L'intoccabile Dicotomia

di Neamh Moonstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Armate del Bene e del Male ***
Capitolo 2: *** La bestia e il guardiano ***
Capitolo 3: *** Alambicchi e angelologia ***
Capitolo 4: *** Strisciando fino a te ***
Capitolo 5: *** Rivelazioni dal lato opposto ***
Capitolo 6: *** La Zona Mediatrice ***
Capitolo 7: *** Sotto la pioggia ***
Capitolo 8: *** Occhi placidi e capelli d'oro ***
Capitolo 9: *** Due obbiettivi, un solo odore ***
Capitolo 10: *** Inferno e ritorno ***
Capitolo 11: *** Il Salvataggio ***
Capitolo 12: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 13: *** L'Amore e l'Arma ***
Capitolo 14: *** Una nuova prospettiva ***
Capitolo 15: *** Intricate emozioni ***
Capitolo 16: *** I piani dell'Arma ***
Capitolo 17: *** La Grigia Battaglia ***
Capitolo 18: *** La Fine? ***
Capitolo 19: *** Comunque vada, tu stringimi più forte ***
Capitolo 20: *** Un altro tipo di Amore ***



Capitolo 1
*** Le Armate del Bene e del Male ***


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Buongiorno o buonasera a tutti (e buon anno, ovviamente)!

Questo è il mio secondo AU dopo "Spire Protettive", ed è una trovata relativamente recente della mia testa fuori di sé stessa e instancabile. Dato che ho finalmente raccolto abbastanza idee e ispirazione da buttare giù, ho deciso di postare questo primo capitolo prima dell'ultimo di "Come in cielo, così in terra".

Parole scurrili (ma neanche troppissimo) a parte, ho deciso di mantenermi sul rating verde, con la consapevolezza che le cose potrebbero cambiare in futuro. Sappiate comunque che non penso andrò mai oltre il giallo, quindi - a meno che non siate particolarmente sensibili - potete stare tranquilli.

Anche questa fanfiction sarà più lunga di tre capitoli, ma non saprei dare un numero preciso. Il tutto dipenderà da come deciderò di organizzare le idee.

Detto ciò, vi lascio alla lettura. Un bacio,

Neamh


**


[...] Per portarmi all'Inferno, quella furia

tenta l'angelo buono a allontanarsi

e del mio santo vuole far demonio

sporcando la purezza con lussuria;

che l'angelo si sia già trasformato,

io lo sospetto, non posso saperlo;

coi due lontani e tra di loro amici,

li immagino scambiarsi il loro inferno.

Mai lo saprò, nel dubbio sempre sono,

finché il cattivo poi non scacci il buono.


- William Shakespeare, Sonetto 144


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Michael camminava freneticamente avanti e indietro, come spesso faceva quando qualcosa lo turbava particolarmente. Aveva le braccia incrociate, il volto duro e stoico, le sue ali candide dai riflessi azzurrini perdevano qualche piumetta di tanto in tanto - a causa del celato nervosismo. Come sempre, la sua perfetta e candida armatura, i suoi capelli biondi raccolti in un'acconciatura che era un'opera d'arte e la spada lucente legata al suo fianco, facevano sentire Aziraphale terribilmente piccolo.

C'erano solo loro due nella grande e bianca sala della fortezza, avvolti dalla luce del Paradiso e circondati dal costante incedere dei passi dell'Arcangelo dal volto di donna. Quel ticchettio contribuiva a rendere l'altro sempre più nervoso, come si poteva evincere dal modo stressato in cui si stava stropicciando le mani. 

    Dopo aver quasi consumato le mattonelle del pavimento a forza di marciarci sopra, Michael - capo assoluto dell'Armata del cielo, nobile condottiero e ammazza-draghi di professione - parlò: «Sei assolutamente sicuro di quello che dici?»

    E Aziraphale - guardiano ufficiale del cancello orientale dell'Eden, giardino eretto da Dio attorno alla fortezza - annuì, facendo rimbalzare i suoi riccioli color platino: «È come vi ho detto. Gabriel stesso è venuto a riferirlo, dicendomi di dare il messaggio il prima possibile.»

    «Controllerò io stesso non appena lo rivedrò,» disse l'altro riprendendo a girare nervosamente a destra e sinistra. «Un'arma segreta...» mugugnò. «Dannati demoni. Cos'avranno in mente?»

L'angelo non lo sapeva. Strinse ansiosamente l'elsa della sua spada di fuoco, rimuginando su ciò che gli era stato riferito poco prima quella stessa mattina.

Gabriel - Arcangelo messaggero e uno dei suoi diretti superiori - gli era piombato davanti mezzo ferito, gli occhi viola sbarrati e increduli. Come sempre, era andato di persona verso i confini del Regno del Male per cercare di carpire eventuali informazioni utili. Era un lavoro pericoloso: nessun angelo comune si sarebbe mai azzardato ad avvicinarsi ai cancelli dell'Inferno. Entrare in contatto con i demoni significava morire.

Bene e Male erano incompatibili in molti sensi. Da quando era nata la schiera ribelle, l'odio che gli angeli disertori e quelli rimasti fedeli avevano sviluppato gli uni contro gli altri si era velocemente trasformato in una specie di maledizione. Il semplice sfiorarsi - una strisciata involontaria, un tocco d'ala - avrebbe provocato dolore a entrambi. La vicinanza fisica prolungata avrebbe causato la consumazione dei loro corpi divini. In parole semplici: angeli e demoni non potevano toccarsi. Sarebbe stato come mescolare acqua santa e fuoco infernale nella stessa boccetta (ed era già capitato che qualcuno ci provasse, finendo martoriato dalla peggiore delle esplosioni).

Quindi, a giudicare dalle sue condizioni, Gabriel doveva essersi immischiato in una rissa di quelle potenti. Si era imbattuto in un piccolo gruppo di umani dall'aria losca - il che può sembrare stupido, perché tutti gli umani al servizio dell'Armata del Male erano loschi - e li aveva seguiti. C'erano voluti giorni, ma l'Arcangelo era infine arrivato a carpire ciò che lo aveva tanto spaventato. A seconda di ciò che aveva ascoltato, infatti, il capo stesso dell'Inferno - Satana in persona - aveva in mente un piano che da solo avrebbe rovesciato la Terra. Una specie di arma segreta, appunto, nata dalle viscere stesse del suo Regno.

La situazione aveva causato un tumulto terribile in meno di due secondi. Gabriel doveva essere stato scoperto all'ultimo, finendo per creare una breccia di informazioni che adesso avrebbe causato uno squarcio tra le due già bellicose fazioni. E la cosa ad Aziraphale non piaceva proprio per niente.

    «Sarà meglio che torni al tuo posto,» gli ordinò Michael con un'occhiata così dura da sembrare di marmo. «E vedi di non distrarti come tuo solito. Al momento non possiamo assolutamente permettercelo.»

    Il guardiano trattenne un sospiro a stento. Sapeva che incontrare il guerriero avrebbe significato ricevere una ramanzina: succedeva praticamente sempre. «Vi prometto che farò attenzione,» disse, cercando di apparire rispettoso.

    «Certo,» soffiò Michael. «Come la volta in cui hai quasi perso la tua arma.»

    Di nuovo con quella storia? Ormai Aziraphale si sentiva marchiato a vita. Non lo aveva fatto apposta: aveva poggiato la spada perché in quel momento non gli era utile - anzi, a dirla tutta non gli era mai stata utile - e aveva iniziato a dare uno sguardo a gli umani da sopra le mura. Faceva parte del suo lavoro anche quello, in fondo, ed era la parte migliore. Adorava osservare quelle creature vivere ed espandersi sotto la protezione del Paradiso. Gli umani al loro servizio erano gli esseri più dolci, coraggiosi, responsabili... Avrebbe dato la sua arma pur di venire declassato a custode, in modo da poter lavorare accanto a loro.

    «Non fare quella faccia,» lo rimproverò il guerriero. «Dio ti ha dato una mansione ed è tuo dovere svolgerla al meglio. Chiaro?»

    L'altro annuì: «Chiaro. Posso andare?»

Fortunatamente, Michael lo congedò con un cenno del capo, ed Aziraphale poté uscire da quella stanza vuota ed accecante per ritirarsi nel suo personale angolo di giardino.


Il sole splendeva come sempre nella metà buona della Terra. Dall'alto del muro dove lavorava, il guardiano si mise a rimuginare su ciò che era trapelato. Ciò avrebbe significato la guerra imminente? Probabilmente sì, e Aziraphale odiava la violenza. Da un lato, il più grande vantaggio del suo lavoro era proprio quello: il non dover uccidere nessuno - se non in caso di intrusi. Sperò ardentemente che al generale non venisse in mente di inserirlo in prima linea in caso di effettivo scontro.

E tutti quei poveri umani... Quando le Armate del Bene e del Male battibeccavano - e quindi molto spesso - evitavano volentieri di rischiare lotte dirette e mandavano i loro mortali sottoposti a farlo per loro. Negli scontri peggiori, quei piccoli eserciti altro non erano che una spalla sacrificabile.

«Fa' che sia solo tutto uno stupido errore,» mormorò l'angelo ad un punto imprecisato del cielo sereno. Era una supplica stupida e lo sapeva. l'Inferno non scherzava mai riguardo alle sue minacce: i demoni erano naturalmente crudeli e subdoli ma, soprattutto, sempre pronti a mettere il bastone tra le ruote alle loro controparti. 

Però, se c'era qualcuno abbastanza potente da poter migliorare le cose, quella era Dio - Grande Madre di tutti, Preservatrice del lato buono di umanità, Capo del Paradiso e Terrore dell'Inferno. Colei a cui tutti gli angeli si affidavano, dai più bassi ai più alti nella scala gerarchica che caratterizzava il loro Regno.

«E se proprio dobbiamo ucciderci a vicenda,» mormorò Aziraphale, guardando l'elsa infuocata della sua spada con aria mesta, «Fa' almeno che non sia un genocidio totale di esseri umani».


~•°•~


    «Tu hai fatto cosa?!» Gridò Beel, facendo tuonare la sua voce nella grande stanza buia e soffocante. Perché diamine il suo superiore avesse così tanti scaffali pieni di roba che non avrebbe mai letto, Crowley non lo sapeva.

L'unica cosa di cui il demone dai lunghi capelli rossi e gli occhi di serpente era sicuro, era che "Beel" - così chiamava il capo dei demoni, Signore delle mosche - non era affatto contento del resoconto. Le pustole sulla sua faccia parevano infatti ribollire e i suoi già normalmente scombinati capelli corvini ergevano ritti sulla sua testolina come spilli. Inoltre, aveva sbattuto i pugni serrati sulla scrivania fissandolo come se volesse incenerirlo sul posto - e ne sarebbe stato capace.

    Facendo ricadere le braccia lungo i fianchi, Crowley rispose: «Ve l'ho detto. Ho dovuto attaccare l'Arcangelo spione. Andiamo, un minimo sindacale di riconoscimento! Ho quasi perso un braccio!»

Ok, forse stava esagerando, ma il contatto non era stato affatto piacevole e lo aveva lasciato mezzo sanguinante.

    «Te lo sei fatto scappare, ecco cos'hai fatto!» Esclamò l'altro, tenendo a freno un paio di ronzii nervosi. «Avrà sicuramente avvertito gli altri.»

    Quello era poco ma sicuro, pensò il rosso alzando al cielo gli occhi dorati. «Sa, non sono stupido,» rimbeccò con un sorrisetto. «L'ho seguito strisciando fino alle mura dell'Eden. So chi ha contattato.»

Lo disse con un orgoglio smisurato. Era la migliore spia e il miglior infiltrato dell'Inferno: spesso e volentieri si era spinto verso le sacre mura - senza entrarci, ovviamente. Era pazzo, ma non così pazzo da provarci. Non a caso lo chiamavano "il serpente dell'Eden".

«Perciò potete mandare qualcuno dei vostri migliori combattenti e andare a vendicarvi,» concluse.

    «Come se questo potesse cambiare le cose,» sputò Beel, ancora adirato. «Però sì, immagino che spargere un po' di sangue angelico sia il modo migliore di rabbonire il Nostro Signore.»

Ah già. Satana - Signore del Regno del Male, Primo Ribelle - sarebbe stato presto messo al corrente della situazione. Gli umani coinvolti nel misfatto avrebbero perso la lingua, come minimo, e l'Inferno sarebbe stato messo a repentaglio dal suo malumore. Il solo pensiero fece venire a Crowley un ipotetico voltastomaco: vivere in quella fortezza buia, maleodorante e dalle pareti grondanti di chissà cosa era già abbastanza schifoso di suo, grazie.

    «Manderò qualcuno ad occuparsi dell'Arcangelo,» riprese l'altro tamburellando le unghiette sulla superficie di mogano. «In quanto a te: dato che ti piace cogliere gli angeli alle spalle, potresti occuparti del suo contatto.»

    Il rosso sbarrò gli occhi davanti al sorrisetto sardonico di Beel. «Come, scusi?!» Esclamò, «Che c'entro io con gli attacchi? Questo è stato un caso strano. E poi- cioè, quello-» incespicò. Il suo superiore si stava divertendo, ci avrebbe scommesso. «I guardiani di quelle mura ssono perennemente armati! Ssono peggio dei guerrieri,» sibilò. «Quello lì ha una fottuta sspada di fuoco!»

    «E allora?» Disse l'altro, in tutta risposta. «Meglio una lama fiammante che il contatto diretto.»

Quella era pazzia. Gli angeli armati erano dei maledetti lecchini pronti ad uccidersi pur di sconfiggere un demone, anche se ciò significava commettere quello che gli umani chiamavano "omicidio-suicidio". Era anche per quello che Crowley amava il suo ruolo: era quello con minore possibilità di scontro, salvo casi rari come quello di quella mattina. Gli dava la possibilità di strisciare dove voleva, rintanarsi dove voleva e curiosare dove voleva; insomma: era il modo migliore per combinare malefatte e tenere d'occhio le loro controparti divine allo stesso tempo.

Perciò, avere una rissa vera e propria dalla quale doveva uscire vincitore, non era esattamente nelle sue corde. Provò a controbattere ma sapeva bene che il coltello dalla parte del manico ce l'aveva il minuto ma potente Belzebù, in quel momento - anzi, sempre.

    «Non guardarmi in quel modo, serpe,» sghignazzò quest'ultimo. «È molto meglio di tutte le punizioni corporali che mi stanno venendo in mente.»

    Un moto di rabbia e terrore portò Crowley a stringere i pugni. «D'accordo, d'accordo. Ho capito,» rispose, digrignando i denti ora più affilati del solito. «Farò come chiedete. Ora posso andare?»

    «Sì, sparisci,» lo liquidò Beel con un gesto noncurante della mano. «E non tornare fin quando non avrai fatto il tuo lavoro.»

Con un gesto del capo, Crowley girò i tacchi e volò fuori dalla stanza, iniziando a marciare fuori dalla fortezza. Spinse violentemente chiunque gli sbarrasse la strada, maledicendo i corridoi stretti e sovraffollati del quartier generale dei demoni, attirando su di sé diversi insulti e sputi. Era così incurvato che le sue ali nere dai riflessi bluastri si erano messe a spazzare il polverosissimo pavimento.


La parte di Terra immersa nel male era grigiastra e fredda, come sempre. Normalmente, Crowley avrebbe adorato passeggiare in mezzo alla nebbia, ma in quel momento non poté che tenere lo sguardo fisso verso l'orizzonte. Laggiù, oltre il Confine, c'era il Regno di Dio che tante volte aveva visitato. Ormai si era abituato al senso di bruciore e nausea che la santità di quel luogo gli provocava, e avrebbe potuto trovare la strada verso l'Eden in due minuti - con gli occhi bendati, per giunta.

Il motivo della sua venuta, però, non sarebbe stata la semplice curiosità o il semplice dovere, stavolta. Avrebbe voluto staccarsi la lingua lunga e biforcuta a morsi - accidenti a lui.

«Stupido Arcangelo, stupido piano malvagio di conquista della Terra,» brontolò. 

Si prospettava davvero un pomeriggio orrendo.


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Capitolo 2
*** La bestia e il guardiano ***


Il lato di Terra governato da Dio era sormontato dalla fortezza celeste: candida come il marmo e sviluppata su più piani, i più alti dei quali toccavano il Paradiso. In basso - più vicini al giardino - vi erano gli angeli che operavano sul pianeta: lì vivevano e controllavano i loro mortali protetti come ordinate formichine a servizio della loro Regina. 

Dall'altra parte, a distanza di sicurezza, c'era la fortezza oscura: fatta di dura roccia nera, incastonata nelle profondità dell'Inferno e sviluppata - come si può ben immaginare - verso il basso. I demoni vi si incastravano dentro, accavallandosi l'uno all'altro, soffocando tra i corridoi angusti e tra le milioni di miliardi di piccole stanze. 

Tra le due c'erano quelli che gli umani definivano chilometri - anche se si trattava di una distanza assolutamente apparente e in realtà incalcolabile da mente mortale. Di certo erano abbastanza lontane, ma per una creatura  sovrannaturale e dalla fervida immaginazione come Crowley, lo spazio e il tempo seguivano regole completamente diverse. Lui stesso aveva imparato a piegare quei due concetti al suo volere, utilizzandoli a suo piacimento. Non poteva stravolgerli come e quando voleva - per quanto gli sarebbe piaciuto - pena una delle punizioni di Beel. Per quanto riguardava la sua attività di spionaggio, però, adoperava spesso e volentieri tutti i suoi trucchetti migliori e tirava fuori la scusa del lavoro per darsi alla pazza gioia. Inoltre, lo invidiavano tutti - e alcuni lo temevano anche - per quei suoi assi nella manica. 

Più si approssimava alla fortezza bianca, più diventava difficile assecondare la sua natura. L'aura divina del quartier generale nemico poteva essere un gran bel pugno allo stomaco ma - di nuovo, lui era l'esperto di infiltraggio. In casi normali, teletrasportarsi il più possibile vicino ai confini del Paradiso e poi proseguire volando, sarebbe stata una sfida divertente da affrontare; ma quel giorno la sua voglia di arrivare fin lì era pari allo zero. Avrebbe preferito essere ovunque, davvero. A spingerlo c'era la sola ed unica voglia di rabbonire il suo Signore e far zittire quel gran rompi palle di Beel: prima finiva, prima poteva tornare ai suoi affari - e a mettere il naso in quelli degli altri.


Strisciare sul muro di cinta dell'Eden era la parte più rischiosa; principalmente perché anche un cretino avrebbe notato una serpe nera e rossastra farsi strada su quella candida superficie di mattoni tutti uguali. Crowley però era stato lì abbastanza volte da sapere una cosa: dei quattro guardiani che sorvegliavano le mura, quello che si occupava del lato orientale era il più facile da evitare. Il biondino era dannatamente lento nel fare la ronda, e il demone sperò lo fosse anche in duello - perché sì: era proprio lui il suo obiettivo. Lui e la sua stramaledetta lama fiammante.

Mentre strisciava in verticale, pensò al da farsi. Già lo scontro con l'Arcangelo di quella mattina lo aveva costretto a leccarsi più di una ferita prima di mettersi in marcia - e per "leccarsi" si intende sia letteralmente che non. Adesso gli toccava ripetere l'esperienza, ma volendo ascoltare l'ottimismo - che non faceva mai male - era improbabile che entrare in contatto con un guardiano facesse più male che entrare in contatto con un Arcangelo. Una magra consolazione, ma non si butta via niente.

Arrivato sul bordo, decise per il caro vecchio attacco alle spalle. Le ali sono un punto delicato: un balzo, un morso vicino alle scapole e addio preoccupazione. Se si concentrava, poteva diventare velenoso, ne era certo. O magari no... Beh, ormai non aveva più tempo di pensarci.

Girò la testolina da rettile a destra e a manca, cercando di fiutare il suo obbiettivo. La sua lingua biforcuta era formidabile ed assolutamente affidabile, perciò si stupì - dopo un'attenta analisi dei dintorni - nello scoprire che biondino non c'era. Che fosse ancora all'interno della fortezza? Possibile. In quel caso gli sarebbe toccato attendere, il che era un problema: esposto così, all'aria aperta, una macchiolina rossastra in mezzo al candore, sarebbe stato scoperto in meno di subito.

Tornare giù era fuori discussione: le nubi erano un ottimo nascondiglio ma avrebbe preferito essere dannato di nuovo piuttosto che rifare la salita da capo. Ciò lo lasciava con una sola opzione.

Lentamente, Crowley guardò verso il lato di muro oltre il quale non era mai sceso: quello che portava all'interno del giardino. Sapeva che prima o poi ci sarebbe finito nonostante avesse sempre cercato di evitarlo come la peste. Era sempre così con lui: voleva evitare di incontrare un certo demone? Quello prima o poi gli compariva davanti. Voleva evitare a tutti i costi di essere richiamato da Beel? E puntualmente si ritrovava in quel disastro di ufficio. Voleva evitare la lotta il più possibile? Si ritrovava a menare un Arcangelo perché - se si fosse venuto a sapere che aveva beccato una spia e non aveva tentato di fermarla, per lui sarebbe stata la fine. E adesso l'Eden davanti a lui, che lo invitava ad entrare.

«Beh, o la va o la spacca,» si disse, iniziando a scivolare indeciso verso l'erba alta.


A parte il canto sporadico di qualche uccellino, nell'area verde più bella e florida dell'universo non volava una mosca. Per un qualsiasi demone quel silenzio di tomba era assolutamente innaturale, abituati com'erano a vivere nella confusione. Inoltre - se fosse per via dell'atmosfera sacra o per via della paura, non avrebbe saputo dirlo - Crowley sentiva l'ansia corrergli lungo tutto il corpo sinuoso. Stare a terra in un luogo sconosciuto e avverso lo faceva sentire terribilmente vulnerabile.

L'Eden era sempre stato un tabù per lui. Era Caduto prima che Dio potesse finirlo e aveva sentito dire che i primi umani erano nati lì. Cosa fosse accaduto poi, non gli era ben chiaro: sapeva che c'entravano le mele, a quanto pareva.

A proposito di meli, ne adocchiò uno bello folto e carico di frutti rossi e lucidi. Decise di scalarlo, attorcigliandosi al tronco e adagiando le sue spire su un ramo ben celato dal verde. 

Fu lì che la sentì: l'aura angelica che stava cercando. 

Ascoltando il suo istinto, il demone seguì la pista fino a far cadere lo sguardo aureo verso le radici dell'albero. Bene, bene, bene: qualcuno stava facendo una pausa di troppo, eh? Biondino se ne stava seduto lì sotto, ginocchia raccolte e sguardo sconsolato; ma soprattutto: la spada giaceva al suo fianco, sola, lontana dalla sua presa.

Sarebbe stato più facile del previsto.

Anzi: sarebbe stato anche fin troppo facile.


Per un attimo Crowley esitò. Eppure gli era stato così semplice giocare sporco con l'Arcangelo quella mattina... Ma adesso stava per creare un marasma infernale con un comune guardiano, dentro al giardino da Lei creato. Per quanto fosse un assiduo ammiratore del caos, quello era troppo persino per lui. Ma che scelta aveva? Il suo Signore si sarebbe sicuramente arrabbiato il quadruplo se avesse scoperto che aveva battuto in ritirata. Per non parlare di Beel: lui era quasi peggio quando si innervosiva.

Si spostò abbastanza da mettersi sopra le spalle della sua vittima e decise che a quel punto non si tornava più indietro. Raccolse quel poco di coraggio che gli restava, e si buttò.


Non appena la sua essenza e quella dell'altro si scontrarono, il dolore esplose. In meno di un attimo, Crowley si ritrovò avvinghiato in una bruciante stretta contornata di strattoni. Si sentì come in balia di un mare di fiamme che cercavano di afferrarlo, scivolando nel tentativo di stritolare le sue squame. Sentiva tutto il suo essere gridare in una cacofonia di urla metafisiche che andavano a scontrarsi con quelle ancor più perforanti dell'angelo, il quale stava disperatamente cercando di staccarselo di dosso. Fu come essere catapultati sulla superficie del sole e - dopo neanche un minuto e mezzo di lotta estenuante e giravolte che avevano mescolato erba e terra, terra e cielo, cielo e terra di nuovo - il demone tornò nella sua forma solita e, con un balzo, si allontanò.

Non era stato così traumatico quella mattina. Si era fatto male, certo: la pelle gli si era strappata spontaneamente in più punti e aveva riportato qualche contusione qua e là. Ma adesso aveva alzato un braccio per riscoprirlo ustionato e fumante. Altro che "facile", biondino era una specie di palla di fuoco ammazza demoni a sangue freddo - il che suonava decisamente come un controsenso.


Udì alcuni passi stentati, un tonfo sordo nell'erba e il suono delle fiamme smosse dal vento. 

Ecco fatto: era morto. Sarebbe finito infilzato da una delle peggiori armi mai forgiate, sopraffatto dall'inaspettata forza di quell'apparentemente docile angelo.

Si buttò le braccia doloranti sopra la testa, raggomitolandosi su sé stesso come lo stupido codardo che era. Già assaporava il metallo bruciante che affondava nella sua scura essenza, rompendola come un vaso di porcellana. Strinse gli occhi, sapendo che ormai era fatta: biondino aveva sicuramente già alzato le braccia per, per-


Ma nulla accade.


Il silenzio divenne un rimbombo fastidioso nelle sue orecchie e Crowley decise di riaprire gli occhi, poggiandosi faticosamente sui gomiti doloranti. Davanti a lui, il guardiano se ne stava fermo, tremante, la lama davanti a sé e gli occhietti azzurri sbarrati in una smorfia di terrore e indecisione. La sua pelle candida era graffiata e rotta a tratti; dai palmi delle sue mani usciva copiosa qualche grassa scia dorata - toccare le squame aveva decisamente lasciato il segno.

Che diamine stava facendo? Aveva l'occasione lì, su un piatto d'argento, e non la stava sfruttando. Semplicemente gli aveva puntato quelle piccole pozze celesti addosso, restando immobile.


    La calma venne rotta da una voce in lontananza. «Aziraphale? Dove sei?» Tuonò, decisamente infastidita.

Il biondo sussultò, girando velocemente la testa per poi tornare a guardare il demone, il quale non avrebbe saputo come reagire a tutta quella situazione.

    L'angelo guardò prima il rosso, poi la sua arma, poi di nuovo verso la direzione dal quale proveniva il richiamo. Poi fissò Crowley e sussurrò: «Vattene.»


Eh? Aspetta, che?

    Sbarrando gli occhi dorati, quest'ultimo prese a balbettare: «A-aspetta, tu, cosa? Cioè, non-»

    Biondino smosse un po' la spada in quello che doveva essere un gesto minaccioso: «Ho detto di andartene. A meno che tu non voglia affrontare un Arcangelo di cattivo umore.»

Oh, no. Ne aveva avuto abbastanza.

A fatica, Crowley si alzò da terra e diede un'ultima occhiata all'altro, il quale andava preoccupandosi ogni secondo di più.

    «Forza, vola via!» Gli intimò questi con un gesto del braccio.

E il rosso non se lo fece ripetere due volte. Con uno slancio stentato prese il volo, sfrecciando oltre il muro e in mezzo alle nuvole. Si voltò indietro più volte, sbandando a mezz'aria, ancora incapace di assimilare ciò che era appena successo.

«Quello è pazzo,» si disse mentre, con uno schiocco di dita, tornava al suo lato di Terra. «È completamente scemo, altro che.»


Si abbassò di quota, scandagliando le cittadine che scorrevano al di sotto. Stava ancora tremando e ogni fibra di sé stesso doleva malamente; come se non bastasse: ora non poteva tornare alla sua fortezza. Ottimo: era come se l'avessero cacciato anche dall'Inferno, adesso. Beel lo avrebbe ridotto ad un mucchietto di cenere se Satana non arrivava prima.

Fortunatamente, Crowley era un demone dalle mille risorse. Aveva ancora una speranza: un porto sicuro. C'era ancora qualcuno a cui poteva affidarsi senza il rischio di farsi ammazzare.

L'unica umana abbastanza fuori di testa da poterlo, anzi da doverlo ospitare.


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Capitolo 3
*** Alambicchi e angelologia ***


    «Che cos'è successo?» Chiese Gabriel duramente, afferrando Aziraphale per un braccio e tirandolo verso i piani alti della fortezza. Aveva scandito le parole una ad una, facendole rimbombare per le scale vuote - ad eccezione di qualche passante che si fermò a fissarli, sconcertato.

    L'angelo soffiò appena sui suoi palmi bruciati e sanguinolenti prima di rispondere. «Ho visto entrare qualcuno e ho- ho fatto quel che dovevo,» disse in un tono che sembrava troppo una lamentela e una scusa. Non era del tutto vero - anzi, non lo era per niente; e ciò bastò a farlo sentire moralmente male. 


I due si fiondarono oltre un'alta doppia porta, piombando alle spalle di un Arcangelo dalle ali dorate e dai boccoluti capelli color del rame.

    Questi sospirò: «Per amor di Lei, Gabriel. Ti ho già detto che-» si bloccò, voltandosi e fissando i nuovi arrivati con sorpresa. «Oh, ma salve.»

    Con un unico e forte gesto, Gabriel tirò Aziraphale davanti a sé. «Dagli una sistemata, Raphael,» ordinò all'altro. «Intanto che mi spiega perché non era al suo posto e perché si è lasciato sfuggire il nemico.»

    Alzando al cielo gli occhi dalle sfumature cremisi, Raphael - guaritore e addetto alla preservazione dell'amore tra gli esseri umani - si avvicinò al ferito, prendendogli delicatamente i polsi: «Lascialo stare, Gabriel,» intimò al suo collega. «Di certo non è rimasto con le mani in mano. Guardalo: sembra che gli abbiano tirato addosso delle pietre bollenti.»

Aziraphale si strinse nelle spalle, mordicchiandosi nervosamente l'interno della guancia. Come avrebbe dovuto spiegare ciò che era accaduto? Di certo a nessuno dei suoi superiori lì presenti sarebbe piaciuto sapere che si era allontanato dal muro, preso dall'ansia crescente e dal pensiero fisso di un probabile scontro con l'Inferno. Né sarebbero stati felici nello scoprire che aveva praticamente "battuto la fiacca", mangiato dai pensieri e dalla preoccupazione.

Sentì Raphael poggiargli una mano sulla spalla, guidandolo verso una delle tante brande presenti nella stanza. Attorno a loro andavano e venivano gli aiutanti del guaritore, spesso indaffarati con guerrieri e sfortunati - sfortunati come il guardiano.


La porta si spalancò di nuovo e fece la sua comparsa un ansiosissimo Micheal. I suoi capelli erano passati dal biondo al castano dorato, segno inconfutabile del suo umore non esattamente positivo. Con lui, la triade degli Arcangeli era al completo.

    «Quante altre cattive notizie devono arrivarmi oggi?» Chiese il guerriero, attraversando la stanza a larghi passi.

    Gabriel incrociò le braccia: «Dipende. Se Aziraphale volesse gentilmente dirci cosa sia successo, magari...» disse, tirando fuori un sorriso ansioso che parve voler perforare l'aura dell'angelo da parte a parte.

    «Lo farà di certo con tutta l'ansia che gli state buttando addosso,» puntualizzò sarcasticamente Raphael, già ben concentrato sul far sparire le ferite del suo paziente. Tra i tre, era sempre stato quello con un minimo sindacale di empatia. Era per quello che ad Aziraphale piaceva.

    «Con tutto il rispetto,» riprese Michael passandosi due dita su gli occhi. «Le spie dell'Inferno non hanno mai oltrepassato il muro fino ad oggi. Abbiamo un grosso problema tra le mani.»

    «Senza contare ciò che ho scoperto stamattina,» completò Gabriel. «Ogni singola informazione può essere vitale.»

La pressione fece venire ad Aziraphale una gran voglia di sotterrarsi da qualche parte e sparire. Si sentiva una delusione totale, come sempre. Un guardiano che non sta al suo posto, che non riesce a colpire il nemico nonostante stia avendo la meglio su di lui, un angelo che si fa prendere dai suoi tumulti interiori - insomma: una catastrofe.

    Raphael, che ormai stava lavorando alla cieca, fissando i suoi due colleghi e affidandosi a movimenti istintivi; disse: «Ho come l'impressione che chiunque si sia intrufolato qui, avrà decisamente poca voglia di tornare. Non è vero?» Chiese spostando l'attenzione sul guardiano.

    Questi annuì, cercando un po' di coraggio in quello sguardo gentile - l'unico dalla sua parte. «Se n'è andato non appena ha sentito l'arrivo di Gabriel. Forse ha avuto paura.»

E stavolta la bugia era solo mezza, perché Aziraphale era assolutamente convinto di aver visto tantissima paura nei gesti e negli occhi del demone. Se fosse tornato o meno, quello non poteva saperlo. E se avesse mandato rinforzi? Sarebbe stato un suicidio ma nulla era impossibile.

    «Beh, lo spero tanto per lui,» disse il messaggero. «Com'era fatto? Vorrei almeno capire se abbiamo a che fare con un fifone o un furbastro da quattro soldi.»

Accanto a lui, Michael si era messo a tamburellare nervosamente le dita sulla placca lucente a protezione del suo braccio. 

    Aziraphale fece per dire qualcosa ma, di nuovo, fu Raphael a parlare per lui: «E perché vuoi saperlo? Hai intenzione di sguinzagliare un'intera armata contro un solo demone?» Chiese, alzando un sopracciglio.

   Fu il guerriero a rispondere: «Ovvio che no! Al massimo manderò uno dei miei a dargli la caccia.»

    Con un altro sguardo al cielo, il guaritore disse: «Beh, se proprio lo vuoi sapere: è lo stesso che ha colpito Gabriel. Si vede dal tipo di ferite.»

I due Arcangeli e Aziraphale lo fissarono stralunati.

    Gli occhi del messaggero passarono dal viola al rosato. «Pf, quella bestiaccia strisciante. Dev'essere una spia alla quale piace attaccare alle spalle,» ringhiò incrociando le braccia. 

C'era qualcosa nella sua espressione che Aziraphale non riuscì a definire. Gabriel era stoico e sicuro di natura: persino quando gli era piombato davanti mezzo ferito e agitato aveva avuto la forza di comandargli cosa fare, per poi arrancare da solo fino a Raphael perché lo curasse. Adesso invece pareva quasi voler evitare in tutti i modi un contatto con i presenti.

    Sbattendo un piede per terra, Michael diede un taglio alla conversazione. «Sapete cosa? Raphael ha ragione: abbiamo problemi più grandi da affrontare di una semplice spia dalle manie suicide. E se voi due-» prese a dire, indicando Gabriel e Aziraphale con un indice, «-siete così rammolliti da farvi ferire da un poveraccio del genere, dovete solo fare in modo di non trascinare l'intero Paradiso nella fossa della vostra incompetenza!» Tuonò, girandosi e volando via dalla stanza.

    Balbettando e stringendo i pugni all'offesa, Gabriel fece per seguirlo. Si girò solo per guardare Aziraphale e dirgli: «Torna al tuo posto non appena hai finito. E vedi di restare sul tuo muro da bravo angioletto, vuoi?» Terminò la frase con un sorriso sornione misto ansioso e uscì.


Nella ritrovata pace, Aziraphale sentì le sue spalle rilassarsi da sole. Nella confusione non si era nemmeno accorto che i suoi palmi e le sue braccia erano tornati alla normalità.

    «Che pazienza, eh?» Gli chiese Raphael sistemandogli l'ultimo taglio. «Gabriel sa essere un bambinone quando vuole, e non dare troppo peso alle parole di Michael; è un generale calmo e riflessivo quando non ci sono potenziali disastri di mezzo.»

    «Ne sono sicuro,» disse l'altro con un sorriso. «Grazie per l'aiuto, comunque.»

    «Faccio il mio dovere,» disse il guaritore, rimettendosi in piedi. «E dovresti farlo anche tu. Se può consolarti: io penso che tu abbia fatto un buon lavoro con quel demone.»

Alzandosi dalla branda, Aziraphale sentì i sensi di colpa attanagliarlo. No che non aveva fatto un buon lavoro: non aveva fatto niente di quel che avrebbe dovuto fare... Come sempre.

    «Grazie,» sussurrò, poco convinto.

    L'Arcangelo fece un cenno col capo. «Ora vai, su. Prima che Gabriel trovi un'altra scusa per arrabbiarsi con te.»


E l'angelo eseguì. Uscì a passo svelto, le mani attorcigliate l'una a l'altra e i pensieri fissi sull'assurdo incontro che aveva avuto. Lo sguardo stranito e inquietato di quel demone non sarebbe mai più uscito dalla sua testa.

Sperò di non aver fatto un'idiozia. O perlomeno, sperò di non averla fatta troppo grossa.


~•°•~


Anathema chiuse la porta di casa, salì fino in camera e buttò distrattamente la borsa sul letto con un sospiro. Accese il caminetto, facendo sprofondare la stanzetta in una luce calda e accogliente. Le fiamme fecero ballare i riflessi degli alambicchi sulla scrivania e illuminarono le pagine aperte di uno dei tanti tomi sparsi nella stanza. Ce n'erano almeno un centinaio tra quelli impilati sul pavimento e quelli negli scaffali; tutti alquanto datati e dalle scrostate copertine scure. Trattati di demonologia, lezioni di botanica, un po' di chimica qua e là, profezie smangiucchiate dai topi e dal tempo - tutte cose che una giovane al servizio del Male leggeva con lo stesso interesse di un romanzo amoroso.

Con una veloce girata di tacchi, Anathema si tolse la mantella e la appese; si legò i lunghi capelli scuri e fece per tornare alle sue piccole ricerche di stregoneria. In fondo, era di quello che viveva: pozioncine, piccoli rituali su richiesta; cose del genere. Era una delle migliori e ultima goccia di una lunga discendenza di esperti (ma soprattutto esperte) nel campo; in poche parole: sapeva il fatto suo.

Tirò lo sgabello a sé, già dando un'occhiata veloce al foglio che aveva intriso di note il giorno prima; ma non fece in tempo ad arrivare a metà che subito sentì una sensazione familiare stuzzicare il suo acutissimo sesto senso. Alzò nuovamente la testa, scandagliando la stanza con attenzione e muovendosi per mettervisi giusto al centro, braccia sui fianchi e palpebre socchiuse.

Non era sola. Avrebbe riconosciuto quell'aurea scura, strisciante e caotica d'ovunque; solo che aveva un qualcosa in più, stavolta: qualcosa di strano.

«Crowley?» Chiamò. «Ma dove ti sei cacciato?»

Andò a sbirciare tra i libri sullo scaffale, ma niente. Si abbassò per controllare sotto al letto, ma niente neanche lì. Aprì i cassetti della scrivania, ma vi trovò solo fogli e calami da iniziare.

«Ehilà? Si può sapere cos'è successo?» Riprese a chiamare, andando a controllare sulla mensola del camino. «Problemi con i superiori? Umani che ti hanno beccato durante uno dei tuoi soliti scherzi?»

Si concentrò un po' di più, prima di girarsi verso la cesta di vimini dove aveva piegato le coperte pulite.

«Oh, allora la situazione è grave,» disse, abbassandosi e togliendo due lenzuoli dalla pila. Sotto di essi si era attorcigliato un serpentello nero e rosso dall'aurea aria mesta con- «Sai di avere le squame bruciate?»

    Alzando a fatica la testolina, Crowley fece saettare la lingua biforcuta. «Ma davvero?» Chiese sarcastico. «E chi lo avrebbe mai detto?» Disse. Dopodiché si accasciò di nuovo, distrutto e dolorante.

    Con un sospiro, Anathema raccolse qualche scaglia nerastra che si era staccata dalla forma serpentina del demone. «Stai letteralmente cadendo a pezzi,» disse, alzandosi e andando a prendere una boccetta di vetro su uno scaffale polveroso. «Che hai combinato stavolta?»

    Dopo qualche rantolo, l'altro rispose: «Ho avuto due risse in un giorno solo. Con degli angeli.»

Ciò giustificava la strana interferenza nell'aurea del demone.

    «Oh beh, sarai fiero di te stesso,» commentò la giovane poggiando l'unguento sulla scrivania. Chiuse il libro e vi mise i fogli in mezzo per fare spazio. «Anche se ti credevo oltre certe cose.»

    «Sono stato costretto,» lamentò Crowley, nascondendo la testa sotto una spira. «È una lunga storia.»

    Anathema tornò verso la cesta e fece passare le mani sotto a quello sbruciacchiato corpo serpentino, sollevandolo. «Beh, ora puoi lamentarti per tutto il tempo che vuoi,» disse poggiando delicatamente il demone laddove aveva spostato gli oggetti dei suoi studi. «Mentre la tua salvatrice qui si prende cura di te». Pronunciò le ultime parole mettendosi una mano sul cuore e sbattendo gli occhi in modo sarcastico, non senza un sorrisetto sulle labbra. 

    «Vorrei ben vedere,» ringhiò l'altro, che in quel momento era decisamente poco incline al buon umore. «Dato che sei costretta.»

    «Su, su, demone di mala fede. Sai che sotto sotto mi stai simpatico,» rimbeccò la giovane iniziando a spalmare l'unguento sulle parti di spire più danneggiate. «Piuttosto: racconta. Ormai mi hai incuriosita.»


Ci volle un po' perché Crowley iniziasse a raccontare. Sembrava uno straccetto rossastro, ma non era quella la cosa strana; Anathema lo aveva visto spesso ridotto in quello stato, soprattutto a seguito di qualche caotico disastro di troppo. No, la cosa veramente strana era il comportamento: lamentoso come sempre, ma anche arrabbiato e stizzito - preoccupato persino. Qualcosa era andato decisamente storto.

    «È iniziato tutto stamattina,» cominciò il demone. «Mi stavo facendo gli affari miei, quando ho visto uno di quei ficcanaso in armatura seguire alcuni dei tuoi colleghi.»

    «Una spia?»

    «Peggio, il Messaggero.»

    Anathema smise improvvisamente di curarlo e sbarrò gli occhi. «Un Arcangelo? Crowley, si può sapere in che guai ti vai a cacciare? Non mi stupisce che tu sia ridotto così.»

    «Magari fosse stato lui!» Esclamò l'altro balzando sulla scrivania come una molla. «Sarebbe stato meno umiliante.»

    La giovane sospirò: «Se non è stato Gabriel, allora chi? Solo i Tre sarebbero capaci di causarti dei segni simili.»

    In un moto di vergogna, Crowley abbassò il capo e il tono di voce: «Diciamo che ssono stato costretto ad entrare nell'Eden.»

Il silenzio piombò sui due come un macigno per tre interminabili secondi. 

    «"Entrare"?» Ripeté Anathema, incredula. «Come sarebbe a dire?»

    «Cosa vuoi che significhi? Sono andato oltre il muro,» spiegò il demone, seccato. «Beel mi ha detto che dovevo mettere ko il contatto di Gabriel se volevo che Satana non mi strangolasse.»

    A quel punto, la giovane non sapeva più che pensare. Ascoltò Crowley rapita, la boccetta aperta ancora in mano. A quanto pareva, quella serpe fuori di testa aveva azzardato un attacco a sorpresa ad un guardiano. «Quale dei quattro?» Chiese, mettendo via l'unguento. Aveva già fatto dietrofront, iniziando ad armeggiare con il tappeto davanti al focolare.

    «Quello a est,» rispose l'altro. «Passo sempre da quel lato. Pensavo sarebbe stato semplice, accidenti a quello lì.»


Anathema scoprì una botola incastonata nel pavimento e la aprì. Sotto di essa c'erano altri libri, decisamente diversi da quelli che aveva ben in vista: questi erano tutti ben curati, dalle copertine bianche e dalle pagine con filamenti dorati sul bordo. 


La giovane era sempre stata un tipo particolare, e Crowley se n'era accorto girovagando attorno al suo negozietto. C'erano giorni in cui si rintanava in casa o in cui girava con la borsa appesantita sotto al mantello, guardandosi attorno con aria furtiva. Non che fosse strano che un umano nascondesse qualcosa nel Regno del Male, ma Anathema aveva quel non so che nel quale il demone amava indagare.

E così l'aveva beccata. Era bastato seguirla strisciando per i nebbiosi viottoli, infilandosi sotto le assi del suo pavimento e coglierla in flagrante con diversi volumi di angelologia tra le mani. A quanto pareva, quella fattucchiera dai capelli scuri aveva sviluppato una certa curiosità verso il Regno opposto. Da dove avesse preso quei libri, al demone interessava fino ad un certo punto: c'erano diversi modi per impossessarsi di cose simili; sgraffignandole a qualche venditore nell'ombra ad esempio. Se fosse stata scoperta, sarebbe stata accusata di tradimento e sarebbe stata spedita all'Inferno prima del tempo.

Era stata fortunata a trovare Crowley. Lui giocava decisamente più d'astuzia e - di nuovo - non era nello stesso stile di Beel o di qualsiasi altro suo simile. No, lui aveva messo su un patto: avrebbe taciuto sugli "studi extra" di Anathema e lei sarebbe diventata una sua diretta sottoposta. Avere dalla propria parte un'umana con abbastanza conoscenze da poterti dare una mano quando sei nei casini - e per "casini" si intende casi come quello in cui il demone si trovava - era un'idea decisamente allettante. E ovviamente, lei aveva accettato.

Inutile dire che la relazione tra Crowley e Anathema non somigliasse per nulla al classico tra padrone e servitore. Assomigliavano più a dei partner che altro - se non si conta il fatto che la ragazza fosse sempre moralmente (e fisicamente) costretta a fare ciò che Crowley le chiedeva. Scendere a patti con i demoni aveva vantaggi e svantaggi: protezione al prezzo di un pezzo del proprio libero arbitrio.


    Anche quella volta la giovane aveva tirato fuori uno dei suoi libri proibiti, iniziando a sfogliarlo con cautela: «Muro orientale, muro orientale...» si mise a mugugnare, occhi sulle pagine.

La serpe - ora un po' meno dolorante, si mise a fissarla incuriosito.

    Dopo qualche secondo, la giovane esclamò: «Trovato! Fammi dare un'occhiata». Scandagliò le parole sotto i dorati occhi dell'altro, ormai avidi di spiegazioni. «Ora capisco come mai assomigli ad una salsiccia bruciacchata. Il tipetto che hai provato a picchiare è interamente composto da luce divina. Vedila come una specie di marchio riconoscitivo: è nato per controllare il punto cardinale verso il quale nasce il sole. In un certo senso, è come se assomigliasse ad una stella.»

    Crowley si catapultò davanti alle pagine, facendosi anche un po' male nel tentativo. Le sue pupille erano ridotte a due linee sottili, e Anathema poteva vedere la sua aurea svolazzare impazzita. «Sstai dicendo che un tipo del genere mi ha volutamente lasciato andare?»

    Dietro di lui, la sua sottoposta aveva sbarrato gli occhi, emettendo un verso di puro sconcerto. «Lui ha fatto cosa?»

    «Lo so! È stato assurdo. È solo per colp- merit- insomma: mi ha detto di scappare ed io l'ho fatto.»


Anathema si era bloccata. Se non fosse stato per il ritmico alzarsi ed abbassarsi del suo respiro, Crowley l'avrebbe scambiata per una statua di cera.

    «Non- non ti ha-» balbettò.

    Il demone scosse la testa.

    «E tu non lo hai...»

    «Assolutamente no! Stava arrivando un Arcangelo e io, come hai detto tu, assomigliavo ad una salsiccia bruciacchiata. So solo che non riuscirò a togliermi la sua espressione dalla testa.»

Anathema dovette recuperare lo sgabello. Tutto ciò non aveva senso. Quale angelo sano di mente si farebbe scappare un'occasione del genere? Crowley era un ossicino duro e aveva- aveva appena detto una cosa strana?

    «Perché, che espressione aveva?» Chiese in un sussurro.

    «Te l'ho detto,» sibilò l'altro acciambellandosi di nuovo. «Non ha voluto uccidermi: è completamente pazzo.»


Non si dissero più nulla e gli ultimi sprazzi del buio giorno si trasformarono in un ancor più buia sera. Anathema rimise il libro bianco a posto, ricoprendo la botola col tappeto. Poi si girò verso il suo ospite, il quale si era messo a sonnecchiare sulla superficie lignea della scrivania, sopraffatto dagli eventi della giornata. Ne approfittò per recuperare un foglio dal suo blocco note e si spostò sul letto, calamaio alla mano. Ci mise un po' a decidere come iniziare quella lettera, presa com'era a rimuginare sulle parole di Crowley.

Di una sola cosa era certa.

Guardò il demone, giocherellando con la penna. Entrambi avrebbero voluto saperne di più su quell'angelo: lui per curiosità, lei... beh, lei aveva le sue ragioni.


Si mise a scrivere freneticamente, soffiando sull'inchiostro e ripiegando il foglio con cura. Aveva un incontro da organizzare.


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Capitolo 4
*** Strisciando fino a te ***


Non era la prima volta che Belzebù scendeva l'interminabile scalinata che portava alla cosiddetta "sala del trono" - che altro non era che il piano personale del suo Signore. Il suo ruolo gli permetteva di avere le migliori chiacchierate con il Capo, per quanto brevi e non esattamente piacevoli fossero. Era al contempo un vanto e una condanna - o meglio: una condanna nella condanna. Parlare con Satana equivaleva a parlare con un re volubile, capace di passare dalla calma - nella quale ribollivano piani tremendi e metodici - all'ira bruciante. Il solo essere attorno a lui causava ai demoni un senso di oppressione, come se tutti i cerchi dell'Inferno piombassero sulle loro spalle, cercando di schiacciarli come, beh - come mosche.

Ultimamente poi c'era stata la questione dell'arma. Così il Signore del Male l'aveva definita, anche se "definire" è un parolone: aveva detto semplicemente che era abbastanza potente da ribaltare la Terra. Nessuno a parte lui sapeva cosa fosse né come funzionasse: Belzebù aveva avuto solo il compito di portare il messaggio in modo che le truppe si preparassero, e i suddetti preparativi si erano svolti in modo relativamente tranquillo per circa una settimana, per poi crollare alla notizia del Messaggero come un castello di carte in balía del vento. In meno di una mattinata avevano potuto dire addio ad un eventuale attacco a sorpresa. Ora il Paradiso li avrebbe tartassati fino all'inverosimile, e l'idea aveva portato ad un'ondata di preoccupazione ed eccitazione generale che aveva scosso l'Inferno come un terremoto.

C'era qualcosa di strano nell'aria sulfurea del Regno del Male: era la calma prima della tempesta; e Beel non sapeva se pregustarla o lasciare che marcisse abbastanza da renderlo pronto ad uno scontro diretto.

In quel momento sapeva solo di essere arrivato a destinazione: la lunga serie di scalini nerastri circondati di mattoni era finita, lasciando spazio ad un'anticamera buia.

Aprì senza fatica la grossa doppia porta di mogano. Davanti a lui si stagliò una grossa figura alata dall'altrettanto imponente ombra che, a poco a poco, andò rimpicciolendosi alla sua vista.

    «Sei in ritardo» tuonò una voce dapprima profonda e cavernosa, poi sempre più umana.

Il passaggio di tonalità causò a Belzebù un primo brivido che gli scosse l'essenza come una scrollata, per poi passare ad essere il solito senso di pressione che gli stritolava le ipotetiche interiora. Mancava l'aria là sotto, e l'effetto era percepibile anche in assenza di polmoni - o in assenza del bisogno di ossigeno. La sala era alta, circondata da rocce taglienti e rivoli di lava che spaccavano le grosse mattonelle nerastre, infilandosi tra le fughe come serpentelli fatti di fuoco infernale. Se si prestava attenzione, tutt'attorno si potevano sentire grida e strepiti provenienti da piani invisibili della realtà.

    Con un inutile schiarimento di voce, il minuto signore delle mosche rispose: «Chiedo perdono, Mio Signore. Il fatto è che abbiamo avuto delle complicazioni.»

Il suo Signore si voltò verso di lui. Aveva assunto l'aspetto di un bell'uomo distinto dai lucidi capelli corvini come le grosse ali che gli spuntavano dalle scapole. Prendeva una forma diversa ogni volta, più per diletto che altro - anche perché non si sarebbe fatto problemi ad ergersi sui Suoi sottoposti in tutta la sua grottesca magnificenza. 

    «Come se non lo sapessi» disse, la voce piatta ma ugualmente profonda. «Quando mai siamo riusciti ad elaborare un attacco senza problemi?»

Era una domanda retorica alla quale Belzebù non poté che rispondere con un abbassarsi dello sguardo. Cos'avrebbe dovuto dire? La colpa sarebbe ricaduta su di lui e a quel punto avrebbe potuto solo pregare - chi non si sa - che la punizione fosse rapida.

    Alla fine, con una voce più tremante di quel che avrebbe voluto, disse: «Stiamo già provvedendo ad eliminare gli umani e gli angeli che hanno-»

Una risata forte, tuonante e rauca lo bloccò. Il suono rimbombò per la sala, rimbalzando sulle pareti, spianando le urla lontane e avvolgendo l'Inferno in un'unica, solida, ala di terrore.

    Iniziando a passeggiare con un sorrisetto sul volto liscio e scarno, Satana disse: «Credi non mi aspettassi una cosa del genere? Non affiderei agli umani neanche il più semplice dei compiti» disse, osservando il suo sottoposto con i profondi occhi scuri. «Gli do un contentino per tenerli buoni. Amo quando si sentono importanti: è più bello vederli delusi quando gli confessi che sono solo delle minuscole pedine sulla scacchiera. Pedine che io decido come usare e quando sacrificare.»

    Belzebù era rimasto tinco, gli occhi sbarrati e la bocca serrata. Si costrinse con la forza a riprendere parola, prima che il suo Signore lo costringesse a farlo. «Mi perdoni» balbettò. «Non è preoccupato per il suo piano? Insomma, l'arma e tutto il resto?»

    Il sovrano lo guardò con un'espressione indecifrabile: un misto tra il noncurante, il pacato e lo scherno. «Ciò che ho creato non si fermerà certo d'innanzi ad un gruppetto di mortali, un demone incapace e due angeli,» disse con sicurezza. «Inoltre, il mio piano sta già riuscendo. A volte, la migliore delle tattiche è la pazienza; cosa che tu e i tuoi sottoposti sembrate non avere.»

Su quello, nulla da ridire. È difficile che i demoni abbiano virtù, dato che sono ciò che sono proprio perché le avevano rinnegate tutte. Perciò, Belzebù si ritrovò per l'ennesima volta nella situazione di dover replicare ma non sapere come farlo. Se Gli avesse dato ragione sarebbe passato per lecchino, ma non poteva di certo darGli torto.

    E poi c'era un'altra cosa, quella che decise di utilizzare come leva per tirarsi fuori dall'imbarazzo: «Sta- sta già riuscendo, mio Signore?» Chiese, ripetendo le parole del Capo.

    Satana indugiò appena in un silenzio che chiaramente servì solo ad innalzare il livello di nervosismo già presente tra loro. Quando parlò, si lasciò sfuggire un leggero tono di... gioia, quella era gioia - mista ad un prematuro trionfo. «Credi che non l'abbia già sguinzagliata?» Disse. «Credi che il seme della mia vittoria non sia già lì fuori, pronto ad iniziare il suo operato? Pensi non stia già saggiando il terreno sotto le più mentite delle spoglie?»

Se c'era una cosa che accomunava Lui e Dio, era il modus operandi. Entrambi tenevano per loro le idee migliori, quelle più grandi, dicendo ai loro subordinati solo ciò che bastava a far sì che le fila venissero tirate e i loro progetti andassero a buon fine. Perciò, scoprire che Satana aveva già messo in atto il suo piano, non fece spaventare Belzebù così tanto - o meglio: sentì l'ansia iniziare a mangiarli l'essenza, il che non era mai un buon segno.

    «La notizia renderà tutti molto gioiosi, mio Signore» disse, riferendosi ad una felicità macabra e vogliosa di guerra. «Sempre che vogliate che la cosa si sappia.»

    «Non aspetto altro, mio ronzante servitore» disse l'altro accarezzandosi la curata barba scura. «E smetti di perdere tempo con il tuo strisciante schiavetto, non ne vale la pena» concluse con quello che sembrava uno sputo. Alle volte era come se vedesse i demoni più in basso - gerarchicamente parlando - come pozze di fango da non calpestare - e chissà che così non fosse. «Vedi di preparare tutti allo scontro. E quando dico tutti, intendo tutti. Stravolgeremo questo pianeta e ne usciremo vincitori» concluse.

Con un cenno del capo, Belzebù acconsentì. Uscì fuori dalla sala cercando di non far trasparire la sua fretta, mentre nella sua mente iniziavano a formarsi gli scenari più interessanti. Ogni singolo demone sul piede di guerra - e non solo quelli appositamente addestrati per combattere, poteva significare una sola cosa. 

Erano passati seimila anni dall'esilio dei primi umani. Era un numero tondo che sapeva di anniversario, quasi come fosse qualcosa che valeva la pena festeggiare - e in realtà avrebbe avuto senso: i demoni vedevano quel giorno come una vittoria. E se c'era una cosa che il suo Signore amava, era seguire i numeri.

Far finire la Terra in mano all'Inferno sarebbe stato decisamente un bel modo per coronare quell'anno. Mangiando la metà avversaria come in una grossa partita a dama; o a scacchi, come piaceva al Diavolo.


~•°•~


    «Perché cazzo sono ancora qui?» Sibilò Crowley a voce bassa, intanto che si faceva strada sui mattoni bianchi all'esterno dell'Eden.

La verità è che lo sapeva benissimo, ma non voleva credere di essersi fatto abbindolare così facilmente.


Era successo tutto quella mattina. Anathema aveva sbattuto un grosso libro sulla scrivania, facendolo svegliare di soprassalto. Era caduto giù dal piano da lavoro cambiando forma nel mentre, così da ritrovarsi con una gamba incastrata nello sgabello, un'ala schiacciata sotto la schiena e più di una ciocca di capelli in bocca.

    «Buongiorno dormiglione. Sono due giorni che poltrisci» aveva annunciato l'umana con un sorrisetto sornione. «Torna tra noi: devo parlarti.»

    Crowley l'avrebbe volentieri strangolata in quel momento. «E c'era bisogno di dirmelo così?» Ringhiò intanto che cercava di ricomporsi. 

Dormire era uno di quei piaceri inutili, come fare respiri profondi per calmarsi o sorseggiare vino. Una volta, durante un inverno più rigido del solito, Crowley aveva passato una settimana intera sulla mensola del camino di Anathema, così da godersi il piacere e il tepore della stanzetta. Adorava farlo: lo allontanava dai problemi; e di conseguenza detestava essere svegliato - in quel modo, poi. Chiunque altro sarebbe stato come minimo morso all' istante. Sul naso. Forte.

L'umana lo aveva ignorato e si era messa a sorseggiare distrattamente una tazza di caffè - come facesse ad ingurgitare quella robaccia amarognola, il demone non lo sapeva. Aveva quel finto sguardo incurante, quello che metteva su quando voleva dirgli qualcosa che sapeva non gli sarebbe piaciuta, e tanto bastò per fargli venire voglia di strisciare sotto al letto e non farsi vedere mai più. 

    Ad un certo punto, però, la finta e stantia calma si era fatta insopportabile. Così, Crowley ruppe il ghiaccio: «Dai spara. Odio quando fai il gioco del silenzio.»

Posando la bollente e scura bevanda accanto a lei, la giovane si mise a fissarlo dritto negli occhi. Oh no, la situazione era seria. Stavano decisamente per avere una di quelle conversazioni che Crowley avrebbe pagato oro per dimenticare: andava sempre così quando la sua sottoposta si impuntava in quel modo su qualcosa.

    «Mettiamola così: non mi hai detto tutto l'altro ieri, vero?» Chiese lei, braccia incrociate.

    Il rosso alzò un sopracciglio: «Dovrei?». Domanda retorica: ovviamente lui non doveva fare assolutamente niente se non voleva, tantomeno per far piacere alla sua umana. E per "sua" si intende allo stesso modo che per un oggetto di valore che sai di possedere di diritto.

    Lei scosse la testa: «No, non devi. Non senza uno scambio interessante.»

Bene, bene, bene. Le cose stavano prendendo già una piega migliore. 

    «Che cos'hai in mente?» Chiese Crowley incrociando le braccia a sua volta e fissandola come se volesse leggerle nel pensiero. In effetti non sembrava una cattiva idea: gli sarebbe bastato concentrarsi, ma non lo fece.

    «Tu non hai detto tutto a me ed io non ho detto tutto a te. Ho in mente un'idea che potrebbe far piacere ad entrambi e un'informazione. Penso che arriveremo presto ad un accordo» affermò Anathema senza cambiare d'espressione. Se non avesse avuto bisogno di sbattere gli occhi, sarebbe stato molto più suggestivo.

Su una cosa aveva ragione: lei e Crowley erano fatti per stringere patti; ormai andavano avanti solo di quelli. Stavolta però c'era una stuzzicante aria di mistero. C'erano segreti in ballo: presumibilmente oscuri, celati negli occhi e nell'espressione dell'umana, pronti ad essere svelati; il tipo di cose dentro al quale il demone amava sguazzare, sempre se non c'era troppa posta in gioco - era sempre stato il tipo che, quando le cose si facevano complicate al punto da diventare fin troppo difficili, preferiva lasciar perdere e andare ad infilarsi nella sua zona di comfort.

    Alla fine, gli occhi dorati ridotti a due fessure e la sua naturale curiosità ormai portata a galla, chiese: «Dimmi di più.»

E lei lo fece, anzi: lo fecero entrambi. Un'informazione per un'altra.

Crowley fu costretto ad iniziare e chiarire il perché delle sue risse. Raccontò del piano e di quanto poco ne sapesse. Fino a quel momento, l'arma gli era parso un semplice e fastidioso rumore sordo a gli angoli della sua mente. L'unica cosa che voleva era evitare la prima linea in caso di una guerra effettiva ma, come spesso accadeva, quel protettivo velo di menefreghismo lo aveva accecato.

    Alla notizia, Anathema aveva sbarrato gli occhi e si era rinchiusa in un altro silenzio, stavolta nervoso e carico di ansia. «Ora capisco perché avevi paura che Satana ti strangolasse» disse. «Finora voi e il Paradiso vi siete solo stuzzicati, a volte più violentemente del normale - ma nessuno di voi ha mai azzardato uno scontro serio.»

    Crowley allargò le braccia: «Che vuoi che ti dica?». Sbuffò, iniziando a fissare la nebbia fuori dalla finestra. «Odio quando mi ricordi che faccio parte del sistema» mugugnò, un po' a denti stretti. «Non so perché o perché adesso, ok? Non so nemmeno quali potrebbero essere le conseguenze per voi mortali, e dubito fortemente che all'Inferno freghi qualcosa.»

    «Beh, c'è un lato positivo in tutta questa storia» riprese l'altra non del tutto convinta e tantomeno tranquilla. «Volevi tornare dal guardiano, no? Ti darò una scusa per farlo.»


E che scusa. L'ultima parte della loro conversazione gli ronzava in testa peggio delle sfuriate di Beel. Come accidenti aveva fatto a passare dal farsi i fatti suoi a quello?

Dannata curiosità e dannati segreti. Dannazione a tutto e tutti. Ci era cascato: era una calamita per i guai e allo stesso tempo un loro grande ammiratore. Sembrava nato per certe cose.

Certo che voleva sapere cosa girasse nella testa di quel pazzo suicida: non aveva fatto altro che pensarci. Anathema lo aveva stuzzicato, rigirando il coltello nella piaga del: "Non riesci a togliertelo dalla testa perché sei curioso", usando la sete di conoscenza come leva per convincerlo. Menomale che la sua linguaccia biforcuta non si era fatta scappare il sogno ridondante che aveva otturato la sua testa negli ultimi due giorni, o non avrebbe mai visto la fine di quella tortura. L'immagine di quell'angelo martoriato e spaventato che gli intimava di andarsene si era ripetuta all'infinito, come un monito. Stupida testa.

Non sapeva nemmeno come iniziare la conversazione: "Ehi biondino, sono quello che voleva ucciderti e ho bisogno di parlarti" - no, non avrebbe mai funzionato.

E come avrebbe fatto a spiegare ciò che gli era stato detto? Se l'era dovuto far ripetere due volte, portando Anathema all'esasperazione come solo lui sapeva fare. Aveva sempre saputo di aver scelto l'umana più subdola del Regno, ma a tutto c'è un limite. Mai e poi mai avrebbe pensato ad un risvolto simile.

Doveva trovare le parole e doveva farlo subito. Andiamo, testaccia, pensa. Era sempre pieno di idee e adesso il suo inconscio era andato in blocco, soppresso dalla situazione ora incredibilmente più grande di ciò che aveva preferito non vedere. Doveva anche spicciarsi, dato che ormai era quasi sul bordo - ah no, era già arrivato.

E aveva già una bella punta infuocata davanti al muso.


Dietro alla breve linea di fiamme c'era lui: il suo obbiettivo - di nuovo. Sembrava terrorizzato, e si vedeva che stava usando la sua arma semplicemente per segnare la distanza che doveva esserci tra loro, piuttosto che per minacciarlo.

Ora che lo vedeva meglio, Crowley poté soffermarsi un po' di più sui particolari. Spaziando con lo sguardo dalla cima dei riccioli candidi alle punte delle ali più bianche e scombinate che avesse mai visto, si rese subito conto che qualcosa non quadrava in quel tipo. Semplicemente, gli angeli erano nati per essere innaturalmente... Magnifici: quella era la parola più giusta. Erano fatti per essere perfetti, composti, stoici e ligi al dovere come tanti soldatini messi in fila.

Ma questo? Questo somigliava più ad un ammasso di nuvole gonfie, paffute, messe l'una sopra all'altra e poi limate di qua e di là perché fossero simmetriche. Aura incredibilmente splendente a parte, il resto sembrava messo lì per sbaglio: le volute perfette di quei capelli ricadevano in modo scombinato in più punti, le stoffe candide e dorate dei suoi vestiti erano lievemente stropicciate e spiegazzate, e - appunto - quelle piume erano notevoli ma anche un disastro. Senza contare quegli ora sbarrati occhietti celesti, belli ma non particolarmente inusuali.

    «Che ci fai qui?» Chiese biondino in un sussurro. «Sbaglio o ti avevo detto di andartene?» Continuò, guardandosi ansiosamente attorno. Incredibile come la sua prima preoccupazione fosse non essere scoperto dai suoi, e non tanto la bestia che aveva davanti.

Pazzo, appunto.

    «E io sono tornato» sibilò Crowley senza smettere di fissarlo. «A proposito: tu sei quello che deve allontanare gli intrusi? Bene, perché mi sto introducendo». Prima che l'altro potesse capire cosa ciò significasse, strisciò veloce dentro al giardino. Dietro di lui arrivò uno stentato: "Aspetta, dove vai?!", seguito da un nervosissimo sbattere di ali.

Si arrampicò sull'albero della volta precedente, seguendo con la coda nell'occhio la figurina bianca sotto di sé. Era quasi divertente stressare quel poveraccio: forse non era stata poi una cattiva idea tornare lì.

Adagiandosi pigramente su un ramo, si mise a giocherellare con una mela. Mentre biondino aveva iniziato a guardarlo con quella che doveva essere un'espressione di rimprovero - peccato fosse evidentemente segnata dall'incertezza.

    «Scendi subito da lì» ordinò quest'ultimo. Con le sopracciglia aggrottate e il pugno chiuso, sembrava un bimbo al quale avevano vietato le caramelle.

    «Scusa mammina,» lo stuzzicò il demone. «Ma non credo che lo farò». Si era messo a far dondolare una mela, sperando che cadesse. Il gesto portò il suo interlocutore a mordicchiarsi nervosamente un labbro; cavolo, biondino era proprio un rotondo fascio di ansia.

    «Senti, dimmi che cosa vuoi e vattene» riprese l'angelo, puntandogli addosso quelle piccole pozze celesti cariche di nervosismo. «Non ho nessuna intenzione di rifare la cosa dell'altra volta: ha fatto malissimo.»

    «Ecco, visto? Su questo siamo d'accordo. Potremmo effettivamente avere una conversazione normale e tranquilla.»

    L'altro abbassò le spalle ma non la guardia, dato che ancora si guardava attorno come se qualcuno dovesse materializzarsi al suo fianco. «Dubito tu voglia condividere informazioni sul piano della tua fazione. Perciò non vedo di cosa dovremmo mai discutere.»

    Iniziando ad oscillare come una liana al vento, Crowley si abbassò abbastanza da potergli parlare faccia a faccia. «Credimi, ne so quanto voi. Forse ne so addirittura meno di quegli umani, ma-» e qui fece calare qualche secondo di silenzio, «Io so qualcos'altro. Qualcosa che potrebbe interessarti.»

    Nonostante avesse messo su il più persuasivo dei suoi toni, biondino non si era mosso dal suo stato di tensione e diffidenza - il che era abbastanza ovvio e naturale; sicuramente una delle sue reazioni più sensate finora. «E perché dovresti venire fin qui a spargere informazioni? Cosa sei, un disertore?»

Quella era una fantastica domanda.

    «Mettiamola così,» iniziò il demone, strisciando fino a terra e riprendendo la sua forma solita. «L'informazione in questione ti riguarda.»

    In risposta arrivò un facciotto dapprima stupito, poi sempre più confuso, e infine incredulo: «Beh, temo allora che qualcuno ti abbia detto baggianate. Questo, o sei terribile a mentire.»

    «Senti biondino; sono in territorio nemico, tu sei armato e io non sono così scemo da voler venire a perdere tempo inutilmente» rispose il rosso con tono deciso. Poi irruppe in un sorrisetto: «Sempre che tu sappia usare quell'affare» disse, indicando la spada. «Perché sai, a giudicare dall'ultima volta...»

    «Ehi!» Esclamò l'altro, offeso. Non era arrabbiato: sembrava più stizzito che altro. «Beh- magari io no...» ammise poi, «Ma gli altri sì. E nessuno mi impedisce di volare fino alla fortezza e chiedere aiuto.»

   Crowley alzò gli occhi al cielo: «Pf, accomodati, biondino. Me ne andrò, tu ti beccherai la ramanzina e io potrò tornare domani a romperti le scatole.»

    «E magari mi troverai in compagnia.»

Aspetta, che

L'angelo aveva sicuramente colto il suo veloce cambio d'espressione - dannazione

Difatti, si mise a giocherellare distrattamente con la spada, facendo spallucce: «Gabriel non sarà felice di sapere che la spia che lo ha aggredito si è infiltrata qui due volte. E sì: io mi beccherò una ramanzina, ma tu rischieresti di, beh - puoi immaginarlo». Sfoderò un sorriso così gentile da fargli venire il voltastomaco - seppur parte della sua espressione non avesse mai smesso di essere corrugata. Sembrava quasi si stesse sforzando e la cosa umiliò Crowley il quadruplo. Vedi tu che bastardo.

«Oh, e ci sarebbero un altro paio di cose,» riprese il guardiano, stavolta con un tono da maestrina. «A Gabriel piace venire a controllare qui fuori di tanto in tanto. E io ho un nome, per cui-»

    Avrebbe voluto continuare il discorso, ma il demone glielo impedì: «E quindi dici che sarebbe meglio sbrigarsi a parlare, vero? Oh, hai ragione biondino. Ah giusto: non è il nomignolo appropriato per il sacro guardiano del giardino assolutamente vuoto e inutilizzato da secoli. Sempre che tu faccia il tuo lavoro come si deve. Dov'è che eri l'ultima volta?» Chiese, facendo finta di mettersi a pensare.

Credeva di aver sferrato un bel colpo, ma si rese presto conto che l'altro continuava ad essere più infastidito che effettivamente arrabbiato. Perché sì: ormai l'obbiettivo era diventato quello di farlo infuriare senza nessun motivo. Era una questione di principio, accidenti.

    «Beh, non che mi aspettassi riconoscenza da uno come te,» sospirò l'angelo. «Ma l'altro giorno ho voluto evitare inutili spargimenti di sangue e, a giudicare dalla tua espressione, pensavo lo volessi anche tu». Scrollò le spalle, ora più rilassate, prima di continuare: «E, per quanto quello con te sia stato l'unico scontro diretto che io abbia mai avuto, pensavo che saresti stato più - ecco, violento. Credo.»

Crowley si ritrovò, suo malgrado, a spalancare la bocca. Era riuscito a sviare il discorso, a rabbonirlo e a dargli una risposta tutto allo stesso tempo. Quel tipo era decisamente assurdo. Gli faceva provare rabbia, incredulità, indignazione e stupore assieme; ed era proprio quella punta di stupore a farlo sentire come fosse- beh, come- lo mandava in confusione. Ecco.

E poi come accidenti si permetteva a credere che non fosse violento? Lui? Avrebbe potuto tranquillamente- no dai, effettivamente non era mai stato un violento. Era stato costretto ad esserlo quel paio di volte e basta. Su quello, biondino aveva ragione. 

Come avesse fatto a colpire tutti i suoi punti scoperti, quello era un mistero.

Ora basta, però. Avevano perso fin troppo tempo e le ultime parole di Anathema avevano ripreso a mangiucchiargli la mente tra l'arma, la guerra e... 

    «Va bene,» disse infine, costringendo la sua mente e la sua lingua a collaborare. «Credimi- senti, com'è che ti chiami?»

    «Aziraphale... » Rispose l'altro a stento.

    «Sì certo. Come se sapessi pronunciare una cosa del genere, angelo». No, davvero, Dio aveva finito le idee tutto d'un tratto? «In ogni caso, hai ragione. Come ho detto, in questo momento sono io contro l'intero Paradiso, giusto?»

Aziraphale parve illuminarsi un po' più del normale, probabilmente perché credeva di aver avuto la meglio, e annuì come si fa ad un'affermazione assennata.

    «Bene, perciò credimi: questo farà decisamente più male a me che a te.»

Se ne sarebbe pentito più tardi? Sì. Decisamente sì.


Prima che Aziraphale potesse dire qualcosa, Crowley lo afferrò per un polso, mandando una veloce ed immediata stilettata di dolore a entrambi. Beh, faceva dannatamente male, ma cercò di ignorare la sensazione e aprì le ali. Fece giusto in tempo a sentire la spada cadere con un tonfo nel terreno erboso quando, con una spinta, si alzò in volo senza mai lasciare la presa sull'altro. Il palmo della mano gli bruciava da morire, e presto la sensazione si fece strada in ogni angolino della sua essenza, iniziando a pizzicare, mordicchiare e rompere.

Se ne stava già pentendo. Ma ormai era tra le nuvole con un peso morto e dolorante che non faceva altro che dimenarsi alle spalle. Anathema lo avrebbe ucciso.

Sempre se non moriva prima.

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Capitolo 5
*** Rivelazioni dal lato opposto ***


Aziraphale aveva passato molto tempo ad immaginare cosa sarebbe successo semmai avesse re-incontrato il demone che tanto aveva occupato i suoi pensieri negli ultimi giorni. Una parte di lui - quella ingenua - lo aveva riportato a quell'aureo sguardo terrorizzato e l'aveva quasi fatto intenerire. La parte ligia al dovere, invece, lo aveva più e più volte sgridato, salvo poi venire soppressa da quella ragionevole. Quest'ultima aveva recitato più volte che fare del male era sbagliato, sempre e comunque, giusto? A meno che tu non sia autorizzato a farlo, tipo Michael. Si chiese per un nanosecondo se la cosa avesse senso. Dio non aveva detto di amare i propri nemici e di non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te? Magari valeva solo per gli umani. Ineffabilità, quell'arma a doppio taglio: scusa e spiegazione a tutti i suoi dubbi. O quasi.

Di tutte le possibilità che erano passate per la mente del guardiano, però, quella che stava affrontando non era passata neanche per l'anticamera del suo ipotetico cervello. 

Aveva capito molte cose dal suo secondo incontro col nemico: la prima era che la serpe in questione non assomigliava affatto alle grottesche e ben dettagliate descrizioni dei demoni che gli erano giunte. Davanti a lui si era delineata una figura alta, magra, un volto affilato contornato da onde cremisi e caratterizzato da due dorate iridi da rettile. Aveva provato a figurarsi tutte quelle caratteristiche in veste bianca, arrivando alla conclusione che quello che aveva davanti doveva essere stato davvero un angelo maestoso, una volta - tutte cose che al primo incontro gli erano passate davanti troppo velocemente per essere colte appieno, tra il dolore e la paura. Chissà perché una creatura così bella aveva deciso di passare all'altra fazione, si chiese. Perché sì, era bella, su quello non c'erano dubbi. Se fosse o meno una facciata, quello non avrebbe saputo confermarlo.

L'altra importante cosa che aveva compreso, era che il suo interlocutore era diverso non solo fisicamente ma anche mentalmente parlando. Prima di tutto: nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden due volte, da solo e disarmato. Seconda cosa: nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden due volte, da solo, disarmato e con nessunissima intenzione di uccidere o, in quel caso, vendicarsi. Tutti comportamenti che , sotto sotto, avevano fatto sentire l'angelo meno strano - anche se sentirsi vicini ad un demone con manie di diserzione non doveva né poteva essere una cosa positiva per uno come lui.

Durante la breve e battibeccante conversazione che avevano avuto, Aziraphale si era quasi divertito a rigirare le pressioni e gli insulti che gli erano stati rivolti. Parlare con i diretti avversari doveva essere più simile ad uno sputarsi veleno addosso, si disse - anzi: tecnicamente parlando, tra angeli e demoni non ci sarebbe dovuto essere dialogo, ma guerra. 

Nonostante avessero già rotto la dicotomia in più punti, però, ciò che accade lo colse totalmente impreparato. E quella che sarebbe dovuta essere una conversazione curiosa, interessante e - a detta del serpente - che lo vedeva come diretto interessato, di fatto finì senza mai essere iniziata. 


L'aria lo frustava incurante, rimbombandogli nelle orecchie. Dal polso, ben incastrato nella ferrea stretta dell'altro, partiva una bruciante e pulsante stilettata di dolore. Gli ci vollero due secondi per capire che era stato rapito e che a lungo andare il contatto li avrebbe distrutti entrambi. Era così occupato a cercare di liberarsi e di tenere una quota che gli permettesse di non schiantarsi al suolo, che a malapena si accorse del repentino cambio di ambientazione. Lo scuro e plumbeo cielo attorno a lui, però, dovette far spazio alla terribile sensazione della sua aurea che scricchiolava in coro con quella del demone, il quale ancora si ostinava a non mollare la presa.

Non sapendo bene che altro fare, dopo aver urlato un po' di stentati e doloranti: "Lasciami!" e "Rallenta!" Aziraphale capì che nessuno sforzo sarebbe stato abbastanza da fermare quella giostra impazzita. Già volava poco di suo; farlo a quella velocità, mentre il suo polso e il palmo dell'altro iniziavano a fumare come carne al fuoco, era anche peggio. Sentì le sue ali indebolirsi progressivamente, intanto che anche la loro traiettoria si faceva sempre meno regolare, rendendoli simili a piume in balìa del vento. Il mondo attorno a sé divenne una macchia confusa e sfocata, aveva quasi paura di scoprire le condizioni del suo braccio o quelle della sua forma divina - probabilmente smangiucchiata in più punti, a giudicare dalle frustate infuocate che parevano giungere da ogni parte.

Percepì solo la vertigine, poi la stretta che spariva e infine il suolo. Non fu una caduta così rovinosa, ma il terreno ruvido lo sentì tutto mentre vi rotolava brevemente sopra. 

Strinse gli occhi e si raggomitolò d'istinto, creandosi un bozzolo con le ali. Si circondò il braccio ferito, tremando alla sensazione di bruciore che ormai sembrava una belva affamata alla ricerca dei pezzi più buoni della sua lucente ed angelica costituzione. Faceva male e l'aria era così calda e pesante: odorava di zolfo, sembrava contribuire ad alimentare il dolore come fosse una fonte eterea di energia oscura. Avrebbe voluto fare qualcosa, fuggire magari, ma era bloccato: un riccio tremante, impaurito e lacrimante. Una creatura di Dio che si riduce in quel modo... Patetico. Gabriel lo avrebbe distrutto a parole se lo avesse visto, sicuramente.

    Dietro di lui arrivarono tantissime, sussurrate e sibilate imprecazioni di dolore. Si aprì una porta, passetti affrettati portarono un terzo individuo sulla scena. Una voce femminile, umana e adirata tenne a stento un'esclamazione: «Si può sapere che ti passa per la testa?!»

    «Beh, ero in svantaggio» ghignò il demone tra un gemito e l'altro. «Così ho ribaltato la situazione.»

    «Hai una concezione davvero originale di "dialogo", Crowley» ringhiò l'umana. «Prega di non aver svegliato i vicini. E non fare quella faccia, si fa per dire.»

Aziraphale schiuse lentamente un occhio, confuso. L'agitazione e l'adrenalina degli ultimi secondi si placarono lievemente intanto che la donna - giovane, presumibilmente - si avvicinava a lui.

    «Sei una serpe maledetta» lamentò quest'ultima. «Guarda come l'hai ridotto.»

    «Certo che lo sono» rispose il demone - Crowley, a quanto pareva, sicuramente con una smorfia. «E poi, hai visto la mia mano?»

    «Non ti sarebbe successo niente se non avessi fatto la più grande cazzata della tua esistenza.»

L'angelo si strinse un altro po' nelle spalle intanto che osservava la sua ala venire sollevata da due mani delicate, ben curate e timorose. Un paio di occhi scuri, circondati da capelli altrettanto scuri, fece capolino in mezzo alle sue piume ora bianco sporco.

    Venne colpito dallo sguardo più preoccupato e premuroso che gli fosse mai stato rivolto. «Cielo, guardati: povera creatura.»

    «Povera creatura,» mimò Crowley, ora evidentemente infastidito dalla situazione. «Se ci tieni tanto, portalo dentro.»

Uno strisciare di ali sul terreno, una porta che cigolava, qualche colpo seguito da altrettanti lamenti. 

    L'umana sospirò e si mise subito all'opera. «Scusa» sussurrò.

In un attimo Aziraphale si ritrovò con il braccio buono attorno alle spalle dell'altra. Avrebbe voluto commentare ma il bruciore lo colpì peggio di una palla di cannone in pieno stomaco. I pochi metri che li separavano dall'ingresso di quella che era una casetta adorabile, davvero, furono percorsi quasi interamente dalla poveretta che era stata costretta a scarrozzarlo. Stare in piedi era fuori questione, parlare men che meno e tenere gli occhi aperti quasi infattibile. Non gli era mai successo prima: gli angeli non dormono, non ne hanno bisogno; se lo fanno significa che qualcosa non va e Aziraphale aveva decisamente più cose che non andavano in quel momento. Non registrò nulla di quello che accadde se non qualche voce lontana, si assopì senza neanche rendersene conto.

Nella sua mente esausta fece breccia l'idea che Crowley e l'umana dai capelli scuri litigavano davvero tanto. Le loro discussioni furono abbastanza animate da destare un po' il suo stato di incoscienza.


Riaprì gli occhi non molto tempo dopo, in realtà. Sotto le sue ali c'era una superficie morbida e accogliente, una manna dopo gli ultimi eventi. Sul suo braccio stava passando a tratti una carezza rigenerante, capace di ricucire - seppur non in maniera perfetta - la sua aurea distrutta.

    «Giuro che sse mi tocchi con quella roba...»

    «Senti, hai deciso tu di metterti qui, perciò zitto e dormi. E poi è tutta colpa tua: dovevi convincerlo, non trascinarlo all'Inferno.»

    Un sibilo stufo fendette l'aria in risposta: «Ssi fa prima così. Tanto sarebbe dovuto venire, no?»

Uno sbuffo, poi il silenzio. Aziraphale mise lentamente a fuoco la giovane di poco prima: era china su di lui e gli stava pulendo le ustioni con uno straccio zuppo di... Era acqua santa quella? Sì, si disse, decisamente. Sulle sue spalle, a mo' di sciarpa, se ne stava il serpente rossastro che l'angelo ormai conosceva bene: aveva i segni di una strana sostanza vischiosa sulle squame e gli occhi dorati socchiusi, come quelli dei gatti che fanno finta di riposare ma che sono in realtà viglissimi e pronti a scattare.

    «Ehi, ciao» sussurrò lei con un sorriso, accorgendosi dello sguardo confuso che le aleggiava addosso. «Stai meglio?»

Aziraphale annuì, ancora incapace di mettere due parole l'una dietro l'altra. Quei movimenti e la sensazione di benessere gli ricordarono tanto Raphael e il suo modo di fare, solo più dolce magari, come fosse smussato agli angoli. Chissà cos'avrebbe pensato l'arcangelo Guaritore vedendolo in quello stato dopo essere stato letteralmente trascinato verso... Già, verso dove?

Si guardò attorno e capì di essere all'interno di una stanzetta, poggiato ad una poltrona nella quale le sue ali stavano a stento. Era un luogo piacevolmente caldo, pieno di oggetti e libri. Quelli sugli scaffali davanti ai suoi occhi erano decisamente libri: quelle cose non c'erano in Paradiso, nessuno ne aveva bisogno. Certo, questi in particolare sembravano veramente vecchi, rovinati, a tratti scrostati, ma Aziraphale aveva sempre provato un certo tipo di attrazione verso quelle piccole scatole di conoscenza mortale. Non lo aveva mai detto a nessuno, ma gli sarebbe sempre piaciuto aprirne uno e scoprire cosa vi fosse impresso all'interno: quegli strumenti erano da sempre il maggiore veicolo di informazione e formazione per gli umani; oggetti inanimati capaci di animare gli animi. Se non era un miracolo quello.

C'era qualcosa che non quadrava, però. Guardando fuori dalla finestra si accorse di quanto scuro fosse il cielo. Concentrandosi, sentì nuovamente quel senso di fastidio e oppressione, quasi come se l'aria attorno a sé avesse un peso. Le parole che aveva percepito gli rimbombarono nella mente: "Dovevi convincerlo, non trascinarlo all'Inferno."

Aggrottò la fronte e osservò la sua soccoritrice, stavolta con attenzione, mettendo all'opera anche le fibre più esauste di sé stesso. Non sembrava una cattiva persona, anzi: sembrava incredibilmente affascinata da lui - tipico, in realtà, se si considera che il senso di stupore e devozione era ciò che gli umani erano normalmente portati a provare davanti agli angeli. Ma in lei c'era la stessa metafisica macchia scura che caratterizzava l'ambiente attorno a loro, un alone di male misto peccato che gravava come una bolla o una cupola sulle loro teste: la stessa sostanza della quale erano fatti i demoni.

Era stato portato nel regno opposto, completamente disarmato - non che essere armati avesse fatto differenza nel suo caso, si disse poi - alla mercé di una serpe fuori di testa e un'umana al servizio del male. Avrebbe dovuto avere come minimo un attacco di panico, o in alternativa una di quelle emozioni abbastanza forti da tirare fuori la macchina da guerra che era in lui - sempre che ci fosse davvero. Eppure...

    Non senza una punta di ripensamento, Aziraphale abbassò la guardia e osservò il suo polso tornare alla normalità. Ustioni, lividi e graffi - fisici e non - si fecero mano mano meno visibili. «Grazie» disse semplicemente, accennando un sorriso.

    La giovane ricambiò: «Figurati e scusa per la situazione» disse tirando un'occhiataccia a Crowley, il quale mimò un sorrisetto furbo sul muso squamato. «Posso assicurarti che c'è una spiegazione logica a tutto questo.»

    Non c'era odio né inganno in quelle parole e il guardiano non se ne stupì. Rivolse a sua volta un marmoreo sguardo di rimprovero al suo rapitore, sperando capisse che sarebbero tornati sulla questione, e tornò a rivolgersi all'umana con un sorriso: «Perciò a cosa devo la premura?»

In realtà avrebbe voluto chiedere mille altre cose, tipo: "Come ti chiami?", sarebbe stato più educato; ma lì era chiaro quale fosse il punto focale della situazione. Fortunatamente, Aziraphale era abbastanza bravo a mettere apposto i pensieri da rendersi conto che: uno, uomini e donne del Regno del Male non dovrebbero possedere dell'acqua santa né portare i demoni loro governatori in spalla come canarini. Due, nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden da solo, disarmato, con nessunissima intenzione di uccidere o vendicarsi per rapire un angelo - e rischiare la morte di conseguenza - senza una motivazione forte e precisa. Una volta chiariti quei due punti, il resto sarebbe venuto da sé.

E infatti così fu.

    «È una storia un po' complicata» iniziò lei. «Mi chiamo Anathema, la serpe senza rotelle qui è Crowley. Avrebbe dovuto parlarti, ma immagino dovrò farlo io.»

Aziraphale annuì e la seguì con lo sguardo mentre andava a frugare in un cassetto del comodino accanto al letto. Tornò da lui con un plico di quelle che parevano lettere: anche gli angeli le usavano ogni tanto, soprattutto per inviare comunicazioni dalla fortezza a chi lavorava in mezzo agli umani. 

    «La mia famiglia ha sempre fatto questo lavoro» riprese Anathema indicando gli alambicchi sparsi in giro. «Sai, mi piace chiamarla farmacologia anche se non lo è - non esattamente». Sulla sua spalla, Crowley alzò gli occhi al cielo prima di tornare al suo finto stato sonnacchioso. «Ma abbiamo sempre avuto altre "passioni" chiamiamole così. Una di queste,» e qui abbassò la voce, «sono le profezie.»

L'angelo sbarrò appena gli occhi. Aveva sentito voci sulla questione: alcuni pensavano che Dio avesse donato ad alcuni umani la possibilità di dare un'occhiata ai Suoi piani in quel modo, attraverso visioni più o meno precise di ciò che sarebbe stato del mondo. Nessuno sapeva a che pro o in che modo tali prescelti venissero, appunto, scelti - fatto stava che ciò che gli era stato riferito era assolutamente credibile.

    «Ne ho qualcuna tratta da qualche libro,» riprese la giovane. «Altre sono state scritte da alcune mie antenate tempo fa su fogli volanti che abbiamo dovuto rilegare. In ogni caso, so le più importanti a memoria.»

    I pezzi di quell'inusuale puzzle iniziarono ad incastrarsi nella mente di Aziraphale, nella quale echeggiarno anche le parole del demone nell'Eden. Cercò di capire dove tutto quel casino andasse a parare e azzardò: «E in una di queste centro io in qualche modo?»

    Pronunciare quel pensiero lo fece risuonare ancora più assurdo. Raggiunse l'apice quando Anathema annuì: «Sei sveglio.»

    «Ssì, facile così» si intromise Crowley alzando la testa. «Questo gliel'ho già detto.»

    Aziraphale fece il possibile per indurire la sua espressione abbastanza da chiarire che non accettava quel tono - difficile quando sei fatto apposta per sembrare innocuo. «È anche l'unica cosa che mi hai detto,» precisò. «E dato che la tua amica sta facendo il lavoro al posto tuo, sarebbe bene se la lasciassi finire.»

Anathema parve felice di quella difesa, cosa che portò il demone in svantaggio.

    «Non siamo amici» sibilò quest'ultimo sottovoce. Poi guardò la giovane: «Va' al punto.»

    Alzando gli occhi al cielo, la ragazza lo assecondò senza pensarci su due volte e passò ad Aziraphale un foglio sbiadito. «Questa è la profezia di cui ti volevo mettere al corrente,» disse. «Faccio sempre una copia di tutto. Chiamalo difetto di famiglia.»

L'angelo non dovette nemmeno destreggiarsi tra l'ordinato corsivo di quella lettera rivolta ad un certo "Mio caro" del cui nome non c'era traccia. Si fissò su quelle parole centrate e tra virgolette:

Quando il mondo si ridurrà ad una grigia battaglia, l'Amore nel male si annerirà e la Luce alata prenderà in mano la sua fiamma. Con la bestia dell'Eden al suo fianco, l'Arma forgiata dal fuoco dell'Inferno si spegnerà e rivoli dorati affonderanno l'Intoccabile Dicotomia.

    Non fece in tempo ad arrivare al punto che Crowley decise di uscire dal suo forzato e al contempo innaturale silenzio. Scivolò debolmente giù dalle spalle di Anathema e riprese la sua forma solita: si vedeva che aveva appena trascinato un angelo in lungo e in largo; le rosse ciocche cremisi gli ricadevano copiose sul volto stanco e scarno. «In sintesi: il mondo sta per finire e a quanto pare io e te possiamo evitare la cosa.»

    Aziraphale aggrottò le sopracciglia e Anathema si passò una mano sulla faccia, intervenendo: «Ti spiego,» disse, iniziando ad indicare un punto del testo. Ciò portò il rosso ad alzare gli occhi al cielo e a buttarsi non proprio cerimoniosamente sul letto, le ali corvine schiacciate dietro la schiena. 

    «Vedi, ogni angelo ha il suo epiteto, così come ogni demone. Sai, cose come: Messaggero, Guerriero, Guaritore; i ruoli classici. Tu, però-» e qui la giovane si mise a scandagliare Aziraphale con un'attenzione particolare, «-tu sei sempre associato alla luce, sempre, anche in angelologia.»

L'angelo non seppe bene come replicare. Ovviamente era consapevole del fatto che la sua vera forma, essenza che dir si voglia, fosse peculiarmente splendente. La cosa non era mai stata vista con attenzione o stupore prima di allora, in fondo: quanto stupore puoi provocare se sopra di te esistono gerarchie intere di creature mille volte più alate, colorate e incredibili di te?

    Scosse la testa: «Sono sicuro che c'è un errore» disse, non senza un tremito di insicurezza nella voce. «Suona tutto troppo epico per me.»

    «Hai una spada di fuoco, però. No?» Chiese Anathema, gli occhi socchiusi e attenti mentre fissavano il suo interlocutore.

    «Beh, sì ma-»

    «Senti, angelo» interruppe Crowley sbuffando e senza neanche alzare il capo per guardarlo. «Non esistono molte altre "Luci" armate di "fiamme", fattene una ragione.»

    «Così come non esistono altre "bestie" abbastanza pazze da entrare nell'Eden» completò la giovane, indicando il suo improbabile socio. «È famoso al quartier generale per questo. Nessun demone ha più osato mettere piede nel giardino dopo la Caduta.»

    Crowley si buttò un braccio sugli occhi dopo averli sbarrati: «Odio quando ne parli.»

Aziraphale si ritrovò suo malgrado a prendere quella reazione in maniera fin troppo incuriosita. Aveva sempre pensato che i demoni andassero fieri della Caduta: rappresentava l'inizio della loro indipendenza, l'inizio del loro regno. Crowley invece ne sembrava quasi... Non avrebbe saputo dire se schifato o spaventato. Forse entrambe.

    Rilesse le parole che aveva davanti senza sapere bene cosa farsene. «Va bene, mettiamo caso che sia vero,» azzardò. «Ci sono molte cose che non capisco. Immagino che solo il sovrano di questo posto sappia cos'è l'Arma, e già immaginavo che ci sarebbe stata una guerra,» asserì, iniziando a ragionare. Nella sua mente si allinearono compatte tante piccole idee e teorie, alcune delle quali non trovarono compimento. Quando chiese ad Anathema cosa si intendesse con "grigia", in che senso "Amore" e cosa fossero i "rivoli dorati", tutto ciò che ottenne fu una scrollata di testa.

    «Io e i miei amici abbiamo fatto alcune ipotesi,» spiegò lei. «Le abbiamo raccolte e confrontate, ma non siamo sicuri di niente.»

    Aziraphale inclinò la testa: «Ci sono altri umani implicati in questa storia?» Chiese, preoccupato. Già l'idea che l'umanità che tanto avrebbe voluto preservare potesse venire spazzata via da un conflitto - da Il Conflitto, in realtà - l'aveva turbato. Adesso le cose andavano man mano peggiorando.

    Anathema, però, sorrise: «Più di quelli che immagini» affermò.

L'angelo sprofondò nella poltrona con la profezia che ancora gli ballava nella mente e davanti agli occhi, intrisa nell'aria di quel luogo che già da solo minava le sue normali capacità. E se Anathema e Crowley si stessero sbagliando? Dio avrebbe dovuto mettere il Paradiso al corrente di un'ipotetica fine del mondo, no? E se Satana con quella fantomatica arma avesse accelerato i tempi? 

E ancora, quelle parole erano tutto fuorché chiare. E se non avessero capito cosa dovevano fare? Lui odiava quella spada e l'idea di doverla usare era di per sé abbastanza da farlo retrocedere sulla questione.

Si voltò verso il demone e, nello stesso momento, questi alzò un po' la testa dal materasso per guardarlo a sua volta. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, incatenandosi all'idea che - se davvero le cose stavano in quel modo - sarebbero dovuti essere loro due a sciogliere non solo il conflitto ma anche ciò che gli impediva di toccarsi.

Quello sguardo aureo era così duro, così impenetrabile, così misterioso. Eppure Aziraphale poté leggerci un chiaro: "Credimi, angelo, nemmeno a me piace l'idea."

Si ritrovò a pensare al Paradiso. Qualsiasi angelo al suo posto avrebbe preso tutte le informazioni e le avrebbe consegnate a Michael, il quale sarebbe sicuramente andato in fretta e furia a radunare le truppe e iniziare il macello. 

E allora la sua parte ragionevole venne in soccorso, dicendo che aveva la possibilità - anche se non sapeva i dettagli - di mettere fine al conflitto tra Paradiso e Inferno. Era lì, nero su bianco.

    «Di preciso,» chiese allora ad Anathema, staccando il tacito contatto che aveva avuto con Crowley. «Quanto sono accurate queste profezie, di solito?»

    «Abbastanza da avermi detto come campare, come gestire i miei studi proibiti, alle volte persino come gestire Crowley e come creare la Zona Mediatrice-». Fece spallucce: «Direi molto, molto accurate.»

    Per l'ennesima volta quel giorno, Aziraphale si ritrovò stranito: «La Zona- che?»

    «Oh, qui arriva la parte divertente» disse Crowley con una risata sarcastica ma al contempo quasi invitante. Si mise dolorosamente a sedere, tornando a puntare lo sguardo non tanto verso quanto dentro quello dell'angelo. «Decidi tu: vuoi tornare a passeggiare sul muro aspettando l'apocalisse, o vuoi scoprire cosa c'è oltre questa storia?»

Aziraphale sentì Anathema sussurrare un duro: "Non mettere pressione", ma non intervenne in modo da mantenere il suo stesso sguardo serio e concentrato. 

C'era una parte di lui, quella ligia al dovere, che per quanto ci provasse perdeva sempre. Il perché era semplice: lui aveva la sua personale idea di "dovere". Aveva sempre provato amore per l'umanità e se c'era una cosa che gli angeli erano davvero bravi a fare, era proteggerla. Lui avrebbe sempre voluto farlo.

Aveva la sua occasione.

Aveva anche paura, però. E un alleato davvero fuori dagli schemi.

Ma forse andare fuori dagli schemi era proprio ciò di cui il mondo aveva bisogno?

    Senza essere del tutto convinto - ma tanto non lo era mai - scacciò via le occhiatacce degli Arcangeli dalla sua mente e con un sospiro disse: «Va bene. Qual'è il piano?»

E pregò Dio che ce ne fosse effettivamente uno.

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Capitolo 6
*** La Zona Mediatrice ***


Un sospiro lasciò la bocca di Raphael quando la porta alle sue spalle si spalancò di colpo.

    Non si girò nemmeno. Continuò a fissare le nuvole scorrere davanti ai suoi occhi rossastri, intravedendo il riflesso che il vetro gli stava riportando della nervosissima figura alle sue spalle. «Che cos'è successo stavolta?» Chiese, il tono di chi ormai ha sentito di tutto.

    Gabriel ci mise un po' a rispondere: sembrava furioso come non lo era da secoli. La sua voce parve scalare la sua essenza con una fatica immane solo per poi fuoriuscire roca, rotta e tremante. «È sparito!» Ringhiò. «Quell'incapace è sparito.»

    Il guaritore fece ricadere le braccia lungo i fianchi: «Riesci a lasciare quel povero angelo in pace? Sembra quasi che-» Si bloccò, tendendosi come la corda di un violino. Si girò verso il suo collega, il quale aveva iniziato ad andare avanti e indietro per la grande infermeria, i pugni stretti e i passi larghi - una mania che lui e Michael avevano adottato nel corso del tempo e che si ripeteva sempre più frequentemente. «Sparito?» Ripeté poi, facendo rimbombare quella parola in un eco che rimbalzò nelle eteree mura della fortezza.

    «Volatilizzato. Ho trovato la sua spada in mezzo all'Eden. Sai cosa significa?» 

Gli occhi di Gabriel stavano passando dal viola al lilla, dal lilla all'indaco, dall'indaco al rosa... L'ultima volta che Raphael lo aveva visto così teso era stato prima della Caduta.

    «O se n'è andato,» ipotizzò il guaritore, «o qualcuno lo ha preso.»

"Rapito" era la parola più corretta, ma il solo pronunciarla avrebbe fatto crepitare l'aria. I demoni avevano spesso e volentieri fatto cose del genere in passato, ma si erano ben presto resi conto che si trattava di sofferenza inutile, o comunque di qualcosa molto meno divertente del mandare gli umani stessi ad ammazzarsi come animali selvatici. Non succedeva da tanto di quel tempo...

    «Chiamo qualcuno e torno dall'altro lato,» ringhiò Gabriel, continuando a girovagare impazzito per la piccola area nel quale si era piantato. «Tieniti pronto: non so in quanti torneranno interi.»

    «E una volta lì cosa farai?» Gli chiese l'altro alzando un sopracciglio, «scandaglierai ogni angolo alla ricerca di chissà chi? E a che pro?»

Gabriel fece per rispondere, un dito alzato, quando Michael entrò con la solita fretta in corpo - anche se quello che aveva non poteva essere considerato tale. Raphael aveva visto quella scena così tante volte che dovette trattenere un sospiro stufo a stento. Stavano per fare un'altra guerriglia inutile dove tantissimi umani avrebbero perso la vita, e alla fine della quale lui avrebbe dovuto mandare i suoi a salvarne il più possibile. Odiava quando accadeva... Lo odiava davvero.

Come al solito, le sue parole raggiunsero gli altri Arcangeli solo per frantumarsi davanti al muro della loro indifferenza. Era uno di quei momenti: quelli in cui si sentiva al di sotto degli altri due. Chiunque, vedendo la situazione dall'esterno, avrebbe creduto che Raphael sapeva come gestire Michael e Gabriel; si sarebbe detto che il guaritore era una specie di mediatore, colui che riusciva a placare le ben più facilmente infiammabili anime dei suoi colleghi. Ma non era sempre così.

Certo, c'erano volte in cui il guaritore riusciva a portare ragionamento laddove ansia, rabbia e frenesia prevalevano. Subito dopo, però, c'erano volte in cui le ferite che avrebbe dovuto curare sembravano voragini dorate, e l'amore che avrebbe dovuto proteggere assomigliava ad una scintilla lontana che pochi umani provavano davvero. Volte in cui i suoi interventi si volatilizzavano, lasciandolo senza opzioni.

E adesso che l'Inferno aveva architettato un piano subdolo, un piano che loro avrebbero dovuto scoprire e fermare, lui era costretto in quella torre d'avorio, mentre gli altri due andavano a fomentare l'ennesimo, inutile scontro.

Smise di ascoltare Michael e Gabriel, i quali si erano messi a confabulare e sputarsi contro. Gli urlarono qualcosa che accolse con uno sguardo stoico ma ovviamente contrariato. Nessuno dei due ci fece caso mentre volavano via.


Raphael si rimise a guardare le voluttuose nuvole del Paradiso. Erano così bianche, così pure, mentre loro erano così sporchi dentro, così stupidi... Anzi, no, gli altri lo erano. Lui, grazie a Dio, faceva ancora il suo lavoro come si doveva.

Già, Dio.

    Alzando un po' lo sguardo verso il cielo, il guaritore strinse appena i pugni. «Non sei stufa?» Le chiese. «Hai davvero intenzione di lasciarli fare?»

Ovviamente, rispose solo il silenzio.

Non esattamente contrariato - aveva smesso di esserlo, ormai. I silenzi di Dio erano prassi - Raphael uscì a sua volta. Scese le scale senza rivolgere né sguardi, né saluti. Semplicemente, uscì dalla fortezza e raggiunse l'Eden.

Ovviamente, Gabriel non si era preoccupato di raccogliere la spada di Aziraphale, la quale era ancora nell'erba, spenta come una candela lasciata al vento. Ma Raphael era attento ai dettagli: così abituato a individuare anche i più piccoli graffi da sapere come indagare. Stavolta non stava cercando crepe in un'aurea, né strappi tra i tessuti di un muscolo, ma risposte.

Nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden da solo, disarmato e con nessuna intenzione di uccidere. Le volte che era stato sulla Terra ne erano la prova: l'altro lato era paragonabile ad una creatura strisciante pronta a a sbranare, e quel singolo paragone gli fece tornare in mente un fatto interessante.

Prima Gabriel, poi Aziraphale: stesse ferite, stessa modalità, come lui stesso aveva evinto. L'Inferno aveva dalla sua un infiltrato degno di nota, a quanto pareva; qualcuno abbastanza bravo da oltrepassare il muro o - e quella sembrava l'opzione più semplice - abbastanza bravo da fregare Aziraphale.

O magari entrambe le cose.


Continuando ad osservare i verdissimi fili d'erba, intanto che la sua mente rimuginava, Raphael notò un indizio importante in quella piccola scena del crimine. Si avvicinò un po' di più alla base del melo che gettava un'ombra delicata sopra il suo capo, e proprio lì, quasi invisibile sotto a un gruppetto di fiori colorati, trovò una piuma. Era nera come la notte senza stelle, quasi bluastra alla luce del giorno. Il solo prenderla con i polpastrelli fece scendere un pizzicore lungo le dita dell'Arcangelo, il quale si limitò a fissarla attentamente, come se studiarla gli avesse rivelato tutto ciò che voleva sapere.

Le ali erano sempre la prima cosa che controllava quando curava gli altri angeli: erano delicate, soprattutto vicino alle scapole. Strapazzarle troppo poteva essere pericoloso, e un angelo - o un demone, per quel che conta - impossibilitato a volare era decisamente morto. Inoltre, le piume dicevano molto del loro proprietario, e perderle era solitamente segno di un'emozione forte e negativa. Il demone in questione doveva aver decisamente avuto paura.

Eppure qualcosa non quadrava. Aziraphale era indubbiamente ingenuo, ma non poteva esserlo al punto da non aver reagito ad un infiltrato. In fondo, la volta prima era stato trascinato in infermeria perché era pieno di graffi e ustioni; perciò allora doveva aver attaccato, giusto?

E quindi cos'era andato storto, stavolta?

Il pizzicore alle dita si era già fatto insopportabile. Raphael si cacciò la piuma in una tasca che fino ad un secondo prima non c'era e andò a raccogliere la spada: era bella lucida, la lama ancora dritta e immacolata; un'arma che non aveva mai visto battaglia. Un'arma che non aveva mai trafitto né anche solo graffiato un demone.

Perché? Perché avere a disposizione un mezzo per difendersi al meglio e non usarlo? Che Aziraphale fosse violento o no, la paura può far fare cose impossibili, così come il mero spirito di conservazione.

La situazione era molto più strana del previsto, molto più ombrosa e con molte più sfaccettature di quelle che Raphael si sarebbe aspettato. Almeno adesso aveva qualcosa a cui pensare intanto che aspettava di raccogliere i rimasugli della battaglia, la prima delle tante, sicuramente. Conoscendo i suoi due colleghi, il guaritore sapeva che Aziraphale sarebbe diventato una scusa, dal momento che a nessuno sembrava importare davvero granché.

Intanto, però, l'oriente restava vuoto. Un pezzo di Paradiso era già stato sradicato.

Era solo questione di tempo.

Nell'aria crepitava il cambiamento, e bruciava peggio della piuma nella tasca di Raphael. Mentre faceva dietrofront, tornando al suo posto, l'Arcangelo si disse che avevano tutti bisogno di un approccio differente e che qualcuno doveva muovere i primi passi per ottenerlo.

Nel bene o nel male.


~•°•~


Un piano non c'era.

O meglio, forse c'era ma Anathema non lo aveva spiegato. Aveva semplicemente afferrato un borsone, iniziando a ficcarci dentro libri e altri oggetti che Aziraphale non avrebbe saputo identificare. Non gli era nemmeno stato permesso di darle una mano quando il carico aveva iniziato a farsi più pesante, dato che - a detta dell'umana - sarebbe stato molto meglio per lui rimanere calmo e seduto il più possibile.

A Crowley non era nemmeno servito dirlo. Era rimasto sul letto, lo sguardo rivolto verso il vuoto, le braccia incrociate e le ciocche rossastre sparse sul materasso. Ogni tanto l'angelo tornava a guardarlo e, tutte le volte che lo faceva, il suo sguardo veniva ricambiato da quelle iridi serie e dorate. Si stavano controllando a vicenda, anche se nessuno dei due si era anche solo azzardato a dare una sbirciata all'aura dell'altro.

Una cosa era certa: se ci avesse provato, Aziraphale avrebbe notato il filo invisibile che collegava il demone e la giovane; la prova di qualcosa che aveva iniziato a sospettare da quando aveva realizzato il modo automatico e immediato in cui Anathema eseguiva tutti gli ordini dell'altro. Era orribile, ma si trovava nel lato maligno e oscuro della Terra, quindi da quelle parti era assolutamente normale - forse.

Si chiese quali altre cose avrebbe notato. Non era molto contento di ammetterlo, ma Crowley lo incuriosiva: c'erano parecchie cose che non quadravano in lui, da semplici sfaccettature a pezzi interi del suo caotico essere. Non avrebbe saputo spiegarlo, né - ma questo ormai accadeva spesso - avrebbe saputo dire se fosse o meno una buona cosa.

    «Bene, ho tutto,» annunciò Anathema, interrompendo quello strano tipo di contatto, l'unico che potevano avere. Poi si avvicinò al letto, stendendo un braccio: «Dai, scansafatiche, sali su.»

    Crowley sbuffò: «Non sono l'unico a non fare niente, qui,» lamentò intanto che tornava ad essere la strisciante e malmessa sciarpa di Anathema. Il modo repentino e fluido in cui lo faceva aveva lasciato Aziraphale sbigottito la primissima volta. Magari era una capacità comune ed era lui quello mal informato... Certo che erano tante, anche troppe, le cose che non sapeva.

    «Tu non sei educato e carino, fattene una ragione,» rimbeccò la giovane, rivolgendo all'angelo uno sguardo mimicamente esasperato.

Questi non poté che sorridere, soprattutto quando tutto quello che Crowley riuscì a rispondere fu una serie di increduli ed offesi ammassi di consonanti. Incredibile ma vero, per quanto assurda, quella era l'interazione più genuina che Aziraphale avesse mai visto.

    Alzandosi con calma - e accettando la mano di Anathema per pura educazione, dal momento che stava decisamente meglio rispetto a prima - l'angelo chiese: «Quindi, dove stiamo andando?»

Perché era ovvio che stessero andando da qualche parte, il che bastava a fargli venire i brividi: gironzolare come nulla fosse in quel luogo in cui la sola aria lo faceva sentire strano non era la migliore delle ipotesi.

    Abbassando la voce, la ragazza gli fece segno di seguirla fuori dalla stanza: «Ti ho accennato la Zona Mediatrice, no? Beh, è l'unico posto sicuro che conosco, oltre che l'unico dove possiamo parlare senza il rischio di essere scoperti.»

    Mentre parlava, andò ad afferrare un fitto mazzo di chiavi. Fu allora che Crowley alzò un po' la testa, affondando nuovamente lo sguardo in quello di Aziraphale. «Vedila come una specie di avamposto segreto di disertori

Pronunciò quella parola con un tono decisamente più velenoso del resto della frase. L'intento colpì l'altro quasi immediatamente: gli stava facendo capire che stava per andare contro le regole del Paradiso, cosa che sarebbe risultata inaccettabile agli occhi di qualsiasi creatura celeste al servizio del Signore. Aziraphale compreso, dal momento che sì: sentì effettivamente un'ondata d'ansia smangiucchiargli l'aura. Se lo avessero scoperto gli Arcangeli, gli avrebbero decisamente tagliato le ali - con la sua stessa spada, per giunta.

Anathema stava già per ribattere, ma bastò un movimento da parte del demone perché la sua bocca si richiudesse da sola. Quel leggero schiocco di coda racchiudeva in sé un chiaro e conciso: "Voglio vedere come reagisce".

    Così Aziraphale decise di ricacciare indietro il pensiero e rigirare la situazione: «Ci sei già stato?» Chiese, sviando da un qualsiasi parere personale sulla questione.

    A Crowley la cosa non piacque, e si poteva vedere dal modo in cui si era attorcigliato più stretto attorno alle spalle della giovane, la quale stavolta riuscì a intervenire in tempo. «No, gliel'ho solo raccontato. Ti metterò al corrente, tranquillo.»

Con grande sorpresa di Aziraphale, non uscirono dalla casa, bensì si avviarono verso una porticina ben in vista sulla parete opposta all'entrata. Due giri di chiave e si ritrovarono in un magazzino zeppo di oggetti, alcuni dei quali l'angelo non avrebbe saputo nominare - ed era già la seconda volta che succedeva, si disse. Avrebbe voluto poter approfondire la questione. Anche lì il senso di oppressione sembrava volerlo spingere verso il suolo, unendosi a quella che sarebbe tranquillamente potuta diventare una fobia: il buio. Comprensibile, dato che Aziraphale si rese conto di non averlo quasi mai visto. Si chiese come chiunque potesse viverci in mezzo senza impazzire.

    «Dì un po',» disse Crowley ad Anathema, iniziando a scivolare giù dal suo braccio, «hai strane botole nascoste anche qui?»

    L'altra scosse la testa: «No, ho molto di meglio.»

Il demone emise un solo: "mh", tornando alla forma solita e iniziando a far girare lo sguardo tra gli angoli polverosi e le ragnatele. Era così concentrato a curiosare che per poco non andò a sbattere contro la giovane quando questa si fermò davanti ad una libreria vuota, malandata e senza uno scaffale. La spostò con una facilità disarmante per una con la sua corporatura, rivelando un'ulteriore porta, più piccola della precedente e decisamente più rovinata.

    Sia Aziraphale che Crowley sbarrarono gli occhi e, seppur per un attimo, si scambiarono uno sguardo stralunato. Fu il rosso a dar voce alla domanda alla quale entrambi stavano pensando: «Quant'è grande 'sto posto?»

    Anathema sembrava quasi divertita: «Più di quel che sembra. Tu dovresti saperne qualcosa.»

Aziraphale avrebbe voluto fare tante di quelle domande, ma si limitò a fissare gli altri due mentre si davano dei subdoli a vicenda. Avrebbe voluto dire che era quella loro caratteristica a farli andare d'accordo, più o meno. Quando la giovane aprì la porta, sentì invece un moto di paura non indifferente: era come se quell'uscio fosse il confine invisibile tra lo scomodo comfort del suo mondo e la profezia che ancora gli scorreva in testa, parola per parola. 

Si chiese cosa stesse facendo. Non trovò una risposta precisa, o meglio, sapeva di avere una possibilità tra le mani: se davvero lui poteva essere un tassello importante per la salvezza dell'umanità, tanto valeva provare invece che girovagare avanti indietro per un muro.

    C'era un solo problema, però. Il problema aspettò che Anathema entrasse, prima di girarsi verso di lui, uno sguardo furbetto sul viso: «Paura?»

    Aziraphale sbuffò: «Tu no?»

    L'altro alzò un sopracciglio: «Ti ricordo che sono al servizio di Satana: questo è niente a confronto.»

    L'angelo gli passò davanti - forse per ripicca, non avrebbe saputo dirlo. «No, tu eri al servizio di Satana.»

Non si voltò nemmeno per osservare la reazione di Crowley, anche perché la sua attenzione venne attratta da qualcosa che per poco non lo fece retrocedere. Anzi, retrocedette abbastanza da sfiorare l'altro e allontanarsi al primo pizzicore; azione che passò quasi innoservata dinnanzi a ciò che si era palesato davanti a loro.

    Di nuovo, fu il demone a parlare per entrambi: «Tu sei pazza se pensi che io voglia mettere piede lì dentro,» disse, indicando il cerchio disegnato sul pavimento.


C'erano sì delle cose che accomunavano angeli e demoni, ed erano tutte assolutamente negative. Una di queste erano le evocazioni: stile differente, stesso principio. Gli angeli se la cavavano meglio, dal momento che ormai era diventata prassi nel loro regno essere chiamati tramite preghiere. Ovviamente, i demoni non avrebbero potuto dire la stessa cosa, dato che un cerchio ben disegnato e due parole ben pronunciate avrebbero potuto strapparli via da qualsiasi cosa stessero facendo e trasportarli altrove. La nota positiva era che, nella grande maggioranza dei casi, gli umani che provavano a fare una cosa del genere finivano all'Inferno prima del tempo. 

Quegli stessi cerchi erano rimasti nelle conoscenze comuni di tutti gli umani, ma nessuno li usava mai - o mai con leggerezza, o un motivo ben preciso. Gli angeli avevano provato a utilizzarli come mezzo di comunicazione, ma anche lì era più semplice che uno di loro si prendesse la briga di tornare in Paradiso a riferire ciò che doveva. Il perché era semplice: sbagliare a disegnarli era facile, soprattutto per un mortale distratto e nel disperato bisogno di comunicare con una creatura occulta - o eterea che dir si voglia. I simboli cambiavano a seconda dello scopo e del mittente, e ce n'erano tanti - addirittura troppi. Una volta attivi, non sapevi mai che cosa ne sarebbe uscito fuori o finito dentro, in poche parole: erano affascinanti ma scomodi.

Eppure il cerchio nella stanza ancor più sul retro della stanza sul retro di Anathema brillava, attivo, pronto all'uso come fosse assolutamente normale.

    La giovane sospirò: «Ti fidi davvero così poco?»

Inutile dire che quelle parole sfociarono in un altro battibecco. Aziraphale lo mise in secondo piano, iniziando a fissare il disegno con attenzione: la circonferenza era segnata da simboli familiari, alcuni dei quali brillavano persino in alcuni punti della fortezza celeste. In mezzo ad essi, però, spiccavano anche segni dritti, duri, dalle linee spezzate che gli facevano venire i brividi; simboli che non riconosceva. Nonostante ciò, si rese conto che il tutto si mescolava perfettamente, unendosi in un unico, coeso e perfetto cerchio inciso nella roccia del pavimento.

Interessante.

Senza far caso agli altri due, mosse qualche passo e andò a piazzarcisi in mezzo. Udì Anathema dire qualcosa come: "Vedi? Lui è intelligente", ma l'ultima cosa che vide furono gli occhi di Crowley che lo fissavano, di nuovo.

Duri, seri, vagamente contrariati.

E stupiti.

Come facessero ad esprimere tutte quelle cose insieme, l'angelo non lo sapeva, ma non fece in tempo a pensarci.


Ci fu una breve luce e nient'altro. Né un pizzicore, né un dolore, niente. Fu anche incredibilmente rapido e Aziraphale tirò un sospiro di sollievo nel vedere che era di nuovo alla luce del sole, circondato da un folto ed esteso gruppo di alberi. Persino la pressione nell'aria era sparita, e un leggero venticello andava infilandosi tra le piume delle sue ali e i riccioli dei suoi capelli. Sotto di lui, la copia carbone del cerchio nel quale si era infilato pulsava lievemente.

Si stava particolarmente bene lì, ovunque fosse "".

    «Wow,» lo sorprese una vocina, «allora è vero.»

Aziraphale aggrottò appena le sopracciglia e si girò. Davanti a lui c'era una ragazzina: doveva avere sì e no nove anni, undici al massimo. Aveva la pelle scura e finissimi, riccissimi, capelli neri. Lo fissava sgranocchiando una mela, un sorriso trionfante in faccia.

    Le sorrise appena: «Ciao,» la salutò, non sapendo se e come dire qualcos'altro. I piccoli umani erano un mistero per lui - tra le tante cose. Ogni tanto li osservava rincorrersi, sempre felici, sempre spensierati, andando di qua e là, seguendo regole tutte loro.

    L'altra buttò il torsolo nell'erba, finendo di masticare: «Ehilà, belle ali.»

    Aziraphale avrebbe volentieri ringraziato, ma venne spostato di lato dall'arrivo di un alquanto confuso e poco convinto Crowley, il quale - dopo averlo schivato per un soffio - si mise a sua volta a guardarsi intorno. «Va bene,» disse poi, «Pensavo peggio.»

    La ragazzina si voltò subito verso un punto imprecisato alle sue spalle, mise le mani davanti alla bocca ed esclamò: «Potete uscire!»

    Da dietro un albero poco più in là sbucarono due testoline, e due ragazzini da volti confusi uscirono dal loro nascondiglio, piazzandosi a distanza di sicurezza dal cerchio. Uno di loro, sistemandosi gli occhialetti sul naso, fece mezzo passo indietro: «Non è che ci mangiano o inceneriscono, vero?»

    L'altro, vestiti e faccia sporchi di fango, disse semplicemente: «Woah,» l'espressione di chi ha appena fatto una scoperta sorprendente.

    Tra Crowley e Aziraphale, comparve Anathema, la quale non ebbe nemmeno bisogno di riprendersi che già si era incamminata. «Ciao ragazzi,» disse ai bambini. «Che ci fate qui?» Chiese poi, fermandosi davanti a loro con aria di rimprovero.

    «Ci hanno detto che potevamo,» affermò la ragazzina.

    «Non è vero!» Rimbeccò quello con gli occhiali. «Io non ci volevo venire!» E tanto bastò per beccarsi una gomitata dal suo compagno, oltre che un sonoro: "Spione!" Da parte dell'amica, ora particolarmente arrabbiata. 

Accanto a lui, Aziraphale sentì Crowley accennare una risata. Una risatina incredibilmente, stranamente, assurdamente sincera. Quando si voltò a guardarlo, però, questi lo aveva fissato con la coda nell'occhio e - con una punta di ovvio imbarazzo - aveva messo per la prima volta fine a al loro contatto.


    «Va bene, va bene,» aveva iniziato a dire Anathema per calmare il gruppetto. «Su, andiamo». Aveva lasciato andare avanti i più piccoli e aveva aspettato che gli altri due la raggiungessero.

    «Esattamente,» iniziò a chiedere Aziraphale, in fondo alla fila, «dove siamo?»

    «Da qualche parte in mezzo al Confine,» spiegò la giovane, «è una zona grigia, zona franca, chiamatela come preferite. Paradiso e Inferno non esistono qui.»

Forse era per quello che c'era quell'aria particolare, si disse l'angelo. Davanti a lui, Crowley si rigirava in continuazione, scandagliando le cime degli alberi come se volesse trovarvi qualcosa. Lo stava volutamente evitando, quando fino a poco prima sembrava volerlo tartassare apposta. Lì gatta ci covava.

Smise presto di preoccuparsene, però, dato che lentamente la foresta iniziò a diradarsi, dando spazio alla campagna. Subito dopo di questa, si stagliava all'orizzonte un piccolo villaggio. Vederlo lì, ergersi nonostante la posizione, nonostante tutto, lo fece bloccare per un attimo.

Era ufficiale, allora, si disse senza sapere quale emozione stesse provando in quel momento.

Non si torna indietro.

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Capitolo 7
*** Sotto la pioggia ***


Il vecchio si era alzato e li stava squadrando a turni, uno sguardo assassino negli occhi. Passava da lui a Crowley, da Crowley tornava a lui e, mentre il demone sembrava più stranito che altro - un sopracciglio inarcato e uno aggrottato in un silenzioso: "Questo qui ha due rotelle fuori posto" - Aziraphale era vagamente inquietato.


    Arrivare fin lì era stato ancor più strano. Per tutto il tragitto, la bambina aveva continuato a saltellargli attorno, incuriosita. «Sembri simpatico,» aveva affermato. «Vengo dal tuo lato, ma l'ultima volta che ho visto un angelo ero troppo piccola e non ricordo granché.»

    Aziraphale aveva sorriso appena: «Davvero? E come sei arrivata qui?»

    «Mia mamma si è messa d'accordo con le mamme di Brian e Wensleydale,» spiegò indicando i suoi due amici, prima quello sporco di fango - che invece si era particolarmente interessato a Crowley - e poi quello che era rimasto fermamente ancorato al fianco di Anathema. «Non so bene come sapessero di questo posto. Gli adulti non ci dicono mai niente. È per questo che ficchiamo il naso ovunque e scopriamo sempre tutto da soli». Pronunciò le ultime parole aggrottando le sopracciglia e incrociando le braccia, stizzita. Poi, come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa, si rilassò di nuovo e disse: «Oh, io sono Pepper.»

Pepper dava davvero onore al suo nome - o soprannome che fosse. Era decisamente frizzante, una gran chiacchierina con l'aria intelligente da combinaguai professionista. Era ovvio che fosse lei il capo del trio.

    Brian non era da meno. Mentre seguiva i discorsi della bambina, Aziraphale aveva osservato come lui e Crowley si fossero messi a parlare a loro volta, e di come le espressioni del demone fossero spesso passate dal farsi incuriosite al farsi furbette. Brian, però, non pareva spaventato, anzi: era assolutamente rapito. Continuava a rivolgersi al suo amichetto più avanti, esclamando cose come: «Hai sentito, Wensley? Sa trasformarsi in un serpente!» E, puntualmente, il ragazzino con gli occhiali andava a stringersi ad Anathema con l'aria poco convinta.

Alla fine, tra il chiacchiericcio di Pepper e quello di Brian, Aziraphale e Crowley erano arrivati a capire i concetti fondamentali: la Zona Mediatrice era composta da un villaggio costruito nel corso del tempo da persone che, come Anathema e i genitori dei ragazzini, si erano stufate di appartenere ad una fazione di esseri sovrannaturali che le costringevano a farsi la guerra di continuo - e qui nessuno dei due ebbe da ridire. Come Anathema stessa aveva poi affermato: erano davvero in pochi a sapere della sua esistenza e che, per evitare eventuali sospetti, nessuno vi rimaneva mai in pianta stabile per più di due settimane consecutive. Sapeva tanto di avamposto ribelle, come Crowley aveva già detto; avamposto in cui Anathema era uno dei pezzi forti - cosa che non stupì l'angelo più di tanto, date le conoscenze della giovane.

Un'altra cosa che divenne ovviamente palpabile quando arrivarono alle prime abitazioni, fu che nessun angelo e nessun demone aveva mai messo piede da quelle parti. Aziraphale sentì tanti occhietti stupiti piantarglisi addosso, così come notò il timore nei volti di chi, invece, si metteva a guardare Crowley indietreggiando di due passi almeno. Non che qualcuno dei due si fosse aspettato una reazione differente, né sapevano quanto la storia della profezia si fosse diffusa, ma fece comunque un certo effetto.

Liberarsi dalla folla e dal brusio per dirigersi verso un adorabile cottage lontano dal centro fu come tirare un sospiro di sollievo, almeno per Aziraphale. Peccato che la sensazione fosse destinata a durare davvero molto poco.


Li avevano fatti sedere attorno al tavolo di una piccola ma ordinata cucina. Alla loro sinistra, ad un tavolo più piccolo, i ragazzini stavano facendo allegramente merenda con la stessa cosa che Aziraphale si era ritrovato davanti, ma che ancora non aveva avuto il tempo di analizzare - dato lo sguardo saettante che ancora si ritrovava addosso.

    In suo soccorso venne la stessa donna - anch'essa non esattamente giovane, per quanto graziosa e ben vestita - che li aveva accolti qualche minuto prima con un sorriso sulle labbra e una curiosità non da poco negli occhi, occupandosi prima dei più piccoli con lo stesso fare di una zietta amorevole, e poi dei suoi inusuali ospiti. «Caro, così li spaventi,» disse calma a quello che, presumibilmente, doveva essere suo marito o compagno. 

    L'uomo tornò lentamente a sedere, ma gli ci volle un po' prima di interrompere quel quasi violento contatto visivo. «Bah, profezia o no,» sputò, portandosi una tazzina alle labbra circondate dalla barba ispida, «questi due non mi piacciono proprio.»

    Alla sua sinistra, Aziraphale poté sentire Crowley scivolare ulteriormente contro lo schienale della sedia e sibilare un lieve: «La cosa è reciproca,» per poi allontanare il piattino d'innanzi a sé con un dito, l'espressione poco convinta di chi non si fida proprio per niente di chi ha davanti.

    «Oh, a me sì, invece» rimbeccò la signora rivolgendo prima uno sguardo di rimprovero al compagno, poi un sorriso a tutti i presenti, specialmente ad Anathema - la quale si era messa a sorseggiare, evidentemente divertita dalla situazione. 

Fu proprio la giovane a sbrigare i convenevoli. Si trovavano in quello che poteva essere considerato il quartier generale della Zona Mediatrice, attorniati da altri pezzi forti come lei. Le presentazioni furono brevi: accanto alla giovane c'era un ragazzo della sua stessa età, un certo Newton, con il volto di chi ha troppe domande e fin troppa paura di farle. A quanto pareva, era lui che si occupava delle comunicazioni ed era lì perché aveva seguito a ruota l'altra. Quando erano arrivati, Aziraphale aveva subito notato il modo tenero e non solo confidenziale con il quale Anathema lo aveva abbracciato. Aveva fatto due più due, ed era arrivato alla conclusione che il: "mio caro" delle lettere doveva essere lui. D'altronde veniva dal suo lato, a differenza del vecchio Shadwell e di Tracy, entrambi parte del Regno del Male. Come l'angelo aveva intuito, anche loro erano una coppia - un'inusuale coppia, d'altronde. Si chiese come una dolce e disponibile come Tracy potesse stare con quel tipo inquietante, ma decise che sarebbe stato più opportuno farsi i fatti propri almeno su quel punto. In ogni caso, lui era stato un generale nell'esercito umano a servizio dell'Inferno. Aveva combattuto fino a logorarsi e capire che le battaglie erano inutili; così aveva cambiato causa e trovato un luogo più sicuro per se stesso e Tracy - che, così come Newton con Anathema, aveva seguito l'amore della sua vita alla ricerca di un futuro diverso.

Quando Anathema passò a mettere al corrente i suoi tre colleghi degli eventi recenti, Aziraphale decise di concentrarsi su ciò che aveva davanti. La tazzina bianca e rotonda sul suo piattino fumava di quello che aveva riconosciuto come tè. Non se ne stupì: gli umani della sua fazione lo bevevano di continuo e sgranocchiavano gli stessi biscotti che se ne stavano ordinatamente poggiati sul bordo del piattino. Ce n'erano tre, tutti diversi. Ne scelse uno, prendendolo tra le dita e rimirandolo come fosse la cosa più strana mai creata da mente umana. Diede un'occhiata ai ragazzini - troppo concitati a mandare avanti le loro stesse conversazioni per ascoltare quella degli adulti - e si disse che se li mangiavano loro, tanto male non potevano essere, no?

Non aveva mai mangiato niente in vita sua. In realtà, non aveva neanche mai bevuto niente in vita sua. A dirla tutta: non aveva mai fatto nulla di veramente interessante in vita sua, e la cosa iniziava a dargli un po' fastidio. Cos'è che aveva sentito dire? Che se sei in ballo tanto vale ballare? Forse significava proprio quello. Ormai era lì, infilato nella diserzione fino al collo: se il Paradiso avesse avuto qualcosa da ridire, nel peggiore dei casi gliel'avrebbe detta. 

Così mordicchiò il biscotto che aveva in mano, staccandone giusto un pezzettino e mimando ciò che aveva visto fare. Dovette fermarsi a metà masticazione perché, qualsiasi cosa ci fosse dentro a quel cosino rotondo, era incredibilmente buona. Sbarrò gli occhietti azzurri, puntandoli nel vuoto, concentrandosi su qualsiasi cosa stesse succedendo nella sua bocca e chiedendosi come facessero gli umani a considerarla una cosa normale. Non era normale, era pazzesco e-

    «Ehi, ehi, woah!» esclamò Crowley, interrompendo quel momento di meraviglia. Si stava schermando il volto con una mano, la testa incassata nelle spalle. «Abbassa la luce, mi stai accecando.»

    Veloce come un fulmine, Aziraphale rimise il biscotto sul piatto, deglutì il boccone e si mise a fissare il pavimento. L'imbarazzo se lo stava già mangiando e tanto bastò a placare la sua aurea. «Scusa,» bofonchiò, torturandosi le dita.

    Ci furono due secondi di silenzio, poi un sussulto: «Ti piacciono?» chiese Tracy con evidente entusiasmo. Bastò quello a convincere Aziraphale a guardarla: aveva una mano sul petto ed una sulla guancia. «Li ho fatti io, sai.»

    Shadwell la guardò storto: «Ma piantala, donna. Gli angeli non mangiano biscotti.»

In effetti era vero. Forse sarebbe stato decisamente meglio non farlo più, si disse Aziraphale, le mani ora occupate a torturare la stoffa candida dei suoi abiti.

Tra i due più anziani si accese una serie di: "Suvvia, che male vuoi che gli facciano", seguiti da duri: ”Non lo fanno e basta, ti dico!”. Cose del genere.

    L'angelo tornò a guardare altrove, chiedendosi cosa gli fosse passato per la testa. Furono dei passetti incerti a riportarlo alla realtà, e davanti a lui comparve la magra figurina di Wensleydale. Aveva in mano un tovagliolo nel quale erano avvolti un altro po' di biscotti, ancora diversi da quelli che aveva visto sul suo piatto. «Tieni,» gli disse senza guardarlo. Alcuni sussurri suggerirono che i suoi amici stavano facendo il tifo per lui, e che probabilmente non era stato facile convincerlo ad avvicinarsi. «Sono i miei preferiti,» continuò. «Puoi averne uno, visto che ti piacciono.»

È difficile declinare un'offerta dolce come quella, soprattutto se te la fa un bambino. Aziraphale se ne rese conto nel migliore dei modi, e il fatto che fosse stato Wensley a toglierlo dall'imbarazzo rese il tutto più normale, ovvio e tranquillo, dato che qualsiasi altro umano lì dentro avrebbe fatto lo stesso. Stavolta, però, mentre si gustava un bocconcino ancora più buono del precedente, tenne la sua luminosa e decisamente poco subdola aura a bada. Ciò non la fece comunque passare inosservata.

    «Beh, di sicuro si illumina parecchio,» disse Newton, che fino ad allora aveva fatto giusto qualche commento sporadico. 

    «Te l'ho detto,» rispose Anathema con una punta d'orgoglio. «Abbiamo la nostra Luce.»

L'aria stessa parve alleggerirsi appena. Pepper e Brian riaccolsero Wensley al tavolo come fosse un eroe tornato da un'importante e pericolosa missione, Shadwell smise di borbottare - ma rimase crucciato, irremovibile come un muro nelle sue convinzioni - e in quanto a Crowley, Aziraphale si rese conto che era tornato a fissarlo con quello sguardo indecifrabile che andava dallo stupito allo stranito. Sbatté persino le palpebre un paio di volte e, per la prima volta durante uno di quei taciti contatti, l'angelo fu ad un non nulla da voler scoprire cosa si celasse davvero dietro quell'aura a lui preclusa. Non era più un semplice tenersi d'occhio, si rese conto, era un volerne sapere di più.

E quella non era per niente una buona cosa. Giusto?


Il cielo si fece più scuro e plumbeo, e l'aria si intrise dell'odore della pioggia imminente. I ragazzini vennero spediti a casa con un sacchetto di leccornie ciascuno, mentre gli adulti iniziavano seriamente a rimuginare sulla profezia.

    Newton aveva fatto una breve lista delle cose che sembravano più importanti, insieme a tutte le notizie che aveva raccolto sia da Anathema che da altri umani nel suo lato di origine. In poche parole, lui era quello che teneva sott'occhio tutto ciò che veniva riferito da entrambe le fazioni alla Zona Mediatrice e, come già era stato accennato, le comunicava a chi di dovere - principalmente Shadwell e Tracy, ma anche altre persone di fiducia. «È difficile decidere di chi fidarsi,» aveva detto mentre metteva sul tavolo uno dei tanti fogli che si portava dietro, raccolti in dei disordinati plichi. «Abbiamo sempre paura che qualcuno possa tradirci, o peggio.»

Inutile dire che il vecchio aveva preso quell'affermazione come un modo per sottolineare che un angelo e un demone ci avrebbero messo un attimo a riferire il tutto ai loro quartier generali, se avessero voluto. Che non si fidasse era già abbastanza ovvio, e qualcosa disse ad Aziraphale che non si sarebbe mai fidato davvero.

Dalla lista vennero spuntate tre voci: "la Luce alata" e quindi l'angelo stesso, “la bestia dell'Eden” ovvero Crowley, che era rimasto in un silenzio quasi preoccupante - e Aziraphale poteva ancora sentire il suo sguardo aleggiargli addosso; e infine "la fiamma".

    «Ed è abbastanza ovvio,» iniziò Anathema con un sospiro, «che su questo punto abbiamo un problema». Tirò un'occhiataccia a Crowley, la quale spostò tutte le attenzioni direttamente su di lui.

    Avere cinque paia di occhi addosso fu abbastanza da farlo saltare sulla sedia. «Non sono io quello che se l'è fatta sfuggire dalle mani!»

    «L'hai preso per il polso, Crowley. Cos'avrebbe dovuto fare secondo te?»

Fu come accendere una miccia. Newton, che si trovava proprio in mezzo a Crowley e Anathema, si strinse nelle spalle senza sapere bene da che parte farsi. Aveva iniziato a giocherellare nervosamente con l'angolo consunto di uno dei suoi fogli, come se ciò bastasse ad eclissarlo.

Dall'altro lato del tavolo, gli anziani si misero di nuovo a battibeccare, con Shadwell sul piede di guerra ("Visto? Sono degli incapaci! Io lo sapevo!") e la sua compagna che cercava di placarlo con una punta - minuscola, ma perfettamente udibile - di esasperazione. 

    Aziraphale, dal canto suo, avrebbe voluto sparire a sua volta - per l'ennesima volta nel giro di un pomeriggio e di una mezza sera. Perché la verità era solo una, e lo sapeva bene: «Ha ragione. È colpa mia.»

Quelle due frasi fecero smettere di botto il chiacchiericcio.

Avrebbe voluto dire di più, tipo che non la usava mai quella spada, che la detestava, che l'avrebbe volentieri data via se avesse potuto, che ce l'aveva solo perché doveva tenerla con sé e che comunque non avrebbe saputo bene come usarla - anche se aveva più volte provato ad immaginarlo. In sostanza: era stato lui a mollarla quando Crowley lo aveva tirato fuori dall'Eden a forza. Un angelo come si deve l'avrebbe tenuta stretta e l'avrebbe usata per staccare il polso del demone di netto. Ma lui non era un angelo come si deve.

E ora, dal nulla, il mondo intero sembrava gravargli addosso. Anzi: era effettivamente così, dato il suo ruolo in quelle profetiche righe che ormai sapeva a memoria, tante volte la sua mente le aveva ripetute. Non era tanto sicuro di quello che stava facendo, anzi: non lo era per niente, non lo era mai stato.

    Fu Tracy a rompere il silenzio: «Suvvia, ci sarà pur un modo per recuperarla.»

A rigor di logica, era rimasta in Paradiso. Sicuramente ce l'aveva uno degli arcangeli e Aziraphale si disse che doveva essere o Michael o Gabriel per forza di cose. In poche parole: era irrecuperabile.

    Fu Anathema a parlare per lui: «Non dovrebbe essere difficile trovare una scusa e farlo tornare in Paradiso. Se escogitiamo un buon piano sarà facile recuperarla.»

    Poteva essere una buona idea, ma andava affinata nei più minimi particolari... Aziraphale se ne rendeva perfettamente conto, così come chiunque. Shadwell parve rendersene fin troppo conto, in realtà. Si alzò bruscamente, un sospiro seccato: «Basta. Me ne tiro fuori. Questi due ci manderanno in rovina!» Esclamò, iniziando a prendere la porta d'ingresso.

Dai sospiri degli altri umani presenti, l'angelo capì che doveva essere un comportamento normale da parte sua. Eppure lo fece sentire ancora più in colpa.


~•°•~


La serata era stata un buco nell'acqua, pensò Crowley guardando il suo riflesso nello specchio con aria di evidente soddisfazione. Era nella camera al piano superiore del cottage dove la loro riunione si era prolungata fino all'arrivo della notte. Subito dopo, Tracy aveva preso sia lui che Aziraphale per un braccio, felice come una pasqua, e aveva iniziato a trafficare dentro un baule.

    Si era messa a parlottare, intanto che tirava fuori degli indumenti. «So che tecnicamente non ne avete bisogno,» aveva annunciato, «Ma stare caldi e comodi non può certo farvi male.»

Il suo compito era quello, alla fine: provvedere a far stare bene tutti nel villaggio. Mentre tagliava dei fori altezza scapole su alcune camicie, si era messa a raccontare dei lavori discutibili che aveva svolto per campare nel Regno del Male, e di quanto la Zona Mediatrice la facesse stare meglio. Crowley non se ne stupì: ce n'erano tante come lei agli angoli delle strade. L'età non era decisamente un problema e lei non doveva che aver passato la cinquantina, anche se il luogo in cui viveva l'aveva invecchiata parecchio. Era la dura e cruda realtà dei fatti. Realtà che, a quanto pareva, poteva cambiare.

Si soffiò via una ciocca dalla faccia. Beh, cambiarla non sarebbe stato facile. Gli umani della Zona Mediatrice speravano nell'indipendenza e in una realtà in cui Paradiso e Inferno non li usavano come meglio credevano. Lui, dal canto suo, aveva subito immaginato un mondo in cui nessuno, né Beel e tantomeno Satana gli rompevano le scatole - alquanto egoistica come visione, ma era pur sempre un demone. E l'angelo, beh... Bella domanda. Capire cosa gli passasse per la testa era un'impresa: prima sembrava insicuro, poi si metteva in mezzo al cerchio di sua sponte. Prima pareva che le attenzioni degli umani lo mettessero in ansia, e subito dopo accettava un biscotto.

A proposito, si disse tornando a guardare la stanza vuota. Il biondo aveva preso le cose che gli aveva dato Tracy, aveva cambiato stanza e poi se n'era andato fuori, in mezzo all'umidità e alla leggera nebbiolina che si era alzata nel frattempo. Ancora non pioveva, ma era questione di tempo.

Avevano rimandato il piano al giorno dopo e nessuno aveva ribattuto, tantomeno Crowley - aveva davvero voglia di staccare un attimo dopo quella giornata assurda. Poteva ancora sentire lo sguardo duro di Anathema martellarlo, dicendogli che era tutta colpa sua. Come poteva essere colpa sua? Cosa ne sapeva lei? Nemmeno c'era intanto che lui strisciava verso l'Eden, rischiando di venire infilzato da qualche arma angelica. 

Sbuffò, un senso di fastidio ormai annidato dentro di sé. Decise di uscire a sua volta; pazienza se il tempo non era dei migliori: quel cottage iniziava a stargli stretto.


L'aria era diversa da qualsiasi cosa avesse mai percepito. Non era pressante come quella dell'Inferno, né bruciante come quella del Paradiso; era semplicemente leggera, lieve e neutra. Già, neutra, come gli Umani lì in mezzo. Come il mondo a cui aspiravano.

C'era un gruppo di alberi dietro la casa, disposti come in una specie di boschetto privato, raccolto dentro il perimetro della proprietà. Dalla lontananza si poteva ben vedere una macchietta bianca e color crema nascosta dietro ad un tronco, il volto verso l'alto.

Forse avrebbe dovuto lasciarlo in pace. Perché avrebbe dovuto andare a parlargli, poi? Non avevano niente da dirsi. Non avrebbero mai avuto niente da dirsi. Finita quella storia non si sarebbero mai più visti, contatto o non contatto.

Certo, sempre che quella storia fosse effettivamente finita come doveva finire. Poteva la mancanza di quella benedetta spada fare la differenza nonostante la profezia e tutto il resto?

Forse è effettivamente colpa tua. Dovevi parlargli, non-

Con un verso di esasperazione, Crowley si diresse verso il boschetto. Conosceva la sua testa abbastanza da sapere che quel pensiero non lo avrebbe lasciato in pace, altrimenti. Aveva pensato all'angelo più spesso di quello che avrebbe mai ammesso, e lo aveva osservato perché non poteva farne a meno: voleva sapere. Voleva capirci qualcosa. Quell'essere era un puzzle per lui e la cosa lo intrigava, lo stupiva persino, soprattutto perché nessuno mai aveva avuto la possibilità di avvicinarsi così tanto al nemico. Perché era quello che era, no? Più o meno.

    Strisciò un po' sul tronco, raggiunse un ramo abbastanza solido e riprese la sua forma solita, facendo penzolare le gambe. «Com'è che iniziamo sempre le nostre conversazioni così?» Chiese, mimando una punta di noncuranza. «Con me su un albero e tu con la testa altrove?»

    Aziraphale si girò a guardarlo. Non parve sorpreso di vederlo lì: che lo stesse aspettando? Nah, impossibile. «Bella domanda,» disse semplicemente, un leggero sorriso sul volto. «In effetti è vero.»

Era la prima volta che non gli rivolgeva uno sguardo neutro o addirittura duro. Sembrava un po' giù di morale, però. Come biasimarlo: lui stesso aveva voluto cambiare aria.

E poi c'era stata la questione della spada. Quella che non era assolutamente colpa sua. Col cavolo che tornava in quella maledetta fortezza.

    «Tu sei strano, lo sai, vero?» Chiese, fissando come spesso faceva quelle piccole pozze azzurre. Sembrava meno pomposo e sicuramente più affabile senza quella bianchissima roba addosso. Senza le ali candide che gli spuntavano dalla schiena sarebbe sembrato persino un qualsiasi umano, forse con un'aura un po' più vibrante del normale - ma tanto quelle erano cose che notavano solo le strambe come Anathema.

    Aziraphale parve divertito da quell'affermazione: «Io, eh?»

    «Sì, tu. Il vecchio non ha tutti i torti, sai? Gli angeli non mangiano biscotti, non lasciano le loro armi in giro e non parlano con i demoni. Lasciamo perdere il modo in cui facevi la ronda sul muro.»

Sapeva bene quale sarebbe stata la risposta. Tipico angelo: avrebbe rigirato la questione su di lui. Gli avrebbe elencato tutte le cose che invece i demoni non fanno, ma stavolta aveva la risposta pronta. Una volta tanto l'avrebbe spuntata.

    «Se è per questo, non leggiamo neanche,» rispose l'altro prendendo un libro che aveva poggiato su un masso lì vicino. Crowley non se n'era neanche accorto. «Eppure eccomi qui.»

Disse le ultime parole con un sospiro e tornò a guardare in alto. Il rosso seguì lo sguardo e notò che c'era un pezzo di cielo che ancora non era stato coperto di nubi plumbee, e brillava di tante piccole e lontane stelle. All'Inferno era difficile che il grigiore sparisse, ma nella fortezza celeste la luce non se ne andava mai. Aziraphale probabilmente non aveva mai visto la notte.

Fece un balzo giù dal ramo. Atterrò non proprio cerimoniosamente, ma non lo diede a vedere. Avrebbe dovuto sentirsi infastidito dalla risposta dal momento che, per l'ennesima volta, non era andata dove voleva lui, eppure... Nah, era semplicemente troppo stanco per arrabbiarsi, tutto qui. Se si concentrava, poteva ancora sentire il palmo della sua mano formicolare.

    «Però non ti dispiace, vero?» Azzardò, incrociando le braccia e fissando la sua angelica controparte come se lo sapesse meglio di lui. «Altrimenti non saresti qui.»

    Aziraphale non dovette nemmeno pensarci, anzi, si mise a giocherellare nervosamente con le maniche della sua camicia. «Credi sia una cosa sbagliata?»

    Crowley fece una mezza smorfia: «Sai con chi stai parlando, vero? Io non so nemmeno più come si faccia la cosa giusta.»

    Sembrò che l'altro volesse ribattere in qualche modo, ma la sua bocca si richiuse da sola. Passarono alcuni secondi in cui il suo sguardo rimase fermamente ancorato a quello del demone, poi disse: «Temo di non sapere più cosa sia giusto e cosa no, a questo punto. Cambia sempre a seconda del punto di vista.»

    Quella prospettiva sembrava preoccuparlo. Crowley invece si ritrovò suo malgrado a sorridere: «Che ti aspettavi? Stiamo per incasinare tutto. Pensa se alla fine facciamo io la cosa giusta e tu quella sbagliata.»

Lo sguardo stralunato di Aziraphale parlò da sé e lo fece ridere davvero. Il poveretto non sembrava aver ben capito la situazione, o forse l'aveva capita benissimo e faceva fatica ad accettarla. In ogni caso, sarebbe stata una situazione a dir poco caotica e la cosa mandava Crowley in brodo di giuggiole. Un po' meno allettante era tutto ciò che vi stava attorno: la guerra, l'Arma, tutte le cose non spuntate nella lista di Newton.


    «Sai, stavo pensando,» riprese Aziraphale dopo aver passato qualche minuto a fissare il cielo coprirsi del tutto - e aver aspettato che l'altro smettesse di ridacchiare. «Se anche tu sei qui, devi avere i tuoi buoni motivi.»

    Crowley incrociò nuovamente le braccia: «Indovina.»

    «L'Inferno non ti piace?»

    «Non tanto la concezione in sé per sé, diciamo che la compagnia non è delle migliori.»

    «Odi i tuoi superiori.»

    «Lo dici perché per te vale lo stesso?»

Aziraphale si mise a guardare altrove, facendo volare lo sguardo tra le fronde, le dita occupate ad attorcigliarsi tra loro. Certo che andava in paranoia quando qualcuno gli faceva assaggiare la sua stessa medicina.

    Il rosso sbuffò, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi in un moto di esasperazione: «Eddai, angelo, dillo. Non ti sente nessuno qui. Beh, a parte me.»

Pronunciò le ultime parole con un tono furbetto, e una parte di lui sperò di far retrocedere l'angelo. Cosa che, ovviamente, non accadde.

    «Un pochino...» mugugnò il biondo.

    «Che?»

    «Un pochino. Va bene?»

    Crowley si rimise a ridere: «Cavolo, li detesti. Ora capisco perché come sottoposto sei una chiavica.»

    Fu il turno di Aziraphale per incrociare le braccia, l'espressione stizzita: «Non tutti. È che, sai, Gabriel e Michael sono un po', beh, sono-»

    «Dei rompipalle?»

L'angelo sospirò sonoramente. Crowley lo prese come un: "Sì", e non disse niente. Alla fine, seppur non come avrebbe voluto, l'aveva spuntata lui.

Una vocina gli disse che non era quello il motivo del suo buonumore. La zittì.

    «È per questo?» Chiese invece Aziraphale. «Che sei Caduto, dico. Non ti piaceva il Paradiso?»

E addio buonumore.

    Crowley sentì un brivido percorrerlo da parte a parte, e dovette combattere contro la voglia di stringere i pugni e dire cose di cui si sarebbe pentito. «Odio parlarne» disse semplicemente. Gli venne fuori come un macigno la cui metà gli rimase incastrata nella gola, incapace di uscire del tutto e come avrebbe voluto.

    Aziraphale parve sinceramente affranto: «Oh, va bene.»

La pioggia iniziò lentamente a scendere. Dapprima ci furono solo alcune gocce che Crowley osservò scendere giù dai suoi capelli, prima di precipitare verso terra e infrangersi. Era così occupato a distrarsi dall'ultimo argomento che ci mise un attimo a realizzare che, ad un certo punto, non sentiva più neanche un tocco sulla nuca, né vedeva nuova pioggia mescolarsi con quella che già gli era caduta in testa e attorno alle punte degli stivali.

Alzando lo sguardo, notò una delle candide ali di Aziraphale stendersi sopra di lui, a mo' di ombrello. Sbarrò gli occhi, si voltò a guardarlo solo per scoprire che era tornato a fissare le nubi con aria pensosa. L'acqua non sembrava sfiorarlo minimamente, nonostante si stesse facendo via via più forte e fitta. Aveva persino ripreso il libro per metterlo al sicuro sotto la giacchetta che Tracy gli aveva tanto volentieri sistemato perché le sue ali ci calzassero a pennello. 

Lontano dalla candida ed immacolata luce del Paradiso, l'angelo sembrava decisamente più tranquillo. Il suo volto senza uno spigolo non aveva una ruga, persino i suoi riccioli sembravano più... Beh, ricci. E candidi. Ora che li guardava bene, Crowley si rese conto che erano volute morbide che si mescolavano tra loro in una maniera perfettamente imperfetta. Già, lo aveva notato prima: Aziraphale era un disastro, ma un disastro positivo. Era quel tipo di caos che gli piaceva, peccato che lo lasciasse interdetto.

È l'ennesimo casino della tua esistenza, allora. Non fare l'idiota.

E allora perché quell'ala sulla sua testa lo stava facendo sentire in quel modo? Da dove veniva quel gesto? Che senso aveva? 

Fece qualche passetto verso destra per ripararsi meglio e Aziraphale non si mosse. Sapeva per forza di cose quello che stava facendo: lo stava facendo apposta. Era la cosa più carina che qualcuno avesse mai fatto per lui. E no, Anathema non contava: lei era costretta da un patto. Aziraphale no. Lui lo stava facendo perché sì. 

Avrebbe dovuto dargli fastidio, ma doveva ammettere che starsene lì all'asciutto lo faceva sentire bene. Ecco, era semplice convenienza: a nessuno piace il senso di umidità addosso, in fondo.

Giusto?


Non fece in tempo a pensarci più di così - e in un certo senso, meglio, date le capacità che la sua testa aveva di fissarsi. Una voce li stava chiamando e proveniva dal cottage.

    «Ma non è la tua amica?» Chiese Aziraphale guardandolo e senza spostare di un millimetro quella benedetta ala. 

    «Per l'ennesima volta, non è mia ami- ehi, aspetta, hai ragione.»

    Si voltarono all'unisono quando iniziarono a sentire dei passi veloci farsi strada tra la fanghiglia del giardino e lo scrosciare della pioggia. Come se non bastasse la sola voce, un fulmine illuminò la magra figurina di Anathema, ombrello stretto tra le mani, che si dirigeva verso di loro: «Ragazzi!» Esclamò. «Venite a vedere!»

Sembrava sconvolta.

E Crowley sapeva quanto fosse difficile sconvolgerla.

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Capitolo 8
*** Occhi placidi e capelli d'oro ***


Gli occhietti fin troppo azzurri di Belzebù lo guardavano stralunati, ma lui non aveva tempo per i convenevoli. Avanzò, sentendosi fin troppo sproporzionato rispetto alla sua minutissima figurina.

Nel giro della notte - per colpa di Gabriel, Michael e i loro modi da tagliagole demoniche - Paradiso e Inferno avevano ricominciato a fare guerriglia: nulla che Raphael non si fosse aspettato.

Quel che stonava, però, erano le Armate di esseri soprannaturali che si nascondevano dietro agli eserciti umani. Confabulavano tra loro, in attesa di vedere quale delle fazioni mortali sarebbe sopravvissuta. Ce n'erano tanti sulla Terra, posti alla base delle rispettive fortezze, quando normalmente avrebbero preferito osservare il tutto dall'alto o dal basso. Quando lo aveva notato, il guaritore aveva sentito il mondo crollargli addosso. Stava già per succedere: poteva vedere le eteree mani di tutti sulle else, sulle lance, sugli archi...

Il mondo era finalmente diventato una scacchiera in attesa della prima mossa, e l'Arma era diventata la ragione per cui tutti i demoni e tutti gli angeli avevano deciso di iniziare a scendere attivamente in campo. I primi avevano un segreto da custodire ed utilizzare all'occorrenza; gli altri avrebbero dovuto scoprirlo e smantellarlo prima che ciò accadesse, ma ovviamente nessuno aveva fatto progressi.

Erano giorni che nell'aria ribolliva la guerra, ed ora erano ad un passo dall'ottenerla. Non sarebbe andata per niente bene, anche perché nessuno in Paradiso aveva ancora idea di cosa il lato opposto stesse tramando. Erano bastati due arcangeli di cattivo umore per smuovere gli animi degli scalpitanti esseri oscuri, i quali non vedevano l'ora di scoprire cosa il loro Re stesse tenendo in serbo per il mondo. Così com'erano bastati a consolidare nelle altre schiere angeliche la certezza che la situazione era molto diversa dalla solita offesa, e che quella guerriglia portava con sé il seme di un attacco diretto e collettivo: qualcosa che non avveniva da troppo tempo. Come se non fosse palese prima: erano in svantaggio, schiacciati dall'ombra di qualcosa che non conoscevano.


Raphael aveva mandato alcuni dei suoi a controllare, poi si era diretto verso una delle tante tende erette dai capi dell'Inferno per discutere sulle strategie di battaglia. Era una cosa che avevano imparato dagli umani, e che avevano deciso di usare a loro volta - soprattutto come scusa per non scendere attivamente in campo in caso d'emergenza, cosa che nessun angelo si sarebbe sognato di fare: loro erano nati per difendere il Regno dei Cieli, e nessuno di loro poteva permettersi atti di codardia.

Avvicinarsi all'altro lato lo lasciava sempre scombussolato, ma lui era il guaritore: come curava quei sintomi agli altri, così faceva con sé stesso. Sapeva anche bene come muoversi: era pur sempre collega di Gabriel. Per questo il piccolo Belzebù parve così scombussolato dalla sua venuta, e per questo i demoni covavano nei suoi confronti un odio particolare.

    «Cos'è? Ti hanno mandato a trattare?» Gli chiese il piccoletto, tenendo a freno i ronzii. «Sappi che non me ne faccio niente delle tue suppliche, Guaritore. Ormai entrambe le Armate sono schierate.»

    «Niente del genere,» affermò l'arcangelo. «Ripudio questo scontro, ma ne riconosco l'inevitabilità.»

    Il signore delle mosche alzò gli occhi al cielo: «Abbassa il registro e dimmi che vuoi, allora.»

    Trafficando nella tasca della sua veste, Raphael tirò fuori la piuma corvina che aveva trovato nel giardino. «Hanno rapito uno dei nostri guardiani» annunciò, mostrando la sua prova. «Se lo avete voi, vi chiedo di liberarlo.»

    Belzebù aveva nuovamente strabuzzato gli occhi, e sembrò quasi che la grossa mosca appollaiata sulla sua testa volesse balzare sul polso di Raphael e morderlo - cosa che una mosca infernale avrebbe potuto decisamente fare. «Non ho idea di dove sia il vostro stupido guardiano. Ma sì,» ringhiò, «riconoscerei quella piuma tra mille.»

    Quella era una mezza sorpresa. Aziraphale non era all'Inferno, dunque. Raphael non avrebbe saputo come prendere la notizia: da un lato era preoccupato, dall'altro iniziava a sentire puzza di bruciato, da un altro ancora... «Bene, la faccenda si complica. Però possiamo uscirne» disse. Quello che stava per fare era assolutamente illecito, ma lui era stufo di seguire le vie altrui. Adesso avrebbe provato con la sua. 

    Belzebù aveva già capito dove la situazione sarebbe andata a parare: «Che intenzioni hai, arcangelo?»

    «Voi state cercando un demone, io un angelo. Possiamo avere entrambi ciò che vogliamo» azzardò l'altro. 

    Belzebù si mise a sbattere ripetutamente il piede per terra, indeciso sul da farsi. «E in che modo pensi di fare?»

Raphael esultò silenziosamente: ci aveva preso. Era stata una mossa azzardata, ma doveva saperne di più sulla misteriosa figura che si divertiva a sgattaiolare dentro e fuori dall'Eden. Figura che, esattamente come Aziraphale, era svanita come neve al sole.

Elementare. I demoni avevano paura di due sole cose: gli angeli - ma Aziraphale non era né fisicamente né moralmente capace di fare paura - e i loro oscuri superiori, Satana in primis. Le cose erano quindi due: o il rapitore in questione era stato mandato dai pezzi grossi con un ultimatum, o gli stava volutamente remando contro per qualche assurda ragione. Due motivi abbastanza forti da portarlo a spiumarsi dal terrore.

    A tal proposito: «Abbiamo una piuma. Posso assicurarvi che basta e avanza» affermò sicuro.

Il piccoletto sembrava interessato. Si vedeva che aveva una voglia malata di mettere le mani sul suo misterioso disertore e, se tutto andava bene, trovando il demone spia avrebbero trovato anche Aziraphale. Inoltre, Raphael aveva intenzione di giocarsi bene le carte che aveva in mano e prendere due piccioni con una fava, come dicevano gli umani.

    «Dammela» ordinò Belzebù protraendo la mano verso la piuma. «Tra due minuti non avrai più le dita se la tieni in quel modo. E poi ho un'idea.»

Raphael eseguì. Aveva portato la spada di fuoco con sé, ben agganciata al suo fianco. Contava di non usarla, ma problemi estremi richiedono estremi rimedi, e lui sapeva meglio di chiunque altro che prevenire è meglio che curare. E poi doveva ridarla al legittimo proprietario.

    Il signore delle mosche chiamò a sé uno dei suoi soldati. «Portami il mastino infernale» ordinò. «Ed evitate di farvi staccare le dita, stavolta.»

Se ne andò uno, tornarono in tre. Tenevano a stento la bestia più orribile e grottesca che Raphael avesse mai visto: grossa, nera, con gli occhi fiammeggianti e file infinite di denti aguzzi. Era almeno dieci volte un cane normale di media taglia, e lo stava guardando come se volesse sbranarlo - anzi, voleva proprio tanto sbranarlo, si rese conto l'arcangelo.

    «Che sia chiaro,» iniziò Belzebù guardando lo sconforto sul volto del guaritore con una punta di delizia negli occhi. «Lo faccio solo per avere la possibilità di triturare Crowley. Odio quando qualcuno non esegue i miei ordini.»

    Raphael fece due istintivi passi indietro, onde evitare che la bestia scattasse al primo cedimento dei demoni che la tenevano. «A me basta che mi ridiate l'angelo. Il resto non mi importa.»

    «E che non si sappia in giro. Sai dove andrebbe a finire la mia reputazione se si sapesse che ti ho anche solo parlato?»

    «Non temete per questo. La mia non farebbe certo una fine migliore.»

Come accadeva le poche volte che si avvicinava al Regno del Male, Raphael iniziò presto a sentire la voglia impellente di allontanarsene, così come dagli esseri intrisi di odio che vi vivevano. Mai avrebbe anche solo immaginato di allearsi con quelle bestie immonde, rappresentazione fisica di tutto ciò che minava l'amore che lui era nato per preservare. Ma non lo stava facendo per sé stesso. 

Fissò Belzebù mentre andava ad avvicinare la piuma al grosso naso del mastino. Era così tranquillo nonostante paresse un'effettiva mosca in confronto al mostro che aveva davanti, che l'inquietudine nell'aura di Raphael crebbe ulteriormente.

    «Va', trovalo e portamelo» ordinò il piccoletto intanto che accarezzava l'enorme testa del suo grosso servitore canino. «E prendi anche l'angelo se lo trovi» aggiunse. Poi tirò un'occhiata a Raphael, breve e fulminea, che tornò a perdersi nei terribili occhi del mostro. «Portali entrambi interi e vivi, sono stato chiaro?»

Il mastino annusò più volte la piuma, poi ringhiò ferocemente, le pupille più luminose di prima. Belzebù si spostò, i tre demoni mollarono la presa e l'animale scattò in avanti così velocemente che Raphael fece appena in tempo a vederlo.

La situazione era andata anche meglio di ciò che sperava. Ora aveva la possibilità di giocare una buona mano, ma doveva fare in fretta: sapeva che nessuno era capace di fermare un segugio infernale con degli ordini ben precisi, tantomeno un angelo. 

    «Bene, ora sparisci» gli ordinò Belzebù incrociando le braccia. «Ah, e sappi che non mi assumo responsabilità se il tuo inutile guardiano non c'è. Voi angeli stucchevoli passate troppo tempo a guardarvi le spalle l'un l'altro.»

Oh, magari fosse ancora così, pensò Raphael. Un tempo il Paradiso era molto più radiante di affetto, mentre adesso era perlopiù costituito da angeli testardi e violenti, i quali andavano avanti indietro per eteree e candide mura semivuote. E a Dio non pareva importare.

    Scacciò quel pensiero. «Lo terrò a mente» disse semplicemente, prima di volare via senza dire un'altra parola.

Le sue ali dorate lo spinsero in alto, mosse dalla frenesia e dalla voglia ormai cocente di lasciare quel luogo maledetto. Scandagliò il terreno e riuscì a non farsi scappare il mastino solo per pura fortuna e una manciata di secondi. La bestia era velocissima, tanto che avrebbe potuto perderla anche solo sbattendo gli occhi. Per fortuna lui non era da meno, e i secoli passati rinchiuso nella fortezza non lo avrebbero fermato così velocemente.

Sicuramente Belzebù non se l'aspettava, corroso com'era dalla vendetta. Un punto a favore di Raphael, il quale stava ora sfrecciando verso un punto non ben precisato del Confine. Ci sarebbe voluto tempo, si disse, cosa che non aveva. Che nessuno aveva.

Iniziò a pregare di riuscire a tirare fuori qualcosa di utile da tutta quella storia che già non quadrava prima, e che ora si era superata. Oltrepassò le nubi con l'ipotetico cuore in gola, sapendo di essersi ancorato ad un sesto senso.

Un sesto senso, oppure un segno divino.

La Guerra - con la maiuscola - non era ancora iniziata, ma era solo questione di tempo.


Belzebù non lo guardò nemmeno mentre prendeva il volo. Sospirò frustrato, tornando alla tenda.

    Subito dietro di lui, seguì il demone che aveva mandato a recuperare il mastino. Era uno strano individuo dalla pelle grigiastra e gli occhi che sembravano due buchi neri. «È certo che sia stata una buona idea?» Chiese con una voce così fastidiosa da essere paragonabile solo alle unghie sulla lavagna.

    «Osi contraddirmi, Hastur?»

    «No, ma... Avremmo potuto attaccarlo. E mi pare che il Capo vi avesse detto di lasciar perdere quel buono a nulla di Crowley.»

    Belzebù si voltò per tirargli un'occhiataccia che avrebbe potuto incenerirlo sul posto, e Hastur parve atterrito. «Non hai sentito invece cos'altro ha detto il nostro Signore? Di prepararci e avere pazienza.»

Le domande non vennero mai dette per paura, ma Belzebù poteva sentirle aleggiare nell'aria di tensione tra loro. E se il Paradiso avesse attaccato per primo? Non sarebbe stato strano: Michael adorava infilare le sue armi angeliche nel ventre di qualche demone. Poteva già immaginarlo mentre scalpitava, pronto a mettere gli umani da parte e far volare le sue truppe oltre Confine. Cos'avrebbero fatto loro, allora? E se l'Arma avesse tardato?

Impossible, era semplicemente impossibile. Il loro Signore sapeva quel che faceva.

Nessuno avrebbe osato dubitarne.


~•°•~


Se ne stava seduto tranquillo, gambe penzoloni oltre la sponda del letto, una tazza di latte caldo tra le mani. Sorseggiava con calma, gustandosi la dolcezza del bel cucchiaio colmo di miele che Newton aveva aggiunto al tutto. Era il ritratto della calma assoluta e doveva avere la stessa età dei tre ragazzini della Zona. Non sembrava spaventato né spaesato, anzi: aveva anche lui il volto vispo e intelligente del combinaguai, contraddistinto da due occhietti rotondi e circondato da una dorata chioma arruffata. Fissava curioso i suoi quattro interlocutori così come i suoi quattro interlocutori stavano fissando lui, inebetiti.

    «E questo da dove sbuca?» Chiese Crowley, non sapendo come prendere la situazione. In realtà, nessuno lo sapeva.

Di una cosa era certo: gli umani non sapevano sbucare fuori dal nulla, soprattutto se erano così giovani e fuori c'era un tempo che: diluvio universale, spostati.

    Anathema sospirò, scuotendo la testa. «Ho provato a chiederglielo, ma...»

    «Non ha spiccicato una parola» completò Newton. «Però è stato collaborativo. Era zuppo quando è arrivato: ho dovuto trovargli coperte e roba asciutta». Disse il tutto grattandosi la testa confuso, persino balbettando ogni tanto, come ad indicare che anche lui era più perso che mai.

Il ragazzino, come per enfatizzare l'assurdità della situazione, finì di bere, posò la tazza sul comodino accanto a sé e tacque - anzi, continuò a tacere.


Nel cottage erano rimasti solo Newton e Anathema. Tracy era tornata a casa sua dopo aver sistemato Crowley e Aziraphale.

Non era passato molto tempo tra quel momento e la chiacchierata che lui e l'angelo avevano avuto sotto la pioggia, si disse il demone. Eppure quel giovane umano adesso era lì: sembrava quasi fosse lì da sempre e che gli intrusi fossero loro. Non avrebbe saputo spiegarlo, ma era piombato come fosse stato portato da uno dei fulmini al di fuori. A parte i capelli umidi, sul suo volto non c'erano segni di fatica, né pianto, né spaesamento: tutte cose che un ragazzino smarrito dovrebbe provare. Erano tutte cose che vedeva dipinte sui volti dei piccoli umani così sventurati da nascere nel Regno del Male, e che tanto si discostavano dalla leggerezza dei tre della Zona. Quello che aveva davanti non si applicava a nessuna delle due categorie: sembrava finto ma si muoveva in maniera così naturale da mandarlo in confusione. Persino il suo sguardo luminoso non cambiava mai ma pareva parlare per lui.

Assurdo. Semplicemente assurdo.

    «Sicuri che non sia traumatizzato? Insomma: dev'essersela fatta a piedi fin qui, sotto al maltempo...» azzardò Aziraphale.

    Crowley lo fissò incredulo: «Serio? Ti pare traumatizzato?»

Le gambe del ragazzino continuavano a ciondolare scoordinate e lui continuava a guardarli con la pacatezza di un mare appena smosso dal vento.

L'angelo tacque, cogliendo l'antifona.

    Anathema fece un paio di passi verso il letto, poco convinta. Si abbassò perché i suoi occhi incontrassero quelli del ragazzo e chiese: «Stai bene? Hai bisogno di qualcos'altro?»

Come previsto, questi non disse nulla. Semplicemente, voltò gli occhi verso il cuscino.

    «Forse sarebbe meglio metterlo a letto» affermò Newton, cercando di interpretare quel movimento. «Anche perché, beh, non vedo alternative» balbettò poi, indicando fuori. La pioggia stava decisamente dando il meglio di sé.

Così fu deciso. Il giovane sconosciuto venne messo a nanna e nel giro di qualche minuto dormiva già placidamente, una mano vicino alla testa e l'altro braccio abbandonato lungo il fianco. 

I quattro chiusero la porta e si guardarono, ancora non ben sicuri di ciò che era appena successo.

    «Bene» disse Crowley, rompendo il silenzio. «Ci mancava solo questa. Com'è che è andata, esattamente?»

    Fu Newton a rispondere: «Semplice: ha bussato alla porta e lo abbiamo soccorso.»

Il rosso sbuffò. Sì, nemmeno lui era così terribile da lasciare un ragazzino - per quanto strano - alle intemperie. A lui piacevano i bambini: adorava la loro natura assolutamente caotica, e per questo aveva immediatamente preso quelli della Zona in simpatia. Certo era che di così spontanei ne aveva visti solo durante le sue veloci missioni nel Regno del Bene e lì, dove si trovava ora. Nel suo lato era strano vederne fuori di casa o fuori dagli istituti.

Era triste, in effetti. I bambini non erano in età per scegliere: erano i genitori e il mondo a farlo per loro. Era ingiusto.

Scacciò quel pensiero. Non poteva farsi intenerire così, di punto in bianco.

    «Forse domani potremmo fargli conoscere gli altri ragazzini. So che i piccoli umani sono bravi con i loro simili. Magari lo aiuteranno a parlare». Era stato Aziraphale a dirlo, e la sua idea venne subito accolta dagli umani presenti con gesti di assenso.

Non era male come intuizione: quei tre sembravano avere le capacità di far aprire chiunque. Insomma, Brian e Pepper da soli avevano convinto Wensley ad avvicinarsi a loro. Se c'era qualcuno che poteva venirne a capo, era sicuramente il trio.

    «Va bene. Allora domani, quando ci raduneremo di nuovo, verranno anche loro» sospirò Anathema. «Questa è stata inaspettata.»

    «Niente profezie articolate che parlano di ragazzini sotto la pioggia?» La stuzzicò Crowley.

    Lei non la prese con filosofia - vuoi per la stanchezza, vuoi perché ce l'aveva ancora con lui. «No, se proprio vuoi saperlo. Piuttosto, vedi di pensare a un piano per recuperare quella spada. O la prossima volta che ti bruci le squame, te le sistemi da solo.»

Il demone aggrottò le sopracciglia. Wow, sì: ce l'aveva decisamente ancora con lui. E dire che in casa sua era parsa tranquilla. A quanto pareva, ora aveva inquadrato abbastanza la situazione da capire che quella maledetta lama era un problema urgente. O semplicemente era a corto di caffeina.

Nah, era ovviamente a corto di caffeina.

Era a tanto così da risponderle a tono, ma fortunatamente dietro di lei apparve un decisamente indeciso Newton. Gli bastò metterle una mano sulla spalla, e lei l'accolse con un respiro profondo e un serio: «Andiamo a dormire.»

Crowley non poteva essere che d'accordo: era stata una lunga - infinita - giornata.


Ritornò nella camera dove stava il ragazzino - che poi era la stessa dove avevano parlato con Tracy e quella adibita agli ospiti - e andò a buttarsi nel letto più lontano da lui. Ce n'erano tre nella stanza: singoli e ben rimboccati.

Sentiva la testa fumargli. Non è senso di colpa, si disse. Non è senso di colpa, non è-

    «Non volevo metterti in questa situazione.»

Alzò la testa. Aziraphale era entrato con lui e non se n'era neanche accorto. Se ne stava in mezzo alla stanza, mani in grembo, sguardo perennemente altrove quando era imbarazzato per qualcosa. 

    Il rosso sbuffò: «Senti, chi se ne frega, ok? È andata. Troviamo una soluzione e facciamola finita.»

    «Dovrei andare io. È meno rischioso e forse riesco a trovare un modo per far sì che mi ridiano la spada.»

Anche quella era un'ottima idea. Non faceva una piega. Non una.

    Ignorando il nodo che gli si era formato in gola, Crowley si mise comodo. «Ottimo. Allora domani lo dici a tutti e il gioco è fatto». Chiuse gli occhi prima che qualche stupido sguardo affranto potesse farlo pentire, ma durò poco. Udì un lieve strisciare e fu costretto a ridestarsi solo per vedere l'altro spostare una poltrona accanto al letto del ragazzino. «Che combini?»

    Aziraphale si accomodò, riprese il libro che aveva in giardino e se lo posò sulle gambe. «Veglio su di lui» disse, facendo spallucce. Poi sorrise appena, passando un dito sul bordo della copertina rigida: «Mi sarebbe piaciuto avere un ruolo del genere, sai? Dico: lavorare sulla Terra invece che su quel muro.»

Oh, allora era quello il motivo.

    «Scommetto che qui ti piace, eh?» Chiese Crowley, fallendo miseramente nell'aggiungere una punta di scherno. «La Zona, dico.»

    L'altro annuì: «Non sarebbe meglio se fosse sempre così? Dico: se gli umani avessero la possibilità di scegliere?»

    «E se noi avessimo la possibilità di scegliere.»

    Su quel punto, l'angelo parve molto meno convinto: «Non lo so. La mia è più un'utopia. Ci sono regole da rispettare e ordini gerarchici a base di tutto e...»

    Lasciò la frase a metà, ma tanto non c'era bisogno che continuasse: Crowley lo sapeva già. L'Inferno non era certamente diverso da quel punto di vista. «Quindi fammi capire,» disse invece. «Tu vorresti cambiare le cose ma allo stesso tempo hai paura di sovvertire l'ordine. Capisci che non ha senso, vero?»

L'altro non rispose. Si mise semplicemente a guardarlo con un'espressione che da sola diceva: "Lo so benissimo".

Il rosso sospirò, tenendo come sempre quel contatto fermo e fisso. Lui parlava, giudicava, azzardava, ma alla fine era quello con le motivazioni più stupide e la paura più folle. Era anche l'unica creatura oscura lì in mezzo, perciò la cosa sarebbe dovuta essere normale. Ma Aziraphale aveva avuto ragione su una cosa: ormai non c'era più una normalità. Magari non c'era mai stata. Magari giusto e sbagliato erano solo archetipi impossibili da seguire e gli umani della Zona c'erano arrivati prima di chiunque altro.

Loro due, per esempio: e se fossero stati la cosa più sbagliata di sempre? E se il mondo lo avessero distrutto loro, alla fine? Se avessero semplicemente buttato giù l'equilibrio che c'era sempre stato, causando una rottura? Non potevano esserne certi. Nessuno poteva esserlo, dannazione. Le profezie non potevano certo essere chiare: sia mai che Vostra Maestà Dio decidesse di punto in bianco di dire cosa Le passasse per la testa.

Frustrato, Crowley si staccò da quelle ormai familiari pozze azzurre e si rigirò dall'altro lato, un'ala sulla faccia e la mente in subbuglio. Stava pensando troppo e quando succedeva si faceva sempre del male da solo, andando ad infilarsi in discorsi che non avrebbero dovuto importargli e riguardarlo. Quella sua testaccia piena di idee e cose era sempre stata la sua rovina.

Le mise un freno. Distrarsi era sempre stata la sua via di fuga e presto, come spesso aveva fatto per scappare dai problemi, chiuse gli occhi e si addormentò.


    «Sapevo che eri a corto di caffeina» disse ad Anathema il giorno dopo, indicandola scherzosamente con un dito.

    La giovane alzò gli occhi al cielo, sorseggiando in silenzio per un po' prima di rispondere: «Ieri è stata una giornata faticosa anche per me, sai? E questa non sembra essere iniziata nel modo migliore.»

    Il rosso alzò un sopracciglio: «Perché mai?» Chiese, tirando un'occhiata di sottecchi al ragazzino. Era seduto davanti ad Anathema, silenzioso come sempre. Lo stava guardando mentre sgranocchiava un biscotto, placido come un cucciolo che sonnecchia al sole.

Non aveva ben capito come inquadrarlo. Gli fece persino un gesto di saluto con la mano che venne prontamente ignorato.

    «Newton ha ricevuto alcuni messaggi durante la notte» spiegò intanto Anathema. «A quanto pare sta iniziando ad esserci un bel po' di confusione.»

    «Una guerriglia, immagino.»

    «Sì ma... A quanto pare, la vostra armata e quella degli angeli sono già dietro le fila umane. Puoi immaginare cosa significhi.»

Crowley imprecò sottovoce: la battaglia della profezia si stava già concretizzando. Se l'aspettavano tutti. Lui stesso sapeva che l'Arma avrebbe causato tutto ciò, ma adesso stava effettivamente accadendo attorno a loro. Lo aveva anche detto ad Aziraphale a casa di Anathema: avevano le ore contate. Cacchio, ci aveva persino rimuginato quella notte. Un punto però era parlare e pensare, l'altro era vedere le proprie preoccupazioni prendere forma.

Si rese conto che il tempo era contro di loro e ancora non sapevano cosa dovevano fare.

    «Sai, è assurdo» riprese la giovane, sospirando. «Grigia. Una "grigia" battaglia perché combattuta dalle Armate del Bene e del Male. Sai, no? Bianco e nero. Era così semplice, ma alla fine ci è arrivato Aziraphale.»

    «A proposito» disse Crowley, guardandosi attorno. «Dove si è cacciato?»

    «È andato a chiamare gli altri con Newton. Speriamo anche che i ragazzi sappiano effettivamente cosa fare con lui» rispose Anathema, indicando il ragazzino con il mento. Gli rivolse persino un sorriso, ma quello continuò a guardarla con tutta la genuinità e l'innocenza del mondo. Fallito il tentativo di contatto, tornò a fissare Crowley e un secondo - più leggero e subdolo - sorriso fece breccia sul suo volto stanco: «Non dirmi che senti già la sua mancanza.»

    Il rosso la fulminò con lo sguardo: «Che vuoi dire?»

    Lei fece spallucce: «Niente, solo... Mi pare vi stiate avvicinando. È un'ottima cosa.»

C'era qualcosa in quel tono che al demone non piacque proprio ma proprio per niente. Fiutò ciò che stava per avvenire ancor prima che si trasformasse in effettive parole.

    «Forse stai persino iniziando a sentirti in colpa.»

Maledetta Anathema: sapeva sempre dove colpirlo.

    «Non pensarci neanche» ringhiò.

    «Non avrai mica intenzione di farlo andare fino in Paradiso da solo, vero? So che lo hai pensato» incalzò lei, gli occhi ridotti a due fessure. Lo conosceva come conosceva sé stessa, ormai, e Crowley lo sapeva fin troppo bene. La consapevolezza lo infastidì ancora di più.

Fu la porta che si apriva a fermarli.

Pepper, Brian e Wensley entrarono come un uragano. O meglio: i primi due lo fecero; l'altro era rimasto guardingo dietro a Tracy, stavolta.

    «Vi lascio una notte» iniziò subito a brontolare Shadwell, «e succede qualcosa?»

    Intanto che Anathema e Newton riassumevano in breve la situazione, Aziraphale si andò ad appostare accanto a Crowley, un occhio sui ragazzini. «Hai saputo?» sussurrò.

    «Purtroppo sì» rispose il rosso, iniziando a fissare i più piccoli a sua volta.

    Pepper si era piantata di fronte al biondino misterioso, e per un attimo sembrò volerlo sfidare ad una gara di sguardi. «Non salutare è maleducato, sai?» Gli disse dopo essere durata a malapena cinque secondi senza sbattere le palpebre.

    «Magari ha problemi di comunicazione» azzardò Wensley, ancora sull'uscio.

    «O magari è muto» ipotizzò Brian.

Ovviamente, l'indagato non fece altro che guardarli uno ad uno come se li stesse analizzando. Gli si era illuminato un po' il volto, come fosse felice della nuova compagnia.

    «Qualunque sia il problema, la soluzione è semplice» annunciò Pepper. «Passami qualcosa per scrivere». Non lo disse a nessuno in particolare, ma tanto Newton girava sempre con tutto l'occorrente. In un attimo la bambina aveva poggiato foglio, penna e calamaio davanti al nuovo arrivato. «Spero tu sappia scrivere» gli aveva detto. «Perlomeno il tuo nome.»

Com'è che nessuno di loro c'era arrivato prima? Si chiese Crowley, osservando con sollievo - un sollievo che presto divenne generale - che il ragazzino sapeva scrivere eccome. Anzi: aveva preso subito la penna ed aveva iniziato ad adoperarla senza esitazioni.

    Pochi secondi dopo, Pepper andò a dare un'occhiata al foglio. «Adam, eh? Gran bel nome.»


Il metodo si rivelò efficace, e il resto del gruppetto - Wensley compreso - ne approfittò per fare domande. 

Ovviamente, i coetanei di Adam se ne uscirono con cose del tipo: "Qual'è il tuo animale preferito?" (gli piacevano i cani), o "Vuoi giocare più tardi?" (certo che voleva). Attorno a lui si creò una capannella formata da tre umani un po' più piccoli, quattro umani più grandi, un angelo e un demone.

    «Da dove vieni?» Chiese subito Anathema. La risposta fu: "Il Regno del Male".

    Ciò portò a qualche sussulto, soprattutto da parte di Tracy. «Povero tesoro» aveva detto, passandogli una mano tra le ciocche dorate. Ad Adam la cosa parve far piacere, o almeno così pareva.

    Che fosse venuto fin lì da solo sembrava ormai fatto consolidato, ma Newton lo chiese comunque: «Sia mai ci siano altri ragazzini dispersi in giro» si giustificò. Grazie al cielo, la risposta fu un semplice: "Sono da solo".

    «Genitori?» Chiese secco Shadwell. Ottene un: "Non ce li ho", scritto con la stessa calma che Adam sembrava perennemente avere alla base dei suoi sguardi.

Tanto bastò a far decidere a Tracy - come a tutti, in realtà - che da allora in poi sarebbe rimasto alla Zona. Gli altri ragazzini ne furono incredibilmente felici.

    Ora però c'era da affrontare una questione un po' più seria. «Come hai trovato questo posto?» Aveva chiesto Anathema.

E stavolta, la risposta non arrivò mai. Adam rimise semplicemente la penna apposto e riprese a fissare tutti come aveva fatto prima di quel breve momento di rivelazioni scritte.

    Crowley sbuffò: si stava interessando a quella bizzarra questione, e adesso erano punto e a capo. «Di sicuro non c'è arrivato a piedi» affermò. «I più veloci ad andare da un lato all'altro siamo io e pochi altri. Né io né i pochi altri siamo umani. Non so se mi spiego.»

    «Magari ha trovato un cerchio?» Azzardò Aziraphale.

    Newton scosse la testa: «In quel caso sarebbe un bel problema. Ce ne sono pochi e in posizioni ben nascoste. Se le ha trovate un ragazzino, rischiamo che possa trovarle qualcuno di decisamente peggiore.»

La situazione rimase in stallo.

    «A parere mio,» disse Tracy, «lo abbiamo tartassato troppo». Poi si rivolse a tutti i ragazzini in particolare: «Perchè non andate a giocare in giardino?» Propose con tono amorevole.

    Pepper prese subito Adam per un polso, spingendolo ad alzarsi. «Ho in mente un sacco di giochi che si possono fare senza parlare» annunciò al nuovo membro della sua squadra. «Vedrai, sarà divertente!»

Il biondo sorrise appena e, finalmente, annuì. Subito dopo venne trascinato fuori dagli altri tre seguiti a ruota da Tracy.

    «Meglio che qualcuno li controlli» aveva detto quest'ultima con un sorriso, prima di uscire.


Quando furono rimasti soli, Anathema e Newton sospirarono in un coordinato: "Che razza di situazione".

    Shadwell, dal canto suo, aveva già capito di dover riportare i rimanenti con i piedi per terra. Pertanto si girò verso Crowley e Aziraphale. «Bene, spero per voi che abbiate qualche idea per riprendere quella benedetta spada.»

    Il demone aggrottò le sopracciglia: «Scusa, ma tu non te n'eri tirato fuori?»

In risposta gli arrivò una leggera gomitata da parte dell'angelo alla sua destra. Gomitata che sarebbe stata leggera per chiunque, ma che a lui fece risalire un bruciore insopportabile fin sopra la spalla.

    «Ehi!» Lamentò.

    «Mi è scappato» si giustificò Aziraphale massaggiandosi il braccio.

Dietro Shadwell, Anathema soffocò una risatina e Newton nascose un sorriso.

    Il vecchio non si fece smuovere di un millimetro: «Sì, molto simpatici. Avete un'idea sì o no?»

    Aziraphale fece per prendere parola, ma Crowley lo sorpassò all'ultimo: «Torniamo in Paradiso e ce la riprendiamo. Punto.»

Nella stanza calò un'atmosfera inusuale. Il rosso vide di sottecchi le piccole pozze azzurre della sua controparte guardarlo in totale sbigottimento. Non si voltò a ricambiare, stavolta: stava già facendo troppi sacrifici. 

    «Io credevo che...» balbettò l'angelo. Non finì mai la frase, ma tanto non ce n'era bisogno.

    «Senti, io so come arrivare fin lì senza che nessuno ci veda e tu conosci chi ci lavora dentro. Qualcosa ci inventeremo». Crowley non fece nemmeno in tempo a far ricadere lo sguardo sul parquet che dovette persino beccarsi lo sguardo fiero come non mai di Anathema. Si sentiva bruciare dall'imbarazzo.

Non avrebbe saputo dire perché avesse cambiato idea. Forse non voleva semplicemente continuare ad essere giudicato da quella stupida umana. Gli occhietti dispiaciuti di Aziraphale non centravano assolutamente niente, e tantomeno il senso di colpa.

    «Sarà meglio» brontolò Shadwell. «Ora pensiamo al resto.»

Fu come una specie di parola d'ordine. Si ritrovarono di nuovo attorno al tavolo e Crowley, che chissà perché si ritrovava sempre vicino ad Aziraphale, fece di tutto per tenere gli occhi ben puntati sugli appunti di Newton, ai quali era stato aggiunto il foglio pieno della calligrafia irregolare e tutta in stampatello di Adam.

    «Bene, abbiamo la battaglia» si mise ad elencare Anathema. «Abbiamo voi due,» indicò Crowley e Aziraphale, «e dobbiamo studiare bene come prendere la spada. Per quanto riguarda il resto: niente bambini che spuntano dal nulla. Solo Amore, l'Arma e qualsiasi cosa siano i rivoli dorati.»

Prese persino uno dei plichi dove aveva scribacchiato altre profezie, ma nulla parve aiutarla. Intanto che ragionava, però, gli altri iniziarono a pensare a come riavere la tanto agognata Fiamma.

Crowley spiegò come di solito si intrufolava nell'Eden, guardando più Newton e Shadwell che Aziraphale alla sua destra. Disse che se tutto andava bene, avrebbero potuto nascondersi tra le nubi alla base della fortezza, lui sarebbe strisciato in avanscoperta e se il campo era libero sarebbero entrati direttamente da est. Dovevano solo essere veloci, e lui era già bravo a nascondersi, perciò sarebbe rimasto vigile su qualche albero ad attendere. Lo fece sembrare un gioco da ragazzi, ma non lo era. Non lo era per niente.

    «So a chi potrei rivolgermi» disse Aziraphale a spiegazione terminata. «Ricordi quando ti ho detto che, beh, tra gli arcangeli ce n'è uno un po' più affabile?»

    Crowley a quel punto fu costretto a guardarlo, ma si fece scudo con un ghigno: «Non sono state le tue esatte parole, ma sì.»

    L'angelo arrossì appena, risentito: «In ogni caso, parlerò con Raphael. Sono sicuro che capirà.»

Certo, tutto stava nel cosa dire e come dirglielo: un altro punto sul quale rimasero particolarmente a lungo.

Già, Raphael. Crowley aveva vaghi ricordi di lui, anche perché prima della Caduta non aveva tutto questo gran ruolo. Poi gli angeli avevano iniziato a darsele di santa ragione e Dio lo aveva promosso a medico. Non era uno di quelli in armatura, perciò erano tanti punti a suo favore. Se Aziraphale si fidava, allora tanto di guadagnato.

    Gli umani presenti si misero a parlottare brevemente tra loro. L'angelo ne approfittò per richiamarlo con un leggero tocco sulla spalla che lo fece balzare un po' sulla sedia. «La vuoi smettere?» sussurrò infastidito.

    «Volevo solo ringraziarti» rispose l'altro. «Ammetto che non mi andava di andare fin lì da solo.»

    Il demone alzò gli occhi al cielo: «Sì, sì, come ti pare. Ora taci, prima che cambi idea.»

Aziraphale gli rivolse un impercettibile sorriso. Sorriso che Crowley si affrettò ad annegare in altri mille pensieri più urgenti.

Qualsiasi cosa gli stesse succedendo, pregò - si fa per dire - che passasse il più in fretta possibile.


~•°•~


Il paesaggio gli sfilava lungo i fianchi veloce e incomprensibile. Oltrepassò case, persone, ostacoli, spingendo i suoi demonici muscoli asciutti al massimo.

Nella sua testa due obbiettivi. Nelle sue narici un unico odore.

Oltrepassò persino le armate umane che avevano preso a combattere, ma non ci fece caso e quasi nessuno fece caso a lui. Arrivò al Confine, lo oltrepassò e corse. Corse, corse fino a bloccarsi di colpo.

Attorno a lui c'erano solo alberi ed erba, qualche collina all'orizzonte. Un fiuto nell'aria, due. Scelse una direzione e scattò veloce come solo un mostro della sua forgia poteva essere.

Alberi, erba, alberi, erba, tutte macchie confuse i cui colori a lui parevano tutti uguali. Poi vide delle case. I suoi obbiettivi e l'odore erano lì.

La sua corsa impazzita si bloccò nuovamente e lui si nascose dietro ad alcuni cespugli. Qualcosa non andava, e quel qualcosa si trovava in un giardino non troppo lontano. Due balzi e sarebbe piombato davanti ai giovani umani e la donna che vi si trovavano in mezzo, ma non lo fece. 

Sentì una strana sensazione corrergli lungo la snodatissima spina dorsale; un istinto naturale che gli faceva ribollire il sangue. Annusò di nuovo l'aria e percepì l'inconfondibile odore delle profondità dell'Inferno, laddove fuoco e lava ribollivano senza sosta. In un attimo capì.

Alzò la grossa testa e un ruggito di piacere gli vibrò in gola.

L'Arma.

L'Arma era lì.

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Capitolo 9
*** Due obbiettivi, un solo odore ***


L'aria era cambiata di colpo, e Crowley se ne accorse nel modo peggiore possibile.

Stavano ancora parlando, appuntando migliorie al loro piano e scambiandosi opinioni. Al di fuori si potevano sentire i ragazzini giocare prima a nascondino nel boschetto, poi ad altre cose che secondo il demone non avevano granché senso.

Poi aveva sentito come un colpo di frusta dritto dritto sulla sua eterea schiena, come se Beel in persona fosse tornato a dargli un bel cazzotto. Ma non era lui, no: era molto molto peggio.

    Si irrigidì sulla sedia. Doveva aver acutizzato i suoi sensi un po' oltre l'invisibile confine della sua coscienza, dato che poté intravedere Aziraphale accanto a lui incassare la testa nelle spalle, improvvisamente a disagio. Ad un certo punto l'angelo si voltò persino a chiedergli: «Tutto bene?» Ma non gli rispose, non subito. Alzò solo un dito, come ad intimargli di fare silenzio. L'altro per fortuna capì, ma iniziò a guardarsi attorno con evidente preoccupazione.

Gli umani non si erano accorti di nulla, impegnati com'erano ad analizzare una serie di appunti appena scribacchiati da Anathema - la quale aveva iniziato a tirare fuori tutte le sue conoscenze in angelologia per calcolare eventuali punti d'accesso secondari all'Eden, nel caso l'idea di Crowley avesse presentato qualche falla.

    Il demone, però, non ascoltò nulla di più. Abbassò la mano che ancora aleggiava verso l'angelo e sussurrò: «Non senti nulla di strano?»

    «Direi di no» rispose Aziraphale, poco convinto. «Perché? Cosa c'è?»

Crowley non riuscì nemmeno a rispondergli, dato che un coro di grida proveniente dall'esterno lo fece per lui. Fu come far scattare l'allarme: l'attenzione dei presenti si spostò subito verso il cortile e tutti scattarono in piedi come molle.

    Si catapultarono fuori e fu Newton a porsi la domanda che tutti avrebbero voluto istantaneamente fare: «E quello che accidenti è?». In realtà, lui e forse tre quarti dei ragazzini se l'erano chiesto, dato che a tutti gli altri parve chiaro come il sole.

La grossa e sbavante bestia nera davanti a loro emise un ringhio, scoprendo i bianchissimi denti aguzzi. Era china in avanti, come se fosse pronta a fare un balzo e sbranarli, ma non si mosse. Sembrava osservare i presenti con curiosità e un certo languorino.

    «Che cazzo ci fa un cazzo di segugio infernale qui?» Sussurrò Crowley a denti stretti.

    «Questa è un ottima domanda» rispose Anathema, la quale aveva persino preso a respirare più lentamente, come se restare immobili fosse abbastanza da far credere al mostro che non ci fosse nessuno davanti a lui. In realtà era stata la prima idea di tutti e, paradossalmente, stava persino funzionando.

Il che non era normale, pensò Crowley. Non era assolutamente normale.

    «Mi sento come se avessi la parola "colazione" scritta in fronte» mormorò Aziraphale accanto a lui.

    «Perché per lui è così, posso assicurartelo.»

Le sensazioni di fronte ad una creatura del genere variavano esponenzialmente a seconda di demoni, angeli e le categorie a cui appartenevano. Demoni come Crowley se ne stavano ben alla larga, mentre quelli come Beel avrebbero potuto insegnargli a stare seduto o a rotolare senza troppe preoccupazioni. Per gli angeli la situazione era più semplice: tutti ne avevano paura, chi più chi meno. Forse, più eri in alto nella scala gerarchica più un segugio infernale ti trovava appetitoso - ma era solo una teoria dal momento che: uno, gli angeli avevano di meglio da fare che tentare un approccio con qualsivoglia essere oscuro (Aziraphale escluso); e due: alcune categorie di angeli non scendevano mai dal Paradiso, e se anche lo avessero fatto, rivedere il punto uno. Una cosa era certa: i segugi infernali sapevano chi potevano sbranare e non si facevano problemi a farlo; avevano solo bisogno di un ordine.

Tranne quello che avevano davanti, a quanto pareva: si limitava a digrignare e a studiarli, sicuramente per decidere chi uccidere per primo. Non si era mosso che di qualche millimetro, teso come una molla pronta a balzare per aria. I suoi asciuttissimi muscoli sembravano disegnati con il carboncino e pulsavano, così come i suoi occhi.

    «Sei tu l'esperto» sussurrò Aziraphale, tirando una veloce occhiata a Crowley. «Che si fa in questi casi?»

    Il rosso trattenne un'imprecazione. «Scusa, credo di aver dimenticato la mia copia di: "Come addestrare il tuo mortale cane demoniaco" nell'ufficio di Beel» ringhiò, ricevendo un'altra occhiata, storta stavolta.

    «Non sei d'aiuto, sai?» Gli rispose l'altro con rimprovero e una buona dose di frustrazione. Come biasimarlo: era una creatura divina a non troppi metri da una delle peggiori bestie infernali.

    Non che questo potesse fermare Crowley dal rispondergli a tono: «Non che tu stia facendo qualcosa.»

    «E cosa pretendi che faccia?»

    «Che ne so?! Accecalo con la tua splendente luce divina o che so io.»

    Aziraphale aggrottò le sopracciglia: «Sai che non succede a comando, vero? E poi sei tu quello che può trasformarsi in una serpe. Potresti anche-»

    Fu Anathema a mettere fine al battibecco. Non dovette nemmeno guardarli: si limitò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé e il tono basso. «Piccioncini, quando avete finito, potreste gentilmente darci una mano?»

L'angelo non disse niente, limitandosi a chiudere la bocca. Crowley, dal canto suo, scoccò alla sua umana uno sguardo assassino, incespicando inutilmente nella sua stessa lingua. Decise ben presto che qualsiasi cosa avrebbe fatto aumentare a dismisura il suo già enorme imbarazzo, così tacque a sua volta e si mise ad analizzare la situazione.

Il gruppetto più avanti, seppur non troppo distante da loro, era quello formato da Tracy e i ragazzini tutti abbracciati l'un l'altro. Non poteva vederli in faccia, ma avrebbe scommesso quello che non aveva che erano giustamente terrorizzati. E i segugi infernali amavano il terrore: era come il caffè per loro.

Cercò di mettere in moto la sua mente per escogitare qualcosa di utile, ma una parte di lui gli stava urlando di correre, volare il più lontano possibile. Se avesse fatto un decollo abbastanza rapido si sarebbe salvato: i segugi infernali sono veloci ma per fortuna non hanno le ali, si disse. Se solo avesse capito chi era l'obbiettivo della suddetta creatura, sarebbe stato facile afferrarlo e portarlo abbastanza in alto da evitare che lo azzannasse - e sì, si stupì di quel pensiero incredibilmente altruista, ma tanto non lo avrebbe portato da nessuna parte visto che nemmeno il grosso canide sembrava sapere dove affondare i denti.

Non se ne stupì: alla fin fine anche le sue intenzioni non esattamente malevole erano destinate a finire in una nuvola di fumo. C'era un detto secondo il quale il male semina i semi della sua stessa disfatta - o cose del genere, insomma. In un certo senso era vero, almeno per quanto lo riguardava.


Erano in un vicolo cieco e prima o poi il mostro si sarebbe spazientito. Ormai era questione di minuti, se non di secondi.

Che fare? Si chiese Crowley con urgenza. Questo Dio non lo aveva previsto però, eh?

Diede persino un'occhiata ad Aziraphale, ma le sue piccole pozze azzurre erano a loro volta occupate a fissare la scena con preoccupazione crescente. Almeno erano sulla stessa lunghezza d'onda: magari almeno lui avrebbe potuto trovare una soluzione.

O magari no ed erano fottuti.


Si udirono dei passetti incerti. Crowley rivolse nuovamente l'attenzione all'area di cortile davanti a sé e per poco non cacciò un urlo.

    Vide Tracy allungare invano un braccio davanti a sé e sussurrare un impanicato: «Dove vai? Torna qui!»

Ma Adam si era staccato dalla sua stretta, strisciando via come una biscia. Sembrava tranquillo come sempre: nemmeno quella situazione sembrava intaccare la sua aurea ferma e pacata. Fece persino un altro mezzo passo verso il segugio, il quale - contro ogni aspettativa - non si mosse. 

Anzi.

Il ringhio si placò, facendosi sommesso: un leggero vibrato che gli gorgogliava e ribolliva nella gola. Più il ragazzino si avvicinava, più la creatura si rilassava, sciogliendo le membra e spostando tutta la sua attenzione verso il giovane umano.

La tensione del resto del gruppo, invece, non si sciolse proprio per niente: al massimo triplicò. Era ovvio, chiaro come il sole, che tutto ciò non poteva essere normale o una cosa positiva. Crowley stesso sentì tutto sé stesso tremare dal terrore intanto che la distanza tra Adam e il segugio si riduceva a pochi centimetri.

Ora ragazzino e bestia si stavano guardando, quest'ultima tranquillamente seduta come un qualsiasi cane ben addestrato. Da dov'era, il rosso poté osservare la mano di Adam alzarsi lentamente ma con sicurezza, per poi andare a poggiarsi sul grosso muso nero del segugio.

    «Non mi piace. Non mi piace per niente» sussurrò a nessuno in particolare.

    Fu Aziraphale a rispondergli, nonostante tutto: «Nemmeno a me.»

Ci furono tre secondi di puro silenzio in cui nessuno respirò né mosse un muscolo. Persino il vento si era fermato e, per un attimo, Crowley credette persino che fosse stata opera sua, ma non era il caso. Era troppo spaventato per fare qualsivoglia trucchetto, e capì cosa intendeva Aziraphale quando diceva che non era una cosa automatica.

Quei pochi attimi finirono nel modo peggiore che si potesse immaginare - e Crowley ne aveva immaginate di cose in quel breve frangente.

Vide Adam voltarsi verso di loro, mano ancora ben poggiata sul segugio. Per la prima volta da quand'era arrivato, la sua espressione era cambiata drasticamente: era passata dal sembrare un tranquillo specchio d'acqua accarezzato dal vento, al sembrare un mare in tempesta con tanto di tuoni, fulmini e lampi all'orizzonte. Il peggio, però, fu che quello stesso sguardo si era andato subito a posare tra lui e l'angelo. A quel punto gli fu chiaro chi fosse l'obbiettivo del segugio, o del ragazzino a quel punto... O di entrambi.

    Aziraphale lo capì meno. «Che gli prende?» Balbettò, ben conscio dello sguardo assassino che aveva addosso.

Crowley notò che anche tutti gli altri si erano voltati verso di loro, chi spaventato, chi stupito e chi (Shadwell e Anathema in particolare) gli stava silenziosamente urlando: "Che state facendo lì impalati, imbecilli?!"

    «Non lo so» si limitò a rispondere Crowley, subito distratto dalla figura di Adam che - come fosse la cosa più tranquilla e naturale del mondo - si era issato in groppa al segugio, il quale - come se se l'aspettasse - si era alzato fiero su tutte e quattro le zampe. «In ogni caso» continuò, il tono ridotto ad un sussurro che solo il suo vicino avrebbe potuto sentire. «Appena scattano, tu vola

Fu come pronunciare una parola magica.

Accadde tutto nel giro di un secondo. Adam e il segugio scattarono in avanti, gli altri umani scartarono di lato per evitare di venire travolti e Crowley fece il decollo più veloce della sua esistenza - e farlo da fermi senza rincorsa richiedeva uno sforzo non da poco. Poi, senza guardarsi indietro, mirò al tetto del cottage e vi si rintanò sopra, l'adrenalina a mille.

    Alcuni stentati battiti d'ali dopo, Aziraphale gli fu accanto: «Bene» disse, lo sguardo di chi aveva visto tutta la sua esistenza passargli davanti. «Adesso?»

    «Il mio piano si fermava qui» ammise Crowley, cercando di focalizzarsi sugli occhi dell'altro piuttosto che sul ragazzo e il cane sotto di loro, intenti a studiare un modo per raggiungerli. Non sarebbe durata a lungo: un'altra cosa che i segugi infernali sapevano fare bene era saltare, e gli altri umani non potevano nulla contro la bestia.

    Aziraphale si mise a fissarlo a sua volta, ma si vedeva che aveva messo la testa in moto. Era ovviamente terrorizzato, ma di certo non aveva nemmeno tanta voglia di finire mangiato da quel coso. «Ho una mezza idea» disse dando un'occhiata verso il basso. «Non ti piacerà.»

    Non che Crowley si aspettasse il contrario. «Va bene, spara.»

    «Sarebbe più semplice separarli,» disse l'altro indicando Adam e il segugio. «Hai visto cos'è successo? Il cane non si è mosso fintanto che il ragazzino non si è avvicinato.»

    Giusto. Crowley avrebbe volentieri voluto capirne il motivo, ma non era quello il momento di fomentare la curiosità. «Va bene, ma come pensi di fare?»

    «Potrei afferrare Adam e allontanarlo» propose l'angelo. Era un'idea simile a quella che aveva avuto il demone poco prima, anche se non poteva saperlo. «Questo in teoria dovrebbe bastare, ma nel caso, tu allontanati. Se davvero ce l'ha con noi, non ha motivo di attaccare gli altri, vero?»

    Crowley annuì: «Segue alla lettera gli ordini che gli danno» affermò. Poi guardò la sua controparte in modo assolutamente poco convinto: «Sei sicuro di quello che fai? Se quella bestiaccia decide di azzannarti, beh, diciamo che ti farà rimpiangere la mia presa sul polso.»

Per un secondo si chiese se non fosse meglio scambiarsi i ruoli. Da un lato pareva meno rischioso, ma era anche vero che quello veloce lì era lui e Adam era umano (o almeno credeva), ergo: Aziraphale non sarebbe mai riuscito a scappare dal segugio in caso le cose non fossero andate come previsto, mentre afferrare il ragazzino tenendosi a distanza era molto più fattibile - pur sempre rischioso per motivi che aveva già espresso, ma fattibile. Tutto sarebbe potuto andare storto, ma non avevano altra scelta: continuare a volare via era inutile e li avrebbe solo portati a sorvolare l'area - se non il globo - all'infinito. I segugi infernali erano instancabili: non si fermavano finché non avevano raggiunto il loro obiettivo.

    «Proviamoci» disse Aziraphale, cercando di apparire più convinto di quel che era. «Farò attenzione, e se alla prima non va ci riproviamo.»

    Con un sospiro, il rosso cedette: «Va bene. O la va o la spacca.»

Dando un'altra occhiata verso il basso, vide con sollievo che gli altri si erano allontanati fin oltre il recinto della proprietà e che Tracy stava già portando via i ragazzini rimasti. Un'altra cosa che contribuì a calmarlo appena fu l'immagine di Anathema che frugava nelle tasche della sua gonna. L'umana aveva un asso nella manica: ecco perché lasciava sempre a lei i casi d'emergenza.

In quanto ad Adam e al segugio, il ragazzo aveva fatto indietreggiare la bestia e stava già calcolando il salto. Il loro tempo era finito.

Si scambiò un'ultima occhiata con l'angelo e distolse lo sguardo non appena lo vide volare via dal tetto. Doveva concentrarsi, si disse. Doveva tenere d'occhio quella maledetta bestia e balzare via all'occorrenza.

Fu tutto così rapido che le cose si confusero davanti ai suoi occhi. Capì che Aziraphale era riuscito nel suo intento solo quando vide il segugio balzare sul tetto da solo, aggrappandosi alle tegole e facendone cadere una bella manciata. La sua traiettoria era stata compromessa: ciò significava che non solo l'angelo era riuscito ad afferrare il ragazzino, ma lo aveva fatto quando questi era già a metà del salto. Per mezzo secondo maledì la paura, la velocità disarmante dell'atto e la confusione; ma non c'era tempo per stare ad immaginare scene emozionanti. Doveva scappare. Anche senza il suo cavaliere, il segugio era ben intenzionato a sbranarlo - o a fare qualsiasi cosa gli fosse stato chiesto di fare.

Senza stare a pensarci ulteriormente, Crowley si voltò e volò via dal tetto. L'unica destinazione che aveva in mente era verso l'alto: più si alzava, più sarebbe stato difficile per il mostro raggiungerlo. Se lo ripeté come un mantra, iniziando a sbattere il più possibile le sue ali corvine.

Poi tutto crollò di colpo.

Sentì prima un grido di dolore e una stilettata di ansia, confusione, terrore e chissà che altro gli pervase le membra. 

Non lui, non poteva essere lui, doveva essersi sbagliato. Qualcosa doveva essere andato storto. Aveva preso il ragazzino, era andato tutto bene, giusto? Giusto?

Fu abbastanza da fargli perdere un battito d'ali, un solo, fatale battito che mandò tutto all'aria.

La seconda cosa che sentì furono i denti della bestia che affondavano senza pietà nella sua caviglia, seguiti subito dal dolore. Non era intenso come quello che aveva provato entrando in contatto con Aziraphale, ma faceva fottutamente male.

La terza cosa che sentì furono le sue care vecchie amiche vertigini intanto che veniva trascinato verso il basso. Incapace di risollevarsi, sbatté violentemente contro il tetto e sia lui che il segugio - ancora fermamente ancorato alla sua gamba - scivolarono verso il retro del cottage.

Arrivato con un tonfo nell'erba, Crowley capì di essere bello che morto. Gli faceva male tutto, sentì un rivolo partirgli dal naso e scendergli giù verso la bocca, e - ciliegina sulla torta - a giudicare dal movimento che sentì sotto di lui, capì che il mostro lo stava trascinando via di forza. 

Imprecò, si dimenò, ma la botta era stata troppo forte: non riusciva più nemmeno a pensare. Non era mai stato particolarmente resistente - in realtà lo era, ma lo era meno comparato alla maggior parte dei demoni - e si era fatto male con molto meno, ma ce ne voleva per ridurlo in quello stato. Ad un certo punto, il mondo attorno a lui si fece così vago e confuso da fargli arrivare alle orecchie solo dei passi affrettati. Il mastino si fermò un secondo solo, poi riprese a trascinarlo - più velocemente stavolta.

Chi? Cosa? Non avrebbe saputo dirlo.

Alla fine si arrese. Lasciò che l'erba, la terra, tutto gli graffiasse il volto, le braccia, la schiena, le ali... L'aria della Zona era così lieve, si disse, incapace ormai di formare anche solo un pensiero logico.

Chiuse gli occhi e aspettò che tutto passasse.


~•°•~


Aziraphale non avrebbe mai saputo dire come ci fosse riuscito, ma in qualche modo lo aveva fatto.

Era stato relativamente facile: era balzato in avanti nello stesso momento del segugio, aveva allungato le braccia e si era felicemente accorto del fatto che quel piccolo diversivo non se l'erano aspettato né Adam né il suo improbabile destriero. Così aveva semplicemente afferrato il ragazzino da sotto le spalle e aveva puntato al bosco oltre il sentiero che portava al cottage.

Fu lì che si rese conto di una cosa. Era un particolare così stupido, così minimo, così facile da non notare che la realtà lo colpì dritto all'ipotetico cuore.

Lui non aveva mai toccato Adam.

Lo aveva osservato di tanto in tanto mentre dormiva durante la notte, gli aveva sorriso mentre lo guardava scendere a fare colazione, lo aveva salutato prima di uscire con Newton e gli era rimasto accanto mentre scriveva. Non lo aveva mai toccato, né per rimboccargli eventualmente le coperte (non voleva disturbarlo), né per accompagnarlo fuori dalla porta (non ne aveva visto il motivo), né per qualsiasi altra cosa. 

Forse, se lo avesse fatto, si sarebbe accorto dell'inghippo.

E adesso aveva capito tutto. Peccato lo avesse capito troppo tardi.


Due secondi e subito il bruciore si espanse dai palmi delle sue mani fin sopra le sue braccia, dalle braccia passò alle spalle e persino sul suo petto - laddove la testa di Adam era involontariamente andata a sbattere - sfociò la sensazione di ustione e dolore più forte che avesse mai provato. Crowley aveva ragione: stava rimpiangendo la presa sul polso.

Sfrecciò verso gli alberi, si avvicinò a terra, mollò Adam e si lasciò cadere nell'erba. L'impatto fu quasi peggio del contatto e dalla sua gola uscì un forte, involontario, grido di dolore che doveva essersi sentito fin chissà dove. Si raggomitolò su sé stesso, tremante, dolorante, persino leggermente fumante.

Quel ragazzino non era umano. Avrebbe dovuto capirlo subito dal modo in cui aveva domato quella bestia, ma nella frenesia del momento la sua mente non aveva fatto bene i calcoli. Sarebbe stato decisamente meno doloroso tuffarsi direttamente nel fuoco dell'Inferno, si disse, cercando di ricomporsi.

Perché faceva così male? Perché bruciava così tanto? Chi o cos'era Adam?

A proposito. Alzando un po' lo sguardo, Aziraphale lo vide: era inginocchiato a pochi metri da lui, aveva le guance sporche di fango, respirava affannosamente e piangeva. Due grosse righe di lacrime gli ripulivano il volto e i suoi occhi lucidi lo fissavano intrisi di dispiacere. Ad ogni suo singhiozzo il cielo si rabbuiava, l'aria si faceva più pesante e sembrava quasi che il mondo intero si stesse rattristando con lui.

L'angelo rimase interdetto. Lo stesso ragazzino che si era scagliato contro di loro sembrava adesso crollato sotto il peso delle sue stesse azioni. Lo vide persino allungare una mano verso di lui solo per poi ricordarsi dell'effetto che avrebbe avuto.

A quel punto, tremante, Adam si passò un braccio sugli occhi, si alzò e corse via.

Aziraphale rimase solo con il suo dolore. Una pesante goccia di pioggia gli cadde sulla testa e capì che doveva rialzarsi se voleva capirci qualcosa, se voleva che quella storia avesse un lieto fine.

Mezzo movimento e il bruciore esplose di nuovo, costringendolo a terra. Le poche forze che aveva lo abbandonarono e lui rimase lì, inerme, lacrimante. Le parti di lui che di solito litigavano si erano ora messe a gridargli contro che doveva alzarsi, doveva muoversi, doveva svegliarsi. Non si era nemmeno accorto di aver chiuso gli occhi, ma poco importava ormai.

Faceva tutto troppo male. Nemmeno la pioggia fredda riusciva a placare il bruciore.

L'ultima cosa che sentì fu una voce che lo chiamava, in panico. Non si chiese di chi fosse, tanto non sarebbe riuscito ad identificarla.

Lasciò che l'oscurità lo ingoiasse e pochi attimi dopo non sentì più niente.

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Capitolo 10
*** Inferno e ritorno ***


Era la seconda volta che succedeva. La prima l'aveva sentita a malapena: sapeva di aver chiuso gli occhi ed essersi svegliato avvolto da tante piacevoli sensazioni, rotte solo dall'aria pesante dell'Inferno e dai battibecchi di Crowley e Anathema.

Stavolta fu come essere tirati a forza verso il punto più profondo dell'oceano: era circondato da rumori soffocati, parole che gli rimbombavano incomprensibili in testa e momenti in cui tutto semplicemente spariva, lasciandolo nell'oblio. L'unica costante era il dolore: così forte e così diffuso da costringerlo a rimanere a galla almeno un po'. Perché per quanto l'incoscienza fosse allettante, non poteva starci a lungo. Era pericoloso e non gli piaceva.


La realtà tornò a tratti e, come la prima volta, sentì qualcosa di vasto e morbido sotto le ali e la nuca. Il letto, si disse.

Il dolore sembrava essersi placato appena, ridotto ora ad un pizzicore fastidioso sulle braccia e sul petto. Niente tocchi delicati o mani intente a curarlo, però. Sentì una stretta preoccupata sulle sue spalle: lo scrollava senza strapazzarlo, decisa a farlo tornare. Doveva tornare, si disse. Doveva fare uno sforzo.

Si aggrappò alla voce che continuava a chiamarlo, e svegliarsi fu così repentino e doloroso che si disse di non volerlo fare mai più. 


    Sbarrò gli occhi e davanti a lui si stagliò il volto sconvolto di Anathema. La giovane aveva ancora le mani ancorate alle sue spalle e, non appena lo vide riprendersi, irruppe in un: «Oddio, stai bene?!» Intriso di panico.

Aziraphale non seppe bene come rispondere. Era di nuovo presente a sé stesso, il che era rincuorante, ma si sentiva come se una montagna gli fosse crollata addosso. Si sforzò di annuire, ma l'altra parve tutto fuorché convinta.

    «Diamine, ho temuto di perderti, sai?» Gli confessò, facendo un respiro profondo. «Qualunque cosa ti abbia fatto quel ragazzino, è un miracolo che tu sia ancora vivo.»

Anathema sparì dalla sua vista, andando probabilmente a frugare nella sua borsa, e l'angelo ne approfittò per guardarsi attorno. Erano nella stanza degli ospiti, ma erano soli. Gli altri umani si erano probabilmente allontanati dopo l'attacco del segugio, e Crowley... Già, lui dov'era?

Aziraphale sentì un'ondata di panico soffocare il bruciore ancora decisamente ancorato al suo petto, alle sue mani e alle sue braccia. Fece per alzarsi sui gomiti, ma tutto il suo essere si rifiutò. Fece per parlare, ma persino la gola gli bruciava - colpa dell'urlo, poco ma sicuro.

    Fortunatamente, Anathema gli venne in soccorso. Gli poggiò addosso una pezza bagnata, iniziando a tamponare delicatamente le zone ustionate. «Ssh, calmo. Adesso ti spiego tutto» disse, la voce ridotta ad un sussurro. Sembrava stanca e abbattuta, oltre che preoccupata. «Solo, resta con me. Va bene?»

Non avevano tempo per questo, Aziraphale lo sapeva, nonostante ciò annuì e si apprestò comunque a fare come gli era stato detto. Decise di fare un paio di respiri profondi a sua volta, pratica che fisicamente era inutile ma che fece miracoli dal punto di vista emotivo. Dopo un po' - e dopo tante sofferte manovre per aiutarlo a sedersi - la giovane gli offrì persino una tazza di tè che aveva preparato poco prima, e si spostò con una sedia accanto al letto, aspettando che finisse di bere con calma.

    L'angelo sorseggiò in silenzio, concentrandosi sul sapore di quella bevanda dall'odore meraviglioso. Pensarci lo aiutò a rilassarsi, tanto che alla fine si sentì abbastanza bene da prendere parola. «Dov'è Crowley?» Chiese, andando dritto al punto.

    Anathema spostò lo sguardo verso il basso. «Quella bestiaccia lo ha portato via.»

    Proprio ciò che Aziraphale aveva temuto. Si fece coraggio, posò la tazza sul comodino e continuò: «Cos'è successo?». L'ansia lo portò a torturarsi le dita, intanto che teneva lo sguardo fisso sulla giovane.

    Quest'ultima prese a massaggiarsi le braccia, affranta. «È successo tutto molto in fretta. Quando hai afferrato Adam ho pensato fosse fatta, ma poi ti ho visto andare contro gli alberi e ti ho sentito urlare. Non ho fatto in tempo a raggiungerti che ho sentito un tonfo provenire dal tetto. Newton e Shadwell mi hanno detto che il segugio aveva afferrato Crowley all'ultimo e che con ogni probabilità lo stava già trascinando via» raccontò. «Ho detto loro di andare sul retro del cottage a dare un'occhiata mentre io andavo ad occuparmi di te. In quel momento è comparso Adam: stava correndo anche lui verso il boschetto qui dietro. Shadwell avrebbe voluto e sicuramente potuto afferrarlo, ma dopo quello che è successo glielo abbiamo impedito. Alla fine abbiamo capito che correre dietro a lui e alla bestia sarebbe stato inutile, così siamo venuti a recuperarti». Lo fissò con apprensione, tanto da fargli percepire tutta la paura che aveva provato. «Hai idea di quanta acqua santa ti abbia buttato addosso?» Disse poi. «Newton ha dovuto chiedere ad alcuni del vostro lato di andare a recuperarla.»

Aziraphale la fissò per un po'. La situazione non era delle migliori, e tutto rischiava di andare in malora. Fortunatamente una parte di lui, quella ragionevole, gli disse che se la profezia aveva ragione - e voleva continuare ad esserne convinto, anche perché era stata Anathema stessa ad assicurarglielo - allora forse una via d'uscita c'era. E per quanta paura avesse, doveva trovarla.

    Così fece un leggero sorriso e disse: «Avresti dovuto vedere la faccia di quel bambino prima che scappasse via. So che forse farai fatica a crederci, ma era sinceramente dispiaciuto.»

Uno dei vantaggi dell'essere un angelo era sapere perfettamente quando qualcuno era veramente e genuinamente pentito. Adam lo era: glielo si poteva leggere negli occhi e nelle lacrime. Forse non era un ragazzino come tutti gli altri, ma sicuramente non era una cattiva persona - non fondamentalmente, almeno.

    Anathema sbarrò gli occhi: «Se lo dici tu, ci credo. Solo... Allora cos'è stata tutta quella storia del segugio? E perché ti ha fatto così tanto male?»

    «Questo non lo so» sospirò l'altro. «Ma andiamo per gradi». Guardò il letto alla sua sinistra, quello dove il demone si era raggomitolato la notte prima. Non poté che sentirsi un po' in colpa, anche se sapeva benissimo che nessuno di loro avrebbe mai anche solo immaginato quel risvolto degli eventi. Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava: avrebbe dovuto studiare il ragazzino con attenzione. In ogni caso, una cosa era certa: «Comunque vadano le cose, ho bisogno di Crowley» affermò. C'era scritto, in fondo, nero su bianco: la Luce Alata aveva bisogno della bestia dell'Eden al suo fianco se voleva vincere. Nessun secondo fine. Non uno?

    «Perciò» continuò Aziraphale, «devo andarlo a prendere.»

    Anathema, che nel frattempo si era versata del tè a sua volta, per poco non risputò tutto nella tazzina. «Sei fuori di testa?!» Esclamò in un modo che ricordava tantissimo il suo padrone. «Ascolta. C'è un solo demone abbastanza pazzo e vendicativo da mandare un segugio infernale alla ricerca di Crowley: Beel.»

Aziraphale sbatté gli occhi un paio di volte, confuso.

    «Ah già, tu non lo sai. È il modo in cui Crowley chiama Belzebù.» 

    «Oh, ma certo» sospirò l'angelo. «Avrei dovuto capirlo. Quindi significa che...»

    «Significa che è nella fortezza, Aziraphale» completò Anathema. «Nemmeno Gabriel ci è mai entrato. Le poche volte che uno dei vostri ci ha messo piede non è più tornato, ma ti parlo di secoli fa.»

    «Lo so, ma...» balbettò Aziraphale, «che altra scelta abbiamo? Non potete certo andarci voi. E poi: Crowley era disposto a tornare in Paradiso per aiutare me; non vedo perché io non debba andare fino all'Inferno per aiutare lui.»

    L'espressione della giovane si addolcì. «O sei troppo buono, o forse la profezia non è l'unico motivo per il quale sei disposto a fare una cosa simile.» 

O magari entrambe le cose. O forse nessuna delle due.

    Aziraphale non avrebbe saputo dirlo e aveva passato le ore precedenti ad interrogarsi, intanto che la situazione si evolveva attorno a lui, sempre più intricata. Fu sincero: «Non saprei» rispose, un sorriso amaro sul viso. «Sarebbe così strano se non lo considerassi più un nemico?»

C'erano parole più adatte, si era detto. "Controparte" era la sua preferita, e forse anche "collega" ci poteva stare se si prendeva in considerazione il loro ruolo nella profezia. Ma una nemesi non è qualcuno con cui ti scambi opinioni sotto la pioggia e non è qualcuno accanto al quale ti siedi a tavola, così come non è qualcuno con il quale escogiti piani per la salvezza comune. Non è qualcuno con cui sei destinato a sovvertire il mondo.

...o forse sì?

    «Ti dirò,» disse Anathema accavallando le gambe, ora molto più tranquilla. «Quando impari a conoscere Crowley, sei destinato ad avere un rapporto strano con lui. Insomma, ci hai visti: non facciamo che andarci contro, ed io sono perennemente costretta a fare quello che dice lui.»

    Aziraphale accennò un sorriso: «Sí, ma... perché ho come l'impressione che, nonostante tutto, lui non ti stia antipatico?»

    L' altra si fece scappare una mezza risata: «Perché lo adoro. Non è sempre stato così: sapevo che un giorno me lo sarei ritrovato davanti, ma quand'è successo non sapevo bene come gestire la situazione» confessò. «Sono dovuta andarmi a cercare delle profezie: senza di quelle ci avrei messo il quadruplo del tempo a capirlo. Sa essere fastidioso, sa come stuzzicarti, sa come essere rude e ha sempre quel fare sarcastico. Eppure è diverso dagli altri demoni, e questo gioca a suo favore.»

Disse l'ultima parte con uno dei sorrisi più sinceri che Aziraphale avesse mai visto su volto umano. Inoltre: non avrebbe potuto fare una descrizione migliore.

    «C'è una cosa che devi sapere di lui» riprese Anathema, riportando tutta l'attenzione dell'angelo su di sé. «Crowley nel tempo si è costruito una specie di muro attorno: per questo mi piace dire che è un osso duro. È molto difficile avvicinarsi a lui ma è ancor più difficile che lui si avvicini a te. Se lo fa, i motivi sono due» Spiegò, iniziando a contare sulle dita: «Uno: vuole farti un brutto tiro - e credimi, si diverte a fare scherzetti bastardi per quanto innocenti; o due: lo hai incuriosito davvero. E attirare la curiosità di Crowley - quella vera dico, quella che lo porta a scavare a fondo nelle cose - significa essere davvero, beh, pazzeschi ai suoi occhi.»

Ad Aziraphale tornarono in mente tutti gli sguardi, tutte le reazioni, la sensazione di volerne sapere di più... 

    «Tu lo incuriosisci non poco» affermò Anathema, come se gli avesse letto nel pensiero. «In pratica: gli piaci. Non lo ammetterà mai, ma posso assicurarti che è così.»

    «Ne sei sicura?» Chiese l'altro, stringendosi nelle spalle. «Non sono poi così... Beh, interessante, credo.»

    La giovane rise di nuovo: «E lui non è esattamente gradevole, ma incuriosisce anche te. Non è vero?»

Era vero eccome. Anathema ci aveva preso: Crowley era diverso; non sembrava né grottesco, né minaccioso, né veramente cattivo. Sembrava più qualcuno che era stato spinto ad esserlo e alla fine si era abituato così, e aveva trovato la sua zona di comfort in quel tipo di vita. E poi non si stava trovando così male con lui. Sì, l'inizio era stato burrascoso e le cose avevano iniziato a malapena a scalfirsi, ma aveva trovato carino il fatto che fosse venuto a cercarlo quella notte, e che avesse deciso di accompagnarlo in Paradiso nonostante non ne avesse propriamente intenzione. Forse non lo aveva inquadrato abbastanza bene ancora, ma erano in quel casino insieme e insieme ne sarebbero usciti.

    Aziraphale non rispose alla domanda, ma tanto non ce n'era bisogno: si vedeva dallo sguardo di Anathema. Piuttosto, si fece serio e chiese: «Hai idea di come entrare in quella fortezza?»

    «Sei sicuro di volerlo fare per davvero?» Chiese lei, seppur un po' più risoluta di prima. «Hai visto come sei ridotto? Anche solo l'atmosfera di quel posto potrebbe ridurti ad uno straccio.»

    «In qualche modo farò» disse lui, cercando di mascherare l'ansia che aveva iniziato a mangiargli l'ipotetico stomaco. «E poi, il segugio non stava cercando solo lui,» precisò. «Stava cercando entrambi. Questo, o semplicemente aveva voglia di mangiarmi.»

    «Non escludo nessuna delle due opzioni» rispose Anathema. «Ma ti rendi conto del fatto che questo peggiora solo la situazione, vero?»

Aziraphale sospirò perché se ne rendeva conto, se ne rendeva conto eccome. Fissò mesto i segni delle ustioni che ancora pizzicavano imperterrite. Ferire esternamente una creatura immortale è facile come bere un bicchiere d'acqua, ma quel dolore si estendeva ben oltre il piano fisico. Se voleva intraprendere quella pazza missione di salvataggio, aveva bisogno di un piano ben congeniato.

E ne avrebbe trovato uno. 


~•°•~


L'ennesimo coagulo nerastro gli si formò in gola, ma stavolta lo ricacciò indietro. Quello era in assoluto il giorno peggiore della sua esistenza.

Si era svegliato grazie ad un calcio dritto nella pancia, seguito da altrettanti colpi che lo avevano lasciato mezzo inebetito per un po'. Poi le cose erano andate peggiorando e si era ritrovato a terra, in un angolino delle celle dove i suoi superiori buttavano quelli che gli stavano antipatici, il più delle volte per torturarli.

    «Allora, Crowley» disse Beel, sorridendo come un bambino in un negozio di caramelle. «Ti va di dirmi dove ti eri cacciato, adesso?»

Ovviamente non gli andava, e il fatto che fosse costretto era un altro paio di maniche. Quel che è peggio, era che Beel sapeva bene come farti male se gli girava; e se c'era qualcuno che sapeva come distruggere il "corpo", il maledetto e fragile guscio di un demone, quello era lui. Aveva tanti di quei giocattolini spaventosi che prima o poi eri costretto ad assaggiare se lo facevi incazzare, e Crowley era ben conscio del fatto che lo aveva fatto incazzare di brutto.

    Non gliel'avrebbe data vinta, non subito almeno. In fondo era ancora invischiato in quella benedetta profezia, sempre che quel piccolo contrattempo non fosse un imprevisto nei piani di Dio... In ogni caso, decise di fare un leggero sorrisetto sornione per mascherare la paura misto voglia di saltare al collo del suo superiore. «Che vi devo dire, l'aria si era fatta pesante da queste parti» disse, non senza un fremito.

    Beel strinse il manico della frusta che aveva in mano, riducendo gli occhietti troppo azzurri in due fessure: «Sei ancora in vena di scherzare?» Sputò. «Ti do un semplice ordine e tu cosa fai? Sparisci chissà dove e il mastino che mando a recuperarti torna con l'Arma in groppa. Cosa stavi combinando?»

    Crowley sentì un brivido spingerlo ancor più verso il muro. I suoi pensieri si bloccarono tutti insieme e tutti di colpo, e una sola domanda riuscì a fare capolino dalla sua bocca, incerta e tremante: «Come sarebbe a dire?»

    Il silenzio che seguì fu assordante e Beel parve in qualche modo deluso. «È stato il nostro Signore a dirmelo quando sono andato a riferirgli che un ragazzino aveva superato le guardie all'entrata. Credimi, è stato assurdo per tutti» spiegò. «Tu non ne sapevi niente?»

    «Se lo avessi saputo me la sarei data a gambe!» Esclamò Crowley, d'istinto. Ora era del tutto terrorizzato. Aveva dormito nella stessa stanza dell'Arma, cazzarola; inoltre adesso le cose avevano assunto un nuovo, spaventoso senso: il fatto che Adam fosse comparso all'improvviso, il suo comportamento inusuale, il suo cambiamento repentino quand'era arrivata quella bestiaccia...

    «Questo in realtà rende le cose più interessanti» riprese Beel, facendo qualche passo verso di lui. «Eri andato a punire un angelo, no? Qualcosa mi dice che ti sei fatto fregare. Non solo mi hai ignorato, andandotene a zonzo come tuo solito; hai anche fallito.»

In condizioni normali Crowley avrebbe cercato di giustificarsi, ma ora quell'affermazione lo aveva lasciato ancor più sottosopra delle ferite che gli decoravano braccia, petto e viso. Aveva sentito una sensazione terribile fargli una capriola in petto e si era reso conto di una cosa che fino a quel momento era rimasta zitta zitta, nascosta tra i suoi incasinatissimi pensieri. Adam era l'Arma e l'Arma era stata forgiata da Satana in persona dalle viscere stesse dell'Inferno.

E l'angelo l'aveva afferrato come nulla fosse.

Ora si spiegava l'urlo che aveva sentito e, facile botta di conti, creatura divina più essere non ben specificato nato dal fuoco infernale significava solo che la sua controparte era bella che morta. In poche parole: era andato tutto a rotoli e poteva solo peggiorare.


Un colpo di frusta nell'aria lo fece sobbalzare, strappandolo da quel ragionamento. Ora sì che si sentiva perso e minuscolo, ancor più piccolo di Beel che, senza dire un'altra parola, era già pronto a fargli un altro bel taglio proprio in mezzo agli occhi.

Non sapendo cosa fare, Crowley si limitò guardare altrove, pronto a beccarsi l'ennesimo dolorosissimo colpo. A quanto pareva, però, la fortuna - o chi per lei - non si era completamente scordata di lui.

    Dall'entrata della cella arrivarono dei passi. «Odio interrompere questo bel momento» disse una voce che Crowley conosceva bene e che detestava all'inverosimile. «Ma siete richiesto all'esterno, signore.»

    Alzando gli occhi al cielo, Beel si voltò verso Hastur, quel brutto bastardo. «Essia, arrivo» disse facendo sparire la frusta di malavoglia. Poi si rivolse al suo prigioniero: «Ringrazia questa guerra. Quando avremo finito, tornerò a tormentarti. Curati bene le ferite, mi raccomando.» 

Crowley vide gli occhi di entrambi i suoi più detestati superiori fissarlo con scherno ed evidente divertimento. Rivolse loro l'espressione più dura che potesse tirare fuori in quel momento, ma tutta la rabbia che covava nei loro confronti si era spenta in favore di qualcos'altro. Qualcosa che ancora non riusciva a comprendere.

Uscirono chiudendo la cella e se ne andarono, lasciandolo al buio. Solo allora il rosso si permise di rilassarsi e imprecare tutte le belle parole che aveva lasciato morire negli ultimi minuti - o ore, non avrebbe saputo dirlo. Maledisse il dolore alla caviglia che il segugio aveva morso, maledisse le ali mal ridotte e sporche per essere state trascinate in lungo e in largo, maledisse i calci, i colpi di frusta, i tagli sanguinanti, il colpo alla testa... Maledisse persino Adam, ma tanto non poteva dannarlo più di tanto visto che era giusto un gradino sotto Satana.

Ma soprattutto, maledisse quello stupido senso di solitudine. Affondò le dita nei capelli perché sapeva benissimo di essere solo in mezzo allo schifo e che morire non era un opzione per lui: era destinato a guarirsi per poi beccarsi altre frustate da Beel, e non guarirsi lo avrebbe solamente ridotto ad un esserino inutile e sanguinolento. Maledisse Aziraphale per non avergli infilato la spada in petto quando ne aveva l'occasione: avrebbe avuto più senso e sarebbe stato più facile per tutti. Soprattutto, se l'avesse fatto sarebbe ancora vivo, pensò. Stupido. Ecco cos'era: pazzo e anche stupido.

Alla fine si mise a piangere perché non aveva le forze di fare nient'altro. Non provò nemmeno ad alleviare il dolore: non aveva senso. Non provò nemmeno a cercare una via d'uscita: nemmeno quello aveva senso.

Si raggomitolò su sé stesso e si lasciò andare, scosso da silenziosi singhiozzi che facevano aumentare il dolore ad ogni spasmo.

L'ultima volta che l'aveva fatto, era stato quando Dio aveva deciso di buttarlo di sotto.


~•°•~


    «Fammi capire bene» ringhiò Shadwell, guardandolo storto. «Attorno a noi sta per scoppiare la Guerra, un ragazzino malvagio e il suo cane demoniaco sanno dove siamo e tu, invece di andare a recuperare la tua spada per aiutarci, hai deciso di finire di morire all'Inferno?»

Aziraphale non seppe subito come replicare, anzi: un po' si sentì pure offeso. Erano di nuovo al piano di sotto del cottage e c'erano solo lui, Anathema, Newton e quel vecchio fuori di testa che ancora non sapeva come prendere. Incredibile come stesse attaccando la prima cosa buona che faceva per qualcuno: ovvero ciò che si era sempre sentito di dover fare, ma che non gli era mai stata data la possibilità di fare.

    Ancora una volta fu Anathema, santa Anathema, a tirarlo fuori dai guai: «Non possiamo fare niente senza Crowley, ricordi? Conosco il modus operandi di Belzebù: potrebbe fare a pezzi chiunque gli stia sulle scatole ma preferisce di gran lunga farlo soffrire. Abbiamo la possibilità di recuperarlo.»

    Newton li guardò tutti con aria preoccupata, poi sospirò: «Beh, da quel che ho sentito stanno ancora combattendo gli eserciti umani. Magari abbiamo tempo.»

    Shadwell tirò a entrambi i suoi colleghi un'occhiata di sconcerto: «Ma certo, mandiamolo nel bel mezzo del quartier generale nemico dove nemmeno il messaggero è mai entrato. Cosa potrebbe mai andare storto?»

    «Se un arcangelo può arrivare davanti alla fortezza oscura, può farlo anche Aziraphale. E poi, se usiamo il cerchio per andare velocemente a casa mia, sarà ancora più facile» ribatté Anathema andando a poggiare la sua borsa sul tavolo. «E poi ci basta scoprire come farlo entrare.»

    Newton e Aziraphale le furono subito accanto. Il vecchio, però, non sembrava demordere: «Non è nemmeno armato.»

    La giovane tirò fuori un foglio e lo spiegò. «Qualcosa ci inventeremo.»

Come tutti i residenti del Regno del Male, Anathema aveva una bella e dettagliata mappa del luogo. Era grande abbastanza da occupare il tavolo e, in mezzo a tutti i nomi di città e paesini, spiccava fiera la fortezza attorniata da mura che ricordavano quelle dell'Eden, solo più grottesche. Ad Aziraphale salì un brivido lungo la schiena solo a guardarla.

    «Arrivare all'ingresso in volo in realtà non è così tanto complicato» gli spiegò Anathema. «Ma ricordati che se la fortezza celeste si sviluppa verso l'alto, questa scende verso il basso. In sostanza: quella che vedi qui» spiegò, indicando il disegno davanti a loro, «non è che la punta dell'iceberg.»

    «E dov'è che Belzebù tiene i prigionieri?» Chiese l'angelo, già preoccupato di scoprire la risposta.

    Incredibilmente, fu Shadwell a rispondere: «Nello stesso posto dove tengono gli umani che non fanno il loro dovere» disse, incrociando le braccia. Aveva uno sguardo che sembrava fatto di roccia, con il quale fissava gli altri tre con austerità infinita. «Da quel che ho sentito ai tempi dell'esercito, non è troppo lontano dall'ingresso. Uno o due piani al massimo.»

    «Beh, ehm, sembra una buona notizia» balbettò Newton. «È una buona notizia, no?»

    «Beh, sì» rispose il vecchio. «Se non consideri che la fortezza oscura è un dedalo di corridoi stretti e pieni zeppi di demoni che non vedono l'ora di fare un angelo a pezzi.»

    «È qui che ti sbagli» puntualizzò Anathema con un sorriso.

    Newton annuì: «Da fuori mi hanno comunicato che il Signore dell'Inferno ha ordinato a tutti i demoni di prepararsi. In sostanza: c'è un casino di fronte alla fortezza, ma dentro dovrebbe essere quasi deserta.»

    «In pratica, ora tutto sta nel capire esattamente come arrivarci ed entrare» riassunse Aziraphale, ora giusto un pelo più tranquillo.

    «La fai facile tu» sbuffò Shadwell. «Come pensi di fare? Già arrivare fino a laggiù in fretta è una cosa che in pochi sanno fare, e Anathema non vive certo lì all'angolo.»

    «Ma Crowley è uno di quei pochi» ribatté la giovane. «Ha provato a spiegarmi come fa, una volta. È difficile, ma si può provare.»

    Newton non parve convinto: «Ne sei sicura? Insomma, Crowley è un demone. Non è detto che anche Aziraphale ci riesca.»

    «Angeli e demoni sono fatti della stessa pasta alla fin fine» spiegò Anathema. «E poi a questo punto vale la pena tentare.»

L'angelo annuì. Era disposto a fare il possibile, per quanto la cosa lo facesse andare in paranoia. Ora dovevano mettere assieme i pezzi e comporre il grande piano. 

Facile a dirsi, tremendamente difficile a farsi.

Fortunatamente, Anathema conosceva bene il luogo dove viveva, e Shadwell aveva fatto la ronda attorno alla fortezza oscura tante di quelle volte che ormai aveva impresse nella mente tutte le feritoie, tutte le entrate secondarie, tutti i punti furbi usati dai demoni che avevano necessità di entrare e uscire spesso. Sentendo tutte le informazioni di cui disponeva, Aziraphale capì l'importanza che quell'uomo doveva avere nella Zona: era anche uno dei pochi ad avere una buona conoscenza in combattimento. Sapeva come fare in caso di emergenza e, per la prima volta, l'angelo provò un senso di profonda gratitudine nei suoi confronti.

    Newton si diede da fare per chiarire la posizione degli schieramenti e, per fortuna, sapeva come chiederlo e a chi. In una manciata di ore, era uscito e rientrato più volte e aveva già individuato i punti al momento meno sorvegliati della fortezza. A quanto pareva, il più delle guardie era all'entrata principale. «È stato facile» aveva detto. «A quanto pare, la notizia di un ragazzino in groppa ad un segugio infernale che trascina un demone per la gamba è sulla bocca di tutti.»

    La giovane si lasciò scappare un'imprecazione. «Non voglio immaginare in che condizioni è.»

Aziraphale sentì un brivido percorrerlo da parte a parte. L'urgenza lo spinse a mettersi a pensare, prima che riducessero quel povero demone ad uno straccio. Per quanto non fosse esattamente gradevole - per citare Anathema - nessuno si meritava di essere sballottato in quel modo da una parte all'altra del globo.

Rimase fermo accanto al tavolo intanto che attorno a lui calava il silenzio. O stavano pensando tutti, o stavano tutti aspettando che gli venisse un'idea. O entrambe.

La sua mente volò un po' dappertutto per poi soffermarsi su ciò che Anathema aveva detto riguardo al fatto che angeli e demoni sono fatti della stessa pasta. Si disse che non era del tutto vero: Crowley sapeva fare tante cose che lui si sognava. Era una scheggia, prima di tutto; sapeva trasformarsi, e sicuramente aveva tanti piccoli assi nella manica che per tanto tempo gli avevano permesso di fare avanti e indietro per la Terra. Lui era tutto il contrario: era fin troppo lento - gliel'avevano detto spesso, aveva una forma divina ma a nessuno era permesso mostrarla se non in casi d'emergenza; inoltre, prima di allora non era mai stato fuori dal Paradiso né fuori dalla fortezza celeste. Insomma, non aveva possibilità.

O forse, disse la parte ragionevole di lui, la giovane ha ragione. Pensaci: i demoni sono solo angeli caduti. Già, la Caduta. Quella cosa che tutte le creature oscure celebravano tranne Crowley per motivi che non aveva mai voluto dirgli.

E se fosse stato così? Forse lui poteva fare le stesse cose che faceva Crowley, doveva solo provarci.

    Alla fine fece un bel respiro e si aggrappò all'unica mezza idea che la sua testa era riuscita a formulare. «Forse so come fare» annunciò. «Ma è una mezza pazzia.»

    Shadwell si poggiò con entrambe le mani sul tavolo e lo fissò dritto negli occhi. «Al diavolo il buonsenso, allora» disse. «Spara, Luce Alata.»

    L'angelo non poté fare a meno di farsi scappare un leggero sorriso. Era bello avere tutti dalla sua parte, una volta tanto. «Avrei bisogno di chiedere un favore a Tracy, se possibile» disse. Poi spiegò cos'aveva in mente.


Era davvero una pazzia, Aziraphale se ne rese conto mentre parlava, ma tanto il vecchio aveva ragione: il buonsenso non esisteva più. Alla fine, contro ogni pronostico, tutti sembrarono essere d'accordo con lui.

    «Va bene, è rischioso e assurdo» commentò Anathema. «Ma è così assurdo che potrebbe funzionare.»

    «Chiamo Tracy, allora» annunciò Newton, iniziando a prendere nuovamente la porta. «E poi vi accompagno.»

    Lei gli fu davanti in meno di un secondo, le mani ferme sulle sue spalle. «Va bene, però poi è meglio se resti qui. Se succede qualcosa là fuori, è bene che tu lo venga a sapere per mettere tutti al sicuro.»

    L'altro sembrò quasi afflosciarsi su se stesso, l'aria intrisa di preoccupazione. «Ma... e se succede qualcosa a te, invece? Sai cosa ne penso di quel posto; inoltre adesso saranno tutti nel panico per la battaglia.»

    Anathema gli stampò un leggero bacio sulle labbra, con un sorriso: «Su, non fare così. Me ne starò in casa e aspetterò che Aziraphale e Crowley tornino, va bene?»

Aziraphale li guardò un po' mesto ma anche un po' intenerito. Era strano vedere due umani provenienti da mondi così diversi avere un rapporto così bello. A Raphael sarebbe piaciuto, si disse. Sembrava un rapporto così bello e genuino... Quasi gli mancava osservare gli umani amarsi in quel modo, intanto che faceva avanti e indietro per il muro. Poi si rese conto che quella era anche l'unica cosa che davvero gli mancava.

Fortunatamente, il giovane capì. Non se ne andò del tutto felice, ma si vedeva che si fidava della sua amata abbastanza da acconsentire a lasciarla andare.

    Nemmeno due secondi dopo, l'angelo sentì una stretta al braccio. Davanti a lui, stoico come sempre, c'era Shadwell. «Senti, checca del Paradiso. Vedi di tornare intero, anzi: vedete di tornare indietro interi entrambi senza farci perdere altro tempo. Intesi?»

    Sorvolando sul soprannome, Aziraphale annuì: «Intesi» disse solo.


Aveva lasciato trasparire più sicurezza di quella che aveva davvero. Mentre camminava insieme ad Anathema verso il cerchio quella sera, non aveva fatto altro che pensare alla piega che avevano preso gli eventi e di come il tutto si fosse rivelato più difficile di quel che aveva immaginato.

    «Allora» gli chiese lei ad un certo punto. «Ti senti pronto?»

    «Diciamo che vorrei sentirmi più pronto di così» commentò Aziraphale, guardando altrove come sempre faceva quand'era in difficoltà. «Ma non ho altra scelta.»

    «Ricorda solo quello che abbiamo detto e tieniti strette le cose che ti ho dato, va bene?»

L'angelo annuì, tastando appena la tasca destra della giacca scura e pesante che Tracy aveva sistemato per lui. Si sentiva strano con quella roba addosso, ma era la parte più importante del piano: doveva farsela andare bene.

Osservò poi le bende candide che Anathema aveva insistito a mettergli attorno alle mani: si estendevano lungo le braccia e ne aveva altre strette al petto. Erano solo una precauzione, e le aveva imbevute all'interno di acqua santa e altre cose che solo lei conosceva. Almeno adesso le ustioni non pizzicavano così tanto, il che era un bene.

Arrivarono sotto gli stessi alberi del primo giorno, raggiunsero il cerchio annerito e vi si infilarono in mezzo all'unisono, in silenzio. Silenzio che venne brutalmente rotto dal frastuono ovattato che aveva iniziato a sentirsi nella stanza sul retro della giovane.

    «Sono i soldati che corrono al Confine» spiegò quest'ultima. «Normalmente scelgono il punto centrale per scontrarsi, e la Zona è bella lontana da lì.»

Detto ciò, tornarono nel negozietto-abitazione di Anathema, dove lei andò a dare un'occhiata fuori dalla finestra, scostando solo un pochino le tende.

    «Com'è la situazione?» Chiese Aziraphale, restando a distanza fintanto che non fosse arrivato il suo momento.

    «Il tempo di far svuotare la via e puoi andare. Io mi chiudo qui e vi aspetto come da programma» disse l'altra. Poi si voltò a guardarlo con un sorriso: «So che l'ho già detto, ma Crowley ha ragione: sei fuori di testa, lo sai?»

    L'angelo fece spallucce: «A questo punto immagino sia vero.»

    «Oh, non vederla come una cosa negativa. Solo, non arrivare ai livelli di Crowley: è una brutta influenza.»

Risero un po' entrambi stavolta, poi attorno si fece silenzio. Si scambiarono uno sguardo d'intesa e dopo qualche secondo Aziraphale sgusciò fuori.

L'aria dell'Inferno era pesante e pressante come sempre, anzi: lo sembrava ancor più della volta precedente, ma doveva farsi forza e ignorarla almeno per il momento. Ogni singolo passo era importante e ogni singola mossa doveva essere calcolata.

Pregò velocemente che andasse tutto bene, poi andò dietro casa di Anathema e sparì nella nebbia.

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Capitolo 11
*** Il Salvataggio ***


C'erano tante losche figure scure che volavano qua e là attorno alla fortezza. Sembravano corvi o avvoltoi intenti a disporsi, prepararsi, controllare... Ognuno di loro fremeva di eccitazione, tanto che la voglia di affondare lame e denti era quasi palpabile, un peso in più nell'aria già soffocante del Regno. Nulla che Aziraphale non si fosse aspettato.

Rimase non lontano da terra, una macchia nera in mezzo alle altre, invisibile come solo un oggetto in bella vista potrebbe essere. Si fermò solo quando riuscì a superare il muro e la folla di demoni indaffarati al suo interno - ammassati ben oltre i limiti dello spazio fisico - andando a nascondersi proprio accanto alla facciata sinistra della fortezza. Avrebbe voluto poggiarsi ad essa per riprendersi, ma non era sicuro di cosa potesse toccare o no da quelle parti, così lasciò perdere e si diede giusto qualche secondo di pace, le mani poggiate sulle ginocchia.

Finora tutto bene. Osservò le sue ali ora corvine, del tutto simile a quelle di Crowley, e di nuovo tutto il suo animo si rivoltò in un misto di repulsione e fascino. Era stato difficilissimo e aveva richiesto uno sforzo non da poco, ma c'era riuscito: aveva solo dovuto mettere la testa in funzione. Anathema gli aveva detto che Crowley riusciva nei suoi trucchetti migliori perché la sua immaginazione non riposava mai: la sua mente era un continuo e instancabile andirivieni di pensieri, e cose come il passare da un Regno all'altro gli venivano naturali. Aziraphale invece non aveva mai neanche osato mettere piede fuori dagli schemi che gli avevano costruito attorno. Sapeva di poter cambiare aspetto - lo sapevano fare tutti, e ad alcuni accadeva in situazioni stressanti come con gli occhi di Gabriel e i capelli di Michael - ma farlo di propria sponte era per gli angeli un affronto all'immaginazione di Dio: vigeva la regola che se Lei ti aveva fatto così, allora così dovevi rimanere; se Lei aveva deciso che il tuo corpo esteriore doveva avere determinate caratteristiche, allora così doveva essere. Cambiare volontariamente il colore delle proprie ali era una cosa che facevano i demoni, ma tanto loro ormai se ne fregavano di Dio, e a Satana fregava ancora meno dell'aspetto dei suoi sottoposti - in fondo, a Lui bastava che eseguissero i suoi ordini e non faceva molte distinzioni. Aziraphale si era potuto aggrappare alle uniche ali demoniache che conosceva ed imitarle; per il resto bastavano un travestimento ben congeniato e un pizzico di piccoli miracoli che aveva avuto troppo poco tempo di mettere appunto. 

E il peggio doveva ancora venire.

Quella era l'unica parte di piano della quale non era sicuro. Se non avesse funzionato lo avrebbe stancato ulteriormente, sarebbe dovuto entrare e cercare il piano giusto da solo. Perciò si calò bene il cappuccio sulla testa e si concentrò, facendo una cosa che nessun altro - angelo o demone che fosse - si era mai azzardato a fare.

Cercare un'aurea che non si conosce non è cosa facile, ancor di più se si parla di quella di un demone. Aziraphale si pentì amaramente di non aver mai provato a raggiungerla quando ancora ce l'aveva vicina, ma era tardi per piangere sul latte versato. Ignorò il marasma di altre auree scure che aveva intorno, e si limitò a direzionare bene la propria. Era una pratica non tanto difficile da usare, in realtà: persino gli umani potevano arrivare a dare un'occhiata alle auree altrui - Anathema era bravissima, ad esempio - ma le loro capacità si limitavano allo scalfire la superficie. Per angeli e demoni, scandagliare l'aurea di qualcuno significava chiedergli di farti vedere la sua vera forma, ed era un gesto di un'intimità inimmaginabile per chiunque. Già gli angeli erano gelosissimi delle loro forme divine: gli unici che potevano stare un po' più tranquilli a riguardo erano i Serafini, e quelli vivevano a due metri da Dio. Inoltre, giravano voci secondo le quali due auree opposte troppo vicine significavano morte certa: abbracciarsi avrebbe fatto meno danni, poco ma sicuro.

In sostanza, Aziraphale stava facendo un vero e proprio salto nel buio. Doveva essere veloce, trovare Crowley e raggiungerlo prima che qualcosa potesse andare storto. Avevano già abbastanza problemi sul piano fisico della realtà; non avevano bisogno di magagne anche su quello metafisico. "Se puoi cambiare te stesso e arrivare alla fortezza oscura, allora puoi anche raggiungere l'aura di un demone" gli aveva detto Anathema. Aveva aggiunto anche un: "Però fai attenzione", parole sante.

Fu come percorrere dedali di eterei corridoi immaginari, un vagare senza meta che durò due impossibili minuti. Poi Aziraphale vide qualcosa di piccolo, tremante e stranamente incuriosito dal suo intervento muoversi non troppo lontano da lui. Era giusto qualche piano più sotto: le voci che giravano nell'esercito umano erano vere. Fatto.

Per quanto una parte di lui avrebbe tanto voluto andare oltre e mettere a fuoco quell'aurea oscura, l'angelo decise di ignorarla. Non era il momento: doveva trovare l'entrata, ma almeno quello sarebbe stato semplice. Non avrebbe mai ringraziato Shadwell abbastanza per quella soffiata, pensò intanto che percorreva il perimetro ovest della facciata. Superò persino qualche demone indaffarato che entrava e usciva proprio da una porticina laterale che normalmente sarebbe stata ben nascosta. Incredibile ma vero: la futura Guerra stava davvero giocando a suo favore.

Introdursi all'interno fu più devastante di qualsiasi altra cosa. Aziraphale sentì un campanello d'allarme interno che gli diceva di andarsene subito, immediatamente da lì. Persino avanzare era difficile: sembrava di avere del piombo alle caviglie, e l'ambiente generale sembrava una pressa sulle sue spalle. Trova le scale e scendi, si disse. Trova le scale e scendi, trova le scale e scendi... divenne un mantra, una serie di parole cantilenanti che lo guidarono lungo i corridoi stretti e vuoti, oltre i pochi presenti troppo concitati per badare a lui. Era persino troppo facile, ma non aveva tempo di preoccuparsene.

Doveva trovare le scale e scendere.


~•°•~


Crowley non avrebbe mai immaginato di venire strappato così violentemente alla disperazione, ma fu proprio ciò che accade.

Se ne stava lì, nel suo buio angolino, sanguinante e tremante come un cucciolo malmenato e abbandonato. Poi aveva visto una luce sfarfallare agli angoli della sua coscienza e si era sia mentalmente che fisicamente voltato a guardarla. Il tutto era durato un attimo e in un attimo era crollato come un una casa diroccata durante un terremoto.

    «Oh, fantastico» si era detto, le mani di nuovo tra i capelli. «Sto impazzendo, perfetto». Già la situazione non era delle migliori, ci mancava solo che la sua sanità mentale andasse a farsi friggere. Si dice che al peggio non c'è mai fine e per lui era maledettamente vero: il suo peggio era una voragine che avrebbe potuto tranquillamente ingoiare Satana tanto era profonda.

Si asciugò gli occhi solo perché altre lacrime potessero scendere, grosse e pesanti. I tagli sul suo viso bruciavano, così come tutte le ferite che aveva lasciato sanguinare, incurante. Se lo avesse visto, Beel gli avrebbe dato del miserabile, e Crowley si disse che si sentiva tanto ma tanto miserabile. Era un miserabile straccetto sanguinante e piangente, solo in un buco nemmeno troppo nascosto di Inferno. 

Nascose la faccia dove le due pareti si incontravano, cullato solo dai suoi flebili lamenti. Il silenzio era tale da far male, denso come la nebbia che circondava il Regno del Male, quasi più fastidioso della voce di Hastur, persino-

    «Psst!» chiamò qualcuno dietro di lui, costringendolo ad alzare leggermente la testa.

Per un attimo credette di esserselo sognato, tanto che si limitò a tornare al suo stato di ameba.

    «Ehi?» Riprese la voce. E fu lì che il rosso fece scattare non solo la testa, ma anche le spalle. Perché no, non era possibile, non poteva essere...

Si voltò di scatto e vide che dall'altra parte delle sbarre se ne stava una figurina avvolta da vesti scure, due scombinate ali nere - del tutto simili alle sue - gli sbucavano dalle scapole. L'individuo si tolse il cappuccio e da sotto sbucò una nuvoletta di riccioli così biondi da sembrare bianchi, e due occhietti azzurri tremendamente familiari lo squadrarono, pieni di una lieve ma visibile punta di sorpresa e preoccupazione.

    Crowley sbarrò così tanto gli occhi che temette potessero balzargli fuori dalle orbite. La sua lingua incespicò così tante volte da farlo probabilmente sembrare un perfetto imbecille, ma alla fine riuscì a dar forma a ciò che ancora faticava a credere: «Aziraphale?!». E niente, quella fu l'unica cosa che riuscì a pronunciare delle mille milioni di miliardi che adesso gli piovevano in testa come meteoriti.

    L'altro sorrise, illuminandosi tanto da rischiarare un po' l'area attorno a sé. Fu abbastanza da far tornare le sue piume bianche come Crowley le ricordava. Quando Aziraphale se ne accorse, però, alzò un'ala e sbuffò appena: «Dobbiamo andarcene» disse, abbassandosi a livello serratura - non che ci fosse veramente bisogno di una chiave per chiudere quelle sbarre, ma cosa non si farebbe per amor di design.

    Crowley si alzò di scatto, tanto da farsi male. Ignorò la fitta che gli era salita su per la gamba ed esclamò: «Sei vivo?!». Nel dirlo, si accorse della buona dose di sollievo con la quale aveva pronunciato quelle parole, ma ormai era troppo tardi.

    L'altro alzò un sopracciglio e tornò a guardarlo. «Speravi fossi morto?» Chiese con un altro leggero sorrisino.

    «Cos- No! Ti pare il momento di scherzare?» Ribatté il rosso, sorvolando sul loro piccolo scambio di attitudini. «E si può sapere che ci fai qui?»

    Aziraphale tornò a studiare la serratura. «Non è ovvio? Ti sto tirando fuori. Ora cerca di rilassarti, va bene?»

    Crowley si lasciò scivolare nuovamente lungo la parete, inebetito. Non sapeva che dire, né che pensare. Alla fine, però, una cosa la disse comunque: «Sei pazzo.»

    L'altro annuì, concentrato sul suo lavoro: «Sì, lo so.»

    «E scemo. A quale creatura divina verrebbe in mente di entrare nella fortezza di Satana?». Ripeté le stesse cose che aveva pensato non troppo tempo prima, come se der loro voce potesse farlo stare meglio. Ovviamente non accadde.

    L'angelo prese a frugare nelle tasche. «A me» disse solo, lievemente infastidito. «Ora, sh. Potrebbe sentirti qualcuno.»

Il rosso si lasciò scappare un sospiro tra l'incredulo e il frustrato. Finalmente iniziò a prendersi cura della sua caviglia alla bell'e meglio, lo sguardo fisso sul suo salvatore. Osservò Aziraphale tirare fuori una boccetta del tutto simile a quelle che aveva Anathema in casa, e versare qualche goccia di contenuto nel buco della serratura. Acqua santa, pura abbastanza da sciogliere demoni e meccanismi demoniaci: semplice, geniale, rapido. La porta cigolò leggermente intanto che si apriva abbastanza da far passare il biondo senza troppe complicazioni. 

    Tempo due minuti, Crowley se lo ritrovò accanto. Lo osservava con le sopracciglia aggrottate e la testa che scuoteva leggermente, le pozze azzurre intente a scandagliare ogni taglietto. «Bruti» commentò, evidentemente contrariato.

    Ora che ce l'aveva vicino, il rosso poteva notare quanto l'angelo fosse pallido, chiaramente esausto e - per quanto provasse a nasconderlo - spaventato. Aveva due leggere occhiaie, qualche ruga qua e là a rovinare il suo volto altrimenti liscio come il marmo, e tremava impercettibilmente. Da sotto le maniche del suo inusuale abbigliamento sbucavano alcune bende ben legate attorno ai palmi, e fu allora che Crowley sentì un brivido salirgli lungo la schiena. «Sul serio. Come hai fatto?» Mormorò.

    Aziraphale spostò lo sguardo verso il suo, confuso. «A fare cosa?»

    «A sopravvivere» puntualizzò lui. «Adam è l'Arma. Me l'ha detto Beel.»

    L'angelo sbarrò gli occhi e si guardò le bende, interdetto. «Oh» balbettò. «Questo spiega molte cose.»

    «Tutto qui quello che hai da dire?!» Sibilò Crowley staccando le mani dalla sua caviglia e lottando perché non afferrassero involontariamente le spalle dell'altro. «Credevo di-». Si morse la lingua prima che un: "credevo di averti perso" rotolasse fuori dalla sua bocca. Si limitò a passarsi le mani sugli occhi ancora umidi, per poi scostarle e tornare a guardare le iridi celesti di Aziraphale. Si rese conto che quelle ore di solitudine lo avevano portato a sentirne la mancanza, e non avrebbe saputo come interpretare quel sentimento. «Immagino di doverti ringraziare» disse solo, sentendo un fastidioso formicolio sulle guance. Lo attribuì ai colpi di frusta e lasciò correre.

    L'altro fece spallucce, sorridendo per qualche secondo, poi tornò subito serio. «A suo tempo. Ora andiamo via». Detto ciò, afferrò la manica della malmessa camicia del demone e prese a tirare, cercando di aiutarlo a rimettersi in piedi.

Per Crowley non fu facile mettere da parte tutta la disperazione delle ultime ore per andarsene così di colpo, ma si disse che doveva farlo comunque. Seguì Aziraphale fuori da quel maledetto e angusto buco, zoppicando nel corridoio. Più guardava sia le sue condizioni che quelle dell'altro, più si disse che sembravano entrambi mezzi morti. La cosa non poteva andare a finire bene e sì, il suo ottimismo poteva dirsi già bello che sotterrato al momento.

    «Pensi di riuscire a volare fino a casa di Anathema?» Gli chiese l'angelo sottovoce. Erano quasi alla base delle scale che portavano di sopra.

    «Lo spero» rispose il rosso, ricordandosi delle condizioni delle sue ali. Non aveva né il tempo né la testa di risistemarsele adesso, bello schifo.

    «Beh, temo dovrai riuscirci comunque» riprese Aziraphale. «Altrimenti non-»

Si bloccò di colpo, tanto che Crowley dovette fare i salti mortali per non sbattergli contro. Fece per dire qualcosa, quando sentì con terrore crescente dei passi dirigersi verso di loro. Beh, merda. Lui era un fuggitivo e Aziraphale sembrava una lucciola in mezzo ad una foresta in piena notte. In poche parole: erano fregati.

Quando dalle scale scese la grigia figura di Hastur, Crowley per poco non fece retrofront per tornarsene nel suo angolino. Certo, non era Beel, ma era comunque l'ultimo demone che sperava di incontrare - non che sperasse di incontrare qualcuno, ma vabbè.

    I secondi che seguirono furono al limite del tragicomico. Hastur si bloccò ad uno scalino dall'arrivo e li fissò con sconcerto crescente. I suoi occhi senz'anima e senza sclera si posarono prima su uno e poi sull'altro, facendosi sempre più grandi. Il silenzio regnò sovrano e pesante prima che riuscisse a sussurrare un: «Ma che cazzo...»

Crowley avrebbe tanto voluto fare qualcosa, o dire qualcosa. Solitamente liquidava Hastur verbalmente, ma adesso la situazione non giocava esattamente a suo favore. 

Fortunatamente, non dovette stare tanto a pensarci. Con la coda nell'occhio vide Aziraphale tirare fuori la fialetta dalla tasca, svitarla e con un unico - impanicato, anche - movimento del polso, versarne il contenuto dritto addosso ad Hastur.

L'effetto fu repentino, immediato, terrificante

Crowley ne aveva avuti tanti di incubi in cui quella stessa cosa succedeva a lui. Osservò Hastur fare un balzo all'indietro, finire malamente di schiena sugli scalini, cercando di togliersi di dosso quel liquido mortale che già lo stava corrodendo, facendolo fumare come carne lasciata troppo al fuoco. Urlò e gridò così tanto e in modo così straziante da far venire i brividi. Tempo cinque secondi e Hastur che adorava stuzzicarlo, che adorava prenderlo in giro, che tanto faceva il lecchino con Beel, che tanto si divertiva a mettergli i bastoni tra le ruote, sparì in una pozza grigiastra in mezzo alle scale. E l'anima oscura e sogghignante del rosso fece un piccolo ma ben percepibile salto di gioia.

Crowley e Aziraphale rimasero immobili per un po', due statue di marmo in mezzo al corridoio. Il biondo in particolare si era stretto nelle spalle, la boccetta ancora in mano e lo sguardo di chi non ha ben capito che cosa ha appena fatto.

    Sbattendo gli occhi un paio di volte, Crowley si girò verso di lui: «Sai,» disse con una calma uscita da chissà dove, «non so se urlare o abbracciarti in questo momento». Si sarebbe pentito di quelle parole? Sì. Esprimevano benissimo la situazione generale? Sì, e quindi andava bene lo stesso.

    Aziraphale lo guardò stranito per un attimo, poi rimise l'acqua santa in tasca, prendendo a torturarsi le dita: «Mi ha spaventato» si giustificò.

    «Hai fatto bene. Però forse sarà meglio filare» puntualizzò il rosso stando molto attento a non calpestare il suo ex-superiore intanto che saliva le scale.


Fare la strada a ritroso con Aziraphale che, nonostante gli sforzi, non riusciva in alcun modo a cammuffare le sue ali come prima, fu un odissea a dir poco. Fortunatamente bastò fare attenzione ai pochi demoni ancora in giro per la fortezza. Di tanto in tanto, Crowley indicava all'angelo un corridoio stretto, o una stradina nascosta dalla quale sarebbe stato più semplice raggiungere la porta da cui era entrato. Una volta fuori, il rosso decise che lo avrebbe sommerso di domande per capire come accidenti gli fosse venuto in mente un piano del genere, e come facesse a sapere tutte quelle cose sulle entrate secondarie: sembrava una storia interessante da ascoltare - e fin troppo assurda per essere vera.

L'ora del racconto avrebbe dovuto aspettare, però.

    Erano ormai arrivati. Crowley mise una mano sulla porta, facendo segno ad Aziraphale di fermarsi lì dov'era. «Provo a vedere se possiamo volare via da qui senza troppi problemi» spiegò, fissando le ali fin troppo bianche dell'altro. «E se non è possibile, beh: ho un'idea ma-»

    «È assurda, fuori di testa, quasi impossibile e non mi piacerà» completò Aziraphale, sospirando. «Abbiamo altra scelta?»

    «Beh, sì. Mai pensato di conoscere sulla tua pelle gli effetti delle armi demoniache sugli angeli?»

    L'altro alzò gli occhi al cielo: «Bastava un: "no", sai?»

    Crowley sogghignò: «Scusa, era da un po' che non stuzzicavo qualcuno». In realtà avrebbe voluto dire: "Era da un po' che non stuzzicavo te ed ero in astinenza", ma forse non era il caso. Sarà per un'altra volta, si disse intanto che apriva la porta.

Non appena mise la testa fuori, però, tutto il suo essere si bloccò di colpo. Doveva essere la giornata in cui tutti quelli che volevano sbarrare loro la strada si erano messi d'accordo, altrimenti non si spiegava. Ma di nuovo, per Crowley era sempre così: più evitava le cose, più le cose gli correvano in faccia.

Davanti a lui se ne stava un altro angelo, anzi, no: quello era decisamente un arcangelo dai boccoluti capelli color del rame, gli occhi cremisi e un paio di scintillanti ali dorate. Se ne stava proprio davanti alla porta, tranquillo come non mai, intanto che giocherellava incurante con una spada che Crowley riconobbe anche senza le fiamme che ne avvolgevano la lama.

    Quando quelle iridi rossastre si posarono su di lui, il demone sentì una stilettata di panico colpire il suo ipotetico stomaco. «Ma guarda,» disse l'arcangelo, «il Serpente dell'Eden. So che ti piace strisciare su e giù per il nostro muro.»

    La porta si aprì del tutto, spinta dalla mano di Aziraphale. «Raphael?» esclamò, fissando il suo superiore con tanto d'occhi. «Che ci fai qui?»

    «Potrei chiederti la stessa cosa» affermò Raphael, fissandoli con lo sguardo più marmoreo che Crowley avesse mai visto. Non pareva di buon umore, anzi, si chiese cosa ci vedesse Aziraphale in quello lì: sembrava pronto a piantargli la spada in petto.

    «È una lunga storia» spiegò il biondo. «Ascolta, se venissi con noi e-»

    Il guaritore alzò una mano, e tanto bastò per far chiudere la bocca ad Aziraphale. «Sono sceso dal Paradiso solo per venire qui a cercarti» spiegò. «Mi sono detto che potevamo iniziare qualcosa di diverso io e te, sai? Sembravi l'unico con un po' di sale in zucca, l'unico con abbastanza amore nei confronti dell'umanità da capire quanto fosse tremendo ciò che gli stiamo facendo fare, mandando gli umani a scannarsi come cani rabbiosi per il nostro tornaconto. Sembravi così innocuo, ingenuo, puro, abbastanza da andare controcorrente... E invece mi metto a seguire quel mastino schifoso in lungo e in largo per cosa?» Sussurrò, «scoprire che hai deciso bene di fare comunella con il nemico e lasciare che l'Anticristo tornasse qui, galoppando trionfante. Sapevo che qualcosa non quadrava, ma questo...»

Li aveva seguiti per tutto quel tempo? E lo aveva fatto osservando il tutto zitto e nascosto chissà dove? Altro che guaritore, doveva fare la spia, pensò Crowley sentendosi tremendamente esposto. Si disse che sì, quella era decisamente una delle giornate peggiori della sua esistenza. Tirò un'occhiata all'angelo ora accanto a lui e si rese conto che stavano così stretti lì, incastrati nella cornice della porta, che un solo mezzo centimetro e si sarebbero fatti male. In effetti chiunque avrebbe creduto che stessero, beh, collaborando - ma in effetti lo stavano facendo - e fraternizzando - di quello non era sicuro. 

    Aziraphale poi sembrava deciso a chiarire la situazione. Così, in un gesto ammirevole, prese un inutile ma confortante respiro e replicò: «Te l'ho detto, è una lunga storia. So che può sembrarti assurdo, ma-» e qui si bloccò solo un secondo, un po' per pesare le parole e un po' per lanciare uno sguardo alla sua controparte. «Ma dobbiamo collaborare per mettere fine a tutto questo. Se solo mi dessi la spada e ci accompagnassi lontano da qui, magari-»

Ma Raphael alzò la mano di nuovo, atteggiamento che a Crowley iniziava a stare proprio tanto sulle scatole. E fallo parlare, maledizione! Urlò una voce nella sua testa. Non pensava potesse esserci qualcuno peggio di Beel: almeno lui era rinomato per il suo carattere di merda, Raphael doveva essere quello che si salvava. Si vedeva che qualcosa era andato storto o che Aziraphale non ci aveva visto giusto. Gli arcangeli erano tutti dei maledetti rompipalle, Crowley ci avrebbe messo la mano sul fuoco ancor prima di assistere a quella scena.

    Nonostante ciò, l'espressione del guaritore parve ammorbidirsi appena. «Senti: sei un bravo angelo e sai bene quanto me che non esiste demone capace di fare opera buona» disse. «Ti sei mai chiesto come mai il Paradiso sia diventato il regime scintillante che è adesso? È stato per colpa loro» affermò, puntando Crowley con un dito. «Dio ci parlava tutti i giorni, una volta. Potevamo stare tutti accanto a Lei, non solo i Suoi pochi eletti. Eravamo felici, ma quelli come lui hanno deciso di deluderLa e rovinare tutto. Hai idea del male che Le hanno fatto? Che ci hanno fatto? C'eri anche tu: c'eravamo tutti. Puoi immaginare quanto sia stata dura per Lei perdere i suoi angeli migliori. È stato peggio che buttarli giù con le nostre stesse mani.»

Crowley serrò la mascella, un moto istintivo. Oh no, non di nuovo. Perché tutti dovevano sempre tornare a parlare di quello? Era una condanna nella condanna: sembrava una strana legge del contrappasso.

    «È questo il punto!» Ribatté Aziraphale. «È Lei a volerlo. E posso assicurarti che Crowley non farebbe mai male a nessuno... Più o meno.»

Il rosso dovette trattenere una mezza risata sarcastica, anche perché la sentì subito sprofondare nell'idea che quel cretino lo stava proteggendo di nuovo. Non bastava la pioggia, no: doveva fargli da ombrello anche contro le parole degli altri. Stupido.

    Persino Raphael parve divertito: «Perché? Te l'ha detto Lei? In quel caso sarebbe meraviglioso.»

    Aziraphale parve vacillare d'innanzi a quella domanda. «Beh, no, ma-»

    «E allora lascia perdere» concluse l'arcangelo. «Vuoi fermare questo disastro come si deve? Bene, lo voglio anche io. Ma non disperarti al punto da rischiare così tanto per un demone» disse, allargando le braccia ad indicare l'intero Inferno. «Probabilmente ti ha venduto qualche storiella. Mentire è ciò che sanno fare meglio.»

    Crowley raggiunse il limite - limite che tutti i disastri della giornata avevano reso molto più raggiungibile, in realtà. Fece un unico passo avanti, già pronto a dire la sua: «Senti, un po', non-». Riuscì a malapena ad allontanarsi dalla porta che subito si ritrovò la spada - ora bella fiammante - a un non nulla dalla gola e la mano di Aziraphale ben ancorata alla stoffa della sua manica, intento a bloccarlo.

    Raphael lo fissò come se volesse incenerirlo sul posto, poi mosse lo sguardo verso Aziraphale: «Ti do una seconda possibilità» gli disse. «Vuoi la tua spada? Va bene, tienila». Si allontanò di un paio di passi, facendo cadere l'arma a terra. Non appena toccò il suolo, la lama si spense e Crowley poté tirare un ipotetico sospiro di sollievo. «Ricorda quello che ti ho detto» riprese l'arcangelo. «Non concluderai niente con una creatura incapace di provare amore. Non puoi salvare il mondo insieme a chi lo ha condannato.»

Crowley si sarebbe aspettato un altro intervento, ma Aziraphale si limitò a fissare il suo superiore in silenzio, le mani che non sapevano più a cosa aggrapparsi. Era evidentemente nervoso, evidentemente troppo assoggettato all'autorità per dire un'altra parola. 

    Raphael voltò loro le spalle, iniziando ad aprire le ali: «L'Arma è tornata a casa: la Guerra si sta avvicinando e non c'è nulla che possiamo fare» disse. «Ancora qualche giorno e ci scontreremo con l'Inferno. Vedi di capire da che parte stai e raggiungimi al Confine da solo prima di allora: forse possiamo ancora salvare la nostra fetta di umanità. E sappi che se non posso vederti come alleato,» annunciò, voltando abbastanza il capo da squadrare l'angelo, «ti tratterò come un nemico». Detto ciò, prese il volo e li lasciò soli.

    Crowley osservò la sua traiettoria e fu quasi tentato di raccogliere un sassolino da terra e lanciarglielo contro. «Tipico» ringhiò. «Sanno quello che vogliono sapere e ascoltano solo quello che vogliono ascoltare». Erano quelle le cose che non gli facevano rimpiangere l'alto dei cieli.

    Aziraphale, incredibilmente, non gli rispose subito. Andò a raccogliere la sua spada in silenzio, così mogio da assomigliare ad uno straccio bagnato. Aveva gli occhi lucidi e decisamente poca voglia di restare lì un altro secondo. «Senti» disse, la voce roca. «Qual'era il piano B?»

    «Quello assurdo, fuori di testa, quasi impossibile e che non ti piacerà?»

L'angelo annuì. 

E allora toccò a Crowley prenderlo per la manica.


~•°•~


Anathema si era messa a passeggiare freneticamente avanti e indietro, mangiata dall'ansia e dalla preoccupazione. Attorno a lei c'era un silenzio innaturale, quasi soffocante, che aumentò a dismisura il volume dei suoi pensieri. Si chiese a cosa sarebbe successo se non fossero tornati: che ne sarebbe stato di lei, degli altri, della Zona?

Si fermò solo quando sentì una strana vibrazione nell'aria. Era un tremolio familiare, tanto da farle salire un brivido lungo la schiena. Quando realizzò, accennò un sorriso. Dietro di lei si udì un tonfo, seguito da un paio di lamenti. Si voltò e tutta l'ansia le scivolò di dosso.

    Crowley si rigirò sulla schiena, le ali schiacciate contro il parquet. «Sto per vomitare» disse solo, buttandosi un braccio sulla fronte.

    Accanto a lui, Aziraphale si tirò sui gomiti, dolorante. «Effettivamente non mi è piaciuta come idea, ma non la considererei fuori di testa. In realtà è intelligente e utile, e-» avrebbe voluto continuare, ma non ne ebbe la forza.

    Erano distrutti, esausti, in condizioni che normalmente le avrebbero fatto mettere le mani tra i capelli, ma la giovane non era mai stata così felice di vedere qualcuno in tutta la sua vita. «Stavo per morire di paura!» Esclamò, dirigendosi verso di loro. Prima che potesse pentirsene - e prima che un certo qualcuno con i capelli rossi potesse avere qualcosa da dire - afferrò Crowley per le spalle e lo tirò in un abbraccio.

    Ovviamente la prima reazione di lui fu incespicare nelle parole, bloccarsi per un attimo e cercare di staccarsela di dosso. «La smetti di fare l'idiota?» Esclamò. «Dai, è imbarazzante!»

    Ma Anathema non aveva nessuna intenzione di dargliela vinta. «Non me ne frega niente» affermò. Tanto era troppo debole per riuscire a fermarla, e lei lo sapeva. Sapeva anche che proprio per quel motivo sarebbe stato meglio portarlo via da lì; ma prima rivolse ad Aziraphale uno sguardo di pura gratitudine e sussurrò: «Grazie.»

L'angelo sorrise a sua volta. Sembrava triste, però, e l'umana si chiese se fosse per la stanchezza o qualcos'altro. Fu allora che notò la spada in mezzo a loro, facendo un balzo e mollando Crowley. 

    Quest'ultimo si allontanò subito da lei: «Ssappi che stavo per morderti.»

    La giovane lo ignorò: «E quella da dove sbuca?» Esclamò, indicando la tanto agognata Fiamma.

    Aziraphale la raccolse, mesto come non mai: «Possiamo parlarne alla Zona? Per favore?»

    «Ma sì, certo» acconsentì lei, alzandosi e allungando un braccio verso Crowley.

    Lui alzò gli occhi al cielo e strisciò attorno alle sue spalle: «Potrei ancora morderti» sibilò.

    Anathema scosse la testa, divertita: le era proprio mancato. «Va bene, quando vuoi allora» rispose, andando ad aiutare Aziraphale - il quale aveva già un leggero sorriso sul volto, una punta di luce tra le ombre sul suo viso. Ma lei era postiva: qualsiasi cosa fosse successa, ora che erano di nuovo tutti insieme sarebbe stato facile rimettere le cose apposto.

Crowley sibilò qualcosa di incomprensibile tra sé e sé, un po' frustrato e un po' imbarazzato. Mentre li riportava nella stanza sul retro, Anathema lo sentì cambiare posizione attorno al suo collo per far sì che la sua testa fosse sempre rivolta verso l'angelo dietro di sé. Sapeva che avevano un loro strano, personale e privato modo di comunicare: lo aveva notato dai lunghi sguardi che si erano spesso scambiati. Non potevano toccarsi, ma ciò non gli aveva comunque impedito di iniziare a conoscersi, si disse. Non aveva impedito loro di uscire dall'Inferno assieme, soprattutto. 

Si disse anche che quell'evento avrebbe cambiato un po' le cose tra loro, e giusto in tempo: l'odore di conflitto si faceva sempre più persistente.

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Capitolo 12
*** La quiete prima della tempesta ***


Crowley se ne stava buttato su una poltrona nella stanza degli ospiti, Anathema accanto che gli sistemava le ferite e lo sguardo inchiodato al letto alla sua sinistra. Aziraphale se ne stava lì, ben raggomitolato su un fianco, le coperte fin sopra le spalle e la faccia mezza affondata nel cuscino. Dormiva così placidamente che per un attimo ebbe paura di disturbarlo anche solo guardandolo.

Anathema si era occupata di lui per primo semplicemente perché, appena sbucati fuori dal cerchio, aveva dovuto afferrarlo per un braccio perché non cadesse. Crowley non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento era saltato giù dalle spalle della giovane preso da un'improvvisa stilettata di ansia. E quel che era peggio, è che aveva continuato a sentire quella sensazione per tutto il tempo durante il tragitto - che aveva suo malgrado dovuto fare attorcigliato al braccio di Anathema perché non aveva sistemato benissimo la sua caviglia - e persino quando erano giunti sani e salvi al cottage. Solo ora si era preso il lusso di rilassarsi - che comunque è una parola ampia.

Spese i primi minuti ad aggiornare la sua umana su ciò che era accaduto. Aveva evitato di guardarla per non beccarsi i suoi sguardi dispiaciuti e aveva dovuto ordinarle di non abbracciarlo di nuovo mentre le raccontava di Beel e delle sue frustate. Evitó di scendere troppo nei dettagli, ma tanto aveva ancora gli occhi gonfi e si vedeva che aveva pianto come un bambino per chissà quanto.

    Le disse di Adam e lei rimase di sasso. «Cacchio. Ora capisco perché ha fatto così male ad Aziraphale, e capisco come mai sia così bravo con i segugi infernali... E, beh, diciamo che questo spiega un po' tutto.»

    Crowley annuì. «E io che mi preoccupavo del cane». Se solo lo avesse saputo, tutto quel giro all'Inferno non sarebbe avvenuto.

    «Azi mi ha detto che Adam sembrava dispiaciuto di averlo ferito, sai? Non so bene come prendere questa informazione. In ogni caso: ora è a casa, ma ce l'aspettavamo, no? Dobbiamo solo agire di conseguenza.»

    Il figlio di Satana dispiaciuto? Assurdo. Crowley faticava seriamente a crederci e sì, nemmeno lui vedeva utilità in quell'informazione. L'Arma era potente ed imprevedibile: ciò che avrebbe ribaltato il mondo. Ma poi: «Azi?» Chiese stranito. «Da quando dai soprannomi? E perché io non ne ho uno, soprattutto?»

    Lei si mise a ridere, tanto che dovette cercare di trattenersi per abbassare il volume della voce: «Da sempre? E poi, "serpe maledetta" è un ottimo soprannome.»

Crowley le fece una smorfia, alzando gli occhi al cielo e lasciando che se la ridesse. In ogni caso, alla fine arrivò a Raphael, alle sue parole e alla spada - nel mezzo ci fu anche la storia di Hastur, alla quale Anathema reagì con un'altra risata soffocata e tante parole di stupore e ammirazione nei confronti dell'angelo.

    «Il guaritore, eh?» Aveva detto poi lei. «Aziraphale si fidava di lui e posso capire perché. Forse Raphael ci tiene davvero ad avere un angelo che la pensa come lui dalla sua parte, e penso sia tanto stufo come spaventato: insomma, avrebbe potuto lasciarlo disarmato ed andarsene. Penso che semplicemente, come tutti gli angeli, ce l'abbia con l'Inferno e i Caduti in generale.»

Come tutti gli angeli tranne Aziraphale, si disse il rosso. Non aveva smesso di fissarlo da quando aveva finito di raccontare l'accaduto. Sicuramente aveva una cera migliore: niente più rughe, né occhiaie, né pallore esagerato... Aveva bisogno di quegli attimi di pace. Tutti e due ne avevano bisogno.

    Una serie di schiaffetti sulla guancia attirarono la sua attenzione. «Mi stai ascoltando?» Lo richiamò Anathema.

    Lui sbuffò, scostandole brutalmente la mano. «No. Che c'è?»

    «Stavo dicendo che comunque sul campo di battaglia dovrete-»

    «Senti, ne dobbiamo parlare adesso?» Lamentò Crowley. «Avrei diritto anche io ad una pausa.»

    La giovane sospirò ma sorrise lievemente: «Va bene, scusa. Comunque, ti senti meglio?»

    Lui annuì, sprofondando un po' di più nella poltrona. «Senti» disse poi, indicando Aziraphale con la testa, «non dirmi che l'idea di andare fino all'Inferno per me è stata sua». Lo aveva a malapena mormorato, ma sapeva che lei avrebbe capito.

    «Tutta farina del suo sacco. Io e gli altri abbiamo solo dato qualche dritta» rispose Anathema con un sorriso. «Sai com'è: non c'è profezia senza di te, giusto?» Gli chiese poi, con un tono alquanto ambiguo.

    Crowley incrociò le braccia: «Giusto» affermò. Provò a mettere tutta la convinzione di cui era capace in quell'unica parola, ma non gli uscì come credeva. 

    «Perciò non ha nessun altro motivo di rischiare la sua vita per te» continuò lei. Aveva messo le mani dietro la schiena, dondolando avanti e indietro come un bambino intento a nascondere una malefatta. «Nessun altro motivo.»

    Il rosso ridusse gli occhi a due fessure, capendo che lo stava chiaramente prendendo in giro. «Che vai confabulando?»

    Anathema sospirò, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi: «Dovete parlare, Crowley. È chiaro che state iniziando a starvi simpatici.»

    «Non mi sta simpatico» puntualizzò il demone, raddrizzandosi abbastanza da puntualizzare il concetto. «Semplicemente non mi sta antipatico, ecco tutto.»

    L'altra alzò un sopracciglio. «Va bene, vedila come vuoi. Io penso solo che si collabora meglio con un amico che con un nemico, perciò non sarebbe male se iniziaste a sbloccarvi un po'». Detto ciò, riprese le sue cose e fece per uscire. «Riposati» gli disse. «Domani dovremo parlare a lungo anche noi, temo.»

Crowley, in tutta risposta, sbuffò. Non appena sentì la porta chiudersi, si sciolse di nuovo sulla poltrona con un lamento. Non aveva nessunissima voglia di parlare di guerre, del Confine, di Raphael, anzi: non aveva voglia di parlare e basta; voleva sparire chissà dove e non tornare mai più.

Tornò a fissare Aziraphale, chiedendosi cosa avrebbe mai dovuto fare con lui. Non aveva le forze per programmare una conversazione al momento, e poi doveva ancora capacitarsi del fatto che l'angelo fosse sopravvissuto all'Arma e all'Inferno nel giro di cosa? Quarantott'ore? L'aveva sottovalutato. Il Paradiso l'aveva sottovalutato, il mondo intero l'aveva sottovalutato; forse l'unica a non averlo sottovalutato era la profezia. Quel fascio di luce era più coriaceo di, beh, qualcosa di estremamente resistente; e adesso sonnecchiava tranquillo, come se attorno a sé il globo non fosse sul punto di sgretolarsi. Sembrava l'ultima nuvoletta bianca in un cielo che annuncia tempesta.

A proposito di luce: Crowley ne aveva vista una all'Inferno e aveva creduto di essersela immaginata. Ci aveva messo un po' a capire cosa fosse successo, e ancora non ci credeva. Sapeva solo di voler rivedere quell'aurea ancora una volta, anche solo per un secondo. Il perché era chiaro: era da un po' che voleva farlo, e sarebbe stata una cosa senza precedenti. Inoltre, ora aveva campo libero. Sentiva la sua curiosità stuzzicarlo come non mai, dicendogli che un'occhiata veloce non aveva fatto male ad Aziraphale, perciò non poteva certo far male a lui.

Così, conscio di tutta l'attenzione che doveva fare, si concentrò e buttò un occhio. Fu come osservare l'alba da lontano: la luce se ne stava lì, vibrante, splendente, giusto un po' più debole di quello che Crowley si sarebbe aspettato. Aguzzando la vista, poté vedere la vera forma di quelle ali candide, ed era chiaro che l'altro stesse recuperando vigore nonostante le fatiche delle ultime ore. Si discostò con un brivido, tornando a stringersi nella poltrona. Si sarebbe aspettato un rifiuto, ma non era avvenuto: l'angelo non si era mosso di un millimetro. Assurdo, si disse.

Era proprio la creatura più assurda che avesse mai incontrato.


Passò due orette buone a sonnecchiare. Una poltroncina sarebbe sembrata scomoda a chiunque, ma non a lui: Crowley sarebbe stato comodo persino su un soffitto - e una volta ci aveva persino provato. Se non fosse stato per l'urgenza della situazione, avrebbe dormito una settimana di fila, ma poco male. Si stirò con piacere e molti meno dolori di prima, il che era abbastanza per farlo sentire in paradiso - in senso ovviamente figurato, sia mai.

Schiuse un occhio attirato da un fruscio alla sua sinistra. L'angelo aveva acceso il lume sul comodino e se ne stava seduto, la schiena e le ali ben poggiate contro il cuscino, con un libro tra le mani.

    Per quanto sembrasse troppo occupato a leggere, mosse appena la testa e fece un leggero sorriso. «Ciao» salutò, riprendendo a far scorrere lo sguardo tra le righe. «Come stai?»

    «Ehilà. Direi benino» rispose Crowley, senza sapere che altro dire. Anathema voleva che parlassero, sì, e di cosa? Era completamente perso, oltre che ancora molto restio ad avere una conversazione che superasse le tre parole e mezzo.

    Aziraphale invece non sembrava esattamente a corto di idee, tantomeno di voglia. «Ti ho sentito, sai? Volevi disturbarmi?» Chiese con un altro quasi impercettibile sorrisino che gli ballava sulle labbra.

    Il demone ci mise un attimo a capire che stava parlando della breve sbirciata alla sua aurea di poco prima. «Sì, decisamente» mentì. «Ci sono riuscito?»

    «Temo di no.»

Crowley mimò un lamento di sconfitta e frustrazione che provocò una risata da parte dell'altro; piccola, leggera ma vera e cristallina. Fu allora che si rese conto che effettivamente Aziraphale non lo stava guardando, il che era strano: guardarsi era l'unica cosa che sapevano e che potevano fare. Se ne stava con le pozze azzurre attaccate alle pagine, l'espressione che tornava seria e concentrata ogni volta che si rimetteva a leggere. Non aveva idea del perché lo stesse facendo: imbarazzo? Insicurezza? Era uno strano e subdolo giochetto?

    «Comunque, riguardo a ciò che è successo» riprese l'angelo dopo qualche attimo di silenzio, «per quel che vale: non meriti le parole di Raphael.»

Ah, ecco dove voleva andare a parare il furbastro: aveva prima tastato il terreno, ammorbidendolo in attesa della sua affermazione scomoda.

    Crowley si raddrizzò sulla poltrona, braccia incrociate: «E tu che ne sai? Non mi conosci. Magari ha ragione lui.»

    Aziraphale voltò pagina e fece spallucce: «È un'affermazione basata su quello che so... che non è molto, in effetti.»

Pronunciò le ultime parole in modo particolare, un modo quasi stuzzicante e carico di aspettative, intanto che il suo sguardo restava distante. Era davvero un gioco: un gioco a turni fatto di piccole ma importanti mosse. Era come una partita a scacchi, ma non quella che stava per mettere il mondo a soqquadro; quella era la loro partita, giocata con le loro regole. Ed era intrigante. 

    «Vuoi che te lo dica, non è vero?» Chiese Crowley, una domanda retorica della quale conosceva la risposta. Sapeva che non sarebbe arrivato né un sì né un no.

    E infatti: «Non devi se non vuoi» affermò Aziraphale girando nuovamente pagina. «So che è un argomento delicato per te.»

E delicato era il modo in cui lui stava tentando di sollevarlo. La Caduta era effettivamente una macchia nera impossibile da mandare via: una di quelle cose irreversibili. Tutti i demoni avrebbero amato parlarne. Tutti tranne Crowley.

Il rosso prese a rimuginare sui pro e contro. Cosa sarebbe accaduto se avesse deciso di non dirgli niente? Che poi era anche l'idea che gli piaceva di più. Probabilmente nulla, si disse; avrebbe solo lasciato il suo muro immaginario lì dov'era. Ma dovevano smettere di ergere muri, c'erano muri dappertutto: attorno al Paradiso, attorno all'Inferno, persino il Confine poteva sembrare un muro che separava un lato e l'altro della Terra. E Crowley era stufo di dover fare avanti e indietro tra una barriera e l'altra. Certo, sapeva che aprirsi avrebbe comportato dei rischi, ma erano anche vere due cose: la prima era che Anathema aveva ragione - la maledetta - e collaborare con qualcuno richiedeva anche quello sforzo; la seconda era che Aziraphale si meritava delle risposte dopo tutto quello che aveva passato. 

    E quindi alla fine il rosso sospirò, rilassò le spalle e disse: «Va bene. Hai vinto.»

    Finalmente, Aziraphale scostò lievemente lo sguardo dalle pagine e lo posò sul suo - o nel suo. «Ne sei sicuro?»

    «Hai cinque secondi prima che cambi idea.»

Con una fluidità disarmante, l'angelo mise un segnalibro tra le pagine, chiuse il libro, lo poggiò sulle coperte accanto a sé e si mise composto. Sul suo volto si accese una luce di trionfo ed interesse, e tornò a guardare Crowley come aveva sempre fatto.

    Quest'ultimo capì di essere stato messo nel sacco a regola d'arte, ma ehi: ormai aveva capito che Aziraphale aveva i suoi assi nella manica e che con lui funzionavano sempre. Poteva solo incassare e andare avanti. Com'era il detto? Ormai era in ballo, perciò doveva ballare.

    «Non è una storia così interessante, ti avverto. Rimarrai deluso» affermò, mentendo spudoratamente in un ultimo disperato tentativo di fuggire.

    «Non tergiversare» lo ammonì l'altro. «Dai, dovrai pur liberarti di questo peso.»

    «Credimi, l'ho già fatto. Anathema sa già tutto, ma solo perché una volta sono tornato da lei ubriaco e malmesso, perciò non è stata esattamente una confessione volontaria. Ora che ci penso: questa è una storia molto più interessante.»

Aziraphale lo guardò con un: "Smettila e racconta" scritto in volto, la facciotta arrabbiata.

    Vederlo frustrato era ancora divertente, perciò Crowley sogghignò - per quanto avrebbe voluto davvero cambiare discorso. «Eddai, ridi un po': sto scherzando. In ogni caso: immagino tu ci fossi già prima dell'Eden». L'angelo annuì, così il rosso continuò: «Beh, come ha detto Raphael: era tutto più semplice allora. Parlare con Dio era prassi: lo facevamo tutti ed era gratificante, soprattutto se - come me - avevi sempre qualche idea in testa e qualche nuova creazione tra le mani. Ero decisamente molto più aperto e tranquillo ai tempi, e mi piaceva quello che facevo: non avrei cambiato quel compito per nient'altro nell'universo.»

    Aziraphale inclinò la testa: «E cosa facevi?»

    Crowley staccò lo sguardo, facendolo precipitare verso un punto imprecisato del pavimento. «Le stelle» mormorò. Lo disse così flebilmente da temere di doverlo ripetere, ma fortunatamente non accadde. «Galassie intere, persino. Era divertente: non smetteva mai di affascinarti il modo in cui, sai...» disse, facendo qualche gesto con le mani, «tutto da vicino sembrava un ammasso di palle di fuoco, e da lontano prendeva tutt'altra forma. Era bello e caotico». Prese a far ciondolare nervosamente le gambe, intanto che cercava di tenere il nervosismo a bada. Odiava parlarne, lo odiava davvero...

    «E poi cos'è successo?» Chiese Aziraphale cautamente. Doveva aver capito che da lì in poi si sarebbe fatto tutto più difficile.

    «La Terra è successa. Cioè, ai tempi non c'era ancora, ma c'erano le idee di Dio. Diceva sempre che avrebbe creato qualcosa di magnifico, spettacolare, un'opera in cui avrebbe riversato il meglio di Sé. Cose simili». Quelle parole erano uscite fuori faticosamente, forse stanche di starsene rintanate nella testa del loro proprietario e pronte una volta per tutte a tirare avanti quel discorso - non senza fatica. Le prime soprattutto erano intrise di frustrazione.

    «Ah, sì, è vero» intervenne l'altro, iniziando a giocherellare con le lenzuola. «Me lo ricordo.»

Crowley notò quel gesto ormai familiare e si chiese cosa avesse iniziato a ronzare nella testa di Aziraphale. Ancora non si capacitava di come riuscisse a passare da risoluto a fascio di nervi in così poco tempo.

    «Aveva incuriosito tutti» continuò poi, riprendendo a far vagare le iridi dorate per tutta la stanza. «Ma alcuni si incuriosirono più di altri. Tra questi c'ero io.»

Stavolta invece sentì la voce bloccarglisi in gola. Quello era il punto di non ritorno: da lì iniziavano i ricordi che avrebbe fatto di tutto per cancellare. Solo che adesso era tornato a guardare l'angelo e aveva visto in lui un altro tipo di curiosità: quella buona, atta a saperne di più solo per conoscerti meglio e aiutarti nel modo giusto. Peccato che non se la meritasse. Aveva smesso di meritarsi quelle cose il giorno in cui le sue ali erano bruciate.

Nonostante tutto andò avanti, spinto da cosa non avrebbe saputo dirlo. Forse era ancora provato, forse era perché non ce la faceva veramente più a murarsi in se stesso, o forse era quel benedetto sguardo che adesso sentiva di poter considerare sicuro.

     «Sai, Lei mi piaceva: mi faceva sentire come fossi chissà quale meraviglia, e non faceva che ripetermi quanto mi volesse bene» disse, pensieri e parole che sembravano macigni. «Passavamo tantissimo tempo assieme, ma io Le dicevo tutto e Lei non mi diceva mai niente. E dopo un'infinità di conversazioni a senso unico, io e gli altri abbiamo iniziato a stancarci.»

    «Perciò volevate semplicemente essere messi più al corrente dei Suoi piani» azzardò Aziraphale, raccogliendo le ginocchia.

    «Questo era quello che volevo io» precisò Crowley. «Pensavo fosse anche quello che volevano Lucifero e i suoi amici. A quanto pareva mi sbagliavo, ma me ne sono reso conto troppo tardi. Alla fine mi hanno trascinato giù con loro nonostante non avessi né manie di potere, tantomeno di conquista. Non volevo il posto più alto del Paradiso, né volevo sentirmi migliore di Lei; volevo solo un paio di risposte» concluse, rimettendosi a fissare le assi di legno del parquet.

Il silenzio che seguì prese a fischiargli nelle orecchie così forte che fu spesso tentato di dire qualcos'altro, giusto per riempirlo.

Non ce ne fu bisogno.

    «Anche a me sarebbe piaciuto» mormorò Aziraphale. «Avere delle risposte, dico. Come hai detto tu: aveva incuriosito tutti.»

    Crowley sbuffò: «Appunto per questo avrei potuto tenere la boccaccia chiusa e tutto si sarebbe risolto.»

    «Quindi è per questo che non parli della Caduta» ipotizzò poi l'angelo. «È perché te ne penti.»

    Il rosso tornò ad affondare lo sguardo in quello dell'altro, stavolta con più durezza del solito. «Ogni giorno della mia esistenza» affermò, la voce rotta. «Hai idea di quanto faccia male essere brutalmente strappati dall'Amore di Dio? È come perdere un braccio, se non peggio. Non è un andarsene via dal Paradiso solo in senso fisico e non fa male solo perché ti vanno a fuoco le ali. Il peggio succede dentro.»

    Aziraphale annuì debolmente, come ad indicare che poteva immaginarlo e solo quello gli faceva venire i brividi. «Beh» disse poi, «allora avevo ragione. Non ti meriti affatto le parole di Raphael.»

    A Crowley venne voglia di fulminarlo sul colpo. Non avrebbe saputo dire se era troppo buono, troppo stupido, o se era lui che non si era spiegato sufficientemente bene. «La smetti?» disse in un mezzo ringhio.

    L'altro alzò un sopracciglio: «Di fare cosa, di grazia?»

    «Di difendermi!» Tuonò il rosso balzando in piedi. «Perché accidenti lo fai? Ti ho letteralmente strappato via dal Paradiso, ti ho stuzzicato, ti ho offeso, ti ho sottovalutato, ti ho fatto dubitare di tutto apposta per vedere come avresti reagito, senza parlare del fatto che avevo tutte le intenzioni di farti andare a prendere la spada da solo!». Le parole rotolarono una dietro l'altra in una valanga di pensieri che troppo avevano aspettato per concretizzarsi. «Sto letteralmente facendo tutto questo per un mio tornaconto personale, e ti ho appena raccontato di come Dio abbia deciso di odiarmi per colpa della mia stessa ingenuità. E tu cosa fai? Stai dalla mia parte?»

Il silenzio cadde di nuovo, precipitando tra loro come una valanga.

L'angelo non si era mosso. Non era rimasto né spaventato né sconcertato dalla reazione, anzi: era rimasto serio e composto sul letto, calmo e fermo come una stella bianca nel cielo notturno.

    Sbatté le pozze celesti una sola volta, guardando Crowley con una serietà troppo stoica per uno come lui. «Non difendo muri che non hanno bisogno di essere difesi» affermò. «Non proteggo persone che non meritano di essere protette e non veglio su chi sa cavarsela benissimo da solo. A differenza di quello che credono tutti, io so fare il mio lavoro.»

    Il rosso sbarrò appena gli occhi, sentendo tutta la negatività accumulata fare due o tre passi indietro - insieme a qualche lacrima che decise di fare dietrofront. «Che intendi?» Chiese, semplicemente perché era convinto di aver capito ma voleva averne la conferma.

    Aziraphale sembrò intuirlo. «Sai, l'Eden non ha più bisogno di guardiani» spiegò. «Non da quando gli umani se ne sono andati, almeno.»

Crowley si risiedette lentamente sulla poltrona. A quanto pareva, ora toccava a lui stare in silenzio a sentire.

    E infatti l'altro continuò. «Sai, dopo la Caduta i piani di Dio si sono fatti più cauti. Raphael ha ragione nel dire che Lei è cambiata dopo tutto quello che è successo» raccontò, intanto che le sue dita tornavano ad aggrovigliarsi nelle lenzuola. «Creò la Terra ma decise di non popolarla subito. Fece due umani e li mise in un giardino per vedere come si sarebbero comportati. Andò tutto liscio per un po', e alla fine decise di metterli alla prova. Erano esseri particolari, in fondo: non erano angeli, non erano demoni, non si avvicinavano a Lei come facevamo noi... erano imprevedibili.»

    «Non so molto di questa storia» ammise il demone. «So che c'entrano le mele per qualche motivo.»

    Aziraphale annuì. «Io e gli altri stavamo sul muro apposta per vegliare sugli umani» precisò. «Non eravamo nemmeno armati all'epoca: dovevamo solo stare attenti che non accadesse loro qualcosa. Ogni tanto ci chiacchieravamo persino: ho passato un bel pomeriggio con Eva, una volta. E quando Dio decise di andare a parlare con il vostro capo, a noi venne semplicemente dato il compito di non interferire.»

    Crowley fece mezzo balzo sul posto: «Dio e Satana facevano comunella?» Chiese, sbalordito.

    L'angelo aggrottò la fronte: «Cielo, no. È successo una volta sola» spiegò. «Insieme crearono un frutto contenente tutto il nuovo concetto di bene e male, giusto e sbagliato, bianco e nero, insomma: la dicotomia. E sai cosa fecero gli umani quando gli venne espressamente chiesto di non toccarlo?»

    «Gli diedero un bel morso» ipotizzò il rosso - anche se lo disse più con un tono di affermazione che di effettiva ipotesi. E poi: mai dire ad un umano cosa non fare, erano le basi - anche se effettivamente ai tempi nessuno poteva saperlo.

    «È stato quello a dividere ufficialmente il mondo» affermò Aziraphale. «È da lì che l'umanità si è sparpagliata un po' a destra, un po' a sinistra... Ha fatto tutto da sé. In ogni caso: l'Eden è rimasto vuoto e io, invece di essere mandato dove c'era effettivamente qualcosa da proteggere, sono rimasto a guardare intanto che la fortezza veniva eretta e l'umanità veniva usata come esercito di supporto». Si fermò solo un attimo, abbastanza da dare un'occhiata alla spada poggiata contro la parete alla sua sinistra. «Il Paradiso non ha bisogno di qualcuno che lo vegli. Gli umani sì, invece» mormorò. «Non è che non facevo la ronda perché non ne avessi voglia o perché non sapessi come farla. Non la facevo perché era assolutamente inutile. In fondo, in secoli e secoli, l'unico demone ad essere arrivato al giardino sei stato tu.»

Crowley sapeva dove sarebbe andato a parare il discorso. Gli angeli sapevano riconoscere chi aveva bisogno di loro, o meglio: lo avrebbero saputo se si fossero concentrati abbastanza invece di pensare solo a tenersi stretto il loro lato di mondo. Al contrario, i demoni sapevano chi potevano fregare e lo facevano senza pensarci due volte, attirando a sé gli umani utili a far vedere al Paradiso quanto fossero superiori. In sostanza: Aziraphale lo stava aiutando perché non credeva ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Avrebbe fatto la cosa giusta a costo di farla nei confronti del nemico. Aveva preferito lasciare il suo lato di Paradiso vuoto pur di andare a fare una cosa buona per l'umanità. L'unica cosa capace di fermarlo era la paura che i suoi superiori gli avevano innestato, tutti i dubbi su cosa sarebbe successo andando fuori dalle linee dritte che gli angeli superiori avevano disegnato attorno a lui su presunto volere di Dio. Ma Crowley lo sapeva meglio di chiunque altro: non c'era nessuno di più subdolo e poco chiaro dell'Altissima.

    «Capisco cosa vuoi dire» affermò infine. «Sai, a questo punto credo che tu sia semplicemente, beh, caoticamente buono» ammise. In realtà era un buon modo per riassumere quello che pensava, seppur bizzarro.

    Aziraphale gli rivolse un sorriso: «Credo lo prenderò come un complimento.»

Crowley non avrebbe saputo dire se fosse effettivamente un complimento o una semplice constatazione. In ogni caso, si rese conto che quelle dovevano essere tra le poche considerabili belle parole che fossero mai state rivolte all'angelo.

    Scrollò le spalle e tornò al discorso precedente: «Non è ironico? Insomma: ovviamente gli umani non si sarebbero mai aspettati di essere utilizzati come soldati, ma qui alla Zona stanno praticamente cercando di riparare il loro stesso errore.»

    «Sbagliare per poi cercare di sistemare il danno è la cosa più nobile e umana che esista» affermò Aziraphale. «E poi è normale che gli umani di adesso non la pensino come i primi. I tempi cambiano.»

Crowley annuì. Effettivamente aveva senso: il mondo in cui vivevano era soprattutto il risultato delle azioni di persone che ormai non esistevano più e che di conseguenza non avevano più voce in capitolo. A differenza degli umani, però, angeli e demoni erano testardi: non cambiavano se non in peggio e non schiodavano dalle loro convinzioni. Certo, c'erano le eccezioni. Due, due eccezioni.

    «Comunque: ora capisco perché Anathema non ti detesta» disse l'angelo, strappandolo ai suoi ragionamenti.

    Crowley sbuffò, soffocando una mezza risata: «Quella è strana, non paragonarti a lei. Tu sei fuori di testa in modo positivo.»

    L'altro parve ad un crocevia tra il divertito e il confuso, ma lasciò correre. «Sarà. In ogni caso: nemmeno a me stai antipatico.»

    «La cosa è reciproca.»

Per la prima volta, oltre agli sguardi, si scambiarono i sorrisi. Per quanto non lo avrebbero mai ammesso, quel rapporto strano che avevano era decisamente meglio di qualsiasi altro rapporto avessero mai avuto. Certamente era il più naturale e il più genuino, per quanto appena sbocciato nel bel mezzo del marasma.

Crowley diede un'occhiata ai palmi ancora fasciati di Aziraphale, ma alla fine decise comunque di porgere una mano verso di lui. Era una cosa che aveva visto fare agli umani di tanto in tanto, e gli pareva un buon modo di fare un passo avanti.

    Quando Aziraphale lo guardò poco convinto, alzò gli occhi al cielo in un finto moto di esasperazione: «Sei sopravvissuto all'Arma e all'Inferno. Cosa vuoi che sia una stretta di mano?»

L'angelo abbozzò una risata e fece spallucce, prima di allungare il braccio e ricambiare il gesto.

Durò due secondi, abbastanza da far salire una fitta fin sopra la spalla di entrambi, ma fu una bella botta alla dicotomia. Con un po' di concentrazione, si poteva quasi sentire l'equilibrio creparsi inesorabilmente e iniziare a crollare un pezzettino alla volta.


~•°•~


Adam aprì senza fatica la grossa doppia porta di mogano. Avanzò con il segugio al suo fianco, il quale scodinzolava come un cucciolo al quale hanno appena fatto i complimenti per aver imparato a dare la zampa. In realtà a quella non c'era ancora arrivato, ma lo aveva messo in programma; per il momento sapeva solo bene come metterlo a cuccia intanto che faceva qualche altro passo nella sala del trono.

Vi si fermò in mezzo e aspettò che l'imponente figura davanti a lui si ridimensionasse fino a prendere una forma più contenuta. Sembrava un umano in tutto e per tutto ma non lo era, esattamente come lui. Tale padre, tale figlio.

    «Sei tornato» disse il Signore dell'Inferno con un sorrisetto sul volto affilato. «Allora, che ne pensi?» Chiese, iniziando a passeggiare lentamente avanti e indietro.

Adam pesó accuratamente le parole nella sua mente. Doveva pensare bene a cosa dire e come dirlo: da quello dipendeva il futuro di tutto il terreno che aveva calpestato in quei giorni, di tutte le nuvole a cui si era divertito a dare una forma, di tutti gli animali incontrati per la strada, ma soprattutto di tutte le persone. Le persone e gli angeli.

    Così si limitò ad un: «La Terra è grande» che era comunque una verità sconcertante ai suoi occhi.

    «So che può sembrare così» rispose suo Padre. «Ma non crucciarti: possiamo prendercela tutta. Tu puoi prendertela tutta, ti bastano la volontà e lo sforzo.»

E lì stava l'inghippo. Adam non era sicuro di volerlo: aveva visto entrambi i lati del mondo e si era detto che nessuno dei due gli piaceva davvero. Il suo lato era buio, decadente, popolato da gente triste, delusa, arrabbiata ed insoddisfatta. L'altro era fin troppo luminoso, troppo perfetto, pieno di persone costrette in comportamenti forzatamente giusti e forzatamente accondiscendenti. Poi era arrivato al Confine: una grandissima area vuota in mezzo alla Terra, usata per combattere e nient'altro. Aveva iniziato ad esplorarlo durante una notte piovosa, e lì aveva trovato un bellissimo villaggio dove il bene e il male si mescolavano a regola d'arte. Era diventato in un attimo il suo luogo preferito, e se già quando Satana l'aveva lasciato girovagare - con l' intento di fargli conoscere il luogo di cui sarebbe stato principe - non era tanto entusiasta di dover dare inizio ad una guerra, ora sentiva di essere decisamente contro quell'idea. E non puoi andare contro il Diavolo sperando di farla franca, nemmeno se sei suo figlio.

    «Non hai parlato con nessuno come ti avevo ordinato, vero?» Chiese poi suo Padre, interrompendo quel flusso di pensieri. 

    Adam scosse la testa: «Non una parola» che poi era vero. Gli era stato vietato di parlare, non di scrivere: tecnicamente non aveva infranto nessuna regola.

    «E quello?» Chiese poi Satana, indicando il segugio con il mento.

    Adam fece un cenno con la mano e la bestia si avvicinò obbediente. «Stava cercando un demone» spiegò. Quello poteva dirlo senza scendere nei dettagli, in fondo.

    Suo Padre alzò gli occhi al cielo: «Gli chiedi di prepararsi alla battaglia e si mettono a sguinzagliare cani» ringhiò. «Poco male. Puoi tenerlo: pare ti serva bene come destriero.»

Adam guardò il suo ora compagno di battaglia e si disse che in fondo era un bravo cane che faceva solo quello che gli veniva chiesto. Ora però era il suo bravo cane e avrebbe fatto cose completamente diverse - che non includevano demoni trascinati da un lato all'altro del globo, soprattutto. Aveva visto quella povera creatura venire sbattocchiata contro il terreno intanto che tornavano all'Inferno e si era sentito male. In colpa, ecco: si era sentito in colpa.

    «C'è qualcosa che vorresti dire prima di iniziare?» Chiese poi Satana, pacato come lava che ribolle.

    C'erano tante cose che Adam avrebbe voluto dire ma che sarebbe stato meglio tenere per sé. Fortunatamente, sapeva anche bene che non sarebbe successo nulla di irreparabile senza una sua mossa, e la sua giovane mente era abbastanza sveglia da capire cosa poteva azzardarsi a proporre. Così disse: «Ci sono tre ragazzi. Mi stanno simpatici: possono comandare insieme a me?»

    «Una volta che avremo rovesciato il mondo, potrai farti tutti gli amichetti che vorrai» affermò suo Padre. Sembrava tranquillo, sicuramente si stava godendo appieno la quiete prima della tempesta.

Ovviamente Adam non aveva nessun intenzione di trascinare i tre della Zona all'Inferno. Tutto quello che doveva fare adesso era mostrarsi propositivo e trovare il modo di evitare il disastro. Solo lui poteva mettere un freno al tutto.


La porta dietro di loro si spalancò, portando il ragazzino a sobbalzare e il suo cane a rizzare sulle zampe, ringhiando.

    All'ingresso era comparsa la minuta figurina di Belzebù. Sembrava sconvolto, cosa che portò il suo Signore a gonfiare le ali e a tuonare: «Si può sapere che succede?». Fece un paio di passi avanti e superò Adam passandogli una mano tra le ciocche dorate, un gesto dalla fredda possessività di chi sa di avere un oggetto di valore tra le mani. 

    Belzebù si ricompose velocemente. «Non ci crederete mai, ma uno dei nostri è stato ucciso» balbettò, sottolineando l'ultima parola. «Sciolto dall'Acqua Santa dentro la nostra fortezza.»

    L'aria già pesante della sala del trono si fece soffocante. Satana strinse i pugni, facendo vibrare la sua voce per tutta la stanza e anche oltre: «Mi stai forse dicendo che un angelo è entrato qui dentro senza che voi ve ne accorgeste?»

Adam sentì un piccolo moto di gioia saltellargli nel petto. C'era un solo angelo capace di fare una cosa del genere: quello della Zona. Se n'era accorto subito: era un essere particolare e particolarmente splendente. Per un attimo aveva creduto di avergli fatto troppo male, ma non era stata colpa sua: era stato un istinto, una specie di voce nella sua testa che gli diceva di bruciargli l'essenza. Era stata un'esperienza orribile e aveva deciso di non ricascarci; doveva stare attento al fuoco dell'Inferno che gli scorreva nelle vene prima di ritrovarsi ad un non nulla dallo spezzare creature angeliche pure ed innocenti. In ogni caso, aveva visto il modo in cui quell'angelo e il demone si erano parlati intanto che era laggiù. Quindi erano amici, concluse, per forza. Magari loro avrebbero saputo come fare.

Ascoltò solo metà della discussione che avvenne tra suo Padre il Suo sottoposto. Dicevano di iniziare a ritirare l'esercito mortale prima che qualche altra creatura divina facesse breccia dall'interno - nonostante potesse essere considerata una sconfitta.

Aveva ancora tempo, si disse. Doveva tornare alla Zona Mediatrice.


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Capitolo 13
*** L'Amore e l'Arma ***


Raphael aveva sempre avuto una pazienza infinita, ma la verità è che tutto ha un limite.

Subito dopo il suo sgradevole incontro con il guardiano all'Inferno, volò svariate volte lungo il Confine nell'arco di una sola giornata, sperando di trovare ciò che tanto voleva: qualcuno pronto a dargli una mano. Ovviamente non accadde, e il senso di tradimento iniziò pian piano a consumarlo come una fiamma consuma l'ossigeno: lentamente ed inesorabilmente. Se non poteva contare su Aziraphale, allora avrebbe contato su sé stesso.

Incontrò spesso Michael e Gabriel intanto che andava avanti e indietro, ma non rivolse loro che qualche parola. Non aveva bisogno di quei due: lui sapeva bene cosa fare e avrebbe adempiuto al suo compito. Aveva visto cosa l'Arma era capace di fare ad un angelo anche solo toccandolo, ma aveva visto anche quanto fosse piccola e difettosa. L'aveva seguita in lungo e in largo, studiandone le espressioni e i movimenti, arrivando a tessere un piano per ucciderla. Forse questo non avrebbe fermato l'Inferno, ma lo avrebbe certamente riabbassato allo stesso livello del Paradiso. Allora avrebbero combattuto, certo, ma la minaccia più grande sarebbe stata sventata.

Non avrebbe voluto arrivare a quello, pensò una volta tornato alla base della fortezza celeste. Ma a mali estremi, estremi rimedi. L'unica fetta di umanità che ancora poteva sperare di provare amore era la loro, ed era quella a cui avrebbe dedicato tutti i suoi sforzi, senza se e senza ma. Forse, una volta eliminata la mela marcia, tutto sarebbe stato più facile. E poi, lui da solo era riuscito a scoprire ciò che il Paradiso aveva capito solo una volta vista l'Arma entrare galoppando nel quartier generale nemico, e per farlo gli era bastata una piuma.

Una volta conclusa tutta quella storia, avrebbe fatto una bella chiacchierata con i suoi colleghi per riassestare la piccola piramide gerarchica che c'era tra loro. Anche se forse "piramide" non è il termine più adatto, dato che sulla cima c'erano Gabriel e Michael, mentre sotto - schiacciato - c'era lui.


Quando durante la notte gli arrivarono le voci che annunciavano la ritirata delle truppe umane nemiche, Raphael sentì le piume rizzarglisi: era il suo momento.

    «Vado a dare un'occhiata» disse a Michael, raggiungendolo in un batter d'occhio.

Il guerriero non aveva perso tempo: andava avanti e indietro a grandi falcate, attraendo a sé i soldati con un unico cenno del capo. Il suo compito era suonare le trombe e dare inizio a quella che Raphael già vedeva come l'apocalisse. 

    L'arcangelo dal volto di donna non gli rivolse nemmeno un'occhiata. «Richiama i tuoi» disse solo. «Il tempo di sistemarci e andiamo al Confine.»

    «Avrai un piano, voglio sperare» infierì il guaritore, quasi sperando di creare una breccia nelle impenetrabili difese del collega. «Come pensi di sopraffare il ragazzino?»

    «Senti, Raphael» lo ammonì Michael, lo sguardo duro e la voce risoluta, «io penso al mio e tu pensi al tuo. Ora va' e lasciami lavorare.»

E il guaritore se ne andò con uno sbuffo e uno sbattere di ali volutamente impetuoso. Quasi gli mancava la compostezza di un tempo, ma di nuovo: tutto ha un limite.


Fu durante quel breve periodo di stallo che provò spesso a seguire a ritroso il filo dei suoi ragionamenti. Era sempre stato attento ai dettagli: laddove gli altri si buttavano a capofitto, lui saggiava il terreno, aspettando il momento giusto per agire. Era così anche con certe ferite: devi osservarle, prestare attenzione a come si evolvono e poi decidere come curarle. Per questo aveva capito che l'Arma era un contenitore troppo piccolo per un potere troppo grande. Per questo aveva sempre visto in Aziraphale ciò che gli altri arcangeli ignoravano, fissi com'erano nel seguire strade tutte dritte, tutte calcolate, tutte esattamente conformi, senza mai chiedersi cosa sarebbe successo in caso di imprevisti.

Con il guardiano aveva sbagliato, o meglio: dall'alto della sua sezione di fortezza lo vedeva il modo pensoso, afflitto e svogliato in cui faceva la ronda. Quel fascio di luce sapeva che la gabbia d'avorio in cui viveva non funzionava bene come avrebbe dovuto, l'aveva capito sin dal primo istante. E Raphael se n'era accorto solo dopo qualche sguardo; se n'era accorto già nel modo riluttante in cui Aziraphale aveva accettato la spada con la quale adesso sembrava avere un rapporto fatto di tira e molla. Ma l'arcangelo era rimasto in silenzio perché sapeva bene quanto la fortezza del Paradiso non fosse solo l'etereo edificio in cui lavoravano, ma anche l'invisibile muro che si era formato attorno all'aurea di tutti dopo la Caduta. Vedere coloro che aveva considerato amici finire divorati tra le fiamme lo aveva rattristato all'inizio, ma poi aveva visto le creature grottesche che erano diventati e aveva capito di essere nel giusto.

E poi?

E poi aveva visto l'unico altro angelo con un minimo di sale in zucca andare ad abbracciare il lato oscuro senza Cadere. Non aveva vacillato un secondo, mai, nemmeno affiancando quel demone sull'uscio della porta davanti alla quale avevano parlato. Stava facendo comunella con i distruttori di tutto ciò che Dio amava, eppure le sue ali e la sua aurea brillavano così tanto da far paura al sole.

Era ingiusto. Era dannatamente ingiusto.

Su una cosa, però, Raphael sapeva di avere ragione: l'Arma. Satana era proprio stupido se pensava di usare quel pargoletto dai riccioli dorati contro l'Armata dell'Altissima. Quel bambino poteva anche far esplodere mezzo pianeta, ma sempre un bambino era: una lama ben affondata e tutto sarebbe finito.

Era accaduto già tante volte che giovani umani perissero in guerra. Quella sarebbe stata l'ennesima e, se Dio voleva, anche l'ultima.


~•°•~


La mattina era iniziata in modo particolare. Prima di tutto, Crowley non si sarebbe mai aspettato i ragazzini - e a giudicare dalla faccia, nemmeno Shadwell. Infatti si stupì nello scendere al piano terra e trovare il salotto invaso dai tre della Zona tutti saltellanti attorno alla poltrona in cui Anathema era andata a no, non sedersi, probabilmente il verbo migliore è: ripararsi, ripararsi da quella mini ondata di domande, domande, domande.

Newton, dal canto suo, si era rintanato dietro lo schienale della suddetta poltrona, un po' divertito e un po' intimorito. Al tutto si aggiunsero i due più anziani che, battibeccando, si spostarono in cucina poco prima che il demone potesse arrivare alla base delle scale.

    «Non posso credere che te li sei portati dietro, donna» brontolò Shadwell.

    Tracy sorrise: «Te l'ho detto: vogliono sapere tutta la storia. Sono ragazzini: lasciali fare.»

Non appena furono usciti di scena, Crowley sentì Aziraphale affiancarlo e la sua facciotta inebetita fece aumentare un po' di più il livello di confusione generale. Piccoletti casinari, adulti incapaci di contenerli, punti in più per la coppietta in disaccordo che lascia la situazione alla deriva e bum, la ciliegina sulla torta: un angelo preso alla sprovvista. L'animo del rosso prese a crogiolare di piacere: quello sì che era divertente, accidenti. Una manna dopo gli ultimi eventi.

    Nel vederli sull'uscio del salotto, Anathema tirò un sospiro di sollievo. «Ehi ragazzi, guardate chi c'è» disse ai tre, facendoli voltare di scatto.

    Pepper fu la prima. Si catapultò davanti a Crowley e, senza neanche respirare, chiese: «Hanno cercato di uccidervi all'Inferno?»

    Il tempo di finire di parlare che Brian le arrivò alle spalle: «Satana voleva mangiarvi?»

    Wensley, invece, arrivò con un po' - giusto un po' - più di pacatezza: «Ma, tipo: se un angelo tocca le pareti dell'Inferno, si brucia le dita?»

Come chiunque si sarebbe aspettato, la lite fu immediata: Pepper iniziò a dire che c'era prima lei, Brian a dire che non dovevano per forza rispondere in fila, Wensley a cercare di calmarli solo per essere zittito nel giro di un nanosecondo. Insomma, un gran bel casino.

Un casino che fece sogghignare Crowley abbastanza da essere richiamato con un leggero strattone della manica. Almeno Aziraphale aveva smesso di farlo sobbalzare con tocchetti a tradimento, si disse.

    «Evidentemente la cosa ti diverte» intuì quest'ultimo, le dita ancora ben strette alla stoffa scura della camicia dell'altro, «ma hai qualche idea?»

    Crowley sbuffò senza smettere di sorridere: «Guarda e impara». Oltrepassò il trio, andò a tuffarsi con nonchalance sul lato sinistro del divano, scoccò un'occhiata ai due della poltrona e, dopo un deciso schiarimento di voce, disse: «Sì, hanno cercato di ucciderci.»

Pepper, Brian e Wensley smisero all'unisono di litigare e, veloci come furetti, andarono ad appostarsi tutti sopra al tappeto davanti al divano, il fiato sospeso.

    Allora il demone si raddrizzò giusto un pochino, guardò le piccole pesti una ad una e - con un'ottava di voce in meno perché fa molto storia dalle sfaccettature oscure e pericolose - riprese: «Erano a tanto così dal beccarci, ma li abbiamo battuti sul tempo.»

Fu così che, tra un sussulto e un commento del suo piccolo pubblico, Crowley si mise a raccontare cose che un po' erano vere e un po' erano inventate - un po' tanto, a dirla tutta. Mentre parlava, notò con la coda nell'occhio Aziraphale che andava ad accomodarsi sul lato opposto del divano, ma non poté soffermarsi sul suo volto come avrebbe voluto. Gli sarebbe piaciuto vedere il modo in cui le sue espressioni cambiavano, ma si sarebbe accontentato di quelle dei ragazzini - e quelle di Anathema, che tra le mani sugli occhi e gli sguardi al cielo faceva ridere lo stesso.

Una cosa, però, il rosso riuscì a notare bene anche nel bel mezzo del canto delle sue - delle loro, anzi - gesta. All'angolo della sua visuale, Aziraphale era un macchietta sui toni del crema, piccola e decisamente molto meno luminosa del solito. Ci aveva fatto caso durante la notte: nonostante la loro conversazione gli avesse evidentemente tirato su il morale e nonostante la sua aurea fosse sulla buona strada per tornare ad essere bella raggiante, nel complesso l'angelo gli era sembrato, beh, spento.

Avevano parlato un altro po' dopo la stretta di mano, anche se di nulla di interessante come le galassie o l'Eden. Ma nessuno degli argomenti che avevano toccato aveva fatto illuminare Aziraphale come quella volta con il biscotto, o come davanti alla cella subito dopo averlo trovato, o come quando aveva capito di essere riuscito a "strappargli" la storia della Caduta dalla bocca. Qualcosa non quadrava, anche se Crowley non avrebbe saputo dire come faceva a capirlo.

Vuoi la stanchezza, vuoi tutto quello che ti pare, ma ci aveva messo un po' a rendersi conto che erano Raphael e la spada il problema. Ovviamente, per Aziraphale doveva essere stato un colpo basso ricevere l'affare che più odiava al mondo dall'unico superiore che credeva di poter considerare un porto sicuro. Superiore che adesso lo vedeva come un traditore, una possibile minaccia e chissà cos'altro, d'altronde.

Il problema era che Crowley non aveva avuto il coraggio di affrontare la questione. Un po' si vergognava al pensiero di dover tirare su di morale un angelo, dall'altro non aveva idea di come iniziare. Insomma, non sapeva nemmeno che razza di rapporto avessero quei due - fermo restando che ne avessero mai avuto uno.


    Terminata la grande e pazzesca storia della loro fuga dalla tana del Diavolo - più aggiunte fantasiose - Pepper incrociò le braccia: «Non ci credo che non hai avuto paura nemmeno per un secondo in quella cella.»

    Crowley le rivolse una leggera smorfia, consapevole che se le avesse detto delle frustate l'avrebbe fatta vincere - e probabilmente l'avrebbe traumatizzata, cosa che non avrebbe giovato alla sua crescita o comunque alla sua vita in generale. Così si limitò a ribattere: «Paura? Io? Quando mai.»

Anathema soffocò una risatina, ma al rosso bastò scoccarle un'occhiataccia per farla tornare - più o meno - seria.

    «Sì, come no» rincarò la dose Pepper. «Scommetto che l'angelo ti ha dovuto consolare mentre piagnucolavi.»

    Wow, pensò Crowley, ora sì che si sentiva un po' ferito nel profondo. I bambini sapevano essere tremendi e ciò era tutta legna per il suo falò interiore. Mise su l'aria di sfida più convincente del suo repertorio e fece iniziare quella che già considerava una battaglia da vincere: «E invece no. Tu che ne vuoi sapere?»

    «So che i demoni sono dei gran bugiardi. Perciò per me hai pianto.»

    «E invece no.»

    «E invece sì.»

    «Ti dico di no.»

    La cosa andò avanti almeno altre cinque o sei volte. Fu Wensley ad intromettersi e bloccare quel tira e molla: «Chiediamo ad Aziraphale, no?»

Sei paia di occhi piombarono all'unisono sull'angelo, il quale si strinse un po' nelle spalle come a chiedersi cosa avrebbe dovuto fare in una situazione del genere. Crowley non poté fare a meno di sorridere: la cosa si faceva interessante, forse anche troppo interessante.

    «Beh» prese a dire Aziraphale, raddrizzandosi un po', «considerando che ha passato ore alla mercé di un signore dell'Inferno, se l'è cavata molto bene.»

Non un tremolio, non un'insicurezza, neanche un piccolo torturarsi le dita: era sicuro di quello che aveva detto. Crowley sentì la sua aurea rimescolarsi in modo strano alla luce di quella realizzazione, anche se non avrebbe saputo dire perché.

    Pepper emise un convinto "mh", prima di affermare: «Se lo dice lui, ci credo.»

Il resto del gruppetto fu automaticamente d'accordo con lei, ma il demone non era nelle condizioni di far finta di prendersela - di fare un pochino finta di prendersela. Era troppo occupato a fissare la sua controparte, la quale ovviamente ricambiò lo sguardo, come sempre.

Era come se tra loro si fosse effettivamente sbloccato qualcosa dal giorno prima. Che cosa, Crowley non avrebbe saputo dirlo.


    Ad un certo punto, Tracy sbucò dalla porta del salotto: «A chi va la colazione?» canticchiò.

I tre della Zona balzarono in piedi e fecero a gara a chi arrivava al tavolo per primo, seguiti a ruota da Tracy, mentre gli altri due umani si avviarono subito dopo.

    Poco dopo essersi alzata, Anathema scoccò un'occhiata a Crowley: «Bella storia: potresti scrivere un libro» disse sarcastica.

    Normalmente, il rosso avrebbe trovato il modo di ribattere, ma non stavolta. Balzò in piedi con una spinta delle braccia e le si parò davanti: «Avete intenzione di iniziare a parlare di piani e apocalisse già da adesso?»

    La giovane sbatté gli occhi un paio di volte, confusa. «Beh, aspettiamo che i ragazzi finiscano di fare colazione e poi ne parliamo, sì. Perché?»

    «Bene, allora possiamo prenderci un attimo» affermò Crowley, indicando sé stesso e Aziraphale, il quale aveva fatto giusto in tempo a rimettersi in piedi e guardarlo confuso.

    Anathema sospirò, poi lo prese da parte, andando a mettersi in fondo alla stanza. «Va bene che vi avevo detto di parlare» sussurrò, «ma già vi mettete a fare comunella da soli?» 

    Il sorrisino con cui pronunciò l'ultima domanda fece capire a Crowley di dover usare le maniere forti: «Dacci cinque minuti» ordinò.

Al quel punto, lei non poté che alzare gli occhi al cielo, far ricadere le braccia lungo i fianchi e riavviarsi fuori in silenzio.

    Newton, confuso quanto l'angelo in tutto ciò - se non di più - si sentì in dovere di ridire: «Così non è giusto, però...» mormorò.

    «Lascia stare» lo richiamò Anathema da fuori, «andiamo a mangiare.»

    Una volta rimasti soli, Aziraphale guardò la sua controparte con aria interrogativa: «Qualcosa non va?»

    Crowley si strinse un po' nelle spalle: «Ah, non lo so. Dimmelo tu». Lo osservò per qualche secondo e si disse che, ora che era tornato nella comodità delle stoffe color crema che tanto gli si addicevano, l'angelo sembrava decisamente più tranquillo e a suo agio. Non abbastanza, però.

Aziraphale aggrottò appena la fronte, ma i suoi occhi presero a vagare in giro. Bingo.

    «Senti» riprese il rosso, «abbiamo bisogno della tua testaccia intelligente e quella non funziona se hai ancora delle questioni in sospeso - fidati, lo so.»

    L'angelo sospirò, prendendo a giocherellare con un bottone: «Dici che è stato Raphael a mandarci un mastino alle calcagna?» Chiese in una mezza lamentela che sperava di essere smentita.

    Crowley non aveva considerato quell'opzione, ma effettivamente avrebbe spiegato perché quel cagnaccio avesse puntato anche ad Aziraphale. «Può essere» ammise, «e allora? Ormai è andata. Lascia perdere quello lì.»

Ma l'altro non sembrava molto pronto a lasciar perdere. In un certo senso, il suo punto di vista era comprensibile: era un essere con idee diverse, buone intenzioni e un sacco di incomprensione sulle spalle; l'unico altro suo simile che sembrava gentile con lui non gli aveva nemmeno dato la possibilità di spiegarsi, e ora si sentiva di aver perso quello che considerava un buon appoggio. E se c'era qualcuno che sapeva bene ciò che si prova a perdere il terreno sotto i piedi, quello era Crowley.

    Perciò si avvicinò giusto un pochino, infilò le mani nelle tasche e spostò la testa per incontrare quelle ora lacrimose iridi celesti. «Fammi capire» disse, alzando un sopracciglio, «secondo quale logica io non merito le parole di Raphael e tu sì?»

    L'altro fece spallucce, lo sguardo perso nel osservare le sue dita che si abbracciavano l'un l'altra: «È che ho paura di quello che potrebbe fare adesso» ammise. «Non volevo mettermelo contro.»

    «Tanto ci metteremo contro lui come contro tutti» gli ricordò Crowley. «Se è intelligente come sembra, capirà da solo quello che stiamo facendo.»

    I loro sguardi si incontrarono di nuovo. Aziraphale annuì appena, raddrizzando le spalle: «Giusto, giusto.»

    «Perché è sveglio, no? Gentile, gradevole e tutto il resto.»

    L'angelo continuò ad affermare: «Assolutamente sì.»

    «Quindi sei tranquillo?»

    «Più di prima, sì.»

    Soddisfatto, il demone si raddrizzò a sua volta e - con tutta la nonchalance che non aveva messo nel suo precedente tuffo sul divano - iniziò a dirigersi fuori dalla stanza: «E ci sono voluti meno di cinque minuti» commentò. «Vieni, andiamo a rivendicare quei biscotti che ti fanno andare in brodo di giuggiole.»

Sentì una presa sul colletto della camicia e fu costretto a tornare sui suoi passi. Voltandosi, vide Aziraphale guardarlo con una punta quasi bruciante di gratitudine. Non ci fu nemmeno bisogno che dicesse qualcosa: il "grazie" gli ballava sulle labbra peggio dei suoi ormai soliti sorrisini. Il rosso lo osservò e subito dovette soffocare l'idea che così come stava adesso, con la luce del mattino alle spalle che gli imbiancava ancor di più i riccioli, era quasi, quasi-

    «Non fare il carino, adesso» lo ammonì Crowley, facendosi scappare la parola che aveva cercato di fermare. «Su, colazione, muoviti.»

    L'altro alzò gli occhi al cielo: «Volevo solo essere gentile» disse pacato. Dopodiché lo superò e uscì, aggiungendo: «Comunque, semmai ti venisse davvero voglia di scrivere un libro, sappi che lo leggerei».



Crowley passò tutta la colazione ad osservare mezzo distratto ciò che accadeva attorno a sé.

I ragazzini se ne andarono in giardino con Tracy dopo aver finito di mangiare: avevano il sorriso sul volto e i sacchetti pieni di biscotti. Non avevano fatto domande né sul segugio, né su Adam, ma capì che forse era dovuto al fatto che si erano spaventati abbastanza da decidere di non parlarne più attorno agli adulti. Qualcosa gli diceva che invece tra loro dovevano aver tirato fuori l'argomento, per forza: erano bambini, e i bambini non sono tipi da ignorare avvenimenti del genere.

A Newton venne dato il compito di tornare subito a controllare le voci riguardanti gli eventi al Confine e lui accettò di buon grado, sapendo che quelle erano le informazioni più fondamentali che potessero ricevere al momento. Dallo stato della guerriglia avrebbero capito esattamente quanto tempo avevano - anche se "poco" avrebbe riassunto qualsiasi possibile risultato.

Alla fine rimasero lui, l'angelo alla sua destra intento a capire se gli piacesse più il latte con il miele o senza - alla fine scelse entrambi, comunque - Anathema che mentre finiva di mangiare rileggeva qualche foglio e Shadwell, il quale non aveva ancora stranamente detto una parola da quando la compagna era uscita.

    Fu la giovane a riscuotere l'attenzione generale: «Bene, siamo quasi sicuramente agli sgoccioli, perciò iniziamo a lavorare.»

    «Tutte le volte che proviamo a venire a capo di questa maledetta profezia, succede qualcosa» commentò Shadwell incrociando le braccia sul petto.

    «Appunto per questo direi di non perdere altro tempo». Detto ciò, Anathema mise al centro del tavolo il testo del quale avevano già parlato più volte: quello che riecheggiava attorno a loro come un monito.

Crowley si rese conto di essersi quasi dimenticato le parole, il che in realtà era comprensibile: aveva avuto altro a cui pensare e gatte molto più grosse da pelare.

Lo ripassò con lo sguardo, in silenzio: Quando il mondo si ridurrà ad una grigia battaglia, l'Amore nel male si annerirà e la Luce Alata prenderà in mano la sua Fiamma. Con la bestia dell'Eden al suo fianco, l'Arma forgiata dal fuoco dell'Inferno si spegnerà e rivoli dorati affonderanno l'Intoccabile Dicotomia.

Era stupidamente pomposa, ma questo se lo ricordava. La tradusse seguendo ciò che sapeva: Il Paradiso e l'Inferno se le sarebbero date si santa ragione, e poi l'Amore... Amore? Chi accidenti provava più amore, ormai? Esclusi forse gli umani della Zona Mediatrice.

    Sbuffò e spostò lo sguardo verso Aziraphale: «Idee?». In fondo, se c'era qualcuno capace di capirci qualcosa, quello era lui: già era arrivato ad intuire il significato di "grigia battaglia", il resto altro non era che un altro stupido rebus - un rebus sul quale ora potevano concentrarsi anima e, nel caso dei mortali, corpo.

    L'angelo aveva già iniziato a ragionare, ed era ovvio che le conclusioni che stava traendo non gli piacevano. Ad un certo punto mise su uno sguardo affranto e lo guardò a sua volta. «Cosa sai di Raphael?» Chiese, la voce rotta.

    Ancora lui. Allora era una fissazione. Crowley alzò gli occhi al cielo: «L'arcangelo guaritore dal carattere adorabile fintanto che non gli vai contro?»

    «E protettore dell'amore. L'Amore, Crowley» precisò Aziraphale, ignorando la provocazione e mettendo su l'aria stoica che su di lui sembrava un abito due taglie più grandi.

    Anathema sussultò e si sbatté una mano in faccia: «Sono un'idiota. Come ho fatto a non arrivarci prima?»

Protettore dell'amore, eh? Non era certamente un lavoro che si addiceva ad uno così propenso all'odio come mister ali dorate. Ma c'era di più, si rese conto Crowley rimuginando sul resto della frase: l'Amore nel male si annerirà, l'Amore nel male...

    «Oh, cazzo» mormorò non appena ebbe fatto due più due, unito i puntini, chiarito i collegamenti. Alzò appena la sua ala sinistra e la fissò: era bianca una volta - non bianca quanto quelle di Aziraphale, ma bianca - e adesso era nero-bluastra per almeno un paio motivi. Uno era che gli piaceva così, ma in primis era bruciata, anneritasi durante la Caduta. Era la prima cosa che succedeva: ti andavano a fuoco le scapole e l'ustione si propagava su tutte le piume, una ad una. Era logico: ali malmesse significava impossibilità di volare, e se non puoi volare non ti resta che cadere.

    «No, ma illuminatemi pure con calma» brontolò Shadwell guardandoli uno ad uno con fare sarcastico.

Durante la colazione, Crowley aveva anche colto che la storia della loro breve avventura all'Inferno - quella vera, s'intende - era passata da Anathema a Newton quella stessa notte e da Newton a Shadwell durante le prime ore del mattino. Ovviamente, intanto che erano soli in cucina, Shadwell aveva detto tutto a Tracy. In ciò era implicato anche il siparietto con Raphael, l'idiota che ora Crowley sentiva di detestare indipendentemente da ciò che Aziraphale pensava di lui. In sostanza: i capi della Zona sapevano già tutto.

    «Rischiamo che il guaritore Cada, anzi, a questo punto la vedo come una certezza» riassunse Anathema, accontentando il suo scorbutico collega.

    Shadwell emise un pensoso: "mh". Poi continuò: «Non pensavo che Dio facesse ancora certe cose.»

    «Nemmeno io» mormorò Aziraphale guardando altrove. Neanche il tempo di tirargli su il morale che ora la situazione era tornata a scombussolarlo peggio di prima.

Crowley sentì una specie di ringhio interiore. Non potevano andare avanti in quel modo, si disse afferrando il foglio e iniziando a scandagliare le righe come se volesse dar loro fuoco. Quindi sarebbe semplicemente andata così? Raphael avrebbe fatto un bel voletto di sotto, lui e Aziraphale avrebbero dato il ben servito ad Adam e qualcosa di dorato ci sarebbe finito in mezzo, cambiando le regole che per eoni avevano tenuto angeli e demoni a distanza. 

Rivoli.

    «Che accidenti è un rivolo?» Chiese nervoso. C'erano tante cose dorate che potevano servire da metafora - in realtà neanche tanto - e aveva bisogno di chiarimenti.

    «Un flusso lento e copioso di qualcosa, genericamente liquidi» spiegò Anathema. Poi lo fissò speranzosa: «Idee?»

Oh, oh. Quello cambiava tutto e sì, purtroppo gliene faceva venire in mente troppe di cose.

Crowley sospirò, rimise il foglio sul tavolo, si accasciò sulla sedia e guardò Aziraphale, il quale doveva aver già fatto lo stesso ragionamento che lui stava facendo in quel momento. Si scambiarono uno sguardo d'intesa, leggero ma almeno un minimo rassicurante, un modo per dire che stavano pensando sulla stessa lunghezza d'onda. Non era la prima volta che capitava, ma stavolta il rosso sentì di nuovo la sua aurea oscura saltellare impazzita - non aveva ancora capito cosa diamine dovesse significare quella reazione, ma decise di spostare la questione ad un momento più tranquillo e consono.

    «Smettete di confabulare in quel modo» li riprese Shadwell, che aveva capito a sua volta quel gioco di sguardi. «Che vi è venuto in mente?»

    «Il sangue degli angeli è dorato» disse Crowley tutto d'un soffio, lanciando in campo quell'informazione senza troppi giri di parole.

    «Durante la Ribellione se ne sono visti tanti di, beh, rivoli» concluse Aziraphale.

Altro che rivoli, si disse il rosso, quelli che gli angeli si erano procurati a vicenda durante la Ribellione erano fiumi. Era stata la prima e ultima volta che aveva visto quel fluido quasi brillante innaffiare il terreno, e aveva soffocato il ricordo così tanto da non aver colto prima l'antifona che la profezia gli aveva messo su un piatto d'argento. E a giudicare dal volto mezzo abbattuto di Aziraphale, a lui era successa la stessa cosa.

Gli umani parvero del tutto inebetiti. Crowley arrivò alla conclusione che se neanche Anathema lo sapeva, allora non era esattamente un'informazione di dominio comune. Si chiese perché... forse c'era qualcosa di estremamente sacro ed inviolabile nel cosiddetto sangue di una creatura celeste. Inoltre, guardando le bende ancora ben strette ai palmi dell'angelo, si rese conto di non averle mai viste macchiate. Forse non bastava il semplice contatto per provocare quel tipo di ferita - quello o Aziraphale era effettivamente difficile da buttare giù.

    «Ce ne vuole per far sanguinare un angelo» affermò Shadwell, come se gli avesse letto nel pensiero. «Molti dei demoni con cui ho dovuto lavorare bramavano di ferire a sangue uno dei vostri» spiegò, facendo un cenno ad Aziraphale.

    Questi non disse nulla a riguardo, ma era chiaro che si stesse figurando il concetto. Invece ricacciò indietro il magone che aveva reso i suoi occhi di nuovo lucidi - pratica in cui era bravissimo, si disse Crowley - e affermò: «Ora però dobbiamo capire cosa significa.»

    «Tutto come niente» disse Anathema prendendo appunti. «Magari verranno feriti più angeli che demoni, magari è semplicemente un modo per dire che molti si faranno male intanto che voi vi occupate del ragazzino, non ne ho sinceramente idea.»

    «In ogni caso» rimbeccò Shadwell, rigirando la conversazione, «a me innervosisce il fatto che non ci sia scritto come dovreste far fronte a tutto questo.»

E se per un veterano la strategia di guerra era importante, per Crowley in quel momento era un enorme pezzo mancante che rendeva quell'impresa sull'orlo dell'impossibile. Va bene lo scontro, va bene Raphael - cazzi suoi, sinceramente - va bene Adam - il cane un po' meno - va bene persino il sangue, ma in che modo potevano gestire il tutto loro due soli?

    Fu Aziraphale a rispondere. «Non ne ho idea» ammise, «ma di certo non ho intenzione di alzare un dito su quel ragazzino.»

    Anathema lo guardò con tutta la comprensione di cui era capace: «Sì, lo so. Riguarda quello che mi hai detto, immagino.»

    Crowley prese quasi d'istinto la manica della sua controparte - cosa che si stava rivelando incredibilmente utile e sicuramente non dolorosa - e lo fissò serio. «Sei sicuro che fosse pentito al cento per cento?»

    «Si è messo a piangere, Crowley. E poi è scappato» ribatté l'angelo, un po' contrariato.

    «Credimi, bestia. Se lo dice una creatura celeste, allora è vero» affermò Shadwell. «Questo però non cambia un accidente. Se volete la mia: abbiamo già capito cosa significano queste metafore da quattro soldi, ora si passa all'azione.»

    Anathema non dovette nemmeno farselo ripetere. «Va bene, prendo la cartina e pensiamo ad un modo per risolvere la questione e fare tutti contenti.»

Sarebbe stata un'altra lunga giornata, si disse il demone. Una di quelle che, una volta finito tutto, avrebbe cercato di dimenticare il prima possibile.


~•°•~


Adam sapeva di poter fare quello che voleva, ma la cosa non lo rendeva certo più tranquillo. 

Le sentiva ogni tanto: le voci che gli sussurravano di buttare giù ogni angolo di Terra perché fosse sua e potesse rifarla a suo piacimento. Ma non era del tutto vero, e lui lo aveva già capito: aveva capito che quello era solo un istinto, una specie di caratteristica naturale contro la quale poteva solo imparare a combattere. Nulla sarebbe stato veramente suo, ma di suo Padre. 


Quella mattina aveva lasciato la sala del trono in groppa a Dog - lo aveva chiamato così perché sapeva di semplice, dolce e mansueto; tre caratteristiche che avrebbe voluto insegnare alla bestia nera ora sua. Aveva fatto un giro attorno alla fortezza, osservando i demoni parlottare e prepararsi, felici come se avessero già vinto. Addirittura si allontanavano e si inchinavano quando lo vedevano, come fosse già il principe di tutto, e la cosa gli sembrava parecchio buffa; insomma: erano bestie la cui vera forma superava i limiti del grottesco e si riducevano ad animaletti curiosi ed educati di fronte al padrone.

Aveva poi superato il muro con la scusa di voler andare a giocare, scusa che suo Padre aveva accettato con un sorriso e un buffetto che sapevano solo di: "Tanto sei mio e posso richiamarti a casa quando voglio". Il solo pensiero spronò Adam a far correre Dog il più velocemente possibile verso il Confine, laddove adesso le truppe umane si stavano diradando e lasciando spazio alla Guerra con la "g" maiuscola.

Nel frattempo, la storia di come un angelo fosse riuscito ad entrare nella fortezza di Satana si era espansa in lungo e in largo, veloce come solo una voce tra bocce incorporee può essere. Adam si chiese cos'avrebbe fatto o detto il Paradiso a riguardo, ma forse non importava. Doveva raggiungere quella stessa creatura e doveva farlo in fretta.

Sia lui che Dog sapevano dove andare ed entrambi avevano la capacità di farlo così velocemente da non perdere tempo prezioso. Difatti, raggiunsero la grande area di nessuno in mezzo alla Terra in un batter d'occhio e da lì virarono verso il fitto dei boschi, lontani dai rimasugli delle prime briciole di conflitto. 

Fu lì che vennero bloccati.


In mezzo ad una radura se ne stava un angelo che Adam non riconobbe, alto, dagli occhi dello stesso colore del sangue e un bel paio di ali dorate. Frenò Dog e si mise a guardarlo: la sua aurea era dolce, delicata, cremisi e oro. Non sembrava tranquilla, però: vibrava di tradimento, tristezza e rabbia; si allungava verso l'alto alla ricerca di un aiuto che sembrava non arrivare mai e piangeva in silenzio.

    «Allora sei tu la chiave di tutto» gli disse l'angelo, stringendo tra le mani una spada dalla sottile lama lucida. Sembrava serio, determinato, per nulla intimorito. Non pareva avere buone intenzioni.

    «Non ho intenzione di combattere» affermò Adam, cercando di tenere a freno i ringhi di Dog.

    L'altro alzò la lama: «Meglio per me, allora. La cosa sarà più semplice.»

Erano ad un punto di stallo. Adam era certo di non voler fare nulla di avventanto, per quanto la sua natura oscura stesse già scalpitando impazzita, vogliosa di sbranare quelle belle piume ordinate.

    «Ascolta» disse allora, «la Guerra non inizia se non sono io a dare l'ordine. Ma se mio Padre scopre che non voglio farlo, me la farà iniziare lui e sarà molto peggio.»

L'angelo parve vacillare appena. C'era qualcosa dentro di lui che sapeva di star facendo la cosa sbagliata, ma era una sensazione troppo soffocata per riuscire a smuovere qualsivoglia buona intenzione.

    Difatti, questi strinse di più l'elsa della sua spada, rivolgendo ad Adam un sguardo carico di rabbia: «Mai mi fiderò del figlio del male, ragazzino. Sono stati quelli come te ad allontanarci da Lei, e non permetterò che accada di nuovo.»

Lei, pensò Adam. Dio? Era Dio che l'aura dell'angelo davanti a lui stava cercando di raggiungere? Non ce l'avrebbe fatta mai, non così, e lo capiva persino lui: un essere nato dal fuoco dell'Inferno.

Ma non c'era più spazio per il dialogo.

Finita la frase, l'angelo si gettò in avanti e Dog - causa istinto di protezione - contrattaccò. Adam poté solo vedere i denti del suo cane affondare nelle morbide e candide carni della creatura divina, dopodiché dovette chiudere gli occhi ed iniziare a combattere contro le voci che gli dicevano di attaccare a sua volta, intanto che veniva sballottato su e giù dall'impeto del duello.

Non poteva andare avanti così: bastava un non nulla e già sentiva il suo ipotetico sangue bollire. La prima volta era bastato toccare la testa di Dog e scoprire che gli era stato affidato un ordine, adesso il minimo accenno di conflitto aveva fatto partire una cacofonia di: toccalo, ti basta toccarlo! Bruciargli l'essenza sarà una passeggiata. E un sacco di altre frasi che si accavallavano, si calpestavano e mescolavano.

Ma lui non voleva. Non voleva.


Sentì Dog guaire e riaprì gli occhi. Il segugio aveva un taglio bordeaux e sfrigolante che gli segnava il muso di sbieco; girandosi poi verso il loro angelico aggressore, Adam notò che la ferita del morso aveva preso a fargli fumare il braccio. Nonostante ciò, l'angelo si eresse di nuovo, spada sguainata, pronto ad attaccare una seconda volta.

La lama divina aveva bruciato il suo cane, il morso del suo cane demoniaco aveva corroso l'angelo. Andando avanti così, si sarebbero eliminati a vicenda.

Si sarebbero eliminati a vicenda.

Adam sbarrò gli occhi. Ma certo: si sarebbero consumati perché quella era la loro natura. Ecco perché Paradiso e Inferno non si scontravano mai, perché non avrebbe portato a niente se non alla distruzione di entrambi. Com'è che non lo capivano? Cosa credevano sarebbe cambiato, stavolta? Davvero l'Inferno credeva che lui solo avrebbe potuto stravolgere tutto ciò? Ciò che i suoi stessi abitanti avevano causato, odiando tanto coloro che un tempo avevano considerato amici? E davvero il Paradiso pensava di poter rispondere al fuoco con il fuoco?

No, no, no. Qualcuno doveva metter loro un po' di senno in capo, e lui sapeva chi avrebbe potuto farlo.


Vide l'angelo iniziare a correre nuovamente verso di loro, una spinta delle ali a calibrare il tutto. Fu allora che Adam decise di sfruttare almeno un po' la natura oscura che tanto bramava di uscire allo scoperto.

    Prese un bel respiro e, con tutta la determinazione che riuscì a raccogliere, gridò: «Adesso basta!»

Il tono vibrante, cavernoso, quasi gorgogliante che venne fuori fu abbastanza da atterrare l'angelo, il quale si mise le mani contro le orecchie in un moto di dolore. Persino la sua aurea aveva iniziato a rimescolarsi, cercando di proteggersi dall'effetto di quell'urlo disumano.

Il cielo si rabbuiò, come smosso anch'esso dall'impeto di Adam, e qualche goccia di pioggia iniziò a cadere.

    «Scusami, ma lo faccio anche per te» sussurrò il ragazzino all'angelo in agonia e, con un colpetto rassicurante, spronò Dog a rimettersi in marcia. «Andiamo, bello. Troviamo qualcuno che ti sistemi quel brutto graffio.»

Fu così che l'Arma se ne andò via al galoppo, lasciando l'Amore indietro. In cuor suo, però, sapeva che si sarebbero rivisti.

Era solo questione di tempo.

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Capitolo 14
*** Una nuova prospettiva ***


Quel posto era diverso: odorava di buono, l'aria era più leggera e l'atmosfera generale lo rendeva un universo a parte in cui, in circostanze differenti, Adam avrebbe volentieri voluto vivere. Non era possibile però, e lo sapeva fin troppo bene.

Nonostante lui e Dog si stessero allontanando sempre di più dall'Inferno, l'Arma poteva sentire il filo invisibile che lo legava indissolubilmente a suo Padre che lo strattonava sempre più spesso, intento a farlo tornare sui suoi passi. Non importava in quale angolo di Confine provasse a rifugiarsi, qualcuno lo avrebbe trovato sempre. Perciò aveva le ore contate: presto sarebbe stato richiamato a far iniziare la Guerra e tutto sarebbe andato a rotoli. Così spronò Dog e si avvicinò sempre di più al villaggio che si stagliava all'orizzonte, quello che la prima volta aveva involontariamente mandato nel panico.

Sapeva chi cercare e sperava che la piccola idea che si era formata nella sua testa durante la cavalcata funzionasse. In mezzo alle tante auree che popolavano quel piccolo luogo lontano da tutto il bene e tutto il male, individuò quelle che gli interessavano. Erano tre, frizzanti e guizzanti, sole in uno spiazzo tra gli alberi non troppo lontano.

Smontò e guardò il muso ferito del suo destriero con una leggera punta di sgomento. Per quanto fosse un taglio da niente, si faceva ogni secondo sempre più evidente e largo, colorandosi di un rosso scuro che quasi brillava alla luce del sole.

    «Se vogliamo avvicinarci, dovremo cercare di non spaventarli stavolta» gli disse, accarezzandogli delicatamente il fianco ancora ansimante per via della corsa. «Poi torneremo dall'angelo.»

Osservò i tre della Zona giocare spensierati, come se attorno a loro il mondo non fosse in procinto di crollare. Erano cresciuti stando la maggior parte del loro tempo lì, in quell'angolo remoto di Confine, e si vedeva dal loro animo così variopinto ed equilibrato, né troppo bianco né troppo nero. Erano perfetti per ciò a cui Adam stava aspirando, così decise che avrebbe dato inizio alla prima fase del suo operato.

Con delicatezza, raccolse da terra un bastardino bianco e marrone che - senza contare gli occhietti dalle sfumature cremisi - sarebbe potuto sembrare un normalissimo cucciolotto. Per quanto già volesse bene al suo ormai inseparabile compagno di viaggio e avventure, si disse che così era molto meglio e decisamente molto meno spaventoso.

Dog, ancora un po' spaesato da quel cambio repentino, si accoccolò scodinzolante tra le braccia del suo padrone e si mise a guardare il mondo da quella nuova prospettiva. Non sapeva cosa l'Arma avesse in mente; sapeva solo che l'avrebbe seguita in lungo e in largo e che avrebbe fatto tutto ciò che gli veniva chiesto.


~•°•~


Sul lato destro della carta c'era il Confine: uno spazio grigiastro che persino in scala sembrava grande.

Crowley se lo ricordava bene: i primi scontri erano avvenuti per cercare di decidere chi se lo sarebbe accaparrato, ma sembrava esserci una sorta di maledizione su quell'area. Alla fine si erano tutti arresi e lo avevano convertito in campo di battaglia.

Incredibile che nessuno avesse mai pensato che qualcuno avrebbe potuto approfittare di quella zona franca per fuggire al pugno di ferro dei due Regni. Ora come ora, la Zona Mediatrice sembrava ovvia e normale: una giusta ed inevitabile conseguenza. Ciò faceva scaturire tante domande nella testa del demone, ma decise di non stare a pensarci più di tanto o sarebbe impazzito - anche perché adesso avevano altri problemi.

A detta del fidanzatino di Anathema, l'Inferno aveva fatto finire la guerriglia. Ora che Adam era a casa, sarebbe bastata una parola del Re e la Guerra sarebbe iniziata. Ciò che era peggio, però, era che loro ancora non sapevano che cosa fare.


Erano di nuovo tutti riuniti in cucina: Newton appena tornato, Anathema accanto a lui che non sapeva cosa dire - esattamente come Shadwell che almeno aveva smesso di brontolare possibili piani tra sé e sé e si era messo a fissare la carta come se si aspettasse una risposta da quella versione in scala dell'Inferno. Era tornata persino Tracy dopo aver lasciato i ragazzini sulla strada verso il centro della Zona, ma anche lei si era limitata a sedersi accanto al compagno senza dire una parola.

Presto, nelle orecchie del demone, quel silenzio si trasformò in un ronzio fastidioso e insopportabile. Provò a guardare Aziraphale ma si vedeva che l'angelo era ancora troppo occupato a pensare a tutto ciò che non voleva fare per ricambiare il gesto. Ovviamente non voleva combattere, ovviamente non voleva vedere Raphael mentre si fregava da solo, ovviamente non potevano certo buttarsi in mezzo alle Armate e fermare il tutto grazie al potere della non proprio inimicizia.

Con un sospiro, Crowley scivolò così tanto lungo la sedia da finire quasi sotto al tavolo. Gli sarebbe piaciuto strisciare là sotto e sparire per un po' a quell'aria di dubbio e incertezza. Quasi pregò che la loro, chiamiamola, riunione venisse interrotta come sempre era accaduto finora.

Se davvero Dio già sapeva tutto, allora quello era il momento buono di mandare un'altra comoda sfiga.


Era già con la nuca contro lo schienale quando percepì qualcosa di strano, e per poco non gli venne un ipotetico infarto. Avrebbe riconosciuto l'aura di quel mastino dovunque: era come un piccolo buco nero sbavante che- Aspetta, si disse, piccolo?

Al rumore della cigolante porta d'ingresso che si apriva, seguì quello di quattro zampette affrettate che percorrevano traballando il piccolo corridoio. Sull'uscio apparve una bestiola che da sola fece balzare Crowley, portandolo ad aggrapparsi alla sedia come se qualcuno fosse pronto a sfilargliela da dietro.

Il cagnetto iniziò a correre per tutta la stanza, la lingua di fuori e la coda che scodinzolava così veloce da essere a malapena visibile: era come se volesse salutare tutti ma non sapesse da dove iniziare. Alla fine, dopo aver girato attorno al tavolo a velocità razzo e aver fatto alzare praticamente tutti gli umani, si appostò proprio tra Aziraphale e Crowley, affannato ma felice.

Per quanto innocuo potesse sembrare, il rosso poteva vedere quell'unica pecca negli occhi del cucciolotto: una punta di cremisi che tanto bene si mescolava nel nero di un bastardino innocente.

    «È ferito» notò Aziraphale, accennando ad un taglio oblungo che si estendeva sul musetto del nuovo arrivato. Quest ultimo doveva esserne consapevole, dato che continuava a passarsi una zampa davanti al naso.

    Quando l'angelo fece per allungare una mano verso la bestiola, Crowley saltó in piedi a sua volta: «Fermo. Non toccarlo» ordinò, tenendo sempre d'occhio quella creatura infernale sotto mentite spoglie.

    Qualsivoglia rimbecco fu spazzato via da una voce proveniente dalla porta della cucina. «Faresti meglio a dar retta al tuo amico. Non vorrai farti male di nuovo, no?»

Un sussulto generale piombò sul ragazzino e Crowley sentì tutta la sua aurea raggelarsi. Adam sembrava placido e tranquillo come la prima volta che lo aveva visto e pareva la perfetta incarnazione dell'innocenza: un guscetto dai capelli dorati contenente un potere arcano e decisamente troppo grande per quella figurina.

    «Devo parlarvi» affermò l'Arma, fissando le altre due creature della stanza oltre a lui (cane escluso).

Tutti gli sguardi, per primo quello di Crowley, caddero su Aziraphale - troppo impegnato a studiare Adam con accortezza per accorgersene. Se c'era qualcuno capace veramente di captare la verità, quello era lui.

Difatti, al primo accenno dell'angelo, il colloquio cominciò.


Dog - sì, il figlio di Satana aveva dato un nome al suo coccoloso mastino infernale - venne affidato alle sapienti mani di Anathema, intanto che l'Arma andava a sedersi a capotavola laddove poteva osservare tutto il suo ristretto pubblico. Crowley notò il suo sguardo pulito fissarsi prima sulla giovane con il cagnetto - come ad assicurarsi che la sua ora piccola bestiola fosse effettivamente al sicuro. Poi scivolò su Newton, si fissò un attimo in più su Shadwell - ovviamente duro come un muro e con le sopracciglia aggrottate in ben poco convincimento - e infine Tracy, la quale rivolse al ragazzino un sorriso leggero che venne prontamente ricambiato. Poi, quando quegli stessi occhietti da bambino si posarono su lui e Aziraphale, Crowley sentì come se tutto il mondo si fosse fermato per concentrarsi esclusivamente su di loro. Era chiaro che Adam avesse intenzione di chiarire i punti con loro due e loro due soltanto: gli umani presenti erano ora ridotti a meri spettatori.

    «Non ho molto tempo» affermò l'Arma. «Mio Padre potrebbe richiamarmi da un momento all'altro e potrebbe finire come l'ultima volta, se non peggio.»

    «Esattamente, chi ci garantisce che non passerai da docile creaturina ad Anticristo proprio mentre parliamo?» Chiese subito il rosso, pronto a balzare in piedi e trascinare lui e l'angelo fuori da lì - sì, la sua mente lo aveva automaticamente aggiunto al piano di fuga, ma al momento non se ne rese nemmeno conto.

    Adam fece spallucce: «Nessuno. Per questo è meglio se ci sbrighiamo a mettere le cose in chiaro.»

Su quel punto non ci fu più nulla da ridire, ma Crowley non accennò ad abbassare la guardia. Se c'è una cosa che i serpenti sono davvero bravi a fare è fuggire veloci via dal pericolo, e il rosso era ben intenzionato a non voler mollare quell'istinto di fronte ad Adam. Aziraphale poteva pensare quello che voleva, ma il ragazzino era in tutto e per tutto un candelotto di dinamite che attendeva solo la scintilla che lo avrebbe fatto esplodere - e la scintilla in questione, in questo caso, era il Re dell'Inferno.

    «Abbiamo incontrato un angelo mentre venivamo qui» continuò l'Arma, indicando il cagnetto con un dito. «Sembrava arrabbiato e amareggiato. È stato lui a ferire Dog.»

Quasi nello stesso momento, Crowley si passò esasperato una mano sulla faccia e Aziraphale si irrigidì - nonostante fosse sempre rimasto abbastanza calmo alla presenza del ragazzino, o almeno: non aveva preso a stropicciarsi le mani, il che era un buon segno.

    «Fammi indovinare» azzardò il demone «alto, ali dorate e finto fare da tipo calmo e affabile?»

    Adam annuì e Aziraphale sospirò. «Raphael. Che sta cercando di fare?»

    Per quanto ormai sapessero che l'arcangelo era destinato a fare la fine peggiore che una creatura di Dio potesse fare, Crowley iniziava a pensare che non fosse abbastanza. «Cos'è? Vuole fermare la Guerra da solo? Pensava di eliminare l'Arma semplicemente sbarrandogli la strada?» Chiese, nervoso e incredulo. Poi si rivolse all'angelo: «Sei sicuro che sia effettivamente così intelligente come credi?»

L'altro lo fissò duramente, tanto che i suoi occhietti azzurri parvero rabbuiarsi per un attimo.

    Ma tra loro c'era Adam adesso. «Lo è» disse, «ed è anche molto furbo» affermò, portando Aziraphale ad annuire soddisfatto e Crowley a ringhiare appena. «Su di me ha perfettamente ragione: io sono l'unica cosa che rende l'Inferno più forte del Paradiso in questo momento. Perciò ha chiaramente cercato di eliminarmi prima della Guerra e mentre ero lontano dal quartier generale.»

    Crowley - che di dibattiti ci viveva - avrebbe voluto replicare, ma Aziraphale lo fermò. «Quindi è davvero così? Dovremo ucciderti per far finire tutto questo?» Chiese, ovviamente sperando di essere smentito.

    Adam sbattè gli occhi una sola volta, ma il suo sguardo imperturbabile e innocente non vacillò un attimo. «Farlo porterebbe semplicemente l'Inferno allo stesso livello del Paradiso» affermò. «Mentre Raphael e Dog combattevano, ho notato una cosa. Più andavano avanti, più i colpi dell'angelo facevano male al mio cane e più i morsi del mio cane destabilizzavano l'angelo... Pensateci: da quant'è che angeli e demoni non hanno scontri diretti?»

    Crowley sbuffò: «Storia vecchia, ragazzino. Ma per rispondere alla tua domanda, beh...»

In effetti di tempo ne era passato. Dopo la Caduta, Crowley aveva visto angeli e demoni cercare di invadere il Confine, ma non erano che brevi liti che si erano spente appena gli umani avevano iniziato a dividersi a loro volta e servire o l'una o l'altra parte. Le Armate del Bene e del Male erano diventate più un'istituzione che altro ed erano stati gli eserciti mortali a fare tutto il lavoro.

    «Eoni» rispose Aziraphale infine. «Ma erano più veloci scontri che non portavano mai a niente se non ali rotte, angeli in gabbia e demoni arsi dalla luce divina. Alla fine, finivano solo tutti per-»

Quando si bloccò, Crowley vide due cose che fecero finalmente rialzare un po' di sano ottimismo. La prima furono quelle ormai familiari pozze celesti farsi più evidenti; la seconda fu la bella luce dalla quale fu costretto ad allontanarsi - perché la cosa dei demoni arsi dallo splendore divino era ancora valida e molto molto vera. Adam, per quanto gli riguardava, non disse nulla e aspettò che l'angelo completasse la frase da sé.

    «Finivano solo tutti per distruggersi l'un l'altro» completò infatti quest'ultimo, quasi sussurrando.

    Alla fine, l'Arma annuì: «Come Raphael e Dog.»

A Crowley gli ci volle qualche secondo in più per capire. Poi si rese conto di quanto tutto ciò fosse effettivamente, beh, vero. Era una cosa così ovvia e scontata da essersi fossilizzata nelle menti di tutti, cementata come il colore del cielo, lo scorrere dei giorni e altre cose naturali come l'acqua che spegne il fuoco o il fuoco che brucia l'erba.

    «Aspetta. Nessuno può vincere?» Chiese poi, dando forma a quel pensiero che suonava tanto assurdo quanto un'ovvia conseguenza. «Niente bene che trionfa sul male o male che sconfigge il bene?»

    Adam scosse la testa: «I vostri regni sono come due piatti della bilancia» spiegò. «Sono perfettamente allineati dal giorno in cui sono nati per dividere in due il mondo. Poi però sono arrivato io e ora rischiamo seriamente che il mondo cada nelle mani del male.»

Angelo e demone, come ormai erano abituati a fare, si guardarono. Il loro pensiero comune, e Crowley ci avrebbe scommesso, era: O forse no.

Misero la profezia nelle mani di Adam e tutti, soprattutto Anathema - la quale aveva ormai sistemato l'ora non troppo brutto taglio sul muso di Dog - iniziarono a fissarlo, aspettandosi qualche altro tipo di rivelazione.

Dopo un minuto scarso, il ragazzino la poggiò sul tavolo. Quando rialzò lo sguardo, nei suoi occhi si era acceso qualcosa - o almeno, così sembrò a Crowley, il quale non si era ancora deciso a rilassarsi e a distogliere l'attenzione da quella piccola catastrofe ambulante.

    «Allora è semplice» disse l'Arma senza aver bisogno di spiegazioni aggiuntive. «Dovete semplicemente andare al Confine ed eliminarmi. Possiamo lavorare su questo. Dovrebbe essere semplice per due che sono andati e tornati dalla fortezza di mio Padre.»

Il modo maturo in cui parlava e la scaltrezza con la quale aveva già afferrato il tutto fece percorrere numerosi tremiti lungo l'aura del rosso. Diede un'occhiata all'angelo e non si stupì molto nel vedere che aveva incrociato le braccia e stava già controbattendo.

    «Nessuno eliminerà nessuno» disse infatti. «Nella profezia c'è scritto "spegnere" non "uccidere". Può semplicemente significare che dovremo farti tornare, beh, come adesso. Strapparti al volere di tuo Padre come stai facendo tu adesso» concluse poi con un leggero sorriso.

Almeno sembrava aver ritrovato un po' della determinazione che lo aveva spinto ad arrivare fino a lì... O comunque, sembrava aver ritrovato qualsiasi cosa lo avesse spinto ad arrivare fino a lì in primis. Per questo Crowley non se la sentì di infierire chiedendo come avrebbero dovuto fermare Adam quando avrebbe deciso di entrare in modalità "distruttore di mondi".

Qualcosa però gli diceva che avrebbero trovato una soluzione, stavolta.

E infatti così fu.


~•°•~


Adam non era solo intelligente ma anche molto molto furbo e cauto. Perciò sapeva di aver bisogno di un piano d'emergenza nel caso ciò che lui, l'angelo e il demone avevano deciso non fosse andato come sperava.

Certo, la profezia era qualcosa che non si sarebbe aspettato, ma alla fine era molto vaga e dava ancora tanto spazio all'immaginazione. Pensò che esistesse solo per fare da guida a tutti coloro che erano coinvolti, ed era certo di essere vicino alla verità con quel pensiero.

Non conosceva Dio per ovvie ragioni, ma gli sembrava proprio il tipo da certi ragionamenti.


Una volta uscito dal cottage, invece di tornare direttamente a casa con Dog come aveva detto, si infilò in mezzo ad un non troppo lontano gruppo di alberi. Lì, come deciso quella mattina prima del colloquio che aveva appena avuto, trovò i tre della Zona.

    Ad avvicinarsi, braccia incrociate e spalle dritte, fu Pepper. «Allora?» Chiese solo.

Dietro di lei c'erano un incuriosito Brian e un decisamente poco convinto Wensley, il quale continuava a dare occhiate furtive a Dog - probabilmente per scappare nel caso si fosse trasformato di nuovo nella bestia che era.

    «Ci incontreremo tra tre giorni al Confine» spiegò Adam. «Non c'è nessun cambiamento: potrete fare la vostra parte come concordato.»

    Pepper annuì decisa e rivolse lo stesso gesto agli altri due, i quali ricambiarono - più o meno con la stessa convinzione. «Lo ammetto, biondino: non pensavo mi avresti convinta ad aiutarti.»

    L'Arma sorrise appena: «Non lo pensavo nemmeno io. Perciò grazie». Rivolse anche uno sguardo a Dog, il quale abbaiò e scodinzolò in segno sia di gioia che di gratitudine.


La Guerra era alle porte e, oltre all'angelo e al demone, c'era un altro gruppetto pronto ad entrare in azione con il suo piccolo piano segreto.

Un piano che vedeva come protagonisti tre umani e un grosso cane.


     «L'hai visto anche tu?» Chiese poi Adam a Dog intanto che cavalcavano verso il lato oscuro della Terra. Sapeva che il suo cane ora a grandezza naturale non gli avrebbe risposto se non con un leggero gorgoglio, così continuò: «C'è qualcosa tra loro. Le loro auree non fanno che cercarsi.»

Era inusuale e bellissimo osservare quelle anime così diverse diminuire le distanze tra loro lentamente ma inesorabilmente. Una era un groviglio nero e rosso, leggermente puntellata di quelle che a occhio e croce gli erano sembrate pallide stelle; mentre l'altra era un sole splendente dai confini multicolori: un'alba mista tramonto, calda e accogliente. Erano così vicine, ad un non nulla dallo sfiorarsi ma impossibilitate a farlo.

Ora che lo aveva visto con i suoi occhi ne era certo: loro erano la chiave di tutta quella storia. 

Era così che voleva vedere il mondo.


~•°•~


Poggiò la pila di libri sulla piccola scrivania nella stanza al piano di sopra e accese un lume, sospirando. Per quanto fosse felice di aver trovato una valida distrazione - frugando come un procione tra tutti gli scaffali del cottage - Aziraphale sapeva benissimo che la conversazione di quella tarda mattinata avrebbe continuato a ronzargli in testa per tutto il tempo.

Andò a sedersi e volse una veloce occhiata a Crowley, prendendo il primo volume tra le mani. Il demone se ne stava buttato su uno dei letti, le braccia aperte e una miriade di ciocche sulla faccia. A giudicare dal suo sguardo, era ovvio che non si sarebbe tenuto occupato facilmente quanto la sua controparte.

    «Sai già come passerai la notte?» Gli chiese, aprendo la prima pagina.

    «Nell'ansia» rispose l'altro. Poi un fruscio suggerì all'angelo che aveva cambiato posizione: «Cos'è tutta quella roba?»

    «Libri sulle stelle» rispose Aziraphale, alzando gli occhi alla parola "roba". Quella era conoscenza, altro che.

Il silenzio di tomba che seguì gli permise di finire qualche paragrafo, situazione che lo fece sentire a suo agio finché non si rese conto di quanto fosse strano. Ovviamente aveva scelto le stelle apposta perché Crowley gli aveva raccontato di averne creata qualcuna eoni addietro - non pensava di doverlo spiegare, insomma. Per evitare di toccare di nuovo l'argomento Caduta, l'angelo aveva deciso di informarsi da sé e colmare i buchi della sua curiosità senza mettere l'altro a disagio; ma si sarebbe aspettato almeno una reazione, un commento, un'alzata di sopracciglio...

Così staccò gli occhi dalla pagina solo per ritrovarli d'innanzi a quelli stralunati del demone - così strabuzzati da spiccare come pepite d'oro in mezzo alla pietra lavica che era la penombra della stanza. Il rosso lo stava fissando con una sorpresa ed un'incredulità esagerate, tanto che iniziò a pensare di aver sbagliato a rivelargli l'argomento dei suoi "studi notturni".

    «Cosa c'è?» Chiese solo, non sapendo bene come gestire la situazione. Si ritrovò ad annodare l'indice attorno alla stoffa rossa del segnalibro, improvvisamente preoccupato di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Ma Crowley non rispose, anzi: si alzò dal letto con un unico, fluido movimento e andò a spalancare la finestra già aperta. Aziraphale lo fissò mentre saliva sul davanzale e - con un po' di fatica e una spinta delle ali corvine - si issava sul tetto, sparendo dalla sua vista.

Sbatté gli occhi, confuso. Lo aveva fatto arrabbiare? Era stato troppo invadente a volerne sapere di più su ciò che aveva contraddistinto l'ormai lontana vita passata del suo collega? Forse avrebbe dovuto essere più delicato, più rispettoso e-

    I suoi pensieri vennero interrotti dalla cascata di capelli rossastri che fece capolino dalla parte superiore della finestra, subito seguita da due seri occhietti da serpente. «Vieni» gli intimò Crowley, tornando da dov'era venuto.

Aziraphale non sapeva se sentirsi sollevato o ancor più confuso da quell'invito. Decise di scoprirlo andando ad issarsi a sua volta sul tetto del cottage, litigando un po' con la gravità, le sue stesse ali e le tegole. 

    Appena arrivato, andò a sedersi accanto all'altro e seguì il suo sguardo già rivolto verso il cielo. «Pensavo che non ti avrebbe fatto piacere parlarne» si giustificò, osservando curiosamente alcuni puntini più luminosi degli altri. C'era qualche nuvoletta scura e sparsa che copriva minuscoli pezzetti di volta celeste, ma erano l'unico piccolo difetto in quell'atmosfera di silenzio, calma e pace generali. Se non fosse stato per l'imminente marasma attorno a loro, sarebbe potuta essere una serata perfetta.

    «Non è che non mi fa piacere» rispose Crowley facendo pesare un po' la prima "n", come se non fosse del tutto certo di ciò che stava per dire. Non approfondì il discorso e si mise semplicemente ad indicare un punto imprecisato davanti a sé: «Vedi quella cosa che sembra un carretto?»

Per quanto davanti a sé non ci fosse che un ammasso apparentemente casuale di stelle sparse nel blu, Aziraphale annuì. Era come avere davanti un mappa precisa e catalogata di quella fetta di notte, ma non avrebbe saputo dire se era una sua impressione o un trucchetto ben congeniato di Crowley.

    «È l'Aratro*. Si vede subito: per questo agli umani piace tanto» spiegò quest'ultimo. «Ci sono punti del mondo in cui non tramonta mai.»

Da lì, l'angelo scopri - anzi, riscoprì - che gli umani avevano davvero una fervida immaginazione. C'erano costellazioni in cui avevano visto cani, corone, altri umani e persino un serpente - e il demone parve davvero fiero di quest'ultima, cosa che suggeriva un suo intervento a riguardo. Rimase persino sorpreso nello scoprire che molti dei puntini che vedeva altro non erano che stelle ormai morte da tempo, la cui luce continuava a viaggiare per le profondità del cosmo fino alla Terra. Più cose la sua controparte gli spiegava su come avesse dipinto spazi bluastri di infinito, o su come avesse predisposto nebulose e galassie, più sentiva un senso di meraviglia crescente che andava a scaldargli l'aura in un modo in cui la luce del Paradiso non aveva mai fatto.

    «Quando abbiamo creato i corpi celesti, non abbiamo mai pensato di dar loro dei nomi» disse Crowley dopo un po', poggiandosi la testa su una mano. «Tutto merito dei mortali e delle loro testoline creative. Hanno dato nomi a tutte le stelle, costellazioni e galassie che hanno scoperto - non sono nemmeno a metà, comunque. Se gli dicessi quanti altri astri non conoscono, smetterebbero di studiarli.»

    Osservando gli ora più familiari gruppetti luminosi, Aziraphale chiese: «E tu li ricordi tutti?»

    «Nah, solo quelli che mi piacciono di più - oltre quelli che ho fatto io, ovvio.»

    «E hai, non so, una stella preferita?»

A quella domanda, l'angelo scostò lo sguardo dal cielo per vedere dove si sarebbero posati gli occhi dell'altro. Non si stupì nel vedere che il rosso sapeva già bene dove puntare il dito.

    «Quella lì» disse quest'ultimo, indicando una sferetta candida e particolarmente luminosa che Aziraphale vide subito. «La chiamano Stella Polare o Stella del Nord. Indica sempre la stessa direzione, utile se ti perdi.»

L'angelo non poté fare a meno di chiedersi il motivo di tale preferenza. Forse c'entrava proprio l'idea del perdersi, ma decise di lasciare certi argomenti delicati ad un periodo più tranquillo. Piuttosto, rimase ad ascoltare il demone mentre gli descriveva la sua nebulosa preferita come un tripudio di sfumature arancioni e rossastre che Aziraphale associò subito alle ondulate ciocche del compagno.

    «Mi piacerebbe vederla» commentò. «Sembra alquanto maestosa.»

    L'altro fece spallucce: «Potremmo» disse solo. Poi tacque, sospirò e si rimise a fissare più punti nel cielo, come se stesse valutando qualcosa.

Aziraphale si era già figurato come sarebbe potuto essere Crowley ai tempi prima della Caduta, ma adesso la sua mente si ritrovò a valutare quell'idea. Dimenticò le costellazioni per fissare il demone e immaginarlo un po' più felice, indaffarato a decidere di quali colori tingere una galassia, magari con le stesse caratteristiche fisiche di adesso - solo un po' più addolcite e luminose. Davvero era bastato così poco per distruggere una creatura così bella? Perché era bella, si ripeté, ma stavolta sapeva che non era una facciata: aveva dentro di sé ancora tanta della luce che aveva creato.

C'era decisamente qualcosa che non capiva. Dio non sbagliava mai: aveva un modo di fare e pensare semplicemente troppo alto e grande da comprendere, troppo ineffabile persino per i Suoi stessi angeli. Perciò forse era giusto che Crowley fosse lì, no?

Era così immerso nei suoi pensieri che il ritrovarsi quelle iridi dorate piantate nelle sue lo fece sobbalzare appena.

    «In effetti potremmo andarcene» disse Crowley, evidentemente poco stupito dal fatto che Aziraphale lo stesse fissando già da tre minuti buoni.

    «Cioè?» Balbettò quest'ultimo, giocherellando con il primo bottone a sua disposizione.

    «Pensaci: e se tutto andasse a rotoli e finisse in una palla di fuoco?» Chiese l'altro, stringendo un po' le ginocchia a sé. «Cosa dovremmo fare, allora?»

Aziraphale non rispose, mettendosi a pensare e facendo cadere lo sguardo tra le tegole. Doveva ammetterlo: era una proposta allettante. Non avrebbe dovuto mettersi contro nessuno, non avrebbe dovuto combattere contro nessuno nel caso il loro piano non avesse funzionato, non avrebbe dovuto vedere Raphael cadere in disgrazia ... Ma non poteva. Quella profezia era diventata il suo nuovo compito: lo aveva già deciso da un po'. Inoltre, era certo del fatto che doveva funzionare - un pensiero che tornava ogni qualvolta sentiva il dubbio coglierlo alla sprovvista.

    «Sai, c'è un posto» riprese Crowley, la voce un po' più bassa, «che sarebbe perfetto.»

L'angelo sospirò debolmente, ma lo lasciò continuare. O meglio, l'avrebbe lasciato continuare se solo l'altro avesse deciso di farlo.

    «Lascia stare» disse infatti il rosso. «Dalla tua faccia capisco già che non sei d'accordo.»

Al buio era difficile da dire, ma Aziraphale era sicuro di aver visto una punta di rossore su quelle guance sottili.

    Con una leggera risata, gli venne incontro: «No, capisco. Beh, facciamo così: se davvero vediamo che le cose vanno male, ce ne andiamo.»

    «Non lo pensi davvero.»

    «Perché so che andrà bene.»

    «Bugiardo.»

    Aziraphale alzò gli occhi al cielo: «Voglio credere che sia così se facciamo la nostra parte» affermò sicuro, seppur avrebbe tanto voluto andare da Dio e farLe due domande - ma aveva imparato che "chiedere" e Dio non andavano d'accordo... Ma forse parlare sì.

Crowley alzò un sopracciglio e scosse la testa.

    «Detto ciò, ora dovresti dirmelo» riprese l'angelo. «Dove andiamo, dico. L'ultima volta che mi hai trascinato da qualche parte senza dirmi niente è stato terribile.»

    Il demone si fece scappare una mezza risata, sicuramente aggravata dall'espressione poco divertita del suo compare. Poi, distogliendo di nuovo lo sguardo, disse: «Si chiama Alpha Centauri. Sono una coppia di stelle così simili e vicine fra loro da sembrare un'unica stella.»

     «E come mai vorresti andare proprio li?»

    «Non te lo devo spiegare davvero.»

È vero, non doveva. All'angelo scappò un sorriso quando vide Crowley evitare volutamente il suo sguardo, eppure... È vero, non doveva.

In qualche modo infatti Aziraphale lo aveva capito subito: due stelle, due lati di Terra, due Armate, due eserciti, loro due. Tutto era sempre, perennemente, scisso. Eppure Alpha Centauri da lontano sembrava una cosa sola. Chissà se anche la Terra da lontano sembrava unita, si chiese, e chissà se anche loro adesso avrebbero potuto considerarsi ancora separati e lontani.

Si ritrovò a scuotere la testa. No, non lo erano. O meglio: fisicamente lo erano ancora, ma moralmente no. La distanza tra loro si faceva ogni sguardo più sottile: poteva sentirlo chiaro e tondo. Ed era strano, ma non era una cosa sbagliata.

    «In ogni caso» disse poi, rompendo il silenzio che era calato e dando uno sguardo alle costellazioni che, si disse, voleva imparare a conoscere meglio, «hai fatto un ottimo lavoro. Non avevo mai visto bene il cielo di notte ed è, beh, direi che "bellissimo" non rende molto l'idea.»

Ci stava ancora lavorando sulle parole. Ce n'erano alcune legate a concetti troppo umani per essere comprese da qualcuno che la bellezza vera l'aveva vista in faccia; perciò aveva scoperto di non avere sempre i termini giusti per descrivere cose che andavano oltre le mura dell'Eden.

Però era stato sincero: gli piaceva ogni singolo punto lontano, gli piaceva immaginare come sarebbero state le galassie viste da lontano, gli piaceva cercare di capire come gli umani avessero ritrovato cose a loro familiari in mezzo alla notte. Ma soprattutto gli piaceva stare lì, sotto a quel cielo dove il tempo pareva essersi fermato e dove erano solo lui, l'aria della notte e il suo improbabile compagno d'avventura.

Compagno che, si rese conto, non gli aveva ancora risposto. Era particolarmente silenzioso quella notte: si vedeva che i pensieri se lo stavano mangiando - e come biasimarlo.

Quando tornò a guardarlo, però, lo vide alzarsi così velocemente che per un attimo pensò che sarebbe caduto dal tetto: nient'altro che una macchia nera e rossa che gli sfrecciava davanti.

    «Va bene, buonanotte, divertiti a leggere» salutò Crowley tutto d'un fiato, andando ad eclissarsi nuovamente ad altezza finestra.


Quando Aziraphale tornò dentro a sua volta, confuso e ancora un po' scosso da quella reazione, vide che il demone si era già raggomitolato sul letto - il volto coperto dalle ali corvine.

Con un sospiro, decise di seguire il suo consiglio e tornare a perdersi tra le pagine stampate. Forse avevano ancora bisogno di tempo, si disse. Tempo che però non avevano.

Tre giorni, si ripeté. Tre giorni e l'equilibrio del mondo sarebbe dipeso da loro e da un giovane umano che tanto umano non era. Anzi, si disse l'angelo, magari non lo era nella sostanza ma lo era molto nella morale.

    «Perché fai tutto questo?» Aveva chiesto Crowley una volta finito di appuntare il loro "azzardatissimo ma abbastanza fuori di testa da funzionare" - parole di Anathema - piano.

    E allora Adam aveva messo su uno sguardo che emanava la stessa genuinità che Aziraphale aveva già visto qualche giorno prima. «Non voglio distruggere questo mondo» aveva detto, riprendendosi il suo ora ridotto destriero. «È molto bello ma molto costretto e deve solo migliorare un po'. È proprio questo quello che voglio fare: voglio renderlo migliore.»

E allora Aziraphale si era chiesto come fosse possibile che l'Arma nata dal fuoco stesso dell'Inferno provasse così tanto amore nei confronti di un mondo che conosceva appena. Avrebbe dovuto avere solo l'aspetto di un bambino, e invece era lì che si comportava anche come tale.

Poi si era detto che se l'Anticristo poteva essere tutto il contrario di quel che si pensava, allora forse lui e Crowley non erano il caso più assurdo del mondo, no? In fondo aveva a che fare con un demone capace di ritagliarsi un attimo di tempo per tirarlo su, o un attimo di tempo per descrivergli il cielo... E tutto perché credeva che potesse averne bisogno.

E poi c'era stato il suo atteggiamento durante tutto il colloquio con Adam. Aziraphale lo aveva notato subito nonostante la situazione: aveva visto con la coda nell'occhio quell'aurea scura farsi sempre più tesa e pronta al peggio, ma soprattutto pronta a portarlo al sicuro con sé.

Crowley non se n'era accorto ma era solo colpa dell'arrivo improvviso di Adam - altrimenti avrebbe probabilmente smesso di fare qualsiasi cosa stesse facendo e sarebbe tornato il solito demone di sempre. Quella sera, però, qualcosa era capitombolato e forse il rosso si era accorto di aver esposto troppo un lato di sé che faticava a mostrare.


Con uno sbuffo, Aziraphale voltò pagina.

O forse sei stato tu a farlo andare via di colpo con quel complimento. È un demone, che ti aspettavi che facesse? Disse la parte di lui ancora un po' restia a credere che un rapporto genuino tra loro fosse possibile.

Tu pensi troppo, disse poi la parte di lui che cercava sempre di soffocare la prima.

In ogni caso, passare la notte a rimuginare non avrebbe fatto bene a nessuno. Così l'angelo riprese a perdersi in tutte quelle informazioni che, si rese conto, Crowley sarebbe stato capace di spiegare meglio.

E in modo più piacevole, per giunta.













*Nota: ho scoperto che la costellazione dell'Orsa Maggiore in inglese si chiama Aratro. Non ne avevo sinceramente idea, perciò ho deciso di inserire questo nome invece di quello nostrano per far fede all'area geografica (per quanto irrilevante sia in questo caso😂).

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Capitolo 15
*** Intricate emozioni ***


Crowley non aveva chiuso occhio. Non c'era riuscito.

Ben nascosto sotto le sue ali, aveva sentito la sua aura attorcigliarsi impazzita e aveva drizzato le orecchie per ascoltare ogni singolo fruscio della carta contro sé stessa intanto che l'angelo leggeva.

    Era completamente paralizzato lì, su quel rettangolo di materasso, con tutto l'essere in subbuglio e la testa che continuava a ricordargli le stesse parole: «Hai fatto un ottimo lavoro. Non avevo mai visto bene il cielo di notte ed è, beh, direi che "bellissimo" non rende molto l'idea.»

Quand'era stata l'ultima volta che qualcuno gli aveva fatto un complimento?

Ah, già, si disse poi. È stata Lei il giorno in cui ho finito di riempire il pezzo di universo che mi aveva affidato.

Se la ricordava ancora lì al suo fianco, circondata dalle stesse luci e dagli stessi colori che lui stesso aveva posizionato. Era alta, meravigliosa, mozzafiato: Dio, la vera bellezza, la Madre di tutti. Colei che si era poggiata una mano delicata sul petto e con l'altra gli aveva accarezzato i capelli, guardando il suo operato con orgoglio.

    «È bellissimo, amor mio. Sei stato bravo.»

Quel tono di miele si era fatto appiccicoso dopo la Caduta, trasformandosi in una melma che lo teneva attaccato al terreno. E adesso? Adesso quelle stesse parole erano tornate ma, invece di fargli male, lo avevano accarezzato di nuovo.


La mattina arrivò con una lentezza devastante ma lui decise di muoversi solo una volta sentita la porta della stanza chiudersi. Con cautela uscí dal suo bozzolo di piume e si assicurò di essere di nuovo solo.

Si sentiva come stordito, mise un piede davanti all'altro come se il suo corpo e la sua testa fossero su piani della realtà diversi. Scese le scale ancora mezzo rimbambito e tirò un involontario sospiro di sollievo quando in cucina vide solo Anathema davanti ad una tazza di caffè. Almeno lei sembrava aver dormito, seppur non abbastanza.

    «Sei riuscito a chiudere occhio?» Gli chiese, versando un po' di latte nella brodaglia nerastra e amarognola che tanto le piaceva.

    «S-no, più o meno» fu tutto ciò che Crowley riuscì a rispondere, ancora fermo a pochi metri dall'uscio. A quanto pareva, la sua lingua aveva deciso di andare in vacanza, ottimo. Come se non bastasse, la sua testa si rivelò incapace di fargli capire che non poteva starsene lì impalato a fissare il tavolo.

    A quella reazione, la sua umana aggrottò un po' la fronte: «Ancora scosso dal discorso di ieri?»

    «Discorso?»

    «Con Adam, Crowley. È venuto qui ieri.»

Ah, già: l'Arma e il suo cagnetto della morte. Avevano parlato della Guerra e avevano messo appunto una specie di piano che adesso non riusciva proprio a ricordare. Annuí senza renderse conto, senza nemmeno provare a sistemare i suoi pensieri. L'unica cosa ancora ben chiara nella sua memoria in quel momento era la conversazione sul tetto di quella notte, la chiacchierata con lo sguardo verso le stelle...

Un'ondata di silenzio lo ridestò abbastanza dalla sua trance da fargli incontrare gli scuri occhi indagatori di Anathema che lo fissavano.

    «Cosa?» Chiese riprendendo un po' del tono infastidito che metteva su in certe occasioni. Per qualche strano motivo, però, gli sembrò ben poco convincente.

    «Non ho mai visto la tua aura in questo stato» rispose lei, alzando un sopracciglio. «Sembra che voglia picchiarti. Che ti prende? Hai avuto una specie di incubo?»

    Prima che Crowley potesse ribattere, una voce incuriosita gli arrivò alle spalle: «Incubi? Davvero?»

Il demone sentí un ipotetico colpo di frusta raddrizzargli la schiena e si girò, la gola chiusa e il fiato sospeso. Ovviamente era Aziraphale: se ne stava sotto l'arco della porta con un libricino tra le mani e il capo leggermente inclinato, le pozze celesti perennemente fisse su di lui. Sembrava preoccupato a giudicare dalle ondine che gli solcavano la fronte, forse persino un po' - decisamente tanto - stranito dalla reazione del rosso. Doveva aver passato la nottata della sua vita a leggere e nascondere le sue preoccupazioni nei paragrafi. Sicuramente aveva un aspetto radiante - o almeno così sembrò a Crowley, il quale si rese conto di sembrare uno straccio bagnato in confronto al volto morbido e riposato che aveva davanti.

Avrebbe voluto dire qualcosa, magari sorvolare in modo stizzito sulle immagini terribili che alle volte avevano effettivamente popolato la sua mente durante la notte, ma le parole morirono ancor prima di arrivargli alla bocca. Sentí il bisogno impellente di scostarsi dalle iridi immacolate della sua controparte ma qualcosa - ancora non riusciva a capire cosa - rese il compito un'impresa titanica.

Quando finalmente ci riuscí, mandò una silenziosa ma supplicante richiesta di aiuto ad Anathema, la quale aveva ormai un talento naturale nel tirare il suo demone fuori dai guai.

    La giovane sospirò e si rivolse ad Aziraphale con un sorriso dolce e rassicurante. «Non preoccuparti» disse con un tono che il demone capí essere un tentativo di mascherare qualcos'altro. «Alle volte gli capita. Finisco di fare colazione e-»

Ma Crowley non aveva nessuna intenzione di aspettare oltre. La presenza dell'angelo stava diventando quasi insostenibile, mandando la sua aura in una spirale di confusione non indifferente.

    Con uno scatto, prese poco cerimoniosamente la sua umana per un braccio e ordinò: «Salotto. Adesso. Vieni.»

    Aziraphale si scostò dalla porta con la facciotta contrariata. «Potresti almeno chiederle "per favore"» ammoní, intanto che gli altri due gli passavano davanti.

A rispondergli fu solo Anathema, la quale alzò gli occhi al cielo e scosse la testa in un silenzioso e rassegnato: "Lascia perdere, è un caso perso".


La luce del mattino avvolgeva la stanza in una luce calda ed accogliente, come se nel mondo niente di catastrofico stesse per accadere. A rompere la pace fu proprio Crowley, il quale mollò Anathema, chiuse la porta e vi ci si poggiò sopra come per paura che questa potesse cadere e lasciarlo scoperto.

    L'umana incrociò le braccia e lo fissò seria: «Nessun incubo, vero?»

    «Ma che incubo» protestò il demone lanciando le braccia per aria e andando a tuffarsi sul divano.

    L'altra non si scompose. Andò a sedersi sul bracciolo vicino alla testa di Crowley, accavallando le gambe. «E allora che cos'hai?»

Ovviamente non ci fu bisogno di dire che l'Apocalisse non c'entrava niente: era solo una paura tenuta - per ora - sotto scacco da quel qualcosa che il rosso stava ora cercando di riassumere in parole.

Fallendo.

    «Non lo so» rispose infatti, sospirando e buttandosi un braccio sugli occhi.

    «Sai, una volta un saggio disse: ”Ciò a cui non sai dare un nome non esiste”» affermò l'altra, poggiandosi la testa su una mano.

    Crowley si scoprí un po' il volto e le rivolse una smorfia: «E questa dove l'hai trovata? In un libro di filosofia da quattro soldi?»

    Lei ignorò il sarcasmo. «Che ti ha detto Aziraphale di cosí sconvolgente?»

Che domanda. Fino a quel momento non c'era stata cosa che Aziraphale avesse fatto - o detto - che Crowley non avesse trovato sconvolgente.

    Ritirandosi nuovamente dietro al suo avambraccio - come se ciò bastasse a nascondere le sue emozioni - il rosso brontolò: «Non mi ammazza quando può, mi parla come fossi il suo vicino di casa, mi salva dalle grinfie di Beel...» Elencò, indugiando un po' su cosa aggiungere alla lista. «Mi fa i complimenti» concluse poi, tornando sulle parole che ancora echeggiavano imperterrite nella sua mente.

    Ad Anathema scappò una mezza risata: «Hai appena scoperto cosa fanno gli amici, complimenti.»

    «Geniale» commentò Crowley con un tono aspro rivolto solo ed esclusivamente a sé stesso: un demone incapace di gestire un tipo di relazione genuino. Difatti: «E cosa dovrei fare adesso?» Chiese, conscio del fatto che quel tipo di cose non erano per lui, non più. Non dal giorno in cui aveva tagliato i ponti con il Paradiso.

    «È questo il bello. Non devi fare assolutamente niente» affermò l'umana.

Il rosso le rivolse uno sguardo interrogativo, alzandosi sui gomiti. Non era certo di voler gestire la sua giostra interiore cosí, semplicemente aspettando che passasse.

    Anathema, ovviamente, decifrò quell'espressione al volo. «Intendo dire che ad Azi piaci già cosí, ne abbiamo già parlato. Perciò rilassati e sii te stesso.»

Lo disse con una genuinità disarmante ma al demone parve di ascoltare un'eresia bella e buona. Come poteva una bestiaccia strisciante come lui piacere ad un essere luminoso, educato e piacevolmente fuori di testa come Aziraphale? Già era strano sapere che una mortale lo aveva effettivamente considerato un amico, figurarsi un angelo.

Rimase a bocca semi aperta per un attimo, considerando il baratro che c'era tra il: "non mi stai antipatico" e il: "ti voglio bene".

    «E lui piace a te» lo stuzzicò poi Anathema, strappandolo ai sui ragionamenti. «Quello che provi, serpe maledetta che non sei altro, si chiama affetto

Crowley si costrinse a ricacciare indietro un rimbecco, finendo per produrre una serie di stentate e mezze ingoiate consonanti che fecero ridere la sua umana.

Affetto... si era quasi dimenticato della sua esistenza. Per chi avrebbe dovuto provarlo, in fondo? Non aveva più Dio né qualcuno che potesse fargli riacquisire quel tipo di sentimento. Fino ad allora aveva solo odiato il suo Regno, odiato Beel, odiato Hastur, odiato il suo Signore, odiato gli scontri con il Paradiso... Forse si salvava Anathema, e iniziò a chiedersi perché con lei non si fosse mai sentito cosí scombussolato.

    «È strano che te ne sia reso conto solo adesso, sai, dopo tutto ciò che è successo e ciò che ci siamo detti» riprese quest'ultima. «Mi siete sembrati molto uniti negli ultimi giorni.»

Aveva una strana espressione in viso: un crocevia tra la tenerezza e lo sguardo furbetto.

    Crowley si rabbuiò: «Stai insinuando qualcosa. Si vede lontano un miglio.»

    Lei fece spallucce: «Forse. Fatto sta che dovresti fare pace con te stesso, Crowley. Perché non ti apri un po' e non gli racconti un po' più di te?» Mentre parlava si era messa a fissare le punte dei suoi stivaletti con aria di apparente disinvoltura, sistemandosi le pieghe della gonna. «A meno che tu non l'abbia già fatto» concluse.

    Il rosso balzò a sedere: «Sssai benissimo che l'ho già fatto, non è vero?»

    La maschera dell'umana cadde del tutto e rivolse al suo demone un sorrisetto sincero: «No, volevo giusto la conferma.»

Crowley sentí le guance avvampare e, quasi senza accorgersene, si trasformò e andò a rintanarsi sotto un cuscino - combattendo contro la superficie del divano, la quale non era esattamente adatta allo strisciare di un serpente. Provava un misto di rabbia, imbarazzo e frustrazione che ribolliva sommessamente tra le sue squame, facendolo sentire ridicolo ed impotente.

    Anathema riprese a ridere. Non era una risata di scherno, anzi: era quasi dolce. «Quindi non si tratta tanto di ciò che lui ha detto a te, ma di ciò che tu hai detto a lui» affermò, alzando appena il cuscino.

Il demone sibilò, rendendosi conto di quanto fosse vero. Aveva detto ad Aziraphale della Caduta, delle stelle e, cacchio, gli aveva persino proposto di fuggire insieme.

Come cazzo ti è venuto in mente? Si rimproverò.

Poi si ricordò della risposta di Aziraphale.

    «Beh, facciamo così: se davvero vediamo che le cose vanno male, ce ne andiamo.»

Non aveva detto di no.

Adesso come la sera prima, la prospettiva gli parve allettante.


Lentamente, tornò alla sua forma solita e il cuscino gli cadde dalla testa, finendo tra le braccia di Anathema. Questa lo poggiò per terra e vi ci sedette sopra in attesa che Crowley si aprisse anche con lei.

Con un sospiro, il rosso sentí che - almeno per stavolta - non aveva nessuna intenzione di scappare. Sentí anche che per stavolta non si sarebbe rivolto alla sua umana con scherno, rabbia o sarcasmo, ma sincerità.

Cosí le raccontò tutto. Le raccontò persino di quella sera sotto la pioggia, del modo in cui Aziraphale lo aveva protetto prima dall'acquazzone e poi persino da uno dei suoi superiori appena usciti dall'Inferno. Confessò persino la paura di averlo perso a seguito dell'attacco di Adam e cane da compagnia. Approfondí la loro chiacchierata sulla Caduta, del tentativo di dare un'occhiata all'aura splendente dell'angelo e di come si fosse accorto del conforto di cui aveva bisogno solo osservandolo. Provò a spiegare - e qui inciampò più volte - delle emozioni che aveva provato: la voglia di raccontare, la voglia di fuggire, lo sconvolgimento di quel singolo complimento... Ogni cosa rotolò fuori dalla sua bocca in ordine sparso, dando voce a quel rimescolamento che la sua aura continuava a fare di tanto in tanto e che non riusciva a spiegarsi.

    Anathema non si mosse né lo bloccò. Ascoltò in silenzio quasi religioso, paziente e concentrata. Poi, quando Crowley si sentí di aver condiviso tutto - riaccasciandosi, stavolta di pancia, sul divano - annuí pensosa. «Sai, ho una teoria» disse poi, «ma se te la dicessi, mi uccideresti.»

    Crowley sbuffò, facendo svolazzare una ciocca di capelli: «Nah, non ne ho le forze. Potresti insultarmi pesantemente e uscirne viva.»

    Lei sorrise: «Normalmente ci farei un pensierino, ma per stavolta passo.»

E normalmente il demone avrebbe fatto una smorfia, ma anche lui optò diversamente e alzò gli occhi al cielo, in attesa di sapere cosa la sua umana avesse dedotto da quella confessione che ancora bruciava sulle sue guance.


La teoria di Anathema si rivelò effettivamente sconvolgente.


~•°•~


Nella sua testa c'era una lotta impari tra le parole che stava cercando di leggere e quelle che cercavano di ripetergli il piano di Adam. La parte ragionevole di lui si era messa a ricordargli di quanto poco mancasse e di quanto sarebbe stato saggio rimanere concentrato sul presente - anche se Aziraphale si conosceva abbastanza da sapere che mettersi addosso ansia ulteriore avrebbe potuto mandare tutto all'aria.

Cosí sospirò e chiuse il libro di botto, incapace di distrarsi come avrebbe voluto. Se ne stava inginocchiato nel boschetto sul retro del cottage, laddove lui e Crowley avevano parlato sotto al cielo plumbeo. I caldi raggi di sole del mattino facevano capolino tra le fronde, riempiendo il prato di chiazze luminose. Sembrava un giorno come tanti altri, anzi: se fosse stato totalmente ignaro dei fatti, l'avrebbe considerata una potenziale bellissima giornata.

    «Dì' un po', ma non eri tu quello convinto che sarebbe andato tutto bene?»

Aziraphale sussultò appena e alzò la testa.

Come era ormai prassi, Crowley se ne stava comodo su un ramo, le ali penzoloni e le braccia conserte. Sembrava essersi tranquillizzato da... Qualsiasi cosa lo avesse turbato poco meno di un'ora prima

    «Ho avuto fin troppo tempo per pensare» rispose l'angelo iniziando a far passare le dita sui bordi della copertina, ora leggermente nervoso.

    Con un balzo fin poco calibrato, il rosso si piazzò accanto a lui. «A chi lo dici...» mormorò solo, evitando il contatto visivo.

Forse era la situazione, forse qualcos'altro, ma Crowley sembrava decisamente diverso quella mattina. Nervosismo a parte, adesso sembrava star facendo di tutto per nascondersi. Persino le lunghe ciocche dei suoi capelli erano ricadute con precisione infinita sul suo viso, cosí che Aziraphale avesse non poche difficoltà a scorgere le iridi dorate che tanto gli piacevano.

Perché sí, gli piacevano. Non sapeva bene quando fosse arrivato a quella conclusione, ma adesso l'aveva fatta sua e gli andava più che bene.

    «Non ti ho mai veramente ringraziato» incespicò il demone iniziando a torturare un filo d'erba. «Sai, per avermi salvato dalle grinfie di Beel.»

    «Non devi» rispose Aziraphale d'istinto. «Non c'è n'è bisogno» aggiunse poi, chiedendosi se lo pensava davvero o se gli facesse ancora un po' strano il fatto che un demone stesse ringraziando un angelo.

    «Avevi detto "a suo tempo" e, beh, se non ora, quando?»

Al biondo scappò un leggero sorriso e fece un impercettibile segno di assenso, un "non c'è di che" che non volle pronunciare per qualche strana ragione. Non sapeva se Crowley lo avesse visto o meno, ma qualcosa gli disse di sí.


Rimasero in silenzio per un po' e l'angelo riaprí il libro senza però iniziare a leggerlo davvero. La sua attenzione rimase puntata verso i due millimetri che, si accorse, separavano la spalla di Crowley dalla sua. Sarebbe bastato un movimento microscopico, un leggerissimo ed impercettibile cambio di posizione perché si facessero male.

Che cosa ingiusta.

Un raggio di sole superò gli spazi tra le fronde sulla sua testa e andò a finire dritto dritto sulla pagina, facendone risplendere il bianco in modo quasi esagerato. Gli venne automatico passarsi una mano sugli occhi - seppur la cosa non gli desse che un vago fastidio - e quando li riaprí, si stupí nel vedere che una grossa e compatta ombra era calata su di lui, mitigando la luce del mattino.

Alzando lo sguardo, Aziraphale vide una delle belle ali corvine del demone distendersi sul suo capo a mo' di ombrello. Quando provò a guardare la sua controparte, però, la scoprí troppo intenta a fissare il prato per notarlo.

Gli stessi raggi che Crowley aveva bloccato gli illuminavano il viso leggermente arrossato sulle gote scarne. I suoi capelli sembravano delle vere e proprie lingue di fuoco e se avesse alzato gli occhi, questi avrebbero brillato - Aziraphale ne era certo.

Sta proprio bene sotto la luce, si disse. Proprio bene. E la cosa era vera sia fisicamente che moralmente parlando.

Quando si esponeva, si apriva e si allontanava dalle ombre che caratterizzavano la sua esistenza, Crowley era proprio genuinamente bello, di quella bellezza semplice e genuina che il biondo prediligeva a quella fin troppo ostentata del Paradiso e dei suoi superiori.


Non potendosi avvicinare ulteriormente, Aziraphale si aggrappò delicatamente alla manica della camicia dell'altro con due dita, stando attento a non toccargli il braccio. Non avrebbe saputo dire perché lo avesse fatto ma all'improvviso si era reso conto di quanto piccoli fossero a dispetto di ciò che stava per accadere. Avevano bisogno della presenza l'uno dell'altro. Avevano bisogno della vicinanza, la stessa che avevano provato la sera prima - e non c'era bisogno di dirlo perché fosse chiaro a entrambi.

Difatti, quel movimento bastò a far voltare Crowley di scatto e fargli affondare le iridi in quelle dell'altro in un moto di sorpresa. Presto, la sua espressione crollò a favore di una seria preoccupazione misto determinazione e paura. Ancora una volta, Aziraphale si chiese come facesse il demone ad esprimere tutte quelle emozioni in un solo sguardo.

    «Senti,» irruppe poi quest'ultimo, la voce roca e le guance un po' più rosee di prima. «Sei ancora convinto di quello che hai detto ieri?»

    L'angelo sbattè gli occhi un paio di volte: «A cosa ti riferisci, esattamente?»

Era una domanda stupida, se ne rendeva conto, ma una parte di lui voleva sapere dove Crowley sarebbe andato a parare.

    «Quella cosa della fuga» mormorò infatti il demone, lottando per non guardare altrove.

    Com'è orgoglioso, ridacchiò l'angelo internamente. Poi scosse la testa con un sorriso: «Non vorrai mica lasciare gli umani qui.»

    «Anathema e i ragazzini possono venire con noi. Per gli altri ci devo pensare.»

La risata che seguí fu abbastanza da alleggerire la tensione.


Aziraphale fece per tornare a leggere, o almeno provarci, ora ristorato dall'ombra di Crowley e le dita ancora ben strette alla stoffa nera, ma un leggero bruciore sulla spalla lo bloccò.

    «Ahia» lamentó, crucciandosi.

    Il demone si soffiò sul polpastrello e lo fissò serio: «Dico davvero. Non sviare sempre dalle mie domande.»

    «Sviare? Io non svio.»

    «E invece sí.»

    Il biondo sbuffò: «Sí che sono ancora convinto di quello che ho detto, Crowley» affermò.

Riaffondò la faccia nella pagina ma poté quasi sentire il demone accanto a lui andare in tilt e farfugliare un: "Bene".


Per un attimo sparí tutto. Non c'era l'ansia, né la preoccupazione né l'Apocalisse, niente. Solo il sole del mattino, il canto degli uccelli, l'aria piacevolmente neutrale della Zona Mediatrice e loro che si facevano ogni secondo un millimetro più vicini.

E ogni secondo l'equilibrio si faceva un pochino più vicino alla rottura definitiva. E la dicotomia iniziava a mettersi a riparo, sapendo che prima o poi quelle due auree che (quasi) si abbracciavano l'avrebbero sconfitta una volta per tutte.


~•°•~


Satana lo guardava con aria soddisfatta e Adam, da bravo figliolo quale cercava di essere, gli sorrise intanto che accarezzava il fianco di un tranquillo e scodinzolante Dog. Se non fosse stato per l'atmosfera, sarebbe sembrato un bel quadretto di famiglia.

    «Sapevo che avresti avuto delle ottime idee» disse il Re dell'Inferno andando ad accarezzare i riccioli d'oro del suo creato. «L'ho saputo dal primo momento in cui ti ho visto. Eri solo una sferetta di fuoco ma avevi dentro un'energia sconfinata. Plasmarti è stata la cosa migliore che io abbia fatto... Dopo la Ribellione, si intende» ridacchiò.

Adam gli aveva spiegato come avrebbe preferito far iniziare la Guerra. Aveva pensato bene a cosa dire, a come dimostrarsi pronto a lacerare la Terra, ed era felice di vedere che suo Padre stava cadendo in pieno nel tranello. Da un lato si sentiva fiero all'idea di star approfittando dell'eccessiva sicurezza dell'essere che gli stava di fronte - alto, composto e ben vestito in mezzo alla lava e ai lontani urli di dolore. Dall'altro sapeva che, una volta iniziata la battaglia definitiva, il suo lato oscuro avrebbe preso il sopravvento e tutto sarebbe finito in mano ai suoi improbabili alleati.

Si limitò a gongolare sotto a quel tocco freddo e possessivo, intanto che cercava di scacciare un po' delle ansie e delle paure che puntualmente affioravano nella sua mente. E se avesse distrutto tutto prima che ci fosse tempo per agire? E se avesse involontariamente fatto male a qualcuno? E se non fosse stato in grado di trattenersi?

Per fortuna, nessuno di quei pensieri riuscí ad arrivare agli occhi scuri e senz'anima del Ribelle, il quale si limitò ad osservare Adam cosí come si osserva un oggetto di valore che si sa di possedere di diritto.

L'Arma si chiese come fosse possibile dare vita a qualcosa per poi non amarla. Sapeva che gli umani provavano amore ed affetto per tutti i loro figli e per tutto ciò e tutti coloro ai quali dedicavano cura, interesse ed attenzione. Né i demoni né gli angeli lo facevano. Tranne due, ovviamente.

    «Aspetteremo un altro paio di giorni, allora» acconsentí finalmente suo Padre, staccandosi da lui e prendendo a passeggiare per l'enorme stanza buia. «Io non ho nessuna fretta.»

Quelle ultime parole vennero a malapena sussurrate ma l'intero Inferno fu scosso da un leggero terremoto. Persino Dog passò dall'essere calmo e sereno all'emettere un vibrante ringhio.

Adam capí che quello era il segnale: ogni demone sapeva ora di dover fare un conto alla rovescia e da qualche parte, l'Arma ne era convinta, c'era un angelo fuori dalle mura pronto ad origliare la notizia.


~•°•~


Non era un semplice angelo, ma l'arcangelo che da sempre svolgeva quella mansione.

Gabriel percepí la tensione e il tempo che si stringeva nel momento esatto in cui la fortezza oscura si mise a tremare. Scosse la testa, sapendo che Michael non l'avrebbe presa per niente bene e che avrebbero dovuto mettere sotto sopra l'intero Paradiso se avevano intenzione di aumentare le loro possibilità di vittoria.

    «Male, molto male» farfugliò intanto che tornava indietro.

L'aria del lato luminoso della Terra lo pervase come un balsamo curativo. L'aria oscura attorno al quartier generale nemico sembrava essere fatta di melma tanto era intrisa di sete di conflitto.

Il solo pensiero di una possibile vittoria da parte dell'Inferno gli fece venire un ipotetico voltastomaco. Immaginarsi tutto il pianeta in quello stato era un incubo ad occhi aperti.


Raggiunse il suo collega in un battito d'ali. Il generale dalle ali azzurrine era ormai completamente assorbito nell'organizzazione e preparazione del suo candido e ben corazzato esercito, tanto che Gabriel dovette inseguirlo per parlargli.

    «Abbiamo due giorni» disse solo.

    I capelli di Michael si scurirono per un attimo e le sue nocche si fecero candide sull'elsa della sua spada. «Non importa. Sguinzaglieremo ogni singolo angelo se necessario» affermò, freddo e stoico.

Non si scambiarono nemmeno uno sguardo, tanto sapevano di essere già d'accordo.

    «Dov'è Raphael?» Chiese poi il messaggero, sapendo che l'aiuto del loro collega sarebbe stato prezioso ora più che mai.

    «In infermeria. Non so cosa gli sia preso, ma si è catapultato lí e non è più uscito.»

A Gabriel non serví altro. Lasciò Michael al suo lavoro e raggiunse la doppia porta che delimitava la stanza del guaritore. Appena entrò, non si stupí nel vedere Raphael di spalle, volto verso la grande vetrata che dava sulle nuvole.

    «Abbiamo un ultimatum» annunciò, avanzando. «So che i tuoi sono già scesi ma-»

Arrivato un po' più vicino al suo collega, si bloccò. Qualcosa non andava: le piume dorate dell'altro non erano mai state cosí scombinate né i suoi capelli cosí divelti. Spostandosi un po', notò delle ustioni in via di guarigione ricoprirgli le braccia.

    «Che ti è successo?» Chiese sconvolto, andando ad afferrare il polso di Raphael perché si girasse completamente verso di lui.

    Questi si ritirò violentemente, guardandolo con una rabbia che Gabriel non riuscí a piazzare sul volto perennemente pacato del guaritore. «E da quando ti importa? Pensavo fossi troppo occupato a distruggere il mondo.»

    Il messaggero lo fissò impettito, squadrando le spalle d'istinto: «Guarda che io il mondo sto cercando di salvarlo

    «Sí, come no. Ma se nemmeno sapete che faccia abbia l'Arma.»

    «Perchè, tu sí?»

Si fissarono a lungo. Lo sguardo del guaritore pareva di pietra, cosa che fece salire un brivido lungo l'ipotetica schiena di Gabriel. C'era qualcosa che il suo collega sapeva che a lui era sfuggita?

    «Raphael?» Mormorò, un richiamo carico di interrogativi.

Il guaritore non rispose, stavolta. Andò a prendere una spada - una di quelle di Michael? Quando l'aveva presa? - e uscí fuori a passo svelto e infuriato.

Dietro di sé lasciò una lunga ed intermittente scia di piume dorate.

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Capitolo 16
*** I piani dell'Arma ***


Il tempo è una cosa strana. È come un cavallo selvaggio: quando provi a cavalcarlo, alle volte galoppa, poi trotta infastidito e, se tutto va bene, poi si calma - e magari va al passo per poi imbizzarrirsi di nuovo.
Già a Crowley i cavalli non piacevano per niente; il tempo... Beh, dipendeva dalle situazioni. Certo, aveva imparato a stuzzicarlo così come con le persone e gli esseri viventi in generale, ma c'erano quelle volte in cui non poteva proprio piegarlo come avrebbe voluto.
Difatti, i giorni prima della Guerra passarono in modo dolorosamente lento, e se da un lato avrebbe tanto voluto che si sbrigassero a passare per mettere fine a tutta quella storia, dall'altro avrebbe voluto che non finissero mai.

Accaddero tante cose.
Prima di tutto, gli umani nella Zona aumentarono. Tutti quelli a conoscenza del luogo erano stati richiamati perché fossero al sicuro, e il fidanzatino strambo di Anathema aveva passato ore ed ore a fare avanti e indietro per controllare che ci fossero tutti e che nessuno si perdesse - o approfittasse della situazione, pensò il demone.
Tutti coloro capaci di imbracciare un'arma finirono sotto il controllo di Shadwell, il quale era già convinto di dover mettere su un esercito efficiente in appena quarantott'ore. Tracy aveva provato più volte a dirgli che era molto improbabile che gli scontri si sarebbero protatti fino alla Zona, ma lui non aveva voluto sentire ragioni
    «È la fine del mondo, donna» aveva esclamato. «Non me ne starò con le mani in mano.»
E lei, paziente e anche un po' rassegnata, aveva fatto il suo lavoro e si era assicurata che tutti avessero ciò di cui avevano bisogno.

Crowley, dal canto suo, ancor prima della Battaglia con la "b" maiuscola, si era messo a combattere una battaglia con la "b" minuscola. Una piccola guerra tra sé stesso, le parole di Anathema che si divertivano a rimbalzare nella sua testa, e il suo sguardo che andava sempre, inesorabilmente, alla ricerca di Aziraphale.
Ormai dovresti aver capito come funziona, si diceva. Ma no: tutte le volte si faceva fregare.
Addirittura, ad un certo punto era rimasto a fissare l'angelo mentre si rigirava la spada tra le mani, dubbioso e preoccupato. Gli ormai familiari occhi azzurri della sua controparte andarono dall'elsa alla lama, dalla lama all'elsa, fissandola come se il solo sguardo potesse farla sparire. Poi si era messo a fissare il demone e l'ormai solito contatto aveva fatto scattare la schiena di quest'ultimo, improvvisamente conscio del fatto che doveva aver fatto la figura dell'idiota imbambolato.


    Aziraphale parve non farci caso. «Dovrò sembrarti ridicolo» disse con un sorriso amaro. «Come la prima volta.»


Ridicolo? Tu? Ed io che dovrei dire, allora?


    Crowley fece una smorfia: «Ridicolo no. Sprovveduto? Decisamente sì» rispose in tono forzatamente sarcastico.
    L'angelo sospirò, rimettendo la Fiamma dove l'aveva lasciata da quando Raphael gliel'aveva gettata davanti. «Credi che andrà tutto bene?» Chiese poi, una mano che confortava l'altra.


In realtà, penso che andrà proprio tutto a pu-


    «Non lo so» rispose il rosso, buttandosi di schiena sul letto. Vi si era seduto a gambe incrociate, il tutto perché non voleva stare solo, o meglio: non voleva stare solo assieme ad Anathema che faceva su e giù per la Zona - gli metteva solo ansia, a differenza della calma aura lontana e potenzialmente mortale di Aziraphale.


    «Sei preoccupato, immagino. È per questo che ti comporti così?» Gli chiese quest'ultimo.
Quando Crowley alzò la testa, lo vide seduto sul bordo del letto accanto, ritto come un righello, le ali ben riposte dietro la schiena - anche se alcune piume bianche andavano comunque a strisciare contro le lenzuola, piegandosi leggermente. Lo guardava serio ma con una punta di tenerezza e compassione. Doveva essere qualche strano trucchetto angelico, perché adesso, controluce, al demone parve quasi di vedere la normalmente nascosta aureola di Aziraphale fare breccia tra le volute dei suoi riccioli.


    Si costrinse a lasciar perdere quei particolari, alzandosi sui gomiti e lasciando che una ciocca di capelli gli ostruisse in parte la visuale. «Così come?» Chiese, pentendosene circa un millisecondo dopo.


    L'altro fece spallucce: «Non so: nervoso, fragile e...» Si mordicchiò un labbro, poi trovò l'aggettivo giusto: «Sfuggente.»


A Crowley non era parso. Poi si rese conto che Aziraphale non stava parlando di lui, ma del suo sguardo. Vero era che il loro unico contatto si era fatto un po' più intermittente nelle ultime ore - perché sì, erano passate poche ore ma sembrava un secolo - ma solo perché il rosso aveva iniziato a dare segni di cedimento di fronte alla realtà che ancora stava cercando di nascondere.


«Sai, ho una teoria» aveva detto Anathema, «ma se te la dicessi, mi uccideresti.»
Quando gliel'aveva rivelata, lui non aveva saputo come prenderla. Ancora adesso, davanti alla fonte di tutta la sua confusione mentale, non sapeva cosa farsene di quell'informazione - non perché la trovasse inutile, ma perché la trovava sconvolgente e impossibile.


    «Beh, ehm,» farfugliò infine, «Non sono preoccupato. Sono spaventato all'ennesima potenza». Ormai gli sembrava di averlo già detto, come se fosse intrappolato sempre tra le stesse considerazioni.


    Aziraphale sospirò: «Anche io.»


Per un po' non si dissero niente. E che c'era da dire? Era chiaro come il sole di quel tardo pomeriggio che la tensione non poteva fare altro che crescere.
Il rosso sentì una vocina sussurrargli che una cosina ci sarebbe stata, soprattutto adesso che lui e l'angelo erano soli e la fine era dietro l'angolo. E di nuovo, le parole dell'umana accompagnarono il tutto come un'eco.


Ma no. Il demone scosse la testa e lasciò cadere quell'idea. Non era il momento e non era il caso. Non sarebbe mai stato il caso.

Eppure, quando tornò a fissare per bene la sua controparte, la vide indaffarata a spiegare e ripiegare la manica sinistra della sua camicia, persa come sempre nei suoi pensieri. E forse, molto forse, si disse che non aveva niente da perdere. Che forse, molto ma molto forse, ad Aziraphale non sarebbe dispiaciuto. Che forse ne sarebbe valsa la pena. Anche perché avrebbe voluto fermare una volta per tutte quelle dita morbide e nervose dal loro continuo attorcigliamento. Avrebbe voluto fissare quegli occhi ancora un po' più da vicino, così da scoprire se si era perso una sfumatura. Avrebbe voluto tornare a guardare quell'aura luminosa a costo di farsi male. Avrebbe voluto avvicinarsi ancora, perché quella era la cosa che sapeva fare meglio: toccare le cose che lo avrebbero ferito per sempre. Così aveva fatto con le domande che non avrebbe dovuto esporre. Così avrebbe voluto fare con la creatura che non poteva toccare.
E quando oro e celeste tornarono per l'ennesima volta ad incontrarsi, Crowley ebbe quasi l'impulso di dire qualcosa. Sarebbe potuta andare malissimo: lo aveva detto anche Anathema con aria mesta. Perciò, forse-


La porta alle loro spalle si aprì così di colpo che il rosso fece un balzo giù dal letto, le ali mezze spalancate nel fin troppo poco spazio tra un materasso e l'altro.
Aziraphale, dal canto suo, si era stretto nelle spalle e aveva fissato l'uscio, basito.


All'ingresso della stanza degli ospiti, infatti, se ne stava Shadwell - come sempre di un umore non esattamente positivo. Il vecchio li guardò una volta a testa e poi, spazientito, sbuffò: «Sentite, piccioncini. Non è il momento delle simpatiche chiacchierate e delle occhiate languide. Stiamo per ribaltare il mondo». Dopodiché, puntò un dito verso l'angelo - il quale si allontanò istintivamente di un pelo. «Prendi la tua benedetta spada e scendi. Non ti lascerò andare in mezzo al campo di battaglia senza che tu sappia tenerla in mano.»


E questi, leggermente spaventato, annuì ed eseguì, avvicinandosi alla porta con aria abbattuta.


    «E tu,» riprese il vecchio, stavolta puntando il dito contro Crowley, «smettila di essere una palla al piede e trovati qualcosa da fare.»


    Il demone aggrottò le sopracciglia, incespicando un po' prima di trovare le parole giuste. «Ho capito, abbassa il tono» disse poi con molta meno convinzione del previsto.


Lui e Aziraphale si scambiarono un'ultima occhiata preoccupata, dopodiché si separarono come spesso sarebbe accaduto nelle ultime quarantott'ore.
Il rosso si ritrovò spesso e volentieri a strisciare da Anathema intanto che l'altro rimaneva - non volendolo nel modo più assoluto - incastrato nelle "grinfie" dell'ex soldato.
Nemmeno con l'umana parlò spesso, e lei, che ormai sapeva decifrare tutti i suoi sguardi e tutti i suoi movimenti, non se ne stupì. Sapeva che il demone altro non aspettava che il calar della notte: l'unico momento in cui lui e la sua luminosa controparte restavano soli. Il momento che più di ogni altro scandiva l'inesorabile passare del tempo.


E poi, quando i giorni prima della Guerra divennero uno, i tre della Zona sparirono per un intero pomeriggio, mandando i loro genitori e tutto il villaggio in paranoia.


~•°•~


    «Non ci crederà nessuno!» Lamentò Wensley, intanto che seguiva gli altri due in mezzo al bosco non lontano dalla Zona. «Ci verrano sicuramente a cercare anche qui.»


    «E noi allora faremo in fretta» affermò Pepper, come sempre a capo di quella piccola fila indiana.


In mezzo a loro, Brian stava sgranocchiando qualche pezzettino dei biscotti che avevano ruba- cioè, preso dalla cucina di Tracy. Quella piccola operazione gli sarebbe costata l'ora della merenda, ma ne valeva la pena.


Camminarono per un po' sotto all'intermittente sole di quella giornata un po' più plumbea delle precedenti. Che la Terra si fosse finalmente accorta di ciò che stava accadendo? Persino l'aria si era fatta più fredda. Ma ai ragazzini non importava del tempo; avevano una missione da compiere: loro erano il piano d'emergenza che Adam aveva appuntato con accortezza e che aveva affidato nelle loro mani.


Il primo passo era quello di raggiungere l'area proibita del bosco, il luogo in cui non sarebbero mai dovuti andare, ed entrare nel santo Graal delle regole da infrangere: il cerchio che portava a casa di Anathema e che la stessa usava per andare e venire dalla Zona.
Dei tanti cerchi, quello era il più vicino al villaggio e quello più comodo da utilizzare. Erano stati i tre a parlarne ad Adam quando quest'ultimo aveva chiesto come facessero a raggiungere l'uno o l'altro lato di Terra. Loro ne usavano tre diversi che portavano rispettivamente vicino alle loro rispettive abitazioni, ma tutte le volte dovevano camminare a lungo per raggiungerli - una delle tante misure di sicurezza adottate dalla Zona Mediatrice per evitare di appostare guardie accanto ad ogni entrata.
Quello della giovane sottoposta-barra-aiutante di Crowley, però, era sempre stato zona tabù. A dirla tutta, nessun cerchio che non fosse il tuo poteva essere varcato. Quel pomeriggio, però, i tre della Zona avrebbero fatto uno strappo non indifferente alla regola.


    «Bene» annunciò Pepper una volta giunti ed afferrando gli altri due per le braccia. «Non si torna indietro.»


Brian fece giusto in tempo ad intascarsi le leccornie, mentre Wensley - che avrebbe tanto voluto fare da voce della ragione, ma non ci riusciva mai - provò a ribattere qualcosa, ma si ritrovò tirato dall'amica verso i segni ben tracciati nel folto dell'erba.

Dopo un cambio di luminosità repentino e non indifferente, i tre si trovarono in un'angusta stanzetta buia e piena di polvere.


    «Anathema vive in uno sgabuzzino?» Chiese stranito Brian, che del gruppetto era sicuramente l'unico a cui l'odore di chiuso non dava fastidio.


    Pepper gli diede un buffetto dietro la testa: «Ovviamente no, genio. Non poteva mica mettere il cerchio in salotto». Detto ciò, adocchiò una porta, si tolse una forcina dai riccissimi capelli e la passò a Wensley.


    Questi la prese controvoglia e sospirò: «Devo proprio farlo io?»


    «Sei quello che lo sa fare meglio» affermò l'amica. «Perciò sbrigati e attieniti al piano.»


A dirla tutta, tutti e tre avevano imparato a violare le serrature. L'obbiettivo era non farsi fermare dalle porte e le dispense piene di biscotti che gli adulti chiudevano. Grazie a quel trucchetto, si erano beccati un mucchio di sgridate e Pepper era perennemente a corto degli unici strumenti capaci di tenere i suoi capelli a posto, ma era divertente sgattaiolare laddove non avrebbero dovuto. Col tempo, fu chiaro che il più naturalmente preciso di loro era l'unico capace di non spezzare il già labile metallo delle forcine, e Wensley - che non lo dava a vedere spesso, ma ne andava fiero - era diventato lo scassinatore professionista della squadra.


La porta di Anathema nulla poté contro le sue abili e giovani mani. Dopo un paio di movimenti assestati, i tre poterono attraversare la stanza sul retro piena di oggetti bizzarri, aprire l'altra porta e sfociare nell'ora vuoto e silenzioso negozietto della giovane.


La sottofase uno della fase uno del loro piano era stata completata.


    Pepper intimò agli altri due di abbassare il tono, prima di prendere parola. «Ottimo lavoro» disse, dando due pacche sulla spalla a Wensley. «Ora dobbiamo stare attenti.»


    Quest'ultimo annuì, guardandosi attorno: «Questo posto mette i brividi.»


Non ci fu bisogno di dire che erano tutti d'accordo. In fondo, erano nati nel lato buono e vissuti principale nella Zona. Nessuno dei tre aveva mai visto il lato dell'Inferno e tutto, persino l'aria, sembrava gravare su di loro come gli artigli di una bestia pronta a sbranarli.


    Come sempre, fu Pepper a far tornare il gruppo nel bel mezzo dell'azione. «Procediamo. Brian, va' alla finestra di destra. Io andrò a sinistra. Wensley, sai già cosa fare.»


Brian si portò brevemente la mano alla fronte ed eseguì. Pepper andò ad appostarsi al lato opposto e Wensley, forcina ancora in mano, si mise in mezzo a loro, proprio davanti alla porta di ingresso.

Passarono cinque lunghissimi minuti in cui nessuno dei tre emise un suono. Non erano mai stati così immobili e silenziosi per più di tre minuti di fila, perciò la cosa gli parve decisamente strana. Da un lato, sottolineava l'importanza che stavano dando alla loro missione.


    Fu Brian a rompere il silenzio. «Eccolo!» Sussurrò.


A Wensley bastò un cenno da parte di Pepper per iniziare a maneggiare anche con quella serratura. Non gli ci volle che qualche secondo di concentrazione, dopodiché - molto, molto cautamente - aprì la porta.


Davanti a loro, seduto e scodinzolante sull'uscio, se ne stava Dog in versione piccola e ben poco minacciosa.


~•°•~
  


Adam aveva fatto i conti con la situazione. Aveva capito che Dog rispondeva, seppur in parte, al suo stato d'animo. Se fossero stati insieme durante la Battaglia, c'era il rischio che non si salvasse nemmeno lui dall'ira demoniaca e bruciante che il ragazzino già sentiva strisciare lentamente tra le sue membra, pronte a mangiarselo.


No, doveva tenerlo lontano e approfittare della situazione che si sarebbe andata a creare per far funzionare il suo piano.
Si era affidato ai tre della Zona nel caso in cui lui, l'angelo e il demone non fossero riusciti nel loro primo intento - prospettiva oramai sempre più concreta.
Le voci nella sua testa si erano fatte più insistenti ed incalzanti e lui, come sempre nella stanza di suo Padre, sapeva bene di non poterci fare niente.

    Si era dimostrato propositivo e aveva trovato una scusa per l'assenza del suo ormai fedele destriero. «Voglio che mi raggiunga solo nel momento del bisogno» aveva spiegato, intanto che il Ribelle gli accarezzava la testa. «È già in posizione, nel caso.»


Il Re aveva annuito, poggiandoselo in grembo come se davvero gli importasse qualcosa. Era distante, Adam se n'era accorto. Passava il tempo ad assaporare ciò che mancava alla sua vittoria assicurata. Coccolava Suo figlio, la sua Arma, più del solito e parlava decisamente meno. Aveva chiamato spesso Belzebù al suo cospetto - anche solo per assicurarsi che tutto fosse pronto - ma poi lasciava sempre che le lontane grida li avvolgessero entrambi.
Sembrava un genitore troppo sopraffatto dal lavoro per occuparsi della prole, ma ad Adam non importava. Anzi: giocava a suo favore.


Continuò a parlottare di tanto in tanto, così da ricevere altri segni di assenso. E così, stretto nell'abbraccio del male in persona, solo come solo era stato all'inizio non tanto lontano della sua esistenza, aspettò l'Apocalisse.


~•°•~


Dog entró velocemente, come se sapesse meglio dei ragazzi di dover dare il meno possibile nell'occhio. Sgusciò tra le loro gambe e andò a leccare felicemente le mani già protese di Brian.


    «Bravo cucciolotto» lo lodò quest'ultimo, sfilandosi la grossa sacca che si era allacciato in spalla prima di partire.


Gli altri due si erano messi a controllare le finestre, intanto che buttavano un occhio su quello che sapevano sarebbe accaduto adesso.

Avevano già predisposto tutto. Pepper avrebbe guidato l'operazione, Wensley avrebbe aperto le porte e Brian si sarebbe occupato di Dog.
Infatti, il ragazzino con le guance ancora ricoperte di briciole - si era preso la libertà di sgranocchiare ulteriormente mentre aspettavano - attese che il destriero di Adam riprendesse le sue grottesche ed originali dimensioni, andando ad occupare una buona fetta di stanza.


Era la prima volta che i tre lo vedevano in quel modo dal giorno in cui era piombato nel cortile del cottage. Ciò li portò tutti a retrocedere appena, trattenendo il fiato. In fondo, il segugio infernale ora lontano dal suo padrone, avrebbe potuto assecondare i suoi istinti in qualsiasi momento.
Fortunatamente, Dog si limitò a scrollare un po' la testa e i fianchi; dopodiché si sedette, senza mai smettere di scodinzolare felice di fronte ai piccoli aiutanti dell'Arma - i quali emisero tutti un breve sospiro di gioia e sollievo.

Per quanto Brian fosse svampito e, il più delle volte, perso nel suo mondo fatto di leccornie e libertà assoluta, era anche quello dei tre con le idee migliori. Infatti, non molto tempo prima, aveva avanzato un'osservazione intelligente.


    «Se proprio dobbiamo cavalcare Dog, ci conviene farlo bene. Non siamo Adam: e se ci disarcionassimo?» Aveva detto, inciampando spesso sulla pronuncia dell'ultima parola.
Effettivamente, vista da vicino, la sinuosa schiena del grosso cane sembrava poco incline ad ospitare non uno, ma ben tre giovani ed inesperti cavalieri. Quello più vicino alla testa avrebbe potuto cavarsela, ma gli altri due si sarebbero dovuti arrangiare, aggrappandosi alla bell'e meglio... Ciò aveva portato Brian a disegnare una raffazzonata ma funzionale sella direttamente nel fango del suo giardino. I tre si sarebbero dovuti semplicemente dovuti procurare le coperte più grandi e resistenti che avevano, lui si sarebbe occupato dell'assemblaggio.

    «Scusa, bello» disse spesso, intanto che annodava il tutto laddove Dog non avrebbe avuto problemi o fastidi.


Il grosso cane, però, non diede segni di dissenso. Anzi: si alzò e si sedette a seconda dei movimenti del ragazzino, il quale - dopo essere riuscito a creare delle redini con tre coppie di lembi - gli diede una grattatina sul muso e dichiarò terminata la sua fase di imbragatura.


    «Molto bene» annunciò allora Pepper, piazzandosi davanti al muso di Dog. Prese un lungo ramo che teneva legato al cinturino a mo'di spada e, solennemente, dichiarò: «Ti nomino nostro grosso ed infallibile destriero». Passò la sua indistruttibile arma su entrambe le spalle del mastino, il quale prese a scodinzolare - sicuramente fiero del suo nuovo titolo.


Durante la nomina, Brian e Wensley si misero sull'attenti, ora alleggeriti dal senso del dovere.


    «Domani» riprese la ragazzina, «Ci terremo pronti a salvare il mondo.»


    «Se necessario» appuntò Wensley, un dito alzato.


Pepper alzò gli occhi al cielo. «Domani ci terremo pronti a salvare il mondo se necessario» concluse.


~•°•~


Quando i ragazzini tornarono, Aziraphale tirò un respiro di sollievo che durò sì e no cinque minuti. Era sparita solo una delle sue mille preoccupazioni, in fondo, e altre si stavano facendo incombenti come il calar del sole.


Le ore presero a scorrere tutte di botto tra Shadwell che gli intimava di colpire il fantoccio che aveva davanti, la Zona in fermento e Crowley che se ne stava sempre - timidamente - agli angoli della sua visuale. Sembrava un'ombra, un angelo custode alle prime armi che si nascondeva goffamente prima tra gli alberi, poi nella borsa di Anathema, poi tra gli scaffali... Faceva finta di non vederlo, ma entrambi sapevano che ormai sarebbe stato difficile non notarsi a vicenda.


Era come se si fossero detti tanto, ma al contempo niente. Avrebbero voluto parlarsi ma non lo fecero se non di rado. Non lo fecero nemmeno la notte prima della Battaglia, quando si limitarono a tornare sul tetto e a sedersi l'uno accanto all'altro, fermi sotto ad un cielo ora decisamente più plumbeo. Di certo, il demone avrebbe voluto proferir parola, ma si morse la lingua almeno dieci volte (Aziraphale le contó tutte) prima di arrendersi. In una situazione normale, avrebbe voluto chiedergli cosa non andasse, ma, in quel caso, era abbastanza ovvio. Forse, pensò l'angelo, entrambi stavano segretamente aspettando che tutto finisse, così da poter finalmente... Già, cosa? Dare finalmente un nome al loro rapporto? Chissà.


Incredibilmente, proprio il loro affiancarsi avrebbe dato inizio al piano che avevano studiato con Adam.


Non se lo ripeterono: le loro menti lo avevano già fatto abbastanza.


Il giorno della Guerra, scesero dal tetto nel momento esatto in cui il sole ebbe fatto capolino in mezzo alle nuvole grigie come la battaglia che avrebbero affrontato, e raggiunsero gli umani poco fuori dal villaggio.


La fase uno del piano principale, ed ufficiale, dell'Arma consisteva nel raggiungere l'area più off-limits del bosco ed entrare nello stesso cerchio dal quale erano arrivati: quello che portava a casa di Anathema e che la stessa usava per andare e venire dalla Zona. Lo stesso che Aziraphale aveva studiato brevemente la prima volta che lo aveva visto. E adesso che, sempre nel silenzio più tombale, lo aveva raggiunto assieme a Crowley e ai capi della Zona, si rese conto di una cosa: la circonferenza era sempre segnata dai simboli familiari che brillavano persino in alcuni punti della fortezza celeste; in mezzo ad essi, però, spiccavano anche segni dritti, duri, dalle linee spezzate che, stavolta, non gli fecero venire i brividi. Il tutto si mescolava perfettamente, unendosi in un unico, coeso e perfetto cerchio inciso nell'erba e nella fanghiglia. Erano disegni assolutamente opposti, assolutamente diversi, che solo assieme potevano creare un varco, un passaggio. Tutto rimandava alla dicotomia e al suo essere assolutamente capace di creare qualcosa di neutro e funzionante come la Zona Mediatrice. Tutto rimandava sempre, inesorabilmente, a quello che stava per succedere.



    Un leggero strattone alla manica lo fece voltare. Alla sua sinistra, come sempre, c'era Crowley. Lo stava fissando in un misto di ansia e determinazione che poco riuscivano a fare pace - a giudicare dalla sua espressione. Per l'undicesima volta tentò di dire una cosa, ma incespicò più volte prima di riuscire a mormorare un imbarazzatissimo: «Senti, angelo... Cerchiamo di non farci ammazzare, ok?»


    La risposta di Aziraphale venne coperta da quella di Anathema. «Sarà meglio per voi» disse infatti. «Sapete cosa fare in caso di emergenza.»


Ovviamente lo sapevano: la giovane glielo aveva ripetuto almeno mille volte.


Gli altri umani non dissero granché - senza contare gli ovvi: "Buona fortuna" - ma si vedeva che erano tesi. Persino la posa stizzita e severa del più anziano dei quattro sembrava tirata.

Sarebbero rimasti tutti lì, laddove avrebbero potuto difendere il loro personale pezzetto di mondo. Se le cose fossero andate male, non si sarebbero mai più rivisti.


Un tuono rimbombò nel cielo. Parve una specie di campanello d'allarme.
L'angelo poteva già figurarsele le Armate del Bene e del Male che si schieravano l'una di fronte all'altra, separate da un solo spazio. Uno spazio che avrebbe potuto contenere tranquillamente lui e il suo improbabile collega.


Fase uno: piombare in mezzo all'imminente battaglia.


    «Buona fortuna» disse al demone, lasciandosi scappare un leggero sorriso - forse sperando avrebbe potuto tirare un po' su il morale della controparte.


    «Anche a te» rispose l'altro.


Poi si infilarono nel cerchio d'innanzi a loro, schiena contro schiena, lontani quel poco che bastava a non far toccare le piume delle proprie ali.

Un fascio di luce dopo, la fine del mondo ebbe inizio.

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Capitolo 17
*** La Grigia Battaglia ***


Non esistevano cerchi che portavano al centro esatto del Confine. Era un posto scomodo, vuoto e lontano da tutto: nessuno avrebbe voluto ritrovarvisi.

Per questo motivo, Anathema aveva fatto un piccolo esperimento. Aveva modificato il cerchio che portava a casa sua - un'operazione che aveva richiesto tanto lavoro e una buona dose di pazienza - per far sì che sbucasse proprio lì, dove la profezia avrebbe finalmente iniziato a trovare compimento.

Aveva fatto i calcoli, aiutata da altri membri della Zona. Era lì che la Luce e la Bestia si sarebbero ritrovati: nel bel mezzo della Battaglia, due puntini tra le più grandi Armate dell'universo.

Suonava spaventoso, rischioso e fin troppo lontano dalla realtà; eppure stava accadendo proprio davanti ai suoi occhi. Non avevano fatto altro che inseguire quell'obbiettivo per giorni che ormai le suonavano quasi lontani, il miraggio di una vita che - nel bene o nel male - non sarebbe stata più la stessa.

In apprensione, osservò coloro che avrebbero dovuto salvare il mondo sparire in un fascio di luce. E allora, per la prima volta nella sua vita, si mise silenziosamente a pregare.


~•°•~


Adam aveva dato inizio alla Guerra quella mattina all'alba. Semplicemente, con una calma ed una naturalezza immacolate, aveva aperto le grosse porte della fortezza oscura, stagliandosi come un leggero fascio di luce nel buio. Dopodiché, aveva fatto un solo cenno della testa, portando i demoni al più esagerato dei gridi di giubilo.

Alto su una delle tante torri della fortezza celeste, Michael aveva visto tutto e non aveva perso tempo. Afferrò la sua tromba - lucida, dorata, finemente decorata - e la suonò. Emise un unico, prolungato suono che fece muovere l'Armata Celeste all'unisono: un gruppo scintillante e coeso di guerrieri in armatura capitanato da lui, l'angelo dalle ali azzurrine e il volto di donna.

Con un solo balzo, volò davanti ai suoi soldati e sguainò una spada sottile e scintillante. Gabriel lo affiancò poco dopo, arrivando dall'alto. Aveva un'armatura leggera e una maneggevole arma legata al fianco.

    «Com'è la situazione?» Chiese il guerriero, marciando verso il centro esatto del Confine.

    L'altro esitò appena: «Non come ci saremmo aspettati. L'Arma si è volatilizzata praticamente subito dopo aver annunciato alla sua Armata di marciare. Il cagnaccio è sparito, Raphael è sparito-»

    «Fregatene di Raphael» ringhiò Michael stringendo forte l'elsa della sua spada. «I suoi sono pronti ad intervenire anche senza di lui. Non so cosa gli stia passando per la testa, ma se vuole combattere è il benvenuto, altrimenti per me può anche non farsi più vedere. Abbiamo problemi più grandi dei suoi stupidi capricci.»

Il messaggero emise un poco convinto: "mh". Rispettava Michael e le sue decisioni; alla fin fine, il guerriero era sempre stato quello risoluto, duro, imperioso abbastanza da trovare soluzioni immediate a qualsivoglia problema si presentasse. In un certo senso, era così che loro tre erano stati messi a collaborare: lui era l'informatore che teneva all'ordine, Michael era l'animo infiammato e adatto alla leadership, mentre Raphael era quello serio e riflessivo che bilanciava il tutto. Ai tempi, Dio ci aveva visto giusto, ma ormai quell'equilibrio non esisteva più.

Michael non aveva visto il guaritore come lo aveva visto Gabriel l'ultima volta. Raphael sembrava adirato, moralmente oltre che fisicamente distrutto. Non era stato un semplice capriccio a ferirlo e a fargli perdere piume, no... C'era qualcos'altro.

    Ma non potevano più indagare, ormai: il destino della Terra era nelle loro mani. «Hai ragione» disse, ricomponendosi. Aveva un compito, accidenti: doveva portarlo a termine.

    «Resta al mio fianco per adesso» gli ordinò Michael, sguardo fisso d'innanzi a sé. «Tieniti pronto al peggio.»


Era dai tempi della Ribellione che non combattevano davvero. E ora, sotto ad un cielo plumbeo che minacciava acquazzoni, le Armate del Bene e del Male si stavano avvicinando l'una all'altra.

Da Est, il bianco e lucente plotone di Michael. Da Ovest, il nero e scombinato nuvolo di demoni con Belzebù in testa. Come aveva detto Gabriel, l'Arma e il suo Destriero ancora non c'erano, ma era chiaro che stessero solo attendendo il loro momento per colpire e ribaltare per sempre le sorti del pianeta.


Passo dopo passo nell'innaturale silenzio che aveva avvolto il mondo, la Battaglia stava solo aspettando di iniziare nel punto prestabilito: l'area di nessuno che sia l'alto dei Cieli che le profondità della Terra avevano cercato di conquistare, ma che adesso li avrebbe visti uniti nella fine.

Tra i due Regni c'era una distanza assolutamente apparente e in realtà incalcolabile da mente mortale; distanza che le Armate superarono in pochi agili minuti, riducendola sotto il loro volere. Iniziarono a scorgersi a vicenda, poi arrivarono a fissarsi negli occhi, separati solo dal loro campo di Battaglia.

Si bloccarono solo quando tra Michael e Belzebù non ci furono che una ventina di metri.

Era da tanto che il guerriero non vedeva il minuto demone che ora gli stava rivolgendo un piccolo ghigno. In quegli occhietti troppo azzurri c'era già un barlume di vittoria, lo stesso che si era mescolato nelle ammassate e impazienti aure oscure alle sue spalle.

    «Non vi lascerò dominare il mondo» dichiarò Michael, puntando la spada davanti a sé. Ne aveva fatti fuori a bizzeffe di demoni. La stessa lama che stava puntando contro l'Armata nemica era affondata in molteplici di quelle ora occulte carni.

    Ma il piccolo generale dell'Armata Infernale non ebbe nemmeno un secondo di esitazione o paura. Fece scoccare la sua frusta nell'aria. «Non vedo l'ora di vederti provare» rispose. «Soprattutto adesso che abbiamo lui dalla nostra.»


Fu come pronunciare una parola d'ordine. All'improvviso, il terreno sotto di loro si riempì di crepe sottili e l'esercito infernale si fece da parte, aprendosi come il Mar Rosso.

Dalle file in fondo si fece avanti un bambino dai capelli dorati e gli occhi che parevano intrisi di mari in tempesta. Era minuto, nient'altro che un piccolo umano che da solo fece tuonare l'orizzonte occidentale alle sue spalle.

Sia Michael che Gabriel - il quale era rimasto in un silenzio quasi innaturale per lui - si scambiarono una veloce occhiata. Ora che ce l'avevano davanti, quasi non si stupirono nel vedere quanto fosse apparentemente innocuo. C'era qualcosa in quella figurina che avrebbe potuto spazzarli via tutti se solo avesse voluto, ed era una sicurezza che andava ben oltre le apparenze.

Ma no, il Paradiso aveva Dio dalla sua. Nulla avrebbe potuto fermarli. Il guerriero non avrebbe sentito ragioni: dovevano vincere.

    «Bene. Ora che ci siamo tutti, facciamola finita.»

Alzò la spada, ordinando all'Armata del Bene di attaccare prima che fosse troppo tardi. Lanciò un grido e scattò in avanti.

Non fece in tempo a finire l'azione, però. Una luce si stagliò in mezzo agli eserciti, illuminando brevemente l'area tra di loro.

Un'ondata di sbigottimento e stupore pervase le due parti, e la Battaglia venne bloccata sul nascere dal più inaspettato dei contrattempi.


~•°•~


La prima cosa che Crowley si ritrovò davanti fu la punta di una spada pericolosamente vicina al suo naso. Era già la seconda volta che gli capitava, il che era tutto dire.

Stavolta, però, a brandire l'arma non era un simpatico angioletto dalle ali scombinate, ma quel fuori di testa di Michael. Ovviamente doveva ritrovarsi davanti al guerriero più forte del Paradiso mentre era in procinto di fare a minuscole fettine tutti i suoi simili. La sua solita fortuna.

    Quest'ultimo sbarrò così tanto gli occhi che il demone temette di vederli schizzare verso di lui. «Da dove accidenti sbucate?!» Esclamò, incredulo.

    Gabriel fece capolino da dietro le spalle del guerriero, inebetito. «Aziraphale?»

    Dall'altro lato, invece, arrivò la graffiante voce di Beel - il quale sembrava decisamente più irato che stupito. «Crowley?»

La festa era iniziata in maniera alquanto confusionaria - il che sarebbe anche stato divertente, se il rosso non vi si fosse ritrovato in mezzo.


Dietro di lui, Aziraphale non aveva detto una parola. Aveva occhi solo per l'Arma che si era ritrovato davanti.

Erano lui e Crowley in mezzo a tutti, schiena contro schiena - ma ancora lontani abbastanza da non ferirsi - con il demone faccia a faccia con i migliori guerrieri del Paradiso e l'angelo con lo sguardo puntato sull'Arma dell'Inferno. La dicotomia sembrava essersi spesa tutta per quell'unico momento di traballante equilibrio.

Ma non c'era tempo per i simbolismi. Adam sembrava in stallo: fissava la scena davanti ai suoi occhi come se non sapesse da che parte farsi. Respirava pesantemente e il chiarore delle sue iridi si stava lentamente tingendo di rosso.

Si stava arrabbiando e la cosa non sarebbe finita bene.

L'angelo cercò di fare mente locale, approfittando di quello strano momento di pace. Per quanto la Guerra non fosse che a malapena cominciata, tutto attorno a loro pareva innaturalmente spento, smorto, grigio. Eppure, l'unica battaglia adesso sembrava vergere tra lo sguardo suo e quello dell'Arma. Lo fissò seriamente e scosse la testa, come ad intimargli di non muoversi, sperando che il bambino capisse l'antifona nonostante il casino che aveva in testa. Poi ripassò mentalmente le parole della profezia.

Lui era al suo posto, la Fiamma stretta in pugno, la sua alquanto spaventata Bestia alle spalle, il Paradiso e l'Inferno si tiravano occhiate confuse, tutto era esattamente come e dove avrebbe dovuto... Ma mancava qualcosa, anzi, mancava qualcuno.


    Michael ruppe il silenzio. «Voglio una spiegazione e la voglio subito!» Ordinò, agitando la sua lama a destra e a manca.

Gabriel, dal canto suo, sembrava non sapere da che parte farsi. Il suo sguardo passava nervosamente da Crowley, ad Aziraphale, dall'Arma, all'Armata opposta; il tutto mentre le sue iridi cangianti si coloravano di tutte le possibili sfumature di viola.

    «Già» gli fece eco Beel, «si può sapere che succede?»

    A Crowley parve di essere stretto in una specie di morsa: gli sguardi celesti di fronte a lui avrebbero potuto mangiarselo o incenerirlo sul posto se non agiva in fretta. Così, senza sapere che altro fare, alzò un dito ed irruppe in un sorrisetto nervoso: «Potreste darci un secondo?» Chiese, sapendo che la mossa non avrebbe portato a nulla di buono. Diede un'occhiata alle sue spalle, inclinando la testa tanto da sfiorare la spalla di Aziraphale con le ciocche rossastre: «Non per metterti anssia, angelo. Ma com'è la situazione?» Sibilò nervoso.

    L'altro fece un cenno con la testa verso Adam. «Non resterà in stallo per molto» sussurrò. «E poi, dov'è Raphael?»


La fase due era quella che più di tutte aveva mandato Crowley in paranoia. La prima volta che l'aveva sentita, aveva lanciato ad Adam uno sguardo incredulo e molte più che una contestazione. Essenzialmente, l'idea era di piombare in mezzo alla Battaglia, distrarre l'Arma e occuparsi del Guaritore.

    «Saranno troppo occupati a fissarvi per agire» aveva affermato il ragazzino. «L'idea è risolvere il tutto senza combattere.»

    Il demone aveva sbuffato, sarcastico. «Perchè non invitiamo anche tuo padre a prendere un tè, già che ci siamo?»

    Ma Aziraphale aveva alzato una mano, interrompendolo, sguardo fisso sull'Arma. Ovviamente, la sua testa si era fermata a: "senza combattere" e lì si era fermata. «In che modo?» Aveva chiesto infatti.

    «Facile a dirsi, difficile a farsi. Crowley si occuperà di me, anche perché tu non puoi certo sperare di bloccarmi. Ti occuperai di Raphael: devi cercare di calmarlo un po'. La sua aura era davvero un disastro l'ultima volta che l'ho vista.»


Adam sapeva benissimo che le cose sarebbero potute degenerare abbastanza in fretta, così come lo sapeva la Bestia. L'unico abbastanza ingenuo da credere che il dialogo avrebbe fermato l'Apocalisse, era Aziraphale.

Ma Adam non era stupido, anzi: l'intelligenza era una delle ora tante cose che lo distaccavano da un ragazzino normale. Crowley doveva solo sperare che avesse pensato a qualcos'altro, un piano d'emergenza, una scappatoia, qualcosa. O si sarebbero ritrovati schiacciati dalle Armate e tanti auguri alla profezia.

    Ora come ora, però, doveva attenersi al piano. Prese un inutile ma confortante respiro. «Va bene, fammi andare davanti al ragazzino. Sembra stia per sbranarti.»

    L'altro non poté che essere d'accordo. Tirò un'occhiata ai suoi superiori e fece un'espressione ansiosa e preoccupata. «E qui sembra che Michael voglia infilzarti» ammise, procedendo a scambiarsi di posto con Crowley.

Fu come rimettere due pezzi di puzzle al loro posto, anche se ne mancava ancora uno.

    Non c'era molto che Aziraphale potesse fare se non fissare gli arcangeli negli occhi e cercare di spiegare la situazione. In cuor suo, per quanto avrebbe voluto poter far finire tutto nel dialogo, sapeva che era decisamente difficile che accadesse. Difficile, ma non impossibile. «State commettendo un errore» affermò allora, stringendo forte l'elsa della sua spada - almeno aveva qualcosa da torturare che non fossero le stoffe dei suoi vestiti.

    Il guerriero lo fissò come fosse completamente scemo. «Disse quello comparso qui in compagnia di un demone». Mise tutto il possibile disprezzo nell'ultima parola, quasi avesse fatto un'immane fatica a tirarla fuori per intero.

    Fu Belzebù a continuare, tirando occhiate sempre più ansiose e impazienti verso Adam. «Già. Cos'avete intenzione di fare? Non starete mica collaborando.»

Di nuovo, fu come pronunciare una specie di parola d'ordine. Il cielo venne scosso da un tuono che fece voltare tutto il Paradiso, tutto l'Inferno, i due della profezia e l'Arma verso destra.

    L'ultimo pezzo di puzzle comparse subito dopo un fulmine, materializzandosi in armatura leggera, sguardo cremisi ricolmo d'ira e capelli ramati mossi dal leggero vento che annunciava acquazzoni. Aveva una delle lucenti spade di Michael stretta in mano e fissava il centro del Confine con disprezzo. «Oh, eccome se stanno collaborando» sussurrò Raphael, riuscendo in qualche modo a farsi sentire da tutti.

Altri tuoni rimbombarono tra le nubi quando l'Arma strinse i pugni, gli occhi ora ben fissi sul guaritore. A Crowley parve di vederli brillare, cosa che fece scattare in lui due emozioni ben contrastanti: la prima era la voglia matta di fuggire e mandare tutti - Aziraphale escluso - a quel paese; la seconda era l'intenzione di attenersi alla loro idea, la quale lo portò a prepararsi nel caso Adam avesse deciso di spiumare le ali dorate di Raphael a morsi.

    Gabriel fece una faccia tra lo schifato e il confuso. «O mio Dio. Non dirai sul serio.»

    Michael scosse la testa, decisamente disgustato. «È rivoltante.»

    Beel rincarò la dose. «È impossibile. Nessuno ha mai fatto c- co-» balbettò, come se fosse sul punto di sentirsi male. «Collaborazioni, finora.»

    «Vogliono impedirci di distruggere l'Arma» affermò Raphael, voltandosi verso i suoi colleghi. «Credono di poter fermare l'Apocalisse.»

Più sussulti fendettero l'aria. Sia da un lato che dall'altro si creò un brusio fitto, inebetito, incredulo, divertito, confuso, tutto allo stesso tempo.

Crowley avrebbe voluto dire qualcosa, anche perché ogni secondo con il guaritore sul campo di battaglia equivaleva ad un bel po' di fastidio ed ansia aggiunte. Per quanto quel rompipalle fosse parte integrante dell'operazione, la parte più oscura di lui avrebbe goduto di fronte alla sua Caduta.

A fermarlo, contro ogni pronostico, fu Aziraphale.

    «Vi sbagliate su Adam!» Esclamò, facendo un passo verso Raphael. «Posso assicurarvi che non farebbe del male a nessuno se non fosse per suo Padre.»

Vederlo così determinato, Fiamma salda in mano, lo sguardo serio e la voce che - per quanto tremante - non perdeva mai la fermezza, fece rigirare l'aura del demone ancor più di quanto avesse già fatto in precedenza. Quella figurina così candida, così normalmente insicura, era uno spettacolo quando si impuntava.


Quella leggera distrazione gli costò molto cara.

Con la coda dell'occhio, vide Adam fare uno scatto decisamente innaturale verso il guaritore. Fu solo grazie ai suoi riflessi naturali che riuscì ad afferrarlo per la vita, stringendolo come se ne andasse dell'intero universo - e, in effetti, era più o meno così.

Gli sembrò uno stupido scherzo. Neanche il tempo di difenderlo che subito entrava in modalità "distruttore di arcangeli"; fantastico.

Gli sembrava di tenere tra le braccia una bestiaccia feroce. Non si stava nemmeno dimenando: c'era qualcosa nell'aura intrisa di Fuoco dell'Inferno di Adam che lo rendeva semplicemente difficile da contenere.

La Terra parve accorgersene, dato che altre crepe e spaccature iniziarono a delinearsi sul terreno, facendo sussultare l'Armata del Bene.

L'Inferno, invece, irruppe in una serie di risate.

    «Non so cosa vi abbia fatto entrare in testa quest'idea» sogghignò Belzebù, «ma niente e nessuno può fermare il figlio del nostro Signore. È solo questione di tempo.»

    «Questo è quello che credi tu, insetto schifoso» gli ringhiò Michael di rimando. Era decisamente tanto arrabbiato; le ali azzurrine gli si erano arruffate per il nervoso.

    Al rosso parve di vedere i tre della Zona che litigavano per chi doveva prendere l'ultimo biscotto dal vassoio. Alzando gli occhi al cielo, tappò la bocca di Adam - così, per sicurezza - e fece un verso di frustrazione. «Davvero non ci arrivate?!» Esclamò, come se per lui fosse stato semplice arrivarci. «Ricordate perché abbiamo smesso di prenderci a botte, lasciando agli umani il lavoro sporco?» Chiese, sapendo benissimo che la domanda sarebbe rimasta sospesa nel vuoto. «Non facevamo altro che farci del male a vicenda. Se vi mettete a combattere, finirete solo per auto distruggervi.»

Ringraziò Sa- Di- Qualcuno che Adam non avesse semplicemente deciso di mordergli - o mangiargli, magari - la mano.

    Gabriel scosse la testa. «Non finché l'Inferno avrà il ragazzino» affermò. «Hanno un vantaggio con lui.»

    Crowley alzò un sopracciglio. «Chi? Quello che sto tenendo fermo solo con le braccia?»

Non era l'idea più furba del mondo, anche perché stava praticamente abbracciando una bomba pronta ad esplodere. A confortarlo fu il sorriso incoraggiante di Aziraphale.

    «Siamo rimasti in sua compagnia per un po'» affermò l'angelo, ora decisamente più convinto di ciò che stava dicendo. «Eppure siamo ancora tutti interi. Vero, Raphael?»

    Il guaritore si ritrovò di nuovo tutti gli sguardi addosso, ma la cosa parve non dargli poi così fastidio. Anzi, fece un sorrisetto ironico e beffardo. «State solo cercando di prendere tempo. Potete cercare di fregare chi vi pare, ma quella cosa ha cercato di uccidermi» ringhiò, puntando la lama verso l'Arma. «E farà lo stesso con ogni singolo angelo del Paradiso.»

    Aziraphale non demorse. «È vero, ci ha provato. Ma si è fermato, così come ha fatto quando ha ferito me. Non ha mai voluto ferirci: è costretto a farlo.»

Nel dirlo, strinse la mano libera, ancora bendata. Al contempo, Crowley poté sentire la tensione nel suo abbraccio forzato allentarsi. Tirando una veloce occhiata al ragazzino, lo vide stranamente meno teso, lo sguardo ancora simile ad un mare in tempesta, ma velato da uno strato di confusione non indifferente.

Non poteva crederci: stava funzionando. Stava funzionando davvero.

    La risata nervosa di Beel ruppe il breve silenzio che era calato. «Non diciamo cazzate. Si stava sicuramente risparmiando per il momento giusto.»

    Per una volta, Michael fu d'accordo con lui. «Esatto. E poi, che storia è mai questa, Raphael?» Chiese poi, sguardo serio e cementato sul collega. «Perché non ci hai detto niente?»

    «Ecco perché eri ridotto in quel modo» aggiunse poi Gabriel, realizzando cos'era accaduto tra loro in infermeria. «Cos'avevi intenzione di fare?»

    Finalmente, la pressione iniziò a far breccia nell'aura del guaritore. Infastidito, Raphael strinse forte la sua spada, continuando a puntarla con un nervoso movimento del braccio verso i tre in mezzo al Confine. «Avevate sia l'Arma che un traditore sotto al naso e non vi siete accorti di niente!» Urlò, irato. «Siete un branco di incapaci, tutti quanti. I demoni non sono che un ammasso di creature senza cuore; stolti che hanno volutamente preso le distanze da Lei, condannando loro stessi e chi rimaneva ad un'esistenza senza il Suo Amore. Mentre voi,» puntò Michael e Gabriel, «voi non Le parlate nemmeno più, non Le chiedete niente e vi sta semplicemente bene che non risponda. Tirate avanti fomentando scontri inutili, lasciando che gli umani che dovreste proteggere si ammazzino, ma nel momento in cui dovete fermare l'unico, vero e proprio scontro, vi fate fregare come degli imbecilli.»

Fu come assistere alla rottura di una diga. Crowley sentì un tuffo all'ipotetico cuore che si sforzò di ignorare. Ancora una volta, gli parve tutto fin troppo chiaro: Raphael stava andando incontro allo stesso processo che lui stesso aveva affrontato. I dubbi, le domande, Lei che sembrava così vicina ma così lontana... Tutto sarebbe finito con il guaritore che faceva la fine peggiore che un angelo avrebbe mai potuto fare; così come la profezia aveva, beh, predetto.

    Tornò a guardare Aziraphale, ma questi era già tornato sull'ipotetico piede di guerra. Riuscì persino ad andare oltre allo scontento e alla rabbia dei suoi superiori - soprattutto a quelle del guerriero, il quale venne bloccato anche dalla ferma mano di Gabriel. «Te l'ho detto, è stata Lei a volere tutto questo» affermò, ripetendo le parole che Raphael stesso aveva stroncato sotto la fortezza oscura.

    Il rosso gli diede subito man forte, aiutato dallo sgomento che provenne dall'Armata del Male e dallo stupore che si alzò da quella del Bene. «È tutto vero. Credimi, fa' strano persino a me» disse, sottolineando un concetto che aveva decisamente fatto venire la nausea a Belzebù. Un demone che segue una strada tracciata dall'Altissima? Assurdo. Non era semplicemente possibile, non era normale, così come non era normale lo sguardo d'intesa che lui e Aziraphale si scambiarono, così come non era normale che Adam si fosse effettivamente quietato - il respiro ancora pesante, certo, ma l'aura ammutolita. Non era nemmeno possibile che stesse andando tutto così bene e fosse tutto così fin troppo facile.

Avrebbero dovuto aspettarselo.

Avrebbero dovuto prevederlo.


    Raphael scosse il capo, incredulo, deluso, profondamente tradito. «Non è vero» mormorò, la voce ridotta ad un rombo basso e persino un po' inquietante. «Non è vero. Lei non permetterebbe mai ad uno dei suoi angeli di- di-» faticò a definire la situazione, il che era assolutamente comprensibile. Né Aziraphale né Crowley avrebbero saputo cosa dire riguardo alla loro collaborazione. «Non è semplicemente possibile» completò, infine. Prese ad avanzare verso la Luce Alata: «Tu non sei altro che uno sporco traditore. Ti ho dato una seconda possibilità: avresti potuto redimerti. Ti avevo avvertito, Aziraphale. Se non posso vederti come alleato» disse, fendendo l'aria con la spada, «ti vedrò come un nemico.»


Nessuno poté fermarlo quando, con un balzo calcolato e perfetto, l'arcangelo si scagliò contro il principato.

Quella fu la vera e propria tromba che fece scoppiare l'Apocalisse.

Come se qualcuno avesse finalmente dato il via al suo vero essere, Adam irruppe in un grido che avrebbe potuto spaccare in due l'aria; una specie di cacofonia assordante che accese i suoi occhi di un deciso rosso sangue. Riuscì a liberarsi dalla stretta del demone - anche se nessuno, tantomeno Crowley, avrebbe saputo dire come.

L'Armata del Male, con grande gioia di Beel, lo prese come l'ordine decisivo di attaccare. L'Armata del Bene, con deciso primo passo di Michael e Gabriel, iniziò a difendersi.


E il mondo si ridusse finalmente ad una grigia battaglia.


~•°•~


I tre della Zona avevano pianificato tutto dalla prima all'ultima, apparentemente poco importante, mossa.

Approfittando della confusione causata dalla Battaglia imminente, erano riusciti a confondersi nel via vai di adulti indaffarati a nascondersi, proteggersi, comunicare, recuperare persone e oggetti da uno o l'altro lato di Terra. Alla fine, si erano ritrovati nel fitto del bosco e, una volta tanto, avevano preso ad avanzare gli uni accanto agli altri piuttosto che in fila indiana.

A Pepper non dispiacque, anzi: non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva un po' di paura - giusto un pelino, eh. Avere i suoi amici accanto la fece sentire molto meglio.

    «Avete visto i tuoni?» Chiese Brian quando si incontrarono. Il suo volto già macchiato era una maschera di preoccupazione misto stupore.

    «Quelli sono niente. Io giuro di aver sentito un terremoto!» Affermò Wensley, decisamente impaurito.

    Come sempre, la ragazzina prese in mano le redini della situazione. «Sono i segnali che ci ha descritto Adam. Dobbiamo entrare in azione, perciò facciamoci coraggio e recuperiamo il destriero» disse, cercando di tirare su anche lei stessa oltre che gli altri.


Mai e poi mai, nemmeno nelle loro più sfrenate fantasie, i tre si sarebbero immaginati di dover salvare il mondo in groppa ad un segugio infernale. Eppure eccoli lì, arrivati allo spiazzo in mezzo agli alberi in cui se ne stava un obbedientemente seduto Dog ad attenderli.

L'infallibile destriero, bardato di tutto punto, li raggiunse sinuoso e si abbassò. Attese che fossero tutti in posizione, ben aggrappati alle "redini" che gli avevano legato attorno ai fianchi - strette abbastanza da tenere ma non tanto da dargli fastidio.

Era tutto pronto, si sentiva dall'aria fredda, dall'odore di pioggia e dai tuoni che si fecero ogni secondo più forti ed insistenti. Ora, l'obbiettivo era raggiungere il suo padrone: l'aura densa che lo richiamava ma che doveva seguire solo fino ad un certo punto.

    «Ci siamo, bello» lo richiamò Pepper, ben ancorata alle briglie anteriori. «Quando vuoi.»


Dog non se lo fece ripetere due volte. Gli bastò fare un solo balzo in avanti per scattare al galoppo, veloce come solo un segugio infernale potrebbe essere, scattante e fermo sull'obiettivo.

Sarebbero arrivati al Confine in men che non si dica.


~•°•~


L'Amore si stava decisamente avvicinando al male, e la Luce aveva già usato la sua Fiamma per difendersi da quell'attacco improvviso e brutale.

Le lame delle loro spade cozzarono, e Aziraphale poté sentire il mondo attorno a sé esplodere in una miriade di rumori diversi. C'era Adam, c'erano le grida di battaglia, armi e artigli e denti che iniziavano ad affondare in corpi eterei... Ma il suo sguardo era ancorato a quello irato e distante di Raphael, la sua mente ben rivolta a Crowley. Nella confusione della Battaglia, la cosa più confusa era proprio lui.

Si concentrò sullo scostarsi l'arcangelo di dosso. Come avrebbe detto Shadwell: l'ora delle chiacchiere era finita; adesso cominciava la vera Guerra. Fortunatamente, l'angelo non era giunto del tutto impreparato.

Si stupì di quanto fosse facile maneggiare quella spada che tanto aveva detestato, dimenticato in giro e cercato di toccare il meno possibile. Riusciva sempre ad intercettare i colpi forti, precisi ed arrabbiati di Raphael, parandosi sempre, certo, ma senza attaccare mai.

Da un lato non ne aveva il tempo. Il suo avversario era veloce, metodico e decisamente nervoso. Dall'altro, Aziraphale non aveva mai avuto intenzione di arrivare a quel punto. Sapeva che sarebbe stato un azzardo, ma per un attimo ci aveva creduto: sperava di riuscire a superare una Battaglia più ipotetica che effettiva. E invece si ritrovò a parare tondi, fendenti e colpi che cercavano in tutti i modi di ferirlo.

Non poteva continuare a coprirsi per sempre. C'era un dettaglio fondamentale che non poteva dimenticare: stava combattendo contro il guaritore. Per quanto assurdo potesse sembrare, era Raphael quello che sapeva combattere meglio, non Michael.

Il guerriero era fisicamente forte, naturalmente agile, impostato sul colpire, colpire, colpire ed annientare. Raphael, invece, sapeva bene a cosa puntare. Sapeva quali erano i punti fragili, quelli che ci mettevano di più a guarire, quelli che più facevano male, quelli che più facilmente lo avrebbero portato a sopraffare il suo avversario. Aveva uno schema in mente che Aziraphale non conosceva.


Non troppo più in là, Crowley stava combattendo la sua personale piccola battaglia contro un "nemico" che avrebbe potuto polverizzarlo con un dito se solo avesse voluto.

Adam gli era sgusciato dalle braccia con una facilità disarmante. La parte divertente era che, da quando aveva dato il via al disastro che li circondava, non aveva nemmeno combattuto davvero. Se ne stava lì, a mezzo metro da terra, lo sguardo che non si vedeva nemmeno più sotto la lugubre luce rossastra che li aveva invasi. Nonostante ciò, il rosso sapeva che lo stava puntando, pronto ad azzannarlo, magari. Quella creaturina dal fare minuto era capace di tutto.

Cercò di ignorare il terrore che lo aveva momentaneamente incollato lì dov'era. Avrebbe voluto dare un'occhiata all'angelo, vedere se aveva bisogno di aiuto, controllare che se la stesse cavando; ma doveva fidarsi e sperare che riuscisse a difendersi intanto che lui, mandando al diavolo - si fa per dire - il buonsenso, si dava una spinta con le ali e andava ad afferrare il ragazzino.

Se non avesse saputo che se la stava vedendo con l'Anticristo, il tonfo che fecero tornati al suolo lo avrebbe preoccupato. Fortunatamente e sfortunatamente, l'Arma non parve che infastidita; peccato che questo non potesse portare a niente di buono - non che Crowley se l'aspettasse.

Le mani di Adam si avvolsero di eteree fiamme dalle sfumature più accese di quelle dei suoi occhi. Avrebbe dovuto essere semplice fuoco dell'Inferno, lo stesso che forgiava l'aura del ragazzino, ma il rosso si accorse che era di un tipo abbastanza nocivo da fargli arrivare il calore bruciante dritto in faccia.

Per un attimo gli parve di vedersela contro un gatto, schivando quei piccoli artigli pronti a cavargli gli occhi. Fece di tutto per tenere l'Arma inchiodata a terra, ma i suoi sforzi divennero vani nel giro di una manciata di secondi.

Gli bastò scostarsi un millimetro di troppo. Veloce come solo una creatura occulta potrebbe essere, Adam riuscì ad alzare una gamba abbastanza da tirargli un calcio dritto nelle ipotetiche costole. Non parve che un colpetto, ma fu abbastanza da spedire Crowley sei metri più in là.

Il gioco si stava facendo fin troppo duro. Il mondo venne scosso da un terremoto e alcuni fulmini piombarono sul terreno, bruciandone la superficie. Il rosso si prese due secondi per rialzarsi, dolorante. Il suo piccolo opponente era stato creato per non mollare mai e lui a confronto non era altro che un'infima e strisciante creaturina.

Rialzandosi, Adam parve volerlo sfidare. Sembrava si fossero ritagliati il loro spazietto privato in mezzo al Confine; un'area per loro due soli dove potersi confrontare.

Voleva la Bestia dell'Eden? Avrebbe avuto la Bestia dell'Eden. Tanto, Crowley sapeva di non avere molte altre alternative, a quel punto.


Aziraphale iniziava seriamente a cedere. Gli sembrava che la raffica di colpi non finisse mai, non riusciva nemmeno a parlare, e stringeva gli occhi ogni qualvolta arrivasse un fendente che non era certo di poter parare.

    Ad un certo punto, lui e Raphael si trovarono nuovamente l'uno di fronte all'altro, separati solo dall'incrocio delle loro spade. «Non sei uno che si arrende, devo riconoscerlo» commentò il guaritore, affaticato ma determinato.

    «Devi fermarti prima che sia troppo tardi» lo pregò l'altro. «Sei molto meglio di così.»

Dietro quegli occhi cremisi intrisi di disperazione, c'era lo stesso arcangelo che lo aveva difeso, lo stesso che aveva creduto in lui, lo stesso che era andato a cercarlo quand'era sparito, lo stesso capace di tenere a bada il caratteraccio degli altri due, lo stesso che lo aveva curato. Doveva riportarlo indietro.

    Ma questi non volle sentire ragioni. «È vero, sono decisamente migliore dell'idiota che ha voluto dare una possibilità al peggiore dei disertori». Con una spinta, Raphael allontanò Aziraphale solo per avere la possibilità di colpirlo di nuovo, subito dopo. La sua lama incontrò quella fiammante dell'altro per l'ennesima volta, ma con più forza. «Non so quanto ci metterai a Cadere, ma sta' pur certo che non mi perderò lo spettacolo.»

Ripresero a far cozzare le loro armi. Stavolta, la Luce riuscì persino a contrattaccare, portandosi dietro una scia di fuoco che di disperdeva nell'aria umida e fredda.

    «Sarai tu a Cadere se non la smetti, Raphael!» Riuscì ad esclamare tra un colpo e l'altro.

Ovviamente, il guaritore lo ignorò. Era convinto che stesse cercando di ingannarlo. Nulla, se non Dio, avrebbe potuto smuoverlo, ormai.

Un po' per disperazione, un po' per legittima difesa, Aziraphale si ritrovò a trarre vantaggio da un singolo secondo di cedimento da parte dell'altro. Fu quasi istintivo: la punta della sua Fiamma si alzò e andò a graffiare la guancia di Raphael, creando una linea rossastra dai riflessi dorati che gli finiva proprio in mezzo agli occhi.

Fissò la scena con terrore, come se non fosse stato veramente lui a ferire l'arcangelo ma una qualche sorta di forza esterna. Prese a tremare, pentito e incredulo. Le scintille auree che si mescolavano al sangue dell'altro parlavano chiaro: gli aveva reciso l'aura. La sua Fiamma avrebbe potuto ucciderlo, oltre che ferirlo. Era del tutto simile alle spade di Michael - e quindi a quella in mano a Raphael: lame che non guardavano in faccia a nessuno, capaci di ferire angeli e demoni in egual misura, nate per contrastare coloro che avevano appoggiato la Caduta.

Il favore gli venne subito ricambiato.

Il guaritore gli si scagliò contro, e gli prese in pieno il volto. Il colpo fu così rapido e così doloroso da mandare Aziraphale a terra, in ginocchio, sopraffatto dal taglio profondo e piangente che per poco non gli aveva cavato un occhio, recidendogli una gota.

Strinse l'elsa, cercando di rialzarsi. Era scoperto, le ali mezze ritte dalla paura, e Raphael era alla sua destra, ancora in piedi.

Ma non ci riuscì. Non poteva muoversi, non voleva fare altro male, arrecare altro danno. Improvvisamente, i tuoni si fecero assordanti, i suoni della Battaglia gli rimbombarono nelle orecchie, la terra rotta sotto di lui gli graffiava i palmi feriti. Era indifeso, il punto più fragile della sua angelica costituzione era alla mercé di un arcangelo che non avrebbe avuto pietà di lui.

Raphael conosceva ogni singolo punto debole. Sapeva che il punto migliore da colpire erano le ali. Non avrebbe perso tempo, né avrebbe sprecato l'occasione.

E infatti, non lo fece.


Crowley sapeva che tenere bloccato Adam tra delle spire piuttosto che tra le braccia sarebbe stato più semplice. Si maledisse per non averlo pensato prima, e si scagliò contro l'Arma in una delle sue forme peggiori.

Se Anathema avesse visto quanta paura faceva la versione extra large del serpentello che adorava usare come sciarpina, non gli avrebbe mai più permesso di arrampicarsi nemmeno fin sopra al suo avambraccio. E quello non era nemmeno il suo aspetto peggiore.

Di certo, fu abbastanza da gestire l'Arma per un po'. La intrappolò in una stretta dalla quale il ragazzino riuscì a sfuggire più volte, colpendolo con fiammate, graffi che gli lacerarono le squame e morsi. Era ancora una lotta impari, ma il rosso non demorse, sperando che qualcosa cambiasse, sperando che accadesse la svolta che avrebbe cambiato le carte in tavola.


E la svolta arrivò, solo che fu molto peggio di ciò che si aspettava.

Aveva allontanato un po' Adam, deciso a prendersi una pausa di anche solo mezzo secondo. Fu allora che, alzando il muso, vide Aziraphale a terra, lo sguardo terrorizzato. A pochi metri da lui c'era Raphael, spada in mano, rincorsa pronta.

Tornò alla sua forma solita con il cuore in gola, sguardo fisso oltre le figure che ogni tanto gli coprivano la visuale, intente ad uccidersi a vicenda. Sentì impellente la voglia di lasciare l'Arma lì dov'era e correre dall'angelo, magari spostarlo da lì, fermare il guaritore prima che fosse troppo tardi.

Ma era già troppo tardi.


L'arcangelo fece una corsa, balzò in aria leggiadro  ma determinato, spinto dalle ali dorate. A mezz'aria, alzò la spada, la cui lama lucida ed affilatissima parve scintillare alla luce di un sole che però non c'era.

Fece un affondo perfetto, netto e senza sbavature che andò a recidere la candida ala destra dell'altro con precisione chirurgica.

Gliela tagliò con la stessa facilità con la quale si infilano i cucchiaini nel burro fuso. Un ammasso bianco e scombinato di piume ricadde al suolo.


Dalla spalla della Luce Alata sgorgò una miriade di rivoli dorati.

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Capitolo 18
*** La Fine? ***


Crowley non avrebbe saputo spiegarlo. Fu come ricevere un colpo dritto al petto: una pugnalata che pungeva e doleva come non mai. Sentì la sua aura oscura iniziare a ribollire sempre più forte, sempre più insistente.

Le righe scintillanti, copiose e brillanti che scesero dalla scapola di Aziraphale parvero accecarlo. Erano fin troppo visibili in mezzo al grigiore, troppo evidenti su quegli abiti beige e crema. Spostò lo sguardo su Raphael e lo vide quasi soddisfatto, quasi contento del suo operato. I suoi occhi erano ancora color del sangue, i suoi capelli boccoluti ancora color del rame e le sue ali erano ancora bellissime, intatte e dorate come il sangue della sua vittima.

Il rosso strinse i pugni. Quel grandissimo stronzo era ancora in piedi. Aveva osato tagliare un'ala all'angelo, all'unico angelo con la testa apposto, al suo angelo.

Non poteva permetterlo. Fanculo la Guerra, e l'Arma, e il Paradiso, e l'Inferno. Il suo ipotetico cuore gli sbatteva nel petto, il respiro gli si era fatto pesante, poteva sentire tutto il suo essere bruciare.

Se con Adam aveva deciso di mostrarsi in una delle sue forme peggiori, adesso era stato invaso da un istinto primordiale che stava tirando fuori qualcosa di molto molto peggio.


Tutti gli angeli e tutti i demoni hanno una cosiddetta "vera forma": il vero aspetto che tengono ben celato, poiché troppo spettacolare o troppo grottesco da mostrare. Crowley conosceva bene la sua, ma non l'aveva mai fatta uscire davvero, se non in parte.

Quella volta fu quasi troppo facile. Avanzò verso Raphael, lasciando il resto dell'universo indietro. Non contava più nulla, non esisteva più nulla se non la parte più demoniaca della sua anima che stava già pregustando il sangue del guaritore.

Si stagliò in mezzo alla Battaglia: una longilinea creatura dalle lucidissime squame nere e rossastre, stupenda quanto spaventosa. Le ali gli erano rimaste sulla schiena - o meglio, laddove prima c'erano le sue scapole - ma erano grandi, lucide, adatte all'enorme Bestia che era diventato. Una Bestia dagli occhi quasi fiammanti e dai denti affilati, l'enorme testa puntata verso la sua preda e le fauci spalancate.

Quasi godette nel vedere Raphael che, finalmente, lo fissava terrorizzato. La spada scivolò dalle mani dell'arcangelo, intanto che indietreggiava; della sua sicurezza di poco prima non era rimasto nulla.

Era da tanto che un angelo non si ritrovava davanti ad un demone in tutta la sua, per così dire, "magnificenza". Chiunque sarebbe rimasto sconvolto, e la festa era appena cominciata.


Nemmeno il dolore importava più. Crowley si preoccupò solo di lanciarsi contro il guaritore, pronto ad affondare le zanne nelle eteree carni di quel maledetto. Sfortunatamente per lui, il solo avvolgerlo nelle spire fu abbastanza da causargli un bruciore lancinante che portò entrambi a urlare - o ruggire, o qualsiasi cosa fosse il verso che gli era uscito dalla gola.

La Battaglia si ridusse a loro due: la serpe che tentava di stritolare l'arcangelo e l'arcangelo che cercava di sfuggire alla serpe. Entrambe le loro essenze presero a fumare e la pioggia, che fino ad allora era rimasta ben nascosta tra le nubi, prese a cadere senza sosta.

Alla fine, dopo un disperato dimenarsi, Raphael scivolò dalla presa del demone. Piombò a terra, gridando più per i suoi arti ustionati che per la botta.

Il suo avversario, però, non era certo pronto a lasciarlo in pace. Indietreggiò solo per dare uno sguardo alle sue squame distrutte, dopodiché emise un sibilo e scattò ad afferrare la gamba del guaritore con le fauci. Se si concentrava, poteva diventare velenoso, ne era certo. O magari no... Beh, ormai non aveva più tempo di pensarci. Strinse bene il morso attorno alla caviglia dell'altro, sentendone il sangue scorrere, colare e sfrigolare nella sua gola. Le grida di dolore del bastardo furono abbastanza da rendere il suo stesso dolore più sopportabile.

Lo trascinò verso destra, lasciando che quelle stupide ali graffiassero per bene il terreno rotto e duro. Un'ala aveva reciso e con le sue stesse ali avrebbe pagato.

    Raphael prese a calciarlo con la gamba buona, tremante, piangente, disperato. «Lasciami!» Gridava, «bestia schifosa, lasciami!»

Ma Crowley era deciso a tenerlo stretto fintanto che non fosse Caduto, o fintanto che non fosse morto. A fargli cambiare idea fu nuovamente quella legge che impediva loro di avere un contatto diretto prolungato, la stessa che avrebbe voluto distruggere, la stessa che gli impediva di toccare il suo angelo.

Si staccò perché il dolore era diventato troppo. Inarcò la testa infastidito dal non poter trucidare quel maledetto come avrebbe voluto. Era ancora lì, lo schifoso: si era raggomitolato a terra, una pallina fumante di piume e lacrime.

Doveva finirlo: se lo meritava. Meritava di sparire per sempre. Meritava di essere ucciso brutalmente da un demone dopo ciò che aveva fatto. Avrebbe fatto arrivare la sua ora, avrebbe-


    «Crowley!» Urlò una voce familiare. Era decisa, forte persino; rimbombava nell'aria come un tuono, arrivandogli alle ipotetiche orecchie con una leggera eco.

Fu abbastanza da fargli abbassare un po' lo sguardo. I suoi occhi incontrarono una luce, o meglio, una figurina circondata dalla più bella luce che avesse mai visto.

    Questa ansimava, il braccio destro teneva stretta una lama, la Fiamma che ora sfarfallava sotto le gocce di pioggia, e gliela puntava contro. Non era minacciosa, però, era preoccupata: due occhi azzurri carichi di apprensione lo fissavano, lacrimando. Aveva una sola ala, aperta e brillante; al posto dell'altra c'era una scura macchia dai riflessi dorati che dalle scapole si estendeva lungo tutto il braccio. «Ti prego, fermati» mormorò, dolorante.


    Il demone tornò alla sua forma solita quasi repentinamente. Ora che la sua testa aveva ripreso a funzionare, la luce che aveva davanti prese a fargli male agli occhi in modo tremendamente familiare. «Aziraphale?» Sussurrò, la voce roca e rotta.

Solo allora si rese conto di molte altre cose, una più importante dell'altra. Prima di tutto, era ustionato in più punti, e la pioggia si schiantava gelida su ognuno di essi. Più rivoli nerastri di sangue gli partivano dalla fronte, dal naso e dalla bocca, cadendo a terra in torbide chiazze scure. Attorno a loro si era formata una fitta, ma non troppo, capannella di angeli e demoni basiti come non mai, feriti ma incuranti delle loro auree rotte.

Ogni singolo occhio, persino quelli nascosti di alcuni angeli, era puntato su di loro. Loro, l'arcangelo ferito e il bambino dal respiro affannoso e lo sguardo terrorizzato alle spalle di Crowley.


Il mondo intero aveva smesso di girare.


~•°•~


Dog correva a perdifiato verso il Confine. Il mondo gli sfrecciava lungo i fianchi, riducendosi ad una confusa serie di colori ingrigiti dal tempo terribile che si era appena abbattuto su di loro.

Poteva sentire i suoi tre piccoli cavalieri stringersi tra loro e alle redini, lamentandosi della pioggia che sferzava loro sul viso. Si incitavano, di tanto in tanto, intimandosi a vicenda di tenere duro, che erano quasi arrivati e che sarebbe andato tutto bene.

Ma il mastino infernale sapeva meglio di loro che quella non era che l'ennesima tregua. Poteva sentire l'aura del suo padrone più forte che mai: una ribollente e piangente chiazza nera, intrisa di fuoco dell'Inferno, pronta ad esplodere.

Erano agli sgoccioli, presto sarebbe stata la Fine con la "f" maiuscola e lui non poteva far altro che continuare a correre veloce come mai prima di allora.


~•°•~


Gabriel e Michael si fiondarono dal loro collega a terra. Il primo si preoccupò di cingere le spalle di Raphael, tirandolo a sé e fissandolo con gli occhi lilla pieni di preoccupazione misto confusione riguardo a ciò che era accaduto.

    L'altro, invece - che di certo non si faceva spaventare da enormi bestie incazzose - era molto più irato che preoccupato. «Sei solo un mostro assassino!» Urlò, la lama e la sete di vendetta fermate solo dal luminoso angelo che lo separava da Crowley.

Per un attimo, la triade parve essere tornata alla sua antica solidarietà. Se non fosse stato per gli occhi persi e sbarrati del guaritore, perlomeno.


Il rosso li ignorò. L'unica cosa a cui stava prestando attenzione era il suo sguardo preferito, quello ceruleo che lo fissava sempre, impossibilitato a fare altro. Lo vide spegnersi, rendendo ora più visibile quel volto morbido e senza una ruga che ormai conosceva meglio di qualsiasi altra cosa.

    Aziraphale abbassò la spada, facendosela ricadere faticosamente al fianco e gli sorrise. «Eccoti qui» mormorò, prima di crollare pesantemente verso sinistra.

Con un sussulto, Crowley gli fu subito accanto, preso da una morsa di puro e ben riconoscibile panico. Le sue ginocchia sbatterono per terra dalla foga, e prese a chiedersi se fosse stata in parte colpa sua. Forse avrebbe dovuto muoversi ad aiutarlo prima che Raphael lo riducesse in quel modo: una pallida, sanguinante figurina dal volto corrugato dal dolore. Lo fissò intanto che si rigirava faticosamente, in modo che la sua scapola martoriata e spoglia fosse esposta alla pioggia e al freddo, piuttosto che al ruvido terreno. La sola vista dell'icore dorato gli fece venire la nausea.

    «Cazzo» fu l'unica cosa che riuscì a mormorare e ripetere all'infinito, intanto che non sapeva dove mettere le mani - non che potesse effettivamente poggiarle da qualche parte. Sentì le lacrime rigargli le guance, ma si costrinse a ricacciarle indietro.

Non sarebbe finita così, non sotto il suo sguardo.

    Aprì le doloranti ali corvine, usandone una per riparare entrambi dalla pioggia e una per dar loro almeno un minimo sindacale di privacy. «Ce ne andiamo» affermò duro, il tono crepato dal pianto e dalla paura.

    L'altro schiuse appena un occhio, guardandolo confuso. «Cosa?» Chiese solo, forse troppo inebetito dal dolore o forse per qualche altro motivo che il rosso decise di ignorare.

    «Ho detto che ce ne andiamo!» Urlò infatti. «Ricordi cos'ha detto Anathema? In caso di emergenza torniamo alla Zona. E questa è una cazzo di emergenza!»

Un po' del suo sangue nerastro andò ad infrangersi sul braccio di Aziraphale, portando l'angelo a scostarsi un po', seppur debolmente.

Imprecando, distrutto dal leggero sfrigolio che quell'unica goccia aveva causato, Crowley si passò nervosamente un braccio sulla faccia, imbrattandola all'inverosimile. Andiamo via, ripeté la sua mente, come se pensarlo fosse abbastanza da farlo succedere davvero. Ti prego, ti prego, andiamo via.

    Ma l'altro gli afferrò debolmente una manica, come ad intimargli di non muoversi. «Non possiamo» disse, il tono così basso e spento che il rosso quasi faticò a capirlo.

    «Certo che possiamo! È come- è come quello che mi hai detto sul tetto. "Se le cose vanno male, ce ne andiamo". Lo hai detto tu» ripeté. «Ricordi?»

    Ma Aziraphale scosse la testa, o almeno: ci provò, cercando di mostrare in qualche modo il suo dissenso. Con una lentezza disarmante, si portò la mano destra alla scapola, salvo farla ricadere a terra subito dopo, le dita macchiate di sangue. «I rivoli» mormorò, «i rivoli dorati.»


Per la prima volta da quando erano arrivati, Crowley si mise effettivamente ad osservare i dintorni con attenzione.

Il mondo si era ridotto ad una breve Grigia Battaglia, la quale ora era bloccata a fissarli, ferma negli sguardi increduli delle Armate. Grigia come le nuvole sopra le loro teste, grigia come i toni che coloravano il Confine.

L'Amore era un arcangelo sotto shock, ora tremante tra le braccia di Gabriel, protetto dalla lama lucida di Michael. Non era Caduto, ma il contatto con Crowley aveva effettivamente bruciato e a tratti annerito le sue ali. Il "male" della profezia non era quello nel cuore di Raphael, ma quello che aveva alimentato la vera forma del rosso.

La Luce Alata aveva sì preso in mano la sua Fiamma, ma l'aveva usata per difendersi dall'ira del suo superiore. E lui, la Bestia dell'Eden, era ora al suo fianco, mangiato dalla paura di perdere l'unico essere al quale avesse mai voluto bene - e che gliene voleva a sua volta.

L'Arma forgiata dal fuoco dell'Inferno era alle sue spalle sottoforma di un bambino che piangeva, non sapendo cosa fare. Presto, e si vedeva, quel pianto sarebbe esploso in una distruttiva disperazione. Ma ora come ora, era davvero spenta, in stallo, persa. Inerme.

Ma i rivoli dorati non stavano affondando un bel niente. Anzi, forse stavano solo trascinando Aziraphale verso la morte.

Difatti, quando Crowley tornò a guardarlo, vide i suoi occhi preferiti chiusi, serrati da un dolore che andava ben oltre quello che causava la Dicotomia: il dolore che si provava ad essere feriti da un tuo simile; qualcuno che avevi considerato un porto sicuro.


No, no, no, no.

    Il panico lo portò a fare la prima cosa che gli venne in mente. Poggiò velocemente una mano sulla guancia dell'angelo, portando sé stesso a interrompere il contatto per il bruciore e l'altro a svegliarsi con un sussulto e un lamento. «Non mi interessa cosa dice quella stupida profezia!» Esclamò, non appena riebbe la confusa attenzione della sua controparte. «Perchè cazzo devono essere proprio i tuoi rivoli?!»

    Aziraphale sbuffò, passandosi debolmente le dita sulla guancia. Poi sospirò, evidentemente non conoscendo una risposta adeguata a quella domanda. Si limitò a incatenare lo sguardo a quello di Crowley, facendo cadere un breve silenzio. Poi, con un sorriso amaro sul volto, disse: «Sai, mi piace quando facciamo così.»

    L'altro aggrottò le sopracciglia. «"Così" come?»

    «Quando parliamo con gli occhi, intendo.»

    Il rosso si fece scappare un leggero rantolo di disperazione misto esasperazione. «E se tu li chiudi, mi spieghi come faccio a parlarti?»

    In risposta gli arrivò una mezza risata e un colpo di tosse. Ormai, sotto il corpo dell'angelo si era formata una pozza dorata annaffiata dalla pioggia. «Temo dovrai trovare una soluzione, o non potrò più rivolgerti la parola.»


La testa di Crowley prese a girare, forse per le ferite, forse a causa della paura e dell'ansia. Si costrinse a pensare, portandosi una mano tra i capelli, stringendosi le ciocche in un disperato tentativo di tirare fuori qualcosa, una cosa qualsiasi.

    «Beh, non sembra che la collaborazione stia andando molto bene» lo graffiò la vocina di Belzebù. Se n'era rimasto zitto fino ad allora ed aveva deciso di prendere parola al momento meno opportuno.

Si voltò per scoccargli uno sguardo assassino. La sua aura oscura riprese sommessamente a gorgogliare, decisa a fare a Beel ciò a cui Raphael era scampato.

    Ma si trattenne. «Perchè l'Arma sta funzionando da Dio, invece» ringhiò, allungando un braccio verso Adam. Ovviamente, la sua espressione alzò più commenti sia indignati che divertiti.

Il minuto signore delle mosche gliene avrebbe dette volentieri quattro, ma fu bloccato da un rumore capace di andare un po' oltre lo scrosciare della pioggia.


Ne erano successe di cose assurde, fino a quel momento. Ma nessun membro delle Armate, nemmeno i due della profezia, si sarebbe immaginato un risvolto del genere.


~•°•~


Sin dall'inizio, Adam si era semplicemente lasciato guidare.

Non poteva farci molto: era dominato da un istinto, una spinta che lo trascinava nel bel mezzo della Battaglia. Le voci che gli dicevano di fare il mondo suo avevano prevalso per una buona fetta del tempo, fin troppo breve, che aveva impiegato per raggiungere il Confine.

Sapeva bene cosa fare. Avrebbe rotto la superficie della Terra, fatto arrabbiare il cielo, dato fuoco alle piume degli angeli, tutto come programmato. Sarebbe stato un lavoro semplice, magari anche veloce e dalla riuscita assicurata. Avrebbe fatto il volere di suo Padre e tutto ciò che risiedeva sul pianeta sarebbe stato in parte suo.

Così aveva preso il suo posto alla mercé della parte più oscura della sua essenza, una trance che si era improvvisamente rotta quando, tra l'Armata del Male e quella del Bene, era comparso qualcuno.

Allora tutto il suo essere era andato in confusione. Era una lotta continua tra le voci nella sua testa e la strana sensazione di aver già visto l'angelo luminoso che gli aveva intimato di stare fermo lì dov'era, così come di aver già incontrato l'essere dall'aura arrabbiata e le ali dorate, così come di conoscere le braccia affusolate del demone che poi lo avrebbe tenuto stretto.

Per un po', era riuscito a soffocare quella familiarità. Era bastato un attacco, una spada gettata sull'altra, e finalmente aveva iniziato a fare ciò per il quale era nato: distruggere.

Intanto che combatteva contro qualsiasi cosa stesse cercando di mettergli i bastoni tra le ruote, i suoi poteri si insinuavano nelle profondità del pianeta. Il terreno si rompeva, i terremoti si scatenavano e buttavano giù le strutture, i fulmini piombavano dal cielo, incendiando gli alberi. Intanto che le Armate cozzavano le une sulle altre, lui attaccava e sgretolava, contrattaccava e polverizzava.

Bastò un attimo, un solo secondo, una sola visione a bloccarlo di colpo.


L'arcangelo dalle ali dorate, lo stesso per il quale aveva provato una particolare ondata di odio all' inizio, aveva appena fatto un affondo perfetto. La sua affilatissima lama aveva staccato l'ala destra dell'angelo che aveva creduto di conoscere, facendo sgorgare la più sacra delle sostanze: il sangue dorato delle creature celesti.

Lì, l'Arma venne investita da un ricordo. Aveva già visto quei rivoli dorati il giorno in cui il suo destriero aveva combattuto contro il guaritore: brillavano in mezzo alle ustioni sul suo braccio. Aveva già visto quell'espressione di shock misto dolore il giorno in cui aveva ferito l'angelo della Zona per errore; lo stesso giorno in cui aveva trascinato il demone con i capelli rossi all'Inferno, lo stesso con il quale stava combattendo. Lo stesso che si eresse davanti ai suoi occhi, andando subito a scagliarsi contro l'arcangelo.

I suoni di quell'aggressione si ridussero a dei rimbombi che gli torturavano i timpani. Nonostante sia la bestia che il guaritore stessero soffrendo del contatto, la prima non lasciò andare la sua preda se non per urlare quanto dolore stesse provando. Era sbagliato, era male, ma continuava.

Voltò lo sguardo verso l'angelo ferito, il quale si stava faticosamente rimettendo in piedi. Lo conosceva davvero: Aziraphale era una creatura cordiale e molto, molto luminosa che gli era piaciuta sin dal primo momento. E Crowley normalmente non era così, anzi: aveva sempre un'espressione aggrottata, certo, ma c'era qualcosa dietro a quella maschera che gli aveva sempre ispirato fiducia.

Le cose non sarebbero dovute andare in quel modo, ma ormai era troppo tardi. Persino quando le acque si calmarono, poté sentire le voci nella sua testa litigare con la consapevolezza che non voleva, non voleva fare del male. Non voleva conquistare il mondo. Non voleva né bruciare auree, né rompere essenze, niente di tutto ciò.

Sentiva il fuoco dell'Inferno iniziare a mangiarselo. Presto, avrebbe perso e avrebbe fatto ciò che suo Padre voleva. Era questione di minuti ormai. Forse secondi.

Gli dispiacque così tanto. Aveva fatto involontariamente soffrire i due esseri ai quali si era affidato. Seppur involontariamente, era colpa sua. Sin dal giorno in cui era nato, tutti lì avevano avuto i giorni contati.


Poi accadde qualcosa di particolare, qualcosa di cui si era momentaneamente dimenticato.

Udì un galoppo familiare, zampe velocissime sul terreno, il guaito di un'aura che conosceva bene.

Dog oltrepassò tutti gli angeli e tutti i demoni sul suo cammino e, veloce come un fulmine, gli si avvicinò, gli afferrò il colletto coi denti e lo portò via. 

Più si allontanavano dal campo di battaglia, più la mente di Adam si faceva sgombra - seppur non del tutto silenziosa. Nello sballottamento generale, la testa mezza in subbuglio e la pioggia, riuscì persino a sentire dei versi di giubilo provenire dalla groppa del suo cane.

    «Lo abbiamo preso!» Esultò una voce.

    «E senza intoppi!» Ne seguì un'altra.

    «Guardate che potrebbe ancora incenerirci tutti!» Gridò un'ultima. «Dove andiamo adesso?»

    Alzando lo sguardo, l'Arma intravide i tre piccoli cavalieri battibeccare. Ma certo: li aveva incaricati di portarlo via se le cose si fossero messe troppo male. E infatti, eccoli lì: intervenuti al momento giusto. Per la prima volta dopo chissà quanto, sorrise. «Ciao, ragazzi» salutò, cercando di seguire l'andatura del suo - anzi, del loro - destriero.

    «Ciao, Adam!» Gli risposero i tre, in coro, smettendo per un attimo di discutere sulla prossima mossa.


Cavalcarono ancora, diretti verso un punto imprecisato del Confine. Durante quei lunghi minuti, il continuo discutere dei compagni di Adam si mescolò ad una strana e crescente sensazione che il ragazzino non riuscì a decifrare. Decise quindi di concentrarsi a sua volta sulla destinazione, dicendosi che forse sarebbero dovuti andare alla Zona, ma che forse era ancora troppo presto...

Nessuno dei quattro ebbe comunque tempo di prendere una decisione. Fu qualcun altro a farlo per loro.


L'ultimo "qualcuno" che Adam avrebbe voluto vedere.


~•°•~


Aziraphale non seppe che pensare. A dirla tutta, nessuno seppe che pensare.

Era accaduto così in fretta da lasciare le Armate di stucco. Belzebù aveva persino fatto cadere la sua frusta a terra per lo stupore.

Avrebbe giurato di aver visto Dog con i tre della Zona in groppa, ma vero era che la testa gli girava davvero tanto, il dolore se lo stava mangiando e faticava a tenere gli occhi aperti. Perciò, quasi sicuramente, si stava immaginando tutto.


Fece ricadere la testa al suolo. L'aveva alzata nel tentativo di mettere la scena a fuoco, ma non ce la faceva semplicemente più.

Era stanco; laddove prima c'era la sua ala, ora c'era solo dolore. Un dolore lancinante.

Sentì delle voci confuse, qualche lamento, ma stavano scivolando via, sparendo come neve al sole.

    Un bruciore alla guancia lo riportò brutalmente alla realtà. «Non pensarci neanche, angelo» ringhiò Crowley, afferrandolo per il bavero della camicia. «Non ti azzardare a lasciarmi solo in mezzo al casino.»

Oh, povero Crowley. Aveva il volto macchiato dello stesso sangue che ancora gli colava lentamente sul volto. Aveva la pelle ustionata, le lacrime agli occhi e la sua stretta tremava, instabile, ansiosa, sempre più debole. Avrebbe voluto aiutarlo, ma non sapeva come.

Doveva succedere qualcosa, adesso? Avrebbero dovuto fare qualcosa loro e, semplicemente, gli stava sfuggendo?

Una violenta scrollata gli fece riaprire gli occhi. Non si era nemmeno accorto di averli chiusi.

    L'altro lo stava praticamente scuotendo. «Aziraphale, ti prego!» Singhiozzava. «Non so cosa fare!»

    Avrebbe voluto fuggire. Forse avrebbero dovuto? L'angelo ne aveva idea. Nemmeno lui sapeva cosa fare, adesso. Si limitò a puntare gli occhi in quelli dell'altro, lo sguardo affranto. Lo ammise, la voce flebile: «Non lo so.»

Si sentiva osservato, ma probabilmente lo era davvero. Non era una scena da tutti i giorni, quella: un angelo e un demone che si fissavano disperati, così vicini da quasi toccarsi. Chiunque avrebbe voluto capire cosa sarebbe successo, adesso. Sempre che fosse effettivamente accaduto qualcosa.


Crowley vacillò, ma non lo mollò mai. Aveva paura, gli occhi gli si erano ridotti a due pozze dorate, tagliate da una linea sottile. Erano bellissimi, Aziraphale si accorse di averlo sempre pensato. Forse avrebbe dovuto dirglielo, ma non riusciva nemmeno più a parlare.

Allora era così che sarebbe finita. Non avrebbe mai capito il perché di certi pensieri, né avrebbe visto quel rapporto così particolare crescere. 

Provò a sorridere. Era l'unica cosa che poteva fare: gettare un piccolo, minuscolo bagliore in mezzo a quel grigiore terribile.

Fu allora che il rosso lo mollò di colpo.

Ma fu solo un secondo.


Lo riprese al volo, cingendogli le spalle in uno strettissimo abbraccio.


Aziraphale sussultò e il respiro gli si mozzò in gola, metaforicamente ma dolorosamente. Sbarrò gli occhi intanto che un bruciore si espandeva lungo tutta l'aura, incendiandogli l'essenza, pizzicandogli le membra. Prese a tremare e a piangere; faceva così male da cancellargli i pensieri e limitargli i movimenti. Era una serie di lancinanti esplosioni di pizzichi e spasmi che non lasciavano scampo.

Tutti attorno a loro fecero più passi indietro, schifati, stupiti, scioccati.

Dalla stretta partì del fumo, intanto che i loro corpi fisici ed eterei si consumavano ogni secondo di più. Il contatto li avrebbe eliminati nello stesso momento, lentamente ma inesorabilmente.

Eppure, Crowley non si mosse se non per stringerlo ancora più forte. Ancora più disperatamente.

Non lo avrebbe lasciato mai, l'angelo se ne rese conto. Così come si rese subito conto di un'altra cosa: nemmeno lui voleva lasciarlo.

Così, tremante, trafitto da un dolore che non avrebbe mai trovato le parole per descrivere, ricambiò la stretta. Circondò quelle belle ali corvine, consumandole così come loro presero a consumargli le braccia. Affondò il naso in quei lunghi e umidi capelli rossi, e lasciò che la pioggia scrosciasse loro addosso.


Se avesse potuto volgere lo sguardo, avrebbe visto Raphael riprendersi lentamente e fissarlo, stralunato.

    Probabilmente, lo avrebbe sentito mormorare un flebile: «Non è possibile...» carico di genuino stupore.


Ma né lui né Crowley videro o sentirono niente. Si occuparono solo di tenersi stretti, incuranti del mondo. Incuranti della dicotomia che li stava uccidendo.

Nessuno avrebbe saputo dire chi cedette per primo. Nessuno, in realtà, fece in tempo a vederlo.

Era accaduto qualcosa durante quell'abbraccio. Aveva iniziato ad echeggiare una strana e crescente aria di cambiamento, la stessa che Adam aveva percepito ma alla quale non era riuscito a prestare attenzione, sopraffatto dal resto.


L'equilibrio del mondo si era rotto, spezzato da un gesto. Due creature strette l'una all'altra erano sparite di colpo dal campo di Battaglia.

Tre bambini, un segugio infernale e l'essere ancor più infernale che reggeva con le fauci si erano invece ritrovati davanti ad un essere mostruoso che aveva spaccato il terreno davanti a loro, emergendone come uno zombie.

Era mastodontico, spaventoso, aveva due ali che avrebbero potuto fare tutto tranne che aiutarlo a volare, tanto erano bruciate.

Adam percepì forte un senso di paura e oppressione.


Davanti a lui c'era suo Padre.

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Capitolo 19
*** Comunque vada, tu stringimi più forte ***


I tre della Zona avevano sbarrato la bocca all'unisono, una quasi rapita, uno decisamente stupito e l'altro ancor più decisamente spaventato.

Dog, invece, aveva emesso un guaito impaurito e aveva aperto le fauci solo per lasciare andare il suo padrone.

Sopra di loro, serio ed imponente, c'era il Re dell'Inferno in tutta la sua grottesca potenza: fuoriusciva a metà dalla terra che aveva divelto, possente, le corna sulla sua testa parevano essere state ben lucidate e limate.


    «Quello è tuo Padre?!» Esclamò Pepper. La sua voce echeggiò nella nebbia che si era creata.

Persino la pioggia aveva smesso improvvisamente di scrosciare imperterrita, come se si fosse impressionata a sua volta.

    Adam sospirò, in modo da allontanare almeno un minimo di ansia. «Già. Mi sa che sono proprio nei guai». Si voltò verso i suoi compagni, rivolgendo loro un sorrisetto rassicurante. «Ci penso io, restate qui.»

E quelli lo fecero, fissandolo con tanto d'occhi intanto che si avvicinava sempre più alla mastodontica creatura a pochi metri da loro. Erano infreddoliti, bagnati, soli davanti all'essere più pericoloso dell'universo; lo stesso che avrebbe potuto trasformare Adam in una bomba ad orologeria con uno schiocco di dita se avesse voluto. Eppure non si mossero se non per stringersi un po' l'un l'altro, mani ancora ben ancorate alle "redini" di Dog.

Osservarono la piccola Arma andare incontro al suo Creatore, fermandosi davanti alla nerastra e possente parte di torso che sbucava dal terreno. Non sembrava preoccupato, né impaurito, ma tutti e tre ci avrebbero messo la mano sul fuoco dicendo che era tutta una facciata.

    Gli occhietti duri e scuri del Ribelle si posarono su di lui. Poi, una voce profonda, cavernosa, così vibrante da far tremare l'aria, ruggì: «Tu. Tu verrai con me.»

Adam non aveva idea di cosa ciò volesse dire. Automaticamente, però, chiuse gli occhi - anche perché aveva visto suo Padre muovere un braccio, e l'istinto gli aveva suggerito di fare molta attenzione. Già si immaginava di venire afferrato, stritolato in quel grosso palmo e portato all'Inferno.

Ma nulla di tutto ciò accadde, né venne investito dall'odore di zolfo o dalle eteree urla delle anime dannate. Fu allora che si decise a riaprirli.


Non faceva più così freddo, non si sentiva più l'odore di pioggia ed erba bagnata, i suoi capelli e i suoi abiti erano tornati asciutti come non mai, e il Confine era sparito, lasciando posto ad una distesa infinita di nuvole sormontate da un cielo azzurro e terso. Il tutto era armonizzato da una luce calda e da un tepore rassicurante; tirava un venticello placido e tiepido che fece sentire Adam immediatamente meglio, tanto che il nodo nel suo stomaco si sciolse gradualmente.

    Nemmeno la vista di suo Padre, ancora davanti a lui, lo preoccupò. Anzi, notò con interesse che sembrava nervoso oltre che molto, molto arrabbiato. Era tornato ad avere lo stesso aspetto elegante e curato di sempre, e stava torturando le maniche ben stirate del suo completo scuro, borbottando: «Odio, detesto questo posto.»

    Adam avrebbe voluto chiedere cosa e dove fosse esattamente il luogo in cui si erano misteriosamente ritrovati, ma venne bloccato da un eccitato abbaiare alle sue spalle. «Dog, ci sei anche tu!» Notò, accogliendo tra le braccia la versione piccola, docile, bianca e nera del suo cane.

Il momento di giubilo venne fermato dal Ribelle stesso, il quale afferrò il gomito di Suo figlio, iniziando furiosamente a marciare verso un punto imprecisato di quel banco di nuvole senza dire una parola.

Il ragazzino non oppose resistenza - stranamente, non ne sentiva il bisogno - lasciandosi guidare in mezzo a quel luogo dalle sfumature ovattate ed oniriche. Si guardò attorno, cercando di capire in che modo chiunque avrebbe potuto orientarsi lì in mezzo, ma l'unico punto di riferimento che vide fu il piccolo albero - un melo, a giudicare dai frutti - accanto al quale si fermarono.

Sotto all'esile arbusto, proprio davanti a loro, comparvero presto tre luminosissime figure che lasciarono Adam con gli occhi sbarrati.

Una di esse, quella a sinistra, aveva sembianze maschili, gli occhi verdissimi, i capelli castani ben acconciati e una barba curata ad ornare un viso deciso e squadrato. A destra ce n'era una più esile, gli occhi grigi, il viso femminile sormontato da un elegante taglio corto e corvino. Entrambi avevano non una, non due, ma ben sei bellissime ali colorate dietro la schiena.

Davanti a loro, proprio in mezzo, c'era quella che pareva una donna. Il ragazzino non poteva saperlo, ma assomigliava moltissimo ad Eva: la prima umana. Aveva una meravigliosa pelle scura spruzzata d'oro, così liscia che pareva marmo lavorato, ma al contempo così morbida da portare chiunque al volerla accarezzare. I Suoi boccoluti capelli neri erano volute perfette, decorate da nastri dorati anch'essi, intrecciati ad arte tra le ciocche. Aveva le stelle negli occhi scuri, e li guardava con una dolcezza e una bontà disarmanti, genuine, vere.

    Fu proprio Lei a prendere parola. «Sapevo che sareste venuti» affermò, la voce armoniosa.

    Il Signore del Male, primo Ribelle, fissò la Signora del Bene, Madre di Tutti e Regina del Paradiso, come se volesse incenerirla con lo sguardo. «Certo, perché Tu sai sempre tutto, vero?» Ringhiò. «Bene, allora spiegami questo

Con un movimento deciso del braccio, buttò Adam e Dog proprio nella piccola area di nuvole in mezzo a loro. Subito, il cagnetto prese a scodinzolare ed abbaiare felice, tanto che il ragazzino dovette lasciarlo andare perché non si dimenasse troppo tra le sue braccia.

Saltellando come un coniglietto, Dog andò a cercare attenzioni proprio da Lei, rigirando su sé stesso. Adam ne rimase piacevolmente sorpreso e decisamente divertito: il suo cane doveva aver percepito la stessa simpatia, senso di sicurezza e dolcezza che Lei pareva emanare.

    Difatti, Dio si abbassò, raccolse la scodinzolante creaturina e lasciò che riempisse il Suo volto di umidi "baci". «E tu cosa saresti, piccolino?» Chiese divertita, come se non lo sapesse già.

    «È un segugio infernale, Signora» rispose l'angelo a sinistra.

    «Effettivamente, di solito sono molto più grandi di così, Signore» affermò l'angelo a destra.

    «Si vede che qualcuno lo ha addestrato bene» disse Lei. Poi si voltò verso il ragazzino con un sorriso dolce sul volto: «Vero, Adam?»

    Quest'ultimo la fissò con tanto d'occhi. «Sai il mio nome?»

    «È il nome che diedi al primo uomo sulla Terra» spiegò Dio, accarezzando delicatamente la testolina di Dog. «E poi, io so tutto» aggiunse, facendogli un occhiolino.

    Il Ribelle, però, era tutto fuorché divertito. «La smetti di fare i tuoi comodi e mi rispondi, una volta tanto?» Inveì. «E poi, perché ci siamo incontrati da Te? Pensavo facessimo a turni.»

    «Difatti, mio caro collega, l'ultima volta ci siamo visti nella tua, chiamiamola, sala del trono. Ricordi?» Affermò Lei, calma e cordiale.

Adam si stupì dello strano rapporto che sembrava intercorrere tra quei due che, ed era un dato di fatto, sarebbero dovuti essere acerrimi nemici. Lui era chiaramente infastidito, ma non c'era traccia nei suoi comportamenti della stessa violenza che riservava ai demoni Suoi sottoposti. Lei era un mare calmo, leggermente increspato dal vento, che non si lasciava disturbare dalla tempesta che era il Suo Avversario. Laddove Lui si agitava, Lei rispondeva con il sorriso.

Non si scontravano poi tanto, si rese conto il ragazzino. Più che altro, parevano quasi completarsi.

    Il Re dell'Inferno si fece ricadere le braccia lungo i fianchi, esasperato. «Va bene, come ti pare. Ora però confessa: Tu sapevi, vero?» Chiese, gli occhi ridotti a due fessure. «Come al solito stavi tramando tutto in silenzio, eh? Sapevi che sarebbe finita così». Pronunciò le ultime parole indicando Adam con un dito.

    La Regina del Paradiso gli rivolse una specie di piccolo broncio. «Tutti credono che mi piaccia essere subdola, quando in realtà non faccio che mandare segni» affermò. «Qualcuno sapeva eccome dei Miei piani per questo giorno. Li ho fatti scrivere nero su bianco. Non è vero, Adam?»

Il ragazzino annuì energicamente. Certo, la profezia era stata un gran bel grattacapo da gestire: era vaga, tutta una metafora, ma precisa su ciò che sarebbe accaduto. Su quello, Dio aveva ragione.

    «In quanto al tuo piccolo sprazzo di Inferno» riprese poi quest'ultima, «è solo un bambino. È curioso come qualsiasi bambino al mondo. Se lo volevi obbediente, avresti dovuto creare un cane.»

Dog abbaiò a quella constatazione, un po' come se si fosse sentito chiamato in causa.

    L'espressione del Ribelle si rabbuiò, ma non per la resa. Era stato colpito e affondato su quel punto, ma c'erano ancora altre questioni che voleva mettere in tavola. «Sì, ma la dicotomia! Hai fatto sparire ciò che contraddistingue i nostri Regni da sempre.»

La parola "sparire" fece sussultare Adam. Allora era accaduto davvero... che fosse quella la strana vibrazione nell'aria che aveva sentito? Quella alla quale non era riuscito a prestare attenzione ma che aveva chiaramente sentito echeggiare sommessa?

    Dio parve quasi illuminarsi - sia metaforicamente che non. «Proprio qui ti volevo, caro collega» disse, rimettendo Dog a terra - o sulle nuvole, o su qualsiasi cosa ci fosse davvero sotto di loro. «Perchè ti sbagli: io non ho fatto sparire proprio niente. Sono stati loro.»

    La voce dell'altro si ridusse ad un rombo profondo. «Già. Parliamo di quel tuo angelo.»

    «O parliamo di quel tuo demone.»

    «Loro. Quei due, quei- non riesco neanche a definirli» balbettò il Ribelle, mosso da un moto di incredulità e disgusto.

    Lei gli venne incontro, elencando: «Amici, colleghi, controparti, partner... Sarò sincera: così come non lo sai tu, non lo sanno loro e non lo so io. Di sole due cose sono certa: la prima è che hanno fatto una cosa senza precedenti, e la seconda è che per questo li adoro.»

    «Tu sei di parte. Adori praticamente tutto e tutti» precisò Lui, alzando gli occhi al cielo.

    Adam li fissò entrambi a turno, improvvisamente preoccupato. L'ultima volta che aveva visto Aziraphale e Crowley, le cose si stavano mettendo molto ma molto male per entrambi. Chiedere gli venne spontaneo: «Perchè, che hanno fatto? Stanno bene?»

    Dio lo guardò, affranta. «Temo si siano stretti l'un l'altro così tanto da consumarsi.»

Il ragazzino emise un solo, triste: "Oh" che lo portò a volgere lo sguardo verso il basso. In effetti, non c'era scritto da nessuna parte che sarebbero sopravvissuti. Era forse la cosa più logica farli immolare in favore di un bene collettivo e superiore, per quanto triste potesse sembrare. Nonostante ciò, Adam faticò a trattenere una lacrima. Ormai ci si era affezionato, in un certo senso, a quelle creature così particolari che tanto avevano fatto per dimostrare a tutto il Paradiso e a tutto l'Inferno quanto si sbagliassero.

    Dog si avvicinò alla sua gamba mugolando, mentre Lei, con fare materno, gli poggiava una mano sotto il mento, portandolo a guardarLa. «Non preoccuparti. Ho un modus operandi basato su una convinzione: che non si muore mai davvero.»

Ciò instaurò un briciolo di speranza nel cuore di Adam. Se c'era qualcuno capace di risolvere la situazione, quel qualcuno era Dio.

    Peccato che questo portò suo Padre a fare una faccia sconvolta, stralunata e decisamente tutt'altro che contenta. «Dici sul serio? Qual'è il Tuo piano? Stravolgere l'equilibrio del mondo dopo tutto questo tempo? Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per instaurarlo?»

    «Mio caro collega, temo ti sfugga il concetto di "fine"» lo rimproverò l'Altissima. «Una porta si chiude perché un portone possa aprirsi. È ora di cambiare un po' le regole. Vero, miei fedeli aiutanti?» Chiese poi, rivolgendosi ai suoi angeli.

Questi, rimasti fino ad allora in religioso silenzio, annuirono all'unisono.

    «Sì, Signora» disse quello a sinistra.

    «Certamente, Signore» gli fece eco quella a destra.

    «Perciò, ci attende una lunga chiacchierata» riprese Dio, guardando l'altro con il fare di chi non vuole sentire ragioni. «Da adesso in poi, propongo di eliminare gli effetti fisici della dicotomia e di lasciare i nostri scontri in mano alle Armate. Gli umani, per natura, hanno il diritto di scegliere da sé quale strada seguire. In fondo, abbiamo sempre sbagliato a ridurli al pari di angeli e demoni, senza tenere da conto la loro personalità ambivalente. Ma è un discorso che affronteremo.»

    Attorno al Ribelle parve formarsi un alone nero e fumoso che fece fare ad Adam un passetto indietro. Attorno al corpo solo apparentemente perfetto di suo Padre andarono crepitando piccoli fulmini rossastri. «Questo è quello che vuoi fare dopo tutto questo casino? Rimescolare le carte in tavola come pare a Te?»

    L'angelo a sinistra fece un passo avanti. «Devo intervenire, Signora?»

    Ma Dio scosse il capo, per niente impressionata da quella reazione. «Non è necessario, Vehuiah. È solo una delle sue solite sfuriate» affermò, prima di volgersi nuovamente verso il suo Avversario. «Sai bene che non mi permetterei mai di decidere per i Tuoi sottoposti. Ci sono e ci saranno sempre cose che ti appartengono di diritto. Su quelle hai pieno dominio.»

Mettendosi le mani tra i capelli, il Re dell'Inferno si prese qualche prezioso secondo per fare nervosamente avanti e indietro per le nubi. Agli occhi di Adam, che lo aveva sempre visto composto e risoluto, la scena parve persino divertente.

    Alla fine, il capo dei demoni fece un verso di frustrazione, puntando il dito contro Suo figlio. «Ti piacciono tanto gli umani? Bene. Allora per me puoi unirti a loro. Goditi la tua breve e misera vita mortale. Tu e quel maledetto cagnaccio» inveì. «In quanto a Te» aggiunse poi, occhi di fuoco puntati sulla Regina, «non si può vincere sempre. Non scordarlo.»

    Ma Lei, con un leggero sospiro, molto semplicemente gli sorrise. «Mio caro collega, in questo caso nessuno di noi due ha vinto. Semmai, abbiamo perso entrambi.»

Ma l'altro aveva detto ciò che voleva. Mandò, così per ripicca, un fulmine a rompere un po' l'altrimenti immacolato cielo sereno; azione che fece fare un passo avanti all'angelo a destra.

    Dio alzò una mano, fermandola. «Lascialo andare, Jeliel. Gli parlerò dopo con calma.»

E Jeliel obbedì, tornando accanto a Vehuiah - con il quale si scambiò qualche parola e un'occhiata seria.

Fu l'ultima volta che Adam rivide suo Padre. Questi, scomparve in una potente e calda fiammata che annerì le nuvole in quell'area, il volto contorto in una maschera di rabbia e delusione. Il fumo che lasciò sul suo cammino era nero e denso come l'atmosfera dell'Inferno, ma venne subito inglobato e portato via dal vento placido del Paradiso.


Il ragazzino sentì un peso svanirgli dal petto. Si accorse di essere libero, adesso. Mortale ma libero. Era una sensazione agrodolce, ma bella e particolare: sapeva di nuovo inizio.

    Dio andò a posargli una mano sulla spalla, tranquilla come se avesse assistito al più comune dei fenomeni. «È sempre stato facile all'ira» spiegò, gli occhi fissi sul punto dal quale il Ribelle era sparito. «Non ha mai sopportato che le cose non andassero come diceva Lui.»

    «E la cosa Ti dispiace?»

    «Come potrebbe non dispiacermi? Diceva il vero affermando che adoro tutto e tutti. Il Mio è un Amore incondizionato che il più delle volte fa male. Ma ne vale la pena». Poi, battendo le mani, l'Altissima scacciò la leggera ombra che si era posata sul Suo viso. «Ma basta tergiversare. Andiamo per gradi.»

Vehuiah e Jeliel si rimisero sull'attenti. Persino loro parevano più rilassati ora che l'ex Padre di Adam se n'era andato.

    «Potreste portarmi qui Raphael?» Chiese loro Dio con la cordialità di una richiesta, piuttosto che con la durezza di un ordine. «Ho bisogno di dirgli una cosa.»

E i due angeli, dopo un solo cenno del capo, eseguirono, sparendo in un lampo e lasciando la loro Regina, Adam e Dog da soli.

Il ragazzino si sarebbe aspettato perlomeno qualche minuto di attesa; invece, dopo nemmeno tre secondi, i due aiutanti di Dio ricomparvero in un fascio di luce. Tenevano ciascuno un braccio di Raphael, il quale parve dapprima sorpreso, poi spaesato, e infine - dopo aver posato lo sguardo sulla Madre di tutti - in tutto e per tutto terrorizzato.

Era ancora ferito, i suoi occhi rossastri erano più lucidi di un vaso di porcellana, e aveva i boccoli ramati del tutto divelti. Quando Vehuiah e Jeliel lo lasciarono, era così debole che cadde in ginocchio sulle nubi. Manteneva lo sguardo basso e tremava; una visione che fece sentire Adam terribilmente in colpa per l'odio che aveva involontariamente gettato addosso a quella creatura disperata.

    Ma Dio, come se non avesse notato quella reazione, si illuminò e gli andò incontro. «Amor Mio, che gioia rivederti» esclamò, raggiungendo il Suo arcangelo e cingendogli dolcemente le spalle con le braccia.

Quello che era stato suo Padre gli aveva sempre passato le mani tra i capelli con una freddezza inimmaginabile, pensò Adam. Dio, invece, era corsa dal Suo angelo più rotto, dubbioso e sporco di icore dorato per stringerlo a Sé. Quello sì che era amare il proprio creato.

    Raphael parve capirlo, dato che quasi subito prese a singhiozzare, affondandoLe il volto nella spalla. «Mi dispiace» pianse, la voce strozzata. «Mi dispiace tanto, io- io-»

    Ma Lei lo zittì, accarezzandogli la testa, attendendo che tutto passasse. «Calmati, Amor Mio. Non hai fatto nulla di irreparabile.»

    Il guaritore scosse il capo, scostandosi per guardarLa negli occhi. «No, Voi non capite. L'ho sentito forte e chiaro quando si sono abbracciati. Non vedevo una cosa del genere da secoli, forse di più. Era Amore, Madre. Amore» ripeté, tra i singhiozzi. «Tra due creature così contrapposte... non è possibile. Eppure-» si bloccò, senza sapere cos'altro dire, il respiro corto.

    Dio gli sorrise, scostandogli una ciocca ramata dalla fronte. «Allora è così che stanno le cose. Bene, vorrà dire che dovremo sistemare la situazione, cosa ne pensi?»

    «Ma, Madre» lamentò Raphael, passandosi le mani sugli occhi ancora lacrimanti, «ho fatto una cosa terribile. Aziraphale, la sua ala, io- non posso certo curarla. Stava morendo ancor prima di quell'abbraccio ed è stata tutta colpa mia.»

    La risata cristallina dell'Altissima riecheggiò nell'aria. «Oh, Amor Mio. Conosco la Mia Luce meglio della posizione delle stelle in cielo: starà bene e alla sua ala ci penserò Io. Pensa solo ad aiutare entrambi il più possibile, va bene?»

    «E-entrambi? Madre, non ho mai curato un demone in tutta la mia esistenza. Da dove dovrei cominciare?»

    «Esattamente da dove cominci con gli angeli, Amor Mio. Devi solo evitare l'acqua santa». Detto ciò, Dio gli prese le mani e lo aiutò ad alzarsi.

    Con stupore, il ragazzino notò che Raphael era tornato l'arcangelo perfetto e composto di una volta. Non aveva un'ustione, né un livido, solo i segni delle lacrime sulle guance. E adesso le pozze rosso sangue che erano i suoi occhi lo stavano fissando, serie. «Credo di dovere delle scuse anche a te. Adam, mi pare, vero? Aziraphale ha fatto il tuo nome sul campo di battaglia.»

    Questi annuì. «Eri arrabbiato e spaventato. Stavi solo cercando di proteggere il tuo lato di Terra. Non te ne faccio una colpa.»

    «Mi dispiace anche di aver ferito il tuo, ehm, destriero?»

Dog abbaiò, come a sottolineare il fatto che ormai non era più il destriero di nessuno. Le sue ridotte dimensioni gli andavano più che bene, anzi: era meglio essere trasportati che trasportare.

    Fu Adam stesso a tradurre per lui. «Dog adesso è semplicemente il mio cane. Ma non preoccuparti: era solo un graffietto» affermò, scrollando le spalle. «Lo abbiamo sistemato subito.»

    Il guaritore gli rivolse un cenno del capo. Dopodiché si volse verso Dio. «Dove posso trovare i miei pazienti?» Chiese con una risolutezza che tanto si allontanava dal nervoso e dalla rabbia che aveva provato fino ad allora. Se il ragazzino fosse stato ancora capace di dare uno sguardo alla sua aura, era certo che l'avrebbe vista calma e felice.

    L'Altissima si prese Raphael da parte per qualche secondo, dandogli qualche indicazione che Adam percepì a malapena. Quando il guaritore si scostò, però, rivolse ad Adam un'altra occhiata e un leggero sorriso. «Spero potrai perdonarmi del tutto per non aver colto prima le tue intenzioni» gli disse. «Ci rivedremo.»

Non era un semplice saluto, ma una promessa. L'Amore e l'Arma (ex-Arma, oramai) si diedero l'arrivederci e Raphael, con uno schiocco di dita, si teletrasportò altrove.

Nel mentre, Dog aveva iniziato a provare un certo interesse per le piume di una delle sei ali di Jeliel - la quale, però, ne fu più piacevolmente divertita che altro. Faceva qualche salto, cercando di afferrarle con i dentini aguzzi; peccato che fosse destinato a fallire tutte le volte che l'angelo le spostava fuori dalla sua portata.

Accanto a loro, Vehuiah osservava la scena con le braccia incrociate e un leggero sorriso sul volto dai tratti decisi.

Dio si mise una mano sull'ipotetico cuore, probabilmente intenerita da quel quadretto. Ancora una volta, diede la conferma di essere una Madre che si comportava come tale: qualcosa che ad Adam era sempre mancata.


    Ad un certo punto, questi la guardò, inclinando la testa. «Cosa succederà adesso?» Chiese, genuinamente curioso.

Effettivamente, aveva solo mezzo piano in mente. Sarebbe andato alla Zona, avrebbe giocato con i tre, si sarebbe goduto tutto il tempo che aveva con Dog, con gli altri umani, magari anche con altri bambini; e poi ci sarebbero stati anche Aziraphale e Crowley. La Zona, almeno per un po', sarebbe stata l'unico punto invariato in mezzo ad un mondo che stava cambiando.

Non sembrava male. Sarebbe persino cresciuto ad un certo punto: una prospettiva che non aveva mai avuto modo di considerare.

    Dio, come se sapesse a cosa stava pensando - e forse lo sapeva davvero - gli strizzò un occhio. «Aspetta e vedrai» disse solo.


Si presero del tempo che l'Altissima utilizzò per dare ad Adam alcune indicazioni importanti: la prima, dire a Pepper che sarebbe stato carino se avesse fatto uscire un po' anche la parte dolce di lei - e non solo quella da capetto. La seconda, dire a Brian che per quanto tenero fosse il suo facciotto ricoperto di briciole, avrebbe dovuto farsela una doccia ogni tanto. La terza, spronare Wensley a far fronte ad alcune delle sue ansie - senza mai lasciarlo solo nel processo. La quarta, rivolta ad Adam stesso, stare sempre a sentire gli adulti della Zona. La quinta, riferire a Crowley che Dio pensava ancora a lui ogni volta che si ritrovava a guardare le stelle. La sesta, far notare ad Aziraphale che la Zona non aveva nemmeno una biblioteca - o una libreria a dirla tutta. Forse, si sarebbe fatto venire un'idea a riguardo.

La settima, quella che Lei definì la più importante, vivere al meglio il resto delle loro vite - o esistenze che dir si voglia.

Adam prese quei compiti molto sul serio sin dal primo istante. Prima di lasciare il Paradiso, accolse con gioia e gratitudine il bacio che l'Altissima gli diede sulla fronte; dopodiché raccolse Dog e si affidò alle sapienti mani ed ali dei serafini.

    L'ultima cosa che Dio gli disse fu: «Ci rivedremo un giorno.»

Non era un semplice saluto.

Era una promessa.


~•°•~


Fu come se tutta l'aria del mondo avesse deciso di entrargli di colpo nei polmoni.

Si mise a sedere di scatto, preso da spasmodici colpi di tosse. Si portò una mano al petto: il suo inutile cuore aveva preso a pompare all'impazzata, sbattendo imperterrito contro l'ipotetica gabbia toracica che si ritrovava.

Aveva la vista oscurata da quelle che riconobbe come le ciocche rosse ed ondulate dei suoi stessi capelli. Sentì addosso un tepore caldo e piacevole che contribuì a calmarlo un inutile respiro profondo alla volta. Sotto il palmo rimasto a terra c'era dell'erba fresca, inumidita dalla rugiada. Non aveva idea di dove fosse, né di cosa stesse accadendo.


Così, serrando le palpebre, Crowley si costrinse a fare mente locale. Tempo due secondi e i ricordi lo investirono come un fiume in piena: la Battaglia, Raphael, i rivoli, Adam...

Sbarrò gli occhi, si levò i capelli dalla faccia con veemenza e si guardò le mani per poi tirarsi su le maniche della - pulitissima, nerissima e persino stiratissima - camicia. La sua pelle non aveva un graffio, le sue ali erano più corvine che mai, era tutto intero, vivo e vegeto, nonostante l'ultima cosa che ricordava di aver fatto fosse...

Oh, cazzo.

Si voltò verso destra così di scatto da farsi male. Aziraphale era lì, leggermente raggomitolato su un fianco, che dormiva tranquillo, come non fosse mai accaduto nulla e avesse semplicemente deciso di godersi quella che era a tutti gli effetti una bellissima giornata.

Il rosso gli fu accanto in un secondo, cosa che gli fece salire un senso di deja-vu tutto fuorché piacevole. Osservò la candida figurina sotto di sé con un'attenzione quasi maniacale, alla ricerca di un qualsiasi possibile graffietto, un lividino, una macchia di sangue...

Ma non c'era niente su quel volto immacolato. Quegli abiti beige e crema erano puliti e candidi come le ali ben raccolte sulla schiena dell'angelo. Erano di nuovo due, notò con sollievo e gioia il demone, talmente bianche da risplendere al sole. Aziraphale era tornato l'ammasso di nuvole limato in più punti di sempre, vivo e vegeto nonostante l'ultima cosa che avesse fatto fosse stata...

Preso da un'urgenza e una preoccupazione brucianti, Crowley fece la prima cosa che gli venne in mente. Non stette nemmeno a pensarci. Poggiare la mano sulla guancia dell'altro fu istintivo: era il trucchetto che durante la Battaglia aveva risvegliato il suo angelo per ben due volte.

Ma stavolta, le cose non andarono come aveva previsto.


I respiri profondi che stava facendo per placare la sua aura gli morirono in gola.

Sotto le sue dita non sentí né dolore, né bruciore, né sfrigoliii, ma solo una morbida e tiepida guancia.

Si staccò con un sussulto, guardandosi il palmo della mano, credendo di vederlo almeno rosso, leggermente ustionato... ma no, era intonso, perfettamente integro. Anche il volto di Aziraphale lo era.

Anzi, questi non parve nemmeno accorgersi del tocco. Fece solo una leggera smorfia nel sonno, la quale sparì così com'era comparsa, lasciandolo tranquillo.

Si erano toccati e non era successo niente.

Assolutamente niente.


Quella considerazione fece saltare Crowley come una molla lasciata in tensione troppo a lungo.

    Con uno slancio fu di nuovo sull'altro, o meglio, sulla sua spalla. Prese a scrollarlo come se ne andasse della sua stessa esistenza. «Aziraphale? Angelo!» Richiamò, spostandogli poi le mani sulle guance, affinché il volto dell'altro fosse ben rivolto verso il suo.

Con un rantolo infastidito, questi aprì gli occhi, inizialmente confuso. Dopo qualche attimo di realizzazione, sbarrò le pozze celesti, puntandole contro - anzi, dentro - quelle auree del rosso. Lentamente, come se avesse paura che tutto potesse finire lì sul momento, andò a poggiare le mani su quelle affusolate ancora ben premute sul suo viso.

Per alcuni, lunghissimi secondi, Aziraphale e Crowley non fecero che fissarsi come avevano sempre fatto, stralunati ed increduli. Poi, all'unisono, si misero a ridere.

Erano risate cariche di sollievo; il risultato di una tensione che solo adesso si era sciolta nella consapevolezza che ce l'avevano fatta: erano riusciti nell'impossibile, erano ancora vivi ed erano insieme.


L'angelo sentì la fronte dell'altro poggiarsi sulla propria, ma la accettò con gioia, senza mai staccare le mani dalle sue. Si lasciò andare a quegli attimi di felicità, almeno finché le risate di Crowley non si fecero sempre più rotte da singhiozzi.

Senza nemmeno accorgersene, si ritrovò nuovamente stretto in un abbraccio che lo tirò su con sé, portandolo ad inginocchiarsi e ad addossarsi al corpo ora improvvisamente tremante e scosso del rosso, il quale gli aveva gettato le braccia al collo con una fluidità e una velocità che solo un serpente avrebbe potuto avere.

La situazione si era ribaltata comicamente in fretta, portandolo a bloccarsi per un attimo, indeciso sul da farsi.

    Alla fine, con un sorriso e una leggera risata, circondò le ali di Crowley con un braccio, portando l'altra mano ad infilarsi tra quelle belle e ondulate ciocche rossastre. Lo zittì un paio di volte, dandogli qualche leggera e confortante pacca sul capo. «Va tutto bene, va tutto bene, tranquillo» gli intimò con dolcezza, intanto che, per la prima volta, sentiva finalmente il leggero solletico delle piume sul suo palmo e la morbidezza di quei capelli sotto le sue carezze.

Sentì una strana sensazione farsi largo nella sua aura luminosa, la quale si rimescolò, facendogli pizzicare le guance. Non aveva idea di cosa potesse essere, ma fu una novità che assecondò dopo solo qualche attimo di stranimento, premendo la guancia contro la tempia dell'altro. Non era mai stato così bene in vita propria, e per un attimo sperò che quel momento non finisse mai.

    Quasi gli dispiacque, infatti quando - dopo un'ultima, schiacciante, stretta - Crowley lo lasciò andare, passandosi quasi violentemente la braccia sugli occhi. «Scusa, non so che mi sia preso» mormorò, le gote scarne vagamente arrossate.

    Aziraphale fece spallucce, sorridendogli. «Non importa. Stai meglio?»

    L'altro annuì, lo sguardo ora troppo imbarazzato per incontrare quello dell'altro. Piuttosto, decise di farlo vagare per l'ambiente attorno a loro, scandagliando i dintorni. «Piuttosto, dove siamo?» Chiese, ora effettivamente confuso.

    E l'angelo, che solo adesso si rese conto dello spiazzo di alberi che li circondava, aggrottò le sopracciglia. «In effetti non lo so. Mi ricorda un po' l'ambiente attorno alla Zona. Forse, non siamo poi così lontani dal centro del Confine.»

    «Sssì, ma come accidenti ci siamo arrivati?»

    «Questo non lo so.»

C'erano tante cose che non sapevano, in effetti. La Guerra era finita? Le Armate erano tornate al loro posto? Il pianeta era ancora tutto intero? La dicotomia era "affondata" solo per loro o anche per tutti gli altri?


Un tuono, decisamente meno violento di quelli che avevano scosso la Battaglia, rimbombò nel cielo, posticipando la risposta a quelle domande.

Grosse e fredde gocce di pioggia presero a cadere tra le fronde, piombando sulle loro teste. Quasi fosse ormai prassi - ed era accaduto solo una volta - Aziraphale alzò un'ala e Crowley vi si riparò sotto, stringendosi un po' nelle spalle.

    «Che facciamo, adesso?» Chiese l'angelo, alzando lo sguardo verso le nuvole grigio chiaro che si ammassavano oltre le cime degli alberi.

    «Dovremmo andare a cercare gli umani, ma sinceramente non he molta voglia» confessò l'altro con una smorfia. «Siamo appena sopravvissuti a morte certa. Ce la meritiamo un po' di pace» disse, addossandosi alla spalla dell'altro, finalmente certo del fatto che nessuno si sarebbe fatto male.

    «Sono d'accordo» mormorò Aziraphale con un sospiro, godendosi del calore che la vicinanza con Crowley provocava.


Così rimasero in silenzio per un po', godendosi lo scrosciare della pioggia e l'aria neutrale che si respirava al Confine. Si chiesero se, da quel momento in poi, anche il resto del pianeta avrebbe avuto quella caratteristica che entrambi amavano.

Non gli restava che aspettare e scoprirlo.


Fu solo quando il maltempo finì che si decisero ad alzarsi.

Crowley si rimise in piedi con un solo, fluido movimiento, allungando la mano verso Aziraphale. Questi la accolse volentieri e non la lasciò mai andare - nessuno dei due lo fece.

Fu così che si incamminarono verso la Zona, illuminati dal sole di un giorno che annunciava un nuovo inizio.

Non potevano saperlo, ma Dio e il Suo Avversario avevano già predisposto tutto.


Le regole erano cambiate.

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Capitolo 20
*** Un altro tipo di Amore ***


Ciao a tuttə!

Incredibile ma vero, anche questa long è arrivata alla fine. È stata un'avventurona, ma mi è piaciuto moltissimo viverla.

Ho deciso di concluderla anche per dedicarmi completamente ad Alpha Centauri; perciò, nel caso qualcunə la stesse seguendo, sappiate che da adesso in poi dovrebbe tornare ad andare avanti come un filo di gas - vita permettendo.

Detto ciò, vi lascio all'ultimo capitolo di questo AU a tratti sofferto 😂 ma che ho adorato scrivere. Sapete come si suol dire, no? Una storia si conclude solo perché altre possano nascere ❤️

Un bacio,

Neamh


~•°•~


Crowley passeggiava avanti e indietro di fronte all'uscio della stanza degli ospiti. Non c'era nulla di cui preoccuparsi, eppure una punta di ansia gli stava rosicchiando l'aura.


Lui e l'angelo avevano ritrovato presto la strada per la Zona e da lì erano accadute tante, troppe cose.

In primis, il villaggio pullulava di gente - così come quando se n'erano andati - ma i terremoti di Adam avevano lasciato qualche casa diroccata e qualche umano sanguinante. Con grande sollievo di Aziraphale, vennero poi a sapere che, almeno lì, nessuno era rimasto gravemente ferito o peggio.

La prima a trovarli, in realtà, fu Anathema.

Il demone non l'aveva mai vista così sconvolta, nemmeno il giorno in cui li aveva visti tornare dall'Inferno. Si era portata le mani alla bocca, le lacrime agli occhi, e si era fiondata a stringerli entrambi in un abbraccio schiacciante che Crowley si costrinse a far finta di rifiutare - un po' per orgoglio, un po' per imbarazzo.

Fu lei a metterli al corrente di più cose sconcertanti. La prima fu che, a quanto pareva, dalla fine della Battaglia erano passati tre giorni. Tre.

    Il rosso si scambiò un'occhiata stralunata con l'angelo. «Starai scherzando, spero!» Esclamò poi.

    La sua umana gli diede un colpetto infastidito sulla spalla. «Ti pare che stia scherzando? Vi credevamo morti. Si può sapere che vi è successo?»

E spiegarglielo fu alquanto strano dal momento che, effettivamente, non ne erano certi nemmeno loro. Sapevano solo di essersi ritrovati misteriosamente illesi in mezzo ad un gruppo di alberi, e che adesso potevano tenersi per mano senza paura.


Le altre cose gli vennero rivelate dopo che Anathema ebbe deciso di spostarsi con entrambi al cottage. Durante il tragitto, disse che i suoi colleghi erano occupati a limitare i danni - chi spostando macerie, chi curando persone, chi raccogliendo richieste. Li avrebbe messi al corrente in un momento più tranquillo, anche se era certa che ormai la voce del loro ritorno si fosse sparsa.

Almeno il loro piccolo quartier generale di periferia sembrava essersela cavata egregiamente, mostrando giusto qualche crepa sulla facciata. L'interno era a sua volta un po' disordinato, alcuni oggetti e piccoli detriti erano caduti a terra, ma generalmente era rimasto illeso - soprattutto la loro "sala delle riunioni" preferita, nella quale si accomodarono.

Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare attorno a quel tavolo, Crowley poté avvicinare la sedia a quella di Aziraphale sapendo che nulla sarebbe accaduto. O meglio, nulla a parte la sua aura che, come sempre, iniziava a saltellare impazzita.

Ignorò la sensazione, ascoltando la sua umana che raccontava di come, di punto in bianco, i tre fossero spariti di nuovo - salvo poi tornare perfettamente illesi con Adam e Dog a seguito.

    Aziraphale era scattato sulla sedia. «Adam è qui?»

    Lei annuì. «Lui e gli altri hanno raccontato storie assurde. Adam dice di aver parlato con Dio ed io, beh, non so cosa pensare. So solo che ha chiesto di voi e vi sta ancora aspettando a casa di Tracy.»

    Crowley, invece, sulla sedia vi si accasciò con uno sbuffo. «Dopo tutto quello che è successo, sarebbe la cosa meno impressionante.»

E in effetti, mettere in ordine ciò che avevano passato durante la Battaglia, richiedette un tempo ed uno sforzo non indifferenti. Lui e Aziraphale si fermarono a vicenda solo qualche volta, soprattutto perché l'angelo era evidentemente uno a cui piaceva infarcire i discorsi di dettagli.

Ritornare su Raphael e su ciò che aveva fatto ad Aziraphale, fu per il rosso terribilmente difficile. Ogni tanto buttava un occhio verso le ali dell'altro, quasi come avesse paura di vederne di nuovo solo una spuntargli sanguinolenta dalle scapole.

Persino Anathema rimase sconvolta. Ascoltò in silenzio religioso per molto tempo, le mani premute sul viso, gli occhi sbarrati e il respiro sospeso. Tutta la paura che aveva provato le parve niente in confronto a ciò che stava sentendo.

    «Ora capisco perché avete le facce distrutte» ridacchiò, seppur con una punta di nervosismo. «Ma sappiate che non ho dubitato di voi nemmeno per un secondo.»

Oltre ad avere la faccia distrutta, Crowley si sentiva decisamente tanto tanto distrutto. Di certo, non ebbe la forza di controbattere quando la sua umana insistette per dar loro una controllata - come se l'assenza di ferite e gli abiti perfettamente integri non fossero abbastanza da convincerla che stavano bene, nonostante tutto.

La sua preoccupazione era istantaneamente volata alle ali dell'angelo - e come darle torto. Così lo aveva preso delicatamente sotto braccio e se l'era portato nella stanza degli ospiti, la stessa nella quale si era chiusa da ormai mezz'ora.

Una mezz'ora che al demone stava sembrando un secolo.


Prese a chiedersi se stesse succedendo qualcosa di grave. Per un po', al di là della porta, aveva sentito un chiacchiericcio che andò spegnendosi lentamente. Tutto il silenzio che era calato gli stava facendo fischiare le orecchie, aumentando il suo nervosismo ogni secondo di più.

    Quando la porta si aprì, sussultò. «Si può sapere che state combinando?» Chiese, rilasciando in quelle parole la frustrazione di tutti i minuti che gli era toccato attendere.

    Anathema si portò un dito alla bocca, zittendolo con un'occhiataccia. «Abbassa la voce. Possibile che tu debba essere sempre così sguaiato?» Lo rimproverò. «Sta dormendo. Fisicamente starà anche bene, ma moralmente è a pezzi. E lo sei anche tu.»

Pronunciò le ultime parole con fin troppa dolcezza sia nel tono che nello sguardo. La cosa peggiore, era che Crowley non poteva proprio darle torto. Ogni qualvolta si rimetteva, anche solo per un attimo, a pensare a ciò che aveva vissuto, gli piombava addosso un peso senza pari.

    Sospirò, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi. «Diciamo che ci sono alcune cose che non vedo l'ora di ritrovare nei miei incubi» confessò con amara ironia.

    Lei annuì, affranta ma ben conscia della situazione. «Dai, andiamo in salotto» gli disse, prendendogli delicatamente il polso e guidandolo giù per le scale, fino alla stanza dove il demone stesso era riuscito a domare tre curiosissimi bambini.

Era anche la stessa stanza in cui Anathema gli aveva esposto la sua incredibile "teoria"; quella che aveva mandato Crowley in paranoia - soprattutto negli ultimi giorni.

Si buttò sul divano adesso come allora, ignorando le ali schiacciate sotto la sua schiena. E adesso come allora, l'umana gli si inginocchiò accanto, guardandolo con assoluta comprensione.

    «Immagino che tu non gli abbia ancora detto niente, eh?» Disse lei, sapendo di non dover specificare.

    «E quando accidenti avrei dovuto dirglielo? Già è tanto se siamo vivi. Figurati se peggioravo la situazione dicendo che- beh, ammettendo-»

Caspita se era difficile tirare quelle parole fuori dalla bocca, si disse Crowley. Si sentiva un perfetto imbecille, soprattutto se ripensava a tutte le smancerie che si era lasciato scappare.

    «Sai, più vi guardo e più so di avere ragione» affermò Anathema. «Lui piace a te e tu piaci a lui. E tanto, anche.»

    «Come fai ad esserne così sicura?» Chiese il rosso che, per quanto ci provasse a capire quelle cose, rimanevano sempre dei rebus che riusciva a decifrare solo a metà.

    L'altra alzò un sopracciglio, divertita. «In primis, sono umana: me ne intendo di sentimenti. Seconda cosa: sono fidanzata, ci sono passata, e sposarmi sarà la prima cosa che farò non appena questo casino sarà finito, stanne certo. Terzo: tu non l'hai visto.»

    «Visto cosa?»

    «Il modo in cui quell'angelo ti guardava mentre eri troppo occupato a spiegarmi cosa vi fosse accaduto. Ti stava praticamente mangiando con gli occhi.»

Crowley non aveva bene idea di cosa ciò potesse significare. Sentì comunque le guance pizzicargli, il che bastò ed avanzò a fargli capire, o comunque credere, che fosse una metafora positiva.

    «Mettiamo caso che sia vero» ribatté, giocandosi la carta dell'incredulità, «cosa dovrei fare con lui, adesso? Ho a malapena idea di come si mandi avanti un rapporto qualsiasi, figuriamoci- beh, ecco, hai capito.»

    La sua umana si lasciò scappare una risata. «Nessuno lo sa, all'inizio. Non è una cosa che pianifichi: succede e basta.»

Al rosso venne uno strano senso di deja-vu. La primissima volta che ne avevano parlato, Anathema gli aveva detto che non avrebbe dovuto fare né cambiare niente. «Intendo dire che ad Azi piaci già cosí. Perciò rilassati e sii te stesso». Testuali parole.

    «Quindi dovrei solo, non so, passarci del tempo?» Chiese, stavolta seriamente incredulo. Davvero era così semplice? Un sentimento così umano, che spesso e volentieri aveva portato gente a fare cose assurde, poteva davvero essere vissuto in maniera così genuina?

    «Passaci del tempo, parlaci, approfondisci, conoscilo... insomma, godetevi la vostra nuova esistenza senza impedimenti» confermò lei. «Quando arriverà il momento, lo capirai da te.»


    «Sai, ho una teoria» aveva detto Anathema quel giorno, dopo aver ascoltato Crowley in religioso silenzio. «Ma se te la dicessi, mi uccideresti.»

    Il rosso aveva sbuffato, facendo svolazzare una ciocca di capelli. «Nah, non ne ho le forze. Potresti insultarmi pesantemente e uscirne viva.»

    Alchè, lei aveva sorriso. «Normalmente ci farei un pensierino, ma per stavolta passo.»

E se normalmente il demone avrebbe fatto una smorfia, quella volta decise invece di optare diversamente e alzare gli occhi al cielo, in attesa.

    «È semplice, cara la mia Bestia dell'Eden. Ti sei innamorato.»


Era molto decisa per essere una teoria. Eppure, per quanto - almeno in primis - la sua reazione fosse stata prendersi a botte con la lingua e il rossore che gli aveva mandato a fuoco le guance, Crowley ci aveva creduto. Era imbarazzato, spaesato, non sapeva che pesci pigliare, ma ci credeva.

Aveva sempre considerato l'affetto fuori dalla sua portata: una di quelle cose morte assieme all'angelo che era stato. Poi si era imbattuto in quell'essere tutto piume scombinate che non aveva fatto altro che stupirlo, incuriosirlo, rimbambirlo e sconvolgerlo. Più guardava in quegli occhi azzurri, e più sembrava scoprire cose che lo attiravano come una luce attirava le falene. Più il tempo passava, più la curiosità lo spingeva ad avvicinarsi ad un qualcosa che avrebbe potuto ucciderlo, ma che era di una particolarità troppo interessante per essere ignorata.

Adesso che le cose erano cambiate, però, quella luce non avrebbe più potuto fargli male. Poteva solo continuare ad attrarlo fino a tirarlo in un abbraccio. E solo il pensiero era abbastanza da rimescolargli l'aura in quella che Anathema aveva definito come "farfalle nello stomaco", o semplicemente come: "In sostanza, hai una cotta".

    «Perchè ti preoccupi tanto?» Ridacchiò l'umana, dandogli un pizzico sulla guancia e strappandolo brutalmente dai suoi pensieri.

    Crowley emise un sibilo nervoso, scacciandole la mano. «Non mi ssto preoccupando» mentí. La verità era che si sentiva ancora troppo lontano dall'idea che uno come lui - una bestiolina strisciante dal sarcasmo facile - potesse avere un qualcosa con uno come Aziraphale - un angioletto adorabile, luminoso e composto.

Non disse niente, decisamente per orgoglio ma anche un po' per imbarazzo. Le emozioni erano davvero un qualcosa per la quale avrebbero dovuto inventare un libretto delle istruzioni.

    Anathema alzò gli occhi al cielo. «Crowley, avete eliminato la dicotomia con un abbraccio. Direi che qualche passo nella giusta direzione lo avete fatto. E poi» aggiunse, spostando improvvisamente lo sguardo verso il resto del salotto, «un uccellino mi ha detto di aver trovato davvero, com'era? Ah, sì: "carino per quanto violento" il tuo siparietto con Raphael.»

    Il rosso scattò a sedere, il volto in fiamme, le mani strette alla stoffa del divano. «Lui cosa?!» Esclamò, beccandosi istantaneamente la mano dell'altra sulla bocca.

    «Per amor di- chi ti pare, bestiaccia» lo riprese lei, esasperata. Poi riprese a sorridere: «Sai, per quanto sia stato da perfetti pazzi imbecilli aggredire un arcangelo, il fatto che tu ti sia arrabbiato tanto per ciò che Raphael ha fatto ad Aziraphale, beh, dice tante cose.»

    Non appena riebbe libertà di parola, Crowley si preoccupò di mettere in chiaro una convinzione ormai ben salda nella sua mente. «Sappi che ce l'ho ancora con quel bastardo» affermò. «Se mi comparisse davanti, sappi che finirei il lavoro.»

Incrociò le braccia, conscio di non essere stato convincente come avrebbe voluto. La verità era che la rabbia nei confronti di Raphael c'era ancora: ribolliva sommessa, ma era ben presente nel suo ipotetico stomaco. Mai e poi mai avrebbe dimenticato ciò che l'arcangelo aveva fatto; eppure sapeva di non voler più fare una scenata come quella che aveva fatto sul campo di Battaglia. Ancora non si capacitava del fatto che Aziraphale fosse riuscito a fermarlo senza muovere un dito. Non voleva più farsi vedere in quello stato, non da lui.

    Anathema, come sempre, lo capì al volo. «Va bene, facciamo finta che tu sia diventato un violento tutto d'un tratto» scherzò, «e che il guaritore abbia i giorni contati, se può farti stare meglio. Ora mettiti composto e ridimmi dove ti sei fatto male». Si era portata dietro la borsa dove teneva tutti i suoi unguenti e cianfrusaglie. Peccato che non gliene sarebbe servita nemmeno una.

Crowley lasciò che lo scandagliasse da cima a fondo, testa poggiata su un palmo e sbuffo sempre pronto a far capire alla sua umana che stava perdendo tempo. Le diede persino il permesso di tirargli indietro i capelli.


    «Beh, direi che stai bene - a parte la faccia di un demone con decisamente troppi pensieri per la testa» concluse lei infine, lasciandolo ricadere sul divano con un sussurrato e ironico: "Chi l'avrebbe mai detto". «Quand'è che darai una sistemata a quelle ciocche scombinate?»

    Il rosso alzò lo sguardo al cielo. «Non so. Il giorno del tuo matrimonio?»

    «Aw, ma come siamo carini tutto d'un tratto. Dovrei lasciarti solo con Azi più spesso». Il rossore sulle guance dell'altro la fece ridere. Incredibile ma vero, quella serpe aveva l'incredibile capacità di capovolgerle la giornata, persino quando veniva da lei per lamentarsi o fare il sarcastico. Nonostante tutto, era sempre felice di rivederlo.

    «Vattene» ordinò Crowley buttandosi un braccio sugli occhi.

    E Anathema non poté far altro che eseguire, ormai abituata alla spinta involontaria causata da quella piccola clausola del loro patto che la rendeva, in un certo senso, succube di quel tono. Fece giusto in tempo a riafferrare la borsa intanto che le gambe la trascinavano fuori. «Cerca di dormire» gli intimò, mano sulla maniglia della porta.

Non che ne avesse bisogno veramente. Nessuno dei due ne aveva bisogno veramente: era un piacere inutile, un modo per dar tempo ai loro animi di riassestarsi, una cosa tipicamente umana - come gli abbracci.

Si allontanò dalla stanza sospirando, sapendo che aveva altro lavoro da fare al di fuori di quelle mura ora leggermente rotte, ma pur sempre capaci di darle un senso di famigliarità. 

Si sarebbe concessa del caffè, dopodiché sarebbe tornata all'opera.

O almeno, quelli furono i suoi piani iniziali.

A fermarla fu una sensazione particolare, come di un peso che le veniva spostato dal petto. Si tenne ad una parete per un secondo, confusa, intanto che la sensazione si trasformava in un formicolio ed il formicolio in una schiacciante rivelazione. Sussultò, gli occhi sbarrati e un sorriso radioso sul volto.

    Fece dietrofront, tornando davanti alla porta del salotto. Fece per aprirla, ma la trovò chiusa, irremovibile. «Crowley!» Richiamò, il tono mezzo gioioso e mezzo incredulo.

    Dall'altro lato le arrivò un sibilo stizzito. «Abbassa il tono, umana. Possibile che tu debba essere sempre così sguaiata?»

    «Non puoi averlo fatto davvero, serpe maledetta». Le rispose solo il silenzio. «Crowley!»

    Si udì un fruscio. «Davvero ti vuoi sposare con quello sfigato?»

    «È il mio sfigato, non ti permettere. E smetti di tergiversare.»

    «Vattene, prima che cambi idea.»

Ma lei non si mosse. Quell'ordine non portò a niente: né a spinte involontarie, né alle sue gambe che la portavano automaticamente a fare ciò che il rosso voleva. Non era più costretta a fare niente: quella piccola clausola, se non tutto il loro patto, era stato spezzato. In effetti, ora non avrebbe più avuto senso continuare ad essere legati in quel modo, e Crowley lo sapeva. L'aveva liberata e Anathema gliene sarebbe stata eternamente grata - il che era anche un motivo in più per stuzzicarlo.

    «Prima o poi dovrai uscire da lì» canticchiò, scerzosa. «Dovesse essere anche tra una settimana.»

Ovviamente, lui la ignorò - quello, o si era effettivamente messo a dormire. Ma poco importava: si sarebbero rivisti e allora Anathema gli avrebbe ricordato quanto quel gesto fosse stato carino. Magari davanti ad Aziraphale, così, giusto per farlo vergognare un pelino di più.


~•°•~


L'essere un angelo porta davvero parecchi vantaggi.

Prima di tutto, c'erano tantissime cose che Aziraphale poteva spostare con uno schiocco di dita - vedi muri mezzi crollati, o pezzi di lastricato - così come c'erano tanti animi tristi che poteva risollevare, piccoli miracoli che poteva eseguire per dare una mano. Erano le prime cosa che aveva fatto una volta sgusciato fuori dal letto e, ovviamente, non le aveva fatte da solo.

Crowley lo seguiva come un'ombra, aiutandolo occasionalmente, osservandolo come se lo stesse studiando. Era sbucato fuori dal salotto non appena l'angelo aveva messo piede in cucina, portando quest'ultimo a pensare di averlo disturbato.

La verità era che ad Aziraphale quella compagnia non dispiaceva affatto, anzi: lo faceva stare meglio, lo aiutava a offrire un aiuto migliore - o forse era solo un'impressione, non avrebbe saputo dirlo. Insomma, era felice come non lo era mai stato, e la sua aura continuava a rimescolarsi in quel modo particolare, come se qualcuno gliela stesse girando con un cucchiaio.

Ancora non aveva idea di cosa fosse, ma lo portava a sorridere, perciò doveva per forza di cose essere una sensazione positiva.

Si illuminava un pochino ogni volta, e la gente non faceva che farglielo notare.

Persino Adam glielo disse quando andarono a trovarlo.


L'ex-anticristo era stato affidato alle sapienti mani di Tracy, e alla Zona sembravano averlo accolto tutti più o meno bene - molti "meno", e molti meno "più", a dirla tutta. Passava il tempo con i suoi tre nuovi amici, aiutando come poteva a sistemare i danni che lui stesso aveva causato. Alla fine, d'altronde, i tre della Zona erano diventati i quattro della Zona, capitanati più dal ragazzino dalle ciocche dorate che da Pepper - la quale, chissà perché, non pareva essersi dispiaciuta poi tanto. Probabilmente, ed Aziraphale ci avrebbe messo la mano sul fuoco, il tutto stava nel fatto che Adam era - e per molti ovvi motivi - molti passi avanti agli altri.

Fu l'ex Arma stessa a raccontar loro della sua bizzarra visita ai piani più alti del Paradiso, invitandoli in un angolo del giardino di Tracy. Dog gli trotterellava accanto, scodinzolando come non mai.

E dato che un altro vantaggio dell'essere un angelo è captare la sincerità, Aziraphale non vide nemmeno una traccia di bugia nei movimenti e nelle parole dell'ora giovane umano davanti a loro. Aveva davvero parlato con Dio, aveva veramente visto l'allora suo Padre colmo d'ira, e aveva seriamente accettato le scuse di Raphael.

    Crowley aveva voltato la faccia di fronte a quell'ultima parte di resoconto. «Certo, a lui le seconde occasioni le dà» aveva farfugliato, ovviamente innervosito.

    La sua espressione rabbuiata venne prontamente demolita da Adam stesso. «È stato lui a curarvi e a riportarvi indietro» affermò. «Glielo ha chiesto Lei.»

Aziraphale aveva sentito un moto di sollievo non indifferente. Una parte di lui lo aveva sempre saputo, persino durante la Battaglia: Raphael era triste, deluso, ma salvabile. Alla fine, non aveva fatto nulla che un angelo "come si deve" non farebbe: cercava semplicemente di tenere il suo lato al sicuro.

Il demone, più che sollevato, era sorpreso - e non piacevolmente. Non commentò, e l'angelo si chiese se fosse il caso di tornare sulla questione, prima o poi.


Tra le tante cose che Adam disse, ce ne furono due che stravolsero l'esistenza di entrambi.

La prima rese Crowley stranamente taciturno e decisamente distratto nelle ore a seguire. La seconda fece venire ad Aziraphale una bella idea che lo avrebbe tenuto occupato per molto tempo a partire da allora.

Non ebbero molte occasioni per parlarne durante il giorno, però. L'intera Zona era interessata a loro, a ciò che era accaduto e al fatto che stessero sempre tanto, troppo, vicini; soprattutto i colleghi di Anathema. Dovettero vedersela con questi ultimi per buona parte del già tardo pomeriggio e della sera, come sempre riuniti al tavolo della cucina del cottage. Fu soprattutto l'angelo a rispiegare il tutto, fermato solo occasionalmente dal fare decisamente più sbrigativo del suo compagno.


Riuscirono a liberarsi solo quando ormai era calata una notte limpida e puntellata di stelle; stelle che Crowley andò quasi automaticamente a fissare, ginocchia raccolte, sul tetto.

    «Ci stai ancora pensando, vero?» Gli chiese Aziraphale, raggiungendolo.

Dio pensava ancora a lui ogni volta che si ritrovava a guardare il cielo notturno. Non che l'angelo fosse sorpreso, anzi: La capiva perfettamente. Sarebbe stato davvero difficile non ripensare a quella figurina ora scura e aggrottata che dipingeva la volta celeste, un sorriso sul volto. Perché era così che se lo immaginava, e non poteva fare a meno di dirsi che rimaneva sempre e comunque una meraviglia di creatura, anche adesso che gli astri li poteva rimirare solo da lontano.

Quei pensieri gli rigirarono l'aura, ma ormai non era più stranito da quella reazione. La stava accettando, sguardo fisso su quelle pozze dorate ancora troppo occupate a fissare il cielo notturno. Si fece scappare un leggero sospiro, chiedendosi ancora una volta con quale emozione stesse facendo i conti.

    «Non so davvero come prenderla» mormorò Crowley, senza voltarsi. Era combattuto, e si vedeva dal modo nervoso in cui si tamburellava il braccio con le dita. «Non so se ringraziarLa o arrabbiarmi per avermi usato per i Suoi piani.»

    Nemmeno Aziraphale si voltò, sentendosi stranamente al sicuro sapendo che non poteva essere visto. Prese distrattamente a giocherellare con la manica della camicia, preso da una punta di imbarazzo. «A me non è dispiaciuto questo Suo piano» ammise.

    L'altro, finalmente, prese a guardarlo a sua volta. Era serio, non una ruga sul volto scarno. «Non ti è dispiaciuto nemmeno quando ti ho fatto male? Nemmeno quando è stato Raphael a fartene? O nemmeno quando sei dovuto andare fino alla fortezza oscura per salvarmi?»

    Ritrovarsi lo sguardo del demone addosso gli fece un effetto strano, diverso. Forse dipendeva dal fatto che adesso non era più l'unico contatto che potevano avere, o forse da quel qualcosa che Aziraphale ancora non riusciva a decifrare. In ogni caso, sapeva bene - e fu strano - cosa rispondere: «Lì per lì è stato doloroso, fastidioso e, beh, decisamente poco piacevole. Ma guarda a cos'ha portato» disse, allungando un braccio davanti a sé. «Sta cambiando tutto e siamo stati noi. E poi, se devo essere sincero, la nostra fuga dall'inferno è stata la parte migliore.»

Tu sei stato la parte migliore, fu quello che non disse ma che pensò quasi automaticamente.

    In risposta gli arrivò un'occhiata stralunata, circondata da un rossore che si intravedeva persino al buio. «Tu sei fuori di testa, lo sai, vero?»

    «Me lo dicono spesso.»

    Crowley si addossò a lui con uno sbuffo e le braccia incrociate. I suoi occhi erano tornati distanti, stavolta diretti verso il vuoto. «Sappi che non perdonerò mister ali dorate tanto facilmente.»

    «Non mi aspettavo che lo facessi» affermò Aziraphale, «non subito, almeno.»

    «Cosa ti fa credere che succederà?»

    «Il fatto che ti abbia curato?»

    «Non ero cosciente, altrimenti gliele avrei mangiate quelle mani.»

    «Non sei credibile, mio caro.»

L'ammasso di vocali che gli arrivò in risposta lo fece sorridere. Si chiese se avrebbero mai rivisto l'arcangelo, o comunque qualcuno dei loro rispettivi lati.

Probabilmente sì, probabilmente no, non importava poi così tanto. C'erano tante cose che potevano fare assieme, senza dover tenere conto di niente e di nessuno, e solo l'idea fece illuminare l'angelo come una lucciola nel sottobosco.

Mise una mano sul braccio di Crowley solo perché sapeva di poterlo fare. Sentì l'altro tendersi per un secondo, salvo poi rilassarsi abbastanza da tornare a battibeccare con lui.

Si stava davvero bene così, si disse Aziraphale. Davvero davvero bene.


~•°•~


Col cavolo che era semplice. Come avesse fatto a pensarlo anche solo per mezzo secondo, Crowley non lo sapeva.

Sapeva solo che più il tempo passava, più scopriva qualcosa che mandava la sua aura oscura a saltellare come un bimbo davanti ad una ciotola di caramelle.

Ad esempio, scoprì che gli piaceva guardare Aziraphale che provava qualcosa di nuovo e particolarmente buono per la prima volta. Era lì quando si illuminò per i pasticcini di Tracy, o persino per il tentativo che i quattro ragazzini fecero di preparare una torta per il compleanno della mamma di Brian. Era lì quando sorrideva all'odore del tè o al sapore del gelato alla crema sulla torta di mele. Era lì ogni singola volta, e ogni singola volta non poté fare altro che stare lì a fissarlo.

Scoprì quanto automatici stessero diventando certi gesti e quanto ciò gli piacesse. Si prendevano a braccetto quando passeggiavano, Aziraphale gli metteva sempre una mano sulla spalla quando qualcosa lo stupiva, e lo proteggeva sempre con un'ala dalla pioggia così come lui lo schermava sempre quando il sole picchiava più del solito.

Scoprì quanto certe cose fossero diventate abitudine e quanto ci si stesse accomodando una spira alla volta. Ogni giorno andavano a prendere qualcosa da spostare nella casa vuota poco fuori dalla Zona che avevano adocchiato, decidendo quasi all'unanime che sarebbe diventata casa loro. D'altronde, Adam - anzi, Dio - aveva fatto venire un'idea all'angelo, il quale ogni volta si ritrovava con le braccia piene di tomi e volumi che andava poi accuratamente a posizionare al piano inferiore della loro ancora spoglia dimora. Al piano di sopra, invece, ricavarono una stanza nella quale Crowley avrebbe iniziato a sonnecchiare spesso intanto che Aziraphale leggeva. Poi, quando non stavano con gli umani, semplicemente stavano assieme e chiacchieravano, battibeccavano, qualche volta litigavano persino - e allora il rosso scoprì persino la strana sensazione che gli portava il dover chiedere scusa, o il sentirselo dire; così come scoprì le cose che potevano appianare le loro divergenze.


Quella casa non rimase vuota a lungo. Ogni giorno si riempiva un pelo di più, intanto che il mondo attorno a loro cambiava e la Zona diventava sempre più frequentata da gente pronta a cedere loro qualcosa che non utilizzava.

Più ci si accomodavano dentro, più i libri al piano di sotto aumentavano; più i mesi si susseguivano, più Crowley si ritrovò a scoprire anche che certe cose non cambiano mai.

Sognava spesso ciò che era accaduto durante la Battaglia, persino quando ormai era passato un anno o poco più dal giorno in cui il mondo aveva iniziato, lentamente, a mutare. Le sue notti si coloravano degli stessi rivoli dorati che tanto lo avevano alterato, portandolo a svegliarsi con un sussulto e il cuore in gola. Ma il peggio non erano tanto gli incubi - ai quali era ormai abituato - ma il fatto che, ogni singola volta, Aziraphale tirava su il naso dal libro di turno e lo guardava con una ruga ben segnata tra le sopracciglia.

    Dopodiché, gli chiedeva: «Stai bene?»

E tutte le volte Crowley mentiva, pur sapendo che l'angelo poteva praticamente vederle le bugie, tornando a imbozzolarsi nelle ali.

    Alla fine, arrivò la notte in cui l'altro lo raggiunse, sedendosi composto sulla sponda del letto. «Ne vuoi parlare?»

    Scostandosi un'ala dalla faccia, Crowley lo fissò con un sopracciglio inarcato. «Che c'è da dire? È un incubo. Te l'ho detto che mi capita.»

    «Beh, capita alquanto spesso.»

    «Che ci vuoi fare? È parte della condanna.»

In realtà non ne era certo, così come Aziraphale non era decisamente convinto di quelle parole. Nonostante ciò, tornò alla sua scrivania con un sospiro e uno sguardo che Crowley aveva ormai imparato a decifrare.

Sbuffò, portando il volto al cuscino. Quando quegli occhietti azzurri si caricavano di delusione, per lui era finita. Scattava qualcosa nel suo animo che lo portava a fare qualsiasi cosa pur di vederli sparire. Era un trucchetto subdolo, e di trucchetti subdoli Aziraphale ne aveva una caterva.

Funzionavano tutti, ovviamente.

Semplice, eh? Tutto questo dovrebbe essere semplice secondo te, idiota. Si rimproverò.

    Alla fine si mise a sedere, ali premute contro la parete alle sue spalle, le ciocche in faccia e l'aria scontenta. «Beh, sonno rovinato. Che leggi?» Chiese, sperando di alleggerire l'atmosfera.

    «Temo sia una storia un po' lenta per i tuoi gusti» rispose l'altro senza staccare gli occhi dalle pagine.

    «Perchè? Di che parla?»

    «Stai cercando di sviare il discorso.»

    «Io non svio.»

    «Sì, invece.»

Crowley alzò gli occhi al cielo, un po' deluso da sé stesso e dal fatto che ancora non aveva capito che quei suoi tentativi andavano sempre a scontrarsi con l'imprevedibile natura della sua controparte.

Alla fine si arrese. «Ho ancora in testa la tua ala che viene staccata di netto. Contento?»

Non avrebbe voluto essere così duro, ma il punto era che aveva scoperto anche quello nel corso della sua convivenza: che tutto ciò che stava costruendo, che stavano costruendo assieme, serviva in primis a tenere entrambi il più possibile al sicuro, laddove il centro del mondo si stava lentamente mescolando al resto.  O almeno, per lui era così: quel luogo era il posto dove tenere l'angelo lontano dai suoi simili e sé stesso lontano dai demoni che ancora non aveva rivisto - nessuno di loro aveva più rivisto gli altri, effettivamente, ma era solo motivo di sollievo.

Aveva paura, una paura fottuta, che qualcun altro potesse far loro del male. Un sentimento stupido che lo portava a non dormire la notte.

    Dopo qualche secondo di silenzio, Aziraphale richiuse il libro e lo portò con sé sul bordo del materasso. «Ti capisco, sai?» Mormorò, passando le dita sugli angoli della copertina. «Penso spesso anche io a ciò che è successo, al modo in cui hai reagito... Per un attimo, ho avuto paura di non riuscire a farti tornare come prima.»

E rieccoli quegli occhietti lucidi come Crowley non li vedeva da tempo. Ultimamente, l'unico motivo che Aziraphale aveva di rabbuiarsi era per mettere il broncio a qualche suo comportamento volutamente scorretto. Quella che si ritrovò a guardare, invece, era vera e propria tristezza mista a delusione.

    Si spostò per sedersi accanto a lui, spalla contro spalla. «Con quella luce accecante avresti distratto chiunque» scherzò, o almeno, cercò di scherzare. Il tutto gli venne fuori con una dolcezza fuori programma.

    L'altro si fece scappare un sorriso. «Beh, ne sono contento.»

Erano abituati a guardarsi attentamente, ma c'era qualcosa di diverso nei loro scambi di sguardi - un'altra cosa che Crowley aveva scoperto e che aveva reso il gestire le sue emozioni un'operazione ancor meno semplice. Quello scambio, in particolare, gli fece risalire un brivido lungo l'ipotetica spina dorsale.

Si rese conto che c'era un bel divario tra il "ti voglio bene" e il "ti amo". Un divario grande quanto lo spazio che intercorreva tra i loro volti: piccolo ma difficile da colmare.

    «Forse dobbiamo solo, non so» balbettò, facendo volare gli occhi altrove, «distrarci ed aspettare che diventi un brutto ricordo.»

    Vide Aziraphale riaprire il libro, stavolta ripartendo dalla prima pagina. «Se il tuo metodo per distrarti non funziona, possiamo sempre provare con il mio» propose.

Per quanto lo usasse praticamente solo Crowley, il letto che gli avevano dato si rivelò abbastanza capiente da ospitarli entrambi, fianco contro fianco.

L'angelo non aveva più voluto dormire dal giorno in cui si era svegliato in quello spiazzo in mezzo agli alberi, e il rosso non poté certo biasimarlo. Tutte le volte che Aziraphale aveva chiuso gli occhi, era stato per colpa di qualcosa di non esattamente positivo. La prima volta, Crowley stesso gli aveva fatto talmente male da farlo crollare. La seconda ci aveva quasi lasciato le piume per colpa di Adam. La terza era stato sopraffatto sia fisicamente che moralmente dal giro all'Inferno. La quarta volta, le piume ce le aveva lasciate davvero. Dalla quinta, l'angelo aveva capito che c'erano modi migliori per riprendersi e rilassarsi; così aveva chiesto direttamente a Crowley come volesse il materasso, o il cuscino, o le coperte.

E adesso il demone se ne stava proprio sul giaciglio che lui stesso aveva accomodato, testa poggiata alla spalla dell'angelo, che cercava di seguire con lo sguardo le righe che l'altro gli leggeva.

Si assopì senza nemmeno accorgersene, scoprendo quindi un'altra cosa davvero niente male: addormentarsi con la voce di Aziraphale nelle orecchie era la miglior medicina contro gli incubi.


Anche quella divenne presto un'abitudine.

Un po' per stuzzicarlo, un po' perché era una cosa che adorava, Crowley aspettava che Aziraphale prendesse posto sul divanetto al piano di sotto per tuffarcisi e poggiare la testa sulle sue gambe - e l'angelo alzava gli occhi al cielo, ma si vedeva che non gli dispiaceva poi tanto, in realtà.

Quando dormiva male, sapeva di poter contare su di lui e sul tono un po' più profondo che adottava quando gli leggeva qualcosa. Allo stesso modo, Aziraphale sapeva che Crowley lo avrebbe portato a passeggiare o a mangiare qualcosa ogni qualvolta fosse giù di corda.

Andarono avanti così per un altro anno ancora, durante il quale l'angelo raccolse scaffali interi di tomi consunti, Crowley scoprì altre mille cose - come le piante in vasetto - e mantenne persino la "promessa" fatta alla "sua" umana.

    «Che ne pensi?» Chiese infatti all'altro quella fatidica mattina, scendendo le scale.

    Questi sbarrò appena gli occhi - arrossì persino, ma il demone cercò di non farci caso. «Ti donano» commentò, «ma non ci sono abituato.»

    «A chi lo dici.»

Avere i capelli fin poco sotto le orecchie gli faceva strano, ma era un cambiamento che non gli dispiaceva. Col tempo avrebbe scoperto che poteva farci davvero un sacco di cose con il pettine, ma per ora si limitò a non arrivare in ritardo al giorno che Anathema aveva passato mesi interi a preparare - con l'aiuto di Aziraphale che, ovviamente, tra la prospettiva della tavola imbandita, dei volti sorridenti e della gioia generale, era decisamente molto più emozionato di lui.

Nulla poté smuovere Crowley dall'idea che la cerimonia andò benissimo anche per merito del suo luminoso compagno. Sicuramente ci aveva messo lo zampino e sicuramente lo avrebbe stuzzicato per quello nei secoli a venire - a partire proprio da quel pomeriggio.


Paradossalmente, quel giorno non segnò una svolta solo per Anathema e Newton.

Ormai da due anni a quella parte, l'umana si approcciava al "suo" demone solo per fare un sorriso furbetto e chiedergli come andassero le cose con l'angelo. E tutte le volte alzava gli occhi al cielo alle scuse smozzicate e balbettate che il rosso tirava fuori per l'imbarazzo.

    «Non sono fatto per queste cose» le aveva detto una volta lui, esasperato.

    Alchè, la giovane aveva ridacchiato. «Ma dico, lo hai visto Shadwell? A te pare un tipo da avere una compagna? Eppure eccolo con la donna più dolce e disponibile del villaggio.»

Quella volta non fu da meno.


    Crowley stava sorseggiando del buon vino quando la vide avvicinarsi. «Bel vestito» commentò, prima di poggiare il bicchiere sul tavolo. «E prima che tu me lo chieda, la risposta è no.»

    Lei sbuffò divertita. «Siete lente voi creature immortali. Si vede che avete tutto il tempo del mondo.»

Si trovavano all'aperto, precisamente nel piccolo gruppo di alberi sul retro del cottage. Era una gran bella giornata, nonostante avesse piovuto fino a qualche giorno prima. Il tutto era stato celebrato all'aperto, l'intera Zona ad assistere.

C'era davvero un gran bel viavai.

    «I ragazzi vengono ancora da voi a "cercare i libri di storia"?» chiese quindi la giovane, deviando il discorso.

    «Lo fanno solo perché Aziraphale gli offre tè e biscotti, quei furbastri.»

    «Lo so. Ma se questo può invogliarli a studiare un po', ben venga. A proposito dell'amore della tua esistenza-»

    Crowley la zittì, sentendo il rossore bruciargli le guance. Voltò la testa a destra e a manca, sperando e pregando che Aziraphale non fosse nei paraggi. «Proprio con i ragazzini» rispose in un mezzo ringhio. «Si è offerto di controllarli, e lo stanno decisamente usando per sfuggire a qualche regola, come al solito.»

Si dice che se parli del diavolo... beh, in quel caso a comparire fu proprio l'angelo con un certo tono di urgenza nel volto e nella voce.

    Si rivolse ad Anathema con un: «Ciao, cara. Scusaci un secondo». Dopodiché, afferrò Crowley per un polso e si allontanò dal tavolo.

    «Si può sapere che stai combinando?» Chiese quest'ultimo, confuso da quel fare sbrigativo.

    «Diciamo che mi hanno trascinato in una partita di nascondino» balbettò l'altro, imbarazzato.

    «Diciamo che ti sei fatto fregare. Perché devo venire anche io, poi?»

    «Se non vuoi, puoi anche tornare indietro.»

Oh, quel broncio. Crowley adorava quel broncio: la prova provata che aveva stuzzicato il suo angelo per benino - anche se stavolta il merito andava tutto ad Adam e compagnia bella.

    Scosse la testa e prese il comando, trascinando Aziraphale verso un gruppo più fitto di alberi. «Tutti contro di te, scommetto. Sai che probabilmente è solo un modo per allontanarti e fregarsi i dolciumi, vero?»

    L'angelo sussultò. «Non credo lo farebbero mai.»

    «Perchè sei un ingenuo.»

Si appostarono in uno spiazzo nascosto, piccolo, abbastanza lontano da ovattare i suoni della festa.

    Crowley si appostò davanti ad Aziraphale, braccia incrociate. «Ora le cose sono due: o hai ragione tu e ci verranno a cercare, o ho ragione io ed usciremo da qui per scoprire che il quartetto dell'Apocalisse si sta beccando una sgridata.»

    Il biondo mise su un'aria seria che, comunque, faceva trasparire una punta bruciante di dubbio. «Anche se fosse, è un giorno speciale: se non hanno il permesso di mangiare qualche dolce in più, glielo concederò io.»

    «Sai, non è male come prospettiva. Tu, mani sui fianchi e facciotta arrabbiata, che inveisci sulle mamme dei ragazzini con il tuo tono da maestrina. Sai cosa? Spero proprio di avere ragione io, allora» ridacchiò Crowley, decisamente ancor più rallegrato dal volto pieno di rimprovero di Aziraphale.

    Questi, dopo una scrollata di testa, cambiò discorso. «Anathema ti ha detto che ha intenzione di accogliere Adam?»

    Oh, quella era una novità. Una novità che fece scappare al rosso un sorrisino. «Non so quanto gli conviene al ragazzino: tra qualche mese si ritroverà con un fratello, o una sorella. O magari con entrambi.»

    «Sono una bella coppia. Non mi stupirebbe» rimbeccò l'angelo, volutamente ignorando cosa l'altro volesse insinuare. «Hai visto quant'erano carini?»

    «Già, carini e anche fortunati. Hanno beccato l'unica giornata di sole.»

Oh, quel broncio, stavolta accompagnato da uno sguardo sfuggente e un leggero rossore sulle guance: la prova provata che qualcuno era stato sgamato.

Stropicciandosi le mani, Aziraphale emise un rantolo.

    Mani dietro la schiena e sguardo furbetto, Crowley inclinó un po' la testa verso di lui. «Scusa, hai detto qualcosa?»

    «Non potevo lasciare che la pioggia rovinasse tutto, va bene?»

    «Chissà perché non sono stupito.»

Non che la cosa gli dispiacesse. Neanche a farlo apposta, il rosso era finito in una zona d'ombra, dove le fronde degli alberi coprivano lo spiazzo d'erba in mezzo quale si erano rifugiati. L'altro, invece, se ne stava tutto imbarazzato sotto una bella pozza di sole che rendeva i suoi occhi più luminosi, i suoi capelli più candidi e il suo rossore più evidente. Controluce, al demone parve quasi di vedere la normalmente nascosta aureola di Aziraphale fare breccia tra le volute dei suoi riccioli. Non era la prima volta che succedeva, ma era una vista alla quale non si sarebbe mai abituato.

    Gli scappò un sospiro. «Ma sì, è proprio una bella giornata.»

L'altro alzò lo sguardo verso il suo, come se avesse capito che l'aggettivo non si riferiva certo al clima, o al cielo terso, o al sole piacevolmente caldo.

L'aura del rosso riprese a rimbalzare, irrequieta. 

«Quando arriverà il momento, lo capirai da te», e se non era il momento giusto quello, allora Crowley non aveva veramente idea di cosa potesse essere.

Erano soli, temporaneamente lontani; con ogni buona probabilità, nessuno sarebbe venuto a cercarli e c'era quel qualcosa nel loro scambio di sguardi, il qualcosa che aveva iniziato a muoversi dalla prima volta in cui avevano scoperto di potersi toccare.

Avrebbe potuto rovinare tutto.

Non avrebbe probabilmente rovinato niente.

Magari l'umana aveva ragione e tutto ciò di cui avevano bisogno era quel passo decisivo, quel qualcosa in più.


Così il rosso mandò al diavolo - si fa per dire - le insicurezze. Portò le mani tremanti alle guance dell'altro e guidò quel bel volto morbido verso il proprio. Gli baciò le labbra come spesso aveva visto fare in giro per la Zona, sentendo immediatamente un brivido percorrergli le membra, gli occhi stretti da chissà quale emozione tra il nervosismo, la paura e l'eccitazione.

Sentì anche la bocca dell'angelo schiudersi abbastanza da accoglierlo con una dolcezza misto timore che tanto gli si addiceva. Le sue mani, perennemente indecise, gli sfiorarono prima le spalle, poi le guance, poi la schiena...

Da lì in poi fu tutto in discesa.

Capirono presto la dinamica. Si separarono un po' di volte solo per riprendersi, finendo in una specie di piccolo tira e molla sempre più sicuro e sempre più deciso. Magari era un gesto assolutamente inutile, assolutamente troppo piccolo e troppo semplice per riuscire a contenere le loro emozioni, ma anche solo il fatto che potesse esistere era tanto. Solo il fatto che potessero incontrarsi così, far cozzare le loro auree, senza ferirsi era il simbolo della loro vittoria.


    Sarebbero andati avanti ancora, probabilmente, se solo una vocina non avesse improvvisamente esclamato: «Beccati!»

Fu come se il mondo si fosse bloccato di colpo. Staccandosi da Aziraphale come se qualcuno lo avesse tirato per i capelli, Crowley fissò inebetito i quattro della Zona - più sacchetto di pulci abbaiante - che se la ridevano piegati in due, ovviamente felici di averli colti in flagrante.

    Avesse potuto mangiarseli con lo sguardo, lo avrebbe fatto. «Piccole pesti. Vi ha mandati Anathema, vero? Quella maledetta. Appena la rivedo mi ssente» sibilò, rosso come solo i suoi capelli erano mai stati.

I ragazzini, per niente intimoriti, continuarono a ridersela. Quello fu abbastanza da far capire al demone che era stato tutto un subdolo giochetto fin dall'inizio.

    Aziraphale lo affiancò, ancora leggermente colorito proprio sulle gote che l'altro aveva afferrato con involontaria veemenza. «Temo che non ci lasceranno in pace sulla questione per un po'» affermò, nervoso e tremante.


Effettivamente, ma non sorprendentemente, fu così. Ma tanto a nessuno dei due importava davvero.

Anzi: la sesta volta che Aziraphale si addormentò fu proprio quella sera accanto a Crowley, cullato da tanti tocchi delicati che gli passavano tra i capelli e gli accarezzavano le guance. La seconda volta che ricevette un bacio fu la mattina dopo, e segnò il più dolce dei risvegli. La prima volta che riuscì a decifrare cosa la sua aura stesse cercando di dirgli, segnò invece il giorno migliore della sua esistenza.

La terza volta, il bacio fu lui ad iniziarlo. Scoprì che adorava il piccolo schiocco che le loro labbra facevano quando si separavano quel mezzo secondo che serviva loro per ritrovarsi ancora, ancora e ancora.

E intanto che si perdeva in quei gesti, lo colpiva la dolce consapevolezza che la dicotomia non esisteva più - almeno non tra loro due. Che si era innamorato, e che vedeva nell'aura oscura dell'altro lo stesso attorcigliamento che caratterizzava la propria.

Era il più perfetto dei lieto fine, ma non era la fine.

Era un nuovo inizio, e trovava il suo incipit in quelle meravigliose pozze dorate.

Le sue preferite.


~•°•~


    «Ce ne hanno messo di tempo» sussurrò Raphael tra sé e sé.

Se ne stava davanti alla sua vetrata preferita, osservando la Zona - o meglio, quella che prima era la Zona - dall'alto.

Tra Aziraphale e Crowley c'era davvero un tipo di Amore, con la "a" maiuscola; quel tipo di Amore che poco spesso si vedeva in giro. Era un rapporto costruito un pezzo alla volta, di quelli così apparentemente impossibili, descritti solo nei migliori romanzi e cantati solo nelle più belle canzoni. Un tipo di Amore capace di cambiare il mondo.


Sarebbe andato a trovarli, si disse. Avrebbe decisamente messo il demone di cattivo umore, ma era un rischio che si sentiva di correre. Aveva ancora un po' di conti in sospeso con quei due, e voleva chiuderli tutti.

    Alzò gli occhi verso l'alto, sorridendo. «Spero tu sia contenta» disse, il tono carico di affetto.

Ovviamente, Lei non rispose. Stavolta, però, il guaritore non si offese. Tanto, lo sapeva che Lei ascoltava sempre, anche se non sembrava.

Dio sa tutto, in fondo.


Con un sospiro, fece dietrofront e decise di andare a controllare i suoi colleghi.

Da quando il mondo era cambiato, Michael e Gabriel erano andati ancor più su di giri. Di certo, ora che potevano prendersela per bene a botte con i demoni, tornavano da lui molto più a soqquadro del solito - soprattutto il guerriero.

Vero era che, da quando la dicotomia era caduta, il loro rapporto era tornato come quello di un tempo. Anzi, forse era persino migliorato.C hi l'avrebbe mai detto, si disse, sorridendo tra sé e sé.

Nonostante tutto, nonostante quell'Amore impossibile ancora sulla bocca di tutti, nonostante la Terra che diventava sempre più grigia, la fortezza celeste non gli era mai parsa così bella. Nonostante tutte le emozioni negative che aveva provato, nonostante la rabbia e le cattive azioni, si sentiva rinato.


Era un nuovo inizio, odorava di cambiamento, e trovava il suo incipit nel sorriso di un Raphael nuovamente in pace.


~•°•~


Fine

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