Io che amo solo te

di EcateC
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Alla cara Ecate,
che è rimasta con Mary fin proprio alla fine
.

 


 

Trenton,
A. S. 16 febbraio 1889

 

Mio caro Dottor Watson,

Quando sono sbarcato nel porto di Atlantic City, in New Jersey, la prima cosa che ho pensato fu che volevo tornare subito a Londra. Non mi fraintenda, è stata l’America ad accogliermi nella maniera più ostile che si possa immaginare, con un tentativo di furto perpetrato a mio danno mentre scendevo le scale del transatlantico. È stato un falco fulmineo, una freccia di sedici anni alta un metro e sessantasei, scura di carnagione, 41 di scarpe, che mi ha spodestato della borsa senza nemmeno darmi il tempo di voltarmi. Ho dato spettacolo rincorrendolo per tutto il porto e quando l’ho acciuffato, il ragazzino era incredulo. Non si era aspettato una tale rapidità di riflessi e di piedi da parte di un turista inglese, un quisque de populo reduce tra l’altro da un viaggio lungo e periglioso. Come dargli torto, ma d'altronde non tutti possono vantare di avere per amico un medico scattante e abile come lei. Anche con una gamba acciaccata lei continua a essere un corridore migliore di me, Watson.
Comunque, se questo è stato il mio ingresso nel suolo americano, posso anticiparle fin d’ora che la mia permanenza non è stata da meno, ma procediamo con ordine.

Non persi tempo e presi l’accelerato per Trenton. Dovevo incontrare il gentiluomo che mi aveva pagato questo lungo viaggio e promesso un lauto compenso se fossi riuscito a dirimere il caso che tanto lo tormentava, ovvero la scomparsa di suo padre e del suo fedele maggiordomo. Come ben sa, in genere non mi occupo di sparizioni, ma questa volta volli fare un’eccezione. Il fatto che questo signore mi avesse contattato dal New Jersey, millantando che io costituivo la sua ultima speranza, sul momento mi riempì di orgoglio. Non credevo che la mia fama avesse varcato i confini europei e si fosse spinta così lontano. E poi quale altro caso mi avrebbe permesso di viaggiare gratis, in prima classe, verso le Americhe? Quale altro cliente mi avrebbe offerto un compenso simile? Questi ultimi due sono stati i suoi incoraggiamenti, Watson. Pur con tutto il suo garbo, mi ha fatto intendere che sarei stato un vero idiota se non ne avessi approfittato. Eppure c’era qualcosa che non mi convinceva fino in fondo. Il mio intuito, reso affilato dall’esperienza, mi suggeriva a gran voce di diffidare da questo gentiluomo dalla grafia equivoca e dall’atteggiamento misterioso. Se si ricorda, a suo tempo le feci notare che la carta e la busta della missiva erano prive di personalità, non presentavano un solo segno e non emettevano un solo odore, come se il mittente fosse stato a conoscenza delle mie capacità di dedurre i fatti ignoti da quelli noti.

Non nego che pensai subito a Irene Adler, la mia affascinante amica di gioventù, che era residente proprio in questa terra lontana. Se sono partito, è stato anche per quello. Trenton è sì una grande metropoli, ma non ci sarebbe più stato l’intero oceano a separarci. L’idea di farle visita e di conoscere suo marito, magari anche i suoi figli, mi incuriosiva e ributtava allo stesso tempo.

Avrei dovuto immaginare che presto questa mia indecisione sarebbe caduta nel nulla. L’uomo misterioso che mi aveva scritto, pagato il viaggio e ingaggiato qui, si rivelò niente meno che Miss Adler in persona. Ovviamente, aggiungerei io.

“Non saresti venuto se ti avessi detto la verità, Sherlock.”

Questo fu tutto ciò che lei mi disse quando, sgomento, la vidi comparire nel locale dove mi aveva dato appuntamento.

Ammetto che sarei venuto ugualmente. Avrei pagato il viaggio di tasca mia e non avrei tardato così tanto ad arrivare, ma non le avrei negato il mio aiuto. Non le serbo rancore, malgrado tutto, e a prova di ciò posso dire che mi fece uno strano effetto sentire il mio nome pronunciato ad alta voce. Nessuno mi chiamava più così da tempo immemorabile. 

Lo strano effetto non era altro che contentezza. 

Caro Watson, lei non ha idea di come sia questa donna. È un delicatissimo intreccio di contraddizioni, il cui risultato finale risulterebbe intrigante agli occhi di chiunque. Il mio cuore adolescente ne era innamorato pazzo, il mio cuore adulto si limita a riconoscerne il fascino con disincantata freddezza.

Ci appartammo a parlare e la prima cosa che notai fu che lei non indossava la vera al dito. Scelta a dire poco azzardata, considerando che era uscita a incontrare un uomo non sposato come il sottoscritto, ma non da fraintendere. Tra me e lei c’è sempre stato un rapporto di pura e sincera amicizia, nient’altro. La formalità tra noi non era necessaria.

Dunque mi raccontò tutto. Suo padre Leopoldo e l’anziano maggiordomo Orazio erano spariti e nel giro di pochi giorni i miei timori si erano rivelati esatti: i due erano stati uccisi. Quattro ribelli boemi, sopravvissuti alla rivoluzione, li avevano freddati in nome del loro defunto sovrano e si erano nascosti in un bugigattolo senza preoccuparsi di nascondere le loro tracce. Trovarli nella periferia della città fu per me una sciocchezza, dirlo a Irene fu invece molto difficile. La morte di un genitore, seppur molto anziano, spezza sempre il cuore. Anche Orazio fu per lei una perdita incommensurabile.

Mi avvicinai a lei col cappello tra le mani e l’espressione luttuosa. Irene e io ci conoscevamo da molti anni ormai e lei comprese cos’era accaduto guardandomi semplicemente negli occhi, senza bisogno che io le spiegassi alcunché. Mi ha abbracciato molto forte e mi ha ringraziato. Io l’ho ricambiata con trasporto e mentirei se le dicessi che il profumo dei suoi capelli e il contatto ravvicinato col suo corpo non mi sortirono alcun effetto. Non avevo mai abbracciato con tanta passione una donna, dunque per me erano state tutte sensazioni nuove e fortissime, ma viste le tristi circostanze mi imposi di fare finta di nulla. 

Il caso tuttavia era risolto e la mia presenza non era più necessaria. O almeno così pensavo, quando mi sono recato da lei per salutarla, il pomeriggio dopo che si erano tenute le esequie. Sapevo che era immersa nel dolore, credevo che non avrebbe avuto nemmeno la forza o la voglia di ricevermi e in quel caso non gliene avrei fatto una colpa. Venni comunque accolto dalla sua domestica, la quale mi disse che la signora si era chiusa in camera e non voleva vedere nessuno. Era comprensibile…

“Le porti i miei saluti” dissi allora per congedarmi. Feci per andare verso la porta, ma la voce squillante di Irene mi fermò inaspettatamente sull’uscio.

“…Sherlock!?”

Mi voltai di scatto e la vidi che si era sporta dal corrimano delle scale, in veste da casa. Mi fissava con un’espressione basita e incredula al contempo, come se la mia decisione di partire l’avesse in qualche modo offesa. 

“Che stai facendo!?” mi ha domandato con tono accusatorio, quasi aggressivo.

“Torno a Londra naturalmente” le ho risposto con ovvietà “Ero solo venuto a salutarti.”

Irene cambiò espressione e scese in fretta i gradini, dire che non fosse presentabile era un eufemismo.

Salutarmi?” ripetè con gli occhi gonfi, raggiungendomi in fretta “Oh, Sherlock…”

Mi ha supplicato di restare qualche giorno in più e io le ho detto di sì senza nemmeno pensarci.

 

La situazione era scomoda e si prestava a molti imbarazzi. Alloggiavo a sue spese in un albergo molto costoso e raffinato, dunque dopo nemmeno una settimana decisi di andarmene e trasferirmi un posto più modesto e adatto alle mie tasche. Irene insistette, ma io non volli sentire ragioni. 

Il triste giorno dei funerali mi resi conto che non era accompagnata. Mi raccontò senza tanti preamboli che suo marito Godfrey Norton l’aveva ripudiata dopo averla sorpresa a letto con un altro. Il fatto mi scandalizzò, anche se non lo diedi a vedere. Lei aggiunse che suo marito era sempre stato un uomo inetto e mediocre, e che il suo matrimonio era stato combinato. 

“Non l’ho mai amato, Sherlock” si giustificò inquieta, con gli occhi velati di lacrime “Non giudicarmi male, ti prego.”

“Non ti giudico” la rassicurai. Non avevo nemmeno le basi empiriche per giudicarla, che giudice può essere uno che non conosce dettagliatamente i fatti?

Mi misi solo la pipa in bocca, il fumo mi aiuta a pensare. Immaginai un marito che scopre brutalmente di essere tradito e una moglie costretta a vivere ogni singolo giorno con un uomo che disprezza. In quel momento più che mai ho sentito la sua mancanza, caro Dottore. Lei in queste faccende rappresenta per me la luce della ragione.

 L’ho guardata e mi sono reso conto con una certa sorpresa che lei mi aveva fissato per tutto il tempo sotto le sue folte ciglia. Ho abbassato di scatto lo sguardo, fu una reazione istintiva, ma poi mi sono imposto di rialzarlo. Lei mi ha sorriso e mi ha preso una mano tra le sue. 

“Sai tutto di me adesso” mi ha detto con una dolcezza a dire poco equivoca “Io invece non so niente di te.”

“Non c’è molto da sapere” tagliai corto. Dopotutto era vero. 

“Non fare il modesto, non ti si addice” scherzò, accarezzandomi le dita con le sue “Raccontami uno dei tuoi casi, il più interessante.” 

Per qualche ignota ragione in quell’istante persi l’uso della parola. La guardavo e non riuscivo a parlare, le mie guance si erano scaldate dall’imbarazzo. La bellezza di Irene Adler è difficile da descrivere, è una di quelle bellezze che un uomo di chiesa considererebbe empia e indecente. I suoi capelli sono rossi e ricci, grintosi, e la sua notevole altezza la rende ancor più vistosa di quanto già è. Gli uomini la guardano sgranando gli occhi e le donne, così scialbe rispetto a lei, si indispettiscono.

La sua focosa bellezza, unita a quella intimità eccessiva, mi avevano sopraffatto.

Ho guardato fuori dalla finestra della carrozza e mi sono ripreso in fretta. 

“Non sono belle storie, Irene, lo sai. E non sono certo adatte a una signora che sta portando il lutto.” ho esclamato con ovvietà. Forse sono stato sgarbato, dato che lei mi ha lasciato bruscamente la mano.

“Hai ragione, come al solito” mi rispose freddamente, voltandosi del tutto verso il vetro opposto al mio.

Presi una boccata di fumo e guardai il suo riflesso. Irene aveva un’aria molto seccata e io mi sentii a disagio, la mia incapacità con le donne si era riconfermata per l’ennesima volta.

 

Dopo i funerali, lei rimase in lutto per una buona settimana. L’accompagnavo a pranzo e dopo passeggiavamo per questa città a me del tutto sconosciuta. Irene mi prendeva sempre sotto braccio, sembrava provare un certo gusto nel farlo. Avrei voluto essere più massiccio, ma dopotutto non era certo per la mia avvenenza che sopportava la mia compagnia. Si sentiva invece molto sola.

L’ultimo giorno del lutto mi propose di accompagnarla a teatro per una sera della settimana successiva. Io non avevo degli abiti adatti ma lei insistette e perciò dovetti noleggiare un completo elegante, che mi costò quanto un pointer inglese. Ma poi, come la vidi scendere le scale e raggiungermi, compresi che quella spesa era stata un’inezia. Con quell’abito da sera Irene era uno schianto, si riconfermò la donna più bella che avessi mai visto. Il verde agata risaltava il rosso dei suoi capelli e il taglio dell’abito, così stretto e scollato, aderiva in modo perfetto al suo corpo. Mi complimentai con lei ma non assecondai il bruciante impulso di darle un bacio solo perché erano appena morti Leopoldo e Orazio, e perché non avevo più quindici anni. Un bacio scambiato alla nostra età ha un significato ben più profondo di uno dato durante l’irruenza della gioventù. 

Dopo quella settimana io iniziai a pensare di tornare a Londra. La mia presenza non aveva più molto senso, Irene aveva superato il baratro dei primi giorni e stava cercando di andare avanti, di sorridere e tenersi impegnata. Aveva già un fitto programma delle sue prossime esibizioni canore. Era un soprano molto richiesto, forse anche per la sua presenza scenica.

Sentirla cantare sarebbe stato meraviglioso, ma ragionandoci sopra, mi resi conto che non era la cosa giusta da fare. Mi mancava solo sentire la sua voce accompagnata dagli archi e poi mi sarei innamorato definitivamente, di nuovo. Non potevo permettere che accadesse e rivivere lo stesso tormento che avevo provato diversi anni fa, quando la vidi scomparire all’orizzonte a bordo di quella nave diretta a New York. Fu terribile, Watson. Ero innamorato, avevo già per la testa l’idea di sposarla e l’unico scoglio che vedevo frapporsi tra noi mi sembrava Arsene Lupin, il nostro fascinoso e galante compagno d’avventure. Non potevo immaginare che si sarebbe frapposto l’intero oceano e che avrei passato degli anni senza vederla. Per questo avevo fretta di andarmene, stare con lei mi faceva ritornare il ragazzo che ero stato.

Ma di nuovo, quando le dissi che ero intenzionato a partire, lei reagì male e poi si sciolse in lacrime. Rimasi basito, Irene non aveva versato una sola lacrima durante i funerali e io dimostrai di essere il consolatore più impacciato della storia. Eravamo fuori al ristorante, la gente aveva iniziato a guardarci. Mi alzai dalla sedia e mi parai di fronte a lei.

“Irene…”

“Resta, ti prego” mi supplicò, prendendomi entrambe la mani “Ho solo te, Sherlock, non lasciarmi anche tu.”

Lasciarla, assaporai il significato di questa parola equivoca. Per lasciare qualcosa, per logica bisogna prima averla, dico bene? Ha solo me.

“Io non te l’ho mai proposto perché non riesco davvero a capire se potrebbe interessarti oppure no” continuò lei, molto incerta “Ma se vuoi venire da me, è inteso che ti ospiterei più che volentieri.”

Sgranai gli occhi “Intendi a casa tua?”

Lei mi sorrise “Perché non saliamo a bere qualcosa? Non mi va più di stare qui.”

“Certamente.”

Prendemmo la prima carrozza disponibile e io la seguii fino in casa sua. Ammetto che mi sentivo eccitato e mentirei se dicessi di non avere colto la sfumatura amorosa della sua proposta. Fui comunque colpito dalla bellezza e dalla sontuosità della sua casa, sapevo che gli Adler fossero ricchi, ma la casa di Leopoldo non era così lussuosa. La sua carriera di cantante teatrale doveva averle portato molto denaro.

C’erano degli affreschi di pregio nelle pareti, i pavimenti di marmo bianco erano tirati a lucido e dei fiori freschi erano disseminati in ogni dove, regali dei suoi ammiratori. Il fiore più bello tuttavia era rosso e camminava davanti a me. Stavo ancora guardando le pareti quando Irene mi si gettò tra le braccia e catturò le mie labbra in un bacio.

“Resta” mi sussurrò piano “Ti voglio con me, non posso più vivere senza di te.”

Sono rimasto. Non avrei potuto fare altrimenti, nemmeno con tutta la forza o il coraggio del mondo avrei potuto dirle di no. Soprattutto dopo quel bacio, la nostra carne è così debole di fronte a certe donne, sono letteralmente disarmanti.

E infatti può ben immaginare cosa è accaduto dopo. 

Lungi da me renderla edotta di dettagli scabrosi, ma quando si desidera qualcosa da tanto tempo, al punto da essersi rassegnati all’idea di non averla, dopo poi ottenerla ti sconvolge la vita, ti inquieta. Io mi sentivo nervoso e impacciato come mai mi era capitato in vita mia. Non sapevo cosa potevo fare senza correre il rischio di offenderla o valicare il suo consenso. Nessuno mi aveva mai detto o spiegato niente, tuttavia lo appresi in fretta e la ricambiai con una passione vorace, estranea, che mi era sgorgata direttamente dal petto e aveva acceso di fuoco tutto il mio corpo. 

È stato meraviglioso, la dolcezza di Irene sconvolgente. E il fatto che fossi insieme alla mia Irene Adler ha acuito al massimo grado ogni sensazione. Con un’altra donna, anche più bella di lei, non sarebbe stata nemmeno lontanamente la stessa meraviglia.

La mattina seguente mi sono svegliato dopo di lei, mi sentivo audace come un leone e felice come un idiota. E questa strana sensazione di euforia non si è sopita col passare dei giorni, continua tuttora a durare e si intensifica a ogni sorriso o tenerezza che lei mi rivolge…

Confido che a questo punto che lei abbia capito perché non sono ancora tornato a casa, mio caro Watson.

Oggi la guardo, la guardo insistentemente. È così bella che mi sento un privilegiato, così bella che non mi capacito. Sono in camera con lei e posso guardarla mentre si muove tra le sue cose, nel suo ostinato disordine. Dormo in un letto principesco, drogato e allo stesso tempo assuefatto dal suo profumo. 

Mi sembra di vivere in una realtà provvisoria e destinata a frantumarsi nel giro di pochi secondi, una breve utopia che ha preso forma all’improvviso. Questa aria di precarietà che respiro mi rende irrequieto e appassionato come un ragazzino. La voglio ancora e ancora, insaziabilmente. Sento la paura svanire quando siamo uniti e la stringo forte, la sento qui con me più che mai. Spero sia una prima fase del l’innamoramento e di tornare presto l’uomo ragionevole che sono stato fino a poco tempo fa, ma ho molti dubbi a riguardo.

Il fatto è che ho mentito, io la amo da sempre, da quando mi ha battuto a scacchi a Saint Malo, da quando l’ho vista osservare una rissa di strada con gli occhi sgranati. Avevo quattordici anni, non ero uomo del tutto e già mi ero ritrovato a sognare momenti come questi. 

Potrei dirle che va tutto bene e che sono felice qui con lei, ma direi una menzogna. Amo Irene, ma non va tutto bene.

Mi manca tutto della mia precedente vita. Provo una nostalgia che lei non può nemmeno immaginare. La noia qui a volte mi spiazza. Sono costretto costantemente a conversare con persone povere di contenuti e Irene stessa talvolta è difficile da sopportare. Vuole uscire a passeggio tutti i giorni e spende una quantità spropositata di denaro in abiti, capellini, scarpe e altri vezzi che lei, Watson, non può nemmeno immaginare. Ha un guardaroba che farebbe invidia alla Regina Vittoria.

Gliel’ho fatto presente e abbiamo litigato. Le ho detto che mi annoiavo e abbiamo litigato di nuovo. Lei rimarca sempre il fatto che sono intrattabile e che “non capisco niente come tutti gli uomini”. Sì, ha letto bene. Sono certo che la sua compianta Mary Morstan non abbia mai fatto certe insinuazioni, a me Irene ne fa tutti i giorni. Io e lei litighiamo spesso ma rimediamo con l’amore altrettanto spesso, e questo mi ripaga di tutto… Fino a che non subentra di nuovo la noia, la banalità e la routine. Se vedesse quanto mi sono ingrossato e impigrito, non mi riconoscerebbe. Sto conducendo una vita dedita ai piaceri e alla nullafacenza, e più il tempo passa più mi sento imbrigliato in queste catene dorate. Medito spesso di fuggire, ma poi vedo Irene e ogni proposito sfuma, è come se mi avesse lanciato un potente incantesimo. Disprezzo questa mollezza, ma quando l’assaporo e ci sono dentro, sento di non desiderare altro al mondo.

Vorrei che lei fosse qui, Watson. Sono certo che il suo garbo e la sua proverbiale pazienza mi aiuterebbero a superare questa prima fase di patologica dipendenza. E poi le farei conoscere Irene, sa quanto considero la sua opinione, sarei curioso di sapere cosa pensa di lei.

Arrivederla al più presto,

SH




 


 

Note

Raramente mi è capitato di perdere la testa per coppie impopolari, forse mai. Ma ora faccio coming-out: amo la Adlock, è diventata ufficialmente la supreme leader delle mie OTP. Purtroppo, aggiungerei, dato che qui in Italia non piace praticamente a nessuno, ma non importa, al cuor non si comanda.

Il mitico Arsene comparirà nel prossimo capitolo, nonché l’ultimo. Volevo pubblicare tutto in un’unica one-shot, ma questa volta mi sono impuntata di dividerlo, credo forse sia meglio.

Niente, spero che vi sia piaciuto e sarei molto lieta di ricevere le vostre opinioni in proposito.

A presto!
Ecate

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Capitolo 2
*** II ***


Trenton

A.S. 13 marzo 1889.

 

Mio caro John Watson, spero che questa mia ultima la trovi bene.

Questa mattina io e Irene siamo usciti, un giro in carrozza nel centro città. Trenton è una città cosmopolita, non ho mai visto tante facce orientali e africane in vita mia. Ho sentito lingue che non sono stato in grado di distinguere, visto cani che non sapevo nemmeno che esistessero.

È tutto così diverso da Londra che a volte ho la sensazione di camminare in un pianeta alieno.

Irene è a suo agio come sempre. Cammina con le spalle dritte e la testa alta, ha degli abiti e un portamento che farebbero sfigurare una gran duchessa. Cammina e si ferma a ogni vetrina, il suo sguardo mentre visiona i capi esposti è molto severo, non cela il disappunto. Rappresentare la scelta di una donna con gusti tanto esclusivi e sofisticati mi rende fiero.

“Ti piacciono?” le ho domandato, anche se conoscevo già la risposta.

“No. La gonna è bella, ma guarda che scollatura volgare. Tanto vale non indossare nulla, no?” mi ha risposto insinuante, con un sorrisetto civettuolo. Ama provocarmi, come se io ne avessi bisogno.

Ho replicato con un complimento e questo mi ha fatto guadagnare un piacevole bacio sulle labbra. A Londra sarebbe reputato un’oscenità, ma qui in America è tutto più libertino. Le persone si baciano e si ubriacano davanti a tutti come se nulla fosse e di notte le prostitute vagano indisturbate in ogni vicolo. Ci sono anche gli uomini vestiti da donna, Irene stessa me ne ha presentati alcuni.

Mi piace? Oh, no. Odio tutto questo lassismo e Londra mi manca come se ci avessi lasciato un pezzo di cuore. Ma dato che lei vive qui…

“Torniamo indietro, che dici?”

Personalmente, ho sempre fretta di tornare a casa. 

“Ma siamo appena arrivati. Non andiamo a mangiare fuori?”

A mio malgrado le ho risposto di sì. Avrei preferito mangiare solo con lei, libero dagli sguardi intrusivi e giudicanti delle persone. Purtroppo la discrepanza tra i nostri ceti sociali si nota più che mai in mezzo alla gente e mi pesa. Rende la presenza di Irene ancora più precaria ai miei occhi, ancor più… incomprensibile. 

Ho bisogno di appianare questo divario che ci separa col contatto fisico. Le porgo il braccio per galanteria, in realtà la sento solo più vicina, più mia.

Come ben sa, Watson, non ho mai avuto complessi in vita mia, di nessun genere. I soldi non mi sono mai interessati, il mio aspetto fisico nemmeno. Mi preoccupavo solo dell’igiene e del decoro personale, il resto per me era superfluo. Non c’è da stupirsi se le donne mi hanno sempre ignorato. Avevo eretto una barriera tra me e loro, una coltre di ghiaccio che sembrava inscalfibile e che io per primo mi sentivo incapace di abbattere.

Irene però ci è riuscita e ora io mi sento fragile ed esposto. Ho paura di perdere ciò che ancora non mi capacito di avere. Perfino un re si era innamorato di lei, è una di quelle donne che potrebbe avere qualsiasi uomo: principi, sultani e ricchi industriali. Questo mi rende ansioso. Io non sono ricco, non sono bello, sono tuttavia intelligente ma non mi reputo una mente straordinaria. Lei invece è straordinaria. Noto gli altri uomini come la guardano, bellezze così esimie sono rare in natura. Io li gelo tutti con lo sguardo, sarei pronto a uccidere per tenermela stretta. 

“Sherlock.”

“Dimmi” le rispondo subito. Noto subito che ha un quotidiano spiegazzato alla mano. Alza gli occhi azzurri su di me e mi sorride. “Leggi qui.”

Leggo e le mie sopracciglia si sollevano senza che io me ne renda conto. La guardo.

“Dici che è lui?” mi chiede lei, ha un sorriso raggiante che mi spaventa.

Sì, è lui.

Arsene. 

 

Suppongo che avrà sentito parlare di Monsieur Arsene Lupin, colui che viene ritenuto - a giusta ragione - uno dei ladri più furbi, lesti e inafferrabili dell’intera Francia, per non dire dell’intera Europa. La Gendarmerie ha rinunciato molti anni or sono all’idea di catturarlo, sarebbe come voler afferrare i fumi di Londra e portarli in prigione. 

Ebbene, costui oltre ad essere il famigerato Ladro Gentiluomo è stato anche un mio carissimo amico di gioventù, forse il più caro che ho avuto dopo di lei. 

La notizia la avrà lasciata certamente a bocca aperta, ma adesso le spiego. Ho conosciuto Arsene in villeggiatura a Saint Malo, quando avevo sì e no quattordici anni. Inutile dire che tra noi si instaurò subito una grande complicità, eravamo entrambi giovani e annoiati, audaci e irrequieti, e la prospettiva di passare dei guai ci sembrava molto più allettante del restare quieti e immobili nelle nostre case. Fu proprio in quei giorni vivaci e soleggiati che conobbi anche Irene. In realtà fu lei a venire da me, era vestita come una contessina e già dimostrava un’esplicita insofferenza per i suoi abiti stretti e ingombranti, quelli che le signore di un certo rango si impongono di indossare anche d’estate. Ma ciò che mi colpì fu il fatto che si offese a morte quando le dissi che soltanto gli uomini potevano diventare pirati e non anche le donne. Può ben immaginare che mi piacque già. Fui io a presentarla ad Arsene e ancora mi domando se quello fu un errore oppure no. 

Vede, Watson, c’è un motivo per cui Lupin viene definito il Ladro Gentiluomo. Non è dato dal fatto, seppur encomiabile, che non usi alcun tipo di violenza durante i suoi mirabili furti. E nemmeno da quello che tenda a colpire chi non se ne accorge nemmeno. Ma dal fatto di essere uno stimato, celebre e incallito tombeur de femme, per dirla in francese.

E quando un uomo del genere è stato anche il primo amore della donna che ami… Beh, le cose si complicano.

Ho sempre saputo che tra loro c’è stato un flirt, anche se a suo tempo fingevo di non essermene accorto. Mi barricavo dietro questa incoscienza costruita e fingevo di non notare le loro labbra secche e arrossate, fresche di baci. Fingevo che la cosa non mi importasse, ma in realtà soffrivo. Irene mi piaceva già da allora e avrei voluto esserci io al posto di Arsene, ma qualcosa dentro di me mi rendeva fin troppo disilluso. Che vuoi pretendere? Mi dicevo. Arsene è sempre stato più bello e più simpatico, e io sono sempre stato logico. Non potevo sperare di piacerle con Arsene di mezzo, non avrebbe avuto senso. Sarebbe stata una speranza vana, stupida. Ma non ce l’avevo con loro per questo, anzi, li adoravo. Irene era la ragazza dei miei sogni, mentre consideravo Arsene a tutti gli effetti il mio migliore amico. Se non avessi conosciuto lei, mio stimato Dottore, probabilmente Arsene lo sarebbe tuttora. Provo molta stima per Arsene Lupin, ha sempre avuto un’elegante disinvoltura e un carisma che gli ho sempre ammirato. Con le ragazze poi ci sapeva fare moltissimo, le faceva innamorare tutte. Io in confronto sembravo una pietra.

Ovviamente anche lui si era preso una cotta per Irene e quando mi rivelò di averla baciata per la prima volta, mi sono limitato a un sorriso sprezzante, ma in realtà provai un’invidia feroce. Volevo baciarla anche io, anche io iniziavo ad avere una cotta per lei. 

Il tempo passò e nell’amicizia che mi legava ad Arsene si frappose in modo sempre più incisivo la presenza di Irene, che creava tra noi una tensione invisibile ma consistente. Arsene smise di raccontarmi dei baci che si scambiava con Irene, ma il mio occhio geloso e allenato impiegava pochi secondi per individuarli tutti.

 Lei cresceva e sbocciava, diventava sempre più bella e anche io iniziai a tentare qualche approccio, in modo certamente più goffo rispetto ad Arsene. La mia gelosia iniziò a diventare palese, smisi perfino di negarla, d’altronde non c’è niente di più ridicolo che negare l’evidenza. La baciai davvero solo una volta, ma lo feci con stile, davanti a tutti. Davanti ad Arsene soprattutto. La mia fu una dichiarazione di guerra, ma la cosa che più mi esaltò fu che Irene non si ritrasse, spinse anzi le sue labbra adolescenti contro le mie. Compresi finalmente di avere delle speranze e iniziai a corteggiarla in modo molto discreto e sottile. Fu codardo da parte mia aspettare di avere delle rassicurazioni, ma ero e sono molto insicuro su queste cose. Trascorremmo insieme un periodo felice in cui restammo io e lei da soli, senza Arsene. Non ci scambiavamo dei baci ma passavamo molto tempo insieme. Correvamo dei pericoli inimmaginabili ma era proprio questo il bello, l’irresponsabilità e l’ebrezza della gioventù ci rendeva coraggiosi al limite dell’incoscienza. Irene poi non aveva paura di niente, più una cosa era pericolosa e più sembrava piacerle. Fortunatamente io riuscivo ancora a impressionarla con le mie capacità analitiche e deduttive, spiccate pur essendo io così giovane. Mi sentivo un eroe quando succedeva. Il mio sentimento per lei cresceva di pari passo al mio corpo e alla mia altezza. Era palese. Lei stessa non più tardi di ieri mi ha confessato di averlo sempre saputo. Sapeva che anche Arsene era innamorato di lei e mi ha detto che non avrebbe saputo scegliere tra di noi… ma che se proprio fosse stata costretta, se proprio avesse avuto la famigerata pistola puntata alla tempia, allora avrebbe scelto me. 

Non so francamente se l’ha detto per farmi piacere, dato che eravamo comunque io e lei sotto le coperte. Se ci fosse stato Arsene, probabilmente avrebbe detto la stessa cosa a lui. Ricordo fin troppo bene il modo in cui si sorridevano e si guardavano. Lo ricordo e mi fa male.

Irene passò la notte a dormire, io invece no.  

 

Arsene non è cambiato di una virgola. Mi ha stretto tra le braccia con sincero affetto e mi ha dato una pacca mascolina sulla spalla. È sempre stato un tipo molto fisico ed espansivo. Ha un sorriso bianchissimo e smagliante, il fisico perfetto e asciutto di un ginnasta. Ahimè è molto bello, nessun uomo normale vorrebbe averlo come rivale in amore.

Ha sollevato Irene tra le braccia e le ha scoccato un bacio sulla guancia. Io mi sono fatto indietro, ho dato loro il tempo per salutarsi. Che mi piaccia o no, li lega un profondo affetto.

“Arsene!”

“Irene!”

“Come stai?”

“Quanto tempo!”

“Ma guardati, sei stupenda” le ha detto, con un’occhiata tutt’altro che innocente. A quel punto sono intervenuto.

“Lo è senza alcun dubbio” mi sono intromesso, cingendole la vita è spingendomela vicino in modo più che eloquente. Arsene ha guardato prima me e poi lei. Ha capito, ma Irene non ha retto il suo sguardo e ha abbassato gli occhi. Questo mi ha ferito.

“Oh” ha sillabato Arsene “Ooh…” ha ripetuto più cupamente, la delusione nel suo viso era lampante. Malgrado tutto, mi ha guardato e ha forzato un sorriso “Quindi hai vinto tu, alla fine. Ha scelto te.”

“Ragazzi, siamo finalmente insieme dopo tanto tempo” è intervenuta Irene, la sua bella voce ha stemperato l’atmosfera “Non roviniamo questo momento.”

“Avete ragione, Mademoiselle Adler!” ha replicato Lupin con fare disinvolto “O forse dovrei dire Signora Holmes?” mi ha guardato “Posso solo sapere se vi siete messi l’anello al dito?”

“Ma no!” gli ha risposto subito Irene “Ti pare che potrei sopportare questo eccentrico sapientone per tutta la vita?”

Forzai un sorriso, sapevo che stava scherzando. “Grazie, eh.”

“E poi russa come un trattore!” aggiunse Arsene, ma lo fece col sorriso sulle labbra “Come fai a dormirci insieme?”

“Io non russo!” mi sono subito difeso “Tu russi!” 

Lui alzò le mani “Io? Le mie ragazze non me l’hanno mai detto.”

“Le tue ragazze?” gli chiese invece Irene, mettendosi a braccia conserte. Sembrava gelosa. “Vorresti dire che ne hai più di una, Arsene Lupin?”

Lui le fece un occhiolino “Che ci posso fare, sono pieno d’amore.”

… Pieno di lussuria, vorrà dire. Che Arsene Lupin fosse un donnaiolo l’avevo capito fin da ragazzino, dato che ha cominciato ad avere rapporti sessuali prima ancora che gli spuntasse la barba, prima ancora che io dessi il mio primo bacio ad Irene. Ma non farei mai a cambio con lui, perché lui avrà avuto tante donne, ma non ha mai avuto La Donna, a differenza mia.

 

Quando io e Irene siamo tornati a casa, tuttavia, aleggiava uno strano silenzio tra noi. Io non sono un chiacchierone, di solito è lei quella che riempie di parole le nostre corse in carrozza. Quella sera tuttavia qualcosa la turbava e ovviamente sapevo già di cosa si trattasse… o meglio, di chi.

È forse un caso che dopo aver visto Arsene Lupin il suo volto si fosse fatto così contrito e pensieroso?

Ovviamente mi sono preoccupato moltissimo. Ho iniziato a temere che l’antica indecisione tra me e Lupin fosse tornata alla luce e mi sono perfino domandato se si fosse pentita di essere salita in carrozza con me e non con lui. 

Non avevo il coraggio di chiarire, nemmeno di guardarla. Mi sentivo paralizzato, percepivo l’abbandono in ogni suo silenzio e in ogni mancato sorriso. Dopotutto la nostra relazione non aveva niente d’ufficiale, nessun vincolo formale che avrebbe potuto frenarla dal decidere di lasciarmi per sempre.

Siamo arrivati sotto casa e le ho porto subito la mano per aiutarla a scendere dalla carrozza. Inutile galanteria, lei ha dimostrato varie volte di essere agile come un’amazzone, tuttavia ha accettato la mia offerta e ci siamo tenuti per mano fino alla porta di casa. Questo mi ha rincuorato.

“Vado a fare un bagno caldo.”

“Naturalmente” le ho risposto subito, troppo velocemente. Di sicuro lei ha percepito la mia tensione, ma non ha fatto domande. 

Si è chiusa in bagno.

Irene quando si chiude in bagno ci sta moltissimo tempo e io non ho motivo di farle fretta. Quella volta tuttavia ero impaziente e la mia mente correva come un cavallo senza requie. Immaginavo tutti i possibili scenari del prossimo futuro, ognuno dei quali culminava con lei che mi lasciava per correre da Arsene. Iniziai a pensare che averla avuta, seppur per poco tempo, era stato comunque un privilegio. Comunque fosse andata, dovevo ritenermi fortunato.

La porta del bagno finalmente si aprì e una lama di luce ferì la stanza buia. Io ero già a letto, coricato, ma ero più sveglio di un grillo. Irene uscì dal bagno con i capelli tutti tirati da una parte, la pelle lentigginosa e arrossata dall’acqua calda. Provai il fortissimo desiderio di baciarla e la sensazione di non poterlo più fare ne esasperò l’intensità.

La guardai mentre scivolava dentro la camicia da notte e spegneva la luce, perciò seguii la sua figura snella nella penombra. Ha la strana abitudine di mettere a posto i suoi abiti e i suoi mille vezzi prima di venire a letto.

Ci fu un tonfo.

“Ahia!”

“Tutto bene?” le ho chiesto subito.

“Ho sbattuto, stupida sedia” mi ha risposto secca, facendomi sorridere.

Finalmente sentii il materasso abbassarsi sotto il suo peso. Mi sono istintivamente voltato verso di lei, Irene emanava un profumo intenso, come ogni volta che esce dalla vasca da bagno. Si è stesa al mio fianco con molta disinvoltura, ho sentito i suoi piedi prendere contro ai miei. Ho preso l’iniziativa e mi sono voltato del tutto dalla sua parte, le ho poggiato una mano sul ventre e ho cominciato a massaggiarglielo. Volevano essere solo carezze affettuose.

“Come ti è parso Arsene?” mi ha domandato con gli occhi fissi al soffitto.

“Uguale a come lo ricordavo”.

“Credo stia frequentando delle compagnie sbagliate”.

Ho sorriso “Sei in ritardo per quello. Lui stesso ora rappresenta una compagnia sbagliata.”

Irene si è voltata a guardarmi “Che vuoi dire?”

“Voglio dire che ha fatto del furto il suo mestiere. E non dirmi che non lo sapevi, perché non ti credo.”

“Forse ha solo bisogno di soldi?”

“Ne ha più di me” risposi di getto. Ma poi mi pentii. “Voglio dire… Forse ne ha più di me, in ogni caso non sono soldi puliti.”

Lei ha fatto un profondo sospiro e ha chiuso gli occhi, il suo corpo ha iniziato a rilassarsi, i suoi muscoli a distendersi. Con i polpastrelli sono salito delicatamente verso il suo petto e le ho sfiorato entrambi i seni. Lei continuava a tenere gli occhi chiusi, il suo respiro era regolare.

Sono ridisceso nel suo ventre.

“Ha detto che sei stupenda. Cosa ne pensi di questo?”

Irene ha sorriso “Penso che lo dica a tutte.”

“Io invece lo dico solo a te. Sei stupenda, Irene Adler.”

Lei ha sorriso nuovamente e mi ha guardato con le palpebre a mezz’asta “Cosa vuoi sentirti dire, Sherlock?”

Io mi sporsi a baciarle la bocca. “Niente” sussurrai, per poi stringerla in un abbraccio forte e sentito. Volevo imprimere nella memoria tutte le forme del suo corpo, la sua voce e il suo profumo. Volevo ricordarla, avrei usato finalmente la mia memoria per qualcosa che non fossero nozioni, casi vincolanti e altre teorie.

Le sue gambe sotto di me si aprirono lentamente, come i petali di un fiore in sboccio.

“Secondo me… Vuoi sentirti dire che preferisco te” mormorò con tono malizioso, mettendomi una mano tra i capelli.

“Dici?” ho accennato un sorriso, in realtà non avevo molti motivi per cui sorridere. L’ho guardata infatti con più serietà, lei se n’è accorta e ha cambiato espressione.

“Che c’è?” mi ha chiesto infatti.

“Irene, se preferisci Arsene, io lo capisco” ho cercato di dirle con tutta la sincerità del mio cuore, non sa quanto coraggio ho dovuto racimolare per farlo “Non devi sentirti obbligata a restare con me. Non ti serberò rancore, se decidi di andare da lui.”

“Oh, Sherlock” mi ha chiamato subito “Ma io non voglio andare da lui. Sono esattamente dove vorrei essere.”

“Dici sul serio?”

“Sì. Non ti nego che Arsene ha sempre esercitato un certo fascino su di me e che ci siamo anche frequentati per un po’…”

“Frequentati?” ripetei, spiacevolmente sorpreso “Avete avuto una relazione?”

Lei annuì e dalla sua espressione io compresi tutta la verità. Watson, ci crede che in quel momento mi sono sentito come un miope a cui avevano appena messo gli occhiali? La realtà dei fatti mi si era dipanata con una nitidezza cristallina. Ecco perché Irene mi aveva fatto quella scabrosa confidenza in carrozza, ecco perché aveva fronteggiato Arsene con tanto imbarazzo, ecco perché lui ci aveva chiesto se eravamo sposati.

Si erano frequentati. 

“Quindi è successo con lui?” le chiesi a bruciapelo  “L’uomo con cui hai tradito il tuo ex marito è stato Arsene, non è vero?”

Lei dischiuse le labbra dallo stupore, per una volta non fui contento di averla impressionata.

“Oh, cielo” mi sussurrò “Oh, Sherlock…”

Come di consueto avevo ragione.

“Non avrei voluto che tu lo sapessi” disse lei, mogia “Ma dopotutto non avevo fatto i conti con le tue straordinarie capacità.”

Malgrado tutto le sorrisi. “Conoscere verità scomode suppongo sia il prezzo da pagare.”

“Non considerarla scomoda. Arsene è e sarà sempre nel mio cuore, ma tu… Tu sei il mio cuore.”

Mi appoggiai sui gomito e la guardai intensamente negli occhi “Hai davvero scelto me, Irene Adler?”

Lei mi sorrise “Sì.”

“E non mi tradirai con Arsene?”

“Cosicché tu possa scoprirci dieci minuti dopo?” mi domandò lei, col sorriso sulle labbra “No, grazie.”

“Dieci? Dì pure cinque” l’ho corretta senza pudore, facendola ridacchiare. 

“Ti amo” mi disse, con uno sguardo dolce e luminoso.

In quel momento seppi che nessun Arsene Lupin ci avrebbe più potuto separare, che eravamo destinati a stare insieme, eravamo anime gemelle per diritto divino e naturale.

Peccato solo che Arsene non fosse della stessa opinione.

Non si agiti, Watson. Non abbiamo duellato come due cicisbei medievali né tanto meno ci siamo sfidati in una gara di abilità intellettuale. Arsene sarà stato anche un mio rivale, sia in amore che - è proprio il caso di dirlo - nel lavoro, ma era un mio carissimo amico. Aveva e ha tuttora la mia stima e il mio rispetto.

Ebbene, in un giorno d'inverno il ladro gentiluomo è tornato a farci visita. Si è presentato in casa nostra in piena notte, sgattaiolando dentro in un modo certamente poco ortodosso.

Me ne sono accorto in quanto un insolito e impercettibile rivolo di corrente fredda era subentrato in camera da letto dalle fessure della porta, destandomi all'improvviso. Lei sa quanto il mio sonno sia leggero e infatti ho capito subito che si trattava di un ladro. Ma le finestre erano serrate e fuori non si udiva nessun rumore, nemmeno il più lieve. Solo un gatto poteva insinuarsi dentro una casa padronale arrampicandosi sull’olmo nel giardino ed entrando dal tetto in modo così silenzioso. Un gatto oppure…

“ARSENE!” ho gridato verso l’uscio “Metti subito giù il mio cappello!”

Irene è trasalita mentre il suddetto Arsene ha spalancato la porta della nostra camera e si è affacciato come se niente fosse.

“Buonasera, ragazzi” ha esclamato col suo solito sorriso da schiaffi, il mio cappello a scacchi in testa.

“Arsene!” ha strillato Irene, incredula “Come diavolo hai fatto a… ? È una mia collana quella che hai tra le mani!?” gli domandò allarmata, scattando fuori dal letto. Nell’esatto istante in cui lo disse, la collana sparì dalle dita di Lupin.

“Quale collana?” le sorrise lui, dispettoso “Non ho nessuna collana!”

“Ridammela, disgraziato!” gli intimò Irene, ma era divertita “Sherlock! Sherlock, digli…” si voltò verso di me con fare esigente, ma poi si bloccò non appena vide che la sua collana era magicamente comparsa in mano mia. A stento trattenni un sorriso. 

“Oh molto divertente, voi due” esclamò Irene, mettendosi a braccia conserte “Continuate pure a comportarvi come due dodicenni.”

“Colpa mia, sono rimasto lo stesso scavezzacollo di sempre” le rispose Arsene, poi mi guardò “Trattala bene, mi raccomando” mi intimò, con una parvenza di serietà dietro il solito sorriso. In apparenza sembrò rivolgersi al gioiello, ma ovviamente capii che si stava riferendo a un gioiello ben più prezioso per noi, che mi aveva appena metaforicamente passato per mano.

“Puoi giurarci” gli risposi con altrettanta fermezza. Irene ci guardò e poi si volse verso Arsene, comprese anche lei ciò che era appena accaduto. I suoi begli occhi si fecero lucidi.

“Tornerai a trovarci?” gli chiese, emozionata.

“Quando sarò a corto di quattrini, senz’altro” scherzò Arsene, per poi metterle una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Ci sarò sempre per te, mon cheri. E anche per te, vecchio segugio”

“Comincia intanto col restituirmi il cappello, grazie.”

“Dai, vecchio mio, ho fatto una scommessa! Ruba il deerstalker a Sherlock Holmes e avrai le chiavi del mondo!”

Io risi e alla fine gli permisi di andarsene col mio cappello in testa, dopotutto lui mi aveva lasciato Irene.

“Adesso dirà a tutti che ti ha derubato, lo sai, vero?”mi chiese lei, sedendosi sul letto accanto a me.

Io alzai le spalle. “Che faccia” minimizzai “Tanto la battaglia più importante l’ho comunque vinta io”.

E poi la guardai, le sorrisi. Era lei la mia battaglia più importante.

 

 

 

 


 

Note

Ho adorato scrivere questa storia, quanto ho amato la saga Sherlock, Lupin e Io, è bellissima! <3 

Vi dirò, all'inizio questa storia era semplicemente introspettiva, uno stream of consciousness di Sherlock, e solo dopo mi è venuta l'idea di renderela una sorta di scambio epistolare tra Sherlock e John. Ciò mi è piaciuto moltissimo, ma ha avuto come conseguenza l'estromissione di tutte le parti a rating rosso, dato che non potevo certo far scrivere a  gentiluomo come Sherlock cose del genere! ;)
Vedrò poi se pubblicare in altro modo quei pezzi oppure no... Vediamo.

A presto,

Ecate

 

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