Ancient Aurora

di rosy03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO. Incipit ***
Capitolo 2: *** ► 01. Un giorno come un altro ***
Capitolo 3: *** ► 02. La Fata e la Bestia ***
Capitolo 4: *** ► 03. Di nuovi incontri e piccole bugie ***
Capitolo 5: *** ► 04. Appello ***
Capitolo 6: *** ► 05. Partenza ***
Capitolo 7: *** ► 06. Il primo ostacolo ***
Capitolo 8: *** ► 07. Uno stronzo egoista ***
Capitolo 9: *** ► 08. Tyrfing, bisogno di rinascita ***
Capitolo 10: *** ► 09. Sapere è potere ***
Capitolo 11: *** ► 10. Dolceamari ricordi ***
Capitolo 12: *** ► 11. Fragore ***
Capitolo 13: *** ► 12. Incontro (in)desiderato ***
Capitolo 14: *** ► 13. Come un pendolo che oscilla... ***
Capitolo 15: *** ► 14. ...tra la speranza e la disperazione ***
Capitolo 16: *** Capitolo Speciale ► Natale p.1 ***
Capitolo 17: *** ► 15. Confronto e verità ***
Capitolo 18: *** ► 16. Arcani Maggiori ***



Capitolo 1
*** PROLOGO. Incipit ***





PROLOGO. Incipit


 


Rambaud Fiore poteva sembrare un uomo eccessivamente severo e pretenzioso ma il suo vero difetto era un altro: amava il suo regno e voleva proteggerlo.
Il resto non gli importava.
Non importava quanto fossero forti i suoi avversari, finché godeva dell'appoggio e della fiducia dei suoi concittadini tutto sarebbe andato per il meglio – era questo il suo pensiero.
Ma aveva fatto male a pensare che tutti i problemi potessero essere risolti con la fiducia e la buona volontà e se ne rese subito conto un giorno d'estate, quando si diffuse nel Regno una certa voce.
La notizia della comparsa di una fata e della conseguente disfatta del regno di Damocles aveva fatto il giro del continente in meno di una settimana.
Rambaud, agli occhi del suo consigliere più fidato, si mostrò da subito preoccupato: d'altronde le fate non esistono.
Ma non poteva ignorare il fatto che un intero regno – suo alleato; famoso per il suo invincibile esercito – fosse stato raso al suolo in un solo giorno.
Ragion per cui dovette procedere con alcune indagini.
Venne creata una legione esplorativa. Il sovrano era convinto che questo sarebbe bastato per avere le idee chiare.
Voleva sapere cosa passasse per la testa di questa presunta fata.
Voleva sapere se anche il regno di Fiore avrebbe conosciuto la morte.
Rambaud Fiore cercò e ricercò soluzioni; aveva troppe domande e nessuna risposta. Poi la legione esplorativa fece il suo ritorno, portando con sé notizie quanto mai macabre.


 
§


 
Quella stradina acciottolata nella periferia di Dogwood[1] non era un granché trafficata quel giorno e Lily se ne chiese il motivo.
Avrebbero dovuto esserci più mercanti, più turisti e invece no. Si chiese per quale motivo i pub fossero semi vuoti e le tapparelle rigorosamente chiuse.
Le sole persone che incrociava sembravano assomigliarsi tutte e si affrettavano chi da una parte e chi dall'altra, portandosi dietro più o meno lo stesso odore che caratterizzava gli abitanti della cittadella.
Lily inspirò profondamente e si lasciò stregare da quel dolce aroma fruttato.
Eh, sì. Questo posto è il paradiso degli amanti del vino, non c'è che dire!
Poi però qualcuno le diede una spallata. Non fu eccessivamente violenta ma il ragazzetto che le era finito addosso cadde a terra e in preda ai tremori faticò non poco a rimettersi in piedi.
«Ehi, tutto bene? Fa' attenzione la prossima volta» disse, mascherando il fastidio. «Che succede? Perché tremi a quel mod-?»
Fece appena in tempo, Lily, a corrucciare confusamente le sopracciglia che questo si scusò frettolosamente, le consigliò di scappare e sparì oltre le case.
Non fu il solo, a dire il vero.
Molte persone presero a correre nella sua stessa direzione, gridando e incitandosi a vicenda. «Correte! Correte!»
«È una fata! È qui per ucciderci tutti!»
Lily non credette a una sola parola.
Restò ferma, ignorando gli abitanti di Dogwood e ispezionando i dintorni non notando niente di strano se non un incremento esponenziale di magia. E la cosa le parve strana.
Dogwood era un paesello di mercanti senza troppi maghi. Se ce ne fosse stato uno tanto potente e con così tanto potere magico se ne sarebbe accorta molto prima.
Senza pensarci due volte e abbastanza rudemente strinse le dita attorno al gomito di una ragazza arrestandone il passo.
Questa cercò di divincolarsi ma senza successo. «Che succede? Perché correte tutti? Cosa avete visto?» provò a chiedere.
La giovane intagliatrice fermò i suoi occhietti da cerbiatta in quelli grigio perla di Lily e cominciò a balbettare: «U-Una fata! È qui! È- L-Lo ha- ucciso
Tutto sembrava accadere troppo in fretta per i suoi gusti.
Un cumulo di grosse radici spezzò il terreno e per un secondo le fece perdere l'equilibrio. Prima che accadesse l'irreparabile, balzò lontano dalla strada portandosi dietro la ragazza che le si aggrappò addosso a mo' di cozza. Atterrarono sul tetto della casa più vicina e finalmente, dall'alto, Lily riuscì a scorgere l'origine di quel caos.
Ma che cazzo sta succedendo? Ero venuta qui solo per fare la spesa, dannazione! Pensò, contrariata.
«Rimani qui e non ti muovere» asserì rivolta alla ragazza. «Se scendi quelle radici ti faranno a pezzi e- e mollami!» strillò, schiaffeggiandole le mani.
La stava stringendo con troppa foga e la cosa stava diventando irritante.
«S-Scusa» bisbigliò lei, intimorita.
Lily sospirò. «Resta qui. Hai capito? Mi occupo io della situazione.»
Aspettò che la sconosciuta annuisse – sperò che avesse davvero capito e che non avrebbe fatto stupidaggini – poi sbuffò qualche imprecazione.
Non era così che volevo trascorrere il mio giorno libero, pensò.
Saltò agilmente da un tetto all'altro fino a che non raggiunse il suo obiettivo: una figura ormai irriconoscibile avvolta da innumerevoli rovi stava perdendo il controllo nel mezzo della piazza cittadina.
In un angolo, stretta tra alcuni bidoni vi era invece una bambina.
Tra tutta quella gente nessuno che ha pensato di portarsi dietro quello scricciolo? Pensò. In che razza di mondo viviamo...
«Ehi!» gridò, ma rivolta al mostro pianta. «Perché stai attaccando la città?»
Non rispose ovviamente; ma la sua magia lo fece per lui.
Un groviglio di radici sgusciò fuori dal terreno e spaccò senza tante cerimonie l'edificio su cui Lily si era fermata. Cadde in strada e si sentì avvolgere da centinaia di piccoli rami ma prima ancora di rimanere completamente bloccata acuminò gli artigli e tagliò.
Distrusse quell'intreccio e saltò. Lo fece per prendere tempo ma anche per potersi avvicinare a quella cosa che di umano non aveva niente.
Il volto sanguinante e deformato dal dolore era diventato insopportabile da guardare e Lily si era ritrovata a trattenere un conato di vomito quando vide quegli stessi rovi, che lo avvolgevano come una seconda pelle, lacerargli perfino le ossa.
«P-Papà!» singhiozzò la bambina. Un lamento che nessuno essere umano avrebbe potuto sentire da quella distanza.
E Lily non ci vide più.
Le sue unghie divennero nere, si fortificarono e si allungarono. Percepì il sapore ferroso del suo stesso sangue sulla lingua quando strinse i denti e tutti i muscoli del suo corpo scattarono nel momento in cui altre radici si mossero per prenderla.
Calciò via la fata in modo da toglierla dal campo visivo della bambina.
Ignorò il dolore, ignorò i fusti di spine che presero a strisciare lungo le sue gambe nude ma prima ancora che altro potesse succedere Lily trapassò di netto il cuore dello sventurato. Lo fece con così tanta violenza da colpire persino la parete di pietra alle sue spalle, quella contro cui l'aveva calciato.
Ancora con il fiatone, Lily estrasse gli artigli – che tornarono a essere delle normalissime unghie un po' mangiucchiate subito dopo – e si allontanò da quel corpo esamine, scacciando via i rovi attorcigliatisi addosso con una certa non curanza.
Restò a guardarlo per qualche secondo ma era un'immagine orrenda.
La pelle era viola, lacerata ovunque; i muscoli e le ossa visibili; gli occhi ruotati all'indietro la bocca deformata in una strana espressione.
Poi la sentì, la voce della ragazza che aveva lasciato al sicuro sul tetto: «L'ha uccisa?» Si voltò svogliatamente e studiò la sua espressione sollevata e riconoscente. «Ha ucciso la fata? Siamo salvi!»
Altre persone le fecero eco. Tutti ripetevano le stesse parole, gli stessi concetti: «Grazie! Grazie mille!», «Saremmo tutti morti se non fosse stato per te!», «Sei un eroina!»
Infastidita dagli schiamazzi, Lily si spogliò della felpa restando in canottiera e la sistemò in modo da coprire il viso dell'uomo dinanzi a lei – nessuno, soprattutto quella bambina, avrebbe dovuto vederlo.
Poi si rivolse ai cittadini di Dogwood: «Non c'è proprio niente da festeggiare! Quest'uomo non è una fata! Prima ve lo metterete in testa e meglio sarà per tutti.»
Al centro del piazzale c'era lei: come ci fosse arrivata nonostante l'evidente tremore che a stento le permetteva di rimanere in piedi poteva sembrare un mistero per chiunque ma non per Lily.
La raggiunse pian piano, pulendosi la mano destra imbrattata di sangue sul retro dei suoi shorts di jeans. Infine, si piegò per arrivare alla sua altezza.
Ciò che vide le fece piangere il cuore.
«Il m-mio papà... è c-cattivo?» le domandò.
Ma gli occhi verdi annacquati di lacrime della piccola creatura non trovarono la crudezza che si aspettavano. Perché Lily mostrò un sorriso sincero e non si curò se la bambina potesse spaventarsi alla vista delle sue zanne. «Tuo padre non è cattivo, scricciolo. La magia è la sola e unica responsabile; lui è stato bravissimo e ha cercato di contenerla come ha potuto, sai?»
Lei annuì mentre altre lacrime le solcavano le guance.
«Come ti chiami?»
«H-Hazel.»
Lily le scompigliò dolcemente i capelli sporchi di fuliggine. «Bene, Hazel. Saluta il tuo papà come si deve ma ti consiglio di farlo guardando il cielo. È lì adesso e anche se tu non puoi fare lo stesso, sono certa che vorrebbe poterti guardare negli occhi un'ultima volta.»
La bambina annuì nuovamente.
Alzò la testolina e punto lo sguardo oltre quel cielo limpido nella speranza di poter rivedere quel volto che tanto amava. Lily fece lo stesso ma non era la stessa cosa.
Senza la luna a illuminare la coltre di oscurità da cui provengo, il cielo sembra fin troppo triste...
«Signorina?»
Hazel aveva cominciato a fissarla con una certa inquietudine. Al che, Lily le mostrò l'ennesimo sorriso di incoraggiamento. «Dimmi pure.»
«Ma allora è la magia a essere cattiva?»
Non si aspettava certo una domanda del genere.
In verità, Lily non sapeva cosa fosse la magia: non quella degli ultimi tempi, almeno. Sapeva per certo una cosa, però, e cioè che ci fosse qualcuno – o qualcosa – invischiato in questa strana storia.
Stava per risponderle che non ne aveva idea.
Che solo la magia stessa avrebbe potuto rispondere a un tale quesito.
Ma poi vide i suoi occhi. Hazel aveva bisogno di credere in qualcosa.
E le tornarono in mente quelle parole:
«Pensaci. Secondo alcuni, Dio esiste per questa ragione. Chi non crede in Dio trova irreparabilmente qualcos'altro a cui aggrapparsi. Non siamo fatti per stare da soli e quando tutto sembra sprofondare nell'oblio si ha sempre la speranza che Dio o chi per lui venga a salvarci. L'uomo ha bisogno di credere in qualcosa e sono dell'opinione che questa sia la sua più grande qualità.»
Lily aveva smesso di credere. Ma anche quando si era convinta di ciò in realtà stava continuando a farlo.
Solo in qualcosa di diverso dal mero Dio. Ed era quel qualcosa che le permetteva di rimanere in piedi.
Infine, sorrise alla piccola Hazel.
«Non può esistere una magia cattiva, scricciolo.»

 
§

 

Dopo una mattina tanto movimentata Lily pensò bene di fare una capatina alla sede della gilda – più che altro voleva cercare di ignorare l'orrore di essersi dimenticata di ricomprare la spesa dopo averla persa chissà dove.
Per di più a casa non c’era nessuno e si annoiava a starsene da sola.
«Che hai combinato?»
Lily non si mostrò per niente sorpresa dal tono vagamente apprensivo della sua amica; più e più volte si era presentata alle porte di Ancient Aurora con qualche ferita di troppo e la reazione dei suoi compagni era sempre la stessa. «È da ore che tuo fratello ti cerca!»
«E tu digli che mi hai finalmente trovata!»
Mentre disse queste parole, allungò le gambe – che erano state accuratamente medicate e fasciate da Nimue pochi minuti prima – sul tavolo e si stravaccò meglio sulla sedia, incurante della buona educazione.
E a nulla valsero gli sguardi infastiditi di alcuni suoi compagni; quando ci si metteva sapeva essere una vera stronza e infatti, pochi istanti dopo e con il più totale disinteresse, alzò il dito medio in direzione di Alastor che prontamente la ignorò.
«Gradirei avere la tua attenzione» disse l’amica. «E per l’amor del cielo, lascia in pace Al che oggi non è giornata. È stato cacciato in malo modo dalla biblioteca e ora barcolla da una parte all’altra in cerca di un posto tranquillo dove poter leggere!»
 Scostando i lunghi capelli corvini da una spalla all’altra, Lily scoppiò a ridere. «Ecco il perché di quel muso lungo.»
«Già. Piuttosto, dove sei stata tutta la mattina?»
L’altra schioccò la lingua infastidita. «A Dogwood. Ci sono andata per comprare quel taglio di carne che mi piace e che oggi avevo proprio voglia di mangiare ma è successo un casino.»
L’amica dai lunghi capelli rossicci – colore che sfumava nel biondo man mano che ci si avvicinava alle punte – corrucciò la fronte, incuriosita.
«Che genere di casino?»
«Finalmente ti ho trovata, sorellina!» esclamò una terza voce. «Non hai idea del giro che mi hai fatto fare!»
Killian palesò la sua presenza e Lily si godette lo spettacolo.
«Oh, e ciao anche a te, Ella. Grazie per averla tenuta impegnata» disse e con il mento indicò la corvina che si coprì con le mani la bocca sghignazzante, «la stavo proprio cercando.»
Ella Fitzgerald era due cose: un’inguaribile romantica e un’inguaribile romantica innamorata persa di suo fratello e Lily non perdeva occasione – davvero – per farle fare la sua quotidiana figura di merda davanti a lui.
«C-Ciao Killian!» trillò, forse un po’ troppo forte e con le orecchie in fiamme. «Come va?!»
«Alla grande, graz-» fece per dire, ma Ella non lo lasciò finire.
La sua faccia assunse diverse tonalità di rosso prima di riuscire a mettere insieme una frase di senso compiuto: «È stato un piacere, ciao!» E scappò.
A quel punto Lily scoppiò in una risata fragorosa.
«Prima o poi capirò perché fugge ogni volta» disse lui, distrattamente.
Al che sua sorella si riprese dall’attacco di ridarella che l’aveva colpita e dopo aver preso un bel respiro lo guardò con un sopracciglio inarcato. «Io spero con tutto il cuore che tu finga di essere tanto imbecille.»
Killian non riuscì a trattenere un sorriso divertito e pregno di significati, sorriso che non abbandonò neanche quando prese posto accanto a lei.
Se c’era una cosa che Lily aveva imparato con gli anni era che niente sembrava essere in grado di smorzare quel lato suo fratello: neanche una missione suicida ed era proprio questa la sua paura.
Che la lasciasse a casa ad aspettare.
«Ho saputo che a Dogwood è successo il macello» cominciò a dire, «Un’altra fata?»
«Se per fata intendi quelle cose, sì. Il papà di Hazel» spiegò, abbattuta.
Per un attimo Killian non disse niente. Si limitò ad annuire e a incrociare lo sguardo amareggiato di sua sorella.
Quando le due sfere di caramello bruciato si posarono su di lei, Lily non si sentì affatto compatita; il bello di avere un fratello così fuori dalle righe era proprio questo – e anche se non l’avrebbe mai ammesso, non le dispiaceva contare su qualcun altro ogni tanto.
«È la prima volta che succede in una piccola città» disse, sovrappensiero.
«Quando questi incidenti sono cominciati, sono state proprio le piccole città ad averne pagato il prezzo più alto. Avrai notato che aria tira.»
Lily mostrò un sorriso forzato. «Davvero difficile non notarlo. Le strade erano pressoché vuote, molti luoghi di ristoro chiusi e c’era odore di paura ovunque... sembravano tutti in attesa di una catastrofe.»
A Lily non piacevano quel genere di discorsi. Non le piaceva raccontare quello a cui era stata costretta ad assistere – o a fare.
«Comunque ti cercavo per altro» disse. «Il re mi ha convocato. Vuole che si organizzi un team che porti avanti l’indagine nel regno di Damocles e mi ha scelto come leader.»
Fu un attimo. Lily posò con violenza i piedi a terra, si sporse leggermente in avanti e alzò la voce di qualche ottava: «Che cosa?!» Poi, prendendo coscienza di quanto il fratello non sembrasse minimamente colpito dalla sua esplosione di rabbia, si affrettò ad alzarsi e a imprecare in tutte le lingue da lei conosciute.
«Dai, calmati» cominciò a dire, vagamente divertito dalla sua reazione spropositata. «È una missione come un’altra. La nostra gilda è specializzata in questo genere di cose!»
Era vero. La gilda Ancient Aurora non si occupava soltanto di combattere mostri, criminali e creature magiche. I suoi obiettivi principali erano altri: riportare alla luce antichi misteri, risolvere enigmi, proteggere l’eredità dei grandi maghi del passato e – perché no? – andare all’avventura.
«Il re sa benissimo che qui in pochi usano la magia per combattere e ha perciò inviato diverse richieste ma confida nella nostra esperienza in questo campo. In sostanza noi saremo il cuore e la testa della squadra.»
Nonostante quest’accurata spiegazione Lily non sembrò affatto convinta.
Così Killian, con la più totale nonchalance, fece un’alzatina di spalle. «Ovviamente non andrò da solo... Royal ha accettato l’idea che venga anche tu. E anche Nimue, ovviamente. Avremo bisogno di qualcuno che ti ricucia ogni volta che tenti di farti ammazzare, no?»
Sua sorella non era mai stata brava a mascherare la sorpresa. E soprattutto non era mai stata brava a mettere ordine in quella incasinata testolina che si ritrovava. «Verrò anch’io? Sul serio?»
Sembrava aver dimenticato la stizza che l’aveva assalita poco prima.
«Royal dice che sai badare a te stessa e io sono d’accordo. Anche se preferirei che te ne restassi ferma e so già che me ne pentirò dal minuto uno» spiegò con un largo sorriso. «E poi abbiamo bisogno di qualcuno che sappia leggere la lingua morta. Portare Al è fuori discussione, ci rallenterebbe soltanto e poi sai che non ama particolarmente l’aria fresca!»
Lily trattenne a stento una risata.
La giornata era iniziata nel peggiore dei modi ma sembrava intenzionata a migliorare man mano che si avvicinava la notte. Accanto a lei Killian sghignazzò affondando le mani nel suo adorato trench color sabbia e scivolando lungo lo schienale della sedia.
«Nessuno dei due sa come ci si siede, vero?»
La corvina sbuffò bonariamente prima di replicare. Oh Dio, sta’ zitto!

 

§


 
Quella stessa mattina; all’alba
 

Quando aveva messo piede a palazzo si era sentito invaso da innumerevoli ricordi. Belli e brutti, senza alcuna differenza.
Aveva attraversato quei lunghi corridoi con le mani perennemente affondate nelle tasche e lo sguardo fisso davanti a sé, quasi in maniera ostile. Come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro.
E quel qualcosa accadde nel momento esatto in cui incrociò Jace Ivory, la persona più vicina al re. Non che gli stesse antipatico ma non aveva mai sopportato i suoi modi eccessivamente confidenziali – specie quando c’erano di mezzo lui e sua sorella.
Indossava come al solito degli abili eleganti: una camicia bianca e un completo scuro finemente decorato con inserti cerulei e d’argento; i capelli neri incorniciavano un viso chiaro e pulito, con due zaffiri al posto degli occhi. Era carino, sì.
«Benvenuto, Killian!» esclamò, gioviale. «Ti stavamo aspettando!»
«Non sono qui per chiacchierare con te, Jace» asserì con veemenza.
L’altro si limitò a ridacchiare per poi guidarlo alla sala del trono, salutò allegramente le guardie piantate fuori alla porta e per finire lo invitò a entrare per primo fingendo un inchino di cortesia.
Avevano la stessa età – più o meno – e in molti avrebbero potuto sostenere che si somigliassero per certi aspetti ma Killian non ne era convinto. Royal avrebbe potuto dire qualsiasi cosa ma il sorriso di Jace non era niente se non inquietante e basta.
Il fatto poi che avesse i suoi occhi puntati addosso lo mandava ai matti.
Comunque, il re sembrò non notare il suo fastidio. «Sono contento che tu abbia accettato il mio invito.»
Lui chinò il capo in segno di rispetto ma restò in silenzio.
La figura di Rambaud era avvolta in abiti sontuosi: il bianco delle vesti e il rosso del mantello ne suggerivano una personalità pacata ma al tempo stesso audace e decisa. Questo era il sovrano di Fiore.
Un uomo dai sani principi che aveva a cuore il suo popolo.
«Sarò sincero e diretto, Killian: sono preoccupato. La legione esplorativa è stata decimata e nessuno ha scoperto niente di rilevante, nessuno ricorda niente di rilevante... sembra che in questi cinque mesi sia successo il finimondo ma non sappiamo effettivamente niente. Hai qualche idea? Qualche supposizione? Un indizio?»
Non ci voleva un genio per capire che il re non era semplicemente preoccupato. Era terrorizzato, altroché!
«Lo sta chiedendo a me perché...?»
Il sovrano si lasciò sfuggire un sorriso tirato, quasi isterico. «Royal decanta i tuoi successi. Dice che sei il migliore e finora le sue opinioni non mi hanno mai deluso» disse. «E poi perché hai esperienza in questo campo!»
Killian aveva avuto il piacere di incontrare Rambaud Fiore tre volte in tutta la sua vita e gli era sempre sembrato un uomo radioso, sincero e amicale. Non l’aveva mai discriminato, non aveva mai fatto allusioni sul suo passato e non aveva mai dato del fino da torcere a lui e a sua sorella – ragion per cui non si chiese nemmeno a quali esperienze si stesse riferendo.
«Ad ogni modo, se c’è la possibilità di far luce sugli incidenti che stanno accadendo nel nostro regno voglio afferrarla al volo» cominciò a dire, «Sto creando una squadra. Un gruppo che possa continuare quello che i miei soldati hanno lasciato in sospeso!»
«Vostra Maestà, con ogni probabilità non si tratta solo di Damocles. Nel regno ci sono già stati numerosi avvistamenti di... fate.» A lui non piaceva per niente quel termine ma era così che la gente aveva cominciato a chiamare quelle cose. «E ho sentito che gli stessi incidenti stanno accadendo anche altrove, sebbene non abbiano ancora dato grossi problemi.»
Jace ne approfittò per prendere parola: «Se posso permettermi, Maestà, Killian ha perfettamente ragione. Sono dell’idea che chiunque ci sia dietro tutto questo abbia usato il regno di Damocles come cavia. Lì potranno trovare delle tracce del suo passaggio ma niente di più.»
«Se così fosse sarebbe sempre meglio di nulla» asserì il sovrano.
Ma Killian non sembrò ascoltarlo perché si voltò stupito in direzione del corvino. «Pensi addirittura che sia colpa di qualcuno? Credi sia possibile per una persona far esplodere il potere magico di più individui che si trovano a una notevole distanza gli uni dagli altri?»
Jace sorrise sornione. «Per qualcuno che ha il dono dell’ubiquità, sì... oppure questo qualcuno ha molti seguaci sparsi per il continente, chissà!»
«Per il momento la squadra indagherà nel regno di Damocles» spiegò Rambaud, riprendendo la parola. «Killian, ti ho chiesto di venire a incontrarmi perché desidero che sia tu il leader del gruppo. So di chiedere tanto ma ho fiducia in te e nel tuo giudizio. Prendi tutti i maghi che ti servono, chiunque ti sia d’aiuto e anche se sarà difficile mi adopererò per farti avere ciò di cui avrai bisogno per questa missione.»
La richiesta era semplice e chiara.
Killian avrebbe dovuto imbarcarsi in un viaggio pericoloso e affiancato da dei completi sconosciuti. Il suo prima pensiero – e la sua prima preoccupazione – fu Lily.
Mi ammazzerà se la lasciassi a casa, pensò rassegnato.
 
 


 
Il resto non è un segreto né per me, né per voi.
Killian accettò la missione e insieme alla sua sorellina partì alla volta del regno di Damocles. Ma prima dovette riunire il team.
Siete pronti a seguirli nella loro tetra avventura?
J.C.
 
 
 











 
 [1] Dogwood in inglese è il Corniolo, un albero coltivato come pianta ornamentale in orti e giardini, e per i suoi frutti commestibili.
 

 
*_____* Sono così contenta di aver avuto il coraggio di pubblicare questo prologo!
Per chi non mi conoscesse, sono nuova nella sezione e ho ben pensato di cominciare con una storia interattiva... una cosa semplice, eh? Detto ciò, non voglio farvi perdere ulteriore tempo quindi per questa volta mi tratterrò – ma dalla prossima dovrete sorbirvi i miei sproloqui, sappiatelo.
Ho solo due domande:
– Come vi sembrano Lily e Killian? E gli altri? Tranquilli, saranno solo dei personaggi di contorno. Forse.
La strana "tensione" che intercorre tra Killian e Jace è venuta fuori un po' strana... voi che dite?
– Ci avete capito qualcosa? ^____^ Oddio, spero di sì!
Sappiate comunque che ci sono indizi sparsi OVUNQUE; se non li avete colti tutti non fa niente, sono io la pazza. Capirete poi...!

Oltre ad alcune regolette da sapere, vi ho lasciato anche alcune informazioni.
Noterete che non c’è la scheda dei personaggi. Ebbene, sarò io a inviarvela.


 
AMBIENTAZIONE
  • È un AU, non un post canon.
     
  • Eventuali modifiche geografiche e/o istituzionali del mondo di Fairy Tail saranno esplicate più avanti; abbiate pazienta.
     
  • Ancient Aurora è una gilda di maghi (prevalentemente STUDIOSI) e anche se i vostri personaggi non hanno come scopo ultimo quello di ricercare antichi tesori o dare alla luce verità inenarrabili, sappiate che deve esserci un motivo valido per il quale hanno deciso di unirsi a Killian.
     
  • Per quanto riguarda i draghi e i dragon slayer, vi è la certezza che siano esistiti ma nessuno sa che fine abbiano fatto (edit: io sì ma non ve lo dirò).
     
  • I demoni non esistono. Dicono.
     
  • Cosa molto importante: Fairy Tail è una leggenda, una favola. Per tale ragione non partorite neanche l’idea che un personaggio possa aver incontrato un Salamander o una Titania.


REGOLE
  1. ACCETTO un massimo di due personaggi per ogni autore, di sesso opposto.
     
  2. Sono disponibili solo 7 posti per 7 personaggi. Beh, almeno 5 XD
     
  3. Avete tutto il tempo per consegnare la scheda del personaggio; ma, se riusciste a inviarla entro un massimo di due settimane mi farete felice *___* così che io possa cominciare a lavorarci su...!
     
  4. Coerenza. Originalità. Plausibilità.
     
  5. Non accetto figli/parenti/amanti dei personaggi originali.
     
  6. Per quanto riguarda i dragon/devil/god slayer c'è un "problemino": per esigenze di trama devo chiedervi di avere pazienza perché c'è la remota possibilità che possa chiedervi di cambiare qualcosina nel backgroud del personaggio; poi magari non è necessario ma vi avviso perché non-si-sa-mai...
     
  7. Oh, sarebbe davvero fantastico se poteste dirmi in anticipo il sesso del vostro personaggio – così... per avere un'idea!
     
  8. Non abbiate timore di risultare pedanti. Scrivete tutto ciò che vi viene in mente.
     
  9. ACCETTO personaggi di tutte le classi sociali, etnie o religione. Davvero, sbizzarritevi.
     
  10. Cercherò di dare la stessa importanza a tutti i vostri OC; ad ogni modo sappiate che questa “importanza” sarà direttamente proporzionale alla modalità con cui compilerete la scheda: più è dettagliata, maggiore sarà l’impatto che avrà.
     
  11. La scheda dovrà essere inviata esclusivamente per messaggio privato e avere come oggetto del messaggio “OC per Ancient Aurora – [Nome Personaggio]”.
     
  12. NON ACCETTO nessun personaggio che abbia una relazione di sangue con i sovrani di Fiore.
     
  13. NON ACCETTO personaggi invincibili, lasciate che tutti si divertano.
     
  14. Gradirei vedere una certa partecipazione da parte di coloro che mi invieranno i loro personaggi; non voglio obbligare nessuno ma penso sia importante avere un certo dialogo così io sarei più tranquilla sapendo cosa pensate della storia e se sto “utilizzando” bene i vostri personaggi e voi avrete più possibilità di farmi degli appunti in questo senso.
     
  15. IMPORTANTISSIMO: Il vostro personaggio potrà essere un membro della gilda (e conoscere già Killian &Co.), diventarlo in seguito o non diventarlo affatto! La missione non riguarda solo ed esclusivamente la gilda Ancient Aurora; quindi, siete liberissimi di fare quello che vi pare. Per come è stata presentata la squadra sarà formata da Killian/Lily/Nimue e altri maghi esterni alla gilda, è vero... ma in sostanza i vostri personaggi potranno essere qualsiasi cosa: prigionieri, mercenari, maghi solitari o di altre gilde, in ogni caso dovranno avere un motivo valido che li spinge a collaborare...
    Esempi: una riduzione della pena o la libertà (nel caso dei prigionieri), un baratto, una pura questione di soldi o un lavoro come un altro, sbizzarritevi.

     
  16. Per qualsiasi domanda, sono qui. Anche se vi sembra stupida ^______^
 

Okay, ho finito. Circa.

T___________________________________T

È una storia interattiva, per cui ogni tanto potrei chiedere a voi lettori di scegliere tra una o più “missioni secondarie” – capirete poi, tranquilli *^* in ogni caso, sarebbe una cosa carina. Non è ancora sicuro – dipenderà da come deciderò di far andare le cose.

Il rating è prevalentemente arancione, potrebbe però virare al rosso; spero non sia un problema per voi. In caso, fatemelo sapere. Ah, e quando dico “rosso” intendo in tutti i sensi O____o voglio proprio complicarmi la vita, già!

Qualora abbiate delle domande, non esitate a chiedere: se riguarda prettamente il vostro personaggio e per non fare spoiler vi pregerei di inviarmi tutto per messaggio privato – ma le sapete già queste cose, perché le ripeto?!

IMPORTANTE: non so con quale frequenza pubblicherò i capitoli.
Al momento sto affrontando un periodo particolare e ho ricominciato a scrivere da poco; le idee le ho e sono chiare: il problema è la mia testaccia!

A questo punto penso proprio di aver concluso con la parte “noiosa”.
Spero con tutto il cuore che questo prologo vi abbia intrigato e che non ci siano errori – ho riletto tutto tipo sedici volte!
Alla prossima!
 

Rosy
 

P.S. E ancora auguri di buon anno! Spero sia cominciato bene per tutti – mia madre stamattina si è bruciata una mano T_____________T
 



 

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Capitolo 2
*** ► 01. Un giorno come un altro ***




CAPITOLO 01. Un giorno come un altro

 



 
«Quindi? Quand’è che partiamo?»
Era sempre stata una ragazza impaziente, Lily, e ne dava prova ogni giorno. I suoi continui sbalzi d’umore avrebbero fatto ammattire un santo e suo fratello lottava ogni giorno con la consapevolezza di avere come sorella una stronza patentata. Perché sì, certe volte lo faceva proprio apposta.
«Partiamo tra una settimana. Hai tutto il tempo per prepararti.»
Quella sbuffò contrariata. «Avrò tutto il tempo di annoiarmi, semmai!»
«Invece di lamentarti perché non ti rendi utile?»
«E tu? Che fai oggi?»
Killian alzò le spalle e chiuse gli occhi, cercando rilassare i muscoli, indolenziti a causa di un’intera mattinata passata in treno. Avrebbe di gran lunga preferito spostarsi a piedi ma Crocus era lontana. «Forse dormo.»
La sorella annuì ma non disse niente.
Era insolito che se ne stesse zitta, a dire il vero. Ma non ebbe il tempo di dire nulla che una persona, niente di meno che il Master della gilda, si sedette di fronte a loro calamitando l’attenzione di entrambi su di sé.
Royal Vandom non era soltanto uno dei maghi più forti del regno ma anche, a detta di Nimue, l’uomo più irresponsabile del regno – si era guadagnato quell’appellativo perché aveva la brutta, bruttissima abitudine di sparire.
Poteva scatenarsi un conflitto mondiale e lui era – qualsiasi posto fosse –, con chissà chi – e nessuno voleva saperlo, a nessuno importava veramente – e a fare chissà cosa – chiunque con un po’ di cervello ci sarebbe arrivato.
Spariva e poi tornava come se nulla fosse successo. Eppure, tutti avrebbero volentieri messo la propria vita nelle sue mani.
Perché aldilà del suo immancabile sorriso sghembo e del suo non tanto velato sarcasmo da due soldi, c’era un mago grande, potente e... indiscutibilmente attraente. E in effetti, poteva vantare un aspetto non da poco: la pelle scura faceva da sfondo a un paio d’occhi color miele lucenti e sprezzanti del pericolo, accompagnati da capelli e pizzetto corvini.
Il suo completo elegante, poi, avrebbe potuto rapire il cuore di qualsiasi donna e trarre in inganno qualsiasi persona. Perché Roy non ha mai saputo dove abitasse la finezza di un vero gentiluomo – o per lo meno, sapeva tirarla fuori solo e soltanto quand’era in dolce compagnia.
Per questo lui e Lily andavano così d’accordo.
«Allora? Novità?»
«Innanzitutto,» fece per dire Killian, «saresti dovuto andare tu a palazzo, a parlare con il re e non io. Sei tu il Master qui... almeno mi sarei risparmiato questo mal di schiena.» Detto ciò, stirò le gambe sotto il tavolo e piegò il collo prima da un lato e poi dall’altro con la speranza di sentirlo scricchiolare.
Non che fosse davvero infastidito, comunque. Ma Killian sapeva essere melodrammatico come pochi e sapeva per certo che l’uomo di fronte a lui non se la sarebbe presa per così poco. E infatti...
«Mi spiace ma avevo da fare!» esclamò raggiante.
Lily, che per tutto quel tempo era rimasta in silenzio ad ascoltare quello strano scambio di battute, ghignò divertita: «Nuove conquiste?»
«Una specie» si limitò a dire.
Poi i suoi occhi ambrati caddero sul corpo snello e sinuoso di Lily, al che corrucciò la fronte. «Che fine hanno fatto i tuoi vestiti?»
Stranita dalla domanda, anche la ragazza abbassò lo sguardo ma non notò niente di particolare a parte le fasciature attorno alle gambe.
«Lascia perdere, Royal. È inutile» disse Killian. «Ormai ho perso il conto di tutte le volte che l’ho vista più nuda che vestita. E per la cronaca quei pantaloncini sono davvero troppo corti!» esclamò infine, rivolgendosi proprio a lei.
Allora Lily alzò gli occhi al cielo. «Che palle, Kill!»
«E non chiamarmi così...» bofonchiò, in tono lamentoso.
A quel punto a Royal non restò altro da fare se non scoppiare a ridere di gusto. Quei due fratelli erano uno spasso, specie quando litigavano!
Cercò comunque di smetterla – non voleva ricevere un pugno a tradimento dalla santarellina – e nel frattempo Lily si chiese per la millesima volta cosa non andasse nei suoi vestiti. Non era mica nuda!
Indossava degli shorts – ancora sporchi di sangue, avrebbe dovuto cambiarli al più presto – e una canottiera nera. Certo, era parecchio leggera – e aveva lasciato la sua felpa a Dogwood senza riprendersela –, ma non al punto da lasciar intravedere il reggiseno che portava al di sotto. Dovrebbe ringraziarmi anche solo per il fatto che non mi sia tolta i sandali, pensò contrariata.
«Dunque,» cominciò a dire Royal «pronti per questa nuova missione?»
«Trovo irritante che debba aspettare una settimana» fece lei.
«Io invece penso che un po’ di riposo non può che farti bene.»
Lily lo guardò in tralice, offesa a morte.
Quando fa così non lo sopporto proprio!
«Eddai, sembrate proprio dei bambini...»
Ma nessuno dei due parve dargli retta. E Royal poté soltanto tirare un lungo sospiro mentre Killian cercò di nascondere il suo sorrisetto mordendosi le labbra e voltando la testa dall’altra parte.
«E poi dite che sono io la stronza» mormorò.
«Lo sei» fece il fratello. «E anche molto. Ma io so esserlo più di te!»
A quel punto Royal dovette sollevarla di peso e portarla via prima che Lily potesse spaccargli la faccia.
 


 
Sono il vostro Umile Narratore ed è mia intenzione narrare ciò che accadde.
E penso sia saggio cominciare da qui: da un giorno qualsiasi. Un giorno non tanto importante, un giorno come un altro...
Sono il vostro Umile Narratore. Abbiate fiducia.
J.C.
 

 
§
 



Era solamente stanco, Killian.
Aveva attraversato mezzo regno in fretta e furia e aveva ancora mille altre cose da organizzare. E poi quella chiacchierata a palazzo gli aveva messo addosso uno strano senso di inquietudine.
Non importa, si disse. Devo assolutamente ricompormi.
Era tornato a casa subito dopo aver mangiato un boccone alla mensa della gilda, sotto lo sguardo divertito del Master e quello infastidito di Lily.
C’è poco da fare, è sempre la solita orgogliosa...
Killian si lasciò scappare un piccolo sbuffo mentre alzava gli occhi sulla sua figura riflessa nello specchio del piccolo bagno. A parte la faccia da funerale era quello sempre.
Alcune ciocche di capelli bruni gli ricadevano disordinati sulla fronte, altri gli solleticavano le orecchie e gli zigomi. Se sua sorella l’avesse visto in quello stato – abbattuto, appoggiato al lavandino e a fissare il suo riflesso immobile – lo avrebbe di sicuro preso a calci nel sedere.
Nel pensare a una simile eventualità, Killian sbuffò. Di nuovo. Ma poi sorrise.
Prima o poi quella testa di rapa mi farà ammattire...
Per un attimo ripensò a Royal e alla conversazione avuta non meno di una settimana prima. Era convinto che stesse sbagliando tutto con Lily.
Che prima o poi Killian si sarebbe fatto prendere dalla paura e avrebbe causato una frattura tra i due. Non ha poi tutti i torti, pensò contrariato.
Sua sorella era una persona orgogliosa, irritante e irritabile.
Aveva diciotto anni, sì, ma alle volte – molto più spesso di quanto sarebbe riuscita ad ammettere – si lasciava trascinare dai sentimenti, specie dalla rabbia. Come quella mattina.
Non esagero quando penso che da un momento all’altro potrebbe saltare al collo di qualcuno...
Poi, di colpo, sembrava calmarsi. Bastava una singola parola, una singola occhiata – di Killian e di nessun altro – per farle abbassare i toni.
Il ragazzo chiuse gli occhi castani, con l’intenzione di fare un breve pisolino. Giusto per recuperare le forze; dopodiché avrebbe cominciato a lavorare sulla missione.
Aveva già una mezza idea delle persone a cui chiedere.
Dopodiché si abbandonò tra le braccia di Morfeo.
 
 
 
Killian ebbe un sonno agitato.
Beh, dal mio punto di vista sarebbe stato strano il contrario. Era stato nel regno di Damocles soltanto una volta in tutta la sua vita e non in circostante piacevoli, purtroppo.
L’amaro ricordo di quel che successe all’epoca gli comportò questo.
Al suo risveglio preferì non pensarci, alzarsi e uscire all’aria aperta, per schiarirsi le idee. Il regno di Damocles non lo impauriva affatto.
Ciò di cui aveva bisogno era sapere con certezza che la Bestia dagli Occhi di Luna non li avrebbe seguiti, che Lily avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. E che il “Bellimbusto” se ne sarebbe stato zitto. Almeno per una volta.
J.C.

 

 
§
 
 
 
Non era tornata a casa soltanto perché se l’avesse fatto si sarebbe annoiata.
Allora Lily approfittò del tempo libero per salire le scale e recarsi nel suo posto preferito: la biblioteca principale.
Principale perché Alastor ne possedeva una tutta sua, nello scantinato, tanto piccola quanto incasinata – e buia.
La stanza preferita di Lily, invece, si trovava all’ultimo piano dell’edificio.
Aveva la forma di un cerchio e le pareti che non ospitavano finestre, erano stracolme di libri e antiche pergamene. Al centro vi erano due enormi tavoli rettangolari su cui era appoggiato di tutto: lenti d’ingrandimento magiche, penne, fogli, altri libri, cartine, alcuni cristalli che Ella aveva dimenticato, boccette d’inchiostro, righelli. Il caos.
Ma era un caos che a Lily piaceva perché stava a significare che i suoi compagni s’impegnavano davvero tanto in quello che facevano. Riconobbe il suo nome intagliato nel legno: uno stupido scherzo infantile che nessuno aveva cancellato. Quand’era piccola le piaceva stare lì e osservare gli altri leggere.
Leggeva anche lei, per carità! E forse anche troppo – c’era chi sosteneva che il suo piccolo cervello fosse esploso per le troppe ore perse a studiare le cose più disparate, per questo spesso e volentieri faceva la pazza.
Lily amava quella stanza circolare anche per via del grande lucernario.
Il cielo azzurro era perfettamente visibile da dentro la biblioteca.
E al lato opposto, sul pavimento ligneo, vi era disegnato il simbolo della gilda, lo stesso che era impresso su ogni porta e sulle due torri che affiancavano l’edificio principale. Lo stesso che decorava la sua nuca, pallida come tutto il resto del suo corpo: un libro aperto e un sole nascente.
Stava a rappresentare ciò che Ancient Aurora cercava: il sapere, la verità dietro i più grandi misteri di questo mondo. All’epoca della sua fondazione, la gilda si era prefissata l’obiettivo di squarciare la coltre di oscurità, bugie e ignoranza proprio come avrebbe fatto un sole nascente. Un’aurora... e Lily aveva sempre trovato poetico tutto ciò.
Poi sentì un odore familiare e sorrise. Appena comparsa sulla rampa di scale c’era Ella – completamente sporca di terra e fuliggine, con entrambe le mani occupate da un grosso sacco e un piccone grande quasi quanto lei.
Ella Fitzgerald non era minuta e magrolina.
Era poco più alta di Lily – che comunque sfiorava con orgoglio il metro e settantasei – ma aveva comunque sedici anni; due anni più giovane della sua amica corvina!
Quando finalmente la vide, Ella sgranò gli occhi nocciola e le sorrise. «Ehi, ciao!»
«Da’ qua!» esclamò Lily, strappandole dalle mani l’arma. «O uno di questi giorni ti ci infilzerai un piede!»
L’amica rise, sistemandosi meglio il sacco sulla spalla. «Non dire sciocchezze. So maneggiarlo come si deve, io
E nel dirlo Lily percepì una punta d’ironia. Si stava riferendo – ovviamente – a quando, per scherzo, la corvina aveva avuto la brillante idea di rigirarselo tra le mani come fosse una majorette... con l’unico risultato che le era sfuggito dalle mani e quasi aveva centrato la testa di Royal che, per un attimo, aveva visto tutto nero.
Si limitò quindi a un’alzata di spalle come se la cosa non le importasse.
Durante tutto lo scambio di battute, le due ragazze avevano continuato a camminare fino a raggiungere una porta in legno massiccio. Infatti, dalla biblioteca del terzo piano si potevano raggiungere solo due luoghi: lo studio di Ella – la loro destinazione – e la serra di Nimue.
Quando Lily aprì la porta, lasciò che l’amica entrasse per prima. Ella si trascinò lungo la modesta scala a chiocciola, visibilmente affaticata per lo sforzo; mentre Lily la seguiva a ruota e sbirciava di tanto in tanto fuori dalle finestre da cui entrava la luce.
«Sono distrutta!» esclamò Ella, mollando finalmente il grosso sacco ai piedi del suo tavolo da lavoro. «Posa il piccone in quell’angolo e non toccare niente!»
Lily fece come detto e rimase immobile. La osservò togliersi i guanti da lavoro marroni, trafficare con i suoi strumenti, svuotare lo zaino che aveva avuto sulle spalle tutto il tempo e mettere a posto i ferri che si era portata dietro. Poi, dopo un sospiro soddisfatto, si allungò verso l’alto facendo scricchiolare qualche osso della schiena e slegò i capelli rossi dallo chignon disastroso che si era costruita sulla testa prima di mettersi a lavorare.
«Hai trovato qualcosa di bello oggi?» le chiese la corvina.
Ella sorrise e si inginocchiò all’altezza del sacco che si era trascinata dietro. Cominciò a tirare fuori da lì un numero spropositato di pietre e cristalli, con lo stesso entusiasmo di una bambina a cui avevano appena regalato un sacco pieno di caramelle. «Niente di nuovo a parte... questo
Nel dirlo le mostrò un grosso pezzo di cristallo bianco.
«E sarebbe?»
«È una pietra di Luna ed è la prima volta che ne vedo una così bella!»
Solo lei può entusiasmarsi tanto per una pietruzza... pensò divertita.
«Cosa dovresti farci con questa?» le chiese, incuriosita.
Il sorriso di Ella divenne più ampio e luminoso. «Innanzitutto, devo scoprire se ha delle proprietà magiche. E a seconda del responso mi adeguerò!»
Lily annuì e mentre l’amica cominciava a blaterale tra sé e sé, si guardò attorno. Il laboratorio di Ella non era tanto grande ma neanche troppo piccolo; a lei bastava lo spazio che aveva e non se ne lamentava – nonostante il disordine regnasse sovrano.
La stanza – anche questa circolare – era occupata da a una serie di scaffali pieni zeppi di libri sulla mineralogia, pietre e tutto quello che le sarebbe potuto servire. Sotto le finestre vi era un enorme baule aperto contenente pietre, cristalli, minerali di ogni tipo e colore.
C’era un tale mix di odori che a Lily, per un attimo, girò la testa.
«Ti lascio alle tue cose, allora» mormorò la mora.
Ella annuì e la salutò frettolosamente, senza alzare lo sguardo dal suo nuovo oggetto di studio. E l’amica non poté che sorridere nuovamente mentre si allontanava dal laboratorio.
Scese le scale e tornò in biblioteca. Era ancora deserta.
Lily ne approfittò e fece per andarsi a scegliere un libro – uno dei pochi che non aveva ancora letto – ma un pensiero la fermò prima ancora di poterne afferrare uno. O meglio, un’idea.
Lasciò perdere la lettura e si diresse verso l’altra porta. Lì dove era stato appeso un piccolo cartello alla maniglia che recitava: “Niente scocciatori”. L’aprì e si ritrovò nuovamente a salire le scale, sfuggendo ai raggi troppo forti del sole ogni volta che incrociava una finestra.
Come aveva ipotizzato, Nimue era lì. La torre sinistra – specularmente a quella destra che occupava il laboratorio di mineralogia – era invece stata costituita principalmente da vetri e ospitava un numero spropositato di piante, la maggior parte di queste officinali.
Nimue ne era la responsabile. Lei sì che era piccola; bassa e magrolina. Due lunghe ciocche di capelli verdi e una frangetta corta incorniciavano un volto piccolo e roseo; mentre il resto era stato tagliato in un morbido caschetto asimmetrico.
Gli occhi – anch’essi verdi – scrutavano qualsiasi cosa incrociassero con placido distacco, sempre.
Nonostante sembrasse la più piccola delle tre, Nimue era la più grande. La più adulta. La più matura. Aveva ventitré anni e indossava un comodo vestito smerlato color crema a maniche lunghe con tanto di colletto e calze marroni; ai piedi delle semplici ballerine chiare.
«Oh, Lily» disse, sollevando lo sguardo smeraldino dalle achillee che stava innaffiando. «Come mai qui?»
«Sono annoiata. Killian è a casa, Ella sta lavorando, sono tutti impegnati tranne me e non so cosa fare!» spiegò lamentosa.
«Hai chiesto se Alastor ha-»
«Non me lo nominare, ti prego!» esclamò, interrompendola. «Meno lo vedo e meglio mi sento...»
Ma Nimue si limitò a sbattere le palpebre lentamente, vagamente confusa.
Per chiunque non la conoscesse, poteva sembrare una persona fredda, presuntuosa e annoiata dal mondo. Beh, non che non lo fosse – vagamente presuntuosa – ma aveva un lato di sé che spesso restava nascosto agli occhi degli altri.
Perché Nimue Solar era estremamente curiosa. Di tutto. E si mostrava particolarmente amichevole e loquace con le persone giuste.
«Ancora non ho capito perché lo detesti tanto. Non fa niente tutto il giorno se non starsene rinchiuso nel seminterrato» fece. «E a proposito, stamattina l’ho dovuto cacciare da lì. Quindi se lo dovessi vedere sulle scale o lì vicino, per favore, dagli un pugno da parte mia.»
Con estremo piacere, pensò divertita.
«Perché l’hai cacciato, comunque?»
«Stava diventando una salamandra cieca[2] e dovevo provvedere» disse seria. Smise di innaffiare le sue achillee e invitò Lily a sedersi con lei.
Come potessero essere tanto amiche nonostante l’evidente diversità di carattere rimaneva un mistero. La corvina era tanto esuberante quanto invadente; al contrario Nimue era una persona tranquilla.
A Lily piaceva stare in sua compagnia e le piaceva la serra. Spesso, quando era troppo stanca persino per tornare a casa, si sdraiava su quel piccolo divano azzurro e ci rimaneva per ore.
«Hai idea di cosa voglia fare Killian?» chiese, all’improvviso. «È passato qui solo per chiedermi se volessi unirmi alla squadra e per comunicarmi il motivo dell’indagine. Non mi ha detto altro.»
L’amica sospirò sommessamente. «Ha detto che me ne parlerà domani sera. Per ora vuole concentrarsi per avere le idee chiare. E ovviamente vuole farlo da solo, come al solito.»
Nimue ridacchiò – un evento non tanto raro, in verità.
«È proprio vero, allora. Il Master aveva ragione anche su questo, incredibile
«Su cosa?» chiese, cominciando a intuire dove volesse andare a parare.
L’altra non rispose subito. Alzò gli occhi verdi sulla figura pallida della corvina – davvero troppo pallida per un comune essere vivente – e prese a osservarla. La osservò con una tale intensità che Lily si chiese se si fosse inavvertitamente mangiata una delle sue stramaledette piante allucinogene.
«Hai paura che ti metta da parte.»
«Cosa?!»
«Hai paura che ti metta da parte» ripeté pazientemente.
 

 
 
Ne seguì una lunga ed estenuante conversazione al termine della quale Lily si sentì sfinita, neanche avesse abbattuto un orso a mani nude.
Si sentì sconfitta da quella consapevolezza ma, nonostante ciò, si impose di rigettare quell’assurda idea. Non aveva paura, si ripeté.
Non aveva paura che Killian l’allontanasse per andarsene (a morire) da solo.
Perché o entrambi o nessuno – fino e oltre quella meta.
J.C.


 
 
§

 
 
Quella stessa sera Killian scese le scale che portavano al seminterrato.
L’edificio era silenzioso, buio; se non fosse stato per le lanterne che si accendevano e spegnevano a un orario preciso, Killian si sarebbe frantumato la faccia inciampando sui suoi stessi piedi.
Non andò oltre il primo piano sotterraneo – non aveva bisogno di andare nell’archivio – ma si fermò davanti alla porta che dava alla biblioteca personale di Alastor.
E infatti lo trovò ricurvo su un vecchio tomo, seduto sulla sua poltrona di velluto e circondato da altri libri, polvere e ragnatele. Sulla scrivania aveva accesa una lampada che lo aiutava nella lettura, un quaderno per gli appunti e un bicchiere pieno d’acqua.
Qualcuno deve averglielo portato ma è così concentrato che si è dimenticato di berlo, pensò arricciando le labbra per non ridere. «Ehi, Al, buonasera!»
Alastor sollevò la testa per guardarlo come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. «Ti serve qualcosa?»
Killian rabbrividì. Alastor era una persona strana e inquietante – Lily non smetteva mai di ripeterglielo – e il fatto che fosse a conoscenza di cose che nessuno avrebbe mai dovuto sapere lo rendeva ancora più strano e pericoloso. L’uomo aveva una carnagione pallida quasi quanto quella di sua sorella e il motivo era chiaro: se ne stava sempre rintanato lì dentro.
A leggere. E infatti c’era chi sospettava che fosse ormai quasi cieco perché quando metteva fuori il naso da lì, andava a sbattere di continuo contro persone e oggetti – caratteristiche che lo faceva sembrare ancora più strano.
Alastor era questo. Strano. Inquietante. Pericoloso.
Anche se non tutti credevano che potesse fare del male a qualcuno – gracilino com’era.
Era sempre vestito uguale: stesso maglione viola, stessi pantaloni scuri e stesse scarpe, indossate come fossero ciabatte.
Killian si era seriamente chiesto se nel suo armadio ci fossero soltanto quei tipi di vestiti o se era lui a insistere sempre sullo stesso modello. Poi si era chiesto – altrettanto seriamente – se lui addirittura avesse un armadio con dentro dei vestiti. E se avesse una casa.
«Neanche il Master l’ha mai visto smontare» gli aveva detto qualcuno, una volta. «Forse una casa non ce l’ha e dorme nel seminterrato!»
Nel ripensarci Killian rabbrividì. Di nuovo.
«In effetti sì. Sai già della missione che ci è stata affidata dal re...»
L’uomo allampanato annuì distrattamente, tornando a guardare il suo libro.
Non disse niente ma il ragazzo continuò: «Mi servono delle informazioni.»
Alastor alzò nuovamente la testa. Gli occhi viola fissi in quelli di Killian sembravano star andando a fuoco tanta era la stanchezza.
Indossava anche un paio d’occhiali dalla montatura dorata che – purtroppo – non nascondevano abbastanza bene le occhiaie.
«Mh. Va bene. Vuoi sapere quali sono i maghi più promettenti del momento o vuoi verificare che i maghi che tu hai scelto sono effettivamente i più promettenti del momento?»
«Stiamo parlando delle stesse persone, no?»
Alastor non si scompose. «Già» disse soltanto – anzi, biascicò.
Dopotutto era stato proprio lui, Killian, a fargli quei nomi prima di tornare a casa quel pomeriggio, con la speranza che l’uomo potesse scoprire il più possibile.
«La ragazzina mi pare un ottimo elemento» continuò a dire il Bibliotecario. «Ma anche l’altra non è male. Poi?»
A quel punto Killian alzò gli occhi al cielo. Era incredibile come quei due viaggiassero sulla stessa lunghezza d’onda pur essendo tanto diversi. «Dici che dovrei chiederlo anche a lui
L’altro alzò svogliatamente le spalle.
«Se ti è congeniale...»
«Lo sai benissimo che non sono io il problema, qui» bisbigliò, quasi con la paura che Lily lo potesse sentire.
Alastor restò in silenzio per qualche secondo. Poi parlò: «Mh. E la persona che hai nominato la volta scorsa?»
«Chi?»
«Quella... Quella lì, dai. Non ricordo il nome» sbuffò.
Il ragazzo si trattenne dallo scoppiare a ridere solo perché aveva fame e non vedeva l’ora di tornarsene a casa e mettere qualcosa sotto i denti. E provocare troppo il Bibliotecario non faceva parte dei suoi piani per la serata. «Tu che non ricordi qualcosa? Ora ho visto davvero di tutto.»
Alastor ignorò bellamente la presa in giro. Ma si affrettò lo stesso a spiegare come stavano le cose: «Stamattina Nimue ha sfrattato. Dice che prima o poi diventerò una talpa o un drago... qualcosa del genere.»
Killian sorrise. «Immagino che lo shock sia stato tremendo.»
Alastor non si scompose nemmeno quella volta. «Già...»
 


 
La conversazione non terminò lì, ovviamente.
E io, come Vostro Umile Narratore, spero che questa allegra gita tra le mura dell’Aurora vi abbia intrattenuto a dovere nonostante la scarsità di avvenimenti.
Dopotutto si è trattato di una banale giornata in attesa del grande caos; ore passate in compagnia di amici e fidati compagni.
È stato solo... 
un giorno come un altro... no?
J.C.


 
§
 

 
Due giorni dopo. Crocus.
 
 
La ragazzina in questione – quella di cui avevano parlato i due nello scantinato e che sembrava essere un ottimo elemento – non aveva neanche messo piede in quella bettola che di riflesso girò il viso ovale verso il suo proprietario: un omaccione grosso dalla barba incolta e un ridicolo grembiule perennemente allacciato attorno ai fianchi.
Lo fissò in silenzio e totalmente inespressiva. Lui, al contrario, ridacchiò senza alcun motivo apparente – o più semplicemente non seppe come rispondere a uno sguardo tanto concentrato e per questo ridacchiò d’imbarazzo. «Ehm, è arrivata una lettera per lei.»
Si voltò appena e aprì un piccolo cassetto della scrivania posta all’ingresso del B&B e dopo averci rovistato dentro per una trentina di secondi le porse finalmente la busta. Era bianca e non vi era alcun francobollo.
«L’hanno consegnata stamattina preso» spiegò. Poi, vedendo che la ragazza non diceva niente si affrettò a chiamare sua nipote. «Ehm, Odette? La donna che ha consegnato la lettera... ricordi il suo nome? Forse la signorina vorrebbe saper-»
Ma la ragazza dagli occhi viola lo interruppe bruscamente: «Non ce n’è bisogno.»
L’uomo sobbalzò – letteralmente. Perché non si aspettava una risposta tanto decisa e ineccepibile. Per di più, non si aspettava che una simile risposta potesse darla una ragazzetta della sua età.
Ma quel che il proprietario del B&B non sapeva era che, nonostante avesse per l’appunto soltanto sedici anni, quella ragazzetta ne aveva già passate di cotte e di crude. Per rendersene conto bastava avere un certo occhio per i dettagli: lo sguardo tagliente, i muscoli accentuati del corpo, la postura rigida ma al tempo stesso sicura e sciolta nei movimenti... quella ragazzetta non faceva altro che lottare. Lottare contro tutto e tutti, persino contro se stessa.
Perciò all’uomo non restò nient’altro da fare se non annuire.
Poi, senza aggiungere nient’altro, la ragazza salì le scale e raggiunse lentamente la sua stanza. Non appena si chiuse la porta alle spalle le scappò un sospiro. Che gran mal di testa...
Non era stata una buona idea fermarsi nella capitale: c’erano troppe persone e troppi rumori. E lei odiava i posti chiassosi.
Senza indugiare oltre andò a sedersi sul letto e aprì la busta che conteneva la lettera.
Ciò che lesse la spiazzò. In un attimo il suo pensiero calamitò su di lui, sul suo obiettivo.
Questo sì che è un colpo di fortuna, pensò.
Ma poi, di colpo, si rabbuiò. Perché chiunque le avesse scritto quella lettera conosceva lei e le sue abilità, altrimenti perché si sarebbe preoccupato di sparire così rapidamente da quel posto? Dal suo raggio d’azione?
Perché altrimenti avrei capito le sue intenzioni, mi pare ovvio.
Allora la ragazza si concentrò nuovamente – così come aveva fatto al piano inferiore, poco dopo aver appreso della lettera – ma ancora una volta non trovò niente di utile.
Il proprietario aveva parlato di una donna e chiaramente sua nipote Odette – di soli tredici anni – non ricordava altro se non un rossetto marcato e dei folti capelli biondi. No, non ci siamo. La ragazza spostò lo sguardo verso la finestra, laddove aveva sistemato la statuina che aveva intagliato le sera precedente.
Non conosceva affatto questo Killian – probabilmente non conosceva neanche la persona che le aveva fatto recapitare la lettera – ma anche se non era stato sufficientemente esplicito, nelle sue parole aleggiava un qualcosa di non detto. Sembrava sapere esattamente chi lei fosse.
E nonostante questo, la ragazza prese la sua decisione.
Decise che , sarebbe andata a incontrare questa persona e avrebbe discusso con lui riguardo la missione esplorativa richiesta dal re.
Fece una smorfia. Come se me ne importasse qualcosa...
 
 
 








 
 

 

[1] L’achillea è una pianta medicinale che, a quanto pare, possiede proprietà cicatrizzanti, emostatiche ed è utile anche in caso di spasmi muscolari.

[2] La salamandra cieca (del Texas) è un animale che non possiede pigmenti nella pelle né occhi, non esce mai “all’aperto” e resta nel buio totale. È un po’ bruttino O_o
 



 
 
 
Neanch’io pensavo di riuscire ad aggiornare così presto. *___________________* Ta-dan!

Questa volta mi sono presa del tempo per presentarvi i personaggi secondari – perché sì, so che sembra strano, ma non faranno parte del cast “principale”, nel senso che (a esclusione di Nimue) nessuno di loro andrà a Damocles.
Beh, tranne la ragazzetta a fine capitolo. Un OC di striscia_04 che ringrazio ancora di cuore ^_____________^ So che avrei potuto lavorarci di più ma ho preferito fermarmi per potermici soffermare nei prossimi capitoli (tra l’altro non volevo neanche svelare tutto e subito, quindi...) e presentarla come si deve assieme agli altri personaggi.
A questo punto mi preme chiederti: come ti è sembrata?! Mi rendo conto che è ancora troppo presto per averne un’idea, visto che il momento è stato breve... ma se c’è qualcosa che non ti è piaciuto dimmelo subito.

Poi... cosa ve ne pare di Royal, Ella, Nimue e Alastor?
Vi avverto: non preoccupatevi se vedrete dei litigi. Lily è pur sempre un’adolescente e si sa che gli adolescenti sono sempre un po’ ribelli!

Altro cosa: attenti ai dettagli! >______________________<
Alcune cose nominate in questo capitolo ritorneranno!

Vi lascio con una piccola curiosità sui personaggi:

Curiosità n.1 ► In origine, Lily doveva chiamarsi Hel (come la regina degli Inferi nella mitologia nordica); mentre il nome di Killian doveva essere Ray (e richiamare il potere che all’epoca gli avevo dato, cioè il fulmine). Che dite? Meglio la prima o la seconda scelta?

E per finire, i prestavolto:

LILY ►
 https://i.pinimg.com/originals/e3/75/7e/e3757e90729159177ab131521830b7b0.jpg

KILLIAN ► http://i.pinimg.com/474x/fc/a5/8a/fca58a5f0d01b14700fa7af6b965300d.jpg

ROYAL ► http://pm1.narvii.com/6383/73b954dc93a1893c7595e61b16e4d8bb81f6cf98_hq.jpg

ELLA ► http://stat.ameba.jp/user_images/20120416/15/gameotasite/07/05/g/o0400062511919345580.gif

NIMUE ► http://static.zerochan.net/Nanamine.Sakura.full.2878631.jpg


ALASTOR ► http://www.ixpap.com/images/2021/01/tbhk-wallpaper-ixpap-11.jpg
 
(ovviamente sono indicativi: nel senso che l'aspetto è quello, il vestiario potrebe cambiare – esempio: Killian non ha tutte quelle bende addosso e Lily, almeno per il momento, non indossa quel vestito ^^)

E per finire, ecco il simbolo dell'Aurora:
► http://www.deviantart.com/lailadahl/art/Marchio-ANCIENT-AURORA-903341824?ga_submit_new=10%3A1641761284
Questo è quello di Lily (blu).
 
Se avrò tempo potrei pensare di fare uno schizzo dei vostri OC. Ma non vi prometto niente...
Alla prossima! ^^

 
Rosy


 

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Capitolo 3
*** ► 02. La Fata e la Bestia ***



CAPITOLO 02. La Fata e la Bestia

 
 
 

Davanti a sé la strada era deserta.
Aveva trovato un passaggio su di un carretto guidato da un mesto contadino che le aveva fatto guadagnare parecchie ore di viaggio. In mezza giornata avrebbe raggiunto Magnolia e finalmente avrebbe potuto conoscere lo sconosciuto che sembrava sapere parecchie cose su di lei.
Diana camminava a testa alta per quella stradina di campagna. Indossava un kimono scuro non troppo lungo e poco decorato, abbastanza largo da permetterle qualsiasi movimento e che al tempo stesso sottolineava la magrezza di quel corpo non troppo alto. Non le interessava granché che gli sconosciuti potessero scambiarla per un samurai – come non le interessava perdere tempo a causa dei suoi lunghi capelli viola che, per evitare la intralciassero, legava sempre in una coda bassa.
Dopotutto era sempre stata una persona pratica. E proprio mentre ripensava a ciò che avrebbe fatto se le parole di Killian – riguardo a un’eventuale spedizione nel regno di Damocles – fossero state vere, le udì.
Arrestò il passo e aguzzò le orecchie leggermente a punta.
Erano voci agonizzanti. Erano sussurri. Decise di avvicinarsi per dare un’occhiata; impiegò almeno due minuti prima di riuscire a scorgere delle persone.
Li riconobbe quasi subito: soldati. Si avvicinò a loro e man mano la situazione le parve sempre più chiara.
«Sto per vomitare» disse il più giovane. «Tutto ciò è raccapricciante.»
«Chi può aver avuto il coraggio di ridurli... così
«Vi prego, aiutatemi...»
«Non abbiamo alta scelta, dobbiamo spostarli da qui» borbottò un altro.
«...non voglio morire, vi prego... aiutatemi...»
«E come facciamo? Ci vorrà una vita per ripulire tutto quel sangue!»
«Siamo soldati, cazzo. Non è compito nostro-»
Fu a quel punto che Diana irruppe: «Forse dovreste accertarvi che siano tutti morti, vi pare?»
I cinque uomini si bloccarono e lentamente girarono il capo verso di lei. Ciò che videro fu un paio d’occhi viola che li fissavano severi.
Dopodiché si resero conto di quanto esile e giovane fosse la nuova arrivata. «Ragazzina, vedi di girare alla larga da qui. Non è uno spettacolo adatto a qualcuno della tua età!» esclamò il più opulento, sovrapponendosi tra lei e la montagna di cadaveri posta sul ciglio della strada.
Diana cercò di ignorare quel commento tanto stupido solo perché ne andava dei suoi interessi: prima avrebbe fatto capire loro che c’era qualcosa che non andava e prima se li sarebbe lasciati alle spalle. «Uno di loro è ancora vivo anche se per poco. L’ho sentito
«Ma cosa stai dicendo?»
La ragazza li squadrò uno per uno con aria di superiorità.
Odio quando non mi danno retta..., pensò contrariata.
In quell’istante, il capitano dei soldati lì presenti lanciò un’occhiata prima al cumulo di corpi senza vita e poi alla sconosciuta. Così si decise. «Flynn, aiutami!» esclamò. «E anche voi: dobbiamo trovarlo!»
Dopo i primi tentennamenti, i suoi sottoposti fecero com’era stato loro ordinato mentre Diana annuì impercettibilmente senza essere notata e riprese il suo viaggio in direzione di Magnolia – completamente in silenzio, senza dire una parola.
«Signor Falkor, perché è così sicuro che ci sia qualcuno ancora vivo?» chiese allora Bastian, colui che si era unito all’esercito del re soltanto due mesi prima. «Dopotutto, è stata la Bestia, no? Un mostro del genere non lascerebbe mai dei sopravvissuti!»
Il più anziano emise un sibilo di frustrazione appena udibile. Spostò il corpo lacerato e sanguinolento di un uomo sul carro e lo coprì con un telo che immediatamente si colorò di rosso.
Poi spostò gli occhi stanchi sul giovane sottoposto. «Hai ragione. La Bestia non lascia mai sopravvissuti... sarebbe la prima volta.»
«E allora perché crede alle parole di una ragazzina?»
«Perché è probabile che lei sia legata ai Fonì. L’ho subito pensato ascoltando le sue parole e dal tono che ha usato non sembrava stesse scherzando» spiegò pacatamente. «Ma adesso basta, aiutami o non faremo in tem-»
«Capitano!» gridò qualcuno. «Capitano! Venga qui! Il battito è debole, debolissimo ma c’è! Possiamo ancora salvarlo!»
William Falkor si affrettò a raggiungerli ma una volta viste le condizioni dello sventurato si sentì mancare. L’uomo in questione aveva perso molto sangue dai tagli sull’addome e a causa della gamba che era stata strappata via; in più sembrava aver perso un occhio e parte della faccia era completamente carbonizzata.
Deglutì e con un grido strozzato ordinò a due dei suoi uomini di portarlo all’ospedale più vicino, nella città di Dahlia.
«Chissà se faranno in tempo...» disse Bastian, visibilmente scosso.
Allora, il suo superiore digrignò i denti e strinse i pugni. «Quel mostro uccide senza alcuna pietà e noi non abbiamo idea di dove si nasconda!»
Era arrabbiato, frustrato e deluso da se stesso. Un soldato con la sua esperienza avrebbe dovuto sapere cosa fare per riuscire a scovarlo, lui che era conosciuto da tutti come il Paladino.
Che razza di uomo sono diventato? Troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchio per riuscire a catturare una Bestia che sta decimando la popolazione che dovrei proteggere!
«Capitano! Le impronte- continuano per mezzo chilometro- ma poi scompaiono nel nulla» disse Roger, l’uomo che aveva mandato in perlustrazione mezz’ora prima e che al momento li aveva appena raggiunti ansimante per la corsa. Si piegò un attimo sulle ginocchia per riprendere fiato per poi mostrare un’espressione sconcertata. «P-Però ho trovato qualcosa!»
William Falkor si ritrovò a sgranare gli occhi.


 
§


 
La corvina sbuffò, volgendo gli occhi prima sul direttore di scena – un uomo alto e allampanato dai lunghi capelli grigi legati in uno chignon disfatto – che gesticolava in direzione degli attori travestiti da mobili e soprammobili, poi sulla donna in piedi al centro del palco che leggeva – no, studiava – il copione diligentemente, figurandosi le scene nella mente.
Lily era sempre stata un’appassionata di teatro. Ma a suo dire, vedere gli attori provare e riprovare centinaia di volte la stessa scena, aveva tolto tutta la magia. E in quel momento avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì.
«Sono bravi, eh?» fece suo fratello.
Lily assottigliò ancora di più gli occhi. «Ma se stai dormendo...!»
L’altro rise e poi sospirò. Perfetto, si è addormentato di nuovo..., pensò lei.
Erano entrambi seduti in platea. Entrambi avevano incrociate le caviglie alla poltrona davanti a loro ma mentre Killian aveva abbandonato svogliatamente la testa contro la mano e aveva chiuso gli occhi; la corvina era scivolata più giù, tanto che Nimue, seduta compostamente dietro di loro, ne vedeva soltanto le gambe.
«L’attrice che interpreta la fata è molto bella» disse quest’ultima, a un certo punto. «Non mi stupisce che qualche pervertito l’abbia presa di mira.»
«Già» fece Lily. «Hai visto che curve? Non ho mai visto una donna tanto formosa in vita mia, nemmeno io ho quelle tette!»
E per sottolineare il concetto se le indicò con nonchalance. Nimue si limitò a sbattere le palpebre; come al solito sembrava non essere affatto colpita dalle stranezze della sua amica.
«Piuttosto, notato niente di strano?»
Lily sospirò e scosse la testa. «Tutto okay per il momento. La svampita ci ha solo detto di aver ricevuto delle lettere d’amore sospette e Royal ha preteso che la sorvegliassimo! Non poteva sorbirsi lui queste stramaledette prove?!»
«In verità, il Master mi è sembrato alquanto abbattuto all’idea di non poter partecipare a questo lavoro...» spiegò l’altra.
Al che, la corvina ridacchiò profondamente divertita. «Mi pare ovvio, Ninì. Figurati se a un dongiovanni pervertito come lui non sarebbe piaciuto fare la parte dell’eroe in una situazione del genere!»
Già se lo immaginava a sbavare senza contegno davanti a lei, a farle avances altamente discutibili e a fissarle senza alcun ritegno quell’enorme davanzale. «Se non è potuto venire, allora dev’essere successo qualcosa di serio» ragionò poi.
«Una riunione della massima urgenza» mormorò Killian, all’improvviso. Sembrava stesse dormendo e invece aveva seguito – più o meno attentamente – tutto il discorso delle due. E subito dopo ghignò malefico. «Dopo aver mandato me a Crocus al suo posto questo è quello che si merita... Ah, quando si dice il karma!»
Avrebbero continuato a prendere in giro il loro Master a vita ma una voce melliflua li interruppe sul più bello: «Spero vivamente che non vi siate annoiati troppo!»
Si trattava di una ragazza, una giovane donna sui venticinque anni. Clizia Bardot; era questo il suo nome.
Lunghi capelli color miele, ondulati e un grosso frangione pettinato a mo’ di ciuffo circondavano un viso dolce, elegante e maturo. Chiunque sarebbe rimasto folgorato dalla sua bellezza, una bellezza diversa da qualunque altra.
Lily fece per rispondere ma Killian le assestò una gomitata e sorrise in direzione della loro cliente. «Non si preoccupi, va tutto alla grande!»
«È stata eccezionale» prese a elogiarla Nimue. «Anche se sono soltanto delle semplici prove, il suo impegno e la sua dedizione è ammirevole.»
Clizia ridacchiò contenta.
L’abito che indossava metteva in risalto il suo incantevole corpo e l'azzurro del nastro tra i capelli. Gli occhi bronzei brillarono di entusiasmo. «Dopotutto è il mio lavoro. Sono felice che il mio amore per la recitazione si sia fatto sentire!»
A quel punto la corvina roteò gli occhi. «Hai finito per oggi?»
«Beh, per il momento sì. Siamo in pausa pranzo. Riprenderemo oggi pomeriggio verso le cinque. C’è da sistemare la scenografia per allora.»
Lily si alzò velocemente, si stiracchiò verso l’alto per poi lanciare un’occhiata significativa ai suoi due compagni di gilda. «Quindi? Andiamo a mangiare o no?» Subito dopo si rivolse alla biondina. «Pagherai tu il pranzo, giusto?»
«Mi sembra il minimo dopo tutto quello che state facendo per me!»
Mentre si rimetteva in piedi, Killian si appuntò mentalmente di insegnare a sua sorella un po’ di educazione una volta tornati a casa; mentre Nimue si limitò a osservare l’attrice in silenzio.
Lei non era mai stata avvezza al mondo dello spettacolo e non conosceva nessuno che ne facesse parte ma aveva spesso sentito parlare di Clizia. Era conosciuta per essere un’attrice straordinaria, bellissima e piena di corteggiatori; il che non le parve poi molto strano.
A differenza sua, la bionda poteva vantare labbra carnose e rosee, un punto vita stretto e morbido che controbilanciava i fianchi e il seno particolarmente generosi e un paio di gambe lunghe, lasciate in bella mostra dallo svolazzante abitino che indossava.
«Ha ricevuto altre lettere da parte di questo “corteggiatore”?» domandò allora Killian, avviandosi verso l’uscita del teatro.
La bionda scosse la testa. «No, nessun’altra lettera. Anche se...» fece per dire ma poi arricciò le labbra, indecisa. «Beh, stamattina ho avuto la sensazione che qualcuno mi seguisse. Ma forse è solo la mia immaginazione.»
«Meglio non rischiare, Signorina Clizia.» disse Nimue. «È sempre una cosa positiva fidarsi delle proprie sensazioni, specie in questi casi.»
«Grazie mille!» esclamò radiosa. «Ma per favore basta con questi formalismi. Datemi pure del tu!»
Lily sospirò ma non disse niente. Per la verità, non sembrò neanche sentirla perché troppo impegnata a dare un rapido sguardo intorno a sé, cercando di catturare quanti più dettagli possibili. La città di Hargeon era, come al solito, traboccante di vita.
L’odore di pesce fresco e salsedine le arrivava fin dentro il cervello tant’era intenso, ma a lei sembrava non dispiacere affatto. Lily amava il mare, dopotutto, e l’avrebbe sempre amato... specie di notte.
«Conosco un ristorante che fa ottime zuppe di pesce! L’ho scoperto giusto due giorni fa!» esclamò Clizia, a un certo punto.
Bastò questa frase e Killian si illuminò. «Mi sembra un’ottima idea!»
«Sì, basta che ci muoviamo. Sto morendo di fame!»
Nimue guardò l’amica, impassibile. Ma quando si rivolse a lei lo fece con un tono tutt’altro che atono: sembrava volesse prenderla in giro. «Sei un po’ troppo scontrosa oggi. È successo qualcosa?»
«No, niente...» si affrettò a rispondere.
Killian le parlò sopra: «Io non c’entro, eh!»
Lily ringhiò ma nessuno parve sentirla.
«Certo che il vostro è un gran bel legame» disse Clizia, rivolgendosi ai due fratelli che le lanciarono un’occhiata stranita. «È bello che siate così uniti. Che cosa bella la famiglia! Ah, la mia mi manca così tanto! Finito il lavoro, andrò sicuramente a trovarli!»
«I tuoi genitori devono essere molto fieri di te. Sei famosissima» fece Nimue. Al che indicò le persone che intanto si erano radunate e che non smettevano di guardarli – o meglio, di guardare lei – e sorrise appena, come suo solito. «Vedi? Ti hanno subito riconosciuta e scommetto che molti di loro vorrebbero chiederti un autografo e stringerti la mano.»
In un primo momento Clizia arricciò il naso per ciò che la maga aveva ipotizzato ma poi, incrociando gli occhi colmi di emozioni di quelli che sembravano essere suoi fans, le si sciolse il cuore.
Sorrise teneramente e si avvicinò a un gruppetto di ragazzine. Non fece in tempo a salutarle che queste cominciarono a lodarla per poi chiederle un autografo. Seguendo il loro esempio, molte altre persone le si avvicinarono senza però risultare eccessivamente moleste e di questo i membri dell’Aurora ringraziarono.
«Vi ringrazio infintamente per le vostre parole, siete dolcissimi!»
«Stai andando a pranzare? Se vuoi posso farti un po’ di compagnia...» le chiese un uomo, a un certo punto. Lily aguzzò le orecchie e cominciò a fissare il tipo con una certa insistenza, gli si avvicinò da dietro ma una volta capito quanto fosse innocuo per via del suo odore, si limitò ad alzare gli occhi al cielo mentre suo fratello se la rideva.
Un ammiratore inutile, pensò la corvina. Che palle!
«Mi spiace tanto, Oliver, ma ho già la compagnia che mi serve» rispose a tono lei, con un’ironia che sorprese i suoi accompagnatori.
L’uomo in questione si portò una mano al cuore, come se fosse stato ferito dalle sue parole ma era chiaro a tutti che stava solo recitando bonariamente. «Che crudele! Ma almeno ti sei ricordata il mio nome...»
Clizia rise. «Dopo tutti i cioccolatini che mi hai mandato, credo sia difficile dimenticarti» disse, tacendo il fatto che quei cioccolatini siano finiti nello stomaco di qualcun altro e non nel suo – ci teneva alla linea, dopotutto.
Intanto Lily era tornata al fianco dell’amica e guardava la biondina come a volerla incenerire.
«Sto cominciando a innervosirmi» sussurrò.
L’unica ad averla sentita in quel marasma di persone fu, ovviamente, Nimue. «Tu sei gelosa» disse. «Non tanto del suo corpo o del fatto che abbia uno stuolo di ammiratori quanto più... temi che tra di loro possa esserci anche lui» e indicò Killian, rimasto al fianco dell’attrice.
«Ancora?» si lamentò. «Non ti sei stancata di dire stupidaggini?»
«Tuo fratello ha uno strano gusto in fatto di donne, non puoi negarlo.»
«E questo cosa centra?» le chiese, sinceramente confusa.
Nimue scrollò le spalle ma non continuò la conversazione e Lily non se la sentì di riprenderla. Sia mai che trovi qualcos’altro per cui prendermi in giro o per rimproverarmi, pensò avvilita. Comunque, su una cosa ha ragione: non ho ancora capito se a Killian piacciono donne del genere oppure no!
Troppo presa dalle sue elucubrazioni – inutili, a detta di Qualcuno – non si accorse che i fan dell’attrice avevano finalmente smesso di starle addosso e pian piano poterono continuare la passeggiata, diretti al ristorante.
Una volta arrivati, Lily non riuscì a credere ai suoi occhi.
Pensavo ci portasse in un ristorantino chic e invece questa sembra una tavola calda, pensò. Okay, un punto alla svampita.

 

 
§



Parlarono del più e del meno.
A un certo punto Killian sparì, lasciando le tre ragazze sole a chiacchierare e proprio in quel momento Nimue provò a chiedere di cosa parlasse lo spettacolo che a breve avrebbero messo in scena.
«Questa mattina avete provato ininterrottamente alcuni atti centrali ma non ci ho capito molto» disse, serenamente.
Clizia arricciò le labbra, indecisa se parlarne o meno. «Beh, è un’opera nuova e non potrei dirvelo ma...» fece per dire; una singola occhiata scambiata con Nimue, però, fu sufficiente a convincerla. «Okay, non entrerò nei dettagli. Si intitola “La Fata e la Bestia” e racconta del giovane amore di una fata che, per salvare la sua famiglia, accetta di vivere prigioniera di una terribile bestia maledetta da un incantesimo assieme a tutto il suo castello.»
Nimue annuì, capendo perfettamente a quale genere accostare la storia.
Ma – esattamente come l’amica si aspettava – cominciò ininterrottamente a fare domande su domande, fino ad arrivare a quello che più le premeva sapere: «C’è la possibilità che la Bestia la ricambi?»
«Scusami ma questo non posso proprio dirtelo...!»
Ma Nimue non mollò l’osso, cominciando a fissarla con una certa insistenza e anche in maniera inquietante: «Ti prego, sono molto curiosa.»
L’attrice fece per risponderle ma Lily interruppe quella stupida – secondo lei – conversazione sbattendo malamente il bicchiere ormai vuoto sul tavolo in legno. «Possiamo parlare di altro, per favore
«Del tipo?» chiese allora Nimue, con calma.
Ma non fece in tempo a risponderle che allo stesso tempo e con un lampo di divertimento negli occhi, Clizia le domandò: «Non ti piacciono le storie d’amore, Lily?»
L’altra sbuffò. «Le trovo noiose. E ridondanti.»
«Hai ragione, alcune lo sono...» disse, per poi continuare: «Di’ un po’... ce l’hai il fidanzato?»
«No» ribatté, quasi come se si fosse offesa.
«E non ti piacerebbe vivere una storia d’amore tutta tua? Diversa da qualsiasi altra, diversa da tutte le favole e i racconti a cui siamo abituati... conoscere qualcuno con cui puoi scoprire il mondo e te stessa?»
A quel punto Lily sospirò pesantemente, poi assottigliò gli occhi e digrignò i denti – irritata da morire. «Non credere che non abbia avuto le mie esperienze solo perché sono più giovane di te...»
«Non sto dicendo questo!» esclamò divertita. «È bello essere innamorati. Sembrerà una frase fatta ma non c’è magia più bella dell’amore!»
E mentre lo disse un sorriso smagliante le illuminò il volto, riuscendo a scalfire quella corazza che Lily si ostinava a indossare e dietro cui nascondeva le sue insicurezze. Si ritrovò a mordicchiarsi le guance e a guardare fuori dalla finestra la fiumana di persone che si affrettavano a raggiungere le loro mete, incuranti che fosse o meno l’ora di pranzo.
«E poi il sesso è così bello!» esclamò all’improvviso, facendola quasi strozzare con la sua stessa saliva.
«Ma che ca-»
«Eccomi qua!» esclamò Killian, sbucando alle spalle della sorellina. «Lily, stai dando fastidio alla nostra cliente?»
La corvina gli rifilò una gomitata ma non rispose. Tanto sarebbe fiato sprecato, pensò.
Una volta risedutosi al suo posto e dopo essersi massaggiato il fianco dolente, domandò ancora: «Di cosa avete parlato? Posso saperlo o sono cose da signorine
«Killian, certe volte sai essere più sfacciato di Lily» sentenziò Nimue, avendo come risposta un sorriso birichino.
Anche Clizia sorrise, accavallando le gambe e poggiando i gomiti sul tavolo – in questo modo assunse, senza volerlo veramente, una posa ancor più accattivante e subito gli sguardi dei clienti si fissarono sullo spacco del vestito e sulla linea del seno.
Al che Lily scosse la testa. Quanto possono essere porci gli uomini?
Solo allora la bionda parlò, in risposta alla domanda di Killian: «Non era niente di che, te l’assicuro.» Poi con la coda dell’occhio guardò in direzione della ragazza, non riuscendo a trattenere un certo sorrisetto.
«Va bene, mi sono rotta. Usciamo? Tanto abbiamo finito di pranzare, no?»
Killian sorrise. «Sei sempre la solita. Non riesci mai a startene buona e in silenzio per più di cinque minuti!»
Intanto, tra una battuta e l’altra, uscirono dal ristorante e si diressero prima verso il porto per una passeggiata, poi in teatro – permettendo a Clizia di continuare le prove assieme agli altri – e infine in direzione dell’hotel.
L’attrice alloggiava lì da meno di tre giorni e non aveva mai avuto problemi fino a quella fatidica notte. Aveva raccontato di aver ricevuto una strana lettera senza mittente e di essersi sentita osservata per due giorni consecutivi, come se qualcuno avesse voluto tenerla sott’occhio. E la ragione le parve disgustosamente lampante dopo aver letto la lettera.
Erano state scritte le peggiori oscenità – roba che persino Nimue sembrò avere una qualche reazione; lei che normalmente non si lasciava scalfire da niente e da nessuno.
Poi arrivò una seconda lettera. E subito dopo le si presentarono davanti tre membri dell’Ancient Aurora, pronti ad aiutarla.
«Qual è il piano?» chiese Nimue. «Non c’è stata alcuna anomalia oggi. Sembra che il maniaco si sia volatilizzato...»
I quattro raggiunsero la stanza occupata da Clizia – un ambiente ampio, dalle pareti color crema e pesanti tende rosso carminio – e per un attimo restarono in assoluto silenzio. Poi Killian parlò: «Io un’idea ce l’avrei.»
«No» proruppe la sorella.
Lui la guardò confuso. «Eh? Perché?»
«I tuoi piani fanno schifo» spiegò. «Fanno sempre schifo, Kill.»
«Fanno schifo perché tu non li segui mai!»
«Non li seguo perché fanno schifo!»
Nimue sospirò ma non osò interromperli. Sentirli litigare in continuazione può essere irritante ma è anche vero che non ci si annoia mai; potrei rimanere qui per ore!
Dopo interminabili minuti di battibecchi, Clizia se ne uscì con una proposta: «E se facessi da esca?» Questo bastò a zittire i due fratelli. «Nella seconda lettera quest’uomo ha espresso le sue chiare intenzioni e sicuramente si farà vivo questa notte. Se mi facessi trovare sola e indifesa potrebbe decidere di farsi avanti e a quel punto voi lo catturereste.»
Killian fece una smorfia e portò le dita tra i capelli, esitante. «Beh, avrei voluto evitare che venissi messa in pericolo.»
«Secondo me è un piano perfetto!» esclamò ovviamente Lily.
«Non sarà piacevole, Clizia. Sei sicura?» le chiese, invece, Nimue.
La bionda annuì.
Chi sono io per oppormi alla decisione di queste due?
«Però si fa come dico io.»


 
§


 
Lily sbadigliò.
Poggiò svogliatamente la testa contro il vetro della finestra e poi guardò suo fratello. «Questo piano è stupido» disse, senza alcuna pietà.
Lui sospirò. «Beh, fattelo andare bene.»
Erano riusciti a occupare la stanza accanto a quella di Clizia. Ma mentre Nimue se ne stava tranquillamente seduta sulla poltrona a sfogliare un libro che aveva trovato in camera – uno di quelli che il personale lasciava appositamente per gli ospiti ma che in realtà nessuno leggeva mai –, i due fratelli parlottavano tra loro di questioni stupide solo per passare il tempo.
«Almeno tu ti stai divertendo, Nimue?»
La presa in causa alzò gli occhi. «Non molto, in realtà. Questo libro sugli insetti non è particolarmente interessante» disse, annoiata. Poi tornò a leggere quel libro orribile, come se non avesse parlato.
A quel punto Lily sbadigliò, di nuovo.
Killian – sdraiato sul letto e con le mani incrociate dietro la testa – le lanciò un’occhiata. In effetti, ha saltato il suo pisolino pomeridiano e la notte scorsa l’ha trascorsa sui libri, ci credo che è stanca, pensò divertito.
La vide aprire la finestra quel poco che bastava per odorare l’aria salmastra di Hargeon e per ascoltare i rumori sommessi di una città in procinto di addormentarsi. I lunghi capelli neri oscillavano con la brezza leggera e gli occhi grigi erano completamente immersi nel paesaggio lì fuori.
Così come i suoi pensieri. O – forse – era soltanto impegnata in una conversazione sconclusionata, non ne aveva idea.
A un certo punto, però, la vide irrigidirsi. E Killian era pronto a saltare giù da quel morbido letto e a gettarsi nella mischia.
«Ce n’è un’altra» sussurrò lei. Spalancò la finestra e si sporse all’indietro dal davanzale su cui era seduta. Allora anche Killian udì alcune grida. «L’odore è flebile ma c’è. Vado io!»
Killian fece per fermarla ma il rumore di tonfo sordo lo interruppe. Proveniva dalla stanza accanto.
Sospirò, leggermente incazzato dal fatto che si sarebbe dovuto separare da sua sorella a causa di un pervertito. «E va bene. Nimue, tu vieni?»
«No. Rimango qui. Buona fortuna a tutti e due.»
E meno male che il libro sugli insetti le faceva schifo!, pensarono i due.
Appurata la situazione e senza alcun ripensamento, Lily saltò giù dalla finestra – incurante che si trovassero al sesto piano di un palazzo –, atterrando sulle proprie gambe. Dopodiché cominciò a correre.
Corse per alcuni secondi, aspettandosi di dover combattere contro un mostro simile a quello che aveva visto a Dogwood.
Ma poi la vide.
Era una ragazza. Sulla pelle candida si erano formati alcuni disegni concentrici, come a formare degli anelli d’argento che si intersecavano tra loro. Non assomigliava per niente a un mostro ed era profondamente addormentata. I fili di grano che erano i suoi capelli erano sparsi sul vialetto acciottolato formando una specie di aureola attorno al volto immacolato.
Era... bellissima. Ed era stesa a terra, illuminata da una strana luce; Lily capì immediatamente cosa fosse: la manifestazione fisica della sua magia.
Quella ragazza sembrava davvero una fata.
Le si avvicinò cautamente, aspettandosi forse un attacco a sorpresa che non arrivò. Questo rendeva le cose molto più complicate.
«È una magia del sonno» lo sentì dire.
Lily però non si mosse. Affilò gli artigli di qualche centimetro ma non osò muovere un muscolo. Devo proprio farlo? Devo proprio ucciderla anche se finora non ha fatto del male a nessuno?
Ma conosceva già la risposta a quella domanda, Lily. Il fatto che non le piacesse per niente importava poco. E dentro di sé sentì montare una tale rabbia da renderle il respiro pesante.
«Puoi farci ben poco. O la uccidi tu o morirà da sé... com’è già successo altrove. Non che me ne importi, comunque.»
Lily inspirò profondamente e poi espirò, cercando di darsi un contegno.


 
§
 


Nimue chiuse il libro e con esso gli occhi. Aveva letto ininterrottamente tutto il primo capitolo di quel tomo polveroso e inutile perché si era incredibilmente appassionata alle vicissitudini delle libellule e si era completamente dimenticata di tutto il resto.
Guardandosi attorno notò che di Killian e Lily non c’era neanche l’ombra. Uscì in corridoio, camminò lesta fino alla stanza accanto e notò come la porta di quest’ultima fosse spalancata. Senza vergogna allungò il collo per darvi un’occhiata.
«Oh, Nimue! Guarda. Missione compiuta!» esclamò il ragazzo con un sorriso smagliante in volto. Al suo fianco c’era Clizia: avvolta nella sua vestaglia da notte; le lunghe onde dorate raccolte in una morbida coda posata sulla spalla. Solo seguendo la traiettoria del suo sguardo torvo, Nimue adocchiò una terza persona.
Era stata completamente avvolta dalle bende magiche di Killian e a stento riusciva a muoversi. Era magro, magrissimo – praticamente pelle e ossa – e aveva il volto arrossato perché – evidentemente – non riusciva a respirare.
«Cos’è successo?» chiese.
L’amico scrollò le spalle. «È entrato da sotto la porta, ha cercato di avvicinarsi a Clizia ma lei gli ha spaccato un vaso in testa.»
Oh, quindi, era quello il rumore che abbiamo sentito prima, pensò.
Il suo sguardo cadde poi sul letto leggermente sfatto. Da sotto le lenzuola facevano capitolino alcuni cuscini. Infatti, l’attrice li aveva precedentemente usati per fargli credere che stesse dormendo quando in realtà si era nascosta da tutt’altra parte.
«Come ha fatto a passare sotto la porta?»
«Si è trasformato in un sottilissimo foglio di carta» spiegò Killian.
Allora Clizia schioccò la lingua. «Usare la magia per scopi tanto vili... che orrore!»
L’uomo si dimenò ancora.
«Lo stai strozzando, Killian» disse Nimue, apatica.
Di tutta risposta, lui scrollò nuovamente le spalle. «Nonostante la botta ha cercato lo stesso di allungare le mani...»
«Meno male che sei arrivato tu, altrimenti sarei stata spacciata!» esclamò l’attrice, riconoscente.
Lui si limitò a sorriderle e per un istante – un solo stupidissimo istante che a Nimue non sfuggì affatto – l’occhio cadde sulla sua generosa scollatura.
Perché no, Clizia non era propriamente il suo genere di donna ideale... ma alle volte bisognava scendere a patti con un’amara realtà: ideale o no, nessuno avrebbe avuto niente da ridire sul corpo di cui lei, prima fra tutti, andava tanto orgogliosa.
Intanto, si erano fatte le tre di notte e le persone erano ancora in mezzo alla strada, ancora scosse dall’apparizione dell’ennesima fata.
Lily raggiunse suo fratello e la sua amica quando il maniaco era già stato portato via dalla polizia portuale. Avevo lo sguardo triste e abbattuto, cosa che non sfuggì a nessuno dei due – o per meglio dire a nessuno dei tre.
Infatti, Clizia si mostrò preoccupata dinanzi all’improvviso cambio di umore della ragazza. Ma non disse niente, anche perché Killian le si affiancò quasi subito avvolgendole un braccio attorno alle spalle e stringendola in un mesto abbraccio.
«Se non l’avessi uccisa, avrebbe fatto addormentare tutta la città e forse per sempre...» disse soltanto.
Nimue annuì, poi si allontanò, recandosi nella stanza affianco – dove avevano lasciato alcune loro cose.
La corvina sospirò pesantemente, poi alzò la testa – un po’ a fatica visto che era ancora schiacciata contro il petto di suo fratello. «Andiamo a casa?»
Killian le sorrise prima di rispondere: «Certo!»
Clizia capì di stare assistendo a un evento più unico che raro. Si ritrovò a sorridere davanti a quella grande dimostrazione di affetto fraterno e pensò che una volta terminato questo lavoro, anche lei sarebbe corsa tra le braccia delle persone che amava. Dalla sua famiglia.
E anche tra le sue, ovviamente, pensò e nel farlo si mordicchiò piano il labbro per fermare un crescente sorriso.
Dopo interminabili minuti, Lily si staccò dall’abbraccio e sospirò. Doveva assolutamente trovare un nuovo argomento di discussione, così avrebbe smesso di pensare a quella ragazza e avrebbe smesso di mostrare il suo lato più patetico.
«Come sta andando la raccolta di maghi?» gli domandò.
«Uh? Bene, direi... Royal ha detto che ci avrebbe pensato lui. O meglio, che ci avrebbe pensato Lucinde a contattarli; io ho solo scritto le lettere.»
Lily annuì. «Sì, ha senso. È sempre il solito scansafatiche» disse.
Non si sarebbero mai stancati di parlar male di lui.
«Mh... questo Royal di cui parlate è un buono a nulla, quindi?» chiese Clizia, incrociando le braccia sotto al seno e inclinando di poco la testa.
Killian ridacchiò mentre sua sorella roteò gli occhi al cielo. «Sì, ed è il Master della nostra gilda. Dai retta a me, se dovessi incontrarlo, non perdere troppo tempo con lui e gira alla larga.»
L’altra rise. «Eppure io ho sentito dire quanto fosse bello, questo Master!»
«Bello o tremendamente sexy che sia, non cambia il risultato!»
Fu a quel punto che apparve Nimue, di ritorno con le loro borse. Si rivolse a Clizia con il suo solito tono pacato ma diretto: «Ti interessa il nostro Master?»
«Oh, no» si affrettò a dire, divertita. «Non chiedevo in quel senso. Piuttosto, per il compenso...» disse e nel mentre raggiunse l’armadio, lo aprì rivelandone il contenuto – vestiti, gonne, altri vestiti – e quando tornò da loro pose i venti mila Jewels promessi nelle mani di Killian. «Ecco a voi. Vi ringrazio infinitamente per avermi aiutata!»
Nimue annuì. «È stato bello.»
«Ninì, ma se non hai fatto praticamente niente!» ribatté l’amica, fingendo di essere quanto meno irritata dalla cosa. E ovviamente, non ricevette alcuna risposta.
I membri dell’Aurora salutarono Clizia e – di nuovo – lo sguardo di Killian si adagiò più del dovuto sulle gambe della bella attrice. Accortasene, Lily gli mollò un pugno sul muso e subito dopo lo trascinò fuori da quell’hotel.
«Idiota. Cretino. Babbeo. Microcefalo.»
«Quante storie, fai. E poi sei un’ipocrita. Non facevi tanto la puritana quando ti scopavi Irvin Rooney!» lo sentì scherzare, al che Lily fermò il passo.
Suo fratello la guardò come se si aspettasse l’ennesimo cazzotto – questa volta l’avrebbe schivato, altroché! – ma lei si limitò stringere i pugni tanto forte da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani.
Allora capì. «Okay, che ti ha detto esattamente
Prima o poi troverò il modo di ammazzarlo, pensò, quel Bellimbusto del cazzo!
Anche Nimue capì. Anche perché la vide arrossire impercettibilmente. «Ha nominato Irvin» sibilò e la sua non sembrava affatto una domanda.
Fu allora che Lily sbottò: «Fatevi i cazzi vostri!»
«Vedi che sei un’ipocrita?»


 
§
 

 
Torniamo indietro a quella stessa mattinata...

 
Ciò a cui quei bambini furono costretti ad assistere fu orribile: carni squarciate, flotti di sangue e due piccole lune bianche muoversi a una velocità inaudita. Il corpo nero e ossuto di quella cosa non poteva appartenere a nessun essere umano – il suo ringhio gutturale li aveva investiti in pieno e li aveva fatti tremare da capo a piedi in un istante.
Non si resero effettivamente conto di quanto tempo fosse passato. Non sapevano di aver trascorso l’intera notte su quel carretto, stretti gli uni agli altri e nascosti alla vista soltanto da uno spesso tendone che impediva persino alla luce di filtrare. Il buio di quella notte li stava ancora investendo e con esso le grida, la paura, i rumori... finché qualcosa non scostò improvvisamente un lembo di tenda.
E i bambini non ebbero neanche la forza di gridare. Il loro cuore semplicemente parve fermarsi ma una voce li ridestò da quell’incubo spaventoso.
«Cosa ci fate qui? State bene? Qualcuno di voi è ferito?»
Non passò molto tempo prima che quel soldato, Roger, tornò come aveva promesso assieme a un uomo statuario dai capelli e dalla barba bianca che non perse tempo a presentarsi: «Mi chiamo William Falkor, bambini. State tranquilli, siamo qui per proteggervi.»
Erano quindici in tutto. Sette di loro – i più piccoli – sembravano svenuti, mentre gli altri erano troppo spaventati per accorgersene.
«H-Ho paura!» gracchiò uno di loro. Aveva le lentiggini su quasi tutto il visino; spiccavano a causa dell’eccessivo pallore. «T-Tornerà?»
Allora il vecchio capitano si fece attento. «Chi dovrebbe tornare?»
Il bambino non rispose, si limitò a scuotere la testa come se volesse scrollarsi dalla mente un’immagine terribile, per poi scoppiare in un pianto disperato.
Intanto, Flynn era riuscito a prendere in braccio una ragazzina, la più grande del gruppo, e a farla scendere dal carretto. Questa gli si ancorò ai pantaloni e non sembrava per nulla intenzionata a lasciarlo andare.
Gli occhi tenuti stretti come se questo bastasse a proteggerla.
«Il m-mostro» balbettò qualcun altro.
«Lo ab-biamo visto... era- era spaventoso!» singhiozzò un’altra.
Sono completamente terrorizzati, pensò William, e restare qui non li aiuta di certo, dobbiamo portarli via.
«Bastian, aiutami a portare questi bambini a Dahlia. Intanto voi altri sistemate quel macello sulla strada principale!»



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 

Ed eccoci qui con il secondo capitolo!
Vi ho fatto aspettare un po’ ma spero ne sia valsa la pena ^^

Non voglio tediarvi troppo quindi passiamo subito alle presentazioni: finalmente la ragazzina dello scorso capitolo ha un nome! Diana ^^ che, ripeto, è un OC di striscia_04 – lo dico perché è sempre buono ricordarlo.
Ma in questo capitolo appare anche un altro OC (questa volta è di Sissi1978 che ringrazio nuovamente), la bellissima Clizia Bardot ^^
Lo chiedo a entrambe: ho reso bene queste due giovincelle? Non sembra ma ho sempre il terrore di non aver fatto un buon lavoro T___T

Poi, ci tenevo a fare un appunto. Non tanto a voi che state partecipando, quanto a me perché mi sono semplicemente dimenticata di farlo prima.

Narrativamente parlano siamo in primavera. Il regno di Damocles è stato distrutto l’estate scorsa da una fata. E le fate – persone il cui potere magico fa boom – hanno cominciato ad apparire sporadicamente in inverno.
Quindi è una cosa piuttosto recente. Detto ciò, passiamo alle curiosità di oggi:

Curiosità n.2 ► In fase di creazione, Nimue ha subito un altro genere di cambiamento. Infatti, avrebbe dovuto essere un’allegra idol e possedere una magia chiamata Twinkle Magic che le avrebbe permesso di creare scintille e piccoli fuochi d’artificio. Anche l’aspetto è mutato – perché fondamentalmente l’avevo creata un po’ troppo simile a Wendy.

E visto che sono stata cattiva perché vi ho fatto aspettare fin troppo:

Curiosità n. 3 ► A Killian piace il pesce perché da dove viene ne mangiava tantissimo ed era super squisito.

Ultima cosa prima di lasciarvi: ho intenzione di fare un disegno dei vostri personaggi – sì, Lu, ti sto copiando spudoratamente; purtroppo però non sono brava quanto te con i colori (neanche li ho i colori!) quindi penso proprio che li lascerò in bianco e nero. Non so quando arriveranno ma ho già concluso due schizzi, dovrei solo renderli presentabili *______*
Alla prossima!
 
 
Rosy
 

 

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Capitolo 4
*** ► 03. Di nuovi incontri e piccole bugie ***


 
CAPITOLO 03. Di nuovi incontri e piccole bugie


 
 

 
Il giorno dopo – poco prima dell’ora di pranzo – i due fratelli si recarono alla sede della gilda. Non appena varcarono la soglia, li accolse un Master particolarmente imbronciato.
Al che Lily, da vera stronza, gli rifilò un sorrisetto sardonico. «Sei ancora di pessimo umore per la faccenda di ieri? Sul serio?!»
Royal arricciò le labbra ma non disse niente.
«Lascialo stare» fece suo fratello.
Ma lei continuò: «Lo dici solo perché tu hai potuto vedere l’attricetta in vestaglia da notte e lui no!» esclamò divertita.
Gli occhi di Royal vennero attraversati da un lampo e subito dopo si fissarono indignati sulla figura di Killian, troppo occupato a leggere il suo quotidiano per rendersene conto. «Ma che- che- opportunista!» esclamò, obbligandosi a non aggiungere altro.
Solo allora il ragazzo alzò lo sguardo, confuso. «Dici a me?»
«Senti da che pulpito...» disse Lily, sibillina. «Se ci fossi andato tu come minimo te la saresti portata a letto!»
Royal si morse la lingua ma, come prima, non disse nient’altro.
Contemporaneamente, Killian tornò a leggere il giornale tranquillo che la situazione si fosse risolta mentre Lily scoccò un’occhiata al Master. Certo che l’ha presa proprio sul personale questa faccenda!, pensò. Che esagerato!
«Comunque» iniziò a dire a un certo punto proprio Royal. «Ieri è venuta una ragazzina in gilda, chiedeva di te.»
Non si rivolse a nessuno dei due in particolare ma Killian alzò nuovamente lo sguardo. Non ci fu neanche bisogno di chiedergli ulteriori spiegazioni, che l’altro continuò a parlare: «Ti aspetta oggi alla Cattedrale di Kardia. Ha poi aggiunto di non farla aspettare... per essere tanto piccolina aveva uno sguardo di ghiaccio, quella lì!»
Avendo un’idea di chi si potesse trattare, il ragazzo si alzò pronto ad andare e scherzosamente si rivolse alla sorella: «Vado a incontrarla. Tu... fai quello che ti pare e non combinare guai!»
L’altra gli mostrò il dito medio sollevando le sopracciglia.
Stette per andarsene ma prima adocchiò una faccia familiare poco distante mentre consegnava una specie di cofanetto a un loro compagno. Quest’ultimo diede una veloce occhiata al suo contenuto, poi scattò al piano di sopra – sicuramente con lo scopo di studiarlo.
Avrà trovato qualche altro reperto, si disse Killian.
Subito dopo lo chiamò per attirare la sua attenzione, con tanto di mano alzata: «Ehi, Hydra! Vieni qui un attimo!»
Il ragazzo in questione gli si avvicinò con calma sotto lo sguardo scocciato di Lily. Non lo poteva soffrire. Era come con Alastor: meno lo vedeva e meglio sarebbe stato per tutti – anche se con il Bibliotecario c’era tutta un’altra questione in sospeso.
Per tale ragione non era mai stata pronta ad ammettere quanto risultasse piacente, quello lì. Hydra, infatti, poteva vantare un fisico non da poco.
Le gambe toniche erano fasciate in un pantalone nero in simil pelle tenuti dentro a degli stivali dello stesso colore. La camicia bianca con le maniche a sbuffo metteva in risalto le spalle larghe e i muscoli del torace, forgiati dai duri allenamenti che avevano caratterizzato la sua intera vita.
Indossava poi una lunga fascia rossa a mo’ di cintura, pendente sul lato destro del corpo.
E poi i suoi occhi. Azzurri come il mare – anche se quello sinistro era perennemente coperto da una benda nera.
Dalla parte opposta del collo era impresso il marchio della gilda, anch’esso azzurro.
«Cosa c’è?» chiese, tranquillo.
Killian gli sorrise allegramente prima di posare con forza la mano sulla sua spalla. «Complimenti. Sei assunto!»
Quello corrucciò la fronte. «Assunto per cosa?»
Non gli era mai scocciato parlare con lui; Killian sapeva essere normale – a differenza di sua sorella – ma in quel momento non capì davvero dove volesse andare a parare. Aveva il classico sguardo da “sto per fare una stronzata” e quando lui aveva quella faccia la situazione raggiungeva livelli di ilarità davvero assurdi – roba che neanche la mocciosa lì presente!
«Te la faccio breve: il re ci ha affidato una missione super–iper–importantissima e ci serve un passaggio fino a Damocles» spiegò. «Con la tua nave potresti portarci fin lì e aiutarci a investigare sulla fata che ha distrutto il regno! Che ne pensi?»
Hydra lo guardò come se fosse di colpo impazzito.
«Scordatelo» rispose, secco.
A Killian per poco non cadde la mascella. «Eh?! Quando mai rifiuti l’opportunità di andare per mare?!»
L’altro sospirò portandosi una mano tra i capelli corvini, come se fosse esasperato. «Infatti non è quello il punto. Vuoi indagare sulle fate? Lo sai come la penso... finiremo per inimicarci qualche squilibrato.»
«Beh, sì, potrebbe succedere. Ma-»
«E poi a me piace stare vicino al mare. Hai idea di quanto lì sia vasta l’entroterra?» gli chiese, non tanto perché si aspettava una risposta quanto più per distoglierlo da quell’idea assurda.
Lily, che aveva ascoltato lo scambio di battute senza dire nemmeno una parola, si lasciò andare a uno sbuffo seccato. «Che rompiscatole. Accetta e basta, no?»
Lui le gettò un’occhiata annoiata. «Fatti gli affari tuoi, Lara.»
«Co-? Lara?!» esclamò, indignata.
Si alzò, pronta a tirargli un gancio sul muso ma Royal l’agguantò e se la caricò in spalla prima che potesse succedere qualsiasi cosa. Dinanzi a quella scena – con la ragazza che si dimenava come una forsennata – Killian non riuscì a trattenersi e finì per scoppiare a ridere.
«Brutto idiota! Ti darò tanti di quei ceffoni che ti passerà la voglia di dimenticarti il mio nome!» strillò. Poi si rivolse a colui che stava tentando di fermarla: «Lasciami, Royal! Lasciami o giuro che uno di questi giorni te lo taglio!»
A quella minaccia, l’uomo rabbrividì. E mentre il fratello si teneva l’addome dolorante a causa delle risate, Hydra sbuffò.
È sempre la solita, pensò. Mai un attimo di pace con lei nei paraggi.
«Hai finito di fare la pazza?»
Di tutta risposta, lei alzò ancora di più la voce. «Crepa!»
Hydra si rivolse quindi a Killian: «Come diavolo fai a sopportarla? È suscettibile su qualsiasi cosa, è manesca e starnazza come un’anatra.»
«Stronzo! Ripetilo se hai il coraggio!» gridò intanto la ragazza.
«Hai ragione, sai? È difficile conviverci» disse Killian, smettendo finalmente di ridere. «Ma è divertente averla sempre intorno!»
Certo, lui diceva così ma quasi nessuno avrebbe potuto prendere per vere le sue parole. Lily dava una grande mano alla gilda; era intelligente e le piaceva studiare – tanto da diventare un’esperta traduttrice – ma alle volte il suo carattere spingeva gli altri ad allontanarla.
Guai a stuzzicarla troppo. Guai a interromperla mentre era concentrata.
Al contrario, Killian era molto più accomodante.
Hydra sollevò le sopracciglia. «Nh. Se lo dici tu.»
Intanto Royal si era incamminato – con la corvina ancora in spalla – verso il bar così da lasciar parlare quei due.
Di fatti, dopo pochi secondi Killian riprese il discorso. «Partiremo tra pochi giorni. Intanto pensaci, fammi sapere» disse.
Poi se ne uscì tranquillo, fischiettando e con le mani nelle tasche del trench.
Hydra lo seguì con lo sguardo per qualche secondo, dopodiché decise di tornarsene a casa e mettere qualcosa sotto i denti. Stava per andarsene, per l’appunto, quando una voce vagamente familiare lo chiamò, costringendolo a voltarsi.
Ella lo raggiunse di corsa e dopo aver ripreso fiato, cominciò a parlare a manetta: «Te ne stavi andando? Hai da fare? Mi servirebbe il tuo aiuto per raggiungere una grotta marina! È qui vicino. Ovviamente ti pagherò. Ti prego, è una questione di vita o di morte!» Concluse, giungendo i palmi delle mani e chinando la testa come a voler fare un inchino.
Non ci voleva un genio per capire che fosse agitata.
Alla fine Hydra acconsentì, cercando intanto di ricordarsi il suo nome.

 

 
§


 
«Ero seria quando ho detto che te l’avrei tagliato» sibilò Lily.
Il Master di fianco a lei ridacchiò nervosamente e le passò un bicchiere di vino – rosso, come piaceva a lei. «Su, bevi e non ci pensare!»
Si era calmata, più o meno.
Stizzita, Lily mandò giù un lungo sorso per poi posare il bicchiere ormai vuoto sul bancone. Non disse niente, si limitò a ingollare altro vino come se ne dipendesse della sua esistenza.
Royal gettò un’occhiata in giro. Qualcuno si era già accomodato ai tavoli e aspettava di mangiare, qualcun altro era intento a ordinare.
Era in momenti come quello che si ritrovava a pensare che , aveva fatto bene ad accettare la proposta di suo zio. Prima di quel fatidico giorno, non si sarebbe mai immaginato a capo di una gilda di maghi, ricercatori, studiosi... e seduto di fianco a una bestiolina che tracannava vino come fosse acqua, senza mai accusare alcun giramento di testa.
Ho fatto proprio bene a dargli retta, pensò sereno.  Poi lo sguardo color miele cadde sull’orologio appeso di fianco alla porta della cucina.
Si accorse dell’ora, impallidì e si alzò dallo sgabello come se avesse appena preso la scossa. «Oh, cazzo! Devo proprio andare. Salutami gli altri!» fece e quasi inciampò nelle gambe dello sgabello.
La corvina inarcò un sopracciglio. «Un appuntamento “galante”?» domandò, mimando le virgolette con il suo solito sorrisetto – se ci fosse stato Killian le avrebbe dato della lunatica.
Beh, almeno le è passato il nervoso, pensò mentre si avviava verso l’uscita.
«Esattamente!» esclamò. «E non voglio fare tardi, quindi-»
«Master?» chiamò una certa voce.
L’uomo si voltò, curioso di sapere perché Nimue l’avesse chiamato. Al tempo stesso però le lanciò un’occhiata come a volerle dire “sbrigati, ho da fare” – sfumatura che non sfuggì alla giovane donna ma che ignorò solennemente.
«La Lacrima del tuo ufficio ha suonato all’impazzata per più di un quarto d’ora» spiegò. «Mi infastidiva, così ho risposto. Era il Master Eliza. Vuole parlarti adesso, sta arrivando.»
A Royal per poco non venne un colpo. «Che cosa?! Ma perché? Ora? Che cazzo!»
«Hai imprecato due volte nel giro di tre minuti, complimenti Master!» sghignazzò Lily, ancora seduta al bancone e con uno stuzzichino salato tra i denti. «Non dovresti essere d’esempio?»
Quasi la preferivo quand’era incazzata e minacciava la mia virilità, pensò seccato.
«Forse sono ancora in tempo a squagliarmela. Voi non mi avete visto, chiaro?!» disse, indicando sia Nimue che Lily; poi estendendo la minaccia anche al resto dei presenti.
Stava per fare dietro front e andarsene per davvero, ma quando si voltò vide ciò che non avrebbe voluto vedere. Non quel giorno, almeno.
Eliza Barthock era lì, in piedi, e lo fissava con uno sguardo indecifrabile. Era bella sì; una bellezza mozzafiato ma il suo aspetto non nascondeva di certo la sua pericolosità – specie i suoi occhi castani, dal taglio allungato.
I lunghi capelli neri erano ondulati e ricadevano dolcemente sulle spalle. Dello stesso colore era l’abito che indossava: lungo, aderente, senza maniche e con un poco innocente spacco laterale. C’era chi tra i presenti non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e chi, intimorito, teneva lo sguardo altrove tranne che su di lei – salvo poi sbirciare nella sua direzione ogni due per tre ma senza prolungare il contatto visivo.
«Ciao anche a te, Royal» disse, gelida.
Quest’ultimo si immobilizzò sul posto. Le diede mentalmente della “scassacazzi” e come se niente fosse successo si stampò sulla faccia un sorriso falsissimo e allargò le braccia in segno di sorpresa. «Eliza! Quanto tempo! Come mai qui?»
Lei sbuffò. «Poche chiacchiere e seguimi. Adesso» ordinò, passandogli di lato e camminando spedita verso il suo ufficio come se quella fosse casa sua.
Royal non ebbe scelta. La seguì e richiuse la porta del suo studio privato subito dopo, roteando gli occhi al cielo quando la vide sedersi sulla sua poltrona.
Non che lui si fosse mai realmente seduto lì – preferiva girare per la sede e accomodarsi accanto a qualcuno per fare due chiacchiere – ma era comunque la sua poltrona. E lui era geloso delle sue cose.
Dopodiché sospirò. «Questa cosa che ti ha portato a scomodarti e a venire fin qui non potevi dirmela ieri alla riunione a cui sono stato costretto a partecipare a causa tua?» si azzardò a chiedere, visibilmente scocciato.
Ormai non importava neanche più far finta di digerirla. Non che a qualcuno fosse mai stato tenuto nascosto. Dopotutto, era di dominio pubblico: il Master di Ancient Aurora e quello di Fiery Cinder non si sopportavano per chissà quale trascorso. C’era chi immaginava fossero stati insieme e che la loro storia fosse finita per implodere, c’era chi pensava che avessero addirittura lottato per l’amore di una donna – non era di certo un mistero che Lady Eliza avesse quel genere di gusti – e c’era chi aveva optato per una terza ipotesi.
Quella più stralunata e, forse, quella più veritiera.
E cioè che semplicemente erano troppo diversi l’uno dall’altra.
«Riguarda la Bestia. Ed è una questione della massima segretezza.»
Royal si passò una mano dietro il collo, profondamente stanco di dover discutere sempre delle stesse cose. «Ne abbiamo già parlato. La riunione era stata indetta proprio per questo, no?»
A quel punto toccò alla donna alzare gli occhi al cielo.
«Sei sempre il solito. Se sono qui è per un motivo serio! La Bestia è tornata, ha ucciso altre dodici persone!» esclamò. Poi il suo sguardo s’incupì più del solito e Royal se ne chiese il motivo. «Io credo che... la Bestia non agisca da sola. Penso che qualcuno l’aiuti a nascondere le sue tracce. È altamente improbabile che una persona – o una creatura – possa sopravvivere nella più completa solitudine.»
«Come fai a dirlo?»
«Questa storia va avanti da anni, ormai. Mi pare impossibile che per tutto questo tempo nessuno sia mai riuscito a scoprire niente! Per di più – e che rimanga tra me e te – sono state trovate alcune tracce accanto a quelle della Bestia ed erano impronte umane, senza dubbio.»
Lui annuì. «Potresti avere ragione, sai?»
«Sono venuta qui perché nonostante la tua bruttissima abitudine di lasciar fare agli altri il tuo lavoro... mi fido di te. E so che quello che dirò non uscirà da questa stanza.»
Royal sorrise compiaciuto. Certamente c’erano stati dei contrasti tra loro – e continuavano a esserci –, ma riuscivano sempre a fidarsi l’uno dell’altra con una serenità invidiabile.
«Questo qualcuno... hai idea di chi possa essere?» domandò, serio.
Eliza inarcò le sopracciglia. «Certo che no. Altrimenti a quest’ora l’avrei già messo sotto torchio, ti pare?»
Dicendo ciò lo fece ridacchiare.
«Comunque, c’è un’altra cosa di cui vorrei parlarti ma… te lo dirò solo quando sarò sicura della sua veridicità» continuò a dire, alzandosi finalmente dalla poltrona e incamminandosi verso la porta.
Ma Royal voleva sapere. Doveva sapere. Dopotutto, ne andava anche della sicurezza della sua gilda. «Di che si tratta?»
La donna si fermò a un passo dall’uscio, una mano stretta attorno al pomello e lo sguardo fisso su di lui. Eliza avrebbe voluto parlargliene, davvero. Ma si sentiva una stupida a pensare a un’eventualità del genere. Perché se fosse stato così, allora la faccenda si sarebbe complicata ulteriormente. Perché quel particolare – fattole notare da Jace Ivory, proprio il giorno prima e in assoluta confidenza – le era sembrato sin da subito troppo raccapricciante per i suoi gusti. E lei non era neanche una donna che s’impressionava.
Allora le tornarono in mente le parole dette durante quella riunione: «La Bestia ha fatto la sua prima strage circa sei anni fa. Per mesi ha ucciso chiunque si trovasse sul suo cammino, senza fare distinzione. Uomini, donne, bambini... massacrava chiunque.»
«Poi, all’improvviso, sembra che la Bestia abbia cambiato obiettivi e modus operandi: prima arrivava persino a mangiare le sue vittime lasciandone a stento le ossa, mentre ora le trucida e molto spesso le ammucchia tutte in un punto. Per di più, non si avvicina nemmeno ai bambini e sembra preferire uomini e donne dalla dubbia fedina penale. Questo è quanto.»
«Sembra che abbiamo a che fare con una seconda Bestia, diversa dalla prima» aveva ipotizzato Vernon Calaway, Master di Iron Fist.
«Non credo» aveva poi detto Jace Ivory, con voce stranamente seria. «Ad ogni modo, il motivo per cui il re mi ha chiesto di indire una riunione è per mettervi in guardia. Proteggete le vostre città e aiutatevi l’un l’altro.»
Nonostante le recenti “scoperte” nessuno si sentiva di appoggiare l’operato di una simile creatura, nonostante avesse cominciato a uccidere solo i malvagi. Come quelle dodici persone lasciate sul bordo della strada.
«La luna» disse Eliza, a un certo punto.
Royal non capì; infatti, corrucciò la fronte e le fece intuire di spiegarsi meglio. Ma la donna scosse la testa e con un sospiro appena accennato lasciò il suo studio, tornandosene alla sua città.
 

 
§

 
 
Si era “rintanata” nella cattedrale per sfuggire al caos della città e anche perché non sapeva proprio dove andare – una volta trovato un alloggio per la notte, le era rimasto ben poco da fare se non aspettare.
Quel luogo le era sembrato particolarmente idoneo non certo perché fosse credente: non v’era anima viva. E una volta chiuso il portone aveva fatto in modo di concentrarsi il più possibile per estraniarsi e non sentire più niente.
Non dovette aspettare molto.
Perché a un certo punto udì il portone aprirsi e dei passi. Diana era seduta sui gradini che portavano all’altare e a cui dava le spalle.
Il ragazzo che le si avvicinò quasi gongolando, indossava pantaloni beige, scarpe classiche marroni e gilet nero su camicia bianca, quest’ultima abbinata a una cravatta bolo con ciondolo turchese.
Lei non poteva saperlo ma quella pietra gli era stata regalata da un’amica.
Tutto questo abbinato a un trench color sabbia. I capelli scuri erano ondulati e gli incorniciavano il viso illuminato da un sorriso gioviale – spensierato, avrebbe potuto dire.
«Sei tu il mittente della lettera? Killian?» domandò.
Lui annuì, non smettendo di sorridere. «In carne e ossa! Tu, invece, sei Diana Fonì» asserì; di fatti non era nemmeno una domanda.
Fu in quel momento che la ragazza si accorse di qualcosa di strano. Decisamente strano e inusuale, per qualcuno come lei.
Non sento niente, pensò. Non riesci a sentire niente, perché?
Killian, che intanto aveva cominciato a studiare ogni sua minima espressione per determinare se avesse fatto bene o meno a chiamarla, notò per l’appunto quel vago senso di confusione nei suoi occhi.
E si apprestò a spiegarle ogni cosa. «Oh, è del tutto normale. Sono protetto e, purtroppo, non per mia scelta. Non puoi sentire i miei pensieri o qualsiasi altra cosa tu possa sentire di solito» spiegò serenamente. «Ci tengo però ad assicurarti che non voglio essere un tuo nemico.»
Diana assottigliò gli occhi.
«Hai davvero intenzione di andare nel regno di Damocles?» gli chiese.
Lui annuì di nuovo.
«E perché hai chiamato me?»
«Beh, è stato il re a dirmi di contattare le persone che ritenevo più idonee per questa missione. Ma sai, nella nostra gilda ci sono pochissime persone in grado di combattere e converrai con me che nel posto in cui siamo diretti, avremo bisogno di tutto l’aiuto necessario» cominciò a dire. «Tu sei una maga eccezionale. Le tue abilità ci saranno molto utili, ne sono sicuro.»
«Come fai a conoscermi? Come fai a sapere cosa posso o non posso fare?»
Tutto questo parlare era insolito per lei.
In una situazione normale se ne sarebbe stata zitta e avrebbe scandagliato per bene la mente dello sconosciuto di turno per sincerarsi che non avesse cattive intenzioni ma con Killian sembrava non funzionare.
Era una sensazione difficile da gestire, doveva ammetterlo. Tutto si sarebbe aspettata tranne che il mittente della lettera fosse immune al suo potere.
Intanto lui ridacchiò. «Può non sembrare ma conosco un sacco di gente!» Anche se dubito che gli altri conoscano me, avrebbe voluto aggiungere. Ma rimase in silenzio, limitandosi a osservarla. «Comunque non mi aspettavo una ragazza tanto giovane!»
Il sopracciglio di Diana scattò verso l’alto. «Cosa vorresti dire?»
Killian serrò le labbra, come se si fosse appena accorto ciò che aveva detto.
«Io, ecco... scusa» mugugnò.
Ha appena fatto la stessa faccia che fa Lily quando è indispettita da quello che dico o è solo una mia impressione?, pensò atterrito.
Dopodiché si schiarì la voce e riprese a parlare: «Tornando a noi… allora, cosa ne pensi? Ti unirai alla squadra?»
A quel punto la ragazza si alzò in piedi. Era visibilmente più bassa di Killian ma non per questo si mostrò meno sicura – come sempre del resto. Gli si avvicinò di pochi passi, quel tanto che bastava per potergli stringere la mano che le stava porgendo.
Prima di farlo, però, volle sincerarsi di una cosa.
«A me non interessa minimamente portare a termine la missione» disse, sprezzante. «Se accetto, lo faccio solo perché ho qualcosa da guadagnarci. Ti sta bene lo stesso?»
Killian rimase basito. Non si aspettava tanta schiettezza – e glacialità – da una ragazzina di quell’età.
Non si aspettava neanche che gli spiattellasse in faccia il suo menefreghismo. Di solito, questo avrebbe spinto chiunque a tirarsi indietro e a rivolgersi a qualcun altro.
Ma lui si limitò a ridacchiare divertito. «Mi sta più che bene!»
Davvero non gli importa?, pensò. Potrei decidere di mollarli lì in qualsiasi momento se mi rendessi conto che a Damocles non raggiungerei il mio obiettivo.
Ma Diana non osò controbattere. Lo fissò, indecisa se crederlo uno stupido o uno fin troppo sicuro di sé. Ad ogni modo finì per assecondarlo.
«Okay, allora» sentenziò. Gli strinse la mano. «Accetto!»
Lo vide sospirare, come se si fosse appena tolto un peso. Non fece però in tempo ad aggiungere altro o ad andarsene che Killian sciolse la stretta e allargò la braccia, entusiasta come non lo era mai stato. «Benone! Allora ci vediamo domani alla sede della gilda!»
Diana corrucciò la fronte, stralunata. Cosa gli è preso?
«Sono contento che tu abbia deciso di unirti a noi, sai? Non vedo l’ora di vederti in azione... da come mi pare di capire sei una che predilige lo scontro ravvicinato, un po’ come Lily! Ah, Lily è mia sorella. Verrà anche lei. E visto che ci siamo ti suggerirei di non starle troppo addosso; è davvero impossibile da sopportare quando si imbestialisce.»
«Non ne avevo alcuna intenzione» sbottò.
Killian ridacchiò inclinando la testa tutta da un lato. «Oh, lo si capisce dal tuo modo di fare che sei una tipa solitaria. Non preoccuparti!»
Perché sta straparlando? E perché gesticola?
«Tu... sei strano» disse lei a un certo punto. «E hai sicuramente fatto centro; detesto essere circondata da troppe persone. Spero che il resto della squadra non sia logorroica come te.»
«Nah. Io non sono affatto logorroico. È che sono contento. Sei la prima ad aver accettato la mia offerta. Ah, e al termine della missione ovviamente sarai ben ricompensata. Tanto paga il re!» spiegò, concludendo con un’alzata di spalle.
Beh, questo di certo Diana non se l’aspettava. Non che i soldi fossero la sua priorità, ma pensò che riceverne non avrebbe fatto male a nessuno.
A quel punto però la ragazza volle togliersi un dubbio che l’aveva assillata dall’inizio di quello strano incontro. «Sei mai stato a Damocles?»
«Mh? Perché lo chiedi?» domandò, mostrandosi curioso ma tranquillo.
«Sarebbe difficile orientarsi lì senza qualcuno che conosca la zona.»
Killian annuì. «Hai perfettamente ragione. Infatti, ho già provveduto a chiedere a una certa persona di farci da guida... purtroppo io non sono mai uscito dal regno di Fiore!» esclamò con una punta d’amarezza.
Alla fine si accordarono per incontrarsi il giorno dopo. Diana lasciò la cattedrale per prima, dando le spalle al ragazzo da poco conosciuto.
Le era sembrato un tipo apposto, nonostante non abbia potuto accertarsene com’era solita fare. In più, capitava a fagiolo.
Era da un po’ di tempo che aveva cominciato a pensarci. Forse lo troverò nel regno di Damocles? E si era aggrappata a quell’idea, disperatamente.
Ad ogni modo, se Diana avesse potuto sentirlo davvero se ne sarebbe senz’altro accorta. Si sarebbe accorta che quella era una bugia.
Perché Killian c’era già stato a Damocles... ovviamente.

 
 
§
 
 

Quando Ella lo aveva pregato di accompagnarlo, tutto si sarebbe aspettato tranne che quello. Innanzitutto, la ragazza soffriva il mal di mare.
Aveva perso il conto delle volte in cui l’aveva severamente redarguita dal vomitare sul ponte della sua nave – pena, la morte. Più passavano i minuti e più Ella diventava bianca, arrivando ad assumere un colorito quasi violaceo simile a quello di Alastor che – sfortunatamente per lui e forse, anche per loro – li accompagnava.
Tra l’altro, Hydra non sapeva chi fosse. Non l’aveva mai visto.
Non sapeva neanche che esistesse!
«Come sarebbe a dire che non lo conosci? È Al, no? Il tizio strambo che se ne sta sempre rintanato nel seminterrato!» gli aveva detto la rossa, naturalmente, come se il suddetto Al non fosse a pochi centimetri da lei e non potesse sentirla.
Ma Alastor aveva tutt’altri pensieri. E infatti era intervenuto solo per poter chiedere: «A tal proposito, perché sono qui?» Lui voleva solo starsene in santa pace, rintanato nel seminterrato – per riprendere le sue parole.
Ella non era stata molto chiara al riguardo. Si vergognava immensamente di aver trascinato il bibliotecario lì in mezzo al mare, sotto il sole – oddio che schifo! – e lontano dai suoi vecchi libri polverosi.
E per cosa? Per non dover restare sola con Hydra. Perché Ella era una di quelle persone che provavano un forte senso di disagio accanto a una persona del sesso opposto e che, per giunta, era più grande di lei.
Inizialmente era così anche con Royal ma era diventato inutile fare il paragone. Hydra non era certamente un chiacchierone – contrariamente al Master – e non era neanche sicura che la considerasse un’amica; o una conoscente. E poi Ella odiava i silenzi imbarazzanti.
Imbarazzanti per lei, intendiamoci.
Perché a Hydra non poteva importare di meno se gli si rivolgeva la parola oppure no: se ne stava tranquillo e sereno a pensare ai fotti propri. Non aveva, per l’appunto, chissà quale relazione con i membri della gilda – l’unico per lui degno di nota era Killian. Perché sostanzialmente sapeva tenere in piedi una conversazione sensata senza fare l’idiota.
Quindi, alla fine, il corvino si era dovuto portare dietro non solo la ragazzina con il mal di mare ma anche un tipo che non aveva mai visto. Eppure, si era detto, non sono mica entrato ieri nella gilda...
Ad ogni modo, quando Ella lo aveva pregato di accompagnarla, aveva pensato fosse davvero una questione di vita o di morte. Ma si sbagliava. Lei lo aveva pregato di accompagnarla alle grotte marine per poter scavare e raccogliere... pietre.
«È davvero questo che devi fare?» le chiese, giusto per averne conferma.
Ella, che aveva finalmente messo piede su qualcosa che non ondeggiasse e dopo aver vomitato anche l’anima tra gli scogli, annuì sorridendo mesta.
«Mi domando ancora perché avete trascinato qui anche me» biascicò Alastor, seduto su una roccia e con l’espressione di chi sarebbe volentieri morto in quel preciso istante.
Hydra gli rivolse un’occhiata. «È stata un’idea della tua amica» disse semplicemente.
Dopo essersi ripresa, Ella rizzò la schiena e indossò i guanti da lavoro, non prima di aver legato i suoi lunghi capelli in uno chignon. «Bene. Voi fate pure quello che volete, io vado a scavare!» esclamò.
Sembrava essersi dimenticata della nausea, del disagio, dell’imbarazzo e della stanchezza. Beata lei, pensò il bibliotecario.
Alla fine quei due restarono da soli, perché la ragazza si addentrò fin nel cuore delle grotte ammirando con estremo interesse tutto ciò che la circondava – un intricato groviglio di tunnel bui e pericolosi. Come facesse a eccitarsi tanto in quei posti lo sapeva solo lei.
Perché mi ha trascinato qui se poi è la prima ad andarsene?, pensò ancora Alastor.
Intanto tirò fuori il libro che aveva fatto in tempo ad afferrare appena prima di essere rapito, del tutto intenzionato a leggere; poi un breve rumore attirò la sua attenzione. Sul ponte della nave – che Hydra aveva attraccato nell’insenatura, poco distante dalla spiaggia – lo sentì armeggiare con qualcosa e da quel poco che vide intuì si fosse messo a pescare.
Non sembrava per nulla interessato ad avere una conversazione con lui. Cosa che non gli dispiacque affatto; anzi. Lo conosceva esclusivamente per sentito dire. Il nome Hydra Kravleton era piuttosto famoso, specie ad Hargeon e nei posti vicino al mare.
Non gli sembrò infatti assurdo l’interesse di Killian nel volerlo reclutare. Secondo le informazioni che era riuscito a raccogliere poteva vantare una magia alquanto singolare e non particolarmente facile da imparare.
Infatti, il ragazzo era uno dei pochi maghi della gilda a saper combattere.
Non l’aveva mai visto in azione ma sospettava potesse essere molto forte. E in effetti lo si poteva intuire semplicemente guardandolo: Hydra si allenava ogni giorno della sua vita per raggiungere il suo obiettivo e i risultati erano più che visibili.
Tra l’altro poteva contare su una coppia di sciabole allacciate in vita e con le quali, ne era pressoché certo, era un vero maestro.
Alastor trascorse lì quel pomeriggio: seduto all’ombra della scogliera, a leggere in totale silenzio. Gli mancava la sua biblioteca. Gli mancava il buio e quelle quattro minuscole mura che lo proteggevano.
Eppure, si ritrovò a pensare, stare ad ascoltare il rumore delle onde è quasi piacevole.
 
 


 
Spoiler: Alastor non sarebbe mai più tornato a leggere in riva al mare.
Non gli piaceva avere la sabbia negli occhi. E maledì Ella per avercelo portato.
J.C.
 

 
§
 

 
Giunta finalmente nella città di Magnolia – dopo delle interminabili ore trascorse in treno –, la sua prima preoccupazione fu quella di trovare un alloggio per la notte.
Purtroppo però, ciò che si sentì dire fu un: «Mi spiace ma l’ultima camera l’ho appena fittata a un ragazzo... prova a chiedere a Terence, ha un B&B nei pressi della cattedrale.»
Peccato che è proprio da lì che arrivo, pensò lei.
Uscì dalla locanda parecchio abbattuta. Non aveva un posto dove dormire, non conosceva nessuno.... si era ritrovata per strada.
E il sole era ormai calato da un bel pezzo.
Fantastico, pensò ironica. A questo punto non mi resta che provare l’ebbrezza del campeggio!
Non ne era particolarmente entusiasta – più che altro non aveva la benché minima idea del tipo di creature che erano solite occupare quelle zone.
La ragazza in questione, alta all’incirca un metro e settanta, fece dietro front e cominciò a camminare verso la periferia della città, sicura di trovare qualche anfratto in cui potersi riparare e in cui poter dormire qualche oretta prima del sorgere del sole. Non era un’idea chissà quanto grandiosa ma era l’unica a sua disposizione, al momento.
Eve – così si chiamava – indossava un poncho di cotone color ocra. Le gambe magre erano fasciate da calze scure, abbinate a shorts di jeans e anfibi terrigni.
Un bracciale di perline bianche e rosse – l’unico gioiello che soleva indossare – era legato attorno al polso destro tramite un laccio di pelle nera.
Camminava a testa alta, sicura. Gli occhi dal taglio affilato erano di un oro brillante; vispi e grandi osservatori. Una spruzzata di lentiggini le decorava il naso, le guance e le spalle, una delle quali lasciata scoperta.
Proseguì lungo quella strada per un po’, cogliendo ogni sfumatura di quella bella città con quel suo sguardo felino. D’un tratto però, avvertì un leggero tocco alle sue spalle, all’altezza della testa.
Prima che potesse anche solo pensare di girarsi, lo sconosciuto lasciò andare la presa e i suoi capelli tinti di rosso sangue – a eccezione di una ciocca bianca sul lato sinistro del viso – ricaddero morbidi sulle spalle.
«Ah-Ah. Beccata, Eve Ikuko!» esclamò una voce maschile.
«Ma che-?» fece per dire ma la voce le morì in gola.
Davanti a lei vi era un ragazzo che la osservava sereno. La mano sinistra reggeva un paio di buste, quella destra era tesa in avanti – con l’obiettivo di presentarsi come si deve.
«Sono Killian, piacere!»
Lei fece una faccia stranita. «Tu sei... quello che mi ha fatta venire fino a qui?» domandò. «Non puoi avvicinarti a qualcuno in questo modo, lo farai morire d’infarto!»
«Hai ragione, scusa. Ma avevo capito subito che eri tu; si vede che sei straniera e poi grazie a quello» e la indicò con un rapido movimento del mento, «ho avuto la conferma!»
Colta alla sprovvista, Eve portò una mano sulla nuca nascosta dai capelli.
«Comunque sono felice di sapere che la lettera abbia catturato il tuo interesse!» disse, sorridendo. «Se sei stanca possiamo parlarne domani alla gilda. È dall’altra parte della città rispetto a dove siamo ora.»
Intanto Eve gli aveva stretto la mano e aveva cominciato a osservarlo dalla testa ai piedi. Sembrava essere di ritorno da un pomeriggio di shopping.
«In verità... Killian, non ho un posto dove dormire» disse.
Dinanzi all’espressione stranita del ragazzo, lei spiegò brevemente la sua attuale situazione e quando finì di parlare non poté crede alle sue orecchie quando Killian le offrì di passare la notte da lui e sua sorella.
Non si aspettava una tale gentilezza quando era chiaro che sapesse da dove venisse; e a quale gruppo di persone fosse legata. Ma Eve accettò, decidendo che se avesse avuto cattive intenzioni gliel’avrebbe poi fatta pagare cara.
«Dunque» cominciò a dire, facendole da guida verso casa. «Hai intenzione di unirti alla squadra?»
«Sono qui a Magnolia proprio per questo» asserì. «Ma prima dimmi cosa hai in mente di fare. Damocles è lontana, a piedi ci vorrebbero delle settimane! In più, cosa pensi di trovare? Desolazione? Oppure-»
Eve venne interrotta proprio da lui che alzò una mano. «Capisco che tu voglia sapere tutto ma non ha senso ripetere le cose due volte. Sappi solo che sono in trattativa per farci dare un passaggio via mare e che quello che penso di trovare non è rilevante al momento. Il piano lo discuteremo insieme domani.»
Lei gli rifilò un’occhiata stranita. Le sembrava fin troppo tranquillo per essere qualcuno che stava per imbarcarsi in un viaggio di quella portata.
D’altro canto, Killian era esattamente quel tipo di persona.
«E va bene» disse infine, arrendendosi alla situazione.
Poi si accorse di dove fossero diretti e alzò un sopracciglio – poco importava che fosse quello coperto da un grosso ciuffo di capelli. Infatti, Killian aveva appena preso il sentiero che s’inoltrava nel bosco.
«Cos’è? Vuoi approfittare di una giovane ragazza straniera conducendola in un luogo nascosto nel cuore di una lugubre foresta?»
Lui si voltò quel poco per poterla guardare in faccia e con un’espressione terribilmente seria rispose: «Oh, mi hai beccato!»
Inizialmente Eve sgranò gli occhi, poi si rese conto di una orribile verità: Killian si stava trattenendo dal ridere.
«Ma quanto sei simpatico!» esclamò, arricciando le labbra per nascondere un accenno di sorriso. «Più simpatico di un cactus infilato in quel posto...»
Lui continuò a ridacchiare fino a raggiungere una piccola casetta in mezzo al niente. Davvero lui e sua sorella vivono qui?, si domandò.
Stava quasi per chiederglielo veramente quando una voce femminile la fece sobbalzare. «Kill, chi è questa?!» gridò. «Sappi che non voglio assolutamente che tu faccia sesso in casa quando ci sono anch’io, chiaro?! Una volta mi è bastata e mi è avanzata per tutta la vita!»
E per la seconda volta in tutta la serata, Eve non poté credere alle sue orecchie. Ma fa sul serio?
«Che ci fai sul tetto?» chiese Killian, ignorando le follie della più giovane.
Quest’ultima non rispose, con un balzo atterrò davanti la porta d’ingresso e prese a fissare i due nuovi arrivati con un’espressione indecifrabile.
Il ragazzo pensò bene di fare le presentazioni: «Eve, questa è mia sorella Lily. Lily, lei è Eve. Si unirà alla squadra!»
Allora la corvina slegò le braccia e rilassò i muscoli, tutto in un battito di ciglia. E solo in quel preciso istante Eve notò come fosse vestita.
Per la verità non era affatto vestita: indossava giusto una mutanda e una camicia enorme – probabilmente del fratello –; entrambe nere.
Ai piedi non portava nulla.
Dopo interminabili minuti a fissarla, Lily accennò un saluto. L’immagine di lei in piedi e immobile, comunque, era davvero inquietante. Se non fosse stato per le lanterne poste all’ingresso dell’abitazione, si sarebbe potuta confondere con il buio – o sarebbe potuta sembrare un fantasma.
Eve sospirò e seguì i due fratelli dentro casa.
In che razza di posto sono finita?
 
 
 













 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Questa volta vi ho davvero fatto aspettare parecchio, eh? Perdonatemi T.T
 
Ho avuto da fare con gli ultimi esami e subito dopo mi sono sentita poco bene, quindi è slittato tutto... ma l’importante è essere tornata, no?
Mai come questa volta sono stata dubbiosa riguardo al titolo! E chissà perché ho scritto “bugie” al plurale...! Eheh – poi tutti i nodi verranno al pettine, tranquilli.
 
In questo capitolo succedono parecchie cosucce ^^
Innanzitutto, vengono presentati due nuovi personaggi: Hydra Kravleton ed Eve Ikuko (rispettivamente OC di OphionTheHunter e kisspiece99; ringrazio entrambi per avermi dato la possibilità di conoscerli e inserirli nella mia storia!).
Per quanto riguarda la nave di Hydra, la descriverò ben bene quando ci sarà occasione.
Tra l’altro spero di non aver fatto errori; nel caso segnalatemeli così li correggerò non appena mi sarà possibile.
 
Avete notato che l’approccio ai personaggi è differente? Ho scelto di descrivere Hydra più che altro dal punto di vista di Lily, Ella e Alastor; mentre per le altre due ho voluto fare diversamente.
 
Mancano esattamente tre OC da presentare ^^ e io non vedo l’ora. Detto ciò, con questo capitolo considero le iscrizioni ufficialmente chiuse!
 
Eccovi l’immagine che ha ispirato il personaggio di Eliza, di mia invenzione:
 
ELIZA ► https://i.pinimg.com/originals/4f/28/56/4f28561a9a678095978fc7ff4f5165e1.jpg
 
Consiglio: ricordatevi di Eliza Barthock perché potrebbe ricomparire quando meno ve l’aspettate! – ma comunque ci vorrà del tempo.
 
Vi ricordavate che Killian c’era già stato a Damocles?
Per la verità, non volevo specificarlo ma poi mi son detta “Rosy, li hai fatti aspettare troppo e sicuramente se ne saranno dimenticati...”. Eheh u.u – Killian è un po’ bugiardello!
 
Ed ecco le curiosità di oggi:
 
Curiosità n.4 ► Parliamo di Killian. Il suo aspetto è cambiato tre volte durante la fase di creazione del personaggio. Inizialmente avrebbe dovuto avere capelli bianchi e occhi dorati. La sua seconda versione prevedeva capelli biondi e occhi viola. Fino ad arrivare a questo Killian: capelli marroni e occhi color caramello/marrone caldo.
Caratterialmente è pressoché uguale alla prima bozza – stessa cosa per la sua storia.
(Ho appena trovato un mio vecchissimo appunto. Sembra che a un certo punto volevo chiamarlo Kiril anziché Killian. Me l'ero pure dimenticata!)
 
Curiosità n. 5 ► Torniamo a parlare di Killian. Oggi è la sua giornata ^^ La cosa che odia di più al mondo? Provare dolore – s’intende quello fisico. La seconda? Combattere.
 
Per quanto riguarda i disegni, pazientate ancora un pochino.
 
E riguardo all’increscioso incidente di Killian che – pare – si sia dato alla pazza gioia ignaro che Lily fosse ancora a casa... forse l’argomento ritornerà XD Per farci due risate!
 
Alla prossima
 
Rosy


 

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Capitolo 5
*** ► 04. Appello ***


Nota: il capitolo si conclude con una scena hot. Sì, avete capito benissimo.
Ma essendo la storia a rating arancione ho voluto tagliare le scene più esplicite ma voi (sì, parlo con voi, piccoli pervertiti ^^) potrete comunque leggerla integralmente: infatti pubblicherò in un piccolo “spin off” a rating rosso – spero solo possa essere all’altezza di molte altre storie del genere perché, lo ammetto, è la primissima volta che mi cimento!





CAPITOLO 04. Appello

 
 




«Fa’ come se fossi a casa tua!» esclamò Killian, posando le buste della spesa su un ripiano della cucina.
Eve si guardò attorno con crescente curiosità. Non sembrava affatto un tugurio e, anzi, vigeva un ordine che mai avrebbe associato a nessuno dei due fratelli. La casa non era molto grande e i pochi mobili che la riempivano erano raccolti in modo da non affollarla ulteriormente.
Dall’ingresso seguì i due con lo sguardo. Il primo aveva abbandonato il suo trench su una sedia, si era arrotolato le mani che della camicia – svelando gli avambracci completamente avvolti dalle bende; Eve se ne chiese il motivo – e aveva cominciato ad armeggiare con pentole e padelle.
Gli si avvicinò quasi istintivamente. «Lascia che ti aiuti. Dopotutto mi state offrendo un tetto sulla testa e mi sembra il minimo.»
Il ragazzo alzò lo sguardo dalle verdure. «Non preoccuparti, qui ci penso io. Sei nostra ospite.»
«Oi!» esclamò Lily, a un certo punto. Voltandosi nella sua direzione, Eve la vide mentre si dondolava aggrappata allo stipite di una porta – completamente incurante di essere mezza nuda dinanzi a un’estranea. «Ho intenzione di andare a farmi un bagno caldo. Vuoi venire?»
Oh, è stata davvero gentile a chiedermelo, pensò esterrefatta.
Eppure, l’impressione che le aveva dato inizialmente era tutt’altra. Alla fine, Eve acconsentì e con un alzata di spalle si disse che per questa volta si sarebbe affidata alle abilità culinarie di Killian – pur non conoscendolo affatto. Ciò le diede da pensare.
Lily corse di sopra – probabilmente a prendere dei vestiti puliti – lasciando alla rossa il tempo di svestirsi e insaponarsi con tutta la calma del mondo. Le sembrava strano essere lì, specie perché non sapeva niente di quei due. Ricordava distintamente quella folle giornata: una donna dai folti capelli ricci e con uno strano accento nella voce l’aveva approcciata e le aveva consegnato la missiva – salvo poi sparire nel nulla così com’era arrivata.
Doveva ammetterlo: inizialmente aveva pensato a una trappola. Non era neanche la prima volta che qualcuno provava a ingannarla, dopotutto.
Ma poi, dopo averci riflettuto per bene, si era convinta a partire.
Nel ripensare al principale motivo per cui aveva scelto di partecipare a quell’avventura, sentì nascere un inconfondibile peso nel petto. Una volta immersasi nella vasca da cui era possibile vedere il candore di una luna calante attraverso una finestrella, Eve stese le gambe e poggiò la testa sul bordo.
Chiuse gli occhi, cercando di immaginare il momento in cui avrebbe finalmente ricevuto quella tanto agognata risposta. Stava quasi per addormentarsi, crogiolandosi nei vapori di quel bagno minuscolo, quando la porta si aprì di botto.
«Sei già entrata?» domandò Lily, richiudendo l’anta scorrevole.
L’altra annuì distrattamente. Portò, per la seconda volta quella sera, la mano dietro la nuca scoperta – aveva deciso di alzare i capelli in uno chignon per evitare di bagnarli – ma poi si tranquillizzò e abbassò la mano.
Dopotutto, dava le spalle al muro e la ragazza davanti a lei non avrebbe mai potuto sbirciare.
Poi parlò: «Allora, che mi dici? Emozionata per questo viaggetto?»
«Abbastanza, sì» mugugnò. «Non so cosa Killian si aspetti di trovare ma sono alquanto pessimista!»
Eve si sporse nella sua direzione, incrociando gli avambracci sul bordo della vasca e poggiandovi sopra il mento. «In che senso? Credi che siano davvero tutti morti?» domandò, con un tono di voce che non passò inosservato.
Lily alzò le spalle, dopodiché sciacquò via la schiuma. Solo in quell’istante la rossa notò qualcosa che le fece brillare gli occhi, accantonando per un attimo l’argomento della loro conversazione. «Ma quelle sono rune?!»
L’altra si voltò a guardarla. «Sì, perché?»
Senza preavviso e particolarmente euforica, Eve si sporse dalla vasca, agguantò Lily per un braccio e se la portò più vicino. A causa di quel movimento brusco, quest’ultima scivolò dallo sgabellino, finendo col sedere sul pavimento. «Ma che diavolo ti prende? Che stai facendo?!»
«Ne hai altre?» domandò e, incurante delle proteste dell’altra, cominciò a squadrarla centimetro per centimetro con l’obiettivo di scovare altre piccole lettere tatuate sulla sua pelle candida.
Intanto, Lily continuò a strillare: «Mollami!» E nel dirlo le afferrò la testa, spingendogliela sott’acqua senza troppi complimenti.
La lasciò andare soltanto quando Eve alzò le mani in segno di resa.
Una volta riemersa, quest’ultima tossicchiò prima di tornare a guardarla estasiata. «Allora? Ne hai altre?»
«Perché tutto questo interesse?» le chiese allora la più giovane, massaggiandosi il braccio che l’altra aveva stretto con troppa foga.
Questa è matta!, pensò con gli occhi sgranati.
«Io posso tradurre i testi runici. Pensavo che tuo fratello te l’avesse detto.»
«Figurati se quello smemorato si ricorda di dirmi qualcosa di tanto importante!» esclamò. Poi la sua espressione si fece seria e curiosa. «Davvero sai tradurre le rune?»
Eve annuì, sorridendole.
«Mh. E quindi se ti chiedessi...» cominciò a dire, fermandosi subito dopo mordendosi le labbra. Subito dopo si alzò in piedi e con un fluido movimento scostò i capelli dal fianco destro, mostrandole una piccola lettera nera posta sul costato, poco distante dal seno. «Cosa significa?»
«Aspetta, te la sei tatuata addosso e neanche sai cosa voglia dire?»
«Non ti ho chiesto il tuo parere! Traduci e basta!» sbottò, irritata.
Eve tornò a immergersi compostamente nella vasca, lasciando fuori soltanto le spalle. Poi tornò a guardare la runa. «È Berkana; simboleggia le forti emozioni legate alla famiglia» spiegò, ripensando per un attimo alla sua di famiglia.
Intanto, Lily si fece pensierosa. Per un attimo sembrò quasi estraniarsi, come se in quel momento la sua mente e la sua anima fossero altrove, in un ricordo passato; sull’orlo di un baratro.
Dopodiché sollevò un poco la gamba sinistra e mostrò una seconda runa sotto la pianta del piede. Non servirono parole; infatti, Eve cominciò subito a spiegare: «Questa è Laguz. È legata al mondo dell’inconscio ed è davvero paradossale che tu abbia scelto di tatuartela proprio lì, lontano dalla testa.»
La corvina annuì, in silenzio.
Dopodiché, scosse la testa – come a voler dimenticare per un attimo lo strano senso di nausea che l’aveva colta ripensando alla sua infanzia – e tornò a concentrarsi su Eve. Entrò nella vasca, sedendosi di fronte a lei.
«No» disse.
La rossa inarcò un sopracciglio. «No cosa?»
«Non credo che siano tutti morti, a Damocles» asserì. «Sei stata tu a farmi la domanda.»
Oh, siamo tornate all’argomento precedente?
Ma Lily non aspettò che l’altra ragazza dicesse qualcosa, perché prese la palla al balzo e le domandò: «Di’ un po’, che tipo di persona sei?»
«Mh?»
«Intendo, sei qui perché ti interessa veramente scoprire cosa rende le persone dei mostri incontrollabili o hai uno scopo diverso dal nostro?»
Quella domanda la prese un po’ alla sprovvista ma Eve non si fece intimidire dallo sguardo penetrante della mora. «Diciamo che i nostri obiettivi coincidono in senso lato. Voglio andare a Damocles e da sola mi sarebbe impossibile, per cui...»
«Per cui hai pensato che unendoti a noi avresti ovviato a molti problemi. Capisco. In pratica ci stai usando» disse, terminando lei il discorso al posto suo.
Al che Eve ridacchiò, sinceramente divertita. «Scusa, ma non riesco proprio a fidarmi. Infondo, vi ho appena conosciuti.»
«E come mai hai seguito Killian, uno sconosciuto, fino a qui?»
«Beh, avevo bisogno di un posto dove dormire... e semmai avesse avuto cattive intenzione, l’avrei sicuramente gestito in seguito» spiegò.
Ne seguì un lungo silenzio, interrotto infine dalla risata di Lily.
«Sai di essere simpatica, vero?!»
Non appena la mente di Eve registrò quel commento – che altro non era che un sincero complimento venuto dal cuore – arrossì di botto. Poi cominciò a ridacchiare quasi istericamente – davvero, Lily si chiese se non fosse di colpo impazzita; infine, le mollò una pedata in faccia.
Le rifilò un’occhiata indecifrabile prima di ribattere: «Non dirlo mai più!»
Oltraggiata, la corvina scostò violentemente il piede, pronta a darle addosso.
Ciò che però salvò Eve dall’essere presa per i capelli fu un leggero bussare alla porta; al che entrambe si zittirono, rimanendo immobili come statue di sale.
«La cena è quasi pronta! Avete dieci minuti di tempo. Spicciatevi!»
E Killian aveva una fame da lupi – non avrebbe aspettato un secondo di più.

 
 
§
 


Il giorno dopo, Eve si svegliò a causa di un botto proveniente dal piano terra. Accanto a lei Lily dormiva – finalmente – e la posizione che aveva assunto la fece ridere.
Così raggomitolata nelle lenzuola, sembrava un bruco; a eccezione di alcune ciocche di capelli e della gamba destra penzolante fuori dal letto, non v’era nulla che fuoriuscisse da quel bozzolo improvvisato.
E , si era fregata anche la coperta che la sera prima le aveva gentilmente prestato.
Eve si passò entrambe le mani sul viso, cercando di darsi una svegliata. Il grosso ciuffo di capelli le ricadde sull’occhio destro non appena le dita districarono alcuni nodi.
Si alzò cercando di non fare alcun rumore e indossò velocemente il poncho. Raggiunse la scala a pioli che le avrebbe permesso di scendere da quel soppalco adibito a camera da letto e con un piccolo balzo atterrò nello studio di Lily. Quando l’aveva visto la sera prima era rimasta a bocca aperta.
Lei ne aveva visti di libri nella sua vita, ovviamente, ma non immaginava che la corvina fosse il tipo di persona che amasse leggere. Tra l’altro aveva scoperto che anche lei era piuttosto brava nello studio delle lingue antiche, nonostante conoscesse poco o nulla delle rune.
Le piaceva quella stanza. Ma aveva un problema basilare.
È troppo incasinata!
Con uno sforzo immane, ignorò quel caos incontrollabile e andò in soggiorno. Sinceramente, si aspettava di trovare Killian dato che era stato proprio quest’ultimo a farla svegliare – probabilmente – facendo cadere qualcosa. Eppure, non lo vide.
In un primo momento pensò di essersi immaginata tutto ma poi la porta del bagno si aprì.
Killian era esattamente come l’aveva lasciato la sera prima, solo con la camicia ancora mezza sbottonata e i capelli leggermente umidi.
«Oh, buongiorno Eve! Dormito bene?»
«Abbastanza. Tua sorella parla nel sonno, lo sapevi?»
Il ragazzo alzò le spalle. «Ci si fa l’abitudine.»
«Che è successo? Ho sentito un tonfo» domandò.
Killian arricciò le labbra, come se si vergognasse di metterla al corrente di ciò che era successo. Alla fine, si arrese e vuotò il sacco: «Sono caduto mentre facevo la doccia e quasi mi spaccavo la noce del collo.»
Ovviamente, Eve scoppiò a ridere.
Lui ignorò la presa in giro e si avviò verso la cucina con passo lento e strascicato. Riempì un bicchiere di tè freddo, prese alcuni pancakes che aveva preparato quella stessa mattina e li portò al tavolo per la colazione; in tutto ciò Eve continuava a ridere, imperterrita.
«E io che credevo fossi una persona gentile» sentenziò il ragazzo, fingendo di essersela presa. «Vuoi qualcosa di particolare da mangiare?»
Ripresasi dalla ridarella, la rossa rispose quasi immediatamente: «Mi andrebbe bene un infuso. Di agrumi, se è possibile.»
Pochi minuti dopo Lily palesò la sua presenza a piedi nudi e con indosso un paio di pantaloncini di jeans e una canotta nera. Contrariamente al resto, però, la sua faccia era davvero improponibile: gli occhi grigi erano segnati da borse profonde, la pelle sembrava davvero troppo bianca per essere quella di un essere umano. E poi le zanne.
Eve le aveva notate subito ma vederla addentare con una certa voracità la carne speziata preparata da Killian l’aveva impensierita.
Questi due sono davvero fratelli?, si era chiesta, allibita.
Poi, poco prima di andare a dormire proprio il ragazzo l’aveva presa da parte per informarla che avrebbe dormito insieme a Lily. Lei, di tutta risposta gli aveva chiesto se lui fosse l’unico a conoscenza di quel suo piccolo segreto.
«Beh, sì» le aveva detto. «Ma non preoccuparti. Se non vuoi che si sappia terrò la bocca cucita!»
Alla fin fine era meglio così.
Eve si ridestò dai suoi pensieri quando tutti e tre terminarono di fare colazione. E mentre aiutava la corvina a sparecchiare, notò un piccolo particolare che fino ad allora le era sfuggito.
Anche Killian aveva un tatuaggio ma sul petto e contrariamente a quelli della sorella non era affatto una lettera runica. Era un semplice numero, il numero XIII.
Nonostante fosse estremamente curiosa di comprenderne il motivo, non si azzardò a chiedere nulla – più che altro, non fece neanche in tempo a farlo perché lui tornò in camera sua.
E non appena tornò, i tre uscirono di casa diretti alla sede della gilda.
Lungo la strada, Eve si appuntò mentalmente di annotare al più presto il particolare del tatuaggio sul suo inseparabile quadernino. Non tanto per paura di dimenticarlo, quanto più perché era una cosa che amava fare.
Tutto ciò che incontrava il suo interesse veniva segnato lì sopra.
Intanto che ci pensava, i due fratelli accanto a lei parlottavano di altro. Lily cominciò ad alterarsi non appena Killian le fece notare i nodi tra i capelli che si era dimenticata di districare, ma non fece in tempo a rispondergli per le rime che improvvisamente si zittì, avvertendo un odore parecchio forte bruciarle le narici. Dopodiché ci fu un esplosione poco distante da loro.
«Una fata?» domandò Killian, con una certa urgenza nella voce.
Lily scosse la testa. «No, ma è appena andato a fuoco qualcosa» spiegò con veemenza.
Allora si avviarono in fretta verso il luogo dell’esplosione e una volta raggiunto il posto, Eve commentò incredula: «È la locanda a cui avevo chiesto una stanza!»
Lily non si scompose più di tanto. «Che culo!»
«Oh beh, se si tratta di questo, voi andate pure avanti» disse. «Sistemo la situazione e vi raggiunto.»
La corvina non se lo fece ripetere due volte, al che Eve con un enorme sorriso sul volto le avvolse un braccio attorno alle spalle venendo prontamente allontanata in tempo zero.
No, a Lily non piaceva affatto il contatto fisico – specie quello non richiesto.
Intanto, Killian si avvicinò a quello che sapeva essere il proprietario per chiedere cosa fosse successo. Il vecchio signore dalla barba incolta, lo guardò con la furia negli occhi. «È stato quel ragazzo, quello a cui avevo fittato la stanza ieri pomeriggio! Se solo avessi saputo che avrebbe combinato questo macello, l’avrei sbattuto fuori senza troppi complimenti! Quel disgraziato!» gridò, rosso di rabbia.
Sua moglie – una donna in carne e con ancora indosso il grembiule da cucina sporco di olio e farina – gli si accostò carezzandogli le spalle. «Calmati, tesoro... altrimenti riavrai un attacco di panico...»
Quello continuò a sbraitare: «Ma io sono calmo!»
Killian sfoderò la sua poker face per evitare di scoppiare a ridere, si mostrò addirittura rammaricato e gli promise che avrebbe acciuffato l’idiota e che l’avrebbe costretto a ripagare i danni.
«Oh, in verità ha già detto che ci avrebbe ripagati in qualche modo» disse a un certo punto la Signora. «Ora è lì che si sta scusando con tutti...»
Il ragazzo non credette alle sue orecchie. E nemmeno ai suoi occhi quando lo vide mentre, effettivamente, stava chiedendo scusa alle persone che fino a pochi istanti prima alloggiavano in quella locanda.
Era alto, magro e aveva la pelle chiara. Ciò che subito spiccava della sua persona erano i capelli lunghi e fucsia, legati in una coda né alta né bassa, e i due piccoli nei posti esattamente sotto ogni occhio.
Ridacchiando, Killian gli si avvicinò fino a notare la forma appuntita delle orecchie. Indossava dei pantaloni marroni non troppo attillati infilati in un paio di stivali alti, ginocchiere di metallo dalla forma ovale e una maglia di lino bianca con maniche larghe – quest’ultima lasciava intravedere un fisico asciutto e non troppo muscoloso.
In vita era legata una fascia bordeaux; circa dello stesso colore era il cappotto smanicato che portava, lungo fino alle caviglie, bordato d’oro, che da un certo punto in poi si divideva in due punte. All’altezza delle scapole, il kanji di “scienza” era scritto in bianco.
Ora che lo vedeva meglio, Killian notò anche che le ciocche di capelli che gli incorniciavano il viso erano come inserite in due placchette triangolari, collegate tramite due catenelle alla fascia marrone che aveva sulla fronte – al centro della quale vi era un diadema argentato dalla forma triangolare e con la punta rivolta verso il basso.
Infine, indossava un paio di occhiali bizzarri color ocra. Il membro di Aurora non ne era un esperto ma supponeva fossero occhiali telescopici.
«Tu devi essere il “Disgraziato”» cominciò a dire Killian. «Che hai combinato per far esplodere tutto il palazzo?»
Nel chiederlo, indicò la locanda con un rapido movimento della testa. Fortunatamente l’incendio era già stato spento ma l’intera zona sarebbe stata chiusa per molto tempo a causa di quel piccolo incidente.
Lo sconosciuto, più grande di lui di almeno tre anni, lo guardò dispiaciuto da morire. «L’ho fatta grossa, me ne rendo conto. È che non sono riuscito a trattenermi... sono stato colto dall’ispirazione, ho voluto tentare di portare a termine l’esperimento fallito negli ultimi due mesi ma anche stavolta ho fatto un errore! Non ho tenuto conto dell’alto livello di infiammabilità dell’acido perclorico e alla fine... è esploso tutto.»
«Wow. Okay» fece. «Comunque, sono Killian, molto piacere!»
«Tu sei il mittente delle lettere?!» esclamò. Al che l’altro annuì. «Mi chiamo Rehagan Azeria, ma puoi chiamarmi Reha, piacere di conoscerti!»
I due si strinsero la mano, sotto lo sguardo allibito dei presenti. Sembravano essersi dimenticati tutt’un tratto del grande macello che era appena successo.
Ma non era affatto così. Infatti, fu proprio Killian a rivolgersi alle persone che li circondavano: «Per il rimborso contattate il nostro Master e lui troverà di certo una soluzione!»
Dopodiché parlò a Rehagan con un mesto sorriso: «Dopotutto sei qui perché ti ho chiamato io, quindi è anche una mia responsabilità...»
Royal farà sborsare direttamente al re i soldi per questa spesa imprevista, pensò divertito. E poi l’importante è che stiano tutti bene.
Killian gli propose allora di seguirlo, cosicché potessero parlare della missione a cui il nuovo arrivato avrebbe dovuto prendere parte. Rehagan si presentò come uno scienziato e rimase sorpreso nel constatare quanto gli enigmi e le leggende rientrassero tra le sue passioni.
È proprio perfetto per questa ricerca, pensò entusiasta.
«Insomma, mi pare di capire che sei qui per accettare» disse.
Quello annuì felicemente.
«Ma sappi che in squadra avremo diversi elementi problematici. Spero non sia un problema per te» continuò a dire, sogghignando.
«Nah, non preoccuparti!»
In effetti, per Rehagan non era mai stato un problema. Era assurdamente bravo a fare amicizia; c’era chi pensava ci riuscisse perfino con le cose inanimate!
Aveva sempre un sorriso gioviale stampato in faccia, era sempre disposto ad aiutare chiunque fosse in difficoltà e – contrariamente a ciò che ci si poteva immaginare – vantava un non tanto discreto successo con le donne. Seppur non fosse il tipo da autocelebrarsi per questo.
In più era un ottimo studioso. E proprio per quella sete di conoscenza, Rehagan aveva deciso di accettare sin da subito la proposta di Killian.
Quest’ultimo ne rimase estasiato – anche perché gli era sembrata fin da subito una persona con la quale poter scambiare quattro chiacchiere senza la paura di dover incappare nella sua ira a causa di un parola di troppo.
E poi aveva un sorriso contagioso. Sperò che la sua vicinanza potesse in qualche modo aiutare la sorella a relazionarsi meglio con le altre persone.
«Come mai hai accettato di guidare una spedizione del genere?» gli chiese a un certo punto.
Per tutto il tempo i due avevano chiacchierato del più e del meno, senza mai entrare in argomentazioni spinose ed eccessivamente serie; alla fine però il discorso ricadde sul motivo del loro incontro.
Killian non rispose subito alla domanda. Prima prese un grande respiro.
Dopotutto, il resto della domanda era implicita. Come mai hai accettato di guidare una spedizione del genere ben sapendo che qualsiasi altro mago si sarebbe tirato indietro proprio a causa della sua pericolosità?
«L’ho fatto per Lily» disse e per un attimo – un piccolissimo istante di debolezza – il suo sguardo si perse; la mente inghiottita dai ricordi.
Poi tornò lucido e con un sorriso si affrettò a spiegare. «Ah, Lily è mia sorella. È un’adolescente esagitata. Non le va mai bene niente, ha un mucchio di problemi e passa le giornate in preda agli sbalzi d’umore ma tutto sommato è una sorella fantastica.»
In tutta risposta, il sorriso di Rehagan si fece ancora più luminoso. «Da come ne parli sembra tu le voglia molto bene. A sentirti, quasi t’invidio!»
«Non credo ti convenga. L’adolescenza sa essere terrificante. E se l’adolescente in questione è Lily... diventa un inferno in terra.»
 

 
§
 

 
Si presentò alla sede dell’Ancient Aurora con un po’ di agitazione nel cuore.
Una volta varcata la soglia di quel posto ricco di cultura, Nypha si guardò attorno alla ricerca di un volto familiare. Purtroppo, e avrebbe dovuto saperlo, non c’era traccia di lui – questo stava a significare che avrebbe dovuto approcciarsi a qualche sconosciuto e chiedere di Killian.
La verità era che in condizioni normali avrebbe rifiutato la sua proposta.
Ma il fatto che centrasse quella gilda in particolare le aveva dato la speranza che forse avrebbe potuto incontrarlo.
Sarebbe stata un’ottima scusa per fare quattro chiacchiere.
A un certo punto, però, la sua riflessione venne interrotta da una voce mesta: «Posso aiutarti? Stai cercando qualcuno?»
Incrociò un paio di occhi verde muschio – anche Nypha aveva gli occhi verdi ma di una tonalità ben più brillante; i suoi sembravano due smeraldi incastonati in un amabile viso di porcellana.
«Sì, in effetti sto cercando Killian.»
La sconosciuta non cambiò minimamente espressione. «Oh, sei qui per la missione a Damocles. Io sono Nimue» asserì. «Lui sta arrivando. Intanto seguimi in biblioteca, è lì che discuteremo dell’intera faccenda.»
Finito di parlare, si voltò e cominciò a camminare verso le scale. Stranita ma al tempo stesso incuriosita dal suo atteggiamento freddo ma pacato, Nypha la seguì in religioso silenzio.
I membri della gilda lì presenti non riuscirono a non sbirciare nella sua direzione. La loro attenzione era stata catturato dal momento esatto in cui la ragazza aveva varcato la soglia dell’Aurora.
Era bella, Nypha. I lunghi capelli d’argento ondeggiavano a ogni passo.
Indossava dei semplici jeans, una maglietta bianca, delle scarpe dello stesso colore e una giacca nera. Ed era proprio quella sua semplicità a renderla ancora più bella.
Eppure, dietro quello sguardo gentile e aggraziato non c’era affatto la docile fanciulla che i più – quelli che non la conoscevano per via del suo lavoro – avrebbero potuto aspettarsi. Perché Nypha era anche una persona determinata; una giovane donna pronta anche a sporcarsi le mani pur di fare la cosa giusta.
Intanto, Nimue l’aveva condotta al terzo piano, nella stanza circolare adibita a biblioteca principale. Non c’era ancora nessuno.
«Gli altri arriveranno tra poco, suppongo» disse Nimue. «Puoi accomodarti intanto che aspetti. Gradisci del tè?»
L’argentea annuì, ringraziandola. Rimase da sola e allora si sentì una completa idiota.
Avrei dovuto provare a iniziare una conversazione con lei, pensò rammaricata. Nel mezzo delle sue elucubrazioni, occupò una delle sedie poste attorno al tavolo, poggiando a terra la valigetta che era solita portare con sé.
A un tratto udì delle voci e involontariamente trattenne il respiro.
«Tu non sai proprio cosa sia lo spazio vitale, vero?!» sbottò una ragazza dai lunghi capelli neri. «Stammi lontana!»
L’altra si limitò a ridacchiare divertita. Nypha le osservò salire gli ultimi gradini, dopodiché la più giovane delle due si voltò a guardarla senza che neanche avesse attirato la sua attenzione.
La vide inspirare profondamente, poi rilassare le spalle.
«E tu chi sei?» chiese, dannandosi per aver usato un tono troppo perentorio.
Allora Nypha si umettò le labbra prima di presentarsi.
«Molto piacere, io sono Eve Ikuko!» esclamò la ragazza dai capelli rossi, avvicinandosi per poterle stringere la mano; cosa che effettivamente fece. Dopodiché l’argentea riuscì a tirare un sospiro di sollievo.
«Non sei molto brava nei rapporti interpersonali» disse a un certo punto Nimue, spuntando fuori dal nulla con un vassoio tra le mani – facendo sobbalzare sia Eve che Nypha, non avendola sentita arrivare.
«Come? No- Io... beh, è vero. Ultimamente è così» si limitò a dire.
«Allora sei come Lily. Lei però, a differenza tua, fa proprio schifo a interagire con le altre persone» spiegò, con una spietatezza che fece rabbrividire tutte e quattro. Intanto che la corvina riprendeva colore – all’incirca – Nimue cominciò a servire il suo famosissimo tè nero all’aroma di limone che tanto adorava, incurante di ciò che aveva appena detto.
Eve soffiò sulla bevanda troppo calda e successivamente posò lo sguardo su Nypha. Ma prima che potesse anche solo pensare di aprire bocca, l’arrivo di un’altra persona la interruppe.
«Oh, ma quante belle signorine abbiamo oggi!»
La mora sbuffò un sorriso. «Piantala con le tue spiritosaggini, Royal» lo rimbeccò. «Perché sei alla gilda, comunque?»
«Ho delle carte da visionare» spiegò e, notando come le sue compagne lo guardavano – ovvero con un’espressione non del tutto convinta –, fece una faccia offesa. «Che c’è? Anch’io lavoro ogni tanto!»
Non passò molto tempo prima che il Master levò le tende. Era fiducioso che Killian se la sarebbe cavata, che avrebbe esposto il loro piano alla perfezione e che avrebbe saputo tenere insieme quello strano gruppetto di maghi.
Non glielo diceva spesso ma era molto fiero di ciò che era diventato. Ancora ricordava il giorno in cui l’aveva incontrato la prima volta e al solo ripensarci fu percosso dai brividi.
Riscese le scale per andare a chiudersi nel suo studio, lasciando nuovamente sole le quattro ragazze – era salito solo per assicurarsi che Lily fosse in vena di fare amicizia; nonostante tutto era costantemente preoccupato per lei.
Speriamo che non ci siano intoppi... pensò.

 
 
§
 

 
Quando arrivarono a destinazione, Killian adocchiò una testa familiare. Non riuscì a non sorridere.
«Sono così felice che tu abbia deciso di venire, Hydra!» esclamò.
Il moro lo guardò con il suo unico occhio scoperto e un’espressione rassegnata si fece strada sul suo volto. «Sono qui solo per sentire cos’hai in mente. Dev’esserci un motivo se hai deciso di fare questa cosa, no?»
«Oh, ma tu sei... Sea Recycle!» disse a un certo punto lo scienziato, allegro come al solito. «Piacere di conoscerti! Io sono Rehagan ma puoi chiamarmi Reha!»
Per un attimo, Hydra si stupì che un tipo del genere lo conoscesse.
Non sembrava avvezzo al genere di vita che conduceva – anzi, con il fisico che si ritrovava probabilmente non sarebbe riuscito neanche a tenere ben salda una cima – ragion per cui gli parve strano.
Di conseguenza... è un tipo che s’informa.
«Ehilà! Diana!» esclamò – o meglio gridò – a un certo punto proprio Killian, sbracciando in direzione della ragazza. Ma vedendo che quest’ultima non se lo filava di striscio, continuò a chiamarla. «Che c’è, non mi hai sentito
Poi rise.
Allora, Diana – che intanto si era fermata accanto al portone d’ingresso – si girò e mise su un’espressione imperturbabile. Lui arrossì lievemente a causa dell’imbarazzo. «In effetti è stata una pessima battuta, me ne rendo conto» borbottò tra sé.
Hydra e Rehagan osservarono con occhi critici la magra figura di Diana. E fu proprio lo scienziato a unire i puntini: dopo la triste battuta di Killian gli erano bastati una decina di secondi per capire di chi si trattasse.
Diana Fonì. E Rehagan non vedeva l’ora di scoprire cosa rendesse tanto speciale quella sua abilità innata – la sua sete di conoscenza era insaziabile, dopotutto. Non si aspettava di ritrovarsi faccia a faccia con l’ultimo componente di quella famiglia.
Dopodiché non perse tempo a presentarsi, con lo scopo di fare amicizia.
La ragazza lo guardò dal basso del suo scarso metro e sessanta, aggrottando le sopracciglia. Lo sa, pensò, a dispetto di quello che sembra è un uomo da cui è meglio stare alla larga. Più che altro per la mia sanità mentale!
«Bene. Che ne dite di entrare? Abbiamo parecchie cose di cui parlare!» disse a un certo punto Killian, avviandosi verso l’interno della gilda.
Mentre saliva le scale – seguito a ruota dagli altri tre – ripensò per un attimo al piano che aveva orchestrato. Era fiducioso, nonostante tutto.
Sapeva che a Damocles avrebbero trovato degli indizi, lui e sua sorella. Sapeva che a un certo punto avrebbero potuto risolvere il loro problema e finalmente – già, finalmente – Killian avrebbe potuto vederla davvero felice.
«Come mai hai accettato di guidare una spedizione del genere?» gli aveva chiesto Rehagan.
Il motivo era tanto semplice, ai suoi occhi. Lily, la sua sorellina... la sua sorellina che in quel momento era seduta sul grande tavolo della biblioteca a gambe incrociate e i gomiti appoggiati alle ginocchia.
Non appena lo vide lo rimbeccò: «Ce ne hai messo di tempo!»
Lui non si scusò neanche – non era davvero arrabbiata.
Killian salutò la sua compagna di gilda dai capelli verdi, si presentò a Nypha e intimò a tutti i presenti di scegliersi un angolino e accomodarsi. Intanto, proprio la ragazza dai lunghi capelli d’argento sollevò le sopracciglia e mise su un’espressione sollevata quando notò finalmente la figura di Hydra sbucare dalla rampa di scale.
Come fosse stata attratta dai suoi pensieri, Diana voltò appena gli occhi verso di lei. In una situazione normale avrebbe cercato di concentrarsi unicamente su Killian e su ciò che aveva da dire ma in quell’istante pensò che forse era il caso di capire con quali persone avesse a che fare.
Li osservò per bene, scandagliò le loro menti ma l’unica cosa che ottenne fu un gran mal di testa. Un dolore lancinante l’attraversò e Diana capì subito che quel tipo di malessere non era normale.
Chiuse gli occhi e si concentrò.
Quando li riaprì, cominciò a sentire tutto perfettamente.
Hydra Kravleton, un marinaio esperto e grande combattente.
Non sapeva se avrebbe accettato o meno la missione, avrebbe aspettato di sentire cosa Killian avesse da dire e poi avrebbe deciso. Non era una persona fastidiosa ma c’era qualcosa in lui che la irritava.
Il suo obiettivo nella vita non le interessava, quindi passò oltre.
Nimue Solar, una maga dell’Aurora che si era unita alla gilda quando aveva soli sedici anni.
Un’esperta botanica che grazie alla sua magia e alle sue conoscenze mediche avrebbe dato un grande supporto alla squadra, senza dubbio.
Ciò che la impensierì fu il suo grande spirito d’osservazione. Sembrava che tutto ciò che incrociasse i suoi occhi venisse analizzato. In sostanza: stavano entrambe studiando i maghi lì presenti anche se attraverso mezzi diversi.
Rehagan Azaria, lo “Sciamano”. Uno scienziato assetato di conoscenza.
Non che ci volesse molto a capirlo; da come si guardava attorno – entusiasta come un bambino in un negozio di caramelle – era evidente la sua spasmodica passione per il sapere.
Tra l’altro, anche lui non aveva perso tempo a raccogliere informazioni. O meglio, erano tutte reminiscenze di informazioni raccolte nel tempo e molte di queste riguardavano lei e altri membri della squadra.
Nypha... Vladamos?
Perché mai lei avrebbe dovuto accettare una missione del genere? Ma poi capì. Lo capì pochissimi istanti dopo, quando la sentì parlare in silenzio, indirizzando i suoi pensieri proprio a Hydra, che già conosceva.
Una ragazza del genere, con quelle abilità – avrebbe dovuto tenerla d’occhio.
Eve Ikuko, una maga proveniente dal Regno di Bosco. Lei-
«Merda» sibilò a mezza bocca, non udita da nessuno.
Diana percepì un dolore vividissimo all’altezza delle tempie, così com’era successo prima. Ma che cosa sta succedendo?!
Alzò gli occhi sulla straniera ma non sentì niente, nessun suono che potesse ricollegarsi al male lancinante che stava provando. Non era lei il problema.
«C’è qualcosa che non va?» domandò allora Killian, l’unico ad essersi accorto del suo repentino cambio d’espressione.
Diana lo guardò; il malessere stava cominciando a scemare fino a sparire quasi del tutto. Scosse la testa, con fare annoiato. «Invece di perdere tempo, perché non ci spieghi il tuo piano?»
Cercò di cambiare argomento e fortunatamente ci riuscì. Avvertì due paia d’occhi fissarla incuriositi ma li ignorò.
E mentre Killian spiegava che a breve si sarebbe presentato l’ultimo componente della squadra – e che stavano, di fatti, aspettando lui – Diana inspirò ed espirò profondamente senza farsi notare.
In quella stanza c’erano otto persone, lei inclusa. Eppure – tolto Killian, di cui non riusciva ad ascoltare i pensieri – c’era una voce di troppo lì dentro.
Ciò la impensierì. Cercare di trovare il bandolo della matassa era però impensabile al momento perché più cercava di isolare quel suono, più il dolore s’intensificava; ragion per cui vi rinunciò.
E decise di concentrarsi su Killian che prese nuovamente la parola: «Eccoti qui! Ti stavamo aspettando!»
Diana sospirò impercettibilmente. Ero così occupata a cercare di fare il punto della situazione che non mi sono nemmeno accorta dell’arrivo di un’altra persona, pensò accigliata.
«Mi scuso per averci messo tanto ma ero piuttosto lontano da Magnolia quando ho ricevuto la tua lettera» asserì il nuovo arrivato. «Il mio nome è Naevin Aori, molto piacere.»
Il mago in questione fece il suo ingresso in biblioteca. Esattamente come Hydra, poteva vantare un fisico allenato e gagliardo; le spalle larghe erano fasciate in una camicia bianca semi aperta e probabilmente di qualche taglia più grande. Portava poi un gilet azzurrino, più scuro della fusciacca indossata in vita; pantaloni scuri e sandali con lacci di cuoio.
Sulla pelle piacevolmente abbronzata spiccavano i suoi occhi dalla tonalità cerulea e i due pendenti d’argento a forma di goccia. I capelli erano neri, di media lunghezza e disordinati.
«Tranquillo, tranquillo» fece Killian.
Aveva capito bene che tipo di persona fosse Naevin – anche per questo motivo l’aveva scelto come membro della squadra; non solo per far loro da guida.
Sapeva come prendersi le sue responsabilità. Non per niente era stato scelto come capotribù.
Killian era bravo a capire le persone e grazie a una rapida occhiata aveva preso coscienza del fatto che avrebbe potuto contare su di lui più di quanto si sarebbe aspettato. Ciò lo fece sospirare di sollievo.
Ne approfittò per presentare velocemente tutti gli altri – in questo modo sarebbero passati alle cose interessanti quanto prima. «A questo punto direi che ci siamo proprio tutti. Non manca più nessuno all’appello!»
Il ghigno che ne seguì fu più che eloquente.
«Possiamo cominciare!»
 

 
§
 

 
Ancora ci pensava, Royal.
Una volta sedutosi sulla sua poltrona d’ufficio, si ritrovò a sospirare ripensando a ciò che era successo il giorno prima. Non riusciva a capacitarsene.
Vedersi negare ciò che amava di più era stato da un lato terribile; dall’altro pericolosamente eccitante. Qualcuno avrebbe potuto dargli del folle ma a lui non importava minimamente cosa pensasse la gente.
Erano tante – tantissime – le voci che giravano sul suo conto. Anche se lo avesse raccontato, dubitava fortemente che qualcuno gli avrebbe creduto.
Lui, uno dei maghi più forti e irresistibili di Fiore, messo all’angolo da una donna? Impossibile! Royal ne era consapevole: il lupo perde il pelo ma non il vizio e lui non era di certo l’eccezione che confermava la regola.
Almeno era quello che credevano loro.
E proprio un attimo prima di cominciare a dare un’occhiata a quei noiosissimi documenti, cominciò a ripensare a lei... e istintivamente le labbra si piegarono un sorriso.

 
 
Il giorno prima


Ci mancò quasi che mettesse le ali tanto stava correndo verso casa. Ogni volta che s’incontravano era come se fossero stati separati per anni e la voglia di stringerla a sé era sempre fortissima.
Quando chiuse la porta d’ingresso venne accolto dalla flebile luce delle candele e dall’aroma grumoso di fiori d’arancio. Lei era seduta sulla sua poltrona; i piedi dondolavano oltre il morbido bracciolo e la tempia appoggiata sullo schienale vellutato.
Era bellissima, come sempre. Indossava niente meno che una camicetta leggera color panna e non appena si accorse di lui un sorriso sardonico si fece strada sul suo volto.
«Sei in ritardo» lo rimproverò bonariamente e limitandosi a passare le dita tra i boccoli dei suoi capelli lunghi. Alle sue spalle, la finestra mostrava un sole rossastro in procinto di tramontare.
Royal abbandonò le scarpe e il gilet prima di avvicinarsi lentamente. «Sì, scusami. Sono stato trattenuto da una vecchia amica...» spiegò, piegandosi sui talloni per poterle sfiorare dolcemente le labbra con le proprie.
Dopo pochi secondi – troppo pochi, per i suoi gusti – lei si scostò.
Inarcò un sopracciglio e fece una smorfia. «Una vecchia “amica”?»
Accorgendosi con quanta poca attenzione aveva cercato di spiegarle il motivo del suo ritardo, Royal ebbe un sussulto. Oh, cavoli, pensò.
«E dimmi, chi è quest’amica?» domandò, portando le dita a sfiorargli il colletto della camicia. Il tono era mellifluo, curioso ma lui non si fece ingannare – dopotutto si trattava di lei.
«B-Beh, Eliza...» mugugnò.
La giovane donna sgranò gli occhi ma il suo stupore durò appena qualche istante, dopodiché si avventò sulle labbra di Royal che per non cadere si ritrovò a doversi aggrappare ai braccioli della poltrona.
Lei mosse prima una gamba e poi l’altra, alzandosi e cedendo il posto a lui per non costringerlo a rimanere in quella scomoda posizione. Quindi Royal venne spinto a sedersi e subito dopo, con una certa impazienza, strinse le dita attorno alle cosce nude della donna che si mise a cavalcioni.
Le mani risalirono senza esitazione alcuna verso il bordo della camicetta ma prima che potesse fare altro, la bionda gliele afferrò, allontanandole dal suo sedere.
Fu nuovamente lei a staccarsi ma allacciò lo stesso le braccia attorno al collo di Royal; entrambi cercarono di riprendere fiato. «Non si tocca» disse.
L’uomo sghignazzò. «Ah, no?»
Di tutta risposta e per rimarcare le sue parole, gli impedì perfino di sfiorarle il viso bloccandogli entrambe le mani contro i braccioli. «Insomma, Roy, fa’ il bravo una volta tanto...»
Non scostò il viso ma rimase a pochi centimetri dal suo. Royal si crogiolò nel profumo che la sua pelle emanava, nel calore del suo respiro e nell’eccitazione che poteva leggere nei suoi occhi. Fece per sporsi e baciarla ancora ma lei ridacchiò tirandosi indietro.
«Quindi sei stato con Eliza per tutto questo tempo, eh?»
«Mi ha riferito delle cose» sospirò. «E comunque non appena ho finito sono corso qui.»
Lei si morse il labbro, azione che non sfuggì a quegli occhi ambrati che tanto amava. «Mh. Sai che sono gelosa. Molto gelosa.»
Già, e non si vergognava ad ammetterlo.
Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa ma sapere che avesse tardato a causa di una sua vecchia amica – che nella sua testa era sinonimo di “ex” – la irritava non poco. Non che non si fidasse di lui... era delle altre che non si fidava!
D’altra parte Royal non aveva paura che gli facesse una scenata. Non era nel suo stile, dopotutto. Ma era ugualmente terrorizzato; perché Clizia sapeva essere vendicativa quando si trovavano in certi contesti.
Pochi istanti dopo, lei cominciò a strusciarglisi contro. Royal si irrigidì all’istante e con sommo orrore capì dove volesse andare a parare non appena constatò che non avrebbe potuto toccare il suo bel corpo.
Volendo, avrebbe potuto ribaltare la situazione ma poi ci ripensò. Voleva farlo davvero? Tra l’altro, lei aveva cominciato a baciargli il collo ed era tutto troppo bello per poter anche solo pensare di fermarla.
Clizia lo guardò. «Le mani mi servono. Fai il bravo e non toccare, intesi?»
Col senno di poi, annuire come uno scolaretto ubbidiente era stato davvero imbarazzante. Gli sbottonò la camicia e man mano che sempre più pelle veniva scoperta, questa veniva baciata e leccata fino ad arrivare al bordo dei pantaloni, facendolo sospirare.
Intanto, Clizia era finita in ginocchio e lo guardava con occhi languidi mentre s’apprestava a liberarlo dalla cintura. Royal trattenne il respiro quando lei fece per scostare l’indumento, lasciandolo in boxer e con un evidentissima erezione. Lo sfiorò con i polpastrelli; al che gli sfuggì un verso.
Ma proprio quando si era ritrovato a dover chiudere gli occhi e a irrigidirsi contro lo schienale della poltrona, lei si allontanò bruscamente e in un attimo il freddo l’avvolse. Spalancò gli occhi solo per vederla dargli le spalle mentre si avvicinava alla finestra, sistemandosi l’orlo della camicetta come se niente fosse successo.
Dopodiché si voltò quel poco che bastava a rifilargli un’occhiata tagliente. «Così impari a essere in ritardo» asserì, tornando a volgere lo sguardo all’imbrunire del cielo.
E Royal capì di essersi infilato in una situazione alquanto spiacevole – sotto più punti di vista. Contò fino a dieci – mentre si malediceva; poi si alzò.
La raggiunse e le cinse la vita con entrambe le braccia, poggiando il mento sui suoi capelli color miele. Clizia non si mosse e non disse niente; si limitò a storcere vagamente la bocca cercando di nascondere un sorriso.
Il moro se la strinse addosso, sempre più vicina, come a volerle impedire di scappare. Cominciò a carezzarle dolcemente le braccia nude, dopodiché inclinò leggermente la testa.
«Mi dispiace» le sussurrò, a un millimetro dall’orecchio.
Avvertendo il suo fiato caldo da così vicino, a Clizia cominciarono a tremare le gambe. Prese un bel respiro e piegò il collo di lato, a mo’ di invito e Royal non se lo fece ripetere due volte.

[…]

Non c’era cosa più bella che averlo vicino, tutto per lei. Ogni volta che si separavano era terribile; un incubo. Ma poi, quando finalmente si incontravano, tutte le insicurezze riguardanti quella strana relazione venivano dimenticate – sparivano non appena incrociava i suoi occhi, non appena lui la sfiorava con le labbra mentre le diceva che fosse bellissima, non appena l’abbracciava e non appena facevano l’amore.
Clizia lo amava con tutta se stessa. E per Royal era lo stesso – nonostante il suo passato da scavezzacollo dongiovanni. Ed era proprio in quei momenti, quelli in cui diventavano una cosa sola, che riuscivano a dirsi tutto solo con lo sguardo. Riuscivano a dirsi «Ti amo» tante di quelle volte che ne avevano perso il conto. Proprio come in quell’istante.

[…]

«Sei bellissima» disse, cercando di riprendere fiato.
Con le dita sfiorò dolcemente i contorni del suo viso, facendola sorridere. Clizia era sdraiata su un fianco proprio come lui; si guardavano negli occhi da quando si erano detti troppo stanchi per ricominciare.
«Anche tu sei bellissimo ma questo già lo sai» sentenziò.
Lui ridacchiò. «È sempre piacevole sentirtelo dire.»
«Nah. Non voglio nutrire il tuo ego già fin troppo smisurato» spiegò, divertita. Si umettò le labbra e subito dopo Royal decise di lambirle con le proprie in un casto bacio, diverso da quelli che si erano dati fino a pochi istanti prima.
Quando si allontanò, gli tornò in mente un fatto che lo irritò non poco. Le prese il viso tra le mani; il suo sguardo si fece preoccupato. «Quelle lettere che hai ricevuto... ti hanno offesa? Non mi hai voluto dire cosa c’era scritto.»
Intenerita, Clizia distese le labbra in un sorriso. «Nient’affatto. Le sue parole non mi hanno toccata. E neanche lui, a dire il vero. Me la sono cavata anche questa volta...»
«Oh, so perfettamente che sai cavartela in qualsiasi situazione» sussurrò dolcemente. «Ma avrei voluto esserci. Gli avrei dato una lezione che difficilmente-»
«Dai» ribatté, interrompendolo. «Alla fine è intervenuto Killian ed è andato tutto bene. Però mi è dispiaciuto per quel vaso, sa? Era carino.»
Allora Royal sospirò, abbandonando la testa sul cuscino e fissando il soffitto con la testa immersa in mille pensieri. Fosse stato per lui, l’avrebbe ammazzato. Chiunque avesse anche solo pensato di sfiorare la sua donna avrebbe fatto prima a scegliersi un posto dove essere seppellito.
Intanto, Clizia ridacchiò in silenzio. Vederlo così geloso la divertiva e ciò le fece tornare alla mente la questione della vecchia amica.
Royal, ignaro di ciò che la bionda stesse architettando, ricominciò a parlare. «Devo dedurre quindi che ti sei trovata bene con la squadra che ti ho inviato.»
«Oh, benissimo» cinguettò. «Ma devo anche ammettere che quel vaso non era l’unica cosa a essere carina...»
Non capendo a cosa si stesse riferendo, l’uomo corrucciò la fronte e si girò a guardarla. Fece per chiedere delucidazioni quando Clizia con aria sognante e le mani giunte al petto parlò: «Parlo di Killian. È davvero carino!»
Sentendo le sue parole, Royal si pietrificò sul posto.
«È stato tanto gentile, sai? È educato, divertente... dovrei invitarlo a cena una di queste sere, quando non sono occupata in teatro!»
«Tu-»
«Scommetto anche di piacergli. Non mi ha mai tolto gli occhi di dosso» asserì.
A quel punto Royal sbottò: «Spero tu stia scherzando! E perché diamine sei così contenta nel sapere che ti ha guardata?»
«Non lo immagini?» domandò, mostrando un sorriso sardonico.
Quelli che seguirono furono attimi di puro silenzio. Nel senso che anche il cervello di Royal si spense per alcuni secondi e la sua mente restò vuota.
Poi, un’immagina orribile lo colpì violentemente – più forte di un calcio sui denti o di una ginocchiata all’inguine.
Io lo uccido, pensò infuriato. A un certo punto, cominciò anche a borbottare tra sé e sé frasi sconnesse del tipo: «Col cazzo che la prossima volta gli chiedo di aiutarti». Oppure: «Stronzo doppiogiochista». O ancora «Se si azzarda a metterle le mani addosso, lo ammazzo con le mie stesse mani».
Al che Clizia rise.
«Tu- Tu mi stai prendendo in giro, vero?» domandò, sperando in una risposta affermativa.
Lei però scosse la testa. «No, io sono super seria!»
Detto ciò gli diede le spalle, sperando di riuscire a farlo dannare ancora un po'. Peccato però che Royal si distrasse non appena posò gli occhi sul suo sedere sodo e... nudo.
Allora gli venne un'idea.
In uno scatto l'abbracciò da dietro e Clizia non riuscì a resistere all’impulso di girare la testa e baciarlo.
«Tu sei mia, non dimenticarlo» soffiò sulla sua bocca. Al che lei sorrise e fece per ribattere con una delle sue provocazioni ma ciò che scivolò fuori dalle sue labbra fu un gemito sommesso.

[…]

Clizia sospirò, quando lui cominciò a muovere la mano.
«E tu sei-»
«Tuo» la interruppe, serio.
Si guardarono, gli occhi bronzei di Clizia erano fissi in quelli dorati di Royal e tutto sembrò amplificarsi. Il respiro affannoso di lei, le mani esperte di lui... al punto che Clizia si lasciò sfuggire un verso.
«Esatto...» esalò.
 
 
 
 
 
 










 

 
TA-DAN!!
Sono riuscita a sorprendervi? Anzi, siamo riuscite a sorprendervi – io e Sissi – con questa storia d’ammore tra Royal e Clizia?!
Ve l’aspettavate? Eh eh >.< spero di no – sarebbe dovuta essere una sorpresa!

Detto ciò. Abbiamo nuovi personaggi: Nypha Vladamos, OC di OphionTheHunter; Rehagan Azeria, OC di runami_lu99Naevin Aori, OC di Always_Merthur.
Sono personaggi meravigliosi che non vedo l’ora di approfondire – ancora una volta, vi ringrazio da più profondo del cuore per avermeli affidati. Prometto che li tratterò bene... più o meno... forse... chissà! XD

In questo capitolo ho voluto dare un po’ più di spazio a Eve per due motivi: dovevo renderle giustizia dopo la sua breve introduzione nello scorso capitolo (spero di esserci riuscita ^^ – farò lo stesso con Naevin, Reha e Nypha, tranquilli) e poi perché doveva essere lei a notare i tatuaggi di Lily e, visto che c’ero già, anche quello di Killian.
Prima della partenza effettiva ci sarà un ultimo capitolo. Eheh ^^

Passiamo alle curiosità. Questa volta una di queste piccole chicche riguarda un OC:

Curiosità n.6 ► Il primo prologo che ho scritto era molto diverso da quello che ho pubblicato. È ancora salvato in cartella e prevedeva la presentazione di Killian e Lily mentre erano a casa, di mattina.  Lily avrebbe dovuto svegliare suo fratello in una maniera davvero molto poco elegante... avrebbe dovuto gettarglisi addosso e fargli male a un fianco, minacciandolo di ribaltare il letto in giardino XD L’unica cosa che è rimasta uguale al prologo definitivo è il fatto che Alastor sia fuori dalla Biblioteca – poveretto.

Curiosità n.7 ► Il cognome di Clizia, il suo aspetto e il suo lavoro sono un riferimento alla famosissima attrice Brigitte Bardot.

Per quanto riguarda la versione integrale della scena di sesso, la pubblicherò tra poco
Ma non vi immaginate chissà quale roba poetica. Ripeto: è la prima volta che mi cimento in un cosa del genere. In ogni caso, saranno ben accette le critiche – basta che siano costruttive.

Poi. Siccome tendo a dimenticarmi le cose... mi stavo dimenticando di pubblicare i prestavolto che alcuni di voi hanno scelto per i propri OC. E niente... eccoli:

EVE ► https://ami.animecharactersdatabase.com/uploads/chars/5688-991410074.jpg
 (Rindō Kobayashi; Food Wars)
Non dovete immaginarvela proprio uguale: infatti Eve ha una ciocca di capelli bianchi sul lato sinistro del viso e ha le lentiggini – oltre a un vestiario totalmente diverso. Lo capirete meglio quando terminerò il disegno.

NAEVIN ► https://www.pinterest.it/pin/588001295109919231/


REHAGAN ► https://www.deviantart.com/pangolino99/art/Rehagan-Azeria-909160852 (Disegno super-iper-bellissimo di runami_lu99)

Per i disegni... T______________________T abbiate pazienza.

Ebbene, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che vi abbia divertito. Io non sono molto convinta di alcune cosucce, ditemi voi ^^
Alla prossima!

Rosy


P.S. In questo capitolo 04 sono presenti tutti gli OC! *^* Chissà quando capiterà di nuovo! XD



 

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Capitolo 6
*** ► 05. Partenza ***


CAPITOLO 05. Partenza


 
 
Dalla finestrella del suo studio, Ella osservava i maghi lasciare la gilda.
Era pensierosa perché lei non conosceva il piano di Killian e se c’era una cosa che la spaventava era proprio non riuscire a capirlo. Quel suo atteggiamento la mandava in bestia, alle volte.
Perché tutto quello che lei voleva era che se ne stesse al sicuro, che non accettasse missioni dalle quali tornava sempre con qualche livido di troppo.
Vorrei poter andare anch’io, pensò frustrata. Ma poi sbuffò, sapendo perfettamente il motivo per il quale non era stata presa inconsiderazione. Lei non avrebbe potuto fare niente se non prendere a picconate qualcuno.
Non era una maga. Non avrebbe potuto essere d’aiuto tanto quanto Nimue che, anche se non utilizzava spesso la sua magia, era comunque in grado di curarli o quanto Lily.
Sospirò tristemente. Quanto avrebbe voluto essere al fianco di Killian!
«Sei angosciata» sentenziò proprio Nimue, apparendo alle sue spalle.
Ella sussultò e per un attimo le sembrò che il cuore si fosse fermato, poi si voltò a guardarla sorridendo mesta. «Non è niente, davvero.»
«Mh-mh...»
Non era affatto convinta, la maggiore.
«Insomma, com’è andata la riunione? Hanno accettato tutti?» chiese allora la rossa, cambiando argomento.
L’ultima cosa che voleva era far preoccupare i suoi amici.
Di tutta risposta, Nimue inspirò ed espirò profondamente – cosa che lasciò alquanto basita la ragazza. Cos’era successo che lei non aveva sentito? Quasi si pentì di aver insonorizzato il suo studio.
Ma poi ripensò a quanto rumore facesse ogni volta che azionava alcuni suoi macchinari e al fatto che molti dei loro compagni non riuscissero a concentrarsi a causa di tutto quel fracasso.
«Hydra non ne era un granché convinto ma poi ha accettato anche lui» spiegò lentamente.
Ella continuò a domandare: «E come ti sono sembrati gli altri?»
«Sono maghi eccezionali, non c’è dubbio. Lo si capisce solo guardandoli. Prendi Nypha, per esempio...» disse, avvicinandosi alla finestra da cui era ancora possibile vederli andare via. «Sembra timida e insicura ma avessi visto com’è scattata quando Lily ha cominciato a insultare Hydra.»
Allora la rossa corrucciò le sopracciglia, voltandosi a guardarla. «Lily ha insultato Hydra? Perché?»
«Il solito. È riuscita a litigare anche con Diana» spiegò.
Ella assunse un’espressione sofferente e si spalmò una mano sulla faccia.
Dalla finestra adocchiò la figura della corvina camminare al fianco di un uomo di lunghi capelli fucsia legati in una coda e una ragazza con indosso un poncho color ocra. Ma anche vista da lontano, sembrava parecchio stizzita.
«Come ha fatto a litigare con lei? L’ha appena conosciuta!» esclamò.
Nimue fece un’alzatina di spalle. «È incredibilmente facile prendere in antipatia una persona solo perché ci assomiglia, lo sapevi?»
«Vuoi dire che Diana e Lily sono fatte della stessa pasta?»
«Più o meno. La nostra amica è una stronza il più delle volte ma sai anche tu com’è fatta. È irruenta, è la classica persona che pensa che attaccare per primi sia meglio che venire attaccati.»
Ella annuì.
Quando era entrata a far parte della gilda aveva solo otto anni mentre Lily ne aveva dieci. Si erano conosciute quando la rossa aveva appena perso la persona più importante della sua vita e Lily non sapeva affatto cosa fare per confortarla. Ma si era messa in testa di poterlo – e doverlo – fare perché odiava profondamente sentirla piangere e lamentarsi.
Le pettinava i capelli ogni giorno, le raccontava diverse storie, le insegnava i nomi delle costellazioni e le innumerevoli leggende che le riguardavano. Poi però, un giorno, Lily era scoppiata inspiegabilmente in lacrime.
«Ce la sta mettendo tutta» le aveva detto Killian, un giorno. «Non sapendo nulla di tua sorella e non conoscendo appieno nemmeno te, sta cercando di imitare suo padre per farti sentire meno sola.»
«Suo papà è- è morto?» aveva chiesto, a voce bassa.
Lui non aveva risposto subito. E quando lo fece, mostrò un sorriso triste: «Non è morto. È una storia complicata
Se lo ricordava perfettamente, quel giorno. Erano diventate amiche quando Ella le si era avvicinata e Lily aveva cercato di nascondere il viso rigato di lacrime contro il libro che faceva finta di leggere. Avevano stretto il loro primo, vero legame nel momento in cui Ella – presa la spazzola che l’altra aveva lasciato cadere a terra – aveva cominciato a pettinarle i capelli morbidi come seta.
Dopo quell’avvenimento, aveva cominciato a sorridere di più.
«Quand’eravamo piccole si infastidiva quando piangevo» disse.
Nimue annuì. «Perché rivedeva in te il suo stesso dolore. E sappiamo tutti quanto Lily sia orgogliosa. Non sopporta i suoi stessi difetti, figurati se ad averli è anche un’altra persona.»
La ragazza si ritrovò d’accordo con le sue parole.
Ma non voleva continuare a pensare al passato – perché altrimenti avrebbe trascorso tutto il giorno a deprimersi in un angolino della gilda. Diana, la ragazzina dai capelli raccolti in una coda bassa, era sparita alla vista così come il loro compagno di gilda, seguito a ruota da Nypha.
Quando Ella posò gli occhi nocciola sulla figura di Killian pensò a quanto fosse carino. Lo vide parlottare amichevolmente con un mago dai capelli scuri e sorrise. Gli angoli della bocca si piegavano sempre all’insù quando c’era Killian, era qualcosa che non riusciva a controllare.
«Sei tenera» asserì l’amica.
Allora la rossa s’imporporò per l’imbarazzo. «Ma-?! Nimue!! Ti prego!»
«Cosa? È la verità.»
Ella cominciò a mugugnare qualcosa di non facilmente comprensibile e solo dopo qualche secondo sembrò riprendersi dall’apparente shock. «Non posso farci niente, mi piace troppo!»
A quel punto Nimue sospirò.

 
 
§

 

Naevin era arrivato a Magnolia giusto quella mattina e non aveva avuto il tempo di fare nient’altro se non recarsi alla gilda di Ancient Aurora per capire come si sarebbero mossi. Non appena aveva ricevuto quella lettera era stato felicissimo.
Avrebbe non solo avuto occasione di andare a Damocles così come aveva progettato di fare, ma avrebbe anche guadagnato qualche soldo nel mentre – non che fosse la sua priorità, comunque. Il solo fatto di poter raggiungere il regno insieme a qualcuno e quindi, con tutt’altra sicurezza, era un altro punto a favore.
Aveva deciso in fretta. Più o meno.
Non gli faceva piacere lasciare la sua gente, chiaramente. Ma altrettanto chiaramente sentiva che era una cosa che avrebbe dovuto fare, una tradizione cui non poteva rinunciare. Ad ogni modo non si aspettava di ritrovarsi in mezzo a un gruppo di maghi tanto variegati.
E non si aspettava nemmeno le prime zuffe. Quelle ragazzine, Lily e Diana, quasi non erano arrivate alle mani. Non ci voleva un genio per capirlo: la corvina era una persona litigiosa come poche e l’altra aveva dimostrato di essere altrettanto permalosa.
Tutto era nato da un commento sprezzante nei confronti del marinaio con la benda sull’occhio. Al che la ragazza dai capelli d’argento si era sentita in dovere d’intervenire, adottando un tono che aveva lasciato parecchi di loro a bocca aperta. Nypha – così si chiamava – aveva zittito Lily in un istante ma senza risultare esageratamente dura.
Infatti poco dopo la corvina si era lasciata scappare un risolino. Forse, si era detto Naevin, aveva capito che la ragazza non era lì solo per fare numero ma che ci fosse qualcosa in lei che col tempo avrebbe imparato ad apprezzare. Poi però la situazione era degenerata.
Hydra le aveva fatto capire senza troppi complimenti che non gli importava assolutamente nulla di cosa pensasse di lui. Lily si era incazzata non tanto per quello, ma per come l’aveva chiamata: Lila. Dopodiché Diana aveva preso la parola suggerendole, assai poco carinamente, di smetterla perché a furia di stare a sentire la sua vocetta stridula, le era venuto un mal di testa allucinante.
C’era stato un breve botta e risposta tra le due, era volato qualche insulto e poi si erano lanciate l’una contro l’altra, determinate a darsele di santa ragione. A calmare le acque era stato Killian.
«Cercate di andare d’accordo, voi due. Altrimenti ne andrà di mezzo tutta la squadra» aveva spiegato, mentre bloccava il pugno di Diana con una mano e stringeva il polso di Lily con l’altra, tenendole distanziate. Era bastato uno sguardo e sua sorella aveva abbassato gli occhi con stizza ed era tornata a sedersi sul tavolo, a gambe incrociate.
In un attimo tutto era tornato tranquillo.
Anche in quel momento, una volta fuori dalla gilda, Naevin si ritrovò a pensare quanto Killian fosse stato bravo. Impedire stupidi litigi che avrebbero potuto mettere in pericolo la missione era forse la prima cosa che un buon leader dovrebbe saper fare. Mentre ci ripensava, visibilmente più rilassato, proprio Killian lo affiancò. «Non mi interessa cosa dirai ma sei invitato ufficialmente a passare la notte a casa mia e di Lily!»
Il moro non si aspettava di certo un’uscita del genere. D’altro canto, il mago dell’Aurora sembrava davvero determinato a non lasciarlo dormire per strada, tanto che alla fine cedette. «D’accordo. Alla fine dei conti si tratta di una notte soltanto.»
L’altro annuì. «Anche Eve e Rehagan staranno da noi fino alla partenza. In questo modo almeno cominceremo a conoscerci!»
Anche Naevin si trovò d’accordo e stava per dirglielo, ma Killian indicò con il mento sua sorella e gli altri due che si stavano già avviando, poco più avanti di loro. «Li ho mandati a fare un po’ di spese per il viaggio.»
In un primo momento il corvino non capì il motivo di quella spiegazione.
Fu Killian a parlare, stranamente serio: «Devo chiederti una cosa.»
 

 
§

 
 
Lei odiava fare shopping.
E odiava essere accompagnata da dei completi sconosciuti. Aveva avuto la possibilità di conoscere Eve la sera prima e si pentì davvero di averla definita una persona simpatica. Parlava un sacco e le stava troppo vicina.
Peggio di lei, solo il ragazzo: Rahegan.
Sembravano essere sulla stessa lunghezza d’onda.
Di sicuro Killian sarebbe contento di sapere che vanno così d’accordo, pensò. A dire il vero, si chiese come ci riuscissero. Eve le aveva detto senza mezzi termini che non si fidasse al cento per cento di loro, eppure riusciva a conversare tranquillamente con quel tizio. Di contro, Lily non conosceva affatto lui. Aveva soltanto capito quanto fosse loquace e quanto risultasse piacente agli occhi del gentil sesso. Lei non era cieca, non biasimava quelle ragazze per averlo squadrato dalla testa ai piedi.
Per quanto smilzo, Rehagan poteva vantare qualcosa di assolutamente più incisivo: il carisma.
È carino, sì, ma è troppo allegro per i miei gusti!
«Più ci penso e più non capisco una cosa» disse proprio lo scienziato, a un certo punto.
Incuriosita, Eve gli chiese a cosa si stesse riferendo.
Lui allora si rivolse alla corvina. «Io so chi sei. Lily, il Demone dell’Aurora...» Al che Lily grugnì infastidita. Lei odiava quegli assurdi nomignoli che di tanto in tanto le affibbiavano. «Ma per quanto ci pensi, non ho mai sentito parlare di tuo fratello. Non è una cosa normale.»
«E perché?» chiese lei, sprezzante.
Rehagan rispose subito, ignorando il tono della ragazza: «Perché non c’è persona che io non conosca in questo regno, in particolare quelle importanti. E se Killian è stato scelto dal re per guidare una spedizione del genere, allora dev’essere importante!»
«Non è il tipo da cercare la fama» disse semplicemente Lily.
Ma l’altro scosse la testa. «Non può trattarsi di una mera questione di fama. Possibile che non abbia stretto rapporti con nessuno in questo regno?»
«Questi discorsi mi annoiano. Cos’è che vuoi sapere?» domandò.
«Beh, innanzitutto, Killian è un mago?»
Eve inarcò profondamente un sopracciglio. In un primo momento si chiese perché fare una domanda del genere; poi capì.
«Certo che è un mago!» esclamò.
Rehagan parve stranito. «Sul serio?»
L’altra annuì con nonchalance. Dopodiché sospirò. «Ti aspettavi una risposta diversa?»
«Ad essere sincero, sì. Tuo fratello è pieno di misteri!» esclamò, entusiasta.
Lily fece appena in tempo a roteare gli occhi al cielo che la rossa le mollò un buffetto sulla spalla. «Ehi, ma quindi sa combattere?»
«Sì e no» rispose, scostandosi di qualche passo per evitare che la toccasse di nuovo senza il suo permesso. Nel farlo fece una smorfia che nessuno dei due comprese appieno. Al che si premurò di “spiegare” con un ghigno stampato in faccia: «Lo capirete quando ce l’avrete davanti.»
Gli altri due si scambiarono un’occhiata.
Allora Rehagan si affrettò a chiederle: «Non puoi dirmelo ora?»
«No» fece Lily.
«Eddai, che ti costa? Lo voglio sapere! Ti prego, ti prego, ti prego! Dimmelo, ti prego!» esclamò, chinando il capo e unendo le mani a mo’ di supplica.
Sta diventando troppo molesto per i miei gusti, pensò lei irritata. «Ho detto di no, non insistere!»
Anche perché ormai sta diventando una questione di principio!
Dinanzi a quella scena più che esilarante, Eve non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Le persone attorno a loro inizialmente li guardarono straniti, poi – abituati agli schiamazzi – tornarono alle loro faccende come se niente fosse.
«Non c’è niente da ridere, Eve Ikuko. Tu sei un altro mistero» affermò Rehagan, lasciando perdere – per il momento – la questione e arrestando il passo. Sentendolo, la rossa smise di ridere e arricciò le labbra, curiosa di sentire quello che ancora aveva da dire. «Da dove vieni?»
«Oh, non lo sai?» domandò, divertita. «Pensavo sapessi tutto, tu!»
L’altro incrociò le braccia al petto, non perdendo nemmeno per un istante il suo solito sorriso. «Sei straniera. Dal tuo accento e dai tuoi vestiti deduco che tu sia di... Bosco?»
«Indovinato» disse, annuendo.
«E poi... usi spesso il carboncino, vero?» domandò, facendola rimanere di sasso. Non che fosse un’informazione che avrebbe potuto svelare qualcosa di segretissimo, ma non si aspettava una cosa del genere.
Ghignò, imitando la sua posizione. «Indovinato ancora. Come hai fatto?»
«Puzzi di legna bruciata[1]» disse Lily a un certo punto. Al che la faccia di Eve divenne ancora più sconcertata.
Puzzo...?
«Io l’ho capito dalle mani» spiegò indicandola. Eve non si mosse, anche perché sapeva per certo quanto i suoi polpastrelli fossero macchiati e a quanto pareva il tipo davanti a lei non si era lasciato ingannare dallo smalto altrettanto nero. «Ah, e sei mancina.»
Ovviamente rimase stupita dalle sue capacità di osservazione ma non lo diede a vedere. Cos’altro sapeva? Killian le aveva assicurato di essere l’unico in squadra a conoscere il suo “segreto” – si chiese come avrebbe potuto reagire Rehagan una volta scoperto. Perché c’era anche la possibilità che lui riuscisse a fare due più due...
Qualcosa le suggeriva di stare attenta e di non attirare troppo la sua attenzione. Poi, improvvisamente, si ricordò delle sue parole: «Non c’è persona che io non conosca in questo regno
A quel punto, Eve si limitò a sorridergli criptica.
«Cosa sei, uno stalker?» domandò Lily, per niente entusiasta di quella conversazione. Il suo unico pensiero era quello di tornarsene a casa il prima possibile. «Muoviamoci che è meglio.»
Detto ciò, velocizzò il passo seguita dagli altri due che continuarono la loro chiacchierata su argomenti più frivoli dei precedenti.



 
§

 
 
Le scale di pietra che dall’alto della scogliera portavano all’insenatura dov’era ormeggiata la nave, erano sprovviste di un qualsiasi corrimano. Si ritrovò a pensare che se si fosse distratta anche solo un attimo, sarebbe scivolata e si sarebbe schiantata sulla sabbia – o peggio, sulle rocce. Nypha rabbrividì a quell’idea e scosse la testa, imponendo a se stessa di non pensare a un’eventualità tanto orribile quanto impossibile.
Insomma, perché sarebbe dovuta scivolare? Cos’era? Una bambina di cinque anni?, pensò divertita. Durante il tragitto, poco più su della spiaggia, si imbatterono in una micro-casa che era stata costruita con un legno dal particolare colore nero. La ragazza pensò subito fosse quella l’abitazione di Hydra che, intanto, si limitò a guardarla tramite il suo unico occhio scoperto per poi parlare: «Puoi entrare a sistemarti. Io intanto preparo Felicia.»
Ma Nypha, che di starsene da sola in una casa che non era neanche la sua non ne aveva minimamente voglia, scosse la testa. «Preferisco aiutarti. Non ho un granché da fare comunque» spiegò, sorridendo.
Lui annuì e insieme proseguirono la discesa. La nave, Felicia, era ormeggiata in un’ampia grotta marina, al riparo dalle intemperie invernali e da occhi indiscreti. Nel vederla, Nypha si sentì pervadere da una forte emozione. Era passato del tempo dall’ultima volta che ci era salita e nel ricordare i momenti trascorsi lì dapprima sorrise, poi guance e orecchie si tinsero improvvisamente di rosso.
Nypha trattenne il respiro e sgranò gli occhi, attenta che il moro fosse troppo occupato a rimirare la sua compagna di viaggio per rendersi conto del suo cambio di espressione. Intanto, lei si diede della stupida almeno duecento milioni di volte perché no, proprio non poteva pensare a quelle cose! Posò la valigetta che si era portata dietro su una piccola roccia, inspirò ed espirò beandosi della sottile brezza che le accarezzava i capelli.
«Oltre alle provviste serviranno dei materassi per le cabine» disse Hydra, sovrastando per un attimo il rumore delle onde sulla battigia. Poi aggiunse sommessamente: «Fosse per me li appenderei all’albero maestro ma so già che Killian avrebbe da ridire. Non sopporto che la gente metta piede sulla mia nave, diamine.»
Nypha ridacchiò senza farsi vedere. «Serve altro?»
«Dovrò spostare alcune attrezzature così da fare più spazio. Una lucidata alla polena non sarebbe male. Anche il ponte ha bisogno di una sistemata.»
Nel fondo di quella grotta naturale c’era una specie di ripostiglio. Nypha aspettò che il ragazzo portasse fuori alcune casse ma proprio quando era in procinto di prenderne una, Hydra gliela tolse di mano.
Il fatto che non le avesse detto nulla confermò i suoi pensieri: era talmente concentrato che non si era nemmeno accorto di star trasportando tutto lui, una cassa dopo l’altra. Al che Nypha, arricciò le labbra. «Ma insomma!»
«Cosa?»
Con le mani sui fianchi e un sopracciglio inarcato, l’argentata si affrettò a parlare: «Ti ho detto che ho intenzione di aiutarti. Fa’ fare qualcosa anche a me, queste casse non sono poi così pesanti!»
E intanto fece per prenderne una ma l’unica cosa che riuscì a fare fu esibirsi in una figuraccia perché evidentemente quella che aveva provato a sollevare conteneva ben altro che delle semplici vele di riserva.
«Lì dentro c’è roba pesante» spiegò atono.
Nypha annuì, incrociando le braccia sul legno. «L’ho notato.»
Allora, il marinaio da un occhio solo sospirò. Insomma, vederla determinata ad aiutarlo gli riportò alla mente alcuni ricordi e non tutti necessariamente adatti a un pubblico di soli maggiorenni. Non lo diede a vedere ma per un attimo si perse a osservarla mentre si guardava attorno, alla ricerca di qualcosa di non troppo pesante da trasportare.
Alla fine, attirò la sua attenzione colpendo il legno di una cassa con le nocche. «La scatola degli attrezzi. È quella laggiù» disse, per poi fare dietrofront e salire sulla nave.
Nypha, felice come una pasqua, si affrettò ma scoprendo, al suo ritorno a terra, che le restanti casse erano già state trasportate. E la ragazza non ci mise molto a mostrare il suo disappunto, gonfiando le guance e incrociando le braccia. Perché diavolo si ostina a voler fare tutto da solo?!
Nel giro di un paio d’ore, Felicia era pronta per affrontare un lungo viaggio. Più o meno.
«Mancano le provviste, no?» sentenziò, a un certo punto l’argentata.
Hydra, che aveva appena finito di lucidare il ponte di prua, si sollevò. «Sì ma Killian ha insistito che ci avrebbe pensato lui. Già mi pento di avergli detto che andava bene.»
«E perché? Mi è sembrato un tipo responsabile.»
Le lanciò un’occhiata annoiata. «Il problema non è tanto lui ma sua sorella. Li... no, Layla
Nypha non era sicura di aver capito. «Intendi Lily?»
«Non è importante il nome. Sta di fatto che è problematica. A dirla tutta sembra lo siano tutti... la nanetta è una vera spina nel fianco, lo spilungone con la coda di cavallo mi infastidisce.»
«Davvero? Mi pare che Rehagan sia piuttosto solare. Come fa a non starti simpatico?» domandò, sinceramente incuriosita.
Hydra non lo avrebbe mai ammesso a voce alta ma il fatto che lo ritenesse simpatico e che lo stesse difendendo con così tanta innocenza gli provocò un silenzioso moto di stizza. Per questo, si limitò ad alzare l’occhio al cielo.
«Piuttosto, è quasi mezzogiorno» disse. «Bisogn-»
«Grande! Cucinerò io! Sai, per ringraziarti di ospitarmi per una notte. E vedrai, sarà così squisito che non potrai più farne a meno!» esclamò.
Illuminata da quei pochi raggi del sole che riuscivano a entrare nella grotta tramite dei fori nella pietra, Nypha sorrise genuinamente in attesa di un qualche responso. Se Lily – o Killian, o Royal – fossero stati lì avrebbero avuto la scusa per prendere in giro Hydra a vita perché l’espressione dubbiosa che aveva messo su era tutta un programma.
«Ne sei sicura?»
L’altra annuì, convintissima. «Ti dico che sono migliorata!»
Il moro si lasciò andare a un sospiro.
«E va bene...»
 

 
§

 
 
William Falkor aveva lasciato l’ospedale con un’espressione grave in volto. L’uomo che era riuscito a sopravvivere all’attacco della Bestia era appena morto. A detta del medico, il poveretto aveva cercato in tutti i modi di lottare contro la morte in tutti i modi possibili ma non ce l’aveva fatta.
Era stato portato d’urgenza in sala operatoria e vi aveva trascorso ben dodici ore; dopodiché era stato sistemato in una stanza singola. Una volta svegliatosi dall’anestesia aveva cominciato a urlare.
Il capitano era stato presente quando il dottor Hook, aiutato da altri quattro medici, era stato obbligato a sedarlo nuovamente. Le sue parole sconnesse, da insensate che potevano sembrare, avevano tuttavia convinto William a dare per certa la notizia che gli era giunta poco prima.
L’anziano non ci aveva voluto credere, all’inizio.
«Un traffico di bambini? Ma sei serio?» gli aveva chiesto, sull’orlo dell’esasperazione.
Bastian l’aveva guardato, altrettanto sconvolto. «Quei bambini sono stati fatti allontanare dai genitori e portati via con l’inganno. Mi duole ammetterlo ma oserei dire che... sì, insomma... che la Bestia li abbia in qualche modo salvati.»
«Non importa se fosse questo il suo obiettivo. Sta di fatto che ha massacrato in quel modo brutale tredici persone.»
William si era poi diretto verso l’orfanotrofio dove erano stati fatti sistemare quelle piccole creature spaventate in attesa di poterli finalmente riportare a casa. C’era chi si era già in qualche modo dimenticato dell’accaduto – volutamente o meno – ma c’era chi ancora sobbalzava a qualsiasi rumore troppo forte o voce troppo grossa. Ad ogni modo tutti, nessuno escluso, lamentava incubi terribili.
Giusto all’ingresso dell’orfanotrofio trovò un suo sottoposto che lui stesso aveva piazzato lì giorno e notte, ad assicurarsi che quei bambini fossero al sicuro. «Notizie dai Master delle gilde? Ho sentito che hanno fatto una riunione a proposito di quanto è successo.»
Roger scattò sull’attenti. «Capitano! Mi spiace, non ne so niente.»
«È stato Jace a organizzare tutto, non mi sorprende che non sia trapelato niente. Il re ha chiesto la collaborazione di tutti ed è nel nostro interesse condividere qualsiasi informazione. Chiama gli altri.»
«Subito, capitano!» esclamò, per poi allontanarsi.
William restò in silenzio per un istante, rimirando il cielo limpido e cercando di riordinare i pensieri. Avrebbe dovuto cooperare con alcuni dei pezzi grossi di Fiore e la cosa non gli sembrava per niente entusiasmante, nonostante c’era chi pensasse che avere vicino personalità del genere fosse davvero fico. Tolto uno di loro – Horace Neil, che era il più silenzioso – gli altri tre erano degli individui tutt’altro che semplici da gestire.
Eliza Barthock, unanimemente descritta dai suoi concittadini come la donna più bella di Dahlia – ma anche la più spaventosa. Fiery Cinder era un agglomerato di maghi uno più forte dell’altro, che veneravano la loro Master come fosse una divinità – per questo, difficile da avvicinare.
Vernon Calaway era, forse tra tutti, il più problematico. Lui era il classico omaccione nerboruto cui non era concesso fare pensieri troppo contorti, sempre pronto per una scazzottata tra amici. I maghi di Iron First non erano poi così diversi da lui.
Su Horace Neil non si sapeva quasi niente. La sua gilda era la più lontana rispetto alle altre, tutte più o meno vicine tra loro. Era senza alcun’ombra di dubbio il più tranquillo, quello simpatico su cui era facile fare affidamento perché la sua sola presenza era in un certo qual modo rasserenante.
Infine, c’era lui: Royal Vandom.
Il piccolo scavezzacollo è diventato un grande uomo, dovresti proprio vederlo, pensò. Ethan, amico mio, spero te la stia passando meglio di noi.
 

 
§
 

 
No, non era affatto migliorata. Se possibile, Nypha era addirittura peggiorata nelle sue abilità di cuoca – sempre se di abilità si potesse parlare.
Era riuscita a far risultare immangiabile persino un uovo sodo, maledizione!
«Tutto okay?» domandò, preoccupata del fatto che il viso di Hydra aveva appena assunto diverse tonalità di colore, dal blu al verde.
Una volta ripresosi da quell’attentato – non sapeva come altro chiamarlo – il corvino la guardò in tralice con il suo unico occhio visibile. «Niente di tutto ciò è okay» sibilò, indicando con un gesto della mano la tavola imbandita di roba disgustosa. «Lo sgombro va pulito completamente dalle interiora prima di cuocerlo. Cos’è questo?» domandò, mentre con la forchetta pungolava qualcosa di scuro e molliccio.
Nypha si mordicchiò la guancia prima di rispondere: «La... pelle?»
Lui scosse la testa. «No, è un rene.»
«Oh...»
Seguirono pochi istanti di puro silenzio, rotto soltanto dal rumore delle onde. L’abitazione del ragazzo era davvero piccola ma altrettanto funzionale e abbellita con alcuni trofei di pesca che aveva scelto di appendere a mo’ di quadri. Primo fra tutti un pescespada posto al di sopra di un caminetto.
«Dai, vieni qui» disse a un certo punto Hydra, alzandosi e avvicinandosi ai fornelli. Se qualcuno della gilda l’avesse sentito in quel momento, avrebbe avuto dei seri dubbi al riguardo. «Innanzitutto ti spiegherò come si pulisce, poi passeremo alla cottura.»
E no, non ammetteva repliche. Ormai l’aveva annoverata tra le missioni da portare a termine a costo di metterci una vita.
D’altro canto, Nypha annuì, incoraggiata a dare il massimo. Seguì passo passo ogni suo movimento e ascoltò i suoi suggerimenti su come sventrare il pesce in poche e semplici mosse.
E proprio mentre la ragazza si avvicinò al frigo per poter prende alcuni ingredienti per la cottura, con la coda dell’occhio intravide qualcosa. Lì – accanto al cestino, in bella vista – c’erano un paio di bustine di plastica dall’aspetto familiare. Quando capì cosa fossero, Nypha singhiozzò dalla sorpresa.
«Che hai?» domandò lui, avendo sentito quello strano suono.
L’argentata agguantò rapidamente le prime cose che le capitarono a tiro – un barattolo di sottaceti e una bottiglia di salsa piccante – per poi voltarsi nella sua direzione, come colta nel sacco. «Niente. Assolutamente niente.»
Hydra si fece preoccupato. «Hai intenzione di usare i sottaceti?»
«E-Eh? Io... non saprei... hanno un sapore simpatico, no?»
Il corvino scosse la testa e la pregò di rimettere a posto quella roba.
Lei obbedì ma da quel momento la sua mente cominciò ad andare da una parte all’altra senza mai fermarsi, ignorando tutti gli avvertimenti di Hydra e finendo per mettere lo zucchero al posto del sale. Come se non bastasse, bruciò tutto.
«Oggi hai la testa da tutt’altra parte, eh?»
Nypha ridacchiò nervosamente, cosa che a lui di certo non sfuggì.
«Che hai?»
Lei sospirò, andandosi a sedere sul divano. Nonostante lo sconforto, la sua postura rimaneva dritta ed elegantemente controllata. Le spalle portate indietro, le gambe piegate leggermente di lato e le mani in grembo tradivano una certa educazione. Hydra non poteva dire di conoscerne il significato, anche perché la ragazza aveva sempre cercato di sviare l’argomento in un modo o nell’altro fino a che non gliel’aveva detto chiaro e tondo con un mesto sorriso: «Non voglio coinvolgerti in questo, scusa.»
«Sono preoccupata... per domani. Tutta quella gente nuova» disse, non volendo parlare del perché ci fossero dei preservativi nella sua cucina – non erano neanche affari suoi, non era mica la sua fidanzata! «Scommetto che qualcuno di loro mi conosce già per via del mio lavoro. Anzi, sono sicura che Killian lo sappia già altrimenti perché mi avrebbe fatto recapitare quella lettera?»
«E allora?» fece lui. «Lui non è il tipo da farsi frenare da cose del genere. È forse l’unica persona normale in quella gilda di secchioni.»
Andò poi a stravaccarsi sulla poltrona.
Nypha lo guardò, ancora non del tutto convinta. «Sì, ma-»
«E poi è il Master, sa come farsi rispettare.»
Lei fece per rispondere ma poi si accorse di un qualcosa che non andava. «Aspetta, cosa? In che senso? Il Master dell’Aurora è Royal Vandom.»
«Chi? Ah, lui. No, non credo. È un tale idiota.»
A quel punto Nypha scoppiò a ridere. Si portò la mano alla bocca e rise di gusto fino a quasi farsi uscire le lacrime agli occhi. «Non ci posso credere. Eri davvero convinto che fosse Killian? Ma se lo conoscono tutti! Il vero Master, intendo!»
Il corvino inarcò un sopracciglio, facendosi improvvisamente serio. «Quando sono entrato nella gilda ho parlato con Killian e con nessun altro» spiegò. «Quindi ho subito pensato fosse lui a capo della baracca.»
Nypha dovette tenersi la pancia a un certo punto. Si morse il labbro e per un attimo, quando lo guardò tra le risate, le sembrò per un attimo di intravedere uno strano luccichio nel suo unico occhio scoperto.
Che bel colore, è come fissare il mare, pensò a un certo punto.
Poi decise di alzarsi e fare qualcosa per tenere la mente occupata.
 
 
§
 

 
Che sua sorella non fosse abituata ad avere gente attorno lo sapeva fin troppo bene. Circondata da facce nuove si sentiva un pesce fuor d’acqua e l’unica cosa che riusciva a fare era assumere un atteggiamento irriverente.
Killian aveva sempre cercato di correggere quel suo modo di fare ma lei continuava a mostrarsi scontrosa e particolarmente irascibile. Ma quella sera pensò di stare assistendo a un miracolo.
Avevano deciso di grigliare della carne che Lily e gli altri avevano comprato proprio quel pomeriggio – naturalmente la corvina si era detta entusiasta all’idea. Era in assoluto il suo cibo preferito e grazie a quest’elemento in comune, riuscì persino a scambiare qualche parola con Naevin.
Lui, tra tutti, sembrò legare abbastanza velocemente con la ragazza. E poi, sentirla ridere ai racconti del nomade era musica per le orecchie di Killian. Certo, era un po’ presto perché si aprisse completamente ma pensò che per il momento andava bene così.
«Aspetta, ma quindi tu e la tua gente fate parte della tribù dei Lakad?» chiese allora Reha, entusiasta. «E dove sono i tatuaggi?»
Naevin rise, certamente felice di tanto interessamento. Di solito era estremamente difficile trovare delle persone ben disposte nei loro confronti. Ragion per cui fu con un certo orgoglio che scostò la manica della camicia per lasciar intravedere gli anelli d'inchiostro che gli decoravano l’avambraccio sinistro: i primi due in prossimità del gomito e gli altri due accanto al polso.
«Wow» esclamò Lily, addentando uno spiedino.
«Lo sai, quando ti ho visto alla gilda mi hai quasi fatto paura» cominciò a dire Eve, ridacchiando. «Insomma, così grande e grosso, e poi con quello sguardo truce... sembravi un malintenzionato!»
Naevin non si offese per quella constatazione e anzi se la rise. «In realtà stavo solo pensando. Non avevo e non ho nulla contro di voi, mi siete simpatici. Anche tu, marmocchia irascibile.»
Diversamente da quello che i più avrebbero potuto immaginare, Lily quasi si strozzò a causa delle risate. «“Marmocchia irascibile” non me l’aveva ancora detto nessuno!»
«È un gran bel soprannome. Penso che comincerò a chiamarti così invece che “pazza isterica”» esclamò Killian.
Ecco, lì la corvina fece l’offesa ma Eve le diede una gomitata giocosa, attirando la sua attenzione. «Su, su, non arrabbiarti adesso!»
«Sei uno stronzo, sappilo» sibilò invece la corvina, in direzione del fratello che, di tutta risposta e in maniera molto poco matura, la scimmiottò.
«Non potreste essere più diversi, voi due» asserì a un certo punto Reha, poggiando il piatto ormai vuoto sulla pila che si era creata tra lui e il nomade. «Ma siete davvero fratelli?» domandò, ironico.
I due chiamati in causa si guardarono per un attimo, in silenzio. Killian ridacchiò, allentando di poco la cravatta bolo e dopodiché parlò: «In effetti, non abbiamo alcun legame di sangue.»
I tre maghi spalancarono gli occhi, presi alla sprovvista. Di certo non si aspettavano una tale ammissione con così tanta leggerezza – e soprattutto non si aspettavano la non reazione di Lily, che solitamente era sempre la prima a farsi conoscere. Infatti, Naevin le lanciò un’occhiata solo per vederla concentrata a togliere un pezzetto di carne incastrata tra i denti.
«Sei serio?» chiese Eve.
«Sì, perché?»
A quel punto Lily sbuffò. «Non è poi una cosa tanto straordinaria, se ci pensate.»
Già, in effetti è così, pensò proprio la rossa con un sorriso.
«Beh, l’ho praticamente adottata!» esclamò Killian. Ripensare a quel giorno faceva male, non v’erano dubbi – entrambi avevano lasciato andare persone importanti; la loro vita era stata completamente stravolta.
Eppure, la loro era stata una gioia nel dolore. Poter stare insieme, potersi sostenere a vicenda: era ciò di cui avevano avuto bisogno – si erano trovati e avevano deciso di procedere l’uno accanto all’altra per poter raggiungere i loro obiettivi. Che fossero diversi poco importava.
Lui gliel’aveva giurato. L’avrebbe sostenuta sempre.
«Questione di sangue o meno, si vede lontano un miglio che siete molto legati» asserì Rehagan.
Sentendo ciò, Lily sembrò quasi imbarazzarsi.
«Oh, ma che carina!» esclamò la rossa, ridendo.
«‘Fanculo, Eve!»
Killian corrucciò la fronte. «Linguaggio!»

 
 
§
 

 
Da quanto tempo la osservava? Volente o nolente, era stato costretto a starle accanto e ad assistere a ognuna delle sue sceneggiate senza poter intervenire come avrebbe voluto. Ovvero: dandole una botta in testa.
Lily era fondamentalmente un disastro.
E lui la detestava.
L’aveva vista struggersi per mille motivi diversi e per la maggior parte di questi non valeva la pena piangere lacrime amare quando c’erano ben altri problemi da risolvere. Lui, ad esempio. Doveva liberarlo da quel supplizio e lasciarlo libero di tornarsene a casa sua, tra i morti, dove avrebbe vissuto in santa pace e senza una ragazzina petulante a confondergli la testa.
A volte faceva fatica a capirla, davvero. Il tizio di cui eri perdutamente innamora ti tradisce? Tagliagli le palle e via, avanti il prossimo. Molti di quelli che lei chiamava “problemi” si sarebbero risolti in un niente.
Ma no. Lily era una tale melodrammatica.
«La smetti?»
Lui neanche si scomodò. Non la guardò. Continuò a bearsi di quel leggero dondolio – l’amaca su cui era sdraiato avrebbe dovuto essere considerata l’ottava meraviglia del mondo, a suo dire – e della brezza che gli solleticava la pelle. Di fare cosa?
«Di darmi della melodrammatica. Tu lo sei molto più di me. Ti devo ricordare quando hai fatto una scenata perché volevi a tutti i costi farmi provare quei funghi allucinogeni?»
Lui poteva anche esserselo dimenticato ma Lily ricordava ancora i lamenti strazianti che l’avevano portata all’esasperazione. Tutto perché l’Idiota voleva vedere se in qualche modo lo sballo sarebbe arrivato fino a lui, che praticamente viveva nella sua testa.
Sei un’egoista. Avresti potuto assaggiarli e forse io avrei toccato il cielo con un dito.
«E tu potresti smetterla di condividere i tuoi pensieri sempre e solo quando hai qualcosa da ridire su di me? Sei uno stronzo.»
Il fatto che a dirlo fosse proprio lei, aveva del comico.
Con i tuoi insulti mi ci lavo le palle. E Orias non era mai stato la personificazione della finezza. Proprio no.
«Io ti odio, sul serio» disse lei.
Ma va’.
Lo ignorò. Era l’unica cosa che avrebbe potuto fare.
Dopotutto, la loro era una vera e propria convivenza. A un certo punto aveva persino smesso di arrabbiarsi. Più o meno. Perché, anche se le costava immensamente ammetterlo, Lily cedeva spesso sotto il peso di alcune sue parole.
Orias era il più delle volte sarcastico, pungente. Riusciva perfettamente a cogliere e premere sul punto più doloroso, specie quando si trattava di lei.
E lo faceva – girava il coltello nella piaga più spesso di quanto lei desiderasse. Così facendo, distruggeva qualsiasi sua certezza e la ricostruiva da zero, quasi a volerla spingere a pensare come lui.
Quasi a volerla rendere più forte.
Questa è la più grande cazzata che io abbia mai sentito!
Per tutta risposta, Lily gli lanciò addosso la sabbia che fino a quel momento stava facendo scivolare tra le dita, assorta nei suoi pensieri. La reazione del ragazzo fu scontata.
Ma che- cazzo-! Si alzò dall’amaca come una molla e cominciò a scrollarsi di dosso tutta la sabbia. La mora lo guardò dal basso, seduta a gambe incrociate, e trattenne a stento un risolino.
Lo ascoltò mentre imprecava prima contro di lei e poi contro gli Dei che lo avevano costretto a una morte tanto miserabile – e cioè in sua compagnia.
Dopodiché, Lily si concentrò sul paesaggio. Non sognava una spiaggia del genere da parecchio tempo e ciò le diede da pensare. La sabbia era fredda, quasi gelata, e nera. Una spiaggia del genere l’aveva vista e toccata realmente solo quand’era bambina e capire di poterla rivivere in sogno era stato a dir poco emozionante.
Il mare era calmo, una tavola, e aveva in sé dei riflessi rossastri per via del sole che era in procinto di tramontare oltre la linea dell’orizzonte. La luna era appena visibile e non c’erano nuvole.
Mi è entrata la sabbia nelle mutande!
Ecco come rovinare un’atmosfera paradisiaca, si ritrovò a pensare.
Orias immerse le mani tra i capelli e cominciò a scuoterli, leggermente piegato in avanti; subito dopo alle sue imprecazioni si sostituirono quelle di Lily. «Eddai!»
Lui rise, mostrando ben quattro paia di zanne; due su ogni arcata dentale.
Di che ti lamenti? Hai cominciato tu!
A conti fatti, Orias era soltanto un bambino troppo cresciuto.

 
 
§
 

 
Avrebbero dovuto partire alle prime luci dell’alba ma Killian era stato difficile da svegliare. Con pochi minuti di ritardo il gruppo raggiunse la spiaggia e a pochi metri da questa, ormeggiata al molo che Hydra aveva personalmente costruito anni orsono, c’era Felicia.
I membri dell’Ancient Aurora non ne furono molto sorpresi perché l’avevano già vista, ma dovevano ammettere quanto risultasse imponente vista da vicino. Si trattava di una goletta né troppo piccola né troppo grande a vele auriche; ma a differenza della Mezzana e della Maestra, l’albero di trinchetto, montato a proravia di quest’ultima, aveva un sartiame in vele quadre[2], sulla cui più grande era impresso il simbolo della gilda.
All’estremità prodiera dello scafo v’era la polena: una statua lignea dai colori del bronzo che raffigurava una giovane donna dai lunghi e ondulati capelli, e con le mani giunte in preghiera.
«Per la miseria, è bellissima!» esclamò Rehagan, al settimo cielo.
Seduto su uno scoglio abbastanza alto c’era il proprietario della nave che li fissava con sguardo truce. Non si scomodò a scendere, né a dar loro il buongiorno – figurarsi – ma invece aggrottò maggiormente le sopracciglia e parlò con tono grave: «Il primo che tocca qualcosa, qualsiasi cosa sulla mia nave finirà a far compagnia ai pesci. Sono stato chiaro?»
«Pensavo che ci avresti fatto la predica per il ritardo» disse invece Killian, per niente toccato dalla minaccia.
In quel momento, dal parapetto si affacciò Nypha che un po’ impacciatamente li salutò.
Fu sempre Killian a parlare, a nome di tutti. «Oh, buongiorno anche a te!»
Lily le lanciò un’occhiata dubbiosa. Dov’è finita la tizia che soltanto ieri mi ha risposto a tono? Se l’è mangiata? «Sì, tutto magnifico. Buongiorno, buongiorno a tutti. Manca ancora qualcuno?» domandò.
«Non direi» sentenziò Nimue, palesando la sua presenza accanto all’argentata. Il vento le scompigliava i capelli ma a lei non sembrava dare fastidio. «Diana è stata l’unica ad arrivare puntuale» disse.
La maga con il kimono non aggiunse altro, in piedi all’ombra della scogliera. Non era stata nemmeno notata dal gruppo dei ritardatari.
«Perfetto!» esclamò Killian. «Possiamo partire, no?»
Rehagan fu il primo a salire a bordo, osservando con minuzia gli intarsi dorati che spiccavano sul legno color pece. Lui, che in genere si intendeva di qualsiasi argomento, aveva capito subito la qualità del materiale che Hydra aveva scelto per costruirla. Certo, non riusciva a immaginare come ne fosse entrato in possesso ma per il momento mise da parte la cosa per concentrarsi su altro. O meglio, su Diana. Lei, avvertendo i suoi pensieri, gli rivolse un’occhiata a dir poco scocciata.
«Non mi aspettavo una nave così grande. La governi tutto da solo?» domandò Naevin, ammaliato dal contrasto delle vele bianche con l’azzurro del cielo, ancora rosato per via dell’aurora.
«Sì» rispose atono, il marinaio.
«Wow, dev’essere faticoso» si limitò poi a dire.
Poco distante da loro, Eve si accostò a Nimue e Nypha, per salutarle allegramente. «Pronte per quest’avventura?»
«Abbastanza» disse l’argentea, abbassando gli occhi sulle proprie scarpe – come se a un certo punto fossero diventate la cosa più interessante del mondo. Con non poco sforzo, Nypha ingollò il magone d’ansia che le faceva palpitare il cuore e chiese: «Avete mai viaggiato? Per mare, intendo.»
Eve scosse la testa, tristemente. «No, purtroppo no. Wilbourn è praticamente dall’altra parte del paese rispetto al mare! Ed è così bello!»
L’ultima frase era stata praticamente urlata.
Per lei, che aveva visto quell’immensa distesa d’acqua soltanto una volta, quello poteva annoverarsi tra i giorni più felici della sua vita.
«Ti piace il mare, eh? Anch’io lo adoro!» esclamò Killian, in procinto di salire a bordo. Hydra stava aspettando che attraversasse la rampa così da levare l’ancora, ma una voce attirò l’attenzione dei maghi. Lily si chiese il motivo della sua presenza lì ma riuscì a immaginarne il motivo non appena adocchiò cosa stringesse tra le mani – contemporaneamente maledì suo fratello per non avergliene fatto parola, di nuovo.
«Aspettate!» gridò ancora, scendendo gli ultimi scalini di pietra e atterrando finalmente sulla sabbia morbida, incurante della brezza che per un attimo le sollevò la gonna. «Eccomi! Le ho portate!»
Ella si fermò sul molo, giusto a pochi passi dalla rampa. Si piegò per recuperare fiato e per non mostrare quello spettacolo pietoso – viso arrossato dalla corsa e un’espressione sfiancata – proprio alla sua cotta.
Una volta ripresasi, anche se non del tutto, tornò dritta e sorrise fieramente ai maghi che la fissavano da sopra la nave. Quando però i suoi occhi caddero sulla figura di Killian il suo cuore mancò un battito.
Oddio. Oddio. Oddio!
«E-Ecco, io- io le ho... ehm... le ho portate» disse, quasi in un sussurro.
Dall’alto, si udì la voce curiosa di Rehagan: «Portato cosa?»
Killian le sorrise e si avvicinò quel tanto per ricevere il cofanetto di legno che Ella gli stava porgendo. «Grazie mille! Sei stata fantastica!»
La rossa si mordicchiò le guance, profondamente in imbarazzo.
«N-Non c’è di c-che.»
«Per un attimo ho temuto che dovesse salire anche lei» sentenziò Hydra, memore del fatto che la ragazzina soffrisse il mal di mare.
Lily fece scioccare la lingua al palato, stizzita dal commento, ma non disse niente. Si limitò a un’occhiata velenosa che purtroppo non sortì l’effetto sperato perché il corvino la ignorò bellamente.
«Ah, e... ho una cosa per te, Lily!» esclamò a un certo punto proprio Ella.
Incuriosita, l’amica si sporse dal parapetto e afferrò al volo l’oggetto che le aveva lanciato. Quando aprì il pugno, vide un orecchino fatto a mano.
Notando la sua espressione confusa, la rossa si affrettò a spiegare: «È la pietra di Luna che ho trovato giorni fa, ci ho fatto un gioiello. Purtroppo, non sono riuscita a farne un secondo ma spero vada bene lo stesso!»
Lily sorrise di cuore. «Ti ringrazio!» esclamò, per poi indossarlo immediatamente all’orecchio destro.
«Vedrai, ti farà dormire sonni tranquilli. È una delle sue proprietà.»
«Perché? Cos’altro fa?» chiese allora.
Ma Ella non fece in tempo a rispondere che Rehagan si interpose nella spiegazione. «Se magica, la pietra di Luna, ha molte qualità. Per esempio, mitiga i sentimenti negativi e favorisce quelli positivi. Tra l’altro, in caso di forti emozioni potrebbe addirittura assumere un tipo diverso di sfumatura.»
Naevin quasi non riuscì a credere alle sue orecchie. «Certo che ti destreggi bene con qualsiasi argomento, eh?»
«Per forza, sono uno scienziato!» esclamò, fiero.
Anche Ella ne rimase stupita. Erano poche le persone che si interessavano a quella materia specifica, anche in una gilda come Ancient Aurora.
Solo a quel punto Killian decise che fosse ora di partire. Diede un’ultima occhiata al cofanetto non ancora aperto e poi sorrise in direzione della ragazza che, accortasi di essere osservata, avvampò d’imbarazzo.
Eve ridacchiò, gongolando.
Eh sì, è propri cotta, pensò invece il nomade, abbastanza divertito.
Allora Killian la salutò. «Ti ringrazio davvero, Ella. Mi raccomando, non farti influenzare da quella specie di Master lavativo che ci ritroviamo.»
Le scappò un risolino senza che se ne rendesse conto. «Certamente. Starò attenta. A proposito, vi saluta e vi augura buon viaggio!»
«Quell’idiota non è nemmeno venuto a salutarci» borbottò Lily.
Nimue si voltò a guardarla. «Ti dispiace che non sia venuto.»
«Ma neanche per idea!» ribatté la corvina, inviperita.
«La mia non era una domanda.»
«Cazzo, Ninì, piantala!»
Dinanzi a quella buffa scenetta, Ella sorrise. Le sarebbero mancate. Eccome. Ma prima di rendersi ulteriormente ridicola, li salutò un’ultima volta.
Augurò loro buon viaggio. Hydra tolse di mezzo la rampa, levò l’ancora e una volta al timone attivò la sua magia. Lo avvolse così un manto azzurro che modellò in diversi tentacoli posti sulla schiena; poco dopo la nave cominciò a muoversi in direzione dell’orizzonte.
«Non sai nemmeno se è a Damocles che troverai quello che cerchi.»
Lily sospirò, roteando gli occhi. Se c’è realmente qualcuno dietro la comparsa delle fate, potrebbe anche sapere come risolvere i nostri problemi.
«Sarà! Ma secondo me ti stai solo illudendo, Lilì.»
In risposta, lei grugnì. Il solo ad accorgersene fu niente di meno che Killian, al suo fianco. E infatti, le rivolse un’occhiata interrogativa e vagamente scocciata. «Cos’ha detto, il Bellimbusto?» No, non aveva mai avuto il piacere di conoscerlo ma aveva imparato a mal sopportarlo quando aveva capito che più della metà di ciò che usciva dalla sua bocca feriva – psicologicamente – sua sorella.
«Niente di che. È il solito cinico» spiegò. Ne seguì un lungo silenzio, interrotto dal rumore delle onde e dalle osservazioni di Rehagan in lontananza che cercava di iniziare una conversazione con il marinaio al timone. «Pensi che troverò qualche indizio?» gli chiese, titubante.
Killian le circondò presto le spalle con un braccio e si abbassò quel tanto da sussurrarle all’orecchio affinché nessuno potesse sentirlo – nemmeno Diana che era concentrata a ignorare il senso di nausea che l’aveva colpita non appena aveva messo piede lì sopra. «Ci sono buone possibilità. Ma devi promettermi che non ti metterai nei guai.»
«Non lo farò» disse, seria e quasi intenerita.
Infine, si guardarono. Lily sorrideva, animata da nuova speranza. E Killian... Killian la imitò, ma con altro tipo di pensieri nella testa.
Speriamo in bene...
 








 



 
 
 
 


[1] Il carboncino è fatto facendo bruciare pezzetti di legna.

[2] Non sono un’esperta di navi ma ho provato a descriverla nella maniera più semplice possibile ma utilizzando alcuni termini specifici: le vele auriche sono quelle a forma di trapezio (tipiche delle golette); gli alberi di una nave sono genericamente di tre tipi (a meno che non ne abbia di più) e sono di trinchetto, di maestra e di mezzana.
 
 
 








Lo so. Avete aspettato tanto. Ma questo capitolo è venuto fuori più lungo rispetto all’idea iniziale quindi prendetelo come dono di scuse per il mio immenso ritardo.

Ci sono delle novità.
Abbiamo Hydra che s’improvvista insegnante di cucina, Naevin che racconta storielle attorno al fuoco, Ella che porta robe e abbiamo Orias. Che pacchia.
A proposito, ho leggermente modificato il capitolo “La Fata e la Bestia” perché ho finalmente deciso come impostare le battute di Orias (combo di corsivo e grassetto) e , ha detto qualcosina anche lì, anche se nessuno se n’è accorto. Vi invito a darci un’occhiata giusto per rendervi conto.

Ad ogni modo... sappiate che tra Orias e Lily le conversazioni non sono mai semplici. Lui, essendo nella sua testa, può captare alcuni suoi pensieri e molto spesso vi ritroverete con lui che risponde a una domanda o commenta a una frase che Lily non ha mai espresso ad alta voce e viceversa... quindi state attenti.
Prima che me lo chiediate: , era lui la “voce di troppo” che percepisce Diana ma a causa di un problemino tecnico – non tanto suo ma dell’improbabile duo – non riesce a capire cosa dica o da dove provenga.
[Tra l'altro, quando sono all'interno di un sogno le battute di Orias non saranno inserite tra virgolette].

Domanda: come ve lo immaginate Orias? Non l’ho ancora descritto perché sono curiosa di sapere voi cosa riuscite a tirare fuori. Chi indovina roba tipo il colore degli occhi o dei capelli vince... boh, qualcosa. Mi verrà in mente.
Tranquilli, non intendo imbrogliare – non avrebbe senso.

Ed ecco finalmente il primo disegno. Il mio scanner fa leggermente schifo, vi giuro che dal vivo è più bello ^^ Tra l'altro vi ricordo che è in bianco e nero.
Spero dia ver fatto un buon lavoro ^^

DIANA 
 https://www.deviantart.com/lailadahl/art/Diana-Foni-917090905

E… l’orecchino di Lily. Giusto per non farci mancare niente.

Orecchino "Pietra di Luna
 https://m.media-amazon.com/images/I/61IIxgh0+DL._AC_UX679_.jpg

Per ultime ma non meno importanti, le curiosità.

Curiosità n.8 ► Chi è il più vecchio tra i miei e i vostri OC? Alastor. Infatti, ha 38 anni; seguito a ruota da Royal, che di anni ne ha 33. E , tra lui e Clizia ci sono ben OTTO anni di differenza; lei infatti ha 25 anni.
Continuiamo a parlare di età? Le più giovani sono Ella e Diana (16 anni), cui segue la nostra dolcissima Lily (18 anni). Tra gli OC, il più “vecchio” è Rehagan che ha 29 anni. La cosa divertente è che dopo di lui ci sono in fila Hydra (28 anni), Naevin (27 anni) e Killian (26 anni). Insomma... 29, 28, 27, 26... Nypha e Clizia hanno la stessa età.
E infine, ci sono Nimue che ha 23 anni e Eve che ne ha 22.
Come dite? Le età degli altri Master? Vi interessa? Per ora sappiate soltanto che anche Eliza ha 33 anni.

Curiosità n.9 ► Lily è stata aggiunta dopo. Inizialmente c’era un altro personaggio femminile a far coppia con Killian durante le missioni e che non era sua sorella – si chiamava Max, diminutivo di Maximiliane. Era bionda e non aveva assolutamente il suo brutto carattere! Killian e Max dovevano essere migliori amici. A.M.I.C.I. e basta.

Pronti per il prossimo capitolo? Da questo momento in poi mi concentrerò più sugli OC e meno sui due fratelli – o al limite utilizzerò questi ultimi per approfondire meglio i vostri personaggi quindi... yeah!

Prima di salutarvi (lo so, vi sto annoiando a morte) vi avverto di una cosa.
Non so quando aggiornerò; come se l’imminente laurea non mi mettesse già ansia di suo, si sono aggiunti alcuni problemi familiari che non mi fanno stare tranquilla. E niente... mi sembrava giusto rendervi partecipi del motivo per cui vi sto facendo aspettare un bel po’. Posso solo dirvi grazie per le belle parole spese nelle vostre recensioni – mi fanno davvero un immenso piacere e ogni volta trovo la voglia di continuare a scrivere questa storia.
Senza contare che ogni volta che le leggo sorrido come una scema e parlo da sola come una pazza.
Alla prossima!


Rosy



 

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Capitolo 7
*** ► 06. Il primo ostacolo ***



CAPITOLO 06. Il primo ostacolo
 




 
 
«Conosco bene le zone, per questo Killian ha richiesto la mia presenza» disse Naevin. «Sono nato a Damocles ed è una tradizione in quanto capotribù quella di tornare ogni anno al luogo in cui si è stati dati alla luce.»
Lily seguì la sua spiegazione con lo stesso interesse con cui l’aveva sentita la sera prima: le era parso entusiasmante potersi spostare senza limiti, poter gioire delle meraviglie del mondo senza averne mai abbastanza. Certo, il nomade non si era risparmiato alcuni avvenimenti fastidiosi, ma poi, quando tornava a raccontare tutte le avventure e tutte le cose buffe che gli erano capitate, tornava a essere radioso come un sole.
«Capisco che questa missione calzi a pennello» intervenne Rehagan, seduto accanto a lui. «Andare a Damocles adesso e senza una scorta può essere pericoloso.»
«Esatto. Comunque, è grandioso poter viaggiare in questo modo. Io e i miei compagni di solito ci spostiamo via terra.»
«Il mare è davvero affascinante!» esclamò a un certo punto Eve poco distante da loro. Era appoggiata al parapetto dell’imbarcazione e osservava con occhi curiosi le onde infrangersi contro lo scafo. «Non sapevo che avremmo viaggiato così!»
«Damocles è raggiungibile anche in treno ma ci sarebbero voluti troppi giorni» spiegò semplicemente Killian. «E poi Hydra è il numero uno. Con la sua nave arriveremo anche prima del previsto, il che ci farà guadagnare del tempo prezioso.»
I maghi, tranne Diana che era scomparsa chissà dove e il marinaio che – per ovvi motivi – non aveva tempo per mettersi comodo a chiacchierare, si erano sistemati sotto l’albero maestro e nei suoi dintorni. Lily sedeva sulla balaustra, perfettamente in equilibrio e con le gambe che sporgevano sull’acqua. Accanto a lei, suo fratello parlottava con gli altri.
«Quindi, ricapitolando, quello che dobbiamo fare è raggiungere la capitale del regno, laddove si dice sia iniziato tutto. Giusto?» chiese Eve.
A risponderle fu proprio Killian: «Esatto, ma non sono sicuro riusciremo a trovare dei mezzi di trasporto una volta lì. Tra l’altro, penso proprio che Hydra vorrà evitare di attraccare al porto. Dico bene?!»
Dalla sua postazione, il marinaio fece un verso d’assenso.
«E perché?» domandò sua sorella.
«Dopo quello che è successo, il regno è nel caos. I superstiti si sono radunati tutti per la maggior parte lì, a Tyrfing. Compresa gente molto poco raccomandabile. Soprattutto loro.»
Nypha, che finora non aveva detto una parola e si era tenuta in disparte, annuì con una certa timidezza. «Hydra non lascerà mai Felicia incustodita.»
«C’è un’insenatura a est del porto» cominciò a dire Naevin, cercando di focalizzare il posto nella sua mente. «È nascosta da una fitta foresta e da alte pareti di roccia. La spiaggia lì è bellissima ma nessuno ci mette mai piede perché è difficile raggiungerla. Però per una nave così grande potrebbe essere complicato entrarci per via degli scogli all’entrata.»
Il nomade aveva alzato volutamente la voce così da essere udito da Hydra. Quest’ultimo fece un’alzata di spalle ma non sembrò molto preoccupato a quella notizia. Con le sue abilità, qualsiasi scoglio sarebbe stato aggirato in un batter d’occhio – di questo ne era sicuro.
«Secondo le previsioni arriveremo a Damocles tra una settimana. Intanto, non-»
«Sì, abbiamo capito!» esclamò Rehagan ridacchiando, interrompendo il moro. «Intanto non toccheremo niente. Sei proprio fissato!»
«È solo che ci tiene tantissimo» fece Nypha.
Lo scienziato annuì ma poi tornò a rivolgersi al marinaio: «Scusa, ma cosa intendi con “niente”, esattamente? Almeno in cabina posso fare quello che mi pare oppure no?»
Hydra non ci impiegò molto a fulminarlo con lo sguardo, memore di ciò che aveva sentito dire su di lui. «Tu in particolare, non dovrai né toccare né fare niente. Se fai esplodere la mia nave giuro che non mi limiterò a mandarti affondo» sibilò, estremamente minaccioso.
Rehagan sbatté le palpebre un paio di volte prima di rispondergli: «Oh, ma dai. Quello dell’altro giorno è stato un incidente. La prossima volta andrà meglio!»
«Non ci sarà alcuna prossima volta...»
Lo scienziato ridacchiò. Non era sua intenzione farlo arrabbiare. Anzi, non era sua intenzione neanche fargli saltare in aria la nave che tanto adorava!
«Devo ammettere, e mi costa parecchio farlo, di essere d’accordo con Hydra» disse Lily, sbalordendo tutti. «Se qui esplode tutto poi come facciamo a raggiungere Damocles?»
Killian si portò una mano sul cuore, fintamente dispiaciuto. «E io che speravo tu avessi cominciato a fartelo stare simpatico...» disse, ottenendo soltanto un’occhiata quasi disgustata dalla sorella.
Richiamato in causa, il corvino sospirò: «Non mi frega nulla di lei, tanto meno quello che pensa.»
«Quindi, fammi capire, non possiamo nemmeno aiutarti con le vele, le corde o il timone?» chiese Eve, inserendosi in quella sconclusionata conversazione.
Lui alzò al cielo l’unico occhio visibile. «No. E si chiamano cime, non corde
«Uhm. Sì. Scusa. Naturalmente anche tutte le tue attrezzature sono off limits, vero?»
Hydra annuì, stanco anche solo di rispondere. Eve Ikuko parlava tanto e solo chi possedeva la sua stessa indole sembrava riuscire a starle dietro. E di certo lui non era uno di loro. Poi, con la coda dell’occhio, individuò uno di loro mentre si avvicinava incuriosito alla porta laccata di nero che conduceva alla sua cabina. Di certo si aspettava che le rifiniture dorate avrebbero attirato l’attenzione di qualcuno ma imprecò mentalmente quando Rehagan chiese di cosa si trattasse.
«Non ti azzardare a entrare, Taegan, quella è la mia cabina» disse, spostandosi di qualche passo e continuando a manovrare il timone con una mano sola. Alle sue spalle i tentacoli d’acqua sembrarono tremare.
Quello non si scompose più di tanto. «Veramente mi chiamo Rehagan.»
«A te sembra mi interessi?»
«Okay, okay» fece, rassegnato ma senza mai abbandonare il sorriso.
Intanto, Naevin si era avvicinato anch’egli al parapetto e con le braccia incrociate osservava il mare azzurro. Pensò ad Amy, a Ran e a quanto gli sarebbe piaciuto averle lì con lui per poter offrire loro quella vista stupenda. Erano passate a malapena due ore e Magnolia era già scomparsa all’orizzonte, dettaglio che non era sfuggito a nessuno. Ciò stava a significare una cosa sola: aveva ragione Killian, Hydra era davvero il numero uno e governava quella nave come fosse un’estensione di se stesso e della sua magia.
«A proposito, come ci organizziamo per la notte?» domandò Eve, a un certo punto. «Avremo una stanza a testa oppure...?»
«Oh, ehm, Hydra ha liberato in tutto cinque cabine» cominciò a dire Nypha. «Due di queste affacciano sul ponte, le altre sono sottocoperta e per raggiungerle basta scendere le scale.»
«Ehi, dì un po’» fece la rossa, avvicinandosi a lei con un’espressione colma di malizia. Dopodiché parlò sottovoce: «Tra te e il tipo tenebroso c’è qualcosa?»
L’altra arrossì d’istinto e prese a scuotere la testa. «Affatto! Non c’è niente! Niente di niente, te l’assicuro!»
Una parte di lei pensò di non essere stata affatto convincente ma d’altronde cosa avrebbe potuto rispondere? Era la verità. Non c’era niente e questo in un certo senso la rendeva triste.
«Non stavamo parlando delle camere?» domandò Lily, scegliendo volutamente di ignorare il bizzarro scambio di battute delle due ragazze.
Lo fece principalmente per la sua sanità mentale.
«E-Esatto!» esclamò Nypha. «Dunque, sarà necessario che almeno sei di noi condividano la stanza con un’altra persona.»
Prima ancora che sua sorella potesse uscirsene con robe tipo “Per me va bene se la mia compagna di cabina sarà Ninì”, Killian scattò sull’attenti alzando una mano, come a chiedere il permesso di parlare. «Idea!»
Attese che lo sguardo di tutti fosse posato su di lui e che avesse la loro completa attenzione prima di parlare: «Che ne dite di un sorteggio?»
«Eh?» fece Lily. «Non siamo mica a scuola...»
Nimue, che fino ad allora se n’era stata in silenzio a godersi il sole sul viso, annuì. «Per me non c’è alcun problema.»
Anche gli altri si mostrarono favorevoli all’idea e in men che non si dica, utilizzando una pagina del taccuino di Eve, vennero creati otto bigliettini.
In quel momento Diana uscì da sottocoperta e lentamente andò a sedersi in un angolo della nave, distante da loro e con la schiena poggiata alla balaustra, dando le spalle all’immensa distesa d’acqua. «Ehi, piccola samurai, stiamo decidendo come spartirci le stanze. Puoi venire un attimo?»
Se le occhiatacce potessero uccidere, Eve sarebbe già morta.
«Non sono una samurai» sentenziò a voce bassa.
«Davvero? Beh, in effetti non hai una spada» disse la rossa, stranita.
Fu Killian ad avvicinarsi alla giovane maga con il cappello a tre punte di Hydra – preso a quest’ultimo con non poca fatica – a mo’ di cestello. «Su, pesca il numero della tua stanza.»
Diana non aveva intenzione di dividere i suoi spazi personali con un’altra persona ma si vide costretta ad accettare quel gioco insensato con la speranza di avere fortuna. Prese in mano un biglietto, lo aprì e mostrò il suo contenuto al ragazzo con un’espressione in viso del tutto apatica.
Successivamente, Killian tornò dagli altri e si proseguì con il sorteggio.

 
 
§
 

 
Quando si chiuse la porta alle spalle, Lily pensò di essere stata fortunata a capitare con lei. D’altronde, Nypha era una persona tranquilla e che mai avrebbe invaso la sua metà di stanza, era certa di questo.
La vide collocare la valigetta ai piedi del letto e sistemare nella sua parte di armadio i pochi vestiti che aveva scelto di portare con sé tra cui una borsa. Se n’era accorta immediatamente, Lily. Andò a sedersi sul suo letto – scomodissimo, accidenti a Hydra! – senza smettere di guardarla con attenzione e annusando l’aria.
Ferro e ortensie. Erano questi gli odori che sentiva provenire da lei.
E Lily era una persona diretta, per cui glielo chiese a bruciapelo: «Sei un’assassina?»
Nypha smise di muoversi e per un attimo le si bloccò il respiro. Arrossì senza motivo e in un primo momento non trovò il coraggio di voltarsi.
«Una cacciatrice di taglie» la corresse.
Lily annuì. «Non si direbbe dal tuo modo di comportarti, sai?»
Prese un bel respiro, Nypha, prima di poterla finalmente guardare negli occhi. Al contrario di quel che pensava non vi trovò alcun disgusto o paura ma semplice curiosità.
Questa cosa la stranì non poco.
«Ti aspettavi che mi mettessi a urlare come una ragazzina?»
L’argentea scosse la testa, visibilmente sollevata dalla sua reazione. «Beh, no. Ma... da quanto tempo lo sai?»
«In realtà me l’hai confermato giusto adesso. Le mie erano solo congetture» spiegò, toccandosi poi il naso. «È piuttosto sensibile e l’odore del sangue lo riconosco fin troppo bene.»
Nypha annuì, alquanto spaesata. Non si aspettava che fosse lei a iniziare una conversazione, specialmente quella conversazione. Da quando aveva cominciato a fare quel lavoro aveva sempre avuto paura che la gente la guardasse come fosse un mostro assetato di sangue e che tutti prima o pi avrebbero finito per allontanarla. Le piaceva fare la cacciatrice di taglie, eliminare dalla faccia della terra i maghi che portavano soltanto dolore e sofferenza nella vita degli altri, ma era diventato difficile entrare in contatto con le altre persone. Era diventata illogicamente ansiosa.
«Mi spiace» disse a un certo punto, confondendo Lily. «Mi spiace che l’odore del sangue ti sia tanto familiare. Non è una cosa piacevole.»
Una cacciatrice di taglie dal cuore tenero...ma che cavolo?!, pensò sconcertata.
«Adesso non essere melensa, per favore.»
«Come?»
Lily sbottò: «Lascia perdere. Ho fame.»
Detto ciò se ne uscì dalla cabina, diretta in un posto in cui avrebbe potuto affondare i denti in qualcosa di decente. Neanche a dirlo, Nypha la seguì in corridoio, indirizzandola verso la cucina. «Che ne diresti di assaggiare il mio sgombro?»
«Pesce?» domandò, incerta.
Lei annuì, sicura di riuscire a cucinarlo per bene grazie ai suggerimenti ricevuto il giorno prima da Hydra. «Non ti piace?»
«Preferisco la carne ma se ci tieni tanto...»
«Ho un brutto presentimento, Lilì. Un bruttissimo presentimento!»
Per favore, taci.

 
 
§
 

 
Approfittando che Eve fosse ancora sul ponte di poppa a chiacchierare con gli altri, Diana andò a rintanarsi nella loro cabina. Si sentiva esausta. Non solo le girava la testa ma da qualche minuto a quella parte aveva cominciato ad accusare terribili mal di stomaco e vertigini. Senza contare la nausea che stava silenziosamente sopportando da ben dure ore!
Doveva cercare di non pensarci. Doveva cercare di ignorare il malessere e continuare ad andare avanti ma proprio mentre faceva quei pensieri dovette alzarsi di scatto dal letto su cui era stesa. Aspettò alcuni secondi, aspettò che passasse da solo ma per quanto Hydra fosse maledettamente bravo a governare quella nave e a non farla oscillare più del necessario, Diana non ce la fece. Come una molla, spalancò la porta e si diresse a passo di corsa verso il bagno, si chiuse dento e vomitò.
Merda, pensò, odio quando succede.
Si aggrappò con forza al gabinetto e rigettò ancora, fino a quando la nausea non si attenuò. Si sciacquò la bocca e in fretta e furia cercò di eliminare qualsiasi traccia del suo passaggio. Dopodiché, cercò di concentrarsi sul respiro.
Inspirò ed espirò. Inspirò ed espirò. Per un attimo le parve stesse addirittura funzionando... ma poi sentì bussare.
Cazzo, imprecò mentalmente.
Aprì la porta del bagno e la persona che si trovò davanti lo guardò col suo solito cipiglio inespressivo. Nimue – che scema non era – prese a fissarla in maniera insistente. Vero che Diana aveva sempre avuto una carnagione chiara me la maga dell’Aurora notò un eccessivo pallore sul suo viso.
Fece per parlare ma la viola, captato il suo pensiero, girò i tacchi e tornò nella sua stanza senza dire neanche una parola.
Che gran macello, pensò mentre richiudeva la porta della cabina. Diana odiava davvero mostrarsi debole dinanzi agli altri: poteva sembrare una cosa stupida ma era più forte di lei. Il solo pensiero che quella ragazza avrebbe potuto dire agli altri di averla sentita vomitare, di averla vista pallida, deboluccia e rintanata in un minuscolo bagno la innervosiva.
E come se non bastasse, un nuovo attacco di nausea la investì in pieno, costringendola ad appoggiarsi con entrambe le mani al tavolo posto accanto all’ingresso. Strinse le labbra e gli occhi. Le girava la testa.
Poi sentì nuovamente bussare e a quel punto tirò un pugno allo stipite della porta prima di aprirla. «Che c’è?»
Era di nuovo lei, ovviamente. Nimue le porse una boccetta. «Eliminerà la nausea per un’intera giornata. Bevine sei gocce adesso. Da domani prendine due a stomaco vuoto prima di colazione, pranzo e cena.»
Diana guardò prima il farmaco e poi la maga. Involontariamente – come sempre, del resto – si ritrovò a sentire i pensieri di Nimue, rimanendone piacevolmente sconvolta.
Non dovrebbe nascondere il suo malessere, altrimenti ne andrà-
«-di mezzo la squadra» disse tranquillamente, per poi aggiungere: «Sono il medico qui. Ho il diritto e il dovere di sapere se uno di voi sta male. Se dovesse ricapitare, gradirei che venissi da me.»
Cavoli, è sempre così sincera? Le sue parole rispecchiano alla perfezione i suoi pensieri!
Diana afferrò la boccetta con dentro il liquido trasparente e con una certa riluttanza annuì. Non promise di correre da lei ogni qualvolta si sarebbe sentita male ma avrebbe di certo accettato il suo aiuto adesso.
Accidenti, è proprio di poche parole. Assomiglia un po’ ad-
«-Al. Ma tu fai più paura.»
Il sopracciglio di Diana si inarcò. Non conosceva questo Al e non gli interessava, ragion per cui si affrettò a congedarla e a chiudersi nuovamente in cabina, trangugiando quelle sei gocce di medicinale come fosse acqua. Aspettò all’incirca un paio di minuti, dopodiché le parve di stare già molto meglio. Certo, per stare completamente bene avrebbe dovuto attendere un po’ di più – il tempo che facesse effetto – e forse era più che altro una questione psicologica ma Diana la ringraziò in silenzio.
In questi casi essere una Dragon Slayer fa davvero schifo...
Si stese nuovamente sul letto e a poco a poco si addormentò, più rilassata.

 
 
§
 

 
Naevin fu spettatore, suo malgrado, dell’intera scena.
Erano rimasti in pochi sul ponte, tra cui lui, Eve, Rehagan e naturalmente Hydra. Quando anche la ragazza decise di scendere sottocoperta – il suo scopo era quello di dare un’occhiata in giro senza toccare nulla; aveva tenuto a precisare – Naevin restò da solo. Da un lato c’era il marinaio, dall’altro lo scienziato, a separarli almeno una decina di metri.
Quest’ultimo se ne stava a gambe incrociate accanto a diversi tomi e tra una miriade di ampolle tutte uguali con dentro strana roba liquida di diversi colori. Il nomade pensò bene di restare lì, nel caso fosse successo qualcosa di irreparabile.
E sperò che niente saltasse in aria.
Almeno, se dovesse accadere, la nostra cabina sarà salva, pensò.
In realtà lo osservò a lungo e per tutto il tempo non aveva fatto altro che ridacchiare mentre scriveva appunti un po’ ovunque, miscelava liquidi e aspettava una qualsiasi reazione. Si capiva lontano un miglio quanto fosse appassionato e niente e nessuno avrebbe mai potuto fermarlo dallo sperimentare sempre cose nuove. Naevin non sapeva cosa stesse cercando di creare ma quando lo vide impallidire, il suo istinto gli suggerì di tenersi pronto a qualsiasi evenienza.
«Ehm. Ragazzi?»
Sentendolo, Hydra distolse lo sguardo dal mare. «Che c’è?»
Rehagan mugugnò qualcosa di incomprensibile prima di spiegare con parole chiare e semplici quello che stava succedendo: «Stavo studiando la composizione dell’acetaldeide e con quali elementi è possibile combinarlo ma si è... ehm, vaporizzato. Potreste evitare di respirare per... circa cinque minuti?»
«Perché? Che succede se lo inaliamo?» domandò Naevin, preoccupato.
«Ci u- ubria-hic! Ubriachiamo tutti...!» esclamò, su di giri.
Ma fa sul serio?
Rehagan cominciò a ridere e ormai aveva persino smesso di tentate di coprirsi naso e bocca, cosa che Naevin si affrettò a fare. «Merda!»
«Non ci posso credere» sibilò invece Hydra. Non c’è neanche un alito di vento!
«Non-hic! Non vi preoccupate, l’effetto passerà da solo!» esclamò Rehagan dondolando sui suoi stessi piedi. Naevin lo vide muovere un paio di passi in avanti e poi di lato, scontrandosi contro la balaustra e ridendo per qualcosa che non comprese appieno.
Mi sa che è andato..., pensò.
Poi però la testa cominciò a girargli leggermente e in quel momento capì di aver inavvertitamente respirato quella sostanza. Tentò di allontanarsi il più possibile, raggiungendo la postazione del marinaio che strinse le dite attorno al timone con veemenza. «Che si fa?»
«Ci allontaniamo. A quanto pare il gas è incolore ma c’è una strano odore nell’aria.»
«Non rischiamo di perdere la rotta?» domandò, sinceramente preoccupato.
In risposta, Hydra lo guardò inarcando un sopracciglio, come a dirgli una cosa del tipo “Ma per favore!”, per poi virare a destra. I tentacoli d’acqua sulla sua schiena vibrarono e in un attimo la nave prese maggiore velocità, con l’intento di mettere quanta più distanza tra loro e quella specie di nuvola d’alcol.
Attirata dagli schiamazzi, Lily uscì sul ponte. «Ma che state combinando? E cosa cazzo è questa puzza infernale?!»
Non appena sentì le narici bruciare per via di quell’odore tanto pungente, la corvina si tappò il naso. Vide Rehagan guardarla e ridere della sua faccia sconvolta, poi posò gli occhi su Naevin che aveva cominciato a tenersi anch’egli al parapetto per evitare di cadere.
A quel punto non ci vide più. Si avvicinò allo scienziato a grandi falcate. «Sei stato tu? Hai combinato qualcosa? Ma sei ubriaco?!»
«Sì!» esclamò fuori di sé.
«Lily, non avvicinarti troppo a lui e a quelle ampolle» le suggerì Naevin.
Rehagan cominciò a muoversi, usando a un certo punto la testa della ragazza come fosse un appiglio e andò a recuperare la sua attrezzatura, indisturbato.
«L’alcol non mi fa nessun effetto» si limitò a dire lei.
«Purtroppo» sospirò Orias nella sua testa, beccandosi un’imprecazione.
La porta che conduceva alla sala da pranzo si aprì nuovamente e Nypha fece capolino da oltre la porta. «Che succede?» domandò, poi prese ad annusare l’aria, stranita.
Per un attimo Hydra sbiancò. Mollò il timone senza parlare e quasi di corsa raggiunse la ragazza la cui espressione si fece – se possibile – ancor più allibita. «Ma che- Hydra, che succe-?» cercò di dire, non fece in tempo.
Infatti lui l’afferrò per le spalle, la fece indietreggiare e richiuse la porta intimandole di non uscire sul ponte per il momento. Poi si voltò in direzione del responsabile e schioccò la lingua, infastidito.
Un attimo dopo dall’acqua del mare si alzò un tentacolo d’acqua che agguantò Rehagan per il retro dei vestiti e lo scaraventò fuori bordo.
Lily e Naevin lo guardarono increduli.
 

 
§
 

 
Era solo il primo giorno e c’erano già stati dei problemi. Quando Rehagan riuscì a risalire su Felicia, era abbastanza lucido da spiegare che in breve tempo il gas si sarebbe disperso nell’aria e che al massimo ci sarebbero voluti poco più di cinque minuti.
Naturalmente Hydra l’aveva guardato storto fino a che non scomparve dalla sua vista e Naevin si era visto costretto a ritirarsi anche lui nella cabina, per cercare di alleviare quel leggero senso di stordimento dovuto a quel gas.
In realtà non si sentiva eccessivamente male – la sua tolleranza all’alcol non era così cattiva anche se dipendeva dalle quantità. Più tardi lo scienziato si sarebbe scusato e avrebbe spiegato che si trattava di una specie di miscuglio di vari elementi – spiegazione che nessuno avrebbe davvero ascoltato.
Nel mentre Nypha, che si era vista sbattere la porta in faccia, era rimasta visibilmente scioccata. Cercò di capire cosa stesse succedendo ascoltando le voci alterate dei maghi sul ponte e sbirciando attraverso l’oblò per poi rinunciarci con un sospiro e tornare alle sue attività. Si rese conto troppo tardi che gran parte del pesce era rimasto attaccato alla padella e per cercare di rimediare tentò prima con dell’acqua, poi impiattò quello che secondo lei poteva essere più commestibile.
Uffa, ma perché non ci riesco...?
Poco dopo Lily rientrò tremendamente scura in volto.
L’argentata non perse tempo a chiederle: «Cos’è successo?»
«Rehagan ne ha combinata un’altra. Ho paura che sarà lui a farci fuori con una delle sue diavolerie e non le fate.»
Nypha ridacchiò ma il suo umore tornò tre metri sottoterra quando la corvina le fece notare la puzza di bruciato.
Non appena la più giovane adocchiò l’origine di quell’odore, mise su una faccia a dir poco disgustata. «E quella che roba sarebbe?» Si avvicinò al piatto e con una buona dose di coraggio prese una forchetta e addentò un piccolo pezzo.
Credette di morire.
«Cos’è, vuoi avvelenarmi, per caso?!»
«È tanto orribile?» domandò, intristita.
«Certo che lo è! Ha un sapore terribile e la consistenza è anche peggio!»
Non perse tempo e Lily gettò tutto nel pattume. In quel momento, la porta si aprì e una Eve piuttosto divertita fece la sua comparsa seguita a ruota da un Killian apparentemente sconvolto. Quest’ultimo indicò le sue spalle e con le sopracciglia inarcate pronunciò: «Sapete dirmi perché Rehagan è bagnato fradicio e perché ride come un idiota?»
Sua sorella si limitò a un’alzata di spalle. «Spero che la puzza sia scomparsa fuori.»
«Sì, è tutto okay. Voi? Che combinate?»
«Nypha mi ha appena avvelenata» rispose atona.
L’altra, chiamata in causa, sobbalzò. «Ma non è vero... ho provato a preparare il pranzo per tutti ma si è bruciato.»
«Fosse solo quello il problema» ribatté ancora la mora.
«Su, su. Ci penserò io al-» ma Killian venne bruscamente interrotto da Hydra che spalancò la porta e senza aggiungere altro si diresse spedito verso il tavolo della cucina. I tentacoli d’acqua erano spariti, segno che per il momento era il vento a condurre la nave.
Quando si accorse del macello, per un attimo si bloccò.
«Scusa, Hydra» disse l’argentata, mordicchiandosi le labbra. Gli spiegò che era stata lei a ridurre in quello stato pentole e padelle, e ad aver di fatto sprecato del buon pesce perché voleva provare a cucinarlo.
Lui non disse niente, si limitò a sospirare. «Ci penso io.»
«Ma scusa, non dovresti essere al timone?» domandò Eve.
«Per il momento c’è calma piatta» spiegò e intanto si arrotolava le maniche della camicia per poter prima sistemare tutto.
«Sicuro che non hai bisogno di aiuto?» chiese Eve.
«Ce la faccio.»
Al che, fu il turno di Nypha di sospirare. Perché si ostina sempre a voler fare tutto da solo?
Killian lo raggiunse dall’altro lato del tavolo da pranzo. «Eddai, fatti aiutare per una volta. Capisco che tu sia geloso della tua nave ma almeno in cucina potresti lasciarci campo libero. Sai, sono un ottimo cuoco!»
Hydra smise di muoversi per poterlo guardare, visibilmente scocciato. «Non-»
«Scusa, eh, ma non hai rotto tanto le palle quando Nypha si è messa a cucinare!» sbottò Lily.
«Non sono fatti che ti riguardano, Lia
«In effetti non sono cazzi tuoi se scopano. Ah, quanto adoro quest’uomo!»
Io giuro che ti ammazzo, giuro che ti ammazzo, giuro che vi ammazzo entrambi!
Avvertendo una leggerissima tensione nell’aria, Killian posò le mani sulle spalle della sorellina e mise su un sorriso di circostanza. «Andiamo, non litigate. Hydra, sei proprio sicuro di voler cucinare tu? Sai che puoi fidarti di me, no?»
Alla fine il ragazzo dalla benda sull’occhio accettò di lasciare l’incombenza nelle mani del compagno di gilda. Pensò fosse opportuno concentrarsi sulla rotta da seguire così da evitare di metterci più tempo del dovuto.
Prima arriviamo a Damocles e prima lasceranno la mia nave, pensò contrariato. Nel mentre, Killian si mostrò più che entusiasta.
Lui amava cucinare. Era sempre lui che a casa stava ai fornelli e Lily glielo lasciava fare nonostante non fosse tanto male nemmeno lei. Anche perché – ed erano state le sue testuali parole – suo fratello arrivava a lagnarsi come un bambino pur di soddisfare questa sua passione.
«Ti spiace se ti do una mano?» domandò allora Eve, una volta che Hydra se ne fu andato.
 

 
§
 

 
Una settimana dopo
 

In un paio di giorni avrebbero intravisto il porto di Tyrfing e Diana non vedeva l’ora di sbarcare, come molti altri del resto.
La vita in mare era faticosa e Hydra lo sapeva bene. Con non poco fastidio si era deciso a lasciare almeno la cucina – solo quella – nelle mani di Eve e Killian, in quanto lui stesso non aveva la benché minima voglia di mettersi a cucinare per gente come l’isterica, la piccola samurai e lo scienziato pazzo. Tra l’altro, avrebbero evitato che Nypha ci mettesse lo zampino.
I giorni successivi alla partenza furono a dir poco movimentati. Nacquero numerose dispute, alcune delle quali davvero stupide. Si era scoperto che Rehagan fosse un tipo disordinato e più volte si era lamentato del fatto che Eve non doveva più mettere le mani fra le sue cose, poco importava se le avesse lasciate in sala da pranzo o in un altro spazio comune.
«Fortuna che mi sono accorto in tempo che hai sbagliato a riposizionare le fialette» aveva detto una mattina. «Altrimenti a quest’ora saremmo saltati tutti in aria. E anche se fossimo miracolosamente sopravvissuti ci avrebbe pensato Hydra a ucciderci tutti e due!»
La rossa si era sinceramente scusata ma lo aveva pregato di non lasciare le sue cose in disordine perché proprio non lo sopportava.
Era poi uscito fuori l’amore di Naevin per il disegno. «Non è solo un hobby ma è anche... beh, diciamo che è un allenamento» aveva spiegato.
«In che senso un allenamento?» aveva poi chiesto Nypha, incuriosita.
«È per la mia magia!»
Tra l’altro, Naevin aveva dato prova della sua abilità nel suonare l’ocarina. Dopo averlo scoperto, gran parte di loro aveva preso l’abitudine di uscire sul ponte sempre allo stesso orario per poterlo ascoltare – solitamente dopo cena. Di solito Lily si sdraiava sulle assi di legno e guardava il cielo oppure saliva sulla coffa e rimaneva lì, lontana da tutti. Eve scriveva sul suo taccuino oppure leggeva qualche libro che si era portata dietro; intanto Nypha chiudeva gli occhi e muoveva le dita come a premere i tasti di un pianoforte immaginario, accompagnando quelle piacevoli melodie.
Insomma, non erano mancati momenti di completo relax e a parte quale piccola scaramuccia i maghi non ebbero eccessivi problemi – almeno fino a quel giorno. La cacciatrice di taglie notò subito qualcosa di strano in lontananza e per sincerarsene salì velocemente sulla coffa.
«Ragazzi, in mare c’è qualcosa!» gridò, attirando quindi l’attenzione degli altri. Sembrano... rottami?
Felicia si avvicinò in pochi secondi e quello che videro li lasciò senza fiato: il risultato di un viaggio finito male. C’erano assi sparse dappertutto, vele squarciate e nessun segno di vita; uno spettacolo davvero raccapricciante.
«Che siano stati attaccati da qualcuno?» domandò Eve.
«È stata una tempesta a ridurre così la nave» sentenziò Hydra, serissimo. Ma dallo sguardo che aveva era evidente che qualcosa non gli tornava; un presentimento. «Una tempesta parecchio strana.»
«Perché dici così?»
Ma lui non le rispose. Corrucciò la fronte, per poi rivolgersi a tutti i presenti: «Tenete gli occhi aperti» disse.
Hydra tornò a manovrare il timone con una certa urgenza. Il suo intuito gli suggeriva di allontanarsi da quella zona il prima possibile; non voleva correre il rischio di danneggiare Felicia prima ancora di arrivare a destinazione.
Quello che successe dopo lasciò i maghi alquanto sbigottiti.
Lily se ne accorse quando il vento si fece improvvisamente freddo. Accanto a lei, Eve rabbrividì al punto da stringersi nel suo poncho e cominciò a guardarsi attorno, stranita. Il moro imprecò prima di virare violentemente verso sinistra; dovevano abbandonare quel tratto di mare il prima possibile.
«Aggrappatevi a qualcosa!» gridò.
Al che Killian inciampò malamente ma Naevin riuscì ad agguantarlo prima che si sfracellasse di faccia contro il parapetto. Di colpo, le vele si gonfiarono, il cielo si oscurò e il mare si sollevò abbastanza da rendere indefinita la linea dell’orizzonte.
Eve strabuzzò gli occhi dorati e si strinse più forte alla balaustra. «Che cacchio! Tutto questo è normale?!»
«Certo che no!» sbottò Hydra. «È opera di una magia!»
«EH?! Come può essere opera di qualcuno tutto questo macello?!» urlò di rimando Lily, incazzatissima.
Dal suo punto di vista, la nave sembrava essere completamente in balia delle onde, non immaginando nemmeno quanto Hydra si stesse sforzando per evitare che questa si ribaltasse su se stessa. I maghi vanivano sballottati a destra e a sinistra; il frastuono era tale da costringerli ad alzare la voce.
«Che facciamo?!» gridò Eve. Aveva gli occhi semichiusi a causa della forte pioggia. «Se questo è un incantesimo, dobbiamo trovare i nemici prima che sia troppo tardi. Lily, riesci a fiutarli?!»
«Ti pare che con questo vento riesca a farlo?!» strillò la mora.
«Non litigate. Mentre Hydra pensa a non farci affondare, cerchiamo un modo per uscire da questa situazione!» disse a un certo punto Naevin; accanto a lui Killian tirò su il pollice in segno di assenso. Dopodiché continuò: «Vorrei proprio sapere chi sono i pazzi che hanno deciso di lanciarci contro una tempesta!»
A un certo punto il fianco destro di Felicia si sollevò pericolosamente ma la nave tornò immediatamente stabile, salvo poi oscillare violentemente prima da una parte e poi dall’altra. Non era nemmeno la più violenta tempesta che avesse mai visto ma Hydra non poteva di certo manovrare la nave e affondare quella dei nemici contemporaneamente – sempre che quegli infami ne avessero una. Perciò si ritrovò, suo malgrado, a dover fare affidamento su quello sconclusionato gruppo di maghi che fino ad allora non avevano fatto altro che irritarlo: gli esperimenti di quel Reagan, gli acidi commenti della samurai fasulla, la continua chiacchiera di Eva e il Vagabondo... beh, lui era tutto sommato decente.
In quel momento Killian mise le mani ai lati della bocca – come se questo fosse bastato a renderlo più udibile – e cominciò a parlare: «Nypha, vedi qualcosa?!»
La ragazza, che intanto era rimasta sulla coffa dall’inizio della tempesta, alzò la testa quel tanto per poter vedere l’immensa distesa d’acqua agitarsi come mai aveva visto prima di allora. Si lasciò sfuggire un lamento quando il vento la colpì in faccia ma non per questo rinunciò nel suo intento. «No! Non c’è assolutamente niente!»
«Oh, ma dai. Allora siamo proprio nei pasticci» borbottò Killian ma nessuno sembrò averlo sentito, nemmeno Naevin che con una mano lo reggeva ancora per il suo immancabile trench, questa volta zuppo di pioggia.
Un momento...
«Dov’è Diana?!» gridò ancora il mago dell’Aurora, sovrastando il frastuono delle onde che s’infrangevano sul ponte.
A rispondergli fu Eve: «Mi pare sia rimasta in cabina!»
«Qualcuno vada a chiamarla!»
Prima ancora che Lily potesse muoversi, una sagoma familiare catturò la sua attenzione. «Non credo ce ne sarà bisogno!» esclamò, puntando gli occhi grigi proprio sulla ragazzina che lasciò la maniglia della porta per potersi meglio aggrappare a qualcosa di più sicuro. Lei, più di tutti, soffriva quella situazione per almeno due motivi: la nausea stava lentamente tornando a farsi sentire a causa di tutte quelle violente virate e i rumori erano troppo forti, tanto da renderla ancora più debilitata.
Ma non ci fu nemmeno bisogno che Killian le spiegasse cosa avrebbe dovuto fare. Si concentrò – in realtà aveva cominciato a farlo da ben prima che si presentasse sul ponte – e poi, finalmente, udì delle voci.
«A ore tre! Sono in quindici!»
Hydra ghignò, serafico. Perfetto! La nave cambiò bruscamente rotta, tanto che Eve quasi perse il suo appiglio.
Subito dopo, Diana continuò: «A ore sei ce ne sono altri venti!» E successivamente, aggiunse: «Sono circa una sessantina di maghi in tutto. Il gruppo più numeroso si trova proprio lì!»
Indicò una direzione precisa e a quel punto il marinaio ebbe come un’epifania.
«Che cosa stai facendo?!» gridò Lily.
«Zitta e sta’ a guardare» ribatté lui, ignorando i suoi improperi.
Con immane fatica, riuscì ad attuare l’ennesima virata prima che un’onda dalle proporzioni catastrofiche si abbattesse su di loro.
Intanto, dalla sua postazione, Nypha vide qualcosa che la fece sorridere. Si affacciò sul ponte e cominciò a gridare a squarciagola: «La valigetta! Mi serve la valigetta!»
Eve corrucciò la fronte. «La... la coniglietta
«Oh, la valigetta!» esclamò Killian che cominciò a guardarsi attorno, frenetico. «Qualcuno vada a prenderle la valige-eh
Tutto ciò non era previsto. Naevin sbiancò nel momento esatto in cui lo vide scivolare via dalla sua presa ferrea; di fatti restò con solo il trench stretto tra le dita. Ma che cavolo?!
Prima ancora che potesse fare qualsiasi cosa – tirare fuori il suo Bo, il bastone assemblabile e tentare di farglielo afferrare – vide una figura passargli accanto a una velocità inaudita. Non gli fu difficile immaginare chi fosse: pochi istanti dopo, infatti, Lily aveva preso suo fratello per i capelli aveva ficcato gli artigli nel legno pur di non volare via.
«Sei una testa di rapa! Cosa ti costava tenerti?!» sbraitò, sbattendogli malamente la faccia a terra.
Al che lui si limitò a ridacchiare e a lamentarsi per la botta.
La situazione sembrò calmarsi, tanto Eve e Naevin tirarono un sospiro di sollievo. Poi, finalmente, Rehagan comparve alle spalle di Diana con in mano la suddetta valigetta. «Ecco qua! Navy, puoi portargliela?»
Nessuno gli chiese il motivo per il quale avesse delegato quel compito perché era facile immaginarlo: mingherlino com’era, avrebbe preso il volo non appena avesse staccato i piedi dal ponte.
Naevin raggiunse la coffa e vi atterrò con un balzo, porgendo l’oggetto richiesto a una Nypha piuttosto impaziente. Non erano passati nemmeno due minuti da quando aveva fatto quella richiesta – anche per lei scendere da lì sarebbe stato troppo rischioso – ma le era sembrata un’eternità.
Sotto lo sguardo incuriosito del nomade, la ragazza tirò fuori dalla valigetta niente meno che un fucile da cecchino, un brg-250 nero. Senza alcuna esitazione, cercò la posizione più comoda e più utile al suo scopo; si concentrò e per un attimo, un solo istante, le parve che il mondo intero si fosse fermato.
Il suo corpo venne circondato da una sottile patina argentata. Ebbe il tempo di prendere la mira e sparò. Due volte.
A un occhio meno attento – o a un orecchio meno sviluppato – sembrò che nulla avesse cambiato quella situazione disperata.
Sono morti, osservò Diana, in silenzio. Non li sento più.
A quel punto fu più facile per Hydra dirigere Felicia verso l’occhio del ciclone, laddove la maggior parte dei nemici era riunita – e questo grazie a una falla nel cerchio magico che li aveva bloccati all’interno di quell’assurda tempesta, grazie a Nypha.
«Il vento non accenna a fermarsi!» sentenziò il marinaio. «E anche se la pioggia è diminuita e le onde sono più basse, non posso lasciare il timone!»
A quel punto Rehagan attirò l’attenzione di tutti. «Ehi! Io avrei un’idea!»
 

 
§
 

 
Non era la prima volta che decidevano di lanciare l’incantesimo Tempesta.
Innumerevoli navi erano affondate a causa loro, il cui unico obiettivo era quello di impedire il passaggio delle navi che sembravano intenzionate a sbarcare a Damocles. Lo schema d’attacco era sempre lo stesso.
E sempre lo stesso era il risultato.
Si sentivano estremamente sicuri di loro stessi, delle loro abilità e del loro piano – da ciò ne conseguì un terribile errore. L’equipaggio della Plata[1] non si accorse di avere dei clandestini a bordo finché non fu troppo tardi.
Il grido di dolore di uno dei marinai echeggiò ovunque. Quello fu l’inizio del caos e Diana era pronta a dare il massimo, nonostante dovesse ancora riprendersi dalla terribile nausea che l’aveva colpita quando le onde avevano cominciato a farsi sempre più grandi.
Hydra aveva ragione, pensò. Qui il mare è piuttosto tranquillo rispetto a dove ci trovavamo noi fino a pochi minuti fa!
Ciò la fece sospirare di sollievo: in caso contrario non avrebbe potuto combattere com’era abituata a fare.
«Ehi, mi daresti una mano?» mugugnò Rehagan mentre cercava anch’egli di salire a bordo della nave nemica.
La ragazza gli lanciò a stento un’occhiata ma non si azzardò ad avvicinarsi a lui, anche perché i nemici stavano sbucando da tutte le parti, attirati dall’urlo del tizio che aveva appena messo ko.
«Maledetti! Come avete fatto ad arrivare fino a qui?!» esclamò uno di loro.
Fu Rehagan a rispondere alla domanda, ancora appeso alla balaustra. «È stato tutto merito di Tortrus!»
Diana non aspettò nemmeno un secondo e si lanciò nella mischia. Nonostante fosse zuppa d’acqua, i suoi movimenti rimanevano comunque veloci e puliti. Schivò facilmente un paio di colpi per poi rispedirli al mittente. Rehagan, che si teneva al parapetto, la osservò per tutto il tempo.
A differenza di lei, lo scienziato non era particolarmente portato nella lotta. Ecco perché le aveva chiesto di accompagnarlo fino alla Plata.
Il suo stile di combattimento le permetteva di adattarsi a qualsiasi avversario, che fosse armato oppure no. Ciò che lo stupì, però, non fu tanto la precisione con cui colpiva i suoi nemici, quanto più il fatto che non sembrasse intenzionata a usare la magia. Vero che tramite la Magia della Comprensione Sensoriale, Diana riusciva persino a prevedere le loro mosse, ma Rehagan sapeva per certo che ci fosse dell’altro.
Dopotutto, non era brava solo nelle arti marziali.
«Ehi!» esclamò a un certo punto. «Invece di stare lì a perdere tempo, metti fuori gioco i maghi che tengono attivo il cerchio!»
Dapprima Rehagan sussultò – rischiando persino di scivolare in acqua – per poi darsi la spinta e poter finalmente mettere piede sul ponte. Era ottimista.
«Okay, coprimi!» disse, correndo a dirigersi laddove sapeva ci fossero i nemici in questione – era stata proprio Diana a dirglielo, poco prima di entrare in azione.
Naturalmente, tra le file avversarie c’era anche chi aveva intuito la pericolosità dei due individui giunti sulla loro nave e si affrettò ad agire di conseguenza. Le braccia del mago in questione mutarono, assumendo una forma sempre meno umana: si ingrossarono, si colorarono di nero e sulle nocche si formò quello che a prima vista sembravano scaglie durissime.
«Non ti permetterò di mandare tutto a monte!» gridò l’uomo, caricando un primo attacco. Rehagan si costrinse ad arrestare la sua corsa e dopo una breve analisi – Diana era sì forte, ma dalla sua posizione non avrebbe potuto aiutarlo – decise che era arrivato nuovamente il suo momento.
Unì i palmi a mo’ di preghiera, chiuse gli occhi e si concentrò. «Guidami, Arya!» Nell’istante in cui rialzò le palpebre, portò le mani in avanti e una strana luce azzurrina cominciò ad assumere le sembianze di un lupo, benché dai contorni alquanto stilizzati.
Totalmente preso alla sprovvista, l’avversario non riuscì a reagire in tempo e l’animale gli saltò al collo con un latrato. Tentò di colpirlo ma le zanne del canide lacerarono la carotide in un batter d’occhio, arrestando ogni suo movimento.
Rehagan non era eccezionalmente forte o agile in combattimento ma poteva sempre contare sui suoi spiriti guida. «Eh, sì. Proprio un attimo lavoro!» esclamò soddisfatto.
Dopodiché si precipitò sul ponte di prua. Sedute in mezzo a un cerchio magico dal colore blu elettrico, due persone erano più che concentrate a mantenere integro il controllo sull’incantesimo Tempesta.
«Fermati! Dove pensi di andare?!» gridò qualcuno alle sue spalle.
Rehagan fece appena in tempo a schivare la sua ascia e successivamente mosse una mano come a volergli dare uno schiaffo. Ciò che però colpì il suo nemico fu la zampa di Arya – più veloce e più pericolosa; in questo modo riuscì a ferirlo gravemente.
«Merda!» continuò a esclamare. Si coprì il viso con entrambe la mani, lasciando cadere la sua unica arma. Il dolore era lancinante e non aveva bisogno di uno specchio per capire che quell’animale gli aveva artigliato la faccia. «Dannato! Giuro che ti ammazzo!»
«Non penso proprio» disse e allo stesso tempo avanzò di un passo nella sua direzione. Arya seguì il suo movimento e lo atterrò.
Molto bene, pensò lo scienziato. Ora passiamo a fermare l’incantesimo!

 
 
§
 
 

Intanto, sulla Esmeralda[2] era scoppiato il finimondo.
Coloro che tenevano in piedi la tempesta erano stati uccisi e nessuno si era accorto di niente fino a che i due non erano crollati esanimi.
«Come diamine è possibile?! Chi è stato?!» gridò furente il capitano dell’imbarcazione. «Voi sulla vedetta, vedete qualcosa?!»
«S-Signore, vede... la barca che ab-biamo preso di mira... e-ecco...»
Ma il capitano, un uomo grosso dalla barba incolta e scura, si infuriò ancora di più quando l’altro si mise a balbettare. «E allora?!»
«S-Sta venendo da questa... da q-questa parte!» urlò, terrorizzato.
Come sarebbe a dire...? È impossibile! A quest’ora la tempesta magica avrebbe dovuto sfasciare tutto!
Proprio in quel momento un proiettile di ethere si conficcò a un centimetro di distanza dalla sua testa. Era stato baciato dalla fortuna – in circostanze normali il cecchino in questione avrebbe senz’altro centrato il bersaglio.
Maledizione! Siamo nei guai, pensò. «Notizie dagli altri?!»
«No, signore! Sulla Plata non rispondono e-»
«Chiama Zarath! Dì a quel maledetto di inviare dei rinforzi al più presto!» gridò il capitano, interrompendo il suo sottoposto.
Quest’ultimo, nonostante non gli andasse proprio di entrare in contatto con il loro eccentrico finanziatore, annuì e con uno scatto si rintanò sottocoperta, alla ricerca di una Lacrima di comunicazione.
«S-Signore... s-sopra di noi...!»
Quando l’armadio al comando alzò lo sguardo sgranò gli occhi. Ne aveva vista di gente strana ma mai così tanto strana. Perché se era strano che quelli fossero ancora vivi nel mezzo di una tempesta del genere, vedersi cadere addosso quella che sembrava una scialuppa di salvataggio che cavalcava un’onda gigantesca e con a bordo due persone gli sembrava sinceramente assurdo!
L’acqua si schiantò sul ponte e molti dei suoi uomini caddero in mare gridando aiuto; al contempo i due nuovi arrivati atterrarono sani e salvi non molto distante da lui mentre la scialuppa scivolò dolcemente sull’acqua.
«È stato un viaggio movimentato!» esclamò Naevin, ridacchiando.
Ma Lily non sembrò della sua stessa opinione, tanto che ringhiò inviperita: «Non lo è stato per niente... maledetto Hydra...!»
«Però è stato grazie a lui se siamo arrivati fin qui, no?» disse, cercando di calmarla. «La sua è una magia potente.»
La ragazza sbuffò, infastidita dal fatto che avesse ragione.
Ma non voleva pensarci, per questo squadrò uno a uno i marinai che a loro volta li osservavano stravolti. «Perché cavolo ci avete lanciato addosso una tempesta?!»
Il capitano della Esmeralda digrignò i denti, nervoso. Erano in due, dalla loro avevano soltanto la superiorità numerica ma qualcosa gli suggeriva di stava attento. Un omone grande e grosso e una ragazza dall’aspetto gracile ma dalla lingua affilata... chi diavolo sono?!
Avanzò quel tanto che bastava perché i suoi polpastrelli sfiorassero il legno del parapetto che lo divideva dai due sconosciuti; subito dopo attivò la sua magia e l’intera nave sembrò prendere vita.
Le cime si mossero rapide verso Lily ma si annodarono al bo di Naevin che parò il colpo; nello stesso istante la ragazza distrusse con una serie di calci alcune botti che si erano mosse nella loro direzione.
«I maghi li ha già sistemati Nypha, adesso tocca a noi far fuori questi stronzi!» esclamò proprio Lily, tirando fuori gli artigli e partendo all’attacco.
Naevin si mosse velocemente e i rovi tatuati attorno al suo braccio destro si materializzarono in attimo; la sua magia, Tattoo Stripe, consisteva proprio in questo. Non aveva mai combattuto a bordo di una nave – men che meno su una nave viva – ma la cosa non lo turbava poi molto.
Schivò un paio di casse ed ebbe appena il tempo di avvolgere i rovi attorno al suo bo prima di parare un attacco avversario. A quanto pare non vogliono affidarsi solo alla magia del loro capitano, pensò. Meglio così, almeno non scapperanno.
Era parecchio abile nell’uso del bastone assemblabile. Circondato dai rovi, risultava molto più ostico da contrastare e ogni suo colpo costringeva il nemico di turno a doversi prendere alcuni istanti – fatidici – per poter contrastare il dolore. Naevin salto un paio di volte, colpì un omaccione alle ginocchia e poi un altro all’altezza del plesso solare.
«Maledetto infame!» esclamò qualcuno, correndogli incontro.
Il moro balzò in alto ma prima di ricadere gli bastò sfiorare la testa del suo avversario per trasferire una delle quattro strisce che aveva tatuate sull’avambraccio sinistro attorno al collo del malcapitato. Quando atterrò, il marinaio in questione era già a terra agonizzante per la mancanza d’aria: il tatuaggio lo stava strangolando.
Ciò che non si aspettava, però, era venire investito da Lily. Caddero entrambi ma lui riuscì a fermarsi poco prima di raggiungere il parapetto e in tempo per parare la boma[3] della nave che avanzava pericolosamente verso di loro. L’impatto fu furo ma Naevin riuscì a respingerla quel poco per permettere a Lily di spezzarla e calciarla via.
«Scusa se ti sono finita addosso» disse.
«Figurati. Stai bene?»
Lei annuì, stranita da tanta premura. Di solito era Ella quella che si preoccupava, mentre Nimue aveva l’occhio clinico e invece di chiederle se stava bene era lei stessa a farle notare cosa non andava.
«Quel tizio è una rottura. Qualsiasi cosa faccia non mi permette di avvicinarmi a lui» spiegò.
A quel punto fu proprio il capitano della Esmeralda a prendere parola: «Come osate attaccarci?»
«Noi?! Come osate voi?!» lo rimbeccò la ragazza.
La scala di corda che portava sulla coffa si sciolse di colpo e miriadi di funi si lanciarono nella loro direzione. Lily tagliò molte di queste ma concentrata com’era non si accorse del cannone puntato su di lei.
Naevin invece lo notò subito e richiamò la sua attenzione. Prima ancora di poterla aiutare, l’arma fece fuoco. La corvina non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi e venne presa in pieno.
Fu più forte di lei, le scappò un grido di dolore e il suo corpo venne sbalzato dall’altra parte del ponte. Dinanzi a quella situazione il nomade sbiancò.
Merda, pensò. Gli venne in mente Killian. Gli vennero in mente lui e il favore che gli aveva chiesto e istintivamente le dita si strinsero con maggiore forza attorno al bo.
«Fuori uno. Ne manca un altro» sentenziò il capitano della nave con un ghigno.
Naevin schivò un paio di cime che miravano ad avvolgerlo come un salame e fece per avvicinarsi pericolosamente al suo avversario quando una seconda palla di cannone venne sparata da sottocoperta, distruggendo parte del ponte. Riuscì a schivarlo per un pelo, ma fu costretto ad arretrare ancora una volta.
Sembra che non gli importi di danneggiare la sua nave, pensò e quasi gli venne da ridere; era l’esatto opposto di Hydra!
Scattò in avanti, pronto a far fuori quel tipo ma ancora una volta arrestò il passo. Più che altro perché capì immediatamente cosa sarebbe successo da lì a pochissimi istanti; l’aveva vista con la coda dell’occhio.
Lily balzò addosso all’uomo e con violenza gli conficcò gli artigli nella pelle delle spalle, mandandolo faccia a terra.
«Brutto... stronzo... figlio di puttana...!» disse, ansimante per la fatica.
Naevin le si avvicinò rapidamente. Gli oggetti che sembravano animati avevano smesso di muoversi e tutti gli altri nemici erano stati battuti.
«Oddio, ma stai bene?» le domandò, corrucciando la fronte.
Lily non annuì nemmeno e si limitò ad alzarsi in piedi, lasciando il capitano dell’Esmeralda a terra privo di sensi. Forse aveva esagerato.
Lo aveva trapassato e se ne era accorta solo quando aveva sentito gli artigli penetrare il legno del ponte; ma era ancora vivo, per il momento.
A quel punto si prese del tempo per darsi un’occhiata – non ne aveva avuto il tempo dopo che era stata colpita.
La felpa era da buttare – cosa che fece in quello stesso istante – visto che le era rimasta soltanto una manica; la canotta era in parte carbonizzata e la pelle della schiena doleva in maniera insopportabile.
Per il resto stava bene – a parte i capelli; anche quelli erano bruciacchiati.
«Cavolo, mi hai fatto prendere un colpo.»
«Sono molto più resistente di così» ribatté.
Ma lui non si lasciò scoraggiare. «Sì, ma che sarebbe successo se fossi morta? Killian avrebbe potuto uccidermi, sai?»
 

 
§
 

 
Dopo essersi separati da Rehagan, Diana, Naevin e Lily, Felicia si era diretta nei pressi dell’ultima nave nemica rimasta. Ormai l’incantesimo Tempesta era stato indebolito e il mare aveva smesso di agitarsi tanto. Restava però un problema: la superiorità numerica.
Non appena la Turquesa[4] fu avvistata, Nypha ricominciò a sparare. Ma prima ancora che potesse colpire i diretti responsabili di quella terribile tempesta, Felicia arrestò la sua corsa.
«Perché ci siamo fermati?» domandò Eve, l’unica ancora rimasta sul ponte a parte Killian e Hydra.
Quest’ultimo lasciò il timone e si avvicinò al parapetto, osservando coloro che avevano rischiato di distruggere la sua nave e al sol pensiero diventò nero di rabbia. I tentacoli sulla sua schiena vibrarono pericolosamente e dopo attimi di silenzio che parvero infiniti – Eve non stava capendo nulla – dalla Turquesa cominciarono a levarsi delle grida disumane.
Nypha sobbalzò quando si rese conto di cosa stesse succedendo. Nonostante la lontananza, Hydra era riuscito a creare un kraken d’acqua che a poco a poco cominciò a stritolare l’imbarcazione e tutti i suoi ospiti.
Anche Eve spalancò gli occhi e rimase esterrefatta.
«Dici che sopravvivranno?» domandò Killian, assistendo allo spettacolo. Wow, è stato tutto così veloce!
«Per me possono morire tutti» sentenziò l’altro, estremamente serio.
In un attimo il cielo si schiarì e il mare tornò a essere una tavola; non un alito di vento. Eve ne fu entusiasta.
«Meno male, ce la siamo cavata!»
Nypha scese dalla coffa per poi tirare un sospiro di sollievo. Per un attimo aveva avuto una paura matta – stare lì in cima, da sola, l’aveva portata a pensare che se avesse perse l’appiglio nessuno dei presenti avrebbe potuto afferrarla prima che venisse gettata in mare.
Proprio per questo aveva dato adito a tutte le sue forze per tenersi aggrappata, con il risultato che una volta scesa da lì si sentiva esausta.
«Chissà cosa volevano ottenere» si chiese Eve, parlando ad alta voce.
Killian sospirò. «A meno che gli altri non ne abbiano catturato uno, dubito che lo scopriremo.»
«Forse... erano pirati?»
«Se fossero stati interessati all’oro non avrebbero cercato di farci affondare» sentenziò Hydra che, intanto, aveva deciso di riposarsi un attimo facendo sparire i tentacoli. «Quelli volevano ucciderci tutti.»
Nessun’altro parlò. Non aveva senso rimuginarci senza avere degli indizi.
Fu a quel punto che udirono una voce familiare. Poco distante da loro, la scialuppa della nave Felicia stava tornando con a bordo una Lily stranamente silenziosa e un Naevin alquanto frettoloso.
«Ehi, tutto bene?» domandò Eve. «Com’è andata?»
A risponderle fu proprio la corvina: «Bene a parte la cannonata...»
Killian drizzò le orecchie. «Quale cannonata?» E lei ebbe appena il tempo di risalire a bordo che suo fratello le si avvicinò con gli occhi fuori dalle orbite.
«Prima che tu possa cominciare a sclerare, sto bene» disse.
Neanche Eve riusciva a credere ai suoi occhi: come poteva starsene a parlare tranquillamente quando la sua schiena era in quello stato?!
«Ma...Ma Lily, ti avevo detto-» tentò di dire Killian, balbettando, ma la sorella gli impedì di proseguire.
Era sempre così, suo malgrado. Lui la pregava di non farsi male e puntualmente lei tornava a casa con qualche osso rotto – perché per una volta non poteva restarsene fuori dai guai, eh?!
Poi qualcosa attirò l’attenzione di Nypha, anche lei scioccata per le condizioni della ragazza. «Rehagan e Diana sono tornati» disse indicandoli.
Erano entrambi seduti su Tortrus, la tartaruga marina che lo scienziato aveva evocato con i suoi poteri. Non appena anche loro furono a bordo, l’animale azzurro scomparve in un istante.
Killian sospirò. «Almeno voi sembrate stare davvero bene...»
«Ma... dov’è Nimue?» domandò Nypha a un certo punto.
Nessuno seppe risponderle, al che Lily andò in panico.
E se fosse stata sbalzata fuori? E se fosse annegata? E se fosse-?
Ma il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un leggero toc-toc. Poi una voce, quella della dottoressa, parlò atona: «Ehilà. Sono qui. Sono rimasta tutto il tempo nella mia cabina.»
«E- perché? Potevi aiutarci» provò a dire Eve.
L’altra alzò le spalle. «Sarei stata inutile.»
Semplice, diretta e concisa come al solito, pensò la rossa.
Dopodiché Nimue posò gli occhi su Lily e senza aggiungere altro le fece cenno si seguirla nella sua stanza dove si sarebbe occupata di lei. La corvina la seguì in silenzio, stando attenta affinché i capelli non le sfiorassero la ferita fresca sulla schiena.
Gli altri assistettero alla scena senza dire una parola.
«Quindi anche lei riesce a farla stare zitta» commentò Hydra.
«Beh, diciamo che ha i suoi metodi...» spiegò brevemente Killian. «Comunque, novità? Qualcuno di voi ha capito cosa volevano?»
«Il loro scopo era non farci raggiungere Damocles» disse Diana che, intanto, era rimasta con i fianchi appoggiati alla balaustra. «Non sono riuscita a sentire altro.»
«Beh, meglio di niente!»
Non lo aveva mai detto esplicitamente ma Killian si aspettava degli ostacoli del genere; certo, non si aspettava di incontrarli prima ancora di mettere piede nel regno. Ad ogni modo era stata comunque un’ottima occasione per osservare i maghi che aveva reclutato.
E mentre lui pensava a cosa preparare per cena – l’obiettivo era quello di congratularsi per l’ottimo inizio – tutti gli altri tornarono ognuno nella propria cabina – meno Hydra; lui avrebbe trascorso il pomeriggio a sincerarsi che Felicia non abbia ricevuto troppi danni.
Intanto Diana lottava con una crescente nausea. La tempesta aveva scombussolato il suo stomaco; avrebbe dovuto sbrigarsi a tornare anche lei in cabina per prendere quel farmaco che Nimue le aveva dato.
Ma prima ancora di poter fare un passo uno strano rumore attirò la sua attenzione. Fosse stata una situazione normale – fosse stata perfettamente in salute – non si sarebbe neanche sorpresa nel constatare quanto fosse vicino il nemico; avrebbe avvertito la sua presenza molto, ma molto prima.
Invece in quel momento ne rimase spiazzata. Eppure, il suo corpo si mosse alla stessa velocità cui era abituata, nonostante tutto.
Schivò il coltello diretto a lei, uscendone con un leggero taglio sulla guancia – troppo superficiale per poter usare i suoi poteri.
Adocchiò l’ometto che aveva avuto l’ardire di salire a bordo della loro nave di soppiatto e lo atterrò in meno di un secondo. Gli bloccò entrambe le braccia dietro la schiena e quasi gliele spezzò. «Quanti siete?»
La voce era sussurrata perché in realtà non si aspettava alcuna risposta, bensì stava scandagliando l’intera zona.
Trovati!
«Allontanati da lui!» esclamò un secondo uomo, alle sue spalle.
Le stava puntando addosso un’arma da fuoco e lei non l’aveva neppure sentito! Maledetta cinetosi!
«Io invece ti consiglierei di abbassare la tua pistola» sentenziò una voce divertita, che Diana conosceva fin troppo bene. Non c’era bisogno che si voltasse, sapeva perfettamente che Eve era lì e lo teneva sotto tiro con la sua magia, Golden Halo. «Non sono un cecchino come Nypha ma la mia mira è ottima. Vuoi provare?»
«Sono in quattro. Hanno nuotato fino a qui» disse Diana, voltando di poco la testa ma senza lasciare la presa sull’ometto che cominciò a lamentarsi per il dolore.
Preso alla sprovvista, il sopravvissuto della Turquesa si inalberò. «Che tu sia maledetta!» gridò e fece per sparare ma qualcosa di molto simile a un proiettile lo colpì alla mano, costringendolo a mollare l’arma.
In fretta Eve disegnò in aria una serie di anelli dorati, si aiutò con le dita e rilasciò un secondo “proiettile”, poi un terzo e così via mirando alle gambe e alle braccia del malcapitato, neutralizzandolo.
Dopodiché Eve ghignò. «Io ti avevo avvisato.»
Attirato dal frastuono e furioso come non mai, Hydra si affacciò sul ponte in tempo per trovarsi davanti due ennesimi fastidi. Senza neanche pensarci mise mano alle sciabole e in mezzo secondo procurò loro degli squarci sul petto, gettandoli poi in mare con un calcio.
«Chi cazzo sono questi?» sibilò.
Fu Eve a rispondere con un alzata di spalle. «Gli ennesimi sprovveduti.»
Diana – una volta appurato che il tizio sotto di lei fosse effettivamente svenuto – si rialzò. «È ancora vivo» disse.






 










 
 
[1] Plata in spagnolo significa Argento.

[2] Esmeralda in spagnolo è lo Smeraldo.

[3] La boma è una parte dell'attrezzatura velica costituita da una trave in alluminio, legno o fibra di carbonio che sostiene la base della vela principale. (Grazie, Wikipedia ^^)


[4] Turquesa in spagnolo è il Turchese.
 

 






 


Ebbene, eccoci qui. Vi ho fatto aspettare un bel po’ ma spero ne sia valsa la pena!
Sappiate comunque che il periodaccio sembra essere passato. Tutto okay, tutto risolto (finalmente!) e a parte il caldo infernale che mi sta lentamente uccidendo, potrei tornare ad aggiornare con più regolarità. Ma per il momento non vi prometto niente. Devo prima riprendere il ritmo.
Il capitolo di oggi conta ben 9548 parole... wow. In assoluto il più lungo finora.
Spero che questo possa farvi chiudere un occhio sul disegno che non ho potuto finire (praticamente devo solo inserire qualche dettaglio) ma non volevo farvi aspettare oltre... perciò eccomi qui ^^

E per di più ci sono stati i primi scontri, eh? Come vi sono sembrati? Troppo poco entusiasmanti? Troppo poco descritti? Ad ogni modo ho cercato di non mostrare tuttotutto, anche perché ho già in mente delle battaglie interessanti... eheh.
Insomma, questi personaggi hanno ancora tanto di dimostrare!

Chi si aspettava Lily in stanza con Nypha? ^^ Alla fine chi ha la camera singola sono solo Killian, Hydra e Nimue. Beati loro, eh?

Sappiate che non mi sono dimenticata dell’indovinello riguardante Orias. È solo che... il capitolo stava venendo così lungo che ho dovuto tagliarlo a metà!
Quindi sì, probabilmente il prossimo ripartirà da dove ci siamo interrotti e poi, chissà, magari arriveremo finalmente a Damocles.

Passiamo alle curiosità e questa volta parliamo dei vostri OC:

Curiosità n.10 ► Lakad, la tribù di Naevin, è un termine che in filippino significa “camminare a piedi”. Non ho altro da dire se non... figo ^^

Curiosità n.11 ► Ecco a voi alcuni hobbies: Lily sta sveglia di notte (^^); Killian risolve sudoku (li adoro anch’io); Diana scrive (oh, anch’io!); Hydra si allena (dovrei farlo anch’io T.T); Eve gioca al lancio dell’anello (e vince); Rehagan fa esperimenti (ma dai?!); Nimue chiacchiera con le sue piantine (O.o); Nypha cucina (più o meno); Naevin disegna (come me!); Clizia si prende cura della sua pelle (non come me!); Alastor fissa il vuoto (
quando non legge); Ella scava (tanto per cambiare) e Royal... segreto (indizio: centra Clizia!).

Allora alla prossima.

Rosy



P.S. Oggi torna One Piece dopo UN MESE di astinenza!! SIIIIIII *^*


 

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Capitolo 8
*** ► 07. Uno stronzo egoista ***



CAPITOLO 07. Uno stronzo egoista






Il suo nome era Yon ed era tutto pelle e ossa.
Tremava di paura dinanzi agli sguardi truci di Diana e Hydra – entrambi incazzati ma per motivi diversi. Se lei si sentiva punta nell'orgoglio per non averli sentiti prima a causa della sua cinetosi, lui sperava di poterlo ammazzare il prima possibile perché nel salire a bordo lui e i suoi amici avevano graffiato il parapetto della sua nave. A pensarci bene la morte non sarebbe stata sufficiente.
«Allora...» sentenziò Rehagan, che intanto era uscito, attirato dai rumori. «Dì un po', per chi lavori?»
Yon preferì guardare lui. E quella specie di interrogatorio andò avanti per molto tempo, in primis perché quell'ometto non riusciva a mettere insieme più di due parole senza balbettare o mordersi la lingua dalla paura.
Non sapeva cosa gli avrebbero fatto. Non li conosceva. Era soltanto un povero pescatore bravo a lanciare un paio di coltelli, niente di più!
«Vi prego, r-risparmiatemi... i-io neanche vi conosco!»
«Eppure questo non ti ha impedito di attaccarci. Due volte» ribadì lo scienziato. Le informazioni che era riuscito a tirargli fuori dalla bocca non erano molte e nemmeno troppo importanti.
Qualcuno non voleva che degli stranieri mettessero piede a Damocles e aveva pagato profumatamente un gruppo di mercenari e semplici marinai per poterlo impedire. Lui aveva semplicemente accettato per poter ottenere un po' di grana. A sconfitta subita, era stato l'unico a suggerire una ritirata ma gli altri tre avevano tanto insistito!
Secondo loro, chi li aveva ingaggiati non avrebbe mai lasciato perdere il fatto che per colpa della loro incapacità il suo piano era andato in fumo... ragion per cui avevano tentato il tutto per tutto.
Si erano detti che una volta abbassata la guardia, sarebbero riusciti quanto meno a farli desistere dal continuare il viaggio. Nessuno era mai sopravvissuto all'incantesimo Tempesta fino ad allora – paradossalmente, era più facile raggiungere il regno distrutto via terra, nonostante ci si impiegasse più tempo.
Rehagan gli domandò chi fosse questa persona ma Yon non seppe rispondere. Non l'aveva mai incontrato, addirittura non l'aveva neanche mai sentito parlare. Dopotutto, era solo un semplice pescatore.
Fu Killian a decidere cosa farne di lui: di sicuro ucciderlo non avrebbe portato ad alcun vantaggio, perciò optò di lasciarlo lì, in mezzo al mare e con una percentuale alquanto esigua di uscirne vivo.
«Bene. Visto che abbiamo risolto anche questa, direi che posso tornare in cucina!» esclamò, contento.
«Sei davvero cattivo, sai?» Eve era divertita. «Non lo invidio per niente... solo soletto su una zattera e in balia del mare!»
Killian si limitò a un'alzata di spalle, convinto del fatto che in un modo o nell'altro il misterioso finanziatore si sarebbe messo in contatto con il poveretto. E quando accadrà io lo verrò a sapere, pensò furbamente.
Quando quella specie di imbarcazione su cui era seduto l'ometto tanto pavido si allontanò abbastanza da sparire oltre la linea dell'orizzonte, la pace tornò a vivere a bordo della Felicia. Pace che però non durò a lungo perché Hydra notò qualcosa che non avrebbe dovuto notare – non in quel momento, almeno.
Io lo sapevo che non dovevo permetterle di mettere piede sulla mia nave!
«Eh? Che ti prende?» domandò Rehagan, avvicinandosi.
Lo stesso fece la rossa e persino Killian si fermò, incuriosito dalla faccenda.
Eve non ci mise molto a capire cosa avesse attirato la sua attenzione e se prima sgranò gli occhi dalla sorpresa, subito dopo lanciò uno sguardo preoccupato in direzione del marinaio.
Ops, pensò, incapace di dire qualsiasi cosa. Credo proprio che questa volta ci scapperà il morto!
«E-Ehm, Hydra?» tentò Killian, schiarendosi la voce. «Insomma, mi ha salvato. Non puoi chiudere un occhio per questa volta?»
Neanche a farlo apposta e con un pessimo tempismo, Lily uscì dalla cabina di Nimue proprio in quell'istante con addosso una maglietta arancione – un colore che mai aveva avuto indosso prima e che le sbatteva terribilmente.
Notò subito qualcosa che non andava. «Ehi, che succed-?» E subito dopo si ritrovò in mare. Livida di rabbia – e di freddo – nuotò fino a raggiungere la scala di corda che Killian le aveva calato, profondamente dispiaciuto.
Dopotutto era colpa sua: se non fosse sgusciato via dalla presa di Naevin, suo sorella non si sarebbe mai lanciata per recuperarlo e non avrebbe conficcato gli artigli nel legno scuro di Felicia, irritando oltremodo il loro compagno di gilda.
D'altronde gli andava bene persino che quella pazza gironzolasse per i corridoi della nave ma non che squarciasse il ponte che lui stesso aveva tirato a lucido con tanta fatica!
«Ma che cazzo ti prende?!» esclamò, infuriata.
Lui le lanciò un'occhiata assassina.
«Ricordi quando mi hai salvato prima? Pare che tu ci sia andata giù troppo pesante e abbia graffiato il legno» sussurrò suo fratello, accanto a lei.
Era di nuovo zuppa d'acqua. Lily sbottò: «Si può sapere che cazzo di problemi hai?!»
«Ringrazia che non ti abbia affogata.»
Non era disposta ad ascoltare altro, né ad accusare il suo sguardo inviperito quando l'unica che avrebbe voluto fare era ficcarsi in un letto e dormire! Ragion per cui scattò in avanti. Con un balzo raggiunse Hydra e fece per attaccarlo ma lui parò gli artigli con le sue sciabole.
È troppo avventata, pensò il fratello. Come minimo finirà per farsi male!
Senza pensarci due volte allentò la manica della camicia – il trench era stato appeso ad asciugare –, sfilò le bende che gli avvolgevano l'avambraccio e con un rapido movimento dell'arto lasciò che queste si avvolgessero attorno al braccio di Lily. Presa alla sprovvista, la ragazza perse gran parte della foga del momento; si sarebbe beccata un fendente dritto alla spalla se Killian non l'avesse tirata via da lì con un'espressione indecifrabile.
«Ehi, ehi, calmatevi!» esclamò Rehagan, parandosi al centro dei due litiganti. «Non siamo nemmeno arrivati a Damocles e già cercate di ammazzarvi l'un l'altra?»
«Fatti da parte. Una bella lezione non può che farle bene» sentenziò il moro, estremamente serio.
Lei, se possibile, si inalberò ancora di più. «Che cosa vorresti dire?!» Tentò di corrergli contro ma le bende del fratello si fecero leggermente più strette.
Fu a quel punto che fece il grande errore di guardarlo e ciò che trovò la imbarazzò da morire: Killian non era arrabbiato, era deluso. Senza conoscere il perché si ritrovò ad abbassare lo sguardo e con le lacrime agli occhi. Tutti i presenti se ne accorsero ma non dissero nulla.
Piuttosto, Hydra continuò il suo attacco verbale ma questa volta si rivolse proprio a Killian: «Non ottieni nulla se continui a viziarla in questo modo.»
«Cosa dovrei fare? Non sono mica suo padre» disse.
Gli altri tre si sorpresero non poco a sentirlo parlare. Era la prima volta che il loro "leader" assumeva un tono di voce diverso da quello gioviale e scanzonato. Eppure, il suo viso era rilassato e qualsiasi emozione negativa l'avesse attraversato sembrava essere sparita in un attimo.
«Ma l'hai cresciuta ed è diventata così ottusa da non rendersi minimamente conto di quello che le sta attorno. Prende e attacca chi non le va a genio» spiegò incolore. «Per non parlare di quel Master idiota. Gliele avete fatte passare fin troppe...!»
Lily si morse il labbro fino a farlo sanguinare – non una cosa difficile date le zanne che le occupavano la bocca – ma non disse niente. Strinse i pugni e arricciò il naso, incassando la testa nelle spalle.
«Ho come l'impressione che non stiamo più parlando del danno alla tua nave, Hydra. Adesso basta» sentenziò, finendo per bisbigliare quell'ultima frase.
La benda che bloccava la corvina si sciolse e lentamente – come se nulla fosse successo – se la riavvolse attorno all'avambraccio, in religioso silenzio. Diana era per lo più confusa perché mai come in quel momento avrebbe voluto sapere cosa passasse per la testa di quel tipo.
Eve li guardò, tutti e tre. Hydra roteò l'occhio al cielo e rinfoderò le sciabole, intenzionato a sistemare il ponte quanto il prima; intanto, Lily sembrava essersi bloccata del tutto.
Si accorse di Naevin solo quando le si avvicinò. Non aveva assistito allo scontro ma aveva ascoltato il triste scambio di battute tra i due e non aveva perso tempo ad andare da lei, visibilmente sconvolta.
«Che ne dici di tornare da Nimue a cambiare la medicazione?»
Killian gliene fu grato.
Dopotutto, ho fatto bene a chiederglielo, pensò sollevato.



 
§



«Cosa c'è?» domandò; Orias non poté non notare una sfumatura nervosa nella sua voce, sebbene la sua faccia assomigliasse perlopiù a una statua di sale mal riuscita.
E dire che fino a poco tempo fa sembravi pronta a saltargli al collo... ha toccato un tasto dolente, eh?
Lily sbuffò e davanti a sé si creò una nuvola di condensa. Tra tutti i posti in cui poteva svolgersi quel sogno, perché proprio la foresta? Perché in mezzo alla nebbia?
Qual è il problema?
Dapprima trattenne il fiato, visibilmente in difficoltà. Lily non avrebbe mai voluto sfogarsi con lui ma... «Killian era- era deluso da me» borbottò.
Naturalmente, lui roteò gli occhi. Scusa, ma che ti frega?
«Un maledetto egocentrico come te non può capire!» ribatté, inviperita.
Non puoi basare le tue azioni su ciò che pensano gli altri...
«Mi pare che Hydra abbia ribadito proprio questo! E ha ragione. Io-» Dalla sua bocca uscì un lamento straziato, misto a rabbia e disapprovazione per se stessa. «Perché è tutto così complicato?!» esclamò, rannicchiandosi contro un tronco.
Orias proprio non la capiva. O meglio, capiva a grandi linee quale fosse il problema ma se da una parte aspettava che fosse lei a rendersene conto, dall'altra non sapeva più neanche lui che pesci pigliare. Per quanto si ostinasse a rimarcare il contrario, Lily aveva una vera e propria dipendenza.
Non le importava di deludere gli altri, l'importante era non deludere Killian. Non più di quanto avesse già fatto, almeno.
Sei peggio di una bambina.
«Da che pulpito...!»
Lui sghignazzò. Voglio provare una cosa!
Lily non poté non sbuffare di rimando. Le sue idee erano sempre... preoccupanti.
Dai, vieni qui. Mettiti di fronte a me.
Non aveva proprio voglia di assecondare le sue strane richieste ma Lily si dovette arrendere – Orias sembrava parecchio ostinato e non avrebbe lasciato perdere tanto facilmente. L'alternativa era farsi assillare fino alla morte. Allora si alzò da terra. Si avvicinò a lui, seduto su un sasso, e poi lo guardò come a dire "E adesso?".
Ti fidi di me?
«No.» Chiara e concisa.
Lui non la prese affatto male: infatti rise. Fai bene. Ma questa volta dovresti farlo. Innanzitutto, rilassati e cerca di svuotare la mente.
«Impossibile se ci sei tu...»
Orias non la sentì nemmeno e le porse entrambe le mani. Lei però non si mosse; era tutto fin troppo strano. Perché all'improvviso tutta questa gentilezza? Cosa vuole fare?
Era vero: non si fidava per niente. Tutto ciò che diceva o che faceva riusciva a renderlo odioso ai suoi occhi – perché avrebbero dovuto aiutarla?
E lui, avvertendo i suoi pensieri, alzò gli occhi azzurri su di lei. Fu come ammirare due cristalli, due pezzi di cielo.
Eppure, il sorriso era tutt'altro che affabile. Per un momento le sembrò di trovarsi di fronte al diavolo in persona: non poteva fidarsi, nossignore.
Eppure, c'era qualcosa in quello sguardo che riusciva a calmarla. Cosa fosse non lo capiva. Forse erano proprio quel particolare colore d'occhi; oppure qualcosa che andava oltre l'aspetto.
Vorrei avere anch'io i capelli bianchi, pensò a un certo punto.
Glieli aveva sempre invidiati, sin dalla prima volta che era diventata consapevole della sua presenza lì.
Candidi come neve e morbidi come seta, in pandant con la carnagione pallida e le zanne d'avorio chiaro, in contrasto con gli abiti neri che indossava.
Alla fine, dopo innumerevoli ripensamenti, Lily si arrese – non avrebbe di certo trovato una spiegazione a quelle sue sensazioni – e posò le mani nelle sue, dalle unghie altrettanto affilate.
Per lei fu strano – erano rare le volte che avevano un contatto e di solito era specialmente Orias a tenerla lontana; non che lei fosse diversa.
È freddo come un cadavere, pensò tristemente.
Ora, chiudi gli occhi.
Lei obbedì, sebbene ancora un po' titubante. Probabilmente sta cercando di farmi uno scherzo.
Col senno di poi avrebbe dovuto sapere che non avrebbe dovuto fidarsi di uno stronzo del genere!



 
§



Quella notte successe una cosa bizzarra ma Yon era così felice di aver trovato qualcuno a cui chiedere aiuto che non pensò minimamente fosse qualcosa di cui preoccuparsi. Quante probabilità c'erano di incontrare qualcuno su quella rotta che nessuno sano di mente si sarebbe azzardato a solcare?
Una volta salito a bordo di quella nave dalle dimensioni ragguardevoli, si prostrò in ginocchio in segno di ringraziamento, scoprendo altresì che quello dinanzi a lui era proprio colui che aveva orchestrato tutto.
«Abbiamo ricevuto una richiesta d'aiuto da uno di voi» disse il capo di quel piccolo gruppo di uomini, sogghignando divertito. Il lungo cappotto che indossava era scuro e ben chiuso fino all'ultimo bottone; dello stesso colore erano gli stivali che s'intravedevano al di sotto. «Cos'è successo?»
Yon alzò la testa quel poco che bastava per poterlo vedere in faccia. Il taglio degli occhi era particolarmente affilato e accattivante; il sorriso sbilenco e l'iride di un colore indefinito per via della poca luce, suggerivano una personalità non eccessivamente positiva.
«Una nave è riuscita a passare, signor Zarath. Abbiamo cercato in tutti i modi fermarli ma non ci siamo riusciti. Uno di loro ha affondato la nostra nave senza muovere un muscolo!» spiegò, ancora scioccato. «Per non parlare del cecchino! È riuscito a sparare e a centrare i nostri maghi nonostante l'incantesimo Tempesta
Yon era visibilmente scosso dall'accaduto. Lì, ancora in ginocchio e tremante, sembrava un cucciolo impaurito.
«Sei l'unico sopravvissuto dell'equipaggio?»
L'ometto non reagì; sapeva soltanto che alcuni erano stati uccisi, mentre altri risultavano attualmente scomparsi.
«E sapresti dirmi qualcosa in più su questi maghi che vi hanno sconfitti?» gli chiese, mellifluo. «Non so, qualche particolare interessante...»
Yon non se lo fece ripetere due volte. Raccontò di come fosse stato messo ko da una ragazzina dai capelli viola. Parlò a proposito di un'altra maga che sparava piccoli anelli come fossero proiettili, del capitano della nave armato di sciabole e dei due tizi che l'avevano "interrogato".
Disse di aver visto un simbolo sulla vela maestra della loro nave: un libro aperto e un sole nascente.
«Come mai sei così sollevato, petit chou?» gli domandò, a un certo punto.
Nulla cambiò nel suo tono docile e benevolo, per cui l'ometto non si curò nemmeno di come l'avesse chiamato. «Credevo che mi avrebbe punito, signor Zarath. Sa, per aver fallito il lavoro che ci aveva commissionato...»
«Oh, non farei mai qualcosa di così orribile! La colpa è mia che ho sottovalutato la situazione. Non credevo che il regno di Fiore avrebbe inviato gente tanto forte.»
«Mi scusi se l'ho offesa!» esclamò, chinando nuovamente il capo contro il ponte della nave.
Zarath si voltò verso i suoi uomini, rimasti lì a osservare tutta la scena. «Preparate il bagno e dite al cuoco di affrettarsi a preparare la cena. Sono certo che il nostro ospite abbia tanta fame.»
Yon non poté non esserne felice. Stando a come ne parlava il capitano dell'Emerald, si era sempre immaginato una persona altezzosa e sinistra; e invece scopriva che il committente del lavoro altri non era che un uomo distinto e gentile!
Meno male... è proprio vero che non bisogna credere alle voci di corridoio, pensò, rialzandosi in piedi.
«Petit chou
«Mh? Sì?»
Avvertì soltanto qualcosa di freddo trapassarlo da parte a parte in meno di un secondo, senza nemmeno accorgersene, e poi tanto caldo. Il sangue colava denso insozzando i vestiti già zuppi d'acqua, fino a scivolare sul legno del ponte. Yon sentì male solo dopo aver capito di essere stato infilzato all'altezza del costato da una spada sottilissima, che ora luccicava di rosso davanti ai suoi occhi.
«Non ti sei accorto che uno di quei maghi ti ha infilato qualcosa nel taschino, vero?» gli chiese, sibillino.
L'altro tossì per la mancanza d'aria e sputò sangue quando tentò di parlare. Riuscì a malapena a balbettare un paio di parole prima di cadere nuovamente in ginocchio: «C-Cosa?! P-Perché?»
L'uomo dai capelli blu stretti in due paraorecchie pelose di colore bianco si abbassò e senza paura di sporcarsi, tirò fuori dal suddetto taschino ormai sporco di sangue ciò che rimaneva di una pietra rosata. «Intendo questa, petit chou. Me ne sono accorto quando ti sei alzato. È una Lacrima cimice. Ci hanno ascoltati per tuutto il tempo.»



 
§



A una prima occhiata, Killian sembrava immerso nei suoi pensieri.
Aveva la testa mollemente abbandonata contro il palmo della mano mentre seguiva con lo sguardo i movimenti di Eve che rimetteva a posto le ultime stoviglie, ma senza vederla sul serio. A un certo punto sospirò – cosa che non sfuggì alla ragazza.
«Sei in pensiero per Lily?»
Lui annuì, raddrizzando la schiena e portando entrambe le mani sul tavolo. Gli occhi color caramello bruciato erano fissi sulla Lacrima somigliante a un quarzo rosa che era appena stata distrutta – non avrebbe ascoltato altro della conversazione tra Yon e il suo finanziatore, purtroppo.
Quel tipo è più sveglio di quanto mi aspettassi, pensò.
Intanto, Eve gli si avvicinò mentre si asciugava le mani con un panno. «Non la conosco da molto ma posso intuire che non sia stato affatto semplice prendersi cura di lei. I vostri- cioè, i suoi genitori... che fine hanno fatto? L'hanno abbandonata?»
Per un attimo, Killian sembrò dimenticarsi di Yon e di Zarath, e alzò lo sguardo per risponderle, ben più vispo. «Curioso che tu ipotizzi questo. Parli per esperienza?»
«E se anche fosse?» ribatté, ironica. Poi tornò seria. «È sempre arrabbiata, perciò ho ipotizzato questo. Come se ce l'avesse costantemente con qualcuno. Ad ogni modo, complimenti.» L'espressione di Killian si fece oltremodo confusa; al che lei continuò: «Stai facendo del tuo meglio per prendertene cura. Credimi, è bello sapere di poter contare sulla famiglia.»
Lui non aggiunse altro ma osservò con minuziosa attenzione l'espressione di Eve; attorno a loro aleggiavano innumerevoli parole non dette e ne era perfettamente consapevole.
Eppure, nonostante la curiosità lo solleticasse, Killian sospirò. «Non l'hanno abbandonata ma , sembra avercela costantemente con qualcuno.» E purtroppo, anche se mi costa ammetterlo, questo qualcuno non è Orias... «Ormai l'avrete capito tutti che ha alcuni aspetti da migliorare. Deve imparare a controllarsi e a non fare sempre affidamento su di me per risolvere i suoi problemi, specie quelli relazionali.»
«È restia a fare nuove amicizie, ho notato.»
Killian le diede ragione, abbandonando il suo peso contro lo schienale della sedie, piegando la testa all'indietro e sbuffando un «Già» tremendamente fiacco.
Al che, la rossa ridacchiò. «Se devo essere sincera, le persone come tua sorella non sono il mio forte. Qualsiasi cosa dica sembra che la prenda come un insulto...»
«Dalle il tempo di sciogliersi un po' e prova a non toccarla spesso. Non le piace» suggerì, ruotando la testa nella sua direzione.
Eve annuì e fece per andarsene – avrebbe trascorso il resto della serata a leggere in attesa di addormentarsi –, quando incrociò Naevin sull'uscio.
«Ehilà!» Lui ricambiò il saluto. «Dove hai lasciato Lily?»
«Ha detto che sarebbe rimasta in cabina fino a domani.»
«Mi stupisce che tu riesca ad avvicinarti a lei.» Davvero, Eve non se lo spiegava.
Killian, invece, ne fu contento. «Ti ringrazio per aver accettato di starle vicino in mia assenza. Dopo oggi so di potertela affidare se durante il viaggio dovessimo separarci.»
«Aspettate. Cos'è questa storia?» Eve incrociò le braccia al petto, confusa.
«Gli ho solo chiesto di aiutarla. Sapevo che avrebbero legato. E poi ho subito capito quanto Naevin sia bravo ad ascoltare gli altri.»
Il moro si sentì quasi in imbarazzo a quei complimenti.
«Già. Tu sei un capotribù... avrai sicuramente esperienza. Ma forse questo non centra. Nonostante l'espressione corrucciata, sei proprio una persona dal cuore d'oro!» esclamò Eve, sorridendo.
Lui ridacchiò, non prima di risponderle: «Non sono corrucciato. È solo la mia espressione quando sono sovrappensiero!»
Alla fine la maga tolse il disturbo, anche convinta da un enorme sbadiglio che le scappò di bocca, mentre i due ragazzi rimasero in cucina. In un primo momento nessuno dei due sembrava voler parlare; poi fu Naevin a prendere parola: «Non ha detto niente e se n'è andata in camera.»
«Lo sospettavo» sospirò Killian.
«Ma almeno non mi ha mandato a quel paese quando le ho chiesto se preferiva il dolce o il salato per cena.»
L'altro rise. «Il salato, decisamente.»



 
§



Dopo una lunga notte di sonno – Naevin si era gentilmente offerto di controllare che tutto procedesse nel verso giusto – e dopo aver portato a termine le sue mansioni quotidiane, Hydra decise di darsi alla pesca.
Il tempo era perfetto. Il mare era tranquillo. Nypha sonnecchiava seduta accanto a lui su una sedia a sdraio.
E forse, proprio perché stava finalmente trascorrendo una mattinata tutto sommato tranquilla e senza intoppi, arrivò Lily.
«Che cosa vuoi?» le domandò; perché era chiaro che volesse parlare, suo malgrado.
La corvina sembrò non prendersela per quel suo atteggiamento visibilmente scocciato e, anzi, parlò con noncuranza: «Sono qui per dirti che hai ragione. Sono una viziata testa di cazzo.»
Hydra non se l'aspettava. Cos'era? Uno scherzo? Una presa per i fondelli?
«Non mi interessa avere ragione.»
«E fai bene» disse. «La ragione è degli idioti. E tu non sei un idiota, no?»
Se l'avesse detto con quel suo tono indisponente, il marinaio non avrebbe messo su un'espressione tanto schifata. Lily si spostò alle sue spalle e subito dopo lasciò scorrere le dita affusolate sulle sue spalle fino a toccare il bordo della camicia aperta sul petto.
«Ma che cazzo fai?» sbottò, scacciando le mani della ragazza.
Quest'ultima non si offese nemmeno. «Oh, non farti pregare...» disse e nel mentre tentò un secondo approccio, ma venendo fermata prima ancora di potersi avvicinare. Di nuovo in piedi e con una sciabola puntata alla gola di Lily – che sembrava addirittura divertirsi –, Hydra cercò un modo per capire cosa diamine le stava prendendo.
Poi, disturbata dai rumori, Nypha si svegliò. Adocchiò la canna da pesca abbandonata sul pavimento e se ne chiese il motivo, ma poi la sua attenzione si spostò prontamente sulle persone al suo fianco e sbiancò. «Oddio, ma che sta succedendo?! Non ditemi che state ancora litigando!»
Lily si girò nella sua direzione, facendo prontamente scorrere gli occhi lungo tutta la sua figura come se la vedesse per la prima volta. Per poi esclamare di gioia: «Ho capito! Preferiresti che ci fosse anche lei?»
«Io? Cosa?» domandò ingenuamente l'argentea, chiamata in causa.
Al che Hydra divenne ancora più scuro in viso. «Non t'azzardare!»
Entusiasta per essere riuscita – ancora una volta – a colpire nel segno, Lily raggiunse la cacciatrice di taglie con uno scatto felino e, burlandosi del marinaio, cominciò ad accarezzarle i lunghi capelli d'argento. Se li portò addirittura alle labbra e vi lasciò un bacio leggero, sogghignando.
«M-Ma... Lily!» esclamò Nypha, allontanandosi di qualche passo. «Insomma... che hai?»
«Per me non c'è alcun problema, Hydra~» continuò a dire la più giovane, ignorando la domanda. Anzi, cominciò a mordicchiarsi un labbro e inclinò la testa, squadrando i due maghi dinanzi a lei con espressione maliziosa. «Figurati se mi imbarazza fare una cosa a tre...!»
Nypha non riuscì a credere alle sue orecchie e quasi gli occhi le uscirono dalle orbite. Cosa diavolo sta dicendo?!
«Sparisci dalla mia vista prima che ti affoghi per davvero» sibilò lui.
Lily ridacchiò, sinceramente divertita.
Non sembrava volersi arrendere – anzi, pareva proprio che avrebbe continuato a sparare stronzate una dopo l'altra. Eppure, non lo fece. Improvvisamente prese ad annusare l'aria sotto lo sguardo inebetito degli altri due; si guardò un attimo intorno e sospirò, scocciata.
«Peccato. Ma la prossima volta si potrebbe organizzare, eh...» disse, mostrando al contempo un ghigno per niente rassicurante.
Hydra avrebbe tanto voluto tagliarla in due in quello stesso istante ma se da un lato Nypha glielo impedì – nonostante l'imbarazzo, forse era l'unica ancora sana di mente e con il cervello sulle spalle; dall'altro, Lily si dileguò in tempo zero.
Il marinaio rinfoderò la sciabola ma non per questo era meno incazzato.
«Avrei dovuto ucciderla.»
«E invece ci calmiamo tutti» ribatté lei, ancora sconvolta per l'accaduto. «Tu hai capito cos'è successo? Sembrava un'altra persona...»
Lui si limitò a lasciarsi sfuggire un ringhio basso. Quella è più pazza di quanto avessi immaginato!
Ma proprio quando stava per dire la sua, Killian arrivò con il suo solito sorriso – sembrava essersi dimenticato di quanto accaduto il giorno prima. «Ehilà! Che fate di bello? Oggi è una giornata splendid-»
«Tua sorella è del tutto impazzita?!» esclamò, interrompendolo.
Oddio...! Fu più forte di lui, la seguente domanda gli uscì svogliatamente: «Che è successo stavolta?»



 
§



Anche se non lo dava a vedere, Eve era preoccupata.
Non sapeva cosa avrebbe trovato a Damocles e se l'avrebbe trovata ma l'idea che ci fosse qualcuno che impediva alle navi straniere di attraccare non era affatto un buon segno. Il motivo poteva essere solo uno: questo qualcuno nascondeva qualcosa.
Ma cosa?
Poteva avere a che fare con l'improvvisa partenza di Kyla? Forse. O forse no. Eve non poteva sapere cosa diavolo le fosse passato per la testa per non tornare.
Eppure, anche mentre era seduta in sala da pranzo rileggendo per venticinquesima volta la stessa riga di quel libro, non riusciva a non pensare; era così arrabbiata con lei!
Tanto che il viso si contrasse in una smorfia.
E Lily, che si era messa a fissarla da un po', colse l'occasione per fare quattro chiacchiere: «Brutta giornata, eh?»
La rossa dapprima sobbalzò – non si aspettava di trovarsela così vicino e così all'improvviso; quand'era arrivata?! – poi cominciò a osservarla di ramando. Si chiese come fosse possibile.
Coma riesce a far finta di niente dopo il casino di ieri?
«Da quanto sei qui?»
Lily incrociò le braccia sul tavolo, poggiandovi la testa subito dopo; non smise di guardarla nemmeno per un secondo. «Più o meno due sospiri e un grugnito fa!»
«E cosa ti ci ha portata?» continuò a chiedere.
«Le tue tette.»
Cosa...?
«Cosa?»
La corvina scoppiò a ridere di gusto.
Dev'essere successo qualcosa. Non è che la cannonata ha avuto un effetto a scoppio ritardato e ora si è rincitrullita? Istintivamente mosse gli occhi alla ricerca di Killian ma di lui non v'era traccia. Lui sì che avrebbe saputo cosa fare!
Intanto, Lily si ricompose. «Stavo solo scherzando!»
«Hai bevuto?»
«Mh, no. Anche se bevessi non mi ubriacherei mai. Mai. Mai. Mai. È una vera noia!» La corvina le rubò il libro dalle mani e ne lesse il titolo; lo fece soltanto per cercare di irritarla almeno un po'. «Comunque è vero che hai delle belle tette. E io non ho preferenze.»
Eve proprio non riusciva a capacitarsi di quell'improvviso cambio di atteggiamento. Quand'era diventata così aperta e disponibile al dialogo? «Mi spiace ma non ho certi gusti.»
Lily annuì; sembrò capire.
Allora l'altra sospirò, riprendendosi il libro e facendo per alzarsi – forse era lei che aveva le allucinazioni a causa di qualche strano intruglio di Rehagan; sì, doveva essere così per forza.
Voleva solo tornarsene in camera e al più presto. Lì ci avrebbe forse trovato Diana che di parlare non aveva mai voglia – una vera noia – ma almeno si sarebbe risparmiata quella bizzarra situazione.
Solo che non fece in tempo a farlo, perché Lily l'agguantò per il poncho color ocra e la tirò verso di sé solo per poterle afferrare i seni con entrambe le mani.
Eve ne rimase allibita.
«Hai la sua stessa taglia» commentò, seria.
E allora la rossa se la tolse di dosso solo per poterle puntare contro un dito. «Si può sapere che ti prende?! Ieri per poco non ti mettevi a combattere contro Hydra e adesso sembra ti sia passata di colpo! Domani cosa farai, ti metterai a ballare la macarena sul ponte?!»
La mora si limitò a un alzatina di spalle, come se la cosa non la riguardasse affatto. «È che sei l'unica degna di nota. O meglio, l'unica disponibile che è anche degna di nota... se ci provassi con Nypha, quello lì mi farebbe a fette!»
Ma che sta dicendo?
«Nimue mi terrorizza, mentre Diana è una stronza. Semplice!»
Killian, ti prego, vieni a riprendertela perché sta cominciando a farmi paura...!
«Ma tranquilla. In realtà sono passata perché mi interessa il posto da dove vieni. Wilbourne, hai detto? Non è dove c'è quella gilda che-»
«Lily!» La voce di Eve tradiva – purtroppo per lei – una certa agitazione. Se ne rese conto solo dopo, quando l'altra le lanciò un'occhiata come a volersi prendere gioco di lei. Tutto di lei urlava un'insopportabile "Ho fatto centro". «Lily...»
«Cosa?»
«Sei proprio sicura di stare bene?»
«Certo, certo...» disse la corvina, liquidando la domanda. «Ma non pensare che ti salverai cambiando argomento.»
Eve imprecò sotto voce.
«Per oggi ti lascio stare, però. Ho qualcosa di meglio da fare!»
Ridacchiò, la salutò con un veloce gesto della mano e quasi saltellando uscì dalla sala da pranzo lasciando la maga alquanto scossa.
Ma che cazzo è appena successo...?!
Non osò nemmeno seguirla perché cosa avrebbe potuto dirle? Forse avrebbe dovuto fermarla. Tipo... immobilizzarla e lasciarla a suo fratello?
E a proposito di lui. Mi aveva giurato che era l'unico a saperlo, maledizione!



 
§



Per quanto Rehagan fosse ben visto dal gentil sesso, non poteva di certo definirsi un tipo particolarmente procace. Non avendolo mai sperimentato in prima persona, non avrebbe neanche saputo come comportarsi. Men che meno immaginava di trovare la persona giusta, dichiararcisi e andare a letto insieme.
Ma in quel momento – sulla Felicia; in viaggio per Damocles – non era di certo né con la sua anima gemella, perché di fatto non sapeva chi fosse, né nelle condizioni più adatte per riuscire a connettere le sinapsi del suo cervello. Ma sapeva una cosa: da lì la faccenda sarebbe diventata ingestibile.
«Si... Si può sapere che stai facendo, Lily?»
Cercò di chiederglielo con la giusta calma ma dentro di sé stava implodendo. Non era normale un comportamento simile da parte di quella che fino a pochi giorni prima gli stava a debita distanza perché – parole sue – puzzava di alcol, bosco e medicine. «Un mix esagerato» aveva detto.
Eppure, pochi istanti prima la ragazza aveva messo via i suoi appunti – che stava leggendo accuratamente da quella mattina presto – e l'aveva tirato per un orecchio costringendolo ad abbandonare la scrivania per sedersi a terra, ai piedi del letto.
Per poco non si ruppe il polso nel cercare di attutire la caduta.
Lì per lì non si curò di quello che stava succedendo ma poi Lily si era messa a cavalcioni su di lui e i campanelli d'allarme avevano cominciato prepotentemente a suonare nella sua testa.
«Okay, Lily, che ti prende? Che vuoi fare?» domandò velocemente, impedendole di avvicinarsi ulteriormente. Le afferrò i polsi e allungò indietro la testa per evitare di baciarla per sbaglio.
Qua sta succedendo qualcosa di strano, si disse.
Poi, finalmente, la corvina si fermò, accigliata. «Oh, ma andiamo!»
«Andiamo cosa? Sei matta?!»
Lei non rispose subito. Lo fissò e lo fissò; il fatto che non sbattesse nemmeno le palpebre contribuì a rendere tutto ancora più inquietante!
Dopodiché sembrò riprendersi. Gli angoli della bocca si piegarono leggermente verso l'alto e Rehagan pensò che forse avrebbe anche potuto allentare la presa sui suoi polsi – sembrava essersi calmata.
Mai pensiero fu più sbagliato!
Lily ne approfittò e anziché continuare a spingere per afferrargli il viso per poterlo baciare, mosse le mani fino a toccargli il cavallo dei pantaloni.
«Lily!» esclamò, cercando di fermarla. Cosa poteva fare lui – gracilino com'era – contro una ragazzina che da sola era in grado di scardinare una porta di ferro con un pugno?!
Niente. Lui non era mai stato un credente – era uno scienziato – ma l'idea che qualcuno nell'alto dei cieli avesse voluto salvarlo da quella piccola molestatrice non gli parve poi tanto assurda quando vide entrare Naevin in cabina.
«Oh mio- grazie! Niv, ti prego, toglimela di dosso!» esclamò.
Eppure non fece in tempo nemmeno lui che, rimasto impalato sull'uscio della porta con gli occhi spalancati, lasciò che Lily lo spintonasse in corridoio per potersene andare indisturbata.
Solo dopo qualche secondo sembrò riprendersi. «Cosa diavolo è successo?» tentò di chiedere a un Rehagan più allibito di lui.
Lo vide chiudersi la zip dei pantaloni e tirare un sospiro di sollievo. «Credimi, ne so quanto te» disse, dandosi il tempo di mettere insieme tutte le informazioni in suo possesso. «Non sarà che soffre di un disturbo della personalità?»
«Mh? Che roba sarebbe?»
Lo sguardo di Rehagan si fece improvvisamente luminoso. «Non ho mai conosciuto qualcuno che soffre di questo disturbo! Voglio saperne di più!»
Detto ciò, si scapicollò anch'egli in corridoio.
Naevin – che non ci aveva capito assolutamente niente – si sforzò di seguire il compagno di cabina onde evitare altre spiacevoli situazioni.



 
§



La sua era una magia innata. La magia della Comprensione Sensoriale aveva i suoi punti di forza ed erano innegabili; senza non sarebbe stata in grado di percepire il più piccolo rumore anche a parecchi metri di distanza, di percepire la vita di altri esseri viventi nelle vicinanze.
Non aveva mai fatto cilecca, mai. Eppure, Killian non lo sentiva.
Senza contare quella strana voce che aveva sentito il giorno della riunione in gilda. Chi diavolo era? Cosa voleva? E da dove proveniva?!
Erano pensieri che non l'avevano lasciata un attimo. Neanche lì, sulla coffa della nave che li stava portando a Damocles, riusciva a non rimuginarci.
Volse lo sguardo verso il cielo e sospirò, ignorando le voci dei suoi compagni di viaggio che per forza di cose la stavano raggiungendo. Hydra imprecava. Eve era un groviglio di pensieri. Che caos...!
Fu allora che udì Lily uscire sul ponte. A giudicare dai passi felpati sembrava intenzionata a non farsi vedere da nessuno e allora Diana si affacciò, non tanto per la curiosità ma perché per la prima volta riusciva a non percepirla come un agglomerato di emozioni alla rinfusa.
Era quasi silenziosa e la cosa la stupì.
Poi, la sentì parlare ad alta voce e Diana si ritrovò a sgranare gli occhi dalla sorpresa. «Ma che cazzo...?» disse, tra sé e sé.
Senza pensarci due volte saltò con l'intenzione di raggiungere la corvina; quest'ultima naturalmente non si fece cogliere impreparata e si voltò a guardarla scocciata mentre atterrava sul ponte.
In un primo momento non disse niente, Diana, al che Lily allargò le braccia. «Allora? Che c'è?»
Tutto questo è strano ma ormai non ci sono più dubbi, pensò.
La indicò col mento. «Chi sei?»
Lily rise. «Hai preso una botta in testa? Sono io!»
«Non sono una stupida. La tua voce è diversa da prima!» esclamò.
Ci mancava solo questa, pensò la corvina. «Datti una calmata, ok? In che modo la mia voce sarebbe diversa? Sono sempre io, Lily
«E da quando sei un maschio?»
L'altra scelse di fingere. «Come?»
«Ho detto che non sono una stupida» ripeté, intimidatoria.
Cazzo. Cazzo. Cazzo! Per una stramaledettissima volta che riesco a uscire, dannazione!
Naturalmente, Diana sentì tutto ed era pronta ad avventarsi contro di lui. E lo fece. Cercò di tirarle un calcio sul collo ma Lily si spostò giusto in tempo.
«Che gran rottura! Speravo di divertirmi e invece sono qui a combattere contro una stupida ragazzina...»
Ora, Diana non era mai stata una persona particolarmente paziente e se quello lì aveva avuto anche l'ardire di definirla "stupida ragazzina", allora c'era ben poco da fare. Lily fece per sferrarle un pugno che però venne prontamente bloccato dall'altra.
La corvina le afferrò l'avambraccio lasciando volutamente che gli artigli – intanto, cresciuti di un paio di centimetri – le lacerassero la pelle e le sferrò un calcio tra le costole. Diana non emise alcun lamento, ma non si aspettava una tale velocità di reazione.
Lily – o chi per lei – non accennò a lasciarla andare. Anzi, la tirò verso di sé e con un rapido – rapidissimo – movimento la bloccò a terra – roba che lei stessa capì di avere un braccio bloccato dietro la schiena e l'altro ancorato al ponte solo quando sbatté violentemente il mento.
La maggiore delle due ridacchiò. «Ti arrendi?»
«Neanche per idea» grugnì. Tentò di sgusciare via dalla sua presa e nel frattempo di muovere l'arto che quegli artigli le stavano bucando; non pretendeva di riuscire a staccarsela di dosso; era tutto un diversivo.
Fu quando vide quelle gocce di sangue scivolare piano e sporcare il legno scuro della nave, che ghignò. Diana avrebbe potuto fare tante cose ma era certa che Killian non sarebbe stato affatto contento se avesse fatto esplodere il cuore della sua sorellina – dopotutto, sentiva anche lei, in quel corpo.
Manipolò il suo stesso sangue com'era abituata a fare, lo trasformò in una specie di corda che, risalendo lungo il braccio nudo di Lily, andò a stringersi attorno al collo della mora e, infine, strinse. Diana ghignò, mostrando per la prima volta un paio di canini appuntiti e facendo brillare i suoi occhi diventati color cremisi a causa della sua abilità.
Lily lasciò immediatamente la presa per togliersi di dosso quella roba, già livida nel giro di pochi secondi, lasciando così il tempo a Diana di liberarsi con uno strattone e sferrarle un calcio, allontanandola da sé.
La mora tossì; la più giovane aveva lasciato che riprendesse fiato per non ucciderla. «Cazzo. Sei davvero una rottura! Quindi è questa la tua magia?!»
«E tu? È così che combatti? Avevo ragione, sei diverso da Lily. I tuoi movimento sono precisi e veloci, i suoi no.»
«Sei in vena di complimenti, tavoletta? Anche tu ti muovi bene.»
L'altra per poco non ringhiò ma volle ignorare il soprannome idiota con cui l'aveva appena chiamata. Non è mica colpa mia se non ho un seno prosperoso! «In realtà muoio dalla voglia di farti davvero male.» Fece scricchiolare le articolazioni delle mani.
Lily ridacchiò, particolarmente eccitata. «Oh, fatti sotto.»
«Stop!» esclamò una voce. «Adesso basta!»
Killian – la persona che le aveva fermate – fu il primo a raggiungerle; sembrava arrabbiato, a giudicare da come pestava ai piedi. Dietro di lui c'erano tutti gli altri, allibiti per ciò che stava accadendo da un'oretta a quella parte.
Il leader del gruppo si piantò proprio davanti a sua sorella. Aveva la fronte corrucciata e gli occhi ridotti a due fessure. «Adesso spiegami cos'è questa pagliacciata, Orias
Decise altresì di ignorare il mormorio alle sue spalle.
«Ma dai. Mi hai beccato?» si lamentò Lily. «Come diavolo hai fatto?»
«Scusate» cominciò a dire Nypha, interrompendo sul nascere la conversazione per cercare di comprendere cosa stesse succedendo. «Chi è Orias? E di cosa state parlando?»
Killian prima tentò di spiegare, poi guardò sua sorella – o quasi – in cerca di un piccolo aiuto che non arrivò mai – si limitò ad alzare le sopracciglia, vagamente divertita; infine, buttò fuori l'aria che aveva trattenuto fino a quel momento. Ok, mi arrendo. «L'anima di Orias è incatenata a quella di mia sorella da qualche annetto, diciamo, e, a quanto pare, quest'idiota ha trovato il modo di scambiarsi di posto con lei.»
Nessuno poté non notare la nota di fastidio nella sua voce – ignorando per un attimo cosa avesse appena detto.
«In che senso... incatenata?» chiese Eve.
«Orias è sempre lì, nella sua testa. Quando è addormentata può addirittura vederlo e toccarlo ma è la prima volta che è fuori» spiegò Nimue con la sua solita apatia, sbalordendo tutti.
Rehagan, infatti, si girò a guardarla. «Tu lo sapevi?»
«È esattamente per questo che non mi piaci.» Orias si mostrò visibilmente scocciato. «Hai sempre quello sguardo vacuo, eppure non ti sfugge niente. Peggio di te c'è solo quell'orrendo ratto di biblioteca!»
«Soltanto io, Nimue, Ella e il Master siamo a conoscenza di questa cosa. In pratica, gli unici con cui Lily ha particolare attaccamento. E ora lo sapete anche voi... fantastico» grugnì, alla fine.
Killian si stava mostrando parecchio infastidito e la cosa incuriosì non poco gli altri maghi. Lui, che era solito mantenere un sorriso di facciata anche nelle situazioni più avverse, si innervosiva in "presenza" di un tizio che non aveva neanche un corpo?
Rehagan, che aveva ascoltato con interesse quel breve scambio di battute, si fece avanti: «Aspettate. Ci sono delle cose che vorrei capire. Come ha fatto Orias a legarsi a Lily? E perché?»
Il suddetto sollevò entrambe le sopracciglia. «E io che ne so?»
«A quanto pare nemmeno lui ne conosce la ragione. È semplicemente apparso... e basta» spiegò Killian, incrociando le braccia al petto. Dopodiché gli lanciò un'occhiataccia da manuale. «Piuttosto, come ti è saltato in mente di mettere su questo teatrino? Col corpo di mia sorella, poi!»
Lui alzò gli occhi al cielo e fece una smorfia. «Avevo solo voglia di divertirmi. Nella testa di Lilì non c'è un granché da fare e poi volevo conoscere di persona i nostri nuovi... alleati?»
«Molestandoci?» chiese Eve, ricordando ancora come le avesse strizzato i seni in sala da pranzo.
Lui rise. «Già. È stato divertente! Ma figurati se avrei realmente fatto qualcosa... per godersi il sesso bisogna essere in due a volerlo» disse, lascivo. Poi guardò nella direzione del marinaio, lanciando altresì un'occhiata alla cacciatrice di taglie nascosta dietro di lui e che faceva capolino oltre la sua spalla. «O in tre...!»
«Ok, direi che è abbastanza!» sbottò Killian, interrompendo sul nascere qualsiasi altra discussione. «Falla tornare. Ora.»
«E va bene! Sei una rottura di palle, lo sai?!»
«Per favore, però, la prossima volta avvertiteci di questa... cosa. Ok?» fece Eve.
«No. No. Un momento. Non mi avete spiegato assolutamente niente!» intervenne Rehagan, frenetico. «Possibile che non sappiate come sia possibile che l'anima di qualcuno si leghi al corpo di qualcun altro?!»
Diana, che non aveva smosso gli occhi da loro, aguzzò le orecchie ma a parte il vociare isterico di una Lily apparentemente incazzata nera e i commenti poco simpatici di Orias, non era in grado di decifrare alcune loro parole o modi di dire – come se parlassero in un'altra lingua.
Ciò la fece irritare. Killian è completamente muto alla mia abilità; Lily è un gran casino da ascoltare se non fosse per alcuni pezzi incomprendibili; Orias è di una volgarità indefinibile, si disse. Capì che la voce che aveva udito all'Ancient Aurora era proprio la sua.
«Vi chiedo di essere pazienti. Non è semplice avere a che fare ventiquattro ore su ventiquattro con un individuo del genere» disse, indicando proprio sua sorella.
«Guarda che tra i due la più complessata è proprio lei, fratellone» scimmiottò, beccandosi un'altra occhiataccia.
Hydra, che fino a quel momento era stato in silenzio, sospirò. Ci mancava solo questa, pensò. «Che sia da sola o in combo con un altro pazzo delirante, non importa. Mia la nave, mie le regole. Se non vi piace, potete farvela a nuoto.»
«È per questo che mi stai simpatico!» Orias sorrise, immaginandosi scene che fecero impallidire la povera Diana. «Scommetto che dev'essere uno spasso farlo con te. Anche se devo ammettere che sono combattuto...»
«Reha» Per amor della sua sanità mentale, Eve scelse di interrompere quello che sembrava un argomento che avrebbe sicuramente fatto saltare qualche testa – prima che fosse troppo tardi, almeno. «Tu sei uno sciamano. Una specie di... sacerdote, no? Non ti viene in mente niente che possa aiutarli? Mi sembra di capire che questo Orias non sia proprio un tipo facile da gestire.»
Il ragazzo preso in causa, si bloccò del tutto. Persino il suo flusso di pensieri venne bruscamente interrotto e quando si voltò verso la rossa, questa si ritrovò, suo malgrado e inaspettatamente, a sostenere quella che era a tutti gli effetti un'occhiataccia da record.
Cos'avrò detto per farlo incazzare così?
Presto detto. Rehagan diede voce alla sua stizza. «Io non sono uno sciamano!»
Naevin, che aveva fatto lo stesso errore di Eve la prima sera, quando si erano messi a chiacchierare in cabina del più e del meno, cercò di farle capire che era meglio lasciar perdere ma lei non notò nemmeno che stesse scuotendo la testa. Era troppo occupata a ridacchiare per quel repentino cambio d'espressione. «È così che ti chiamano tutti, no? Rehagan, lo Sciamano
«Ma io sono uno scienziato!» esclamò tutto d'un fiato.
«Va bene, ma permettimi di dire che la tua magia non ha praticamente niente di scientifico, Reha. Tu evochi quella specie di fantasmi dalle sembianze animali...»
«Quelli sono i miei Spiriti Guida, non sono fantasmi.» Rehagan ricordava perfettamente cosa gli disse quel vecchio, tanti anni prima. La sua era una magia unica nel suo genere. Non apriva varchi spaziali e non evocava creature da un'altra dimensione: gli Spiriti Guida erano molto di più di questo.
Erano spiriti della natura con un proprio istinto. E lui non apprezzava molto che li si paragonasse a robe strane o a delle mere evocazioni.
Intanto, Eve annuì – più che altro si era accorta che stavano sviando il discorso – e tornò a guardare Lily – opsOrias. «Quindi cosa contate di fare?»
«Sopportarlo finché non troviamo il modo di tirarlo fuori di lì» sibilò Killian.
«Posso prelevare un campione del suo sangue?» Rehagan non stava scherzando, ovviamente. «Giuro che non farò strani esperimenti ma voglio cercare di capire.»
Killian non dovette nemmeno chiedergli perché avesse preso tanto a cuore la questione. La verità era semplice: Rehagan era uno scienziato e uno scienziato – lui stesso ne avrebbe dato conferma – era solito porsi infinite domande. Cosa ha permesso all'anima di Orias di legarsi a Lily? Era stata un'operazione facile? Orias aveva un corpo da qualche parte?
Ma soprattutto, la presenza di Orias, andava a modificare la struttura genetica del corpo di Lily? Era principalmente a questa domanda che Rehagan desiderava cercare una risposta. Per questo, Killian annuì.
Non che non ci avessero già provato ma magari la mente illuminata di quel bizzarro ragazzo dalle orecchie a punta avrebbe trovato una traccia che ad altri era sfuggita.
«Nimue, hai tu l'occorrente?»
Lei annuì e senza farselo ripete andò a recuperarlo nella sua cabina. Orias alzò un sopracciglio, irritato dal fatto che tutto sembravano ignorarlo. «Col cazzo che mi faccio fare un prelievo!»
«Tu non hai alcun diritto di opporti, sappilo.» Killian era sul piede di guerra.
Nimue tornò in quell'esatto momento. Seppur con qualche reticenza, Orias accettò e in meno di un minuto Rehagan era in possesso di cinque belle provette contenenti il sangue cremisi di Lily.
«Ora che abbiamo finito, posso andarmene?» Lo Stronzo sembrava essersi stufato.
Non ci fu bisogno di assensi; Orias sospirò e di colpo la postura dritta della ragazza venne meno. Corrucciò le sopracciglia per poi sgranare gli occhi; Lily si guardò attorno con la vergogna stampata sulla faccia.
Non seppe cosa dire ma il suo cervello era stracolmo di parole, tanto che Diana dovette fare qualche passo indietro. Quanto cazzo pensa!
«Senti-» Killian tentò, ma invano.
Sua sorella lo liquidò e – letteralmente – scappò via, andando a chiudersi in cabina e a infilarsi sotto le lenzuola, neanche fosse una bambina di sei anni.
Dopo questa palese fuga, i maghi non seppero bene cosa dire.
Era stato così strano che in parte non avrebbero saputo cosa aspettarsi da lì in avanti. Nimue tornò nella sua stanza – non avrebbe risolto niente andando a tranquillizzare Lily, ne era più che consapevole – lasciandoli lì a riflettere e a guardarsi nelle palle degli occhi, allibiti.
Forse aspettavano un suggerimento; magari proprio da Killian.
Quest'ultimo però sembrava immerso nei suoi pensieri e non si accorse nemmeno di avere cinque paia d'occhi puntati addosso, almeno finché Rehagan non si schiarì la voce. «Quindi?»
«Quindi nulla. Comportatevi come al solito, per favore.»
Hydra annuì scocciato, poi tornò a governare la nave – improvvisamente, la fretta di raggiungere Damocles si era quintuplicata. Si allontanò per prendere in mano il timone sotto lo sguardo ancora confuso di Nypha. Lei era combattuta.
C'era una cosa che avrebbe tanto voluto fare ma la sua solita ansia le impediva di muovere anche solo un passo. Se ne avesse parlato con il marinaio, forse l'avrebbe spinta a fregarsene e a ignorare quel fastidioso nodo allo stomaco. Cos'è che diceva sempre?
«Non c'è motivo di avere paura. Tu sei tu. E chiunque ti veda soltanto come una crudele assassina, non ha capito niente. Sei una bella persona.»
Nypha trattenne il respiro e poi buttò fuori l'aria, calmandosi; lanciò una breve occhiata a Killian – che sembrò intuire – e poi prese a camminare verso la sua cabina.
Invece, Eve sospirò. «Prima la tempesta, poi un branco di idioti che ci attaca; ci mancava soltanto un tizio molesto che vive nella testa di una ragazzina iper-suscettibile. Avresti dovuto avvisarci, capo
«Sarebbe dovuto restare segreto.» Killian si portò la mano sulla fronte, spostando i ciuffi ribelli all'indietro con un leggero sbuffo. «Ma ormai è andata. Vi chiedo soltanto di non fissarvi sull'idea che Orias possa uscire fuori tanto spesso. Questa è la prima volta che succede e nemmeno io so cosa fare a riguardo.»
«Piuttosto, Diana, perché non vai a farti medicare?» domandò Naevin, notando solo in quel momento che la ragazzina si teneva il braccio leggermente imbrattato di sangue. «Sei ferita.»
Lei non diede segno di averlo ascoltato ma si diresse, suo malgrado, nella cabina di Nimue.



 
§



L'assenza di un tornado come Lily si notava eccome.
C'era molto più silenzio, c'era molta più calma... ma stranamente, molti membri dell'Aurora non riuscivano a trovare un posto sufficientemente adatto per mettersi a studiare; Alastor non contava, lui era capace di portarsi i libri dentro una tomba e restarci per decadi.
C'erano fin troppo silenzio e fin troppa calma.
Anche Royal era di quell'avviso. Quasi gli mancavano le scenate isteriche di quella ragazzina rompiscatole perché il libro che le interessava non era più al suo posto o perché aveva beccato qualcuno a prenderla in giro.
Ormai si erano abituati ai suoi ritmi e alle sue stranezze e chissà quanto tempo avrebbero dovuto aspettare prima di sentirla strillare per un nonnulla!
E Royal sospirò, annoiato.
Oltre il bancone – il suo posto preferito della gilda dopo il suo ufficio – c'era Wiles, il mago dei fornelli. Si erano messi a chiacchierare del più e del meno. In particolare, il biondo si era messo a raccontare di quando il suo ex fidanzato l'aveva aiutato a sistemare casa – venendo lasciato due mesi dopo.
«Ehi,» Wiles gli indicò qualcuno alle sue spalle. «C'è posta per te.»
Il Master si voltò quel poco per poter incrociare gli occhi acquamarina di una ragazza avvolta in un cappottino bianco, in pendant con cappello e stivali, aventi lo stemma dorato dell'ufficio postale di Magnolia.
Lei, che aveva i capelli arancioni morbidamente acconciati in due lunghe e vaporose trecce, accennò un saluto veloce e, un po' in imbarazzo, tirò fuori dalla borsetta a tracolla una lettera.
«Questa è per lei, signor Vandom.»
Royal non si aspettava di ricevere della posta, men che meno si aspettava di riceverla direttamente dalle mani del postino di turno.
Prese in mano la busta; nessun mittente e nessun francobollo.
«Chi la manda?» provò a chiedere.
impacciata. «Non saprei, signor Vandom. Non c'è scritto. Il mio compito è di consegnarla.»
Royal annuì ma a stento riuscì a salutarla quando lei chinò la testa in segno di saluto, prima di andarsene. Wiles non poté non ridersela. «Fai quest'effetto alle donne? Scappano tutte via?»
«Piantala...» disse, confuso.
Il biondo alzò le spalle ma non osò continuare. Aspettò che il Master aprisse la lettera e che ne leggesse il contenuto.
Poi notò la sua espressione corrucciata. «Qualcosa di serio?»
In risposta, Royal imprecò in maniera abbastanza colorita – roba che un bambino non avrebbe mai dovuto sentire – e Wiles roteò gli occhi al cielo.
Ci mancava solo questa!





 
 














 

 
 
Sono profondamente dispiaciuta T.T
È da un bel po’ che non aggiorno e mi vergogno profondamente per essere sparita così, senza dire niente... ma sappiate che tornerò ad aggiornare, anche se un po’ per volta.

Momento spiegazione. L’estate è sempre stata il mio punto debole; in quei mesi vado totalmente in blocco e Dio solo sa come riesca a trascinarmi fino agli inizi di ottobre senza ficcarmi con la testa dentro un congelatore. In più, ho cominciato a lavorare.
È un “part time” e non è certamente il lavoro dei miei sogni (non lo è per niente!) ma mi ci sto mettendo d’impegno nonostante un superiore molto poco simpatico... ragion per cui, il tempo da dedicare alla scrittura si è drasticamente ridotto, considerando che sto ancora studiando T.T.

Risultato? Ho la schiena a pezzi e quando sono a casa non vorrei fare altro che mettermi sul divano con un plaid, una tisana, la mia gatta e un libro (o una miniserie – niente roba di ventordici stagioni che mi mandano in pappa il cervello).
Quindi, scusatemi. Davvero.

Detto ciò, passiamo a voi. Come state?! Spero che almeno voi abbiate trascorso delle soddisfacenti vacanze estive e che l’avvento della stagione fredda non vi abbia colti impreparati.

Ok. Stop. Il capitolo.
Orias si presenta al gruppo! Non è un amore? Ovviamente sono ironica. Ma ecco il prestavolto cui mi sono ispirata per il suo aspetto:

ORIAS: https://i.pinimg.com/236x/62/c2/62/62c2623ec1b1d527b769f2bdf4d3e48a.jpg

Qualcuno ha azzeccato il colore degli occhi ma mi pare che nessuno ci abbia preso totalmente in pieno. Va bene. Vi rifarete.
In più, rivediamo Royal. Caruccio lui. Wiles sarà un personaggio di contorno ma spero vi risulterà simpatico col trascorrere dei capitoli.
E... Yon. Povero, povero Yon.

Curiosità n.12 ► Zarath è un tipo freddoloso (come me). Ecco il perché dei paraorecchie, del cappotto e degli stivali. Quando ha detto a Yon che non l’avrebbe punito era sincero... solo che poi ha notato la Lacrima cimice e si è un tantino indisposto.

Curiosità n.13 ► Eve ha i capelli tinti. Ora sono rossi con una mesh bianca ma il loro colore naturale si avvicina al ramato/arancio.

Non me ne vogliate ma il disegno ancora non è pronto. Ce ne sono tre in attesa di essere conclusi e uno che ho semplicemente abbozzato... mi manca disegnare!
Uh, ultimissima cosa prima di salutarvi (più o meno) e riguarda le scene hot che ho già scritto. Perché , se da una parte l’estate mi ha impigrita, dall’altra mi ha permesso di darci dentro con la stesura dei capitoli speciali che sono ben QUATTRO.
Solo che ancora non posso pubblicarli perché li considero spoiler. Quindi boh XD

Allora vi saluto ma per farmi perdonare vi lascio qualche piccola, piccolissima anticipazione:






Quella stessa sera, a cena, Lily si presentò in cucina quando tutti erano già a tavola. La "chiacchierata" con Nypha le era servita per scacciare l'idea che tutti avrebbero cominciato a odiarla a causa di Orias.
Alla fine non era altro che un groviglio di schiettezza, permalosità e insicurezze.
«Qualsiasi cosa abbia fatto sappiate che non mi scuserò in suo nome. Io e quello stupido siamo due persone completamente diverse, quindi, se ce l'avete con lui è un vostro problema, vostro e di Orias, 
non mio

 


§



«In che senso, scusa?»
Lily sbuffò e roteò gli occhi al cielo. «Li ho interrotti mentre scopavano!»
Se Nypha non riuscì a ribattere in alcun modo – l’idea che la più giovane avesse beccato il fratello in un momento del genere la faceva arrossire di imbarazzo, neanche fosse capitato a lei; Eve scoppiò semplicemente a ridere.
E rise fino alle lacrime, al punto che, per farla smettere, la corvina dovette darle uno spintone facendola cadere dallo sgabello su cui era seduta. «La pianti?!»
«Ma hai idea di quanto sia esilarante questa cosa?!» Eve tornò a sedersi.
«Come no! Una vera pacchia!» esclamò, irritata.
Intanto, Nypha agguantò qualche snack dolce alla sua portata. «Quindi
lei sarebbe la sua... ragazza?»
Lily alzò le spalle. «Non lo so. Killian non me ne ha mai parlato.»
«Beh, questo è interessante.» Eve ridacchiò.
«Cosa è interessante?»
«Se non te l’hai mai presentata vuol dire che non era niente di serio. Ergo, potrebbe essere stata l’avventura di una notte e niente di più!» Detto ciò, la maga di Bosco ordinò un secondo drink. «Comunque, non capisco tutta questa gelosia.»
«Non sono gelosa!»
Eve la guardò con un sopracciglio profondamente inarcato.
Certo, e io sono scema.
Fu Nypha a interrompere la conversazione: «Ragazze, torno subito!» Le altre due la videro lasciare il bancone in gran fretta e sparire tra la folla.
«Dove sta andando secondo te?»
«Avrà adocchiato qualche bel pezzo di manzo» commentò Orias, come a voler rispondere alla domanda della rossa pur essendo consapevole che non avrebbe potuto sentirla.
Ma Lily allungò il collo per poter vedere meglio e scosse la testa. «Io invece credo che abbia adocchiato una stronzetta.» Non attese nemmeno che Eve le chiedesse ulteriori spiegazioni, che continuò: «Una stronzetta un po’ troppo vicina a quello stronzo di Hydra... come faccia ad andare d’accordo con lui è un mistero.»
«Ti dirò, se solo avessi un corpo farei qualsiasi cosa pur di finirci a letto, anche sopportare il suo carattere di merda. Meglio di lui c’è solo il mingherlino
Lily si accigliò. «Rehagan?»
«Che centra, scusa?»
«No, è- è Orias» spiegò la corvina, infastidita che lui dovesse sempre intromettersi nelle sue conversazioni, facendola alle volte risultare una pazza.
Intanto, lui rise. «Ci conosciamo da anni, ormai. Dovresti sapere delle mie manie sadomasochiste, Lilì...!»

Ma che schifo!


 
 



Fine anticipazioni. Spero di avervi incuriosito.
Ciao e alla prossima!


Rosy




 

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Capitolo 9
*** ► 08. Tyrfing, bisogno di rinascita ***



CAPITOLO 08. Tyrfing, bisogno di rinascita








Stronzo. Stronzo. Stronzo. Sei uno stronzo.

Orias era scomparso; o meglio, aveva smesso di risponderle al quattordicesimo insulto. E faceva ancora più male essere ignorata.
Una volta entrata in cabina, si era avvolta nelle coperte formando un bozzolo disordinato e aveva cominciato a vomitare insulti a mezza voce rivolti allo Stronzo che abitava nella sua testa. Era consapevole che i suoi pensieri fossero concentrati sulla cosa sbagliata. Avrebbe dovuto capire come avesse fatto e non il perché l'avesse fatto.
Ma Lily era furiosa e si vergognava da morire per quello che Orias l'aveva costretta a fare; o meglio, per quello che gli aveva inavvertitamente permesso di fare senza poter intervenire!
Aveva toccato Rehagan? Aveva palpato il seno di Eve? 'Fanculo! Lei era irritata, certo; incazzata nera con Orias ma il vero motivo era un altro – in più, sarebbe stata un'ipocrita visto che con Irvin Rooney non si era limitata a parlare. Insomma, le importava di Killian. Le importava cosa pensasse di lei. Le importava non farlo arrabbiare... non deluderlo.
Si accorse di stare annaspando in cerca d'aria. Si accorse di avere gli occhi spalancati nel buio delle lenzuola e si accorse di averli appannati.
Stronzo. Stronzo. Stronzo, Orias! Ti odio!
Fu quando udì la porta aprirsi che smise di respirare. Attese qualche secondo che per lei parvero interminabili e decise di serrare le palpebre e fingersi addormentata. Non ci stava facendo una bella figura, proprio no, ma era l'unico modo per non dover dare spiegazioni.
Non poteva vederla ma dal passo leggero intuì subito che fosse la sua compagna di cabina.
«So che non stai dormendo.» Nypha non aggiunse altro e andò a sedersi sul suo letto.
D'altro canto, Lily continuò a ignorarla e non si mosse. Vattene. Vattene. Vattene.
«E non me ne andrò perché questa è anche la mia stanza.» La guardò – o meglio, guardò il grumo di coperte – con un'espressione dubbiosa. Ora che era lì, aveva perso tutta la sua sicurezza. «Per quello che vale, non te ne faccio una colpa. Non eri tu ma Orias. Quindi-»
«Quindi cosa?» La voce era uscita più graffiata del necessario, constatò Lily. «È uno stupido, l'ho sempre saputo.»
L'altra sospirò. «Non dev'essere stato facile per te. Non dev'esserlo stato per nessuno dei due.»
Se prima Lily sembrava volersi rannicchiare ancora di più, soltanto dopo aver udito quell'ultima frase decise di uscire dal bozzolo. Nypha quasi sobbalzò per la rapidità e la foga di quel gesto.
«Hai ragione» constatò con stizza. «Dev'essere stato un vero inferno avere a che fare con una pazza che parla da sola, che ha continuamente incubi, che è tanto violenta e tanto irrazionale da-»
«Ma io stavo parlando di te e Orias. Cos'hai capito?»
La corvina si bloccò. Si accorse di essere tornata a boccheggiare per il nervoso.
«Dicevo che dev'essere stato terribile per te e Orias condividere un solo corpo per tutto questo tempo. Lui non ce l'ha nemmeno, un corpo, ed è costretto a starsene chiuso nella tua coscienza... ovviamente, nemmeno tu te la passi bene. Hai- Hai avuto paura che noi potessimo giudicarti? Per questo non ce l'hai detto prima?»
Lily sbuffò. «Non è che mi metta a spiegarlo a tutti quelli che incontro.»
«Già, hai ragione.» Nypha ridacchiò.
«E poi tu dovresti essere l'ultima a parlare visto che ti sei tanto preoccupata di essere una cacciatrice di taglie! Scommetto che quel saputello di Rehagan lo sa già...» Dopo pochi secondi di silenzio, continuò il suo monologo. «E poi non ci vedo niente di male. Tu uccidi la gente che se lo merita, dopotutto. Non credo saresti capace di fare il contrario.»
L'argentea sorrise, sinceramente grata. Erano state poche, pochissime, le volte in cui aveva udito parole simili, di elogio per il suo lavoro.
Credeva non fosse possibile per una come lei trovare degli amici. «Ti ringrazio, Lily. E dire che ti ho raggiunta per tirarti su di morale...»
«Non mi servono cose del genere» rispose, mogia. Ma grazie anche a te di essere venuta...
Quella stessa sera, a cena, Lily si presentò in cucina quando tutti erano già a tavola. Contrariamente a ogni sua previsione, la "chiacchierata" con Nypha le era servita per ricaricarsi. Alla fine, non era altro che un groviglio di schiettezza, permalosità e insicurezze.
«Qualsiasi cosa abbia fatto sappiate che non mi scuserò in suo nome. Io e quello stupido siamo due persone completamente diverse, quindi, se ce l'avete con lui è un vostro problema, vostro e di Orias, non mio



 

§



 

Killian fu il primo ad avvistare terra, un giorno e mezzo dopo. Una volta raggiunta Damocles, le manovre di attracco non durarono molto e tempo venti minuti sbarcarono. Il clima era perfetto e il venticello fresco, misto al caldi raggi del sole, era una goduria. Una volta gettata l'ancora Hydra fu felice di sapere che il Vagabondo avesse pienamente ragione: le alte pareti rocciose avrebbero nascosto la nave e in questo modo avrebbe potuto lasciare Felicia senza troppe preoccupazioni.
Una volta a terra, però, sorse un problema.
«Idee su come arrivare lassù?» Nypha indicò la cima della scogliera da cui facevano capolino le chiome verdi degli alberi.
Al suo fianco, Eve sogghignò. «Tranquilli, ci ho già pensato!»
Detto ciò, da sotto il poncho color ocra tirò fuori una catena dorata. I più curiosi – Rehagan, tra tutti – allungarono il collo per osservare meglio quell'arnese. La rossa non perse tempo in spiegazioni ma, anzi, si rivolse a Lily: «Mi daresti una mano?»
Questa annuì, afferrando la catena e avvolgendosela attorno al busto, per non farla cadere. Le unghie si affilarono e subito dopo Lily stava già scalando la parete di roccia senza il minimo sforzo; arrivò in cima in un batter d'occhio.
Eve sorrise. «Perfetto. Adesso assicurala a qualcosa di resistente.»
«Lo so!»
«La tua è una magia di Creazione, vero?» Rehagan voleva vederci chiaro, come al solito. «Quanto tempo ci hai messo per farla?»
«Qualche secondo. Non è il massimo durante una battaglia ma visto che Naevin aveva accennato alla possibilità di dover scalare una parete... ho voluto anticiparmi.»
La sua magia, Golden Halo, le permetteva questo e molto altro. Eve si premurò di continuare la spiegazione perché era impossibile non notare l'espressione curiosa dello scienziato. Le era bastato continuare a disegnare piccoli cerchi uno incastrato all'altro – nel giro di poco tempo si era creata una lunga catena capace di sorreggere tranquillamente il peso di una o più persone.
«Puoi creare anelli più grandi?» domandò allora Nypha.
L'altra, anche se presa in contropiede, annuì. «Direi di sì, ma è molto difficile e ci vuole un'immensa concentrazione. Se non chiudessi bene il cerchio, l'aureola svanirebbe immediatamente e a quel punto sarei nei guai.»
«Se non ci provi non saprai mai se puoi riuscirci.»
A pronunciare quelle parole tanto dure, scivolategli fuori dalla bocca prima che se ne rendesse conto, fu Hydra. La maga di Bosco fece per rispondergli ma qualsiasi sua parola venne bruscamente interrotta dalla voce di Lily che dalla cima della scogliera li invitava a sbrigarsi.
La conversazione cadde e i maghi si apprestarono a raggiungere la corvina. I più atletici – Hydra, Eve, Diana e Naevin – furono i più veloci, mentre Rehagan aveva rischiato più volte di sfracellarsi al suolo.
«Sei veramente un imbranato.» Lily lo aiutò a rimettersi in piedi. «Sei già senza fiato? Nemmeno Killian è così flaccido.»
Lo scienziato sospirò, abbattuto. «La mia forza è il mio cervello!»
«Sì, sì. Ho capito...» mugugnò lei, insofferente.
A quel punto fu proprio il fratello della ragazza a prendere parola, rivolgendosi innanzitutto a Naevin: «Siamo nelle tue mani, Niv. Facci strada fino al porto!»
Il Lakad annuì e spiegò loro che da quell'insenatura naturale, erano due le strade che li avrebbero condotti a Tyrfing: la prima costeggiava la scogliera ma era infinitamente più lunga e, oltretutto, c'era il rischio di rimanere incappati in qualche piccolo crollo; la seconda tagliava per il bosco e non era altro che un sentiero formatosi dal continuo passaggio di un branco di cervi, animale simbolo del regno.
Naevin si era rivelata una guida eccellente perché non solo indicava loro la strada più veloce e sicura, ma si perdeva altresì nei meandri della storia e delle più piccole curiosità che soltanto un abitante di Damocles conosceva.
Lily e Rehagan lo ascoltavano rapiti, l'una in silenzio e l'altro snocciolando domande su domande ed esaltandosi a ogni risposta, specie se era in linea con i suoi argomenti di studio. Ci impiegarono poco meno di mezz'ora; infine, Naevin diede loro il benvenuto a Tyrfing, l'unica città portuale attiva da quando era scoppiato il finimondo.
Non che non se l'aspettasse – aveva sentito quell'allegro vociare fin dal bosco – ma persino Diana ne rimase sorpresa.
La città era grande e piena di vita. Killian intuì subito quale fosse il motivo di tanta gioia: la volontà di andare avanti, di lasciarsi alle spalle il periodo buio dovuto alla distruzione della capitale e di gran parte delle città attorno ad essa. I cittadini di Damocles volevano tornare a vivere e quale luogo migliore per ricominciare se non il porto?
Nessun regno poteva definirsi tale senza un buon commercio, dopotutto. Da qualche parte dovevano pur prendere i fondi necessari per una ricostruzione e Killian sapeva bene quanto fossero pacifici; tolte le dovute eccezioni, non avrebbero mai tentato di agire a discapito di altri.
«Il sole tramonterà a breve. Rehagan, saresti così gentile da trovarci una sistemazione per la notte?» Quello annuì, felice di poter dare una mano – e soprattutto di mettere le sue capacità di contrattazione al servizio della squadra. «Grazie mille. A questo punto, direi di dividerci. Se ce ne andassimo in giro tutti insieme daremo troppo nell'occhio e ricordatevi che c'è qualcuno che non accetta gli stranieri per chissà quale motivo.»
«Secondo te lo sanno?» domandò Nypha, indicando le persone indaffarate nelle loro attività quotidiane. «Sanno che qualcuno non vuole che questo regno torni a vivere?»
Killian non se la sentì di ignorare la domanda. «Non ne ho la più pallida idea. Ma ho come l'impressione che dovremo guardarci le spalle.»
Diana fece scoccare la lingua sotto il palato. «Hai in mente un luogo dove riunirci?»
«Dopo esserci sistemati dovremo recarci tutti al Blade. Beh, magari non proprio tutti. È meglio che qualcuno resti lì a tenere d'occhio le nostre cose. Al locale incontreremo una mia conoscenza cui ho chiesto di raccogliere un po' di informazioni.»
Detto ciò, il gruppo si divise.



 

§



 

«Sorellona? Sorellona Dia?»
Riusciva a sentirlo durante il sonno – era lì, vicino a lei, eppure così lontano. A volta la chiamava, altre volte piangeva. Ciò che vedeva era un'ombra chiara in mezzo a tante altre figure evanescenti. Potevano essere alberi, case, persone... non ne aveva la più pallida idea.
Era però sicura di una cosa, Diana: presto o tardi l'avrebbe ritrovato. Non le importava a cosa avrebbe dovuto rinunciare – non che avesse molto, in realtà. Non aveva più niente.
Non aveva una casa. Non aveva una famiglia. L'unica cosa che le era rimasta era lui; piccolo, spaventato, solo.
Nel sonno era più facile riuscire a sentire la sua voce. Molto spesso, però, non riusciva a ben interpretare ciò che diceva – c'era rumore, c'erano versi. Intanto, suo fratello gridava, rideva, piangeva, sussurrava parole incerte.
«Oggi mi sono fatto male...»
«Non lo so.»
«E mia sorella?»
Diana fremeva dal desiderio di riabbracciarlo. Aveva speso quattro anni della sua vita a cercarlo disperatamente in tutto il regno di Fiore. Aveva quasi perso le speranze, aveva dato il tutto per tutto alla ricerca di indizi.
Poi aveva notato qualcosa di diverso. Nei suoi sogni le ombre si erano fatte più statiche, come se suo fratello fosse circondato da statue dalle forme insolite.
L'ambiente era cambiato. La sua voce era cambiata.
Era diventata una litania infinita. Un susseguirsi di preghiere. Un continuo chiamarla.
Il cuore piangeva di rabbia per ogni sussurro spezzato.



 

§



 

L'aveva seguito senza nemmeno accorgersene. Nypha gli camminava accanto non staccando gli occhi dalle bancarelle di pesce fresco.
Era il paradiso di ogni intenditore, doveva ammetterlo. Così, si ritrovò a proporre l'idea: «Perché non ne acquistiamo un po' come scorta?»
«Non possiamo. Il prodotto ittico va conservato bene altrimenti marcisce.»
Naturalmente per Nypha quella fu un'assoluta una novità. «È un vero peccato.»
Avevano scelto di raggiungere il mercato per farsi un'idea di quello che gli abitanti di Damocles erano riusciti a mettere in commercio. Oltre al pesce, c'erano spezie, verdure di ogni tipo e frutta secca – una vera specialità.
Nypha acquistò perfino delle orangette al cioccolato davvero dolci che fecero rabbrividire il ragazzo vicino a lei. Di fatti, non era mai stato un amante dello zucchero.
D'un tratto, però, qualcuno richiamò la loro attenzione; una voce non molto anziana ma segnata da tanti anni trascorsi per mare: «Sei tu, Sea Recycle
In un primo momento Hydra non lo riconobbe ma poi quel viso pieno di rughe, quei capelli brizzolati e il sorriso bonario, gli fecero tornare alla mente il nome di un suo vecchio conoscente. «Pavel? Che ci fai qui?»
L'uomo sorrise, felice di aver trovato una faccia amica che non vedeva da tempo. «Mi sono fermato qui circa due anni fa, quando la mia sciatica ha cominciato a darmi troppi problemi. Ora mi occupo della vendita mentre lascio la pesca ai miei due figli!»
Hydra annuì. Ricordava di aver conosciuto Pavel durante uno dei suoi viaggi in mare e di essersi aiutati reciprocamente. Lui gli aveva riparato l'albero maestro che era stato danneggiato a causa di una tempesta; Pavel gli aveva indicato la rotta più breve per raggiungere la sua meta, evitandogli così una grande scocciatura.
Da allora si erano incontrati poche volte ma sempre scambiandosi preziose informazioni. La vita in mare era già di per sé pericolosa; avere buoni rapporti con i propri "colleghi" era basilare.
«E questa ragazza? Che bella che sei!»
Chiamata in causa, l'argentea drizzò le spalle e accennò un inchino in segno di rispetto. «Mi chiamo Nypha, signore. Molto piacere.»
«Com'è educata!» esclamò, estasiato. «Tutto il contrario di te, eh?»
Hydra inarcò un sopracciglio. Cosa vorrebbe dire con questo?
«Piuttosto, cosa ci fai tu qui? Non penso possa trovare niente di prezioso da queste parti. Non so se lo sai ma la capitale è distrutta e tutto il regno non se la passa bene...»
Naturalmente non poteva dirgli di essere lì per una missione. Killian aveva detto a tutti di stare attenti, di guardarsi le spalle; per quanto si fidasse di Pavel, non avrebbe potuto spiattellargli tutto. Inoltre, era degli altri che non si fidava. Per quanto ne sapesse, tra i cittadini che gli vorticavano attorno, poteva esserci un loro potenziale nemico. «Passavamo di qui.»
«In questo caso lasciate che vi offra un- Ehi!» I due maghi aguzzarono subito gli occhi. Cinque persone stavano già scappando in direzione del bosco. «Maledetti ladri! Tornate subito qui!»
Nypha fece appena in tempo a notare i grossi pesci che erano riusciti a sgraffignare dalla bancarella di Pavel che le sue mani erano già attorno all'impugnatura delle sue due pistole. Non c'era parecchia folla e lei era un cecchino: li colpì alle gambe e di striscio.
Quattro di loro caddero al suolo – scordandosi persino del bottino che scivolò lì accanto, imbrattandosi di polvere – e in un attimo divennero bianchi come cenci; cominciarono a tremare, spiazzati e doloranti.
Anche Hydra si vide costretto a intervenire sull'ultimo rimasto. Utilizzò i tetti delle bancarelle come strada alternativa e lo raggiunse in un battito di ciglia, atterrando proprio davanti a lui. Questo non ebbe nemmeno il tempo di sguainare il suo coltello che il corvino lo neutralizzò con un modestissimo pugno in faccia.
Tu guarda cosa mi tocca fare!
Dopo aver sistemato i malviventi, Pavel li ringraziò dal più profondo del cuore. «Voglio sdebitarmi per l'aiuto che mi avete dato. Prendete pure quello che volete dalla mia bancarella, offro io!»
«Non fa niente. Non saprei comunque come conservarli.»
«Allora lasciate che vi regali il mio marsupio» disse. «Da fuori non sembra ma è magico. Funziona come una dispensa... o come un frigo, ad essere precisi. Nessun cibo andrà a male, non importa i giorni che passeranno!»
Incuriosito, Hydra ci diede un'occhiata. Si rigirò tra le mani quello strano zainetto di cuoio color cammello e più ci pensava, più l'idea lo rallegrava. Almeno – si disse – mi porterò dietro un po' di mare...!
«Va bene.»



 

§



 

Si erano fermati in una piazzetta con al centro una grande aiuola ricoperta di fiori dai mille colori. Nimue si era allontanata con la scusa di dover dare un'occhiata in un'erboristeria, intanto che gli altri la aspettavano sotto un albero.
Lily adorava il profumo dell'erba, specie se circondato dall'aroma salato del mare e da quello dolce della frutta e del cioccolato. Al suo fianco, Naevin mangiava una ciambella ricoperta di zucchero ed era al settimo cielo.
«Wow. Ti piacciono proprio i dolci, eh?» domandò Eve, che l'osservava.
Lui non poté che annuire. «Sono fantastici! Se solo potessi ne mangerei ogni giorno!»
Fu il tono nostalgico con cui lo disse a incuriosire le due ragazze.
«Tu e la tua tribù non mangiate molti dolci?»
«Questo genere di cose si comprano» spiegò, tra un morso e l'altro. «E non tutti ci vedono di buon occhio, quindi le volte che possiamo permetterci di mangiare dolci sono poche.»
Lily strinse i denti ma non disse niente.
«La gente ci odia? Si fotta. Si fottano tutti!» le aveva detto suo padre, una volta. «A me importa solo di te, di tua madre... ma non dirglielo o si monterà la testa!»
A quel ricordo, sorrise tristemente. Fu inevitabile.
Ma intanto Naevin stava continuando a parlare: «A volte mi chiedo cosa passi per la testa di certe persone. Hanno paura di ciò che non conoscono e non fanno niente per cercare di comprenderlo...»
«Però alcune cose fanno oggettivamente paura» disse Lily, sovrappensiero.
Non si rese nemmeno conto di aver parlato finché non notò lo strano silenzio dei due maghi accanto a lei – e i loro occhi puntati su di lei. «Che c'è?»
«Stai parlando con noi o con Orias?» chiese Eve, sorridendo.
L'altro sbuffò contrariata. «Lascia stare. Non ho detto proprio nulla...!»
Naturalmente, la risposta celere portò la rossa a ridacchiare.
Restarono lì a parlottare per almeno una ventina di minuti e di Nimue nemmeno l'ombra. Lily li informò che quando metteva piede in un'erboristeria era la fine: non ne veniva fuori nemmeno se la si tirava per i capelli!



 

§



 

Avevano lasciato tutte le loro cose alla locanda e sotto gli occhi di Nimue e Rehagan che aveva lasciato andare gli altri mentre lui continuava a studiare il sangue di Lily/Orias. Per la verità, ne aveva prelevato un po' quando era tornata a essere se stessa per verificare se ci fossero differenze.
Per il momento, nessuna stranezza di sorta. Ma persino Killian sembrava preso da tutt'altra faccenda, al momento.
Il Blade era un pub – l'unico presente a Tyrfing – parecchio famoso per tre cose: i cocktail, i molluschi e gli spettacoli. Come di giorno, la città appariva viva e frenetica nonostante la catastrofe che aveva da poco colpito il regno.
Specie in quella zona: c'era la voglia di dimenticare le cose brutte per far spazio a quelle belle. Più della metà dei clienti erano già ubriachi o a breve lo sarebbe stati e Lily si tappò il naso a causa del tanfo che si respirava lì dentro. Quasi preferiva odorare una scorreggia!
«Brutto avere l'olfatto di un cane, eh?»
Eve era in vena di battute, evidentemente.
«Fosse solo quello il problema» sentenziò invece Diana, dolorante. In effetti lei pure poteva vantare un buon naso ma il suo problema rimanevano le orecchie: troppa musica, troppo rumore, troppo tutto. «Basta, io me ne vado.»
«No, non te ne andare. Magari riesci a toglierti quella scopa che hai infilata su per il culo... sei insopportabile.»
Anche Lily – nonostante la voce nasale – sembrava in vena di fare battute, evidentemente.
Prima che la più piccola potesse avventarsi su di lei – al diavolo il mal di testa, al diavolo la missione, al diavolo tutto – Killian si mise in mezzo circondando loro le spalle con fare gioviale. «Ok. Min sarà qui a breve. Intanto, cercate di non litigare e di non attirare l'attenzione!»
Neanche a dirlo, Diana se lo scrollò di dosso e si allontanò verso l'uscita.
Cominciamo bene...!
«Io ho bisogno di bere» sentenziò Lily, dirigendosi spedita verso il bancone. Eve la seguì e così fece pure Nypha, prima che il marinaio dalla benda sull'occhio potesse fermarla. Erano almeno due i motivi per cui avrebbe preferito che non seguisse Lily: innanzitutto non voleva che quella pazza la deviasse con i suoi pensieri da squilibrata; e poi aveva paura che finisse nei casini. Nypha non era mai stata brava a reggere l'alcol e lui lo sapeva fin troppo bene!
Ma prima che potesse esprimere la sua preoccupazione, Killian gli si avvicinò sorridente. «Non sei qui neanche da dieci minuti e già hai fatto colpo!»
Naevin guardò nella direzione indicata dal mago dell'Aurora e vide un paio di giovani donne fissare insistentemente loro – o meglio, Hydra. Se fosse stato più giovane ne sarebbe stato persino invidioso ma in quel momento non poté che rimanere basito.
D'altronde non aveva la minima intenzione di fare breccia nel cuore di qualcuno, lui, e mai avrebbe voluto farlo. C'era Amy nel suo cuore, nessun'altra.
«Beviamo anche noi?» domandò allora Killian, trascinandoseli dietro fino a delle poltroncine. Lì si sedettero e attesero con pazienza che qualcuno portasse loro degli stuzzichini. «Suppongo che tu non sia abituato a questi posti. Ho ragione, Niv?»
Lui scosse la testa. «Ovvio che no.»
«Questa tua conoscente ci impiegherà molto ad arrivare?» domandò invece Hydra.
«Non penso proprio. Anzi, direi che è proprio l'ora.»
Nessuno dei due fece in tempo a chiedergli altro che le luci si spensero all'improvviso. Killian sapeva cosa sarebbe successo da lì a poco e attese pazientemente che i due faretti illuminassero il palco e la danzatrice che occupava la scena. Era immobile e il suo volto era coperto da un velo rosso che aveva appoggiato sui capelli lunghi e bruni.
La musica partì di colpo e la sconosciuta cominciò a muoversi a ritmo. Era chiaro facesse quello da tutta la vita: gli occhi degli spettatori erano calamitati su di lei e niente sembrava poter distogliere la loro attenzione. Poi il velo scivolò ai suoi piedi, permettendole di mettere in mostra la linea morbida della guancia, gli occhi neri e le ciglia folte. Il rosso della sua ampia gonna e del top impreziosito da gioielli tintinnanti suggerivano una danza calda e passionale.
Lei e la musica parevano una cosa sola. Era una danzatrice del ventre.
Quando il ballo terminò, gli applausi non mancarono di certo. I più ubriachi tentarono di salire sul palco o le lanciavano baci mentre lei, ansante per la fatica, s'inchinava in segno di ringraziamento.
E fu proprio in quel momento che Lily realizzò chi fosse.
Oddio. Oddio. Oddio. Perché cazzo è qui?!
La seguì con lo sguardo mentre scendeva gli scalini che l'avrebbero condotta nell'area bar e avvicinarsi a un tavolo. Quando vide Killian salutarla come se niente fosse, non ci vide più. Sbatté le mani sul bancone e ignorò le imprecazioni del barman per aver fatto cadere a terra il bicchiere di vino che aveva appena ordinato e scattò nella loro direzione. O almeno quello era il suo obiettivo perché le due maghe al suo fianco riuscirono a intercettarla e a farla risedere sullo sgabello.
«Fammi indovinare. Tu conosci Miss Danza Focosa, vero?»
Lily si chiese se Eve avesse davvero tanta voglia di prendere un calcio in bocca. Poi tornò a respirare e comprese che non aveva senso prendersela con lei per lo stato di ansia che l'aveva appena attanagliata.
Perché?! Perché proprio lei? Perché è qui? Perché in questo locale? Perché a Damocles?
«Riesco quasi a vedere le rotelle del tuo cervello girare e prendere fuoco assieme a tutto il resto. Rilassati.»
«Come potrei rilassarmi?! Lei- Lei- Lui- E che cazzo!»
Eve rise. «La finezza non è il tuo forte, va bene. Ci spieghi che ti prende? Posso dedurre che Killian la conosca già visto che si stanno salutando.»
«Non sarà lei la famosa Min?» domandò Nypha.
«L'informatrice?»
L'argentea annuì. «Così pare.»
Il silenzio che ne seguì sembrò presagire una catastrofe. Ma Lily non si mosse né prese la parola. Il che, in un certo senso, era ancora più preoccupante – lei che non si faceva il minimo problema ad attaccare tutto e tutti... non osava muovere un muscolo?
«Che ti prende?» tentò Eve.
«Sei pallida. Cioè, più del solito» continuò l'altra.
Allora Lily ordinò un bicchiere di alcolico, il più forte che avevano, e se lo scolò fino all'ultima goccia. Lo fece e lo rifece per cinque volte.
«Se ti ubriachi non ti aiuto a vomitare. Anzi, mi farò una grassa risata!»
«Per la centesima volta, non posso ubriacarmi, Eve! Neanche se bevessi tutto il locale potrei farlo!» esclamò, seccata. Dopodiché chiuse gli occhi ed espirò piano, cercando di calmarsi.
La scena, vista da fuori, era alquanto comica – specie se si conosceva l'indole istintiva e irascibile della persona in questione. Diana avrebbe senz'altro finito con l'alzare gli occhi al cielo.
«Ok. Sono calma.»
«Se ti piace pensarlo, va bene.»
Zitto, stupido idiota egocentrico che non sei altro!
«Non ho mai saputo il suo nome né tantomeno mi interessava saperlo. L'ho incontrata soltanto una volta e non in una circostanza piacevole, purtroppo.»
Solo gli Dei sapevano quanto le costasse parlare di quel giorno. Era così imbarazzante ripensarci che per cercare di non farlo strinse i pugni tanto forte da far sanguinare i palmi.
«In che senso, scusa?»
Lily sbuffò. «Li ho interrotti mentre scopavano!» E per rendere chiara l'idea indicò Min e Killian che parlavano come fossero amici di vecchia data.
Se Nypha non riuscì a ribattere in alcun modo – l'idea che la più giovane avesse beccato il fratello in un momento del genere la faceva arrossire di imbarazzo, neanche fosse capitato a lei; Eve scoppiò semplicemente a ridere.
E rise fino alle lacrime, al punto che, per farla smettere, la corvina dovette darle uno spintone facendola cadere dallo sgabello su cui era seduta. «La pianti?!»
«Ma hai idea di quanto sia esilarante questa cosa?!» Eve tornò a sedersi.
«Come no! Una vera pacchia!» esclamò, irritata.
Intanto, Nypha agguantò qualche snack dolce alla sua portata. «Quindi lei sarebbe la sua... ragazza?»
Lily alzò le spalle. «Non lo so. Killian non me ne ha mai parlato.»
«Beh, questo è interessante.» Eve ridacchiò.
«Cosa è interessante?»
«Se non te l'ha mai presentata vuol dire che non era niente di serio. Ergo, potrebbe essere stata l'avventura di una notte e niente di più!» Detto ciò, la maga di Bosco ordinò un secondo drink. «Comunque, non capisco tutta questa gelosia.»
«Non sono gelosa!»
Eve la guardò con un sopracciglio profondamente inarcato. Certo, e io sono scema.
Fu Nypha a interrompere la conversazione: «Ragazze, scusate, ma torno subito!» Le altre due la videro lasciare il bancone in gran fretta e sparire tra la folla ancora più ubriaca di prima.
«Dove sta andando secondo te?»
«Avrà adocchiato qualche bel pezzo di manzo» commentò Orias, come a voler rispondere alla domanda della maga col poncho.
Lily allungò il collo per poter vedere meglio e scosse la testa. «Io invece credo che abbia adocchiato una stronzetta.» Non attese nemmeno che Eve le chiedesse ulteriori spiegazioni, che continuò: «Una stronzetta un po' troppo vicina a quell'antipatico di Hydra... come faccia ad andare d'accordo con lui è un mistero.»
«Ti dirò, se solo avessi un corpo farei qualsiasi cosa pur di finirci a letto, anche sopportare il suo carattere di merda. Meglio di lui c'è solo il mingherlino.»
Lily si accigliò. «Rehagan?»
«Che centra, scusa?»
«No, è- è Orias» spiegò la corvina, infastidita che lui dovesse sempre intromettersi nelle sue conversazioni, facendola alle volte risultare una pazza.
Intanto, lui rise. «Ci conosciamo da anni, ormai. Dovresti sapere delle mie manie sadomasochiste, Lilì...!»
Ma che schifo!



 

§



 

Min era nata nel regno di Damocles e ci aveva vissuto per cinque anni prima di seguire i suoi genitori nel regno di Fiore. Fu lì che morirono, a causa di un incidente, quando erano ancora una ragazzina.
Si era fatta le ossa lavorando come barista, come cameriera, come tata e come ballerina. Quest'ultimo era il lavoro della sua vita, la sua vocazione. Era sempre stata dannatamente brava a danzare.
Aveva sempre avuto molti amanti che, per la verità, avrebbero preferito da lei qualcosa in più. Min era passionale, certo, ma restia a dimostrare emozioni se non attraverso i movimenti del suo corpo, attraverso il ballo – e il sesso, c'era bisogno di dirlo.
Killian non faceva parte di quel gruppo di uomini. A dire la verità, non l'aveva ancora capito, sebbene fossero passati anni e sebbene avessero continuato a tenersi in contatto. Certo, lui la chiamava solo e soltanto quando aveva bisogno di qualcosa ma a Min no dispiaceva fare quattro chiacchiere non appena le si presentava l'occasione.
Non aveva bisogno di un uomo al suo fianco, per il momento. Le andava bene così.
Rivederlo aveva risvegliato in lei null'altro che affetto, niente di più, ed era sicura che per lui fosse lo stesso.
«Mi sento osservata» disse, continuando a dare le spalle alla persona che sembrava averle messo gli occhi addosso. «Sembra che mi odi.»
Killian rise. Più che altro cercava di alleggerire la tensione. «Scusala, è mia sorella.» Mangiò una patatina. «E non ti odia. Penso ti abbia riconosciuta.»
Min se la ricordava fin troppo bene. Quella ragazzina che non appena li aveva beccati si era messa a strillare come un'ossessa.
«Come te la passi?» domandò lui. Voleva a tutti i costi tornare a concentrarsi sulle cose importanti.
Lei alzò le spalle e senza troppe cerimonie andò a sedersi di fianco a lui. «Sono molto famosa qui e i miei spettacoli sono sempre ben graditi. Quindi direi che va bene. E tu?»
«A parte le solite rogne, alla grande. Vogliamo andare?»
Min annuì, poi volse lo sguardo ai due che fino ad allora erano rimasti in silenzio a osservare la scena. Dopodiché sorrise e si presentò. Fosse stata un'altra circostanza ci avrebbe provato sicuramente con entrambi.
«Non tutti. Puoi portarne un altro.» Si alzò e cominciò a camminare in direzione della porta che conduceva al piano di sopra.
Naevin si alzò di riflesso – non aveva intenzione di starsene lì a bere – e insieme a Killian seguì la danzatrice, accennando un breve saluto a Hydra che annuì, felice di potersi scrollare di dosso la missione per un qualche istante.
Gli era bastato uno sguardo per poter inquadrare quella lì. Non erano tanto diversi, in fondo. Anche lui era solito divertirsi senza cercare niente di serio e questo perché aveva un obiettivo da raggiungere e qualsiasi relazione gli avrebbe soltanto messo dei limiti.
Prima di tutto avrebbe trovato quello che stava cercando.
E come Min, anche lui aveva avuto tante amanti, troppe per tenerne il conto. Per questo non batté ciglio quando una delle donne che l'aveva adocchiato a inizio serata, si sedette accanto a lui offrendogli un boccale di birra. Lei gli parlava e man mano che la conversazione andava avanti si avvicinava di qualche centimetro, fino a sfiorargli il braccio col proprio seno, parecchio esposto per via dello scollo vertiginoso dell'abito.
Osò sfiorarle l'orecchio con la bocca ma prima ancora che la situazione si iniziasse davvero a scaldarsi, un corpo snello e sinuoso si gettò sul divanetto, separandoli.
Nypha era rigida e rossa come un pomodoro maturo. Offrì alla tipa un bicchiere – quello che sgraffignato a Lily senza che se ne accorgesse, troppo occupata a parlare – con un finto sorriso sulle labbra. «Sete?»
Glielo lasciò tra le mani e ignorò lo sguardo per metà infastidito e per metà allibito della sconosciuta. Dopodiché si voltò dall'altra parte, rivolgendosi proprio a Hydra. «Io- Io-» Perfetto. Che dico adesso? «Io- ho un crampo.»
Allora lui inarcò un sopracciglio.
«Ho un crampo» ripeté. Ok, forse Lily mi ha contagiata. Devo sembrare una pazza! «Mi aiuti?»
Nypha si alzò, lo agguantò per un braccio e lo trascinò via da lì senza che avesse il tempo di dire qualcosa e con sottofondo le proteste della sconosciuta che voleva portarselo a letto; o nei bagni; o nel vicolo. Insomma, Nypha non poteva sapere dove ma se non fosse intervenuta avrebbero di certo fatto sesso e la cosa la infastidiva.
Punto.



 

§



 

Era una specie di salottino quello in cui Min li condusse. Una libreria povera di libri, due divani sgangherati e un tavolino basso occupavano la stanza. Le tende erano bordeaux e spesse, per non dire sgualcite; le nappe impolverate. Era una stanza inutilizzata, questo era più che evidente.
«Allora. Cos'hai da dirci, Min?»
Lei ridacchiò. «Come al solito vai dritto al punto quando la questione t'interessa. È una qualità che apprezzo molto.» Fece loro segno di accomodarsi, facendo altrettanto. «La famiglia reale di Damocles è solo un ricordo lontano, ormai. Si dice che siano tutti morti.»
Naevin sgranò gli occhi. Non si aspettava una simile rivelazione. Tra l'altro la notizia della loro morte non poteva che rattristarlo: il suo popolo doveva loro molto, in particolar modo alla fu regina Nafitte.
Pensò che aveva avuto ragione; nel momento esatto in cui uno dei suoi pendenti era andato in frantumi a Damocles stava succedendo qualcosa di tanto spaventoso da coinvolgere persino la famiglia reale, che da anni aveva sempre lottato contro ogni avversità uscendone sempre vincitrice.
«Qualcosa ha colpito Cortana, la capitale, e da allora chiunque metta piede lì dentro dimentica ogni cosa, persino il motivo per cui ci è andato. Alcuni di loro riacquistano la memoria un poco per volta ma ciò che hanno visto continua a rimanere un mistero.»
«Ci sei andata di persona?» domandò allora Killian, pensieroso.
Lei scosse la testa. «No ma ci è andato Sasha.» E prima che il mago dell'Aurora potesse chiederle qualsiasi cosa, un giovane uomo fece il suo ingresso nella stanza. «Lui è Sasha. Mio fratello minore.»
La spalle erano larghe e la pelle abbronzata. Condivideva con la sorella i lineamenti del naso e il colore degli occhi, mentre i capelli erano ben più scuri, come il carbone.
Indossava abiti semplici, pantaloni larghi e una casacca scucita sul petto. Non aveva l'aria di uno simpatico ma non appena incrociò gli occhi di Killian si sciolse in un sorriso cordiale.
«Quindi tu sei stato a Cortana?»
«Esatto. Ma non ricordo assolutamente niente.»
Fu Naevin a porre la prossima domanda: «Se chi entra in città perde la memoria, come hai fatto a uscirne?»
«Non ne ho idea. Ho la sensazione di aver camminato con le mie gambe fino all'ingresso di Cortana ma non ne sono sicuro. Ricordo solo il buio, il nero
Sasha era sincero, chiaramente. Sua sorella si lasciò andare in un sospiro frustrato sebbene non amasse mostrarsi sensibile dinanzi agli altri – ma era suo fratello e si sentiva in colpa. Dopo aver saputo della richiesta di Killian era stato proprio lui a offrirsi per andare a controllare. Non gli era successo niente, per fortuna, ma se gli fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
«Che mi dici delle altre città? Com'è la situazione?» Tornò a rivolgersi a Min.
Questa accavallò le gambe e alzò le spalle. «Molte sono state distrutte da una vera e propria onda d'urto che ha avuto come epicentro la capitale stessa. Tyrfing è l'unica densamente popolata, molte persone hanno preferito andarsene. Ci sono dei villaggi abitati ma sono sparsi qua e là per il regno e a volte non sono nemmeno ben collegati. Sembra quasi di essere tornati ai tempi in cui non c'erano nemmeno le strade.»
«Molti maghi sono venuti fin qui per cercare di capirci qualcosa» continuò Sasha. «Alcuni di loro si sono radunati a Durandal. Suppongo sarà quella la vostra prossima meta, no?»
Killian non annuì ma nemmeno negò. L'idea che qualcuno conoscesse il suo itinerario non gli piaceva granché ma si trattava pur sempre di loro: Min e Sasha stavano contribuendo alla loro missione.
«A Durandal c'è la più grande biblioteca del regno» ragionò Naevin. «Spero che almeno quella sia intatta.»
La danzatrice annuì ma non aggiunse altro a proposito. Poi, continuò: «Ad ogni modo, ti do un consiglio, Killian. State lontani da Exca, quella città non è più la stessa da quando l'hanno occupata.»
Il mago dell'Aurora drizzò le orecchie. «Spiegati meglio.»
«Kiel Reidar. È il capo di un gruppo di mercenari che vuole approfittare dell'assenza della corona per conquistare il regno. È un pazzo. Meglio non avere niente a che fare con lui.»
Bene, ci mancava uno squilibrato con manie di grandezza, pensò Killian, trattenendosi di alzare gli occhi al cielo. «Insomma, solo belle notizie, eh?»
«C'è qualcuno che si oppone all'occupazione?» domandò invece il Lakad.
Lui più di tutti soffriva una tale situazione. Era nato a Damocles e aveva sempre pensato al regno come la sua patria – sapere che ci fossero così tanti problemi gli spezzava il cuore.
Fu Sasha a rispondergli: «Yvan Thorpe.»
«È l'unico superstite della Guardia Reale di Damocles. Era già parecchio famoso prima della catastrofe perché promosso dopo solo due mesi al rango di Cavaliere personale della principessa» spiegò Min.
La conversazione durò per altri dieci minuti.
Killian ringraziò entrambi per avergli dato una così grande mano nella raccolta di informazioni e Naevin seguì il suo esempio. Ora sapevano a grandi linee quello che li aspettava e avrebbero potuto prepararsi di conseguenza.
Il mercenario Kiel Reidar. L'ex Cavaliere Yvan Thorpe. I reali di Damocles; erano davvero tutti morti o qualcuno era sopravvissuto?
Exca occupata. Gli studiosi riuniti a Durandal. Tyrfing, che con il suo mercato e la ritrovata gioia di vivere, spiccava come un gioiello in mezzo a tanti sassolini deformi. E Cortana, la capitale; il mistero che li aveva consotti fin lì.



 

§



 

Sbadigliò per la sesta volta. Erano le due di notte passate. Rehagan era piegato su quella scrivania da ore e non aveva ancora trovato niente di stupefacente che giustificasse la presenza di Orias nel corpo di Lily. Era riuscito a farsi dare una camera, la più grande che avevano – la proprietaria, Annabeth, l'aveva accontentato dandogli quella che affacciava sul mare.
Aveva persino il bagno privato!
E poco distante da lui, Nimue già dormiva. Aveva scoperto che non amasse stare aveglia fino a tardi perché preferiva essere mattiniera.
Il suo sguardo cadde sul libro che la dottoressa aveva acquistato giusto quel pomeriggio: un erbolario. Giaceva sul comodino accanto al letto e non ci volle molto perché Reha desse retta alla vocina interiore che gli suggeriva di prenderlo e sfogliarlo. Lo fece. Non vi trovò nulla che già non sapesse ma per lo meno le figure erano estremamente realistiche. Ripassò le proprietà dei fiori descritti nel libro, uno dopo l'altro, fino ad arrivare alla pianta numero sessantasei. Il sesto paragrafo della pagina recitava le parole di una leggenda; Reha ne rimase così affascinato da non accorgersi del tempo che passava.
Il sonno era scomparso e un'idea gli balenò in mente. Guardò le due provette rimastegli.
Ma sì, ci provo!



 

§



 

Eve era seduta sul bancone e rideva a crepapelle. Rideva così tanto che dovette tenersi la pancia; i muscoli in fiamme.
Davanti a lei si stava consumando una rissa a dir poco esilarante. Un uomo ubriaco andò a schiantarsi ai suoi piedi ma Eve era troppo concentrata sulla causa della lite: Lily era fuori di sè dalla rabbia.
Quel tizio grosso quanto un armadio le aveva sfiorato il sedere, ci aveva provato spudoratamente e poi aveva avuto anche l'ardire di darle della verginella frigida. A lei.
Verginella?! A lei che aveva avuto la sua prima volta a quindici anni? Frigida?! lei?!
Quando Killian e Naevin fecero capolino dal piano di sopra per poco non ebbero un infarto ciascuno. Il primo rimase quantomeno impossibile, il secondo sgranò gli occhi azzurri ed ebbe il coraggio di chiedere cosa fosse successo. Una volta chiara la situazione, il Vagabondo tentò di avvicinarsi alla ragazza con lo scopo di portarla via di lì.
Intanto, Min si avvicinò a Killian. «Fa sempre così?»
«Già...» sospirò. «È una combinaguai!»
«Non mi sembri arrabbiato, però.»
Lui sorrise; era sincero. «Perché non lo sono. Quel tipo se l'è cercata!»
Poco distante da loro, Lily tirò un calcio tra le gambe dell'ennesimo ubriacone, schivando poco dopo una sedia volante appiattendosi sul pavimento.
Naevin si rivolse alla rossa: «Una mano?»
«Nah, sto bene così!»
«Intendevo-» cominciò a dire ma si bloccò. «Va bene, lascia stare.»
E mentre il Lakad cercava di sedare la rissa – portare la corvina via dal Blaze poteva essere un ottimo inizio in questo senso – Min ridacchiò, sinceramente divertita.
«Vedi di stare attento.»
Killian distolse lo sguardo per poterla guardare meglio: era poco più bassa di lui e non indossava nemmeno i tacchi. Un velo di preoccupazione le adombrava gli occhi color carbone.
Come al solito, lui la prese sul ridere. «Come mai tutte queste raccomandazioni? Non sono da te.»
«Diciamo che se ti dovesse capitare qualcosa... credo che mi mancheresti» disse, stando attenta affinché nessuno a parte lui riuscisse a sentirla.
«Come siamo sentimentali stasera!»
Min gli tirò una leggera gomitata al fianco, infastidita. Dopodiché sfiorò appena la gemma turchese che il mago indossava all'altezza del petto, accennando appena un sorriso. Non era triste che se ne andasse. Ma in un certo senso, avrebbe volentieri cambiato stile di vita se lui gliel'avesse chiesto, forse.
«Non mi piace essere prevedibile.»
Killian si limitò a sorridere, impassibile.
«Dico sul serio.» Min accostò il viso al suo. «Sta' attento. Ho una strana sensazione.»
«Tu hai sempre strane sensazioni» esclamò a bassa voce.
«Non prendere sottogamba i miei poteri.» Lentamente prese ad accarezzargli la linea della mascella, arrivando a sfiorargli appena il labbro inferiore con l'indice. «Sii serio una volta tanto.»
E senza aggiungere altro lo baciò.
Per entrambi fu un bacio lento, ma non per questo meno intenso. Quando la lingua sfiorò quella di Killian, una scarica elettrica l'attraversò da capo a piedi. Erano trascorsi anni dall'ultima volta che l'aveva baciato e il formicolio che le provocava con un singolo bacio non l'aveva affatto dimenticato.
Una volta separate le labbra dalle sue, Min rimase qualche istante a osservare quegli occhi color caramello. Dolci. Criptici. Bellissimi.
«È ora per voi di andare a dormire. Vi aspetta un lungo viaggio.»
«Hai ragione.»
Lei gli sorrise un'ultima volta e un'ultima volta gli sfiorò lentamente le labbra con un bacio prima di andarsene. Lo lasciò alle prese con Naevin, che aveva sollevato di peso sua sorella, con Eve, che a stento riusciva a reggersi in piedi dalle risate, e con Lily, che scalciava e pretendeva di ammazzare quanta più gente possibile.
Sospirò, rassegnato. «Va bene, ragazzi! È tardissimo. A nanna!»
Fuori dal locale, Hydra e Nypha li stavano aspettando: lui con un'espressione dubbiosa e l'altra con l'aria di chi aveva appena fatto la più colossale figura di merda della storia. Un'altra ragione per Eve di scoppiare a ridere.
Poco più avanti, da un vicoletto isolato, Diana spuntò fuori dal buio come se niente fosse. Anche da lì aveva potuto udire la voce starnazzante della corvina sbraitare con dei tizi a caso.
Killian perse almeno un battito e la rossa scoppiò nuovamente a ridere.
«Se non la pianti ti arriva una testata!» esclamò Lily.
Eve sghignazzò. «E perché? Mi sto divertendo!»



 

§



 

Dopo una ricca colazione offerta da Min e suo fratello, il gruppo guidato da Killian – solo formalmente, perché a conti fatti era Naevin a sapere dove andare e, per questo, era stato messo alla testa del carro che avevano noleggiato – si apprestava alla partenza.
La prima a salutare i due fratelli fu Eve, con una pacca sulla spalla ciascuno. Dopodiché salì sul carro, seguita a ruota da Nypha e Nimue. Rehagan fu il prossimo e andò a sedersi accanto alla cacciatrice di taglie senza accorgersi dell'occhiataccia ricevuta dal marinaio con la benda sull'occhio. Insomma, gli dava le spalle. Poteva mica rendersi conto di esserselo fatto nemico capitale?
Naevin si sistemò, come detto, alla testa del carro e rimase abbastanza sorpreso quando Diana gli si sedette vicino. Capì al volo: stare in mezzo alla marmaglia non le sarebbe affatto andato a genio.
Il mago dell'Aurora rivolse un cenno di saluto a Sasha, poi si avvicinò alla sorella di quest'ultimo. A lui Min piaceva, ma non in quel senso. Killian era convinto che nessuno sarebbe stato in grado di restare al suo fianco, nessuno. Lui, che si era visto scivolare tutto tra le dita, come avrebbe potuto amare ed essere amato come una qualsiasi persona?
Min riusciva a fargli dimenticare tutto; questo non poteva negarlo. Era sempre stato così.
«Buona fortuna» disse lei, guardandolo da sotto le ciglia scure.
Killian annuì e sorrise com'era solito fare. «Buona fortuna anche a te. Se dovessi decidere di tornare a Magnolia, ti offrirò una tazza di tè.»
«Preferisco il caffè.»
Lui rise. «E caffè sia!»
Nel carro, Lily ascoltava tutto per filo e per segno. L'improvvisa e illogica gelosia che l'aveva colpita quando aveva capito chi fosse la danzatrice era sparita, lasciando il posto a un vago senso di nervosismo. Quando vide Killian allontanarsi da lei e raggiungere il gruppo, Min le sorrise e alzò la mano in segno di saluto.
Lily non si mosse ma continuò a fissarla, impassibile.
Di fronte a lei, Eve le picchiettò la gamba con il dorso del piede. «Sembra simpatica.»
«Scommetto che mi odia» biascicò invece la corvina.
«Per averle rovinato la seratina romantica con tuo fratello... quanti anni fa, esattamente? Non mi pare il tipo da prendersela per queste cose» continuò a dire.
Lily non rispose e continuò a guardarla fino a che non decise di smetterla.
A quel punto, quando tutti furono a bordo, Naevin agguantò le redini e, una volta salutati nuovamente i due fratelli, partirono alla volta di Durandal.
Almeno hanno chi conosce la strada, pensò Min.
«Sei in pensiero per lui? Ci tieni molti, eh?»
Lei ridacchiò, umettandosi le labbra. «Non c'è alcuna relazione tra noi e mai ce ne sarà una. Però è un buon amico, un ottimo consigliere. Ci sa fare con le persone, anche se si ostina a voler starsene da solo.»
«Lo conosci bene.»
«Non direi. Non so nemmeno quanti anni abbia o dove sia nato» spiegò. Voleva conoscerlo meglio? Sì. Non ci dormiva la notte? No. Min era fatta così, per quanto fosse passionale a letto e nella danza, quando non era immersa nell'una o nell'altra cosa, diventava una statua di ghiaccio; illeggibile.
Anche per questo era particolarmente affascinante.
«Ma adesso basta parlare di questo, passiamo al lavoro. Tra qualche settimana dovrebbe arrivare un'artista di Fiore parecchio acclamata!» esclamò, entusiasta. «Vorrei contattarla. Dicono sia un'attrice e una cantante formidabile.»
«Vuoi collaborare con lei per qualche spettacolo?»
Lei annuì. «Magari. Saranno più soldi che Yvan Thorpe potrà utilizzare per la ricostruzione. Sono davvero contenta che sia tu a occuparti di queste cose, dato che ho sempre molto da fare qui in città.»
Sasha le sorrise genuinamente. «Figurati! Lo faccio perché ti voglio bene, sorella!»
«Sei sempre il solito ruffiano» disse, ridendo.
Dopodiché, decisero di tornarsene a casa. Quella zona non era molto trafficata a quell'ora della mattina. A Min piaceva passeggiare in solitudine.
Poi, all'improvviso, piantò i piedi a terra e il suo corpo fu scosso da tremiti. Sasha, accanto a lei, si voltò preoccupato. «Che hai? Min?!»
Gli occhi della danzatrice erano fissi nel vuoto, spalancati e brillavano di luce propria. Smise persino di respirare e a suo fratello venne un colpo quando attorno alle orbite cominciarono a diramarsi delle sottili venature biancastre.
Il tutto durò pochissimi secondi e Sasha fece appena in tempo ad afferrarla prima che cadesse.
«Stai bene? Cos'hai visto?»
Ancora un po' intontita, Min si prese la testa tra le mani e si prese alcuni secondi per tornare a respirare. Riuscì a stento a trattenere un conato di vomito.
Incurante delle continue domande del fratello, infilò la mano nella tasca della gonna ma non vi trovò niente. Dov'è? Dov'è?! «Sasha, dov'è la Lacrima che mi ha dato Killian?!»
Lui era ancora più confuso. «Che stai dicendo? Quale Lacrima? Perché?»
«Devo avvisarli!» gridò, fuori di sé.
Non l'aveva mai vista così disperata, nemmeno dopo la morte dei loro genitori. Cos'era successo? Cos'era accaduto nella sua visione? Cos'aveva visto? «Spiegami. Intanto torniamo a casa, forse l'hai lasciata lì.»
Ma Min scosse la testa. «No. Non possiamo andarci. La Lacrima era qui, nella mia tasca!»
Sembrava impazzita. Tutto ciò che diceva e che faceva non aveva il minimo senso, non sembrava più sua sorella. Lei sembrava...
Ho capito.
L'afferrò per braccia e la costrinse a fermarsi, a guardarlo negli occhi. Eccole, le lacrime che minacciavano di uscire. «Hai visto anche me in quella visione?»
Lei non riuscì a parlare, non riuscì a muovere un singolo muscolo.
. Lui c'era. . Da quando aveva visto, non riusciva più a guardare nella sua direzione. . Aveva paura. . Il cuore le faceva male. No. Non poteva crederci. Non lui. Non il suo fratellino.
Non colui che l'aveva sempre appoggiata, che aveva messo ko tutti i suoi fan troppo esaltati. Era sempre stato la sua ancora, l'unica certezza della sua vita.
E Sasha ebbe la conferma che stava aspettando quando Min, devastata, lasciò cadere quelle lacrime lungo le guance. Non gli restò che una cosa da fare. Senza darle il tempo di capire, tirò fuori il suo stiletto e glielo piantò nello stomaco.
La donna boccheggiò ed emise un flebile singhiozzo quando lui estrasse l'arma, permettendo al sangue di fluire più rapidamente. Si accasciò al suolo e con una mano provò a tamponare la ferita ma non ci riuscì.
Provava un dolore lancinante. Sentiva caldo e freddo insieme.
Alzò lo sguardo su Sasha – o colui che ne aveva preso il posto – ma non disse niente. Lui aveva già ripulito la lama dal sangue. «È veleno. Morirai nel giro di un'ora in un modo o nell'altro.»
Min singhiozzò. «S-Sasha...?»
Il sangue sgorgava, il dolore aumentava e il cuore di spezzava sempre di più.
«Non affliggerti. Tuo fratello è ancora qui» disse, monocorde. «Più o meno.»
La strada era deserta ma non lo sarebbe stata ancora a lungo. Sasha si assicurò che non ci fosse nessuno in vista, dopodiché rinfoderò lo stiletto e ricominciò a camminare verso casa.



 

«Entro pochi giorni ne arriveranno altri nove.»
















 



Mi sono impegnata e alla fine sono riuscita ad aggiornare prima di Natale.
Un capitolo bello ricco di informazioni e risate – spero sia stato divertente leggerlo almeno quanto lo è stato per me scriverlo ^^
 
Siamo arrivati a Tyrfing, gente!
Bella, no? C’erano parecchie cose che avrei voluto aggiungere ma se l’avessi fatto non avrei potuto pubblicare oggi – in questo momento sono pure a lavoro, quindi shh! – e, soprattutto, mi ci sarebbero volute altre cento pagine di Word e non mi sembrava il caso.
Ma non preoccupatevi, ho semplicemente posticipato.
 
Che ne pensate di Min? E di Sasha? La scena finale vi ha sorpresi? u.u
Cosa vi aspettate dai prossimi capitoli? Preferite il pandoro o il panettone?
 
Curiosità n.14 ► Origine del nome Damocles: “Damocle è un personaggio che appare in un aneddoto comunemente chiamato "la spada di Damocle", un'allusione al pericolo imminente e sempre presente affrontato da coloro che occupano posizioni di potere”. È da qui che ho preso ispirazione per il nome del regno e le città che ne fanno parte prendono il nome da spade famose.
 
Curiosità n.14 bis. ► Tyrfing: spada magica della mitologia norrena. Durandal: o Durlindana, è la spada di Orlando secondo il ciclo arturiano. Exca: da Excalibur, la più nota delle mitologiche spade celtiche di re Artù. Cortana: spada di Edoardo il Confessore re d’Inghilterra e che oggi fa parte dei gioielli della Corona del Regno Unito.
 
Grazie Wikipedia.
 
A questo punto non mi resta che farvi gli auguri. Buon Natale a tutti! ^^ e Buon 2023!
Spero possiate trascorrere in serenità questi ultimi giorni dell’anno, che abbiate tutti le ferie – io no T.T – e che quello nuovo non sia peggiore di quelli precedenti.
Alla prossima!
 
Rosy
 

 
 

 

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Capitolo 10
*** ► 09. Sapere è potere ***



CAPITOLO 09. Sapere è potere



 
 
Avevano pensato di mettere un telo sul carretto in modo da non attirare l'attenzione. Certo, era uno spreco non approfittare di quella bella giornata di sole, ma per lo meno nessuno avrebbe davvero fatto caso a un uomo e a una ragazzina in viaggio per Damocles.
Sarebbero passati per un padre e sua figlia – peccato che non si somigliassero affatto.
Naevin avrebbe preferito chiacchierare ma Diana non ne era entusiasta e quando percepì la sua intenzione di cominciare una conversazione con lei, lo fermò prima ancora che potesse aprire bocca. Aveva già i suoi problemi, stava cercando in tutti i modi di aguzzare le orecchie oltre i suoi limiti per poter udire la voce di suo fratello e non voleva ulteriori distrazioni: lo erano già la voce seccata di Lily, i commenti poco pudici di Orias, le scialbe battute di Killian e i pensieri omicidi di Hydra rivolti a un Rehagan che parlava amabilmente con le ragazze.
Sono davvero imbarazzanti...
Poi, d'un tratto, sentì delle voci. Proseguendo per quella strada li avrebbero raggiunti ma era troppo tardi per poter cambiare direzione: erano stati avvistati.
Tempo cinque minuti e Naevin parlò: «C'è qualcuno.» Erano lì, a un incrocio, tre carri.
Killian fece capolino dalla tenda, seguito a ruota da Lily e dallo scienziato. «Chi sono?»
«Non lo so.»
«Hanno intenzioni ostili» disse Diana, aprendo finalmente gli occhi che aveva tenuto chiusi per potersi concentrare al meglio. «Vogliono i nostri soldi.»
Il mago dell'Aurora sghignazzò. «Che bello avere una persona come te in squadra!»
«Che facciamo? Li attacchiamo?» Lily parlò con una voce non tanto entusiasta, stranamente.
«Nah. Non ne vale la pena. Ma alla minima ostilità, mi affido a voi.»
«Cosa?» esclamò sorpresa Eve. «Perché dovremmo fare noi tutto il lavoro, scusa?»
Lui si voltò a guardarla. Il suo viso non tradiva alcun fastidio, era sempre il solito Killian. «Perché io sono una frana a combattere.»
La discussione venne messa a tacere da Naevin, che li avvertiva di essersi avvicinato a quei tipi.
«Buongiorno» tentò il Vagabondo, cercando di essere gentile.
Uno degli uomini, quello con una grossa pancia lasciata scoperta da un gilet rattoppato in più punti, rise. Fu una risata davvero infelice. «Buongiorno anche a voi, signori viaggiatori!»
Diana non disse niente, semplicemente scandagliò le loro menti.
«Il ragazzone sembra forte ma noi siamo tanti, non avremo problemi.»
«Sono settimane che nessuno lascia Tyrfing per addentrarsi nel regno. Stavo per perdere le speranze!»
L'uomo panciuto aveva sì e no una quarantina d'anni ed era lercio, puzzava di birra. Non era ubriaco ma doveva aver bevuto tanto di quell'alcol nella sua vita da aver impresso addosso quell'odore. I capelli erano ispidi e la barba scura incolta.
Persino i bambini si sarebbero tenuti alla larga da un tipo del genere. Per non parlare della sua risata: terribilmente falsa. Il suo nome era Ias. «Per poter proseguire il vostro viaggio dovrete pagare. Il regno sta attraversando una crisi profonda e i soldi ci servono per poterlo ricostruire da zero. Siamo uomini di Yvan Thorpe, avete presente?»
A quel punto intervenne un secondo uomo, grosso quanto un armadio ma dalle gambe piccole e mingherline. Era calvo e gli mancavano diversi denti. Probabilmente, Doxa – così si chiamava – era il più forte e il più possente. «Prima della catastrofe era il Cavaliere personale della Principessa Pandora Damocles. Un eroe. E adesso sta cercando di dare adito alle ultime volontà dei sovrani.»
«Ma per farlo ha bisogno di soldi» concluse Ias, infine.
Non era necessario possedere una magia sensitiva come quella di Diana per capire che stavano mentendo. Quei tizi non cercavano nemmeno di nascondere le loro vere intenzioni!
Probabilmente la gente, pensò Naevin, era troppo spaventata per controbattere e finiva per acconsentire a quell'inganno di loro spontanea volontà. Sono proprio dei vigliacchi...
«Non abbiamo soldi da offrirvi» disse Diana, duramente.
Per un istante, Ias perse quell'aria fintamente cordiale che aveva avuto fino a quel momento. Si ricompose subito dopo. «Forse non ti è chiaro, ragazzina, che non andrete da nessuna parte finché non ci darete i soldi. Sono mille Jewels a persona. Non mi sembra tanto, visto che siete solo in due.»
Diana gli lanciò un'occhiataccia carica di risentimento. Quel tipo la stava innervosendo.
«Oh, la nanerottola si è arrabbiata?!» esclamò qualcuno, alle spalle del suo capo.
«Che c'è, ti sei offesa?» gli fece eco un altro.
All'interno del carro, Killian si mise la testa tra le mani emettendo un lieve sospiro di rassegnazione. Se c'era una cosa che aveva capito di quella ragazza era che non bisognava stuzzicarla troppo perché sapeva essere davvero violenta... sotto quel punto di vista era come avere a che fare con una seconda Lily. Certo, più giovane di un paio d'anni e con meno seno – senza contare l'aura di freddezza che irradiava –, ma Diana andava comunque tenuta d'occhio.
«Siete in cerca di guai, non è vero?» sibilò Naevin, in collera. «A quante altre persone avete sottratto i loro soldi mettendo in scena questo teatrino?»
Ias sorrise, allargando le braccia. «Ehi, calmati, amico. Di cosa parli?»
Questi qui ci credono davvero scemi o lo fanno soltanto per farci innervosire?!
«Direi la seconda» disse Diana. «E mi sono rotta di starli a sentire.»
Con un balzo, atterrò proprio davanti all'uomo panciuto che si preparò a sfoderare i suoi coltelli. Purtroppo per lui, però, non riuscì a estrarli in tempo perché la ragazza girò su stessa e gli piantò un calcio sulla tempia, tanto potente da farlo andare a sbattere contro uno dei suoi carri.
Per alcuni istanti, il legno che si frantumava a causa dell'impatto e le casse piene di soldi e viveri che cadevano rovinosamente a terra sfasciandosi, furono gli unici suoni percepibili a orecchio umano. Ma per Diana non era affatto così: sentiva lo stupore, l'irritazione e quel sottile velo di paura che aveva annebbiato le loro menti e che, in qualche modo, la rendeva orgogliosa di sé.
Sceso dal carretto, Naevin emise un sospiro. «A questo punto direi che potete uscire.»
La sua voce parve scuotere il gruppo di banditi menzogneri che si voltarono giusto in tempo per vedere una giovane ragazza dai lunghi capelli neri avventarsi su uno di loro con artigli lunghi e affilati. Persino Nimue piantò i piedi a terra e rivolse uno sguardo carico di disprezzo verso quegli uomini. Non aveva mai sopportato chi utilizzava il nome di qualcuno per raggiungere i propri scopi.
La dottoressa unì i polpastrelli tra di loro e una leggera patina verde la ricoprì. Il suo obiettivo era colpire i carri, così da non permettere a quella banda di bugiardi di scappare.
Lanciò il suo incantesimo, Aumento, e le piantine che aveva “percepito” con la sua magia cominciarono a crescere a una velocità spaventosa fino a trasformarsi in tre alberi dalle fronde verdeggianti. Incastrati tra i rami e il fogliame, i tre mezzi di trasporto.
Nypha si meravigliò non poco. «Sei stata tu?»
«È l'unico incantesimo che conosco» ribatté con un alzata di spalle.
A quel punto, la battaglia iniziò per davvero. Alcuni uomini si lanciarono iracondi su Diana con l'intenzione di rifarsi dalla cocente umiliazione. Certamente non si aspettavano una ragazzina tanto forte e veloce nel corpo a corpo!
Tutti coloro che tentavano anche solo di sfiorarla, finivano per prenderle miseramente nei denti.
Poco più distante da lei, Eve creava micro cerchi dorati che utilizzava come proiettili; a coprirle le spalle c'era Naevin che con i suoi tatuaggi di spine aveva messo ko una decina di avversari senza lasciarli avvicinare. «Sei troppo scoperta. Il tuo modo di combattere ti mette in pericolo, lo sai, vero?»
La rossa annuì, dopodiché creò un aureola un po' più grande delle altre e con un rapido movimento delle dita lo sparò addosso al primo energumeno che aveva osato correrle incontro con un'alabarda. Il colpo lo destabilizzò non poco e Eve ne approfittò per tirare fuori dal poncho il suo kunai.
Lo usò per parare il colpo di un secondo avversario per poi lanciarlo in direzione di un altro, permettendo alla dottoressa di rintanarsi dietro qualche albero senza essere seguita. Nimue aveva spiegato loro che a parte far crescere le piante, la sua magia non avrebbe potuto aiutarli in caso di lotte – tra l'altro, voleva dare a Nypha l'opportunità di ripararsi con lei e poter sparare con tutta tranquillità.
Si diede il tempo necessario a riprendere aria per un secondo prima di tornare a rivolgersi al Lakad: «Golden Halo ha un sacco di punti deboli, lo so. Il tempo. La concentrazione. Se non chiudo bene il cerchio rimango senza proiettili e, di conseguenza, disarmata.»
«E a te va bene così?» esclamò Hydra, mentre calciava lontano un tizio dopo averlo colpito con le sue sciabole.
Eve inclinò la testa, curiosa. «Anche ieri ti sei intromesso nella stessa discussione quando è chiaro che non t'importa di chiacchierare con noi comuni mortali, signor Sea Recycle. Come mai quest'interesse?»
Naevin avrebbe voluto intervenire ma un attacco alle spalle lo costrinse a lasciar perdere quello che sarebbe potuto diventare un battibecco e a reagire. Utilizzò nuovamente la frusta di spine ma questa volta la avvolse attorno all'estremità del suo bo per contrattaccare.
Intanto, la rossa schivò una spada appena in tempo, imprecando mentalmente per essersi lasciata distrarre. Alzò un dito per disegnare l'ennesimo proiettile dorato ma qualcuno alle sue spalle ne approfittò per tirarle un calcio all'altezza delle scapole, facendola cadere a terra.
Con entrambe le mani occupate a sorreggersi, senza il kunai che avrebbe dovuto recuperare quanto prima e con il pugnale alla cintura, Eve non avrebbe avuto il tempo di fare nulla se non sperare di schivare il tirapugni di metallo che a breve le avrebbe fracassato la testa.
Rotolò su un lato appena in tempo ma prima che potesse agguantare il pugnale, un getto d'acqua colpì in pieno il bandito, spingendolo contro uno degli alberi che Nimue aveva fatto crescere.
La maga di Bosco si rialzò. «Oh, wow. Grazie. Mi hai salvata.»
Hydra le passò accanto con stizza. «Odio chi non ci prova nemmeno.»



 
§



Un tizio provò a colpirla alle spalle ma fece appena in tempo a girarsi che questo venne colpito da un proiettile al livello della spalla. Lily guardò prima lui, poi Nypha che aveva sparato.
Le sue pistole erano cariche di magia e gli occhi smeraldini fissi sul prossimo obiettivo.
«Uhm, sexy...»
E piantala!
«Non è colpa mia se siamo circondati da bellezze che dovrebbero essere illegali!»
Lily sbuffò un insulto e intanto parò una spada con le dita. Lanciò un'occhiata svogliata al tizio che aveva pensato bene di attaccarla e soffiò. «Sei ridicolo.» E gli fregò l'arma, per ribadire il concetto.
Disarmato e allibito, l'avversario tentò di arretrare ma si bloccò non appena udì un ruglio basso e gutturale alle sue spalle. Quando si voltò, il suo viso divenne bianco – un lenzuolo – e iniziò a tremare. Le gambe divennero gelatina e le ginocchia cedettero di fronte all'orso grizzly dall'insolito colore bluastro.
Si sentiva come un topo in trappola.
Arcade – questo era il nome dello Spirito Guida – si alzò sulle zampe posteriori e bramì forte, facendolo urlare di paura. Tentò di scappare ma Lily lo agguantò per la casacca e lo sbatté a terra facendogli perdere i sensi.
Dopodiché si voltò verso l'animale, sorridendo. «Lo sai, adoro gli orsi.»
«È un grizzly, per la precisione» disse Rehagan, avvicinandosi con la sua solita aria da tuttologo. «Le femmine di questa specie pesano mediamente tra i centotrenta e i duecentotrenta chili, mentre i maschi sono più grossi e raggiungono un peso di trecentosessanta chili, alle volte. Inoltre-»
«Sì, sì. Piantala. Non siamo a scuola, dacci un taglio!» esclamò lei, infastidita. Immediatamente Arcade tornò sulle sue quattro zampe e rugliò nella sua direzione, come a volerle intimare di non rivolgersi in quel modo allo scienziato. Al che, Lily borbottò: «Eri più simpatico prima.»
Ma quel breve momento di ilarità venne brutalmente interrotto da una voce gutturale: «Fermi o ammazzerò il vostro amico!»
Tutti sgranarono gli occhi, mentre la corvina arrossì di rabbia. «Cazzo, Killian! Come puoi essere così imbranato?!»
Il mago dell'Aurora era in piedi, le mani alzate e la lama di un'ascia a pochi centimetri dalla gola. Aveva le labbra strette ma a parte l'espressione vagamente preoccupata non sembrava affatto spaventato dalla situazione: niente di lui tremava e, anzi, sembrava persino divertito. «Hai intenzione di usarmi come ostaggio?» domandò al tizio pelato che era dietro di lui.
«Esatto! E ti conviene posare quelle pistole, signorina, se non vuoi che gli tranci di netto la testa! E tieni le mani belle in vista!» Nypha si morse l'interno della guancia. C'era poco da essere indecisi; non avrebbe voluto mettere a terra le sue armi ma si vide costretta a farlo, a obbedirgli.
Lily rinfoderò gli artigli e trattenne il respiro.
«Che cosa vuoi?» domandò Naevin – anch'egli disarmato del suo bo.
«I vostri soldi. E farvela pagare per tutto quello che avete fatto!» esclamò, furioso.
Diana fece schioccare la lingua al palato, infastidita. «Siete solo dei truffatori incompetenti. Dei galletti che si danno delle arie solo perché messi a derubare i passanti. Il vostro capo dev'essere così fiero di voi...»
Lo disse con ironia, certo, e questo lo fece doppiamente inalberare. Come conseguenza, una goccia di sangue rotolò sul colletto della camicia di Killian. «Non è irritandomi che riavrai il tuo amico.»
«Lui non è mio amico» ribatté Diana, prontamente. «Per quanto mi riguarda, puoi fargli quello che vuoi.»
«Ehi, stai cercando di far incazzare me, adesso?!» esclamò Lily, furiosa.
«Nessuno ha chiesto la tua opinione.»
«Se non chiudi quella fottuta bocca, ti ammazzo io!»
A quel punto, intervenne la persona meno indicata a far calmare le acque, specie in un momento come quello: Killian. «Su, ragazze, non litigate.»
Lily sbottò. «È colpa tua quindi chiudi anche tu il becco!»
«Maledizione» sibilò Ias, raggiungendo il suo compagno pelato. «Chi diavolo siete? Da dove venite? E cosa siete venuti a fare qui?!»
«Non mi dirai che ti aspetti seriamente una risposta! Potrebbero dirvi qualsiasi cosa, come farai a fidarti?» fece Killian. «Tra l'altro, come puoi non conoscere nessuno di loro? Sono la crème de la crème
«Non mi pare di aver chiesto la tua opinione, ostaggio» sibilò il pelato a cui mancava qualche dente e nel frattempo si premurò di fargli capire chi avesse il coltello dalla parte del manico, lui, diminuendo la distanza tra il filo della lama e la sua mandibola, costringendolo ad alzare la testa.
Killian sospirò, per niente intimorito. «Insomma, possibile che non riconosciate nessuno di loro? Eppure, sono abbastanza famosi. Sea Recycle? Il Vagabondo? Lo Sciamano?» E ignorò la voce di Rehagan interromperlo, affermando convinto che lui non era affatto uno sciamano, né lo sarebbe mai diventato. «Oh, nemmeno la Rondine Rossa
Eve gli lanciò un'occhiataccia. L'ultima cosa che voleva era svelare di quale gilda facesse parte. Al che, Diana roteò gli occhi al cielo – lei, naturalmente, lo sapeva già.
«Sapere è potere, amico!» continuò Killian. «Conosci il tuo avversario e avrai buone probabilità di poterlo battere.»
Il pelato ruggì: «Piantala di parlare o ti taglio la testa!»
«Se stai cercando di guadagnare tempo, arrenditi.» E intanto, alcuni dei suoi uomini cominciarono a rimettersi in piedi, seppur doloranti e traballanti. «A questo punto non vi lasceremo andare finché non riceverete una bella lezione per quello che avete fatto.»
Detto ciò, Ias incrociò gli occhi di una Lily furente di rabbia. Semmai avesse avuto il potere di leggerle la mente sarebbe rimasto traumatizzato dai modi in cui la ragazza premeditava di ucciderlo. Lei era capace di quello e di molto altro.
«Io penso che siate degli sprovveduti» disse il mago dell'Aurora, ignorando l'amabile consiglio dei suoi aguzzini. «Voi due siete dei maghi, no? Perché non utilizzate la magia?»
Ias gli lanciò un'occhiata irritata. Ormai non c'era più l'ombra del finto sorriso né della risatina ilare che l'aveva accompagnato sino a quel punto. Gli occhi erano stretti in un'espressione di fastidio e le mani chiuse in due pugni pronti a spaccare qualcosa.
Stava chiaramente perdendo la pazienza. «Cos'è, sei tanto ansioso di morire?!» Il suo corpo divenne caldo, sempre più caldo, fino al punto che persino Naevin e gli altri ne avvertirono il calore nonostante i metri che li separavano. Si arrossò tanto da sembrare un pomodoro maturo. «Pesterò i tuoi amici finché non riusciranno a mantenersi in piedi. Abbi pazienza, dopo toccherà a te!»
Sotto lo sguardo allibito di tutti, Killian alzò le spalle dimostrando totale disinteresse. «Se proprio ci tieni...»
«Non mi lascerò sfiorare nemmeno con un dito, sappiatelo» proruppe Diana.
Hydra annuì, perfettamente d'accordo con lei, per poi volgere un'occhiata rapida alla cacciatrice di taglie, poco lontano. Era evidente che non sapesse cosa fare, come comportarsi: senza le sue pistole e il suo fucile, si sentiva inutile oltre che debole.
Certamente Nypha non voleva sottostare a quella folle idea e probabilmente avrebbe cercato di tirargli un calcio tra le gambe ma l'idea di far soffrire Lily – sua nuova amica – non le piaceva per niente.
«Hai intenzione di startene lì ferma ancora per molto?»
Zitto.
«Per quanto stupido, quel tizio mi sembra pronto ad ammazzarlo.»
Taci.
«Il tuo caro fratellone morirà se-»
«Riesci a stare zitto per cinque fottutissimi minuti?!» sbraitò, al limite della sopportazione.
Il tizio con l'ascia enorme la guardò stranito, mentre Ias addirittura sussultò dalla sorpresa. E questa distrazione costò loro caro.
Nypha riafferrò una sua pistola e senza esitare, nella frazione di mezzo secondo, sparò un paio di colpi in direzione del pelatone riuscendo a perforargli il braccio con cui teneva l'arma e costringendolo a fare un passo indietro. Intanto, Naevin imbracciò l'arco e, materializzando la freccia tatuata sul polpaccio, scagliò il dardo a una velocità inaudita.
Il bandito boccheggiò agonizzante quando l'arma gli trafisse una gamba, costringendolo a tendersi in ginocchio, intanto che Killian si allontanava ulteriormente da lui.
«Come osate?!» gridò Ias, le cui mani vennero avvolte da fuoco puro. Creò una barriera di fiamme che però venne prontamente spenta dall'acqua di Hydra.
Sconvolto dalla facilità con cui avevano liberato l'ostaggio, l'uomo non riuscì a vedere la furia che gli si gettò addosso a testa bassa. Le braccia di Lily si ustionarono a contatto con la pelle calda ma non sembrava importarle di finire bruciata.
Lo sguardo era vitreo; non era arrabbiata, era furiosa. «Come osi, tu, verme!»
Eve disegnò altre aureole da usare come proiettili e Rehagan giunse le mani per poi evocare Arya, il lupo grigio. Era stanco, stanchissimo per aver richiamato Arcade poco prima, ma non poteva permettersi di non fare niente – sarebbe diventato una palla al piede da proteggere e non voleva di certo rischiare che qualcun altro venisse preso in ostaggio da quel branco di mentecatti.
Insieme, si occuparono dei superstiti ancora in piedi, mentre Nypha recuperava l’altra sua pistola e Hydra si lanciava contro l'omone pelato, seguito a ruota dal Lakad.
Killian sghignazzò. «Ve l'avevo detto di non sottovalutarli!»
Quello, alto poco più di due metri e grosso dieci volte lui, alzò il viso furente verso i maghi. Strinse entrambi le mani attorno al manico della sua fidata arma e con un grido la usò per colpire il terreno ai suoi piedi che in un attimo si spaccò.
Il Vagabondo e il marinaio si videro costretti ad arrestare la loro corsa per evitare di finire sottoterra. L'ascia dell'avversario era circondata da un'aura dorata.
«Un'arma magica, eh? In effetti avrei dovuto pensarci» fece Killian.
«E non è il solo asso nella manica che possiedo!»
Il suo corpo si illuminò della stessa luce e per quanto potesse sembrare strano per via della sua stazza, il tipo riuscì a muoversi talmente veloce da superare i due maghi e puntare dritto alla ragazzina che stava massacrando il suo superiore.
La calciò lontano da lui e Lily gemette quando andò a sbattere contro uno il tronco di un albero. Le si mozzò il fiato in gola e suo fratello cambiò rapidamente espressione.
Rehagan sgranò gli occhi. «Velocità della luce? Tu che sei così grosso? Ma dai!» E non imprecò soltanto perché non ne aveva il fiato: avere lì Arya gli stava già costando parecchie energie. Diana lo sentì arrivare ma il suo corpo non si mosse in tempo e lui, afferratele la testa, la sbatté violentemente contro il terreno, facendole perdere i sensi.
Prima ancora di poter prendere la mira, Nypha si piegò in due a causa di pugno allo stomaco che non aveva nemmeno visto arrivare; si ritrovò con una mano stretta sull'addome e l'altra sulla bocca, per non rimettere.
«Giuro che ti ammazzo!» esclamò al contempo il marinaio ma quando evocò i tentacoli d'acqua e, con essi, la sua magia più potente, avvertì uno stesso spostamento d'aria alle sue spalle e si mosse rapidamente, schivando appena il filo della sua ascia che gli sfiorò lo zigomo. Individuato il mago della luce, tentò di colpirlo con un getto d'acqua che però finì per tranciare gli alberi dietro di lui.
Era troppo veloce. Nessuno riusciva a colpirlo. E Ias sollevò le spalle da terra, grondante di sangue. «Adesso mi avete stufato!»
Gambe e braccia presero fuoco e il suo corpo divenne ancora più bollente.
La maga di Bosco tentò di colpirlo con i suoi proiettili ma non servì a nulla, persino le sue aureole sembravano fondersi in quell'immenso calore. Intanto, Lily tossì un paio di volte, imbrattando il terreno di sangue.
Ma ancora una volta, Killian fece qualcosa di sconvolgente. Si tolse le bende dagli avambracci e le gettò a terra con noncuranza, distribuendole un po' alla rinfusa. Poi, come se niente fosse, si avvicinò a Ias, comportandosi come se fosse del tutto immune al suo calore. Si accostò a lui e si inginocchiò. «Il tuo compagno morirà se non mi fermi!» esclamò, rivolto a Doxa che, intanto, aveva appena schiantato Naevin al suolo con il manico della sua ascia. «Sul serio, eh. Lo ammazzerò.»
Quello inarcò un sopracciglio. «Non sei affatto convincente, lo sai?» lo canzonò.
E in effetti la faccia di Killian sembrava tutto fuorché intenzionata a fare quello che aveva minacciato. Sembra stia solo giocando, pensò Eve atterrita.
«Secondo te perché mi sono avvicinato? Sono pure immune al fuoco. Figurati se mi faccio degli scrupoli a farlo fuori.»
«Stai bluffando e poi, in ogni caso, ti ammazzerei prima io. Sono più veloce di te.»
Killian sorrise, enigmatico. «Scommettiamo?»
Ma che sta facendo? Il Lakad a stento riusciva a tenere il collo piegato all'insù tanto era il dolore alla schiena. Così lo attaccherà e nessuno sarà in grado di fermarlo!
Allora il mago dell'Aurora tirò fuori dalla tasca interna del suo trench uno stiletto privo di guardia e affilatissimo. Alzò il braccio, pronto a trapassargli il cranio da parte a parte.
Ias era troppo debole per potersi voltare, era costretto a terra e il sangue fuoriuscito dagli squarci era evaporato: la puzza era insopportabile. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era bruciare tutto.
Eppure, quel tipo accanto a lui che attentava alla sua vita non era minimamente colpito da quelle alte temperature. Le lingue di fuoco lo evitavano danzandogli accanto e con la coda dell'occhio Ias vide la lama sottile dello stiletto avventarsi su di lui.
Ma sapeva che il suo compagno sarebbe riuscito a fermarlo e così fu. Killian incassò il colpo e un'espressione di dolore puro gli deturpò il viso, quando la schiena andò a colpire un grosso masso al lato della strada.
Lo stiletto gli cadde di mano con un sonoro clang. Per un attimo, pensò di essere morto. Un rivolo di sangue gli colò dal mento fino a penetrare nel tessuto della camicia.
Vedendo lo stato pietoso in cui si era ridotto a causa di un singolo pugno, il bandito scoppiò in una fragorosa risata. «Sei proprio debole!» esclamò.
«Lo so. Mia sorella è ben più resistente di me. E più forte. A dire il vero i suoi pugni fanno più male persino dei tuoi!»
Tentò di rimettersi in piedi ma le gambe non glielo permisero; ma ci pensò l'energumeno ad afferrarlo per il bavero e a sollevarlo da terra. In viso vi era un'espressione davvero poco rassicurante. «Dimmi la verità, stai cercando di farti ammazzare, eh?»
Killian ridacchiò e il debole fremito di quella risata lo scosse da capo a piedi. «Forse la morte è la mia più grande aspirazione. Ci hai pensato?»
«Se proprio vuoi morire... ti accontento!»
Rehagan tentò di muoversi ma non fece in tempo. Il corpo di Killian sfrecciò a una velocità pazzesca e si schiantò contro il terreno alle sue spalle.
Oddio...ma sarà ancora vivo? Si chiese Eve, allibita.
Poi, d'un tratto, udì un leggero mugugno e la nube di polvere si diradò. Killian era a terra e il solo respirare gli causava un dolore tremendo. Fece per andargli incontro ma lui la indicò e con un'occhiata le fece intendere di non avvicinarsi. Cos'ha in mente di fare?
«Un altro colpo e farai un brutta fine» sentenziò, avvinandosi. «Come mai i tuoi compagni non muovono un dito per aiutarti?»
«Che domanda idiota. Come possono fermarti quando la tua velocità sfiora quella della luce. Dai, sii serio.»
La questione era però un'altra. Killian aveva fatto intendere a tutti di non muoversi di un passo e per quanto le costasse, persino Lily attendeva il momento propizio per poterlo attaccare.
Lei sapeva di cos'era capace il fratello e sapeva cosa stava aspettando. Quando quel grosso idiota sarebbe caduto nella sua trappola, niente l'avrebbe fermata dal compiere un massacro.
«È così che si ragiona, Lilì. Sventralo come una pecora!»
Ma intanto, il mago dell'Aurora era fermo a terra. E per quanto la situazione gli potesse sembrare strana, Doxa non si chiese per quale assurdo motivo il tipo dalla benda sull'occhio e la rossa col poncho, avessero smesso di provare ad attaccarlo ormai da diverso tempo.
Lui non poteva averlo visto perché Killian gli aveva dato le spalle ma i maghi avevano chiaramente letto le sue labbra mentre si avvicinava a Ias che, intanto, era ancora avvolto dal fuoco.
L'energumeno si fermò davanti a lui, sollevando ancora una volta la sua potente ascia, sogghignando. Come risposta, Killian tossì prima di ridacchiare. Poi, con voce graffiata, urlò: «Ehi, Scheggia!»
«Hai una bella faccia tosta, sai?!» sentenziò quello, calando l'arma su di lui.
Ma Doxa, talmente sicuro di sé, non si aspettava certo di venire disarmato così all'improvviso! Fece appena in tempo a sgranare gli occhi e a mettere a fuoco la figura minuta di Diana che quest'ultima, con un secondo calcio – stavolta discendente – gli scaraventò la faccia dritta sull'asfalto; come a volersi vendicare per la botta subita poco prima.
Killian rise, seppur l'azione gli costasse qualche fitta al petto. «Lo sapevo! Sei grande, Scheggia!» Intanto, l'ascia magica si conficcò nel terreno a pochi metri da loro.
Il pelatone gemette di dolore. «C-Come diavolo hai fatto?»
Non l'ho nemmeno vista arrivare! Non ha senso! La mia velocità è superiore a quella di chiunque!
«Ehi» fece Diana, rivolgendosi a Killian. «Non chiamarmi più in quel modo stupido.» Dopodiché, il sangue che era fuoriuscito dal taglio sulla fronte prese la forma di una lama; la usò per bloccare il bandito a terra, trafiggendogli una mano al suolo – azione seguita da un grido soffocato.
Il mago dell’Aurora alzò il busto quel tanto per poter vedere Lily balzare sulla schiena dell’armadio, inferocita. Posò la punta dei suoi artigli sul collo del bastardo e inspirò forte prima di parlare, rivolta al fratello: «Sei il solito imbecille. Che bisogno c’era di farti colpire?»
Killian sospirò, conscio di quanto la corvina si stesse trattenendo per non sgozzarlo lì, in mezzo alla strada e davanti a tutti. «Non ce n’è bisogno, Lily. Piuttosto, Sche- Diana, dammi una mano ad alzarmi.»
Lei lo guardò sollevando un sopracciglio – che fosse scocciata di essere chiamare in quel modo ridicolo era palese –, poi girò i tacchi e ignorò la richiesta, con grande disappunto del mago.
«Ti aiuto io» disse Nimue, sbucata fuori dagli alberi solo in quel momento.
Intanto, Ias continuava a bruciare come in una specie di falò umano, gracchiando minacce e impedendo a chiunque di avvicinarsi. Si spense soltanto quando una cascata d’acqua lo investì e finalmente tacque quando il piede di Hydra lo colpì alla schiena. Svenne.
Eve e Rehagan aiutarono Naevin a rimettersi in piedi e in un attimo tutti si radunarono attorno a Killian, allibiti e confusi. Fu la rossa a esternare il suo disappunto: «Che diamine hai combinato? Come ha fatto Diana a essere più veloce di lui? A questo punto mi sembra palese che sia tutta opera tua, no?»
Lui incassò la testa nelle spalle e si mordicchiò la guancia prima di confessare tutto. «Mi spiace. Avrei dovuto dirvelo subito ma così non ci sarebbe stato il colpo di scena!»
«Non siamo in un fottuto fantasy di avventura!» esclamò Lily. Doxa era immobile sotto di lei e sudava freddo – questa volta nessuno l’avrebbe salvato dal finire infilzato da quegli artigli! «E tu non fai più tanto lo spaccone, eh? Com’è che diceva Diana? Non siete altro che dei miseri galletti
«Com’è possibile che un tizio del genere conosca una magia tanto potente? Di certo avrebbe potuto usarla meglio» sentenziò Rehagan, dubbioso. Poi, l’illuminazione. «La sua ascia!»
Al che, Killian annuì.
«Ma questo non spiega come mai Diana sia riuscita a colpirlo tanto facilmente!» esclamò Eve, ancora confusa.
Il mago dell’Aurora decise di mostrare la sua magia. E per farlo, diede una rapida occhiata a tutti i maghi davanti a lui; dopodiché sorrise candidamente e si rivolse a Hydra. «Prova a utilizzare un incantesimo. Quello che vuoi, non è importante ai fini della dimostrazione.»
Il marinaio corrucciò la fronte. Non riusciva a capire il senso di quella richiesta ma fece come detto... restando però deluso dal risultato. Stranito e preoccupato, lanciò un’occhiata omicida in direzione di Killian. «Non ci riesco.»
Nella confusione generale – Naevin temette di veder sbiancare Hydra, davvero – Rehagan cacciò un gridolino entusiasta. «Tu- Tu annulli la magia degli altri!» Killian ridacchiò, annuendo, fiero di aver scelto in squadra qualcuno di tanto intuitivo. «Per questo eri immune al fuoco! E- E le bende che hai sempre addosso hanno fatto il resto!»
Eve, come tutti gli altri, abbassò lo sguardo per poter osservare con i suoi occhi ciò che lo scienziato stava indicando: le fasce che Killian era solito avvolgere attorno agli avambracci erano lì dove le aveva lasciate, sparse sul terreno. E Hydra ne stava calpestando un pezzo.
Per la rossa fu uno shock comprendere ciò che era sempre stato sotto il suo naso – avrebbe dovuto accorgersene molto prima. «Chiunque entri in contatto con le tue bende non può più utilizzare la magia? È per questo? Ti sei fatto colpire così che quest’armadio mettesse finalmente un piede dove non avrebbe dovuto e, in questo modo, Diana è riuscita a disarmarlo...»
«Esattamente!» esclamò, contento di non dover sprecare fiato a spiegarlo.
«Ma allora sei veramente scemo?!» esclamò a un certo punto Naevin, sconvolto. Killian stesso venne preso alla sprovvista da questa sua uscita. «Hai rischiato di morire per questo?! Avremmo potuto trovare un modo per batterlo; siamo in nove e, a parte il falò vivente che non sarebbe andato da nessuna parte a causa delle ferite, lui era praticamente da solo!»
Il mago dell’Aurora sgranò gli occhi, ammutolendosi.
A quel punto intervenne Lily: «È da una vita che glielo ripeto ma lui ha sempre quest’atteggiamento di merda! Ecco perché i suoi piani fanno sempre schifo! Ed ecco perché non vanno mai seguiti!»
 
 
 
§
 
 
 
Nimue si occupò, innanzitutto, di rimettere in sesto Killian. Dopo una decina di minuti, aveva cominciato a lamentarsi perché sentiva male dappertutto e Lily gli aveva urlato addosso che così imparava a farsi picchiare senza un valido motivo.
Al contrario, Diana non aveva emesso alcun suono quando la dottoressa le aveva messo i punti sulla tempia; quello non era niente in confronto al dolore che aveva dovuto patire lei negli anni dell’addestramento.
Per lo meno adesso ho capito perché la mia magia non funziona su di lui.
Nimue volle ricucire Ias, Doxa e tutti gli altri imbroglioni: a nulla erano valse le proteste di Lily – lei stessa sapeva che l’amica non li avrebbe mai lasciati morire dissanguati. La sua professione glielo impediva, dopotutto.
Comunque non avrebbero più dato fastidio a nessuno, di questo erano certi. Killian aveva impresso su di loro un incantesimo che si sarebbe sciolto soltanto alla loro morte: non avrebbero più potuto usare la magia, nemmeno tramite armi incantate. E a proposito di armi, l’ascia di luce che aveva avuto la sfortuna di trovare un padrone tanto inetto, fu sotterrata e ricoperta dal fogliame, poco lontano dalla strada.
Non aveva alcun senso portarsi dietro qualcosa che nessuno sarebbe stato in grado di utilizzare al meglio – tra di loro gli unici a possedere della armi bianche erano Hydra, Eve, Naevin e Killian ma non avrebbero saputo che farsene di un’ascia. Ad ogni modo, il marinaio si era detto interessato a rivenderla, per questo al ritorno si sarebbe senz'altro fermato a recuperarla. Tra l'altro, l'incantesimo di Killian avrebbe impedido a chiunque di utilizzare la Lacrima magica inserita nell'oggetto.
Il carro proseguì lungo la strada principale fino all’ora di pranzo, poi il Lakad suggerì una strada secondaria e prima di sera il gruppo si ritrovò all’ingresso della città di Durandal. Naevin stesso non ci era mai stato e gli sembrò assurdo che il palazzo più grande e più in vista della regione fosse una biblioteca, posta al centro di quella che un tempo era stata la patria di tutti gli studiosi del mondo.
«Tu che hai il super udito, senti qualcuno nei paraggi?»
Diana guardò Eve come a volerla uccidere con lo sguardo. «Ci sono un sacco di persone lì dentro.» Al contrario, la città è deserta. Ma non lo disse; era abbastanza evidente dalla condizione in cui versava.
Una volta scesi dal carretto, i maghi se la ritrovarono davanti in tutta la sua immensità. La biblioteca si sviluppava su tre piani e già da fuori sembrava davvero immensa, praticamente un castello. La facciata era contrassegnata da due colonne di marmo bianco per lato a capitelli compositi, un portone in legno massello finemente intarsiato e rami d’edera che andavano a incorniciare ciascuna finestra.
Fu Eve ad avvicinarsi per prima all’entrata, spinta da un unico desiderio: trovare Kyla. Dev’essere qui. Dev’essere per forza qui.
Il portone era aperto, perciò, bastò una piccola spinta e questo si aprì. I maghi si ritrovarono davanti una hall immensa e nessuno ad accoglierli. Il centro della sala era occupato da scatoloni impolverati e vecchi libri rovinati, praticamente illeggibili, mentre due paia di scale portavano al piano di sopra – da lì, provenivano diverse voci.
«Non si sono ancora accorti di noi...» disse Nypha, non smettendo di guardarsi attorno.
Diana annuì – una specie di gesto d’assenso – ma non disse niente.
Quindi salirono al piano di sopra. Se l’ingresso era parso polveroso e buio nonostante il lampadario di cristallo, il secondo piano sembrava invaso dalla luce. Interminabili file di scaffali e lunghi tavoli, persone che borbottavano tra sé o che correvano da una parte all’altra alla ricerca del tomo giusto, mappe, odore di carta e d’inchiostro... per Lily fu come avere davanti una gilda dell’Ancient Aurora ma cento volte più grande e cento volte più incasinata!
«Nessuno ci ha ancora notati» bisbigliò Naevin, sconvolto.
«È normale quando si è concentrati.» Rehagan sorrise.
Altri topi di biblioteca, pensò Hydra.
«Chissà se hanno il terzo romanzo di quella saga...» si chiese Killian, per un attimo dimenticandosi del dolore atroce – più o meno – di cui fino a qualche attimo prima si stava lamentando.
Tremante per via dell’agitazione, Eve adocchiò il suo obiettivo: un giovane dall’aspetto semplice, capelli rossicci e grossi occhiali rotondi che, anziché stare sul naso, gli tenevano alcuni ciuffi ribelli sulla testa. Gli si avvicinò e richiamò la sua attenzione.
Quello, preso in contropiede, balbettò qualcosa come un saluto o qualcosa del genere.
«Conosci una donna che si chiama Kyla?»
«Eh-? Co- Cioè- Non-»
Il ragazzo farfugliava frasi sconnesse, gesticolava come un matto e intanto i libri che stava trasportando gli caddero di mano, aprendosi sul pavimento; a quel punto, il poveretto non seppe più a cosa dar retta prima.
«Mi sa che si è rotto» sentenziò Reha, divertito, osservando come non riuscisse più neanche a guardare la rossa in faccia. Alla fine, però, mosso a pietà per il poveretto, decise di intervenire: «Ehi, ehi... sta’ tranquillo.»
Schioccò le dita e il ragazzo si girò a guardarlo.
«Allora, la conosci? La nostra amica Eve sembra tenerci un sacco.»
«Non siamo venuti qui per questo» borbottò Lily, ma l’altra non sembrò neanche sentirla.
Il giovane si schiarì la voce, recuperò i libri da terra e li posò sul tavolo prima che gli cadessero nuovamente. Tentò di rivolgersi alla ragazza che gli aveva posto quella domanda ma non ci riuscì: per evitare di fare ulteriori figuracce, decise di puntare lo sguardo sul sorriso rassicurante dello scienziato. «M-Mi chiamo Bam e s-sì, conosco Kyla...»
Allora Eve, senza nemmeno rendersene conto, lo afferrò per le spalle e cominciò a scuoterlo. «E dov’è?! È qui?! Dimmelo!»
C’era urgenza nella sua voce; astio, rammarico, tristezza. Per la prima volta Lily vide dinanzi a sé una Eve Ikuko completamente diversa da quella a cui era abituata. Lei scherzava, ironizzava su tutto... aveva volontariamente stuzzicato Hydra e per poco non era finita a far compagnia ai pesci!
Intanto, Bam – davanti all’esternazione di così tanti sentimenti diversi, e al solo metabolizzare che una ragazza gli stesse rivolgendo la parola con così tanta foga – svenne.
Quando finalmente se ne accorse, Eve lasciò la presa e questo cadde a terra come un sacco di patate. Per un attimo, le sembrò persino divertente. «Ma che gli è preso?»
«Non ha retto all’emozione» Killian sembrava davvero convinto di quel che diceva, con tanto di sorrisetto ironico.
La rossa fece per dire qualcos’altro – forse un’imprecazione – quando una voce da lontano attirò la sua attenzione; una voce che suonò tremendamente familiare alle sue orecchie e quando alzò lo sguardò per capire chi fosse non ebbe alcun dubbio.
«Coin?»
L’uomo indossava un completo color crema che aveva visto giorni migliori – decisamente. Gli orli delle maniche erano arrotolati e i pantaloni sporchi di fuliggine e terriccio. I capelli alla “chierica”, diversamente da come li ricordava, erano grigi e brizzolati; un segno chiaro e inequivocabile dei tanti anni trascorsi. Anche i baffi si erano ingrigiti.
Certo, lei l’aveva visto e conosciuto in un’unica occasione... ma quella voce calda e buona era stato abbastanza per poterlo riconoscere. «Se tu sei qui, vuol dire che anche Kyla-?»
«Eve? Sei davvero tu?!» esclamò, avvicinandosi.
Ma la ragazza ignorò la sua domanda. «Dov’è Kyla?»
Coin si fermò a un passo da lei, indeciso sul da farsi. Le guance paffute erano sbiancate e gli occhi tondi e scuri tremarono non appena incrociò quelli ferini della maga.
Fece per parlare ma Diana l’anticipò sul tempo. «Non è più qui. Ora, possiamo pensare a-»
Sbatté un paio di volta le palpebre, la Dragon Slayer, prima di rendersi conto che qualcuno – Killian – le aveva appena tappato la bocca.
Irritata oltre ogni misura, gli rifilò una gomitata e il mago dell’Aurora, piegato in due dal dolore, alzò le mani in segno di resa e senza dire altro si lasciò cadere all’indietro. Dopodiché, mugugnò un flebile: «Sto morendo.»
In un attimo, Lily l’afferrò per il kimono. «Cosa diavolo pensi di fare?!»
E intanto che le due si guardavano storto, Killian continuava a ripetere imperterrito la stessa identica frase, al punto che Nimue gli si inginocchiò accanto, impassibile come al solito. «Non stai morendo, ti ha solo incrinato una costola, cosa che neanche quell’energumeno di stamattina è riuscito a fare.»
«Chi se ne frega di cosa si è rotto, fa male e preferisco la morte...»
«Sei il solito esagerato.»
«È ferito, idiota!» sbraitò Lily, intanto.
Non sopportando più quella situazione, Diana le diede una spinta, allontanandola da lei. «Quelle me le chiami ferite? E non osare toccarmi.»
Il Lakad pensò di dover intervenire per sedare l’imminente litigio che ne sarebbe scaturito. E, aiutato da Nypha che cercava di distogliere la corvina dall’attaccar briga con l’altra, si piazzò esattamente in mezzo a loro per poterle dividerle.
Ma qualsiasi suo tentativo di aprir bocca fu neutralizzato da un pugno sbattuto contro il legno di un tavolo. I maghi – Killian dovette allungare il collo perché da terra e con la visuale per metà coperta dalla stazza di Naevin non sarebbe riuscito a vedere nulla – si voltarono verso Eve.
Questa, tremante e con gli occhi sgranati, fissava il buon Coin con l’espressione di chi non voleva credere alle sue orecchie.
Nypha, che era stata distratta dalle due ragazze, fece per chiedere spiegazioni in merito ma la voce scura di Eve interruppe sul nascere quel tentativo. «In che senso che non è più tornata dalla capitale?»
«Dopo il disastro, Kyla e altri cinque di noi hanno deciso di voler indagare. Sono partiti un mese fa, hanno raggiunto Cortana e ci sono rimasti per una ventina di giorni ma solo una di loro è tornata indietro, Tabitha.»
«Chi è e dove si trova?! Voglio parlare con lei!»
«Sarebbe inutile, Eve. Non non sa nulla.» spiegò, mortificato. «Volevamo organizzare un’altra spedizione ma ci è stato impossibile. Kiel ha uomini ovunque e impedisce a chiunque di mettere piede nell’entroterra a meno che non si diventa suoi sottoposti.»
Avrebbe voluto urlare, Eve. Avrebbe voluto spaccare la faccia a quel tizio e chiunque avesse impedito a Kyla di far ritorno. Era arrabbiata. Nemmeno lei sapeva dare un nome a quello che stava provando.
Fu Killian a prendere parola, attirando la sua attenzione. «Chi è Kyla?»
Di certo si aspettava una tale domanda, ma la voce le uscì comunque più debole di quanto avrebbe voluto. «Una maga e un’esperta di rune. Lei mi ha salvata.» E poi abbandonata – avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.
Kyla mi ha salvata, mi ha accolta in casa sua dopo- dopo essermi allontanata da loro, mi ha insegnato tutto e poi... e poi se n’è andata.
Non se la sentì di aggiungere altro. Non se la sentì di ammettere che quella persona aveva scelto di andarsene nonostante la loro promessa!
All’improvviso si era trovata a non avere più qualcuno da salutare al mattino, si era trovata a non avere più chi – con una scusa becera – le affidava compiti noiosi perché... beh, perché erano troppo noiosi! Si era trovata a non avere più nessuno a cui preparare quegli orribili panini al tonno che Kyla era solita divorare, neanche fosse l’unico cibo sulla terra!
La situazione era tanto semplice quanto straziante: Kyla n’era andata e, a quanto diceva Coin, era rimasta persino incastrata in un’orrenda e pericolosa situazione.
 

 
§

 
 
Una volta ripresosi, Bam spiegò ai più interessati le origini di quella enorme biblioteca. Era stata fatta costruire per ordine della regina Nafitte e donata a un suo vecchio amico che grazie alle sue larghe conoscenze di medicina era riuscito a salvare la vita di sua figlia, affetta da una rara e gravissima malattia.
Naevin aveva sentito parlare di lui, Amadís, quand’era piccolo. Durante tutto il racconto, Bam era stato attento a non incrociare lo sguardo di nessuna ragazza e tutti ne avevano ben capito la ragione: non riusciva a spiccicare parola dinanzi al gentil sesso. Le guance, le orecchie e il collo si arrossavano, il cuore cominciava a battere all’impazzata, il respiro gli si mozzava in gola e l’idea di loro che lo guardavano… lo uccideva.
Alla fine, richiamato da altri suoi colleghi, tornò a dedicarsi ai suoi amati libri, lasciando il gruppo di maghi seduti attorno a un tavolo in attesa che Eve terminasse di discutere con il vecchio Coin.
«Ricordatemi perché siamo venuti qui.» Lily incrociò le caviglie sul tavolo e si piegò all’indietro, dondolandosi sulla sedia. «Killian?»
«Ho come l’impressione che questa cosa andrà per le lunghe... ad ogni modo, suppongo che voglia davvero scambiare quattro chiacchiere con questa Tabitha. Andrò con lei.»
Suo fratello parlava di Eve, chiaramente.
«Non stavi morendo?»
Lui sembrò ricordarselo solo in quel momento. «Vero, mi fa ancora male il fianco! Ehi, Nim, non è che potresti-»
«No.» La risposta fu concisa e diretta. «Tu e i farmaci non andate d’accordo. Te lo ricordi cos’è successo l’ultima volta, vero?»
Lui borbottò qualcosa di incomprensibile, al che Nypha ridacchiò: nonostante l’importante ruolo che il re gli aveva affidato, c’erano volte in cui sembrava di avere davanti un bambino. Alternava momenti di giocosità in cui dava prova del suo essere infantile a momenti seri in cui non si faceva il minimo scrupolo a dire la sua – ma anche in quei casi il suo sorriso gioviale e, a volte, sghembo, la faceva da padrone. A dire la verità, un po’ lo ammirava per il suo essere ambivalente.
Certo, anche Nypha – per certi versi – poteva vantare una cosa del genere: era il suo lavoro a renderlo necessario. La timida e dolce Nypha lasciava il posto a un sicario pronto a tutto pur di completare il lavoro.
«Perché? Cos’è successo l’ultima volta?» chiese Naevin, curioso, e spalleggiato dallo scienziato che, anche lui, moriva dalla voglia di saperlo.
Killian restò in silenzio ma ben presto il discorso fu lasciato cadere dal mago stesso che lentamente – e senza smettere di lamentarsi – si alzò per potersi avvicinare a Eve.
Com’era logico, Diana ascoltò tutta la loro conversazione.
«Quindi è per questo che hai accettato di venire con noi» esordì lui, frapponendosi tra i due. «A me non dispiace che tu abbia motivi differenti dai nostri, d’altronde chi non ne ha. Ma se è questo ciò che vuoi, allora potremo aiutarti a trovare questa persona.»
Diplomatico e coerente, era sempre stato così.
Eve sospirò. «Hai ragione. Voglio trovare Kyla e la mia meta è Cortana, non ci sono dubbi.»
«Anche la nostra» disse, sorridendo. «Detto ciò, Coin, non è che potremmo parlare con quella persona di cui hai accennato prima?»
Il vecchio paffuto si mordicchiò un paio di volte le guance prima di rispondere – le mani sudate non passarono inosservate. «Tabitha è al terzo piano, laddove abbiamo organizzato le camerate. La biblioteca è l’unico edificio abitabile e sul retro c’è l’infermeria. Ma vi devo chiedere di andarci piano, è parecchio provata.»
I due maghi annuirono e si avviarono in direzione delle scale. Proseguirono lungo il corridoio che affacciava verso un piccolo cortile interno che stava venendo utilizzato a mo’ di orticello, per poi ritrovarsi davanti a una porta identica a tutte le altre. Killian bussò e si azzardò ad aprire solo dopo aver ricevuto risposta.
Tabitha era seduta a letto; accolse i suoi ospiti con un sorriso stanco e fugace. «Cosa volete sapere?»
Era pallida, scavata... sembrava un fantasma. Aveva lunghi capelli neri che portava legati in una debole e mal fatta treccia, occhiaia profonde e occhi che un tempo sarebbero dovuto essere di un nocciola chiaro brillante.
Sembrava esausta, sul punto di morire da un momento all’altro.
«Che ti è successo?»
Lei sbuffò una risata flebile. «Non è stata la capitale a ridurmi in questo stato. Per la verità, io e Palomo non ci siamo neanche avvicinati a Cortana, è stata Kyla a chiederci di aspettarli lì. Aveva il presentimento che ci fosse qualcosa di sbagliato e, in effetti, dopo nemmeno un paio d’ore sono arrivate delle persone alquanto sospette. Siamo rimasti nascosti per un po’ ma poi si sono accorti di noi.»
Tabitha si vide costretta a fermarsi a causa di un improvviso colpo di tosse. Portò della stoffa alla bocca e tossì violentemente, tanto da non riuscire nemmeno a respirare. Quando credette di aver passato il peggio, tornò a stendere la schiena sul cuscino accuratamente ripiegato dietro di lei, stringendo convulsivamente lo straccio ormai sporco di sangue.
Eve rabbrividì dinanzi alla sua espressione rassegnata all’inevitabile.
«Sei stata avvelenata?»
L’altra annuì. «Tra loro c’era una ragazza... era giovane, forse anche più di me. È stata lei...»
«E l’altro tuo amico? È ancora vivo?» domandò la rossa.
Gli occhi di Tabitha divennero liquidi in un attimo. «No. È stato ucciso. E nel peggiore dei modi…!» Lo ricordava ancora perfettamente, purtroppo. Ricordava le lame che lentamente tagliavano le sue carni, le grida soffocate, le lacrime, il sangue che sgorgava, le ossa che venivano spezzate e Tabitha dovette far fronte a tutte le sue – già poche – energie per non vomitare.
«Puoi dirci di più riguardo quella ragazza?» domandò Killian, mascherando alla perfezione una certa urgenza.
«S-So soltanto che il suo nome è Emilia.»
«Nessun altro particolare?»
Lei scosse la testa e Eve ne approfittò per domandarle di Kyla, lasciando Killian solo con i suoi pensieri. Tabitha sarebbe morta a breve, chiaro. Sarebbe morta a causa di un veleno impossibile da contrastare e che aveva da sempre fatto patire le pene dell’inferno a chiunque ne fosse anche solo sfiorato. Aveva i giorni contanti.
Ma se fosse stato realmente così, allora tanto valeva chiamare immediatamente Nimue e – perché no? – anche Rehagan. Sì, mi sembra giusto così.
Fece per avvertire le due che si sarebbe assentato un attimo, quando Tabitha cominciò strillare. Persino Killian ne rimase sorpreso – così all’improvviso? – e tentò di avvicinarsi a lei per accertarsi che stesse bene, che fosse qualcosa di passeggero, quando un’onda d’urto lo fece volare all’indietro.
Anche Eve subì la sua stessa sorte e sbatté violentemente la nuca contro lo stipite della porta. «Ahia- cazzo!» Ebbe appena il tempo di imprecare che Killian l’afferrò per il poncho e la tirò verso di lui, impedendo così a un comodino di schiantarsi sulla sua faccia.
I due si guardarono attorno e ciò che videro li lasciò perplessi. Tabitha era in ginocchio al centro della camerata e dalla sua gola scivolavano fuori gemiti di dolore alternati a piccole grida soffocate dal sangue.
Fu nel momento in cui la vide portarsi le mani al collo che capirono. Magia vocale. E subito dopo si videro costretti a tapparsi le orecchie mentre le grida di Tabitha mandavano in frantumi le finestre.
«È una fata!» urlò Killian, ma Eve non diede segno di averlo sentito. «Continuerà a strillare finché non morirà!»
L’altra corrucciò la fronte, non avendo capito nemmeno una parola. «Cosa?!»
Poi, all’improvviso, Tabitha si silenziò. Entrambi accovacciati l’uno di fronte all’altra, i maghi si guardarono indecisi sul da farsi e, insieme, volsero gli occhi sulla figura immobile della ragazza schiacciata dall’enorme lampadario in ottone.
Killian fu il primo ad alzarsi – seppur con fatica – e ad avvicinarsi a lei. C’era del sangue; tanto sangue.
«È questo che succede quando appare una fata?» domandò Eve, affiancandolo e massaggiandosi le orecchie doloranti. Non oso immaginare a come debba essersi sentita Diana...
Dalla porta scardinata fecero capolino gli altri. Lily storse il naso a causa del forte odore che impregnava la stanza. «Un’altra?»
Il fratello annuì, pensieroso. «Sarebbe comunque morta entro pochi giorni.» Detto ciò, alcuni studiosi si fecero avanti, sconvolti e disgustati alla vista di una scena tanto macabra.
Uno di loro si vide costretto a uscire per andare a vomitare, un’altra scoppiò in lacrime. Naevin sospirò, triste. «Dovremo seppellirla.»
Killian annuì, impassibile. Prima che qualcuno potesse aggiungere altro, si avvicinò a Rehagan e Nimue per sussurrare loro una richiesta.
 

 
§
 

 
Fu con aria baldanzosa che la ragazza raggiunse i giardini del palazzo.
I capelli corti e rosa erano gonfi e piegati in soffici boccoli; ad ogni piccolo saltello sembravano sollevarsi di qualche millimetro. Non era molto alta e indossava una camicia bianca con colletto e una gonna scozzese a pieghe dalle diverse tonalità di rosa.
Lei amava quel colore. Amava mangiare le caramelle, lo zucchero filato, i biscotti ripieni di glassa alla fragola e i pancakes. Amava rimanere scalza sull’erba e il profumo dei fiori. Le piaceva dedicarsi al giardinaggio, alla pasticceria e al ricamo.
Al contrario, odiava profondamente gli insetti e il non fare niente.
Betty le ripeteva spesso che, dato il suo ruolo, avrebbe dovuto fare la seria e smettere di perdere tempo in baggianate. Lei, però, finiva sempre per ignorare le sue raccomandazioni e a meno che non si arrabbiasse sul serio – cosa impossibile perché per Betty era impossibile avercela con lei, con quel viso d’angelo, per più di due minuti – Emilia continuava a comportarsi come una zuccherosa ragazzina di quindici anni.
Una zuccherosa ragazzina di quindici anni disubbidiente e che molto spesso finiva per combinare dei guai. Senza alcuna scorta – non che ne avesse realmente bisogno – usciva dal perimetro indicato per fare una passeggiata, per andare incontro ai loro nemici.
Emilia raggiunse il gazebo con un sorriso radioso e salutò Betty solo dopo aver dato uno sguardo ai dolcetti che erano stati fatti portare per quella colazione in giardino.
«Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così, Emilia. Conosci il mio nome, usalo.»
L’altra ridacchiò, sedendosi difronte a lei. Gli occhi viola saettarono dai cioccolatini al cuore di caramello ai bignè ripieni di crema pasticcera, indecisi su quale lanciarsi. «È un bel soprannome, Betty
«Emilia,» – la redarguì – «Smettila.»
«Di fare cosa?» domandò, prendendo una praline ricoperta di cioccolato fondente e scaglie di nocciole. «È da ieri che non faccio altro che andare negli stessi noiosissimi posti, non ce la faccio più. Non hai qualcosa da farmi fare?»
«No» rispose, atona.
Betty era una bella donna, ben più matura di Emilia – sia per l’aspetto che per la mentalità. I suoi capelli erano lunghi e ben curati, color magenta. Quel giorno aveva deciso di lasciarli scivolare liberamente sulle spalle a eccezione dei ciuffi anteriori, intrecciati tra loro e tenuti all’indietro da un fermaglio bianco, come una farfalla di cristallo immersa tra le onde.
Guardando solo la sua acconciatura – o, più semplicemente, la tinta rossa sulle labbra –, ci si aspetterebbe un vestiario altrettanto femminile. Niente di più errato. Seppur con l’estrema eleganza che la contraddistingueva, Betty era solita indossare abiti con cui era facile muoversi e combattere: le gambe slanciate erano perfettamente fasciate in un paio di pantaloni bianchi, colore in contrasto con il bordeaux scuro degli alti stivali con tacco e della giacca senza maniche, chiusa lateralmente con bottoni d’oro. Le braccia, invece, erano coperte dalle maniche bianche della camicia, sempre perfettamente stirata e calzante a pennello.
Betty era l’eleganza fatta persona. Riusciva a essere femminile pur non indossando mai alcun tipo di gonna o abito. Emilia pensava fosse sexy.
«Questi dolci sono la fine del mondo!»
«Non ingozzarti come al solito.» Eppure, nonostante l’indole ligia e severa, Betty riusciva a tirare fuori un sorriso genuino solo quando c’era lei. «Piuttosto, preparati. È probabile che quelle nove persone riescano ad arrivare fino a qui.»
Emilia alzò gli occhi dai cioccolatini ripieni di caramello, leccandosi le labbra. «Non è compito di Kiel impedirglielo?»
«Di lui non mi fido. Per niente. E poi, se vuoi qualcosa fatta bene, è meglio farlo da sé.»
«Mi stai forse dicendo che posso occuparmene io? Tipo, uscire da qui e-» Ma Emilia non terminò quella frase perché una guardia le raggiunse.
Si inginocchiò in segno di rispetto – neanche avesse davanti due principesse –, salutò entrambe, per poi rivolgersi alla maggiore: «Il Mondo vuole parlarvi, Imperatrice
Betty sospirò. «Arrivo.»
Non appena la guardia andò via, la donna si alzò. Intimò l’altra di non allontanarsi dalla capitale – glielo scandì tre, quattro volte – e solo dopo si avviò verso le sue stanze, ancora ignara della notizia di cui a breve sarebbe stata messa al corrente.





 
 
 
 
 
 

 
 


Ebbene, eccomi.
Dopo un’attesa apparentemente infinita, eccomi di ritorno. Come state? Come sta procedendo questo nuovo anno? Io sono sempre più disperata ma a parte l’ansia costante dell’università e il nonsense a cui sono costretta ad assistere ogni santo giorno a lavoro, direi che non mi sta andando tanto male ^^ La vita è strana; e la gente lo è ancora di più. Bah.

Comunque. Nuovo capitolo. Nuova città – Durandal.
Nuova fata – povera Tabitha. Nuove nemiche – Betty non è il suo vero nome, eh, ci tengo a precisare... è solo che a Emilia non piacciono i nomi troppo lunghi e troppo poco carini, quindi... ciao Betty! Nuovi combattimenti.
A proposito, cosa ne pensate? Sapete, non ne sono particolarmente convinta. Forse avrei potuto osare di più. Piuttosto, mi serviva per rendere chiaro a tutti quanto Killian fosse una pippa totale – cervello a parte, s’intende… forse XD.

Ad alcuni di voi l’ho già accennato: sto preparando TRE capitoli insieme XD
Infatti il prossimo è praticamente pronto, devo solo aggiustare qualcosina e aggiungere un ultimo pezzo ^^ Eheh, non vedo l’ora! Sarà il primo di una lunga serie di capitoli “particolari”, nel senso che sarà interamente dedicato a una cosuccia che, di solito, adoro se fatta bene.
Ma non vi dirò cosa! Tanto penso che si sentiremo a breve ^^
Sono indecisa sul titolo ma quello dell’undicesimo è già deciso. Ripeto: Non. Vedo. L’ora!

Curiosità n.15 ► Emilia ama i fiori, Betty ama le armi. Emilia ricama, Betty si allena. Emilia ama i dolci, Betty ama i cibi salati. Emilia è sempre sorridente con tutti, Betty ha uno sguardo glaciale con tutti. Eppure, a Betty non dispiace avere Emilia intorno e viceversa. Sia a Emilia che a Betty piacerebbe giocare a tennis, peccato che abbiano altro a cui pensare.
 
Curiosità n.16 ► Ricordate quando vi ho detto che a Killian non piace farsi male? Ecco. Non lo sopporta perché ha una bassa, bassissima soglia del dolore e anche la più piccola spintarella per lui è come una pugnalata. Sì, forse è un pochetto esagerato...

A questo punto vi saluto. È stato un piacere. Volevo pubblicare ieri ma come ovvio che sia non ho avuto tempo nemmeno per guardarmi allo specchio.

E ora, tutti insieme a me: l’antibiotico è l’ANTICRISTO. Alla prossima! ^^

Rosy


 

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Capitolo 11
*** ► 10. Dolceamari ricordi ***



CAPITOLO 10. Dolceamari ricordi

 
 

 
§ Inizio Flashback §
 

 
L'inverno a Wilburn era secco e pungente. Alle otto di mattina c'era chi ancora spalava via la neve dal vialetto, mentre il buon odore di pane appena sfornato veniva trascinato lontano dal vento impetuoso.
Non v'era più ombra dei prati freschi e delle rose rampicanti; il bianco regnava sovrano e le montagne che circondavano la cittadina si ergevano oltre la coltre di nubi, nascondendo alla vista i loro picchi ghiacciati.
Per potersi riparare dalle intemperie, Eve si era rintanata nel vecchio mulino a vento che i coniugi Worth avevano lasciato al loro unico figlio perché si occupasse della sua manutenzione. Inutile dire che di restaurare quel rudere, John non ne aveva la minima intenzione.
Ma fu proprio grazie alla sua più totale negligenza che Eve riuscì a trovare un posto dove poter tirare un sospiro di sollievo. Certamente avrebbe preferito una casetta più raccolta dove poter accendere un fuoco senza il rischio di appiccare un incendio e ritrovarsi, di nuovo, senza un tetto sulla testa. Avrebbe preferito possedere qualche coperta in più e non quegli straccetti di cotone sgualcito che aveva trovato nei pressi della clinica cittadina.
Almeno sono riuscita a rubare un paio di scarponi decenti, pensò, rannicchiandosi contro il pilastro che sorreggeva l'intera struttura. Il fuocherello che era riuscita ad accendere si era spento dopo neanche dieci minuti e Eve si ritrovò ben presto a battere i denti dal freddo.
La porta era stata scardinata due giorni dopo il suo arrivo a causa di una forte, fortissima, raffica di vento. Aveva cercato di ripararla ma era stato inutile; non aveva la forza di correre, figurarsi se ne aveva per fissare i cardini una porta in legno massiccio a uno stipite!
Non aveva una casa. I pochi vestiti invernali che possedeva li aveva sgraffignati all'acida proprietaria della Glamour Boutique ma il cappotto in lana di pecora se l'era lasciato scappare a causa di un odiosissimo cane – quel maledetto sacco di pulci!
Aveva intenzione di conservare quei pochi Jewels che aveva per comprarsi da mangiare ma anche quello era diventato difficile.
Eve tremava per il freddo e per la fame. Tremava mentre dormiva, tremava quand'era in procinto di rubare qualcosa e tremava quando correva lontano dagli inseguitori, beccata con le mani nel sacco. Frequentare la zona più popolata di Wilburn era impossibile in quelle condizioni.
Non fa poi così freddo, si disse. Ma ecco che l'ennesimo soffio di vento la trasformò in una statua di ghiaccio. Sfregò le mani lungo le braccia per cercare di scaldarsi ma non servì a niente. Mi ci vorrebbe un infuso, pensò sognante. Un infuso bello caldo!
E si alzò come una molla, pronta a ottenerne uno.
Come previsto, il centro era ben più affollato della periferia. Eve si guardò attorno, attenta a non incontrare alcun viso conosciuto, e camminò accostata ai palazzi per tutta la via principale. Sorpassò un negozio di teiere, una libreria e una sartoria, dopodiché svoltò l'angolo e raggiunse il parchetto da cui si riusciva a scorgere l'insegna della caffetteria.
Fu in quel momento che Eve si accorse di avere già il fiatone. Le faceva male il petto – di nuovo – e si sentiva come se avesse corso una maratona.
Si portò una mano all'altezza del cuore, massaggiandosi la pelle come a voler cercare di alleviare quel fastidio e trattenne a stento una smorfia di dolore. Le sfuggì un colpo di tosse.
La testa girava e il petto continuava a dolerle, anche più di prima.
Ma perché? È da una settimana che va avanti... perché fa così male?
Tossì nuovamente ma questa volta Eve si trascinò veloce verso il primo vicolo e vi si immerse per non attirare sguardi indesiderati. Per un attimo si dimenticò di tutto, persino del suo nome.
Le mancava l'aria. Ancora con la mano stretta al petto, Eve spalancò la bocca in cerca di ossigeno e di aiuto, un qualsiasi aiuto, ma ciò che ne uscì fu soltanto un rantolo e un singhiozzo. Le ginocchia cedettero e l'ennesimo colpo di tosse la costrinse a piegarsi in due.
Aveva paura. Il freddo neanche lo sentiva più. Il cuore batteva tremendamente veloce – sembrava sul punto di esplodere. E il dolore era diventato ormai insopportabile. La tosse. Le ginocchia sbucciate. Il tremore. La stanchezza. La paura. La disperazione.
Eve pianse, convinta che mai più sarebbe riuscita a rivederli.
Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace, Fran.

 
 
§



Non si era nemmeno resa conto di aver perso i sensi.
Quando riaprì gli occhi, Eve si accorse di trovarsi immersa in un morbido materasso e avvolta da candide lenzuola che odoravano di timo. Si guardò attorno con circospezione e osservò la stanza illuminata dalla fioca luce di una lampada a olio posta sul comodino. Era stanca, troppo per potersi alzare e girovagare in quel luogo sconosciuto.
Si rigirò nel letto e un sorriso nacque spontaneamente sulle labbra screpolate dal gelo. Si sta proprio bene qui, pensò, e per un attimo si dimenticò di trovarsi a casa di uno sconosciuto che aveva avuto il cuore di prenderla dalla strada, curarla e accoglierla nella propria dimora.
Eve si diede del tempo per poter approfittare di quel tepore tanto agognato in quel mese di vagabondaggio, per poi riaprire gli occhi – letteralmente – sulla situazione. Aveva dodici anni, era giovane, ma non era stupida.
Accanto al letto c'era una scrivania dove regnava il caos più completo. V'erano libri sparsi ovunque – sulla sedia, sulla mensola, sul pavimento! – e pile di fogli volanti tenuti insieme da graffette storte e dai colori più disparati. Altri libri erano impilati a terra, sotto la finestra.
Chiunque viva in questa casa, deve amare parecchio la lettura!
Eve continuò a osservare la stanza con una certa curiosità – soffermandosi prima sulle tende color ocra, poi sullo specchio dell'armadio e, infine, sulla pila di vestiti abbandonati sulla poltrona – finendo per irrigidirsi al suono della maniglia che veniva abbassata.
Si tappò la bocca con una mano mentre con l'altra portò le coperte fin sopra la testa; nella foga del momento aveva inavvertitamente deciso che avrebbe finto di dormire.
Sentì dei passi avvicinarsi, un tintinnio piacevole, poi un tonfo. E un'imprecazione. Curiosa, Eve abbassò le lenzuola quel tanto che bastava per vedere una figura alzarsi da terra e maledire lo scarponcino che l'aveva fatta inciampare.
Certo, se si decidesse a mettere un po' di ordine, cose come questa non accadrebbero!
Indecisa se esserne divertita o meno, Eve non si accorse di essere stata notata. «Oh, sei sveglia?» La donna si voltò completamente nella sua direzione, mostrandosi in viso. I suoi occhi, nascosti da un paio di spesse lenti, le ricordarono il verde brillante dei prati in primavera; i capelli corvini, invece, erano tagliati in un morbido caschetto. «Sono Kyla Miriki e sono la proprietaria della libreria Flying Words. Sei stata incosciente per tre giorni. Come ti senti adesso?»
Troppe informazioni. Erano decisamente troppe informazioni tutte insieme. Eve conosceva quella libreria, ci era passata davanti tantissime volte ma non ci era mai entrata. Perché avrebbe dovuto? Nemmeno sapeva leggere!
Fece per dire qualcosa ma tossì un paio di volte prima di riuscire a riprendersi, accettando con bramosia il bicchiere che la donna le stava porgendo. Bevve quell'infuso tiepido in un singolo sorso, assetata, e dopo poco tempo la gola smise di farle male per via della troppa secchezza.
Tuttavia, si schiarì nuovamente la voce prima di parlare. «Mi chiamo Eve.»
«Bene, Eve. Dimmi, come ti senti? Ti sei beccata una bella polmonite, lo sai? Non puoi andare in giro con quei vestiti miseri ora che siamo in inverno.»
Gli occhi dorati della dodicenne si fecero umidi. «Scusa. E grazie.»
Kyla fu brava a nascondere la sua perplessità. Innanzitutto, dov’erano i suoi genitori? Possibile che qualcuno l'avesse lasciata girovagare senza una giacca adeguata al freddo pungente? Che fosse stata abbandonata? Che fosse scappata?
L’unico modo per poterlo scoprire era chiederlo direttamente a lei ma la ragazzina era ancora fortemente debilitata e credeva che non avrebbe retto una conversazione in quelle condizioni. Perciò, si arrese al pensiero di doverle dare un po’ di tempo.
«Devi stare a riposo finché non ti sarai ripresa. Intanto puoi stare qui» disse, sorridendo. «Quindi scordati di potertene andare. Prendi le medicine, dormi e ogni tanto ti porterò degli infusi che ti faranno stare subito meglio!»
Eve annuì, incapace di parlare per via del groppo in gola.
 
 

§
 
 

Kyla era una donna strana, estremamente materialista ma gentile – a modo suo – e molto colta. Da quando l'aveva presa con sé, le aveva permesso di lavorare nella sua libreria per poterla ripagare del disturbo. Certo, l'aveva pregata di non strafare, perché nonostante si fosse rimessa, nulla le avrebbe impedito di avere una ricaduta qualora si fosse sforzata troppo.
Ma nulla: Eve era sempre stata tremendamente testarda!
Poi, con l'arrivo della primavera, la poco più che dodicenne era pronta a tornare in strada con l'obiettivo di trovarsi una sistemazione decente: non voleva essere un peso per nessuno. Ma Kyla l'aveva presa per il poncho appena prima che varcasse la soglia della libreria, rischiando anche di farla cadere all'indietro. Le aveva proposto senza mezzi termini di restare con lei e che, per ripagarla, avrebbe potuto continuare a lavorare al Flying Word.
Con la gioia negli occhi e nel cuore, Eve finì per accettare, promettendo che si sarebbe data da fare il più possibile per aiutarla.
Un po' per volta, Kyla le insegnò a leggere e a scrivere e con il passare del tempo, Eve cominciò a divorare tutti i tomi presenti al negozio. Le raccontò la leggenda secondo cui il grande salice che si ergeva in centro, il giorno in cui venne fondata la città, era nient’altro che un germoglio.
Sotto gli occhi fieri e divertiti della donna, la ragazzina cresceva sia fisicamente che intellettualmente.
E tra un cliente e l'altro, trovò persino il tempo di mettersi a studiare le rune, emulando così la sua benefattrice. Non riusciva a spiegarselo, Eve, ma la passione della donna per gli antichi testi runici e i loro misteri l'avevano toccata sin nel profondo e la curiosità aveva avuto la meglio. Le settimane divennero mesi, i mesi divennero anni e la più giovane era ormai diventata un'ottima allieva e aiutante.
Kyla non poté esserne più felice.
Senza chiederlo, era diventata il punto di riferimento di quella bambina dalle lentiggini appena accennate e dagli occhi ferini color del grano. Alla sera, senza nemmeno accorgersene, si ritrovava a distogliere gli occhi stanchi dai libri per osservare meglio la piccola Eve dormire con le braccia strette attorno al cuscino; la bocca socchiusa; il nasino all'insù e i capelli sparsi tra le lenzuola aggrovigliate.
C’erano volte in cui la più giovane finiva per infuriarsi con Kyla a causa del suo disordine; altre in cui tornava a casa con caffè e dolcetti per lei, piccoli regali della signora Mirvin, la dolcissima proprietaria della panetteria all’angolo. Per il suo compleanno le comprò persino una fascetta verde che la donna aveva indossato con entusiasmo e che s’intonava perfettamente con il colore dei suoi occhi.
Senza accorgersene erano diventate anime affini. Senza accorgersene, Eve aveva cominciato a pensarci seriamente: Kyla era diventata la sua famiglia.
 

 
§

 
 
Eve stava sistemando i nuovi arrivi sugli scaffali mentre Kyla sbrigava i clienti. La scusa era stata che non avrebbe mai fatto meglio di lei che era ormai diventata un'abile catalogatrice – leggesi: era uno strazio stare a sistemare i duecento tomi appena arrivati e aveva mollato tutto alla sua “apprendista”!
Trasportò il carrello colmo di libri fino all'area dedicata ai romanzi d'avventura e ne inserì un paio tra quelli già presenti e usurati dal tempo. Il Flying Word vantava una collezione di libri esageratamente grande, tanto da riuscire a stupirla ogni volta!
Dopo qualche minuto a fare la spola tra l'archivio e gli scaffali delle poesie, Eve si imbatté in una trilogia di tomi impolverati. Se li rigirò tra le mani, incuriosita dagli intarsi presenti sulle copertine camosciate e rovinate da chissà quale disastro.
Non vi erano indici, né titoli. Erano diari. Tre diari scritti a mano ma senza alcuna firma. A quel punto la curiosità prese il sopravvento e senza aspettare neanche un secondo, si diresse spedita verso il bancone dove Kyla salutava quasi scocciata un signore anziano venuto a restituire un vecchio libro di storia – era nel pieno della sua lettura, dopotutto, e avrebbe voluto dedicarsi solo a quello.
Vedendola così trafelata, la donna sorrise. «Trovato qualcosa di tuo interesse?»
«Chi è l'autore di questi?»
Glieli posò sul banco e Kyla li osservò. Cominciò a studiarli con lo sguardo e con le mani, arrivando persino a mettere il naso tra le pagine ingiallite e a inspirare l'odore di carta spessa e dura. «Sono stati scritti da tre persone diverse, Eve.»
Lei corrucciò la fronte. «Come fai a dirlo?»
«Basta dare un'occhiata alla calligrafia. Questo qui,» – e sollevò il primo libro, quello con la copertina striata di rosso – «è stato scritto da un uomo cinico e dalla forte personalità. Naturalmente lo si può anche capire da ciò che ha scritto. Vedi?»
Una volta riavuto, Eve lesse ad alta voce alcune righe: «Non posso credere a quello che ho appena sentito. “Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile. È questo il destino?” ‘Fanculo. ‘Fanculo lui e le sue forze misteriose. Io solo sono il padrone della mia vita e delle mie azioni. Gli altri possono pensare quello che vogliono. Ma che significa?»
Kyla ridacchiò, consapevole che fosse troppo piccola per poter comprendere a pieno il significato dietro quelle parole. Anzi, le mostrò il secondo tomo su cui vi era rappresentato un uroboro. «Questa è sicuramente opera di una donna. Le lettere sono morbide, piccole e ben ordinate.»
Eve le fece segno di ridarle il libro e così fece.
«Non ho ancora capito il motivo della mia esistenza. Perché sono qui? Il mio compito qual è? Questa montagna è la mia casa e questo tempio il mio letto di morte. Il gong suona; ciò vuol dire che le anime stanno perendo. C'è una guerra? Callisto dovrebbe seriamente smetterla di usare lo Specchio. Nostro fratello non sarà affatto contento quando lo scoprirà
A quel punto, anche Eve ridacchiò. «Forse è una bambina. Ci sono disegnate anche delle faccine.» E per rinforzare la sua tesi, indicò le nuvolette perplesse che l'autrice del diario aveva inserito qua e là tra gli spazi bianchi.
L'altra la imitò. «Sì, può darsi. E per finire, l'ultimo ha una calligrafia quasi femminile ma instabile, distratta; non saprei dirti di più.» Fece anche per consentirle di leggere ad alta voce una porzione di testo, così come aveva fatto precedentemente per gli altri due, ma qualcosa la fermò.
Sotto lo sguardo incuriosito di Eve, Kyla cominciò a studiare con particolare attenzione le prime pagine del diario. Restò lì impalata per cinque minuti buoni con la ragazza che scalpitava per poter riavere il libro e metterlo a posto ma Kyla alzò lo sguardo su di lei con un sorrisetto entusiasta. «Aspettiamo a catalogarli. Lasciali sulla mia scrivania.»
«Ma sulla tua scrivania c'è già un casino di roba! Prima o poi non avremo nemmeno più un letto dove dormire perché hai questa brutta abitudine di lasciare le tue cose in gir-!»
«Hai ragione. Li terrò io.» Preferì interromperla. «Questi diari sembrano interessanti e voglio leggerli il prima possibile. Pensa tu ai clienti!» esclamò, felice.
Eve sgranò gli occhi. «Ma devo catalogare e sistemare i nuovi arrivi! Mi hai detto tu di farlo.»
«Lo farai dopo.»
Fu più forte di lei e ci riprovò, conscia che Kyla avrebbe tirato fuori un’altra delle sue assurde scuse per defilarsi. «Non potresti darmi una mano, invece?» Sbatté le palpebre e assunse l’espressione più dolce del suo repertorio per poter convincere.
Kyla rise. «Neanche per idea. Dici sempre che non ne sono in grado e che il mio metodo è sbagliato.»
«Ma non è ver-»
«Sì che è vero! E te ne sei lamentata per giorni
La stava palesemente prendendo in giro ma Eve era talmente presa dalla discussione che sembrò non accorgersene. «Tu li sistemi in base al colore! Non puoi farlo!»
«E perché?»
«Perché no! Bisogna dividerli secondo il genere e poi sistemarli in ordine alfabetico...»
L’altra si limitò a un’alzatina di spalle. «Troppo difficile. Visto che sei tanto brava perché non te ne occupi tu?»
Eve sospirò, concedendosi un attimo per riprendere fiato. Era inutile discutere con Kyla: alla fine riusciva sempre a evitare i lavori più noiosi, rifilandoli a lei.
E quel giorno non fu diverso.


 
§
 
 

Aveva diciassette anni quando Eve accolse in libreria un signore dall'aspetto immacolato e dai grossi baffi scuri. Si era presentato come Coin, un vecchio amico di Kyla; un amico dalla strana risata e dalle guance paffute. Dopo aver chiuso i battenti del Flying Word, i tre si erano accomodati nel piccolo soggiorno di casa e Coin aveva messo sul tavolino alcuni fascicoli.
Non ci volle molto prima che entrambe chiedessero spiegazioni e allora il signore col panciotto parlò: «Io e la mia squadra stiamo per partire. Ti ricordi di Bam, no? Il tipo con gli occhialetti che balbetta sempre quando è davanti a una bella ragazza? Ecco. Lui ha scoperto qualcosa di interessante riguardo la posizione di un'antica spada dai poteri incommensurabili e fonti certe dicono che si trovi a Damocles.»
Kyla allungò il collo per poter leggere meglio le carte che il suo amico le aveva messo davanti agli occhi e con sua grande sorpresa si ritrovò a restare a bocca aperta. «Mi stai dicendo che alla fine quei diari sono serviti a qualcosa?»
Lui sorrise. «Esatto. Tu e la ragazza avete fatto un ottimo lavoro!»
Kyla le lanciò un'occhiata fiera e Eve ricambiò quello sguardo, seppur con un velo di preoccupazione. Ma rimase in silenzio, la rossa, in attesa di vederci chiaro su quella storia e la conferma di ciò che aveva tanto temuto, arrivò nell'immediato.
«Vorrei che ti unissi alla spedizione.»
«Io?»
Coin annuì. «Già. Sei in gamba e penso che una testa in più ci farebbe molto comodo.»
Ecco. Era arrivato quel momento; Eve se l'aspettava. Con la coda dell'occhio guardò Kyla, che non perse nemmeno un secondo a rispondere: «Va bene!»
«Voglio venire anch'io!» ribatté a un certo punto la più giovane. L'uomo fece per parlare ma l'amica gli fece segno di lasciar perdere, intenzionata ad ascoltare quello che l'altra avesse da dire. «Mi hai insegnato tantissime cose e sarei più che felice di poterti dare una mano con le tue ricerche! Ti prego, lasciami venire con voi!»
Prima dell'effettiva risposta, gli attimi di silenzio parvero eterni. Eve non capì i motivi della sua esitazione, né poteva immaginare cosa le stesse passando per la testa ma alla fine ogni dubbio evaporò: Kyla acconsentì alla sua richiesta e lei saltò in piedi dall'eccitazione.
La donna rise e la imitò, avvolgendole un braccio attorno alle spalle e sollevando l'altro in aria. «Perfetto! Si parte! Tutti a Damocles!» La sua risata euforica contagiò persino Coin che in un primo momento aveva osservato la scena stupito.
Eve la abbracciò e subito dopo cominciò a parlottare con il signore baffuto, neanche fossero stati amici da una vita. Kyla lo invitò persino a fermarsi da loro per la notte – si era fatto ormai tardi – ma lui dovette rifiutare a causa di alcuni impegni con il sindaco di Wilburn che, a quanto pareva, avrebbe finanziato la spedizione.
Preparò persino la valigia, Eve, riempiendola di libri e vestiti di ricambio, arrivando a sistemare anche quella di Kyla – un vero caos. Si addormentarono nel solito modo e nel solito letto, l'una accanto all'altra – pronte ad affrontare la più grande delle loro avventure.
 
 

§
 
 

A svegliarla fu un raggio di sole sparato dritto in faccia.
Il che fu strano perché era certa di aver impostato la sveglia molto prima dell'alba.
«Kyla...» Sbadigliò, assonnata. «Che ore sono?»
Niente. Nessuna risposta. Allora Eve sbuffò e si rigirò nel letto ritrovandosi a dover spalancare gli occhi quando notò l'assenza di qualcosa di importante: il quaderno degli appunti di Kyla era sparito dalla scrivania!
Si alzò di scatto e ignorando il capogiro per essersi mossa tanto velocemente, volse gli occhi alla ricerca di un indizio, un qualsiasi indizio che confutasse l'idea che le era balenata in mente e che era sul punto di farla scoppiare come un petardo. Non indossò nemmeno le pantofole e si precipitò al piano di sotto dopo aver fatto il giro della casa, trovandola vuota della sua presenza. Kyla non c'era.
Non c'è, cazzo!
«Se questo è uno scherzo, non è affatto divertente! Kyla!» gridò, arrivando poi al Flying Word. Nessuna traccia di lei neanche lì e Eve si ritrovò a sussurrare. «Non puoi averlo fatto davvero.»
Non puoi. Non puoi...
Tornò al piano di sopra e cominciò a rovistare nell'armadio che condivideva con lei, nella credenza, nei ripostigli e nei cassetti della sua scrivania, mettendo tutto a soqquadro. In un'altra situazione non avrebbe mai permesso a se stessa di generare quel caos ma era questione di vita o di morte!
Il suo unico pensiero era trovare Kyla. Così indossò i suoi anfibi saltellando e rischiando di sfracellarsi contro lo stipite della porta, legò i capelli in un pessimo chignon e afferrò il suo poncho, pronta a uscire di casa. L'avrebbe trovata. Avrebbe rivoltato la città come un calzino... l'avrebbe fatto se non avesse visto un biglietto che prima non aveva notato.
Era stato fissato sulla testiera del letto che Kyla aveva fatto fare da un falegname per avere qualcosa cui appoggiarsi la sera, anziché stare con la schiena contro il muro. Eve afferrò il pezzo di carta con mano tremante e ne lesse il contenuto con gli occhi spalancati.

 
I libri dei signori Geller vanno consegnati venerdì presso la loro residenza,
gli ordini per i nuovi libri vanno spediti entro giovedì cosicché il fornitore
possa portarti i nuovi acquisti il lunedì seguente.
Chiudi sempre le serrande del negozio, non
voglio che qualche ladro topo di biblioteca come te mi rubi la merce.
Quando torno due panini al tonno non sarebbero male.
Baci
Kyla
 

Odio. Provò un profondo, profondissimo odio per quella donna; tanto che arrivò al punto di vergognarsene.
Strinse la labbra in una smorfia e serrò gli occhi per non lasciare andare alcuna lacrima.
Non è possibile. Non è possibile. Se n'è andata!
«Mi ha lasciata qui da sola...» sussurrò, a denti stretti.
Si lasciò cadere sul materasso, frustata e delusa; lo sguardo perso nel vuoto. Tutto si aspettava tranne che... quello, che l'avrebbe abbandonata lì, a casa loro e a pensare al suo stupidissimo negozio. Avrebbe preferito andare con lei e aiutarla. Avrebbe potuto!
Non si fida di me? Non crede che possa farcela?! Cazzo, Kyla, perché?!
E intanto che i pensieri la dilaniavano, Eve accartocciò il biglietto e lo gettò con rabbia contro il muro, sicura che mai sarebbe riuscita a perdonarla.
 

 
§
 
 

Il Flying Word aprì con mezz'ora di ritardo quel giorno.
Eve aiutò un paio di ragazze in cerca di alcuni romanzi per la scuola e subito dopo sistemò alcuni saggi di storia che il giorno prima erano stati lasciati sul bancone in attesa di essere messi sui giusti scaffali.
Non riusciva ancora a credere che Kyla se ne fosse andata senza dire niente, con un misero – e stupidissimo – biglietto!
Dalla sua partenza non passava giorno senza che riprendesse in mano quel pezzo di carta rovinato. Leggeva e rileggeva quel messaggio sperando che all'improvviso le parole si mettessero a ruotare e che potessero spiegarle il motivo di quel gesto insensato.
Kyla non si era mai comportata così. Le aveva sempre detto – fino alla nausea, davvero – che avrebbero vissuto insieme e che, insieme, avrebbero superato qualsiasi difficoltà. Come quella volta che l'arcigna proprietaria della Glamour Boutique l'aveva riconosciuta come la ladruncola che pochi mesi prima si aggirava pericolosamente intorno al suo negozio: Kyla l'aveva minacciata di non spifferare niente di tutto ciò alle forze dell'ordine, altrimenti Eve sarebbe finita in orfanotrofio – di nuovo. Risultato? La signora Dana, con il terrore negli occhi, cambiava sempre direzione quando le incrociava per strada.
O come quando il proprietario di casa – l'appartamento sopra il Flying Word era in affitto – aveva cercato di sbatterle fuori: insieme si erano date da fare e avevano risparmiato tanto per sanare gli arretrati. Risultato? Kyla aveva litigato con quel tipo allampanato e questo si era fatto andare bene la cifra che erano riuscite a mettere insieme nonostante fosse sotto di tremila Jewels rispetto alla somma concordata.
Trascorsi una decina di giorni, Eve era ancora lì. Seduta al bancone della libreria in attesa che l'ennesimo cliente varcasse quella porta e con in mano il biglietto scritto a mano di Kyla.
Si era portata dietro solo alcuni vestiti, il suo quaderno degli appunti, due o tre libri – i suoi preferiti – e niente di più.
Mi ha persino mentito... mi aveva detto che saremmo partite entrambe.
Eve sbuffò, sbattendo con forza il foglietto di carta contro il libro che avrebbe dovuto leggere per portare avanti i suoi studi sulle rune. Ma ormai era diventato inutile, il suo unico pensiero era rivolto a Kyla e al suo tradimento – perché così si sentiva, Eve; tradita dalla stessa persona che le aveva salvato la vita!
Poi però notò un dettaglio curioso e d'un tratto – dopo secondi interminabili di blackout totale – la sua mente ebbe un'epifania. «Non può essere...» si disse, allibita.
Rigirò il biglietto di Kyla e , aveva ragione. La risposta ce l'aveva sempre avuta sotto gli occhi, possibile?! Si alzò trafelata per poter chiudere le serrande del negozio – non importava che fosse primo pomeriggio, per una volta non sarebbe morto nessuno – e accendere i lumi sul bancone. Prese un foglio, una penna e il dizionario runico e cominciò a trascrivere quelle che fino a quel momento le era sembrata una calligrafia disordinata.
Kyla non aveva mai avuto una brutta scrittura e inizialmente aveva pensato che il motivo poteva essere la fretta con cui se l'era data a gambe levate. Ma no. Non poteva essere così.
Impiegò circa un'ora per tradurre le rune che Kyla aveva nascosto nel suo messaggio e ciò che vi lesse, le fece mancare un battito:

 
Eve, sono perfettamente consapevole che tu sia una ragazza in gamba;
in fondo hai imparato dalla migliore.
Se hai davvero voglia di mettere in pratica quello che ti ho insegnato recati alla gilda 
Black Robin.
Clarence, il Master, mi deve parecchi favori;
gli ho parlato di te e non vede l'ora di conoscerti.
 

Ancora una volta, dovette arrendersi all'evidenza. Kyla non le aveva spiegato un bel niente.
 

 
§ Fine Flashback §
 
 

Parlare con Coin le era servito per avere chiara almeno una cosa: per poterle chiedere cosa diavolo le fosse passato per la testa il giorno in cui aveva scelto di mentirle e partire lasciandola a Wilbourn, avrebbe dovuto recarsi a Cortana. Avrebbe dovuto tirarla fuori di lì.
Qualsiasi fosse la situazione in cui era andata a cacciarsi.
Dopo aver ripulito la stanza dal sangue e dopo aver sepolto Tabitha, Eve si prese del tempo per provare a ragionare. Si allontanò dal gruppo e andò a sedersi ai piedi di un albero del cortile, piegata sul suo taccuino, cercando di sfogare su carta tutte le sue ansie. Si era legata i capelli in uno chignon, tenuto dal fermaglio che era solita portarsi dietro. Avere il marchio della gilda Black Robin tatuato sulla nuca era motivo di orgoglio per lei, ancor di più se mostrato. Eppure, non tutti la pensavano allo stesso modo.
C’era chi sparlava di loro, c’era chi li definiva sciacalli. Ma a Eve non importava, perché dentro quella gilda aveva trovato persone meravigliose.
Il vento fresco della sera le sfiorò la pelle d’oca facendola rabbrividire.
Sospirò, mordicchiandosi le labbra e carezzandosi il mento. Accanto a lei, il lampione le permetteva di rileggere quel che abbozzava sui fogli spessi del suo taccuino senza problemi di sorta.
Fu quando lo richiuse che si accorse di una figura in procinto di avvicinarsi. Killian incrociò le braccia e si appoggiò al palo della luce. «Tutto bene?»
«Fammi capire,» cominciò a dire, tornando a essere la solita Eve, quella ironica e che scoppiava a ridere per un nonnulla, «tu sei mezzo morto e chiedi a me come sto?»
Lui ridacchiò, divertito ma non osò controbattere.
«Piuttosto, toglimi una curiosità. Come mai il tuo potere “anti-magia” non ha funzionato con la fata
Killian alzò le spalle. «Contro di loro è sempre così» disse, semplicemente. «Comunque ripartiremo domani mattina. Andremo a Ridill.» E ancor prima che lei potesse chiedergliene il motivo – a dar conto alla mappa, avrebbero perso mezza giornata, non di più –, Killian continuò: «Naevin è nato lì vicino. Ha chiesto di fare questa piccola deviazione per poter adempiere alla tradizione della tribù Lakad.»
Eve annuì.
Il resto della serata la trascorsero a chiacchierare del più e del meno – lui si era lasciato scappare un complimento sul tatuaggio posto dietro la nuca, quello che raffigurava una rondine stilizzata – fino all’arrivo di Nypha che li avvertiva della cena pronta. Cenarono in una stanza separata dagli altri studiosi per fare il punto della situazione – e anche per rispetto verso coloro che aveva appena perso una preziosa collega e amica.
Diana non si fece vedere. Subito dopo l’esplosione vocale di Tabitha, si era allontanata barcollante verso il carro e aveva deciso di dormire lì, ignorando l’entusiasmo di Naevin che non aveva perso l’occasione di andarsi a stendere su un morbido materasso.
Subito dopo cena, i ragazzi occuparono una delle camerate vuote. Rehagan tirò fuori le provette di sangue e cominciò a studiarle, scrupoloso, raggiunto poi da Nimue. Quest’ultima entrò in stanza con la sua solita noncuranza, lanciando prima un’occhiata a Hydra e poi a Naevin, lasciandosi andare a un commento di apprezzamento – neanche lei sarebbe rimasta completamente impassibile davanti a una tale prestanza fisica. E poi erano a torso nudo!
Dopodiché, la dottoressa cominciò a parlottare con Rehagan di piante officinali, veleni e incantesimi di vario genere, come se non fosse successo niente.
Lo stesso fecero le ragazze – meno Diana. Dopo un bagno veloce, Eve andò a stendersi su un letto a caso e sospirò. Raggiunta prima da Nypha e poi da Lily; in un primo momento si limitò ad ascoltare la loro conversazione. Quella si era rivelata una giornata alquanto bizzarra e stancante, dopotutto.
«So che non sembra ma sono piuttosto brava in cucina» sentenziò Lily, senza mezzi termini. «Per questo ti dico che non puoi utilizzare il latte assieme all’arancia. Verrebbe uno schifo!»
«Mh. E il limone?»
La corvina le rivolse un’occhiata scandalizzata. «Tu sei matta» disse, sedendosi a gambe incrociate sul letto. Successivamente, si girò in direzione di Eve, per chiederle man forte.
«Lily ha ragione, verrebbe uno schifo» asserì, annuendo solennemente.
«Ma prima ti ho vista versare mezza bottiglia di vino in quella padella!»
«Ho semplicemente sfumato la carne con un po’ di rosso. E non era mezza bottiglia.»
Cercare di spiegare a Nypha in quali circostante si potesse utilizzare il vino in cucina fu drammatico; per tutte e due. Soprattutto perché sembrava dimenticare quegli insegnamenti man mano che il discorso progrediva e riusciva a tirar fuori certi orrori come solo un miscredente dell’arte culinaria poteva fare!
«Ti prego, non farlo!» esclamò Lily. Era entrata nel panico dopo averla sentita dire che le sarebbe piaciuto mettere in pratica tutto ciò che le stavano spiegando. «Una sola volta basta e avanza!»
Eve rise. «Nemmeno un uovo sodo?»
La più giovane le lanciò un’occhiataccia; fu abbastanza per poter capire come la pensasse a riguardo.
«Non posso morire, non ho ancora infilato la lingua nella bocca di Glen.»
Eve non capì. «Chi?»
«Non conosci Glen?!» esclamò, allibita. Quando la vide scuotere la testa, Lily crollò sul materasso, borbottando frasi del tipo: «Non ci posso credere» o «Tu non sei normale!»
Non avendo capito ancora nulla, Eve si rivolse a Nypha che, brevemente, le spiegò chi fosse: «È un modello molto famoso nel regno di Fiore. A quanto pare è super affascinante e tutte le ragazze vorrebbero... beh... baciarlo...»
«Baciarlo è dir poco. Comunque, è impossibile che tu non lo conosca!»
«Scusa se Glen non è una mia priorità...» la scimmiottò Eve, divertita. «E poi a Bosco non è così famoso.»
Lily si stizzì talmente tanto che arricciò il naso ma non fece in tempo a dire niente che la voce di Nimue attirò la loro attenzione; era appena tornata dalla camera condivisa dai ragazzi ed era riuscita a entrare senza fare il minimo rumore. «Glen è stata la prima cotta di Lily. Lo ha visto su una rivista quando aveva solo dieci anni e se n’è perdutamente innamorata.»
«Nim
«Cosa? È la verità.»
Eve scoppiò a ridere mentre le guance di Lily s’imporporarono leggermente per l’imbarazzo. Pallida com’era, si notò subito e questo bastò per far ridacchiare persino Nypha, nascondendo il sorriso dietro una mano.
Questa me la paghi! Pensò, guardando male la sua compagnia di gilda che, in tutta risposta, alzò le spalle con aria imperturbabile.
«Nypha, tu non dovresti proprio ridertela così tanto. Guarda che ho capito benissimo che tra te e Hydra c’è qualcosa!»
La chiamata in causa, sbiancò di colpo, e quasi rischiò di strozzarsi con l’aria. «Ma... ma che dici?! Non c’è niente!»
«Sì, certo, e io sono una persona equilibrata...!»
«G-Giacché siamo in vena di confidenze, Eve, tu cosa ci racconti?»
«Non osare cambiare discorso! Ti piace Hydra, vero?»
Nypha arrossì violentemente. «N-No. Non è vero!»
«Ammettilo!»
Intervenne la maga di Bosco. «Vorresti farci sesso?»
Ecco. Non solo aveva la faccia completamente rossa, ora la cacciatrice di taglia cominciò a tremare e il battito forsennato del cuore arrivò alle orecchie di Diana cui sembrò che qualcuno si fosse messo a suonare tamburi a caso nel cuore della notte. «Non è affatto come pensate voi!»
«E allora com’è? Non è che ci hai già fatto sesso?» domandò Eve.
«N-Non stavamo parlando di Lily?»
«Ti ho detto di non provare a cambiare discorso!»
Fu Eve a sovrastare le grida delle altre due. Scuotendo le braccia, attirò l’attenzione di entrambe – non che ne avesse avuto il bisogno dopo la bomba che aveva sganciato. «Per un periodo ho avuto uno scopamico!»
Lily si voltò a guardarla con le sopracciglia corrucciate. «Dici sul serio?»
L’altro annuì, sicura e ridacchiante.
«In che senso uno... beh, quello
«Sesso senza impegno.»
Lily storse il naso. «Sì, interessante, ma ‘sta volta sei stata tu a cambiare argomento. Stavo cercando di capire se i due piccioncini qui stanno insieme oppure no.»
«Non stiamo insieme!» esclamò l’argentea, indispettita. «E non facciamo i piccioncini
Eve rise. «Davvero? Sono un’ottima osservatrice e ho notato come ti guarda il sedere ogni volta che può.» Inutile dire che l’altra avvampò. «Per non parlare che è molto protettivo nei tuoi confronti.»
Nypha tremò. Tremò perché certe cose avrebbe preferito ignorarle. Avrebbe preferito non starci a pensare, non desiderare dell’altro. Per questo si morse il labbro e si coprì la faccia rossa con entrambe le mani e incassò la testa nelle spalle. «Noi non stiamo insieme» ripeté, imbarazzata fin dentro le ossa. «M-Ma non posso negare che ci sia stato... qualcosa... a un certo punto. Ma vi prego, non costringetemi a raccontarlo!»
Una qualsiasi persona – una qualsiasi persona normale –, dopo quella specie di “dichiarazione”, avrebbe pensato a quanto Nypha potesse essere carina mentre arrossiva e balbettava – magari con delle scene particolarmente piccanti a occuparle il cervello.
Ma Lily non era affatto una persona normale. E per quanto non sopportasse Hydra, moriva dalla voglia di sapere.
Allo stesso modo, Eve era estremamente curiosa della situazione. Perciò pensarono che alla prima occasione utile l’avrebbero senz’altro costretta a sputare il rospo.
 
 
 
§
 
 
 
Naevin era nato a Damocles, vicino al piccolo villaggio chiamato Ridill. Stando ai racconti, mentre suo padre consumava il terreno facendo avanti e indietro fuori la tenda che avevano allestito per l’occasione, sua madre sembrava pronta ad affrontare un branco di tigri. Aveva urlato tantissimo e aveva pianto non appena l’aveva visto avvolto negli asciugamani. Era filato tutto liscio ed era stato il medico della tribù a farlo nascere – a differenza dei suoi genitori, lui ed Amy erano stati parecchio più sfortunati!
Rivedere la terra dov’era stato dato alla luce era sempre un’emozione unica. Dopo aver fondato la sua propria tribù nomade, Naevin era tornato a Ridill ogni anno per via di quella tradizione e ogni volta veniva invaso dai ricordi, non per forza legati a quel luogo specifico; ma comunque importanti.
Questa volta, però, il moro dovette ingoiare il magone e lasciar scivolare via la rabbia e la frustrazione: Ridill era stata completamente rasa al suolo.
La gilda guidata da Kiel Reidar aveva scelto di usare quel villaggio come esempio, di distruggerla, annichilendo la speranza di chi, invece, avrebbe voluto lottare per la liberazione e la rinascita del regno.
La pianura che fino a poco tempo prima si estendeva rigogliosa attorno al villaggio era stata bruciata. Ricordava il profumo delle calendule, quella frescura che aveva lasciato il posto alla desolazione. I pochi abitanti superstiti si erano trasferiti alle pendici del monte – il più lontano possibile da Exca, da Kiel e dai suoi sottoposti.
Naevin davvero non riusciva a crederci. E si chiese, alla fine, se anche sua madre avrebbe provando quegli stessi sentimenti di disgusto verso il distruttore di quella che era stata – anche se per poche settimane – la sua casa.
 

 
§ Inizio Flashback §
 

 
La stagione delle rose era sempre stata la preferita di sua madre. Lynn era sempre stata una donna dal forte carisma che, nonostante il suo ruolo, non aveva mai rinunciato alla sua femminilità.
Anche se era solita indossare i pantaloni per poter stare più comoda, i suoi lunghi e folti capelli neri erano sempre finemente acconciati in una treccia e, talvolta, abbelliti con alcuni fiori che i più piccoli le portavano in dono. E Naevin l’ammirava.
Non poteva non sognare di diventare un capotribù come lei, un giorno.
Sua madre era forte, umile, gentile, testarda, autorevole... qualsiasi fosse il problema, riusciva a risolverlo senza usare la violenza.
Aveva appena compiuto sette anni, Naevin, quando a un certo punto si presentò davanti a sua madre, deciso a raggiungere finalmente il suo scopo. Con le mani sui fianchi e il faccino teso, il piccolo esclamò: «Sarò la tua guardia del corpo quindi-» Smise di parlare quando Lynn lo colpì bonariamente in testa con un ramoscello. «Ahia! Ma se non ho ancora detto niente!»
Lei ridacchiò, esasperata, ma al tempo stesso profondamente divertita. «È inutile che ci riprovi, non verrai in città con me. Ho molto lavoro da fare e poco tempo prima che si faccia sera.»
«Proprio per questo posso aiutarti!»
Da qualche tempo, ormai, Naevin si era incaponito sul voler necessariamente accompagnare sua madre in città. Gli era stato spiegato più e più volte che non tutti avrebbero visto di buon occhio un nomade girare per le loro strade come se niente fosse, ma Naevin era anche il bambino più testardo del mondo. Non si sarebbe mai messo il cuore in pace.
«Perché non ti alleni con il disegno, invece?»
Naevin sbuffò, annoiato. «È da tre giorni che lo faccio e ancora non riesco a evocare niente!»
«Ci vuole tempo per imparare la magia, lo sai. Io ho cominciato a studiarla quando avevo solo dieci anni, pensa un po’.»
«E sei bravissima» disse, ammirato.
Lynn sorrise e gli scompigliò dolcemente i capelli – un gesto affettuoso che gli riservava spesso quando erano soli. Gli si accovacciò davanti e lo guardò, incantata dalla sua bellezza, e gli sfiorò la guancia con il dorso delle dita. «Hai gli stessi occhi di tuo padre, sai?»
Naevin annuì. Glielo ripeteva sempre.
«Anche i tuoi sono bellissimi» replicò, con la sincerità tipica dei bambini. E, in effetti, aveva sempre trovato incantevoli gli occhi verde prato della sua mamma.
Il sorriso di Lynn si ampliò ancora. «Ora però devo proprio andare.»
Ciò lo fece sbuffare nuovamente. «Davvero non posso venire anch’io?» L’ultima chance di convincerla. L’ultima. Per questo, tentò il tutto per tutto e tirò fuori il labbro, guardandola con i suoi “occhi da cucciolo”.
Ma Lynn non era diventata capotribù per scherzo del destino, perciò gli ripeté la sua decisione con durezza. «No, Niv, non puoi venire.»
Allora lui si arrese e andò a sedersi in un angolo della tenda, tirò fuori il suo quadernino dei disegni – un insieme di fogli spillati e anche un po’ rovinati sui bordi – e afferrò la matita, cominciando a delineare la forma di un comunissimo bicchiere.
Lynn non si era mai mostrata debole a prendere decisioni ma quando si trattava di suo figlio una parte di lei soffriva a vederlo così abbattuto. Lei era la capotribù, non poteva permettersi di vacillare in nessuna situazione.
Persino quando era nato Naevin, si era a stento presa due giorni per sé, per potersi riprendere dal parto – tutto grazie all’insistenza di suo marito che l’aveva minacciata di non parlarle mai più se non si fosse riposata almeno un altro giorno. Aveva tante, tantissime responsabilità.
Doveva assicurarsi che tutti stessero bene, che tutti mangiassero e bevessero a sufficienza, difenderli da eventuali bigotti che vedevano la loro tribù come un ammasso di gente senza legge e senza morale. E da madre, sapere che Naevin avrebbe ereditato tutto il peso che questo ruolo comportava, le appesantiva il cuore. Certo, ora lo vedeva come un dolce bambino di sette anni ma poi sarebbe diventato un uomo.
Avrebbe dovuto costruirsi una propria tribù, una famiglia. Tutto da solo. Perché le tradizioni erano importanti e a sedici anni sarebbe partito, avrebbe lasciato lei e Fydor per vivere la sua vita di Lakad.
Lo salutò un ultima volta prima di uscire dalla tenda. In quel momento, proprio suo marito le si avvicinò. Aveva le spalle larghe e un viso non troppo squadrato: gli occhi azzurri urlavano amore e orgoglio ogni volta che si posavano su di lei.
«Niv ha fatto i capricci?» Fu una domanda retorica, perché ne immaginava la risposta. Lynn, infatti, annuì dispiaciuta. «Vega non è una città che vede di buon occhio noi Lakad, per questo è meglio che ci vada da sola.»
«Posso sempre venire con te.»
Lei non poté non sorridere. «È meglio di no, resta con Naevin. Ci è rimasto male e un po’ di svago potrebbe fargli bene. L’importante è che non-»
«Non ci avvicineremo al bosco, ‘sta tranquilla. Dovresti avere più fiducia in noi» la rimbeccò scherzosamente prima di stringerle i fianchi e lasciarle un bacio sulle labbra.
Di solito non amavano scambiarsi effusioni, specie in pubblico, ma dal momento che in giro non c’era anima viva perché tutti indaffarati, allora Lynn ne approfittò per approfondire quel contatto. Si allontanò da lui che entrambi sorridevano. «È che mi preoccupo» disse, riferendosi alla sua ultima affermazione.
«Lo so bene ed è per questo che ti amo. A Niv penso io, tu fa’ quello che devi.»
Lei annuì e dopo un «Ti amo anch’io» detto in un sussurro, si avviò.
 

 
§
 
 

Fydor era un uomo semplice; in molti non avrebbero nemmeno notato la sua presenza tanto riusciva a passare inosservato. Ma era anche un uomo attento ai dettagli a cui non sfuggiva niente; per questo, dopo aver salutato Lynn, si voltò ridacchiando verso la loro tenda.
Sapendo di essere stato colto in fragrante, suo figlio filò a nascondersi.
«Guarda che ti ho visto» esclamò, entrando a sua volta e trovandolo accovacciato su alcuni fogli ancora bianchi.
Naevin alzò la testa, fingendo di non capire. «Sto disegnando.»
Allora, Fydor scoppiò a ridere. Lo raggiunse, lo abbracciò fortissimo e cominciò a stampargli un migliaio di baci sulla testa, al punto che il più giovane cominciò a lamentarsene. «Eddai, papà! Smettila!»
I due erano soliti passare molto tempo insieme. Lynn aveva sempre qualcosa da fare e spesso tornava in tenda che Naevin già dormiva; ragion per cui era Fydor a occuparsi di lui.
Disegnavano, pescavano al fiume, si raccontavano storie. L’assenza di Lynn la sentiva eccome, ma non gli pesava così tanto se poteva comunque giocare con gli altri bambini e passare del tempo piacevole con suo padre.
«Alla fine, non mi ha permesso di accompagnarla.»
Fydor inclinò la testa per osservarlo meglio ma senza sciogliere l’abbraccio. «Lo sai che non lo fa con cattiveria.»
«Sì, lo so! Ma sono grande e posso aiutarla!»
Suo padre ridacchiò. «Sei un po’ troppo basso per essere definito “grande”!»
Naevin gonfiò le guance e roteò gli occhi al cielo, infastidito. «Non sei divertente…»
«Che ne dici di andare a farci una passeggiata? Camminiamo seguendo il fiume, peschiamo qualcosa e, magari, riuscivamo persino a trovare delle fragole come l’altro giorno. Che dici?»
Il piccolo pensò seriamente alla sua proposta. Alla fine accettò.
Trascorsero l’intero pomeriggio da soli, in compagnia l’uno dell’altro e Naevin si divertì tantissimo nonostante fosse partito col muso lungo fino ai piedi. Continuò a prendere in giro suo padre per tutto il tempo – aveva perso l’equilibrio dopo aver messo il piede su una roccia resa scivolosa dal muschio ed era finito in acqua due volte! – e rise fino alle lacrime quando un cucciolo di volpe riuscì a rubare una trota sotto il suo naso.
Fu una giornata stressante per Fydor, ma sarebbe pronto a subire di peggio se il risultato era sentirlo ridere a quel modo. Tornarono all’accampamento poco dopo il tramonto.
Naevin teneva in mano una piccola cesta piena di fragole squisite – alcune delle quali erano già finite dentro il suo stomaco; mentre Fydor trasportava due cestoni di pesce.
«È stato un pomeriggio parecchio produttivo, no?» In risposta il bambino annuì sorridente e, tenendo il cestino in bilico su una mano, usò l’altra per mangiare l’ennesima fragola. «Però se continui così non ce ne saranno per tutti gli altri!»
Nessuno dei due riuscì a rimanere serio, perciò scoppiarono nuovamente a ridere. Quando però gli occhi di Fydor si spostarono sul luogo in cui la tribù aveva montato le tende, il suo sorriso si spense.
Si arrestò di colpo e trattenne suo figlio per la spalla. «Aspetta un attimo, Niv.» Lui, confuso, guardò prima lui e poi l’accampamento.
Ciò che vide lo fece restare di stucco. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca; in un primo momento gli sembrò assurdo. Le tende erano bruciate, ridotte a uno scheletro, non v’era più traccia di un singolo filo d’erba e persino gli alberi non erano stati risparmiati.
Poi, all’improvviso, la sentì. La paura. «Mamma!»
Il cesto di fragole cadde a terra e Naevin scattò in avanti, venendo fermato in tempo dal padre, preoccupato quanto lui. Questo si liberò a sua volta dal peso dei cestoni e si inginocchiò per poter guardare il bambino dritto negli occhi. «Non ti muovere da qui, ok?»
«Ma-»
«No, Niv. Ascoltami. Rimani qui, nascosto dietro questi cespugli e aspetta che torni, ok? Voglio solo controllare che quei vigliacchi se ne siano andati. La mamma sta bene, ne sono sicuro.»
Per nulla convinto, Naevin si ritrovò ad annuire con le lacrime agli occhi. Fece come suo padre gli aveva detto e restò seduto in mezzo al fogliame per diversi minuti, nel totale silenzio, ad aspettare. Trascorsero due, cinque, dieci minuti e intanto si asciugava le lacrime man mano che riuscivano a scivolargli lungo le guance.
Non voleva farsi trovare a frignare.
Si bloccò nel momento in cui udì qualcuno avvicinarsi. Divenne una statua di sale, incapace di muoversi, terrorizzato dalla paura, ma bastò la voce di suo padre a farlo scuotere.
Uscì dai cespugli e gli corse incontro, affondando in un abbraccio caldo e rassicurante. «Stanno tutti bene e la mamma è tornata. Andiamo.»
 

 
§
 

 
Lynn avrebbe dovuto prevederlo. Avrebbe dovuto essere lì. Avrebbe dovuto impedirlo.
L’incendio aveva distrutto quasi tutti i loro averi – tende, cibo, medicinali, vestiti – e la priorità era trovare un modo per sopperire alle ingenti perdite subite. Fortunatamente nessuno si era fatto male a eccezione della giovane Vivial, di Erik e del vecchio Jin. La prima aveva cercato di fermare la banda di bastardi – così li aveva chiamati – essendosi accorta della loro presenza prima degli altri, finendo per diventare vittima di un tentato stupro. Lynn tornò appena in tempo e aveva utilizzato Tattoo Stripe per dare una sonora lezione a quei miserabili.
Eppure, nonostante avesse impedito a Vivial di sperimentare una cosa tanto orrenda quanto vile, e nonostante avesse scongiurato la morte di Jin a causa di un ultimo e fatale colpo alla testa, Lynn non riusciva a non pensarci.
Non riusciva a non pensare che fosse solo e soltanto colpa sua.
Dopo aver medicato i feriti con il poco che erano riusciti a salvare e dopo aver individuato un posto ben più riparato e lontano da Vega dove poter trascorrere la notte, Lynn andò a sedersi accanto a Naevin.
Era tardi, tardissimo.
Credeva stesse dormendo – un bambino della sua età non avrebbe dovuto essere sveglio a quell’ora –, per questo si era limitata a scostargli i capelli dal viso. Ben presto, però, il piccolo si girò sul fianco opposto e la guardò con un’espressione confusa dipinta sul volto. «Abbiamo fatto qualcosa di male?»
Lynn gli rivolse un mesto sorriso. «No, tesoro.»
«Allora perché hanno bruciato tutto? Perché hanno fatto male a Erik, a Vivial e a nonno Jin?»
In un primo momento, lei si ritrovò con la mente annebbiata e a corto di parole. Come poteva spiegare al proprio bambino che al mondo esistevano tante cose brutte? Come poteva spiegargli che a causa del bigottismo e della superficialità di alcune persone, le tribù nomadi come la loro erano state perseguitate per anni? E per cosa? Per degli stupidi stereotipi!
«Ci sono persone che credono di conoscerci e che ci giudicano in modo affrettato» spiegò, infine.
Prima o poi capirà, si disse. È ancora troppo presto perché capisca.
«Quando sarò anch’io un capotribù voglio essere come te» sentenziò, infine. Lynn lo guardò ad occhi sgranati, altamente confusa. «Neil mi ha detto che sei riuscita a cacciare via quei brutti ceffi. Lo hai salvato. Hai salvato tutti. Sei stata fantastica!»
Naturalmente, Naevin ancora non comprendeva appieno quale peso sua madre portasse ogni giorno. Se non si fosse allontanata non sarebbe mai accaduto niente. Se avesse deciso di fermarsi altrove, forse...
«Non devi essere come me, Niv. Devi rimanere te stesso e fare quello che a te sembra più giusto.» Detto questo, gli carezzò la fronte, scostando dal viso alcune ciocche di capelli. «Ma adesso dormi. È già tardissimo.»
«Resti qui?»
Lynn ridacchiò e al contempo annuì. «Va bene, Niv.»
Il bambino si illuminò in un sorriso e poi si accoccolò contro il fianco di sua madre. Momenti come questi erano rari ma ricchi di amore e di significato. Fydor li raggiunse poco dopo, sedendosi accanto al figlio.
Guardò prima Naevin, già profondamente addormentato, poi si rivolse alla moglie per sussurrarle: «Ho aiutato Erik a fasciarsi la gamba. Per un po’ non potrà camminare. Vivial è ancora un po’ scossa ma la conosci, niente sembra riuscire a buttarla giù.»
Lynn sorrise mestamente. «Già. È davvero una ragazza forte.»
«So a cosa stai pensando.» Sua moglie lo guardò confusa. «Ti stai dando la colpa. Lynn, sei arrivata in tempo e nessuno si è fatto veramente male.» Nessuno è morto, avrebbe voluto dire, ma si trattenne. Soltanto l’idea che qualcuno sarebbe potuto morire gli faceva ribrezzo, così come impietriva il cuore di lei.
«Se penso che anche Naevin debba, un giorno, affrontare quello che sto affrontando io… mi piange il cuore.» Continuando a immergere le dita tra i capelli soffici del piccolo, Lynn alzò l’altra mano per poter carezzare la guancia ispida del marito. «Ma se penso che accanto a lui ci sarà qualcuno come te, qualcuno che sappia sostenerlo, che sabbia rimproverarlo quando serve, non avrà nulla da temere.»
Seppur sussurrate, quelle parole riuscirono a emozionarlo. Fydor era sempre stato il più sentimentale tra i due e le piccole lacrime raccolte all’angolo dell’occhio ne furono l’ennesima riprova.
Vedendole, Lynn rise e si piegò quel poco per baciargli prima la palpebra e poi la punta del naso. «Grande e grosso, eppure ti emozioni facilmente.»
Lui arrossì e la baciò piano.
«Ma d’altronde, ti ho sposato anche per questo» riprese, sorridendo sulle sue labbra. Poi lo sentirono ed entrambi abbassarono lo sguardo.
Naevin li fissava ad occhi sgranati.
Immediatamente, Lynn gli picchiettò un dito sulla fronte. «Non ti avevo detto di dormire?»
Il bambino si limitò a sorridere e a contorcersi quando suo padre, per punirlo, cominciò a fargli il solletico. Lo pregò di smetterla e giurò che si sarebbe addormentato immediatamente.
E così fu.

 
 
§
 
 
 
La sera prima della partenza, la tribù festeggiò in grande stile.
Al centro della larga pianura avevano allestito un falò. Per l'occasione avevano comprato del vino, cacciato cinghiali e raccolto più frutta del solito. Data la zona in cui avevano deciso di fermarsi non erano preoccupati di attirare l'attenzione della città vicina: lì avrebbero potuto ballare, cantare e divertirsi fino allo sfinimento e senza timore che qualcuno potesse cacciarli in malo modo. D'altronde, Damocles era ormai diventato un paese sicuro per le tribù nomadi.
Erano trascorsi novelunghissimi anni e Naevin aveva raggiunto l’età prefissata: il giorno dopo sarebbe dovuto partire. Era agitato, entusiasta, preoccupato, felice, triste... lo scuoteva un miscuglio di emozioni a cui era difficile dare un ordine preciso.
Aveva soltanto sedici anni, infondo. Aveva ancora tanta strada da fare.
Sua madre non gli aveva fatto alcun discorso, era ben consapevole che dovesse vivere la sua vita e fare le sue esperienze per poter diventare un eccellente capotribù, un po’ com’era successo a lei.
Certo, Lynn aveva ereditato quel ruolo da suo padre: i più anziani ancora ricordavano come da bambina amasse tuffarsi nelle acque cristalline dei fiumi vicino ai quali si accampavano. Naevin, inizialmente, sarebbe stato solo.
«Se fossi stata più giovane ci avrei senz’altro provato!» esclamò Vivial, completamente brilla. «Cinque. No, una decina. Una decina d’anni più giovane...!»
«Ma smettila! Se il tuo fidanzato ti sentisse!»
Seduta su un grosso tronco accanto al fuoco, Vivial rise. Lei – così come molti altri – lo avevano visto crescere, avevano giocato con lui, gli avevano insegnato molto. I lunghi capelli biondi e ricci erano lasciati sciolti sulle spalle; suo fratello minore Neil glieli scostò per evitare che finissero nel bicchiere di vino. «E poi non penso tu sia il suo tipo, vero, Niv?»
Il diretto interessato scoppiò a ridere. Ormai Vivial aveva ventisei anni, non reggeva bene l’alcol e quando si organizzavano delle feste era sempre la prima a entrare in stato confusionale. Niente di serio, in verità, ma si trasformava in una specie di dispensatrice di complimenti, cominciando a tessere le lodi di chiunque incrociasse il suo sguardo.
Naevin – che per via della sua amicizia con Neil, suo coetaneo, era sempre presente – finiva per essere idolatrato nei modi più disparati. «Grazie ma penso che questo genere di cose tu debba dirle a Erik, non a me.»
«E chi è Erik?» domandò, borbottando un singhiozzo.
Neil roteò gli occhi al cielo e proprio in quel momento, come fosse stato evocato, un uomo circondò le spalle di Vivial in un abbraccio per poi parlarle all’orecchio. «Sono io, Vì. Hai presente?»
Lei strinse la labbra – girare la testa per guardarlo era fuori discussine perché avrebbe, di certo, perso l’equilibrio – e poi spalancò gli occhi. «Oh, Erik, tesoro. Sei tu?»
«Sì, Vì» rispose, esasperato ma al contempo divertito. Tenendola ferma con un braccio si assicurò di rubarle il bicchiere da mano passandolo a Neil. «Direi che per stasera hai bevuto abbastanza.»
«Ma no, che dici? È solo il... il... il...»
«Il quarto?» suggerò il fratello, trangugiando il resto della bevanda.
Vivial scosse la testa, mortalmente offesa. «Il secondo. E, Erik, non pensi anche che tu Niv sia bellissimo
Il suo fidanzato guardò prima Naevin che a breve sarebbe rotolato giù dal tronco per le risate e poi si spostò, inginocchiandosi tra la bionda e il fuoco scoppiettante. «Non dicevi lo stesso di me ieri sera?»
Lei ridacchiò e gongolò. Dopodiché si piegò in avanti, appoggiando la fronte sulla sua. «Me n’ero dimenticata...» bisbigliò.
«Ok! Mi va bene tutto ma vedere mia sorella che limona, no! Addio!» esclamò Neil, incitandoli ad andarsene.
Naevin ridacchiò nel vedere Vivial fargli la linguaccia e trascinare via il suo fidanzato – probabilmente cercando un posto appartato per scambiarsi effusioni in totale libertà. Quei due si assomigliavano molto: avevano entrambi i capelli biondi e molto ricci, un fisico asciutto, lentiggini sulle guance e un paio d’occhi color cioccolato. E nonostante continuassero a negarlo, erano entrambi permalosi e particolarmente orgogliosi.
Da piccoli, lui e Neil giocavano a rincorrersi o facevano a gara a chi riusciva a pescare più pesci. Ad accompagnarli nelle loro “scorrerie” erano per lo più Fydor e Vivial – quest’ultima, in particolare, finiva per assecondare le loro follie infantili giocando loro qualche scherzo innocente, da brava sorellona.
Con il passare degli anni, Naevin aveva dovuto rinunciare a molti dei pomeriggi trascorsi a far nulla e a divertirsi perché voleva a tutti i costi imparare la magia Tattoo Stripes il prima possibile con la supervisione di sua madre.
Ora, però, Naevin avrebbe dovuto separarsi persino a lui.
«Pronto per domani?» gli chiese proprio Neil, a un certo punto.
Il modo sospirò, fissando lo sguardo cristallino nel liquido vermiglio contenuto nel suo bicchiere. «Credo di sì. Credo di essere pronto ormai.»
«Vedi di non cacciarti nei guai come tuo solito!»
Naevin sbuffò, ma non riuscì a non sorridere. «Sì, ho capito!»
«Piantala con i colpi di testa! E sii più responsabile!»
«Stai cercando di darmi dei consigli o mi stai facendo capire che sarei un pessimo capotribù?»
L’amico gli lanciò un’occhiataccia a metà tra lo stizzito e l’irrisorio. «Lo sai quello che voglio dire...»
«Sì, sì, lo so. Stavo scherzando.»
Si erano sempre capiti alla perfezione. Erano adolescenti e sicuramente avrebbero dovuto entrambi imparare molte cose; eppure, in quel momento, nessuno dei due era davvero pronto a salutarsi.
Fu Neil, contro ogni previsione, a parlare: «Mi mancherai.»
Naevin sorrise. Bevve il vino restante in un singolo sorso. «Anche tu, amico.»
Il giorno dopo, all’alba, tutti – nessuno escluso – si radunarono per salutarlo. Erik gli scompigliò i capelli, Vivial lo abbracciò ricacciando indietro le lacrime e Neil fece lo stesso, aggiungendoci una pacca sulla spalla.
Florestan gli augurò buona fortuna, l’anziana Uralia lo costrinse a portare con sé il pane dolce che aveva comprato apposta per lui, Bobby gli ricordò che era meglio tenersi alla larga dai cimiteri – aveva sempre avuto paura dei fantasmi –, la piccola Connie gli si aggrappò al ginocchio e per farla scollare ci sono voluti i suoi tre fratelli. Naevin salutò tutti con affetto per poi incrociare lo sguardo dei suoi genitori.
Fydor – neanche a dirlo – era nel mezzo di una lotta interiore. Avrebbe voluto sfogare le sue emozioni ma in questo modo avrebbe solo fatto preoccupare il figlio. Gli occhi chiari erano gonfi di lacrime e quando lo abbracciò, qualcuna riuscì a sfuggire lungo le guance ricoperte da un accenno di barbetta, chiara come i suoi capelli.
«Non ho dubbi che sarai un eccellente capotribù.»
Naevin annuì, improvvisando una smorfia per non scoppiare a piangere.
Aveva pensato a mille modi per salutare i suoi senza dover finire in lacrime ma una volta davanti a loro resistere fu molto più dura.
Lynn gli sorrise. Era bella come nove anni prima nonostante l’accenno di piccole rughe attorno agli occhi. Nel suo sguardo c’era orgoglio.
E per la prima volta, persino lei dovette arrendersi all’evidenza e lasciar andare un paio di lacrime prima di riuscire a proferire parola: «Sono fiera di te e lo sarò sempre, ricordatelo.»
Naevin annuì di nuovo. Non c’era bisogno di aggiungere altro.
Semplicemente avevano detto tutto. Fuori dalla città di Ridill, la tribù Lakad si esibì in un ultimo saluto. Con lo zaino in spalla e il cuore gonfio di emozione, Naevin s’incamminò gridando a tutti che prima o poi si sarebbero rivisti in qualche angolo di mondo.
D’altronde era quella la vita di un Lakad.
 


 
§ Fine Flashback §







 
 
 
 




 


Buonasera (o Buongiorno!)
A distanza di dieci giorni eccomi di ritorno! Alla fine l’antibiotico non mi ha uccisa – però cavolo se fa schifo! – e sono persino riuscita ad anticiparmi. Questo capitolo era praticamente già pronto – il flashback di Eve l’avevo cominciato prima di Natale, figuratevi… ^^

Spero non vi abbia annoiato. E soprattutto spero di aver soddisfatto le vostre aspettative, Kiss e Always_Merthur.
Naturalmente questo è solo un assaggio di tutto quello che questi due personaggi si portano dietro, ma, intanto, abbiamo cominciato a scavare un po’...

Ma, cosa più importante, avete notato qualcosa di particolare? Non so... una Lily stranamente chiacchierona...? ^^ no, non è Orias, tranquilli. Ve l’avevo detto che presto avrebbe cominciato a legare col gruppo… eheh XD

Piccola avvertenza: nel capitolo precedente c’era un piccolo errore che – ho notato – ha creato un po’ di confusione e che oggi stesso ho corretto. Ve la spiego in breve: Tabitha non è mai entrata a Cortana (– lei ricorda!) perché Kyla le ha detto di restare fuori (stessa cosa per Palomo, ovviamente). Mi sono accorta di aver detto che lei non ricordasse niente solo dopo aver pubblicato – errore mio, chiedo venia.
Tra l’altro non avrebbe avuto senso perché poi lei racconta ciò che ha visto (e subito).
Altro piccolo errore riguarda l’ascia magica: l’ho lasciata dov’è ma ho aggiunto un appunto che aiuta più o meno a capire qualcosa su Hydra.

Curiosità n.17 ► La storia di Killian e i farmaci. Lui non può prenderli perché su di lui hanno uno strano effetto. Quale? Segreto.

Curiosità n.18 ► Wilburn: come spiegato da Kiss nella scheda, il nome della città è stato creato partendo dalla parola Willow che significa Salice; Ridill: spada della mitologia norrena appartenuta al nano Regin.

No, non mi sono dimenticata dei disegni, ma ora come ora non ho nemmeno il tempo per disperarmi quindi non so quando riuscirò a finirli. Ad ogni modo un po' alla volta li sto terminando, abbiate fede.

Prossimo capitolo: Fragore 
– Udite, udite! Si torna a Magnolia! *occhiolino di chi sa cosa sta per succedere* Tenetevi pronti a tutto.

Alla prossima

Rosy


 

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Capitolo 12
*** ► 11. Fragore ***


 
CAPITOLO 11. Fragore

 

 
 





 
[Inizio Flashback]

 
 
Aveva deciso di restare a casa perché aveva da fare.
Semisdraiata sul dondolo che Royal aveva fatto costruire per lei qualche mese prima – essendosi ricordato di non averle fatto alcun regalo per il suo compleanno e con il solo scopo di tenersela buona fino al prossimo –, Lily stava studiando. Aveva appena dieci anni, eppure si era messa in testa di dover leggere tutti i libri dell’Aurora e di diventare la più esperta nel campo delle lingue morte.
Era una secchiona e le piaceva esserlo. Le piaceva studiare e in poco tempo era diventata bravissima, riusciva a reggere conversazioni di alto livello senza la minima fatica e conosceva a memoria gli indici di tutti i libri che aveva letto nella sua vita. Secchiona e pure maniaca.
E quel pomeriggio non sembrava essere tanto diverso: Lily si godeva i tiepidi raggi di sole carezzarle la pelle bianchissima mentre era al contempo concentrata a tradurre un brano dal cimbro[1]. Tant’era presa da quell’operazione che si accorse del Master solo quando fu a un passo dal dondolo.
Si voltò a guardarlo abbandonando la matita tra le pagine del suo libro. Royal non era solo, c’era una bambina con lui.
I suoi occhi si sgranarono. «Oddio, hai messo incinta una donna e questa è tua figlia?!»
«Cosa? No! Chi diavolo te le insegna queste cose? Hai solo otto anni!» Era più scandalizzato di quanto avrebbe voluto far pensare.
Lily sbuffò. «Ne ho dieci e queste cose le so perché tu, Killian e Wiles non fate altro che parlare di-»
«Ok, ho capito l’antifona. Piantala.» Royal sospirò, volgendo per un attimo lo sguardo al cielo e imprecando mentalmente. A quella nanerottola non faceva bene ascoltare i loro discorsi da adulti – più che altro si chiedeva come facesse, visto che si sforzavano tutti di parlarne al bancone mentre lei era indaffarata a fare altro lontano da loro. È proprio vero che le donne sono multitasking, pensò, allibito. «Comunque, lei si chiama Ella. Si è appena unita alla nostra gilda e ho pensato di portarla qui per farvi fare amicizia visto che oggi non ti sei degnata di venire a salutarci.»
Solo allora, Lily posò gli occhi grigi su di lei. La salopette di jeans che indossava era troppo grande per lei e una spallina era già scivolata giù dalla spalla senza troppo sforzo. I capelli rossi erano disordinati e legati in un codino basso ma alcune ciocche erano riuscite a sfuggire all’elastico e le incorniciavano le guance.
Sospettava che avesse pianto per via dei suoi occhi gonfi. E il cuore della corvina mancò un battito. È come me? «Piacere, mi chiamo Lily.»
L’altra boccheggiò prima di rispondere. Sembrava avesse paura anche solo di respirare. «Ella... mi chiamo Ella... Fitzgerald.»
A quel punto Royal sfregò i palmi tra loro e sorrise, compiaciuto. «Bene! Allora vi lascio fare amicizia. Buona giornata!»
«Non mettere incinta nessuna. Se sei insopportabile tu, figurati qualcuno che ha i tuoi stessi geni mischiati a quelli di una civetta in calore!»
Lui rimase quanto meno interdetto da una tale constatazione. «E questo dove l’hai imparato?»
Lily fece un’alzatina di spalle. «Dai libri.»
Questa qui mi fa paura, pensò tra sé e sé. Alla fine, però, Royal decise di andarsene e si appuntò mentalmente di suggerire a Killian di dare un’occhiata ai libri che la sua sorellina si ostinava a leggere con tanta passione a soli dieci anni.
Rimaste sole, le bambine si osservavano l’un l’altra. Ella tremava e Lily finì col sospirare mentre chiudeva il libro lasciando che la matita facesse da segnalibro. Il rumore con cui le pagine si chiusero, fece sobbalzare la rossa.
«Che ti va di fare? Ti avverto che non gioco con le bambole.»
Ella si mordicchiò la guancia. «Nemmeno a me piacciono.»
«Ottimo. Quanti anni hai?»
Era già un buon inizio. Nonostante avesse addosso lo stesso odore di un cucciolo di cane spaventato, le rispondeva in modo abbastanza chiaro – seppur con un po’ di timore. «Otto.»
Lily si sedette e con una mano le fece segno di fare lo stesso accanto a lei, sul dondolo.
Ella ubbidì ma non osò dire nulla. Il vento primaverile portò con sé il profumo della foresta e la corvina inspirò estasiata. Dopodiché inclinò la testa di lato per mostrare alla sua nuova compagna di gilda un sorriso di incoraggiamento. «Non devi avere paura. Questo posto lo conosco come le mie tasche e gli animali feroci non osano avvicinarsi.»
L’altra scosse la testa. «Non ho paura della foresta.»
«Hai paura di me?» Domandò, ma Ella fece nuovamente segno di no. «E allora di cos’hai paura?»
È come me. È come me. È come me. Solo questo riusciva a pensare, Lily.
Poi udì un singhiozzo e vide una lacrima rigarle la guancia. «Mia sorella maggiore è morta due giorni fa.»
Le spalle tremarono e le mani stringevano qualcosa a cui fino ad allora la corvina non aveva prestato attenzione. Era una pietra di colore arancione, levigata in più punti, poco più grande della sua mano. «Hai paura di rimanere da sola?»
«Sono già sola.»
Lily non ce la fece a rimanere zitta e sbottò: «Non dire cazzate! Ci sono io, no? Sono seduta qui accanto a te e Royal è uno stupido, sì, ma ti accolto nella nostra gilda!»
Ella le lanciò un’occhiata carica di dolore.
«Vieni con me.» Disse, e la corvina l’agguantò per il polso trascinandosela dietro, immergendosi nella foresta. In un primo momento, Ella faticò a starle dietro – aveva paura che avrebbero finito col perdersi in mezzo agli alberi... ma la sicurezza con cui Lily riusciva a muoversi e a orientarsi bastò a farla tranquillizzare. Quel poco che le permise di non incespicare, almeno.
Poco dopo, sentì lo scrosciare dell’acqua e prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, si ritrovò davanti a una piccola cascata. Ella strabuzzò gli occhi; era uno spettacolo! Lo specchio d’acqua si allargava per diversi metri e confluiva in un piccolo fiumiciattolo che poi andava ad alimentare il grande fiume che attraversava la città di Magnolia.
«È bellissimo…» Sussurrò, esterrefatta.
Lily sghignazzò. «Visto? E ora ci facciamo un bel bagno.»
«Cosa? Ma sarà gelata!»
Quando si voltò a guardarla, la vide togliersi le scarpe e legarsi i lunghi capelli neri in una coda alta. Dopodiché, senza alcun preavviso e senza esitazione, l’atterrò e con un forza che alla rossa non parve possibile, sfilò anche a lei le calzature!
«Su, coraggio!»
«No, no, no, no, no. Ti prego, sembra freddissima, nooohSplash. Ella riemerse e per la prima volta da quando aveva incontrato quella strana bambina, da quando il mondo si era fermato, respirò. Non se ne accorse subito, tant’era occupata a inveire contro la corvina. «Lo sapevo! È gelida! Perché mi hai lanciata?!»
Lily rise e subito dopo si tuffò anche lei.
«Eddai, non è mica così gelata!» Ignorò le proteste della rossa. A lei il freddo non dispiaceva per niente, nemmeno lo sentiva. «E comunque, hai visto? Ora va molto meglio, no?»
Fu quello il momento in cui Ella realizzò. Certo, stava congelando – la primavera era cominciata da poco e il sole era ancora troppo tiepido per poterla riscaldare completamente – ma non poté non sentirsi viva. Inspirò forte ed espirò. L’aria fresca aveva sempre avuto quel sapore? Il mondo attorno a lei era sempre stato così luminoso?
. Ma da quando era morta sua sorella, l’aveva dimenticato.
Ella storse il naso e si porto entrambe le mani sugli occhi. Immerse la testa per circa cinque secondi e poi tornò a guardare Lily con un sorriso che andava da un orecchio all’altro – aveva gli occhi lucidi e rossi per via della lacrime. «Grazie...»
Lei, di tutta risposta, la spinse nuovamente sott’acqua, imbarazzata a morte.
 

 
[Fine Flashback]
 

 
Mi sono addormentata...
Ripresasi dal sonno che l’aveva silenziosamente colta, Ella si stiracchiò contro lo schienale della sedia, emettendo altresì un sonoro sbadiglio. Non era affatto abituata a quegli orari e avrebbe di gran lunga preferito che qualche anima pia l’avesse svegliata prima che facesse buio.
Guardò l’orario e strabuzzò gli occhi quando si rese conto che era già tardissimo. A quell’ora di solito era già a casa, nel suo letto, a dormire, stretta al peluche che Lily e Nimue le avevano regalato per il suo dodicesimo compleanno.
Si alzò e con un movimento brusco scostò le tende, permettendo alla fioca luce lunare di invadere il suo studiolo. Lo zaffiro sulla sua scrivania brillò e lei sorrise: trovare e poter studiare i cristalli era la sua ragion d’essere.
Non riusciva proprio a smettere di emozionarsi dinanzi alla bellezza di tali gemme – un po’ come non riusciva a rimanere impassibile davanti a Killian.
Quando aveva cominciato a sentire le farfalle nello stomaco? Quando aveva iniziato ad arrossire semplicemente guardandolo e a immaginare di prendergli la mano, di baciarlo...?
Ella non riusciva a spiegarselo.
Quando aveva confessato la sua cotta a niente di meno che a Lily, quest’ultima le aveva apertamente consigliato di lasciar perdere un tale – parole sue – idiota che finge di non vedere ciò che invece è evidente. Ella non poteva semplicemente dimenticare di essersi innamorata di lui.
Lei lo amava davvero, davvero tanto. Amava il suo modo di scherzare, amava come tutti alla gilda pendessero dalle sue labbra, amava vederlo ridere assieme al Master. Lo amava.
E poi è così bello! Pensò, sognante.
Wiles le aveva chiesto quando avesse intenzione di dichiararcisi ma la sua risposta fu quella di sputargli addosso il suo tè freddo, non aspettandosi minimamente una proposta del genere.
No. No. Assolutamente no! Non avrebbe mai potuto confessarglielo.
Mai e poi mai. Sarebbe stato super imbarazzante!
 

 
§

 
 
Quello sguardo famelico sembrò divorarlo.
Subito dopo avergli tolto i vestiti con una delicatezza disarmante, Clizia lo fece sedere sul bordo del letto. D’istinto, Royal allargò le gambe e l’accolse tra le braccia mentre lei gli accarezzava i capelli baciandogli la fronte, le palpebre, mordendogli le guance e, infine, le labbra.
«Rilassati.» Soffiò sulla sua pelle. «Ti farò dimenticare tutte le preoccupazioni.»
Lui annuì, ricercando quelle labbra che si erano allontanate. «Torna qui...»

[...]

Dopodiché, Clizia si lasciò cadere di schiena sul materasso, ansante. Ridacchiò nel constatare che il suo compagno di letto a stento riusciva a completare una frase di senso compiuto.
Si voltò a guardarlo, con aria birichina. «Sembra che qualcuno qui sia troppo vecchio per queste cose.»
Royal girò di scatto la testa, mostrando un finto broncio. Il sorriso di Clizia si ampliò maggiormente e allungò il collo fino a stampargli un bacio veloce. «Sei un pessimo attore.»
Lui la imitò, rubandole le labbra. «E tu sei malefica.»
Clizia gongolò, stringendosi al suo petto e chiedendo altresì un abbraccio. Il mago non se lo fece dire due volte e avvolse le braccia attorno al corpo nudo e bollente di lei, lasciandole infine un altro bacio tra i capelli.
«Come ti senti adesso?» gli chiese, alzando lo sguardo bronzeo su di lui.
«Mi è bastato vederti per stare subito meglio.»
La sua risata cristallina riempì la stanza. «Non fare il ruffiano, adesso.»
«Ma è la verità. Il tuo seno ha un potere rigenerante. Basta guardarlo per- ahia!» Gli aveva appena dato un pizzico all’inguine! «Che ho detto?»
«Le tue solite stupidaggini, ovviamente.» Disse, ma sotto sotto già rideva.
Fin quanto si può amare qualcuno? Quando Clizia ragionava sulla risposta a una tale domanda, il suo viso si illuminava e il cuore implodeva. Veniva riempita da troppe magiche sensazioni per poterle spiegare se non con una sola parola: amore. E lei lo vedeva, vedeva Amore ogni volta che incrociava gli occhi dorati della sua gioia più grande che, in quel momento, la guardavano con malcelata malizia.
Royal affondò le dita sul suo seno destro e strinse. «Vedi? Mi basta sfiorarlo e sono pronto per un altro round. È magico, te lo dico io.»
«L’abbiamo appena fatto e-» tentò di dire, ma lui le sollevò la testa senza alcun avvertimento per catturare ogni sua protesta in un bacio.
Una volta allontanatosi, le leccò le labbra. «Ti ho convinta?»
Come se ci fosse bisogno di convincermi, pensò. Ma decise di stare al gioco, decise di non dargliela vinta... subito. «Mh. No, non direi proprio.»
«Avevo ragione, sei davvero malefica» le sussurrò, invertendo quella che era stata la posizione precedente. Le baciò il viso, tutto il viso, per poi scendere sul collo che vibrò a causa di una risata.

[...]

Restò paralizzata per alcuni istanti, limitandosi a boccheggiare. Quando le sembrò di essersi ripresa, sollevò le spalle fino a puntellarne il peso sui gomiti. «Mi hai fatta venire per la seconda volta in meno di cinque minuti?»
Royal sollevò le spalle. «Sono un mago
«Bene, mago dei miei stivali,» e a giudicare dal tono ebbe la seria sensazione di averla fatta arrabbiare davvero, «perché ti sei fermato? Continua, su.»
Lui non poté non scoppiare a ridere. «Tu mi farai impazzire.»
«Ci puoi giurare.» Disse, mettendosi a sedere e baciandolo lentamente. Gli accarezzò le guance e si lasciò ricadere all’indietro, seguito a ruota da lui che la sovrastò.
Fece per allacciargli le gambe attorno ai fianchi ma accadde qualcosa di inaspettato. Un’altra scossa l’attraversò ma fu una scarica diversa da quella precedente, tanto forte da costringere Royal a sollevarsi di scatto. L’atmosfera cambiò di colpo, cancellando il calore che fino a quel momento aveva raccolto il cuore e i corpi dei due amanti.
E si ricordò solo allora, Clizia, di ciò che le disse poche settimane dopo essersi ritrovati, quando le raccontò di essere diventato il Master di una gilda di maghi. Le aveva spiegato che ovunque egli fosse e qualsiasi cosa stesse facendo, avrebbe sempre – sempre – tenuto un occhio aperto sull’Aurora.
La scossa che l’aveva costretto a ritrarsi era stata troppo potente perché non fosse successo niente – e lo sapevano bene entrambi. Royal si rialzò e come un fulmine indossò nuovamente i vestiti che si era tolto prima di farsi il bagno; c’era fretta nei suoi movimenti. Era teso, preoccupato. Tutte emozioni che con Clizia erano sparite ma che erano tornate prepotentemente perché qualcosa di brutto era accaduto e lui doveva correre a controllare.
La giovane attrice si ritrovò a raggiungerlo, in piedi; le sopracciglia corrucciate, non curandosi nemmeno di coprirsi col lenzuolo. Avrebbe voluto dire qualcosa ma lui la anticipò baciandola rapidamente, a mo’ di saluto. «Resta qui. Torno subito.»
Lei annuì e fece un passo indietro, cosicché Royal potesse richiamare a sé la sua magia. Venne avvolto da un sottile manto dorato e l’attimo dopo, era già scomparso, lasciando Clizia da sola in casa sua e in balia di mille emozioni.
 

 
§
 
 

Il cuore mancò un battito. Forse due. O forse tre.
Si rese conto di aver smesso di respirare nel momento in cui udì un flebile lamento provenire da un ammasso di detriti che un tempo formavano la torre destra della gilda, laddove risiedeva lo studio di mineralogia. Si avvicinò rapidamente col cuore in gola e ciò che vide lo inorridì tanto che il viso si tramutò in una maschera di rabbia.
La gamba sinistra di Ella era rimasta incastrata sotto alcune travi. Doveva aver preso una bella botta in testa perché una parte del viso era completamente ricoperta di sangue. Senza aspettare nemmeno un secondo strappò la manica della camicia e tamponò la ferita sulla fronte, pulendole il viso quel poco per permetterle di schiudere gli occhi.
Dopodiché spostò le travi che gli avrebbero impedito di metterla in salvo, si strappò l’altra manica e gliel’annodò attorno alla coscia per evitare ulteriori perdite di sangue. Infine, toccò alla parte più difficile. Un tipo come lui era difficile da impressionare: eppure, vedere un membro della sua gilda lì, più morta che viva, gli provocò un moto di disgusto indescrivibile.
Dal suo stomaco spuntava un sottile pezzo di ferro che le faceva da tappo. Non poteva muoverla senza rischiare un’emorragia, perciò cercò di tagliarlo alla base grazie alla sua magia; quando lo fece, la sentì borbottare un lamento a mezza bocca.
«Ehi, va tutto bene. Rimani sveglia, ok? Andrà tutto bene.»
Voleva crederci davvero, Royal. Voleva davvero credere che sarebbe andato tutto bene e che avrebbe fatto in tempo a portarla da un medico.
Lei schiuse le labbra per cercare di parlare. Lo chiamò con voce rotta dalla disperazione, dalla paura, con le lacrime agli occhi.
Una volta liberata da quella trappola infernale, la prese delicatamente in braccio e la sollevò da terra ma fu quando si rialzò che se ne accorse. Non erano soli.
Dietro di lui, c’era qualcuno, uno sconosciuto – il responsabile di quel macello. E Royal un attimo vide rosso, si voltò lentamente e, ancora una volta, la sua espressione fu di pura rabbia. Strinse le dita attorno alle gambe e alle spalle di Ella, obbligandosi a fare un respiro profondo e a calmarsi. Non poteva permettersi di perdere tempo o lei sarebbe morta.
Morta. Ella sarebbe morta?
«E questa? Che ci fa nella tasca della mia giacca?»
«Ce l’ho messa io! È un quarzo rosa e serve ad attrarre l’amore. Magari è la volta buona che incontra la donna della sua vita!»
No.
Royal non aveva tempo per farsi trascinare via dall’onda delle emozioni e dei ricordi. Non aveva il tempo di pestare a sangue quel tizio. Doveva portarla in ospedale. E prima di subito.
«Sto cercando una persona.» Non era né alto, né basso. Gli abiti e il viso erano coperti da un mantello scuro ma dalla voce fresca, seppur nuda e cruda, Royal capì di trovarsi di fronte a qualcuno di più giovane di lui. Un ragazzo che non si era affatto pentito e che pretendeva di ricevere delle risposte.
Royal strinse i denti. «Non ho intenzione di starti a sentire, bastardo figlio di puttana.»
E si voltò di nuovo, dandogli le spalle, ma lui proseguì. «Sto cercando quella che qui chiamate Bestia. So che si nasconde qui.»
Cosa c’entra adesso?
«E so che tu lo sai.»
Era ovvio quale fosse la priorità. Doveva salvare Ella. Per quanto avrebbe voluto sapere chi fosse quell’individuo e il motivo di quelle domande assurde, lui era il Master, dannazione.
Per questo, decise di ignorarlo. Per questo, decise che era meglio lasciarsi avvolgere dalla sua magia e correre, correre e correre in ospedale. E lo fece.
Di norma, il tragitto dall’Ancient Aurora alla clinica era di dieci minuti a piedi – per lui fu una questione di trenta secondi al massimo. Adagiò Ella su un lettino sotto lo sguardo sconvolto di un’infermiera che se li era visti comparire all’improvviso, e terminò il lavoro ordinandole senza mezzi termini di fare tutto il possibile per tenerla in vita.
Fece per tornare alla sede della gilda, intenzionato a far fuori quel bastardo se si fosse fatto trovare ancora lì, ma la flebile voce di Ella lo richiamò. Non riuscendo a capirla del tutto, decise di avvicinarsi. «Master...» Royal le strinse la mano, come a volerle prestare un po’ della sua forza per permetterle di dire altro. «La... la... lazuli...»
Ma non riuscì a dire nient’altro, perché troppo debole.
Royal si scostò come fosse stato bruciato da quelle parole e lasciò che i medici si attorniassero alla barella. Richiamò la sua magia e in un lampo tornò all’Aurora, più incazzato che mai.
Il fatto che quell’individuo incappucciato lo stesse ancora aspettando significava due cose: da un lato era estremamente sicuro di sé, dall’altro aveva davvero bisogno di quelle informazioni. Ad ogni modo, Royal era certo che da lì a breve si sarebbe scatenato il putiferio e, ancora di più, che l’avrebbe massacrato se quello non si fosse deciso a crepare di sua sponte.
«Prima che ti riduca in poltiglia, dimmi chi cazzo sei e cosa vuoi.» Sibilò.
Fu grazie alla luce dei lampioni che Royal riuscì a vederlo in viso una volta che quest’ultimo lasciò cadere il mantello a terra. Aveva avuto ragione, il viso pulito e quasi infantile rivelava un’età che non superava i venti. Eppure, gli occhi verdi erano taglienti – erano gli occhi di chi aveva visto tante cose orribili, occhi che aveva già avuto l’occasione di incrociare.
«Comincia tu. Dov’è quella bestiaccia
«Non so di cosa tu stia parlando ma è chiaro che muori dalla voglia di essere preso a calci. Quindi, ti accontento.»
Royal non era diventato Master per puro caso. Suo zio non l’aveva scelto come suo successore soltanto perché era suo nipote – l’aveva scelto perché sapeva che quando non ci sarebbe stato, quello scapestrato avrebbe saputo proteggere il suo più grande tesoro. La sua gilda, la sua famiglia.
Che la sede fosse stata distrutta per metà poco importava – certo, a Royal bruciava un sacco che lo studio di Ella non ci fosse più perché sapeva quanto la ragazza ci tenesse. Era furioso.
Tutto di lui gridava rabbia: i muscoli rigidi, gli occhi iniettati di sangue, le vene ingrossate, i denti digrignati.
Il cielo fu scosso da un rombo e quello fu il segnale.
Ma lo straniero non si lasciò sconvolgere da ciò. «Non credere che non mi sia preparato ad affrontarti, Master
Royal fece schioccare la lingua. «Non farei tanto lo spiritoso, fossi in te.»
E scattò in avanti. Fu veloce, velocissimo, e il rosso accusò il colpo parando il pugno con entrambe le braccia. Il corpo venne sbalzato in aria a causa dell’impatto ma il giovane atterrò facilmente in piedi, seppur crepando il cemento.
Il corpo dell’uomo era completamente ricoperto da fulmini bianchi, di pura luce. Persino Jace Ivory, il consigliere del re di Fiore, aveva più volte elogiato le sue capacità magiche e per questo veniva rispettato da molte altre personalità importanti, compreso il re. La potenza dei suoi incantesimi era conosciuta anche al di fuori del regno.
E Leonte non faceva eccezione.
Lui, il ragazzo dai capelli rossi legati in una coda bassa, aveva da subito messo in conto la possibilità di potersi trovare di fronte al tanto decantato Master dell’Aurora e di doverlo affrontare in combattimento. Certo, non si aspettava che un suo pugno facesse così male.
Ma non importa. In quanto a forza, nessuno è alla mia altezza, pensò.
Fu il suo turno di attaccare e per quanto non potesse eguagliare la velocità di Royal, Leonte riuscì comunque ad avvicinarsi quel tanto per prenderlo di sorpresa e attivare il suo incantesimo. Un potente vento si generò sotto i suoi piedi, vento che gli diede lo slancio necessario a evitare un secondo colpo e ad assestagli un pugno al petto.
Il Master boccheggiò mentre schizzava lontano. La schiena sbatté violentemente contro un lampione che s’incrinò.
Ok, questa non me l’aspettavo. Royal si rimise in piedi subito. Da dove tira fuori tutta questa potenza mingherlino com’è?!
Lui di certo non poteva saperlo. Non poteva sapere che Leonte avesse stretto un patto con una certa divinità e che da quel momento avesse acquisito La Forza, un qualcosa che andava aldilà della semplice magia – che, nel suo caso, poteva essere chiamata Ventus Magic. Quindi, a conti fatti, era come possedere due abilità differenti.
La prima era capace di renderlo potente e vigoroso; la seconda riusciva a farlo sembrare leggero e flessibile come il vento. E Royal avrebbe presto avuto prova delle sue capacità.



 
[Inizio Flashback]
 
 

Era scappata. Era scappata nel mezzo di una conversazione ed Ella non riusciva a capirne il motivo.
Che avesse detto o fatto qualcosa che l’aveva offesa?
Decise, quindi, di chiedere all’unica persona che avrebbe potuto spiegarle il motivo per cui Lily si era comportata in modo strano. Entrò dentro casa dei due fratelli e vide Killian intento a preparare una gustosa merenda: pancakes con marmellata di fragole e frutti di bosco per guarnire. Si avvicinò al bancone della cucina e aspettò che fosse lui a rivolgerle la parola per primo. «Che succede? Mia sorella ha combinato qualcosa?»
Ella scosse la testa. «Mi stava pettinando i capelli e poi è scappata via con le lacrime agli occhi.»
«Ti sta facendo preoccupare?» Al che, la rossa annuì pensierosa.
«Ce la sta mettendo tutta.» Killian sorride mestamente. «Non sapendo nulla di tua sorella e non conoscendo appieno nemmeno te, sta cercando di imitare suo padre per farti sentire meno sola.» E in questo modo è costretta a ripiombare ogni giorno nel suo personale incubo, pensò.
«Suo papà è… è morto?» La voce è appena sussurrata, come se avesse paura che qualcuno oltre lui la potesse sentire.
Il maggiore non rispose subito, ma quando lo fece, il suo viso si rattristò: «Non è morto. È una storia complicata.» Poi le mise davanti il piattino con sopra tre pancakes farciti di marmellata. «Dalle del tempo per stare un po’ da sola e poi va’ a parlarle. Apprezzerà.»
Ella annuì ancora e, un po’ titubante, si sedette sullo sgabello per poi mangiare la sua merenda. Era buonissima – il sapore era simile alle torte che sua sorella Beatrice amava sfornare nei fine settimana. Certo, l’estetica lasciava a desiderare... ma in quanto a dolci, Bea era la numero uno.
«Ti piacciono?» Domanda Killian, incrociando le braccia sul bancone. Lei annuisce e stenta a trattenere le lacrime. «Meno male! Oggi ho voluto provare una nuova ricetta.»
Passarono una ventina di minuti in cui Ella osservò il fratello della sua amica destreggiarsi in cucina. Avrebbero mangiato del tacchino ripieno con contorno di verdure e non stava più nella pelle. Intanto, però, il suo cuore le diceva di uscire e di andare a cercare Lily. E lo fece.
Salutò Killian – che fece altrettanto ma con entrambi i pollici in su, in segno di incoraggiamento – e si avviò verso il centro della foresta. Aveva cominciato a conoscerla, a non confondere un albero dall’altro e a farsi largo tra la coltre di rami senza inciampare nel frattempo. La vide seduta su un masso e con libro in mano.
La raggiunse e Lily nascose il viso tra le pagine per evitare che Ella lo potesse vedere rigato di lacrime. Aveva solo dieci anni e già si vergognava a farsi vedere in lacrime, la scema.
La rossa si posizionò alle sue spalle e tirò fuori il pettine. Senza dire nulla, cominciò a pettinare quei soffici capelli corvini, lunghi fino a metà schiena. Vide le sue spalle sussultare ma Lily non si scostò.
«Bea è rimasta gravemente ferita in miniera.» Dice. «I dottori hanno detto che non ce l’avrebbe fatta, che aveva perso troppo sangue e che a causa delle esalazioni, il suo corpo era rimasto danneggiato dall’interno. È stato bruttissimo vederla sparire davanti a me.»
Se non fosse stato per Lily, Ella non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontare quello che era successo poche settimane prima ad alta voce. Certo, gli occhi si erano già gonfiati di lacrime, ma almeno aveva ammesso a parole, a se stessa e al mondo, che sua sorella maggiore Beatrice non c’era più. «Se non vuoi dirlo a me, non importa. Non voglio costringerti. Ma sappi che per qualsiasi cosa, io ci sono per te.»
E più il pettine affondava nella sua chioma, più Lily venne scossa dai ricordi.
«Vieni qui, ti aiuto a sistemare questo disastro di capelli
«Ma che hai combinato?» Risata. «Sei imbranata come tua madre. Dai, ti aiuto io!»
«Non ti dimenticare che in te scorre anche il mio sangue, per cui smettila di autocommiserarti. Incanterai tantissimi uomini e a quel punto dovrò ucciderli tutti... quindi, evviva, altro lavoro per me! Come se non avessi già abbastanza problemi con tutti quelli che sbavano dietro a tua madre... sei sicura di voler crescere? Non preferiresti restare una bambina?»
No. Col senno di poi, suo padre non era mai stato normale e sapeva essere davvero egoista. Eppure, nonostante le sue stranezze e le litigate con la mamma per cose stupide – come quando l’aveva beccata a insegnarle come ci si inchinava: un vero affronto per un uomo che non aveva mai abbassato la testa davanti a nessuno e che pretendeva che nemmeno sua figlia lo facesse mai – era stato un padre meraviglioso.
E quindi glielo raccontò. Raccontò a Ella di tutte quelle volte che l’aveva aiutata a sistemarsi i capelli perché lei non ne era in grado, le raccontò delle volte in cui le tirava su il morale perché lei era complicata proprio come sua madre e spesso si lasciava schiacciare dai sensi di colpa. Le raccontò tutto. Tutto. E per la prima volta, Lily si sentì più leggera.
Si sentì felice perché a dispetto della sua indole capricciosa e irritante, aveva trovato un’amica. Un’amica che aveva sofferto i suoi stessi dolori, la stessa separazione traumatica.
 

 
[Fine Flashback]



Non erano trascorsi che tre minuti.
Tre minuti da quando avevano cominciato a combattere, tre minuti da quando aveva cominciato a rimbombare nell’aria il fragore dei primi fulmini scagliati. E Leonte dovette arrendersi all’evidenza: non avrebbe potuto batterlo nemmeno tra un centinaio di anni.
Seppur fosse riuscito a colpirlo un paio di volte con La Forza, Royal era ancora in piedi e a parte il labbro spaccato e un leggero affanno per via dell’uso prolungato dei uno dei suoi incantesimi più potenti, sembrava in perfetta salute.
«E adesso, prima che perda la pazienza e decida di massacrarti finché non muori, dimmi chi se e cosa sei venuto a fare.» La voce del Master era furente, cruda e minacciosa.
Leonte era a terra, sdraiato, col viso rivolto al cielo non più tanto limpido a causa del temporale che sarebbe scoppiato da lì a breve. Il rombo dei tuoni lo fecero sobbalzare e si vergognò immensamente di essere stato sconfitto con così tanta facilità, si vergognò della presunzione con cui aveva suggerito alla sua partner di lasciarlo andare da solo perché se la sarebbe cavata, non c’era bisogno che lei si sporcasse le mani.
Sono stato uno stupido, pensò.
«Non ho tutta la notte, fottuto stronzo. Rispondimi!» Ringhiò, ma dovette arretrare di un balzo quando avvertì la magia di una seconda presenza palesarsi tra loro. Dal terreno spuntò fuori quello che sembrava uno specchio ovale circondato da un’aura grigiastra.
Poco dopo, udì una voce. «Non osare toccarlo e né tanto meno minacciarlo, cagnaccio. Lui è il mio solo e unico cagnolino, il mio pupillo, e sebbene non approvi la sua scelta di combatterti da solo, è mio dovere aiutarlo.»
E ora questa chi cazzo è?!
Dallo specchio sbucò fuori una figura, una donna. I lunghi capelli bianchi erano lisci e le ricadevano morbidi sulle spalle e lungo le braccia. Indossava una tunica anch’essa bianca dai dettagli verde ghiaccio, come i suoi occhi, inespressivi, freddi e letali. Aveva l’aria di essere qualcuno di pericoloso, ma Royal era certo che nessuno si sarebbe mosso da lì finché non avrebbero risposto alle sue domande.
Leone, d’altro canto, strinse le labbra in una smorfia di disagio. «Signora Ofelia... mi dispiace.»
«Non devi dispiacerti. Sono io che ti ho lasciato andare.»
«Sembri essere in vena di chiacchiere al contrario del tuo amico. Chi diavolo siete?»
La donna gli rifilò un’occhiataccia. «Non è un mio amico, ma il mio cagnolino. Mi sembra di parlare la tua stessa lingua, cos’è che non capisci?»
Il cielo si illuminò per un istante e, di nuovo, fu scosso dal tremore dei rombi.
«Se pensi che questo mi spaventi, mi spiace per te.»
«Oh, io penso che, così come ho fatto abbassare la cresta al tuo cagnolino, la farò abbassare a te.»
Ora, Ofelia non era mai stata una persona particolarmente paziente. Mai. Per questo non andava d’accordo con molti altri suoi colleghi. Ma la cosa che proprio non sopportava era che qualcuno si prendesse gioco di lei, delle sue capacità.
Royal si preparò e sopra le loro teste si allargò un enorme cerchio magico da cui precipitò una fitta pioggia di fulmini. La luce era abbagliante e Leonte stesso strinse gli occhi, impossibilitato a schivare quell’attacco – non che avesse potuto, era stato proprio quest’incantesimo a metterlo definitivamente ko!
Ma Ofelia non era della stessa opinione. Infatti, lo specchio si spostò e andò a riparare i due a mo’ di ombrello, lasciando che l’elettricità venisse intrappolata al suo interno. Quando l’incantesimo terminò, il Master dell’Aurora non sembrò per niente stupito.
Lo sapevo. Quell’affare sarà una grossa seccatura.
«Hai perso questi, mi sa.» Disse, divertita. E lo specchiò seguì il flebile gesto della mano, tornando in piedi. «Te li restituisco.»
Fulmini. Gli stava lanciando i suoi stessi fottutissimi fulmini.
A Royal non servì scansarsi, gli bastò reagire con un medesimo attacco e il boato creato dallo scontro dei due incantesimi fece tremare persino la terra.
«Mi sembra di capire che magie come quella di prima costino parecchia energia. Perché non la finiamo qui e ci dici subito dov’è la Bestia? Almeno, così, risparmieremo del tempo.»
«Non so di cosa parliate. Nessuno sa cosa sia né dove si nasconda.»
«Che bugiardo! Un cagnaccio bugiardo, ecco cosa sei.» Ribatté, a metà tra l’ilare e il fastidio. Il suo abito, seppur raffinato, nascondeva degli spacchi vertiginosi che le consentivano di combattere al meglio delle sue capacità.
Devo risolvere la situazione. Devo renderli inoffensivi prima che qualcuno possa avere la malaugurata idea di uscire di casa e venire a controllare. Royal era preoccupato. Per questa ragione, decise che era arrivato il momento di utilizzare Fulgora.
Ofelia ghignò. «Qualsiasi cosa tu stia architettando non funzionerà.»
Lui non sembrò neanche sentirla e si concentrò al massimo. Il cielo si illuminò ancora e ancora, a intermittenza, fino al momento in cui una cascata di fulmini lo investì in pieno.
L’espressione dell’avversaria non mutò di striscio ma nel cuore covò una punta di preoccupazione. Che sta facendo? Al che, i fulmini cessarono improvvisamente di cadere e Royal raggiunse la sua posizione in un battito di ciglia.
Ofelia trattenne il respiro e in un primo momento sembrò sinceramente spaventata dalla velocità con cui si era palesato dinanzi a lei. Era in procinto di tirarle un pugno carico di elettricità ma lo specchio si frappose e catturò l’attacco senza la minima crepa.
«Te l’avevo detto.» Cantilenò lei, sicura di sé.
In risposta, Royal ghignò serafico.
Accadde tutto in un millesimo di secondo. Lo specchio stava assorbendo il suo potere magico tramite il contatto con il suo pugno, ma c’era qualcos’altro che si muoveva alle sue spalle – qualcosa che con un balzo riuscì a superare l’ostacolo. Ofelia vide una sagoma – una figura che le sembrava avesse assunto le sembianze di una donna particolarmente formosa – e questa non ci pensò due volte a scaricarle addosso tutta l’elettricità di cui era composta.
La donna decise di non muoversi, di restare lì. Se si fosse spostata, Leonte sarebbe morto a causa di tutto quel potere. Quando tutto tornò alla normalità, la sagoma era sparita e Royal apparve così affaticato da non riuscire più a fingere di stare giocando al gatto con il topo.
Ofelia, invece, era indispettita. Il candore con cui si era ricoperta era sparito. Il vestito si era ingrigito, i capelli bruciacchiati e la pelle era sporca di fuliggine.
Sfoderò il suo fioretto e partì alla carica. Seppur rallentata nei movimenti, riuscì a dargli del filo da torcere, tanto che Royal fu costretto ad arretrare e a scansarsi di qualche passo per poter schivare i suoi affondi.
Una persona normale sarebbe quantomeno svenuta dopo quest’ultimo incantesimo! Pensò, allibito.
«Ora sì che sei finito.» Ghignò Ofelia. Poi sibilò malignamente: «Morpheus
In un attimo, l’ambiente circostante si fece molleggiante. Royal si ritrovò costretto a lasciare la presa e a guardarsi intorno, scorgendo nel buio che lo circondava innumerevoli facce mostruose apparire e scomparire come fossero soltanto immagini proiettate.
È un’illusione? Si chiese. In linea teoria sì, poteva essere considerata tale. L’abilità di Ofelia non era classificabile come mera magia illusoria – a volte neanche lei riusciva a capirne le caratteristiche. Ma Royal non aveva voglia di stare al suo gioco. Affrontò quelle facce distruggendole con i propri fulmini. Lanciò scariche elettriche in ogni direzione e schivò tutti gli attacchi perché incapace di stabilire quali fossero reali e quali no. Poi, a un certo punto, la percepì.
Percepì la presenza di qualcuno farsi sempre più vicina, alla sua destra. Così parò la stoccata di Ofelia con la mano e nonostante la lama gli avesse tagliato il palmo, dal suo corpo fuoriuscirono diverse decine di fulmini che attraverso l’arma, finirono per essere scagliate addosso all’avversaria.
La bianca boccheggiò e lasciò la presa sul fioretto, arretrando di un passo. I muscoli erano indolenziti e nonostante il suo corpo fosse molto più resistente di un normale essere umano, Ofelia si ritrovò a dover prendere in considerazione la fuga.
Dannato cagnaccio! Non ce la faccio più a sopportare tutte queste scariche!
E intanto l’illusione sembrava essersi dissolta perché Royal riconobbe la gilda mezza distrutta, i lampioni, le nuvole di piombo e Leonte, inginocchiato qualche metro più in là. Si guardò la mano insanguinata e capì che era stato grazie a quella ferita se era riuscito a uscirne. «Sei un osso duro.»
Ofelia ridacchiò, mascherando altresì una smorfia di dolore. «E tu sei soltanto un cagnaccio senza alcun rispetto. Sai cosa vuol dire mettersi contro di noi
«E tu sai cosa vuol dire mettersi contro la mia gilda?» Sibilò, iroso.
«Non me ne importa niente della tua misera gilda, cagnaccio. Voglio sapere dov’è quella bestiaccia dal sangue immondo e tu me lo dirai!»
«Perché tutta questo interesse? Non mi sembra che da voi stia dando problemi, o sbaglio?»
Leonte sussultò; la sua partner fu molto più brava a mascherare la sua sorpresa. Decise, per tanto, di non dargli corda, di smorzare la conversazione e di non istigarlo a cercare risposte che avrebbero messo in allarme i suoi superiori. «Al diavolo le informazioni. Al diavolo tutto. Tu adesso morirai.»
Royal rise, mostrandosi sicuro di sé. «Ci hai provato fino ad ora e non ci sei ancora riuscita.»
Basta. Si disse. Adesso finiamola. Il corpo di Royal venne nuovamente avvolto dai fulmini e partì all’attacco. Scattò verso di lei che, capita l’antifona, andò a rifugiarsi nello specchio con l’idea di ucciderlo al suo interno, laddove aveva il pieno controllo su tutto.
Aspettò con pazienza, aspettò fiduciosa che ne sfiorasse la superficie così da risucchiarlo ma la sua espressione mutò radicalmente non appena si rese conto che i suoi fulmini avevano cambiato colore. Da bianchi a neri. Fulmini neri e un’aura diversa da quella di prima.
Che cosa? È un...
Il pugno di Royal andò a schiantarsi contro lo specchio, all’altezza della sua faccia. Il vetro s’infranse e Ofelia non ebbe nemmeno la forza di urlare. Il suo corpo venne sbalzato fuori dal mondo-specchio e ricadde sul terreno con un tonfo.
Si morse le labbra per evitare di urlare e si portò una mano sul viso, coprendo l’occhio destro che era stato colpito dalle schegge e che aveva preso a sanguinare copiosamente. Era incazzata. Incazzatissima. «Perché hai tenuto nascosta la natura della tua magia finora?! Sei un maledettissimo God Slayer! Com’è possibile?!»
Royal sospirò, stanco. «Non l’ho mai usata in combattimento fino a oggi. E questo per evitare che gente come voi Arcani lo veniste a sapere. Dalle vostre parti io rappresento la minaccia più grande, dico bene?»
Le si avvicinò – ormai era chiaro che non riuscisse più a muoversi.
«E adesso, ditemi perché state cercando la Bestia
In un impeto di rabbia e con un verso quasi animalesco, Ofelia fece una cosa che Royal non si sarebbe mai aspettato. L’agguantò per il colletto della camicia e lo attirò a sé, stampandogli un semplice bacio sulle labbra.
Lui rievocò istintivamente la magia del fulmine per scrollarsela di dosso e, intanto, Leonte riuscì a circondarle la vita con un braccio e a trascinarla via, richiamando a sé il vento per potersi dare maggiore spinta. In questo modo, Royal si ritrovò da solo in mezzo allo spiazzale con ancora l’adrenalina che scorreva a fiumi.
Quando fu sicuro che i nemici fossero fuggiti per davvero, solo allora, il Master si rilassò. Ma una voce in lontananza lo fece voltare di scatto. Lei era lì. Clizia gli stava correndo incontro con su un’espressione puramente sollevata.
«Che ci fai qui?» Domandò, preoccupato che qualcuno l’avesse vista.
Se c’era una cosa su cui erano stati entrambi d’accordo era che nessuno avrebbe dovuto sapere della loro relazione, sia per salvaguardare la sua carriera, sia per evitare che qualcuno potesse approfittarsi di lei per riuscire a colpire lui.
Clizia, di tutta risposta, corrucciò la fronte. «E ti sembra che io possa rimanere a casa dopo che ho visto il cielo tuonare in quel modo? Sei stato un illuso, tesoro, perché io non rimango certo rintanata in un angolo mentre tu rischi la vita!»
Royal sospirò. «No, certo che no. Sei la donna più testarda che io abbia mai incontrato. E anche la più incosciente.»
«Non è vero che sono incosciente. Sono rimasta lontana per tutto il tempo, così che tu potessi combattere senza dover pensare a me. E a proposito…» Fece una pausa, Clizia, una pausa che a lui bastò per ricollegare le tempistiche e gli eventi accaduti poco prima. «Quella tizia ti ha baciato.»
Royal deglutì a vuoto. «Non mi aspettavo che dopo quel colpo continuasse a muoversi.»
«Non mi interessa.» Ribatté gelida. Se mi capita tra le mani la strangolo.
Ma era pur vero che non avevano il tempo per mettersi a discutere su questo. Clizia lo osservò in viso – constatò che non avesse riportato troppe ferite e ne rimase sollevata. Per lo meno sta bene.
«Devo tornare in ospedale. Quando ce l’ho portata, Ella era in gravissime condizioni.»
L’attrice annuì e si strinse nel cappotto che aveva indosso. Di sicuro prima avrebbe voluto riaccompagnarla a casa ma lei era decisa a lasciargli il tempo necessario per assicurarsi che quella ragazza stesse bene.
Eppure, Royal fece appena in tempo a fare un passo che un dolore lancinante al petto lo costrinse a piegarsi in due, richiamando l’attenzione di Clizia. «Royal! Ti senti male?»
Incapace di poterle rispondere, si accasciò in avanti ma lei riuscì ad attutire la rovinosa caduta, voltandolo in modo che desse le spalle al terreno. Più la sua espressione si faceva sofferente, più la preoccupazione saliva.
Osservò la mano olivastra reggersi con forza la camicia e allora Clizia gliela sbottonò nella speranza di capire da cosa derivasse quel malessere improvviso e senza senso. E così lo vide. A coprire il marchio della sua amata gilda, vi era un simbolo che non gli aveva mai visto addosso.
Un cerchio formato da ventiquattro rombi, dodici dei quali più grandi di altri, e al cui interno vi era una linea, una freccia, che dal centro puntava al rombo più in alto.
E questo che cos’è?



 
§



Le urla rabbiose di Ofelia risuonarono in tutta l’ala Ovest.
Nessuno aveva davvero il coraggio di andarle vicino e farle notare che forse, magari, avrebbe fatto meglio ad abbassare il tono della voce perché se avesse attirato l’attenzione dell’Imperatore, le cose non sarebbero finite per niente bene.
Ma no. Nessuno dei presenti aveva il coraggio di farlo.
Porzia era letteralmente scappata prima ancora che tornasse con un occhio in meno, percependo la malaparata. Quindi, con la scusa che Il Mondo potesse avere bisogno di lei si era volatilizzata. D’altronde, il suo era un lavoro importante – assisteva quell’uomo in ogni istante della sua vita.
Lisandro non voleva averci nulla a che fare – non era mai stato bravo a calmare Ofelia, non era mai stato bravo con le donne in generale. Di fatti Mercuzio glielo ripeteva sempre: «Sei un poeta, eppure quando hai davanti una donna hai l’assurda capacità di dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Come fai?» A ripensarci, un po’ gli mancava chiacchierare con lui. Era sempre stato un buon amico.
Per Curio valeva lo stesso, ma lui restava zitto solo perché reputava divertente sentirla imprecare… insomma, quella che di solito difficilmente si lasciava trascinare dalle emozioni, era stata non solo sconfitta, ma era stata persino ferita nell’orgoglio da un cagnaccio dispensatore di scosse elettriche!
Che indecenza.
«Fallo tornare come prima!» Esclamò imperitura a una Giulietta esasperata che, con il suo caschetto asimmetrico di capelli blu, era annoverata tra le più belle ragazze dell’intero paese.
Ecco. Lei era quella messa peggio: costretta a sopportare l’isterica che aveva perso un occhio, l’isterica che le ordinava cosa assurde. «Non posso, te l’ho già detto. Le mie abilità curative non arrivano a tanto.»
Ofelia se la prese a morte per questa cosa – neanche fosse stata lei a causarle quella menomazione.
Con la sua La Luna, Giulietta non avrebbe potuto fare niente comunque. «Piuttosto, Leonte è come nuovo. Sta dormendo. Appena si sarà ristabilito, tornatevene nella vostra città. È tanto che siamo riusciti a liberarci di quell’esaltata di Emilia inviando lei e l’Imperatrice a Cortana. Non ho alcuna intenzione di avere altri problemi.»
Ecco. Lei era anche quella che senza mezzi termini le suggeriva di sloggiare. Giulietta non si era mai fatta alcun problema a dire quello che pensava a meno che non avesse davanti l’Imperatore. Certo, davanti a lui tutti, nessuno escluso, diventavano dei cuccioli ubbidienti, pronti ad annuire e ad accettare qualsiasi decisione.
Curio ridacchiò – cosa che non sfuggì a nessuna delle due. «E tu perché sei qui?»
«Tranquilla, Ofelia, sono solo venuto a vedere come stai. A quanto pare la missione non è andata così bene. Tornerai a Fiore per la tua rivincita?»
Giulietta alzò gli occhi al cielo. Possibile che debba sempre istigare le persone? Istigare lei, poi?
Ma diversamente da come si aspettava, l’altra donna non si scompose più di tanto e, anzi, abbozzò un ghigno diabolico. «Per la verità ho già avuto la mia rivincita.» Il silenzio che seguì servì a entrambi per registrare quelle parole e capire cosa avesse combinato poco prima di essere trascinata via da lì. «Ho utilizzato Il Demone e ho maledetto quel cagnaccio! Ormai ha i giorni contati.»






















 
 
 

 
[1] Il cimbro esiste davvero. È un dialetto tedesco, o meglio, alto bavarese.
 
 
 
 

 
 
 
E dopo mesi di silenzio... rieccomi. Sono tornata in compagnia di Ella, Royal e Clizia! ^^
Avrei dovuto terminare il capitolo con un’altra scena ma alla fine mi son detta “lasciamo un po’ di suspence...” e quindi, chissà quanto vi toccherà aspettare prima di sapere come stanno Ella e Royal!

Bando alle ciance. Questo capitolo è stato difficile da scrivere per almeno due motivi.
In primis, lo stress. Questi mesi sono stati una tortura dal punto di vista mentale a causa del lavoro – dove, a quanto pare, senza di me faticano ad andare avanti… cioè, come hanno fatto a campare fino al mio arrivo? Boh. Dovrò cominciare a mettere alcuni paletti. Della serie che non bisogna sempre affidarsi alla sottoscritta, specie se c’è da scrivere una STRAMALEDETTISSIMA nota di TRE RIGHE. E che cavolo! Scusate lo sfogo ^^
E poi, anche perché non avevo idea di come strutturare tutto lo scontro di Royal vs Ofelia. Cioè, avevo scritto inizio e fine, ma non la parte centrale! ^^

Ad ogni modo, cosa ne pensate? E lo so cosa state pensando... e no, non vedremo Clizia solo e soltanto in scene vietate ai minori. È solo che mi sembrava un peccato. Tu che stai leggendo, immagina di essere Clizia: c’è quel figo di Royal a pochi passi da te, che fai, non ne approfitti? XD

Vi aspettavate tanta devastazione? Ella che versa in condizioni critiche, Royal che ha qualcosa di strano addosso... chissà cos’è. Idee?

Domanda importante: i nomi dei personaggi “apparsi” nell’ultima scena (gli Arcani) vi dicono niente? Eheh *^* sapete che io ho delle fisime – un po’ come Oda che adora dare ai suoi personaggi nomi/caratteristiche che rispecchiano un determinato ambito o una determinata cultura. Io ho fatto lo stesso. Pensateci. Pensateci prima di leggere la curiosità n. 20, però.

Curiosità n.19 ► Prima dell’incontro focoso avuto con Clizia, Royal era stressato. Per questo, Clizia gli dice che gli chiede come stia. C'è chi pensa che sia per l'assenza di Killian a cui è solito sbolognarei suoi doveri.

Curiosità n.20 ► Per i nomi degli Arcani ho preso ispirazione dai personaggi di Shakespeare: Giulietta e Mercuzio da “Romeo e Giulietta”; Curio da “La dodicesima notte, o Quel che volete”; Porzia da “Il mercante di Venezia”; Ofelia da “Amleto”; Leonte da “Il racconto d’inverno”; Lisandro da “Sogno di una notte di mezza estate”. Emilia da “Otello”. Ecc. E Betty? Quale sarà il suo nome completo?

Potete dirlo. Sono matta. Non mi offendo ^^
A questo punto vi lascio con questa.

BREVISSIMISSIMISSIMA SCENA TAGLIATA MA CHE MI SEMBRAVA BRUTTO BUTTARE [Ella e Lily sono appena tornate dopo il tuffo al laghetto]:
Tornarono a casa zuppe d’acqua e tremanti. Killian era tornato da poco e quando se le era viste apparire davanti, aveva riso di sua sorella – il suo “pulcino bagnato” preferito – e aveva dato il benvenuto alla piccola Ella che, per via di tanta gentilezza, arrossì.

Alla prossima! ^^


Rosy



P.S. Ovviamente, la scena integrale di sesso la pubblicherò nell'apposito spin off a rating ross ^^


PP.SS. Oda è un pazzo. È da ricovero. 



 

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Capitolo 13
*** ► 12. Incontro (in)desiderato ***


CAPITOLO 12. Incontro (in)desiderato

 
 
 
Il viaggio proseguì senza intoppi per un’altra giornata.
Naevin aveva ritenuto opportuno rimanere lontani dalla via principale e anche se così facendo avrebbero perso un po’ di tempo, almeno ne avrebbero guadagnato in altro modo: evitando scocciature. Al di fuori della città portuale, gemma brillante in mezzo al deserto, e alla biblioteca, il regno di Damocles sembrava avvolto nella miseria. I pochi villaggi incrociati erano stati abbandonati, non v’era traccia di alcun segno di vita.
Nonostante ciò, il gruppo non si perse d’animo.
Certo, Hydra aveva cominciato a soffrire la mancanza della costa e Killian aveva dovuto il serio timore che potesse abbandonarli lì e tornare alla sua nave. «Non mi piace essere troppo lontano dal mare» aveva detto con voce grave.
Invece, Eve era tornata di buon umore – più che altro si era ripromessa di sfruttare ogni piccola occasione per rifilare occhiatine maliziose alla cacciatrice di taglie tutte le volte che questa arrossiva a causa del marinaio. Una volta era perché le aveva abbassato l’orlo della maglietta, alzatasi per via di un rametto rimasto impigliato; un’altra volta era per via del suo occhio color dell’oceano puntato su di lei – e la mente di Nypha aveva cominciato a viaggiare un po’ troppo con la fantasia, a un certo punto.
Intanto, Lily snocciolava domande al capotribù Lakad, malamente seduta alle sue spalle. «Sei mai stato a Xeres?»
Naevin scosse prontamente la testa. «Preferisco non avventurarmi in zone fredde e con un clima perennemente invernale. Sulle montagne di Xeres si gela, moriremmo tutti di freddo con solo le nostre tende.»
«Vero. È un bel posto, però. Ci sono stata un paio di volte.»
Killian, che ascoltava di nascosto la loro conversazione da dentro il carro mentre fingeva di leggere il suo romanzo giallo, sorrise. Era contento del fatto che la sua sorellina sembrava intenzionata a fare amicizia.
Stava già costruendo un bel rapporto con Eve e Nypha – non che fosse complicato, perché entrambe avevano saputo mostrare grande empatia nei suoi confronti – e sembrava intendersela anche con Niv.
«Ci sei andata per conto della tua gilda?»
«Sì. Era stata ritrovata un’antica stele di pietra con incisi alcuni caratteri ed essendo un’ottima linguista, Royal ha mandato me.»
A intervenire nella conversazione fu lo scienziato: «Fammi capire, saresti un’esperta?» Al cenno di assenso della corvina, Reha sorrise, rivolgendosi poi alla maga di Bosco: «E tu ti occupi di rune?»
«Non sono la stessa cosa?» domandò Naevin, confuso.
«Assolutamente no» ribatté Lily, serissima. «Studiare le rune non è da tutti. In pochi riescono davvero a leggerlo e a comprenderlo senza il bisogno del dizionario! A trovarlo, poi, un dizionario decente!»
«È stata Kyla a insegnarmi l’alfabeto runico e tutte le sue particolarità. È difficile, vero, ma non impossibile.»
A quel punto la corvina alzò le spalle e incrociò le braccia al petto. «Comunque, è vero che sono una linguista e anche se non conosco le rune, sono soddisfatta del mio percorso di studi!»
Nimue intervenne subito dopo aver sgranocchiato delle arachidi che aveva in borsa. «È fissata.» Dopodiché, ignorò volontariamente il ringhio sommesso della più giovane per rivolgersi a suo fratello: «A te? Come vanno le ferite?»
«Mi fanno ancora un po’ male ma è sopportabile.»
Diana roteò gli occhi al cielo e, su questo, persino Lily si ritrovò d’accordo. «Sei il solito esagerato. Ti lamenteresti anche di una puntina da disegno.»
«Sorellina, pensa agli affari tuoi.»
E in maniera molto, molto matura, la corvina lo scimmiottò.
Rehagan scoppiò a ridere, seguito a ruota da Eve e da Nypha che tentò inutilmente di nascondere elegantemente il riso dietro il dorso della mano.
Ma bastò un’affermazione del Lakad a cambiare completamente l’atmosfera rilassata che si era creata. «C’è qualcuno davanti a noi.» Infatti, tra la coltre di alberi che si innalzavano verso il cielo terso, v’era una figura leggermente piegata in avanti, come a volersi regge sulle proprie ginocchia.
Diana assottigliò lo sguardo e aprì la bocca per dire qualcosa ma fu Nimue a parlare al posto suo. «Accostiamoci. Sembra che non si senta bene.»
Naevin lo fece e quando vide bene la donna – che a stento riusciva a stare in piedi – abbandonò tutto e si catapultò a terra. Aiutò la sconosciuta a raddrizzarsi e lei, colta alla sprovvista, sussultò di brutto rischiando di inciampare in una radice sporgente.
«Va tutto bene, non voglio farti del male.» Disse, sorridendo.
Nimue fu la prossima a scendere dal carro e si avvicinò mesta alla donna. «Nelle sue condizioni non dovrebbe fare sforzi, signora. La accompagniamo a casa, ci indichi la strada.»
E infatti, tutti i presenti non poterono non notare la situazione: la pronunciata rotondità che le allargava le vesti, la fronte imperlata di sudore, i capelli biondo cenere che erano attaccati alla pelle. La donna, spaventata e a tratti disperata, scosse la testa. «Non posso... mio marito... devo andare da lui...»
Gli occhi le si riempirono di lacrime e non riuscì più a proseguire. Singhiozzò e allora le ginocchia cedettero e Naevin fu costretto a riacchiapparla per evitare che rovinasse a terra come un sacco di patate.
Allibito, guardò la dottoressa che annuì. «Dobbiamo riportarla a casa.»
«Nel giro di un chilometro non c’è nessuno.» Affermò Diana. «Suo marito non è nelle vicinanze e non sappiamo come-»
«Ci penso io.» Lily attese che il Lakad posasse il corpo spossato della donna sul carro e poi tirò sul col naso. Ne inspirò forte il profumo; poi, annusò l’aria. «Di qua.»
Eve ridacchiò. «L’avevo detto io, un cane da tartufo.» Al che, la corvine le rifilò un’occhiataccia.
Ma grazie alle sue indicazioni – e al suo naso – riuscirono a raggiungere quella che sembrava una casetta in pietra e mattoni dall’aria semplice ma confortevole. Non si fecero scrupoli a entrare per poter sistemare la donna incinta sul divano – in questo modo poterono appurare che si trattasse davvero di casa sua, grazie a una foto appesa al muro che ritraeva lei e un uomo prestante con tanto di barba e capello bruno.
«Si è affaticata. Sembra mancare poco al parto.» Spiegò Nimue, intenta a controllarle il battito.
«Perché diavolo se ne va in giro, allora?» Fece Lily. «Non dovrebbe rimanere a riposo e cose simili?»
Nypha si guardò attorno. La casa era stata concepita per almeno due persone, eppure dalle stoviglie lasciate nel lavandino e dai vestiti appesi era chiaro che la donna vivesse da sola da tempo, ormai. «Forse suo marito l’ha lasciata.»
«Non penso.» Asserì Killian, sbucando in soggiorno all’improvviso facendola sobbalzare. Da dove spunta? «Ho fatto il giro della casa e una donna sola non lascerebbe mai la foto del matrimonio sul comodino accanto al letto se fosse stata abbandonata.»
«L’hai dedotto solo da questo?» Naevin era scioccato.
Killian ridacchiò. «No. Anche da questo.» E mostrò loro un libricino. E alla domanda del Lakad, il mago dell’Aurora disse che si trattava di un diario di sfogo. «Suo marito è stato rapito dagli scagnozzi di Kiel, il Master di Goblin Thief
 

 
§

 
 
Aspettarono pazientemente che la donna si riprendesse. Fuori dall’abitazione, Diana si era dedicata all’accensione di un piccolo falò cosicché potessero scaldarsi e cucinare qualcosa, mentre Hydra aveva abbeverato i cavalli.
Naevin si era munito di frecce ed era tornato con due fagiani e un bel po’ di frutta tipica dei boschi del luogo, seguito da una Lily che per la prima volta aveva potuto assistere a una vera battuta di caccia. Intanto, la donna si era svegliata e se prima aveva avuto timore di fronte a così tante facce sconosciute, bastò la voce calma della giovane dottoressa e il sorriso incoraggiante di Rehagan perché non avesse più dubbi.
Raccontò ai due cos’era successo giusto un mese prima e mentre Nimue si assicurava che stesse totalmente bene, lo scienziato uscì di casa per spiegarlo anche agli altri.
«Kiel Reidar sta davvero esagerando.» Grugnì Naevin, spezzando un ramoscello tra le mani. «Perché diavolo ha bisogno di uomini? Non ha già una gilda intera che esegue i suoi ordini?»
«A quanto ci ha raccontato Ysami, sta cercando qualcosa nelle miniere e ha bisogno di persone che lavorino al posto dei suoi.»
Si era fatta sera e i maghi si era radunati attorno al fuoco scoppiettante, a eccezione della dottoressa dell’Aurora. «C’è la possibilità che... che muoiano?» Domandò Eve.
Non avrebbe voluto risponderle, Rehagan, ma si vide costretto ad ammettere la realtà dei fatti. «Sì.»
«A quanto ne so c’è una specie molto pericolosa che vive lì dentro.» Continuò Naevin. Quell’assurda situazione era riuscita a togliergli persino l’appetito.
«Le falene vampiro.» Rehagan non perse tempo a illustrare tutte le sue particolarità, come solo un tuttologo come lui poteva fare. «Sono grandi quanto una comune falena e di conseguenza il sangue che possono ingerire è di piccole quantità, ma basta una loro puntura per andare all’altro mondo.»
Seguì il silenzio, rotto soltanto dal crepitio delle fiamme. Diana aveva preso in mano un pezzo di legno e aveva cominciato a scolpire, ignorando i pensieri dei presenti – tutte parole d’odio nei confronti di Kiel Reidar o d’apprensione per quella povera donna costretta a vivere da sola in un momento tanto cruciale.
Hydra aveva smesso di mangiare e si era appoggiato con la schiena alla ruota del carro, poco più distante dal fuoco rispetto agli altri. Aveva incrociato le braccia al petto e fissava i suoi compagni di viaggio aspettandosi di lì a poco una parola da parte del loro leader.
Non dovette aspettare poi molto, perché Killian tirò fuori la sua idea in un sospiro. «Andiamo a Gramr.»
A quel punto, successero parecchie cose. Naevin gli lanciò un’occhiata riconoscente, al che il mago dell’Aurora rise. «Riportiamo a Ysami suo marito e, intanto, liberiamoci di Kiel una volta per tutte. È uno stronzo!»
Nypha non riuscì a non sorridere. «Ok, ci sto.»
In quel momento, si udì l’uscio aprirsi e i maghi spostarono la loro attenzione su Ysami, ferma allo stipite della porta. Ora sembrava avere un aspetto migliore rispetto a quel pomeriggio – si sentiva fresca a riposata, seppur appesantita dalla pancia.
I capelli biondo cenere sfioravano le spalle e gli occhi chiari erano colmi di riconoscenza.
Li raggiunse con passo fermo e accompagnata da Nimue che, finalmente, poteva mettere qualcosa sotto i denti dopo aver trascorso le ultime ore di luce a prendersi cura di lei. «Vi ringrazio per avermi aiutata. Se non fosse stato per voi...»
«È presto per ringraziarci, Ysami.» Esclamò Killian, su di giri. «A dire il vero, non ce n’è neanche bisogno.»
Avrebbero voluto dirle del piano ma a tutti loro era sembrato troppo crudele illuderla. Prima dovevano essere sicuri che Abel fosse ancora vivo e che stesse bene prima di accennarle una cosa del genere – il dolore sarebbe stato doppiamente più forte.
Ragion per cui, di tacito accordo decisero di non dire nulla.
Se la loro “missione” fosse finita bene, per Ysami sarebbe stato il giorno più felice della sua vita. O quasi. Insomma, il più felice dopo la nascita del suo bambino o della sua bambina.
Dopo cena, la donna tornò in casa e si vide costretta ad accettare di lasciare fuori i suoi salvatori su loro esplicita richiesta. Gli unici ad accettare un posto più comodo furono Nimue – per ovvie ragioni mediche – e Rehagan, che dopotutto aveva alcune cose da fare, studi da completare.
Lily andò a rannicchiarsi nel carretto e accanto a lei, Eve sembrava intenzionata a prendersi tutto lo spazio a sua disposizione, spingendo Nypha contro i sedili. Alla fine, la cacciatrice di taglie si vide costretta a uscire e a sperare di trovare un angolo dove poter appisolarsi in santa pace. Una volta fuori, trovò Naevin spaparanzato a terra, incurante di tutto.
Come si vede che è abituato a dormire all’aperto... lo fa con una serenità invidiabile.
Poco distante, c’era Diana. Dormiva anche lei con il braccio a farle da cuscino. Era tutta rannicchiata su se stessa e in un primo momento Nypha pensò che avesse freddo, ma poi la vide scuotere leggermente la testa.
Sembrava stesse avendo un incubo ma non osò svegliarla. L’ultima volta che ci aveva provato, lei per poco non le rompeva il polso in una stretta mortale!
Dovrebbe rilassarsi un po’ di più, è sempre sul chi va là, si ritrovò a pensare.
Killian non c’era, forse era entrato in casa. E poi vide Hydra.
Era esattamente lì dove l’aveva lasciato prima di andare a coricarsi nel carro. Era seduto contro il tronco di un albero, un po’ più distante rispetto agli altri e rispetto al piccolo fuoco che andava via via spegnendosi.
Prese una coperta e lo raggiunse.
Si inginocchiò accanto a lui e gli tolse il cappello a tre punte che era sul punto di cadere. Glielo appoggiò di fianco alle gambe e fece per coprirlo con la trapunta leggera ma quando i suoi occhi tornarono sul suo viso si accorse che la stava guardando.
Ah... quindi non stava dormento, appurò.
«Scusa, ti ho svegliato?»
Hydra scosse la testa e stiracchiò la schiena prima di abbandonarsi di nuovo contro l’albero. «Non riesci a dormire?»
«Con Eve che scalcia e Lily che parla nel sonno... non proprio.» Confessò divertita. L’espressione del marinaio si fece scura ma al tempo stesso esasperata, al che lei scoppiò a ridere – ma cercò comunque di farlo a bassa voce per non svegliare gli altri. «E tu come mai ti sei messo qui? Non hai freddo?»
«Tanto a breve si spegnerà.» Disse, accennando al fuoco.
Nypha annuì, come a non volergli dare tutti i torti, e senza aggiungere nient’altro si andò a sedere accanto a lui. Neanche il tempo di un sospiro che già rabbrividì.
Ma ciò che la lasciò basita fu l’invito di Hydra ad alzarsi un attimo. Fece come richiesto e lo vide scostarsi di dosso la coperta, poi la prese per il polso e la tirò verso di sé, costringendola a sedersi in mezzo alle sue gambe. «Avresti dovuto prendere una coperta più grande.» Si azzardò a dire, trattenendo una flebile risatina.
Infine, il marinaio stese nuovamente la trapunta ma questa volta coprendo entrambi.
Nypha arrossì di botto e in un primo momento non riuscì a non pensare che, abbandonandosi completamente, avrebbe aderito la schiena contro il petto massiccio del ragazzo – per questo restò rigida e dritta come fosse una sedia. Poi, però, considerò che la cosa non le sarebbe affatto dispiaciuta.
Ma non fece in tempo a seguire il suo istinto che Hydra se la strinse addosso, piccato. «Ogni volta ti comporti sempre come fosse la prima.» Asserì, mettendosi più comodo contro il tronco. «Non pensarci e dormi.»
E Nypha, semplicemente, si accoccolò.
 

 
§

 
 
All’alba, Lily fu svegliata da degli scossoni. E la voce assonnata e infastidita di Orias non fu affatto d’aiuto. «Ti prego, uccidila
Aprì gli occhi di scatto e inveì contro la maga di Bosco che aveva deciso di svegliarla in un modo assai poco convenzionale: scuotendola così tanto da rischiare di staccarle la testa dal collo a causa del colpo di frusta.
«Che cazzo vuoi di prima mattina?!» Sbraitò in collera ma Eve le tappò la bocca intimandole di non fare casino. Aveva gli occhi sgranati – occhi che avevano visto cose assurde e compromettenti – e un sorriso che andava da un orecchio all’altro che Lily giudicò inquietante. Lily. Quella che, quando accennava un sorriso, metteva in bella mostra le sue adorabili zanne.
Quando Eve le liberò la bocca, solo allora riuscì a formulare una frase di senso compiuto e che non contenesse almeno venti parolacce. «Devi vedere una cosa ora
E uscì, lasciandola ancora intontita e mezza addormentata.
Alla fine, sebbene non avesse alcuna voglia di dare corda a una che l’aveva tolta dal mondo dei sogni in quel modo, decise di seguirla. Una volta giù dal carretto, Eve la prese per le spalle e la fece camminare fino a un punto preciso, sussurrandole all’orecchio di non parlare altrimenti li avrebbe svegliati.
Svegliati chi? E poi... eccoli.
«Santa... Madre... di Dio...» Ora capiva tutto. Ora capiva la fretta che aveva Eve di mostrarle il delizioso quadretto.
E la rossa era ancora su di giri, tanto che cominciò a saltellare sul posto. «Chi ha una macchinetta fotografica?»
Lily rispose senza pensarci due volte. «Nimue.»
«Corro a prenderla!»
Giusto in quel momento, si trovò a passare Rehagan, con un bel paio di borse sotto agli occhi a causa della nottata passata in bianco a leggere e fare esperimenti. «Che succede?»
La corvina gli fece segno di tacere e con la stessa mano gli indicò il fatto incriminato. Anche lo scienziato rimase di stucco, dopodiché si tappò la bocca per evitare di ridere.
«Ecco la macchinetta!» Sussurrò Eve, di ritorno. E scattò almeno una decina di foto dalle più disparate direzione perché – a suo dire – il momento doveva essere immortalato nella sua interezza. «L’ultima me la tengo come ricordo di questo meraviglioso viaggio.»
«È strano che non si siano ancora svegliati.» Rehagan s’inginocchiò e sventolò la mano davanti alla loro faccia. Niente.
Al che Eve mise da parte la macchina fotografia per sollevare il mento, fiera della sua deduzione. «Chissà cos’avranno combinato stanotte invece di dormire...»
Lily finse un conato di vomito. «Ti prego. No
«Perché?»
«Avrebbero potuto invitarmi, comunqueSta’ zitto.
Poi, finalmente, si udì uno sbadiglio. Nypha si stava svegliando e, intanto, si stiracchiò verso l’alto, lasciando altresì scricchiolare le ossa di collo e spalle. Si accorse dei tre spettatori solo dopo essersi strofinata gli occhi. «Ma che paura! Che state facendo?»
Eve sollevò le spalle. «Niente di che. Assistiamo soltanto al risveglio dei due piccioncini.»
In un primo momento, non sembrò capire. Poi capì. E le guance s’imporporarono d’imbarazzo. Scostò la coperta in fretta e furia e tentò di alzarsi ma non tenne conto di una cosa.
Nel corso della notte, Hydra aveva fatto scivolare il braccio attorno alla sua vita. Era stata arpionata e nel ricadere all’indietro, gli finì letteralmente addosso. Gridarono entrambi: lei di sorpresa, lui di dolore perché non si aspettava di ricevere un colpo all’inguine di prima mattina.
Poi anche lui si accorse del trio guardone. E venne accecato da un flash.
Lily scoppiò a ridere, seguita a ruota dallo scienziato che finalmente poté dar libero sfogo alla sua voce, non dovendo più temere di poterli svegliare.
«Queste foto varranno un capitale.» Asserì Eve, orgogliosa dell’ottimo lavoro svolto.
«Non è come-» Cercò di dire Nypha ma vide apparire Nimue alle spalle della rossa con la sua solita espressione.
La dottoressa riprese possesso della propria macchinetta e ordinò che non venisse distrutta – il suo sguardo indugiò sul marinaio, come a volerlo mettere in guardia.
Lily si limitò a un’alzatina di spalle. «Ha la passione per la fotografia.» Detto ciò, si dileguò, seguita a ruota da Eve e da Rehagan – nessuno dei tre voleva davvero incappare per sbaglio nelle mani di Hydra e fare una brutta fine.
Intanto, Nypha era riuscita a rimettersi in piedi e a causa dell’imbarazzo era riuscita appena a dargli il buongiorno che l’attimo dopo era sparita in casa. Una volta dentro, trovò giustappunto Eve che aveva deciso di preparare una colazione abbondante con ciò che il Lakad aveva raccolto nel bosco e con alcune cose offerte da Ysami.
Quando vide l’argentea entrare non si lasciò sfuggire l’occasione per continuare a prenderla un po’ in giro. Nypha, di tutta risposta, si morse le guance per l’imbarazzo. «Ti giuro che non abbiamo fatto niente!» Esclamò.
Ma la rossa continuò. Era chiaro che non avessero fatto niente, ma era così divertente vederla trasformarsi in un pomodoro! «Sì, ceeeerto. Come no.»
«Te lo giuro!»
«Cosa giuri?» Domandò Killian, entrando in casa.
A quel punto, Eve rispose al posto suo. «Sta giurando che lei e Hydra non hanno fatto sesso selvaggio in mezzo al fogliame.»
«Ma non è vero!»
«Oh, però. Io non lo farei mai in un bosco. Troppi insetti.»
Nypha gonfiò le guance e, incapace di dire altro – complice anche l’atteggiamento ilare della coppia di stronzi –, decise di andare a salutare la padrona di casa. Tutto pur di non starli a sentire.
Subito dopo, i due scoppiarono a ridere.
Killian riuscì a stento a tirare fuori dalla credenza la confettura di albicocche tant’era preso dal momento. «Tu hai una pessima influenza su di me. Prima non ero così.»
«A me risulta che ti sia sempre divertito a prendere in giro le persone, capo
Lui prese un respiro profondo, riprendendo fiato. «Non così apertamente come fai tu.»
Eve sogghignò e tornò a cucinare, lasciando in sospeso la questione. La colazione che ne uscì fuori era da veri re – roba che Ysami per poco non scoppiò a piangere davanti a tutto quel ben di Dio. Mangiarono a sazietà e in prossimità del carro, così da far trascorrere alla donna qualche momento all’aria aperta.
Aspettarono che Ysami rientrasse a prendere una cosa, dopodiché analizzarono a dovere la situazione.
«Ok. Chi va?» Domandò Rehagan, senza esitazione.
Fu la rossa a fare una proposta. «Ci affidiamo alla sorte?»
In breve tempo Naevin recuperò otto bastoncini di legno, cinque dei quali più corti di altri. Quando fu sicuro di averli perfettamente stretti nel suo pugno, annuì e gli altri poterono prenderne uno a testa.
«Bene.» Asserì Killian. «Le squadre sono decise! Lily, Naevin, Hydra, Nypha e Diana andranno a dare una bella lezione a Kiel. Noi, invece, resteremo qui con Nimue e Ysami.»
La cacciatrice di taglie sollevò una mano, segno che aveva qualcosa da dire. «Se posso... vorrei poter cercare un luogo dove poter sparare in tranquillità. Sono solita combattere sulla lunga distanza e in mezzo al caos non potrei mai riuscire a prendere bene la mira.»
Il mago dell’Aurora annuì, compiaciuto. «Sì, certo. Diana ti coprirà.»
Al che la più giovane corrucciò la fronte. «Perché io?»
«Perché chiunque possa anche solo pensare di colpire il nostro cecchino alle spalle, tu sei più che sufficiente per abbatterlo. Contiamo su di te!»
E alla fine, così fu deciso. Per l’occasione, Nypha indossò la sua “divisa”: una tuta in spandex nera molto – tanto – aderente e scarpe dello stesso colore adatte a qualsiasi tipo di terreno. Una volta finito di cambiarsi nel bagno di Ysami, fece per uscire ma qualcun altro spalancò la porta per lei.
Hydra era lì con un cipiglio quasi adorabile. «Lo sapevo.»
«Che cosa?» Fu allora che notò che il moro avesse entrambe le mani impegnate da... stracci? No, erano una giacca a maniche corte e una... sciarpa, forse. Entrambe nere.
Non fece nemmeno in tempo a chiedere spiegazioni che Hydra le intimò di indossare il primo indumento mentre lui stesso si apprestava ad annodarle il pezzo di stoffa in vita.
Poi, non ancora soddisfatto del risultato, tolse la sciarpa e, anzi, alla allacciò i bottoni della giacca.
«Perché mi hai dato questa?» Domandò, indicando l’indumento che aveva indosso.
Allora, Hydra le rivolse un’occhiata scocciata. «Quella dannata tuta che ti ostini a mettere per il lavoro lascia ben poco all’immaginazione. Così va meglio.» E tornò dagli altri con l’animo più leggero.
Nypha abbassò lo sguardo e, in effetti, con quella giacca a doppio petto, le curve del suo corpo erano state nascoste; sedere compreso. Seppur un po’ emozionata per questa cosa, la cacciatrice di taglie era pronta.
Partirono immediatamente – non prima di aver ricevuto da Rehagan un antidoto contro le punture delle falene vampiro da somministrare rigorosamente a meno di cinque minuti da un’eventuale puntura.
 

 
§
 

 
Avevano lasciato Nypha e Diana in un punto strategico, dopodiché si erano incamminati. Da lontano, sembrava che la cava fosse ben sguarnita – in parole povere, farsi largo con la forza non sarebbe stato un problema.
Nascosti dietro la prima fila di alberi, Lily, Naevin e Hydra diedero un’occhiata veloce. Il loro piano era assai semplice, in realtà. Andare dritti e annientare chiunque li ostacolasse.
Da un lato dell’ingresso alla miniera, c’era una costruzione precaria, una specie di tettoia dove circa dieci uomini erano stati ammanettati al palo centrale: tutti uomini grossi e muscolosi, ma con in viso un’espressione ingrigita e per nulla serena.
Dall’altro lato c’era una tenda scolorita. «Qualcuno sarà stato punto e portato lì dentro.» Suggerì, inviperita. «E comunque non sembrano esserci maghi.»
Il marinaio annuì, d’accordo con la sua ipotesi.
Fosse stato per me l’avrei lasciata a suo fratello ma lui ha tanto insistito...
E, in effetti, Killian l’aveva pregato di far squadra con lei in quanto – parole sue – sarebbe stata un’ottima occasione per imparare a collaborare. Che Lily fosse restia a stargli accanto era palese. Lui, semplicemente, avrebbe preferito vedersela da solo.
«Sono degli incompetenti.» Alitò, critico. Gli uomini di Kiel erano sparsi un po’ ovunque, a caso, nello spiazzale.
La corvina annuì. «Almeno siamo d’accordo su qualcosa.»
«Ho un brutto presentimento.» E non servì dirsi d’accordo con il Lakad, perché dalle loro espressioni, anche gli alti due avevano avvertito qualcosa di strano. Ma non avevano tempo per pensare: dovevano salvare Abel e tutti gli altri prigionieri.
Lily uscì fuori dal bosco per prima e si lanciò alle spalle di un tizio, atterrandolo e bloccandolo a terra con i suoi artigli. Immediatamente, fu dato l’allarme.
Naevin approfittò della lontananza per scoccare una freccia al tipo accanto alla tenda e subito dopo evocò la frusta di spine che arrotolò attorno alla testa del bo.
La sua tecnica col bastone era impressionante e in pochi secondi riuscì a mettere fuori gioco quattro uomini che avevano pensato di circondarlo e sfruttare la superiorità numerica. Intanto, quelli che avevano preso “di mira” Hydra non sembra stessero avendo un finale diverso – per quanto assai più cruento.
Lily si diresse verso la tenda e mollò un calcio in mezzo alle gambe di un energumeno grande il doppio di lei. Lo guardò stramazzare al suolo, schifata. «Mai viste delle schiappe simili.»
Il colpo di un proiettile magico che s’infrangeva contro un corpo la fece voltare. Un altro tizio cadde rovinosamente, sollevando un polverone. Nypha aveva cominciato a sparare e così Lily poté entrare nella tenda e assicurarsi che Abel non fosse tra i malati.
Una volta dentro, però, dovette trattenere un conato di vomito.
Ammassati in un angolo c’erano corpi in decomposizione e la puzza atroce che emanavano non le permetteva nemmeno di ragionare. Tanto che non si accorse in tempo di un uomo nascosto dietro di lei che la colpì in testa e la spinse a terra. Lily si voltò appena per poi essere pugnalata alla spalla.
«Ohi, ohi! Non t’azzardare a morire per mano di un pezzo di sterco simile, eh!»
L’uomo estrasse l’arma e fece per continuare l’operato, ma lei gli rifilò una ginocchiata allo stomaco e con una manata se lo tolse di dosso. Affannata perché si ostinava a fare piccoli respiri per non sentire quell’odore immondo, Lily si rialzò e gli diede un calcio in testa. «No che non muoio per così poco, stronzo!» Esclamò, rivolgendosi però a Orias.
Il “pezzo di sterco” svenne e così la corvina poté ispezionare la tenda. C’erano tre cadaveri ma a parte quelli non c’era nient’altro – fortunatamente, nessuno di loro assomigliava nemmeno per sbaglio ad Abel.
Lily scappò fuori dalla tenda appena in tempo per vedere un altro idiota cadere sotto i fendenti di Hydra e così la situazione si calmò.
«Fatto?» Domandò, sperando in una risposta affermativa che, sfortunatamente, tardò ad arrivare. «Che ti prende?»
Lui sbuffò. «Non è possibile che sia tutto qui.»
Entrambi si guardarono attorno e attesero in silenzio. Nulla di sospetto.
«Liberiamo loro e andiamocene.» Sentenziò il Lakad, impaziente di levare le tende.
Fu Lily a spezzare le manette – a mani nude – mentre Hydra restava in allerta accanto all’ingresso delle miniere. Una volta che tutti furono liberati, non persero tempo a ringraziarli. Tutti tranne Abel, che non c’era. «Sono entrati?! Quando?!»
Uno degli uomini – quello con i capelli scuri e un paio d’orecchini di metallo, vestito con una semplice canotta bianca e pantaloni cargo con almeno tre tasche per gamba – annuì. «Sì, erano almeno in due. Sono entrati più di mezz’ora fa e non sono ancora tornati.»
Lily imprecò e roteò gli occhi al cielo. Dopodiché si rivolse al marinaio: «Ci tocca entrare.»
«Già, lo penso anch’io.» Se fosse stato Hydra a pronunciare quelle parole non sarebbe stato meno strano. L’uomo con gli orecchini ghignò alle loro spalle e con un rapido movimento delle braccia fece schioccare tra loro i palmi delle mani, attivando il suo incantesimo.
Di colpo, la terra cominciò a ondeggiare sotto i loro piedi e il marinaio fece appena in tempo a mettere le mani sull’elsa delle sue sciabole che perse l’equilibrio e ruzzolò all’indietro, lasciandosi scappare un gemito di dolore quando qualcosa di duro lo colpì in testa. Aprì un occhio e in un breve, brevissimo istante, vide la luce del sole sparire di colpo e si ritrovò immerso nel buio.
Capendo l’antifona, scoprì l’occhio sinistro e spostò la benda su quello destro. Era dentro la cava. E dall’altra parte della roccia c’era i Lakad: «State bene?!»
Perché diavolo sta parlando al plurale?
«Porca miseria... ma che cazzo...?!» Esclamò l’ultima voce che avrebbe voluto sentire.
Nonostante la mancanza di luce, il suo occhio sinistro era abituato al buio; ragion per cui non gli fu difficile trovare la figura di Lily rannicchiata in un angolo mentre controllava che la fronte non ospitasse alcun bernoccolo indesiderato.
Ecco spiegato l’arcano: si erano dati una testata.
«Spostati dall’ingresso.» Esalò, rivolgendosi a Naevin. «Proverò a buttare giù tutto.»
Ma il Lakad gridò ancora. «Fermo! Morirete prima di riuscire ad aprire uno spiraglio! Per non parlare degli uomini che sono ancora là dentro!»
La terra tremò pericolosamente e dal soffitto della miniera presero a staccarsi alcune piccole pietre. Lily sbiancò. «Niv! Prendi a calci in culo quello stronzo e costringilo a riaprire l’ingresso!»
Ma non vi fu alcuna risposta da parte del Lakad. Al che, Hydra sospirò. «Sta combattendo.»
Lily annuì, sconfortata. «E adesso? Proseguiamo? Dobbiamo trovare Abel.» Nel dirlo, volse la testa verso la galleria che proseguiva sotto la montagna.
E Hydra, questo, lo notò. «Riesci a vedere?»
«Certo che sì. Azzarderei a dire che al buio ci vedo persino meglio.»
Allora, il marinaio prese a camminare. La superò di un paio di falcate prima di commentare. «Per lo meno non dovrò farti da balia qui dentro...»
«Come cazzo ti permetti?!»



 
§
 
 
 
Killian aprì gli occhi ancor prima che Rehagan potesse picchiettargli sulla spalla per svegliarlo. «Mi cercavi?»
Lo scienziato annuì e senza troppi convenevoli si sedette di fronte a lui, a gambe incrociate, volgendo un’occhiata veloce a Eve che riordinava le stoviglie che avevano usato per la colazione fuori. Non voleva che nessuno li sentisse.
«Il sangue di Lily non ha niente che non va.» Killian non disse niente; si limitò a starlo a sentire con estrema attenzione. «Ed è proprio questa la stranezza!»
«In che senso?»
«Il colore, la consistenza, è tutto nella norma. Ma allora perché reagisce quando entra in contatto con la verbena? Del normale sangue umano non lo farebbe. È come se avesse una specie di strana, fortissima e letale allergia nei confronti di questa pianta...»
Killian sospirò e fece spallucce. «Cosa vuoi che ti dica... il suo organismo è parecchio bizzarro.»
«È pallida da far paura e ha dei denti che non sono normali. E gli occhi grigi. Non sono solo grigi, sembrano quasi morti.» Asserì, serio. «Va contro tutte le leggi della natura.»
Era da un po’ che ci pensava.
Rehagan possedeva un’intelligenza spaventosa ed era un ottimo osservatore. Non era semplicemente uno scienziato fissato con la chimica, lui conosceva tante, tantissime cose. E questo includeva persino le leggende – quelle più antiche, quelle dimenticate.
«Mi stai dicendo che non è un essere umano?»
«Lo è in apparenza. Forse, è per questo che nessuno ha mai notato niente.»
Killian annuì ma, ancora una volta, non espose alcun dubbio, non pose alcuna domanda intelligente. E questo bastò a fargli capire una cosa. «Tu lo sapevi già.»
L’altro ridacchiò, come se avesse appena fatto notare l’ovvio.
«E Lily? Lei lo sa?»
«Certo che lo sa.» Disse, tristemente.
«E Orias? Il sangue che ho prelevato quando era lui a controllare il suo corpo non ha niente di diverso da quello di Lily. Questo prova che non c’entra niente con la condizione di tua sorella...»
Killian scosse la testa. «Per niente. Lei è così dalla nascita. A dire il vero, Orias la sta aiutando sotto quel punto di vista.» Poi, semplicemente, sorrise. «Mi dovresti fare un altro favore, Reha.»
«E cioè?»
Ma non ricevette risposta, perché udì dei passi a pochi metri da loro, oltre la prima fila di alberi. I due si guardarono e Killian annuì impercettibilmente. «Avrei dovuto immaginarmelo. Sarebbe stato meglio se almeno Niv fosse rimasto con noi...!»
Nemmeno il tempo di formulare una risposta d’assenso, che qualcosa venne lanciato nella loro direzione. Rehagan rotolò all’indietro e si rimise in piedi, congiungendo le mani ed evocando Arya.
Il mago dell’Aurora sbuffò e volse una veloce occhiata in direzione di Eve che, avvertendo movimento, si era precipitata fuori. Non aspettò neanche un secondo; le ordinò di tornare dentro e di coprire loro le spalle con i suoi proiettili per niente convenzionali ma un grido improvviso proveniente dall’interno dell’abitazione lo fece sbiancare. «Oh, per l’amor del cielo!»
Eve venne afferrata per il poncho da Nimue che sigillò la porta al meglio delle sue possibilità, e indicò Ysami che, seduta sul suo divano, sembrava preda di un attacco di panico. «Che succede?»
«Deve partorire.» Nimue era sempre stata molto, molto concisa.
Eve strabuzzò gli occhi. «COSA?!»
«Deve. Partorire.»
«No, non può essere. Killian e Reha non ce la faranno mai da soli... e lei... oddio, non puoi partorire adesso!» Strillò, agitandosi.
Ysami singhiozzò. «Non credo di poterlo trattenere arrivata a questo punto!»
Nimue l’afferrò per le braccia e la costrinse a guardarla negli occhi. La rossa si accorse in quell’istante di aver smesso di respirare e allora inspirò forte. «Devi aiutarmi, ti dirò io cosa fare.»
«Ci stanno attaccando, Nim. Non so il perché ma ci stanno attaccando e Reha è-»
«Praticamente da solo, lo so benissimo. Killian non gli sarà di alcuna utilità ma tu mi servi qui, quindi... datti una mossa.» Rabbrividì. Semplicemente, rabbrividì.
La dottoressa mollò la presa e si accostò a Ysami, aiutandola ad alzarsi; doveva portarla in camera da letto. E, intanto, Eve sbatté le palpebre, ritrovando il senno perduto. Sospirò pesantemente e annuì, come per darsi un contegno. «Ok.» Si disse.
Salì al primo piano e, affacciandosi alla finestra del bagno, vide Killian intento a schivare quelli che sembravano shuriken. «Ehi! Tratteneteli che qui abbiamo da fare! Non fate entrare nessuno!» Detto ciò, creò un cerchio dorato che sparò in direzione di un mingherlino tutto pelle e ossa. «Ci siamo capiti?!»
Reha annuì, ben conscio che non sarebbe stato affatto un pomeriggio tranquillo.
Al che, Eve chiuse la finestra e – abbandonato il poncho su una sedia lì vicino per stare più fresca – si avvicinò a Ysami. Le sorrise cercando di rassicurarla, poi si rivolse a Nimue: «Che devo fare?»

 
 
§
 

 
Poco prima, da Nypha
 

Sparò il primo colpo e Nypha accennò un sorriso.
Da quella distanza, sarebbe riuscita a coprire le spalle ai suoi compagni in maniera egregia e – perché no? – sarebbe anche riuscita a farli fuori tutti ma aveva come il sentore che Lily non l’avrebbe presa bene. Alle sue spalle, Diana ascoltava i rumori della foresta, vigile.
Non avevano spiccicato neanche una parola. La cacciatrice di taglie era stesa a pancia sotto, il fucile carico e pronto al prossimo colpo. Riuscì a vedere Lily entrare nella tenda, mentre Hydra e Naevin si occupavano di quelli fuori.
Sembrava andare tutto per il meglio, eppure aveva una strana sensazione. Erano stati rapiti degli uomini – uomini grossi quanto Hydra, quanto il Lakad –, com’era possibile che nessuno di loro fosse riuscito a ribellarsi fino ad allora? Forse a prenderli era stato qualcun altro. Forse dovevano temere l’arrivo di qualcuno più... forte?
Ma non andò avanti con il ragionamento perché udì Diana lasciarsi andare a un’esclamazione parecchio colorita. «Hai sentito qualcosa? Si sta avvicinando qualcuno?»
Diana aveva gli occhi sgranati e aveva il viso rivolto alla fitta foresta che le circondava. «Ho sentito qualcosa ma... no, nessuno si sta avvicinando.»
«E allora, cosa?»
Ma Diana sembrava essersi ammutolita. Sembrava aver sentito qualcosa che doveva averla terrorizzata a morte perché Nypha vide le sue mani tremare.
Per un attimo, lasciò perdere il fucile. «Tutto bene?»
Aveva come la sensazione che ci fosse qualcosa, qualcuno che Diana non avrebbe dovuto – o voluto? – sentire. Allora, provò a farsi spiegare. Perché, se non capiva, Nypha non avrebbe potuto aiutarla.
«Non è niente.» Continuò a dire la più giovane, imperterrita.
«Diana, non ti giudicherò, lo sai. Se a portarti qui è stato qualcosa di diverso dalle fate, puoi dirlo…» Fece una pausa, capendo che così non avrebbe ottenuto nulla. «Tu vuoi andare a controllare, vero?»
Fu allora che Diana si girò a guardarla. C’era urgenza nel suo sguardo e sembrava davvero pronta a scattare nella direzione in cui aveva sentito quel qualcosa. E lo fece.
Corse via senza dare alcuna spiegazione e all’argentea non rimase che guardarla sparire tra gli alberi.
Sospirò, Nypha. Chissà cosa la turba. Chissà cosa le prende. E con questi pensieri nella testa, tornò a concentrarsi sui suoi tre compagni.
Quella sensazione di turbamento non accennava ad andare via e, anzi, s’intensificò quando li vide indugiare accanto agli uomini appena liberati. Da lì, l’unica cosa che avrebbe potuto fare era tenere d’occhio l’entrata e accertarsi che nessuno li chiudesse in trappola.
Non possono essere così stupidi da lasciare i loro “schiavi” in mano a gente incompetente. Ho una brutta sensazione.
«Wow. Hai proprio una bella mira!»
Nypha non aspettò neanche un secondo e puntò la sua pistola alla fronte della nuova arrivata. Ma quest’ultima, anziché preoccuparsi di avere la canna di un’arma da fuoco a pochi centimetri dalla testa, ridacchiò divertita. La cacciatrice di taglie si chiese come avesse fatto a non accorgersi della sua presenza – se l’era ritrovata distesa accanto a lei, con la tempia appoggiata al pugno chiuso e un sorrisetto infantile a illuminarle il viso gioviale.
Chi diavolo era? Perché era lì? Che fosse una sottoposta di Kiel Reidar?
Ma non ebbe il tempo di dire alcunché, perché la ragazza le soffiò in faccia una strana polverina che la costrinse ad alzarsi di scatto. Nypha tossì e tentò di ignorare il bruciore agli occhi, continuando a tenerla sotto tiro.
Quella si alzò con tutta calma continuando a ridacchiare. «Come mai sei da sola? Non c’era qualcun altro con te?»
«Chi sei?» Nypha la seguì, alzandosi in piedi; la nuova arrivata era leggermente più bassa di lei.
Gli occhi viola erano grandi e radiosi. I capelli rosa non arrivavano alle spalle ed erano piegati in soffici boccoli che le davano un’aria sbarazzina. Non sembrava affatto un nemico, più una maga bambina. «Io mi chiamo Emilia, piacere!»
Nypha corrucciò la fronte, asciugandosi le lacrime che minacciavano di uscire. Con gli occhi annacquati a causa di quella brutta irritazione non riusciva a vederla nitidamente e tra loro non passavano neanche tre o quattro metri. «Ti ha mandata Kiel?»
«Oh, no. Lui non ha alcun potere su di me. Sono venuta di mia spontanea volontà. Volevo conoscervi.» Intanto, Nypha tirò fuori la sua seconda pistola. «Ma ho pensato di cominciare da te. Mi sembri un tipo simpatico.»
Non appena finì di parlare accaddero due cose. Innanzitutto, una nube aranciata avvolse Emilia dalla testa ai piedi, facendola sparire alla vista. Nypha si guardò in giro, spaventata che potesse coglierla alle spalle – era esattamente per quel motivo che un cecchino non doveva mai, mai essere solo. Per un attimo, si maledì per aver permesso a Diana di allontanarsi. Avrebbe dovuto correrle dietro.
La seconda cosa che accadde fu del tutto inaspettata: un coltellino le si conficcò nell’avambraccio e dall’intenso bruciore Nypha lasciò cadere la pistola. Non è normale questo dolore... sarà veleno?
«Sei in pensiero per qualcuno e questo ti distrae.» Esclamò Emilia, apparendo affianco a lei, a un palmo dalla sua spalla.
La cacciatrice di taglie si voltò e sparò un colpo ma della ragazza neanche l’ombra, si era già volatilizzata in una nuvola di fumo colorato. Fumo che puzzava di morte.
Fu allora che Nypha se ne rese conto. Il suo corpo si fece più pesante e i suoi riflessi rallentati; per questo, non riuscì a evitare il secondo coltellino con cui venne colpita all’altro avambraccio. Tossì ancora e, seppur gli occhi avessero smesso di lacrimare, c’era ancora qualcosa che non andava.
Le gambe divennero di gelatina e dovette appoggiarsi a un tronco d’albero per non scivolare rovinosamente al suolo. Dopodiché, Emilia tornò di fronte a lei con un sorriso che andava da un orecchio all’altro – la sua espressione pura e giocosa dava l’idea di una ragazzina tutta presa da un gioco innocuo e per nulla mortale.
«Tranquilla, le ferite non sono mortali. E questo veleno non ti ucciderà.»
Non sapendo più cosa fare per tenere lontani lei e i suoi fumi, Nypha tentò di tirarle un calcio ma l’altra schivò agilmente la sua gamba con una risatina, avvicinandosi ancora di più. Recuperò i due coltellini strappandole un gemito di dolore e le tirò una ginocchiata allo stomaco, costringendo l’argentea a crollare in ginocchio. Tutto succedeva con una velocità e una semplicità spaventose.
Nypha non riusciva a credere di essersi fatta sconfiggere così facilmente, non riusciva a capire come ragionasse quella ragazza!
«Sei confusa? Lo capisco, sai? Un essere umano come te non può mica capirmi.»
Un essere umano come me...?
Emilia l’afferrò per le spalle e le diede una piccola spinta cosicché Nypha finisse seduta ai piedi dell’albero. Le si inginocchiò davanti e le sorrise. «Forse mi sbagliavo. Non sei così pericolosa come pensavo. Non da vicino, almeno.»
«Che cosa vuoi?» Gracchiò, dolorante. Le gambe erano andate, non se le sentiva neanche più – avrebbero potuto tagliargliele e non se ne sarebbe neanche accorta. «Perché tu e il tuo gruppo siete a Cortana? Cosa volete da questo regno?»
Emilia inclinò la testa di lato, incuriosita. «Sei arrabbiata?» E, naturalmente, Nypha non capì dove volesse andare a parare con quella sua domanda. «O sei... preoccupata? Hai un cuore interessante.»
Ma cosa sta dicendo?
«E se ti dicessi che dopo aver finito con te andrò ad avvelenare tutti i tuoi amici?»
Nypha sgranò gli occhi e fece per avventarsi su di lei ma Emilia usò i coltellini per inchiodarle le mani al tronco – la cacciatrice di taglie urlò di dolore e per un attimo si dimenticò di come si respirava. Non poteva permetterle di raggiungere gli altri – non poteva permettere che li uccidesse.
Anche soltanto immaginare Hydra mentre non riusciva a muoversi come avrebbe voluto, affaticato e debilitato a causa di quei fumi, le faceva male al cuore.
E fu allora che Emilia scoppiò a ridere. «Non ci credo! Tu sei innamorata!»
Di scatto, l’argentea sollevò gli occhi verdi su di lei, allibita.
«E chi è il fortunato? Dai, dai, raccontami! Vedrò di chiudere un occhio con lui, ok?»
«Come fai a...?» Ma non terminò la frase perché l’altra spinse le lame dei coltelli più in profondità. Strinse i denti e trattenne un grido.
«Come faccio? Io so leggere i cuori delle persone!» Disse, entusiasta. «Ma adesso basta o Betty mi darà per dispersa! Mi occuperò dei tuoi amici un’altra volta.»
La cacciatrice di taglie non lo diede a vedere ma sospirò di sollievo.
«Però, sai, quasi quasi lascio loro un regalino.»
Il cuore mancò un battito. «Non ti azzardare…!» Sibilò, con la poca voce che le era rimasta.
«Tranquilla, non mi avvicinerò nemmeno a loro. Il mio regalino sei tu.» E senza neanche darle il tempo di capire cosa intendesse, Emilia catturò le sue labbra in un bacio voluttuoso.
Nypha sgranò gli occhi e tentò di liberarsi ma il corpo non rispondeva ai comandi, muovere le mani era diventato impossibile a causa di un insano bruciore. Sentì qualcosa di liquido scivolarle in gola – veleno, si disse – e solo dopo che fu costretta a ingoiarlo, Emilia si staccò dalla sua bocca con una certa euforia.
La cacciatrice di taglie tossì un paio di volte per poi scoccarle un’occhiata omicida.
«Oh, wow. Mi ricordi Betty quando è arrabbiata!» Disse, scoppiando nuovamente a ridere.
Dopodiché le fece ciao-ciao con la mano e sparì tra gli alberi, lasciandola lì, con ancora i coltellini conficcati nella carne. Nypha cercò di liberarsi ma il dolore era troppo forte, troppo.
La parte inferiore del corpo era addormentata, quella superiore bruciava in ogni parte. La vista si sfuocò; i suoni si fecero ovattati. Le sue pistole erano abbandonate a pochi passi da lei e non poteva raggiungerle, non avrebbe potuto sparare un colpo di segnalazione e avvertire gli altri. Non poteva muoversi. Non riusciva a muoversi.
Si sentiva sempre più debole, sempre più stanca. Il cuore era in fiamme.
La sua pelle chiara e priva di imperfezioni cominciò a macchiarsi a cominciare dalle braccia, dalle ferite aperte. Divennero violacee e sempre più doloranti, tanto che Nypha tirò una flebile testata al tronco per cercare di non pensarci.
E se solo avesse potuto, se ne avesse avuto la forza, avrebbe urlato il nome di Hydra. Ma il suo fu poco più che un sussurro.


 
 
 











 

 
 
Ditelo che non ve l’aspettavate! L’estate mi uccide ma questa volta sono riuscita ad aggiornare!

Eh già. Eh già. Prima Ella. Poi Royal. Adesso Nypha.
Io vi avevo avvertiti che li avrei fatti soffrire...! ^^

Insomma... Nypha è mezza morta con dei coltellini piantati nei palmi; Ysami è in travaglio; Eve è alle prese con una donna che sta per partorire e non ha la minima idea di cosa fare; Reha è praticamente da solo (Killian non serve a niente, ammettiamolo!); Killian è spacciato; Lily e Hydra sono costretti a collaborare... oddio, che orrore; Naevin è anche lui da solo ad affrontare quello che si è finto un ostaggio; e Diana? Azzarderei a dire che nemmeno lei se la sta passando bene. Per niente.

Ma non aggiungo altro. Si saprà tutto nel prossimo capitolo!

E ho finalmente scovato un prestavolto per la nostra simpaticissima Emilia!

EMILIA ► https://s1.zerochan.net/Ebisu.Kofuku.600.1699770.jpg


In tutto ciò... questo non è niente! Ho in mente tante di quelle cose... mi faccio paura da sola.

Curiosità n.21 ► Questo capitolo è cambiato parecchio dall’idea iniziale. Innanzitutto, la scena finale non doveva esserci – doveva essere posticipata al prossimo. Ysami doveva chiamarsi Ysabel. Lily e Hydra non dovevano finire bloccati nella miniera – Hydra non doveva proprio esserci. Come Eve, anche Reha veniva eletto “aiuto infermiere per un giorno”. Il dialogo tra Killian e Reha non doveva esserci – nemmeno per sbaglio.
Meglio l’idea originale o questa nuova “versione”?

Curiosità n.22 ► In relazione al capitolo precedente: Killian, Wiles e Royal parlottano molto spesso al bandone del bar. Wiles non perde occasione per metterli al corrente delle sue disastrose storie d’amore, finendo per venir preso in giro dal Master; quest’ultimo ha smesso da tempo di vantarsi delle sue conquiste per ovvie ragioni – ringraziamo tutti Clizia per essere riuscita a fargli mettere la testa a posto; Killian è sempre stato il più restio a esprimersi al riguardo ma quelli sanno bene come fargli svuotare il sacco. Una volta hanno provato persino a includere Alastor nei loro discorsi... inutile dire che il topo di biblioteca ha preferito immergersi con la testa in un libro piuttosto che starli a sentire.

Passo e chiudo. Alla prossima!

Rosy


 

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Capitolo 14
*** ► 13. Come un pendolo che oscilla... ***



CAPITOLO 13. Come un pendolo che oscilla...
 
 



 
Si fermò davanti a quello che sembrava un rifugio troppo piccolo per poter ospitare tutte le persone che aveva visto entrarvi. Diana drizzò le orecchie e udì i loro passi sprofondare verso il basso.
È una specie di bunker scavato sottoterra. Pensò.
Inspirò ed espirò lentamente, cercando di calmare il cuore che batteva all’impazzata. Non sarebbe riuscita a sentire niente con tutto quel fracasso – e dopo qualche istante, li udì parlare chiaramente.
«Fa’ attenzione, idiota. Mi hai pestato il piede!»
 
«Dobbiamo avvertire il capo.»
 
«E perché mai? Ci scannerà vivi se gli diamo un’informazione campata per aria!»
 
«Potresti anche fare un po’ più di luce con quella torcia, eh.»
 
«Siamo sicuri che sia lei?»
 
«Non posso mica andare a chiederglielo! Lo sai, mi scoprirebbe.»
 
«Però è quello che ha detto lui. Se ne occuperà Dyaspro.»
 
Non seppe grazie a quale forza d’animo, Diana riuscì a rimanere in silenzio. Il corpo fremette e le guance sbiancarono tanto da farla sembrare morta. Tenne lo sguardo basso, puntato sulle foglie secche sparse ai suoi piedi e deglutì a vuoto, terrorizzata come mai prima di allora.
Non può venire qui. No. No. No.
Aveva cominciato a non capire più niente da quando aveva udito le voci di quelle persone nominarlo in mezzo alla boscaglia. Aveva lasciato Nypha da sola ed era corsa in direzione di quegli uomini perché doveva essere certa che non avesse sentito male, che non fosse solo un brutto scherzo.
E, invece, aveva scoperto che quelli lì lavoravano davvero per Dyaspro. Verrà qui a Damocles.
Fu più forte di lei, Diana si acquattò contro la porta del rifugio e, una volta sicura che tutti fossero scesi al “piano interrato”, entrò facendo molta attenzione a non fare alcun passo falso. Il suo sguardo cadde sulla botola, l’aprì e scese le scale silenziosamente.
Ignari della sua presenza, quelli lì stavano ancora decidendo se chiamarlo oppure no.
Poi, udì il suono di uno squillo. E una risatina sommessa.
Diana arrestò il passo, come fosse stata congelata fin dentro le ossa.

 
«Mi state dicendo che l’avete trovata? Ne siete sicuri?»
 
«Ehm. Sì, signore. È senza alcun dubbio la persona che cercate.»

Seguì un istante di silenzio, un istante che alla ragazza parvero secoli. E poi, eccolo.
Dyaspro fischiettò; era al settimo cielo.

«Sto arrivando!»
 
La comunicazione terminò e Diana si sfregò i palmi delle mani sulle braccia. Sentiva freddo, un freddo tremore di morte l’attraversava e per un attimo rivide tutto: il fuoco, il massacro. L’odore acre del sangue le impregnava le narici e la gola e rischiò davvero tanto a trattenere un conato di vomito.
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Era talmente concentrata a imprecare silenziosamente – e a cercare di riprendere il controllo dei suoi respiri – che non si accorse di una cosa importante: stavano arrivando altre persone. E quando se ne rese conto era ormai troppo tardi.
«E tu chi- Merda!» Imprecò uno di loro, quello che con in un mano una torcia illuminava la piccola galleria. Un suo compare tirò fuori una pistola magica e fece partire un colpo che Diana schivò all’ultimo secondo.
Non fu molto fortunata con il secondo proiettile che la beccò di striscio sulla spalla ma a quella mediocre distanza era pressoché impossibile restare del tutto illesi – per questo motivo decise di addentrarsi all’interno dei cunicoli. Corse fino a raggiungere la stanza sotterranea in cui gli uomini che aveva seguito avevano contattato Dyaspro e proprio mentre uno di loro apriva la porta attirato dagli spari, Diana gli calciò la faccia ed entrò.
Si guardò attorno. Le pareti erano state rivestite di pietra e c’erano una miriade di casse di legno accostate al muro e impilate l’una sull’altra. «Ma guarda un po’ chi c’è...» Ridacchiò una donna dall’alto dei suoi tacchi. Lei non disse niente – la stanza era priva di porte.
«Signora Yaga, è meglio andarcene. Tanto ci penserà il boss.»
Diana la squadrò. Anche senza quei tacchi vertiginosi, sarebbe comunque rimasta la donna più alta che avesse mai visto – al suo confronto, poteva essere definita un nano da giardino. Indossava un lungo vestito nero allacciato dietro al collo e uno spacco vertiginoso risaliva lungo la coscia destra. I lunghi capelli biondo platino erano legati in una treccia a spiga di pesce che partiva dall’alto della testa con poche ciocche a incorniciarle il viso ovale che sembrava fatto di porcellana.  
La sua testa era un groviglio di pensieri.
«E va bene.» Schioccò le dita e la porta che dava sul corridoio venne chiusa a chiave dall’esterno.
Diana li udì distintamente: stavano bloccando l’unica uscita con un incantesimo per tenerla bloccata lì. No. Il loro obiettivo era un altro.
Rabbrividì soltanto al pensiero mentre l’altra ghignò. «Buona fortuna. Ne avrai bisogno.»
Yaga, la Strega. Era conosciuta con questo nome. I suoi occhi viola si illuminarono e prima ancora che Diana potesse fare qualcosa – qualsiasi cosa – tutti presenti, meno che lei, vennero inghiottiti da una strana ombra biancastra che poi sparì riavvolgendosi su se stessa, senza lasciare traccia.
Da fuori, le voci di chi aveva appena sigillato l’unica via d’accesso si fecero più concitate: «Veloci! Andiamocene!», «Abbiamo un minuto!», «Presto o esploderemo anche noi!».
E avrebbe dovuto capirlo prima, Diana, che dentro quelle casse c’era della polvere da sparo. E non della polvere da sparo normale, ma magica... e lei era bloccata lì dentro come un topo in trappola.
Eppure... «È meglio andarcene. Tanto ci penserà il boss.» Aveva detto quel tizio. Ciò significava che c’era una possibilità. Posso uscire da qui!
Una corsa contro il tempo, ecco cos’era. Mancavano quaranta secondi.
Si guardò attorno in preda all’ansia e solo quando adocchiò una pietra rotta sul soffitto, il cuore fece una capriola.
Trenta secondi.
Tirò fuori il pugnale e si procurò un taglio sull’avambraccio. Il sangue fluì e quando le sembrò abbastanza lo utilizzò a mo’ di frusta per terminare quello che il tempo e la mancanza di attenzione da parte dei proprietari di quel posto aveva cominciato: distrusse quella piccola porzione di soffitto e sorrise. Una botola. Una fottutissima botola.
Quindici secondi.
Non si curò della ferita ma con balzo raggiunse la piccola fessura, ruppe la porticella di legno e agguantò il primo piolo della scala che conduceva all’esterno. Era stretto, troppo stretto per una persona dal fisico robusto e prorompente... ma Diana non aveva questi problemi.
Lei era piccola e non ebbe difficoltà a strisciare lungo le pareti di terra.
Dieci secondi.
Certo, il fango le stava inzozzando i vestiti. E sentiva caldo.
Il cuore batteva nel petto. Avanzava rapidamente, piolo dopo piolo, centimetro dopo centimetro. La paura di morire lì, in quello spazio angusto e deprimente l’annebbiava.
Cinque secondi.
Nelle orecchie, solo l’eco dei suoi respiri strozzati dalla tensione.
Tre secondi.
«Lucas...» Mormorò a denti stretti, con le lacrime che minacciavano di uscire. Non posso morire qui. Non prima di averlo trovato. Intanto, qualcosa – uno spiraglio di luce – attirò la sua attenzione.
E le labbra si piegarono in un sorriso.
Un secondo.
Sollevò la porticina di legno e la testa fece rapidamente capolino tra il fogliame. Poi, semplicemente, un rumore assordante la costrinse a chiudere gli occhi e a lasciarsi sfuggire un mezzo grido di dolore. Perse l’appiglio sul terreno; senza preavviso, venne sbalzata fuori e Diana si ritrovò per aria.
Avrebbe dovuto prestare più attenzione. Era stata stupida.
Aveva sentito quel nome e da quel momento non aveva capito più nulla. Aveva lasciato Nypha da sola, si era intrufolata in un posto sconosciuto da sola. E cosa aveva ottenuto? Sapere che Dyaspro stava per raggiungerla; per raggiungere lei e suo fratello.
Accadde tutto troppo velocemente: precipitò e sbatté la testa. Il corpo le faceva male; vedeva tutto nero. Era a causa della botta o era perché semplicemente aveva gli occhi chiusi?
Cazzo... Cazzo... Diana mugugnò, ben sapendo che sarebbe rimasta cosciente ancora per poco. Si sforzò di rimettersi in piedi ma non ci riuscì. Aprì gli occhi. Non riusciva a mettere a fuoco niente, complice il fatto di avere un occhio completamente ricoperto di sangue.
Avanzò strisciando fino a raggiungere un albero cavo. La pelle bruciava, i muscoli urlavano e le ossa scricchiolavano a ogni minimo movimento. Si lasciò cadere all’interno del tronco e solo lì concesse al suo corpo di rilassarsi, di scivolare nell’oblio.
Non sarebbe morta. Doveva solo riposarsi un po’. Poi, una volta tornata in sesto, avrebbe continuato a cercare suo fratello e l’avrebbe trovato prima di Dyaspro.
È una promessa, Lucas. Ti raggiungerò. Ti proteggerò. Quel mostro non ti torcerà nemmeno un capello... lo giuro.
 

 
§
 

 
Ysami lanciò un grido che quasi stonò la povera Eve.
«Cosa stiamo aspettando, esattamente?» Domandò la rossa.
«Che si dilati.»
In un primo momento non capì, Eve, ma poi vide a cosa la dottoressa stava prestando attenzione e si ritrovò a occhi sbarrati. «Oddio...»
La maga di Bosco non sapeva come riuscire a definire quella bizzarra situazione. Al di fuori imperversava la battaglia – e sperò davvero che quei due non si facessero ammazzare – e intanto, con un’austerità senza precedenti, Nimue aveva fatto stendere Ysami sul letto e le aveva divaricato le gambe. Aveva ordinato a Eve di alzarle la schiena con dei cuscini e la rossa aveva obbedito senza obiettare, consapevole che in caso contrario si sarebbe beccata un’altra ramanzina.
Ysami aveva il respiro pesate e stava già sudando tantissimo, primo segnale di ansia.
«Ehi.» Eve le prese una mano e gliela strinse. «Andrà tutto bene.»
La donna singhiozzò. «Abel- non è qui...» E non si curò di lasciarsi sfuggire due caldi lacrimoni lungo le guance. «Sarò completamente sola.»
Eve si sentì mancare ma cercò in tutti i modi di mascherare il turbamento. Voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa per farla stare meglio... ma cosa? Suo marito non era ancora tornato. Lily e gli altri non avevano ancora dato loro notizie – e se non erano ancora tornati voleva dire che c’erano stati dei problemi. Si impose però di non pensarci, non voleva darle ulteriori preoccupazioni.  
«Da questo momento fino a che non nascerà il bambino, Abel è un capitolo chiuso.» Asserì Nimue, sconvolgendo entrambe. Dal fondo del letto, in piedi e con un paio di guanti di lattice indosso, la stava fissando negli occhi e la maga di Bosco quasi sussultò di sorpresa. Non l’ho mai vista così “accesa” finora...! «Cos’è più importante ora?»
La lunga contrazione che colpì Ysami fu provvidenziale – la risvegliò del tutto dallo stato di panico che l’aveva investita. Quando tornò a respirare, annuì. «Hai ragione... mi dispiace.»
«Non deve scusarsi. E direi proprio che è arrivato il momento di spingere. Al mio via, ok?»
«Cos-? Già? Ma io non sono-»
«Si fidi, è da nove mesi che è pronta. Spinga!»
Da lì in poi, Eve credette di assistere a qualcosa di indescrivibile. Ossa della mano stritolate a parte; timpani perforati a parte... Non avrebbe mai dimenticato quel giorno. Ysami spingeva, inspirava e imprecava a mezza bocca a mo’ di sfogo.
Nimue era piegata in avanti e la incitava.
Se prima si era fatta prendere dal panico per via del pessimo tempismo, per tutto il tempo Eve aveva semplicemente dimenticato cosa stesse accadendo fuori. Si dimenticò di Killian e Rehagan che tentavano di tenere testa a dei nemici che si erano presentati lì senza alcun apparente motivo. Si dimenticò del gruppo di Lily che era andato a cercare Abel.
Aveva occhi solo per Ysami.
 
 

§
 

 
«Aspetta.» Lily piantò i piedi a terra e inspirò profondamente. C’era un fortissimo odore di terra che impregnava l’aria – tanto che le sembrò impossibile percepire qualcosa di diverso. Eppure, non poteva sbagliarsi. «Sento puzza di sangue.»
Hydra, a qualche passo da lei, si guardò attorno. Il silenzio li avvolgeva; non c’era anima viva. Poi lo udirono: un verso stridulo e inquietante risuonare lungo le pareti di pietra umida, tanto da far vibrare l’aria. Che diavolo è?
Percepì un micromovimento sopra le loro teste e alzarono lo sguardo.
A Lily mancò un battito e schivò l’animale con il cuore in gola, prima che potesse afferrarla con quelle orribili zampe pelose. «Cos’è che aveva detto Reha?! Grandi quanto una normale falena? Col cazzo!»
Hydra sguainò le sciabole e corrucciò la fronte. Quelle falene vampiro che erano rimaste appiattite contro le pareti confondendosi con la roccia, fecero vibrare le loro ali e quelle sul soffitto caddero con un tonfo sordo. Schifata, Lily cercò di mettere distanza tra sé e quelle creature, dando le spalle al suo compagno di gilda, che fece lo stesso. Erano circondati e nel buio più totale.
«Non pensavo ti facessero schifo gli insetti.»
Lei roteò gli occhi. «Gli insetti no, ma quelli giganti sì. Sono orribili e puzzano.»
Hydra si chiese se fosse il caso di restare lì e uccidere tutte quelle bestiacce col rischio di restarci secchi a causa del già poco spazio a disposizione, o se farsi strada lungo il corridoio. In quel caso, però, c’era la possibilità di non riuscire a restare insieme.
«Cerca di starmi dietro...» Biascicò controvoglia, gettandosi addosso alla falena davanti a lui.
Lily, che non si aspettava questa tattica, sgranò gli occhi e tirò un calcio all’animale che aveva tentato di placcarla, correndo dietro al marinaio che faceva a fette quanti più insetti possibili per liberare la strada.
Non erano affatto grandi quanto delle falene normali. Se avessero potuto stare in piedi su due zampe avrebbero raggiunto i due metri! «Dici che c’è un’uscita o ci stiamo mettendo all’angolo da soli?» Domandò allora la corvina, affilando gli artigli. Per quanto le facesse schifo il sangue di quelle cose sulle mani, l’importante era metterle tutte ko.
«Abbiamo il cinquanta percento di possibilità che non ci sia nulla di simile.»
«E che palle!» Imprecò lei; dopodiché cominciò a urlare il nome di Abel. Ormai, stavano già facendo troppo rumore per sperare di non peggiorare le cose. E, in risposta, straordinariamente, si udì qualcosa. Delle voci. E seguendole, i due si ritrovarono in una galleria più grande delle altre e, appiattiti contro una parete, Abel e un suo compagno di sventure.
Uno era disteso e sudava, febbrile. L’altro, il marito di Ysami, teneva in mano una torcia rudimentale il cui fuoco teneva lontani gli insetti.
Lily e Hydra si accostarono a quest’ultimo – il marinaio si affrettò, tra l’altro, a spostare la benda sull’altro occhio. «State bene?» Domandò lei, sperando in una risposta affermativa.
Abel sospirò, esausto e livido di paura. «Io sì ma lui è stato punto.»
Hydra si guardò attorno. Gli insetti sembravano volersi avvicinare ma qualcosa – la luce, il calore – sembravano spaventarli, tanto da farli stridere come fossero grosse cicale. «Hanno paura del fuoco?»
L’uomo annuì.
«Le gallerie portano a un’uscita secondaria?»
«Purtroppo no... l’unico modo per andarcene è raggiungere l’entrata.»
Che però è bloccata dalle macerie... o speriamo che Naevin riesca a spostarle senza seppellirci, oppure-
Ma il suo flusso di pensieri venne interrotto dalla voce scura di Hydra. «C’è un ruscello.»
Gli lanciò un’occhiata, in tralice. «Come fai a sapere che c’è un ruscello?»
«Non avevi anche tu un finissimo udito? Sta’ a sentire...»
Allora, Lily sbuffò e chiuse gli occhi concentrando la sua attenzione al di là dello stormo di falene, al di là del fracasso che provocavano con le loro ali sfregate tra loro. Sì, effettivamente, c’era un corso d’acqua... e a causa della forte umidità che si respirava nell’aria, non se n’era accorta prima.
Poi guardò Hydra di sottecchi, senza farsi notare. È proprio come dice Killian, a chi solca i mari certe cose mica sfuggono!
«Se c’è un fiume, vuol dire che c’è un’altra uscita.» Concluse.
Abel, però, era confuso. «Eppure, non ho mai visto alcun fiume qui dentro.»
Questa volta fu Lily a chiedere: «Fin dove vi siete spinti nelle ricerche?»
«Fin dove potevamo. Abbiamo ispezionato tutto.»
«Potrebbe essersi creata una stanza naturale a cui nessuno ha prestato la dovuta attenzione. Potrebbe essere nascosta dietro una sottile parete di roccia che nessuno ha mai abbattuto.»
Abel annuì prontamente. «Sì, potrebbe essere. Siamo stati mandati qui con il minimo indispensabile a proteggerci dalle falene vampiro e dall’ansia di non uscirne vivi potrebbe esserci sfuggito qualcosa.»
«Ok. Tu.» Sentenziò il marinaio, indicando Lily con l’occhio scoperto dalla benda. «Questa torcia si spegnerà presto... sai sputare fuoco?»
La corvina sbatté le palpebre, impietrita dalla domanda. Con la stessa verve di chi ascolta una sciocchezza grande quanto il regno di Fiore aprì la bocca per rispondere: «Certo che no.»
«Allora sei inutile.»
 

 
§
 

 
Dominik era un mago, un membro della gilda Goblin Thief.
Kiel Reidar gli aveva affidato l’importante missione di trovare la Spada di Damocles, un tesoro dal valore inestimabile e che – così dicevano i più antichi tomi della tradizione – era stata forgiata a partire dall’artiglio di un drago esistito centinaia di migliaia di anni prima. Persino le tribù Lakad erano a conoscenza di questa storia; la leggenda dell’arma più bella e potente mai esistita.
«Le persone che sono morte a causa delle falene, sono morte per un oggetto che neanche si sa esista davvero!» E sì, anche Naevin aveva sentito parlare della Spada di Damocles. Ma non mi sarei mai immaginato che per questo sarebbero morte così tante persone innocenti... «Cosa diamine vuole fare Kiel? Perché vuole distruggere quel poco che ancora di bello è rimasto a questo paese?»
Dominik non era solo un mago, era un uomo col potere di smuovere la terra su cui tutti camminano. Ed era il braccio destro del Master di Goblin Thief. Aveva occhi verdi e ciglia scurissime, così come i capelli. Indossava una canotta attillata sul petto – dando prova di un notevole atletismo – e un paio di pantaloni cargo con tre tasche per gamba, poggiati su anfibi di cuoio.
Era sicuro di sé, determinato a mettere a tacere gli stolti che avevano ben pensato di interferire. Hoon gliel’aveva detto: «I maghi inviati da Re Rambaud Fiore sono delle mine vaganti. Sta’ attento, Nik Potrebbero finire con l’attaccare le miniere.»
«Questo regno è caduto in miseria, ormai. Non c’è più niente che si possa fare per risollevarlo.»
«Non è vero. Tyrfing è rigogliosa e gli studiosi non hanno ancora abbandonato Durandal! Scommetto che ci sono molte altre città che a modo stanno lottando. Tu sei nato e cresciuto qui, no? Come vuoi dire una cosa del genere?»
Al sentire tali parole, Dominik scoppiò a ridere. «Come puoi tu dire una cosa del genere? Sei un Lakad, o sbaglio?» E indicò con lo sguardo i cerchi d’inchiostro attorno al suo avambraccio, visibili in quanto con l’attacco precedente doveva avergli strappato via un pezzo della manica.
Naevin digrignò i denti. «Sono comunque nato in questo paese.»
«Ma non è casa tua, no?»
Le dita del nomade si strinsero attorno al suo bo. «Anche se te lo spiegassi, una persona come te, che non ha alcun rispetto per la vita, non potrà mai capire.» E partì all’attacco.
Dominik non restò immobile e si piegò sulle ginocchia, attivando il suo incantesimo facendo tremare la terra. Il Lakad non si mostrò preoccupato ed evitò agilmente e all’ultimo secondo tutte le buche che il suo nemico stava aprendo sotto di lui, pronto a trasformare quella sfida in un combattimento ravvicinato. «Ci vuole ben altro per prendermi di sorpresa!»
Si era allenato molto con sua madre, gli aveva insegnato a non distrarsi mai e a non dare nulla per scontato. Per questo non sembrò particolarmente colpito, quando la terra davanti a lui creò prima una piccola montagna poco più alta di lui – ammasso di rocce e fango che poi cominciò a modellarsi fino a creare una figura umanoide.
Dominik si fece divertito. «Vediamo come te la cavi con il mio golem di pietra.»
Il nomade schivò per poco un pugno e con una scivolata si spostò al fianco del mostro di terra. I rovi che prima gli decoravano la pelle, si avvilupparono attorno all’estremità del suo bastone e bon un colpo ben bilanciato distrusse una gamba della creatura facendola cadere in ginocchio. Grazie alla costituzione fisica ereditata da suo padre e agli allenamenti con sua madre, Naevin aveva messo su un corpo tonico e pronto alla battaglia. Vantava spalle larghe e un torso ben scolpito – un tempo usati come arma di seduzione, c’era da dirlo – ma con dei colpi di bo ben assestati, era certo di poter abbattere quell’enorme statua umanoide vivente.
E aveva ragione. Perché con un balzo e un secondo attacco, gli staccò di netto la testa sotto lo sguardo allibito e irritato del suo avversario. Quest’ultimo, allora, lasciò perdere la sua creatura e concentrò la magia tutt’intorno a lui, spaccando il terreno in tante rocce che poi indirizzò verso Naevin, come fosse una vera e propria pioggia di pietre.
Lui fece roteare il suo bo e ne respinse tantissime, salvo poi perdere l’equilibrio a causa di un dislivello nel terreno causato da un incantesimo di Dominik. Non solo è in possesso di una magia versatile, ma è anche un infame! Pensò, maledicendosi per aver perso, per un singolo istante, la posizione, venendo così colpito prima a un ginocchio e poi in faccia. Naevin, che intanto si era rimesso in piedi, si spostò sul lato – il naso dolorante e la fronte macchiata di sangue.
Doveva capire come poterlo battere. Doveva avvicinarsi, ma come? Doveva trovare un posto su cui posare i piedi senza che lui potesse in qualche modo tirargli qualche tiro mancino nel frattempo. E fu proprio allora che il mago di Goblin Thief ghignò. «Proprio dove ti volevo.» E nel dirlo, concentrò il potere magico nella mano. Quando stese le dita, il terreno sotto i piedi di Naevin si fece denso e in un attimo il Lakad capì di esse bloccato in una pozza di sabbie mobili – e più cercava di uscirne, più sprofondava.
«Già finito?» Dominik inclinò la testa e si abbassò, poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Sei stato deludente, sai? Pensavo che i nomadi Lakad fossero più... affidabili. I tuoi amici chiusi nelle miniere finiranno per essere divorati dalle falene vampiro se non ti impegni.»
«Sei un tipo a cui piace istigare le persone, vero?» Grugnì, inviperito.
Al che Dominik scoppiò a ridere. «Esattamente!» Il golem di pietra si avvicinò a passi lenti e pesanti, come a voler scandire il poco tempo rimasto per studiare una strategia di contrattacco. «È stato bello aver fatto la tua conoscenza, Lakad. Addio.» E diede ordine alla sua creatura di abbattersi su Naevin con tutto il suo insostenibile peso.
 

 
§
 

 
La verità? Quando Rehagan aveva letto la missiva si aspettava di dover combattere – lui che era un uomo di scienza, di studio e che a stento riusciva a tirare un pugno senza farsi male! Ma, in qualche modo, se l’era fatto andare bene. Che sarà mai, si era detto, ci saranno sicuramente dei tipi tutto muscoli a cui lasciare i nemici più forti. Killian è stato chiaro: mi vuole per il mio cervello. Ma mai – mai – si sarebbe immaginato di sentirsi dire una roba come: «Mh, io odio combattere. Non è che ci penseresti tu?»
Lui l’aveva guardato come fosse pazzo. Cosa? Allora Rehagan si era messo il cuore in pace per la seconda volta e aveva accettato con stoicismo la situazione.
Davanti a loro c’era un gruppo composto da almeno una quindicina di maghi. Certo, era stato abbastanza facile mettere ko alcuni di loro – erano persino più scarsi di Killian! – ed era diventato quasi divertente vederli indugiare dinanzi alla fierezza di Nemeo, lo Spirito Guida che più di tutti incuteva timore. Il leone, infatti, aveva cominciato a squadrare i presenti con occhi feroci e un suo ruggito aveva fatto tremare le fronde degli alberi.
«Mentre combatti assieme ai suoi Spiriti Guida sembri proprio uno sciamano, sai?» Si azzardò a dire il mago di Ancient Aurora, comodamente seduto su un masso.
Rehagan voltò la testa di tre quarti e affilò lo sguardo. «Chiamami un’altra volta così e giuro che non ti aiuto più.»
«Eddai, stavo scherzando. Scherzavo.» Fece l’altro, ridacchiando. «Piuttosto, secondo te come mai tutta questa gente è qui?»
Ma Rehagan non fece in tempo a dire la sua che una fitta lo costrinse a rimangiarsi le parole. Si era distratto. Si era distratto e Nemeo era stato ucciso. Davanti a lui, il grande leone di luce azzurra che mai si era fermato davanti a niente, svanì nel nulla e lo scienziato sbiancò. «Ora siamo nella merda.»
«Perché?» Domandò, invece, Killian.
Perché, quando un mio Spirito Guida viene sconfitto, non posso evocarne subito un altro. Ma non lo disse ad alta voce: la persona che aveva messo fuori gioco il suo leone era lì, pronta e determinata a infilzare qualcos’altro con quella sua assurda lancia d’argento. Era una donna con indosso un paio di pantaloni attillati, stivali – entrambi neri – e una maglietta bianca.
«Non dovreste concentrarvi sul combattimento piuttosto che parlottare come due ragazzine?»
Rehagan studiò i lineamenti taglienti del suo viso, la sua espressione affilata e sprezzante. Questa qui mi sembra una che scuoierebbe un orso a mani nude... Pensò, con un sospiro.
E, in effetti, la sua fisicità non scherzava affatto. «Ha più muscoli di noi due messi insieme.» Constatò Killian, non scomodandosi nemmeno ad alzarsi. «Non so cosa pensare.»
«Ci ucciderà e ci userà come stuzzicadenti.»
Ma nonostante la massa imponente, Nancy non aveva mica perso la sua femminilità! I lunghi capelli biondi e legati in una treccia che ricadeva dolcemente su una spalla, contribuivano a rendere la sua figura ben più sinuosa ed elegante. «Chi di voi vuole essere il primo a morire?»
Killian alzò le mani. «Oh, non guardare me.»
«Neanche io vorrei morire, in realtà.»
Nancy non si lasciò scalfire da quelle inutili moine. C’era solo una cosa che avrebbe fatto: eliminarli. E scattò veloce, come un predatore, colmando in un istante la distanza che li separava. Rehagan si gettò da un lato, Killian dall’altro – la schivarono entrambi ma avevano finito col separarsi.
Guardò prima uno, poi l’altro. «Credete davvero di potermi sfuggire?»
Rehagan sorrise. «Abbiamo parecchi assi nella manica.» Devo guadagnare tempo. Manca ancora un minuto e quarantaquattro secondi. «Non sottovalutarci!»
Nancy ghignò, pericolosa e intimidatoria. «Ah sì?» Si piegò sulle ginocchia e in un attimo lo raggiuse. Lo scienziato si scansò appena in tempo per evitare che la punta acuminata della lancia gli trapassasse la faccia ma un calcio al fianco lo piegò in due. Fatto ciò, la bionda usò il bastone della sua arma per colpirlo sulla fronte e farlo cadere di schiena. «L’ho capito, sai? Quella che hai fatto è la faccia di chi sta cercando di prendere tempo.»
Rehagan cercò di rialzarsi ma dovette trattenere un gemito di dolore quando la lancia penetrò nella spalla. Imprecò sottovoce e sforzandosi di aprire gli occhi.
Nancy mostrò un sorriso carico di sfida e fece per affondare la lama ancora di più, fino a conficcarla nel terreno, ma quello che riuscì a fare fu estrarla di colpo e impedire che qualcosa, una benda bianca, le si attorcigliasse attorno al collo. Guardò prima il bendaggio stretto attorno all’asta della lancia e poi chi l’aveva lanciata, con un ghigno serafico. «Hoon ha fatto delle ricerche su tutto il vostro gruppo e ha scoperto cose più o meno interessanti. Eppure, tu sei l’unico su cui non è riuscito a sapere niente. Cosa sei? Un fantasma?»
«Io avrei una domanda migliore: chi è Hoon?»
 

 
§
 

 
Hoon era uno degli ultimi acquisti di Goblin Thief.
Era un uomo particolare dai capelli bianchi e gli occhi perennemente coperti da una fascia nera che – diceva – gli era stata regalata da una persona molto importante. La sua personalità cozzava con quella della maggior parte degli individui del gruppo di cui faceva parte – infatti, la gilda era composta per lo più da ladri, mercenari, gente poco raccomandabile.
Eppure, nonostante fossero agli antipodi, Hoon aveva scelto di unirsi a Kiel Reidar. Aveva scelto di seguirlo e di sostenerlo nella sua ascesa. Lui, Hoon, i cui occhi non possono andar oltre l’oscurità.
Ricordatevi il suo nome – è un piccolo consiglio.
J.C.
 

 
§
 

 
Hydra tranciò in due l’ennesimo schifosissimo insetto e lo calciò addosso agli altri suoi simili per cercare di rallentarne il passo. Dietro di lui, Abel e Lily continuavano a farsi strada verso il rumore di acqua scrosciante, trascinandosi dietro l’altro uomo ferito e febbricitante.
Stava morendo, era chiaro a tutti. Ma finché non rappresentava un evidente ostacolo alla fuga, avevano accettato di portarselo dietro – magari, alla fine, sarebbe sopravvissuto.
Lily squarciò le ali alla falena che, incurante del calore sprigionato dalla fiaccola, aveva tentato di avvicinarsi al piccolo gruppo. Al che, la ragazza sbuffò. «Dove diamine è questo fiumiciattolo?!»
«È vicino. Lo sento.»
Abel teneva in mano la torcia ma la precarietà di quella piccola fiamma lo terrorizzava. Una volta che si sarebbe spenta, sarebbe stato in balia dell’oscurità. Sarebbe morto anche lui, come tutti gli altri. Ma la peggiore disgrazia sarebbe stata quella di non poter vedere suo figlio, o sua figlia, neanche una volta – non avrebbe più rivisto Ysami, la sua bella Ysami.
«Hai qualche idea per il nome?»
Lei aveva stretto le labbra in un’espressione pensosa, come faceva sempre. «Non è un po’ troppo presto?»
«Forse sì, in effetti. Mancano ancora cinque mesi.»

E inevitabilmente gli occhi si inumidirono, si appannarono, e per riscuotersi dovette sbattere forte le palpebre. Non poteva farsi prendere dal panico. Non poteva essere di peso ai due maghi che erano giunti sin lì per salvarlo. E fu allora che udì un rumore familiare, come di una goccia che scivola giù dalla bocca del rubinetto nel cuore della notte.
Tenendo alta la piccola fiaccola, accostò l’orecchio alla parete umida e la speranza si riaccese nel suo cuore. «Ehi! L’ho trovata! È qui!» Allora, si girò, certo di incrociare gli occhi sollevati di quella ragazzina tanto giovane quanto irritabile ma non vide niente. Il fuoco che teneva lontano le falene si era spento e riuscì a udire appena l’urlo di Lily urlargli di abbassarsi che sentì il pungiglione dell’insetto trapassargli il petto, esattamente tra il collo e la spalla, appena sopra il cuore.
Gridò di dolore e lasciando la presa sul suo compagno – che, intanto, ruzzolò a terra, cercò di spingere via la falena mentre era intenta a banchettare con il suo sangue. Subito dopo, il corpo dell’insetto sembrò sparire nel nulla e la parete alle sue spalle venne distrutta.
Lily non riuscì a non imprecare mentre lo afferrava per le spalle e cercava di tenerlo in piedi mentre Hydra rinfoderava le sue sciabole e concentrava il potere magico. Ora che c’è più spazio posso scatenarmi almeno un po’!
Un manto azzurro lo circondò e dietro le sue spalle presero forma i suoi soliti tentacoli d’acqua. Erano ormai entrati nella grotta e le falene vampiro avevano un solo posto da cui poter entrare: la parete appena distrutta. E fu proprio in quel punto che Hydra concentrò i suoi getti d’acqua, attento a non usare troppa pressione – non voleva di certo distruggere tutto e restare sepolto la sotto!
Intanto, Lily fece sdraiare Abel a terra e gli somministrò l’antidoto messo a punto da Rehagan per l’occasione. «Non preoccuparti, non morirai. Ti faremo tornare da tua moglie.» Poi si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa, un’idea su come uscire da lì... e la trovò; trovò uno spiraglio di luce tra alcuni massi. E sorrise. «Lì!»
Hydra si girò e annuì. Puntò i tentacoli d’acqua in direzione dell’uscita, li unì a creare un unico getto d’acqua e sparò. Ci vuole più pressione, pensò subito. Intanto, alle sue spalle, le falene che erano state sbalzate via dall’acqua, stavano man mano tornando e a fermarle ci pensò Lily con i suoi artigli.
Non avrebbe permesso a nessuno di quegli esseri schifosi di avvicinarsi ancora ad Abel!
 

 
§
 

 
Prima dell’impatto, Naevin usò il suo Whip Tattoo per tirarsi fuori dai guai.
Sfuggì alle sabbie mobili e al peso schiacciante del golem, utilizzando l’albero più vicino al punto in cui si trovava – in un attimo era riuscito a salvarsi.
«Avrei preferito ti facessi schiacciare ma forse è meglio così, no? È più divertente.»
Il Lakad sospirò, appollaiato sul ramo. Devo farlo svenire. Se perde i sensi, è fatta. Ma come posso avvicinarmi? Oh, ma aspetta.
«Andiamo, scendi da lì. Cosa sei? Una scimmia? Avevo sentito dire che i Lakad non fossero particolarmente intelligenti e credevo fosse soltanto una diceria. A quanto pare, mi sono sbagliato.»
Naevin trattenne a stento un insulto. Aveva visto con i propri occhi e sentito con le proprie orecchie di cos’erano capaci gli esseri umani più squallidi e raccapriccianti. Erano persone vuote, povere di empatia e sentimenti – eppure, era così odioso sentirsi dire cose del genere. Era così odioso venire trattati diversamente solo perché avevano scelto di vivere diversamente da loro...!
E questo il Lakad l’aveva capito. Aveva capito che quello che aveva di fronte era un tipo che basava tutto sulla provocazione. Ogni frase, ogni parola, era stata pronunciata per offendere, per deridere o per prendersi gioco di lui. E Il vecchio Naevin ci sarebbe cascato in pieno.
Sarebbe caduto vittima della rabbia scaturita da quelle insinuazioni.
Ormai sono cresciuto, si disse. Non sono più il ragazzino scapestrato che seguiva il suo istinto, sono un uomo che deve proteggere la sua tribù e la sua famiglia, a costo di tutto. Ed espirò con calma, lasciandosi scivolare addosso l’odio profondo che aveva imparato a provare nei suoi confronti.
Mi ha detto di scendere. Vuole che scenda. Vuol dire che la sua magia non ha effetto sul legno, ma solo su terra, sabbia e pietra.
Naevin cominciò a muoversi di ramo in ramo, sempre più veloce e sempre più preciso.
«Adesso sì che sembri una scimmia! Eddai, scendi e affrontami, Lakad!»
La prima fila di alberi non era granché vicina al suo obiettivo – distava circa tre o quattro metri. Fu allora che Dominik cominciò a perdere la pazienza e iniziò a indirizzare l’ennesima pioggia di pietre, pietre che andarono a rompere e a mandare in mille pezzi i rami e i tronchi che stava utilizzando come appoggio e come nascondiglio.
Prima che una roccia potesse colpirlo dritto allo stomaco, Naevin balzò in aria imbracciando il suo arco e scoccando velocemente una delle frecce che aveva disegnate sulle gambe.
Dominik, che non si aspettava di certo un attacco aereo, ne restò un po’ spiazzato; ma non abbastanza da lasciarsi colpire – la freccia, infatti, lo prese solo di striscio e andò a conficcarsi a terra, alle sue spalle. Freccia a cui, però, era legata la sua frusta.
E quando se ne accorse era già troppo tardi: questa strisciò e si avviluppò dal braccio cui si era attaccata, fino alle ginocchia e passando per il busto. In un attimo, Dominik era bloccato. Il tatuaggio che prima Naevin aveva utilizzato per svignarsela dalla sua trappola di sabbie mobili, gli si era impressa addosso come una seconda pelle e gli impediva qualsiasi movimento.
E la confusione generata bastò per farlo reagire con estrema lentezza all’attacco successivo. Infatti, fece appena in tempo ad alzare lo sguardo che il Lakad gli aveva già piantato la punta del bastone sulla testa. Dominik balbettò qualche parola sconnessa e poi crollò in avanti, perdendo i sensi.
Naevin sospirò, riassorbendo i tatuaggi e dando uno sguardo al mucchio di terra che il suo avversario aveva smosso durante il combattimento. «Nal or vit, ne hai fatti di danni, eh?»
 

 
[Inizio Flashback]
 

 
«Che cosa? Perché? Perché l’avete lasciato andare?!»
Diana si gettò contro l’istitutrice, disperata e urlante. Ignorò i lacrimoni che scorrevano lungo le guance e tempestò di pugni la grossa figura di Miss Lore, l’unica a essere realmente dispiaciuta per l’accaduto. Con la stessa difficoltà di chi tentava di tener fermo un toro per le corna, la donna cercava di sedare quella drammatica situazione. «Tesoro, cerca di calmarti. So che è difficile, ma-»
«No! Ridatemelo! Ridatemi mio fratello!» Strillò.
Miss Lore si morse la guancia, non sapendo più che pesci pigliare. Gli altri bambini assistevano alla scena; erano disorientati, straniti, impauriti. Non capivano il motivo di tante grida, di tanta disperazione.
E Diana sembrò calmarsi dopo venti minuti passati a piangere e a urlare, stringendo i pugni chiusi lungo i fianchi e lasciando che le lacrime uscissero più copiose, dimenticandosi della rabbia che l’aveva colta e accogliendo semplicemente il dolore. «Lucas è- Lucas è mio fratello... non possono averlo adottato...» Disse, tra i singhiozzi. «Non posso separarmi da lui...»
Miss Lore accolse il corpicino di quella bambina tanto scossa tra le sue braccia e la strinse forte, con fare materno. «Sta’ tranquilla. Andrà tutto bene. Starà bene.»
 

 
[Fine Flashback]
 
 
 
 










 
 
Eccomi! ^^ Tornata. Sono viva. Sto bene. E voi, come state? Spero non mi abbiate maledetto troppo perché ultimamente sono in fissa con Jujutsu Kaisen e ho imparato che maledire le persone è cosa brutta-e-cattiva (quindi se ho mal di schiena è colpa vostra!) ^^ scherzi a parte, rieccomi.

Questo capitolo l’ho scritto tutto – tolte le prime due scene – oggi perché io finora, da genio quale sono, mi sono concentrata su capitoli che potrò pubblicare al massimo tra due o tre anni! Sì, sono un genio. Quel tipo di genio che scrive capitoli che probabilmente non pubblicherà mai perché, se non ci arrivo a quel momento che sto progettando, come posso pubblicarlo?!

Comunque. Qui mi sono un po’ sbizzarrita con i combattimenti. Abbiamo Naevin vs Dominik; l’inizio di un Rehagan/Killian vs Nancy; Lily/Hydra vs le falene vampiro; e... Ysami che sta soffrendo più di tutti loro messi insieme, ma dettagli. Uh, quasi dimenticavo: Diana.

Nel prossimo capitolo vedremo come se la caveranno il nostro magico due contro Nancy, che fine avrà fatto Diana e... Nypha! Sarà ancora viva? Ma più che altro... Hydra imploderà o no? Sappiate solo che originariamente questo capitolo doveva essere unito al prossimo e che avrebbe dovuto chiamarsi “Furioso” – o una cosa del genere. Già, già...

Curiosità n.23 ► Naevin conosce la lingua antica di Damocles. Infatti, quel “Nal or vit “(la R è muta e la V sembra doppia) è una sorta di imprecazione che spazia dal “porca miseria” a “cazzo”.

Curiosità n.24 ► Quando ho creato il personaggio di Nancy mi è venuta in mente Helga Katrina Sinclair (Atlantis – L’Impero perduto), un film d’animazione che ho visto un sacco di tempo fa! E Nancy me la sono immaginata proprio così: spietata, forte ma anche molto sexy, con spalle larghe e muscoli ben pronunciati ma anche sinuosa e sofisticata quando vuole. E niente... mi sembrava una cosa interessante da dire XD

Chi ha visto il film? Vi è piaciuto? Io l’ho adorato!
 
Mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto e spero che per i prossimi capitoli non ci sarà da aspettare troppo. Pensavo che una volta fini i tre anni della triennale, fare gli ultimi due sarebbe stato più facile. Palle. Non è vero. E tra problemi vari ed eventuali della vita di tutti i giorni, i CFU per l'insegnamento che non si sa ancora come acquisire (perché mi pare giusto togliere di mezzo tutto senza ancora aver studiato un piano B, grande Italia, continua così), esami con programmi orrendi (io volevo la poesia, dannazione, la poesia è più facile da studiare e più corta da leggere!) e una seconda tesi da scrivere ma su cui non ho alcuna idea... non so più dove sbattere la testa. Ma, ehi, solo alla morte non c'è rimedio, giusto? E la salute è la prima cosa, quindi, tolto il caos sopracitato, direi che non ci si può lamentare, no?

Alla prossima!

Rosy




 

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Capitolo 15
*** ► 14. ...tra la speranza e la disperazione ***



CAPITOLO 14. …tra la speranza e la disperazione
 



 
 
 
«Tu... non sei una maga, vero?»
Killian schivò a fatica l’ennesimo affondo sbilanciandosi all’indietro e finendo con le spalle contro un albero. La sua abilità di annullamento non sarebbe servita a niente in quel caso.
Intanto, lo scienziato si era rialzato – circondato dai compagni di Nancy che già gongolavano all’idea di infilzarlo. Killian gli lanciò un’occhiata per poi concentrarsi su di lei. «Non parli molto. Che ne dici di una chiacchierata? Così, per passare un po’ il tempo.»
Era riuscito a distogliere l’attenzione del nemico su di lui per dargli il tempo necessario a riattivare la sua magia – sperava soltanto che quella strategia funzionasse fino in fondo!
La bionda scattò e lui fece appena in tempo a spostarsi e ad evitare di ritrovarsi un buco all’altezza del cuore. Ci è mancato poco...! «Lasciatelo dire, fai schifo negli scontri fisici.»
«Già, lo so.»
«Eppure, non sembri preoccupato. Cos’è? Hai qualche asso nella manica?»
Si limitò a un’innocente alzatina di spalle. «Chi lo sa.»
Nancy era cresciuta in mezzo a gente poco raccomandabile, era stata allenata da suo padre affinché sapesse sempre come difendersi e come farsi rispettare. Aveva vissuto con diffidenza e serietà. E persino quel giorno, davanti a quel mingherlino, c’era una vocina a ricordarle che no, non avrebbe dovuto fidarsi di un tipo del genere.
In realtà, entrambi avevano un’aria strana.
Nonostante fosse in evidente svantaggio continuava a sorridere e a scherzare come niente. Lanciava occhiate al suo compagno che, intanto, si stava difendendo dagli attacchi degli aggressori nonostante non fosse più accompagnato da alcun animale fatto di luci bluastre. E fu in quel momento che capì.
Le scappò un sorrisetto. «Non riuscirete a battermi. Il tuo amico a stento si regge in piedi dopo la ferito che gli ho inferto alla spalla e tu, ormai, sei già un cadavere che cammina... non puoi nulla.»
Killian sgranò gli occhi e per la prima volta un velo di preoccupazione attraversò i suoi occhi. Reha faticava a tenere gli occhi aperti a causa dello squarcio e stava perdendo molto sangue. In condizioni normali si sarebbe preoccupato come prima cosa di tamponare la ferita ma occupato com’era a non farsi ammazzare da quella sottospecie di cacciatori che la donna si era portata dietro... Cazzo.
«E in questo caso, perché prolungargli una tale sofferenza? Non sei d’accordo?» E ghignò, Nancy, perché con una rapidità e una forza spaventose, scagliò la lancia in direzione dello scienziato.
«Reha! Scansati!»
Ok, si disse lo scienziato, forse avrei fatto meglio ad allenare anche il fisico oltre che il cervello. Ma prima che l’arma gli trapassasse il cranio... – signori e signore – scivolò. Sentì l’asta della lancia sfiorargli appena la testa e per un attimo vide tutto nero. Il cuore si fermò e già s’immaginava varcare le soglie del mondo dei morti… ma l’impatto col terreno bastò a farlo rinsavire e a fargli capire che , era ancora vivo – e per mera fortuna!
Killian scoppiò a ridere. «Che culo, amico!»
«Già.» Rantolò l’altro, sbuffando di dolore – la spalla faceva un male cane! «È in momenti come questi che ho il serio dubbio che qualcuno, lassù, esista davvero.» Ma anche no, si disse subito dopo.
Killian ridacchiò, rivolgendosi a Nancy. «Ora sei disarmata.»
Lei lo guardò con un certo scetticismo negli occhi. Era ovvio che la cosa non la preoccupasse minimamente. «E quindi credi di poter fare qualcosa?»
Per rendere ben più incisive le sue parole, Nancy si lanciò all’attacco come un animale. Killian schivò, schivò e schivò ma ben presto dovette fare i conti con la stanchezza. Parò un pugno con l’avambraccio ma sentì distintamente l’impatto sulle sue ossa e per un attimo credette di essersele rotte.
Arretrò ma lo fece male, si sbilanciò all’indietro e un calcio in faccia lo fece volare di qualche metro. Nancy fece per proseguire ma una serie di scoppi provenienti da dietro le sue spalle la distrassero. Si voltò in tempo per vedere i suoi sottoposti a terra e del fumo denso impregnare l’aria.
Rehagan si era alzato e stava armeggiando con una boccetta di vetro. Cosa sta tramando? Nancy volle fermarlo – qualsiasi cosa avesse in mente, era sicura che in qualche modo le avrebbe dato noie. Per questo, si mosse. Più veloce. Più attenta a eventuali contrattacchi.
Si protrasse in avanti; il suo obiettivo e afferrargli la testa e sbatterla al suolo ma quando fu abbastanza vicina da farlo, lo scienziato alzò il viso e notò che aveva calato sul naso quegli strani occhiali che portava sulla testa.
Non riuscì a notare la sua espressione per via delle lenti scure ma Nancy capì di essere caduta in trappola nel momento in cui lui aprì bocca. «Dì “CHEESE”!» E un forte, fortissimo flash partì dal congegno che Rehagan aveva lanciato.
Nancy grugnì di fastidio e per la sorpresa si preoccupò soltanto di chiudere gli occhi e rimanere immobile, conscia che da solo e senza un’arma – il mingherlino – non sarebbe riuscito nemmeno a spostarla di un millimetro. Certo, non poteva immaginare che quell’espediente serviva a guadagnare quei due secondi che gli servivano per togliere gli occhialetti e richiamare il suo lupo grigio, Arya.
Ancora con la vista appannata, la bionda cercò di difendersi come meglio poteva, utilizzando tutti gli altri sensi, ma se c’era una cosa di cui andava fiero Rehagan, era l’agilità e la ferocia dello Spirito Guida. L’animale, infatti, si scagliò su di lei con una violenza inaudita e le azzannò la spalla.
Nancy si morse la lingua per non urlare e il sapore amaro del sangue le invase il cervello. Fu allora che l’istinto di sopravvivenza le diede la forza di fare l’impensabile: con entrambe le mani e ignorando l’atroce dolore, Nancy afferrò le fauci di Arya e costrinse lo Spirito Guida ad allentare il suo morso.
Capendo ciò, lo scienziato annullò la sua magia e il lupo scomparve lasciando dietro di sé una scia di piccole luci azzurrine.
«Che cosa diamine-?»
Ma Reha non voleva perdere altro tempo. Unì nuovamente le mani come in una preghiera e parlò in un sussurro: «Guidami, Dedus.» E davanti a lui si creò l’immagine bluastra di un ariete dal vello ricco e dalle possenti corna piegate fino ad arricciarsi. Sotto l’indicazione dello scienziato, l’animale caricò a testa bassa e Nancy – impacciata per via della vista compromessa – incassò in pieno il colpo.
Stranamente, fu come scontrarsi con un treno in corsa. Se fossero state le corna di un toro o di uno stambecco l’avrebbero infilzata da parte a parte.
Per questo, per il sangue che non smetteva di uscire copioso dal morso alla spalla e per lo scontro duro con il terreno... Nancy svenne. E Rehagan crollò in ginocchio, incredulo.
«Sono vivo... e l’ho pure sconfitta...»
Killian, a terra poco distante, aprì un occhio. Poi l’altro. E, infine, si rimise in piedi. «Wow, sei stato davvero bravo, Reha!»
L’altro lo guardò, ancora più allibito. «Stavi fingendo di essere svenuto?»
Si morse una guancia, Killian, mentre sollevava le sopracciglia e dirottava convenientemente la discussione su altro. «Cos’era quella luce di prima?»
Rehagan sembrò dimenticare la stanchezza e il tremore di essere stato a un passo dalla morte fino a quel momento. Dedus scomparve e lo scienziato cominciò a parlare e a straparlare di acqua di mare fatta bollire, cloruro di magnesio, corrente elettrica e magnesio che, alla fine, aveva messo all’interno di una lampadina di vetro.
E, naturalmente, Killian aveva smesso di ascoltarlo alla seconda parola incomprensibile pronunciata da quel matto. «E gli altri? Come li hai messi ko?»
Quello fece un’alzatina di spalle. «Ho solo gettato ai loro piedi la composizione messa a punto sulla nave di Hydra. Questa è evaporata, l’hanno respirata e, a quanto pare, nessuno di loro regge molto l’alcol.» Spiegò, divertito. «Ho fatto scoppiare dei petardi, li hanno scambiati per dei cannoni e sono svenuti dalla paura.»
Fu inevitabile: scoppiarono a ridere.
E quando Eve uscì trafelata, a tratti spaventata per il casino che aveva sentito, si bloccò. «Grazie a quale miracolo siete ancora tutti e due vivi?»
«Il miracolo chiamato “magnesio”!»
Da lontano, affacciata a una finestra, Nimue li indicò con la furia negli occhi. «Voi due imbecilli!» Ed entrambi sobbalzarono. «Venite a farvi medicare!»
Rehagan corrucciò la fronte, visibilmente scosso. «Che le è successo?»
Fu Eve a sospirare. «Non saprei. Dev’essersi emozionata per la nascita dalla piccola Eden.»
E Killian, che la sapeva lunga, sghignazzò. «Vi avevo avvertiti. Nim sembra apatica ma quando ha tante emozioni forti da esprimere, diventa esilarante!»

 
 
§
 

 
Naevin si concesse di prendere un bel respiro e drizzò la schiena, ignorando il bruciore.
Il naso gli doleva terribilmente e nonostante avesse provato a tamponare alla meno peggio la ferita sulla fronte, dovette comunque ricorrere alla sua camicia per pulire la palpebra imbrattata – cosa che gli consentì, tra le altre cose, di aprire l’occhio per bene. Ci aveva messo più del previsto ma era riuscito a battere Dominik.
Restava una sola cosa da fare: liberare l’ingresso della miniera.
Aveva cominciato a spostare i massi più piccoli, per poi passare a quelli grossi quanto la metà di lui. Fu solo quando si ritrovò in evidente difficoltà che udì dei passi alle sue spalle. Temendo si trattasse di un nemico, mollò la presa e si girò pronto a dar battaglia. Ciò che vide lo sorprese non poco.
Erano gli uomini che erano stati rapiti e che avevano consentito a Dominik di mescolarsi tra loro. Tenevano gli occhi bassi, la testa incassata nelle spalle e un colorito pallido, dovuto forse ai terribili giorni trascorsi come carne da macello. «So che probabilmente non conta a molto ma... noi ti ringraziamo, Lakad.»
Naevin fece per parlare ma qualcun altro prese la parola: «Abbiamo permesso a Dominik di tendervi un’imboscata e di questo ci vergogniamo molto, ma vedi-»
«Temevamo che se la sarebbero presa con le nostre famiglie.» Spiegò una terza voce. «È a causa di queste minacce che non abbiamo potuto ribellarci! Noi non volevamo, ma quel tizio ha...»
E bastarono queste parole, l’immaginare di ritrovarsi nella loro stessa situazione, a fargli andare il sangue alla testa. Il solo pensiero era sufficiente a spingerlo a prendere la testa di Dominik e sbatterla ripetutamente contro la sua tanto amata terra... ma no, era più importante far uscire Hydra e Lily da quella stramaledetta miniera piena di insetti succhiasangue.
«Non ve ne faccio una colpa. Anzi, sono felice che stiate bene e che la situazione si sia risolta.» E ringraziò che si fossero messi al riparo, nascosti e lontani dal campo di battaglia, mentre lui escogitava un piano per mettere ko quel mago e ribaltare la situazione. «Ma adesso ho bisogno di una mano. I miei compagni di viaggio sono rimasti chiusi lì dentro.»
«Ma certo! Ti aiutiamo noi!»
Dopotutto erano tutti uomini piuttosto grossi e muscolosi – spostare qualche masso non sarebbe stato tanto difficile. E anche se fino ad allora avevano lavorato senza sosta agli ordini di Dominik e in pessime condizioni, erano ben felici di poter aiutare chi li aveva, a sua volta, aiutati.
Fu quando riuscirono a creare uno spiraglio che Naevin percepì un tremolio. «Che succede?»
Proveniva da dentro le gallerie. Cosa diavolo stanno combinando quei due?
«Spero che non crolli tutto... sarebbe un peccato!» Asserì una voce.
Semplicemente, Naevin rabbrividì. In mezzo a loro – esattamente alle sue spalle – c’era una ragazza. Era bassa ma dal viso e dalle forme era chiaro si trovasse davanti a una donna di non meno di vent’anni. I capelli turchesi e tendenti al verde petrolio erano legati in un’alta coda laterale, a eccezione della frangia e di alcune ciocche che le incorniciavano il viso pallido e affilato. Indossava un paio di occhiali dalla montatura tonda – erano davvero molto grandi, quasi quanto la sua faccia.
«E tu chi diavolo sei?» Domandò, conscio che la propria coscienza lo stava intimando di allontanarsi da lei il prima possibile. Quando è arrivata? Cosa vuole? È un’alleata del tizio che ho steso?
Lei ridacchiò – la voce acuta. «Mi chiamo Roweena e sono di Goblin Thief
Di solito, tutti quelli che incontrava finivano per tenersi alla larga da lei. Un po’ per l’aspetto e un po’ per via del suo carattere. Indossava un’ampia gonna stropicciata sui bordi e un maglioncino largo, pieno di toppe; ai piedi i suoi amatissimo stivaletti dalle punte sporche di fango e ghiaia. Dai vestiti e dal modo di camminare – penzolante, quasi – si capiva che non fosse una persona cui piaceva curare il proprio aspetto e il proprio portamento.
Inoltre, le occhiaie mostravano quanto poco dormisse.
Roweena era fatta così: strana, a tratti raccapricciante. «Ma a pensarci bene... forse la Spada non è qui. Quindi... pazienza!» Ogni frase era spezzata in due, come se a un certo punto la voglia di parlare si affievolisse e poi tornasse senza alcun motivo.
«Perché sei qui? Vuoi riprenderti il tuo compagno?» Naevin sapeva di stare rischiando grosso. I campanelli d’allarme c’erano tutti: quella ragazza aveva qualcosa di strano. Per questo si era allontanato di qualche passo e si era messo in guardia.
Lei, di contro, teneva placidamente le braccia incrociate dietro la schiena e dondolava sui suoi vecchi stivaletti. «Chi? Dominik? Mh... dovrei, sì. Ma Kiel lo farà fuori… quindi, boh! Aspetterò Hoon... lui sa sempre cosa fare!»
«Sta arrivando qualcun altro?»
Stranamente, sembrava in vena di chiacchiere. «Sì... credo.» E per la prima volta da quando era arrivata, Roweena lo guardò dritto negli occhi; tanto intensamente che al Lakad girò la testa. In un attimo si era sentito spaurito, indifeso come un cucciolo di coniglio davanti a una belva feroce – perché quegli occhi color ambra non stavano fissando lui ma qualcosa di più profondo. Fortunatamente quella sensazione durò solo un attimo, perché poi udì chiaramente qualcuno di familiare chiamarlo a gran voce in lontananza.
Non si era nemmeno accorto che il tremolio era cessato. E quando girò gli occhi vide con sua grande sorpresa Lily che gli correva incontro sbracciando come una forsennata. «Lo abbiamo trovato! Abel è qui! È vivo!» Il Lakad vide Hydra, poco dietro di lei, mentre trasportava un uomo sulle spalle.
Ne fu felice. E sollevato. Ma la bella sensazione durò davvero poco – Roweena aveva cominciato a saltellare sul posto, a esultare e a battere le mani come una ragazzina. Naevin strinse forte la presa sul suo bo e fece per concentrare l’attenzione su di lei.
Ma Roweena era già scomparsa e stava correndo incontro agli altri due.
«State attenti!» Gridò, e Lily capì subito che qualcosa non andava. Vide quella strana persona avvicinarsi a lei a braccia spalancate – come fosse pronta ad abbracciarla – ma la corvina corrucciò la fronte e le piantò la suola del suo sandalo in faccia.
Roweena cadde di schiena con un tonfo e un gemito. Quando si mise nuovamente in piedi si curò di sistemarsi gli occhiali e null’altro, ignorando la polvere sui vestiti e il sangue che usciva dal naso. Allora, inclinò la testa. «Perché... l’hai fatto?»
«Perché detesto gli abbracci di chi non conosco!» Esclamò Lily, pestando il piede a terra. Hydra, che l’aveva raggiunta, lanciò un’occhiata alla nuova arrivata con disinteresse – come se non stesse trasportando un uomo grosso quanto lui.
«Ma io non volevo... abbracciarti.»
«E allora cosa?»
«Mh... boh!»
Ma è matta o soltanto stupida?!
Naevin li raggiunse velocemente evitando però di avvicinarsi alla giovane donna. L’aura di pericolo sembrava essersi dissolta ma lui non riusciva a fidarsi completamente – era come se qualcosa l’avesse distratta dall’attaccarlo. Perché sì, prima dell’arrivo dei suoi compagni, era certo l’avrebbe fatto.
Mentre ora, sembrava semplicemente un idiota che non si era accorta di star sanguinando dal naso.
«Sta arrivando un altro nemico.» Avvertì il Lakad.
Roweena alzò lo sguardo e il suo sorriso si fece raggiante. «Sì, eccolo... Hoon!» Riprese a saltellare sul posto. «Hoon! Hey!»
Anche Lily e gli altri diedero un’occhiata in alto: c’era davvero qualcuno!
Persino Hydra si rabbuiò. Fino a che non l’ho visto non ho minimamente avvertito la sua presenza...!
E mentre Roweena saltellava e si sbracciava per salutarlo, felice come una bambina, Hoon si limitò a un tenue e cordiale sorriso, affacciandosi da quello che era a tutti gli effetti un tappeto tessuto con fili bordeaux e nappe d’oro. Un tappeto che solcava i cieli, come quello citato in una famosa fiaba per bambini. «Sì, Weena, ti ho vista.»
Come sarebbe a dire “ti ho vista”? Si chiese Lily, interdetta. Infatti, Hoon indossava una grossa fascia nera sugli occhi che, a guardarla, sembrava davvero molto spessa. Come fa a vederci? Ma non per questo si lasciò intimidire. «Chi sei?! E cosa vuoi?!»
Lui, dinanzi a tale ostilità, si mostrò quasi sorpreso. «Sono venuto a prendere Weena, perché?»
«Hoon! Devo mica farli fuori?» Domandò innocentemente, facendo scattare i tre maghi a qualche metro da lei.
Il ragazzo dai capelli bianchi scosse la testa, non smettendo per un attimo di mostrarsi tranquillo e per nulla intenzionato ad attaccar briga. «Non ce n’è bisogno. Avranno già un bel po’ da fare d’ora in poi...»
Allora, Roweena mostrò il pollice alto. «Ok!»
Naevin non capiva ma non fece in tempo a dire nulla perché fu Lily a manifestare i dubbi di tutti: «Da quale cazzo di parte state, voi due?!»
Al contrario di Roweena, Hoon era davvero una persona gentile. E calma. E disposta a dare spiegazioni soddisfacenti... ma non era quello il caso, purtroppo. Per cui si limitò a incrociare le braccia, sporgendosi appena un po’ di più e continuando a sorridere, lasciando che il vento gli scompigliasse i candidi capelli. «Siamo entrambi maghi di Goblin Thief, vi basti sapere questo. Ma non mi piace combattere e odio la violenza, per cui vi darò un consiglio.»
Roweena decise di fare un piccolo ma sostanziale – a suo parere – intervento: «A Hoon non piacciono nemmeno le cipolle!»
«Tenetevi lontani da Exca.»
Lily storse le labbra, irritata. «Non sarai di certo tu a dirmi cosa devo o non devo fare!»
Di tutta risposta, Hoon ridacchiò divertito. «Mi aspettavo una risposta del genere da te.»
In che senso da me?
«Weena, su, andiamo!» Detto ciò, la ragazza lo raggiunse con un balzo silenzioso. «Un’ultima cosa... vi conviene sbrigarvi se volete trovarla ancora viva
Il tappeto si allontanò velocemente e senza far rumore, così com’era arrivato. Se solo avesse potuto, Lily si sarebbe lanciata nell’ennesimo combattimento ma, purtroppo, aveva ricominciato a sentire un dolore sempre più ingestibile e pungente all’altezza del costato, laddove – a causa di una stupida distrazione – una falena vampiro l’aveva morsa.
Era salva grazie a Hydra – non l’avrebbe mai ammesso, mai, neanche sotto tortura – che proprio in quel momento aveva abbattuto la roccia, permettendo così alla luce di entrare e di far scappare quegli odiosi insetti succhiasangue.
«Di chi stava parlando?» Domandò Naevin, a quel punto.
Hydra sospirò, stanco e irritato da essere circondato da schifosissima terra – lui era nato per stare vicino all’acqua, dannazione! – spostando istintivamente lo sguardo su un punto più in alto.
Fu allora che cominciò a sentire la preoccupazione montare, per cui si rivolse al Lakad. «Hai avuto notizie degli altri?»
Al responso negativo, il marinaio si sentì letteralmente mancare. Con poca, pochissima, grazia e con tanta, tantissima, urgenza, mollò a terra un Abel ancora svenuto – prontamente recuperato da Naevin – e cominciò a correre verso il punto in cui avevano lasciato Nypha e Diana.
Aveva un brutto presentimento. Un bruttissimo presentimento. E il fatto che persino Lily si era messa a correre dietro di lui analizzando l’aria tutta intorno significava soltanto una cosa: aveva avvertito un odore tremendo. L’odore del sangue.

 
 
§
 

 
Hydra era furioso.
Era diventato inavvicinabile da quando aveva trovato la cacciatrice di taglie con due fottuttissimi coltellini a inchiodarla al tronco di un fottuttissimo albero. A stento aveva permesso a Nimue di visitarla, a dire la verità. Rehagan stava aiutando restando fuori casa – fasciato come una mummia e dolorante come mai prima di allora – e si era infinitamente lamentato della cosa ma al marinaio era bastato guardarlo con quel suo unico occhio visibile per fargli tremare le viscere e convincerlo a rimanere dov’era – aveva già troppe ferite, non voleva rischiare di morire per mano di quello che doveva essere un alleato.
Anche Lily era furiosa. Quando entrava in quella stanza non sentiva più profumo di ortensie che l’accompagnava, ma un odore acido che la costringeva a tapparsi il naso. Secondo le ricerche dello scienziato, il veleno era lo stesso usato su Tabitha, lo stesso stramaledetto veleno e per di più mischiato ad altre sostanze: alcune le aveva inalate, altre erano penetrate dai tagli.
Ma a Hydra non importava nulla di tutto ciò. Voleva che Nypha aprisse gli occhi e che riprendesse colore. Voleva sentirla dire «Sto bene» e assicurarsi che fosse vero. E voleva riempire di botte quella che aveva osato fare una cosa del genere – l’avrebbe mandata a morire in fondo al mare trascinata dal suo kraken d’acqua dopo averle rotto tutte le ossa, una per una. Lentamente.
Avevano sistemato Nypha nella stanza degli ospiti al piano terra mentre Abel e Ysami si godevano la loro piccola bolla di felicità. Killian si era scusato per aver occupato la loro casa ma entrambi si erano dimostrati disponibili a ospitarli finché la ragazza non fosse guarita del tutto.
Il marinaio era rimasto seduto dall’altro lato della porta d’ingresso con le spalle al muro, dando le spalle alla finestra.
Nimue, intanto, si era mossa ignorando del tutto la sua presenza e, intanto, le aveva ricucito le ferite. Dopodiché si era messa a pestare delle piante con il suo mortaio, in attesa che lo scienziato venisse a capo di una soluzione. Di norma, trovare l’antidoto a un qualsiasi tipo di veleno era sempre stato relativamente facile per lei. Quella volta era diverso.
Quella volta il veleno utilizzato non era stato fabbricato normalmente ma era il prodotto di una magia – e per di più, chiunque l’avesse creato era stato molto abile a farlo. Grazie al sangue prelavato a Tabitha avevano fatto dei considerevoli passi avanti ma c’era qualcosa che ancora mancava, l’ultimo pezzo del puzzle. E senza quello, Nypha poteva seriamente... morire.
E mentre Nimue si apprestava a tamponare la situazione come meglio poteva, nello spiazzale dove suo fratello e Rehagan avevano “combattuto”, Lily camminava avanti e indietro imprecando sottovoce. «Dove diavolo è finita quella
Eve sollevò le spalle, scuotendo la testa. «Se non lo sai tu che sei un segugio...»
«Non è il momento di scherzare.» La rimbeccò Naevin, serio. Nimue aveva curato anche lui e un grosso cerotto gli copriva il naso gonfio per botta ricevuta. «Fortuna che l’abbiamo trovata in tempo.»
Già. Meno male, pensò la corvina.
Fu in quel momento che Killian tornò dalla sua “passeggiata”. Era uscito per cercare nelle vicinanze la giovane Dragon Slayer ma senza alcun risultato. Quando lo videro camminare in direzione della porta, fu lo scienziato a domandargli: «Sei sicuro di voler entrare? C’è il cane da guardia lì dentro.»
Killian sorrise ma non disse nulla. Attraversò il soggiorno e quando varcò la soglia della stanza, Hydra cominciò a fissarlo.
La dottoressa, capendo l’antifona, raccolse tutto il suo occorrente prima di levare le tende e lasciarli soli.
«Non farà la fine di Tabitha.» Non morirà. «Nimue e Reha stanno già lavorando a un antidoto.»
«Per cominciare, non avresti dovuto lasciarla con quella lì
L’altro non disse nulla e si limitò a ricambiare lo sguardo.
Non sarebbe dovuta andare così... pensò. Possibile che mi sia sbagliato tanto?
«Se si dovesse trasformare in una fata-»
«Non succederà.» Disse, sicuro di sé. «O meglio, se dovesse accadere non sarà colpa del veleno. Non c’entra niente.»
Hydra sollevò un sopracciglio. «Adesso sì che mi sento meglio.»
Poi, tutta la rabbia e la frustrazione scomparvero nello stesso istante. Nel momento in cui udì un suono flebile, un mormorio indefinito. Nypha schiuse le labbra e il marinaio si alzò come una molla per poterla guardare negli occhi, quegli stessi occhi color smeraldo che faticava ad aprire. «Hydra...?»
Contrariamente a come se l’era immaginato, il risveglio fu quasi sereno. Non sentiva dolore. Per la verità, non sentiva niente – come se il suo corpo si fosse addormentato ma la sua mente fosse ben sveglia. Si sentiva anestetizzata.
Vide l’oceano in tempesta nell’occhio di Hydra scoperto dalla benda e tentò di sorridergli in modo da rassicurarlo. Quello che ne uscì fu una smorfia indefinita. «È andato... tutto… bene?»
Non fu lui a rispondere alla domanda ma Killian, rimasto a dondolare sui suoi stessi piedi a debita distanza dai due. «Abel è tornato sano e salvo.»
Entrambi la videro emettere un flebile sospiro. Poi, d’un tratto, la sua espressione mutò. «E Diana?»
«Cosa centra?» Si affrettò a chiedere il marinaio, allibito. A dirla tutta, una piccola parte di lui aveva pensato che in qualche modo e per chissà quale assurdo motivo, fosse stata lei.
Il pensiero che fosse stata Diana a farle del male – o, comunque, ad aiutare Emilia, la tizia del veleno – c’era stato. E allora si era sentito imbottito di una rabbia mai provata prima.
Nypha sbatté le palpebre un paio di volte, riprendendo fiato. «Mi è sembrata... preoccupata.»
«Aveva avvertito la presenza di un nemico?»
Scosse la testa, lei. O, per lo meno, ci provò. «Non proprio. Ha sentito qualcosa... qualcosa che... l’ha spaventata.»
Fu allora che Killian si avvicinò di un passo. «Ti ha detto qualcos’altro?»
Nypha mosse le labbra ma non disse nulla. Sembrò pensarci, sembrò tornare con la mente a quel momento – quando l’aveva vista correre via. «Cercatela. Ho paura che... si sia messa nei guai.»
Il mago dell’Aurora annuì e silenziosamente tolse il disturbo, lasciandoli soli.
«È colpa sua se ti hanno attaccata e ferita.» Disse, inviperito.
«In realtà, sono io ad essere... una schiappa nel combattimento ravvicinato.»
Ma Hydra non volle cogliere la leggera ilarità nella sua voce. Anzi, preferì indurire lo sguardo a mo’ di rimprovero. «Non puoi essere sempre così gentile con tutti. Prima o poi ci rimetterai la pelle. E niente assicura che questo momento non sia questo!»
Nypha sospirò lentamente. Mosse poco le dita, lontano dal suo intento originale. Voleva stringere la sua mano, voleva tranquillizzarlo. In qualche modo, vederlo così in pena per lei doleva di più di un paio di coltelli piantati nei palmi delle mani.
«Mi dispiace.» Mugugnò. «N-Non sono stata in grado di cavarmela da sola... a volte penso che... che-»
La bloccò sul nascere. «Se stai per dire una stronzata, evita.»
«Mi dispiace.»
«Non devi. Pensa a riposare. Io non mi muovo di qui.»
E fu lui a stringerle la mano.



 
§
 

 
Durante la sua “passeggiata”, Killian aveva incontrato una sua vecchia conoscenza.


 
Quasi gli venne un colpo non appena lo vide ma da fuori non sembrò affatto sorpreso. Tra tutti i posti possibili, non si aspettava di trovarlo lì, a Damocles, in un regno che stava attraversando una situazione a dir poco disperata.
«Quindi ti chiami Hoon, eh?»
L’altro sorrise placidamente. «A quanto pare sì.»
«Sei sorpreso di vederm- cioè, di incontrarmi?» Domandò, sghignazzando. Killian era sempre stato il tipo di persona che non badava ai formalismi, specie quando dall’altra parte c’erano persone con cui vantava una certa confidenza.
Infatti, Hoon sembrò quasi stupito. «Da quando fai attenzione alle parole che usi?» Ridacchiò, sinceramente divertito, mentre spostava la benda che gli copriva gli occhi più giù, fino ad appoggiarlo attorno al collo a mo’ di sciarpa. I suoi occhi erano vitrei. Vuoti. Ciechi. «E sì, sono abbastanza sorpreso. Non capita tutti i giorni di trovarsi davanti un fantasma in carne e ossa.»
Non era una predica o una frecciatina. Killian sapeva bene che lui era troppo gentile, troppo anche solo per lasciarsi scappare una minuscola presa in giro che poteva far scoppiare un’accesa discussione.
«Perché sei qui?»
Hoon alzò le spalle e inclinò la testa. «Perché dovrei dirtelo? Per ogni informazione che hai saresti capace di farci passare le pene dell’inferno!»
«Quindi non sei da solo. Chi c’è con te?»
«Nessuno che tu possa riconoscere, purtroppo. Ho lasciato perdere, come sai. Ho chiuso. Ora faccio altro.»
Killian annuì, pensieroso. «Emilia è qui a Damocles. Se c’è lei, anche Betty
«Sì, c’è anche Macbeth.» Asserì calmo. «Ora che te l’ho confermato che intenzioni hai?»
Il mago dell’Aurora mostrò un sorriso sghembo, come se l’altro potesse vederlo. «Perché dovrei dirtelo? Per ogni informazione che hai saresti capace di farci passare le pene dell’inferno!»
«Sai bene che non lo farei mai.» Lo rimbeccò, pur mantenendo un tono di voce amichevole. «Non sono stronzo come te, Killian.» A tali parole seguì una lunga pausa fatta di parole silenziose. Poi, aggiunse: «Ti ho visto prima. Hai lasciato perdere anche tu, quindi?»
«Praticamente.» Alzò le spalle, come a voler sminuire la situazione. Sminuire un cazzo, pensò. «Dimmi soltanto una cosa. Proverai a ucciderla?»
Hoon si fece stranito. «Perché dovrei farlo?»
«Oh, andiamo. Avrai anche chiuso ma non penso tu ti sia dimenticato di Maze e di chi sia stato a ucciderla. L’amavi così tanto.»
«Mh... sei ancora lo stesso stronzo, vedo.» Asserì, tenendo un tono di voce flebile, quasi dispiaciuto di essere stato costretto a constatare ciò. «Comunque, non mi importa. Non è stata lei, dopotutto. È stata quella famiglia di mostri. Che poi... mostri non è nemmeno il modo giusto per definirli, no?»
Killian sospirò. «Scoprirò il motivo della tua presenza qui.»
«È una minaccia?»
«Macché! Affatto!» Esclamò, muovendo la mano davanti al viso come a voler liquidare ciò che aveva appena detto. «Non ho motivo di avercela con te!»
Hoon annuì e in un meccanico e delicato gesto issò la fascia spostandola sugli occhi. «Vedi di non farti ammazzare.»
Killian rise. «Non ti preoccupare. Non accadrà di nuovo.»

 
 
§
 

 
Gliel’aveva chiesto Killian perché diceva di avere un brutto presentimento.
E Eve aveva deciso di seguirla per evitare che le due si scannassero – sempre su suggerimento del mago dell’Aurora che, come sempre, ne sapeva una più del diavolo. Una persona vivace come lei sarebbe stata capace di dissuadere Lily dal gettarsi al collo della ragazzina.
«Tu sei troppo ottimista.» Gli aveva detto.
Killian si era messo a ridere e poi le aveva liquidate per poter discutere con Rehagan di una questione importante. Il veleno somministrato a Nypha? Probabilmente.
Lily che, tra le altre cose, si comportava in modo strano da quando era uscita dalla stanza in cui riposava Nypha. Sembrava tesa. Come se si stesse aspettando qualcosa di terribile da un momento all’altro. Forse, ragionò Eve, ha paura che possa diventare una Fata.
Ad ogni modo, tempo una ventina di minuti e le due si erano inoltrate nella foresta con lo scopo di andare a cercare Diana. La corvina aveva ben impresso in testa il suo odore e una volta raggiunto il punto in cui avevano trovato la cacciatrice di taglie, non era stato complicato individuarne la scia.
Lily camminava avanti e in religioso silenzio. Eve no. Eve parlava a manetta e a un certo punto rischiò persino di prendersi un pugno sul naso.
«Secondo te perché se n’è andata?» Domandò la rossa, a un certo punto.
L’altra sbuffò «E io che ne so! Ma Nypha dice che potrebbe aver bisogno di aiuto.»
«Killian pensa lo stesso.»
«Già, per questo ci ha detto di cercarla. Ma a me non importa. Non appena la trovo le cambio i connotati!» Ringhiò, inviperita.
Eve, d’altro canto e in maniera del tutto naturale, ridacchiò. «Ti sei affezionata in fretta, eh!»
«A quella lì?! Non sia mai!»
«No, a Nypha.» Spiegò. «Non che sia difficile. Insomma, è una tipa apposto. È gentile. Ed è divertente prenderla in giro!»
Era fatta così, la maga di Bosco. E persino Lily si lasciò sfuggire un sorriso appena abbozzato. Fu più forte di lei, non riuscì a impedire alle parole di scivolarle fuori la bocca: «Mi ricorda una persona.»
Ma dinanzi alla curiosità di Eve, la corvina si affrettò a tapparsi la bocca e a proseguire.
«Eddai! È un’innocente conversazione... puoi dirmelo. Certo, è innocente a meno che tu non intenda qualche tua vecchia fiamma.»
Allora, Lily arricciò il naso, schifata a morte. «Ma che dici?! Non la immaginerei mai in quel modo! È mia madre!»
Oh. «Tua madre assomiglia a Nypha?»
«Più o meno.» Disse, scrollando le spalle. Non voleva darlo a vedere, ma parlare di loro faceva male.
Fortuna o sfortuna volle, però, che proprio in quel momento percepì l’odore di Diana farsi più amaro e pungente. Anche Eve si accorse del repentino cambio di atmosfera e ne chiese il motivo. «C’è odore di sangue.»
«Ricordati che lei combatte con il sangue.» Provò a dire la rossa, storcendo la bocca.
Lily annuì ma aumentò comunque il passo. Imboccò un piccolo sentiero e si arrampicò su alcune radici particolarmente grosse per poi raggiungere un albero cavo al cui interno era rannicchiata una piccola figura. Eve fece capolino oltre la sua spalla. «Trovata.»
Diana era semi svenuta e anche se il sangue aveva smesso di uscire dalle ferite, la mente era ancora annebbiata a causa del forte colpo subito. La rossa la tirò fuori da lì e ne controllò le condizioni.
«Che siete venute a fare?» Borbottò sottovoce.
Ma Eve ignorò tale domanda e osservò la pelle bruciacchiata in alcuni punti. «A quanto pare quei due avevano ragione. Cos’è successo?»
La più giovane sbuffò e strinse gli occhi, dolorante. «Sono scampata a un’esplosione.»
«Perché hai lasciato Nypha da sola?» Domandò Lily. Mentre la maga di Bosco si era mossa per aiutare l’altra, lei era rimasta immobile e la fissava freddamente. «È stata attaccata dalla stessa persona che ha avvelenato Tabitha. Mi auguro che tu abbia una spiegazione!»
«Dovevo controllare una cosa.» Sbottò, infastidita.
«E questa cosa era così importante?!»
Eve non disse niente, attese che le due risolvessero a voce. Lily non avrebbe mai cominciato una lotta consapevole delle condizioni dell’altra: era ancora intontita e a stento riusciva a guardarle in faccia.
Diana inspirò ed espirò profondamente prima di rispondere. «
La corvina strinse i pugni. «È chiaro che la tua priorità non è aiutarci. Perché hai accettato questo lavoro, allora?»
Infastidita da tutte quelle domande, Diana si alzò ignorando i muscoli indolenziti e la testa che continuava a girarle, decidendo di incamminarsi e tirando una spallata alla maggiore che si era inginocchiata per accertarsi che le ferite non fossero gravi.
Lily non resse più. «Quale diamine è il tuo problema?!»
Due, a dire il vero. Diana aveva due problemi. Uno di questi prendeva il nome di Dyaspro. Il secondo era che non riusciva a fidarsi – tutti i maghi con cui stava lavorando nascondevano intenzioni del tutto diverse dallo scopo della missione, l’aveva sentito.
E per quanto si fosse immedesimata in Eve e nella sua ricerca, per lei la situazione era diversa. Kyla era donna adulta e vaccinata che aveva scelto di partire. Lucas no; non aveva potuto scegliere.
Era la ragione per cui Diana non era riuscita a imporre ai suoi piedi – e a se stessa – di restare lì, accanto a Nypha, perché aveva sentito qualcuno fare il nome di Dyaspro e sapere lui e Lucas, il suo fratellino, così vicini l’aveva fatta andare nel panico.
Perché lei doveva trovarlo prima. Lei doveva muoversi, doveva farlo prima di lui.
Se non ci fosse riuscita, per Lucas sarebbe stata la fine...
«Avanti!.» Intanto, la voce di Orias risuonò nella mente di Lily come un’esortazione. «L’ho capito. È uno di quei momenti in cui voi ragazzine vi confidate i vostri più oscuri passati. Limiterò le battute al minimo sindacale per dare più enfasi alle vostre storielle strappalacrime...lo giuro.»
In realtà aveva capito, il maniaco, che Diana non avrebbe parlato. Non avrebbe parlato e lui la conosceva bene quella sensazione: sapeva come ci si sentiva a non potersi fidare di niente e di nessuno. Ma questo lo omise per preservare la sua sanità mentale – altrimenti Lily avrebbe cominciato a guardarlo strano.
«Allora? Vuoi parlare? Giuro che ti spacco la faccia se rimani in silenzio!»
«Che cosa. Vuoi. Che ti dica?!» Sibilò l’altra. La gola bruciava, la pelle tirava e il cuore pompava a una velocità indicibile, tanto che lo sentiva rimbombare in testa. «Non sono affari tuoi. Non sono affari vostri. Non è-!»
«E secondo te, è normale lasciare Nypha da sola?! È stata avvelenata! E tu non c’eri!»
Eve fece un passo avanti, come a volersi frapporre tra le due, ma non servì. Non servì perché fu Lily stessa ad arretrare. Sbiancò e immerse le mani tra i capelli mentre ciondolava da una parte all’altra come in preda alla confusione più totale. «Cosa cazzo ti è preso?!» Sbraitò poi, più incazzata di prima.
Il suo linguaggio del corpo diceva altro. Era incazzata con Diana. Era incazzata e spaventata... da se stessa? «Anche io ho i miei problemi ma non mi metto certo a tradire così i miei amici!»
Diana la guardò quasi schifata. «Noi saremmo amici? E in base a cosa, esattamente?»
«Se tu non te ne stessi sempre da sola capiresti!»
«Non conosci né me e né la mia situazione! Fammi un favore e taci!»
Lily quasi si strappò delle ciocche di capelli dal nervoso. «Come cazzo fai a essere così... così stronza?! Hydra ti ammazzerà e io non ti aiuterò, sappilo! Perché ha ragione!»
«Oddio, questo giorno va segnato sul calendario!»
«Nessuno ti ha mai chiesto di aiutarmi!»
Ok, ora basta. Eve fece un passo in avanti e si frappose – questa volta davvero – tra loro. «Dateci un taglio! Sembrate due ragazzine isteriche, porca miseria!»
Lily tremò e decise di concentrarsi su altro, sui respiri. Sì. Forse è meglio. Uno. Due. Tre. «Cinque. Otto. Quattordici. Ma ti senti?» ‘Fanculo, tu!
«Urlare non vi farà sentire meglio! E nemmeno picchiarvi, se l’aveste anche solo lontanamente immaginato...!» Continuò a dire Eve, spaventata a morte all’idea di una loro reazione violenta. Poteva davvero evitare che si saltassero addosso? Lei?
Perché cazzo non l’ha chiesto a Niv?! Lui sì che ci sarebbe riuscito!
«Quindi…» Sentenziò. «Facciamo un bel respiro profondo e proviamo a calmarci. Tutte e due. Intesi?»
 

 
§
 


Alla fine, si erano accampate lì vicino. A causa del mal di testa, Diana non riusciva a camminare dritta e sentiva ancora il forte rumore dell’esplosione fischiarle nelle orecchie.
Eve aveva raccolto delle pere in giro, mentre Lily aveva acchiappato una lepre. Il dolce scoppiettare del fuoco faceva da sfondo ai suoni della notte, allo stridio delle civette e al sibilare del vento. A nessun altro suono. Erano rimaste in silenzio per ore – Eve stava per dare di matto, davvero. Poi, avevano “parlato”.
Un po’. Meno di un po’. Lily aveva passato la coscia di lepre a Diana limitandosi a fissarla come il peggior male esistente ma senza ringhiarle contro. Un ottimo progresso, pensò Eve. E poi, avevano parlato davvero. Certo, erano volati degli insulti e qualche frecciatina ma erano riuscite a mettere insieme due frasi di senso compiuto senza minacciarsi a vicenda di morte lenta e dolorosa e, soprattutto, senza strillare. Un ottimo, ottimissimo progresso, pensò Eve.
A un certo punto, Lily aveva sganciato una bomba. Una di quelle che fanno sobbalzare e che hanno la capacità di appesantire qualsiasi atmosfera. Aveva gonfiato le guance, decisa a fermare un certo balbettio nella voce, e aveva detto: «Sto cercando di liberare mio padre.» Eve si era appoggiata al tronco di un albero rimanendo in silenzio, mentre Diana aveva smesso di intagliare il legno. «È stato... diciamo che è agli arresti domiciliari. È come se non potesse uscire di casa
Nessuno aveva detto più niente.
Una volta finito di mangiare, Diana sospirò chiudendo gli occhi. Sembrava essere ancora intenzionata a non proferir parola, ma – stranamente – lo fece. «Credi che Kyla sia ancora viva?»
La rossa alzò lo sguardo dal suo taccuino, non potendo credere alle sue orecchie. Le aveva rivolto la parola! E non sembrava né arrabbiata, né infastidita nel farlo. «Sì.» Rispose. «È sempre stata una persona forte e intelligente. Sono sicura che se la starà cavando alla grande.»
«Cosa faresti se scoprissi che non ce l’ha fatta?» Seguì a chiedere.
Lily continuò a mangiare alcune noci che si era portata dietro e, intanto, ascoltava quella bizzarra conversazione. Eve non disse niente, all’inizio. Si limitò a fissare i bordi delle pagine del suo taccuino e le dita sporche di carboncino. «Ne sarei distrutta. Mi sentirei in colpa per non averla accompagnata. E-» Si fermò, prendendosi un attimo per ingoiare il magone formatosi in gola. «E sarei arrabbiata, molto arrabbiata con lei.»
«Perché da morta non potrebbe spiegarti il motivo per cui ti ha abbandonata, giusto?» Messa dinanzi alle dure – ma veritiere – parole di Diana, l’altra annuì. Dopodiché, la più giovane volse gli occhi sulla corvina. «E tu?»
«Io?» Diana annuì. «Io sono sicura che papà stia bene. Niente e nessuno può ucciderlo. Paradossalmente, là dov’è rinchiuso non ha nemici, solo alleati.»
«E se non dovessi riuscire a liberarlo? Se non dovessi rivederlo mai più?»
Lily sbuffò rumorosamente. «Perché diamine fai queste domande? Che ne so!»
«Pronto? Sa. Sa. Prova. Mi senti, piccola samurai?» Diana corrucciò la fronte e arricciò il naso. La voce di Orias, che normalmente alle sue orecchie arrivava in una strana lingua incomprensibile, questa volta suonava chiara e diretta. «Io lo so cosa farebbe Lilì. Impazzirebbe. D’altronde lei è la cocca di papà.»
«Ma perché devi sempre rompere le palle?!» Sbottò la corvina.
Eve richiuse il taccuino proprio in quel momento. «Ehi, ehi. Io non ho il super potere di Diana, non sento niente. Che dice lo squilibrato?»
«Dice che è la cocca di papà.» La Dragon Slayer indicò Lily con un leggero movimento del mento. Si beccò un’occhiataccia che ignorò volutamente, tornando subito seria. «Anch’io sto cercando una persona: Lucas, mio fratello minore.»
La rossa incrociò le gambe e si sistemò meglio contro il tronco d’albero. «È qui a Damocles?»
«Non ne sono sicura.»
Lily storse la bocca. «In che senso?»
«Nel senso che non so dove sia di preciso. Io... riuscivo a sentirlo prima. Sentivo la sua voce quando mi addormentavo... eravamo connessi. Ma poi tutto è diventato ovattato, in concomitanza del casino che è successo qui.»
Oh, wow. È la frase più lunga che io abbia mai sentito uscire dalla sua bocca, pensò Eve. Al che, Diana le lanciò un’occhiata come per dire “E ti sembra il momento di notare una cosa del genere?”.
«Fammi capire, è per questo che sei qui?» E ancora, Diana annuì. «E perché-»
«Perché avevo sentito pronunciare il nome- il nome di-» Scosse la testa, arricciando il naso. E di nuovo – le fiamme, il fumo, il sangue, il silenzio... «Dyaspro
L’espressione di Eve mutò quasi subito: si fece stranita e schifata al tempo stesso. «Aspetta... credo di conoscerlo.»
«E sarebbe?» Domandò Lily, oltremodo incuriosita dalla faccenda.
Ma Diana scattò sul posto e nei suoi occhi aleggiava sempre di più una paura indescrivibile. «Come fai a conoscerlo? L’hai visto di recente? Dove?!»
Eve si sbrigò a mettere le mani avanti. «Ehi, calma! L’ho visto una volta sola e parecchi anni fa ma non ricordo granché. Cercava delle informazioni... ma non ricordo qual- ah, certo. I Fonì
Il cuore di Diana mancò un battito.
«Ne sembrava ossessionato. Così tanto che il Ma- ehm, che... che è stato allontanato dalla città. Già.» Il Master s’è incazzato per i suoi modi e l’ha cacciato, tanto che quasi ci rimettevamo tutti la pellaccia! E a proposito... «Tu sei una di loro? Il tuo nome è Diana Fonì, giusto? Non dirmi che cercava te...»
Lei annuì impercettibilmente, abbassando gli occhi sul fuoco scoppiettante davanti a lei.
Successivamente, fu Lily a prendere parola: «E che vuole?»
«Due cose. Vendetta. E la Magia della Comprensione Sensoriale
«Cosa potrebbe farci con la tua magia oltre che farsi venire un mal di testa allucinante?»
Diana le lanciò un’occhiata scettica. Era ovvio che Lily non si aspettava davvero che la sua abilità facesse solo quello. Voleva farla parlare. Voleva stuzzicarla, spronarla.
E Diana decise di assecondarla, questa volta. Non seppe perché. E, forse, nemmeno in futuro avrebbe potuto spiegarselo... ma lo fece. Si aprì quel tanto da permettere loro di capire la sua situazione. Per una volta, voleva avvicinarsi a qualcuno. Voleva fidarsi. Una piccola, piccolissima parte di lei non voleva più lottare da sola. «È un’abilità innata che, come avrete capito, mi permette di percepire anche il più flebile dei rumori. Lo stesso vale per i pensieri delle persone attorno a me. La Magia della Comprensione Sensoriale mi fa percepire l’energia psichica, la vita che alberga in ogni essere vivente.» Fece una pausa. «Se volessi, potrei persino... connettermi con loro. Potrei comprendere le emozioni, vedere i loro ricordi. Potrei arrivare addirittura a deviare il flusso psichico di una persona.»
Eve assottigliò le labbra prima di chiedere: «E cioè?»
Diana non osò guardarla negli occhi. Era già doloroso percepire i suoi pensieri straniati da quello che stava dicendo. «Potrei controllarla. Potrei spingerla ad agire diversamente da come farebbe.»
«Perché parli al condizionale? Puoi farlo o potresti farlo?» Lily, invece, aveva gli occhi fissi su di lei. Indecifrabili. Eppure, i suoi pensieri erano tanto limpidi da far paura.
«Ora come ora non ne sarei fisicamente in grado. Costerebbe uno sforzo immane. E poi... non lo farei mai. Perché è questo che Dyaspro vuole fare con questa magia.» Spiegò, sdegnata. «Non mi abbasserò mai e poi mai al suo livello.»
«Anche tuo fratello possiede questa magia? È per questo che lo stai cercando così disperatamente?»
«La Magia della Comprensione Sensoriale ci unisce. Come ho già detto, prima eravamo connessi tramite i nostri sogni e riuscivo a sentire la sua voce. Ora non più.»
Lily annuì. Non voleva sapere altro. Semmai Diana avesse voluto dirle di più, non si sarebbe tirata indietro. Per il momento poteva bastare. E giurò a se stessa che mai – mai – avrebbe permesso che un’altra famiglia, per quanto composta da sole due persone, venisse inesorabilmente distrutta.
Certo, era ancora arrabbiata con lei e avrebbe voluto tirarle un pugno sul naso.
Non c’erano scusanti e non ce ne sarebbero state nemmeno davanti a Hydra cui non fregava un cazzo di conoscere le sue ragioni. Era incazzato. Molto. Moltissimo.
«Dicevo sul serio quando ho detto che non ti avrei aiutata.» Sentenziò Lily, duramente.
 
 
 
§
 
 
 
Diana aveva sette anni quando lei e suo fratello divennero orfani.
E dopo due anni trascorsi in orfanotrofio, Lucas era stato adottato e portato via a sua insaputa – la direttrice aveva orchestrato tutto affinché non sorgessero intoppi durante l’affidamento. Naturalmente, lei non aveva preso affatto bene la cosa.
Diana era molto legata a suo fratello – si era presa cura di lui quando i loro genitori erano rimasti uccisi.
Ora, le era stato portato via. Non sapeva dove fosse finito: i suoi nuovi “genitori” erano spesso costretti a cambiare città per lavoro... di conseguenza, non era stato semplice nemmeno capire se sarebbero rimasti in zona. Anche Diana venne adottata, tempo dopo.
E no, non aveva preso affatto bene nemmeno questa. Non riusciva proprio a concepire il fatto di essere diventata loro figlia. Per Diana era impossibile.
I suoi genitori erano morti; quei due, Giovanni e Monica, erano soltanto degli estranei. A causa loro si era allontanata ancora di più da Lucas, era finita al villaggio di Levante. A causa loro aveva dovuto cambiare cognome in Valentine.
Li odiava. Odiava vivere in un villaggio di mercanti e odiava Monica. Non faceva che rimproverarla. Non faceva che andarle contro. Diana voleva ritrovare Lucas. Voleva stare con lui. Perché non lo capivano? Perché Monica cercava di distoglierla da quel suo desiderio? Nemmeno Giovanni, che era il più mansueto ed empatico dei due, riusciva a capirla?
Lei non li considerava i suoi genitori. Non poteva. Non ci riusciva. Eppure, qualche volta, avrebbe voluto. Avrebbe voluto urlare a gran voce «Papà!» quando di notte veniva svegliata dagli incubi. Avrebbe voluto voler bene e apprezzare quei piccoli momenti di felicità che Monica era solita regalarle. Come quando le permetteva di mangiare due o tre quadrati di cioccolato. Il suo preferito.
O come quando cercava di passare più tempo con lei, sforzandosi di non comprare il suo affetto con regali costosi ma con l’amore di una madre. No. Diana era stata davvero un egoista.
Non aveva saputo accogliere i coniugi Valentine nel suo cuore e non aveva saputo dire loro quanto li avesse amati, nonostante tutto. Avrei dovuto ringraziarli. Ma quando se n’era resa conto era ormai troppo tardi. Erano morti anche loro. Era rimasta sola. Di nuovo.
Prima i suoi genitori biologici. Poi suo fratello. Poi Monica e Giovanni.
Pare proprio che sia il mio destino...
 
 
 
[Inizio Flashback]
 
 

Il villaggio era avvolto nel silenzio e nelle fiamme e Diana si sentì mancare la terra sotto i piedi. Le gambe si mossero da sole e passo dopo passo, ansimo dopo ansimo, si ritrovò davanti la casa che l’aveva accolta come membro della famiglia.
Le fiamme dallo strano colore arcobaleno avanzavano voraci e lei fu invasa da una strana paura. Sgusciò dentro evitando che le lingue di fuoco la sfiorassero anche solo per sbaglio. L’aria era densa, pregna di fumo e gli occhi lacrimavano a causa delle esalazioni e del terrore. Udiva un fischiettio in lontananza, una canzoncina lugubre e quasi tossica che la costrinse per un attimo a tapparsi le orecchie e sperando di riuscire a sostituire quel suono con la voce allegra di Giovanni, con il tono duro di Monica – lo stesso con la quale era solita rimbeccarla.
Non servì nemmeno che varcasse la soglia del loro studio: erano riversi nel mezzo del corridoio, l’uno sopra l’altra. E Diana registrò il sangue, il silenzio e tutto le fu chiaro.
«No- No.» Balbettò, incolore. Non può essere. Non di nuovo. «No, no. No. No. -o.»
Perché continuo a perdere tutti quelli che amo? Perché?!
Cadde in ginocchio e scoppiò inesorabilmente a piangere, tossendo per il fumo e singhiozzando di dolore. E avrebbe continuato per minuti interi, avrebbe continuato fino a farsi mangiare dalle fiamme ma quel fischiettio si era fatto più vicino e Diana tremò di paura nell’accorgersene. Era stato lui. La sua era l’unica voce; una voce acuta e gracchiante. Era lui il responsabile di quel massacro!
E- E sta cercando me?! Pensò, sentendo il sangue gelare.
Si rialzò a fatica, si avvicinò ai corpi ormai esangui di Monica e Giovanni e, immersa nella paura più nera, si infilò sotto di loro, tremante come una foglia. Udì i passi farsi sempre più vicini, nascose i piedi e le mani sotto quelle più grandi di Giovanni mentre i capelli s’impregnavano del sangue di Monica, denso sul pavimento.
Diana ingoiò un singhiozzo e strizzò gli occhi, premendo la fronte contro il legno sporco e dall’odore nauseante. E poi eccolo, l’uomo che aveva causato quell’insensata carneficina: lo sentì fischiettare in piedi, a pochi passi da lei, lamentandosi del fumo che gli impediva di tenere gli occhi ben aperti.
Lo sentì. Sentì i suoi più torbidi pensieri, ciò cui aspirava. E Diana si sentì morire dentro.
No. Non gli avrebbe permesso di mettere le mani sulla magia della sua famiglia. Non gli avrebbe permesso di fare niente. L’avrebbe ucciso. Prima o poi l’avrebbe ucciso e vendicato la morte di Monica e di Giovanni. Sarebbe sopravvissuta, si sarebbe ricongiunta con suo fratello e poi l’avrebbe ucciso.
Sì. Farò così. E, piena fino all’orlo di odio e disperazione, Diana sgusciò via dal suo nascondiglio. Uscì. E salutò quella che era stata la sua prima e vera famiglia.
Un posto che, in fin dei conti e senza che mai se ne fosse accorta, avrebbe potuto chiamare casa.
 
 
 
[Fine Flashback]
 
 









 





 







 
 



Questa volta ci ho messo proprio poco, eh? ^^

Salve a tutti! Scusate se sarò breve ma c’ho sonno. È quasi l’una di notte e non sono più abituata a questi orari. Dunque.

Rehagan e Killian riescono incredibilmente a uscirne vivi. Wow. Nypha si è svegliata. Dai, almeno una gioia. Hydra è incazzatissimo. E c’hai ragione pure tu – Lily confirmed. Diana ci racconta un po’ di cosucce interessanti. Eeeee… Killian, ma cosa mi combini?! Oh, e non scordiamoci che... Hydra è incazzatissimo.

Secondo voi ci scapperà il morto? Ah, boh.

HOON ► https://pm1.narvii.com/6177/cb4303c2c3bf7f8c89e7a02b544da3a24cf37a46_hq.jpg

ROWEENA ► https://static.wikia.nocookie.net/881d3025-2747-48a7-959b-ec139ef98052

Curiosità n.25 ► Già. Betty sta per Macbeth, protagonista dell’opera di Shakespeare, “Macbeth”.


A ‘sto giro nessuna doppia curiosità. Abbiamo un piccolissimo spoiler!

 

 
Aperta la porta, tutto si aspettava tranne che trovarsi un Royal perfettamente in salute. «Ehilà!» Esclamò a tutta voce.
Se era sorpreso, Alastor non lo diede a vedere. «Come mai non sei morto?»


 


Non è abbastanza, eh? Ooook.
 



Alastor si recò in ospedale controvoglia.
Innanzitutto, non aveva mai avuto un sano rapporto paziente-medico con nessuno di loro – tutti, i più anziani e i praticanti, l’avevano infine mandato al diavolo a causa delle sue manie infondate e della sua testaccia dura che lo obbligava a stare sempre solo, chiuso in uno scantinato.
E poi, semplicemente, odiava andarci. Odiava avere nel naso l’odore del disinfettante. Odiava essere circondato da persone che indossavano costantemente un camice bianco, lucente, tanto da accecare i suoi poveri occhi.
Alastor si recò in ospedale e come prima cosa, andò a cercare Wiles. Per trovarlo, bastava trovare la stanza assegnata alla loro compagna di gilda che dal giorno dell’attacco non aveva ancora aperto gli occhi. «Novità?» Domandò, stanco.
«È già un miracolo che sia viva, dicono. Che si svegli pure è improbabile.»
«Mh.» Lui non era mai stato uno di molte parole, vero. Ma sapeva quanto Wiles ci tenesse a quella ragazzina. L’aveva vista crescere, le aveva dato un tetto sulla testa perché mandarla a vivere con quei due stralunati di Killian e Lily non poteva essere considerata una valida opzione e Royal gliel’aveva mollata conscio di quanto fosse bravo a trattare con i bambini.
Wiles era diventato uno zio, un cugino, un fratello maggiore.
«Se penso che quello stronzo è riuscito a scappare mi sale il sangue alla testa...» Sibilò.
«Royal?»
«Nella sua stanza. Lo dimettono stasera.» Alastor alzò un sopracciglio; al che il biondo si affrettò a spiegare: «Il caporeparto vuole che se ne vada oggi stesso.» Leggesi: lo sta cacciando.
Il bibliotecario non aggiunse altro. Osservò con occhi stanchi la figura di Ella distesa su quel letto e attorniata da una serie di macchine; aveva il viso pallido e scavato, i capelli spenti... sembrava morta.
 



 


Come se i traumi non fossero già abbastanza, eh?

DOMANDA (che forse quest’anno ci scappa anche il regalino a tema natalizio ^^): il vostro OC cosa pensa del Natale? L’ha mai festeggiato? Almeno sa che cos’è?

 
Alla prossima!
 
Rosy

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Capitolo 16
*** Capitolo Speciale ► Natale p.1 ***



Capitolo Speciale di Natale p.1




 
§

Un angelo per Natale

§
 
 

Scese dal treno con il cuore più leggero.
Dopo il lavoro si sentiva sempre così: sapere che al mondo c’era un’anima malvagia in meno la rendeva felice. Il freddo la colse impreparata e si ritrovò a dover avvolgere meglio la sciarpa attorno al collo. Camminò fino all’uscito della stazione; Crocus era un tripudio di colori.
Come ogni anno, erano stati addobbati più cinque grandi alberi sparsi per la capitale – in ognuna delle piazze più importanti. Ogni angolo della città rispecchiava l’allegria in cui era immersa e Nypha non vedeva l’ora di tornare a casa, farsi un bel bagno caldo e riposarsi.
Non aveva preparato nulla di speciale perché prima di partire per il lavoro pensava di non riuscire a tornare in tempo per la notte di Natale. I suoi genitori l’avevano persino invitata a un party ma Nypha aveva gentilmente rifiutato: voleva solo rilassarsi. Certo, avrebbe tanto voluto sapere cosa stesse facendo Hydra... ma le sembrò inappropriato chiederselo. Non stavano insieme, dopotutto.
Eppure, quando lo sguardo le cadeva regolarmente sui guanti di velluto verde che scaldavano le sue mani, non riusciva proprio a non sorridere emozionata. Glieli aveva regalati lui, prima di partire per chissà dove.
Attraversò la strada principale per poi imboccarne una secondaria. Poi, si fermò davanti alla vetrina di una pasticceria. Tra le tante, i suoi occhi calamitarono su una torta che dall’aspetto sembrava buonissima. Pensò di comprarla e gustarsela con calma a casa.
Fece per entrare ma una piccola figura attirò la sua attenzione. Era una bambina dai lunghi capelli biondi, lisci e grandi occhi scuri nascosti da un paio di occhiali dalla forma rettangolare. Indossava vestiti usurati dal tempo – cappellino compreso – e scarpe bucate.
Per Nypha fu chiaro. Le si inginocchiò accanto, attirando la sua attenzione, e le sorrise. «Quale di queste ti piace di più?»
La bambina arrossì di vergogna e puntò il dito tremante per il freddo in direzione di una torta immensa, a tre piani, ornata con ciuffetti di panna, fragole e intrecci di cioccolato. Nypha annuì e le chiese di aspettarla fuori.
Non appena vi mise piede, un forte odore di zenzero e cannella l’accolse. La cacciatrice domandò alla commessa di confezionarle la torta a tre piani e, una volta pagato, uscì, facendo tintinnare i campanelli legati alla porta.
La piccola era rimasta ferma nel punto in cui le aveva chiesto di aspettarla e la vide sgranare gli occhi quando Nypha si abbassò nuovamente alla sua altezza. «Come ti chiami, piccola?»
«A-Michelle.»
«Che bel nome! Io sono Nypha.» Le sorrise. Non aveva mai visto una bimba così carina in tutta la sua vita! Le indicò la scatola contenente la torta appena acquistata. «Questa è per te.»
Le labbra della bambina si mossero in un tremito fino a spalancarsi. «Davvero?» Nypha annuì. «M-Ma io... non...»
«È un regalo di Natale per te, Michelle. Ti prego di accettarlo.»
Non se lo fece ripetere due volte, la piccola, e annuì vigorosamente – col timore che potesse cambiare idea. Al che, l’argentea ridacchiò. «Ti accompagno a casa. Così puoi mangiarla con la tua famiglia.»
Era stata troppo ottimista, Nypha, perché non aveva considerato l’ipotesi che fosse sola. Infatti, Michelle si rabbuiò all’istante e la cacciatrice di taglie impallidì.
Si fece coraggio e sospirò. «Sei da sola?»
Michelle annuì – gli occhi colmi di lacrime che cercava di reprimere. «Mamma e papà sono morti tre mesi fa in un incidente. Lo zio non mi vuole e la nonna è cattiva con me.»
Nypha si morse la guancia, combattuta. Aveva addosso dei vestiti che non potevano di certo essere definiti tali. Sembrava non mangiasse adeguatamente da un po’. Il giaccone era troppo grande per lei e il cappellino troppo piccolo. Non sono suoi, concluse con amarezza. Come possono non occuparsi di una bambina così piccola? Che razza di mostri sono!
«Ti va di venire con me?» Le chiese, a bruciapelo. Sul volto di Michelle ci fu un susseguirsi di emozioni: stupore, felicità, commozione. Stava già sorridendo quando cominciò ad annuire. «Bene! Andiamo, allora! Cosa vuoi mangiare? Ci fermiamo a prendere qualcosa di già pronto, che dici?»
«Spaghetti in brodo!»
«E spaghetti in brodo siano!» Michelle rise – qualsiasi traccia di dolore nei suoi occhi sembrava sparita. Si incamminarono e lungo la strada, Nypha ne approfittò per comprare un cappottino decente per la bambina, un cappello di lana, una sciarpa e dei piccoli guanti coordinati. Glielo fece indossare subito e Michelle ne fu talmente felice che quasi non si mise a piangere.
Ordinarono due porzioni di ramen da portare via, una enorme di karaage e tanta altra roba per una ricca, ricchissima cena. Una volta a casa, Nypha buttò i panni sporchi in lavatrice ed entrambe fecero un lungo bagno caldo.
Michelle indossò una maglia di pile che le arrivava alle ginocchia e un paio di calzini lunghi. Avevano mangiato, si erano divertite e la piccola aveva insistito per acconciarle i lunghi capelli in due trecce, chiedendo all’altra di fare lo stesso. Alla fine, si erano gustate la torta e Michelle aveva finito per mangiare tutte le fragole usate come guarnizione, lasciando soltanto i ciuffetti di panna e il cioccolato.
Nypha si era ripromessa di contattare l’indomani una persona fidata perché si occupasse di trovarle una famiglia che fosse in grado di occuparsi di lei. Ma prima voleva farle festeggiare il Natale come una qualsiasi bambina della sua età, asciugandole le lacrime e facendola sorridere ogni qualvolta la sua mente tornava ai suoi genitori.
Era appena passata la mezzanotte, quando Michelle tirò il primo sbadiglio. «Grazie.» Biascicò, stropicciandosi gli occhietti pieni di sonno. «È stato bello. E la torta era buonissima.»
«Sono felice che ti sia divertita.»
La bambina sorrise, accoccolandosi contro la spalliera del divano e abbracciando un cuscino. Nypha la imitò, lasciandosi avvolgere dalle braccia di Morfeo e con la punta di un sorriso a disegnarle le labbra.
Vedendola già profondamente addormentata, Michelle socchiuse gli occhi, inspirando forte l’odore di dolce che permeava ancora la stanza.
Grazie, mamma. Grazie, papà. Penso, emozionata.
Grazie per avermi mandato un angelo per Natale.
 
 
 
 
 
 §

Sotto il vischio

§
 


«Grazie ancora, Molly.»
«Sembri proprio un disco rotto!» La proprietaria dell’ostello – una grossa signora con i capelli scuri raccolti in uno chignon ornato da una rosa e una larga collana di perle rosse allacciata attorno al collo – rise sonoramente, prima di aggiungere: «Non potevo proprio lasciarvi qui fuori a congelare! E poi avevo delle camere libere!»
Quando si era reso che per loro sarebbe stato impossibile dormire in tenda, Naevin si era sentito malissimo. In quella zona l’inverno non era mai stato così pungente, cazzo! Perché l’universo aveva scelto di far nevicare così tanto? Perché proprio quando c’erano loro?
L’occasione di sistemare le cose gli si presentò davanti a una locanda. Naevin non si sentiva molto ottimista a riguardo, ma alla fine aveva dovuto ricredersi.
Molly aveva accettato di accogliere tutti e dodici i Lakad senza neanche pensarci due volte – una tale asserzione non capitava spesso.
«Permettimi di ripagarti, almeno. Potrei-»
«Su, su! Non è il momento per questo! Divertiamoci!» Molly era gasatissima. Gli tirò una pacca sulla spalla con una forza che faticò a imputarle e gli mostrò un sorriso a trentadue denti.
Aveva allestito la sala da pranzo affinché festeggiassero adeguatamente il Natale tutti insieme, includendo altresì lei e tutti i dipendenti dell’ostello. Insomma, aveva organizzato una bella festa in pochi minuti e aveva improvvisato qualche gioco divertente con i più piccoli per farli divertire.
Era senza alcun dubbio una persona estroversa e senza peli sulla lingua. «Piuttosto, non credi sarebbe ora di trascorrere un po’ di tempo con la tua dolce metà?!»
Al suono di quelle parole, Naevin fece scattare istintivamente la testa alla ricerca di Amy.
Era inginocchiata davanti a Zale, il più piccolo della tribù – aveva appena quattro anni – e gli stava dicendo qualcosa di dannatamente divertente perché il bambino non faceva che ridere. Poi gli scompigliò i capelli e lo lasciò tornare dalla mamma, saltellando.
Molly, intanto, aveva cominciato a tirargli delle energiche gomitate. «Su, su! Vai pure e goditi un po’ di tempo con lei. Sono la regina delle feste, io! Mi assicurerò che tutti si divertano, Signor Capotribù
E non fece in tempo a dire una sola parola, Naevin, che Molly si era già lanciata verso il microfono, annunciando che a breve avrebbe improvvisato una canzone natalizia dai toni eccentrici – non gli sfuggì l’occhiolino in direzione dei bambini. Certo che è una vera forza della natura, quella donna!
Ad ogni modo, non se lo fece ripetere due volte. Ritrovò la figura minuta di Amy mentre osservava la proprietaria muoversi in maniera buffa sul piccolo palchetto – per l’occasione aveva raccolto i lunghi capelli biondi in una treccia che partiva dalla cima della testa e li aveva legati con un fiocco rosso.
Era... bellissima. La raggiuse e, come fosse stata chiamata, Amy si girò e gli occhi d’ametista brillarono. «Ehi!»
«Ehi.» Naevin non riuscì a trattenere un candido sorriso: vederla felice rendeva anche lui felice. «Ti stai divertendo.»
Amy annuì. «C’è una bella atmosfera.»
Se avesse dovuto descriverla con una parola, quella sarebbe stata luce. Amy era stata la sua luce e continuava a esserlo, anche dopo anni. Era stata la primissima persona a unirsi a lui e per molto tempo avevano viaggiato insieme, da soli – sempre l’uno accanto all’altra, come in una specie di luna di miele. Aveva maturato le sue prime esperienze come capotribù con lei vicino, con lei che lo rimbeccava ogni volta che ne aveva bisogno.
Erano cresciuti insieme, in un certo senso.
E senza pensarci, Naevin finì per sfiorarle le dita con gli occhi puntati sul suo viso. «Sono così felice che tu sia qui con me.» Lei sorrise e rafforzò la presa sulle sue mani. «Datruss, Amy.» («Grazie»).
«Grazie a te di esserci, Niv. Non avrei potuto desiderare una vita migliore di questa.»
Il cuore di Naevin perse un battito. Forse anche due.
Fece per dire qualcosa ma la voce squillante di Molly si levò alta, facendoli sobbalzare. «Oh, ma guarda un po’! C’è del vischio sulle loro teste!»
Amy fu la prima a rendersi conto che la signora stesse parlando di loro, perciò sollevò il capo. Naevin copiò il suo movimento ma non parve capire. «Cos’è?»
«È vischio.» Lei gli prese le mani, enormi in confronto alle sue. «E qui sotto ci si deve baciare, sai?»
Il moro lanciò una seconda occhiata al rametto appeso sopra le loro teste, poi guardò Amy. «Ci stanno fissando tutti, vero?» La vide trattenere una risata. «Allora, penso sia il caso muoverci. Sento gli occhi di Molly addosso e con ogni probabilità ci infilzerà con una forchetta se non ci baciamo adesso
Divertita, le labbra di Amy si aprirono in una risata prima di catturare il viso di Naevin e tirarlo contro il suo. Le loro bocche si scontrarono con una certa urgenza – l’esultanza dei presenti in sottofondo.
Il bacio non durò molto. Una manciata di secondi; secondi che bastarono ad accendere in entrambi una fiamma che difficilmente si sarebbe spenta da sola quella notte. Naevin non la lasciò andare, con una mano immersa tra i nodi allentati della treccia non le permise di allontanarsi.
E mentre Molly – vera e unica protagonista della serata – richiamava l’attenzione di tutti, Naevin approfittò di quel momento per imprimere direttamente sulle labbra ancora calde ciò che il suo cuore urlava da quando l’aveva conosciuta: «My’lek
Erano fronte contro fronte; naso contro naso; e bocca contro bocca.
Amy arrossì e sorrise sulle sue labbra, incapace di muoversi anche solo di un passo.
«Anch’io.» Sussurrò, per farsi sentire solo da lui. «Ti amo anch’io, Niv.»





 
§

Il profumo del Natale

§
 

 
«Perché io?» Domandò, interdetto.
Nonostante il clima di festa, Alastor si sentiva sempre più vicino alla morte. Nimue era scesa nello scantinato che lui si ostinava a chiamare “studio”, l’aveva preso per un orecchio e l’aveva trascinato fino all’ingresso. Poi, con il vuoto negli occhi – segno che davvero, davvero incazzata – gli aveva indicato gli scatoloni impilati uno sull’altro, a formare un muro mastodontico.
«Che roba è?» Aveva chiesto.
Ingenuo. Era stato un ingenuo. «Gli addobbi di Natale
«E perché hai chiamato me?» Doppiamente ingenuo.
Nimue l’aveva fissato incolore e pochi minuti dopo, Alastor era lì, stremato, mentre trasportava una pallina di Natale più grande della sua faccia per l’albero che il Master aveva fatto precedentemente montare al centro dell’ampia sala d’ingresso.
«Perché proprio io?» Si azzardò a ripetere, aggiustandosi gli occhiali con le nocche delle mani impegnate. Accanto a lui, Nimue roteò gli occhi ma rimase in silenzio. «Non ho senso estetico. Potrei addobbarlo male e Lily se la prenderebbe con me. Di nuovo.»
«Se la prenderebbe con te comunque. Lasciala perdere.»
«Facile per te parlare.» Sbuffò.
Si trascinò avanti e indietro altre due o tre volte, sotto gli occhi attenti della dottoressa, neanche fosse un prigioniero di guerra. Il motivo era uno e uno soltanto: voleva che anche Alastor respirasse un po’ di aria natalizia. Voleva che, anche se per poco, partecipasse.
Che si sentisse coinvolto.
«Quest’anno parteciperai al nostro gioco del Babbo Natale Segreto.» E alla faccia pallida e a tratti schifata di Alastor, Nimue rispose con un imperativo: «Ti ho già iscritto. Non puoi tirarti indietro.»
«Non capisco perché ci stiamo impegnando così tanto per degli addobbi che dovremo rimettere negli scatoloni tra un paio di settimane...»
Alastor non era avvezzo alle feste. Non era biologicamente fatto per le feste. Non sapeva divertirsi.
E Nimue lo sapeva, lo sapeva più di chiunque altro perché per anni aveva avuto il suo stesso problema. Neanche lei credeva essere la persona più adatta per una festa – il suo sguardo vitreo aveva fatto raggelare persino i suoi genitori, dopotutto. Come avrebbe giustificato la sua presenza in mezzo a tante persone che ballavano, cantavano e si rendevano ridicole a causa dell’alcol?
Ma era stato Killian a tirarle addosso la farina, quella volta. E, in risposta, lei l’aveva quasi fatto strozzare con un mochi che gli aveva incastrato in gola. A modo suo, le aveva dimostrato di essere perfettamente in grado di saper stare in mezzo agli altri – lo aveva capito quando gli altri membri della gilda le avevano fatto i complimenti per il suo bel caratterino.
«Non fare finta di non sentirla, Al. Respira.» Disse. «Respira l’aria del Natale. Come dice anche Lily, ha un profumo affascinante.»
«Mh.»
Alastor non disse nulla. Ma con una lenta occhiata scandagliò per bene i volti dei suoi colleghi: erano tutti su di giri per la festa che si sarebbe svolta da lì a pochi giorni, come se non aspettassero altro.  Dietro il bancone, Wiles rideva come un pazzo per chissà cosa, mentre Royal tracannava un alcolico come fosse acqua con una certa stizza. Il barman biondo stava palesemente prendendo in giro il suo coetaneo. Killian zampettava in giro, intanto che Ella lo seguiva con lo sguardo.
«È chiassoso.» Sussurrò, ma Nimue doveva averlo sentito ugualmente perché si era voltata verso di lui. «Il Natale è davvero chiassoso. Ci sono troppi colori, c’è troppe luce... troppa gente
Alastor non era biologicamente fatto per stare in mezzo alle persone. Era schivo. Soltanto parlare gli costava un’immensa fatica. Eppure, quel che ne uscì fu senza alcun dubbio l’ombra di un sorriso.


Quella stessa sera, Alastor scoprì a chi fosse stato abbinato per il Babbo Natale Segreto. Fu Nimue a informarlo della cosa e il bibliotecario aveva seriamente rischiato di stramazzare al suolo. «Devo fare un regalo a Lily?»
«Sì.»
«È uno scherzo, vero?»
«Ti assicuro di no.»
Alastor inspirò forte. Piuttosto la morte.
 
 


 
§

Il mio gioiello più prezioso

§


 
Paradossalmente e nonostante la coltre di neve che ne ricopriva il suolo, il cimitero di Magnolia era diventato un tripudio di colori. In tantissimi avevano già fatto visita ai loro cari e avevano pensato di abbellirne i loculi con fiori, stelle di carta, luci e candele.
La mattina di Natale, Ella giunse davanti alla tomba di sua sorella con una pianta di gigli iridescenti come dono. La appoggiò accanto al nome e si prese del tempo per osservare il nome di Beatrice Fitzgerald, immaginando di averla lì, sorridente, mentre le scompigliava i capelli con gioiosa ilarità.
«Ciao, Bea.» Sussurrò. «Buon Natale.»
Faceva ancora male, nonostante fossero passati ormai molti anni. Stare lì, parlarle, le faceva uno strano effetto.
«Alla gilda è tutto ok. Il Master è sempre molto gentile con me e sostiene i miei studi. Sono sicura che ti sarebbe piaciuto e non intendo solo fisicamente perché, beh, è risaputo che sia un uomo avvenente. Ma non è proprio il mio tipo! Lui no. Lo sai, te ne ho parlato fino alla nausea...» Sospirò, arrossendo appena. «Credo però che non sia interessato. In realtà, non riesco proprio a capire cosa pensi! Lily dice che è solo un idiota ma... ecco- lui- lui è così gentile e-»
Le mani tremarono, la voce si ruppe.
«E vorrei che fossi qui. Vorrei un tuo consiglio, Bea.» Un singhiozzò sfuggì dalle sue labbra. «Mi manchi.»
Non fece nulla per trattenere le lacrime e pianse ininterrottamente per chissà quanti minuti. Lei non era Lily, non fuggiva dal dolore per andare a nascondersi dietro una maschera di rabbia. Lei non era come Nimue che sapeva sempre cosa fare e quando farlo.
Ella era solo Ella. E soffriva ancora terribilmente.
Tirò fuori dal cappotto un fazzoletto con il quale cercò di darsi una sistemata. Non voleva tornare a casa con il moccio al naso e le guance bagnate.
Prese un bel respiro e impose al cuore di calmarsi. «Ok, non doveva finire così. Cavolo.» Mugugnò, imbarazzata. «Mi manchi tantissimo, Bea, ma me la cavo. Davvero.»
Annuì con forza, come a dimostrazione di ciò che aveva appena detto. «Me la cavo. Va bene. Sto bene. E potrai non credermi visto che ogni volta che vengo qui finisco quasi sempre col piangere, ma... sto davvero bene con loro.»
Provò a immaginarla. Provò a immaginarla mentre le sorrideva con aria spavalda e le intimava di girare i tacchi e andare a festeggiare il Natale assieme alle persone a cui voleva bene, assieme a chi poteva ancora stringerla a sé in un abbraccio.
Ella sorrise, asciugandosi le ultime lacrime. «Allora, io vado.»
La salutò e dopo un altro profondo respiro, si avviò verso il cancello. E Wiles era doveva l’aveva lasciato: in piedi accanto all’entrata. Gli sorrise, riconoscente. «Eccomi. E grazie per avermi accompagnata anche quest’anno.»
«È sempre un piacere, lo sai.»
Wiles era diventato importante per lei. L’aveva accolta in casa, l’aveva amata come una sorella. Era stato difficile andare avanti dopo la morte di Beatrice, quasi impossibile.
Era convinta che non avrebbe vissuto a lungo con un simile dolore a raschiarle le ossa. Ma l’Aurora aveva cambiato tutto. Con loro si sentiva amata, protetta.
Sto bene, Bea. Grazie a loro, sto bene.
«Cosa mangiamo oggi? È Natale, ti ricordo.»
Wiles fece spallucce. «Faccio schifo ai fornelli, le uniche cose in cui sono bravo sono i cocktail ma tu sei ancora troppo giovane per quelli. Quindi... ho ordinato del cibo d’asporto!»
Al che, Ella scoppiò a ridere.
«Ridi, ridi. Ho ancora tempo per andare a restituire il tuo regalo al negozio.»
«Cosa?! No! Voglio il regalo!»


«È importante. Devi tenerlo sempre a mente, ok? Sei tu il mio gioiello, Ella. Il più prezioso che ho.
E non importa quanto possa scavare, non ne troverei mai uno che possa eguagliarti.
»


 
 















 
 
 


 

Probabilmente è presto, ma non potevo aspettare.
Ecco Nypha, Naevin, Alastor, Nimue ed Ella che festeggiano il Natale ^^ quanto sono carini da uno a dieci?! Comunque, nonostante siano solo degli extra, ne ho approfittato per raccontarvi qualcosina in più! Avete conosciuto Amy, insomma *^*

Per alcuni personaggi non ho idee, SINCERA. Più che altro volevo pensare a qualcosa di diverso per ognuno di loro... Eve è a posto (grazie, Kiss ^^). Anche Lily. E anche Clizia *^* Tutti gli altri: il buio. 
Ma non preoccupatevi. Di sicuro mi inventerò qualcosa. O lo farete voi. Sono aperta sempre a nuove idee e suggerimenti! ^^ Lo sapete.

Non so quando pubblicherò la seconda parte – non so neanche se dividerò il tutto in tre capitoli, ma è molto probabile. 

Comunque, nel caso non ci dovessimo sentire prossimamente, auguro già da adesso e a tutti Buone Feste!!!

>_______<

Divertitevi! O rilassatevi! Io, sicuro, proverò a rilassarmi mentre magio panettoni senza canditi e mentre bevo tante, tantissime tisane alla frutta ^^ 
Il piano è questo XD Alla prossima!
 

Rosy


P.S. Non riesco a crederci nemmeno io ma il prossimo capitolo (quello regolare) è già pronto per metà... forse per tre quarti ^^ Evviva!
 

 

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Capitolo 17
*** ► 15. Confronto e verità ***



CAPITOLO 15. Confronto e verità 





 
 
Rehagan fu il primo a sentirle arrivare – era anche l’unico rimasto fuori, a dire il vero.
Si era messo a giocare con le sue provette dopo aver assunto degli antidolorifici per via della ferita alla spalla ed era rimasto lì tutta la notte; a studiare e a spremere le bacche di sambuco che Hydra si era offerto di andare a cercare la sera prima.
Perché sì, il marinaio aveva chiesto a lui e a Nimue cosa potesse fare per aiutarli a preparare un antidoto il più in fretta possibile. E la dottoressa, nella sua brutale sincerità, gli aveva spiegato che per il momento quello che stavano cercando di creare era un palliativo, qualcosa che potesse rallentare gli effetti del veleno.
«Un passo alla volta. Un fallimento dopo l’altro. È così che funziona la scienza.» Hydra gli aveva riservato un’occhiata indecifrabile e senza dire neanche una parola si era incamminato verso il bosco.
Aveva dormito sì e no un’ora e mezza. Il viso era marcato dalle occhiaie e aveva fatto un’abbondante colazione solo perché Killian si era presentato davanti a lui con del cibo e l’aveva costretto a mangiare davanti a lui per controllare che non se ne dimenticasse, preso com’era nella sua ricerca.
Rehagan riconobbe subito il chiarore della pelle di Lily spuntare dalla coltre di alberi e fogliame. Dietro di lei, le altre due maghe camminavano in religioso silenzio – il che era strano, considerata l’indole di Eve. Ad ogni modo, era contento di vederle sane e salve. «Sono tutti dentro.» Le informò, sistemandosi meglio sulla panca. Il tavolo che Abel aveva portato fuori perché avesse più spazio possibile, era stato preso direttamente dalla cucina.
Anche lui moriva dalla curiosità. Voleva sapere cosa avesse spinto Diana a lasciare Nypha, voleva sapere cos’era successo. E perché sembrava reduce da un duro conflitto interiore.
Eve sospirò e con una scusa si avviò verso casa di Ysami ma prima ancora di abbassare la maniglia della porta, questa si spalancò. Boccheggiò per lo spavento. «Cavolo, ma ti sembra il modo!» Poi si rese conto di chi le stesse davanti. Ops.
Rigido come una statua, Hydra fissava Diana con cipiglio inespressivo.
Era arrabbiato, certo. Ma al contrario di Lily – che era un fuoco d’artificio – lui era perfettamente in grado di contenere le proprie emozioni, di non esplodere. In più, era sempre stato una persona ragionevole – per questo non sopportava chi finiva per caricare a testa bassa.
A vederla lì, immobile, con i vestiti bruciacchiati e il viso stranamente pallido, sembrava reduce da una battaglia. Addirittura, pensò che si fosse messa a inseguire il nemico, che magari avesse finito per incontrare quella dannata Emilia. Che si fosse fatta male inseguendola.
«Mi spiace deluderti ma non è andata come credi.» Sentenziò lei, captando i suoi pensieri.
Hydra non si mosse e nemmeno Eve, che si vedeva chiusa l’unica via d’uscita da quell’assurda situazione.
Al che, Rehagan cercò di dire qualcosa ma la voce calma e forte del marinaio sovrastò la sua: «Dimmi cosa ti ha spinto a mollare tutto, a mollare Nypha, e ad allontanarti. Io pretendo una spiegazione.»
Diana si ritrovò a trattenere il respiro. Per un attimo, le sembrò di essere tornata al giorno prima, a quando aveva avuto di fronte una Lily furiosa e attraversata da un’irrefrenabile voglia di pestarla. Questa volta, però, c’era Hydra. E lui sembrava davvero intenzionato ad ascoltare ciò che aveva da dire.
Tanto che mosse alcuni passi in avanti, piazzandosi a pochi metri da lei.
Naevin sbucò oltre l’uscio e con un’occhiata silenziosa domandò alla maga di Bosco cosa stesse succedendo. Quest’ultima sospirò e gli indicò l’intera scena.
Lily sta mantenendo la promessa fatta, eh. Pensò. Non ha alcuna intenzione di intervenire.
«Io-» Ma si fermò, Diana. Si fermò perché le sembrava insensato quello che stava per fare. Accecata dall’odio e dalla paura aveva finito per parlare a Eve e Lily di suo fratello e di Dyaspro. A Eve. A una maga di Black Robin, maledizione. «Perché mai dovrei? Posso ascoltare i vostri pensieri, ricordate?»
Hydra sollevò un sopracciglio e storse la bocca, indignato dalle sue parole. «Pensi me ne fotta qualcosa? Rispondi alla mia domanda.»
«Non siete molto diversi da me, dopotutto!» Esclamò, irosa.
Ed eccola. Diana Fonì, colei che attacca per paura di venire attaccata – o abbandonata.
Poco distante, Lily cominciò a fissarla truce. Cos’era quel cambio di atteggiamento? Ok che Hydra manderebbe ai matti chiunque, ma così esagera! «Datti una calmata, idio-»
«E non osare. Non osare mai più farmi la paternale, Lily
Diana le sentiva. Sentiva le voci interiori di tutti. Conosceva i loro desideri. I loro obiettivi. E cos’erano disposti a fare pur di raggiungerli. Sin dal primo giorno, aveva cercato di capire se potesse fidarsi di loro, se potesse chiudere entrambi gli occhi senza il timore di venir pugnalata alle spalle.
Era diventato più forte di lei. La Magia della Comprensione Sensoriale non aiutava ma nemmeno il suo sentirsi messa all’angolo dall’occhio inquisitore di Hydra.
Persino Eve, che il giorno prima era riuscita a calmarla, faticò a chiederle di smetterla.
«Ho lasciato Nypha perché c’era una cosa che dovevo controllare. Una cosa che per me è più importante delle Fate, di voi, di tutto.» Asserì. «E so per certo che anche tu la pensi come me, Eve
D’un tratto l’attenzione dei presenti si spostò proprio sulla maga di Bosco che, presa alla sprovvista, si ritrovò a sgranare gli occhi. Scosse la testa, cercando di ignorare quel senso di nausea alla bocca dello stomaco. «Ma che dici?»
«Non fare la finta tonta. Mi è capitato di sentirti. Se ti trovassi a dover scegliere, sceglieresti sicuramente Kyla, condannando chiunque altro di noi e senza neanche troppi ripensamenti!»
Eve trattenne il respiro. Come poteva negare la realtà? È vero. Trovare Kyla era, per lei, la priorità. Se avesse potuto barattare qualcosa, qualsiasi cosa, l’avrebbe fatto. Ma, nonostante ciò, percepire gli occhi di tutti addosso le fece fremere il cuore.
«Tu sei l’ultima persona che può parlare dal momento che sei passata dalla teoria alla pratica, no?»
Diana storse il naso. «E allora?»
«E allora? Ma ti senti?!»
«Nessuno di noi è qui per le Fate!» Esclamò, inviperita. «E ve la prendete con me per questo? Quanto potete essere ipocriti?!»
Fu allora che Rehagan sentì il bisogno impellente di alzare la mano così da entrare nella discussione. Da un lato voleva fare una precisazione, dall’altro voleva in qualche modo evitare che si sfociasse in un insanabile litigio. «In verità, io sono qui proprio per le Fate...»
L’altra le lanciò un’occhiataccia. «Sta’ zitto.» Al che, lo scienziato rabbrividì.
«Al di là del fatto che siamo qui per motivi diversi... ancora non mi hai spiegato perché te ne sei andata.» La voce di Hydra si fece scura e carica di tensione.
«Te l’ho già detto.»
«Sii più precisa.»
Diana sollevò un sopracciglio con aria di sfida. «Altrimenti?»
«Altrimenti ti spezzo tutte le ossa.»
Naevin fece un passo avanti ma prima ancora che potesse dire o fare qualsiasi cosa, Eve lo fermò sfiorandogli appena un braccio. Scosse la testa e con un’espressione indecifrabile girò i tacchi ed entrò in casa, nervosa come mai lo era stata da quando avevano preso il mare.
E il Lakad non sapeva proprio cosa fare. Seguirla o controllare che gli altri non si uccidessero tra loro? La risposta apparì quanto mai chiara nella sua mente dopo che l’alta figura di Killian lo sorpassò, uscendo in cortile.
Decise di lasciar fare a lui e seguì Eve dentro casa.
«Ok. Calmiamoci tutti.» Asserì Killian, avanzando tranquillamente e ponendosi tra i due litiganti. «Capisco che tu abbia avuto le tue ragioni, ma una squadra non è questo. In una squadra ci si fida l’uno dell’altro e se hai un problema, dovresti parlarcene.»
La ragazza strinse le labbra in una smorfia e inspirò profondamente dal naso. «Ti ci metti anche tu?»
«Beh, tecnicamente sarei il capo qui. Quindi...
Lily brontolò. «Potresti fare il serio una volta ogni tanto?» Venne ignorata. Anche perché c’erano cose più urgenti e importanti da discutere dello strano modo in cui Killian era intenzionato a prendere posizione.
«Noi non siamo una squadra. E non siamo amici.» Ribatté Diana, ancora una volta. «Non mi fido di voi e men che meno di te!»
In un attimo, lo sguardo di Killian si intenerì. Il caramello nei suoi occhi sembrò sciogliersi e le labbra si distesero in un triste sorriso. «Io voglio aiutarti.» Disse, studiando le reazione della ragazza e ignorando quelle degli altri presenti. «Voglio aiutarti a trovare tuo fratello.»
Il cuore di Diana si fermò. «Come lo sai?» Domandò, in un sussurro. Si voltò d’istinto verso Lily ma lei scosse la testa in segno di diniego. Non era stata lei a dirlo a Killian. Ma allora, come...?
«Prima di “arruolarvi” ho fatto delle ricerche. O meglio, Alastor le ha fatte e mi ha passato tutto il materiale. So perfettamente che tipo di persone siete. So bene che a te non importa niente delle Fate. So bene che per Eve è più importante Kyla. So anche che, se Hydra ha accettato di unirsi a noi, è perché anche lui sta cercando qualcosa.» Spiegò, monocorde. «E ho voluto scommettere. Non si tratta che di una scommessa, alla fine.»
«Peccato che per mezzo della tua scommessa, Nypha è di là che rischia di morire!»
Killian sorrise. «Non morirà, tranquillo. Ho fiducia in Nimue. E in Rehagan, che non ha chiuso occhio perché sta cercando disperatamente una via d’uscita.»
«Perché?» la voce di Diana si fece flebile, appena sussurrata.
Tanto che Killian non era certo di aver capito. «In che senso perché
«Perché ti fidi così tanto? Insomma, conosci Nimue ma... Rehagan? Ti fidi davvero così tanto di lui? Di noiTi fideresti ancora di me dopo quello che ho fatto? «Sei scemo o cosa?»
Allora Lily roteò gli occhi al cielo. Lei conosceva suo fratello ed era semplicemente fatto così. Era bravo a inquadrare le persone – se le reputava apposto, niente e nessuno avrebbe potuto fargli cambiare l’idea che si era fatto semplicemente osservandole. Lily si lasciava guidare dall’istinto e spesso ci azzeccava; Killian approfittava del fatto che non sembrasse fosse pericoloso per studiare più da vicino i suoi “obiettivi”. E ci azzeccava sempre.
Non sbagliava mai. Mai. Anche se, spesso, fingeva il contrario.
«Non sei una cattiva persona.» E il sorriso si fece più ampio, genuino. «E non sono l’unico a pensarla così.»
A Diana sfuggì un risolino carico di cinismo. Certo, come no.
«Fidati di me.»
No. Non poteva fidarsi. Non poteva perché chiunque sarebbe potuto diventare una distrazione – lei aveva un obiettivo e voleva raggiungerlo. Doveva raggiungerlo.
Suo fratello la stava aspettando chissà dove e il mondo non le era mai sembrato così grande, così immenso. E stando sempre completamente da sola sembrava persino peggio.
Abbassò il capo per nascondere gli occhi umidi sotto le ciocche incasinate di capelli. Dopotutto, lei non voleva stare sola. Non sempre, per lo meno. Perché non riusciva a fidarsi? Perché non riusciva a lasciarsi andare? Perché?!
Fu allora che la voce di Hydra tornò a riempire quello strano silenzio creatosi per lei. «Quindi è così che stanno le cose?» Lei non rispose, né alzò lo sguardo. Non si mosse, si limitò a stringere i pugni e a lottare contro le lacrime che minacciavano di uscire.
Perché non voleva piangere. Non voleva subire una tale umiliazione – perché di questo si trattava. Non essere debole, Diana. Si disse. Non mostrarti debole, non piangere. Non piangere. Non piangere.
«Stai cercando tuo fratello. Perché? Che è successo?»
Corrucciò la fronte e il corpo si tese ancora di più, neanche fosse una corda di violino. Ricacciò le lacrime e faticò non poco ad aprire bocca senza che le tremassero le labbra, senza che le tremasse la voce. «Io-» Ma si bloccò, nuovamente. Posso... davvero? Farò bene a fidarmi?
A intervenire fu la persona più insospettabile di tutte: Lily – lei, che aveva giurato di non aiutarla, prese la parola sotto gli occhi fieri e divertiti di Killian. «Certo che sei più testarda di un mulo! Cosa ti trattiene dal parlare con noi?»
«Io avrei un’idea!» Gongolante, Rehagan si alzò dalla sua postazione e si accostò alla ragazzina circondandole le spalle esili con un braccio, quello che riuscì a sollevare senza avvertire delle terribili fitte alla spalla. «Niv mi ha detto che qui vicino si sono create delle pozze d’acqua termale. Che ne dite di andarci? Ci porterà solo benefici!»
Il silenzio che ne seguì fu molto diverso da quello di prima, tanto che lo scienziato sospirò, affranto che nessuno dei presenti avesse colto quel che si nascondeva dietro la sua idea. «È risaputo che il modo migliore per fare amicizia e irrobustire i legami è questo
«Non è con un bagno caldo che risolveremo la questione...» Replicò Lily, allibita.
Rehagan sghignazzò. «No, ma sarà comunque un inizio!»
 
 
 
§
 
 
 
Si sarebbero incamminati poco prima del tramonto.
Killian si era detto entusiasta all’idea di potersi fare un bel bagno caldo e aveva obbligato tutti – nessuno escluso – a prendere parte a quell’iniziativa. In più, Nimue aveva dato il suo consenso affinché anche Nypha potesse andare con loro. Le sue condizioni erano piuttosto stabili e con un po’ d’aiuto esterno le terme si sarebbero trasformate in un oasi di pace che, con ogni probabilità, avrebbe aiutato la cacciatrice di taglie a riprendere un po’ di colore.
Non l’avrebbero fatta guarire del tutto ma si sarebbe sentita senz’altro meglio.
Intanto, Diana si era ritrovata, senza nemmeno sapere come, in camera di Ysami. La donna – vedendola passare per caso davanti alla sua porta – le aveva chiesto la gentilezza di controllare la piccola Eden mentre lei era in bagno a farsi una doccia veloce.
Lo scricciolo sonnecchiava in tranquillità nel mezzo del letto matrimoniale mentre Diana sedeva su una piccola poltrona e intagliava un pezzo di legno in religioso silenzio. Quando Ysami tornò aveva il corpo avvolto in un asciugamano enorme e i capelli già perfettamente asciutti.
«Guarda che puoi avvicinarti. Non ti mangia mica.» Disse, sorridendo.
In effetti, e senza neanche farci caso, Diana aveva scelto di sedersi il più lontano possibile da Eden.
Un po’ si sentì in colpa per averlo fatto.
«Non ti piacciono i bambini?» Ysami lasciò cadere l’asciugamano e cominciò a vestirsi mentre la più piccola non osava girarsi nella sua direzione. Sapeva già cos’avrebbe visto: una donna con ancora i segni della gravidanza, il seno gonfio e un sorriso radioso nonostante la stanchezza di una prima notte trascorsa ad allattare.
Sospirò, Diana. «Sì. Mi piacciono.»
L’altra annuì. «Allora, dopo prendila un po’ in braccio. È leggera come una piuma!» Mai si sarebbe aspettata una proposta del genere; Ysami capì la sua inquietudine semplicemente leggendogliela in faccia. «Non preoccuparti, non la farai cadere.»
Andò a sedersi sul bordo del letto senza mai toglierle gli occhi di dosso. Sembrava semplicemente innamorata della sua bambina. «Abel è nella stanza degli ospiti che dorme. La vostra amica Nimue gli ha impedito di stare qui perché ha bisogno di recuperare le forze e con Eden accanto, non avrebbe riposato a dovere.» La vostra amica? «Dato che da domani dovrà aiutarmi al doppio delle sue possibilità, voleva che fosse in perfette condizioni.»
Diana rimase in silenzio, continuando a intagliare il legno.
Le stava spiegando cose futili, stava cercando di spostare l’attenzione su cose più semplici da gestire per non pensare alla paura che aveva provato quando se l’era immaginato morto, per sempre lontano da lei e da sua figlia. Si era immaginata a crescere la sua bambina da sola, nella disperazione di non avere più accanto l’amore della sua vita. Il suo primo amore.
E Diana tutte queste cose le sentiva grazie alla sua magia – il cuore sul punto di scoppiare. «Saresti stata una mamma meravigliosa anche senza l’aiuto di Abel.» Disse, atona. «Ma visto che è qui e che sta bene, sarete entrambi meravigliosi.»
Visto il silenzio che seguì quelle sue parole, ebbe sul serio l’impressione che non l’avesse sentita. Ma quando si voltò notò che Ysami la stava guardando con gli occhi lucidi e colmi di gratitudine.
Per un attimo, non seppe davvero cosa fare, Diana.
«Ti ringrazio.» Alla donna sfuggì un singhiozzo. «Avevo davvero bisogno di sentirmelo dire.»
L’altra annuì, tornando poi al suo lavoro d’intaglio. Paradossalmente, Diana era brava a capire le persone. Grazie alla Magia della Comprensione Sensoriale – volente o nolente – era in grado di leggere e comprendere i pensieri delle altre persone.
Non era altrettanto brava a interagire con loro.
E Ysami – un po’ per via del suo innato istinto materno – se n’era resa conto. «Sono certa che ritroverai tuo fratello.» Questo suo commento la prese parecchio alla sprovvista, tanto che la neomamma si affrettò a spiegare di aver sentito parte della loro conversazione dopo essersi svegliata. «Non preoccuparti, ho chiuso la finestra subito dopo. Non volevo essere indiscreta.» Aggiunse.
Diana annuì, incapace di dire altro.
«Riuscirai a trovarlo che tu sia o non sia da sola. Ce la farai.» La voce gentile, melodiosa... per un attimo le ricordò Monica. «Ma a questo punto, non pensi sarebbe meglio non restare da soli?»
A queste parole seguì una lunga ed estenuante pausa in cui Diana smise di muoversi. Il coltello le cadde a terra e il rumore provocato dalla lama che urtava il pavimento bastò a svegliare Eden.
Ysami si assicurò di controllare che fosse apposto e che si riappisolasse subito dopo, cosa che accadde.
«Ma in questo modo dovrei riuscire a fidarmi di loro.» Asserì, a bassa voce.
«Non mi sembrano persone cattive, tutt’altro.»
Diana sospirò. «Io non... non ci riesco.»
«Fa’ quello che ti senti di fare. Ma assicurati che sia davvero quello che vuoi. Se non vuoi fidarti non farlo ma se, invece, vuoi affidare le tue preoccupazioni a quelle che tu ritieni siano brave persone... impara a farlo
 
 
 
§
 
 
 
Quando Naevin l’aveva raggiunta in cucina si era arresa alla realtà dei fatti: Diana conosceva il suo segreto. Eve aveva sbuffato, immergendo le dita tra i capelli e tirandoli all’indietro, scoprendo il viso ricoperto del tutto di lentiggini.
Aveva trascorso i successivi dieci minuti in compagnia del Lakad e di fronte alla sua muta richiesta di sfogarsi, Eve non era riuscita a tenere la bocca chiusa. Naevin sapeva ascoltare. Sapeva come far sentire meglio le persone semplicemente non facendo niente, aguzzando le orecchie e guardandole camminare avanti e indietro.
La maga di Bosco aveva sospirato un paio di volte e poi aveva mostrato un sorriso tirato. «Succede ogni volta. Pensano tutti che la mia gilda sia gestita e frequentata da persone orribili ma non è così! Facciamo solo il nostro fottutissimo lavoro!» Aveva esclamato, allibita. «L’Aurora ha un modo di procedere, noi abbiamo il nostro! Cosa c’è di tanto sconvolgente?! Non ammazziamo mica qualcuno!»
E Naevin l’aveva ascoltata per tutto il tempo, capendo solo la metà di quello che usciva dalla sua bocca. Poi era arrivato Killian che li aveva messi al corrente dell’idea delle terme, obbligandoli a esserci – «Altrimenti... niente paga!» Aveva detto.
Di conseguenza, si erano ritrovati tutti fuori casa di Ysami nel tardo pomeriggio. Il Lakad era in testa al gruppo, affiancato da Lily e Rehagan. Subito dopo c’era Nypha – imbarazzatissima perché Hydra aveva preteso di portarla in braccio fino a destinazione. Non l’avrebbe lasciata a nessun altro, ovvio!
Arrivarono appena dopo il tramonto e ciò che videro li lasciò senza fiato. Era uno spettacolo magnifico: la grossa piscina d’acqua – così come quelle più piccole sparse per la montagna, più o meno nascoste da strati e strati di roccia e alberi – sembrava gridare al banzai. Lily si trattenne dal gettarcisi dentro con tutti i vestiti solo perché si era deciso di costruire una specie di separé con della legna raccattata in giro, così da dare uno spazio per i ragazzi e uno per le ragazze senza imbarazzare nessuno.
Una volta terminati i preparativi, Lily fu la prima a spogliarsi e a immergersi in acqua socchiudendo gli occhi. Al che, Nypha sgranò gli occhi, colpita dalla sua totale assenza di pudore.
«Ignorala, fa sempre così.» Nimue, intanto che parlava, aveva tirato fuori dal suo piccolo marsupio un barattolo con dentro alcune erbe. «Queste, una volta sciolte in acqua, vi aiuteranno a rimettervi in sesto dalle ferite. Naturalmente, avrà effetto anche su di te, Nypha. E, anzi, ti aiuterà a risvegliare un po’ i tuoi nervi mezzi addormentati.»
La cacciatrice di taglie annuì e lanciò una breve occhiata verso il “muro”, assicurandosi di non essere vista da nessuno di loro. Fatto ciò, si slacciò lentamente la gonna e tolse la maglietta, restando in intimo e cercando di non attirare troppo l’attenzione delle altre. Eve aveva appena ripiegato i vestiti e si era già avviata – Diana, invece, era rimasta immobile a fissare il cielo sopra di loro.
Nypha seguì il suo sguardo e schiuse la bocca, stupita da come le stelle si vedessero così bene da lì.
Ma il suo stupore per quello spettacolo naturale durò poco perché sentì Rehagan gridare qualcosa dall’altra parte del “muro”, imprecazione che fu seguita da un tonfo. Non poté credere ai suoi occhi quando vide Nimue raggiungerla e lasciare la sponda opposta a quella doveva si era sistemate le ragazze. «Ma- Perché sei andata di là?!»
Si sentiva in imbarazzo per lei – e Nimue era ancora del tutto vestita, comunque.
La dottoressa alzò le spalle. «Ho dato anche a loro le mie erbe. Appena mi ha vista, Reha è caduto in acqua nudo come un verme.»
Nypha rimase a bocca aperta. Certo. Lily ha zero senso del pudore ma Nimue non fa una piega davanti alla nudità altrui... in un certo senso si completano. Pensò, scioccata. Aspetta. Anche Hydra era nudo?!
E per un istante uno strano senso di gelosia le fece storcere il naso ma prima che potesse dire qualcosa la voce di Eve la richiamò. «Volete darvi una mossa?!»
«Andiamo.» Disse e Nimue si assicurò che la cacciatrice di taglie raggiungesse l’acqua senza capitolare al suolo – anche Tabitha aveva avuto piccole difficoltà a muoversi, ricordò; soltanto verso la fine, l’effetto del veleno era entrato nella fase più critica.
Poi, si accorse di Diana, rimasta ferma a guardare fisso davanti a sé.
Non stava guardando niente, in realtà. Era bloccata tra i suoi stessi pensieri. Per questo, le si avvicinò e l’afferrò per le spalle, facendola sussultare. «Un bel bagno caldo farà bene anche a te. Forza.»
Diana annuì – più che altro meccanicamente. Si girò, si tolse i vestiti con una calma stoica e in un attimo l’attenzione venne calamitata su di lei o, meglio, sulle cicatrici che deturpavano la sua schiena. Lily rabbrividì. Erano stati degli artigli – quattro per l’esattezza – a ferirla in quel modo, a tagliarle trasversalmente la schiena, dalla spalla destra al bacino sinistro.
Anche le braccia erano coperte di cicatrici più o meno leggere; ma tutte perfettamente visibili. E sul fianco sinistro vi era il segno lasciato da un’ustione: la pelle bruciata, con il passare del tempo, si era ingrigita e irruvidita. Diana percepì gli occhi delle ragazze su di sé e si voltò appena, avendo ancora in mano i suoi abiti. «Orribili.»
«Nient’affatto.» Si affrettò a dire Nimue, con il suo solito tono monocorde. Si spogliò dei vestiti e alzò lo sguardo per nulla imbarazzata. Una sottile cicatrice biancastra le attraversava verticalmente il busto, dalla clavicola destra fino a raggiungere l’altezza dell’ombelico, tagliando per il seno. «Non sono certo queste a fare di qualcuno una persona orribile.»
«Perché non ci raggiungete?» Nypha sorrise, addolcita dall’espressione quasi spaesata della Dragon Slayer. «Si sta bene in acqua.»
La dottoressa annuì e senza dire altro agguantò Diana per un polso e la trascinò fino al bordo della piscina naturale. Poi, senza pensarci due volte, la spinse in acqua.
Eve ridacchiò; Lily scoppiò direttamente a ridere. Invece, Nypha strinse le labbra e mascherò il suo divertimento con un rimprovero che Nimue ignorò, sedendosi accanto a lei su una piccola roccia a fare da panchina. Diana risalì tossicchiando e lanciò un’occhiataccia in direzione della dottoressa ma qualsiasi sua intenzione di insultarla pesantemente morì sul nascere perché Eve le circondò le spalle con un braccio. «Su, su. Non roviniamo questo momento con qualche battibecco inutile.»
«Tu non eri incazzata con me?»
La rossa inarcò un sopracciglio. «Beh, sì.» Fece una pausa. «Ma ormai non lo sono più. Toglimi una curiosità... stavi per dire a tutti della gilda, vero?»
Lily inclinò la testa. «Quale gilda?»
Ma venne ignorata; Diana, invece, sospirò. «Sì. Ero arrabbiata. Sono arrabbiata. Non mi fido di chi ha avuto contatti con quell’uomo.»
«Non ricordo nemmeno la sua faccia! Ti ho già detto che è stata una questione di pochi minuti, poi il Master l’ha cacciato via. Nemmeno noi ci fidiamo di gente del genere!»
L’altra si strinse nelle spalle, restando però in silenzio.
Dall’altra parte del muro improvvisato si levò una voce piuttosto divertita, quella di Killian. «Ohi! Di che state parlando? Vogliamo sapere anche noi!»
Al che, Diana si inalberò al punto da diventare rossa – e l’alta temperatura dell’acqua non aiutava di certo a farle mantenere il sangue freddo. «Tu non dovresti già conoscere tutto alla perfezione?! Cosa sei?! Un dannato stalker?!»
«Se proprio dev’esserci uno stalker, quello è Alastor...» Borbottò Lily ma venne ignorata. Di nuovo.
E la cosa non le piacque per niente.
Fu Eve a spiegare loro la situazione. Tanto ormai siamo in ballo. «Immagino che qualcuno di voi abbia già sentito parlare della gilda di Black Robin
Nypha annuì. E, come lei, anche Rehagan – dall’altra parte della “barricata”.
«Per curiosità... cosa pensate che sia?»
La risposta dello scienziato non si fece attendere: «Vi occupate di roba antica, giusto? Un po’ come se foste l’Ancient Aurora del regno di Bosco.»
«Eppure, la gente pensa siate una gilda di profanatori di tombe.» Disse Nypha, non lasciandosi sfuggire il repentino cambio d’espressione dell’altra.
Si irrigidì all’istante e un leggero senso di nausea le appesantì lo stomaco. «Sono una maga di Black Robin da quasi cinque anni, esattamente da quando Kyla è partita.» Spiegò. «E sì, la gente pensa esattamente questo di noi. Non abbiamo una bellissima reputazione, specialmente all’estero.»
«Probabilmente per via dei vostri legami con il mercato nero.»
Era stato Killian a parlare – al che, Eve si mise a ridacchiare. «Sì, insomma, la questione è che molta gente tende ad affidarsi ai pregiudizi senza conoscere la verità. È per questo che le persone ci evitano. Ed è per questo che i tipi loschi vogliono fare affari con noi.» Disse, sbuffando. «Il nostro Master, però, ha un buon intuito. Quell’uomo che odi tanto, Dyaspro, avrà fatto la stessa fine degli altri. In conclusione, Clarence gli avrà sbattuto la porta in faccia.»
«Ne sei sicura?» Domandò Diana, fredda come una statua di sale.
Ogni volta che sentiva pronunciare il suo nome, sentiva le viscere tremare.
«Sì, sicurissima. Se fossero entrati in affari, avrei avuto qualche incarico riconducibile a te o alla tua famiglia ma non è mai successo. Né ho mai sentito gli altri parlarne.»
Diana annuì, imponendosi di mantenere la calma. Inspirò ed espirò lentamente, abbandonando la nuca sul bordo roccioso della vasca e sentendo, finalmente, il calore dell’acqua lambirle la pelle fino a guarirla dalla stanchezza. Rehagan aveva ragione: un bagno caldo non poteva che portare altro che benefici. Si sentiva molto più rilassata.
Fu Lily a prendere parola, alla fine. «Quindi, alla fine, anche tu sei un topo di biblioteca come me.»
«Già. Un topo di biblioteca che ogni tanto prende a calci i cattivoni!» Esclamò, ridendo.
 
 
 
§
 
 
 
I corridoi del palazzo di Crocus erano per lo più vuoti.
William Falkor non se l’era sentita di inviare i suoi sottoposti per via di una sensazione alla bocca dello stomaco. E lui era sempre stato il tipo da dar retta a queste cose. Non incrociò nessuno, se non qualche cameriera indaffarata nelle pulizie.
Le guardie sembravano sparite.
C’era silenzio. L’aria era pesante. Più avanzava, più quella sensazione si acuiva e William sperava davvero fosse tutto frutto della sua immaginazione.
Poi, li udì. Dei brusii nel buio.
Corrucciò la fronte e la mano callosa si adagiò piano sull’elsa della spada che portava al fianco. Gli occhi azzurri saettarono da una parte all’altra, alla ricerca di nemici. Ma l’unica figura che riuscì a identificare fu quella di Jace Ivory, il consigliere del re.
Anche lui vantava occhi chiari, di un celeste così intenso da sembrare inumano. O forse era la scintilla di malizia che perennemente li illuminava, a dare quell’impressione. Ad ogni modo, se William Falkor poteva dire di fidarsi al cento per cento di qualcuno, quel qualcuno era lui, Jace Ivory – per quanto la cosa non lo entusiasmasse per niente.
«Ehilà, capitano!» Esclamò, radioso. «È in ritardo. Ho già messo le mani sui nostri topolini
L’altro sospirò, per niente stupito dal suo modo di porsi. «Ah, sì? Dove sono?»
«In infermeria.»
William alzò un sopracciglio. Questa volta sì che non capiva. «In infermeria?»
Il moro annuì, alzando le spalle. «Gladis.» Disse, come se un singolo nome fosse una spiegazione accettabile. E lo era, considerando che sveva appena pronunciato quel nome. Gladis Sherman.
La mano di William lasciò l’elsa della spada e si incamminò verso le scale che conducevano all’infermeria del palazzo reale. Spero solo di riuscire a ricavare delle informazioni utili, si disse.
 
 
 
§
 
 
 
Non seppe spiegarsi del perché successe. Né del come successe.
Ma successe. E Lily voleva fare una cosa sola: morire. Voleva squarciarsi il ventre. Voleva strapparsi gli occhi dalle orbite a mani nude. Perché, se c’era una cosa che mai e poi mai avrebbe voluto fare era vedere suo fratello... nudo.
Quante storie, Lilì. Sei una palla.
Non riuscì nemmeno a rispondergli a tono. Era in catalessi. Ripeteva le stesse parole, le stesse frasi come in una lenta e lugubre litania di morte. «Oddio no... oddio no... che schifo! Avrò gli incubi per settimane, mesi, anni...!»
Eve, accanto a lei, distolse gli occhi dal suo taccuino. «Cosa sei? Una drama queen?»
L’altra era distesa sul divano – le mani incrociate sullo stomaco e gli occhi spalancati, col terrore di rivedere nel buio della sua mente quell’immagine terribile. «Zitta. Tu non puoi capire.»
Eve ridacchiò, allungando le gambe e il collo oltre i braccioli della poltrona per stiracchiarsi. «Beh, comunque è colpa tua. Se non ti fossi messa a litigare-»
«Ti prego, non ricordarmelo!» Urlò, premendosi a forza i palmi sulla fronte.
«Almeno la serata ha dato i suoi frutti, no?»
Lily annuì, scordandosi per un attimo di Killian e del casino che era successo, soffermandosi invece sulle parole che Diana era riuscita a tirare fuori, seppur con una certa fatica. Non erano diventate amiche per la pelle ma, almeno, poteva dire di riuscire a capirla. Un po’. Pochino.
Certo, rimaneva la stronza di sempre.
Poi Eve scoppiò a ridere e la mora si girò a guardarla, domandandosi il motivo di quell’attacco di ridarella. Non c’era niente da ridere. Diana aveva perso suo fratello. Dyaspro dava loro la caccia.
Solo quando riuscì a riprendere fiato, la rossa riuscì a mettere due parole in croce: «Certo che Reha le ha prese malissimo! È stato troppo divertente!»
Lily ricollegò l’avvenimento e la sua espressione cambiò all’istante. E ricominciò col suo canto di morte, sconvolta nell’animo.
Fu a quel punto che Nypha fece il suo ingresso nella stanza, aiutata da Nimue. Dopo il bagno, la cacciatrice di taglie si era sentita molto meglio – riusciva a camminare senza bisogno di un sostegno fisso. Certo, quello che era successo l’aveva fatta quasi morire d’infarto ma quelli erano dettagli.
«Che succede?» Domandò la dottoressa, spingendo via le gambe di Lily e facendo sedere Nypha sul divano. «Perché ridi?»
«Nah, ho solo ricordato di come Diana ha pestato il povero Reha alle terme.»
A sentire ciò, Nypha arrossì di botto – al punto che Nimue pensò che le fosse salita la febbre all’improvviso. «Oh, cielo...»
«Oh, cielo . Dovremmo ringraziare qualsiasi divinità abbia voluto regalarci una tale celestiale visione!» Esclamò la rossa, divertita.
I borbottii di Lily si fecero ancora più insistenti mentre la dottoressa sospirò. «Quante storie fate.»
«Perché? Tu non credi siano dei fighi assurdi? Li hai visti quei due?!»
Nypha quasi faticava a respirare. Una serie di immagini davvero poco caste aveva cominciato ad affollarle la mente e non riuscì neppure a pregare l’altra di chiudere il discorso, tant’era sconvolta al ricordo di cos’era successo. Perché, dai!
«Mh. Un po’ mi spiace che Naevin sia già sposato, sì.» Nimue fece un’alzata di spalle, come se la cosa non la toccasse poi così tanto.
La porta d’ingresso si aprì. Diana entrò a passi lenti, bloccandosi non appena adocchiò Lily seduta scompostamente accanto alla dottoressa. Aveva gli occhi spalancati in direzione del soffitto e non accennava a smettere di ripetere la sua inutile cantilena.
Non sembrò far caso a lei. Per questo, le si accostò fino ad arrivare a un passo dal divano. «Ehi.»
Eve e le altre non dissero niente – curiose e preoccupate di assistere all’ennesimo diverbio. Fissarono la giovane in trepida attesa.
Ma, purtroppo per loro, Diana non aveva alcuna intenzione di mettersi a fare pace – più o meno – perché si limitò a guardarla con aria schifata. «Ma che hai? Perché borbotti parole senza senso?»
«Ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare.» Mormorò, senza fiato.
Diana arricciò in naso, sospirando. Alzò lo sguardo e si trovò sotto gli occhi delle altre. «Che state facendo?»
«Stiamo spettegolando sul sex appeal dei nostri compagni di squadra!» Esclamò Eve, euforica. «E tu? Quale preferisci?»
«Io? Ma che-»
«Per favore, lasciala stare. È ancora troppo presto per trascinarla in questi discorsi.» Dopotutto, Nimue ci teneva che Diana non pensasse di essere capitata in un gruppetto di pazze pervertite. E, soprattutto, che non si sentisse forzata ad aprirsi con loro.
Peccato però che le parole della maga di Bosco avevano fatto tornare ricordi poco piacevoli. Ricordi che le fecero saltare i nervi. Di nuovo. E fu proprio Eve la prima ad accorgersene. «Oddio, no, non picchiarlo di nuovo! Non è stata colpa sua!»
«No, infatti, è stata lei!» Urlò, indicando Lily. «Se non mi avesse lanciato dall’altra parte della vasca non sarebbe successo niente!»
Nimue roteò gli occhi. «Tecnicamente avete cominciato insieme a litigare.»
«Tecnicamente è stato Killian che le ha definite “buone amiche”. Di solito le persone non reagiscono così ma posso capire che queste due hanno qualche rotella fuori posto!» Detto ciò, Eve scoppiò a ridere.


«Cosa?» «Amiche?»
«Sei pazzo?» «Che ti salta in mente?»

«Non sarò mai amica sua!» «Non voglio avere una decerebrata come amica!»
«Scusa, cos’hai detto? Ripetilo se hai il coraggio!» «Cerchi rogne?»



Diana digrignò i denti. «È stata la foga del momento. Ero-»
«Turbata perché avevi appena finito di parlarci di Dyaspro? Lo capiamo. E sappiamo che siete entrambe delle teste di cazzo.» Disse Eve. Poi aggiunse, addolcendo il tono: «Apprezziamo il fatto che tu voglia iniziare a fidarti di noi, davvero.»
Nypha annuì.
«Non c’è bisogno di parlarne ancora. Basta.»
Eve ridacchiò. «Ti imbarazza?»
«No-! È- la smetti?!»
«Ok, va bene! Torniamo a parlare di ragazzi. Meglio, no?»
Nypha scosse la testa ma la sua muta preghiera non venne ascoltata e Nimue era troppo occupata a dare dei piccoli colpetti sul braccio di Lily per dire di no – la compagna di gilda non accennava a voler uscire da quell’insensato stato catatonico e la cosa cominciava a infastidirla.
«Quindi. La domanda è: chi trovi più figo?»
«Che razza di domanda è?»
«Come che razza di domanda è?!» Poi, l’illuminazione. Eve sorrise malignamente e voltò il capo in direzione della sua vittima preferita. «E tu, Nypha? Quale preferisci?»
Il cuore esplose. La cacciatrice di taglie sobbalzò e d’un tratto le sembrò che quel soggiorno si fosse trasformata in una fornace. «Co-? Io? No- È- Io- Non è- Perché non-? Io-»
«Oh. Mio. Dio.» Sussurrò Diana, corrucciando le sopracciglia.
Al che Nypha la guardò con gli occhi sgranati e si portò le mani tra le ciocche argentee, scuotendo il capo come una forsennata. «No, ti prego! Non guardare! Diana! Ti prego! Ti prego! Ti prego!»
Nimue sospirò. «Ecco fatto. Ora abbiamo un altro disco rotto.»
«Guarda che puoi confidarti. Siamo tue amiche! Se questa qui ci è riuscita puoi farlo anche tu!»
Non lo disse perché intenzionata a prenderla in giro – forse – ma perché voleva continuare a nutrire quei legami che stavano pian piano nascendo tra loro. Voleva davvero che potessero considerarsi amiche, nonostante si conoscessero da poco tempo.
E Nypha percepì quel desiderio, a un certo punto, quando Nimue le schiaffeggiò le guance per zittirla. Tornò a respirare e per un attimo le passò per la mente di rispondere a quell’assurda e imbarazzantissima domanda. Si sentì sul punto di buttar fuori tutte le ansie e le paure che solitamente le attanagliavano le viscere e che le impedivano di fare amicizia con le persone. Voleva farsi conoscere per chi era e voleva conoscere loro.
Si portò una mano sul cuore cercando di diminuirne i battiti.
Schiuse le labbra. E le parole sarebbero uscite senza ombra di dubbio... se la porta non fosse stata spalancata di colpo.
Solo Lily non degnò di uno sguardo il nuovo arrivato.
Nimue restò imperturbabile. Diana sollevò un sopracciglio e voltò di poco la testa per nascondere un sorriso alquanto divertito. Eve sbuffò infastidita – l’espressione di chi veniva interrotto sul più bello. Tra tutti i momenti in cui poteva comparire, proprio adesso?!
«Beh? Che c’è?» Sbottò Hydra, sentendosi un tantino osservato. Poi l’occhio si posò su Nypha e si riempì di preoccupazione. «Ohi, stai bene? Hai la febbre?»
Lei ci mise un po’ a rispondere – più che altro ci mise un po’ a togliersi dalla testa certi pensieri e a concentrarsi sulla sua domanda. «Sì! No! Cioè, no! Sto bene! Credo...»
Il marinaio la raggiunse in poche falcate e piano le sfiorò la fronte con le nocche. «Sei un po’ accaldata. Non è che gli effetti del veleno stanno peggiorando?»
Nypha non rispose, anche perché la domanda era stata rivolta alla dottoressa di fianco a lei.
Nimue le prese il polso e la osservò per qualche secondo; poi scosse la testa. «Non direi. L’effetto anestetizzante è passato e dopo il bagno il suo corpo sembra come nuovo. Tabitha aveva cominciato a stare davvero male dopo soli tre giorni dalla somministrazione. Anche se poco, abbiamo tempo.»
Contro ogni altra aspettativa, gli occhi di Nimue si addolcirono e con delicatezza le poggiò una mano sulla spalla, come a volerla confortare. Voleva infonderle coraggio e forza. Con quel contatto voleva urlare: «Tranquilla, troverò un antidoto e non morirai
Ma non disse niente. La sua espressione tornò a farsi apatica subito dopo. «Comunque, è meglio se ti riposi un po’. E forse sarà meglio evitare certi argomenti o il tuo cuore non reggerà.»
Nypha sgranò gli occhi e sperò con tutta se stessa che il marinaio non si soffermasse su quella frase in particolare.
«Quali argomenti?»
Che mondo infame!
Fu Eve a salvarla in calcio d’angolo. «Questioni femminili, non pensarci.» Per poi aggiungere, con un ghigno serafico: «Perché non l’accompagni in camera? Nimue ha da fare con noi e sia mai che non si regga in piedi e finisca giù per le scale!»
Nypha la guardò, incapace di formulare una frase coerente.
Il moro non se lo fece ripetere due volte. L’alzò quasi di peso e la seguì fino alla rampa delle scale. E quando lei si voltò per ringraziarlo sottovoce per la premura incrociò il sorrisetto di Eve, intenta a farle ciao-ciao con la mano.



















 
 
Rieccoci con un nuovo capitolo!

Come state? Tutto bene? Passate buone vacanze? Io... snì, a parte un panettone che mi è stato portato via. Già. Io odio i canditi. Odio l’uvetta. Una sola cosa chiedo: un panettone semplice, senza robaccia dentro... e me lo portano via da sotto il naso. Che schifo la vita.

Scherzi a parte, sono stati giorni normali, per niente rilassanti.

Ma passiamo al capitolo che – finalmente! – sono riuscita a pubblicare.
Che dire? Mi ha fatto penare! Un po’ perché volevo approfondire la scena del bagno alle terme e un po’ perché volevo farli arrivare alle mani ma poi mi sono detta... non ancora.

Il dramma, come la vendetta, è un piatto che va servito freddo. Ah-Ah-Ah ^^

Curiosità n.26 ► Cos’è successo davvero? Beh. Presto detto.
  • Lily, come già sapete, è sconvolta perché ha visto Killian – suo fratello – nudo. Vorrebbe uccidersi, strapparsi gli occhi, bla-bla-bla. Si riprenderà?
  • Nypha ha visto Hydra nudo. Capito? Hydra. Nudo.
  • Rehagan è stato brutalmente picchiato da Diana perché- beh- è stato il primo a esserle capitato a tiro. La signorina non ha gradito essere lanciata nuda come un verme dall’altra parte del muro; non ha affatto gradito.
  • Killian ha rischiato di morire. Davvero. Hydra l’ha quasi affogato. Se non è morto adesso, non morirà mai più. Perché? Perché gli occhi gli sono accidentalmente caduti su Nypha. Ci tengo a ribadire che non è stata colpa sua ma di Reha che gli ha tirato involontariamente un calcio mentre cercava di scappare da una Diana inferocita e lui, Killian, si è semplicemente ribaltato nel posto sbagliato – davanti a Nypha.
  • Niv, per rispetto a sua moglie, ha tenuto gli occhi chiusi per tuuuutto il tempo. Si è beccato qualcosa in faccia – non sa cosa ma gli ha quasi spaccato il naso. Di nuovo.
  • Eve si è goduta lo spettacolo finché ha potuto.
Curiosità n.27 ► E perché è successo? Come detto, Diana ha finito per raccontare di Dyaspro.
Ha detto ad alta voce quello che aveva già detto a Lily e a Eve, accennando pure al fatto che è stata separata da suo fratello dopo la morte dei genitori. Qualcuno ha lodato il fatto che Lily e Diana non si siano scannate a vicenda e Killian – sempre lui – ha chiesto, non senza un certo orgoglio: «A questo punto potete considerarvi amiche, no?»
Bordello.

Domanda seria. Era mia intenzione pubblicare le altre due parti dello speciale di Natale ma Natale è passato. Le feste sono passate – mio malgrado. È quasi finito gennaio. Devo pubblicarle o no? 

È che mi dispiace aver lasciato le cose a metà ma ormai lo spirito natalizio è bello che andato T.T

Sono tornata alla solita vita fatta di stress, studio, stress, tesi da scrivere. Uffa! Inoltre, ho appena scoperto di essere una capra con i titoli dei capitoli T.T

Spero che voi ve la passiate meglio. Dal prossimo capitolo... il delirio. Siete avvisati. Alla prossima!


Rosy


 

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Capitolo 18
*** ► 16. Arcani Maggiori ***



CAPITOLO 16. Arcani Maggiori
 
 


 

Quando l’aveva raggiunto in ospedale – con addosso una parrucca e degli abiti che normalmente non avrebbe mai indossato – non si aspettava certo di trovarlo così in salute.
Ne era felice, ovviamente. Non avrebbe mai voluto che gli capitasse qualcosa. Ma aveva come il sentore che fosse solo l’inizio – che prima o poi sarebbe capitato qualcosa di terribile. E questa brutta sensazione si acuì nel momento in cui negli occhi d’ambra di Royal saettò una strana inquietudine.
Clizia si curò di chiudere bene la porta con un mesto sorriso a dipingerle le labbra.
L’uomo se ne stava seduto con le gambe a penzoloni oltre il bordo del letto, i capelli spettinati, e le fece segno di avvicinarsi. Lei eseguì la richiesta senza proferire parola, quel tanto per sentire il suo caldo respiro sulla pelle. Poggiò la fronte sulla sua e con le mani gli accarezzò le guance in un sospiro. «Stai bene.»
Royal annuì. «In effetti, scoppio di salute. Mi spiace averti fatto preoccupare.»
«Già. Tanto prima o poi te la farò pagare.»
A quelle parole, il mago ridacchiò. Le lasciò un bacio sulla punta del naso e uno sulla labbra, a mo’ di scuse. «Ora che sei qui mi sento molto meglio.»
Clizia sorrise – un sorriso dolce ma al tempo stesso triste. «Come sta la tua compagna di gilda?»
In un istante, il volto del Master dell’Aurora si rabbuiò. E l’attrice vi lesse tutto il dolore che lo stava attraversando. «Non si è ancora svegliata. Wiles le sta accanto giorno e notte, non dorme neanche più ormai.» Spiegò, amareggiato. «Nemmeno il dottor Cal è certo che sopravviva.»
Royal si sentiva come svuotato. La gilda era collassata. Ella versava in condizioni critiche a poche porte di distanza. E lui si sentiva di merda.
Clizia gli prese le mani senza smettere di guardarlo negli occhi. Bronzo nel miele. Miele nel bronzo. «Andrà bene. Starà bene.»
Per un attimo, il guizzo di un sorriso gli illuminò lo sguardo. «Te l’ho mai detto che mi sento terribilmente fortunato ad averti?»
Clizia fece finta di rifletterci, poi ridacchiò. «Non abbastanza, penso.»
Al che, Royal strinse le ginocchia attorno ai suoi fianchi e le rubò un bacio a fior di labbra. «Ti amo.»
E fu come sentirselo dire per la prima volta. Le guance le si imporporarono graziosamente e il cuore prese a battere in risonanza con quello dell’uomo. Sorrise ancora, ma questa volta non c’era ombra di tristezza o di altre sensazioni negative. «Ti amo anch’io, Royal.»
In una situazione normale – a riparo da occhi e orecchie indiscrete e senza preoccupazioni di vitale importanza – sarebbero finiti certamente a copulare come conigli. Ma no. Royal si impose, a malincuore, di trattenersi.
In più, c’era una questione che dovevano ancora affrontare.
Come ad avergli letto nel pensiero, le mani di Clizia si mossero, posizionandosi sul petto, su quella porzione di pelle lasciata scoperta dalla camicia sbottonata. Gliela scostò con delicatezza, come se avesse paura di fargli male. Ed eccolo lì.
Il marchio nero; all’altezza del cuore.
Era leggermente diverso da come ricordava, constatò. Sembrava quasi...
«Un orologio?» Domandò, sperando di sbagliarsi. Ma lui annuì. «La lancetta si è spostata.»
Royal le prese la mano, come a volerne calmare il tremore. «Finché non uso la magia è a posto.»
L’attrice corrucciò la fronte, confusa. «Vuoi dire che-?» Ma non terminò la frase.
Lui annuì mestamente. «Poco fa ho provato a fare un piccolo incantesimo e l’orologio si è subito attivato. Non potrò utilizzare la magia finché non trovo il modo di rompere questa... cosa
«Ti ha fatto male?»
«No.» . Ma non gliel’avrebbe detto. Così come lei avrebbe fatto finta di credergli.
Invece, Clizia annuì sospirando. «E adesso? Qual è il piano? Cos’hai intenzione di fare?»
«Devo trovare il modo di avvertire Killian di tutta questa faccenda.»
La bionda non se ne chiese il motivo; sapeva quanto Royal si fidasse di quel ragazzo. E anche se gliel’avesse domandato – perché mai è così importante raccontargli dell’attacco, del marchio, di quelle persone sbucate fuori dal nulla? –  aveva il vago sentore che non avrebbe potuto risponderle.
Royal, dopotutto, era un uomo leale.
«Ok. E come pensi di fare?»
«Non ne ho idea.»
Clizia annuì, pensierosa. Poi, le tornò in mente un piccolo, quanto cruciale dettaglio. «Charlie!»
«Chi?»
Per puro amor proprio, decise di ignorare il sottotono irritato dell’altro. «Charlie. Un mio amico. Forse può aiutarmi ad arrivare a Damocles. È lì che sono andati, no?»
Royal sussultò. «Cosa? No!» Esclamò, confuso per la velocità con cui la situazione stava prendendo quell’assurda piega. «Il regno di Damocles è nel caos più completo. Non ti lascerò andare lì. Se proprio deve andarci qualcuno quello dev’essere-»
«Tu? E chi ricostruirà l’Aurora?» Gli occhi della donna si fecero affilati. «Non puoi chiederlo a nessuno altro se non a me e si dà il caso che abbia tutto il tempo di questo mondo! Il prossimo spettacolo è tra quattro mesi.»
Il mago borbottò qualche imprecazione prima di sospirare. «Tanto ormai hai già deciso, no? Anche se ti chiederò di ripensarci, non mi ascolterai. Anzi, farai finta di farlo solo per farmi contento. Sei una ragazzina impossibile.»
Clizia scoppiò inevitabilmente a ridere piegandosi in avanti e appoggiando la fronte sulla sua spalla mentre Royal sospirava, sconfitto. «Sì, sì, ridi pure. Vedrai come sarò io a ridere, poi.»
Lei gli prese il viso tra le mani e gli stampò un sonoro bacio sulla bocca. «Non mi accadrà niente. Mi terrò lontana dai guai e se saranno loro a cercare me, gli assesterò una bella botta in testa.»
«Non mi aiuti a tranquillizzarmi, lo sai, vero?» L’abbracciò, spalmandosela addosso.
«Fidati di me.»
Lui storse la bocca. «Oh, ma io mi fido di te. È degli altri che non mi fido. Insomma, come si fa a resisterti?»
«Stiamo ancora parlando della stessa cosa, Royal? O la conversazione sta imbucando una via potenzialmente pericolosa?»
Il moro non rispose, si limitò a ridacchiare e ad appoggiare la testa sui suoi seni senza alcun doppio fine. Clizia lo sentì sospirare e percepì i suoi muscoli rilassarsi sotto le sue dita.
Con dolcezza, l’attrice gli accarezzò la nuca com’era abituata a fare, con la punta delle unghie smaltate di lilla. Royal sembrò apprezzare il formicolio generato da quella leggerezza, tanto che mugugnò di soddisfazione.
«Davvero, andrà bene. Vedrai. Consegnerò il tuo messaggio e tornerò sana e salva. Ella starà bene. L’Aurora verrà ricostruita. E quel marchio malefico sparirà. Ce la faremo.» Disse, decisa. «Risolveremo tutto e lo faremo insieme.»
Dopo alcuni secondi di silenzio, Royal alzò la testa – lo fece lentamente, per evitare di darle una capocciata.
Sul volto, un sorriso colmo di scuse. «Sono proprio pessimo, eh?»
«Sei perfetto, invece.» Gli carezzò una guancia. «Mi rendi ancora più felice quando conti su di me.»
Grazie. Grazie. Grazie di esistere. Il viso di Royal si rilassò.
«Anche tu sei perfetta. E i capelli corti ti stanno bene.»
Clizia gongolò. «Dici che dovrei tenerli così?» Nel chiederlo, sistemò alcune ciocche dietro le orecchie. I capelli biondi, che di solito portava lunghissimi e sciolti, erano stati infilati sotto una parrucca della stessa tonalità ma dalle ciocche più corte.
«Mh, no. Mi ricordano la prima volta che ci siamo incontrati.»
Clizia sorrise, sinceramente commossa. Avrebbe aggiunto volentieri qualcosa ma si vide costretta a rimandare – delle voci oltre la porta si stavano facendo sempre più vicine. «Devo andare. Non posso farmi beccare qui.»
«Devi proprio?» Domandò, in tono lamentoso. Sembrava quasi un bambino.
L’attrice annuì, a malincuore. «Tornerò presto. Aspettami.»
«Lo farò con impazienza.»
«Bene. E stai attento.»
«Certamente.»
«E guai se ti lasci toccare dalle infermiere. Sono le peggiori. Ogni scusa è buona per metterti le mani addosso.»
«Va bene. Starò attento affinché non attentino alla mia virtù.»
Clizia sollevò un sopracciglio. «Mi stai prendendo in giro?»
«Io? Quando mai!»
«Screanzato!» Esclamò, sforzandosi di non mostrarsi divertita mentre gli mollava un paio di schiaffi sulle spalle. «Fai meno lo spiritoso!»
Si allontanò con il cuore in gola e per niente pronta a salutarlo. Fece scattare la chiave nella serratura e prese un respiro profondo prima di parlare, di nuovo: «Allora, vado.» Non attese nemmeno una risposta, sparì oltre l’uscio salutando con naturalezza il medico che, invece, entrò nella stanza.
Royal sorrise; mille pensieri ad affollargli la mente. Era vero che si fidava. Era vero che Clizia sarebbe riuscita a cavarsela in ogni caso – dopotutto, era una donna intelligente, furba e sicura di sé.
Sarebbe riuscita a raggiungere Killian, informarlo e tornare da lui sana e salva.
Ma – andiamo! – come poteva non preoccuparsi nemmeno un pochino? La donna che amava – la sua donna – si stava gettando in un’impresa che per una persona normale avrebbe anche potuto risultare fatale!
Si sentiva spaccato in due.
Da un lato era fiducioso, ottimista; era certo che ce l’avrebbe fatta – diamine, si era preso una cotta per lei proprio per via del suo sangue freddo! Dall’altro lato, invece, si sentiva terrorizzato all’idea di perderla.
«Signor Vandom!» Esclamò il dottor Cal, fresco-fresco di laurea e già ampiamente conosciuto ovunque – per la sua professionalità, per il suo candore. «Come si sente oggi?»
Si sforzò di rimanere calmo, di comportarsi come al solito. «Alla grande!»
«Bene. E allora che ci fa ancora qui? Il caporeparto non le ha forse detto di sloggiare?» L’uomo non smise un attimo di sorridergli con la gentilezza che lo contraddistingueva. Avrebbe anche potuto insultare qualcuno ma quell’espressione sarebbe rimasta invariata, ispirando lo stesso garbo. «Dice che da quando c’è lei le infermiere non fanno che ronzare attorno alla sua stanza e si dimenticano degli altri pazienti.»
Royal ridacchiò, non sapendo bene cosa dire. «Ok. Allora prendo le mie cose e me ne vado.»
Il dottor Cal annuì. «Grazie mille, signor Vandom.» Uscì praticamente subito, lasciandolo solo.
Bene. Prima tappa: Ella e Wiles. Seconda tappa: Alastor e la gilda.
Poi, mentre si stava rivestendo, si rese conto di una cosa. Una cosa importante a cui non aveva prestato la dovuta attenzione.
Chi cazzo è Charlie?!
 
 
 
§
 
 
 
Charlie era un ragazzo di venticinque anni – quindi coetaneo di Clizia – che l’attrice aveva conosciuto in un teatro di Crocus qualche mese prima. L’aveva aiutata con il vestito di scena dopo che, a causa di uno stupido incidente, questo si era strappato.
Se non fosse stato per lui, Clizia avrebbe dovuto recitare con una chiappa al vento. Insomma, aveva salvato lo spettacolo – e la sua reputazione, certo.
Fisicamente, Charlie non aveva niente da invidiare a nessuno. Era alto, muscoloso. Aveva un taglio d’occhi che incuteva timore, affilati come rasoi, e capelli rosa che, davvero, non c’entravano niente con la sua espressione perennemente scazzata.
Quando Clizia si presentò laddove sapeva che l’avrebbe trovato, lo vide in piedi, di spalle e piegato in avanti. Concentrato com’era nella decorazione della sua nuova creazione che nemmeno l’aveva sentita entrare nel suo laboratorio.
Si avvicinò a passo felpato, convinta di riuscire a prenderlo alla sprovvista. Ma Charlie si girò di scatto non appena fu a un metro di distanza, inchiodandola con i suoi occhi rossi. «Che ci fai qui?»
«Sto bene, grazie per il pensiero. E tu? Tutto bene?»
Il ragazzo sbuffò sonoramente. «Che vuoi?»
È passato dall’antipatico al più antipatico. Ci vuole un genio anche per questo.
«Avrei un favore da chiederti.»
«No.»
Clizia si accigliò. «Non sai nemmeno cosa voglio-.»
«La mia risposta è comunque no
Lui tornò al lavoro e l’attrice si affacciò di lato, per vedere a cosa stesse lavorando. Sul bancone, c’era una torta già completamente farcita e guarnita solo per metà con della frutta di stagione. «È così bella! Sembra davvero impossibile che sia stato tu a crearla, acido come sei.»
«Ma insomma! Cosa diavolo vuoi?!»
Clizia sorrise. «Felice che tu me l’abbia chiesto. Devo raggiungere un posto.»
«Allora saresti dovuta andare in stazione.»
«Ho bisogno che mi ci porti tu
La mano di Charlie si fermò a mezz’aria; tra le dita un succoso mirtillo che finì per essere spiaccicato tra le sue dita. «Che cosa?»
«Ho bisogno che mi porti a Damocles. Puoi farlo?»
«Sei impazzita?! Non ci penso proprio a utilizzare la mia magia per una cosa del genere! Non trasporto esseri umani!»
L’attrice scosse la testa, battendo una mano sul ripiano. «Devo andarci, Charlie. Aiutami. Ti ripagherò il favore, promesso.»
«Non è questo il problema-»
«Allora qual è?» Domandò, seria. Non aveva bisogno di alzare la voce per farsi sentire; Clizia riusciva a zittire chiunque – a zittire lui! – con un solo sguardo. «Io mi fido di te e delle tue capacità.»
Lui digrignò i denti, furioso. Maledetto il giorno in cui ho ricucito quello stramaledettissimo vestito!
«Utilizzo il mio incantesimo di teletrasporto solo per le consegne. È da anni che non trasporto esseri umani, potrei farti a pezzi nel tragitto e nemmeno me ne accorgerei!»
Clizia sospirò, affranta. «Devo andarci, Charlie. E devo anche sbrigarmi.»
«Ho detto no!» E tornò a decorare la sua torta, a ignorarla bellamente.
Se solo non fosse gay...! Ma si maledì subito per il pensiero appena partorito – Charlie proprio non meritava di venire ingannato in quel modo, dopotutto. Nonostante il suo pessimo carattere le offriva sempre degli ottimi budini!
Poi, l’illuminazione. «Sei mi aiuti, esaudirò un tuo desiderio.» Charlie le gettò un’occhiata scettica ma attese che la ragazza continuasse. «Scegli tu. Qualsiasi cosa va bene tranne il sesso.»
La sua prima reazione fu rabbrividire. «Ah, già. Perché tu hai un fidanzato segreto... E comunque per quanto tu possa essere bella, non sei il mio tipo. In tutti i sensi.»
Clizia alzò le spalle e incrociò le braccia, in attesa.
«Ma quindi fai sul serio?»
«Certamente!»
Charlie sbuffò, allontanandosi dal bancone di un paio di passi. Si strofinò le mani sul grembiule legato alla vita e liberò un bottone della divisa da pasticcere. Con tutti quei forni accesi sembrava di essere in sauna. «Guarda che lo dico per te. È pericoloso.»
«Non mi importa. So che puoi aiutarmi e che ci riuscirai.»
«Sei una zuccona testarda, lo sai?»
Clizia ghignò, convinta di avere la vittoria in pugno, ormai. «E ne vado fiera.»
 
 
 
§
 
 
 
Salutarono Ysami, Abel e la piccola Eden prima di ripartire.
Diana regalò alla donna un intaglio raffigurante un drago a due teste che la donna accettò con grande gioia e riconoscenza, sostenendo che l’avrebbe conservata come fosse il suo piccolo tesoro. Intanto, Lily sorrise alla bambina mostrando le zanne e questa scoppiò a piangere, scatenando le risatine di Eve, Reha e Killian. «Fatela finita, voi!»
Nypha si congedò con un piccolo cenno della testa e con un po’ di fatica riuscì a salire sul carro senza bisogno di aiuto. Le medicine di Rehagan e gli impasti di Nimue sembravano fare effetto, ma sapeva di non essere al pieno delle sue forze. Era come essere chiusi dentro una bolla.
I suoni, gli odori, i sapori... erano ovattati. E più si sforzava a ignorare quella sensazione di estraneità, più il mal di testa si faceva forte. Quindi, si era detta, meglio abituarcisi il più in fretta possibile.
Avrebbe cercato di non pesare sugli altri e di stare lontana dai guai. Aveva persino provato a utilizzare la sua magia, sparando un paio di colpi in direzione della prima fila di alberi che circondava casa di Ysami e Abel – c’era riuscita ma con il doppio dello sforzo.
Un po’ abbattuta, appoggiò la testa sulla parete di legno del carretto. Al suo fianco, Eve si gettò a sedere quasi investendola e scusandosi l’attimo dopo. Di fronte a lei, invece, Hydra si era sistemato in silenzio, poggiando le sue sciabole ai suoi piedi cosicché non gli dessero fastidio.
Portava il suo cappello persino lì dentro e la tendina che li separava da Naevin e Diana, i guidatori, permetteva ad alcuni raggi di luce di entrare e rendere ancora più maestosa la sua figura.
«Qual è la prossima tappa, quindi?» Domandò Nimue, prendendo posto accanto a Eve.
Killian sghignazzò. «Che domande! Exca, ovviamente.»
«Il covo dei Goblin Thief?» Rehagan, che occupava il pavimento, era stato l’ultimo a salire a bordo. Ai suoi lati, Nimue e Lily annuirono, chi con apatia e chi con la furia negli occhi.
Poi, fu Eve a prendere parola: «E qual è il piano? Non possiamo mica andare lì, urlare “Chi di voi stronzi è Kiel Reidar?!”, aspettarci che questo si presenti al nostro cospetto e dargli pugno sul naso...»
«Lo decideremo una volta arrivati.» Suggerì, Killian. «Niv ha detto che Exca è completamente circondata dalle montagne. Basterà trovare un buon punto da cui osservare la situazione e valutare.»
Tutti parvero d’accordo, tanto che nessuno osò dire altro.
Ognuno di loro era perso nei propri pensieri. Rehagan era impossibilitato a fare qualsiasi cosa a causa del moto oscillatorio del carretto, per cui si limitò a ripassare a memoria tutte le informazioni acquisite sul veleno creato da Emilia. Una, due, tre volte.
Diana aveva chiuso gli occhi e stava sforzandosi di concentrarsi su qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse il terribile senso di nausea che le provocava viaggiare sopra qualsiasi mezzo di trasporto. La medicina che le aveva offerto Nimue aveva funzionato anche fin troppo bene ma non voleva correre il rischio di abituarsi a quella sostanza – Naevin aveva detto che ci sarebbe voluta solo mezza giornata.
Poteva resistere per qualche ora, no?
Invece, Eve stava ripensando a Kyla. Cercò di immaginare un loro potenziale incontro per capire cosa avrebbe dovuto dirle prima: doveva abbracciarla o tirarle un calcio?
Nella testa di Lily, il caos. Orias sembrava essersi addormentato – non aveva spicciato parola dalla sera prima – e, nonostante questo, la mora non riusciva a far riposare la mente nemmeno per un secondo. Il veleno di Emilia. La paura che potesse accadere qualcosa a Nypha, specie dopo quella cosa che aveva voluto provare per curarla. Suo fratello.
Chissà come se la sta passando Ella, si chiese. E chissà come sta papà.
Il presentimento che se ne stesse bellamente sdraiato sulla spiaggia nera a prendere il sole, incurante del suo stato di prigionia la fece sorridere. Suo padre non era mai stato un tipo responsabile o il tipo da piangere sul latte versato. Non poteva liberarsi da solo, quindi... perché non approfittare e farsi una bella vacanza?
A volte capisco perché tutti pensano sia matta. Devo aver preso da lui.
La sua testa tornò a ripensare a quanto successo alle miniere, a quanto erano stati fortunati a ritrovare Abel, e poi a quelle stramaledette-
«Oh, Reha!» Il suddetto quasi saltò per aria tanto era concentrato. Il che la fece ridacchiare. «Alla fine hai scoperto perché quelle falene vampiro fossero così enormi?»
Lo scienziato si illuminò a quella domanda. «Certo che sì! E tutto grazie ai peli che sono rimasti suoi vostri vestiti!» E ignorò con tutto lo stoicismo del mondo il «Che schifo...» sbuffato dai due che erano rimasti bloccati in quelle miniere. «Sono stati modificati. Ieri sera, dopo il bagno, ho analizzato i campioni e ho scoperto che nel loro organismo è presente una sostanza artificiale chiamata Xenogen. È come un virus. Aumenta le dimensioni, la forza e l’istinto degli animali che l’assumono.»
«E le falene vampiro si nutrono di sangue. È per questo che sono diventate delle macchine assassine.» Completò Nimue, annuendo.
«Sono state tutte modificate? Saranno state almeno un centinaio, lì sotto!» Esclamò Lily, stordita.
«Non necessariamente.» Rehagan aveva ormai indossato le vesti di professore e nulla avrebbe potuto distoglierlo dalla sua dettagliatissima spiegazione. «Basta che una sola subisca la modifica e, in poco tempo, il virus attacca tutti gli organismi con cui entra in contatto.»
Lily e Hydra si ammutolirono e fu Eve a esplicitare il dubbio di tutti: «E come si diffonde? Cioè, potrebbe... potrebbero aver infettato anche loro due?»
Prima che a diffondersi fosse il panico, lo scienziato si affrettò a rispondere: «State tranquilli, ragazzi. È molto più complicato di così! Le falene vampiro posseggono uno speciale enzima che permette loro di digerire grandi quantità di sangue – in questo modo non soffrono mai di indigestione! Lo Xenogen si attacca esclusivamente a questi enzimi. Quindi no, non diventerete dei mostri succhiasangue.»
Entrambi, anche se impercettibilmente, emisero un sospiro di sollievo.
«Chi potrebbe aver fatto una cosa del genere?» Domandò Naevin, alzando di poco la voce per farsi sentire dalla sua postazione.
Rehagan sospirò, avvilito. «Non ne ho idea ma chiunque sia stato dev’essere uno sconsiderato oltre che un grandissimo stronzo!»
«Scusa, ma tu non sei uno scienziato?»
Lui guardò Eve quasi come fosse offeso. «Certo che sono uno scienziato ma non mi sognerei mai di violare così un essere vivente. Insomma, una cosa è sperimentare, tutt’altra cosa è far soffrire delle creature innocenti per il semplice desiderio di trasformarli in mostri!»
E la questione si fermò lì.
Hydra tornò a fissare fuori, cercando di ignorare il disagio che gli provocava non essere vicino al mare. Per lui, che viveva praticamente di quello, spostarsi sulla terraferma per così tanto tempo era uno strazio! Si appuntò di farla pagare a Killian. Sì, gliel’avrebbe fatta pagare perché mai nella sua vita si era allontanato tanto dal suo habitat naturale.
Lo sentì parlottare prima con Nimue, poi con Eve. Stavano discutendo di cosa mangiare. Si ricordò di avere con sé il marsupio-frigo e del pesce ancora fresco al suo interno.
Il suo sguardo cadde su Diana, pallida e quasi bluastra per via della nausea. E con la mente ritornò a poche ore prima, a quando aveva chiamato Killian in disparte, poco prima di svegliare tutti. Era stato di poche parole ma il secondo aveva perfettamente intuito lo stato di tensione in cui versava.
Era preoccupato. E incazzato. Il marinaio non aveva ancora digerito quanto successo. E quando Killian aveva provato a chiedergli cosa avesse, lui l’aveva fulminato con lo sguardo. «Davvero non lo immagini? Avrà anche vuotato il sacco ma non mi fido. Abbiamo un lavoro da svolgere e quella lì fa il cazzo che le pare? La prossima volta potremmo non essere tanto fortunati.»
E con fortunati, intendeva non morti sul colpo. «Va bene. Lascia fare a me.»
«Spero tu sappia quello che fai
Killian aveva ridacchiato e annuito con convinzione. «Non ti preoccupare, puoi fidarti di me
L’altro gli aveva dato le spalle un po’ dubbioso ma comunque soddisfatto nel sapere che Killian sembrava aver capito la sua preoccupazione. Certo, ogni tanto faceva lo scemo – e un po’ questa cosa lo impensieriva ancora di più – ma in un certo senso non gli dava davvero fastidio. L’aveva visto al lavoro diverse volte alla gilda, quelle poche volte che si faceva vivo, almeno. 
Non aveva mai sbagliato. E se sbagliava, poteva dirsi un caso su un milione.
 
 
 
§
 
 
 
Clizia sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi qualsiasi tipo di atterraggio, eppure non riuscì a non rimanere sorpresa quando si materializzò in un bagno pubblico.
Fortuna volle che non finì in acqua ma non era mai stata sua intenzione attirare così tanti sguardi maschili sulla sua persona, specie se questi erano per lo più nudi come vermi. Clizia rabbrividì, al ricordo. Era riuscita a uscire e a dileguarsi abbastanza in fretta ma per riprendere fiato ci impiegò più tempo del previsto.
Si cambiò nel camerino di un piccolo negozietto e riprese il suo cammino.
Tyrfing si presentava come una città vivace, piena di vita. Clizia sapeva cosa avrebbe dovuto fare come prima cosa: racimolare quante più informazioni possibili. Doveva scoprire dove fossero finiti Killian e il suo gruppo ma prima doveva capire come muoversi senza attirare l’attenzione. Doveva anche capire di chi poteva fidarsi e di chi, invece, dubitare.
Domandò ai pescatori, ai mercanti, ai proprietari delle taverne. Studiò bene la situazione prima di decidere di abbandonare la città – ma prima aveva un ultima meta. Il Blade.
Girava voce che ultimamente fosse frequentato da gente losca. Clizia non aveva davvero voglia di andarci ma le mancavano dei pezzi: il gruppo di Killian doveva aver parlato con qualcuno. Per questo, in pieno pomeriggio, si infilò nel locale con nonchalance e con indosso dei vestiti davvero poco appariscenti – in questo modo non avrebbe attirato l’attenzione. Si era persino messa una parrucca scura, di un marrone tendente al rossiccio, cosicché il biondo miele dei capelli non risaltassero troppo.
Osservò i presenti. Muscoli, mascelle pronunciate, zazzere unte, risate sguaiate, mani grosse e tozze, alito pestilenziale e occhi iniettati di sangue; Clizia avrebbe voluto vomitare.
Al porto le era stato raccontato come il Blade fosse cambiato nel giro di un paio di giorni, successivamente alla scomparsa della punta di diamante del locale: la danzatrice del ventre, Min. E l’attrice ricordò immediatamente, collegando quel nome a una lettera che le era arrivata pochi mesi prima in cui le si chiedeva di mettere su uno spettacolo proprio in quella città.
Aveva chiesto cosa le fosse successo ma nessuno era riuscito a dirle altro se non che era stata trovata in mezzo alla strada, pugnalata a morte. Sui muri c’erano ancora alcuni poster che la ritraevano in alcune pose di danza e Clizia dovette ammettere a se stessa di non aver mai visto una figura tanto sensuale, nonostante fosse semplicemente una fotografia.
E sì, avrebbe tanto voluto conoscerla. Magari sarebbe riuscita a farsi insegnare qualche passo!
Ma ormai c’era ben poco da sognare; Min era morta misteriosamente e nessuno sapeva spiegarsi il perché. Girava voce che fossero stati quelli di Goblin Thief, altri sostenevano l’ipotesi di un omicidio passionale.
Ad ogni modo, l’istinto di Clizia le diceva che non era vero niente.
Niente accade per caso, men che meno una ragazza muore per caso. Si addentrò nel locale e ordinò un drink senza avere neanche l’intenzione di berlo. Restò lì, al bancone, senza la più pallida idea di cosa cercare esattamente, finché qualcuno non catturò la sua attenzione.
Era giovane, la pelle abbronzata e i capelli neri come la pece. Non sembrava avere nulla a che fare con quella gentaglia, non parlava con nessuno e si limitava a starsene seduto in attesa di qualcosa. Indossava dei semplici pantaloni e una casacca chiara che non faceva che far risaltare l’abbronzatura dell’incarnato. Gli occhi erano anch’essi molto scuri.
D’un tratto lo vide alzarsi, come richiamato da qualcosa – o qualcuno – e sparì dietro una porta.
Preda di un istinto incontrollabile, Clizia decise di seguirlo.
Si acquattò al muro e sbirciò oltre lo stipite. Salì le scale fingendo disinvoltura – nel peggiore dei casi avrebbe convinto qualcuno che si fosse persa – e raggiunse un corridoio buio e maleodorante. Clizia storse la bocca, obbligando se stessa a non fare commenti a riguardo.
Il ragazzo era entrato in una stanza e parlava con qualcuno. L’attrice si sporse quel poco per poterlo spiare e con sua enorme sorpresa vide che era... solo?
«Non abbiamo trovato nulla, nessuna informazione.» Disse, neutro. «Né sul Cavaliere, Yvan Thorpe, né sulla famiglia reale. Sembra davvero che siano tutti morti.»
Scandagliò la stanza alla ricerca di indizi – con chi diavolo stava parlando?! Poi la vide e Clizia non poté credere ai suoi occhi. Il ragazzo stava parlando alla sua stessa ombra!
«Molto strano. Ho sentito dire che stanno organizzando una resistenza e che prima o poi tenteranno di entrare a Cortana.» A proferire tali parole fu una donna. O meglio, Clizia immaginava fosse una donna – l’ombra.
Era una semplice pozza nera senza alcuna consistenza, eppure Clizia si sentì tremare sin dentro le viscere all’ascolto di quella voce.
«D’accordo. Cercherò ancora.» Asserì il giovane, annuendo obbediente.
«Bene.» L’ombra, la donna, sembrò soddisfatta e Clizia aveva il sentore che le prossime parole sarebbero state ancora più pericolose e sperò di sbagliarsi. «Sasha, uccidila
Per un attimo non accadde niente. L’ombra si spense – cioè, tornò a essere una normalissima ombra – e Clizia trattenne il respiro. Fu questione di millesimi di secondo: nel momento in cui l’attrice fece per affrettarsi a levare le tende, Sasha si precipitò nel corridoio.
Lei sgusciò via prima che potesse acchiapparla e cominciò a correre fino a raggiungere le scale che scese a due a due senza fermarsi un attimo, senza darsi il tempo di girarsi a controllare. Una volta raggiuto il cuore del locale, Clizia avrebbe voluto non fermarsi e continuare a scappare ma si ritrovò con una dozzina d’occhi piantati addosso.
Che succede? Si chiese; il cuore a mille.
«Uccidere la ficcanaso.» Disse uno. «Uccidere la ficcanaso.» Ripeté un altro.
Vengono comandati da qualcuno, capì. La donna-ombra.
Clizia udì i passi di Sasha raggiungerla e allora impose al suo cervello di pensarci dopo. Prima doveva scappare, mettersi al sicuro. Solo dopo avrebbe potuto ragionare con calma. Perciò decise di evitare di gettarsi in mezzo ai leoni e preferì sparire dietro il bancone del bar per poi infilarsi in cucina.
Si guardò un attimo attorno e riprese a correre verso l’unica sua salvezza, la porta che dava all’uscita sul retro. Alcuni dipendenti la guardarono stralunati ma levarono le tende quando videro il motivo di tanta fretta.
Questi, più grossi e più veloci, quasi la raggiunsero ma l’attrice adocchiò una bottiglia di vino e la lanciò senza troppi scrupoli su un fornello lasciato acceso. Si accucciò dietro il frigo mentre l’esplosione faceva volare per aria i suoi inseguitori.
Clizia non perse nemmeno un secondo, approfittò della confusione e uscì dalla porta sul retro.
Prese a correre lungo il vicolo ma non riuscì nemmeno ad affacciarsi sulla via principale che Sasha le bloccò il passaggio. L’attrice arrestò quindi la sua corsa e arretrò di qualche passo, tenendo ben saldi gli occhi bronzei sulla figura del ragazzo, pronto a impedirle qualsiasi altra mossa.
Clizia non era una maga. Non era una combattente. E non era da lei farsi beccare.
Il suo pensiero volò a Royal e si ritrovò a stringere i pugni.
Fece un altro passo indietro, ma Sasha ne compì uno in avanti. «Non ti lascerò andare da nessuna parte.»
«Ho forse visto qualcosa che nessuno dovrebbe vedere?» Domandò, ironica.
Sasha tirò fuori dallo stivale il suo stiletto e prese a marciare verso di lei. Clizia arretrò ma andò a sbattere contro un suo compagno – aveva i vestiti bruciacchiati e il fumo gli aveva scurito la pelle – che l’afferrò per le braccia impedendole di scappare.
Si dimenò più forte che poteva ma la presa era ferrea e non lasciava vie di scampo. Clizia gli tirò allora un calcio sullo stinco e, approfittando della sua distrazione, si liberò con uno strattone deciso nel momento esatto lo stiletto di Sasha stava per affondarle nel petto.
L’attrice si piegò di lato, perdendo la parrucca nel frattempo, e cominciò a correre, venendo però subito riacchiappata per i capelli.
Sasha la tirò all’indietro e lei cadde a terra, grugnendo di dolore. Lui le piantò un ginocchio sullo stomaco per tenerla giù. «Non sai fare altro che scappare?»
Clizia fece per rispondergli a tono ma Sasha premette le dita attorno alla gola e le fu impossibile pronunciare anche solo una parola. Tentò di fargli allentare la presa arrivando addirittura a graffiargli il dorso della mano e tutto l’avambraccio ma la presa di Sasha era impossibile da sciogliere.
«Ritieniti fortunata. Non ho tempo per giocare, per cui sarà una morte rapida e indolore.»
Clizia agitò le gambe e le braccia, cercando allo stesso tempo di evitare che lo stiletto si piantasse al centro della sua faccia. Ma non era forte abbastanza per riuscire a impedirglielo. E intanto chiuse gli occhi, pensando a quanto avrebbe sofferto la sua famiglia se non l’avesse mai vista tornare. E Royal?
Una singola lacrima si raccolse sulla coda dell’occhio ma si rifiutò di piangere in un momento simile.
Non posso morire adesso... no.
Ma Clizia non avvertì mai il freddo della lama penetrarle la carne. Anzi, udì un grido e poi, come per magia, l’aria tornò a riempirle i polmoni e per lei fu come tornare alla vita.
Restò a terra per alcuni secondi, troppo agitata e con i brividi che ancora correvano lungo le braccia. Si mise a sedere soltanto quando udì dei passi avvicinarsi a lei, per poi rendersi davvero conto che qualcuno l’aveva appena salvata. La figura che aveva davanti era quella di un ragazzo, un giovane uomo dai capelli bruni e occhi dello stesso colore.
Questo si fece avanti e le porse una mano per aiutarla a rialzarsi, mano che l’attrice accettò volentieri.
«Ti ringrazio davvero tanto per avermi salvata.» Disse sorridendo. Si voltò poi nella direzione di Sasha e lo vide malamente steso al suolo, privo di sensi. Dopodiché, tornò a concentrarsi sul suo salvatore: la sua postura era rigida e l’espressione dura in viso dava l’idea di una persona estremamente severa. «Chi sei?»
«Yvan. Tu come mai sei stata aggredita di questi tizi?»
Clizia sgranò gli occhi, sorpresa. «Sei Yvan Thorpe? Il Cavaliere della principessa?»
«Questo non è importante al momento.» Asserì, per poi spostarsi e invitare l’attrice a camminare verso un luogo più illuminato. «Dobbiamo andarcene.»
Ma lei non si lasciò intimidire dal suo fare brusco, seppure elegante. Insomma, nonostante il tono di voce, le aveva appena sfiorato la schiena senza toccarla davvero per poter essere il più rispettoso possibile nei confronti di una ragazza appena conosciuta! «Ho bisogno di raggiungere la capitale.»
Lui corrucciò la fronte. «Che cosa?»
«Se tu sei davvero Yvan Thorpe, allora posso fidarmi. Alcuni maghi che conosco stanno andando lì e io devo parlare con loro. Devo andare a Cortana.»
«Va bene, ma ne discuteremo altrove. Questo non è un posto sicuro, specie di notte.»
Clizia annuì. Finalmente, le cose stavano andando nel verso giusto.
 
 
 
§
 
 
 
Gladis Sherman era una donna iperattiva e con una grave dipendenza dal caffè. Era sempre su di giri e non perdeva occasione di rifilare i suoi intrugli salutisti ai prigionieri confinati nella prigione labirintica costruita sotto il castello di Crocus.
Tutti la conoscevano. Tutti quelli che erano soliti frequentare il palazzo, per lo meno.
William Falkor, soldato dell’Esercito Reale, era uno di questi, suo malgrado. Jace Ivory lo accompagnò all’infermeria quasi saltellando – come può essere così di buon umore? – aprendogli persino la porta e lasciando che vedesse con i suoi occhi la situazione.
«Che diavolo sta succedendo qui?» Domandò, allibito dalla scena.
Gladis Sherman non era solo una donna iperattiva e con una grave dipendenza dal caffè. Era anche una persona a cui piaceva trovare nuovi modi per torturare le persone. E per qualche strano motivo era stata assunta come assistente della dottoressa Chandler – lei, la psicopatica.
Jace ridacchiò, per nulla toccato. «Sta solo giocando. Non li ucciderà. E gli abbiamo vietato qualsiasi cosa possa danneggiare i loro cervelli. Ci servono reattivi se vogliamo che rispondano alle nostre domande!»
A William non piaceva quest’atteggiamento opportunista ma se lo sarebbe fatto andare bene.
I prigionieri erano stati legati ai loro letti con delle cinghie di pelle assai spesse. Erano tutti addormentati – strano che fossero tutti ancora incolumi. «Allora? Sono svenuti?»
«Sì.» La voce acuta di una donna lo fece trasalire. Gladis spuntò fuori dall’ufficio della dottoressa capo del palazzo con un plico di fogli in mano. «Erano già così quando li ho legati.»
Non era molto alta, Gladis. Aveva i capelli corti e biondi, sfumati alle punte di un rosa caldo che avrebbe dovuto ispirare dolcezza – spoiler: niente di tutto ciò. Gli occhi ferini e color oro facevano quasi paura, tant0 schizzavano da una parte all’altra del documento, senza mai darsi un attimo di tregua. La dottoressa indossava, contrariamente alle consuetudini, un tailleur nero che mettevano in risalto le sue curve – curve di cui andava molto fiera, comunque.
William poteva andare oltre il suo sguardo malefico, oltre l’abbigliamento poco consono al suo mestiere, al suo caratteraccio... ma quando la sua attenzione si riversò sul frustino che faceva roteare in mano, il soldato alzò gli occhi al cielo e si morse la lingua per non imprecare.
«È stato Jace a catturarli e a portarli qui, prenditela con lui.»
Il più anziano dei tre sospirò, mettendosi il cuore in pace. Fece scorrere gli occhi sulle figure svenute. Fu all’improvviso che una terribile verità lo colse in pieno: «Sono i nostri soldati.»
Jace annuì. «Esatto.»
«Ma com’è possibile? Ci hanno traditi?»
L’altro storse la bocca, negando. «Non credo, sai.»
«E allora cosa pensi che sia successo?»
Il sorriso di Jace si fece ancor più inquietante. «Questi soldati hanno fatto parte della spedizione inviata da Sua Maestà Rambaud Fiore nel regno di Damocles. Tutti dicono di non ricordare niente. Ieri notte sono stati beccati a contattare qualcuno, una donna nascosta tra le ombre. E per di più, quando li ho affrontati non mi sono sembrati affatto consci di quello che stavano facendo. Ne consegue che tutti quelli che sono tornati da lì...» Fece una pausa, lanciando un’occhiata a Gladis che annuì divertita. «Vengono controllati da chi ha causato la distruzione del Regno.»
William sbiancò. «Intendi una Fata
«Non credo.» Asserì Gladis, irrompendo nella discussione. «Le Fate sono persone che hanno perso il controllo della propria magia. A meno che non si tratti dell’eccezione che conferma la regola... È improbabile che riesca a controllare così tante persone. Non scordiamoci che la crescita esponenziale della magia causa, nel tempo, dei seri danni a livello neurologico e psicologico. Dai cadaveri di coloro che si sono trasformati in Fate abbiamo appurato che è questo che accade nel novantanove percento dei casi.»
William Falkor sospirò, atterrito. «Ancora non riesco a crederci.» Poi si rivolse a Jace: «E come pensate di interrogarli se non ricordano nulla?»
«Ma è semplice!» Esclamò, su di giri.
Gladis fece schioccare il suo frustino. «Basterà chiedere all’ombra che li comanda, tutto qui.»
 
 
 
§
 
 
 
Nægling non era molto lontana dalla città portuale. Era la città in cui Yvan Thorpe aveva organizzato la sua base ma nessuno, a parte lui e i soldati reali superstiti, sembrava esserne a conoscenza.
In effetti, era sempre stata una città fantasma, persino prima del grande disastro. Nascosta in mezzo alle montagne e nella fitta coltre del bosco, sembrava che tutti l’avessero dimenticata.
Yvan aveva offerto a Clizia una comoda cavalcatura e, insieme a un paio dei suoi uomini, avevano lasciato Tyrfing quella sera stessa. Durante il viaggio, il giovane aveva voluto sapere il motivo della sua presenza lì e lei gli aveva spiegato che si trattava di una questione di vita o di morte.
Non era scesa nei dettagli ma riuscì comunque a ottenere l’aiuto e la protezione di Yvan.
«Ci è giunta voce che si siano scontrati con gli uomini di Kiel.» Disse, chiudendosi la porta alle spalle. L’aveva fatta accomodare in una delle abitazioni meglio mantenute: una casetta a due piani che fungeva da alloggio femminile per coloro che avevano deciso di sposare la sua causa.
Clizia ne approfittò per far riposare le gambe e la schiena su un morbido divano; invece, il ragazzo rimase in piedi e rigido come una statua di marmo. «Avete occhi e orecchie ovunque, eh?»
«Non fin dove vorrei.» Asserì, pensieroso. «Kiel, o chi per lui, è molto astuto. Non è facile infiltrarsi a Exca, reperire informazioni e sperare di poterle trasmettere.»
«Cosa vuoi fare? Qual è il tuo obiettivo?» Clizia era davvero curiosa.
Yvan sembrò indeciso se parlarne, come reduce da una drammatica lotta interiore: doveva capire se poteva fidarsi di lei. Poi, però, i muscoli del viso si rilassarono. «La principessa si trova a Cortana, da sola, ed è mio dovere salvarla. Così com’è mio dovere salvare il paese.»
«Se è nella capitale, chi ti dà la certezza che sia ancora viva?»
Yvan sospirò. Slacciò il parabraccio rinforzato con la magia e lo lasciò scivolare sul davanzale della finestra, srotolando infine la garza stretta attorno all’avambraccio rivelando così un marchio: sulla pelle diafana spiccava il disegno di una spada attorniata da alcuni piccoli raggi, il simbolo della famiglia reale di Damocles. «Questo me ne dà la certezza.» Ne seguì una breve pausa. «Finché brilla, saprò che è viva.»
Sono legati, intuì lei. Non è come un legame vitale ma è comunque affidabile.
L’attrice annuì. «Posso aiutarti.»
«In che modo?»
«Posso infiltrarmi a Exca. Devo comunque andare lì e sperare di intercettare Killian prima che raggiunga la capitale.» Spiegò. Era seria e Yvan non poteva credere alle sue orecchie.
Lei, lei che era viva grazie al suo arrivo tempestivo, voleva gettarsi nella tana del lupo da sola?
Ma Clizia percepì il suo scetticismo e prese di nuovo parola. «Ho fatto di peggio. Kiel Reidar sarà anche difficile da avvicinare ma io posso farlo. Sono un’attrice.» E una spia.
Già. Lucinde era il nome che utilizzava in questi casi.
Aveva assunto l’aspetto di cinque persone diverse per poter consegnare ai maghi la lettera che Killian aveva scritto, invitandoli a partecipare alla missione. Aveva indossato una parrucca, si era disegnata delle finte lentiggini sulle guance e aveva indossato l’uniforme dell’ufficio postale di Fiore per poter depositare delle preziose informazioni dritte nelle mani di Royal senza destare sospetti – e per poterlo vedere, sì.
Era la maestra del travestimento. E anche se Yvan non immaginava nemmeno di cosa fosse capace quella donna placidamente seduta su quel divano, riusciva a comprendere in maniera inequivocabile quanto parlasse sul serio e quanta determinazione nascondessero i suoi occhi.
Per questo, decise di accettare. E anche perché, inevitabilmente, quella forza interiore che sembrava incendiarle l’anima gli ricordava qualcuno di importante.
«Pensavo sarebbe stato più difficile convincerti, sai?» Ridacchiò, pensando a Charlie. «Per arrivare qui ho dovuto faticare parecchio.»
Yvan accennò un debole sorriso prima di nasconderlo con una smorfia. «È che assomigli terribilmente a qualcuno che conosco. Ho l’impressione che, se anche mi rifiutassi, tu ci andresti comunque.» Spiegò. «E poi ogni aiuto è prezioso.»
Clizia rise ma non disse nulla.
Quella giornata si era rivelata particolarmente fruttuosa: Charlie aveva accettato di farle quel favore senza chiedere nulla in cambio – nonostante le apparenze, era davvero un cuore di panna; aveva scoperto tantissime cose; era uscita viva da una locale pieno di gente manovrata da chissà chi.
E Yvan le stava dando il suo pieno supporto. Sospettava, tra l’altro, che la persona che gli ricordava fosse una vecchia fiamma – ma non indagò né chiese nulla a riguardo.
Non ci voleva certo un genio per capire che non le avrebbe mai risposto con sincerità.
«Comunque, non ci andrai da sola.» Asserì, dopo un po’.
Clizia sollevò lo sguardo, confusa.
«O meglio, ti accompagneranno due persone. Loro resteranno fuori, a debita distanza.»
Lei annuì. «Conoscono la zona, vero?»
«Certo. Te li presento.»
 
 
 
§
 
 
 
In un luogo sconosciuto.
 

Il Palazzo dell’Aqua non era realmente fatto d’acqua. Il suo nome era dovuto ai colori freschi dell’oceano con cui era decorato il portone e ai fiori blu cobalto che incorniciavano i finestroni.
Non era molto largo, si sviluppava in altezza. L’edificio si ergeva al centro della città e si stagliava nel cielo con la sua immensa torre alla cui sommità era stato creato un giardino pensile.
Bello fuori, restava bello anche all’interno.
Il pavimento della sala riunioni riluceva e il lampadario di cristallo proiettava piccole scintille di luce.
La tavola rotonda – fatta di un vetro particolarmente resistente – era circondata da ben ventidue sedie.
Quello era il posto degli Arcani Maggiori – uomini benedetti dagli Dei, i protettori del regno. E lui era uno di loro; Puck, L’Alchimista.
Era basso di statura e non possedeva particolari doti fisiche. I capelli erano azzurri, corti, ma acconciati in una frangetta con alcuni ciuffi asimmetrici a sfiorargli le guance. Gli occhi grandi e color ocra davano l’idea di un ragazzino mansueto e non dedito alla violenza. Puck era così: preferiva rimanere in disparte, preferiva osservare e fare ricerche, piuttosto che combattere.
Per questo motivo, l’Imperatore l’aveva scelto come partner. Puck era diventato il suo fidato consigliere e archivista. Qualsiasi fosse la domanda, l’Imperatore avrebbe ricevuto una degna risposta. E anche quel giorno, l’Alchimista varcò le soglie della sala riunioni con largo anticipo – avrebbe controllato che tutto andasse per il verso giusto; lui, che era un ottimo osservatore.
Diede una veloce occhiata alla stanza e aprì meglio le tende, permettendo a quanta più luce di entrare. Il grande trono posto su un palchetto era stato pulito di recente e le pietre incastonate allo schienale risplendevano come non mai. Di contro, il trono più piccolo e situato al suo fianco, era molto più sobrio ma non per questo meno regale: adornato da volteggi e fiori di alabastro dipinti di blu, argento e azzurro.
Puck sospirò e prese posto alla tavola rotonda. Non dovette attendere molto perché i primi suoi colleghi palesassero la loro presenza. Come da programma, la prima a entrare fu Cordelia, Il Giudizio.
Con il suo caschetto di capelli neri e gli occhi di un verde intenso, quasi magnetico, Cordelia era senza dubbio la sua preferita. Sempre seria, sempre silenziosa... ma quando apriva bocca, quando dava prova della sua innata capacità oratoria, nessuno era in grado di darle contro.
Era la più responsabile di tutti, la più affidabile. Non sbagliava mai.
Parlare con lei era stimolante.
Subito dopo Cordelia, entrò Lisandro, La Torre. Ovviamente. Gli Arcani non lavoravano mai da soli, ma in coppia. L’uomo che aveva appena fatto il suo ingresso sembrava essere su un’altra lunghezza d’onda rispetto alla sua partner.
Non appena lo vide, infatti, gli sorrise affettuosamente, con fare fraterno. «Sei arrivato per primo anche ‘sta volta.» Era empatico, una persona a cui non dispiaceva mostrare i suoi sentimenti.
Secondo Puck – e secondo gran parte di loro –, Lisandro non era portato per quel ruolo. Lui era gentile, aveva l’anima del poeta; il peggior partner possibile da affiancare a una persona laboriosa e monolitica come Cordelia: era lento e odiava occuparsi di questioni diplomatiche.
Eppure, tutti apprezzavano il suo fare da galantuomo e i suoi consigli che – in qualsiasi caso – sembravano sempre essere quelli giusti. Forse era l’unico che sembrava rispecchiare la sua reale età.
Lisandro andò a sedersi a qualche sedia di distanza da lui, accanto a Cordelia. «Come hai trascorso queste ultime giornate di sole? Spero per te che non te ne sia stato tutto il tempo in archivio, Puck.»
«Beh, ho fatto una passeggiata in cortile due sere fa.»
Il più grande inarcò un sopracciglio e sospirò, tirando fuori il suo ventaglio finemente decorato. «Non va bene.» Disse, scuotendo la testa. «Prendi me: ogni giorno faccio almeno due passeggiate!»
Puck non rispose, lo fece Ofelia per lui, arrivata proprio in quell’istante: «Ed è per questo che Cordelia dovrebbe darti una bella lezione.»
Leonte salutò i presenti con un cenno della testa ed entrambi andarono a sedersi ai loro posti assegnati.
«E perché mai? Sono una buona spalla, dopotutto.»
«Sei fin troppo delicato per i miei gusti.» Ribatté Ofelia, Il Diavolo.
Puck ridacchiò ma non disse niente. A risponderle a tono fu, contro ogni previsione, Cordelia stessa: «La cosa non ti riguarda comunque. È il mio partner, non il tuo. La riunione sta per cominciare e sarà meglio per tutti non ritardarla a causa di inutili discussioni.»
Leonte incrociò le braccia al petto e si lasciò cadere contro lo schienale della sedia. Gli occhi verdi saettarono sulla figura candida e austera di Ofelia che, ne era sicuro, tratteneva l’istinto di sfiorare l’occhio monco e attraversato da una rosea cicatrice verticale.
Perdere contro il Master dell’Ancient Aurora era stato un terribile smacco per lei. Certo, era sicura di aver già reso pan per focaccia, ma l’idea di lui ancora vivo – anche se per poco – la irritava.
Un'altra figura fece il suo ingresso. «Su, su. Non litigate.»
Ofelia trattenne una smorfia e decise di ignorare il tono canzonatorio di Curio, Il Matto. Con i suoi capelli arancioni e con i suoi occhi di un azzurro brillante, quasi travolgente, era considerato il più avvenente degli Arcani Maggiori. E anche il più irritante.
«Sei da solo? Dov’è la principessa?» Domandò l’albina, sprezzante.
«Non ti stancherai mai di chiamarla in quel modo, vero?»
Ofelia ghignò con malignità. «È quello che è.»
«Era.» Ribatté lui, avvicinandosi al proprio posto. «Ha scelto di essere un Arcano tanto tempo fa. Non è più una principessa...»
E proprio mentre la gara di sguardi tra i due andava avanti – con Curio che a stento riusciva a trattenersi dal ridere e Ofelia che impallidiva di rabbia –, arrivò lei. Lavinia, L’Appeso. Persino Leonte si prese del tempo per osservarla: aveva lunghi capelli azzurri, più scuri e tendenti all’indaco, e occhi dello stesso colore. Al contrario del suo partner, che indossava abiti rossi e dorati – probabilmente a indicare un animo passionale, sanguinario ma altresì elegante nei modi –, vestiva panni dai colori freddi e regali.
Non tutti si erano ancora abituati a vederla come una di loro. Ofelia era tra questi.
Emilia si rivolgeva ancora a lei con l’appellativo di principessa ma, al contrario dell’albina, lo faceva senza alcuna malizia e, anzi, un po’ per gioco.
Il fatto che Lavinia – così aveva scelto di farsi chiamare dopo aver stretto un patto con una delle Carte Divine, quella dell’Appeso – andasse a sedersi alla tavola rotonda, anziché sul trono posto accanto a quello di suo fratello, era già una gran bella prova di rispetto nei loro confronti. Ofelia non la pensava così – per lei era soltanto una presa in giro.
«Strano che Giulietta non sia ancora arrivata.» Disse l’ex principessa, prendendo posto accanto a Curio.
Lisandro sorrise. «Sarà andata a chiamare Antonio. Sapete com’è... quando si allena dimentica tutto il resto.»
Puck annuì ridacchiando a sua volta, coprendo il risolino con il suo taccuino prendi-appunti non appena notò la figura di Antonio, Il Sole, varcare la soglia. Era alto e ben piazzato, sicuramente il più muscoloso degli Arcani; un ragazzotto biondo dagli occhi grigi.
Per andare a sedersi prese la strada più lunga e nel tragitto posò una mano sulla spalla di Lisandro a mo’ di pat-pat, soffocando una risata. «Un po’ di allenamento farebbe bene anche te.»
«Mh, credo di no. Sei tu il guerriero, io sono l’artista.»
«Certo, certo. Un artista imbranato, però.»
Persino Ofelia si lasciò sfuggire un risolino, mentre Leonte strinse le labbra per non scoppiare a ridergli in faccia. Antonio non era affatto un uomo freddo e austero – non in quei momenti, per lo meno. Lui viveva di emozioni e passioni, era il sole che bruciava. Di contro, Giulietta, La Luna, era acqua limpida e sapeva come adattarsi a qualsiasi situazione.
Entrò dopo il suo partner e alzò gli occhi al cielo non appena lo vide scherzare con Lisandro. Il caschetto asimmetrico di capelli blu era leggermente sfumato di azzurro sulle punte; gli occhi erano due finestre aperte sull’oceano.
Al contrario delle altre donne presenti nella sala, indossava un abito più succinto e provocante ma per l’occasione aveva deciso di indossare un cappottino bianco che aveva appoggiato sulle spalle. Giulietta e Antonio erano agli antipodi, ma loro – a differenza di Cordelia e Lisandro – non si erano scelti.
I loro partner erano morti e, di conseguenza, l’Imperatore aveva deciso di farli lavorare insieme.
«Come va a voi due?» Domandò, sedendosi tra Antonio e Cordelia, di fronte ai suoi due interlocutori. Ofelia sbuffò ma non rispose; Leonte annuì in segno di ringraziamento. «E anche ‘sta volta, Oberon è in ritardo.»
Fu Curio a rispondere, ilare: «Poverino, ha sempre così tante cose da fare...»
«Mai tante quante il nostro Puck. Eppure, lui è sempre il primo ad arrivare!» Esclamò Antonio, facendo imporporare le guance dell’Alchimista, sempre lieto di essere d’aiuto.
«Parli tu che ho dovuto trascinarti fuori dagli spogliatoi.» Ribatté Giulietta, serafica. «Stavi per dimenticarti della riunione di oggi, dì la verità.»
Il biondo non rispose ma il suo silenzio bastò per confermare l’ipotesi della sua collega.
«E invece non sono in ritardo.» Asserì una voce ferma sull’uscio della porta. «I grandi capi non sono ancora arrivati, no?»
Oberon, Il Mondo, era lì. Aveva la pelle scura, lunghi capelli neri a incorniciargli il volto e il cappuccio di una tunica bianca bordata d’oro regalmente appoggiata sul capo. Gli occhi verdi erano socchiusi, segno che era davvero troppo stanco per tenerli completamente aperti, mentre gli orecchini d’oro tintinnavano.
Al suo seguito, c’era Porzia, La Ruota. La sua assistente.
I capelli blu erano intrecciati in uno chignon, il viso roseo e a forma di cuore incorniciato da una folta frangia. Era bassa, praticamente una ragazzina, ma riusciva a star dietro a tutte le cose che Oberon si vedeva costretto a passare in sordina, per via del troppo lavoro.
Era la più dolce, lì in mezzo. Veniva coccolata da tutti, a volte persino da Ofelia – l’acida del gruppo.
«Oh, siamo gli ultimi!» Esclamò, sgranando gli occhi d’ambra.
Il Mondo le sorrise, accomodandosi al suo seggio e venendo imitato dalla più giovane.
«Direi che ci siamo.» Asserì Lisandro, guardandosi attorno. «È sempre una gioia poter essere qui insieme a tutti voi.»
Ofelia storse la bocca. «Peccato che siamo ridotti alla metà di noi.»
La prima a guardarla male fu Cordelia. Ma nessuno osò cominciare a discutere perché proprio in quel momento l’ultimo di loro fece il suo ingresso. Iago, l’Imperatore, avanzò lentamente verso il suo seggio, alla sinistra di Puck. Era un uomo alto, dai folti capelli biondi e un po’ lunghi. Come suo solito, indossava abiti scuri, neri, impreziositi da dettagli oro e blu, colore simbolo del regno.
Tutti i presenti sapevano quanto ripudiasse il contatto fisico, per questo indossava sempre un paio di guanti e non lasciava mai alcuna porzione di pelle scoperta se non il viso – o, per lo meno, metà viso. Infatti, la parte destra del suo volto era coperta da una maschera di tessuto nera e blu. In pochi sapevano cosa ci nascondesse ma nessuno se l’era realmente chiesto, solo i più curiosi – tipo Emilia. Già. E a proposito di Emilia…
«Novità?» Domandò, sedendosi.
A rispondere fu, ovviamente, Puck: «Nulla da riferire. Macbeth ha il pieno controllo di Cortana.»
Iago annuì. «Bene. Allora, diamo inizio alla riunione.»
«Non aspettiamo Sua Maestà?» Chiese Curio – detto da lui, quel Sua Maestà sembrava quasi una presa in giro. «O devo dedurre che si tratti di un caso eccezionale?»
«Pierre Lazuli non centra niente, sono stato io a richiamarvi tutti qui.»
E questo bastò a preoccuparli. L’Imperatore non indiceva mai un’assemblea di punto in bianco, men che meno senza la presenza del re. Se ciò accadeva... Antonio imprecò, non curandosi che qualcuno potesse sentirlo. Giulietta neanche ci fece caso, tant’era abituata.
Di fronte a loro, Ofelia digrignò i denti. Porzia si morse una guancia, curiosa e spaventata al tempo stesso.
«C’è ancora un Incubo a piede libero.»
Lisandro scosse la testa. «Intendi, un altro
All’assenso di Iago, Cordelia sospirò. «È già grave che ce ne siano sfuggiti due, ma tre...!»
«Sbagli, a essercene sfuggiti sono due. Il terzo è stato creato.»
«E chi è lo squilibrato che si mette a creare mostri del genere?!» Sbottò Antonio, furioso. «Se gli metto le mani addosso giuro che lo ammazzo!»
Giulietta guardò il suo partner con apprensione. Il Sole era fatto così. Si scaldava subito.
L’Imperatore volle ignorare la sua rabbia semplicemente per non alimentarla. Si rivolse, anzi, a Leonte, rimasto in silenzio per tutto il tempo. «Tu sei sicuro di quello che hai sentito, non è vero?»
«Sì. In quella gilda c’è puzza di Incubo
«Come fai a dire che sono due? Potresti aver percepito la Bestia che già stiamo cercando.» Domandò Lavinia.
Leonte scosse la testa, mesto. «Perché l’ho visto. Dopo che siamo scappati, sono tornato per accertarmi che non fosse solo la mia immaginazione. L’ho visto. È stato lui a soccorrere il Master dell’Aurora e a portarlo in ospedale. È rimasto rintanato sotto le macerie per tutto il tempo del combattimento.»
«Puoi descriverlo?» Lisandro prese a farsi aria con il suo ventaglio.
«Alto. Pallido. Capelli neri e bianchi. Occhiali.»
Iago strinse i pugni. «Il nome?»
Leonte guardò la sua partner, aspettandosi un suo intervento. D’altronde, era stato facile per lei – una volta guarita – spiare attraverso gli specchi gli affiliati di quell’insulsa gilda. E fu con un sorriso carico di soddisfazione che finalmente Il Diavolo poté pronunciare quel nome infernale: «Alastor.»
 
 
 
 
 







 
 


 
 

 
Rieccomi! ^^ Salve!
Come state? Io da pochissimo ho fatto l’operazione agli occhi e ho definitivamente detto byebye agli occhiali da vista! ^^ Certo, poi sono stata bocciata all’esame che ho dato tre giorni dopo ma, ehi, mi sono consolata con la pizza fritta più buona che io abbia mai mangiato (non che ne abbia mangiate tante, ma ormai è entrata nel mio cuore!) Insomma, tra alti e bassi, va...

Sono tornata dopo un’eternità ma almeno qui le cose cominciano a farsi succulente!

Abbiamo il ritorno in scena di Clizia, signori e signore! Sono tornati tutti: William Falkor, Jace Ivory, gli Arcani... uh, gli Arcani! Alcuni li avevo già mostrati, eh, anche se per pochissimo.
Ho trovato dei prestavolti fenomenali – in realtà ho creato i personaggi sulla base di queste immagini che ho trovato, per poi scoprire che appartengono quasi tutte allo stesso fandom ma il capitolo era già pronto, così... ce li teniamo ^^

Nuovi personaggi (alcuni un po’ di sfondo ma ok):

CHARLIE ► (devo ancora trovare qualcosa, mi spiace ^^)

GLADIS SHERMAN ► https://w0.peakpx.com/wallpaper/514/910/HD-wallpaper-catherine-ward-manga-angels-of-death-satsuriku-no-tenshi.jpg


YVAN THORPE ► https://i.pinimg.com/originals/16/f1/27/16f1277a207cc0f6750a7ab377551153.jpg

Ed ecco gli Arcani Maggiori:

PUCK, L’Alchimista ►  https://static.zerochan.net/Xingqiu.full.3125760.jpg


IAGO, L’Imperatore ► https://i.pinimg.com/originals/52/b4/56/52b456489c2cb834159ce88c935d6558.jpg

CORDELIA, Il Giudizio ► https://i.pinimg.com/originals/0c/4b/82/0c4b8295055764f8ce1c2fdef4ef1f20.jpg

LISANDRO, La Torre ►  https://cdn.donmai.us/original/06/94/06940b675c541a8639ac090c4960e8bb.jpg

CURIO, Il Matto ► https://i.pinimg.com/736x/ae/e0/b3/aee0b390571e3e90d832f80e01152eb5.jpg

LAVINIA, L’Appeso ► https://img.freepik.com/premium-photo/anime-girl-with-blue-hair-blue-eyes-city-generative-ai_958192-23894.jpg

ANTONIO, Il Sole ► https://images-wixmp-ed30a86b8c4ca887773594c2.wixmp.com/f/ceae5666-2a98-4c69-8060-e3ac622f1bc4/dea9cul-168c8061-01c1-4ae2-a60f-26db907b1902.jpg?token=eyJ0eXAiOiJKV1QiLCJhbGciOiJIUzI1NiJ9.eyJzdWIiOiJ1cm46YXBwOjdlMGQxODg5ODIyNjQzNzNhNWYwZDQxNWVhMGQyNmUwIiwiaXNzIjoidXJuOmFwcDo3ZTBkMTg4OTgyMjY0MzczYTVmMGQ0MTVlYTBkMjZlMCIsIm9iaiI6W1t7InBhdGgiOiJcL2ZcL2NlYWU1NjY2LTJhOTgtNGM2OS04MDYwLWUzYWM2MjJmMWJjNFwvZGVhOWN1bC0xNjhjODA2MS0wMWMxLTRhZTItYTYwZi0yNmRiOTA3YjE5MDIuanBnIn1dXSwiYXVkIjpbInVybjpzZXJ2aWNlOmZpbGUuZG93bmxvYWQiXX0.H9sU6FA3CjG_X1WCl418k8bHpRSICUpDT1DGTGa_bQM

GIULIETTA, La Luna ►  https://upload-os-bbs.hoyolab.com/upload/2022/03/29/64211779/72ac558c1966b2e34c06db2d952eb476_2982375825850840914.jpg?x-oss-process=image%2Fresize%2Cs_1000%2Fauto-orient%2C0%2Finterlace%2C1%2Fformat%2Cwebp%2Fquality%2Cq_80

OBERON, Il Mondo ► https://www.reddit.com/media?url=https%3A%2F%2Fpreview.redd.it%2Fx84tmy3elay61.jpg%3Fauto%3Dwebp%26s%3D451c8ebd72e2ab5e0477a4a53dc8a2abcc8a2704

PORZIA, La Ruota ►  https://upload-os-bbs.hoyolab.com/upload/2021/08/15/152964738/1f599434e69557fe45181045ba85c7bb_5695542364800551435.jpg

LEONTE, La Forza ► https://static.zerochan.net/Shikanoin.Heizou.full.3652924.jpg

OFELIA, Il Diavolo ► https://i.pinimg.com/originals/50/ee/11/50ee11f4cbe0487073022d737c5fcab6.jpg

L’immagine che avevo trovato di Lavinia, però, l’ho persa. Questa ci assomiglia ma nonostante le mie due ore di ricerche non l’ho più ritrovata. Mannaggia me che non salvo mai niente!

Vi lascio anche queste:

EMILIA, L’Amante ► https://s1.zerochan.net/Ebisu.Kofuku.600.1699770.jpg


MACBETH, L’Imperatrice ► https://static.zerochan.net/Cornelia.li.Britannia.full.3602114.png

Vi lascio con una piccolissima curiosità:

Curiosità n.28 ► Gli Arcani Maggiori sono un gruppo di carte dei tarocchi. I personaggi che avete appena conosciuto hanno stipulato un patto con una Carta Divina (le 22 carte dei tarocchi, come detto) ma, come potete aver intuito, non ci sono tutti e ventidue! Perché? Eeeh, non posso dirvelo.
Piccolo riepilogo doveroso (perché vi faccio sempre aspettare decenni prima di aggiornare ^^): gli Arcani stipulano quindi un patto e la Carta dona loro un potere specifico che si aggiunge alla magia che normalmente utilizzano... in pratica è come se possedessero due magie.
Esempio scemo: Leonte ha la carta de La Forza ma utilizza anche la magia del vento, Ventus.
E sì, i nomi delle loro magie sono in latino. Perché? Mi piaceva l’idea, tutto qui ^^

Alla prossima!

Rosy
 


 

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