Christmas won’t be the same without you

di Violet Sparks
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Like An Elephant ***
Capitolo 2: *** Meet Me Under The Mistletoe ***
Capitolo 3: *** Farina e cioccolata ***
Capitolo 4: *** Pioggia di scintille ***



Capitolo 1
*** Like An Elephant ***


LIKE AN ELEPHANT
 
 

A Gaia,
tanti auguri di Buon Natale!
 
 

Yuu non godeva di buona memoria, quello era un dato di fatto.  
La prima persona che glielo aveva fatto notare era stata la maestra Fumiko, dopo una disastrosa interrogazione sulle tabelline, in quinta elementare.
Lì per lì, Yuu ricordava di esserci rimasto malissimo, di essersi sentito mortificato da quella sentenza al sapore di condanna: si era impegnato tanto, aveva ripetuto col nonno, senza sosta, per ore e ore!
La maestra lo aveva preso di mira, quella era la verità!
Peccato che, nel corso del tempo, circa un centinaio di appuntamenti dimenticati, un numero incalcolabile di oggetti persi, migliaia di nozioni scolastiche perse nell’oblio e altre mille e mille interrogazioni poco brillanti, gli avessero fatto capire che no, forse la maestra Fumiko non aveva avuto poi tutti i torti, quella volta.
La sua memoria faceva veramente schifo!
 
Però il giorno in cui aveva conosciuto i corvi della Karasuno se lo ricordava benissimo.
Non se lo sarebbe dimenticato per nessuna ragione al mondo.
 
***
 
“Ti serve una mano con quelle?”
Yuu sollevò lo sguardo e cadde negli occhi più grandi e profondi che avesse mai visto, due tazze di cioccolato bollente, in cui affondare doveva essere dolcissimo.
Appartenevano ad un gigante dall’aria gentile, capelli folti, un accenno di barba a sporcargli la linea dura della mascella e ad incorniciargli il sorriso.
Sembrava il modello di una rivista da ragazze.  
“C-cosa?” balbettò Yuu, il cuore che aveva cominciato a comportarsi in modo strano, faceva di testa sua. Lasciò andare di scatto l’elastico della ginocchiera che stava cercando di infilarsi senza successo, facendolo schioccare bruscamente contro la pelle dei suoi polpacci e “Ahia!” si ritrovò a guaire, piegandosi a massaggiare la parte lesa.
Lo sapeva che usare delle ginocchiere nuove non era affatto una buona idea! D’altra parte, però, gli era sembrato indecente presentarsi alle audizioni di una squadra liceale con quelle martoriate che usava di solito, sporche, scolorite e lacere in più punti.
“Sono un po' piccole, per questo fai fatica.” intervenne il ragazzo, mentre si inginocchiava di fronte a lui.
“È perché sono per bambini…” bofonchiò Yuu, il viso improvvisamente rovente “Le ginocchiere per gli adulti mi stanno grandi, scivolano, non vanno bene!”
A quel punto, si aspettava che il ragazzo ridesse di lui o quantomeno cominciasse a prenderlo in giro, data la loro evidente differenza di altezza, ma così non fu.
Tutto ciò che si limitò a fare, fu distendere il viso in un sorriso caldo, accogliente e prendere ad analizzare la ginocchiera incriminata con estrema concentrazione, come fosse l’arma di un delitto.
“Posso?” chiese in modo educato. Aspettò che lui annuisse, poi afferrò l’orlo della ginocchiera abbandonata intorno alla sua caviglia e la allargò, forzando l’elastico.
La issò su lentamente, trascinandola lungo la gamba sottile di Yuu, le sue nocche fredde che scivolavano sulla pelle nuda in una delicata carezza, il calore del suo respiro regolare e fondo che gli sfiorava il ginocchio e saliva su, insieme alla stoffa, fino alla carne morbida della coscia.  
Yuu sentì parti del proprio corpo che tornavano a casa.
“Come va adesso?” domandò il ragazzo non appena la ginocchiera fu al suo posto.
Yuu non rispose, ma si alzò di scatto, quasi investendo il poveretto che aveva di fronte. Cominciò a saltellare, a scrollare la gamba come un buffo cagnolino, a piegarsi sui talloni, a girare intorno… tutto pur di mimetizzare i fuochi d’artificio che ancora avvertiva alla bocca dello stomaco.
“È perfetta, grazie!” esclamò d’un tratto, strizzando gli occhi e le guance in un enorme sorriso.
“Mi fa piacere!” rispose l’altro, accennando una lieve risata “Adesso sei pronto per la tua presentazione alla squadra! Per che ruolo ti proponi?”
Di nuovo, Yuu rimase basito dalla gentilezza di quel gigante che non giudicava mai, non dava niente per scontato. “Libero!” disse quindi “Tu invece? In che ruolo giochi?”
“Io sono uno schiacciatore laterale, ma punto a diventare l’asso della squadra!”  
“Fighissimo!”
“Comunque, io sono Asahi Azumane! Tu come ti chiami?”
“Nishinoya Yuu!”
Si strinsero la mano e Yuu vide le sue dita sparire, avvolte da quel palmo ampio e screpolato simile a un involucro protettivo.
Aveva smesso di respirare.
 
“PRIMO ANNO, TUTTI QUI! METTETEVI IN FILA!”
“Buona fortuna, Nishinoya.”
“Ci vediamo in campo, asso!”
 
***
 
Sì, Yuu non godeva affatto di buona memoria.
Però il giorno in cui aveva conosciuto i corvi della Karasuno se lo ricordava benissimo.
Non se lo sarebbe dimenticato per nessuna ragione al mondo.
 
Forse perché era il giorno in cui si era innamorato.
 
 
 
 
 
NOTE AUTORE
  • Il titolo è un riferimento al detto popolare: “avere una memoria da elefante”.
  • La frase: Yuu “sentì parti del proprio corpo che tornavano a casa.” è un omaggio a questa bellissima poesia di Franco Arminio.
 
Ebbene sì, erano anni che desideravo scrivere una AsaNoya e questo minuscolo pensierino per la dolcissima e talentuosissima GaiaBessie – andate a gustarvi le sue storie, le amerete, fidatevi!- me ne ha dato finalmente l’opportunità! Motivo in più per volerle bene, insomma! Spero tanto che ti sia piaciuta! Ti auguro Buon Natale… e aspetto con ansia il tuo video tutorial sul makeup occhi :P
 
Ricordo che questa e le altre storie che faranno parte di questa raccolta (e che verranno pubblicate in questi giorni) partecipano all’iniziativa #regalidiinchiostro del gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”.
Ringrazio infinitamente la signorina Leila91, che ha letto la storia in anteprima e mi ha dato un feedback immediato! ❤️
 
A prestissimo
Violet Sparks

 
 

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Capitolo 2
*** Meet Me Under The Mistletoe ***


ATTENZIONE: spoiler timeskip!Haikyuu; linguaggio; rating giallo; possibile OOC
 
MEET ME UNDER THE MISTLETOE

A SkyDream, 
Buon Natale dottoressa


 
“Ti ho già detto che secondo me è una pessima idea?”
Atsumu incassò il colpo con classe, sollevando un angolo della bocca in uno sorrisetto bonario, quindi schioccò la lingua contro il palato e continuò a sistemare il fiocco rosso e oro della ghirlanda che stringeva fra le dita, come se niente fosse. 
La risposta era sì, Samu gli aveva già ripetuto ben cinque volte, quel pomeriggio, quanta trovasse la sua idea pessima – e imbecille e folle e pericolosa-  d’altronde però, come suo fratello gemello, avrebbe dovuto sapere che le pessime idee gli scorrevano nel sangue insieme ai globuli rossi, per cui sottolinearlo con quella lena era soltanto fatica sprecata.
“Secondo me invece è una cosa molto carina! Vedrai che a Omi piacerà un sacco!” ribatté Hinata, in bilico dall’altra parte della scala, intento a sistemare alcune foglie di plastica della ghirlanda in modo che pendessero nella giusta direzione.
“Grazie, Shoyo! Sei l’unico che mi capisce qui!”
“Ehi! Guarda che anche io ero d’accordo!” esclamò Bokuto, sbucando all’improvviso dalla porta degli spogliatoi. A giudicare dai capelli bagnati e dalla camicia semi aperta, doveva essere uscito dalla doccia da appena qualche minuto: quello scemo non se lo toglieva mai il vizio di andarsene in giro semi nudo, a discapito della sua stessa salute e, soprattutto, dell’umana decenza!
“Sì, ma non hai aiutato per niente! Te ne sei scappato in palestra!” gli fece notare Atsumu. 
“L’importante è il pensiero!” ribatté prontamente l’altro, mentre finiva di agganciare la fibbia della cintura e si infilava un maglione celeste da sopra alla testa “Akaashi invece è d’accordo con Osamu!”
“Grazie! Ricordami di mandargli una scatola di onigiri più tardi!” rispose dunque il secondo gemello Miya, prendendo a dondolarsi all’indietro sui piedi della sedia della portineria, dove era rimasto comodamente spaparanzato a osservare il fratello lavorare. 
In quel momento, le porte del palazzetto si aprirono in una gelida folata di vento, introducendo la figura mastodontica di Ushijima Wakatoshi. 
Il nuovo arrivato ebbe un secondo di stordimento nel notare le condizioni in cui verteva l’androne dell’edificio dove si allenavano gli MSBY Black Jackals, ma Atsumu non si sentiva di dargli torto: ogni singolo angolo, ogni singolo oggetto che potesse fungere da sostegno era stato addobbato con delle ghirlande natalizie, variopinte e luccicanti, da cui pendevano almeno una quarantina di piantine di vischio strategicamente posizionate. 
Meno male che, con l’avvicinarsi delle vacanze natalizie, il loro staff tecnico aveva lasciato ai ragazzi l’uso incondizionato della palestra e aveva promesso di ripresentarsi solo a gennaio, perché Atsumu non osava immaginare le urla del coach o degli inservienti di fronte a quel tripudio di porporina e foglie di plastica. 
“EHI-EHI-EHI! Ushiwaka! Come mai da queste parti?!” proruppe subito Bokuto, quasi sbracciandosi pur di attirare l’attenzione del super asso. 
“Sono venuto a prendere Hinata.” fu la risposta laconica dell’interpellato, mentre scrollava dalle spalle del cappotto qualche spruzzata di neve “Certo che voi ragazzi prendete seriamente questa faccenda del Natale, noi Adlers ci siamo limitati a comprare delle luci intermittenti.” 
“Non è per Natale, è perché mio fratello è un cojone.” sbottò Osamu, .
“Non vi seguo, mi dispiace” rispose Ushijima con la solita educazione, camminando verso il gruppetto di ragazzi.
A quel punto, fu Hinata a prendere la parola e fornire una spiegazione decente al suo fidanzato. 
“Ti ricordi quella tradizione di cui ti ho parlato? Quella secondo cui due persone dovrebbero baciarsi ogni volta che si ritrovano sotto ad una piantina di vischio? Ecco, Atsumu ha deciso di piazzarne un po' ovunque per costringere Sakusa a baciarlo appena arriva!”
“Mi sembra una pessima idea.” sentenziò la giovane aquila, corrugando la fronte. Si avvicinò alla scala su cui Hinata se ne stava ancora abbarbicato, quindi gli circondò le cosce con un braccio e lo aiutò a scendere senza il minimo sforzo, come fosse fatto di piume. Dal canto suo, Hinata emise una risata musicale e quando fu a terra, prima di staccarsi da Ushijima, gli diede un veloce bacio sulle labbra. 
Atsumu non poté impedirsi di roteare gli occhi al cielo davanti a quella scenetta, “Vi odio! Vi odio dal profondo dal mio cuore!” esclamò prima di balzare giù dalla scala – senza l’aiuto di nessuno! “Shoyo ha Wakatoshi, Kotaro ha Keiji, perfino quell’idiota di mio fratello ha qualcuno!”
“Bada a come parli, scemo!” 
“Voglio anche io la mia bella e sexy storia d’amore! Se stasera il vischio non funziona e non riesco a dichiararmi a Kyoomi, non ne uscirò mai!”
“DAI TSUMU VEDRAI CHE ANDRÀ ALLA GRANDE! FACCIAMO TUTTI IL TIFO PER TE!” esclamò quindi Bokuto, saltellando sul posto “Cioè più o meno tutti! Ma non importa! Vedrai che andrà bene!” 
“Dai Tsumu! Sono sicuro che gli piacerà!” gli fece eco Hinata, sventolando i pugni per incoraggiarlo.
“Io non credo.” affermò invece Wakatoshi, tuttavia, dopo essersi piegato in due per sentire ciò che Hinata desiderava bisbigliargli nell’orecchio, distese le labbra nel sorriso più forzato e inquietante che Atsumu avesse mai visto e “Magari potrebbe tenere conto dello sforzo.” aggiunse, senza un briciolo di convinzione.
“Grazie ragazzi! Io…”
“Cosa sta succedendo qui?”
Atsumu si gelò sul posto. 
Kiyoomi Sakusa, il destinatario – o meglio, la vittima- del mirabolante allestimento che aveva preparato con fatica e dedizione, aveva appena fatto il suo ingresso nella struttura, infagottato in un giubbotto giallo acceso e una voluminosa sciarpa nera. 
L’espressione sul suo volto era ancor più eloquente di quanto non fosse stata quella di Ushijima pochi istanti prima, nonostante metà di esso, di fatto, fosse coperto dalla solita mascherina chirurgica. 
Dietro di sé, Atsumu avvertì gli altri ragazzi dileguarsi in silenzio verso le macchinette dalla parte opposta dell’androne - forse per concedere loro la dovuta privacy o, più probabilmente, per lasciare solo e soltanto a lui la responsabilità di quella pagliacciata!- comunque, quello fu l’ultimo pensiero coerente che l’alzatore riuscì a partorire, prima che la sua mente fosse invasa da una valanga di puro, autentico panico. 
“Buon Natale, Omi-Omi!” esclamò ugualmente, simulando una spavalderia che non possedeva “Un regalino in anticipo per te!”
“Per me?” domandò il giovane giocatore, sollevando un sopracciglio talmente in alto da congiungersi con i due nei che aveva sulla fronte. 
“Sì, consideralo un piccolo suggerimento natalizio…” lasciò intendere Atsumu, avvicinandosi a Kiyoomi con la lenta sinuosità di una volpe. Si fermò giusto innanzi a lui, incrociò le braccia dietro la schiena e protese il viso, fin quasi a sfiorare la protuberanza del naso, coperta dalla mascherina, con il proprio. 
L’altro non retrocesse né diede segno di disagio, piuttosto si limitò a fissarlo dritto negli occhi, in attesa.
“Un suggerimento di che tipo?” 
“Secondo me, se ti impegni, ci arrivi da solo.”  
E detto questo, Atsumu sollevò lo sguardo, trascinandosi dietro quello di Kiyoomi ancorato al proprio, finché l’attenzione di entrambi non si focalizzò sul ceppo di vischio che dondolava, innocuo e scintillante, in mezzo alle loro teste. “Le tradizioni sono tradizioni, no?” scandì l’alzatore, suadente, rivolgendo al compagno di squadra un sorrisetto sfrontato, carico di promesse. 
A quel punto, Kiyoomi si abbassò la mascherina. 
Atsumu rabbrividì, lo stomaco che si attorcigliava su se stesso, il cuore che aveva preso a rimbalzargli tra le costole come una fottuta palla da basket. 
Non poteva credere che, dopo tanta attesa, dopo mesi e mesi di malcelata tensione, il momento fosse finalmente arrivato. 
Socchiuse le palpebre, mentre Kiyoomi si avvicinava così tanto da non poter più metterlo a fuoco, allora ingoiò il suo respiro caldo, buono, e protese le labbra in attesa del suo bacio.
Peccato però che la bocca di Kiyoomi non entrò affatto in collisione con la parte del corpo che aveva sperato.
“Sei un idiota.” soffiò infatti il giovane, contro il lobo del suo orecchio. 
Quando Atsumu trovò il coraggio di riaprire gli occhi, non c’era più nessuno davanti a lui. 

 
***
 

“Sei un idiota.”
“Sei un idiota.”
“Sei un idiota.”
Atsumu serrò il pugno, batté le nocche contro le piastrelle della doccia e guaì, profondamente frustrato.
Non riusciva a togliersi dalla testa quella risposta; la voce di Kiyoomi continuava a rimbombargli nel cervello in un loop infinito che lo stava buttando giù, sempre più giù, nella più torbida paranoia. 
Come gli era venuto in mente di mettere in scena quella buffonata? 
Ma soprattutto, come aveva anche solo potuto pensare che uno come Kiyoomi Sakusa avesse potuto davvero essere interessato a lui? 
Aveva toppato!
Aveva toppato su tutta la linea!
Tutti i segnali che pensava di aver colto – il loro continuo stuzzicarsi, gli sguardi intensi, i messaggi, gli sfioramenti non troppo casuali, le battutine, l’intensa in campo, le conversazioni a tarda notte - non erano altro che stupidaggini che la sua testa bacata aveva frainteso, gesti amichevoli su cui aveva ricamato una storia d’amore senza alcun cazzo di fondamento! Kiyoomi era sempre stato così, algido, disinteressato… e lui, presuntuoso come al solito, aveva pensato davvero che quel briciolo di confidenza e di cura che mostrava di avere nei suoi confronti, fosse stato in realtà indice di qualcosa di molto più profondo, magari lo stesso sentimento che aveva sempre provato. 
Ruotò appena il capo, assottigliando gli occhi sotto il getto d’acqua. 
Il centro dei suoi pensieri era quattro docce più in là, intento ad insaponarsi i capelli scuri, dandogli le spalle.
Dopo aver mandato gli altri a casa, Atsumu era rimasto a disfare tutti i festoni che aveva allestito, sfogando su di loro la sua rabbia, strappando foglie e stracciando fiocchi e nastrini, cacciando i rami di vischio nei sacchi della spazzatura con indicibile violenza. Non pensava che avrebbe trovato Kiyoomi nelle docce – il piano era evitarlo il più a lungo possibile, magari fino alla tomba!- ma una volta nudo e sotto il bocchettone della doccia, tornare indietro lo avrebbe fatto soltanto sembrare un moccioso viziato. 
Dannazione, la sfiga si stava accanendo su di lui, a quanto pareva.
Non solo doveva starsene lì con il cuore spezzato insieme al suo carnefice, ma doveva anche farsi forza per distogliere lo sguardo dalla curva soda del suo culo perfetto e proibire al suo cervello di imbastire l’ennesima, inutile, fantasia erotica che li vedeva scopare come conigli in calore dopo che Kiyoomi aveva accettato di buon grado la sua sorpresa.
Aveva ragione lui, era un fottutissimo idiota!
Scosse la testa, chiuse il rubinetto e afferrò la boccetta di shampoo, versandosene una generosa dose sul palmo della mano. 
Prima che potesse arrivare a toccarsi i capelli, tuttavia, una mano gli agguantò la spalla e lo fece voltare di scatto, dopodiché un corpo duro e scivoloso lo spalmò contro il muro, facendogli sbattere la testa. 
Atsumu ebbe appena il tempo di riconoscere il proprio aggressore, che il suo singhiozzo di sorpresa venne ingoiato da un paio di labbra morbide che si avventarono sulle sue, le aprirono di prepotenza e vi si insinuarono dentro, senza chiedere permesso. 
Il bacio fu passionale, eccitante, violento; andò al di là di qualsiasi cosa Atsumu avesse mai sperato o immaginato nei suoi sogni più sporchi, e distrusse la sua razionalità pezzo dopo pezzo. 
Dopo un attimo di stordimento, il giovane alzatore si ridestò, allora affondò le dita tra le ciocche bagnate di Kiyoomi – Dio, erano secoli che voleva farlo!- le strattonò brutalmente e rispose con altrettanta intensità, mentre la sua pelle si trasformava in un campo elettromagnetico troppo sensibile, dove ogni schiocco delle loro bocche procurava una nuova scarica di brividi. 
Si divorarono ancora e ancora, assaggiandosi l’un l’altro, scambiandosi gemiti come caramelle in mezzo alle loro lingue intrecciate. 
Atsumu avrebbe potuto continuare per ore e fare molto, molto di più, trasformando quelle docce nel set di un film porno, complice la sua carne ormai risvegliata dalla passione, invece una presa ferrea sulla sua mascella lo costrinse a fermarsi e rimanere immobile, avido e insoddisfatto.
Gli occhi di Omi, fissi nei suoi, luccicavano simili a due frammenti di ossidiana.
“Punto primo, detesto fare le cose in pubblico, sono un tipo riservato.” scandì lentamente il giocatore, per far assorbire ad Atsumu ogni singola parola “Punto secondo, se vuoi una cosa, parla di meno e prenditela, Miya. Non nasconderti dietro a certe pagliacciate!”
E così, Kiyoomi Sakusa si allontanò - gocce d’acqua trasparenti che si rincorrevano sulla sua schiena nuda, un sorrisetto minuscolo a increspargli le labbra gonfie di baci.

Atsumu sospirò, ancora troppo shockato per riuscire a reagire correttamente.
Una volta a casa, non avrebbe dormito, ne era sicuro.
Avrebbe mandato un messaggio pieno di punti esclamativi a Hinata, Bokuto e suo fratello, poi avrebbe abbracciato il suo cuscino e ripercorso gli eventi appena trascorsi come una stupida teenager stracotta, fino a che non gli si sarebbero chiuse le palpebre. 
Sì, sarebbe andata proprio così.
Dopo, però.
Prima doveva occuparsi del piccolo problema tra le sue gambe. 




NOTE AUTORE

Tanti auguriii cara Sky! 
Buon Natale e Congratulazioni (in ritardo) per la tua laurea!
Spero che questa sciocchezza sia di tuo gradimento, ci tenevo a farti un pensierino! :) Ovviamente non potevo non dedicarti una storia sui mitici SakuAtsu, che tu stessa mi hai fatto scoprire e amare (vi consiglio le sue storie, sono dolcissime)! È sempre un piacere sclerare con te su di loro ahahah Come sai, non sono ferratissima su nessuno dei due, purtroppo, per cui mi auguro di non essere andata eccessivamente OOC ^^’’ abbi pietà!

La storia partecipa all’iniziativa #regalidiinchiostro del gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”!   



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Capitolo 3
*** Farina e cioccolata ***


FARINA E CIOCCOLATA

A Benni, 
la stellina che ha reso questo 2021 
un po' più magico!



Il fatto era che, Kageyama si chiedeva spesso che cosa avesse fatto di male, nella vita, per meritarsi quella dose inverosimile di sfiga. 
Chiudeva gli occhi, si concentrava e ripercorreva gli eventi del passato per cui si sentiva maggiormente in colpa: era ancora per quella storia del Re Dispotico sul campo da pallavolo? Era perché non aveva aiutato ad attraversare quella dolce vecchina cinque mesi prima? Oppure per quel prepotente di Giyu che aveva spinto a terra in terza elementare?
No, doveva essere molto, molto più grave. 
Forse lui era la reincarnazione di un criminale efferato e non lo sapeva!
Un assassino, un pluriomicida sanguinario che l’universo aveva deciso di dannare per tutti i secoli a venire, fino all’estinzione del genere umano!
Sì, doveva essere proprio così… 
Altrimenti non si spiegava quell’accanimento nei suoi confronti, a tratti quasi brutale.

“Secondo me, ci va la farina!”
“La farina? Nella cioccolata calda?”
“Sì, per addensarla di più!”
“Ma che cavolate dici, baka?!”
 
***


Era partito come un pomeriggio tranquillo, il suo. 
Le vacanze di Natale erano alle porte oramai e l’intera scuola era in fermento tra decorazioni, allestimenti, regali, iniziative a tema. Grazie all’impegno degli studenti, il liceo Karasuno si era trasformato in una sottospecie di bomboniera piena di luci e festoni fin dai primi giorni di dicembre e più si avvicinavano alla vigilia, più la trepidazione di tutti sembrava aumentare a dismisura. 
Onestamente Kageyama non capiva e non condivideva quella bizzarra euforia, però quando il professore Takeda aveva proposto alla squadra di festeggiare l’ultimo allenamento dell’anno con una fantastica cioccolata calda a casa del sensei Ukai, gli era parso di entrare un po' più nel mood di festa. 
Oltretutto, le temperature si erano abbassate molto negli ultimi tempi, costringendo gli abitanti della prefettura di Miyagi a barricarsi dentro a voluminosi cappotti e sciarponi giganti. Kageyama apprezzava il freddo, certamente lo preferiva molto di più che alla torrida afa estiva, ma battere i denti per fare qualsiasi cosa al di fuori del suo piumone, non era una sensazione affatto piacevole!
Per questo aveva atteso con un entusiasmo senza precedenti la fine dell’allenamento coi compagni.
Peccato che l’universo avesse in serbo per lui la solita fregatura…
“Okay, ragazzi! Venite tutti qui, avanti! Adesso facciamo un gioco!” aveva urlato il professore Takeda per richiamare l’attenzione dei presenti, disseminati qua e là per l’ampio salotto dell’allenatore Ukai. 
“Un gioco?” era intervenuto Nishinoya, con gli occhi pieni di curiosità.
“Esatto! Io e Kyoko abbiamo organizzato un gioco di carte, i due perdenti dovranno preparare la cioccolata calda per tutti! Che ne dite?”
La proposta aveva scatenato reazioni differenti: Nishinoya e Tanaka avevano trovato l’idea geniale e si erano subito proposti come partecipanti, sgomitando fra di loro per farsi spiegare le regole direttamente dalla povera Shimizu. Asahi, Sugawara, Narita ed Ennoshita, aveva accettato di buon grado e avevano preso posto sul divano in attesa di istruzioni, seguiti a ruota da Yamaguchi e Tsukishima - sebbene quest’ultimo si fosse esibito in una serie infinita di sbuffi - mentre Kinoshita aveva aiutato Yachi ad allestire l’occorrente per il gioco.
Per quanto riguardava lui e Hinata, invece, era bastato semplicemente guardarsi l’un l’altro per sapere di essere stati colti dallo stesso, medesimo pensiero: sfida all’ultimo sangue!
“Voi due, vedete di non fare danni!” era subito intervenuto Daichi, dall’alto del suo istinto paterno, fulminandoli con un’occhiataccia. 
Parole al vento. 
Ben presto, la casa del povero sensei Ukai era diventata una baraonda, tra urla, imprecazioni più o meno colorite, esultanze, incitazioni. 
Daichi ed Ennoshita avevano perso qualche corda vocale nel tentativo di placarli, Kageyama ne era sicuro!
Lui e Hinata, in particolare, si erano fatti una guerra serrata, colpo su colpo, fin dalla prima carta del mazzo, come se nella stanza non fosse esistito nessun altro a parte loro due. 
Il problema però, era che gli avversari c’erano, c’erano eccome e così Kageyama, nella sua foga di sconfiggere il brutto deficiente seduto alla sua destra, aveva perso di vista il vero obiettivo del gioco, con un unico, devastante risultato…
“Perfetto! Allora è deciso! Saranno Tobio e Shoyo a preparare la cioccolata per tutti! Vi ho messo gli ingredienti in cucina, vi aspettiamo!”
Ma perché la sfiga non si accaniva su qualcun altro?
 
***
 

“Guarda qua!” 
Kageyama rallentò i movimenti del braccio, continuando però a rimescolare la bevanda bollente e profumata nella pentola sotto il proprio naso, quindi lanciò uno sguardo dubbioso al video di YouTube che Hinata gli stava sventolando davanti alla faccia: uno chef baffuto, dal forte accento francese, prendeva un paio di generosi cucchiai di farina e li mescolava alla polvere di cacao, prima di versare il latte a piccole dosi e mettere il composto sul fuoco. 
“Secondo me è una cavolata, e poi ormai ci abbiamo già messo il latte!” fu la risposta di Tobio, rinsaldando la presa sul mestolo di legno. 
“Dai proviamo ad aggiungercela adesso! È liquidissima!” protestò però Hinata, mettendo su un broncio da bambino di cinque anni. Il maledetto aveva già una mano infilata per metà dentro a un cartone di farina e la sventolava vicino alla pentola con aria a dir poco minacciosa. 
Kageyama si frappose fra lui e la bevanda, costruendo un muro protettivo degno del Dateko.  
“È così che deve essere, boke! Se volevi un budino te lo andavi a comprare!”
“Ma che stai dicendo, creti-yama?! La cioccolata calda deve essere densa, cremosa! Ci hai messo un quintale di latte!”
“È il latte che la rende buona! Ce ne ho messo quanto bastava!”
“Hai fatto un brodo!”
“Meglio un brodo di un budino!”
“Lasciami mettere la farina!”
“Non ci provare!”
“Spostati!”
“Stai lontano da questa cioccolata!”
Ed eccolo lì, il disastro dei disastri. 
Hinata, con una generosa dose di farina stretta nel proprio pugno, cercò di scavalcare la testa di Kageyama per gettarla nella pentola. Ciò di cui non tenne assolutamente conto però fu che, nel mentre, Kageyama stava ancora ondeggiando a destra e a sinistra per impedirgli di avvicinarsi ai fornelli, per cui l’impatto era pressappoco inevitabile.  
Nel giro di un istante, Tobio si ritrovò investito da una pioggia di polvere bianca che si andò a depositare ovunque - tra i suoi capelli, in mezzo alle ciglia, nelle narici, perfino dentro al colletto della camicia – e lo costrinse ad abbandonare la sua postazione per cominciare a tossire e starnutire come un dannato. 
“Boke! Boke maledetto! Io ti ammazzo!” strillò con la voce arrochita, tenendosi la gola. 
Sollevò appena gli occhi verso di lui: l’idiota stava ridendo a crepapelle!
“Sembri un pupazzo di neve! Dov’è il telefono? Devo assolutamente farti una foto!”
Kageyama non ci vide più dalla rabbia. Afferrò con un balzo la confezione di farina lasciata incustodita sul lavello, ne prese una buona manciata e la gettò addosso a Hinata per vendicarsi, così che quello si trasformasse in un tripudio di polvere bianca e tosse tanto quanto lui. 
“Sei-un-idiota!” snocciolò Hinata, scollandosi la farina di dosso neanche fosse un sanbernardo riemerso dalla neve. 
“Così impari, boke!” gongolò Tobio… appena un attimo prima di ricevere un’altra spruzzata di farina, questa volta dritta in piena volto. 
“Che c’è, creti-yama? Non parli più?” lo canzonò Hinata, con tanto di linguaccia. 
E okay, forse Kageyama non era pratico di procedure e rituali militari, ma a lui quella suonò esattamente come una dichiarazione di guerra. 
Spense il fornello sotto alla pentola della cioccolata per non rischiare di bruciare niente – e far più danni di quanto non ne avessero già fatti!- rubò la confezione di farina dalle mani del deficiente davanti a lui e gli rivolse un ghigno diabolico, che fece rabbrividire Hinata da capo a piedi.
“Ti distruggo, boke! Hai firmato la tua condanna!”
La battaglia fu serratissima, la peggiore che Kageyama avesse mai affrontato nella sua vita. 
La cucina di casa Ukai era di dimensione esigue, non presentava molti ostacoli, eppure Hinata sgusciava da tutte le parti peggio di una anguilla; ogni volta che Kageyama pensava di essere sul punto di agguantarlo, quello trovava una via d’uscita qualsiasi, che fosse sotto al tavolo, in bilico sopra a una sedia, ad una certa perfino in mezzo alle sue gambe! 
Una parte del suo cervello gli fece notare che ormai la stanza era diventata un pallido inferno di farina – non osava immaginare quanto tempo ci avrebbero messo a ripulirla né le urla che si sarebbero dovuti sorbire da parte di Ukai, Takeda e, ancor peggio, di Daichi! Tanto più che i poveretti stavano aspettando la loro cioccolata calda da quanto? Un’ora?- tuttavia decise che se ne sarebbe preoccupato davvero solo dopo aver incastrato la pallina bianca e arancione che stava ancora rimbalzando per la stanza.
A un tratto, lanciò via la busta ormai vuota di farina e, con le braccia libere, arpionò la vita di Hinata, gettandolo di malagrazia in un angolo vuoto. Ovviamente il ragazzo cercò subito di liberarsi, ma Kageyama giocò d’astuzia, si impose con tutto il peso su di lui per bloccarlo lì dov’era e gli afferrò entrambi i polsi.
“Che vuoi fare?! È finita anche la farina!” gli fece notare Hinata, mentre si divincolava.
“Zitto, boke! Zitto!” sbottò Kageyama, ma intanto stava soppesando la questione. 
In effetti, non aveva molto senso aver intrappolato l’idiota adesso che non aveva più niente da riversargli addosso. Cosa doveva farsene di lui? Non ci aveva pensato!
Lo osservò distrattamente: aveva i capelli e il viso incipriati di bianco, ma al di sotto era ancora possibile scorgere il rossore intenso delle sue guance, dato dalla foga di scappare. Notò che persino le sue palpebre erano macchiate, così come le sue ciglia già solitamente chiare, ormai quasi trasparenti. Respirava rapido, profondo, gonfiando quel suo petto troppo minuto per la sua età anagrafica, e intanto ingoiava e ricacciava ossigeno dalle labbra semichiuse, anche esse sporche di farina.   
Fu su quelle che Kageyama soffermò un secondo di più lo sguardo e – come fin troppo spesso accadeva, negli ultimi tempi-  furono proprio quelle a fregarlo, senza che lui avesse la facoltà di opporsi. 
Le intrappolò tra le proprie di puro istinto, succhiando via la farina, lasciandole lucide e intonse. 
Quando si staccò, si rese conto che Hinata non si divincolava più, il suo corpo aveva perso ogni briciolo di forza quasi si fosse disciolto contro il muro, tremava un poco e aveva gli occhi fissi a terra – per fortuna! Dove diavolo avrebbe trovato il coraggio di guardarlo? 
Era ancora così nuova quella cosa tra di loro.  
Non ne avevano mai parlato, non si erano mai fermati a riflettere e/o a cercare di darle un nome.
Era solo che a volte, all’improvviso, esattamente come in quel momento, si volevano con una intensità che era impossibile da dominare, allora baciarsi diventava inevitabile, toccarsi un impulso necessario.
Kageyama abbassò le braccia, ma non lasciò la presa sui polsi di Hinata.
La sua pelle scottava.
“Non avevi detto che dovevi distruggermi, baka?” mormorò Hinata, con un filo di voce. 
Kageyama non rispose, solo pigiò la fronte contro la sua, forte quanto bastava a fargli capire che era il momento di tacere. Il piccolo schiacciatore puntò i piedi e spinse a sua volta, eppure, allo stesso tempo, stabilizzò il peso sulle gambe, lasciando scivolare casualmente la coscia di Kageyama in mezzo alle proprie.
Ormai i loro corpi erano diventati un’entità unica, i loro respiri si erano mescolati l’uno all’altro. 
“Hai fatto un casino, baka…” soffiò Hinata, arrischiandosi finalmente a sollevare lo sguardo su di lui.
“Hai cominciato tu, boke.” fu la risposta pronta di Kageyama.
Due sorrisi furbissimi fusi insieme, in un bacio impolverato di farina. 
 
***

“D-dovremmo fermarli? La tua cucina è un disastro…”
Il volto pensoso di Keishin Ukai riverberò sotto la fiammella dorata dell’accendino. Con un gesto fluido, rapidissimo, accese la sigaretta che già stringeva fra le labbra, quindi si concesse un tiro lungo e calibrato prima di rivolgere a Takeda un sorrisetto storto. 
“Lasciali fare un altro po', sono così giovani!” affermò il coach, esalando un rivolo di fumo nella penombra del corridoio. “E poi, questa è la prima volta che la smettono di bisticciare senza l’aiuto di nessuno, no? È una specie di miracolo!” 
Takeda sospirò, titubante. 
Lanciò un’altra rapida occhiata attraverso la fessura della porta e proprio non poté impedire a se stesso di emettere un guaito di sconforto di fronte alla scenetta romantica – e catastrofica!- che stava avendo luogo di fronte ai suoi occhi. 
Era felice per Tobio e Shoyo, davvero. D’altronde, tutta la squadra aveva già da tempo intuito quale genere di interesse legasse i due primini – anche prima dei diretti interessati!-  tuttavia non era sicuro che il permettere certe effusioni tra due minorenni si sposasse molto col suo ruolo di insegnante e poi, ad essere onesti, c’era una questione che lo atterriva ancora di più…
“È un vero peccato…” esalò infatti il giovane professore, mentre prendeva un sorso di cioccolata calda dalla tazza che teneva fra le dita. Ne aveva preparato un pentolino in precedenza, con l’intento di farla assaggiare a Hitoka e Shimizu in anteprima e ricompensarle del duro lavoro di organizzazione della serata, peccato però che alcuni ragazzi della squadra si fossero presentati in anticipo e così non aveva più avuto il tempo di offrirla alle due. 
“Che cosa?” chiese Ukai, distrattamente.
“Sai, avevo comprato questa cioccolata l’ultima volta che siamo stati a Tokyo, in un negozietto artigianale. Ci tenevo a farla assaggiare a tutti voi, è buonissima! Ha un retrogusto di vaniglia che…” non riuscì a terminare la frase. 
All’improvviso, Keishin gli mise una mano sul collo, gli ruotò leggermente il viso e premette la bocca sulla sua. Con una certa prepotenza, lo costrinse a schiudere le labbra, a dare libero accesso alla sua lingua, allora prese a saggiarlo attraverso quel bacio come se stesso assaporando un costoso vino francese. 
Quando si staccò, Takeda aveva gli occhiali appannati e i brividi a fior di pelle. 
“Hai ragione, è un peccato. La cioccolata è buonissima.” disse Keishin, schioccando sonoramente le labbra, dopodiché diede un tiro alla sigaretta e sparì nel buio del corridoio, dandogli le spalle. 
Takeda scosse la testa. 
Quella cioccolata ispirava mirabolanti slanci d’affetto, a quanto pareva. 




NOTE AUTORE

Buon Natale stellina!! 
Oddio spero tanto che questa piccola sciocchezza ti sia piaciuta! Più la rileggo più mi sembra un delirio, ma non sai quanto ci tenevo a farti un regalino FANFICTIONOSO (???) Grazie per aver reso questo 2021 ancora più magico con il nostro incontro! Non sai quanto io mi senta fortunata ad aver conosciuto una persona così dolce, gentile e affettuosa come te! Non vedo l’ora di abbracciarti presto! :) 

Ricordo che questa e le altre storie che faranno parte di questa raccolta partecipano all’iniziativa #regalidiinchiostro del gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”.
Ringrazio infinitamente la signorina Carmaux_95, che ha letto la storia in anteprima e mi ha dato un feedback immediato! 


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Capitolo 4
*** Pioggia di scintille ***


PIOGGIA DI SCINTILLE

A Bea,
con tutto l’affetto del mondo
Buon Natale e Buon Compleanno!

Akaashi non sarebbe mai stato in grado di prevederlo, quella era la verità.
Eppure, conosceva Bokuto come le sue tasche…
Nel corso di quei due anni di liceo, aveva imparato a leggere ogni più piccola sfumatura di lui, a captare ogni più impercettibile mutamento nel suo stato d’animo. 
Non era stato facile. C’era voluto tanto esercizio, una infinita dose di pazienza e un lavoro di analisi praticamente certosino, portato avanti tra ipotesi e confutazioni, esperimenti più o meno riusciti, ma alla fine il risultato era stato ottimale: i sensi di Akaashi ormai reagivano alle stranezze di Bokuto Kotaro con la precisione e la sensibilità di una sonda aerospaziale.
Per cui sì, qualcosa dentro di sé aveva intuito immediatamente che c’era un bell’asteroide in rotta di collisione sopra la sua testa, in quella fredda e – solo apparentemente- tranquilla notte di Capodanno. 
Quello che non avrebbe mai e poi mai potuto sapere in anticipo era la portata di tale asteroide.
O forse sì?
Magari avrebbe dovuto evitare di farsi distrarre dalla doppia sessione di sesso in cui era stato coinvolto appena aveva aperto la porta di casa.

“Sposami!”
Gli era andata di traverso la coca-cola.

***
 
La casa era immersa nel silenzio, se non per l’allegro cicaleccio del televisore acceso in soggiorno, intento a trasmettere l’ennesima performance dell’ennesimo gruppo K-pop di cui non ricordava il nome. Intorno a loro, la stanza era un disastro: Akaashi non era mai stato così felice che i suoi genitori avessero deciso di andarsene dai nonni a Osaka fino alla fine delle vacanze natalizie, perché – davvero!- non aveva idea di come avrebbe potuto giustificare i cartoni sporchi del cibo d’asporto accatastati in un angolo del pavimento o anche le lattine, le bucce di mandarino e gli involucri dei preservativi accatastati sul tavolino da caffè, per non parlare poi dei loro vestiti abbandonati intorno al divano. 
Akaashi sospirò -consapevole che sarebbe toccato a lui e a nessun’altro mettere in ordine quel casino- dopodiché abbassò il capo. 
Kotaro, steso con la testa sul suo grembo, lo stavo fissando dal basso con quei suoi occhioni dorati da gufo e un’espressione così elettrizzata e trepidante dipinta sul viso che Akaashi non riuscì a impedire alle sue guance di prendere fuoco. 
“Smettila di scherzare. E rivestiti che tra poco è mezzanotte! Manca un quarto d’ora al conto alla rovescia!” lo rimproverò, dandogli un leggero schiaffetto sulla fronte.
 A differenza sua, che aveva avuto la decenza di mettersi il pigiama, lo scemo si era infilato soltanto i calzoni senza nemmeno i boxer, aveva i capelli sparati in tutte le direzione e il petto sporco della cioccolata calda che aveva praticamente ingurgitato pochi istanti prima, insieme a delle altre macchie di… okay no, Akaashi si rifiutava anche solo di pensarlo!
“Akaashi! Ma io non sto scherzando!” si lamentò subito, mettendo il broncio.
“Oh, per l’amor del cielo…”
In uno schiocco di dita, Bokuto si sollevò a sedere, si sporse verso di lui arrivandogli a due millimetri dal naso e “Andiamo Akaashi! Sposami!” ripeté, aprendosi in un radioso sorriso. 
“Il gioco è bello quando dura poco, Kotaro, falla finita.” ribatté allora Akaashi, serio, ritraendosi un po' per riacquistare almeno un briciolo di spazio interpersonale e, soprattutto, di autocontrollo. 
Nella cassa toracica, sentiva il proprio cuore galoppare velocissimo, quasi rimbalzando tra una costola e l’altra. Possibile che Bokuto non capisse quanto stupido, imbarazzante e completamente fuori luogo fosse scherzare su una cosa del genere? Ma poi, come gli era venuta in mente un’idea simile?!
“Ma io non sto giocando! Voglio sposarti davvero! E il prima possibile! Anche domani!”
“Domani?”
“Sì!”
“E come vorresti fare, sentiamo?”
“Non lo so, vediamo su internet!”
“Ma che… Bokuto, noi non ci possiamo sposare!”
“Ma perché?” 
“Perché no, è assurdo. Fine della storia.”
Ed eccolo lì, il momento dell’impatto dell’asteroide con l’atmosfera terrestre, vale a dire la catastrofe assoluta. 
“Non è assurdo!” proruppe infatti Kotaro, alzandosi in piedi di scatto. 
Il livello di depressione nella sua voce si era acuito all’inverosimile. Tutto il suo viso si era distorto in una smorfia di teatrale tristezza, perfino i suoi capelli ingellati si erano ammosciati, mentre i suoi occhi si erano velati di una spessa patina di lacrime. “Perché non mi credi? Io ti voglio sposare! Che c’è di male in questo?!” urlò tutto d’un fiato, prima di voltarsi e sparire nel corridoio. 
Fu a quel punto che Akaashi si rese conto che Bokuto non stava scherzando.
Non stava scherzando affatto. 
E che lui aveva appena rovinato il Capodanno. 
***

“Bokuto? Esci da lì, per favore?”
“No! Lasciami morire qui!”
Akaashi si accovacciò sul materasso, si strizzò la radice del naso tra pollice e indice e prese un lungo respiro: Bokuto si era rifugiato nella sua stanza, al buio, appallottolandosi dentro al piumone formando un enorme fagotto triste e non sembrava avere alcuna intenzione di stare ad ascoltarlo. 
Si sentiva un completo idiota… 
Okay, la richiesta di Kotaro rimaneva sempre e comunque illogica -per non dire completamente assurda!- ma non avrebbe mai voluto ferire i suoi sentimenti, men che meno l’ultima notte dell’anno! 
Non gli andava di terminare così quella serata. 
Era il loro primo Capodanno insieme come coppia, e soprattutto era l’ultimo che avrebbero trascorso come studenti dello stesso liceo, compagni della stessa squadra, asso e alzatore, capitano e vice. 
Era per questo, dopotutto, che aveva deciso di rimanere a Tokyo e non andare coi suoi genitori a Osaka.
Doveva assolutamente rimediare.
“Kotaro… ti prego…” mormorò di nuovo Akaashi, affranto.
“Tu non mi vuoi!”
“Cosa?”
Bokuto fece capolino da un pertugio solo fino a metà viso e “È per questo che non vuoi sposarmi! Perché non vuoi stare con me! Dimmelo!” guaì come un cucciolo ferito, prima di rintanarsi un’altra volta.
“Non è vero, lo sai.” rispose subito Akaashi.
“Allora sposami!”
“Non è una cosa fattibile.”
“Perché?”
“Perché siamo troppo giovani!” cercò allora di spiegargli Akaashi, facendo appello a tutta la calma e la pazienza che possedeva dentro di sé “Kotaro, io non sono nemmeno maggiorenne e tu hai compiuto diciotto anni solo da qualche mese! Dobbiamo ancora finire il liceo! E poi andare all’università, laurearci, realizzarci lavorativamente! Non abbiamo una casa, un mutuo! Non siamo neanche in grado di sostenerci da soli economicamente!” poggiò una mano sulla superficie ruvida del piumone ed elargì qualche pacca di incoraggiamento “Non ci possiamo sposare, mi dispiace…”
Per circa cinque interminabili secondi, l’enorme bozzolo sul suo letto rimase sinistramente immobile. 
Poi, all’improvviso, Bokuto uscì fuori dal proprio involucro protettivo, accese la luce sul comodino, quasi accecando Akaashi e si piantò di fronte a lui, inchiodandolo lì, coi suoi occhi dorati e profondi, senza lasciargli alcuna via di scampo. 
In mezzo all’imbarazzo e alla sorpresa, Akaashi notò che non vi era più nemmeno un’ombra di sconforto o di malessere sul volto del compagno, reso aranciato dalla tenue luce dell’abatjour, perché al loro posto si era insediata quella che, nel corso del tempo, Akaashi aveva imparato a chiamare la scintilla: quel connubio di audacia, fermezza e potenza che trasformava Bokuto Kotaro in una supernova, un astro celeste fulgido e inarrestabile, impossibile da non ammirare incantati. 
“Ma io ti amo.” disse quello, con una tale sicurezza che Akaashi se ne sentì come schiacciato “Le persone si sposano perché si amano, giusto? Perché si amano e vogliono passare tutta la loro vita insieme! Ed io ti amo, Akaashi! Ci pensavo prima… mentre facevamo sesso… e anche dopo, mentre stavo steso sulle tue gambe e ti osservavo! Io ti amo tipo tantissimo! Non amerò nessuno quanto amo te, ne sono certo, perché altrimenti… boh, esploderei! E sono anche sicuro di volere passare ogni secondo di ogni giorno di ogni mese di ogni anno di ogni secolo di ogni millennio insieme a te! Insieme a te e nessun altro! Questo vuol dire che ci dobbiamo sposare, no? Secondo me, è una cosa log… Akaashi, ma stai piangendo?”
La risposta era sì, Akaashi stava effettivamente piangendo. 
Non sapeva in che punto del discorso avesse iniziato e nemmeno come fermarsi, adesso che Bokuto aveva terminato, fatto stava che il suo viso era bagnato e asciugare le lacrime, col dorso della mano, non stava servendo a granché. 
“Bokuto…” mormorò, la voce che gli tremava.
Al solito, la serietà di Bokuto si trasformò in panico e ottusità nel giro di un battito di ciglia. 
“Akaashi! No! Oddio! Io non ti volevo fare piangere! Fai piangere anche me così! Che devo fare?! Ti prendo dell’acqua? Vuoi sciacquarti il viso? Vuoi della cioccolata? Oddio, viene da piangere anche a me! È troppo brutto vederti così!” iniziò a urlare e ad agitarsi, nemmeno fossero nel bel mezzo di un terremoto “Rompi con me! Rompi con me seduta stante! Io non mi merito niente!”
“Bokuto?”
“SONO UNA PERSONA ORRIBILE! UN MOSTRO!”
“Bokuto, mi ascolti per favore?”
Akaashi dovette prendergli le mani tra le sue per placare la sua crisi. 
Gli fece una tenerezza assurda; il ragazzo di fronte a lui non era semplicemente depresso, era disperato! Si era messo a piangere anche lui per davvero e adesso aveva la faccia impiastricciata di muco e di lacrime come un bambino piccolo.
Quanto lo amava…
“Richiedimelo!” gli ordinò allora Akaashi, sorridendogli.
“Richiederti cosa?” chiese Bokuto, tirando su col naso sonoramente.
“Di sposarti! Richiedimelo!”
“Ma… che senso ha?”
“Richiedimelo e basta.”
Bokuto allora deglutì, si prese qualche minuto per calmarsi e trovare la forza interiore di far fronte alla richiesta di Akaashi, dopodiché “Keiji, mi vuoi sposare?” domandò, senza alcuna convinzione. 
Dall’altra però, il sorriso di Akaashi si arcuò.
“Sì, lo voglio.”
“C-cosa?” 
“Ho detto che lo voglio. Ti sposo, va bene.”
Bokuto si rianimò come se qualcuno gli avesse appena fatto un elettroshock, “S-stai dicendo davvero? M-ma… tu hai detto che… siamo giovani… e non abbiamo una casa, una laurea, i soldi e tutta quell’altra roba…” iniziò a balbettare, incredulo ed entusiasta nello stesso momento. 
“Sì, è vero. Motivo per cui non ci sposeremo adesso. E no! Non lo faremo nemmeno domani o la settimana prossima o nell’arco di quest’anno! È inutile anche che lo chiedi!” puntualizzò subito Akaashi. 
Prima che Bokuto potesse cadere di nuovo in depressione però, gli strinse forte le mani tra le sue e si protese nella sua direzione “Però anche io ti amo e voglio passare la mia vita con te, hai ragione. Perciò ci sposeremo… fra qualche anno! D’accordo?”
“È una promessa?” domandò allora Bokuto, con due stelle al posto degli occhi.
“Sì, lo è.”
“E se poi te ne dimentichi?”
“Te lo sto promettendo negli ultimi dieci secondi della notte di Capodanno. Promesse del genere sono le più importanti di tutte, non si possono dimenticare.”
E in effetti, in soggiorno, la presentatrice televisiva aveva appena cominciato il countdown. 
Bokuto lo colse di sorpresa, avvicinando i loro volti fino a congiungere le loro fronti, ma Akaashi non oppose resistenza. Il calore di Kotaro gli sfiorava la pelle, così come il suo respiro irregolare che ondeggiava avanti e indietro direttamente sulle sue labbra schiuse. Negli ultimi istanti, trovò il coraggio di specchiarsi nei suoi immensi occhi dorati e gli sembrò di trovarci dentro l’amore più sincero e incondizionato che avesse mai conosciuto, allora se ne sentì pervaso in ogni cellula, in ogni singola goccia di sangue. 
Quella sensazione, per tutta la vita. 
Sì, lo voleva.
3… 2… 1… 
“Non vedo l’ora che arrivi, Akaashi!”
“Che cosa?”
“Il Capodanno in cui saremmo veramente sposati!”
In televisione, la festa esplose tra fuochi di artificio e acclamazioni della folla, ma tutto ciò che Akaashi avvertì fu la morbidezza della bocca di Bokuto che incontrava la propria, la apriva con gentilezza e assaggiava piano il suo sapore. 

Alla fine, Akaashi pensò che gli asteroidi fossero proprio come Bokuto. 
Brillanti.
Potenti.
Imprevedibili. 
Il suo si era appena trasformato in una magica pioggia di scintille.

“Possiamo già decidere il colore degli inviti, Akaashi?” chiese Bokuto, contro il suo collo accaldato.
“No, Kotaro, assolutamente no.” rispose Akaashi prima di lasciarsi distendere sul letto.
Bel modo di cominciare l’anno nuovo. 




NOTE AUTORE

Buon Compleanno tesoroooo! Finalmente posso postare il tuo regalo di Natale ahahah sai che, in realtà, è la primissima OS che ho scritto? :P Spero tanto che questa piccola sciocchezza ti piaccia, a me ha divertito molto scriverla, devo dire la verità! 
Ci tenevo a farti un pensierino per il tuo compleanno e, in generale, per Natale! Conoscere te e Bennina è stato uno dei regali più belli che ho avuto da questo 2021! Sei una ragazza davvero preziosa e non vedo l’ora di riabbracciarti al più presto!

Ricordo che questa e le altre storie che faranno parte di questa raccolta partecipano all’iniziativa #regalidiinchiostro del gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”.
Ringrazio infinitamente la signorina Leila91, che ha letto la storia in anteprima e mi ha dato un feedback immediato!  <3

Con questa si concludono le mie storie natalizie a tema Haikyuu! Scriverle è stato più che un piacere, è stata la boccata d’ossigeno che mi serviva in mezzo al caos quotidiano. Mi auguro di aver strappato un sorriso ai destinatari delle OS, ma anche a voi altri lettori, che avete voluto passare a dare uno sguardo. 

Ed è a voi tutti che io auguro BUON ANNO NUOVO, con tante nuove storie da raccontare (… e da finire! Lo so che Wakatoshi e Shoyo mi aspettano, non temete)!

A prestissimo, 
Violet Sparks

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