non stiamo…” si sforzò di inspirare.
“Oh, vi state conoscendo, certo.” Annuì lui. “Parlami di lei, perché ti piace?”
Peter si sentì avvampare e, per un momento, gli mancò il respiro.
Perché gli piaceva MJ? Non aveva paura dell’autorità o delle etichette che i ragazzi popolari assegnavano a tutti gli altri, lì a scuola. Era carina, quando si legava i capelli e lasciava libero il viso.
Era anticonformista, le piaceva disegnare – una volta gli aveva fatto un ritratto, lo aveva appeso nella sua camera – e sapeva un sacco di cose.
“È… intelligente, bella, simpatica – non…”
“Anche Jane era bella e intelligente.” Commentò Thor. “Ma mi ha mollato. No, beh, è stato un mollamento reciproco. Ci siamo mollati insieme.”

Peter si lasciò scappare un sorriso, rendendosi conto di essere tornato a respirare in silenzio, senza boccheggiare, anche se il cuore gli batteva ancora forte.
“Grazie.” Sussurrò, abbassando la testa.
Le mani di Pepper strinsero la sua ancora una volta, prima di spostarsi sul suo viso e lasciargli una carezza.
“Cristo, ragazzino.” Borbottò Rhody. “Tra te e Tony, non so chi dei due mi farà morire d’infarto.”
Pepper si lasciò scivolare a terra, appoggiando la schiena alla poltrona su cui era Peter.

L’uomo al suo fianco sorrise lasciandosi andare in un sospiro di sollievo.
“Dovremmo fare degli esami, per sicurezza.” Disse. “Ma il paggio è passato.”
Peter si voltò di scatto a fissare la porta al di là del corridoio. “Non voglio andarmene.” disse. “Voglio stare qui – se si sveglia…”
“Banner ha detto che ci vorranno giorni.” Disse Thor, incrociando le braccia. “Io propongo di accamparci.”
“Accamparci?” gli fece eco Rhody. “Qui?”
“O in giardino. Questo posto è vuoto.” annuì il dio del tuono. “Aspettiamo tutti insieme e quando Stark si sveglia... bisboccia.” Batté le mani.

“Se posso interrompere…” disse l’infermiere che era rimasto accanto a Peter, alzandosi in piedi. “Per la sicurezza di Spider-man sarebbe meglio fare alcuni test. In sala operatoria ci sono i migliori medici del mondo… ci vorrà del tempo per terminare l’operazione.” Spiegò.
Pepper annuì. “Devo chiamare un po’ di persone. Happy è con Morgan, adesso.” Disse passandosi una mano sul viso. “Ma ci sono degli appartamenti in questo edificio, possiamo sistemarci lì tutti insieme. Anche zia May.” Aggiunse
Peter non sapeva chi fosse Morgan, ma spalancò gli occhi quando si rese conto che con tutto quello che era successo nelle ultime tre ore non aveva ancora chiamato zia May per dirle che era tornato.

“Devo chiamare zia May.” Sussurrò. “Sta bene?” chiese guardando Rhody.
Qualcosa nell’espressione del soldato si ruppe. Lo vide tentennare e, presto, la consapevolezza lo travolse.
“È sparita anche lei?”
Pepper abbassò gli occhi, ma annuì.
Peter si morse un labbro. Se né lui né May erano rimasti lì ed erano passati cinque anni…
“E la casa, tutte le nostre cose – le cose di zio Ben…” chiese.
“La casa… il governo ha rivenduto tutte le case dei blippati. Ma Tony è riuscito a prendere le vostre cose. Le abbiamo. Abbiamo tutto.” Assicurò Pepper. Si voltò a guardare la porta del laboratorio dove, probabilmente, Tony era nel bel mezzo di un’operazione.

“Staremo tutti insieme, finché non si sveglia.” Decretò. “Tutti insieme.”

 

Premetto che avevo pensato di scrivere una singola one shot. Ma... ehm... la cosa mi è sfuggita di mano e la storia si è allungata più del previsto. Ho preferito dividere il tutto in tre capitoli, per facilitarne la lettura. 

Questo è il mio what if grande come una casa, in cui Tony sopravvive magicamente allo schiocco grazie a Shuri, la dottoressa Cho e il dottor Banner. 

Non faccio spoiler sul contenuto, solo... grazie di essere arrivati fin qui e grazie se deciderete di continuare la lettura :) 
Ci tengo anche a ringraziare leila91 per aver recensito le precedenti due one shot.

Promesso. Dopo questa smetto di scrivere cose. E' tipo la terza storia che pubblico in un mese. Non ho mai scritto così tanto in così poco tempo, ma non è un bel periodo e immergermi nella scrittura e creare con questi personaggi mi aiuta a staccare per un po'. Ma questa è l'ultima, almeno per novembre (che finisce tra due giorni), promesso. 
Per dicembre... potrei ipoteticamente avere pronta una raccolta natalizia che inizierò (sempre ipoteticamente) a pubblicare dalla prossima settimana U.U

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Di ritorni e attacchi di panico pt.2
 
Peter tamburellò le dita sulla propria gamba, portandosi il telefono all’orecchio.
Passò una mano sulla maglietta del pigiama che Pepper gli aveva dato, una delle tante cose della sua taglia che Tony aveva fatto in modo di piazzare in ogni casa o struttura di sua proprietà, in caso fosse riuscito a riportarlo indietro. Aveva appena finito i controlli – grazie al suo sistema di guarigione velocizzato era come se non gli fosse successo niente – e si era addirittura riuscito a fare una doccia nel bagno della saletta d’attesa così, finalmente, aveva avuto il permesso dei medici di chiamare zia May.
 
“Pronto?” sentì la voce di sua zia rispondere dopo il terzo squillo.
“May…” la chiamò, con voce tremante.
“Oddio, Peter! Dove sei? Cosa è successo… no, stai bene? Dimmi che stai bene.”
Peter si appoggiò al muro con la schiena, guardandosi intorno. La sala d’attesa sarebbe stata vuota, se non fosse stato per Pepper, Thor e Rhody che, gentilmente, gli aveva prestato il cellulare.
“Sto bene. Sto bene.” Ripeté, anche per se stesso. “Sono in ospedale, Tony…” gli mancò la voce. “Tony non sta bene.” Disse dopo qualche secondo, titubante.
Lanciò un’occhiata a Pepper, notando come lo stesse tenendo d’occhio con un’espressione preoccupata sul viso.
“Peter, cos’è successo? In casa è un casino, ci vivono altre persone, le nostre cose… oddio.” La voce di May tremava e probabilmente stava anche piangendo, Peter ormai sapeva riconoscere lo stato d’animo della donna dalla voce.
“Puoi… dove sei? Puoi venire qui?” chiese Peter con tono implorante. “Ti spiego tutto quanto.” Promise.
“Io… sì – dove sei, esattamente?”
“Ospedale Stark, vicino al complesso… posso chiamare un taxi…” balbettò Peter, rendendosi conto della strada che li separava. Cinque anni. Anche la macchina di May probabilmente era stata portata via.
“Dove abiti, ragazzo-ragno?” chiese Thor appoggiando la lattina di birra vuota ai suoi piedi ed alzandosi dal divano su cui si era disteso spazzolandosi la barba per far cadere le briciole di patatine che ci erano rimaste impigliate.
“Come?” chiese Peter con un filo di voce.
“Peter, che cosa c’è?” chiese May dall’altro capo del telefono.
Peter fissò con occhi sgranati il dio del tuono sfilargli il telefono dalle mani. “Pronto, sono Thor, il dio del tuono.” Fece schioccare la lingua sul palato e dondolò su se stesso piegando le ginocchia. “Mi dica dove venire e sarò da lei in un lampo, capita? In un lampo perché sono il dio dei lampi.”
Peter spalancò gli occhi, interdetto, quando Thor chiuse la chiamata e gli lanciò il telefono. “Vado e torno.” Confermò aprendo la mano e sorridendo quando l’ascia divina gli atterrò tra le dita.
Sorrise, sorpassando Rhody e Pepper e si lanciò fuori dalla finestra.
“Lui…” Rhody indicò la finestra.
Pepper annuì. “Lo abbiamo visto tutti.”
Peter riconsegnò il telefono a Rhody, arricciando le labbra. Uno degli svantaggi di essere scomparso solamente con il proprio costume addosso? Non aveva la più pallida idea di dove avesse lasciato il proprio zaino.
Per fortuna May aveva, evidentemente, il cellulare in tasca quando era sparita.
 
Pepper scosse la testa, digitando qualcosa sul cellulare, per poi battere le mani. “Happy e Morgan arriveranno tra un paio d’ore con la cena. Cheeseburger e patatine in abbondanza.” Li informò, spegnendo lo schermo del proprio telefono e appoggiandolo sul tavolino al centro della sala.

Di nuovo, Peter sentì quel nome sconosciuto, chiedendosi a chi potesse appartenere.
“Steve e gli altri ci raggiungeranno tra poco. Si sono occupati dei feriti e hanno evacuato la zona intorno al complesso.” Aggiunse. Poi si voltò verso Peter.
“Caro…” Peter la vide tentennare. Durante le poche volte che l’aveva vista, Pepper gli era sembrata una donna sicura di sé e senza peli sulla lingua. Si chiese cosa ci fosse di così importante da spaventare Pepper Potts.
“Sono passati cinque anni da quando…” si bloccò.
“Da quando siamo scomparsi.” Completò Peter. “Mi sembra ancora pazzesco.”
Pepper si morse le labbra. “Tony e io siamo stati fortunati. Molte coppie sono state divise. Noi… Tony era distrutto, dopo la tua perdita e – voleva sfruttare e godersi quello che gli era rimasto.”
Peter la guardò, gli occhi curiosi, in attesa che continuasse. “Ci siamo sposati, alla fine.” Pepper si leccò le labbra, cercando le parole giuste. “E… abbiamo avuto una… – Morgan – ora c’è anche Morgan. Ha cinque anni.” Disse, tremolante.

Peter batté le palpebre. Tony… aveva avuto una figlia. Una figlia. Una bambina. Una piccola Tony Stark. Lui era stato via pochi secondi, solo pochi secondi. E Tony aveva una bambina di cinque anni.
“Lei ti conosce, Peter. Le abbiamo raccontato di te, di Spider-man.” Continuò Pepper, cercando di colmare il silenzio con le proprie parole.
“È…” Peter sentiva la gola secca. “È… wow – insomma… wow.” Si ritrovò senza parole. Cosa si doveva dire, in quei casi? Felicitazioni? Per quello era in ritardo di cinque anni.
“Peter, tu sei suo figlio come lo è Mor…” tentò di dire Pepper, ma la sua voce venne sovrastata da un tuono.

“Sono di ritorno con una bella donna!” si annunciò Thor, entrando in volo dalla finestra che aveva lasciato aperta. “Che ci siamo persi?”
“May!” gridò Peter scattando verso la donna appena il dio le fece poggiare i piedi a terra. Peter strinse la zia tra le braccia, godendosi quell’abbraccio materno. May profumava ancora di casa, per un momento a Peter sembrò di essere ancora nel loro piccolo appartamento, con la cena da buttare e l’opzione di mangiare al tailandese che aleggiava nell’aria.
“Oh, tesoro.” May lo strinse a sé, baciandogli poi la testa più e più volte.
“Ero a casa e poi mi sono dissolta, ma subito dopo ero di nuovo lì e c’era questa famiglia che credeva fossi un fantasma!” raccontò lei, sciogliendo l’abbraccio. “Cos’è successo?”
“Ho convinto quegli strani midgardiani che la bella signora non fosse un fantasma.” Assicurò Thor, sorridendo a May.
“E Thor – Thor!- è volato a prendermi. E mi ha portato qui in volo!” aggiunse May.
Peter annuì, ringraziando il re di Asgard e prendendo la mano della zia. Era solida. Zia May era lì con lui.
“Il telegiornale dice che avete combattuto contro questo Thanos di nuovo. E la famiglia a casa nostra sostiene di abitare lì da cinque anni. Cinque. Com’è possibile?”
May scosse la testa, con le lacrime agli occhi.
Peter boccheggiò, non sapendo bene come rispondere a quella domanda. D’altronde, lui stesso era tornato da poco, a quanto gli risultava, e doveva ancora riuscire solo minimamente a razionalizzare l’intera questione.

“May, ci siamo conosciuti… sono Rhody. Ti va di sederti?” chiese il colonnello Rhods indicandole una poltrona. “Magari vado giù in cucina e preparo una tisana.” Aggiunse. “Ne faccio una per tutti. Sì, Thor, ti prendo una birra.”
May annuì, lasciandosi portare verso il lato della stanza contornato da divanetti. Pepper si sedette vicino a lei, facendo segno a Peter di fare altrettanto. Lentamente, Pepper le raccontò del primo schiocco, quello con cui Thanos aveva eliminato metà della popolazione dell’intero universo. Le spiegò come lei e Tony avessero recuperato tutti i loro averi, ma che non erano riusciti a salvare la casa, che era stata venduta dal governo stesso ad un’altra famiglia.
Le assicurò che lei e Peter sarebbero stati i benvenuti per tutto il tempo necessario e che sicuramente li avrebbe aiutati a trovare una nuova casa ma che, in quel momento, era necessario che rimanessero tutti insieme, per quando Tony si sarebbe svegliato.
May era un’ascoltatrice attenta, fu sollevata nel sapere che i loro averi fossero al sicuro in uno degli attici mai utilizzati di Tony.

“Cinque anni.” Disse, dopo che lei e Pepper, con grande forza di volontà ma anche in modo tale da distrarsi per una mezz’ora, avevano diviso le stanze da letto tra coloro che sarebbero arrivati entro pochi minuti. “Non posso crederci. E avete una bambina!” sorrise a Pepper, cercando di non torturarsi gli occhi ormai rossi. “Vi avrei potuto dare alcune delle vecchie tutine di Peter…”
Peter si morse un labbro, stringendo al petto le proprie ginocchia. Quando le due donne si erano sedute a tavolino a fare un elenco dei posti letto necessari per i giorni seguenti, lui e Rhody avevano optato per una partita a carte sul pavimento, mentre Thor era rimasto immobile sul divano – all’inizio Peter credeva fosse morto ma, poi, il dio aveva cominciato a russare – con gli occhiali da sole poggiati sul naso.
“Così dovrebbe funzionare.” Pepper indicò l’unico foglio non accartocciato che era rimasto, cercando con lo sguardo l’approvazione di May, che annuì. “Almeno per stanotte.”

Peter l’lanciò un’occhiata veloce all’orologio appeso alla parete dietro di lui. “Le nove? Quanto tempo è passato?” guardò Rhody, scoprendolo intento a fissare la porta che dava al laboratorio della dottoressa Cho. “Non ci hanno ancora detto come sta andando.” Borbottò il soldato. “Se provassi…”
“No.” Lo bloccò Pepper. “Bruce ha detto niente distrazioni.” Si lasciò cadere sullo schienale della poltroncina su cui era seduta e chiuse gli occhi. “Dobbiamo aspettare qui.” May le mise una mano sulla spalla.
Peter tornò a fissare il proprio mazzo di carte, indeciso su quale scartare, ma le orecchie iniziarono a fischiare all’improvviso e la porta dell’ascensore si spalancò.

“Mamma!” Non riuscì nemmeno a metterla a fuoco, che una massa indistinta che non arrivava nemmeno alla cintura di Happy si lanciò alla velocità della luce fuori dall’ascensore e corse verso Pepper. Peter la seguì con gli occhi, riuscendo solo in un secondo momento a focalizzare la propria attenzione verso la bambina stretta tra le braccia della rossa.
Morgan indossava una felpa rossa con stampata sulla schiena l’immagine di Iron man e aveva i capelli scuri, proprio come quelli di Tony. Era così piccola, una piccola Tony Stark in formato bambina.
Morgan stringeva Pepper e si lasciava cullare dalle parole della madre e Peter non voleva farlo, ma il suo spider-udito era più sensibile rispetto alla norma e riuscì a sentire le domande riguardo al padre: Morgan non sapeva cosa fosse successo esattamente – come poteva? – ma aveva capito che il suo papà non stava molto bene e voleva vederlo. Peter cercò di nascondere un accenno di sorriso quando la piccola commentò che, se gli avessero dato la medicina quella cattiva, sarebbe potuto stare subito meglio.

“Peter.” Peter si voltò verso Happy, aprendo la bocca in un muto saluto. Ai piedi dell’uomo c’erano dei sacchetti di carta di non sapeva esattamente quale fast-food, ed Happy lo fissava con occhi sgranati.
“Oh mio Dio, Happy!” Peter lasciò le carte per terra e si alzò velocemente, scattando verso le sue braccia spalancate. “Mi sei mancato, ragazzino, non hai idea di quanto mi sia mancato.” Sussurrò Happy stringendo le braccia attorno all’esile corpo del più piccolo. Peter rise, felice che anche Happy stesse bene. “Credevo di essere un peso.” Scherzò.
Happy scosse la testa in modo deciso. “Mai. Cavolo, ragazzo, ancora non ci credo.” Lo guardò negli occhi, gli toccò le spalle, le braccia le mani. Voleva essere sicuro che Spider-man fosse realmente lì. Peter si morse un labbro, imbarazzato da tutte quelle attenzioni, notando solo in quel momento che le rughe attorno agli occhi di Happy si erano fatte più pesanti.
Happy sorrise, stringendogli le spalle ancora una volta, prima di lasciarlo andare e raggiungere zia May.

“Petey?” la flebile vocina di Morgan lo fece sussultare. Si girò, lentamente, trovandosi di fronte la piccola figlia di Tony, che lo guardava con occhi brillanti. “Mamma, è Petey?” chiese conferma alla donna, indicando il più grande con un ditino.
“Lui… sì, piccola.” Pepper guardò Peter, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte. Rhody, dietro Morgan, gli fece un sorriso incoraggiante.
Peter tentennò. Come si sarebbe dovuto comportare? Era la figlia di Tony. La figlia che Tony aveva avuto mentre lui era scomparso. Perché erano trascorsi cinque anni.
Mentre guardava la bambina, Peter si accorse di quanto somigliasse al padre: avevano gli stessi occhi, lo stesso sguardo, la stessa luce curiosa. La piccola sorrideva, stringendo i pugni come se avesse paura di lui ma fosse anche contemporaneamente felice di vederlo. Guardandola, Peter comprese: Morgan lo guardava come lui guardava Tony.
Pepper aveva detto che le avevano raccontato di lui, ma cosa sapeva, esattamente, per far sì che lo guardasse in quel modo?
Peter non sapeva cosa fare, in quel momento, con la bambina che lo guardava trepidante e gli adulti che non avevano nessuna intenzione di dargli qualche suggerimento e fissavano la scena con occhi sgranati e impazienti.
“Ciao, Morgan.” Provò, cercando di sorriderle.

Contro ogni sua aspettativa, la bambina squittì a quella conferma. “Uh, Morgan...” comincia Happy.
Ma la bambina non lo ascoltò, corse verso Peter, lanciandosi nelle sue braccia.
Peter emise un piccolo verso sorpreso, ma riuscì prontamente ad afferrarla e la strinse a sé, e lei affondò il viso nella sua spalla. La tenne stretta, quando lei gli cinse il collo con le braccia. Il cuore di Peter iniziò a battere all’impazzata. E adesso? La figlia di Tony – accidenti a lui – era tra le sue braccia, più reale e solida che mai, e sottolineava con la propria presenza il tempo che, per i sopravvissuti al blip, era veramente passato.
Guardò Pepper, che si è portata le mani sulla bocca e aveva gli occhi lucidi, cercando un’indicazione sul cosa dover dire o fare. Provò a chiedere con lo  sguardo anche a May, ma lei gesticolò senza senso con le mani.

“Papà ti ha riportato indietro.” dice Morgan, ovattata, e si aggrappò più forte a lui. Peter riassestò l’abbraccio, stringendole le spalle e accarezzandole la schiena. Morgan si sistemò tra le sue braccia e lo guardò con occhi curiosi.
“Ci ha salvati tutti.” Confermò Peter, sentendosi improvvisamente con la gola secca. Guardò i quattro adulti lì con loro – senza contare Thor, probabilmente in coma etilico, sempre che un dio possa averne uno – che li fissavano senza parole, in completo silenzio, scambiandosi occhiate tra di loro.
“Sei come nelle foto.” Aggiunse la bambina, muovendo gli occhi sul viso del più grande e scandagliando ogni dettaglio con occhi attenti. A sua volta Peter ne approfittò per studiare il viso di Morgan, ricercando e distinguendo i tratti di Pepper da quelli di Tony.
Aveva Morgan tra le braccia ed erano passati cinque anni. Perché Morgan aveva quasi cinque anni. Morgan aveva vissuto ed era cresciuta con Tony mentre lui non c’era, perché era morto. Ma ora era stato riportato indietro, cinque anni dopo. Un brivido gli percorse la schiena. Erano passati anni, ma lui era esattamente come prima, quando gli altri erano invecchiati e portavano sul viso i segni del tempo trascorso.
Quasi non si accorse della nuova presenza alla sua destra, e Hulk non era il tipo che facilmente passava inosservato. “Bruce.” Pepper scattò in piedi, così come tutti gli altri, compreso Thor, colpito da una gomitata di Rhody. Il gigante aveva un braccio bloccato sul petto da alcune bende e delle grosse cicatrici si espandevano lungo tutta la metà del suo corpo.
Peter spalancò gli occhi in muta comprensione. Era stato Bruce Banner a riportarlo indietro.

Anche Peter guardò Bruce, preoccupato per il mentore. Come stava Tony? Era vivo? Gli occhi del dottor Banner erano segnati da profonde occhiaie, le rughe più evidenti che mai.
“Papà sta bene?” Peter sussultò, quando la voce di Morgan arrivò tremolante ma vicino al suo orecchio, guardando il dottore spaventata.
Peter vide nell’espressione di Hulk qualcosa spezzarsi, ma annuì. “È vivo.” Disse, dopo qualche secondo.
Così come tutti, Peter lasciò andare un sospiro di sollievo. È vivo, ma… sembrava dire l’espressione di Bruce, che tentennava con gli occhi sulla bambina.
Peter guardò Pepper, poi Bruce, May e per ultima Morgan, che si era stretta a lui, impaurita. “Ok.” Disse a bassa voce. Incrociò gli occhi del dottor Banner e annuì, indicandogli con il mento l’angolo della saletta più lontano da lui e Morgan. Era suo compito doverla tenere impegnata, mentre gli adulti parlavano. Lui avrebbe potuto comunque ascoltare e, al momento, sapeva che la cosa migliore era creare una distrazione per Morgan.

“Ehi, piccolina.” Peter posò lo sguardo sui disegni alle pareti, accorgendosi della bambina che aveva tra le braccia che, impaziente, stava aspettando che lui dicesse qualcosa. “Li hai fatti tu, quelli?” chiese, tenendo Morgan con un braccio solo e sistemandola sul fianco, indicando gli schizzi colorati con il una mano e voltando le spalle al dottor Banner.
L’espressione di Morgan si accese di orgoglio. “Si! Ti faccio vedere.” Ridacchiò, contenta, dimenandosi finché Peter non la posò delicatamente a terra. Morgan gli prese una mano e lo tirò verso la parete di fondo, facendolo sobbalzare. Peter tremò quando la sua pelle venne a contatto con quella della bambina, che lo aveva stretto senza pensarci due volte in modo così naturale, senza paura, come se lo avesse fatto un altro milione di volte.
Non ci fu bisogno di girarsi, per accorgersi dei respiri riconoscenti degli altri, mentre si riunivano attorno a Bruce.
“Qui ci sei tu con papà.” Morgan indicò il primo disegno, che ritraeva Spider-man e Iron Man abbozzati ma perfettamente riconoscibili dai loro colori caratteristici, attorniati da piccole nuvolette bianche. “Volevo scrivere papà e fratellone, così si capisce meglio che siete voi, ma papà ha detto di no.” Borbottò. Peter boccheggiò, quando la piccola lo definì con la parola fratello, ma rimase in silenzio mentre seguiva, attento, le spiegazioni di Morgan, facendo ogni tanto qualche domanda sui personaggi o su qualche abbozzo indefinito.

Tony è vivo.” Sentì sussurrare Hulk. “Ma… non vi indorerò la pillola. Non sta bene. Tutta la parte destra del suo corpo è segnata, più della mia. Siamo sicuri che aver utilizzato l’armatura lo abbia salvato, però.”

“Petey, guarda, questi siamo io e te che catturiamo i criminali.” Morgan gli tirò il bordo della maglietta, per attirare la sua attenzione. Indicava un foglio con abbozzata un’armatura simile a quella di Iron Man colorata d’argento e viola, che si librava nel cielo accanto a quello che forse poteva essere l’Iron Spider. Sullo sfondo, due figurine erano state disegnate dietro una ragnatela.
Peter cercò di sorriderle. “Non sei un po’ piccola, per catturare i cattivi?”
Morgan abbassò lo sguardo, stringendo i pugni. “Lo dicono anche papà e mamma. Ma tu hai iniziato presto e anche io voglio farlo!” disse saltellando sul posto. “Saremo i fratelli cattura-cattivi.”
Peter deglutì, riflettendo che Pepper e Tony potevano non essere molto d’accordo riguardo ai piani della figlia, ma cercò di mantenere un’espressione serena. “E qui, invece, chi hai disegnato?” chiese indicando un altro foglio.

“… abbiamo pulito le ferite, fatto delle analisi…”

“Questo invece sei tu con il nuovo costume. Papà ha detto che potevo decidere io cosa metterci e che lui lo avrebbe fatto.” Morgan indicò un altro quadretto. “Volevo mettere ragnatele con il fuoco ma papà ha detto assolutamente no.” Ridacchiò.

Il braccio destro – era un moncherino, ormai. Ellen e Shuri sono d’accordo hanno – lo dobbiamo amputare.” Continuò Bruce, scuotendo la testa. “Volevamo avvertirvi.”

Peter sentì gli altri protestare, emettere gemiti preoccupati, chiedere spiegazioni, alzare le braccia con espressioni disperate. La sua testa scattò involontariamente verso il gruppo di adulti, emettendo un gemito. Il braccio… Tony Stark sarebbe stato senza un braccio. Il cuore di Peter cominciò a battere all’impazzata.

Devo tornare dentro, ora.” Sentì sussurrare Hulk con voce tremolante. "Dobbiamo iniziare l'operazione."

Morgan si voltò verso di loro, impaurita, cercando la mano di Peter. “Fratellone, papà starà bene?”  sicuramente la bambina aveva visto – forse addirittura sentito – gli adulti agitarsi.
Peter si sentì gelare il sangue. Chiuse gli occhi, cercando di far rallentare il proprio cuore, ma la stretta della bambina sulla propria mano era così reale che Peter si rese conto di non poter cedere ad un altro attacco di panico, avrebbe dovuto resistere per Morgan. Ora c’era lui, lì con lei. Peter si inginocchiò davanti alla bambina, sperando che non notasse il terrore nei suoi occhi. “Si, certo. Lui è Iron Man. È un supereroe, giusto?”
Morgan annuì, riportando lo sguardo verso i più grandi.
“Ehi, piccola, guardami. Papà starà bene, promesso.” Disse Peter, con voce tremolante.
Tony si sarebbe svegliato, avrebbe continuato a vivere per Morgan, per Pepper, per la sua famiglia. Peter non voleva perdere il proprio mentore, non sarebbe potuto succedere. Non poteva abbandonarli, non ora. Non ora che erano di nuovo tutti insieme.
“Promesso?” Morgan con gli occhi lucidi.
“Promesso.” Garantì Peter, giurando a se stesso che non avrebbe mai permesso a quella bambina di soffrire. L’avrebbe protetta per Tony. E Tony sarebbe tornato presto da loro.


Ciao a tutti, eccoci con il secondo capitolo di questa storia. Sarò breve: grazie per essere arrivati fin qui, questa storia mi sta molto a cuore, è il mio modo di immaginare un piccolo futuro per l'MCU insieme a Tony. Certo, la morte di Iron Man dei film è stata la degna chiusura di un capitolo iniziato proprio con lui, però a me è dispiaciuto. Quindi, visto che nelle fanfiction posso fare quello che voglio e che Bruce e Thanos, per quanto non fossero esseri umani, sono sopravvissuti allo schiocco, anche se danneggiati ... per me Tony non è morto. 
Ringrazio
The Big Dreamer 
ichigouzumaki per le precedenti recensioni, mi hanno fatto davvero piacere :). 
Presto pubblicherò anche uno spin-off natalizio che farò parte di questo nuovo universo con Tony sopravvissuto allo schiocco, un po' per approfondire il rapporto tra Peter e Morgan un po' perchè ho bisogno di Tony vivo e un po' il Natale è la mia festività preferita, spero darete un'occhiata anche a quello.
Alla prossima ;) 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Di ritorni ed attacchi di pantico pt.3


Peter aprì il rubinetto e si lasciò sfuggire dalle labbra un grugnito soddisfatto quando l’acqua bollente cominciò a scorrere sulla sua pelle. Chiuse gli occhi, sentendo i muscoli riscaldarsi e ammorbidirsi.
Era stata una giornata pesante, quella, così come i tre mesi precedenti.
Aveva trascorso la mattinata a studiare nella propria camera, cercando di recuperare le materie perse durante il primo semestre anche se la scuola aveva avvertito gli studenti che avrebbero ricominciato da zero l’anno successivo, per permettere ai blippati di reinserirsi all’interno della società con tutta la calma di cui potevano avere bisogno. Come se fosse quello, ciò di cui necessitavano.
 
Il resto della giornata, invece, era uscito a pattugliare le strade di New York.
 
Da quando il dottor Banner aveva riportato tutti indietro, era scoppiato il caos. Molte famiglie che avevano perso i propri cari durante il primo schiocco avevano fatto i conti con la realtà ed erano andati avanti, avevano creato nuovi rapporti, erano nati nuovi amori. Ma, per colpa degli Avengers, come dicevano alcuni titoli di giornale, quei nuovi rapporti erano stati nuovamente rovinati: mariti resuscitati volevano tornare alla vita che avevano lasciato solo per pochi secondi ma le mogli avevano trovato qualcun altro.
Peter, che era l’Avenger più a contatto con le persone comuni e quindi la scelta migliore per occuparsi di quei problemi, passava le giornate a cercare di limitare i danni. Molte persone erano state prese dalla disperazione, dal senso di solitudine e si erano date alla criminalità mentre altre, invece, avevano incanalato la frustrazione in pesanti litigate che erano sfociate in azioni fisiche. Peter, una volta, si era occupato di un incendio causato da un uomo che voleva distruggere la casa dove suo marito era stato con un altro.
 
Poi c’era stato il problema delle case: come la sua, gli appartamenti delle persone scomparse erano stati requisiti e assegnati o venduti a chi, a causa del sovrappopolamento che Thanos aveva cercato di risolvere, prima viveva per strada.
Ma, ora, molte persone avevano trovato le loro case, i loro beni, completamente volatilizzati. E la situazione si era ribaltata.
 
Peter non aprì gli occhi, ma allungò una mano dove sapeva di aver lasciato il flacone di shampoo e si versò del sapone sulla testa, iniziando a sfregare i capelli.
 
Un’altra difficolta era stata riscontrata al lavoro, a scuola, nelle banche. Chi era tornato non aveva più i soldi per vivere, dati in eredità a chi invece era rimasto. I posti di lavoro disponibili rimanevano pochi e non era possibile reinserire i blippati nelle aziende per cui lavoravano prima del blip perché molte avevano chiuso, erano state assimilate in altre, avevano cambiato richieste.
Non era nemmeno possibile richiedere prestiti poiché, nei cinque anni trascorsi, gli scomparsi non avevano lavorato e non erano in possesso di beni da utilizzare come cauzione o interesse.
Peter aveva visto Steve Rogers e il colonnello Rhods, modelli di moralità, rilasciare interviste e comunicati stampa per cercare di indurre il governo ad aiutare i blippati. Lo stesso avevano fatto Pepper e la fondazione Pym, aprendo raccolte di beneficenza per sostenere chi ne aveva bisogno.
 
Peter chiuse l’acqua e aprì la porta della doccia, venendo investito da un’ondata di aria gelida. Velocemente si mise l’accappatoio, sfregando il cappuccio sulla testa.
 
Tony non si svegliava da tre quasi mesi.
All’inizio, Bruce aveva detto che poteva volerci qualche settimana perché Tony aprisse gli occhi, ma ormai ne erano passate dieci.
La prima sera dopo la battaglia Peter l’aveva passata insieme agli Avengers, zia May, Happy, Pepper e Morgan. Steve Rogers li aveva raggiunti insieme a Sam Wilson e gli altri membri della squadra che non erano stati blippati, come Clint Barton o Scott Lang – certo, Scott non era proprio stato blippato, ma aveva comunque passato cinque anni nel regno quantico – che erano corsi a riabbracciare le proprie famiglie.
Peter non lo avrebbe mai creduto possibile, ma si era ritrovato a trascorrere la notte di veglia per Tony dividendo cheesburgers e patatine con gli eroi più potenti della terra seduto sul pavimento, in pigiama.
Nessuno aveva voluto raggiungere il letto, quella notte, tranne Morgan che ci era stata portata di peso da Pepper, e la mattina dopo Peter era sceso insieme a Rhody e May a preparare la colazione per tutti.
Era stato proprio mentre passava il bacon al signor Barnes che gli era venuta l’idea di creare un nuovo braccio per Tony.
Ora, lui e Shuri avevano finito di ultimare il braccio meccanico da un paio di settimane: Peter aveva utilizzato come modello quello del signor Barnes e, grazie alla conoscenza di Shuri, in meno di un mese era riuscito a creare il progetto.
Re Tchalla in persona gli aveva portato il vibranio necessario, dicendo di essere ben felice di contribuire al dono per Tony Stark. Con la competenza e i mezzi di Shuri avevano impiegato solamente un paio di settimane per fabbricarlo e, a lavoro ultimato, Peter aveva chiesto consiglio a Morgan su quali colori utilizzare.
La bambina era stata entusiasta di contribuire al nuovo braccio del suo papà ed aveva scelto senza indugio i colori classici di Iron Man.
In poco tempo, grazie al dottor Banner e alla dottoressa Cho, il braccio meccanico scintillava agganciato alla spalla destra di Tony.
 
Peter si guardò allo specchio. Lui non era cambiato, a differenza della metà delle persone in quell’edificio.
Scosse la testa.
 
Il secondo giorno dopo la battaglia era stato un via vai di persone, tra fotografi e giornalisti altamente selezionati. Pepper aveva indetto una conferenza stampa d’urgenza, per spiegare agli abitanti della terra cosa fosse successo.
Peter ammirava la forza della donna che, a seguito di un grande scontro che aveva relegato Tony in sala operatoria, aveva trovato la lucidità per riuscire a tenere testa a trenta giornalisti famelici.
Così, Peter aveva assistito da dietro la porta a specchio alla sicurezza con cui Steve aveva spiegato l’accaduto, insieme a Morgan, Happy e zia May. Captain America era stato conciso ma esauriente e, dopo il panico generale, i giornalisti si erano chiusi in un religioso silenzio ed avevano ascoltato attentamente le parole di Steve Rogers.
Peter si era ritrovato a sussurrare parole gentili a Morgan, stretta alla sua gamba, quando Bruce aggiunse che le condizioni di Tony erano critiche, ma che si sarebbe rimesso in un modo o nell’altro.
Aveva sorriso quando, nel momento in cui qualcuno aveva iniziato a fare domande inopportune sulla fine di Thanos, sull’eticità di ciò che gli Avengers avevano fatto e sulle potenzialità del potere delle gemme, Bucky aveva chiuso l’intervista dicendo: “Fareste meglio a togliervi dalle palle e ringraziare di essere vivi.”
Happy era scattato a coprire le orecchie di Morgan con le mani, ma lei si era scansata dicendo che quella parola faceva parte di quelle di proprietà della sua mamma e che il soldato d’inverno gliel’aveva appena rubata.   
 
Peter uscì dal bagno e si diresse verso l’armadio, indossando il pigiama e la felpa con il logo di Spider-man che aveva comperato insieme a Morgan, un pomeriggio in cui erano usciti con Happy per andare a prendere i ghiaccioli che piacciono tanto a papà. Peter aveva scoperto che esisteva anche un gelato che portava il suo nome.
Proprio mentre tornavano verso il Complesso Stark, era stato facile chiamare così il palazzo dopo che tutti gli Avengers ci si erano trasferiti prima di tornare nelle loro case, la bambina si era sporta verso una vetrina e aveva detto a Peter che doveva assolutamente prendere quella felpa perché era fatta apposta per lui.
 
Si sedette sul letto, guardando quella che era diventata la sua camera. Gli scaffali della libreria erano stati riempiti di tutto quello che Pepper e Tony erano riusciti a recuperare dal suo appartamento prima che il governo lo confiscasse. I modellini Lego che aveva costruito con Ned scintillavano nei ripiani più bassi, mentre libri e fotografie si alternavano in quelli più alti.
Portò lo sguardo sulle cornici che aveva messo vicino alla scrivania: una foto con May e Ben e uno dei tanti scatti che aveva fatto con il signor Stark alla fine dello stage. Appeso sul muro su cui poggiava il tavolo, invece, svettava uno dei tanti disegni di Spider-man che Morgan gli aveva portato.
Sussultò sentendo il telefono vibrare vicino ai pezzi ancora utilizzabili di un vecchio pc che aveva recuperato un paio di giorni prima dalla spazzatura. Quando era tornato nel complesso con il costume e il computer sottobraccio, Pepper gli aveva fatto presente che aveva a disposizione l’intero laboratorio di Tony, ma Peter era deciso ad utilizzare gli scarti: non era giusto buttare via tutto se qualcosa ancora funzionava.
Schiacciò medio e anulare sul palmo, attivando lo spara-ragnatele che da quando era tornato non riusciva a togliersi nemmeno per andare a dormire o entrare nella doccia, per poi stringere il telefono tra le mani.
Sorrise, accettando la videochiamata di Ned.
“Ehi.” Lo salutò quando mise a fuoco il viso del migliore amico.
“Zio, non ci crederai mai, ma ho finito la torre degli Avengers!” esclamò Ned muovendo il telefono per inquadrare un fedele modellino della Tower alto un metro e mezzo.
“Oddio!” Esclamò Peter, ammirando il risultato dell’amico.
Era stato meraviglioso, due mesi prima, rivedere Ned. Lo aveva addirittura raggiunto nel nuovo Complesso Stark insieme a MJ.
Con rammarico, Peter aveva scoperto che entrambi gli amici erano stati coinvolti nello schiocco ma, se ci pensava, era felice che non avessero vissuto cinque anni di solitudine. Sì, era un pensiero egoista, il suo, ma sapere che nessuno dei due fosse cambiato come, invece, era successo a quelli che ormai si consideravano membri della sua famiglia gli dava un senso di serenità: non era cambiato proprio tutto.
“Ringrazia la Signora Stark per avermi dato il modellino prima dell’uscita ufficiale.” Si premurò di dire Ned.
Peter si leccò le labbra, ripensando a come Pepper avesse accolto Ned e MJ con affetto, la prima volta che erano stati al nuovo Complesso.
Happy in persona era andato a prendere i suoi amici, una settimana dopo che il dottor Banner aveva dichiarato che il signor Stark non si sarebbe svegliato a breve ma, in fondo, aveva tenuto tra le mani il più grande potere dell’universo.
Finalmente, quando aveva riabbracciato gli amici, il grosso macigno che aveva abitato il suo stomaco per un’intera settimana era sparito. Certo, non aveva potuto dirgli tutta la verità – MJ non sapeva della sua identità segreta e non aveva nessuna intenzione di spaventare Ned, dicendogli che era morto su un altro pianeta – e si era visto costretto a raccontare Ned che era sparito a New York ma, perlomeno, era riuscito a passare un pomeriggio con gli amici in maniera quasi normale.
 
“Certo, ma ufficialmente è stata un’idea di Morgan.” Lo corresse Peter. “Non ho ancora capito come tu abbia fatto a farla appassionare ai lego a soli cinque anni.”
Peter sorrise, rivivendo il sorriso entusiasta della bambina quando, un paio di mesi prima, Ned aveva varcato la soglia del Complesso Stark trascinando lo scatolone dell’eli-velivolo dello SHEILD e le aveva chiesto di unirsi a loro nella costruzione del modellino.
“Semplicemente, i lego attraggono le persone intelligenti come noi.”
Peter rise, stendendosi sul materasso e cercando di non pesare sul fianco sinistro su cui, lo aveva visto già sotto la doccia, stava spuntando l’ennesimo ematoma della settimana.
“Tutto bene?” chiese Ned, notando la smorfia dell’amico.
“Sto bene.” Peter si lasciò sfuggire un gemito, inarcando la schiena per riuscire a sistemare il cuscino dietro la testa. “Entro un’ora sarà sparito.” Minimizzò.
Vide Ned tentennare e poi scuotere la testa. “Ok.” Disse dopo qualche secondo di silenzio. “Domani…”
Peter smise di ascoltare, quando i sensi di ragno si acuirono e i suoni intorno a lui divennero ovattati.
Sent’ una leggera pressione alla base del collo, chiuse gli occhi e ruotò la testa, cercando di capire a cosa fosse dovuta quella sensazione, ma in pochi secondi il Peter-prurito era già sparito.
Si guardò intorno, cercando una fonte di eventuali minacce, ma non aveva idea da dove potesse arrivare il problema. Del resto, si trovava in uno dei palazzi più sicuri del mondo, pieno di supereroi e sistemi di sicurezza all’avanguardia, difficilmente qualche malintenzionato avrebbe potuto superare anche solamente l’ingresso.
“Zio? Stai bene?” sentì la voce di Ned chiamarlo dal proprio cellulare.
“Io… si, tutto – va tutto bene. Ho solo bisogno di dormire, è stata una giornataccia.”
“Si, l’ho visto al telegiornale. È stato pazzesco, ma quel tipo era un vero rinoceronte?”

Peter strinse gli occhi e fece una smorfia, ripensando al super cattivo che aveva dovuto affrontare quel pomeriggio. Un uomo che parlava con un forte accento russo aveva cercato di incornarlo dopo aver distrutto la porta blindata di una piccola banca a Manhattan. Sì, incornarlo.
Certo, dopo l’ultimo anno un uomo mezzo-rinoceronte non era certo in grado di destabilizzarlo, aveva combattuto contro alieni, maghi e supersoldati – ci mancavano solo degli zombie – ma quel cattivo era stato una sorpresa inaspettata.
Peter lo aveva salutato facendogli gentilmente notare che quello non era il modo giusto per prelevare denaro e l’uomo gli aveva gridato contro non sapeva esattamente cosa in russo, aveva preso la rincorsa e per poco non era riuscito ad infilzarlo con il grosso corno che gli svettava sulla fronte.
“Io… non lo so. Quel coso gli usciva direttamente dalla testa.” Cercò di non ripensare alle innumerevoli volte in cui quell’essere grigiastro lo aveva lanciato contro muri e camion, mentre lui cercava di immobilizzarlo con le ragnatele per non fargli fare troppi danni alle strade della città.
Fortunatamente era riuscito a bloccarlo per farlo trasferire d’urgenza al RAFT.

“Forte!” esclamò Ned, sorridente, per poi rabbuiarsi. “Però mi dispiace che abbia distrutto un intero quartiere… stanno tutti bene vero?”
“Non…” L’immagine di Ned tremolò e sullo schermo comparve la notifica di una chiamata persa da zia May.
Peter si morse un labbro, rifiutando la chiamata. May probabilmente era in cucina con Pepper, Morgan Rhody ed Happy.
Sapeva di aver mancato la cena, ma a questo punto gli altri ci dovevano essere abituati.
Ogni giorno Spider-man aiutava i bisognosi, salvava le persone e sventava rapine. E, molto spesso, i delinquenti lo tenevano impegnato fino a tardi. Ormai Peter cenava con hot dog e churros e gelati che molto spesso qualcuno gli offriva per ringraziarlo, oppure passava dal signor Dunbar a fine serata per un buon panino.
“Non ci sono feriti, ma tutti i negozi e le case… Mi incolperanno anche di questo.”
Si passò una mano tra i capelli. “Quel James Jonah Jameson mi sta dando il tormento.”

“Già, non gli stai molto simpatico.” Annuì Ned, riferendosi al gran numero di podcast che l’uomo aveva pubblicato contro Spider-man, definendolo criminale, pericolo pubblico, impostore e utilizzando tanti altri brutti aggettivi che potevano riferirsi a tutto, tranne che al buon animo di Peter.
“Ho cercato di sistemare un po’ i muri, ma non credo che basti.” Si lamentò Peter ripensando alle ultime tre ore passate a spostare macerie, incollare con le ragnatele pezzi di muro e mattoni e a cercare di riparare i mobili ancora recuperabili.
“Vedi? Fai un sacco di cose per New York, quel Jameson non capisce proprio niente.” Ned venne coperto da una nuova chiamata in entrata, questa volta da Happy.
Peter rifiutò anche quella. Per una volta stava avendo una conversazione quasi normale con il suo migliore amico come non succedeva da tempo, aveva bisogno di godersi quel momento.
“Che c’è?” chiese Ned, vedendolo tentennare sullo schermo.
“Happy e May mi stavano chiamando, aspetta che gli mando un messaggio per dirgli che sto bene.”

Disse riducendo la videochiamata ad una piccola icona a bordo dello schermo e digitando velocemente un messaggio nella chat con May.

sono di sopra
doccia fatta e già mangiato
tutto bene

“Ti chiamano spesso se siete tutti in casa? Magari è importante… e noi ci vediamo domani – posso – metto giu?” balbettò Ned, guardando intensamente la telecamera. “Non è un problema.”
“No, no. Mi sono dimenticato di avvertirli.” Lo tranquillizzò Peter, mettendo le mani avanti.
Il cellulare vibrò di nuovo, e il viso di Ned venne oscurato da tre nuovi messaggi.

tony

Peter spalancò la bocca, cercando di mettere a fuoco quelle lettere, cercando di capire se se le fosse immaginate.

peter è tony

Per un momento il cuore smise di battere. Peter cercò di prendere un respiro, tremolante, e provò a razionalizzare le parole appena lette. Tony. C’era scritto Tony.
“Peter, sei un po’ pallido.”
Oddio. Cos’era successo? Sentì un nodo alla gola, mentre un macigno si poggiava, pesante, sul suo petto, dandogli la sensazione di non riuscire ad alzarlo e abbassarlo in modo abbastanza approfondito per riuscire a respirare.
Scosse la testa, mentre il battito cardiaco aumentava pericolosamente e senza motivo, mentre l’aria che entrava nei suoi polmoni sembrava non essere mai abbastanza.
“Peter, che succede?”

TONY E’ SVEGLIO

Peter spalancò gli occhi, mentre una scarica di adrenalina gli attraversava il corpo, scacciando quella sensazione di disagio che l’aveva pervaso pochi secondi prima.
“Ned.” Balbettò “Ned ti devo – ho bisogno… ti devo richiamare.”
“Cosa è succ…?” Peter non sentì il resto, perché mise giù la videochiamata e schizzò verso la porta.
 
Troppo tardi si rese conto di averla aperta forse con troppa forza, perché sentì alle proprie spalle i cardini staccarsi e la porta cadere, probabilmente sul pavimento del corridoio.
Veloce, percorse il corridoio, il soggiorno e la cucina del grande appartamento al quarantesimo piano in cui viveva con zia may e la famiglia Stark
Quando superò l’ascensore e arrivò alle scale non ci pensò nemmeno una volta prima di lanciarsi nel vuoto verso il dodicesimo piano.

Grazie ad una ragnatela attaccata alla ringhiera riuscì ad atterrare nell’ingresso della saletta d’attesa dove zia May lo stava aspettando, camminando avanti e indietro.
“Peter, oddio!” gridò quando il nipote le atterrò non proprio silenziosamente davanti. “Sono ore che ti chiamo!”
“Ore?”
“Si, ore! Cristo, Peter. Avevi spento il telefono? E Karen? Sono tre ore che cerchiamo di rintracciarti! Ne avevamo parlato, puoi andare in giro a fare il buon amichevole Spider-man di quartiere solo se tieni Karen e il tuo cellulare sempre accesi! E invece la tua lady-costume era offline!”
Peter boccheggiò. Effettivamente, quando lo strano tizio-rinoceronte lo aveva spiaccicato non tanto elegantemente su un palazzo, Karen aveva smesso di aiutarlo. Peter non ci aveva fatto molto caso, al momento, era parecchio impegnato a non diventare frittata di ragno, ma probabilmente avrebbe dovuto riparare la tuta.
“May – non è stata colpa… Dov’è il signor Stark?”
“Oh. Giusto. Sì.” Il viso della donna si distese leggermente e la sua espressione si addolcì.
“Si è svegliato. Chiede di te.” Disse, prendendo Peter per le spalle e spingendolo dolcemente verso la stanza del signor Stark.
“Di me?” Peter ebbe un brivido.
“Conosci altri Peter Parker?” Rispose la zia, bussando alla porta ed aprendola lentamente quando la voce di Pepper la invitò ad entrare.

La prima cosa che vide furono Happy e Rhody, seduti su delle poltrone addossate alla parete, alzarsi in piedi di scatto ed andargli incontro alzando e abbassando le braccia.
“Eccoti, finalmente!” Happy gli indicò il telefono, scuotendo la testa con disapprovazione “Non lo guardi il telefono? O quella Karen nel tuo costume?”
“Cristo, ragazzino, ti chiamiamo da ore! Dove diavolo sei sparito?”
“Petey!”
Ragazzo.”

Peter raggelò sul posto. Quella era la voce di Tony Stark. La voce di Tony Stark. Tony Stark lo aveva appena chiamato.
Gli sembrò di sentire silenzio, o forse era riuscito a focalizzarsi su una sola voce all’interno di quei rimproveri.
Guardò oltre i due uomini che stavano continuando a ripetergli quanto incosciente fosse stato ad aver silenziato Karen. Vide Morgan, seduta ai piedi del letto salutarlo felice mentre teneva sulle proprie gambe uno dei tanti album da disegni che aveva fatto in quei mesi, mentre Pepper gli sorrideva dall’altro lato del letto e gli faceva segno di avvicinarsi.
Poi lo vide. Tutt’un tratto il suo campo visivo si restrinse e tutto quello che c’era nella periferia dello sguardo si appannò.
Sentì le mani della zia dargli una leggera spintarella e la ringraziò mentalmente per quel gesto. Probabilmente, bloccato com’era, non sarebbe riuscito a fare nemmeno un passo da solo.
“Pete.”
 
Tony Stark aveva gli occhi aperti e lo guardava, incredulo ed emozionato al tempo stesso. Era coperto dalle lenzuola fino ai fianchi, ed indossava una di quelle vestaglie da ospedale, così da facilitare le cure e i movimenti ai medici.
E gli sorrideva. Tony aveva uno sguardo stanco, ma gli stava sorridendo.
“Signor Stark…” disse Peter con un filo di voce.
Si era immaginato quel momento un sacco di volte. Aveva preparato un discorso, lo aveva ripetuto a Ned, a Karen ed aveva provato le espressioni facciali allo specchio.
Ora, però, non riusciva a pensare a niente, se non che il signor Stark si era svegliato. Era lì, davanti a lui, che gli sorrideva.
“Cristo, Pete.” Peter vide Tony guardarlo dalla testa ai piedi con occhi attenti, preoccupati, increduli, quasi. L’ultima volta che si erano visti, prima dello schiocco, Tony Stark lo guardava terrorizzato, impotente, mentre lui si dissolveva nel vuoto.
Invece, in quel momento, il mentore aveva gli occhi lucidi, emozionati.
Peter non sapeva come comportarsi. Cosa avrebbe dovuto fare?
“Lei sta… sei…” Fece un paio di passi in avanti, sentendo il sollievo farsi largo nel suo petto.

Una sensazione calda, di benessere, cresceva dentro di lui man mano che posava gli occhi su ogni dettaglio visibile del signor Stark.
Certo, sembrava più vecchio di come l’aveva lasciato ma, in effetti, erano passati cinque lunghi anni dall’ultima volta in cui lo aveva visto e ci aveva parlato.
Era vivo. Per tutti quei mesi, Peter aveva vissuto nella speranza che, un giorno, il signor Stark si sarebbe svegliato. Ma una volta lo aveva sentito grazie ai propri sensi ragneschi, in un consulto tra Bruce e la dottoressa Cho, che c’era l’eventualità che Tony rimanesse addormentato per sempre.
Sentì le guance umide e si rese conto di aver iniziato a piangere in silenzio, mentre memorizzava ogni dettaglio del signor Stark. I capelli si erano ingrigiti, le rughe ai lati degli occhi erano più accentuate.
Certo, lo aveva visto durante quei tre mesi, aveva preso le misure per il braccio meccanico e ogni tanto aveva passato il pomeriggio con Morgan raccontando al signor Stark la loro giornata.
Ma, prima, l’uomo era addormentato.
Ora, invece, era lì, che tendeva verso di lui la mano sana, leggermente tremolante.
Il suo pianto diventò più forte e intenso, spezzettando del tutto le sue parole. “Oh, mio Dio – Signore… io non…”
Risucchiò un respiro tremante. “Mi dispiace, mi– mi dispiace, non voglio– fare così, è imbarazzante–”
“Vieni qui, ragazzo.” disse Tony, mentre una lacrima si fece largo anche sulla sua guancia. “Vieni qui, non piangere.”
Peter finì solo per piangere di più, con un’aria terribilmente abbattuta in volto mentre barcollando gli si avvicinava. Si puntellò sulla sponda del letto e quasi collassò quando Tony lo attirò a sé con il braccio sano, per poi nascondere il volto nella sua spalla. Si sciolse in dei singhiozzi completi e Tony lo strinse, con le lacrime che gli rigavano a sua volta le guance.

“Mi dispiace, Peter.” disse, cullandolo appena avanti e indietro. “Ti voglio bene, ragazzo. Non te l’ho mai detto e mi sono odiato ogni giorno per cinque anni per non averlo fatto. Tu sei… tu sei mio figlio.” Passò le dita tra i capelli di Peter, chiudendo gli occhi. “Poterti fare da mentore è stato un qualche dono del cielo, figurarsi… essere come un padre per te. Ho avuto la fortuna che May mi abbia permesso di far parte della tua vita e non– Pete, ti voglio bene, ragazzo, troppo per poter pensare a un mondo senza te. E quando mi sei sparito tra le mani… non riuscivo più a pensare. Ti voglio bene, Pete.” Tony aveva gli occhi chiusi, mentre lo stringeva a sé. La voce gli tremava, ma aveva parlato con un tono così sicuro che Peter tremò a sua volta.
Il signor Stark aveva appena detto di volergli bene. Non glielo aveva mai sentito dire, prima.
Non aveva mai sperato di sentire quelle parole uscire dalla bocca di Tony Stark, dirette proprio a lui. Certo, aveva sognato dei complimenti, ma quello… quello era troppo.
Tony non lo vedeva da cinque anni, rassegnato ad averlo perso.
E Peter si era quasi convinto che, dopo tutte le cure e la tecnologia utilizzata per salvarlo, Tony sarebbe rimasto addormentato per sempre, vivo solamente grazie alle macchine.
Ma, adesso, la prima cosa che il signor Stark voleva che sapesse era che gli voleva bene.
“Dio, mi dispiace.” pianse Peter, stringendolo più forte. “Ti voglio bene anch’io. Mi dispiace di essere salito sulla nave, mi dispiace di averle disubbidito, mi dispiace di averle – averti detto mi dispiace prima di morire.”

Tony sussultò, scuotendo la testa. “Nemmeno per idea. Non voglio mai più sentire quella parola in una frase con te. O con Maguna. O con Pepper. O con tutti. Morire è vietato. Ci siamo capiti? Vietato. Vi farò firmare un contratto, a riguardo. Friday ci sta già lavorando.”
“Oh, mio Dio.” guaì Peter, percependo la sua super-forza e cercando di stringere meno le spalle del mentore.
Tony lo allontanò un po’ da sé, per poterlo guardare negli occhi. “Dio, non ci credo che sei qui.” Portò la mano sana sui suoi capelli, scompigliandoli in modo affettuoso.
Peter scosse la testa cercando di mascherare il suo imbarazzo e si inclinò di nuovo in avanti, abbracciandolo di nuovo.
Sì, è vero. Dopo lo schiocco di Hulk Peter è Tony si erano incrociati una volta, durante la battaglia. Ma era stato un attimo, un abbraccio fugace. Magari non si erano nemmeno visti, prima che Tony usasse le gemme, e Peter quell’incontro era solo frutto della sua immaginazione.
 
A Tony tornò in mente quando tutto questo lo spaventava. Quando cercava di mettere quanta più distanza tra lui e il ragazzo, perché non poteva affezionarsi. Poi ricordò il silenzio. Il vuoto. La voce di Peter nei video, nella sua segreteria telefonica, congelata nel tempo. Perché più di quello non poteva avere.
Ora Peter era lì, in carne e ossa, tra le sue braccia. Dopo cinque anni.
 
“Facciamo un abbraccio di gruppo?” mugugnò Peter con voce flebile sul petto di Tony.
“Io ne avrei bisogno.” Annuì Tony.
Non rispose nessuno, ma Peter sentì le mani di Morgan circondargli le spalle, mentre rideva, felice, e vide Pepper abbracciarli dall’altro lato del letto, mentre dopo qualche secondo venne circondato dalle braccia di Rhody, Happy e zia May.
“Mi siete mancati.” Sospirò Tony, sotto tutti quegli abbracci “Tutti quanti.”
“Anche tu, papà.” Rispose Morgan per tutti, mentre gli altri annuivano, soddisfatti ed emozionati.
Peter, sotto due o tre persone, non sapeva stabilirne il numero con certezza, fu distratto dal senso di ragno, pochi secondi prima di sentire la porta aprirsi.
“Oh, ehm… noi – volevamo…” Sentì la voce imbarazzata del dottor Banner tentennare.
“Possiamo unirci a voi?” lo interruppe il signor Barton, ridacchiando.
“Sembra piacevole.” Asserì Thor.
“Ce n’è per tutti.” Confermò Tony ridendo, mentre Peter sentiva il suo petto alzarsi e abbassarsi in modo irregolare, venendo sbatacchiato su e giù.
“Che bello sentire la tua voce, Tony.” Disse Steve Rogers con un filo di voce, facendo un paio di passi tremolanti aiutato dal proprio bastone.
 
Quando Peter si staccò dall’abbraccio, con i capelli scompigliati a causa di tutte le persone che si erano strette su di lui, non riuscì a non sorridere.
La piccola stanza dove Tony era stato ricoverato era piena di super eroi radiosi.
Certo, in quegli ultimi mesi Peter aveva passato molto tempo con loro, era un Avenger a tutti gli effetti – promozione sul campo – e quindi aveva imparato a non dare di matto ogni volta che Captain America o il re di Asgard lo chiamavano per nome – sapevano il suo nome! – per chiedergli un’opinione sulle faccende da super eroi.
Nell’ultimo periodo, però, molti di loro erano tornati a casa o si erano trasferiti al di fuori del nuovo Complesso. Re Tchalla era tornato in Wakanda insieme a Shuri, anche se lei e Peter erano rimasti in contatto grazie alla tecnologia wakandiana – o al semplice whatsapp – per un saluto o qualche consiglio sui loro progetti. Thor faceva aventi e indietro da Nuova Asgard insieme ai Guardiani della Galassia; il signor Clint aveva raggiunto la famiglia nella sua fattoria fuori città. Addirittura, il signor Barnes e Sam Wilson erano riusciti a trovare un appartamento da dividere con Captain America.
Ogni tanto, quando uno di loro era di passaggio per New York o il Complesso Stark era facile fare serata cheeseburger tutti insieme. Ma ora, ora Tony era lì, in mezzo a loro.
 
Peter notò con la coda dell’occhio il proprio mentore spalancare gli occhi, incredulo, in una muta domanda. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre Peter si sistemava meglio sul bordo del materasso, cercando di mettere in fila un paio di parole che avessero un minimo senso logico.
“Cap – tu… Oddio – ma che diavolo? –“ balbettò Iron Man, guardando il vecchio uomo di fronte a lui.
Peter si morse le labbra, mentre il capitano ridacchiava.
A pensarci bene, tutti loro erano rimasti sorpresi quando, dopo aver riportato le gemme nel passato, Steve era tornato invecchiato di almeno quarant’anni e con una fede al dito.
“Ho solo… seguito il consiglio di un amico.” Rispose. “Volevo provare questo tipo di vita.” Disse indicando Pepper e Morgan con un cenno del capo.
“Rogers, è – ora se dico che sei un fossile… sei davvero Capitan Vecchiaia.” Balbettò Tony scuotendo la testa per assicurarsi di vedere davvero quello che aveva davanti come si presentava.
“Bentornato, Tony.” Steve sorrise, facendo qualche passo indietro ed appoggiandosi ad una delle poltrone.
 
Peter rimase lì, vicino al signor Stark, per tutto il tempo che Clint, Steve, Thor e Bruce passarono a chiacchierare con lui.
Scivolò oltre il letto, raggiungendo Morgan dall’altro lato, per farsi mostrare i nuovi disegni.
Guardava zia May, intenta a chiacchierare con Happy, poi Morgan, che gli sorrideva alternando lo sguardo tra lui e il suo papà, e non riusciva a non pensare quanto avesse desiderato quel momento.
Tony era lì, che ogni tanto faceva una battuta pungente sul fatto che Steve si fosse sposato e sulla vita matrimoniale, mentre teneva la mano di Pepper stretta nella sua.
Fu, proprio durante una conversazione con Thor riguardo al regime alimentare che il dio avrebbe potuto seguire, che si grattò il naso con la mano destra.
Peter sentì il sangue raggelarsi nelle vene, quando Tony fece una smorfia e guardò il braccio meccanico.
Sapeva che Tony aveva visto il braccio, era impossibile non accorgersene. E sapeva anche che, probabilmente, aveva già fatto i controlli necessari con Bruce e gli infermieri rimasti al Complesso nelle tre ore in cui lui non aveva risposto alle telefonate. Presumibilmente gli avevano già spiegato cosa fosse successo e come avevano potuto salvargli la vita.
“Visto? Risponde bene agli stimoli.” Disse il dottor Banner, forse rivolto proprio a lui.

Il braccio meccanico era stata una sua idea. Era il suo primo grande progetto. Aveva lavorato giorno e notte per renderlo il migliore possibile.
E se avesse fatto qualcosa di sbagliato? E se non gli fosse piaciuto?
Strinse forse con troppa forza la sponda del letto, perché la sentì incrinarsi sotto le sue dita.
Guardò Tony, terrorizzato, mentre fissava con attenzione il braccio rosso e oro.
Non gli piaceva. Probabilmente era stata una pessima idea.
“Pete.” lo chiamò.
Peter tremò, respirando rumorosamente con la bocca.
Sentiva il silenzio in cui era calata la stanza. Tutti lo stavano guardando, alternando lo sguardo da lui al braccio di Tony. Di sicuro, anche gli altri non sapevano esattamente che reazione aspettarsi dall’uomo di ferro.
“Non ti ho ancora detto grazie per questo.” Disse Tony, alzando la mano meccanica.
“Cosa?” soffiò piano dalle labbra. “Oh, oddio – io – lo sistemo… aspettate…” balbettò rendendosi conto di aver piegato i bordi del letto, mentre stringeva dalla parte opposta l’acciaio e cercando di far tornare la lastra alla fine del materasso diritta, ma ottenendo solamente una S malconcia. “Mi dispiace – accidenti.”

“Caro, non importa, davvero. Lo cambiamo.” Cercò di tranquillizzarlo Pepper, coprendogli le mani con le proprie.
“È tipo la terza cosa che rompo in un mese – quarta, c’è la porta di sopra.” Peter fece una smorfia.
Non riusciva a capire perché ma, da quando era tornato, ogni tanto la tensione gli faceva perdere il controllo sulla propria super-forza – o sulla sua testa, come quando aveva avuto un attacco di panico quando MJ gli aveva chiesto di andare a prendere un gelato insieme – e combinava qualche guaio.  
“Bimbo-Ragno.”
Peter alzò lo sguardo di scatto, notando solo in quel momento l’espressione preoccupata sul volto di Tony.
“Ragazzo, sei fenomenale.” Disse, alzando entrambe le mani. “Ho visto i progetti, mentre il dottor Furia Verde mi faceva da infermiera assillante. È un gioiellino, dico davvero. Non avrei potuto fare di meglio.”
Garantì, cercando di sorridergli.
Peter sentì gli occhi farsi lucidi. “Davvero?”
“Davvero.” Annuì Tony. “Sono fiero di te.” Aggiunse, guardandosi le mani.
“Di voi.” Si corresse facendo cenno a Morgan di strisciare verso di lui. “Mi è stato detto che avete fatto un lavoro di squadra.”

La bambina annuì. “Io ho scelto come colorarlo.” Disse, entusiasta. “Petey ha detto che così avresti avuto un poco di noi sempre con te.”
Peter sbarrò gli occhi, scattando verso Morgan e muovendo le braccia come a fare tante X consecutive.
“Non è vero – ho…”
“Grazie.” Lo fermò Tony utilizzando il braccio di metallo per farlo tornare al suo fianco. “Grazie, ragazzi.” Disse cingendo i suoi figli con le braccia, mentre Peter continuava a balbettare parole contro Morgan e il fatto che le bambine della sua età si immaginano un sacco di cose che non sono mai successe.
“Che dite.” Peter sobbalzò, sentendo la voce di May sovrastare la sua. “Cheeseburger e patatine?”
“Mi hai letto nel pensiero.” Rispose Pepper schioccando le dita.
“Sono le dieci di sera e abbiamo tutti già cenato.” Fece notare Bruce.
“Parla per te, io ho mangiato quella gelatina stantia. Voglio del cibo vero.” Rispose Tony. “E mi dovete aggiornare su moltissime cose. Ci vorrà tutta la notte. Non voglio smettere di sentirvi parlare. Oppure parlerò io. Non lo so ancora.”
“Per noi va bene.” Asserì Rhody.
“In mezz’ora saremo qui con cibo discutibilmente sano.” Garantì May, mentre Happy chiedeva se volessero qualcos’altro.
“I ghiaccioli!”
 

 
 
 
 
Premessa: non sono per niente soddisfatta di come si è chiusa questa storia. Ci sono troppe questioni lasciate in sospeso e la cosa mi dà molto fastidio. Certo, questo è un what if e quindi era certo che qualcosa cambiasse in modo diverso rispetto al finale canon di Endgame, ma mi sento in dovere di ampliare i discorsi e gli avvenimenti di cui ho solo accennato.
MJ non sa che Peter è il nostro amichevole Spieder-man di quartiere, faccenda che mi piacerebbe ampliare. Tony Stark avrà una lunga ripresa (fisioterapia, ginnastica, magari una seduta con Sam, non si sa mai che possa servire anche a Peter) e Peter dovrà ricominciare la scuola, magari trovare un nuovo appartamento con May, iniziare ad orientarsi riguardo l’università… oltre al fatto di poter – finalmente – potersi definire un avenger e lavorare insieme agli eroi più potenti della terra.  
Diciamo, quindi, che ho una mezza idea di continuare questa storia.
Non so ancora come, se con una nuova fanfiction, se con una raccolta, se con dei missing moments… non lo so proprio vedremo.
Spero di riuscire a creare una serie che unisca questa storia e di quella natalizia (continua a bloccarsi tutto quando premo invio, non capisco davvero perché) e, quindi, ad inserirci qualcos’altro.
Ecco... quindi, magari, ogni tanto date un occhio, potrebbe apparire qualcosa ;)
 
Detto ciò, ci tenevo a farvi notare i riferimenti a Jameson, Rhino (versione di questo universo dove c’è il Peter di Tom - l'ho inventato, siccome non lo abbiamo ancora visto) e a tutte le serie che sono uscite quest’anno.
Il 2021 è stato un annaccio, ma non per il nostro MCU.
Ringrazio, come al solito, leila91, Ma_AiLing e ichigouzumaki per le recensioni
Grazie per essere arrivati fino alla fine, alla prossima 😊

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