God Rest Ye Merry Hippogriffs

di ferao
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O come, all ye faithful ***
Capitolo 2: *** Deck the halls ***
Capitolo 3: *** What's this? ***
Capitolo 4: *** All I want for Christmas ***
Capitolo 5: *** This little light of mine ***
Capitolo 6: *** In the bleak midwinter ***
Capitolo 7: *** Silent night ***



Capitolo 1
*** O come, all ye faithful ***


 

Questa raccolta di oneshot/flash nasce per il Calendario dell'Avvento indetto da Kodama_. Dal 1 al 24 dicembre, per ogni giorno (o almeno, per quelli in cui riesco a produrre qualcosa) pubblicherò una storia creata in base al prompt del giorno stesso. Se volete unirvi alla challenge venite, il forum è un posto bellissimo *_*
Si comincia, giustamente, con una storia... di fantasmi. Buona lettura!


 

God Rest Ye Merry Hippogriffs

1 Dicembre: O come, all ye faithful




 

«E se non tornasse?»

«Tornerà. Vedrai che tornerà.»

«Ma se non tornasse?»

James sospira. «Tornerà,» ripete. 

Non sa cos’altro dire, ormai: ha già provato risposte diverse, diversi toni di voce, ha provato con la supplica e la rabbia e le lusinghe ma niente, niente, niente. Da Natale tutte le notti Lily esprime quel dubbio, e tutte le notti lui non può far altro che risponderle che tornerà. Anche se non succede.

Non succede più.

Osserva sua moglie, appoggiata con la fronte alla superficie trasparente, le dita che artigliano invano quella porta che non si aprirà mai. Moglie. Forse non dovrebbe chiamarla così: non sono più loro, non lo sono mai stati. Sono solo oggetti, visioni evocate in uno specchio magico dall’amore di un’altra persona, frammenti della sua anima — non anime a loro volta. Desideri, disperati e irrealizzabili desideri.

Quelli come loro non dovrebbero provare desiderio a loro volta. È sbagliato, è… innaturale. Cosa può desiderare un desiderio? Eppure eccoli lì, tanto vicini al sogno di tutti i loro sogni, tanto lontani da non poterlo raggiungere. Desiderio e dolore e mai il minimo sollievo.

Un singhiozzo di Lily lo riscuote e gli straccia il cuore, come tutte le notti. «Non posso… non posso non rivederlo, James. Non posso. Se non tornasse…»

Piange, come tutte le notti. E come tutte le notti James può solo ignorare la voragine dentro di sé e avvicinarsi a lei, abbracciarla e fissare a sua volta fuori dallo Specchio delle Emarb.

«Harry tornerà,» ripete, desiderando con tutto se stesso di poterci credere.

 

 







Note:

...beh, nessuno ha vietato l'angst in questa challenge. E la storia è relativamente natalizia, visto che Harry scopre lo specchio delle Emarb a Natale. :D
Il prompt era: "Dall'altra parte dello specchio"
A domani con la prossima oneshot!

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Capitolo 2
*** Deck the halls ***


God Rest Ye Merry Hippogriffs

2 Dicembre: Deck the halls




 

«Puoi ripetere, scusa?» chiede Harry, certo di non aver capito bene.

Dinanzi a lui, nel bel mezzo della sua cameretta, Hugo si fissa i piedi e dondola sui talloni. Somiglia sempre di più a Hermione ogni giorno che passa, con quei capelli cespugliosi e il viso che sembra riprodotto con un Geminio da quello della madre, eppure Harry non ricorda di aver mai visto quell’espressione insicura nello sguardo della sua migliore amica.

«Ecco…» La voce di Hugo è un bisbiglio, e gli ci vuole un sonoro schiarirsi di gola prima di poter alzare il volume. «Volevo sapere… uhm… la prima volta che hai baciato una ragazza, come hai fatto?» 

Ah. Allora aveva capito bene. Si prende qualche istante per osservare il suo secondo figlioccio, cercando invano di capire dove vada a parare quel discorso.

«Perché questa domanda?» 

Il ragazzino scrolla le spalle e continua a cercare il senso della vita sul pavimento. «Credo… uhm… credo mi serva un consiglio.»

E lo chiedi a me? è il pensiero che sorge spontaneo nella mente di Harry, ma si guarda bene dall’esprimerlo a voce alta. Invece, sospira.

«Vieni a sederti, Hughie.»   

Attende che Hugo si sieda accanto a lui sul letto. «C’è una ragazza che ti piace?»

«Uhm…»

«Va tutto bene. Hai quindici anni, è comprensibile.»

Silenzio. «Hai provato a parlarne con tuo padre?» chiede allora, pur immaginando la risposta: se Ron a quell’età era estremamente a disagio con qualunque discorso riguardasse i sentimenti, suo figlio è ancora peggio. Sembra quasi che Rose alla nascita abbia assorbito tutta l’intraprendenza e la sicurezza di sé a disposizione, senza lasciarne nemmeno un briciolo al fratello.

«N-no. C-cioè… sì, ho chiesto a papà.»

«Oh. E… non ti ha risposto?»

«No. Cioè, sì. Però…» Agita una mano. «Il fatto è… okay, sì, i miei si sono baciati durante la battaglia di Hogwarts, ed è tutto super romantico, ma… ma io non ho mica una battaglia a disposizione, no? E quindi papà ha detto di chiedere a te. Perché dice che quando tu hai baciato una ragazza la prima volta è stato, tipo, normale, e io vorrei sapere come si fa.»

Il tutto viene espresso sotto forma di velocissimo balbettio, come se avesse paura di dimenticarsi le parole prima di averle pronunciate. Harry rimane in silenzio per qualche secondo, giusto per assicurarsi che il ragazzo abbia finito, dopodiché si concede di insultare Ronald Bilius Weasley dentro di sé.

Quel codardo. Invece di parlare a Hugo di Lavanda Brown, o dirottarlo verso altri parenti ben più esperti in materia, ha pensato bene di passare la patata bollente a lui. Si appunta mentalmente di vendicarsi alla prima occasione utile, poi prende fiato. 

«Capisco. Vuoi che ti racconti come è andata.» 

La chioma cespugliosa si agita in un cenno di assenso. «Ecco… beh, a essere sinceri non so se lo definirei normale.» Guarda Hugo, che ricambia con occhi enormi. «Vedi… beh, la mia prima ragazza non è stata zia Ginny. Era… in realtà siamo stati insieme così poco che non so nemmeno se conti. Ad ogni modo, la prima e unica volta che ci siamo baciati è stato sotto il vischio.»

«Il… vischio?»

«Sì, è stato prima delle vacanze natalizie, al mio quinto anno di scuola. Sai, quell’anno io e i tuoi genitori avevamo organizzato…»     

«L’Esercito di Silente,» completa Hugo in modo meccanico. Harry si morde la lingua: dimentica sempre che lui e gli altri ragazzi hanno sentito quella storia miliardi di volte.

«Sì, ecco… per farla breve eravamo soli, nella Stanza delle Necessità, e c’era del vischio sopra di noi. E così… è successo.» 

Il silenzio che cala subito dopo gli fa capire che quella non è la risposta sperata. D’altronde, che colpa ne ha lui? Non era preparato a quel discorso — né James né Al ne hanno avuto bisogno, ai loro tempi — e lui è davvero l’ultimo zio a cui Hugo dovrebbe rivolgersi per faccende di ragazze.

Sarebbe meglio Bill, o Charlie. O letteralmente chiunque. Magari non Percy, ma chiunque.

«Oh,» dice infine suo nipote, le sopracciglia corrugate. «Quindi… non era programmato, o qualcosa del genere?»

«Programmato?» Gli scappa un grugnito. «Macché. Onestamente non mi aspettavo nemmeno che sarebbe successo, è solo… successo.» Ci pensa su. «Anche con zia Ginny, stessa cosa.» 

«Hai baciato zia Ginny sotto il vischio la prima volta?» 

«No, avevamo appena vinto la Coppa del Quidditch. Ma anche lì, nessun programma. È successo e basta.» 

«Oh.»

«Senti…» Harry si passa una mano tra i capelli, pensando in fretta a come uscire da quella situazione.  «Sinceramente, Hughie, non so bene come aiutarti. Non sono mai stato bravo in queste faccende, ma…» Inspira a fondo. «Ma posso dirti che… per esperienza so che a volte non è necessario programmare qualcosa affinché succeda. A volte basta aspettare che arrivi il momento giusto. Può essere il bel mezzo di una battaglia, o una festa di fine partita, o una semplice passeggiata… o trovarsi sotto al vischio per caso. Sta tutto nel saper cogliere l’occasione. E ne avrai, di occasioni, perciò tranquillo. Okay?» 

Hugo annuisce mentre assorbe quelle parole con tutta la concentrazione di cui è capace, e Harry non può impedirsi un moto di orgoglio per aver risolto quella situazione inaspettata. Forse non è così male come zio.

«Capito,» dice infine il ragazzo. «Cogliere le occasioni giuste. Però… posso anche crearle io delle occasioni, no? Se voglio davvero farlo succedere.» 

Preso alla sprovvista, Harry sbatte le palpebre. «Ehm…» 

«Tipo, se io invito una persona a Natale e riempio la casa di vischio, lui sarà costretto a baciarmi, giusto? Insomma, se è successo così per te dovrebbe succedere anche a me, no?» 

La soddisfazione di poco prima si sgonfia, si sfalda, si discioglie miseramente in una pozzanghera di incredulità. Possibile che di tutto il suo discorso Hugo abbia colto soltanto quello? Merlino.

Gli tocca ritirare tutto: fare lo zio è più difficile che fare il padre.

«Hughie…» Harry si passa una mano sul viso. Accidenti a te, Ron! «Come regola generale, e te lo dico sia da padrino sia da Auror, è sempre meglio non costringere nessuno a baciarti. Se vorranno lo faranno. Ma… sì, un po’ di vischio può aiutare, a Natale. Poco, non una casa piena, d’accordo? Non vogliamo che tua madre e tuo padre finiscano a baciarsi in ogni angolo.»

«Ugh, no!» esclama il ragazzo, scatenando in Harry una risata che dura finché una realizzazione non lo colpisce.

«Aspetta… hai detto “lui”?»

Hugo smette immediatamente di sorridere e torna al suo stato di adolescente troppo timido per questo mondo. «Mh-mh.» 

«E… ha un nome questo “lui” o…» 

«Fergus McLaggen.» Un feroce rossore marcato Weasley si fa strada sul viso da Granger. «Gli ho chiesto se vuole venire a trovarmi il pomeriggio di Natale e ha detto sì. Dice che il padre conosceva i miei a scuola, tipo, quindi boh, immagino che per loro non sarà un problema…» 

McLaggen? Oh. Ooooh. Oh, diamine. 

Oh, diamine.

A proposito di occasioni.

«Fergus, eh?» Si sposta sul letto per avvicinarsi a Hugo, quanto basta per dargli una gomitata amichevole. «È carino?» 

Il ragazzo ormai sembra sul punto di andare in autocombustione, nonostante ciò sorride a quel tono cospiratorio. «Sì. Parecchio.» 

«E ti piace davvero molto?»

«Mh-mh.»  

«Beh, allora ritiro tutto: dobbiamo riempire la casa di vischio, su tutte le pareti e in ogni angolo disponibile!»

«…davvero?»

«Certo! Hai creato l’occasione, adesso devi coglierla! Anzi, ti aiuterò io a decorare per bene, così i tuoi non avranno obiezioni. Che ne dici?»   

La risposta di Hugo è un sorriso abbagliante, che prontamente riporta l’orgoglio nel cuore di Harry. «Dici sul serio?»

«Serissimo.» 

Per sottolineare la propria serietà gli scompiglia i capelli, poi lo attira in un abbraccio. «Grazie, zio,» mormora il ragazzo attraverso la stretta. «Non vedo l’ora che venga Natale.»

«Anch’io, Hughie. Anch’io.»

Non vede l’ora. Perché a Natale suo nipote sarà felice, insieme al ragazzo che gli piace e che magari, con una spintarella, potrebbe diventare qualcosa di più; perché lui sarà lo zio che gli ha offerto aiuto e consiglio in quel frangente —  non Bill, non Charlie, proprio lui; e soprattutto, perché potrà vedere la faccia che farà Ron nello scoprire che il suo Hugo frequenta il figlio di Cormac McLaggen.

Ben ti sta, vecchio mio.

«Sì,» sospira. «Sarà un bellissimo Natale.»

 

 









Note: 

Sì, mi rendo conto che è molto stupida, ma per qualche ragione il prompt odierno mi ispirava "dialogo imbarazzante tra zio e nipote". E diciamolo, il fandom si occupa troppo poco di Hugo e del suo rapporto con Harry, perciò qualcuno doveva pur pensarci. Infine, dopo la mazzata di angst di ieri un po' di leggerezza era necessaria :D
(Se vi sembra un po' OOC, questo Harry così "vendicativo"... ricordatevi che per poco non è stato Smistato a Serpeverde :P)
Il prompt era: "
Dici che se riempio la casa di vischio sarà costrettə a baciarmi?"

A domani!

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Capitolo 3
*** What's this? ***


God Rest Ye Merry Hippogriffs

3 Dicembre: What's this?




 

«Potter.» Draco lo guarda, poi guarda l’oggetto tra le proprie mani, poi di nuovo lui. «Cos’è questa?»

Il sorriso di Potter — un sorriso Serpeverde, se Draco Malfoy ne ha mai visto uno — si allarga fino alle orecchie. «È una sciarpa, naturalmente. Da parte del tuo cuginetto.»

Nel dirlo appoggia la mano sulla testa del cuginetto in questione, il piccolo Teddy Lupin di anni quattro e mesi otto come ha cantilenato poco prima. «L’ha scelta lui personalmente,» prosegue Sfregiato. «Non ha avuto pace finché non ne ha trovata una del tuo colore preferito.»

Draco si sente sbiancare, poi avvampare. Quello sarebbe il suo colore preferito, secondo loro? Ma è oltraggioso! Come possono pensare una cosa del genere?! Prima che possa aprir bocca per controbattere a quella follia, sua madre si alza dal divanetto di chintz su cui siede con zia Andromeda e si avvicina per vedere bene. 

«È molto… gradevole.» Per Salazar, persino lei è sul punto di mettersi a ridere! «E come facevi a sapere che questo è il suo colore preferito, Teddy?»

Il piccolo rivolge a Narcissa un sorriso ancora più largo di quello di Potter e punta il dito alla chioma di Draco. «Perché ha i capelli gialli!»

«Teddy porta sempre i capelli azzurri perché è il suo colore preferito,» spiega allora Sfregiato, senza nemmeno provare a nascondere il ghigno. «E visto che i tuoi capelli sono… beh, gialli, ne ha dedotto che il tuo colore preferito debba essere il giallo. È un bambino molto intelligente, non trovi?»

Annichilito, Draco non risponde. Torna a guardare la sciarpa, poi Potter, poi la sciarpa. Una sciarpa di ottima qualità, nessun dubbio — la sua famiglia sarà diventata povera ma lui è ancora in grado di riconoscere la lana d’Angora, grazie tante — ma non c’è modo al mondo in cui si possa ignorare quel colore. Per le braghe luride di Merlino! Fosse  giallo scuro o, al limite, oro, allora potrebbe quasi apprezzarlo nonostante la somiglianza coi colori della Casa di Godric, e invece…

E invece, il caro Teddy è andato dritto sul giallo Tassorosso. Luminoso, vibrante e terribile sul suo incarnato pallido.

«Ti piace, vero?»

Draco guarda il bambino, poi la sciarpa, poi Potter, poi la sciarpa. Sa che tutti lo stanno osservando, in attesa di vedere quale sarà la sua reazione. Sciarpa, poi Teddy.

Suo cugino lo fissa di rimando con due occhi enormi, il sorriso via via più incerto a ogni secondo che passa senza una risposta. A parte gli assurdi capelli azzurri somiglia molto al professor Lupin, ma qualcosa nel mento, nella piega delle palpebre, nell’incurvatura delle labbra ricorda a Draco se stesso — la testimonianza del loro retaggio comune, quel sangue Black che ha attraversato le generazioni per arrivare, attraverso guerre e faide familiari, fino a loro due.

Torna a guardare la sciarpa, poi finalmente la dispiega e se l’avvolge attorno al collo con la massima dignità possibile. «Mi piace molto,» bofonchia. «Grazie mille.» 

Con uno squittio, il bambino batte le mani e si fionda ad abbracciargli le gambe. «Buon Natale, Draco!» esclama contro le sue ginocchia, scatenando un “oooh!” deliziato nelle due donne e un piccolo, microscopico saltello al suo stomaco.

«Buon Natale, Teddy.» Gli dà una pacchetta sulla testa e guarda Sfregiato. «E anche a te.»

Per tutta risposta Potter sorride, e stavolta è un sorriso vero.






Note:

Prompt: "sciarpa gialla"

(Sì, ho un debole per il lato non-proprio-buono di Harry, grazie di averlo notato.)

 

 

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Capitolo 4
*** All I want for Christmas ***


God Rest Ye Merry Hippogriff

4 Dicembre: All I want for Christmas



 

«Ma questo è…»

«…la traduzione inglese del Necronomicon, a cura di John Dee ed Edward Kelley. Versione completa.» Audrey si lecca le labbra in un gesto istintivo. «Con note in appendice e testo arabo a fronte.»

Percy deglutisce e si infila un dito nel colletto della camicia. All’improvviso l’aria del Ghirigoro sembra pesantissima. «Ed è l’ultima copia rimasta in negozio?»

«Negozio e magazzino. E non lo ristamperanno per altri cinquant’anni, come da tradizione.»

Gli sfugge un’imprecazione a mezza voce, che si perde nel frastuono della libreria brulicante di clienti. «E se non erro è il libro che desideri più di qualsiasi altra cosa al mondo, giusto?»

Sua moglie sbuffa una risatina. «Mai quanto lo desideri tu, mio caro.»

Si volta e gli scocca uno dei luminosi sorrisi che lo lasciano sempre incantato. Beh, quasi sempre. In questo momento è troppo concentrato sull’obiettivo per farsi distrarre dalle malìe di quella fattucchiera; e lei deve capirlo, perché nel giro di un istante la dolcezza nel suo sguardo lascia il posto a una fredda risolutezza.

Scatta prima che lui se ne renda conto, e solo il fatto di avere un braccio irragionevolmente lungo gli permette di afferrare il libro sullo scaffale nel momento stesso in cui le dita di Audrey vi si serranno attorno.

«Ehi! Che pensi di fare?» sibila lei.

«La stessa cosa che intendi fare tu, cara,» ringhia di rimando. «Questo libro è mio!» 

«Col cazzo! L’ho visto prima io!»

«E io l’ho preso per primo!»

«Non credo proprio! L’ho visto io e sarà il mio regalo per te, fosse l’ultima cosa che faccio!» 

«Allora vivrai ancora a lungo, perché ti garantisco che sarò io a regalarlo a te!»

Sfilano insieme il libro dallo scaffale e iniziano a tirarlo. Sua moglie è forte, determinata e punta i piedi come se ne andasse della propria vita, ma Percy non ha passato anni a contendersi i giocattoli con svariati fratelli per perdere proprio adesso. 

«Sei uno stronzo!» Audrey ha il viso rosso per lo sforzo, ma non cede la presa di un millimetro. «Ti va bene che non posso usare la magia qui dentro o mi bandiscono a vita!»

«Certo, perché io non sarei in grado di difendermi, vero?!»  

«Non da quello che ti scatenerei contro se potessi!»

«Ma non puoi, quindi molla il tuo regalo!»

«Mollalo tu!»

«No, tu!»

«No, tu!»

«No, tu!» 

«No…»

 

«Molly, eccoti!» 

Stando attenta a non far cadere i pacchetti tra le proprie braccia, Lucy si precipita da Molly che, in piedi accanto a uno scaffale di Magizoologia, guarda verso una delle sezioni più remote del Ghirigoro. «Dov’eri finita? Ti aspettavo fuori dal negozio di scope! Hai preso il regalo per Jules? E quello per la signora Baston? Lo sai che non posso fare di nuovo brutta figura con la mamma di Doug! E dobbiamo ancora trovare qualcosa per papi e mami che non sia il solito alcol, e tra poco chiudono metà negozi! Allora? Molly? Molly? Molly? Molls? Stronza? Ehi!»

Molly non le risponde, non a parole almeno: solleva un dito per zittirla, poi lo punta verso l’interno del negozio. Lucy segue la direzione con gli occhi e, nella penombra della sezione Occultismo & Scienze Arcane, individua finalmente cosa stia assorbendo a tal punto l’attenzione della sorella maggiore.

«Oh, no. Non di nuovo.»

«Ebbene sì.» Il sorriso di Molly è enorme, a giudicare dal suo tono di voce. «Stanno di nuovo sfidandosi a chi farà il regalo migliore all’altro, e stavolta la posta è alta.»

«Oh, che palle!» Lucy sbuffa e per poco non lascia cadere i pacchetti per la frustrazione. «Il Natale scorso sono andati avanti per giorni!»

«Quest’anno è peggio: hanno trovato il regalo perfetto per entrambi, ma è l’unica copia rimasta in assoluto, perciò devono litigarsela all’ultimo sangue perché nessun regalo potrà mai eguagliare o superare quello.»

«Per i baffi di Corinna! Non usciremo mai più da qui, e io devo finire le mie compere! To’, piglia questi.»

Sbatte i pacchetti in braccio a Molly, poi marcia decisa verso i genitori. «Ehi, voi due!»

Sorpresi, Percy e Audrey interrompono il tira e molla per un breve istante, il tempo necessario a Lucy per avventarsi sul grosso tomo e levarlo dalle loro mani. 

«Questo lo prendo io.» Agita il Necrocoso davanti alle loro facce sconvolte. «Sarà il regalo a entrambi da parte mia e di Molly, e a voi toccherà farcene uno di valore pari o superiore. A testa,» specifica troncando la domanda di Percy sul nascere, «o lo dico alle nonne. Ora fuori di qui, devo ancora trovare qualcosa per la mia futura suocera e mi state facendo perdere un sacco di tempo. Muoversi!»

Rivolge a entrambi un’ultima occhiata gelida, poi gira i tacchi e se ne va verso la cassa, seguita da Molly che ghigna sotto i baffi. 

E anche per quest’anno il Natale è salvo.





Note: 


Non è una mia fanfiction se prima o poi non compaiono Percy, Audrey o entrambi. Special guests: le figlie, già introdotte in questa oneshot (anche se lì Lucy aveva moooolto meno spazio).
In teoria non dovrebbe servire una nota sul Necronomicon, ma se non doveste sapere di cosa si tratta seguite il link e scoprirete tutto lo scopribile.
Il prompt di oggi era: "A e B afferrano simultaneamente l’ultimo oggetto sullo scaffale (può essere qualunque cosa) e nessuno dei due è intenzionato a lasciare la presa"
Non sono sicura di riuscire a pubblicare qualcosa col prompt di domani; se dovessi avere un'illuminazione improvvisa allora troverete l'aggiornamento, altrimenti ci si rivede direttamente il 6 dicembre :D
Grazie a tuttə di aver letto!

 

 

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Capitolo 5
*** This little light of mine ***


Lo so, avevo detto che sarei tornata ad aggiornare il 6 dicembre, ma avevo bisogno di un po' di riposo in questi giorni e ho preferito prendermelo ^_^
Questa ff è un missing moment preso direttamente dal capitolo 29 dell'Ordine della Fenice, il momento subito successivo alla "chiamata" via camino di Harry a Grimmauld Place dall'ufficio di Umbridge. A differenza delle altre flash non è natalizia, ma il prompt, "Cenere", mi aveva evocato esattamente questa scena, perciò mi perdonerete questa deviazione dal tema festivo.
Partecipa inoltre all'iniziativa "Regali d'inchiostro" del gruppo L'angolo di Madama Rosmerta ed è dedicata a Cora Line, Nao Yoshikawa, pampa98, VigilanzaCostante e leila91 che per Natale avevano chiesto una Wolfstar. Spero vi piaccia, non ho dimestichezza con la coppia (pur amandola) e vi chiedo quindi scusa per eventuali brutture o OOC involontari ^^''
 

 




God Rest Ye Merry Hippogriff

10 Dicembre: This little light of mine



 




Appena la testa di Harry fu scomparsa dal camino, Remus sbuffò e si tirò in piedi. 

«Spero davvero che Piton non faccia l’idiota,» borbottò, scuotendosi la polvere dai pantaloni. «Interrompere le lezioni di Occlumanzia, che stronzata. Proprio tipico di…»

Si bloccò. Sirius non si era mosso dal duro pavimento della cucina: le gambe raccolte tra le braccia, i lunghi capelli neri a coprirgli i lati del viso, fissava le ceneri nel camino con espressione spenta — la stessa con cui Remus ogni tanto lo sorprendeva a guardare nel vuoto, o fuori da una finestra. Era lo sguardo dei suoi momenti più bui, quelli in cui dimenticava di essere un uomo libero o quasi; in quei momenti, Remus aveva sempre l’impressione di scorgere il profilo minaccioso di Azkaban riflesso nelle sue iridi grigie.

«Ehi,» chiamò a voce bassa. Tornò a sedere e ripeté il richiamo altre tre volte, finché Sirius non si riscosse dal torpore. «Ti senti bene?»

Per tutta risposta, lui si strofinò il viso con le mani. «Come faccio a sentirmi bene?» borbottò alla fine. «Ti rendi conto di… di cosa significa tutto questo?»

«Certo: che Piton è il solito stronzo. Grande novità. Quando Silente smetterà di portarlo in punta di bacchetta, sarà sempre un giorno troppo tardi.»

Sirius grugnì. «Francamente, Lunastorta, in questo momento di Piton e Silente me ne frega meno di un cazzo.» Si morse le labbra e gli rivolse uno sguardo di scuse. «No, stavo pensando a Harry. Al fatto che ci ha visti da giovani, noi e James, fare le cazzate che facevamo a quindici anni, e ha pensato… che suo padre fosse una persona orribile. James, capisci?» 

Sospirò e si prese la testa tra le mani. «Cazzo. Dovrebbe sentir parlare di James e Lily da me, non dagli stupidi ricordi di Piton. Sono io il suo padrino, sono io quello che avrebbe dovuto accudirlo al posto loro e raccontargli di loro, e invece… e invece non ho potuto farlo. Non posso farlo. Tutto perché…»

Si interruppe per tirare su col naso, e Remus provò la stretta al petto che sentiva tutte le volte che gli concedeva il privilegio di mostrarsi fragile. Avrebbe voluto abbracciarlo per dargli conforto, ma era abbastanza esperto dei momenti bui di Sirius da sapere che sarebbe stato come provare ad accarezzare un cane diffidente: le probabilità di avere successo erano molto inferiori a quelle di essere morsi.

«Ne abbiamo già parlato: non è colpa tua.» Scivolò sul pavimento per avvicinarglisi con cautela. «Non lo era e non lo è mai stata. È Peter che…»

«Certo che è colpa mia.» Sirius rialzò la testa e no, non c’era Azkaban nei suoi occhi, ma qualcosa di molto, molto più spaventoso. «Chi si è messo a cercare Codaliscia invece di andare dritto da Silente a spiegare lo scambio di Custodi? Chi non ha ammazzato quel ratto schifoso quando ne aveva l’occasione? Sono stato sempre io, Remus, sempre.»

Con la pazienza di chi aveva sentito quel discorso dozzine di volte, Remus scosse la testa. «È stato Harry a impedirci di uccidere Peter, ricordi? E con ottime motivazioni. Non voleva che i migliori amici di suo padre diventassero degli assassini.»

«Sì, e guardale le conseguenze della nostra buona azione! Voldemort è tornato, e Harry è di nuovo solo, con Piton, e come se non bastasse ora è convinto che James fosse… che suo padre fosse un…»       

«Ma lo era, Felpato. Lo era, e lo eravamo, ma Harry è abbastanza maturo da capire che…»

«Come fa a capire?!» abbaiò allora Sirius, scoprendo i denti proprio come avrebbe fatto Felpato. «Come fa Harry a capire chi fossero i suoi genitori se non ci sono io a spiegarglielo?! È uscito dall’ufficio di Piton convinto che sua madre odiasse suo padre! E tutto perché…» Si coprì la bocca con una mano e riportò gli occhi verso il camino. «Tutto perché io non c’ero,» concluse in un soffio. «Certo che è colpa mia, Remus. Di chi altri dovrebbe essere? Non c’ero.»

Remus non replicò, fissando invece lo sguardo sul camino spento nel punto in cui poco prima era comparso Harry. Harry… così giovane e già così in gamba, così simile a James e così diverso. Lui e Sirius avevano passato notti intere a parlare del ragazzo, mettendo insieme quello che ne sapevano e inventando quello che ignoravano, immaginando quale potesse essere la perfetta sintesi di James e Lily. Coraggio e buon cuore, mente sveglia e un bel po’ di sprezzo per le regole. E ogni conferma da parte di Silente o dei Weasley era una gioia concreta, il segno che una parte dei loro amici era ancora viva nonostante tutto, come una fiamma pronta ad ardere dalle braci.

Così simile a Lily, così simile a James. L’avrebbero amato così tanto se avessero potuto.

Sirius l’avrebbe amato così tanto, se avesse potuto. E invece… invece doveva accontentarsi di osservarlo da lontano, da una prigione a un’altra prigione; guardarlo crescere da persone che non sarebbero mai state in grado di trasmettergli nemmeno un briciolo di ciò che erano stati i suoi genitori, di quello che avevano donato al mondo nella loro breve vita e di quello che avrebbero potuto dare se ci fossero ancora stati. Persone che a Harry avrebbero mostrato la cenere, invece del fuoco.

Sospirò e, mettendo da parte la prudenza, allungò una mano per afferrare quella di Sirius. Lui fece della resistenza, ma alla fine lasciò che le dita di Remus scivolassero tra le proprie come usavano fare anni e anni prima, con la stessa naturalezza di allora. Un’altra fiamma che non si era mai spenta per davvero.

«Neanche io c’ero.» Per qualche ragione, a Remus pareva più facile dirlo mentre gli accarezzava le nocche. «Non c’ero per lui, non c’ero per te e non c’ero per loro. Ma ci sono adesso, e ci sei anche tu. È questo che conta.»

Sirius annuì in silenzio. Quelle parole non sarebbero mai bastate a consolarlo, ma la presa sulla mano di Remus era più sicura e nel suo sguardo c’erano meno ombre. A un tratto, chiuse gli occhi e sbuffò.

«Che c’è?»  

«Stavo ripensando a quanto era ridicolo James quando si spettinava i capelli. Merlino. Come ho fatto a scordarmelo? Ci credo che Harry si è vergognato di lui.»

Anche Remus sbuffò una risata. «Poteva andare peggio. Poteva vedere quanto eravamo ridicoli noi.»

«Io ero ridicolo. Tu sei sempre stato perfetto, Lunastorta.»

«Mh, hai ragione.»

Ridacchiarono insieme. Remus si staccò da Sirius giusto il tempo di riaccendere il fuoco con la bacchetta, dopodiché se ne rimasero lì, abbracciati, a scaldarsi al tepore della fiamma e dei ricordi.

 




 

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Capitolo 6
*** In the bleak midwinter ***


Sono in ritardo di *strizza gli occhi* troppi minuti col prompt dell'11 dicembre, ma vabbè.
Come la storia di ieri, anche questa rappresenta un regalo d'inchiostro per blackjessamine e Sia_, che hanno chiesto storie sui fratelli Weasley. Direi che questa oneshot rientra appieno nella richiesta XD Spero vi piaccia e di aver imbroccato i vostri gusti.
Buona lettura!
 




 

God Rest Ye Merry Hippogriff

11 Dicembre: In the bleak midwinter




 

«Allora?» Percy si chiuse la porta della sua vecchia camera alle spalle. «Di cosa dobbiamo parlare?»

Sorrideva incoraggiante, il che fece sprofondare lo stomaco di George da qualche parte vicino ai suoi piedi. Sapeva quanta fatica costasse quel genere di sorriso: la stessa, grammo più grammo meno, che occorreva per starsene tutta la sera alla Tana senza scappare via dopo cinque minuti. D’altronde era Natale, no? Bisognava passarlo tutti insieme, parenti e acquisiti e aggiunte varie, tutti stipati in uno spazio troppo stretto a chiacchierare e mangiare ed essere allegri. 

Bisognava, perché in qualche modo era pur doveroso mostrare gratitudine per chi, dopo tanti anni, si sforzava ancora di regalare agli altri una sembianza di normalità. Bisognava.

«George?»

Si riscosse. «Sì, uhm… Ecco… io…»

Si passò una mano tra i capelli, poi incrociò le braccia. Merda. Com’era il discorso che aveva provato con Angie? Era perfetto, o così aveva sostenuto lei. Ma tutte quelle belle parole, scelte con attenzione e messe in fila con la stessa cura con cui George allineava i prodotti sugli scaffali del suo negozio, sembravano essersi sparpagliate in giro per il suo cervello come Gobbiglie impazzite. 

Tossicchiò e guardò suo fratello, la cui espressione si stava facendo via via più incerta a ogni secondo che passava. Comprensibile. Non parlavano molto, loro due — non parlavano mai. L’ultima volta era stato… George non amava ripensare all’ultima volta che avevano parlato per davvero. Era successo all’incirca un mese dopo la morte di Fred, e c’erano state… parole sbagliate da parte sua. Molto, molto sbagliate. Talmente sbagliate che nemmeno il passare degli anni e i successivi tentativi di riavvicinamento erano valsi ad annullarne gli effetti: da quel momento i rapporti tra Percy e il resto della famiglia erano rimasti freddi, pieni di gentilezza ma anche di imbarazzo, e se si trovava solo con George per più di qualche secondo cercava sempre di defilarsi con una scusa, come se si vergognasse di stare alla sua presenza.

Il che era ingiusto, visto che non era colpa sua. Oh, no. Lui la sua parte l’aveva fatta, e anche bene. Era stato George a rovinare tutto.

«George?» Invece di andarsene come al solito, Percy gli si avvicinò. «C’è qualche problema? È… successo qualcosa?» 

«No, cioè… non proprio. Io…» Inspirò a fondo. «Io… voglio dire, noi… A-Angie aspetta un bambino.»

Percy sgranò gli occhi, così tanto che per un attimo sembrarono più larghi dei suoi occhiali, poi il suo volto si distese in un gran sorriso sincero. 

«Ma… ma è fantastico! E da quanto?»

Suo malgrado, George si sentì spuntare un sorriso identico. «Quattro mesi, più o meno. Un maschio. Abbiamo aspettato che fosse sicuro per… per dirlo.»

«È davvero fantastico, George. Congratulazioni.» Fece un movimento strano, come se volesse allungare un braccio per stringergli la mano o abbracciarlo, ma si bloccò e mise invece le mani in tasca. «Come l’hanno presa gli altri? Scommetto che Bill è felicissimo, dice sempre che Vic non ha abbastanza cugini — uno penserebbe che quattro sia un numero congruo, ma a quanto pare non…»

«Non lo sa nessuno.»

«…prego?»

«Finora lo abbiamo detto solo ai signori Johnson e a Lee. Nella nostra famiglia non lo sa nessuno, a parte te.» 

«…oh.» Percy aggrottò la fronte. «Hai… hai paura di come reagirebbe mamma? Non penso se la prenderebbe perché non siete sposati, insomma, quando Ron e Hermione…»

Scosse la testa. «Non l’ho detto a nessuno perché… perché volevo che fossi tu il primo a saperlo.» Oscillò sui talloni e, finalmente, si decise a lanciare il proverbiale Bombarda. «E perché vorrei chiederti di essere il padrino.»

Il sorriso di Percy si dissolse immediatamente. Guardò George per qualche secondo, in silenzio, infine sbuffò dal naso. «Molto spiritoso.» 

«Non sto scherzando, Perce.»

«Certo. Dai, torniamo di sotto, credo sia ora di dare i regali ai bambini.»

«Perce.»

Aveva già la mano sulla maniglia della porta, ma sospirò e tornò a voltarsi verso di lui. Stavolta non ci provava nemmeno a sforzarsi e la sua espressione era addolorata e stanca assieme — la stessa che aveva avuto quando, quasi un decennio prima, George gli aveva detto che avrebbe voluto fosse morto lui invece di Fred.

La stessa espressione con cui aveva risposto “Sì, lo vorrei anch’io.” 

«Per favore,» mormorò. Non farmi questo, sottintendeva il suo tono.

«Non sto scherzando. Te lo sto domandando sul serio.»

«George…»

«Mi rendo conto che è molto da chiedere, ma vorrei davvero che…» 

«No, George. Non lo vuoi. Ed è del tutto comprensibile, dati i nostri… trascorsi.» 

«Ascolta…» 

«Chiedilo a Bill. O a Ron. Saranno felicissimi di…» 

«Percy, piantala. Lo sto chiedendo a te.» 

«E Lee? Se c’è qualcuno che dovrebbe farlo è lui.» 

La sola idea fece grugnire una risata a George. «Oh, Lee si è già prenotato il ruolo di zio figo, ma onestamente non ce lo vedo proprio a occuparsi della mia preziosa prole a tempo indefinito.» 

Neanche quella battuta riuscì a far sparire il tormento dagli occhi di Percy. George sospirò. «Vorrei che fossi tu. Davvero. Perché…» 

Merda. Ecco il motivo per cui si era preparato un discorso: c’erano troppi perché dietro a quella decisione, e non tutti potevano essere pronunciati ad alta voce. Cosa avrebbe dovuto dirgli?

Perché mi sento in colpa. Perché ti ho detto che avrei voluto che fossi morto, anche se non lo pensavo, e ora sei convinto che tutti ti odiamo quando invece non facciamo altro che sentire la tua mancanza.

Perché me la sono presa con te quando avrei dovuto esserti grato. Sei la ragione per cui Fred non è morto da solo, sei quello che l’ha fatto ridere prima che il destino facesse il suo sporco lavoro, e io sono riuscito solo a sputarti in faccia senza pensare che la tua è l’ultima faccia che lui ha visto.

Perché un giorno potrei non esserci per mio figlio e ho bisogno di sapere che qualcuno gli insegnerà che va bene sbagliare, e chiedere scusa, e perdonare. Perché tu capisci quanto sia difficile andare avanti, giorno dopo giorno, Natale dopo Natale, a sorridere e stare con gli altri quando vorresti solo sparire. Sei l’unico che lo capisce, e per questo farai in modo che mio figlio non provi mai una cosa del genere.

Perché appena prima di morire Fred ti ha teso la mano, ha riparato lo squarcio tra di noi con una sola frase, e io con una sola frase l’ho riaperto più profondo di prima. Era l’ultimo regalo di Fred e l’ho rovinato, proprio io. 

Perché ho strappato, e ora devo ricucire.

«Perché… Sei sempre stato un buon fratello per noi. Ti sei occupato di…»  

«Sempre? Sicuro?» 

George roteò gli occhi. «Va bene, quasi sempre, il succo non cambia. Inoltre sei un buon padre, sei responsabile, e se Angie e io non potessimo esserci per nostro figlio…» 

«Non dire così, per favore.» 

«…saprei che è in ottime mani.» Trattenne un sorriso. «E che diventerà Caposcuola e potrà ambire a un posto nel Ministero.» 

Quello fece breccia in Percy, scatenandogli un grugnito. «Credevo desiderassi qualcosa di molto meno noioso per la tua preziosa prole,» brontolò in un’eccellente imitazione del proprio tono polemico.

«Eh, ci sono destini peggiori di un posto fisso. L’importante è che non me lo fai diventare Ministro.»  

«Non farò promesse che non posso mantenere.»      

Si scambiarono un sorriso, anche se quello di Percy morì quasi subito. La tensione nell’aria tra di loro non era sparita ma si era fatta diversa, meno opprimente. «Non devi farlo per forza, George. Lo apprezzo più di quanto immagini, ma non…»

«Lo so. Però credimi quando dico che non riesco a pensare a nessuno più adatto al ruolo.» 

Non convinto, Percy fece spallucce e si fissò i piedi. Era chiaro come il sole a mezzogiorno che avesse ancora molte, moltissime obiezioni all’idea; ma c’era un ultimo argomento che George si era tenuto da parte proprio per quell’eventualità, uno a cui quel testardo di suo fratello non avrebbe mai potuto dire di no.

Guarda caso, era anche la chiusa del suo ormai dimenticato discorso.

«Avanti.» Gli diede un colpetto scherzoso su una spalla. «Come puoi rifiutare? Non vuoi prenderti cura del piccolo Fred?»  

Percy reagì esattamente come sperava, rialzando di scatto la testa e fissandolo con tutta la meraviglia del mondo raccolta sul viso. Aprì la bocca per replicare ma gli uscì solo un versetto strozzato, così serrò le labbra e annuì mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. George avrebbe voluto tirar fuori una qualche battuta stupida per farlo ridere, o incazzare, o magari entrambe le cose, ma prima di rendersene conto stava piangendo anche lui abbracciato a suo fratello, e tutto ciò cui riuscì a pensare fu che finalmente andava tutto bene.

Aveva messo tutto a posto. I brandelli che aveva stracciato erano stati ricuciti, da Fred e per Fred, com’era giusto che fosse. E quando le voci dal pianterreno della Tana iniziarono a chiamarli e le rispettive compagne vennero a bussare alla porta per trascinarli nella bolgia natalizia, per la prima volta in molti anni Percy e George sorrisero senza fatica.




 

 

Note:

Il dialogo per cui George si sente colpevole viene descritto nel capitolo 11 di Omne Trinum Est Perfectum, come pure tutta la questione della distanza tra Percy e la sua famiglia negli anni del dopoguerra. Ovviamente non è necessario leggere la long per capire questa oneshot.
ll prompt dell'11 dicembre era "Ricucire".

 

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Capitolo 7
*** Silent night ***


Anche questa piccola oneshot è un regalo, per paige95, inzaghina, Kamy e Cida: care compagne di ship, avete chiesto una Romione e una Romione avrete! Spero vi piaccia <3
 




 

God Rest Ye Merry Hippogriffs

15 Dicembre: Silent night




 

La prima cosa che Hermione avverte entrando in casa è il silenzio. Un silenzio che fino a qualche mese fa era la regola, a quest’ora di notte, ma che ormai è diventato uno dei ricordi sbiaditi di com’era la vita prima; in quella quiete inaspettata, avverte la seconda cosa: l’inequivocabile rumore di denti che sgranocchiano. Sorride e si sfila pianissimo le scarpe per raggiungere la cucina il più silenziosamente possibile, usando come guida la luce della bacchetta che filtra dalla porta.

È così che coglie Ron, con le mani letteralmente nel sacco. In piedi al bancone, vestito solo di un paio di boxer e una canottiera troppo corta per uno alto come lui, le dà le spalle e non si accorge della sua presenza finché non gli è arrivata a un passo di distanza: allora sobbalza e si volta di scatto, il barattolo stretto al petto e un biscotto mezzo infilato in bocca, l’aria più colpevole del mondo dipinta sulla faccia.

«Ciao, amore.»

«…‘ao.» Per un attimo Ron sembra combattuto tra il mordere comunque il biscotto e lo sfilarselo di bocca, ma alla fine il buonsenso prevale e gli fa scegliere la seconda opzione. «Meno male che ti hanno lasciata andare. Temevo di dover pagare un riscatto, o qualcosa del genere.»  

Hermione fa spallucce. Vorrebbe rispondere a tono con una battuta su quei parrucconi del Consiglio e la loro incapacità di tenere discorsi di meno di quindici ore, ma è troppo stanca per mettere in fila tutte quelle parole; si limita quindi ad appoggiare la testa sulla spalla di Ron, che in un impeto di cavalleria posa il barattolo di biscotti per circondarla con le braccia.

«Ti ho preparato la cena,» le dice tra i capelli. «Te la scaldo in un attimo, se vuoi.»

Hermione ci riflette mentre lascia che il calore della pelle di Ron le attraversi la fronte. Alla fine scuote la testa. «Grazie. Magari domani a pranzo. Preferirei quello che stai mangiando tu.»

«E cena a base di biscotti sia. Vuoi anche una cioccolata calda?» 

«Volentieri.» Solleva il viso e, finalmente, riesce a cavarsi fuori un filo di umorismo. «Ma metti del Whisky Incendiario al posto della cioccolata.» 

Ron emette un fischio basso. «È andata così male?» 

«È presto per dirlo. Ci vorranno mesi prima che si mettano anche solo a considerare la mia proposta.»

«Dannazione. Se solo fossi amica del Ministro della Magia e potessi chiedergli di accelerare le cose. Ehi!» schiocca le dita. «Ma tu sei amica del Ministro della Magia!»

«Ron…» Hermione sbuffa e si stacca da lui. «Lo sai, non posso abusare della mia posizione di…»

«…di salvatrice del mondo magico, già.» Ron aggrotta la fronte in quel modo che lo fa somigliare a Percy nei suoi momenti peggiori. «Sarebbe una vera ingiustizia dare un trattamento preferenziale alle tue proposte di legge solo perché senza di te avremmo ancora Voldemort al governo. Un abuso di potere bello e buono.»

Lei rotea gli occhi, ma non si arrabbia. Hanno già affrontato l’argomento più volte e sa che Ron dice quelle cose per scherzare, per la maggior parte. 

«L’importante è che per oggi ho finito.» Sfila una sedia dal tavolo e vi si abbandona sopra, lasciandosi cadere di dosso il peso di una giornata infinita al Ministero. «Tu che mi racconti?»

Ron è intento a versarle due dita di Whisky Incendiario liscio nel suo bicchiere preferito, ma si ferma per scoccarle un’occhiata impenetrabile. «Vuoi prima la notizia buona o la cattiva?»

«…la buona?»

«Tua figlia ha una mira eccezionale, potrebbe seriamente fare carriera come Auror o Tiratrice Scelta.»

«Oh, no.» Hermione poggia i gomiti sul tavolo e si prende il viso tra le mani. «Dove ha vomitato stavolta?»

«Dove non ha vomitato, vorrai dire. È riuscita a beccare Grattastinchi mentre lui correva via. Giuro sulla barba di Merlino,» si mette una mano sul petto e le porge il bicchiere, «se zio Harry non la prende all’Ufficio Auror appena esce da Hogwarts, la considererò un’offesa personale.»

«Oh, Ron…»

«Per il resto è andata bene.» Siede dinanzi a lei, non prima di aver fatto levitare il barattolo di biscotti sul tavolo. «Abbiamo scoperto le bolle di sapone, si è lasciata fare il bagnetto senza troppe storie, oh, e non so se lo hai notato, ma pare che siamo fuori dal periodo “coliche”.»

Fa un movimento circolare col dito, a indicare il silenzio tutt’attorno. «È così da più di tre ore. Direi che è un buon segno.»

Buono? Ottimo segno. Finalmente si stanno realizzando tutte le rassicurazioni dei vari genitori che hanno consultato nei momenti di massima disperazione: non preoccupatevi, passerà, è temporaneo, resistete. È stato difficile crederci, perché da quando Rose è nata le notti sono piene di urla, pianti inconsolabili, “vai tu no vai tu” e sonni interrotti prima di essere davvero sonni; ma la notte è silenziosa, adesso, e per la prima volta in quattro mesi sembra che tutto possa sul serio andare bene.

«Meno male. Avevo il terrore di tornare a casa e trovarti con Rose urlante.»

«Beh, ha urlato, ma ha smesso appena ha rigettato su Grattastinchi.»

«Oh, Ron…» Hermione sospira. «Mi dispiace tantissimo.»     

«Mh, a ognuno il suo. Io vomito di neonata, tu bava di vecchi stregoni. Mi sa che sei messa peggio tu.»

Pondera quel paragone mentre il whisky rotea nel bicchiere, creando un movimento ipnotico alla luce della bacchetta poggiata lì accanto. Tornare al lavoro con Rose così piccola è stata dura, niente da dire: parte di lei non si è ancora ripresa del tutto, nonostante le pozioni rigeneranti che Audrey le fa arrivare con una puntualità sconvolgente e il sostanzioso cibo della signora Weasley, e i suoi ormoni sono ancora così scombinati che certe volte fa appena in tempo a raggiungere il bagno del Secondo Livello prima di scoppiare a piangere per qualche quisquilia. Per non parlare degli orari, che la costringono a uscire di casa alle sette del mattino e rientrare all’ora di cena o addirittura dopo, come oggi. 

Eppure, non riesce a convincersi che quella sia la parte peggiore. Di fatto è Ron quello che si sta accollando il carico più gravoso, alzandosi nel cuore della notte al primo vagito — tu devi svegliarti presto, io faccio come voglio, quindi va’ a dormire e non preoccuparti — e badando a Rose mentre lei è bloccata in qualche infinita riunione. E sebbene lui insista che non gli dispiaccia — è mia figlia, Herm, come può dispiacermi stare con lei?! — Hermione non ce la fa proprio a non sentirsi in colpa.

«Non ne sarei così sicura.» Si decide a prendere un sorso di whisky. Molto meglio. «Non è facile stare per ore insieme a qualcuno che non fa altro che urlare.»

«…stai parlando del mio lavoro di padre o del tuo di consigliera del Ministro?»

Suo malgrado, Hermione sbuffa una risata. «Sai cosa intendo. Tu esci dal negozio e stai con Rose, te ne occupi tutte le notti e ogni volta che faccio tardi, mentre io… io non sono di nessun aiuto.» Sospira e beve un altro sorso, più per ricacciare indietro le lacrime che per voglia — stupidi, stupidi ormoni. «Forse ho commesso un errore.»

«No.»

«Forse dovevo prendermi più tempo. O rinunciare all’incarico di consigliera e passare a qualcosa di meno…»

«Amore, no.»

«È che…» Oh, al diavolo, tanto non sarà la prima né l’ultima volta che suo marito la vede piangere. «È che a volte penso… se non mi prendo cura di Rosie ora che è così piccola, quando sarà grande cosa farò? Mi vedrà come una madre assente? Anche mia mamma lavorava tanto, e a me è sempre mancata…»

Tira su col naso e si asciuga le lacrime. «Tua madre invece… c’è sempre stata. E forse io dovrei…»

Un profondo sospiro di Ron la interrompe. «Herm. Ne abbiamo già parlato. Non stai facendo mancare nulla a Rose.»

«Non…»

«Tu fai tantissimo per lei, anche se in questo momento il tuo cervello ti dice di no. Sei sempre qui all’ora di pranzo, passi con lei ogni minuto libero che potresti trascorrere a rilassarti…»

«Sì, ma non…»

«E fidati, non vuoi vivere come ha vissuto mia madre. A posteriori mi rendo conto che l’abbiamo massacrata.» Stringe le labbra. «Sempre a occuparsi di noi… e non eravamo i bambini più facili da gestire. E non ha mai avuto l’opportunità di fare altro.»

«Perché vi considerava più importanti di tutto il resto. Io invece…»

«Tu dai importanza a Rose, ma hai anche altro di importante da fare. Merlino, poco fa hai presentato una legge che potrebbe finalmente permettere il matrimonio tra coppie omosessuali, sia magiche sia miste! Come potresti rinunciare a un lavoro del genere?»

«Ho solo… ho solo paura che un giorno mi verrà rinfacciato di non aver…»

«Rinfacciato? E da chi?»

Hermione si stringe nelle spalle. Non ha mai espresso a parole quel pensiero. «Non lo so. Mia madre. Tua madre. Rose. Tu. Non lo so.»

Fissa intensamente nel bicchiere, rimpiangendo di non aver scelto la cioccolata calda. Il silenzio irreale sembra rimbombare intorno a lei, finché Ron non lo spezza con un altro sospiro.

«Senti.» Allunga una mano ad afferrarne una delle sue. «Nessuno potrà mai rinfacciarti di essere Hermione Granger. Tua madre sa cosa significhi avere un lavoro impegnativo ed è fiera di te. Io ti ho sposata e sono fiero di te. Mia madre è schifosamente fiera di te, e…»

«Cosa?! Ma se dice sempre che lavoro troppo!»

«Perché è preoccupata che tu ti esaurisca, non perché vuole farti smettere! Hai idea di come parla di te a chiunque sia disposta ad ascoltarla?»

Ron drizza la schiena, si impettisce e la sua voce si trasforma in una perfetta — benché esagerata — imitazione di quella di Molly Weasley: « Hai sentito parlare dell’ultimo decreto ministeriale, quello sull’aumento dello stipendio minimo per i funzionari di fascia più bassa? Lo ha scritto mia nuora! Hermione Granger, la moglie del mio Ron! La conosco da quando era a Hogwarts, passava le vacanze a casa mia da bambina, e già sapevamo tutti che sarebbe diventata una persona importante, tra qualche anno potremmo avere una Ministra della Magia in famiglia…»

«Basta, ti prego,» lo supplica Hermione, soffocando le risate con la mano libera. «Ho afferrato il concetto.»

«Sicura? Perché posso continuare. Avresti dovuto sentirla quando ti hanno scelta per rappresentare la Gran Bretagna al convegno europeo delle associazioni per i Diritti degli Esseri Magici: non si vantava così tanto dai tempi in cui Fleur è stata la prima donna a ottenere un posto da dirigente nella Gringott.»

Sbatte le palpebre. «Perché io non l’ho mai sentita vantarsi di quello?»

«Perché eri a Stoccolma a rappresentare la Gran Bretagna eccetera. Ma ti garantisco che metà dei negozianti di Diagon Alley l’hanno sentita molto, molto bene.»

Il pensiero di sua suocera che tesse le sue lodi agli incauti commercianti londinesi la riempie di imbarazzo misto a soddisfazione. «Credimi, mia madre sarà l’ultima persona al mondo a dirti di mollare il lavoro e stare a casa, proprio perché sa bene cosa significhi. È orgogliosa di quello che fai, come è orgogliosa di Fleur, di Ginny, di…» la voce di Ron incespica sul nome dell’ultima cognata. «…Beh, Audrey è un caso a parte, con lei si deve ancora riscaldare, ma hai capito cosa intendo. Quanto a Rose, non credo se la prenderà se quando era in fasce invece di pulire il suo vomito hai reso la società un po’ migliore.»

È un’emozione diversa, stavolta, a spingere Hermione a chinare lo sguardo sul bicchiere, un calore nel petto che non ha nulla a che fare con l’alcol. Invece di rispondere, stringe più forte la mano di Ron — quello stesso Ron che a quindici anni aveva la varietà di emozioni di un cucchiaino e che adesso sa con esattezza cosa lei provi e cosa abbia bisogno di sentirsi dire — e per la millesima o milionesima volta ringrazia la buona sorte per averle fatto sposare il proprio migliore amico.

«Ron?»

«Mh?»

«Credo… che accetterò quella cioccolata calda, dopotutto.»

Suo marito sorride e si alza. «Arriva. Tu intanto va’ da Rose, così avrai almeno un ricordo di lei che dorme in caso stanotte sia un’eccezione.»

Senza farselo ripetere, Hermione sgattaiola in punta di piedi fuori dalla cucina, e la notte torna silenziosa.








 

Note:

Prompt: cioccolata calda (sebbene sia in parte presente anche il prompt di ieri, ossia: ''Vuoi latte e biscotti?'' ''Ti ringrazio, ma metti il rum al posto del latte.'')

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