Calendario dell'Avvento - Perao Edition di MedusaNoir (/viewuser.php?uid=85659)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Secret Santa ***
Capitolo 2: *** Primo ballo ***
Capitolo 3: *** L’appuntamento (im)perfetto ***
Capitolo 4: *** Il ragazzo del treno ***
Capitolo 5: *** Rimorso ***
Capitolo 6: *** Gatti e Pallini Acidi ***
Capitolo 1 *** Secret Santa ***
#1
Secret Santa
«Come
hai potuto?!»
Quando
lo sentì urlare scandalizzato,
Fera stava finendo di impacchettare il regalo per Paul – un
romanzo babbano che
faceva parte di una serie poliziesca amata da entrambi. Sì,
“scandalizzato” era
la parola giusta. Non offeso o incredulo: Percy era talmente fuori di
sé da fissarla
con gli occhi spalancati dietro le spesse lenti, la bocca che mimava un
balbettio
incapace di trasformare in suono. In meno teneva un pezzo di carta su
cui
spuntava la calligrafia della stessa Fera. Che, però, ancora
non aveva capito.
«Tu…»
riuscì finalmente a dire il
suo fidanzato. «Come hai… Come ti…
Perché proprio… No, dico, ti ha dato di volta
il cervello?!»
Una
simile indignazione veniva di
solito messa in mostra da Percy quando, al Ministero, si vedeva passare
davanti
colleghi che non rispettavano alcuna etichetta, infrangendo da una a
sedici
regole – una volta le aveva contate – dello Statuto
Internazionale di
Segretezza. Regole talmente antiquate che la stessa Fera ne aveva
dimenticato l’esistenza.
“No,
Percy” ricordò di avergli
detto “Goodkind non può indossare il cilindro per
mescolarsi ai Babbani. No,
nemmeno se ci aggiunge un mantello. Soprattutto se
ci aggiunge un
mantello.”
«Perce,
si può sapere cosa c’è
che non va?» chiedeva ora, domandandosi cosa avesse potuto
rendere il ragazzo
tanto sconvolto. Poi guardò di nuovo il foglio che teneva
tra le mani e capì.
Tacque.
«Ah.»
Gonfiò
le guance.
Scoppiò
in una fragorosa risata.
«Non
ridere!» si infiammò
ulteriormente Percy. «È…
è… oltraggioso! Perché hai messo il suo
nome?»
«A
essere onesti…» provò a dire
Fera reprimendo le lacrime «non dovresti… ah
ah… svelarmi il tuo… ah ah… regalo
segreto!»
Le
guance di Percy avvamparono
fin quasi a cancellare le sue lentiggini. «Non è
un regalo, se non lo faccio!»
«Sì
che lo farai, è questo il
senso del Babbo Natale segreto: un regalo per uno senza pensare a tutti
gli
amici.»
«Ah,
era questo il gioco? Allora
perché non Paul? Catherine? Perché…
perché lei?»
«È
mia amica! Dai, non fare il
tragico: ho da parte una penna che avrei voluto regalarle prima o poi,
gliela
puoi dare tu.»
«Ma…
è una penna. Che ci fa?»
Fera
sollevò un sopracciglio. «Ci
scrive, genio.»
«Intendo
dire che è una bella
penna, è sprecata per lei.»
Sospirando,
spinse la penna tra
le sue mani. «Fidati, preferisci questo a lambiccarti il
cervello per farle un
regalo.»
Apparentemente
convinto, Percy
ritrovò il suo colorito naturale e tornò in
camera; Fera, tuttavia, poteva
vedere gli ingranaggi girare nella sua testa. Quella storia del Babbo
Natale segreto
non gli era piaciuta, oh no, non gli era piaciuta
per niente.
«…e
questo è il mio.»
Nel
momento in cui Paul scartò il
pacchetto con il suo nome sopra, dalla sua bocca uscì un
“Oooh” estasiato, mentre
sua moglie roteava gli occhi al cielo.
«Ancora
quel tipo lì?» sbuffò
Catherine. «Come fa a piacervi? Ci sono così tanti
libri babbani interessanti…
E poi non vale: si capisce che il regalo viene da te, Fera!»
«È
un regalo fantastico!»
ringraziò invece Paul. «Grazie, Fera, lo
leggerò stasera stessa.»
«Assolutamente!
Devo sapere cosa
ne pensi di…»
Catherine
tossì.
«Oh,
giusto… Giusto, finiamo
prima con i regali. Chi è il prossimo?»
«Percy»
disse la padrona di casa
porgendo all’ospite un pacchetto rosso.
«Non
penso faccia parte del gioco
babbano» rifletté, girandoselo tra le mani.
«Non riconosco la vostra calligrafia.»
«Beh,
è questo il punto, no?
Aprilo, dai!»
Titubante,
Percy lo scartò.
Conteneva una confezione di dolcetti. Sorrise.
«Deve
averli fatti la mamma.
Strano, di solito ci manda un maglione…»
Gonfiò il petto. «Forse vuole
congratularsi per il posto al Ministero.»
«Ma
se hai cominciato mesi fa!»
«È
sempre un traguardo da
festeggiare.»
Fera
avrebbe voluto afferrare il
regalo con su scritto il proprio nome, ma Percy titubava, continuando a
fissare
i dolcetti.
«Va
bene» sospirò. «Puoi
mangiarne uno, non ti chiederemo di offrircene.»
«Non
so cosa tu voglia…»
«E
mangiali!» sbottò Catherine.
Di
fronte a tale sfoggio di
maleducazione e in virtù del buon nome delle feste
natalizie, Percy non poté
fare altro che obbedire. Prese una delle quattro crostatine al limone
dalla
scatola e le diede un morso; apprezzandone il sapore, la
finì in soli due
bocconi.
E
cominciò a diventare giallo.
Con
terrore crescente, notò le
proprie mani allungarsi e le dita trasformarsi in piume dello stesso
colore,
mentre dove poco prima c’era stato il suo naso comparve un
becco aguzzo, che scalciò
gli occhiali per terra.
Caddero
insieme alla scatola
regalo, che rovesciandosi rivelò un biglietto nascosto.
I tuoi fratelli
sono geniali!
Buon Natale,
idiota
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Capitolo 2 *** Primo ballo ***
Primo
ballo
«Dici
che se riempio la Casa
di vischio sarà costretto a baciarmi?»
Fera
sorrise genuinamente, osservando
la coppia che ballava al centro del cortile. I novelli sposi avevano
scelto una
canzone di Celestina Warbeck, Mi hai stregato il cuor,
e a giudicare dalla
commozione di Paul la decisione non era stata sua. Catherine aveva
spiazzato
tutti: aveva lasciato che Paul si occupasse praticamente di tutto,
conscia che il
vero romanticone della coppia era lui, e si era riservata per
sé solo alcuni
punti della lista, tra cui la musica.
«Paul
credeva che avrebbe messo
le Sorelle Stravagarie per il primo ballo» disse Percy, come
leggendole nel
pensiero.
«Lo
so, se la stava facendo sotto.»
«Dopo
quella serenata…»
«No,
ti prego, voglio
dimenticarla!»
Applaudirono
entrambi quando la musica
terminò, ed ebbero per fortuna la prontezza di afferrare due
fette di torta
nuziale che un elfo domestico stava porgendo loro, prima che la sposa
li
costringesse a raggiungerli in pista.
«Come
stai?» si decise finalmente
a chiedere Fera al suo migliore amico, dopo essersi rimangiata quella
domanda
per tutto il pomeriggio.
«Bene,
perché?»
L’ingenuità
con cui Percy la
fissava le fece tirare un sospiro di sollievo.
“Perché
è il primo evento sociale
a cui partecipi da quando Penelope ti ha mollato.”
«No,
così, chiedevo se ti stessi
divertendo.»
«Ah,
sì, è una bella festa.»
«Prima
mi è venuto in mente di
quando Catherine voleva intrufolarsi nella Sala Comune di Corvonero per
riempiere la stanza di vischio» rise Fera. «Voleva
farsi scoprire da Paul per
costringerlo a dichiararsi.»
«Ma
è una violazione delle
regole!»
«Rilassati,
Perce, non siamo più a
scuola.»
«È
comunque sbagliato.» Percy
rimase in silenzio qualche secondo, poi chiese: «E ha
funzionato?»
«Tu
che dici?»
Avevano
sbagliato a perdersi in quei
ricordi: approfittando dei piatti ormai vuoti e della loro distrazione,
Catherine
comparve improvvisamente alle loro spalle e afferrò i polsi
di entrambi.
«Uno.
Uno solo.»
Le
loro proteste furono vane, e
nessuno dei presenti venne in loro aiuto: chi avrebbe potuto
contrariare la
sposa il giorno delle nozze?
“Peggio:
chi potrebbe contrariare
Catherine?”
Alla
fine Percy, con un sospiro,
porse una mano a Fera.
«Vuoi
ballare?»
Chissà
cosa sarebbe accaduto, se
gli avesse risposto di no.
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Capitolo 3 *** L’appuntamento (im)perfetto ***
L'appuntamento
(im)perfetto
«Aspetta,
potresti ripetere?»
«Un
primo appuntamento. Non è
così strano.»
«Invece
sì, Perce: stiamo insieme
da mesi!»
«Senza
avere nemmeno un
appuntamento.»
Percy
stava diventando sempre più
rosso, eppure Fera non accennava a capire. Non era tanto difficile, la
sua era
una richiesta perfettamente legittima. Sospirò, si sistemo
gli occhiali sul
naso appuntito e guardò la sua espressione smarrita,
preparandosi a spiegare il
suo piano.
«Da
quando ci siamo… da quando
siamo diventati una coppia, la nostra relazione è rimasta
più o meno la stessa.»
«Se
vederti con il pigiama di
flanella significa questo…»
«Mi
riferisco alle nostre uscite,
Fera. Lavoriamo, ci scriviamo lettere e, se abbiamo qualche notizia
importante
da comunicarci, ci Smaterializziamo al Paiolo Magico.»
«Vorrei
soltanto farti notare
come appariamo in questa descrizione…»
«Amici.»
«No:
colleghi. Ci vedevamo
e ci vediamo ancora anche per stare insieme, lo sai. Per Priscilla,
abbiamo dormito
nello stesso letto!»
«Posso
concedertelo, ma agli
occhi di tutti non sembriamo una coppia.»
Fera
sollevò un sopracciglio.
«Agli occhi di chi, per esattezza?»
Le
orecchie di Percy avvamparono
di nuovo; per fortuna, la sua ragazza fu abbastanza perspicace per
capire.
«Oh,
no, no… Tu non parli di
Catherine e Paul… Tu parli dei tuoi genitori!»
esclamò reprimendo una
risata. «Ti vergogni perché quando vengo a
trovarti ci comportiamo come
sempre.»
«Non
è esattamente questo…»
«Vorresti
che ti baciassi davanti
a tutti?» lo canzonò. «Che ti prendessi
per mano? Vorresti mangiare la torta
dal mio piatto?»
«Voglio
che andiamo a cena
fuori!» sbottò infine lui. «Voglio fare
qualcosa che non abbiamo mai fatto. Ti
vengo a prendere, ti porto al ristorante e ti riaccompagno a casa. Non
mi
sembra di chiedere molto.»
Fera
sorrise. «Perché no? D’accordo,
allora, vada per questo venerdì.»
Due
giorni dopo Percy si trovava di
fronte all’appartamento che Fera aveva preso in affitto a
Londra. Teneva in
mano un mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini acquistati a
Diagon Alley,
ma non si sentiva a disagio: amante delle regole, stava solo cercando
di
seguire i dettami dell’appuntamento perfetto. Mentre saliva
le scale, si trovò
di fronte proprio Fera.
«Che
ci fai qui?»
«Ti
vengo incontro.»
«Dovevo
bussare alla porta!»
«Ah,
ok… Se proprio devi… Torno
indietro?»
«Non
prendermi in giro. Tieni.»
Le
consegnò fiori e cioccolatini
con meno gentilezza di quanto avrebbe voluto, così per
recuperare tossì, si
chinò in avanti e la baciò sulla guancia. Fera
sorrise divertita.
«Sai
già dove andare?»
«Certamente.
Ho prenotato a
Soho.»
Lei
strabuzzò gli occhi. «Hai
scelto un ristorante babbano?»
«Pensavo
ti facesse piacere.»
«Oh,
sì… Sì, certo. Andiamo
allora.»
Nonostante
la buona volontà, la
sua decisione si rivelò poco fruttuosa, e poteva capirlo
anche dalle
espressioni infastidite di Fera che lei tentava di dissimulare, ma che
il
ragazzo, dopo oltre sette anni di conoscenza, sapeva riconoscere
immediatamente.
In
primo luogo, al posto della
neve che gli sarebbe piaciuto trovare in quel periodo
dell’anno, si era alzata
una nebbiolina che aveva appannato i suoi occhiali, facendolo finire
con i
piedi dentro una pozzanghera. Nel ristorante che un collega del
Ministero gli
aveva consigliato – forse per fargli un brutto tiro
– non c’era un bagno a cui
recarsi, quindi Percy non poté usare un incantesimo per
asciugare pantaloni,
scarpe e calzini, mentre Fera partì con
un’invettiva contro il proprietario,
che per legge doveva tenere un bagno nel suo esercizio. Solitamente
Percy le
avrebbe dato il proprio sostegno, ma quella sera voleva soltanto un
appuntamento da manuale, e temeva che il ristoratore gliela avrebbe
fatta
pagare durante il pranzo.
Riuscì
– non senza problemi – a convincere
Fera a mettere una fine a quella discussione e a trascinarla in un
locale
vicino, un pub irlandese che sul momento credette potesse piacere alla
ragazza,
date le sue origini; al contrario, si ritrovarono avvolti in una cappa
di fumo,
tra Babbani che avevano alzato troppo il gomito e un cameriere alle
prime armi,
che confuse la loro ordinazione con quella di una coppia che non vedeva
l’ora
di litigare. Mantenendo la calma, Percy aveva risolto il disguido e
aveva
mandato giù una brodaglia insulsa, che fece storcere le
labbra anche a Fera, la
quale tuttavia decise di tenere per sé il proprio
disappunto. Per concludere il
pranzo in bellezza, Percy dovette chiederle aiuto dopo essersi confuso
alla
cassa con i soldi babbani, perché la proprietaria del pub
stava iniziando a
perdere le staffe.
Quando
uscirono da lì erano ormai
le quattro del pomeriggio, avevano entrambi ancora fame e non vedevano
l’ora di
mettere fine a quell’appuntamento disastroso.
«Ehi,
guarda» esclamò d’un tratto
Fera, indicando la via su cui si trovavano. Erano finiti su Charing
Cross Road,
a qualche edificio di distanza dal Paiolo Magico.
Sospirando
mesto, Percy le
propose di fermarsi a prendere un tè. «Andiamo da
Fortebraccio, però» aggiunse.
«Bill mi ha detto che ora vende gelato caldo. Giusto per
cambiare un po’ aria.»
Fera
acconsentì. Si stavano
dirigendo da Fortebraccio quando qualcosa attirò
l’attenzione della ragazza,
che si fermò di fronte a una vetrina. La
vetrina.
«Vuoi
fare un giro al Ghirigoro?»
le propose.
Annuendo,
Fera lo precedette all’interno
della libreria, conducendolo verso la pila del Nuovo Manuale di
Legislazione
Magica – Riveduto e Aggiornato. Stava sfogliando il libro
quando la sentì
sbuffare, inveire contro il curatore, chiedersi se avesse studiato a
Beauxbatons. Alzò lo sguardo su di lei e la vide persa
completamente nel
proprio mondo, un mondo in cui lui ora aveva una parte importante, e
sorrise
nonostante tutto.
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Capitolo 4 *** Il ragazzo del treno ***
Il
ragazzo del treno
«L’ho
preso prima io.»
«Non
provarci, spilungone. Hai
solo le braccia più lunghe.»
«Non
ho intenzione di cedere.»
«Nemmeno
io.»
Rimanere
in punta di piedi era
fastidioso, ma Fera avrebbe fatto questo e altro per tenersi stretto il
libro
di Phyllida Spore che era riuscita miracolosamente a trovare in
biblioteca. Qualche
idiota lo aveva lasciato nella sezione sbagliata, forse
perché credeva che
fosse divertente far perdere tempo a studenti che,
come lei, non
perdevano tempo in stupidi scherzi. E, ora che lo aveva finalmente
trovato, un primino
di Grifondoro voleva soffiarglielo da sotto il naso.
«Mi
serve per un tema di
Erbologia.»
«Anche
a me.»
«Beh,
puoi usare il manuale.»
Fera
tirò con più forza, ma non
riuscì a strappare il libro dalla presa del ragazzino dai
capelli rossi – non
riusciva a vederlo bene, concentrata anche con lo sguardo sul conflitto
in
corso.
«Usalo
tu, il manuale.»
«Lo
faranno tutti! Senti, ho
lasciato qui questo libro perché nessuno lo
trovasse…»
«Ah,
allora sei stato tu!»
esclamò Fera a voce fin troppo alta. Pregò che
Madama Pince non l’avesse
sentita.
Finalmente
rivolse maggiore
attenzione al suo rivale, riconoscendone le fattezze.
«Tu
sei il tipo del treno.»
Si
vergognava un po’: nonostante
avessero fatto insieme il viaggio verso Hogwarts, Fera non gli aveva
chiesto il
suo nome. Né si era presentata a lui.
«Già,
quindi dovresti sapere
quanto per me sia importante questo tema. È questione di
vita o di morte…»
«Per
Priscilla! Si tratta di un
tema, non dei M.A.G.O.!»
«Se
voglio ottenere il massimo
dei voti devo concentrarmi fin da subito.»
«Va
bene, senti» decise infine la
Corvonero. «Facciamo così: usciamo quel cavolo di
libro insieme. Io non parlerò
e tu non parlerai. Ci stai?»
Il
ragazzo di Grifondoro parve
riflettere un paio di secondi, poi annuì.
«Si
può fare. Sono Percy,
comunque.»
«Fera.»
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Capitolo 5 *** Rimorso ***
Rimorso
8 dicembre 1997
Ricordi
dove eravamo,
esattamente due anni fa? Avevamo iniziato ad addobbare casa per il
nostro primo
Natale insieme. Sono bravo con i termini tecnici, ma con i sentimenti
sono una frana.
Non so scrivere lettere, non so rievocare le emozioni che ho provato
quel
giorno. Ero solo immensamente felice.
E
pieno di vergogna.
Ti
avevo nascosto la verità: i
miei genitori non mi avevano ripudiato, ero stato io
a farlo. Ho reagito
così male quando poi l’hai scoperto
perché… perché mi ero comportato da
vigliacco, celandoti la verità. Sapevo che avremmo discusso
e, nel profondo,
credo di essere sempre stato certo che saresti stata nel giusto.
Che
razza di figlio ripudia la
propria famiglia per pura ambizione?
Adesso
ho aperto gli occhi. Il
Ministero è nelle mani dei Mangiamorte, i miei genitori e i
miei fratelli sono
in pericolo. Ginny, che ha solo sedici anni, ha dimostrato
più coraggio di me.
Si è schierata dalla parte giusta, e tremo pur sapendo che,
in quanto
Purosangue, non rischia la propria vita. Non per il momento.
Tu
sì, invece. Per questo ti
sto inviando questa lettera tramite posta babbana,
all’indirizzo dei tuoi
genitori. Rischio di essere intercettato per i miei legami di sangue e
non
voglio che le attenzioni si concentrino su di te. Non so quando ti
arriverà, ci
tenevo solo a dirti che avevi ragione, hai sempre avuto ragione su me.
Anche
quando mi hai chiamato vigliacco.
Ci
sarà un censimento nei
prossimi giorni, tu e Med siete al sicuro. Almeno questo posso farlo.
P.
Percy
Weasley aveva sottovalutato
la posta babbana – no, gli aveva decisamente dato fin
troppa fiducia.
Quella lettera era arrivata in Irlanda quasi cinquanta anni dopo essere
stata
spedita, quando ormai quel censimento era avvenuto e quando loro due si
erano
ricongiunti in amicizia.
Era
successo di tutto nel
frattempo, una quantità di avvenimenti impossibile da
ricordare nei dettagli.
Solo una cosa era rimasta uguale, ora come allora, se la lettera fosse
arrivata
in tempo.
Sghignazzando,
una Fera ormai
settantenne corse a inviarla a Med.
Povero
Perce.
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Capitolo 6 *** Gatti e Pallini Acidi ***
Gatti
e pallini acidi
Quando
Med notò Fera seduta nel
chiostro, il volto nascosto dietro un grosso volume di Difesa Contro le
Arti Oscure,
arretrò di colpo dietro una colonna, insicura su come agire.
Accarezzando il
nero pelo di Ser Pounce, si chiese come avrebbe potuto iniziare il
discorso.
“Ehi,
ciao, come butta? Com’è
Lupin con quelli dell’ultimo anno? Non parliamo da un
po’, ma evidentemente il
mio gatto ti ha riconosciuta dall’altra parte del cortile
perché mi ha tirato
fino a qui, perciò ehi, come stai? Ti va una tazza di
cioccolata in Sala Grande?”
Inutile:
avviare una
conversazione casuale dopo ciò che c’era stato fra
loro due sembrava
impossibile. Rettificò il proprio pensiero: non dopo
ciò che c’era stato, dopo
ciò che aveva fatto lei.
Era
stato faticoso per Med farsi
delle nuove amicizie, dopo il diploma di Louis – no, a lui
non avrebbe pensato
mai più – e la fine dei rapporti con Lobelia
Parkinson e compagnia bella; le
era rimasto vicino soltanto Theo, ma era piccolo, e
quando aveva
incontrato Fera tutto era cambiato. Aveva avuta un’amica,
ancora prima che una
fidanzata. Aveva perfino riacquistato fiducia in se stessa. E quando
dei
cretini della sua Casa se l’erano presa con lei…
Med aveva temuto di rimanere
di nuovo sola. Sola fra i Serpeverde.
“Stupida
cogliona.”
Erano
passate settimane ormai e
lei sentiva la mancanza di Fera, aveva bisogno di riaverla accanto,
almeno come
amica, eppure la vergogna era tale da impedirle di fare il primo passo.
Mentre
rifletteva sulla sua
stupidità e su come farsi perdonare, si accorse che a Fera
si era avvicinato il
Caposcuola di Grifondoro, Weasley, e che per qualche sciocco motivo tra
di loro
era scoppiata una lite. No, bisticciavano appena, ma Fera doveva averlo
messo
in imbarazzo, perché ora il quattrocchi se ne stava andando
con la coda fra le
gambe.
Continuando
ad accarezzare la
testolina di Ser Pounce, Med si diresse distrattamente verso di lei, lo
sguardo
fisso su Weasley.
«Ha
ingoiato un Pallino Acido?»
domandò soprappensiero.
«Secondo
lui non dovrei sedere scomposta.
Non è da Caposcuola»
commentò Fera, già tornata dietro al libro.
Era
un inizio. Molto differente
da quel che si era aspettata, ma pur sempre un inizio. Si sedette
accanto a
lei, il gatto che faceva le fusa tra le sue braccia.
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