What Vegeta knows about Earth women

di Egle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Note della Beta.
Sorpresa! Dopo una pausa incredibilmente breve, Egle ha revisionato le tre storie promesse. Abbiamo deciso di raggrupparle in un'unica fic, dato che sono una il seguito dell'altra. Per mantenere la tradizione, la pubblicazione avverrà di giovedì.

Prima di lasciarvi alla lettura volevo ringraziare chi ci ha seguito fino all'epilogo di Squaring the circle, siete state incredibilmente gentili e di supporto. Così tanto che ci è venuto un po' il magone a pensare di non avere più niente di Bulma e Vegeta da pubblicare... quindi, come qualcuna già ha saputo, Egle sta mettendo in cantiere una nuova long. Yeeeeh!
MA conosco il mio pollo troppo bene, quindi vi prego di continuare ad essere di supporto lasciandole tanti commentini, in modo da aumentare le possibilità che la porti a termine (perchè ovviamente io non pubblicherò proprio niente finchè non avrà tra le mani la fic completa). 
Ora vi lascio alla lettura! Enjoy!





WHAT VEGETA KNOWS ABOUT EARTH WOMEN - PARTE 1
 

Le donne terrestri sono strane. Non che io abbia avuto occasione di familiarizzare con molte di loro, fatta eccezione per la terrestre dai capelli blu e la terrestre madre. Entrambe sono spiacevolmente inclini a manifestare tutte le fasi del loro umore, che variano dalla disperazione più totale per una storia strappalacrime che hanno visto in quella cosa che loro chiamano TV alla gioia più completa per un paio di scarpe in saldo.

Non ho mai capito se in saldo sta per il tipo di calzatura.

La femmina dai capelli blu spesso mi accusa di essere il colpevole di tali mutamenti di umore. Senza che io faccia nulla, per altro.

Due giorni fa è rientrata in piena notte. Teneva le scarpe in una mano. Il viso imbrattato da righe nere che le colavano dagli occhi. Ha fatto irruzione in cucina e mi ha guardato come se l’avessi sorpresa a mangiare il cuore ancora caldo di un amico.

Ho continuato a preparami un sandwich, ignorandola. Lei ha cercato di sistemarsi pateticamente il vestito, traballando poi verso il frigorifero. Si è versata un bicchiere d’acqua, rovesciandone gran parte sul pavimento.

“Non mi chiedi che cosa mi è successo?” mi ha aggredito.

Ho arricciato il naso. Non aveva il solito profumo di vaniglia, ma sottopelle le strisciava una sensazione spiacevole.

“Ma perché parlo con te! Come se te ne importasse qualcosa”

È marciata fuori dalla stanza, le scarpe abbandonate sul pavimento. Mi sono seduto al tavolo, ascoltando i suoi passi che si allontanavano. Ho dato un morso al mio sandwich tutto contento e poi ho finito il succo di frutta. Stavo per aggredire l’altra metà del panino quando lei è tornata in cucina come una furia. La sua faccia era priva delle righe nere.

“Io e Yamcha ci siamo lasciati” ha annunciato teatralmente, le lacrime le velavano gli occhi.

L’ho guardata senza dire nulla, ma doveva essere la cosa sbagliata da fare perché lei ha scostato una sedia e si è seduta al tavolo. Si è aggiustata i capelli dietro alle orecchie.

È rabbrividita. Per forza ha freddo: va in giro con tutta quella pelle scoperta e non ha abbastanza muscoli per produrre calore.

“Questa volta è finita. Davvero. Lui…” ha mormorato. Lo sguardo puntato sul tavolo. I denti mordicchiavano il suo labbro inferiore. “Lui ha conosciuto un’altra. Forse più di una, non lo so.” Ha allungato una mano e ha preso un pezzo del mio sandwich. Non l’ho incenerita solo per non dover sopportare le urla della terrestre madre domani mattina.

“Io lo sapevo che non stavamo più bene insieme. Sono mesi ormai che fingiamo che vada tutto bene. Non riuscivamo nemmeno più a parlare. Sai quando sei seduto al tavolo e ognuno guarda il suo smartphone sperando che la serata finisca al più presto?”

Certo, come no. Mi capita in continuazione.

“E poi cercavo scuse per non vederlo. Lui è cambiato… anch’io sono cambiata. Forse siamo solo cresciuti e abbiamo imboccato strade diverse” ha continuato, aprendo la confezione del pane e iniziando a preparare un panino. Ho spostato il piatto vuoto verso di lei in attesa.

“Mi dispiace solo per come è finita. Forse l’abbiamo tirata troppo per le lunghe. Avremmo dovuto essere più onesti mesi fa.”

Ha messo un sandwich nel piatto, tagliandolo poi a metà e prendendone una parte. Si è appoggiata allo schienale della sedia, masticando lentamente.

“Magari tra qualche tempo potremmo tornare a essere amici” ha detto. Si è tolta uno sbuffo di maionese dall’angolo della bocca. È rimasta zitta e io ho sperato che avesse finito.

Ho spinto di nuovo il piatto vuoto verso di lei e lei ha iniziato a preparare un altro sandwich.

“E’ solo che…”

Non aveva ancora finito.

“Beh, ora non sto bene. È la rottura, capisci? Sapere che lui non sarà più nella mia vita. Almeno non più come prima. Sapere che lui ha preferito un’altra… è qualcosa che comunque va a ledere la tua autostima.”

Ho fatto una smorfia quando mi sono accorto che stava aggiungendo i cetrioli al panino. Lei, crudele, ha continuato a infarcirlo, ignorando il mio disappunto.

“Forse devo solo darmi il tempo di star male”

Mi ha restituito il piatto e ho iniziato a mangiare, spostando poi verso di lei il bicchiere vuoto. L’umana si è alzata e l’ha riempito con dell’acqua fresca. Si è appoggiata al lavandino con la base della schiena. “E’ che sono sempre stata…” si è interrotta scuotendo la testa. I capelli blu le sfioravano le spalle. “Piuttosto sicura di me e pensavo che alla fine lo avrei lasciato io”

Si è coperta la faccia con le mani, emettendo una specie di lamento.

“Sono una persona orribile” ha detto da dietro i palmi. Io ho allungato il piatto di nuovo vuoto verso di lei, sperando che capisse che avevo voglia di un dessert.

Lei ha scostato le mani e mi ha guardato. “Secondo te, sono orribile?”

Sono rimasto zitto, spostando ancora di qualche centimetro il piatto con la punta di un dito.

“No, ovvio… ovvio che non lo sono” ha decretato, allungandomi il bicchiere pieno d’acqua. Ha preso il piatto e lo ha messo nel lavandino.

“Grazie, Vegeta. Mi ha fatto davvero bene parlare con te.”

E poi se n’è andata.

 

***

 

Una cosa che ho imparato sulle terrestri femmine è che tendono a riunirsi e quando questo accade il livello del rumore si alza verso picchi difficilmente sopportabili. Stavo uscendo dalla gravity room dopo un allenamento particolarmente impegnativo. La spalla destra urlava dal dolore, il che era un bene. Voleva dire che mi ero allenato duramente.

Stavo attraversando il giardino per andare a farmi una doccia quando ho visto il branco.

Tutte con in mano delle borse contenenti cose in saldo. Prima o poi qualcuno dovrà spiegarmi che diavolo vuol dire.

Una si è sollevata gli occhiali da sole per studiarmi meglio. Un’altra ha iniziato a farsi aria con una mano.

“E questo chi è?” ha chiesto Occhiali da Sole e io ho iniziato a sentirmi a disagio, un po’ come quando la terrestre madre accorcia troppo le distanze e dice qualcosa di assurdo e fuori luogo.

“Vegeta. È un ospite delle Capsule Corp.” ha risposto l’umana dai capelli blu, raggiungendo le altre terrestri. Ha posato un vassoio con delle limonate sul tavolino e si è seduta. Ha accavallato le gambe. Tutte hanno accavallato le gambe, quasi fossero sincronizzate.

“Ehi, tu…” ha detto un’altra, facendomi un cenno. “Perché non vieni qui a sederti con noi? Bulma, dai invitalo!”

“Non è il caso. Vegeta non capisce bene la nostra lingua. È uno…” ha risposto lei, scoccandomi un’occhiata “…scienziato iraniano. È venuto qui per uno scambio culturale. Perché non ci fai vedere di nuovo l’anello?”

Doveva essere una frase in codice in quanto le altre hanno emesso tutte insieme – è incredibile come facciano le cose insieme, come una truppa ben addestrata – un gridolino, concentrandosi poi sulla mano di una.

Mi sono ritirato in cucina, decidendo che avrei dovuto mangiare qualcosa prima della doccia. Le sentivo parlare ancora attraverso la finestra aperta nell’altra stanza. Ho trovato delle alette di pollo nel frigorifero e ho iniziato a mangiarle, in piedi davanti al lavandino.

“Beata te, Connor è un sogno.”

“Lo so, ragazze. Sono stata fortunata… a questo proposito… Bulma! Connor ha detto che vuole organizzare una cena con un suo amico la prossima settimana. Avvocato. Mai stato sposato. Dice che sareste una coppia splendida.”

“Oh, Kate… non lo so. Io e Yamcha ci siamo lasciati solo da un paio di settimane. Credo sia ancora presto.”

“E soprattutto perché dovrebbe uscire con un avvocato quando ha quel pezzo di carne in casa?”

Risatine in coro.

Ho aperto il freezer per controllare se ci fosse un hamburger o un pezzo di carne che magari avrei potuto cucinare.

“Non è come pensi.”

“Ma che stai aspettando? Tutte dovrebbero farsi un giro di rock and roll con uno così. Scommetto che ce l’ha enorme.

“Glielo hai visto?”

“Cosa? NO!”

“E allora perchè sei arrossita? Bulma… racconta…”

“Beh, è un tipo molto sportivo… e a volte mette una tutina che non lascia molto all’immaginazione e… sì, credo ce l’abbia grosso.”

Altre risatine, questa volta più forti.

“Ti farebbe bene, tesoro”

“Ti sei già fatta troppo del male per quell’idiota. Tu sei fantastica e meriti di meglio.”

“Tu meriti orgasmi multipli, bambina.”

Ho aggrottato le sopracciglia, ascoltando la conversazione mio malgrado. Davvero le terrestri parlavano dei loro orgasmi con le amiche? Avrebbero dovuto parlare… non so… della continuazione delle specie o di qualche tattica mortale per uccidere un assalitore.

Altre risate.

“Come hai detto che si chiama?”
“Vegeta”

Cosa? Stavano parlando di me?

Ho abbassato lo sguardo sui miei pantaloncini quasi senza rendermene conto. Erano pantaloncini normali.

“Lui non è il tipo per una relazione.”

“Ma chi ha mai parlato di una relazione? Devi solo infilarti nel suo letto e farti sbattere finché non l’avrai in fiamme.”

Altre risate.

Ho lasciato più di metà delle alette di pollo e mi sono rifugiato in camera mia. Non ho mai pensato nemmeno per un secondo all’umana nuda nel mio letto.

 

***
Le donne terrestri seguono leggi della fisica tutte loro. Per esempio, esiste una strana correlazione tra la lunghezza della gonna e il tempo trascorso davanti alla porta di casa dopo un appuntamento. Più la gonna è corta, più lungo sarà il tempo passato davanti alla porta.

Più il tempo trascorso davanti alla porta è breve, più aumenteranno i sacchetti con cose in saldo il giorno seguente. Non capisco del tutto queste logiche, ma so che se il tempo trascorso davanti alla porta è breve, il giorno seguente la terrestre sarà di cattivo umore e sparirà per mezza giornata senza aggiustare i droni o la gravity room.

Se il tempo trascorso davanti alla porta è lungo, allora passerà tutta la giornata a consultare lo smartphone, sarà distratta e svogliata e non aggiusterà i miei droni e la mia gravity room.

In definitiva, per me era meglio che tutta questa storia degli appuntamenti non esistesse.

Una sera è rientrata con una mano gonfia e tumefatta. Le scarpe con il tacco erano abbandonate nell’ingresso. Si è diretta al frigorifero. Io ho spostato il piatto vuoto nella sua direzione, sperando che mi preparasse un altro sandwich. Uno senza cetrioli. Lei ha aperto il freezer e ha preso un sacchetto di piselli surgelati. Aveva addosso l’odore cattivo della paura. Di solito l’umana profuma di buono, soprattutto quando deve prepararsi per questi appuntamenti, ma quella sera la paura si espandeva da lei in ondate fastidiose.

Ha premuto il sacchetto sulla mano, senza guardarmi.

“Non dirlo ai miei genitori” ha sussurrato. Tremava. Ancora una volta si era vestita troppo leggera. Si è passata la mano sana sulla faccia, come a cancellare qualcosa.

C’era anche rabbia, ma la paura era più forte di qualsiasi altro odore. Mi aveva fatto passare la fame.

Mi sono alzato e ho messo il piatto nel lavandino. L’umana è rimasta ferma. Le ho preso la mano e ho tolto il sacchetto.

Era ridotta male. Le nocche erano tumefatte ed escoriate. Le ho controllato il pollice per assicurarmi che non fosse rotto. La ragazza almeno sapeva come tirare un pugno. Ho aperto il frigorifero e ho sostituito il sacchetto di piselli con una bistecca che sua madre avrebbe dovuto cucinarmi il giorno dopo.

L’ho fatta aderire al suo pugno, rammaricandomi dello spreco. L’umana ha emesso una specie di singhiozzo e poi ha appoggiato la fronte contro il mio petto. Credo che a un certo punto si sia messa a piangere perché la mia maglia è diventata umida.

Era la prima volta che qualcuno mi piangeva addosso. Non ero sicuro di quale fosse il protocollo corretto. Le ho dato una pacchettina sulla schiena. In fondo era solo una bistecca.

Doveva essere la cosa giusta da fare perché lei ha pianto ancora qualche minuto, poi si è alzata sulla punta dei piedi e mi ha guardato. “Grazie” ha mormorato, sfiorandomi la guancia con le labbra. L’odore della paura era diventato improvvisamente meno intenso e lei aveva ripreso a profumare di buono. Vaniglia, credo.

Se n’è andata senza aggiungere altro, stranamente silenziosa.

 

*

Il giorno seguente il suo umore era triste e fintamente allegro allo stesso tempo. C’erano stati alti strilli quando la terrestre madre aveva visto la sua mano a colazione. Lei aveva detto di aver chiuso la mano nella portiera della macchina, guardandomi. Io ho aggrottato le sopracciglia perché non era evidentemente vero. Una mano si riduce così solo per un pugno dato male, ma sono rimasto zitto perché non sono affari miei.

Lei ha sorriso debolmente nella mia direzione, non appena sua madre si è allontanata per prendere la cassetta del pronto soccorso. Io ho finito la mia colazione.
Due giorni dopo avevo un drone nuovo.

 

***

Questa cosa delle lacrime un po’ mi destabilizza. Non so mai come interpretarle se non come un modo stupido per disidratarsi. Ci sono state altre lacrime una sera. Era rannicchiata sul divano e indossava una felpa oversize e credo nient’altro. Mi sono fermato solo perché dal barattolo che aveva in mano proveniva un profumo delizioso. Qualcosa da mangiare che non avevo ancora provato.

Lei mi ha guardato con i suoi occhioni blu pieni di lacrime. “Yamcha è andato a convivere con un’altra” ha detto. Io mi sono seduto sul divano, sbirciando il contenuto del barattolo. Era una sostanza più solida rispetto alla gelatina. Aveva un aspetto cremoso.

Lei ha tuffato il cucchiaio dentro al barattolo e se n’è portata una grossa cucchiaiata alla bocca. Questo ha fatto rallentare le lacrime.
Quindi era anche qualcosa di miracoloso oltre che dal profumo invitante.

“Non fraintendermi. Io non sono più innamorata di lui. Non voglio essere la sua fidanzata, ma…”

Altro eccesso di singhiozzi. Altra cucchiaiata succulenta.

“Con me non ha fatto un passo del genere! Perchè? Che cos’ho che non va?”

Ha lasciato il barattolo sul tavolino e si è sporta per prendere una manciata di fazzoletti. Si è soffiata rumorosamente il naso. Io ho preso il barattolo annusandone il contenuto. Ho impugnato il cucchiaio che aveva usato l’umana e ne ho mangiato una cucchiaiata esplorativa. Era la cosa più deliziosa che io avessi mai assaggiato. Sapeva di casa e faceva nascere qualcosa dentro di te… adesso capivo perché cancellava le lacrime. Avrebbero dovuto prescriverlo a tutti gli infermi e ai sofferenti.

Le ho chiesto che cosa fosse.

“Uno stronzo” ha risposto.

Ho ripetuto la parola non riuscendo a farla collidere con quello che avevo in mano dato che mi aveva definito più volte allo stesso modo. Quindi anch’io ero una cosa deliziosa e da mangiare?

“Yamcha è uno stronzo” ha chiarito. Ha emesso uno sbuffo, guardandomi.

“Gelato al caramello salato” ha detto, alzandosi per andare in cucina. È tornata poco dopo con altro cucchiaio. Lo ha infilato nel barattolo, allungando poi le gambe sulle mie per essere più comoda.

Gelato al caramello salato mi sono ripetuto mentalmente per essere sicuro di averlo memorizzato. Abbiamo continuato a mangiare dallo stesso barattolo per qualche minuto senza parlare. Ho raschiato bene il fondo con il cucchiaio, rammaricandomi che fosse già finito.

“Vegeta?”

Ho mugugnato. Magari ce n’era dell’altro nel frigorifero.

Il respiro della terrestre si era fatto impercettibilmente più vicino. L’ho guardata e per un attimo mi sono perso in quegli occhi incredibilmente azzurri. “Tu mi trovi bella?”

Il suo respiro sapeva di gelato al caramello salato. Mi sono chinato verso di lei e le ho sfiorato le labbra con le mie. Anche quelle sapevano di caramello salato.

Ho posato una mano sulla sua nuca e l’ho attirata più vicina. L’ho baciata profondamente. Tutta la sua bocca sapeva di caramello salato e di qualcosa di indefinibile… qualcosa che aveva il suo profumo di buono.

Lei ha emesso un gemito contro le mie labbra, prima di alzarsi di scatto e allontanarsi dal divano. Si è tirata giù la felpa che aveva lasciato intravvedere un paio di mutandine rosa. Il suo respiro era accelerato.

Stranamente anche il mio.

“Buonanotte” ha detto, uscendo in fretta dalla stanza.

 

*

Il giorno dopo è venuta nella gravity room. È entrata mentre stavo bevendo un po’ d’acqua. Doveva dirmi qualcosa che dovevo ascoltare perché di solito quando interrompe il mio allenamento finiamo per litigare senza riuscire a parlare di altro.

“Riguardo a ieri sera…” ha iniziato, senza guardarmi. “Io credo che… dovremmo rimanere… sai, solo amici.”

Ho aggrottato le sopracciglia. Eravamo amici?

“Non che non mi sia piaciuto…” ha aggiunto in fretta, leggendo chissà cosa sul mio viso “In effetti… mi è piaciuto molto, ma sarebbe troppo complicato se noi…”

Noi cosa? Non capivo dove stesse andando a parare quel discorso. Le ho detto che dovevo tornare ad allenarmi. Lei è rimasta ancora un istante, incerta se aggiungere altro. Alla fine, è uscita richiudendosi la porta alle spalle.

 

***

Un’altra peculiarità delle donne terrestri è il rapporto morboso con lo smartphone. La terrestre dai capelli blu perde quello stupido aggeggio almeno cinquanta volte al giorno. Si aggira per la casa e il laboratorio, disperandosi. Poi grida qualcosa come Ehi, Google. Ho perso il telefono e quello si mette a suonare dall’altra parte della casa.

La suoneria dello smartphone è una delle cose più irritanti che io abbia mai sentito. E sono stato sul pianeta 7ngak dove ci sono dei vermi urlatori. So di cosa parlo.

L’altro ieri mi ha rovinato lo spuntino delle 11 p.m. Stavo per aprire il frigorifero quando l’aggeggio infernale ha iniziato a suonare. Era sul tavolo della cucina, che suonava e vibrava allo stesso tempo.

Mi sono avvicinato e ho visto sullo schermo la scritta Yamcha e la foto del deficiente.

Il mio pugno è scattato senza che me ne accorgessi, sfondando il vetro dello smartphone e il tavolo sottostante. Le gambe di legno si sono spezzate ed è caduto tutto sul pavimento con un gran fracasso. Ho guardato la mia mano come se non la riconoscessi.

La terrestre è arrivata, correndo, poco dopo. Indossava solo un pigiama semi trasparente e io mi sono chiesto per l’ennesima volta se prima o poi morirà congelata.

“Vegeta!” ha strillato di gran lunga più acuta della suoneria del telefono, che stava ancora inspiegabilmente suonando. “Che diavolo ti è preso?”

Si è inginocchiata raccogliendo lo smartphone dal pavimento. “Il mio telefono…”

Si è arrestata bruscamente. Ha osservato lo schermo attraversato da mille venature prima di tornare a guardarmi con un’espressione completamente diversa.

“Oh Vegeta” ha detto in modo poco promettente. Si è alzata in piedi, mordendosi il labbro inferiore “Non avevo capito che…”

Ho grugnito e sono andato ad allenarmi.

 

*

Tre giorni dopo avevo una tuta da combattimento nuova, ma non ho capito se le due cose fossero collegate.

 

*

Una settimana dopo è ricomparso lo sfigato. Lei non lo ha fatto entrare in casa. Gridava e piangeva. Lui ha cercato di prenderla per le braccia per parlare civilmente, ma lei lo ha spinto. Lui ha detto qualcosa a bassa voce e lei si è incazzata ancora di più. Io odio le persone che urlano.

Sono uscito dalla gravity room, asciugandomi il collo con un asciugamano. Si sono immobilizzati entrambi. Mi sono fermato anch’io, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. Non ho capito se mi stessero guardando male, quindi nel dubbio ho chiesto se ci fosse qualche problema. “No, nessun problema” ha risposto la terrestre femmina, facendosi più vicina.

Lo sfigato è risalito in macchina e se n’è andato.

“Grazie” ha detto lei, rilasciando rumorosamente il respiro.

Si è tirata indietro i capelli e ha scosso il capo. “Non so che quali fossero le sue intenzioni… io…vieni, ordiniamo una pizza” ha mormorato, precedendomi in cucina. Lo smartphone di nuovo in mano. “I miei sono via. Staranno via per le prossime due settimane. Mia madre ha convinto mio padre a prendersi una vacanza… vanno in un’isola caraibica. Per lui sarà un incubo” è andata avanti a parlare, mentre faceva scorrere il dito sullo schermo del suo cellulare nuovo.

“Ti prendo il solito?”

Ho grugnito, ma doveva essere una risposta soddisfacente perché lei poco dopo disse che aveva completato l’ordine.

Si è seduta sul nuovo tavolo della cucina e ha posato il telefono. Mi ha guardato per qualche istante studiandomi a fondo. Un po’ come le sue amiche quando mi avevano visto dopo l’allenamento e io non mi sono sentito improvvisamente a mio agio.

“Hai una ragazza?” mi ha chiesto all’improvviso.

Ho sbuffato.

Lei ha arcuato le sopracciglia, muovendo piano le gambe a penzoloni. Si è morsa il labbro inferiore e poi ha atteggiato le labbra in un sorriso che mi ha fatto fare qualcosa di strano allo stomaco. “Nemmeno una? Io credevo che… avessi una ragazza su ogni pianeta.”

Ho risposto che avevo un intero cimitero intitolato a mio nome su ogni pianeta. Lei ha ignorato la mia affermazione.

“Come sono gli appuntamenti alieni? Cosa fai quando vuoi corteggiare una donna?” mi ha chiesto poi.

Ho risposto che non ho bisogno di corteggiare le donne. Tutte le donne sono sempre state liete di soddisfare ogni mio desiderio senza che io dovessi fare nulla per conquistarle.

Lei ha gettato la testa all’indietro ed è scoppiata ridere. “Non è troppo facile così? Insomma, tu sei un guerriero… non ha più senso per te la caccia… il non sapere se riuscirai a catturare la tua preda… la sfida” ha detto, abbassando la voce in un sussurro. È scesa dal tavolo e si è avvicinata. La maglietta troppo corta le lasciava scoperta una parte di addome.

Il suo profumo mi ha invaso le narici. C’era qualcosa di piacevolmente inebriante nel suo odore.

“Che cosa faresti per conquistare me, ad esempio?” ha detto, guardandomi negli occhi.

Ho deglutito a vuoto.

Lei è indietreggiata di un passo. “Oddio, scusa” ha detto, nascondendo il viso tra le mani “Non so che cosa mi sia preso. Ogni tanto mi si attiva l’atteggiamento troia e non so più quello che dico…”

Ha allungato una mano verso di me e mi ha accarezzato la spalla.

“Scusami” ha detto di nuovo. “Sto peggiorando le cose… per te… e non vorrei che le cose diventassero… sai… strane tra di noi. Amici?”

Le ho detto che noi non siamo amici. Non potremo mai essere amici. Lei è sembrata ferita per un attimo. “Hai… hai ragione, Vegeta. Scusami, io non… non volevo darti false speranze. Non succederà più.”

E poi è andata ad aprire la porta di ingresso. Era arrivato il ragazzo con le pizze.

 

Il giorno dopo c’erano tre sacchetti di cose in saldo. Per me.

 

***

Un’altra cosa che non capisco è lo strano rapporto con la macchina. La terrestre dai capelli blu è senza ombra un’ottima scienziata, ma ha la tendenza di riempire la sua macchina di stupide cose inutili. Come stelle e girasoli e altre cose insignificanti.

Avevo rotto tutti i droni in un’unica sessione di allenamento. Ero entrato in casa e avevo sbraitato che avrebbe dovuto aggiustarli subito perchè l’indomani mattina volevo riprendere al più presto l’allenamento. Solo silenzio. In cucina un biglietto che diceva che mi aveva lasciato la cena nel forno.

Ho perlustrato la casa, assicurandomi che non fosse da nessuna parte.

Ho infilato quello che restava dei droni in una borsa e mi sono messo in volo. Riuscivo ancora percepire il suo KI, seppur vagamente. L’ho seguita, individuando quella sua stupida macchina decappottabile a pochi chilometri dalla Capsule Corp. Mi sono fermato a mezz’aria e lei ha dovuto frenare di colpo per non investirmi e sfasciare la sua preziosa vettura.

“Vegeta” ha detto, portandosi una mano al petto. Si è appoggiata al volante, riprendendo fiato. Per fortuna la strada era deserta o avrebbe causato un incidente con le sue scarse abilità di guida.

Le ho detto che i miei droni erano rotti.

Ho aspettato che lei si mettesse al lavoro immediatamente ma lei si è limitata a guardarmi.

“Sei venuto a cercarmi” ha detto.

Ho annuito. Certo che sono andato a cercarla. Stupida donna. Non aveva capito che i miei droni erano fuori uso?

“Stavo per fare una stupidaggine. Lui… avrei dovuto dirgli di no subito” ha aggiunto.

Per me le sue parole non avevano alcun senso.

Lei ha scosso la testa e mi ha fatto cenno di avvicinarmi. Mi sono seduto sul sedile del passeggero e ho aspettato che lei rimettesse in moto. Ha fatto inversione, ma invece che tornare verso la Capsule Corp. ha puntato verso la zona collinare. Ha imboccato una strada sterrata e si è fermata a riparo di un gruppo di alberi. Si vedeva tutta la città, le luci si estendevano per miglia e miglia. Anche a quella distanza, quelle della Capsule Corp. erano facilmente riconoscibili.

Bulma si è slacciata la cintura e si è voltata verso di me. Ha esitato un istante prima di premere un pulsante che faceva tornare alla sua posizione originale la capote dell’auto.

“Continuo a ringraziarti ultimamente” ha detto, allungando un braccio verso di me. Le sue dita si sono soffermate sulla mia nuca e io ho avvertito un brivido. Probabilmente era solo il freddo.
“Sembra che tu ci sia sempre quando ho bisogno di te” ha sussurrato, prima di sporgersi verso di me e di baciarmi. Le sue labbra sapevano di buono… e il suo profumo saturava così tanto l’abitacolo da farmi dimenticare l’allenamento e i droni.

L’ho afferrata per la vita e l’ho trascinata sulle mie gambe. Lei ha emesso un gemito, circondandomi il collo con entrambe le braccia. Si è mossa su di me e ha fatto scorrere le mani suo mio petto. Poi si è scostata per guardarmi. Entrambi avevamo già il respiro affannato.

“Pomiciamo e basta”

Ho detto okay, prima di riprendere a baciarla. Ho fatto scivolare tentativamente il palmo lungo la sua camicetta e mi sono soffermato sul suo seno, pronto a sentirla urlare, ma lei si è stretta ancora di più a me. Le sue mani hanno afferrato il poggiatesta dietro di me.

Forse era passato un po’ troppo tempo dall’ultima volta… E con tutte le volte che l’ho vista in giro mezza nuda… sono mesi che mi tortura…

Mi sono costretto a far finta di nulla, ma…

Ho iniziato a baciarle il collo, chiudendo la mano sul suo seno. Lei ha emesso un gemito roco proprio accanto al mio orecchio. Le ho sbottonato la camicetta, accarezzandole poi la pelle calda. Lei ha singhiozzato di nuovo, muovendosi sulla mia erezione intrappolata dai pantaloni. Non sapevo esattamente che cosa volesse dire pomiciare, ma avevo la sensazione che stavamo per fare qualcosa in più di quello.

Ho ringhiato contro il suo collo, cercando il modo di annullare la distanza tra di noi, malgrado i vestiti… e l’abitacolo scomodo. Cazzo, sono un Saiyan e sono stato costretto a pomiciare in una cazzo di macchina terrestre.

Ho fatto scivolare le mani sulla sua schiena, accarezzandole la pelle calda. Lei si è mossa ancora, cercando di più… le sue dita tra i miei capelli… le sue labbra che sussurravano il mio nome… Ho slacciato il reggiseno con due dita e lei si è tirata indietro con un Oh.

Si è guardata il petto e poi si è coperta velocemente con le braccia. Le sue guance stavano andando a fuoco. Per la cronaca, l’ho già vista più nuda di così.

“Vegeta!” ha strillato, scivolando poi al posto di guida. “Vedo che sei un professionista”

A slacciare i reggiseni… beh… Mi sono abbandonato contro il sedile espirando a fondo. La mia erezione premeva dolorosamente contro il tessuto dei pantaloni.

La terrestre si è messa velocemente a posto i vestiti, anche se ero riuscito a lanciare un’occhiata al suo reggiseno di pizzo azzurro e alla porzione abbondante di pelle scoperta. Il suo seno mi riempiva completamente la mano… è una cosa che…

Ho stretto le mani a pugno, serrando forte gli occhi. Lei ha messo in moto e ha percorso la strada a ritroso fino alla Capsule Corp. È scesa senza rivolgermi la parola e si è diretta verso casa. Sulla soglia si è fermata, girandosi verso di me. Io avrei voluto dirle che i miei droni erano rotti, ma non mi sembrava dell’umore adatto.

Si è scostata i capelli dal viso, prendendo un respiro profondo. “Non ricapiterà” mi ha avvisato. Poi si è girata ed è andata in camera sua.

Il giorno dopo c’erano molte borse con cose in saldo in giro per casa. Nemmeno una era per me.

I droni erano ancora rotti.

 

***

Oltre a controllarlo in maniera compulsiva, le terrestri parlano con lo strano aggeggio che chiamano smartphone. Accostano la bocca al microfono e parlano, ma non c’è nessuno dall’altra parte che risponde, perchè dicono un paio di frasi e poi riattaccano senza aspettare la risposta. Ho cercato di capire che usanza fosse, ma non sono sicuro di averla compresa.

La mia terrestre in realtà rimane lì a parlare senza interruzione per minuti interi. Dopo un po’ accosta lo smartphone all’orecchio e ascolta la risposta, credo. Ma non c’è mai uno scambio… solo questi lunghi monologhi.

Tu pensi che ti stia parlando e invece…

Stavo per rientrare dopo l’allenamento, quando ho sentito la sua voce provenire dal bordo piscina. Ho impiegato un secondo per capire che in effetti fosse sola e che stava di nuovo parlando con l’aggeggio infernale.

Ho aspettato che smettesse di parlare prima di palesare la mia presenza.

Mi sono tolto la maglietta e mi sono avvicinato alla piscina.

La terrestre mi ha guardato da dietro gli occhiali da sole. Aveva addosso un costume rosso, che mostrava molte più parti di quelle a cui sono riuscito dare un’occhiata io, ma in qualche modo sembrava accettabile che lei lo indossasse all’aperto senza problemi.

Ho gettato la maglietta su una sdraio e poi mi sono infilato sotto la doccia. Già una volta mi sono buttato in piscina sudato e le sue urla mi rimbombano ancora nel cervello.

L’ho sentita trattenere il respiro. Sono entrato in acqua e ho fatto un paio di bracciate. L’acqua era fresca. Mi sono appoggiato al bordo e ho fissato lo sguardo su di lei.

Lei si è morsa il labbro inferiore. Potevo sentire il suo profumo anche da quella distanza.

Profumava di buono e di sole… me lo sono sentito addosso per giorni dopo l’affaire della macchina…

Mi ha guardato ancora per una manciata di secondi, ho sentito la sua indecisione… avrebbe voluto raggiungermi in piscina ma qualcosa la tratteneva. Alla fine, ha raccolto le sue cose e si è diretta velocemente verso la casa.

Ho emesso un ringhio, issandomi fuori dalla piscina. Erano giorni che mi evitava. Aggiustava puntualmente anche i droni in modo che io non avessi scuse per fare irruzione in laboratorio.

L’ho chiamata per nome, ma lei ha proseguito senza girarsi. Stavo per afferrarla per un braccio, quando lei si è voltata verso di me. “Devi smetterla, Vegeta” ha detto. Io mi sono immobilizzato. L’acqua grondava dal mio corpo, formando una pozza sul pavimento.

L’ho sentita trattenere il fiato. Le sue guance si coloravano di rosso. “Noi… noi dobbiamo smetterla. Io non sono il tipo, okay?” ha detto, la sua voce era ridotta a un sussurro. “Non… non vado a letto con gli uomini tanto per andarci a letto. Ci sono persone che riescono a fare sesso, senza coinvolgimento… io non…”

Ha scostato lo sguardo, sbattendo un paio di volte le palpebre. Non capivo se si stesse vergognando. “Andiamo a letto insieme. Poi tu non… tra di noi non funziona, ma tu devi rimanere comunque qui per combattere i cyborg. Complicheremmo troppo le cose.”

Le ho risposto che è stata lei a saltarmi addosso.

Lei si è morsa di nuovo il labbro inferiore. “Lo so. Mi dispiace. È stato stupido, soprattutto sapendo quello che tu… insomma, so di piacerti” ha detto.

Ho aggrottato le sopracciglia. Le ho detto che lei non mi piace.

Lei ha sorriso. Il suo sorriso prima o poi mi ucciderà. “Non essere sciocco. È ovvio che io ti piaccia… lo vedo come mi guardi”

Solo perché va in giro mezza nuda

“E sei sempre lì per me… dopo la rottura con Yamcha, dopo tutti quegli appuntamenti disastrosi… tu sei sempre stato lì per me.”

Io non ero lì per te. Io ero in cucina a mangiare e ho sopportato la tua fastidiosa presenza pur di cibarmi.

“E sei così geloso… il telefono rotto mentre telefonava Yamcha, l’altra sera… quando stavo andando da lui e tu ti sei precipitato a fermarmi… “

La terrestre ha smesso di parlare, scuotendo appena la testa. Si è sollevata sulle punte e mi ha dato un bacio sull’angolo della bocca. “Grazie, Vegeta, per aver lasciato che io vedessi questo lato di te…” ha sussurrato, prima di scostarsi.

L’ho guardata rientrare. Non avrei saputo che cosa rispondere.

 

***

Vorrei poter dire di essere un guerriero a cui basta mangiare, bere e allenarsi, ma dopo mesi trascorsi sulla Terra ho iniziato ad annoiarmi. Il mio corpo si è assuefatto agli allenamenti intensivi di tutti i giorni. Alla sera non ero così stanco da cadere sfinito sul letto.

Ho iniziato a esplorare i dintorni della Capsule Corp. in lunghi voli in solitaria. Poi ho beneficiato delle bellezze di una vita agiata, concedendomi nuotate in piscina e poi ho scoperto il valore di rilassarsi su un divano comodo, mangiando gelato.

Ero coricato sul divano, un braccio piegato dietro la testa, il barattolo del gelato vuoto posato sul tavolino. Ho sentito il suo profumo. Il rumore dei passi. Era a piedi nudi, come sempre in casa. Lei è comparsa vestita solo della maglietta oversize, una ciotola di gelato in mano. Subito mi è tornato l’appetito… per entrambi. Si è fermata un attimo sulla soglia, indecisa su cosa fare. Ha preso un respiro profondo e si è seduta dall’altra parte del divano. Le lunghe gambe rannicchiate contro al petto.

Ha acceso la TV su un canale a caso. Io la guardavo abbastanza intensamente per metterla a disagio. Non l’ho toccata. Non ho fatto nulla, a parte guardarla. Dopo un paio di minuti, lei ha sbuffato, posando la coppetta sul tavolino e voltandosi verso di me.

“Cosa?” ha detto sgarbata.

Mi sono stretto nelle spalle. La terrestre ha alzato un po’ il volume della TV riprendendo a mangiare il gelato. Dopo un paio di cucchiate è tornata a lanciarmi un’occhiata.

“Te ne puoi andare? Sto cercando di rilassarmi dopo una giornata difficile”

Non ho risposto, allungando una mano per prenderle un piede. Lei è trasalita ma non si è scostata. “Che stai facendo?” ha detto, la mia mano che percorreva la sua pelle fresca in una carezza invitante. Lei ha emesso un piccolo sospiro, abbandonandosi contro i cuscini del divano. La maglietta è risalita lungo le sue cosce, lasciando scoperta una porzione invitate di pelle.

“Vegeta, ti prego… vai in camera tua” ha sospirato, diventando sempre più languida alle mie carezze. Ho fatto scorrere Il palmo sul il dorso del suo piede, salendo poi verso la caviglia.

Ho risposto che se voleva che me ne andassi, poteva sempre spostarmi.

Lei ha spinto il piede contro la mia gamba, sfuggendo alla mia presa. “Puoi restare. Ma tieni le mani a posto” mi ha avvertito, tirandosi più giù la maglietta. Ha finto di concentrarsi di nuovo sulla TV, prima di lanciarmi un’occhiata.

“Che cosa facevi di solito? Sai… quando eri uno dei mercenari di Freezer. Come passavi il tempo?”

Mi sono stretto nelle spalle, dicendo che ammazzavo quanta più gente possibile e terrorizzavo tutti gli altri. Lei ha sbuffato. “Non avevi mai del tempo libero?”

Mi allenavo. Non c’era altro. “Non avevi amici… gente con cui… sai, uscire? Andare a bere qualcosa?”

Ho detto che gli amici sono patetici, che non ero interessato a quel genere di cose.

Lei ha inclinato la testa, guardandomi. “Quindi, io sono la tua prima amica?” ha chiesto.
Ho ringhiato che noi non potremmo mai essere amici. Lei ha incurvato le labbra nel sorriso furbo che mi fa sempre incazzare. “Se non hai mai avuto amici, come fai a essere sicuro che noi due non lo siamo? Passiamo del tempo insieme… ci preoccupiamo l’uno per l’altra… mangiamo il gelato perfino dalla stessa ciotola” ha detto, indicando il cucchiaio che avevo in mano. Beh, lo aveva lasciato incustodito sul tavolino…

Ho replicato che essere suo amico non rientrava nelle mie priorità. Lei ha giocherellato con il bordo della maglietta, mordendosi il labbro inferiore. “Allora, cosa lo è?” ha detto. Stavo per rispondere battere Kakarot, massacrare i cyborg, diventare Super Saiyan, ma il suo tono era… non era quello che voleva sapere.

Mi sono allungato sul divano, avvicinandomi. Lei si era fatta impercettibilmente più piccola. I suoi occhi incredibilmente azzurri erano capaci di rendere i miei pensieri confusi.

Erano dello stesso colore di alcuni laghi dall’acqua pura. Il suo piede si è appoggiato contro la mia gamba. Ero tentato di toccarla ancora, ma lei si sarebbe ritratta. Mi sono limitato a sovrastarla con la mia presenza, il mio calore si riverberava sul suo corpo. Potevo quasi percepire il battito del suo cuore che si era fatto più veloce.

“Vegeta” ha sussurrato. “Mi…”

La sua voce ha vacillato mentre posava le mani sulle mie spalle. Le ha fatte risalire lentamente fino al mio collo, sporgendosi verso di me.

“Mi… inviteresti ad uscire?” ha sospirato. Le sue gambe posizionate ai lati del mio corpo. Le mie mani affondavano nel cuscino dietro di lei. In quel momento avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto, quindi ho risposto di sì. Lei mi ha sfiorato le labbra con le sue, un tocco leggero che ha fatto nascere un ringhio nelle profondità del mio petto.

Ho afferrato la sua vita con un braccio, trascinandola sotto di me. La mia bocca sulla sua. Le mani che si facevano strada sotto la maglietta leggera, toccando quanta più pelle nuda riuscissi ad arrivare. La mia erezione che premeva contro di lei…

Lei si è contorta sotto di me, le sue gambe agganciate ai miei fianchi. La sua bocca sapeva di buono… di gelato al caramello salato.

“Tesoro”

“Cazzo” ha mormorato, dandomi una violenta spinta all’indietro e lanciandomi giù dal divano. Si è tirata giù la maglietta fino a coprirsi le ginocchia, mentre la madre terrestre entrava nella stanza con un piatto pieno di biscotti.

“Li ho appena sfornati” ha detto, posando il piatto sul tavolino. Deve aver percepito qualcosa nell’aria perchè ha osservato prima me poi la figlia. “Va tutto bene?” ha domandato esitante.

“Sì”, ha detto Bulma, la voce un po’ più stridula rispetto al solito. “Vegeta stava facendo l’idiota” ha aggiunto per suonare più convincente.

La terrestre madre mi ha guardato con disappunto. “Non litigate” ci ha ordinato, prima di uscire.

Io ho lanciato un’occhiata alla mia terrestre, ma lei ha sollevato un sopracciglio piena di disappunto. “Non provarci neanche. Potrebbe tornare da un momento all’altro”

Si è alzata, le labbra strette in una linea sottile. “Domani sera. Niente divisa da combattimento. Scelgo io il posto.”

Mi sono chiesto di che diavolo stesse parlando. Lei si è chinata verso di me, il suo respiro contro il mio orecchio. “Ti piacerà… te lo prometto” ha sussurrato.

Io ho cercato di afferrarla per farla sedere sulle mie gambe ma lei è stata veloce a sottrarsi. Avrei potuto sopraffarla fisicamente, ma lei non… non me lo avrebbe permesso. L’avrei solo fatta incazzare.
Mi ha sorriso mentre indietreggiava verso la porta e poi usciva.

 

 

 

***

Le donne terrestri hanno una strana concezione della privacy. Io non posso entrare nella camera della terrestre dai capelli blu, non posso sedermi a bordo piscina se lei è lì con le sue amiche, perché devono parlare, non posso nemmeno passare nella stessa stanza se lei sta parlando con lo smartphone. Lei, però, può fare irruzione in camera mia.

“Vegeta” ha strillato. Mani sui fianchi. “Ti ho aspettato di sotto per venti minuti e non sei nemmeno vestito.”

Certo che non sono vestito, sono appena uscito dalla doccia.

Lei ha espirato profondamente, pronta per un nuovo round di strilli. “Vestiti. Subito. Sai quanto…”

Ho lasciato cadere l’asciugamano che era assicurato alla mia vita. Lei si è zittita. Mi ha guardato. Mi ha guardato molto bene. Si è coperta gli occhi con le mani, la sua faccia stava andando a fuoco.

“Ma che stai facendo?” ha gridato ancora più forte.

Me l’ha detto lei di vestirmi.

Lei ha indicato un paio di borse in un angolo della stanza con un dito, l’altra mano copriva ancora gli occhi.

“Ti ho preso dei vestiti nuovi” ha detto.

Ho tirato fuori dalla borsa un paio di pantaloni e una camicia, che difficilmente sarebbero stati utili durante un combattimento. Non offrivano alcun tipo di protezione e impacciavano nei movimenti. Ho detto che non li avrei indossati.

Lei ha distanziato un po’ le dita per guardarmi di nuovo. Non so cosa l’abbia turbata, ma si è affrettata a richiuderle. “Sei ancora nudo” ha constatato. “Va bene” ha esalato “Ti spiego come funzionano le relazioni qui sulla Terra. Due persone si conoscono, si piacciono, decidono di uscire insieme … fare insieme cose… andare a cena fuori, al cinema… fare attività che consentano loro di conoscersi ancora meglio per capire se sono compatibili… se si piacciono ancora, dopo essersi conosciuti meglio, portano la relazione su un piano più fisico…e poi se si piacciono ancora… non so, vanno a vivere insieme… cose così…”

Si è azzardata a lanciarmi un’occhiata. “Hai capito che cosa ti ho detto?”
Ho scrollato le spalle. Ho risposto che noi passiamo già del tempo insieme, che mangiamo insieme tutti i giorni…

Mi sono avvicinato. Lei ha continuato a guardarmi. Le ho sfiorato la vita con le dita. Indossava un vestito leggero… troppo leggero, come al solito. La stoffa era scivolosa sotto al mio tocco… faceva venir voglia di strapparla per poter accarezzare la pelle calda.

Ho percorso la sua vita con le dita, facendo poi aderire il palmo alla base della sua schiena. Lei stava trattenendo il respiro.

Ho detto che noi abbiamo già portato la nostra relazione su un piano più fisico. Mi sono chinato per sfiorarle il collo con la bocca. Lei ha emesso un gemito, stringendosi di più a me. Ho fatto scivolare una mano al di sotto della sua gonna. Molto corta.

Ho detto che noi stavamo già vivendo insieme.

“Non… vivono insieme come noi” ha sussurrato, arcuando leggermente la testa all’indietro per darmi libero accesso al suo collo. Le mie dita sono risalite fino alle mutandine di pizzo. Altri gemiti di piacere.

“E se…” ha iniziato, mentre seguivo la scollatura del vestito con le labbra. Ho fatto scivolare le spalline sottili dalle sue spalle, scoprendo più pelle e baciando il seno al di sopra del reggiseno. “E se poi litighiamo?” ha detto, il respiro le usciva in ansiti rochi.

Le ho risposto che noi litighiamo già continuamente.

“Ma se… se litighiamo così tanto da non volerci più vedere” ha aggiunto, mentre le mie dita scostavano il bordo delle mutandine e iniziavano ad accarezzarla. “Se… tu dovessi incontrare un’altra. O io un altro.”

Le ho detto che lo avrei ammazzato. Il vestito è caduto a terra in una pozza di porpora. Lei ha sussurrato il mio nome. Mi sono inginocchiato di fronte a lei e ho percorso il suo addome con le labbra. Le mie mani che esploravano il suo corpo, sentendola rabbrividire sotto il mio tocco.

“Ma se non funzionasse…”

Le ho risposto che non l’avevo mai vista non far funzionare qualcosa. Lei si è morsa il labbro inferiore, appoggiandosi di più contro di me. Ho abbassato il bordo delle sue mutandine continuando a baciarla. La sua pelle sapeva di buono.

“Se tu volessi qualcosa non complicato, senza impegno, io…”

Mi sono scostato per guardarla. Lei ha aperto gli occhi, il respiro accelerato.

Le ho chiesto se credesse davvero che con lei potesse essere una cosa non complicata. Lei si è morsa di nuovo il labbro. Le ho chiesto se credesse davvero che con me potesse essere una cosa non complicata.

Lei ha scosso la testa. Ho incurvato le labbra in un mezzo sorriso.

“Ora basta domande” ho detto, facendo scivolare le mutandine lungo le sue gambe.

 

*

Le donne terrestri sono insolitamente languide e affettuose dopo essersi accoppiate. Forse è una reazione chimica che scatta nel loro corpo. Le stavo accarezzando la pelle nuda della schiena, quando si è sollevata su un gomito per potermi guardare in viso.

“Lo credi davvero? Quello che hai detto prima…”

Ho accostato la bocca al suo orecchio e le ho detto che avrei davvero potuto farglielo…

Lei ha riso, colpendomi una spalla. “Non quello! Intendevo… della cosa complicata”

Mi sono coricato di nuovo sul materasso. Le ho detto che non saprei come potrebbe essere non complicato tra di noi. Sono un alieno, come dice lei, ma non sono completamente stupido.

Lei mi ha sfiorato la mandibola con la punta delle dita. “E ti va bene ugualmente?”

L’ho afferrata per la vita e l’ho attirata sotto di me. Gli occhi azzurri mi fissavano con aspettativa. Ho risposto di sì.

“Le cose non complicate mi annoiano” ho sussurrato. Le mie mani si muovevano sul suo corpo. Lei ha sospirato languidamente. L’ho baciata profondamente, prima di scostarmi. Le ho detto che c’era solo una cosa che non capivo.

“Cosa?”

“Che diavolo sono le cose in saldo?

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Note della Beta.
In questi giorni lancio Note solo di frettissima, ma ci tenevo a ringraziare kiera e yria78 per essere passate e aver ivestito un po' del vostro tempo nei commenti, pane per i denti di un autore! Grazie mille! <3



 

WHAT VEGETA KNOWS ABOUT EARTH WOMEN - PARTE 2

 

La donna terrestre si comporta di nuovo in modo strano. Ho sempre avuto il sospetto che tutte le sue stranezze non fossero poi così comuni nella sua specie, ma ultimamente si sta superando. Piange, spesso. Anche se sono gentile. Sono giorni che non va a comprare cose in saldo.

Due sere fa stavo mangiando il solito sandwich di mezzanotte, quando lei è entrata in cucina. Indossava ancora la tuta da lavoro della Capsule Corp. I capelli legati in una coda. Aveva l’aria stanca, ha passato nottate intere a costruire armature e tute da combattimento e non so che altro.

Non mi ha degnato di un’occhiata, aprendo il frigorifero.

Ha scansionato i vari reparti con lo sguardo e poi l’ha richiuso. Ha fatto per uscire dalla stanza, quando le ho chiesto all’improvviso se volesse metà del mio panino. Non so perché l’ho fatto.

Lei si è voltata verso di me. Un’espressione sorpresa sul viso. Si è mordicchiata un po’ il labbro e poi è venuta a sedersi vicino a me. Le ho dato metà del mio sandwich – la metà più piccola. Lei ha iniziato a mangiare, masticando lentamente.
Per un attimo mi sono stupito di quanto fossero piccole le sue mani.

Dopo un paio di morsi ha abbassato il panino, rimettendolo nel mio piatto. Mi ha guardato, posandomi poi una mano sulla gamba.

Ho sperato che lei la facesse risalire sotto il tessuto dei pantaloncini, ma lei l’ha lasciata lì, come se le fosse sufficiente quel contatto. Ho finito di mangiare anche la sua parte, poi mi sono alzato e ho messo il piatto e il bicchiere nel lavandino.

Questo deve aver innescato una strana congiunzione cosmica, perchè quando mi sono girato lei aveva gli occhi umidi. Mi sono chiesto che cosa avessi fatto, ma non ho trovato nessuna spiegazione.

Ho emesso un sospiro, aprendo poi il freezer. Ho messo un barattolo di gelato al caramello salato di fronte a lei con un solo cucchiaino. La donna terrestre ha sorriso e pianto allo stesso tempo, sfoderando una capacità che non credevo possibile.

“Ho un ritardo… ho fatto il test… è positivo…” ha mormorato senza guardarmi.

Ho risposto okay, poco interessato, convinto che fosse una delle solite cose di poca importanza che non capisco.

Lei è scivolata giù dallo sgabello e ha risposto che sono proprio uno stronzo. Poi è marciata fuori dalla cucina. Quella sera ho trovato la porta della sua/nostra camera da letto chiusa.

 

***

La mattina dopo è partita. L’ho vista da una delle finestre della gravity room. Ha caricato un borsone e ha fatto decollare l’elicottero, dopo una lunga occhiata nella mia direzione. Forse poteva vedermi, forse no.

Non ho idea di dove sia andata o quando tornerà. Assolutamente non mi manca. Anzi… posso concentrarmi meglio sugli allenamenti, visto che non la vedo passarmi davanti mezza nuda una dozzina di volte al giorno.

Comunque, più rimango qui, più sono convinto che le donne terrestri siano strane. Ero seduto sul divano a mangiare il gelato e a guardare quella stupida scatola che loro chiamano TV. Stavo sperando che qualcuno entrasse in scena e prendesse tutti a calci, quando Mrs. Briefs è comparsa in salotto tenendo una pila di vestiti stirati in mano.

Ha emesso un lamento, inclinando la testa di lato e guardandomi. Improvvisamente mi sono sentito non a mio agio. Mi ha dato un pacchettina sulla spalla. “Ti manca, vero?” ha detto e io ho risposto che non sapevo di cosa stesse parlando.

Lei ha pigolato di nuovo, scuotendo piano la testa. “Voi innamorati… litigate, litigate ma poi trovate sempre il modo per fare la pace.”

Le ho detto che non abbiamo litigato. Le ho detto che non siamo innamorati.

Lei ha scosso la testa, dicendo che sono uno sciocchino e poi è svolazzata via.

 

Questo è successo ieri sera e da allora cerco di starle alla larga. E niente gelato.

 

*

La giornata di oggi è iniziata nel peggiore dei modi: i miei droni sono rotti. Di nuovo. Bulma non c’è. Mr. Briefs è a una conferenza. Mi sono aggirato per casa, ispezionando tutte le stanze, quasi potessi trovare una soluzione. Sono bloccato. Senza droni non posso allenarmi. Senza allenamenti non posso diventare Super Saiyan.

Scendo nel laboratorio dell’umana. La sua scrivania è, come al solito, invasa dal ciarpame: modellini non finiti, tazze di caffè vuote, pezzi metallici, borracce vuote, matite, penne, puntatori laser…

Cedo all’istinto e butto tutto per terra per liberare un po’ di spazio. Digito un paio di tasti sulla tastiera. Per quanto sia disordinata la sua scrivania, le cartelle nel suo computer sono sorprendentemente ordinate.

Trovo i piani di volo dell’elicottero. Appunto mentalmente le coordinate e poi esco dalla Capsule Corp. Arrivo in un paio d’ore. Mi stupisco di non aver mai visto la seconda casa dei Briefs. È una baita immersa in legno, circondata dagli alberi. C’è anche un lago vicino. Una barca a remi attraccata al porticciolo.

L’umana è seduta sul porticato, ha una tazza in mano. Indossa un maglione sformato, pantaloni larghi e un paio di stivali che le arrivano a metà polpaccio. È la donna più incredibilmente bella che io abbia mai visto. E per la prima volta non rischia di morire assiderata.

Non appena mi guarda, posa la tazza sulla ringhiera e scende velocemente i gradini. Mi getta le braccia al collo e mi abbraccia forte. Le mie braccia si muovono di volontà autonoma mentre l’abbraccio a mia volta. Forse le sue competenze tecniche mi sono mancate. Ma solo un po’.

Immergo il naso nei suoi capelli e cedo all’istinto di ispirare il suo profumo familiare. Le dico che i miei droni sono rotti. Lei ride piano, baciandomi.

“Lo so” replica, prendendomi per mano e guidandomi dentro casa.

 

***


Rimaniamo alla baita un giorno, poi io inizio a diventare irrequieto e torniamo alla Capsule Corp. L’umana aggiusta i droni e io riprendo gli allenamenti. Sembrerebbe tutto normale, ma in qualche modo capisco che lei è tesa. Quasi riesco a sentire il rumore dei suoi pensieri.

È distratta, continuano a caderle gli attrezzi. Perfino Mr. Briefs le ha detto di uscire dal laboratorio se non riesce a lavorare. Lei ha ceduto, si è cambiata ed è andata in centro. Io credevo che sarebbe tornata con una quantità enorme di borse di cose in saldo. Invece è tornata con lo sfigato al seguito.

Il perdente si sta giocando la carta del migliore amico per cercare di riconquistarla. Passano ore e ore seduti a bordo piscina a parlare. Ogni tanto Bulma ride. Io ovviamente non perdo occasione per ricordargli che lui è fortunato… può permettersi di non allenarsi intanto il suo contributo nella lotta contro di cyborg è pari a 0.

Non dovrei dirlo, ma vedo che le mie provocazioni hanno poco effetto su di lui e la cosa mi irrita enormemente. Anzi, sembra che mi guardi con una certa aria di superiorità. E poi le cose precipitano.

Sto uscendo dalla gravity room quando sento la voce di Bulma più alta di due ottave rispetto il normale. Proviene dalla terrazza. Sono tentato di ignorarla e andare in cucina a prepararmi un panino ma qualcosa mi trattiene. Forse è solo curiosità.

Quando arrivo in terrazza vedo lo sfigato inginocchiato davanti a Bulma. In mano ha una scatolina con dentro qualcosa che luccica.

“Sposami, Bulma. Mi occuperò io di voi due” sta dicendo.

Lei lo afferra per le braccia e lo fa rimettere in piedi. “Non dire stupidaggini, Yamcha. Non te l’ho detto per questo… anzi… forse non avrei dovuto proprio dirtelo”

Lui le scosta una ciocca di capelli dal viso. “Guardami” dice a bassa voce “Quanti altri uomini farebbero questo per te? Lui no di sicuro. Eppure, io ti amo così tanto… e voglio crescere questo bambino con te”

E io non so se è il tono della sua voce o se è la sua faccia di merda, ma improvvisamente scopro di essere incazzato. Carico il pugno e lo abbatto sulla sua faccia sbalzandolo all’indietro. Bulma grida.

Io carico il destro e lo colpisco… ancora e ancora… voglio solo cancellargli i lineamenti facciali finchè non sarà una poltiglia di carne maciullata.

“Vegeta, fermati” strilla Bulma. “Lo ammazzerai”

Sì, baby, è proprio questa la mia intenzione.

Sto per colpirlo ancora, quando lei grida che mi ucciderà se le distruggerò casa. Questo in qualche modo mi ferma. Afferro lo sfigato per la maglia e avvicino la sua faccia alla mia. Ringhio che è il suo giorno fortunato e poi lo lascio accasciarsi sul pavimento.

Bulma lo soccorre, strillando ancora insulti verso di me, mentre io vado in cucina a prepararmi un sandwich.

 

*

 

Di sicuro la donna terrestre sa come litigare. Arriva in cucina come una furia e inizia a sciorinarmi addosso una serie di insulti e recriminazioni talmente articolata che mi chiedo se non se la sia preparata prima. Per un attimo le sue accuse sono così veritiere e precise, che non so cosa ribattere.

Alla fine, io rispondo non me ne frega niente. Le dico che si sta rendendo ridicola e che potrebbe anche evitare di cercare di attirare la mia attenzione flirtando con il perdente. Le dico che se gli ho spaccato la faccia era solo per il gusto di farlo… di non pensare di contare qualcosa per me perché non è così e che appena tutta la storia dei cyborg sarà finita, partirò.

Non so perché lo dico. Voglio solo vincere la discussione. Bulma si accascia su uno sgabello e io mi rendo conto di quanto sia pallido il suo viso. Di quanto le sue mani stiano tremando.
“Bene, allora” mormora “Vattene”

La soddisfazione di aver vinto la discussione mi sembra improvvisamente inutile. Vorrei dirle che non pensavo veramente quello che avevo appena detto… che volevo solo vincere…

Due lacrime le scendono sulle guance ma quando solleva lo sguardo su di me, la sua espressione è ferma. “Mi hai sentita?” mi chiede, senza urlare.

E io inizio ad avere paura che lei sia seria.
“Voglio che tu te ne vada, Vegeta… questa cosa tra di noi non può funzionare e io…”

Si alza, il mento sollevato un po’ verso l’alto.

“Non voglio questo. Voglio qualcuno che mi ami, qualcuno che faccia le cose in modo normale… senza dover mendicare. Non voglio mendicare le tue attenzioni, un bacio… o aver paura che tu ti svegli una mattina e decida di partire perché ti stai annoiando o perché non ci sono abbastanza nemici da combattere”

Io vorrei dirle che non è così… che… non deve mendicare niente con me, ma qualcosa mi trattiene. Forse l’orgoglio. Forse sono stupido, ma quando lei raggiunge la porta della cucina io non la fermo.

“Dirò a mio padre di preparare la navicella. Ti voglio fuori dalla Capsule Corp. entro domani sera” dice. Si sfiora solo il ventre con una mano per un istante e io sono sicuro che lei stia per aggiungere qualcosa. Alla fine, però, si gira ed esce.

 

E questa è stata la discussione.

 

*

Per i successivi tre mesi vado in giro per la galassia, allenandomi. È questa la vita che piace a me, fatta di privazioni e concentrata sul duro lavoro. Più volte sono tentato di contattare l’umana quando la navicella ha qualche problema tecnico, ma alla fine, non lo faccio mai.

Mi alleno così tanto da sentire i muscoli sul punto di strapparsi, gli organi contorcersi internamente dal dolore… finché non succede. Mi trasformo in Super Saiyan. Mi sento potente, mi sento come se potessi distruggere pianeti interni con un dito… grido al cielo la mia vittoria, fino a quando non mi rendo conto che sono completamente solo.

Risalgo sulla navicella e riparto. Per un attimo sono tentato di non tornare più sulla Terra. È la navicella che mi porta direttamente alla Capsule Corp. In qualche modo Mr. Briefs deve aver impostato le coordinate.

Me lo racconto perché… perché mi sentirei troppo stupido altrimenti.

Mr. e Mrs. Briefs mi accolgono con ampi sorrisi e qualcosa inizia a far male all’interno del mio stomaco. Lei non c’è. Non che io la stia cercando con lo sguardo. Mrs. Briefs dice che posso andare in camera mia, che ci sono dei vestiti puliti, che la cena sarà pronta tra poco. Sono abituato a questa routine, è stato così per mesi tanto da essere diventato un rituale quotidiano. Non voglio dire che mi sia mancato… o che io lo abbia apprezzato…

Bulma non rientra fino a tarda notte. La sento posare le chiavi sulla mensola. Posso quasi vederla in piedi davanti alla porta che si sfila le scarpe. Entra in cucina poco dopo. Non è sorpresa di vedermi. Si dirige verso il frigorifero e apre lo sportello senza dire nulla.

Di solito è lei che infrange il silenzio tra di noi… anzi, non so proprio come farla stare zitta.
Prima di rendermi conto di quello che sto facendo mi alzo e la stringo forte tra le braccia. Spingo il naso tra i suoi capelli e inspiro a fondo il suo profumo.

Non è che mi sia mancata… assolutamente no…

Lei si irrigidisce. Posa una mano sul mio braccio e lo stringe appena.

“Non…” inizia ma la voce le si rompe in gola. “Non puoi fare così, Vegeta. Noi due non stiamo più insieme. Ti prego, lasciami.”

Io lascio scivolare via le braccia, abbassando lo sguardo. Lei si gira verso di me. Allunga una mano e la posa sulla mia guancia. Copro la sua mano con la sua e ne bacio piano il palmo. Lei rabbrividisce. Sono sul punto di chiederle come faccio per fare in modo che stiamo di nuovo insieme, ma lei mi precede.

“Mi hai ferita” sussurra lei “Sei la persona che mi ha fatto più male al mondo… lo capisci?”

Annuisco. Sì, lo capisco. Lei libera la mano e raggiunge in fretta la porta della cucina. “Non puoi restare qui. Vai a stare da Goku… o dove vuoi… ma non voglio che tu stia qui”

Stringe appena le labbra, osservandomi ancora per una manciata di secondi. Ha gli occhi lucidi. “Addio, Vegeta” aggiunge ed esce.

E io mi rendo conto di averla persa… per un attimo mi sento come impazzire. La seguo in salotto e lei si volta verso di me sorpresa.
Stringo i pugni lungo i fianchi, le parole lottano sul fondo della mia bocca per uscire.

Alla fine, le chiedo come faccio a non ferirla ancora.

Lei scuote la testa. “Non lo so. Io non… non mi fido di te. Non credo che tu sia capace a non ferirmi.”

Le rispondo che posso imparare.

Lei emette uno sbuffo. “Davvero? Puoi imparare a stare con me e il bambino?”

Le chiedo di che diavolo stia parlando… le chiedo quale bambino.

Lei dischiude le labbra e io capisco che sta per mettersi a urlare. Dice che sono un bastardo. “Vattene ora. Non ti voglio qui dentro. Fuori”

Inizia a salire le scale e io dovrei davvero lasciar perdere, ma in qualche modo mi ritrovo a seguirla su dai gradini. Le dico di fermarsi. Le dico che sono un idiota. Le dico che farò qualsiasi cosa lei…

Bulma si gira verso di me. È furente. “E’ troppo tardi, adesso, Vegeta. Lo stai dicendo solo perchè mi hai persa, ma se io tornassi con te… le cose tornerebbero come prima.”

Le chiedo se le cose fossero così terribili prima. Lei scuote la testa, evitando di guardarmi. Due lacrime le scendono sulle guance e lei le scaccia via con un gesto rabbioso. “No, non lo erano… ma abbiamo sempre vissuto come se avessimo una scadenza… tre anni e poi tu…”

Rispondo che le scadenze non mi sono mai piaciute.

Salgo un gradino e mi fermo di fronte a lei. Le accarezzo piano la guancia, facendo poi scendere la mano sul suo collo. Le chiedo se posso avere un periodo di prova.

Lei emette una bassa risata. “Un periodo di prova?” ripete, scuotendo piano la testa. Mi guarda e io leggo così tante cose nel suo sguardo che per un attimo ho paura.

Lei mi getta le braccia al collo e si stringe contro di me. La bacio profondamente e lei mormora che le sono mancato tra un bacio e l’altro.

La sollevo tra le braccia e la porto in camera mia. È immersa nella penombra, ma non ho bisogno della luce per riconoscere i lineamenti del suo corpo. Le sfilo la camicetta e scendo con le labbra lungo il bordo del reggiseno. La spoglio velocemente, ho fame del suo corpo… del profumo della sua pelle…

Lei mi dice di fare piano. Dice che potrei far del male al bambino. Sto per chiederle di nuovo quale bambino, quando un brivido di terrore puro mi scende lungo la colonna vertebrale. Mi immobilizzo.

Lei mi accarezza la nuca e dice che va tutto bene, che non ci sono rischi, ma che a volte io sono un po’ troppo irruento e che è meglio se lo facciamo più piano… il mio cervello si è bloccato. Vorrei dire che la sto ascoltando, ma mi sono inceppato su un unico pensiero.

Accendo la luce e abbasso lo sguardo sul suo ventre… il suo ventre che non è più piatto… per un attimo spero che sia solo grasso. Sollevo lo sguardo su di lei, completamente allucinato, prima di far aderire una mano alla sua pelle tesa.

“Vegeta…” mi chiama piano lei.

Sono in iperventilazione. Scendo dal letto e barcollo all’indietro.
Cazzo.

“Che cosa…”

Le dico che lei è incinta… che aspetta un bambino… e mentre lo dico sbatto contro il muro alle mie spalle.

Lei si copre in fretta indossando una delle mie maglie. Si avvicina di qualche passo, la mano tesa come se volesse accarezzarmi per calmarmi.

Le chiedo perchè cazzo non me l’ha detto.

“L’ho fatto” ribatte e Io capisco che si sta incazzando di nuovo. “Ti ho detto che avevo un ritardo, che ho fatto il test e che era positivo”

La guardo. Per lei queste parole hanno un senso compiuto che probabilmente io dovrei sapere. Le chiedo se quando me lo ha detto si sia assicurata che io avessi capito.

Lei aggrotta le sopracciglia. “Certo, che …” ribatte per poi bloccarsi. “Oh,” esclama “Ma credevo avessi capito! Hai anche picchiato Yamcha quando si è offerto di sposarmi e di fare da padre al bambino”

La guardo con orrore. Cosa ha fatto quel deficiente? Dico che lo ammazzerò. Lei mi afferra per un braccio. “Non farai niente del genere”

Mille pensieri diversi mi circolano nella testa in una cacofonia di suoni. Realizzo che lei mi ha detto di essere incinta e io le ho detto un okay poco interessato… e poi nella discussione altre cose poco…

Mi accascio un po’ contro la parete. Ha fatto bene a cacciarmi fuori casa. Allungo una mano e fermo le dita a pochi centimetri dal suo ventre. Bulma si morde piano un labbro, poi solleva il mento nella sua solita posa battagliera. Per un attimo penso che riesca a sembrare minacciosa anche se non indossa le mutandine.

“Puoi andartene” dice “Non eri comunque previsto. Lo crescerò da sola. Preferisco così, piuttosto che…”

Con me. Faccio un cenno affermativo con il capo. Certo, capisco perchè non mi voleva intorno. Non è una Saiyan, ma è una delle donne più coraggiose che io abbia mai incontrato. Mi ha detto che lei non deve mendicare nulla… ed è abbastanza forte e intelligente per tenermi lontano da suo figlio.

Se non l’amassi già, probabilmente inizierei a farlo ora.

Cedo al mio istinto e le sfioro il ventre con la punta delle dita. C’è mio figlio lì dentro… se dovessi scegliere una donna in tutto l’universo per crescere mio figlio probabilmente sceglierei lei. Anche se è un po’ matta.

Raccolgo i miei vestiti da terra e me ne vado. Sono già fuori dalla finestra quando lei mi richiama indietro… mi dice di aspettare, ma io non lo faccio. Non mi volto nemmeno indietro.

 

*

Se avessi qualche dubbio sul fatto che le donne terrestri sono strane, ma la mia è completamente pazza, sarebbe bastata la discussione numero 3 a dissipare qualsiasi dubbio.

Mi schianto contro al soffitto quando la gravità torna improvvisamente normale. Bulma apre il portellone della navicella ed entra, mentre io torno a terra. Ho il fiato corto.

“Sei uno stronzo” esordisce.

“Mi dici che farai qualsiasi cosa, che vuoi un periodo di prova e poi te ne vai?” prosegue, puntandomi addosso il suo dito accusatore.

Ribatto che è stata lei a dirmi che preferiva crescere il bambino da sola piuttosto che con me.

Lei mi guarda con le labbra dischiuse. “…Piuttosto che con te che non vuoi stare qui! Voglio che tu rimanga perchè lo vuoi, non perchè c’è il bambino o perchè non hai altro posto dove andare”

Rispondo che l’universo è pieno di altri posti in cui andare.

“Esatto… è esattamente questo che intendevo” dice lei trionfante e io mi accorgo di aver fatto un passo falso.

Lei prende un respiro profondo, si scosta i capelli dal viso, rimanendo in silenzio per qualche istante. So che non ha ancora finito. Io rimango in silenzio ma in qualche modo è di nuovo la cosa sbagliata da fare perchè lei solleva le mani in un gesto di resa e si dirige a grandi passi verso la porta. “Non so proprio cosa mi aspettassi”

Io la raggiungo in fretta e le dico di fermarsi. Le dico che sono un idiota. Le dico che…

Lei si volta verso di me. Da vicino è ancora più bella di quanto mi ricordassi. I suoi occhi hanno il potere di strapparmi via il respiro dai polmoni. Le sfioro piano una guancia con i polpastrelli e poi lascio scivolare la mano lungo il suo corpo fino a fermarla sul ventre.

Le dico che…

Lei copre la mia mano con la sua avvicinandosi di un passo. Mi accarezza piano una spalla. Lei dice che se voglio che lei rimanga devo dire qualsiasi cosa mi stia passando per la testa. Dice che devo dirla a voce alta. Dice che non può essere lei a riempire i silenzi.

Deglutisco a vuoto. Alla fine, rispondo che ho paura di fare un casino.

“Credi che ti lascerei fare un casino?” mormora a bassa voce.

Abbasso di nuovo lo sguardo. Lei posa una mano sulla mia guancia e cerca di nuovo il mio sguardo con il suo.

Le dico che non so come si fa a fare il padre o il compagno.

“No, sei abbastanza patetico come fidanzato” ammette ma il suo tono è dolce. Fa scivolare le braccia attorno al mio collo. “Ma ci penserò io… non ti permetterò di fare del male al bambino… o a me.”

Sono sul punto di dirle che le ho già fatto del male, ma forse questa è una delle sue tante contraddizioni. Poso le mani sui suoi fianchi e la stringo piano contro di me.

“Devi dirlo, Vegeta”

Io accosto la bocca al suo orecchio e le dico tutto quello che lei ha bisogno che io dica. E forse ne avevo un po’ bisogno anch’io. Dopo un istante inizia a singhiozzare. Mi scosto chiedendomi di nuovo che cosa ho fatto di sbagliato, lei scuote la testa.

“Non sai proprio niente delle donne terrestri, vero?”

Replico che so che cosa sono le cose in saldo e lei inizia a piangere e ridere con quella sua strana capacità di essere contenta e triste allo stesso tempo. Mi prende per mano e dice che per oggi non mi allenerò, che devo stare con lei.

Io faccio per ribattere che ho cose più importanti da fare, ma mi trattengo. In qualche modo capisco che per lei è importante. Le dico che i miei droni sono rotti e lei ride.

“Bulma”
“Mh?”
“Che cos’è un ritardo?”

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Note della Beta.
Saaaaaaaaalve! Iniziamo con le scuse... finalmente è successo: mi sono dimenticata un aggiornamento. I giorni pre e festivi mi hanno praticamene masticato e sputacchiato in giro  e come risultato ho perso il giovedì.
L'unica nota positiva di questa dimenticanza è il fatto che ora ho una news che la scorsa settimana non avrei avuto! 
Egle ha iniziato la nuova fic di Bulma e Vegeta! Evvivaaaaa! Ho già le prime 15 pagine... posso solo solo dire che visto come sta scrivendo velocemente sono positiva al 95% che la terminerà. E che si tratta di una AU, non legata alla trilogia di Crossroad. Per il resto.. vedrete!
Finisco di cianciare e vi lascio alla terza a ultima parte di questa fic. Buona lettura e grazie alle sante commentatrici! 






WHAT VEGETA KNOWS ABOUT EARTH WOMEN - PARTE 3

 

La donna terrestre si comporta di nuovo in modo strano. Sembra sospettosamente accondiscende e il numero di baci sulle guance e i tesoro si è moltiplicato senza ragione.

È come se non volesse farmi insospettire, però così facendo mi fa insospettire ancora di più. L’ultima volta che si è comportata in questo modo aveva un ritardo e poi mi ha annunciato di essere incinta. Di nuovo.

Cerco di ricordarmi quando è stata l’ultima volta in cui a letto ho allungato una mano verso di lei e lei mi ha urlato di starmene dalla mia parte. No, non mi viene in mente.

Scendo di sotto. Mi accoglie con un sorriso accattivante. Indossa già la sua tenuta da lavoro: un abito che le fascia le forme e i tacchi alti. Mi sfiora la mandibola con le dita, lasciando che il suo profumo mi avvolga. “Buongiorno, tesoro” dice. Eccolo lì, il tesoro.

Le rivolgo un’occhiata diffidente. Lei deve intuire che sospetto qualcosa perché si affretta a dirmi che ci sono i pancakes per colazione. È il mio compleanno? Mi guardo intorno ma non vedo pacchetti o borse con cose in saldo.

Mi siedo al mio posto, occhieggiando mia figlia che sta colorando un foglio con i pastelli. Le chiedo cosa stia facendo. Lei mi dice che sta disegnando. Ovvio. Le chiedo se c’è qualcosa di particolare all’asilo.

Lei smette di colorare e mi guarda, inclinando la testa da una parte. Tipo qualche festa padre – figlia a cui Bulma vuole costringermi a partecipare. O una recita. Io odio le recite. Ovviamente non ne ho persa una.

La donna terrestre ha un suo modo tutto particolare per convincermi a fare le cose: prima grida e minaccia. Se non funziona, passa al ricatto morale: manda avanti mia figlia con gli occhi pieni di lacrimoni.

Mia figlia inizia a elencare tutte le attività del giorno, felice che io mi interessi a quello che fa. Non sembro essere previsto in nessuna di queste.

Guardo la donna terrestre infilarsi un orecchino, dicendo a Trunks di finire la sua colazione e poi andare a scuola. Lui si ficca in bocca gli ultimi pezzi di pancakes, rispondendo che nel pomeriggio andrà da Goten. La donna terrestre gli raccomanda di fare i compiti e poi porge una mano a mia figlia per accompagnarla all’asilo. Si sporge verso di me e mi scocca un bacio sulla sommità della testa.

“Puoi passare nel mio ufficio oggi?” butta lì, casualmente, sistemando i codini di mia figlia.

Un campanello di allarme mi suona nel cervello. Lei mi sorride. “Devi solo firmare un paio di scartoffie” aggiunge.

Scartoffie. Mi giro la parola tra la lingua e il palato, soppesandola. “Poi potremmo andare a pranzo insieme in quel posto che ti piace tanto.”

Le rispondo che ho intenzione di allenarmi e che non ho intenzione di perdere tempo con lei e le sue scartoffie. Vedo la nuvola temporalesca raggrumarsi sulla sua faccia. È pronta a combattere. Incrocio le braccia sul petto, fermo sulla mia decisione. Non mi pesa andare in ufficio in città, ma voglio capire quanto questa cosa sia importante per lei.

Bulma inspira profondamente e poi mi sorride. “Okay, sarà per un’altra volta” dice con leggerezza. Prende lo zainetto di mia figlia e fa per uscire della stanza.

Brontolo che passerò al suo ufficio. Lei si gira verso di me. Per un attimo una luce trionfante le illumina il viso e penso che forse le mie valutazioni siano sbagliate, che lei si stia effettivamente comportando in modo strano per queste scartoffie.

“Bene, ti aspetto prima di pranzo” dice e poi esce.

 

*

Percorro lentamente i corridoio della Capsule Corp. lanciando occhiate terrificanti. Adoro atterrire i sottoposti di Bulma, vederli correre da una parte all’altra. L’unica che non ha paura di me è Karen, la sua assistente personale. Capelli grigi, acconciati in una crocchia alta, sguardo di chi nella vita ha già visto di tutto. Si occupa di Bulma quasi fosse la sua missione di vita. Penso che affronterebbe Cell a mani nude se solo lei glielo chiedesse.

D’altra parte, Bulma la considera parte della famiglia. Per anni ho pensato che fosse l’amante del Dottor Briefs, ma no… non è possibile. Non appena mi vede, Karen mi annuncia e apre la porta dell’ufficio di Bulma. “La stavamo aspettando” dice, sollevando un po’ il mento.

Stavamo…

Entro nell’ampio e luminoso ufficio di Bulma e mi stupisco di vedere altre due persone.

Una di queste è l’altro suo assistente, quello che lavora in laboratorio. Uno scheletro con gli occhiali e la tendenza a balbettare. L’altro è un uomo in completo elegante.

Per un attimo ho la sensazione di essere caduto in una trappola. La donna terrestre si alza dalla scrivania e mi si fa incontro. Capisco che è indecisa se darmi l’ennesimo bacio sulla guancia, ma poi si trattiene. Non mi chiama nemmeno tesoro, mentre mi presenta come il suo compagno.

Faccio una piccola smorfia. Lei si china sulla scrivania e prende un paio di fogli. “Devi firmare qui… qui…”

“Mrs. Briefs, la procedura prevede che…” dice in tono allarmato l’uomo con il completo. Bulma si irrigidisce al mio fianco, prima di sorridere. Risponde che voleva solo velocizzare le cose.

“Non si può velocizzare le cose” ribatte l’uomo, spingendosi gli occhiali su per il naso. “Devo leggere tutto…”

Ribatto che non me ne può fregar di meno di quello che deve leggere, che sono lì per andare a pranzo con la mia donna e di farmi firmare quei dannati fogli.

“Signor Vegeta…”

Gli rispondo di chiamarmi Signor Vegeta un’altra volta se vuole dire addio ai suoi testicoli. Però io non uso la parola testicoli.

L’uomo si tampona il sudore dalla fronte. Prendo una penna e firmo dove mi indica solerte Bulma. Poi afferra una penna e firma anche lei. Mi guarda e io capisco che è di nuovo sul punto di baciarmi, ma alla fine non lo fa. Rivolge un cenno di intesa a Karen e al topo di laboratorio e io per un attimo penso di aver fatto un enorme errore di valutazione e che lei mi abbia fregato.

Trova sempre nuovi modi per fregarmi…

Li guardo firmare e poi Bulma raccoglie i documenti e li porge all’uomo con il completo. “Direi che abbiamo finito… Karen, penso di allungare un po’ la pausa pranzo” dice, prendendomi sottobraccio. Io guardo quella specie di mastino e mi accorgo che ha gli occhi un po’ lucidi.

Sono morto. Ancora non lo so, ma sono morto.

La sensazione che lei mi abbia fregato non mi abbandona fino a sera, quando la vedo riemergere dal nostro bagno privato indossato un completino intimo che non ho mai visto. Pizzo. Sento la bocca diventarmi secca all’improvviso per il desiderio, mentre lei si avvicina al letto. Gli occhi puntati nei miei. Faccio scorrere le mani sui suoi fianchi, attirandola su di me.

Lei emette un sospiro soddisfatto, allacciando le braccia dietro il mio collo. Scende con le labbra lungo la mia mandibola, muovendosi piano.

Ci baciamo lentamente. La sua mano mi percorre l’addome e poi si insinua all’interno dei pantaloncini corti. Bulma si scosta appena per guardarmi negli occhi e per un attimo la stessa sensazione mi attanaglia lo stomaco. I peli sulle mie braccia si rizzano, come se stessi percependo un attacco imminente. È raggiante.

E io mi comporto sempre da stronzo, quindi, non è per qualcosa che ho fatto io.

Le chiedo a bruciapelo se è incinta.

Lei getta la testa all’indietro e ride. La sua mano smette di accarezzarmi.

“No, tesoro, che cosa te lo fa pensare?” ribatte e io mi insospettisco ancora di più. Di solito mi avrebbe accusato di averle detto che è ingrassata. Poi ci sarebbero stati pianti e urla e poi avremmo finito con il farlo sul pavimento.

Corrugo le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto. Lei si sfila lentamente il reggiseno e io faccio del mio meglio per ignorarla. Mi bacia la spalla e poi scende con lentezza lungo il mio petto, spingendomi all’indietro sui cuscini. Io la lascio fare ma sono comunque molto, molto offeso.

“Sono solo contenta di passare un po’ di tempo con il mio… compagno” dice, scostando il bordo dei boxer. Io sto per chiederle altre spiegazioni ma poi lei posa la bocca su di me e io mi distraggo.

Due ore dopo siamo stesi uno di fianco all’altra, i corpi sudati. La donna si gira verso di me, mi sento instupidito dal sesso. “Stavo pensando…” E improvvisamente sono di nuovo sospettoso.

“Perchè non andiamo via per qualche giorno? Solo noi due… è dall’anno scorso che non ci ritagliamo del tempo senza i bambini” mormora, facendo vagare la mano sul mio petto. Tiene la voce bassa, credendo che io mi stia per addormentare. “Mia mamma ha già detto che possiamo portare Bulla da lei” sussurra, sfiorandomi piano la mandibola. “E Trunks ha detto che andrà da Goten”

Ha già pianificato tutto. Sua madre, moccioso 1 e mocciosa 2 fanno parte del piano, sono suoi complici. Mi sollevo su un gomito, osservandola.

Lei sbatte le palpebre, abbandonandosi languida sui cuscini. È il ritratto dell’innocenza. Se non la conoscessi bene, sarei io il pazzo. Le chiedo diffidente che diavolo stia combinando.

Lei scuote la testa. “Vorrei solo passare del tempo con te… mi manchi… “

Il suo dito disegna strani arabeschi sul mio torace. “Mare, spiaggia…”

Dico che devo allenarmi.

“Cibo… alcol…”

Dico che l’alcol rovina i miei addominali.

“Sesso durante il giorno… durate la notte…”

A questo non so come ribattere.

“Saremo solo noi due… in un luogo paradisiaco…”

Ringhio a bassa voce, mentre lei mi fa coricare di nuovo sul materasso. Riprende ad accarezzarmi e io non so proprio come il mio corpo riesca ad eccitarsi ancora. Uomini e Saiyan hanno un limite… a un certo punto… ma lei no, lei riesce a farmi evolvere anche in questo…

“Puoi tiranneggiare i camerieri”

Ed è qui che mi arrendo.

 

*

La cosa bella di avere una compagna ricca è che non devo lavorare. Prima facevo il mercenario per Freezer, era quello il mio mestiere, venivo pagato per farlo. Adesso, se dovessi cercare un lavoro, non saprei che altro fare a parte il killer professionista e il conquistatore di mondi… quindi l’avere una compagna ricca mi permette di allenarmi e di fare allo stesso una vita agiata, senza dover uccidere nessuno.

È un win-win sia per me sia per lei.

Anche perchè a me piace fare una vita agiata, insomma… una vita adatta al mio rango. E lei me lo permette. Sembra divertirsi nell’introdurmi a tutti i piaceri della vita terrestre.

In un primo tempo pensavo lo facesse per invogliarmi a restare, visto che non può vivere senza di me... questo lo pensavo prima de la discussione… poi ho scoperto che lei è una donna raffinata, che semplicemente gode nel condividere quello che le piace con me.

“Come avete richiesto, vi abbiamo assegnato il bungalow più esclusivo… Il romantic honeymoon experience, signori Briefs”

Ringhio di chiamarci di nuovo signori Briefs se vuole perdere l’intestino. La donna terrestre si mette a ridere e dall’acutezza della sua risata capisco che ho detto la cosa sbagliata.

“Sei sempre il solito giocherellone” dice. Io e l’uomo che ho minacciato ci guardiamo per un istante. Sappiamo entrambi che non stavo scherzando.

Incrocio le braccia sul petto e aspetto con tutta la pazienza del mondo che Bulma prenda le chiavi. Dice che possiamo trovare il bungalow da soli e di farci portare le valigie con calma. Tutti scattano sull’attenti e si danno da fare per accontentarla.
È il potere dei soldi, baby.

Mi prende sottobraccio e io mi accorgo che è di nuovo tentata di darmi un bacio sulla mandibola, ma si controlla. Percorriamo lentamente i vialetti contornati da fiori profumati. Lei mi dice che abbiamo una spiaggia privata, uno chef personale…

Le chiedo perché quello credeva che io fossi il signor Briefs. Già moccioso 1 e moccioso 2 hanno il suo cognome. A Bulma si congela il sorriso sulla faccia.

“Ho detto che siamo sposati… sai, per avere la camera più romantica…”

Grugnisco. Lei mi disegna forme immaginarie sul braccio con la punta di un dito. “Un letto più grande… una vasca idromassaggio più grande…”

Questo mi distrae per qualche istante, sebbene io continui a sentire un fastidio alla base del collo. È come quando uccido qualcuno… solo che poi lui non è realmente morto e devo ucciderlo una seconda volta.

Entriamo in camera e io arcuo un sopracciglio, spostando lo sguardo dal letto a Bulma. Ci sono petali di rose dappertutto. Una bottiglia di champagne. Lei ride di nuovo con quella sua strana nota isterica e si affretta a far sparire un biglietto di benvenuto con scritto nuovamente signori Briefs.
 

“Qualcuno perderà il posto per questo” dice, facendolo a pezzettini e gettandolo nel cestino. “Vado a mettermi il costume, così possiamo andare in spiaggia.”

La prendo per un braccio, fermandola. Lei mi guarda indecisa se spogliarsi per distrarmi. Le chiedo che diavolo le prende.

Lei libera il braccio con uno strattone. “Che diavolo mi prende? Sono mesi che non mi guardi, Vegeta! Non mi ricordo nemmeno più qual è stata l’ultima volta che abbiamo fatto sesso!”

Le rispondo che l’abbiamo fatto la sera prima. Tre volte.

“Ah, quindi è questo che era per te…. sesso… ormai non facciamo nemmeno più l’amore… per te scopiamo. E poi, quando organizzo una vacanza romantica per riaccendere il fuoco della passione, mi accusi di avere in mente chissà quale piano… grazie, Vegeta. Davvero, grazie per rovinare sempre tutto”

E come una furia si chiude nel bagno.

Osservo per qualche istante la porta, senza sapere esattamente che cosa è appena successo. Mi siedo sul letto, le spalle accasciate, aspettando che Bulma riemerga dal bagno.

Quando esce, sfoggia un costume rosso striminzito e un copri costume trasparente. A volte non capisco l’utilità dei suoi vestiti. E mi chiedo comunque come non sia morta ibernata anni fa. Lei mi guarda, sbattendo le ciglia.

Mi dà un bacio sulla punta del naso e mi dice che mi ha comprato un mucchio di costumi nuovi. Faccio un po’ l’offeso e lei mi scioglie le braccia dal petto. Si inginocchia di fronte a me e fa scorrere le mani sulle mie cosce.

“Possiamo goderci questa vacanza?”

Le rispondo che è lei che dà fuori di matto.

Mi dice che se voglio posso anche nuotare nudo. Poi aggiunge che anche lei può stare nuda.

Vada per il nudo.

 

*

 

Bulma dà ordini precisi che non veniamo disturbati, non so se lo fa per paura che io ammazzi uno dei camerieri o se cerca di rendere questa vacanza la più piacevole possibile per me. Nonostante io possa dormire per terra e cibarmi di radici, questa vita di spiaggia privata, bungalow extra lusso e gamberoni alla piastra è quasi tollerabile.

L’abbiamo fatto così tante volte da sembrare di essere tornati nei primi tempi della nostra relazione. E io davvero sto per dimenticarmi di tutta la faccenda del sospetto, finchè la donna terrestre non va a farsi una doccia e il suo cellulare inizia a vibrare.
Guardo il nome sul display. Sono indeciso se lasciar perdere ma alla fine il mio sesto senso mi suggerisce di rispondere.

“Ehi ma’, come sta andando la luna di miele?”

Silenzio. Dico a moccioso 1 che sua madre è sotto la doccia.

Sento Trunks balbettare qualcosa di incomprensibile. Gli dico che appena torneremo verrà ad allenarsi con me. Solo noi due, visto che mi sembra si sia rammollito ultimamente.

Moccioso 1 balbetta ancora. Posso sentire l’odore della sua paura. Aggiungo che potrei essere magnanimo per una volta… che potrei anche posticipare l’allenamento… a patto che…
“Che…?”

Gli dico che so che lui sa, che fa parte dei cospiratori. Gli ordino di dirmi tutto.

Moccioso emette un lamento. “Sai, mi farebbe davvero piacere venire ad allenarmi con te, papà” si arrende senza nemmeno lottare.

Faccio una smorfia guardando lo smartphone di Bulma, quasi potessi intimidirlo solo con la negatività dei miei pensieri. Gli chiedo se ha paura più di sua madre che di me.

Moccioso si mette a ridere in modo incredibilmente simile a quello della terrestre. Dopo un istante smette. “Assolutamente no, signore”

Farfuglia di salutagli mamma e riaggancia. Nello stesso istante Bulma esce dal bagno, avvolta da una vestaglia di seta. Il suo profumo mi annebbia i sensi per un istante. Mi guarda, spostando lentamente lo sguardo da me al suo cellulare.

Le dico trionfante che Moccioso 1 mi ha confessato tutto. Lei aggrotta le sopracciglia, andando poi a sedersi davanti alla toilette. Si spreme una dose generosa di crema sulle mani e inizia a massaggiarsi le gambe.

“Non so proprio di cosa tu stia parlando, tesoro”

Le punto un dito addosso dicendo che voglio sapere che cosa sono quelle scartoffie che mi ha fatto firmare. Lei si ferma solo un istante, poi scioglie la cintura e lascia scivolare la vestaglia giù dalle spalle. È completamente nuda.

E io che l’ho vista tutto il giorno, ma tant’è…

Si versa sui palmi dell’altra crema e inizia a massaggiarsi le spalle.

“Solo un contratto. Sai, se dovesse succedermi qualcosa, tutto quello che possiedo ora andrebbe automaticamente a te. Se io non fossi più in grado di prendermi cura di me stessa, saresti tu a decidere al mio posto…” dice e io dovrei stare attento alle sue parole, ma le sue mani si stanno pericolosamente avvicinando ai suoi seni.

Le chiedo se è tutto qui… se è solo un contratto quello che mi ha fatto firmare…
Le si prende i seni tra le mani e sorride maliziosamente. “Ma certo, amore… che cosa credevi che fosse?”

Non le rispondo. Ho la bocca troppo secca. Lei fa scorrere le mani sulla sua pelle, abbandonandosi un po’ contro il tavolino da toilette. Dischiude appena le gambe, le sue mani si abbassano invitanti lungo il suo addome.

Scosto lo sguardo e afferro i due lembi della vestaglia. La richiudo, prendendo ampie boccate d’aria. Le dico di smetterla. Le dico che non funzionerà. Le dico che sta cercando di distrarmi.

Lei scatta in piedi e si allaccia la cintura in vita. “Sei paranoico” sibila, prendendo la spazzola.

Le dico che ho ricattato Moccioso 1 e che lui preferisce venire due settimane ad allenarsi con me piuttosto che spifferare qualcosa. Lei sorride, portandosi una mano al petto.

“Oh, il mio piccolo” mormora. Io afferro lo sgabello e la faccio girare verso di me.

“E va bene…” sospira “L’unico contratto che prevedeva tutte le clausole di cui abbiamo bisogno si chiama matrimonio e quindi ti ho fatto firmare quello.”

Le chiedo se siamo sposati.

Lei risponde di sì.

Le chiedo se cambia qualcosa.
Lei risponde di no, che non cambia niente rispetto a prima…. che lei continua a essere la mia compagna e io il suo compagno, ma che ora lo siamo anche agli occhi della legge terrestre.

“Sei soddisfatto ora?” mi chiede. Io l’afferro per la vita e la butto sul letto. Mi spoglio velocemente aggiungendo che si accorgerà quando sarò soddisfatto.

 

*

 

Siamo coricati sul materasso. Mi sento esausto. Lei è l’unica donna che mi abbia mai fatto dubitare della mia stamina. Si accoccola contro di me e sento che sta per sprofondare nel sonno.

Le chiedo di questa cosa del matrimonio… insomma… l’unica coppia sposata che conoscono è Kakarot e quella furia umana e loro sembrano avere un rapporto suppergiù come il nostro. Litigano. Spero non facciano sesso, perchè mi farebbe senso pensare allo sfigato che fa sesso…

Lei si solleva su un gomito e mi guarda. “Non pensavo fosse questo grosso problema per te… visto che è una cosa puramente terrestre…”

Le chiedo se per lei non fosse un grosso problema. Lei aggrotta le sopracciglia, mordicchiandosi il labbro inferiore come se non si aspettasse la mia domanda. Mi metto a sedere e le chiedo se per lei non fosse una cosa importante… le chiedo se abbiamo seguito il protocollo corretto come per la faccenda dell’essere compagni.

“Beh…” mormora “Ci sono vari tipi di… matrimoni, sai… “

Mi riaccomodo sui cuscini, le braccia incrociate dietro la testa. Le dico che può seguire il protocollo comune per la sua gente. Chiudo gli occhi, sentendomi ancora il suo sguardo addosso. Mi chiede se ne sono sicuro.

Le rispondo che ne sono sicuro. Sollevo solo una palpebra, lanciandole un’occhiata. Ha le guance rosse e gli occhi che le brillano. È sempre una strana sensazione quando mi accorgo che la faccio felice… in un modo che nemmeno io capisco.

Le chiedo se così diventerò il signor Briefs.

Lei scuote la testa. Richiudo gli occhi, attirandola un po’ contro di me.

“Donna?”

“Mh?”

“Che cosa sono le scartoffie?”

 

*

 

Sei mesi dopo, mi ritrovo in alta uniforme. Bulma ha organizzato un matrimonio per pochi intimi. La guardo percorrere il lungo tappeto bianco, fasciata in un abito che mi fa solo venire voglia di trascinarla a letto. Mi porge una mano e mi sorride.

Il mio stomaco si attorciglia un po’ e stupidamente mi sento fortunato.

Poi l’officiante mi chiama signor Briefs e gli mollo un pugno in faccia.

 

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