Di Omega, regni e amori

di Ashla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pace non trovo... ***
Capitolo 2: *** E non ho da far guerra ***



Capitolo 1
*** Pace non trovo... ***


Avvertenza: faccio schifo con le dediche…
 

Per Haruka_Lisbet_Tenou,
grazie perché con le tue richieste mi hai dato la possibilità di scrivere su questo splendido fandom.
Non potevo non scrivere su Oikawa e Suga e così eccoli qua (con UshiUshi) pronti per te! Spero che questa fic, nonostante diverga un po' da quello che hai scritto nella letterina, ti possa piacere almeno un po'. Con questa speranza, unita a quella che tutto vada per il meglio, ti auguro buon Natale e buone feste!


 
Info: nella fic i personaggi verranno chiamati sempre con i loro nomi visto il contesto medievale. Wakatoshi viene anche chiamato principe dell’aquila in onore di A Tale of Crows and Demons di Ode To Joy, lo ritenevo doveroso vista la sua storia magnifica che, insieme a quelle di Killthespare, ha conquistato la mia ammirazione (vi giuro non è pubblicità).

 
 

Di Omega, regni e amori

 

Pace non trovo…

 
 
 
Le porte lignee della sala delle udienze si spalancarono, spinte dalla sua furia e il principe di Seijoh, incurante della riunione politica in corso, si fiondò a passo di carica dentro, con ancora il mantello usato per la caccia mattutina sulle spalle.
I presenti si voltarono a guardarlo: chi spaventato per l’improvvisa entrata, chi stupito, chi in disappunto per l’interruzione.
Tooru non se ne curò e, con gli occhi fissi sul padre a capo tavola, sbatté i palmi sul tavolo facendo cadere la boccetta d’inchiostro del consigliere più vicino.
«Cosa significa, padre? Non ho intenzione di sposare quello».
Sibilò con guardò glaciale senza scomporsi per l’occhiata infuocata lanciatagli dal sovrano.
«Sua altezza…ci sarebbe una riunione in corso e…»
«E il mio futuro è più importante ora»
Il consigliere che aveva osato parlare chinò lo sguardo e Tooru tirò fuori da una tasca della tunica una lettera tutta spiegazzata, la accartocciò e la lanciò verso il padre.
La pallina cadde sulla superficie lignea poco distante dal sovrano che, diversamente dai suoi consiglieri, non distolse lo sguardo dall’intruso.
«Nulla che ti riguardi è più importante del mio regno. Gli accordi sono già stati presi. Ora vattene».
Quasi ringhiò il re e un forte odore di salsedine invase la stanza: Tooru indietreggiò appena stringendo i pugni nel tentativo di non farsi sottomettere dai feromoni aggressivi del padre.
«Gli accordi sono nulli. Io non c’ero».
«Per quelli come te non c’è scelta, non c’è possibilità di pareri…dovresti ringraziarci per averti dato questa opportunità…omega».
Oikawa ringhiò a quella parola sputata dal padre come il peggiore degli insulti e fece per avanzare.
Un’ulteriore ondata di feromoni lo bloccò.
«La decisione è presa…partirai domani mattina all’alba…ora sparisci o rimarrai nelle segrete fino alla tua partenza».
«Certo padre…ti assicuro che quando verranno ad accompagnarmi alla carrozza io non ci sarò. Ti obbedirò: sparirò. Io non lo sposerò mai».
«Vedremo. Guardie! Portatelo in camera sua e che non esca per nessun motivo».
A nulla valsero i suoi tentativi di divincolarsi, le sue urla e i suoi insulti: fu trascinato via da due grosse guardie.
Sulla soglia incrociò lo sguardo di un gracile omega con i colori della servitù di Seijoh che lo aveva seguito in silenzio fin lì dopo avergli consegnato la lettera.
Il ragazzo, con la sciarpa davanti alla bocca e al naso per i troppi feromoni, sospirò e, dopo aver distolto l’attenzione da lui per fare un profondo inchino verso il consiglio, si affrettò ad allontanarsi seguendo lui, il suo principe, lungo i vasti corridoi del palazzo di Seijoh.
 
***
 
Koushi, servitore del principe Oikawa di Seijoh, entrò negli appartamenti regali canticchiando tra sé e sé.
Con movimenti precisi aprì le tende candide del baldacchino, scuotendo divertito la testa per quell’ammasso informe di lenzuola e vestiti che il suo principe gli aveva lasciato da sistemare, poi a passo veloce si avviò verso la grande portafinestra e, spostati ai lati gli spessi panneggi viola, la aprì facendo entrare nella stanza i raggi del sole e la tiepida brezza mattutina.
Quel giorno, come da quasi due settimane a quella parte, il suo principe era uscito presto per godersi una cavalcata nei boschi insieme al suo fedele cavaliere Iwaizumi Hajime. Se avesse continuato così ancora per molto, la nuova corte avrebbe cominciato a spettegolare…anzi, probabilmente lo faceva già.
Ridacchiò al pensiero e tornò verso il letto iniziando a sistemare il disastro provocato dall’altro dedicandogli tutta la sua attenzione.
Stava sprimacciando i cuscini quando si sentì insopportabilmente osservato e alzò lo sguardo: sobbalzò all’indietro e si ritrasse dal letto facendo subito un profondo inchino.
«V…vostra maestà»
Ushijima, il principe del regno di Shiratorizawa, lo fissava con aria imperscrutabile dall’ingresso.
Il giovane servitore tossicchiò cercando di ricomporsi e alzò di poco lo sguardo senza però guardare in volto il visitatore: nel regno di Seijoh, un umile omega come lui non aveva il diritto di guardare in viso un alfa potente come il principe dell’aquila.
«Posso fare qualcosa per voi? Cercate il principe Tooru? Sono desolato ma al momento è a cavallo, se lo desiderate quando ritornerà lo informerò della vostra visita».
Il suo principe di certo non ne sarebbe stato felice: poteva già sentire l’odore di brezza marina rovinarsi e il suo volto contrarsi in una smorfia di disgusto…e pensare che da lì a un paio di mesi sarebbe diventato il consorte di quell’alfa che tanto detestava.
«Lo aspetterò qui. Continua pure il tuo lavoro».
Non aspettando una risposta, Ushijima si spostò e, senza invito, si sedette sulla poltroncina vicino al focolare spento, dopotutto lui non aveva di certo bisogno di permessi da parte di un umile omega.
Koushi, seppur in soggezione, riprese le sue faccende in silenzio lanciando, di tanto in tanto, veloci occhiate al visitatore che sedeva impassibile.
Tooru non avrebbe gradito, no.
Come non avrebbe gradito che quello fosse lasciato solo nella sua stanza così Koushi si limitò a riempire la cesta dei panni da lavare e a metterla da parte nella speranza di poterlo fare dopo.
Il principe disse qualcosa.
Koushi sobbalzò lasciando cadere una casacca.
«Mi scusi, mio signore, cosa ha detto?»
«Mi odia?»
Koushi si azzardò a guardare il principe aspettandosi di trovare dubbio nel suo sguardo eppure l’espressione dell’altro non era cambiata.
Si prese del tempo, chinandosi a prendere la casacca caduta, per pensare: di certo non poteva dirgli quanto Tooru lo trovasse insopportabile e quanto, al sicuro dalle mura di quella stanza, lo insultasse e né, se lo avesse fatto, avrebbe potuto spiegare un motivo.
Sospirò buttandosi la casacca appena raccolta sulla spalla e, senza muoversi, ne inspirò appena il profumo per rischiararsi le idee.
«No, solo sperava di poter servire il suo paese».
«Il nostro matrimonio sancirà un’alleanza. Per essere un omega servirà più che bene il suo paese».
 
 
 
A quindici anni, Tooru non era ancora nessuno: non alfa, non beta, non omega. Solo un ragazzino in attesa.
La corte mormorava, spettegolava, scommetteva ma lui non se ne curava e affermava con sicurezza che sarebbe stato uno dei più grandi alfa della storia.
A quindici anni, Tooru aveva la convinzione, maturata dagli insegnamenti del padre, che gli omega non fossero altro che feccia, destinati alla servitù, di qualunque genere essa fosse, alle baracche e ai bordelli.
Perciò fu sorpreso quando, convocato negli appartamenti di sua madre, la trovò accanto ad un giovane dai tratti delicati come il profumo di lavanda che emanava.
Non era un alfa, non un beta…un omega. Uno scherzo della natura.
«Tooru, lui è Koushi, sarà il tuo attendente personale».
Le parole della madre furono come una secchiata d’acqua fredda. Tooru squadrò critico il nuovo arrivato.
Occhi miele contornati da profonde occhiaie, pelle pallida, corpo esile e polsi arrossati appena visibili dalla casacca troppo grande per lui.
Un timido sorriso gli illuminava appena il volto e le labbra piene di tagli.
«Non lo voglio».
Come poteva un omega sorridere? La sua esistenza era uno scherzo della natura.
Se ne andò sbattendo la porta.
A cosa stava pensando sua madre?
Quella sera, con suo sommo sdegno, l’omega gli servì la cena scatenando l’ilarità di suo padre.
«Bel regalo moglie cara. Almeno potrà sfogarsi durante le sue rut».
 
 
Ma di quello che passava nella mente di Tooru, quello che pensava, quello a cui era stato abituato, all’inizio Koushi non ne aveva idea.
A quindici anni, Koushi era un omega e, proprio per quello, non aveva più niente, neppure il suo corpo.
Poi la salvezza era giunta inaspettata di una donna dai capelli color dell’alba, la regina di Seijoh. E poco gli importava dello sdegno del principe e del sovrano: seppur da servo poteva ritornare a vivere.
I primi tempi furono burrascosi: la corte sussurrava maldicenze, i soldati gli fischiavano, il re lo insultava e il principe, cresciuto nella convinzione della superiorità degli alfa, non sopportava neppure la sua presenza.
Tuttavia Koushi non era tipo da spaventarsi per così poco, aveva vissuto di peggio, e così lavorava obbedendo alla folle richiesta del principe di servirlo senza, però, esistere nella sua vita se non lo stretto necessario. E allora Koushi lo aiutava a lavarsi in silenzio, gli sistemava la camera mentre non c’era e gli serviva i pasti a capo chino per poi correre a preparare il necessario per la notte.
Non una parola gentile, non un ringraziamento giungevano dall’altra parte ma solo sguardi altezzosi e sbuffi infastiditi uniti all’estrema voglia del suo padrone di liberarsi di lui il prima possibile, di vederlo lo stretto necessario.
Koushi svolgeva i suoi lavori con efficienza e rapidità e poi, obbedendo al principe, spariva fino a quando la sua presenza non era, seppur contro voglia, richiesta.
Fu proprio di ritorno da una di quelle camminate che tre mesi dopo il suo arrivo, durante una settimana di inizio primavera, venne oppresso dalla furia dei feromoni del sovrano di Seijoh proprio mentre stava per girare l’angolo che portava al corridoio degli appartamenti del principe.
Crollò in ginocchio con una mano davanti alla bocca e al naso.
«Una puttana! Abbiamo una puttana in casa!»
Koushi, per quanto possibile, si ritrasse contro il muro, tremante, sicuro che stessero parlando di lui: nessun altro poteva mai meritarsi un tale epiteto se non lui.
«Non riesci a fare nulla di buono! Prima la femmina beta e ora lui! Il mio erede! Una schifosa puttana omega!»
Koushi, col cuore a mille, sgranò gli occhi.
«Marito mio se…»
Il ringhio del sovrano interruppe la fievole obbiezione della moglie e risuonò nel corridoio quasi deserto facendo rannicchiare giovane servitore e Koushi, più tardi, non seppe se lo avesse fatto per l’istinto d’obbedienza degli omega o se per vera e propria paura nei confronti della rabbia dell’uomo.
«Tu! Il tuo abominio! Avete distrutto il mio regno! Ora sparisci dalla mia vista e che non ti trovi di nuovo ad osare avvicinarti a quello scherzo della natura che hai messo al mondo!»
I passi del re si allontanarono nella direzione opposta a quella in cui si trovava Koushi e con lui i feromoni irati.
Koushi tornò a respirare proprio mentre la regina voltava l’angolo e lo vedeva. Si prostrò a terra ma la donna, sorprendendolo, lo chiamò per nome invitandolo a guardarla.
In quegli occhi, appena più scuri di quelli del principe, ci lesse un dolore immenso.
«Prenditi cura di lui…»
Quel sussurro, quasi una supplica, si fece strada dentro di lui che, con gli occhi sgranati e ancora tremante per l’agitazione dovuta all’ira del re, annuì; la donna era già lontana.
Koushi, alzatosi, raggiunse la porta e la aprì quel tanto che bastava per sgusciare dentro alla stanza chiudendosela poi alle spalle: subito un intenso profumo di brezza marina lo avvolse unito ai fievoli lamenti del principe che, rannicchiato sul letto, giaceva un fianco agitandosi appena per il dolore.
Senza esitare andò al tavolo vicino al camino e riempì un calice con l’acqua di una caraffa poi si affrettò a raggiungere il principe bisognoso d’attenzioni.
Appena si sedette sul bordo del materasso, due occhi lucidi, schiusi con grande fatica, lo fissarono supplichevoli.
«Alfa?»
Koushi scosse piano la testa provando dispiacere per l’altro, sapendolo come nuovo omega alle prese con la sua presentazione, il suo primo calore, non si aspettava niente di diverso eppure, nel vedere quel ragazzo così sicuro di sé e sempre attivo ridotto in quello stato delirante e supplicante, non poteva non provare pena per lui.
«Un semplice omega, voglio aiutarvi principe».
«Alfa, ti prego…»
Koushi sospirò con sincero dispiacere a quella supplica e gli posò una mano sulla fronte, madida di sudore, mordicchiandosi il labbro.
Quando il principe sarebbe stato meglio, probabilmente da lì a un paio di giorni, si sarebbe odiato per quello che era diventato, per quello che i suoi istinti avevano voluto: era diventato ciò che disprezzava, la sua vita sarebbe cambiata drasticamente e, di sicuro, non in meglio.
L’ennesimo gemito unito ad una supplica lo richiamarono e Koushi sollevò appena la testa dell’altro con una mano mentre, con l’altra, gli posò sulle labbra, arse dal calore, il bordo del calice.
«Ecco, un po' d’acqua le farà bene».
Lo aiutò a bere qualche sorso poi lo riappoggiò con delicatezza tra i cuscini e gli tolse le pesanti coperte con cui qualcuno, probabilmente lo stesso principe prima di crollare in pieno calore, gli aveva messo addosso: sospirò alla vista dei vestiti pesanti che il ragazzo ancora indossava.
«Vi devo spogliare».
Non sapeva perché glielo stava dicendo visto che l’altro, in preda al delirio, di sicuro non l’avrebbe sentito; lo spogliò con attenzione, gettando a terra i vestiti così impregnati di sudore e slick da essere ormai destinati, senza alcuna esitazione, al fuoco.
Tooru mugolò di sollievo per l’improvvisa mancanza di abiti e Koushi si guardò intorno desideroso di poter fare di più per aiutare il principe in quel tormento, per dargli tutte le cure possibili che lui, in tutti quegli anni di calore, mai aveva sperimentato.
Inspirò profondamente e subito se ne pentì: l’aria era satura di feromoni.
Koushi, capendo cosa dovesse fare, si assicurò di chiudere le tende del baldacchino che davano verso la finestra prima di socchiudere quest’ultima per far entrare un po' d’aria fresca.
In silenzio, raccolto un panno umido, tornò dal principe e, sedendosi accanto a lui, cominciò a passargli il pezzo di stoffa addosso pulendolo e rinfrescandolo allo stesso tempo.
«A-alfa…»
Tooru allungò una mano tremante verso di lui che, mollato il panno, la afferrò stringendola tra le proprie.
«Tranquillo mio principe. Presto passerà, presto starà meglio».
Gli stette accanto per due giorni interi, senza allontanarsi mai da quel letto se non per richiamare qualche altro servitore beta per farsi portare infusi caldi e pomate contro i dolori.
All’alba del terzo giorno, stava dormicchiando su una sedia accanto al letto, approfittandosene del sonno inquieto in cui era caduto il principe, quando Tooru si svegliò ormai quasi del tutto fuori dal suo calore.
«Omega?»
Koushi, a quella voce debole che lo chiamava, sobbalzò e gli sorrise sollevato notandolo cosciente.
«Buongiorno maestà, state meglio?»
Avrebbe potuto fargli notare che anche lui era un omega ma non lo fece e, quando Tooru se ne rese conto, gli stette a fianco consolandolo come meglio poteva per quella che, agli occhi del principe, era una catastrofe per lui e la rovina per il futuro del regno.
«Quindi…quando è stato il tuo primo calore?»
Domandò, ore dopo, il principe che pareva ormai troppo stanco per piangersi addosso e.
«Avevo tredici anni e, se ve lo state chiedendo, neanche i miei l’hanno presa bene…mi hanno venduto…»
«Dove sei stato per due anni?»
«In un posto non molto bello…ma ora dovete riposare. Io vado a prendervi da mangiare e avviso vostra madre che state meglio».
Koushi, desideroso di sfuggire a quella conversazione che mai si sarebbe aspettato di intraprendere con il principe, si allontanò a passo spedito e rallentò solo davanti alla porta, socchiusa, degli appartamenti della regina riconoscendo, dai feromoni, la presenza del re all’interno.
«Quello scherzo della natura non governerà mai il mio paese! Deve solo ringraziare che lo tenga in casa e non lo getti nel suo ambiente naturale: un bordello».
Le parole del sovrano fecero accelerare il cuore del ragazzo che si ritrasse mentre il freddo, il buio e la puzza lo avvolgevano.
Scosse il capo: non era il momento, ormai la sua vita non era più quella e, sperava, che non lo sarebbe stata mai più. Si concentrò sul dialogo all’interno.
«Lo terrò e, quando sarà il momento, farà quello che deve. Per essere uno schifoso omega servirà più che bene il suo paese».
 
 
Ushijima lo fissava in silenzio e Koushi si accorse di essersi perso nei suoi pensieri.
«Suppongo che sia così, vostra maestà».
«Non supporlo…lo è».
Se ci fosse stato Tooru avrebbe dato una tale risposta da far saltare quell’alleanza e tutte le possibili future ma lui si limitò a mordersi l’interno guancia e, dopo aver annuito, riprese a svolgere le sue faccende cercando di ignorare la presenza dell’erede.
Tooru sarebbe ritornato da lì a molte ore, era dunque destinato a rimanere in compagnia di quell’uomo? O il principe si sarebbe stufato e se ne sarebbe andato via prima?
Koushi sperava vivamente la seconda, non aveva proprio voglia di vedere la faccia di Tooru nel vedersi un tale visitatore in camera.
«Ama qualcun altro?»
Il cuore di Koushi perse un battito e il giovane, inspirando profondamente, dovette sforzarsi di mostrarsi calmo.
«Perché pensa questo, vostra maestà?»
Riuscì a non far tremare la voce e ne gioì interiormente: nessuno doveva sapere di loro due, non sarebbe finita bene per entrambi e lui non lo voleva.
«Ieri mi ha detto che non saprò mai cos’è l’amore».
Si morse l’interno guancia per impedirsi di spalancare la bocca o di sospirare: Tooru aveva la lingua troppo lunga, prima o poi si sarebbe fatto scoprire.
Bastava un solo minimo sospetto e tutto sarebbe andato in rovina. Non poteva permetterlo.
«Mi dispiace, vostra maestà».
«Non scusarti per le parole del tuo principe».
Ma Koushi non si stava scusando per le parole di un principe, ma per quelle del suo amore che, irato da quel destino avverso, attaccava anche gli innocenti. Sì, perché, alla fine, Ushijima non era altro che un innocente, una pedina nelle mani della madre proprio come Tooru lo era per suo padre ma con l’unica differenza che il principe di Shiratorizawa non era ribelle come quello di Seijoh.
«Il regno vale più di un singolo, quello che prova non è rilevante. E comunque non ha nessuno di importante».
Abbassò lo sguardo, dopotutto era vero: nessuno era così importante da far andare a rotoli un’alleanza del genere.
Il principe dell’aquila rimase in silenzio e Koushi non seppe dire se ci avesse creduto o meno pur sperando di sì.
Per molto tempo nessuno più parlò poi, sorprendendolo, Ushijima si alzò dalla poltroncina su cui si era seduto e raggiunse la porta.
«Sei un bravo servitore».
Detto questo se ne andò lasciandolo solo nei nuovi grandi appartamenti del principe e lui, dopo qualche minuto di smarrimento, si lasciò sfuggire un sospirò scivolando seduto per terra.
Quelle settimane a Shiratorizawa lo stavano prosciugando peggio ancora del suo primo periodo alla corte di Seijoh o, addirittura, dei primi tempi dopo la presentazione di Tooru come omega.
 
 
 
Con il ritorno in società del principe dopo il suo primo calore tutto cambiò, anzi, si rovinò: il padre non lo degnava più di uno sguardo, Tooru non poteva presenziare alle assemblee né alle feste, gli era stato proibito di continuare ad allenarsi con la spada con gli altri giovani cavalieri e, dovunque andasse, tutti si fermavano, ammutolendosi, al suo passaggio per poi iniziare a sussurrare concitatamente una volta allontanato.
E la cosa peggiore di tutte, fu la scomparsa improvvisa della regina che, da sempre cagionevole, venne stroncata da una forte febbre…o almeno, questo era quello che raccontavano a corte perché Koushi, anche se non lo avrebbe detto ad alta voce, Tooru erano sicuri che ci fosse qualcos’altro dietro.
In mezzo a questo male Tooru trovò nel suo servitore il suo più fedele alleato.
Koushi compariva al fianco del principe di prima mattina e lo lasciava solo quando si addormentava: svolgeva le faccende, lo accompagnava nel cortile sul retro dove Tooru passava ore intere a tirare con l’arco ma, soprattutto gli stava accanto e lo sosteneva durante i momenti più bui in cui il principe si disperava per il suo destino, infausto, in cui ormai non vi era più la possibilità di governare il regno di Seijoh.
Quando, neanche un mese dopo, Koushi annunciò che dal giorno dopo avrebbe avuto il suo calore, provò un sincero moto di dispiacere nel vedere quegli occhi rabbuiarsi impercettibilmente e, tra sé e sé, si promise di stare via il meno tempo possibile per non abbandonare il principe.
Così fu, appena le sue forze glielo permisero abbandonò il giaciglio e, resosi presentabile, marciò a passo deciso verso gli appartamenti dell’altro stando ben attento, nel tragitto, sia a non incontrare alfa che a sentire le chiacchiere di corte per cogliere novità su quel principe per cui ormai provava un sincero affetto.
Sospirò appena scoprendo che Tooru non si faceva vedere da nessuna parte nella reggia da tre giorni e trattenne uno sbuffo quando una dama, parlando con un’altra, avanzò l’ipotesi che si fosse finalmente ucciso per la vergona: non lo avrebbe fatto, certo il nuovo omega si vergognava di quello che era ma era forte e il suo orgoglio, ferito ma sempre presente, glielo avrebbe impedito.
Arrivò infine davanti alla porta degli appartamenti del e, invece di bussare come un bravo servitore avrebbe fatto, la spalancò.
«Manco io e si poltrisce, vostra maestà?»
Tooru, steso supino sul letto, sobbalzò e scattò a sedere incrociando lo sguardo con il suo e Koushi gli lanciò un sorrisetto divertito.
Non sapeva da quando avesse sviluppato una tale incoscienza da stuzzicare il suo padrone, forse erano i residui di calore, ma sentiva che era la cosa giusta da fare, oltre che la più divertente.
«Cosa? Come?»
Tooru lo fissava come se fosse un fantasma poi lo raggiunse e, senza preavviso, lo abbracciò: subito Koushi si irrigidì sgranando gli occhi per quel gesto d’affetto che mai si sarebbe aspettato.
«V-vostra ma-maes…»
«Ma tu scotti ancora!»
Lo interruppe il principe prima di inspirare profondamente l’odore dell’omega da quella posizione così vicina alle ghiandole odorifere.
«Sei…sei ancora in calore!»
Il principe, staccandosi, lo guardò sconvolto e lui non distolse lo sguardo.
«Sono nella fase finale. Non si attraggono più gli alfa…è come avere la febbre e non potevo mancare ancora».
Tooru lo prese per il polso e, senza dir nulla, lo tirò verso il salottino adiacente spingendolo poi a sedersi sul divano.
«Devi riposarti!»
Koushi lo guardò confuso da così tanta inaspettata premura e il principe, arrossendo appena, incrociò le braccia al petto.
«Devi essere nel pieno delle tue forze per essere degno di servirmi».
Sbottò Tooru alzando altezzoso il mento.
Koushi ridacchiò: quello assomigliava già di più al principe sicuro di sé che conosceva.
«E lasciare il principe in questo porcile?»
Domandò l’omega guardando la stanza disordinata per la sua assenza.
«Il principe dovrebbe farsi un bagno, rifocillarsi e uscire da qui a testa alta mostrando alla corte che è ancora vivo».
«Per sua sfortuna…»
Koushi sgranò gli occhi e fece per ribattere ma Tooru lo bloccò con un cenno di mano.
«Per sfortuna di questa corte così bigotta. Siamo omega, uomini in grado di dare alla luce come le donne. Siamo potenti, speciali…non animali. La corte dovrebbe essere grata per la mia presenza».
Koushi batté le palpebre confuso a quel ragionamento del tutto inaspettato e Tooru fece spallucce.
«Ho avuto modo di pensare durante la tua assenza».
Il principe gli sorrise e lui, per qualche motivo, non poté fare a meno di ricambiare felice che, finalmente, si fosse accettato.
«Hai ragione, devo proprio uscire ma prima voglio fare un bel bagno caldo».
Koushi annuì e scattò in piedi per soddisfare il suo principe; si era già allontanato quando quello lo chiamò facendolo voltare confuso.
«Mi sei mancato, Koushi…»
Si sorrisero di nuovo e, da quel giorno, tutto cambiò.
Tooru tornò a presentarsi ai pranzi di famiglia, ignorando lo sdegno suo padre, ad allenarsi nel cortile principale puntando a diventare il migliore degli arcieri e a camminare nei corridoi sorridendo furbo ogni volta che capiva che qualcuno stava parlando di lui e Koushi non poteva che seguirlo e affezionarsi sempre di più a lui.
Nel tempo libero, all’inizio aiutava il principe a controllare i suoi feromoni e a imparare che cosa significasse essere veramente un omega ma poi qualcosa cambiò e ben presto tra i due si formò un’incredibile complicità: il principe si divertiva a stuzzicarlo e lui gli dava retta, stuzzicandolo talvolta per il semplice gusto di sentirlo parlare o di discutere giocosamente insieme.
Koushi passava la maggior parte del suo tempo con lui, ricevendo ringraziamenti o sorrisi quando svolgeva i suoi compiti o piccole prese in giro ma sempre bonarie.
Insieme, specialmente tra le mura degli appartamenti di Tooru, ridevano e scherzavano oppure parlavano di cose serie e, per la prima volta dopo molto tempo, Koushi tornò a sentirsi ben voluto, apprezzato.
Così ben presto l’idea di separarsi dal principe, anche solo per un momento, gli fu insopportabile, mentre la consapevolezza che per lui avrebbe fatto di tutto si fece sempre più forte.
E quando giunse il secondo calore del principe, Koushi non si allontanò un attimo dal suo capezzale prendendosi cura di lui con carezze, cure e parole gentili e premurose.
Fu proprio durante quei giorni che il servitore, tra una carezza e l’altra, comprese la potenza di quel sentimento che, lento, era sbocciato in lui.
Lo capì mentre il principe dormiva sorridendo appena tra le sue braccia.
Realizzandolo pianse in silenzio stringendolo appena.
Non poteva. Non era naturale.
Pianse fino a non aver più lacrime, fino a sentirsi svuotato, esausto e crollò in un sonno inquieto.
Lo svegliò Tooru con i suoi lamenti e lui, cacciando via quella dolorosa scoperta dalla sua mente, tornò a prendersi cura del suo principe facendosi una promessa: lo avrebbe protetto per sempre, non avrebbe permesso a nessuno di fargli male.
Così continuò a svolgere i suoi compiti come se nulla fosse cambiato in lui.
Quattro settimane dopo Koushi, pallido, entrò di soppiatto nella camera del principe, con il vassoio della colazione in mano.
Si lasciò sfuggire un lieve sospiro di sollievo nel vedere il suo principe dormire ancora e, mordendosi l’interno guancia, si diresse al tavolo.
Avrebbe già dovuto essere nella sua piccola camera lontana dalla vita di corte, lontana da tutto e da tutti, e invece era nel cuore del palazzo, protetto dagli alfa, solo perché si era ostinato a portare la colazione del principe prima di andare in calore.
Se solo la cuoca si fosse mossa prima, se fosse salito più velocemente.
Una fitta tremenda al ventre lo colpì.
Barcollò e, d’istinto, portò le braccia intorno alla pancia facendo cadere con un sonoro tonfo il vassoio d’argento mentre tutto intorno a lui si oscurava.
«K-Koushi!»
Una mano fresca gli si posò sulla fronte e il servitore prese nuovamente coscienza di sé, del pavimento freddo contro cui si era rannicchiato e del principe in vestaglia che, al suo fianco, lo guardava con espressione indecifrabile.
Le braccia gli tremarono quando si mise in ginocchio ed ansimò per lo sforzo cercando di racimolare le forze necessarie per alzarsi ed andarsene dagli appartamenti reali.
«D-devo andare in stanza».
«Non essere sciocco…più di quanto tu già non sia. Non faresti neanche due passi così. Resterai qui».
Koushi non riuscì a dire nulla che un’ulteriore fitta lo fece gemere per il dolore e per un attimo vi fu solo quello.
Riprese consapevolezza del mondo che lo circondava quando il principe lo poggiò sul materasso ancora caldo e, senza dire niente, cominciò a spogliarlo con movimenti impacciati.
Koushi scosse piano il capo in segno di dissenso e l’altro sbuffò togliendogli la casacca, esponendo il busto all’aria tiepida della stanza.
«Saresti dovuto rimanere nei tuoi appartamenti come stabilito. Perché sei venuto? Perché rischiare per una colazione?»
Non poté rispondere, il principe si allontanò, disse qualcosa che Koushi, troppo preso dall’ennesima fitta, non capì e rovistò da qualche parte prima di ritornare nell’offuscato campo visivo del servitore.
«Resterai qui, tranquillo, nessuno ci disturberà».
Qualcosa di freddo e viscido gli fu posto sul petto, Koushi inspirò a pieni polmoni il profumo della crema, che si era fatto fare per lenire i dolori da calore del principe, mentre Tooru gliela massaggiava piano, facendolo rabbrividire, per poi finire di spogliarlo ignorando le deboli proteste.
Koushi sentì le guance andargli a fuoco e non seppe dire se per la febbre che gli stava salendo o per l’imbarazzo di essere completamente nudo davanti al suo principe.
«Ti presto i miei vestiti di lino. Saranno grandi ma almeno sono comodi».
E, mentre il principe lo rivestiva con abiti nuovi e gradevolmente freschi e leggeri, gli occhi di Koushi non lo persero di vista neanche per un secondo, guardandolo sgranati.
«Per te…per vederti…non posso stare senza di te».
Tooru sobbalzò e Koushi, realizzando cosa avesse detto, si maledì in silenzio aspettandosi che l’altro lo cacciasse dalla stanza.
Quello che non si aspettava furono le labbra morbide del principe sulle sue e la sua mano piacevolmente fresca sulla guancia bollente; chiuse gli occhi mentre il cuore gli batteva all’impazzata rimbombandogli pure nella testa svuota da ogni pensiero.
Il bacio durò pochi istanti ma a Koushi parvero un’eternità e, una volta finito, guardò con sguardo lucido il principe che, pur staccandosi, non si allontanò di molto dal suo viso fissandolo con un’espressione che mai aveva visto sul suo volto.
«Neanch’io Koushi…neanch’io».
Amore. Negli occhi del suo principe c’era amore.
Koushi fece per rispondere ma riuscì solo a farsi scappare un gemito mentre il calore se lo portava via con sé.
 
 
 
Il fresco delle lenzuola era piacevole contro la pelle nuda surriscaldata dalla passione che, fino a poco prima aveva infiammato i lori cuori, spingendoli ad amarsi.
Koushi, chiusi gli occhi, inspirò profondamente l’odore di brezza marina del suo principe che, tra le sue braccia, si era appena addormentato con un sorriso sereno ad illuminargli il volto.
Per un attimo solo Koushi si permise di essere felice, di fingere che tutto andasse bene poi sospirò ritornando a guardare in faccia la realtà delle cose: quello che avevano fatto, che facevano da anni a quella parte, quello che provavano l’uno per l’altro andava contro ogni buon senso, contro ogni dettame della natura.
Lo era già quando erano solo due omega nel grande castello di Seijoh, ma lo era ancora di più in quel momento, con il matrimonio di Tooru che incombeva su di loro così insignificanti nell’enorme castello di Shiratorizawa.
Koushi, nei momenti di tranquillità come quello, non riusciva a darsi tregua, sapeva che la loro storia, già colpevole per essere solo nata, sarebbe dovuta finire al più presto per non rischiare di far cadere il suo principe in rovina eppure bastavano le morbide labbra dell’altro sulle sue, un suo sorriso, un semplice “ti amo” sussurratogli nell’orecchio a fargli perdere ogni buon proposito.
Solo a passione finita, Koushi tornava consapevole del mondo a loro avverso, del pericolo in cui era Tooru per colpa di quella relazione.
Stringendo il suo amore con delicatezza lanciava occhiate alla porta chiusa a chiave temendo, nonostante tutto, che qualcuno potesse entrare e coglierli in una situazione così tanto compromettente da bastare a far cadere in disonore Tooru, a rompere il matrimonio facendolo ritornare nelle grinfie di un tiranno come suo padre che, di certo, non avrebbe lasciato impunito un tale affronto alla sua autorità.
Già da soli due omega che si amavano erano contro natura, ma due omega di diverso lignaggio? E di cui uno destinato a diventare il consorte del regno di Shiratorizawa?
Quel loro amore sarebbe stata la rovina di Tooru e Koushi si odiava per questo.
«Possono togliermi la libertà ma non possono costringermi a non amarti».
Fino a dove li avrebbe portati quella relazione?
Non importava quello che diceva Tooru, non potevano continuare così con le nozze a pochi mesi di distanza.
Per allora Koushi avrebbe dovuto trovare un modo per sparire dalla vita del suo principe, per liberarlo da quella minaccia che, giorno dopo giorno, cresceva con il loro amore.
Quella piccola, folle, parentesi di felicità stava durando da fin troppo tempo e si era spinta al di là di ogni ragionevole limite.
Eppure Koushi non riusciva ad allontanarsi, non trovava modo per farlo, il suo cuore gli si spezzava all’idea e così continuava a trascinare il suo principe verso la rovina.
«Ti ho baciato prima del calore…se non avessi ricambiato i miei sentimenti allora ti avrei convinto che fosse stata solo un’allucinazione e forse avrei provato a convincere anche me».
Quanto avrebbe voluto che quel primo bacio e che tutto quello che lo aveva seguito fosse stato solo un suo bellissimo sogno, non avrebbe potuto chiedere di meglio, eppure era tutto vero e bastava che aprisse gli occhi, che stringesse appena a sé il corpo dell’altro per rendersene conto.
Rotolò piano via da quell’abbraccio, sedendosi sul bordo del materasso, lontano dal calore del suo principe e, sospirando, nascose il volto tra le mani.
Parevano passati giorni dalla visita, ancora ignota a Tooru, del principe di Shiratorizawa in quegli appartamenti.
Non osava alzare lo sguardo verso l’angolo della stanza dove l’altro, solo poche ore prima, aveva aspettato per un po’ il suo consorte, quasi che lui potesse essere ancora lì a guardarlo.
Come lo avrebbe fissato? Disgustato per lo scempio? Irato per l’atto contro natura? Imperscrutabile?
Un dito gli sfiorò la schiena nuda facendolo sobbalzare. Si girò.
Tooru, steso supino, gli sorrideva tranquillo ma, qualcosa in lui, nella sua espressione, doveva averlo tradito perché all’improvviso il suo principe cambiò espressione e lo raggiunse abbracciandolo da dietro.
«Kou…»
A quel sussurro, caldo sul collo fresco, Koushi rabbrividì accoccolandosi istintivamente contro di lui che lo strinse di più a sé baciandogli la nuca a pochi centimetri da dove, in una normale relazione, ci sarebbe stato il segno del loro legame.
Quel marchio ci sarebbe stato se solo Tooru fosse stato almeno un beta del popolo ma così, con lui omega e principe, l’unica cosa che i due desideravano non aveva possibilità d’esistere anzi il solo pensarlo era un’eresia per i più.
«Kou, amore, parlami».
A quel tono pieno d’affetto e preoccupazione, Koushi non resse e, divincolatosi, sfuggì dall’abbraccio facendo qualche passo lontano dal letto e lì si fermò con le braccia incrociate al petto, dandogli le spalle.
«Non-non può continuare. Ti metterò in pericolo».
Sentì Tooru sedersi al suo posto sul bordo del letto, lo immaginò con quell’aria addolorata che tanto odiava vedere sul suo volto ma non osò voltarsi mentre le lacrime sgorgavano e, con esse, tutte le sue paure che da troppo tempo si portava dietro.
Tooru lo ascoltò in silenzio, o forse non lo ascoltò affatto considerando solo le sue parole una specie di delirio, poi lo raggiunse e fattolo girare lo abbracciò stringendolo forte a sé.
Koushi pianse contro il suo petto, con una sua mano tra i capelli della nuca, rivelandogli anche della visita mattutina.
«Nulla, e dico nulla Koushi, potrà cambiare quello che provo per te e un sentimento del genere non potrà mai essere la causa della mia rovina».
Koushi, alzato lo sguardo verso di lui, provò a ribattere ma Tooru lo azzittì con un bacio.
«Fuggiamo insieme, andiamo a…Nekoma? Dicono che sia un bel regno…oppure dovunque tu voglia andare. Scapperemo e saremo solo noi due, Kou. Alla faccia del principe degli aquilotti e di vecchi sovrani bigotti».
Koushi non poté fare a meno di ridacchiare e cinse la vita di Tooru con le sue braccia.
«Stringimi…stringimi Tooru».
Il tiepido letto, il loro rifugio contro quel mondo a loro così avverso, li accolse e i due si amarono ancora, instancabili, bisognosi uno dell’altro come gli esser viventi necessitano dell’aria per vivere.
Perché Tooru era l’aria di Koushi e lui, per quanto ci provasse, non poteva rinunciarvi.
 
***
 
L’orchestra e il brusio dei nobili di Shiratorizawa risuonavano per la stanza dei ricevimenti riccamente addobbata.
Il principe Tooru, appoggiato con la schiena contro una semicolonna, guardava annoiato gli invitati di quella festa di fidanzamento, quella stupida festa, con le braccia incrociate al petto.
Era passato un mese da quando era arrivato a Shiratorizawa e, quella sera, la regina delle Aquile avrebbe dato l’annuncio dell’imminente matrimonio tra lui e Ushijima; ci sarebbero stati grossi festeggiamenti.
Tooru non aveva voglia di festeggiare, voleva solo ritornare al più presto nei suoi appartamenti, liberarsi di quei vestiti e rimanere solo con il suo Koushi che, in quel momento, con addosso la livrea della casa reale di Shiratorizawa, perché quei bastardi non avevano aspettato un secondo ad arruolarlo tra le loro fila, serviva un gruppo di dame.
Il servitore si dovette sentire osservato perché alzò gli occhi e, incrociato il suo sguardo, gli sorrise appena prima di fare un inchino alle signore per poi allontanarsi.
Tooru lo osservò avanzare con tranquillità verso di lui, offrendo di tanto in tanto calici di vino ai potenti signori che si mettevano in mezzo tra lui e il suo principe.
In Koushi, nel suo modo di camminare e porsi, vi era sempre stato qualcosa di nobile, di aggraziato e Tooru non faceva fatica ad immaginarselo con addosso ricchi abiti e preziosi gioielli…sarebbe stato un incanto.
Il servitore lo raggiunse e gli fece un inchino porgendogli poi il vassoio con un’unica coppa di vino.
«Dovrebbe ballare, mio signore. È la sua festa dopotutto».
Tooru sbuffò a quei modi così neutri.
«Smettila. Odio questa festa, non è per niente divertente…sai cos’è divertente?»
Gli guardò le labbra desideroso di uno dei suoi baci e il ragazzo arrossì guardandosi intorno con aria agitata prima di guardarlo male.
«Tooru…non è il momento…non qui».
Il principe, a quel sussurro di rimprovero, fece spallucce.
«Allora andiamo via. Seguimi».
Non lo lasciò ribattere, se ne andò, uscendo a grandi passi dalla sala, senza curarsi dei nobili intorno a lui e senza voltarsi per assicurarsi che Koushi lo stesse seguendo: l’altro poteva pur esitare ma, alla fine, lo avrebbe seguito anche in capo al mondo.
Uscito dalla sala, percorse velocemente il grande corridoio finestrato e poi, vicino ad un grande arazzo, all’improvviso sparì dagli occhi di eventuali spie nascondendosi nella nicchia dietro al pesante panneggio.
Koushi lo raggiunse qualche secondo dopo.
«Tooru…non dovre…»
Il principe non lo lasciò finire e, presogli il volto tra le mani, lo baciò con urgenza; lo sentì irrigidirsi e lottare per porre fine a quel bacio. Lo mollò.
«No Tooru. Non è il momento».
Il suo amore lo guardava duro e lui gli carezzò la fronte per attenuare le rughe.
«Solo un paio di baci, Koushi. Poi torneremo dentro e ti prometto che non farò l’asociale».
Koushi rimase pensoso in silenzio per qualche secondo poi sospirò e, in punta di piedi, lo baciò circondandogli il collo con le braccia.
Tooru esultò internamente e presogli il volto tra le mani ricambiò il bacio approfondendolo mentre il suo cuore batteva all’impazzata nella cassa toracica: da quel primo bacio all’inizio del calore di Koushi ne erano seguiti tanti altri eppure mai si sarebbe stancato perché, per lui, ogni bacio era come il primo.
Staccò una mano dal viso arrossato per circondargli la vita e stringerlo leggermente a sé.
Non gli importava della festa, di Ushijima, del matrimonio.
Poteva sentire la lavanda vivere ogni secondo di più.
Tutto era come doveva essere.
Tutto era perfetto.
«Bene, bene…ma che sorpresa».
Koushi si staccò come se fosse stato bruciato.
L’arazzo era stato spostato e Tendo, un beta delle guardie più fidate di Ushijima, li fissava con un sorriso divertito.
Schioccò le dita e un altro soldato, un alfa grande e grosso, afferrò Koushi tirandolo lontano da lui, portando via nel corridoio l’omega che si dibatteva e gli tendeva una mano.
Tooru si gettò per prenderla ma Tendo lo trattenne scuotendo la testa.
Il principe di Seijoh allungò una mano.
Solo per un secondo riuscì a sfiorare quella del suo amore.
Koushi gli fu portato via, trascinato lungo i vasti corridoi del palazzo di Shiratorizawa e lui, il suo amore, non poté seguirlo.

 
 
Fine prima parte


Zan zan zann...
Sono cattiva? Probabile, ma era il momento migliore per chiudere il capitolo.
Anche se non sembra amo Suga e Oikawa e, se esistessero, farei come facevamo a teatro dopo una scena dura: abbraccio time!
Ora vado ma il seguito dovrebbe arrivare moolto presto!
Ciao, buone feste a chi è arrivato fin qui!
Aiko

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Capitolo 2
*** E non ho da far guerra ***


E non ho da far guerra

 
 
Ushijima, principe di Shiratorizawa, attendeva in piedi sulle scale di pieta che portavano all’ingresso della reggia, un gradino dopo la regina, l’arrivo del suo futuro consorte: Tooru di Seijoh.
Fin da quando, la precedente estate, aveva compiuto diciotto anni, sapeva che sua madre stava prendendo accordi con il re del regno vicino, uno dei regni più potenti, secondo solo a Shiratorizawa, per un’alleanza che si sarebbe stipulata con il loro matrimonio eppure, fino a quel giorno, non aveva mai realizzato del tutto cosa gli sarebbe successo.
Ormai tutto era chiaro e lui era più che pronto per obbedire al volere della madre e a prendere per consorte un completo estraneo.
Le uniche cose che sapeva del principe Tooru erano che, fin alla sua presentazione come omega, era stato istruito per diventare re e che la sua intelligenza si univa ad un’abilità militare ai limiti della perfezione, tuttavia, con il suo rivelarsi omega, era caduto in disgrazia e il padre aveva nominato erede del regno di Seijoh il bambino, all’epoca non ancora nato, della figlia beta decidendo di usare il figlio come pedina politica per rafforzare il regno di Seijoh.
Il principe Tooru era passato da essere destinato ad essere un grande re e condottiero ad essere una semplice merce di scambio per un’alleanza, o almeno questo erano quello che pensava tutta la corte di Shiratorizawa tranne Ushijima.
Per il principe dell’aquila, quel giovane uomo caduto in disgrazia era degno di attenzione; lo avrebbe accolto come suo consorte e ne avrebbe utilizzato l’intelligenza e la potenza per far brillare il suo regno.
Uno squillo di tromba lo distolse dai suoi pensieri e un piccolo corteo dai colori del regno di Seijoh entrò nel cortile a passo d’uomo.
Subito la sua attenzione fu attirata da un ragazzo dai capelli chiari, quasi argentei alla luce del sole, che, con addosso la livrea dei servitori, avanzava su un ronzino, poco dietro un giovane su uno stallone, con un’espressione tranquilla in volto.
Lo guardò fermarsi e scendere da cavallo per andare ad aiutare il suo padrone smontare dal proprio e poté giurare di aver visto un piccolo, dolce, sorriso comparigli per qualche secondo sulle labbra.
Per un attimo non seppe chi guardare tra i due.
«Già incantato Ushijima?»
Sussurrò Tendo divertito dal suo posto dietro di lui; Ushijima lo ignorò rimanendo a fissare con sguardo pacato il corteo che, smontato da cavallo, si stava avvicinando a loro mentre la regina li salutava con voce solenne.
Il ragazzo dai capelli argentati stava poco dietro il suo principe e aveva un qualcosa di nobile nella postura e nei modi che mai Ushijima avrebbe pensato di trovare in un semplice servitore.
La madre lo chiamò e lui si affrettò a raggiungerla per salutare il principe e i suoi pochi seguaci.
Da quel giorno tutto cambiò.
Per un mese ne osservò i modi pacati durante le cene, la sua natura servizievole quando lo richiamava nei corridoi e la grande fedeltà che aveva nei confronti del suo principe quando, pur sapendo che Tooru non sarebbe stato nei suoi appartamenti, vi ci si recò.
A corte si cominciava a sussurrare che il principe di Seijoh avesse una relazione segreta con la sua giovane guardia del corpo, Iwaizumi Hajime, lui però li aveva osservati a lungo mentre si allenavano insieme nel cortile secondario ed era sicuro che non ci fosse niente tra i due anche se lo stesso non riusciva a dire, con la stessa certezza, di Tooru e Koushi.
Nei due omega c’era qualcosa di diverso da qualsiasi rapporto servo-padrone che il principe dell’aquila avesse mai visto e, forse per quello, era così attratto da loro.
Quella sera, durante la festa di fidanzamento tra lui e il principe di Seijoh, Tendo gli si avvicinò con un sorrisetto sulle labbra pregandolo di seguirlo.
«Lascialo andare!»
Ushijima non aveva fatto in tempo ad entrare nella sala delle udienze che il principe Tooru, scarmigliato e con gli abiti spiegazzati, gli si era lanciato contro, con il suo solito profumo di brezza marina in tempesta.
«Liberalo ho detto! Sei un bastardo! Lui non ha fatto niente!»
«Lui?»
Lanciò un’occhiata a Tendo che fece spallucce.
«Abbiamo beccato il principe Tooru qui presente con la lingua nella bocca del suo servitore omega».
Tooru, furioso, ringhiò contro Tendo che, finito di parlare, si limitò a ridacchiare e a fare qualche passo indietro.
Ushijima squadrò il principe omega.
«Dunque è vero…»
 
***
 
La cella era umida, scura e fredda.
Koushi si rannicchiò in un angolo nascondendo la testa tra le ginocchia.
Non sapeva da quanto era lì di preciso, sapeva solo che, se fossero stati fortunati, lui si sarebbe potuto prendere tutte le colpe e Tooru, il suo splendido Tooru, avrebbe potuto sposare quel principe e vivere ancora per molto tempo anche se non con lui.
Se solo la fortuna fosse stata dalla loro parte.
Ma non lo era mai stata, perché avrebbe dovuto esserlo adesso?
Perché poi incolpare la sorte quando, alla fine, se si ritrovano a quel punto la colpa era solo sua?
Se non fosse stato così stupido da non fare ciò che andava fatto, se avesse avuto il coraggio di allontanarsi da Tooru, non sarebbe successo nulla.
Invece, per la sua pazzia, aveva rovinato tutto.
Si strinse il più possibile tremando e chiuse gli occhi, stringendoli forte, per non guardare quella piccola stanza così buia che tanto gli ricordava il suo tremendo periodo prima della luce, prima di Tooru.
Di quello che c’era stato prima della sua presentazione come omega quasi non si ricordava più niente, il buio che l’aveva inghiottito subito dopo per due lunghissimi anni gli aveva portato via quasi tutto: solo la consapevolezza di un’altra corte dagli stendardi arancioni, il volto di un ragazzo buono come il pane ma, allo stesso tempo, deciso e forte e la grande consapevolezza che lì, come omega, dai suoi non era ben voluto.
Ricordava delle mani che lo avevano assalito, che lo avevano portato via e poi l’incubo: sballottato da un locale all’altro, usato dagli alfa, deriso dai beta, abbandonato nel buio per anni interi aveva vissuto come un’ombra e, quando ormai si era abituato ad essere tale, ecco che un cavaliere errante ne aveva avuto pietà e poi...e poi la corte.
Sembrava solo un sogno di un disperato.
Durante i suoi primi tempi a Seijoh spesso si svegliava nel cuore della notte tremando, e doveva mordersi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare per rendersi conto che quello che stava vivendo era reale, che era finalmente libero.
Quella volta un miracolo si era compiuto, salvandolo.
Non poteva compiersene un altro salvando Tooru?
Poi avrebbe accettato il suo destino in silenzio.
Dei passi lo riscossero dai suoi pensieri e Koushi alzò piano il capo proprio mentre la porta si apriva rivelando la possente figura del principe di Shiratorizawa.
Sì gettò a terra, senza preoccuparsi di mostrare contegno, prostrandosi alla ricerca di pietà.
«Mio principe, la prego non punisca Tooru. Faccia di me ciò che vuole ma lo prenda come suo sposo, non permetta che la rovina ricada su di lui. È stata solo una marachella, è solo un ragazzo».
«Come te…e me…mi ha già raccontato tutto».
Koushi alzò lo sguardo, terrorizzato all’idea di cosa Tooru potesse aver raccontato al principe che, a lume di candela lo scrutava freddo poi una risata ruppe il silenzio che si era creato.
«Liberalo, noi due ce ne andremo e tu potrai sposarti con un degno alleato».
La guardia dai capelli rossi entrò nella cella cercando di imitare la voce di Tooru e poi lanciò a Koushi un sorriso sghembo inconsapevole, o forse no, dei mille insulti silenziosi che il giovane omega stava lanciando al suo amato principe che sembrava proprio voler sfidare la sorte fino in fondo.
«Interessanti questi amori proibiti…due omega…tutti pensavamo che il principe Tooru se la facesse con quel cavaliere, Hajime».
«Tendo…»
Al richiamo monocorde del principe la guardia accennò ad un piccolo inchino con il capo e, dopo aver lanciato un ulteriore sorrisetto a Koushi, si spostò in un angolo vicino alla porta.
«Il posto di Tooru è Shiratorizawa…qui potrà splendere come non potrà mai fare a Seijoh o da qualunque altra parte con te».
«Me ne rendo conto, mio principe, lo accetti come suo sposo come io accetterò qualsiasi sua decisione».
«Come se tu avessi potere decisionale».
Il principe lanciò un’occhiata d’avvertimento alla guardia che alzò le mani in segno di resa.
Lo sguardo impassibile dell’erede di Shiratorizawa si posò nuovamente su Koushi e lui deglutì capendo che l’ora del verdetto era ormai giunta e che lui non aveva la minima idea di cosa aspettarsi.
«Sarai il mio servitore personale».
Tutto si sarebbe aspettato ma non quello e, a quanto pareva, neanche Tendo che fissava il principe come se avesse dichiarato di voler rinunciare alla corona.
Koushi sgranò gli occhi incapace di proferir parola.
«L’abbiamo perso, Ushijima».
La voce della guardia dai capelli rossi lo riscosse dai suoi pensieri e lui alzò lo sguardo fissando, per la prima volta, negli occhi l’erede al trono di Shiratorizawa.
«Io-io sono di Tooru».
«O me o il carcere a vita. Qualunque scelta tu faccia lui salirà al trono di Shiratorizawa».
Koushi si mordicchiò l’interno guancia: se Tooru era al sicuro, se quello che avevano fatto non lo aveva compromesso e se gli veniva data l’opportunità di uscire da quella prigione relativamente impunito perché non accettare?
Ma davvero Ushijima era così misericordioso da non punirlo neppure?
«Ma io…Tooru…»
Il principe scosse la testa e Koushi sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui.
«Non gli parlerai, non potrai farlo. Starai nei miei alloggi fino al matrimonio e poi deciderò».
L’omega chinò il capo serrando gli occhi per trattenere le lacrime che minacciavano di cadere.
Era dunque quello il suo destino: rimanere al fianco di chi gli aveva portato via il suo amore, vederlo prendersi quello che tanto aveva sognato e non poter far niente?
Tooru non lo avrebbe mai accettato, avrebbe fatto fuoco e fiamme pur di riaverlo indietro.
Proprio per quel motivo, comprese, che doveva accettare la proposta del principe: doveva farlo per vigilare di nascosto sul suo amore, per evitare che facesse cose di cui si sarebbe potuto pentire e, chissà, magari prima o poi avrebbe avuto l’occasione di parlargli.
Sospirò e annuì appena poi, dopo un secondo, alzò lo sguardo.
«Sarò il vostro servitore».
 
***
 
Ad un mese dalla scoperta del suo amore corrisposto, a Tooru non bastò più solo la presenza di Koushi, ma i suoi baci, il suo tocco, il suo amore divennero il suo nutrimento capace di donargli la forza necessaria per superare ogni giornata.
Per il giovane principe ogni momento era buono per sfiorarlo e guardarlo, ogni istante che passava lontano dalle sue labbra era sofferenza pura e così i due si nascondevano, sfuggivano ai pochi doveri di Tooru, per rintanarsi nei suoi appartamenti e rimanere soli, senza titoli o pensieri.
E lì, fra quelle quattro mura, ad un giro di chiave dal mondo esterno così malvagio nei loro confronti, Tooru lo amava libero, gli baciava ogni lembo di pelle candida che i vestiti lasciavano scoperto, gli carezzava quelle piume argentee che aveva al posto dei capelli e gli sussurrava le più dolci parole che gli venivano in mente.
Fino al successivo calore di Koushi, Tooru non osò toccarlo neanche con un dito in quel senso, già il solo poterlo baciare senza che lui si ritraesse, come aveva fatto per il primo mese a causa del suo passato, era meraviglioso.
Di Koushi tutto era meraviglioso, Tooru ne era consapevole.
Così come sapeva che quello che provavano l’uno per l’altro, se scoperto, avrebbe creato scandalo nella corte e, sicuramente, la condanna a morte di Koushi, per cui lo amava con cautela, resistendo agli istinti di baciarlo in mezzo ai corridoi per porre fine alle sue piccole prese in giro, di prenderlo per mano quando attraversavano i grossi saloni pieni di alfa o di sorridergli innamorato in presenza del padre.
Consumavano il loro amore ancora innocente in segreto, al sicuro da sguardi indiscreti e, per quanto Tooru volesse urlare che Koushi era solo suo, non lo avrebbe mai fatto.
Gli ultimi omega che si erano marchiati a vicenda nel regno di Seijoh erano stati impiccati nella piazza principale e lui, al solo pensiero, rabbrividiva ripromettendosi che mai quella sorte sarebbe toccata a Koushi, che l’avrebbe protetto in tutti i modi possibili.
Tooru non era più un ragazzino spaventato e dolorante durante la sua presentazione, né un giovane affranto per il suo stato, era diventato grande e con lui era cresciuto il desiderio di farsi valere nonostante tutti gli dicessero che, in quanto omega, era insignificante.
Avrebbe dimostrato il suo valore al padre, si ripeteva allenandosi con l’arco, avrebbe fatto vedere a tutti i nobili di Seijoh, anzi oltre, chi era lui veramente e, alla fine, avrebbe preso il suo posto come re e avrebbe migliorato la vita per quelli come lui e Koushi.
Non sarebbe stato una pedina nelle mani del padre e avrebbe fatto in modo di non doversi più nascondere per quello che era, per chi amava.
Però, fino a quando non ce l’avesse fatta, quel suo amore era destinato a rimanere nascosto.
E così, quando arrivò di nuovo il calore di Koushi, Tooru lo ospitò in ancora in camera sua, cacciando via le guardie con l’ordine di non disturbarlo, e chiuse la porta a chiave, separandosi dal resto del mondo per l’unica persona che, da sola, valeva più di qualsiasi corona.
Sul letto, strinse Koushi tra le sue braccia e lo baciò più e più volte, pieno di desiderio, poi, nascondendo l’incertezza, fece scivolare una mano sotto le coperte leggere per soddisfarlo almeno un po'.
«Tooru…»
Koushi, ansimante, lo guardava con gli occhi lucidi per il piacere che gli aveva dato e, per Tooru, non c’era niente di più bello.
«Ti voglio…»
Il principe non se lo fece ripetere. I vestiti vennero gettati via. Ogni timidezza sparì mentre i due finalmente si univano.
E Tooru capì: si era sbagliato, Koushi poteva essere ancora più bello e quella bellezza sarebbe stata solo sua, nessuno gliela avrebbe portata via.
 
 
 
Tooru continuava a sbagliarsi: aveva pensato di potersi opporre al padre, di poter farsi valere anche se omega e, soprattutto, di poter proteggere Koushi da tutto e da tutti.
Lanciò un’occhiata piena d’odio a quel suo riflesso che, in quel giorno di festa per i regni di Shiratorizawa e Seijoh, rappresentava per lui la prova della sua sconfitta.
Quell’abito da sposo gli sembrava la tunica di un condannato a morte, quei gioielli erano come catene e quel trucco unito ad un aspetto così curato parevano ferite e trasandatezza di un prigioniero.
Non vedeva lui, vedeva il Koushi dei suoi tormentati incubi, il Koushi scomparso da mesi e il cui destino gli era ignoto.
A nulla erano valsi i suoi ordini e le sue urla: Ushijima non gli aveva concesso neppure una volta di vedere Koushi o, almeno, di avere sue notizie.
Non importava quanto minacciasse, l’erede di Shiratorizawa lo guardava sempre in silenzio e, quando la voce di Tooru lo abbandonava, se ne andava.
Una volta, spinto dalla disperazione, aveva quasi pregato il principe dell’aquila per saper qualcosa, anche la più piccola, sulle condizioni di salute del suo amore, ma l’altro si era limitato a dirgli che, fino a quel momento, solo loro e le guardie che li avevano beccati a baciarsi sapevano del crimine di Koushi.
Semi Eita, la guardia beta che dal giorno della scomparsa di Koushi vigilava su di lui, annunciò che era il momento di andare e lo invitò a seguirlo.
Tooru obbedì come un burattino.
Si detestava
Se non avesse sfidato il padre comunicandogli la sua intenzione di andarsene, se, una volta in viaggio, avesse spronato il cavallo a correre via, se fosse fuggito quando l’aveva proposto a Koushi, allora…allora Koushi sarebbe stato al sicuro, ancora al suo fianco dove era giusto che stesse.
Invece, per colpa sua, aveva perso quanto più aveva di caro al mondo e lui non poteva perdonarselo.
Le porte della cappella si stagliarono, aperte, davanti a lui.
Ciò che a lungo aveva tentato d’ignorare stava per succedere, ma nulla era peggio dell’assenza di Koushi.
Avanzò in silenzio fino all’altare dove Ushijima lo attendeva.
Tooru, fermatosi di fronte al principe dell’aquila, gli scoccò un’occhiata piena d’odio e di risentimento.
Lo avrebbe sposato, sì, ma non si sarebbe arreso, avrebbe fatto di tutto per avere il suo amore indietro.
Con sguardo determinato accettò di diventare sposo di chi aveva contribuito a portargli via tutto e, nel baciarlo, gli morse appena il labbro inferiore in simbolo di sfida.
Durante tutta la festa i suoi occhi rimasero gelidi, le sue labbra chiuse e la sua fronte crucciata.
Solo a sera, mentre servi senza nome lo preparavano per la prima notte di nozze, si rilassò appena ripassando il piano.
Quella volta non aveva intenzione di piegarsi, non si sarebbe concesso ad Ushijima se prima l’alfa non avesse liberato Koushi indenne.
E, una volta liberato, sarebbero fuggiti via, insieme, come da tempo avrebbero dovuto fare.
Una volta pronto, scacciata la servitù, si avviò a passo di carica verso gli appartamenti dell’alfa, ignorando la tradizione che voleva che fosse l’altro ad andare da lui, e pronto a tutto spalancò le porte.
Una nota di lavanda lo accolse.
Tooru, non pronto proprio a tutto, si fermò e sgranò gli occhi accorgendosi dell’unica altra presenza nella stanza insieme al principe dell’aquila: Koushi era lì, immobile e stupito quanto lui.
«K-Koushi?»
Incurante dell’altro principe, Tooru si avvicinò con urgenza e, così preso com’era dal prendere nota delle condizioni fisiche dell’altro, non si accorse del segno d’assenso fatto dall’alfa al servo che, appena ricevutolo, si affrettò a corrergli incontro.
Colmarono quella poca distanza che li separava e Tooru lo strinse a sé inspirando a pieni polmoni il profumo dell’altro.
C’era qualcosa che non andava.
Si staccò appena dall’abbraccio e Koushi, colpevolmente, sfuggì dal suo sguardo.
«Perché sai anche di lui?»
Una terribile possibilità affiorò nella mente di Tooru appena pronunciò quelle parole e, non riuscendo ad incrociare lo sguardo con quello di Koushi, afferrò il bordo della casacca violacea e, infischiandosene delle fievoli proteste dell’altro, lo spostò liberando il collo.
Sbiancò.
Sulla pelle candida del suo amore c’era qualcosa che mai avrebbe dovuto esserci, a meno che non fosse il suo: un marchio.
«Co-cosa ti ha fatto? Cosa gli hai fatto, bastardo?!»
Ringhiò e, spostato un Koushi tremante, si diresse infuriato come mai prima verso quello che per tutti, tranne che per lui, era suo marito.
«Bastardo! Non avevi alcun diritto!»
Ushijima lo fissava in silenzio, sbottonandosi tranquillamente la camicia come se non fosse successo nulla e quello bastò a fargli perdere la ragione.
Alzò una mano e si avventò contro di lui e lo avrebbe anche colpito se Koushi, il suo Koushi, non lo avesse stretto per il busto da dietro urlando il suo nome.
Tooru si fermò, tremando per la rabbia, con il braccio ancora alzato e pronto.
«Non farlo! Tooru…l’ho voluto io».
 
***
 
La vita come servitore di Ushijima era ben diversa da quella che si aspettava e, sicuramente da quella che aveva vissuto fino a quel momento al fianco di Tooru.
Il principe dell’aquila era silenzioso e quando, dopo gli allenamenti e i tentativi di corteggiamento verso il recalcitrante principe di Seijoh, si ritirava nei suoi appartamenti personali, in cui era relegato Koushi durante il giorno, e passava il tempo a leggere limitandosi a parlargli solo per assicurarsi delle sue condizioni, dargli ordini, ringraziarlo e altre, poche, frasi di circostanza.
Fu proprio per quello che un giorno, quasi un mese dopo, sobbalzò alle sue parole.
«Ti manca?»
Anche se non avevano più parlato di Tooru, non c’era bisogno di specificare e Koushi, intento ad apparecchiare per la cena, si morse l’interno guancia esitando per qualche secondo.
«Sì…tantissimo».
Non avrebbe voluto ma la sua voce vacillò attirando l’attenzione del principe dell’aquila su di lui.
L’erede al trono lo guardò apparendo per un attimo sorpreso da quella reazione e l’omega inspirò profondamente cercando di calmarsi per poter svolgere al meglio gli ultimi compiti della serata.
Le sue mani tremavano all’idea che, da lì a qualche giorno, Tooru non sarebbe più stato il suo amore ma lo sposo di quell’alfa per cui, da settimane, lavorava senza fermarsi per cercare di colmare quel vuoto che gli lasciava l’assenza del suo principe.
«Perdonami, sono stato indiscreto. Hai la serata libera».
Koushi, confuso, alzò lo sguardo e, quando incrociò quello dell’erede di Shiratorizawa, subito si affrettò ad abbassarlo annuendo e, con un inchino, si allontanò di fretta dalla stanza passandosi una mano sugli occhi per cancellare le lacrime che minacciavano di cadere.
L’indomani, appena fuori dalla porta della sua nuova camera da letto, trovò un mazzo di margherite e Koushi, seppur confuso, le prese portandole al suo comodino.
Così fu anche le mattine seguenti e lui, ogni volta, prendeva i fiori sorridendo con dolcezza.
I giorni passarono e con essi arrivarono le novità: Tooru era andato in calore e per questo il matrimonio era stato spostato di un mese in modo da permettere al principe di riprendersi e di poter essere in perfetta forma per il momento in cui si sarebbe dovuto legare all’erede di Shiratorizawa.
Koushi, al sentirlo dire dalle guardie fuori dalla porta degli appartamenti reali, scivolò a terra affranto all’idea di non essere con il suo principe per la prima volta da sempre.
Si passò una mano tra i capelli lasciandosi sfuggire un singhiozzo, mai da quando Tooru si era presentato come omega era rimasto da solo durante un calore.
In quel momento doveva essere così infelice e dolorante e lui non poteva farci niente se non pensare a lui.
«Stai andando in calore anche tu?»
Koushi sussultò e alzò lo sguardo per osservare il suo nuovo padrone, appena tornato dagli allenamenti con la spada: Ushijima lo guardava con un’espressione vagamente preoccupata su quel volto normalmente tranquillo.
Koushi scosse il capo in segno di diniego e, tirando su con il naso, si affrettò ad asciugarsi le lacrime che gli bagnavano gli occhi.
Il principe sorprendendolo si inginocchiò davanti a lui e gli posò un mazzo di margherite sulle ginocchia prima di alzarsi e, come se nulla fosse, dirigersi nella stanza da bagno.
Koushi osservò confuso i fiori, carezzandone piano i petali: quindi era lui che da giorni glieli faceva comparire davanti alla sua camera. E lui che aveva sperato che fosse Tooru.
Rimase immobile ad osservare il bouquet.
Come poteva odiare o anche solo provare antipatia per un uomo del genere?
Fin dall’inizio della sua permanenza a Shiratorizawa, quando era ancora al fianco di Tooru, aveva più volte discusso con il suo principe riguardo a Ushijima perché Koushi non riusciva proprio a ritenerlo un mostro e vedeva in lui un grosso senso di responsabilità e una capacità ad accettare il suo destino per il bene del regno mentre Tooru lo incolpava, quasi fosse lui, e non i loro genitori, l’artefice di quel matrimonio.
L’erede di Shiratorizawa non lo aveva mai guardato con aria di superiorità e, anzi, lo aveva sempre trattato bene, ringraziandolo ogni volta che, durante una cena, gli riempiva la coppa o gli portava il cibo e quando si incontravano nei corridoi gli rivolgeva sempre un saluto, pur essendogli superiore di grado.
Quando poi Koushi era passato al suo servizio, l’alfa aveva continuato a trattarlo con rispetto, pur potendo Durante i suoi primi giorni come servitore del principe dell’aquila, così drammatici per lui che era ormai poco abituato alla presenza costante di alfa nella sua vita quotidiana e scosso dal suo passato precedente alla corte di Seijoh, Ushijima si era dimostrato pietoso e gli aveva concesso di prendersi pause per allontanarsi da lui, insieme ad un Tendo molto più simpatico di quanto non credesse inizialmente, quando la sua presenza diventava troppo difficile da gestire.
Il principe dell’aquila era stato quasi premuroso nei suoi confronti dandogli perfino una stanza tutta per lui, anche se forse era solo per diminuirgli le possibilità di fuga o di comunicazione di Tooru.
Alla fine Ushijima lo aveva sempre trattato bene, forse fin troppo visto la diversa importanza sociale, e lui dubitava che lo facesse con tutti i suoi servitori, non perché fosse cattivo ma perché, semplicemente, era come se gli volesse bene, in qualche modo.
Perché poi mandargli tutti quei fiori?
Se il primo mazzo poteva essere considerato come una tacita richiesta di perdono, che cos’erano quelli dopo?
L’unico che, a sua memoria, gli aveva mai mandato dei fiori con tale costanza era stato Tooru ad inizio della loro relazione.
Improvvisamente capì, comprese ogni singola piccola e insignificante premura di Ushijima nei suoi confronti.
«Koushi».
A quel richiamo, scattò in piedi e si affrettò a raggiungere il principe, già immerso nella vasca da bagno, cercando di mantenere a bada il suo cuore che batteva furioso.
Prese a lavargli la schiena in silenzio controllandosi per non far emergere il caos interiore.
Non poteva essere quello che pensava, si stava sbagliando.
«Koushi».
La mano bagnata del principe dell’aquila gli cinse il polso e lui alzò lo sguardo: i suoi occhi incontrarono quelli dell’erede di Shiratorizawa.
Un brivido lo percorse.
Una nuova consapevolezza lo colpì: certo, era rimasto deluso al sapere che quei fiori venivano da Ushijima ma la cosa non lo aveva poi affranto quanto avrebbe dovuto e, anzi, sentiva un leggero rossore riscaldargli le guance al pensiero che l’altro, in tutto quel tempo, lo avesse trattato bene, si fosse preso cura di lui perché…
L’altra mano del principe gli perse il mento e, con una delicatezza che mai avrebbe ritenuto possibile, lo tirò a sé.
Le loro labbra si toccarono.
Ushijima, principe dell’aquila, erede di Shiratorizawa, aveva dei sentimenti nei suoi confronti.
Quasi come percorso da una scarica elettrica il corpo di Koushi tremò.
Si affrettò ad allontanarsi e, schizzato indietro, si inchinò prima di sfuggire dalla stanza confuso per quanto era accaduto.
Corso in camera, si rannicchiò sul letto lasciando cadere le lacrime che troppe volte negli ultimi tempi aveva frenato.
Quel bacio rubato aveva sgretolato tutte le sue, poche, certezze.
Lui amava Tooru, gli mancava terribilmente e avrebbe fatto di tutto pur di stare nuovamente con il suo amore eppure c’era qualcosa in lui a cui non erano dispiaciute le attenzioni e i sentimenti di Ushijima.
Si ritrovò a pensare a come si sentiva sorridere quando, in quei giorni, parlavano anche per poco tempo, a come lo avesse trovato dolce quando si era preoccupato per lui o quando gli aveva chiesto di cantare per lui mentre faceva le faccende domestiche.
Ushijima avrebbe potuto prendersi quello che voleva a forza eppure non lo aveva fatto e, anzi, lo aveva trattato rispetto, dimostrandogli affetto e dandogli attenzioni.
E a lui, anche se non se ne era accorto subito, era piaciuto ricevere tutte quelle attenzioni e quella gentilezza.
Quello che non capiva era perché proprio lui, dopotutto era un signor nessuno, un povero servitore omega colpevole pure di aver avuto una relazione clandestina con il promesso sposo del principe.
Qualcuno bussò alla porta e Koushi, con gli occhi arrossati, andò ad aprire.
Ushijima gli stava davanti con il mazzo di fiori che lui si era dimenticato; glielo porse.
«Mi dispiace, prenditi tutto il tempo che desideri».
Senza aspettare una sua risposta, appena Koushi prese i fiori, il principe dell’aquila si voltò e se ne andò lasciandolo imbambolato a fissare il vuoto.
Avrebbe potuto punirlo per essere fuggito o quanto meno sgridarlo invece si era scusato concedendogli una pausa dal servizio.
Koushi deglutì. Nella sua mente tutto taceva mentre il suo cuore sembrava volergli sfuggire dal petto.
Chiuse la porta, si gettò sul letto e, confuso ed infelice, pianse fino ad addormentarsi.
Sognò Tooru e Ushijima intenti a duellare per lui che, seduto su un trono, li lasciava fare senza fiatare.
Dopo una lotta che sembrava destinata a non finire mai, il principe dell’aquila alzò la spada per battere definitivamente Tooru.
Koushi si svegliò con un urlo mentre, fuori dalla finestrella, il sole cominciava a sorgere.
Quella mattina si presentò da Ushijima e, silenzioso come mai prima, riprese a svolgere i suoi doveri e così per tutta la settimana successiva.
«Potresti vederlo».
Koushi, intento a preparare il letto per la notte, sobbalzò e si girò guardando il principe dell’aquila che, a sua volta, lo fissava dalla poltrona vicino al caminetto.
«C-cosa, mio signore?»
Era dalla sera del bacio che non si rivolgevano parole che non fossero di circostanza.
Ushijima si alzò e lo raggiunse sfiorandogli, leggermente impacciato, con la punta delle dita una guancia e Koushi si irrigidì appena. Subito la mano cadde.
«Se tu fossi mio potresti vederlo. A Shiratorizawa accettiamo i concubini».
Koushi sgranò gli occhi a quella proposta così schietta e inaspettata.
«N-non posso».
Ushijima rimase in silenzio e, nella quiete della stanza, Koushi temette che l’alfa potesse sentire il battito furioso del suo cuore.
«È la scelta migliore. Avrai lui e avrai me».
«Senza offesa…io non voglio lei».
Appena lo disse, Koushi ne percepì la bugia e abbassò la testa. Due dita sotto il mento lo costrinsero, con estrema delicatezza, ad alzarla di nuovo.
«Dillo guardandomi negli occhi».
Koushi aprì le labbra ma le parole non uscirono, la bocca gli si seccò.
Ushijima lo guardava silenzioso in attesa.
«Posso parlarne con lui?»
L’alfa scosse il capo e Koushi sbiancò sentendo su di sé il peso di quella decisione così gravosa.
Se aveva avuto una sicurezza nella sua vita era quella del suo amore per Tooru e poi era arrivato Ushijima e qualunque cosa fosse quella che provava per lui.
Se avesse accettato la proposta del principe di Shiratorizawa avrebbe potuto rivedere Tooru, ma a che prezzo?
Certo, Ushijima non gli era indifferente, provava qualcosa di grande per lui ma Tooru avrebbe capito? Si sarebbe sentito di certo tradito e lui non voleva che questo accadesse.
Ma Tooru, ad averlo al suo fianco di nuovo, lo avrebbe ben presto perdonato e lui avrebbe potuto aiutarlo nella sua burrascosa relazione con Ushijima più di quanto non avrebbe fatto come amante.
Non ci sarebbero stati più pericoli per loro, sarebbero stati protetti dalle leggi di Shiratorizawa.
Glielo stava concedendo il principe in persona quindi forse…
Strinse i pugni.
Ushijima lo fissava in silenzio attendendo una risposta.
«Mi prometti che potrò vederlo anche da solo?»
Il principe annuì.
«Negli alloggi privati potrete fare quello che vorrete».
«Perché lo fai?»
Ushijima rimase in silenzio, ma gli posò una mano su una guancia dandogli così la risposta.
Il cuore di Koushi perse un battito per poi cominciare a battere furiosamente.
Si umettò le labbra.
Era una scelta pericolosa ma Ushijima gli aveva dato prova di quello che provava per lui e gli stava concedendo quanto di più prezioso aveva: Tooru.
«Sì…»
E Koushi, concedendosi a lui, facendosi marchiare, fece una cosa che mai avrebbe pensato di fare eppure non se ne pentì né gli venne dato motivo per farlo.
 

 
 
La primavera seguente al matrimonio di Ushijima e Tooru, Koushi stava steso su un fianco nel grande letto dell’erede al trono di Shiratorizawa e, sorridendo, ascoltava i respiri degli altri due presenti nella grande stanza buia.
Tooru, rannicchiato fin quanto gli concedeva la sua condizione, dormiva con la testa all’altezza del cuore di Koushi che lo tirò leggermente a sé dopo essersi sistemato meglio contro l’ampio petto del principe dell’aquila che, da dietro di lui, cingeva le vite di entrambi con le sue possenti braccia.
Chinando il capo tra i capelli di Tooru ne inspirò profondamente il profumo che già da tempo non era più né il suo originale né quello che aveva acquisito con il legame con Ushijima.
Quante cose erano cambiate in così poco tempo.
Koushi, in situazioni tranquille come quella, faceva ancora fatica a crederci; dormire con loro due, farsi le coccole a vicenda oppure il semplice stare insieme davanti al fuoco, erano cose che, ad inizio di quella convivenza, quando Tooru insultava Ushijima e si rifiutava anche solo di stare nella stessa stanza, mai avrebbe ritenuto possibili.
Dopo l’arrivo rocambolesco di Tooru nella stanza del principe dell’aquila la sera delle loro nozze e la confessione di Koushi riguardo al marchio, ci era voluta tutta la capacità persuasoria dell’omega per convincere il nuovo consorte di Shiratorizawa a non ammazzare il marito che, per l’altro, era l’unico vero colpevole della faccenda e poco importava ciò che diceva Koushi.
Solo le lacrime di quest’ultimo lo avevano calmato ma Tooru aveva rifiutato di concedersi a Ushijima e, prendendo con sé l’amore ritrovato, era scomparso nelle sue stanze.
Koushi si ricordava della profonda vergogna che aveva provato quella notte nel raccontargli l’accaduto e di come il suo Tooru, contro le sue aspettative, non lo avesse incolpato di nulla e, anzi, dopo averlo rassicurato, lo avesse amato fino al sorgere del sole con passione.
Koushi ci aveva messo una settimana a convincerlo a consumare il matrimonio con Ushijima e Tooru aveva acconsentito con la sola condizione che lui non lo lasciasse per un secondo e così, mentre Tooru riposava dopo il legame, aveva avuto modo di stringerlo tra le sue braccia sussurrando ad Ushijima, intento a giochicchiare con i capelli argentei, cosa ordinare per la colazione seguente.
Da quel giorno le cose cominciarono ad andare meglio e Tooru riusciva sopportare l’idea di condividere la camera e, di tanto in tanto il letto con Ushijima che, per quanto Koushi ci provasse, rimaneva l’unico colpevole di quel marchio in eccesso.
Tutto però era crollato con il calore di Koushi che, ancora una volta, aveva allontanato Tooru e quella volta Koushi aveva avuto veramente paura di perderlo.
Strinse piano a sé il suo primo amore e rimase fermo a sentire il respiro dei due cercando di scacciare via l’angoscia che ancora provava se ci ripensava.
Il legame con Ushijima aveva modificato il suo calore e lui aveva passato tre giorni interi a cercare solo le attenzioni dell’alfa mentre Tooru, dapprima allontanato a suon di ringhi da parte di un erede di Shiratorizawa preso dalla potenza dei feromoni di Koushi, non aveva potuto far altro che osservare in silenzio per poi, stanco e frustrato, andarsene via.
Riemerso dal calore Koushi lo aveva chiamato ma lui, rinchiusosi nella sua stanza, non era venuto.
«Perché vieni da me? Io non ti soddisferò mai come fa lui…vai da lui».
Koushi, serrando gli occhi, strofinò la punta del naso sui capelli di Tooru dormiente al ricordo di quella voce carica d’astio e, allo stesso tempo, d’amarezza.
Koushi ci aveva messo due giorni, le ventiquattro ore più lunghe della sua vita, a farsi aprire e una settimana a farlo uscire ma poi, di Ushijima, Tooru non ne volle più sentir parlare per mesi.
Durante il giorno l’omega di sangue reale spariva portandosi via Koushi e poi, ogni sera, lo prendeva per mano conducendolo nei suoi appartamenti dove, chiusosi la porta a chiave, facevano l’amore fino a crollare esausti, quasi come se quella fosse una rassicurazione per Tooru.
Koushi si ricordava come, in quelle settimane, il segno del legame con Ushijima, normalmente quasi inesistente, pizzicasse lasciando trasparire una sorta di tristezza dovuta alla loro mancanza e come, pure lui, ad un certo punto avesse cominciato a provare nostalgia per il suo abbraccio, porto sicuro, durante le tenebre della notte.
Se Tooru avesse mai sentito lo stato in cui si trova Ushijima in quel periodo, Koushi non lo sapeva perché ogni volta che provava a farlo ragionare o, anche solo a nominare l’erede di Shiratorizawa, l’altro si rabbuiava e cambiava argomento.
Forse Tooru lo sapeva ma lo ignorava o forse non lo sentiva, troppo preso nella sua vana impresa di cacciare via il profumo dell’altro da loro, di eliminare ogni possibile traccia del principe dell’aquila.
E poi era successo: Tooru era andato in calore e, alla fine, aveva capito che Ushijima, come del resto loro, non aveva nessuna colpa mentre Koushi aveva trovato il modo per approcciarsi all’alfa possessivo per stare anche lui con Tooru.
Da quel momento le cose erano notevolmente migliorate, ogni giorno di più e finalmente Koushi, quando Tooru e Ushijima si guardavano, poteva vedere nei loro sguardi affetto e lui, dal canto suo, si sentiva al sicuro, protetto da entrambi.
Ma per quello, Koushi non aveva nessun merito, no.
L’omega carezzò piano il ventre rigonfio di Tooru con un dito e sorrise.
Era bastato un solo calore del principe per concedere al regno il suo futuro erede.
Era stata una creatura non ancora nata a portare concordia tra i due consorti.
Lui, per primo, si era accorto del profumo più dolce del solito di Tooru e da quel momento non aveva potuto far altro che voler bene al piccolo essere umano che vi stava crescendo dentro e guardare Ushijima e Tooru imparare a convivere e ad amarsi lentamente.
Ushijima mugugnò nel sonno e strinse appena i due a sé.
Koushi sorrise. Non aveva mai capito perché, nonostante la fine dell’ostilità di Tooru, toccasse ancora a lui a stare in mezzo tra i due ma, di certo, non se ne lamentava: si sentiva protetto, amato.
Da lì a poche settimane Ushijima e Tooru sarebbero diventati re e lui sarebbe stato definitivamente liberato, diventando membro onorario della corte, non che gli importasse più di tanto il titolo ma era felice di riacquistare la sua libertà per poterla vivere con i suoi due amori.
Tooru, addormentato, si spostò e una mano sfiorò il ventre, ancora più gonfio, di Koushi che sorrise dolce.
Dopo anni, finalmente, non c’era più da lottare contro nulla, niente da nascondere.
Non era più tempo di lotte e sofferenze, ma di pace e amore.
Koushi chiuse gli occhi: il suo posto era lì, con loro.
 
Fine
 
Se qualcuno è arrivato fin qua...complimenti: hai coraggio.
No, dai, grazie.
Spero che sia piaciuta anche se penso di aver leggermente corso sul finale maa...ups.
L'unica cosa che so per certo è che Petrarca starà battendo la testa contro qualcosa per averlo citato in questa fic (Pace non trovo et non ò da far guerra).
Bene, non posso far altro che augurare ancora buone feste a chi è arrivato fin qui!
Buone feste, ciao!
Aiko

 

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