Centro di gravità almeno momentaneo

di Euridice100
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Elena ***
Capitolo 2: *** II - Marco ***
Capitolo 3: *** III - Bruno ***



Capitolo 1
*** I - Elena ***


T.W.: // riferimenti all’omofobia, bifobia interiorizzata.
 
 
 
Centro di gravità almeno momentaneo
 
I – Elena
 
 
 
Elena fuma Lucky Strike rosse e ha alle unghie smalto nero sempre sbeccato.
È arrivata a Napoli solo quest’anno e, complice l’ordine alfabetico, Leone Abbacchio se l’è ritrovata seduta accanto. Ascolta solo reggae ed è pessima in latino, il che è ironico, visto che i suoi insegnano a Lettere classiche. Ma questo non conta.
Quello che conta è Elena che durante le lezioni sbuffa e si intreccia i lunghi capelli scuri, incurante di essere in prima fila. Ogni tanto – spesso – getta un’occhiata a Leone, impegnato a seguire la spiegazione.
Tranne quando Elena lo guarda, s‘intende.
Lui finge indifferenza, ma se n’è accorto da tempo.
In fondo, non è che sia del tutto inesperto. Dal secondo superiore, diverse ragazze gli vanno dietro. Con un paio ci è anche uscito per alcuni mesi.
Però, negli ultimi tempi, Leone Abbacchio è sicuro solo di due cose: il suo nome e voler diventare poliziotto. Il resto è una nebulosa che potrebbe inghiottirlo in qualunque istante.
Elena è in gamba, forse un po’ troppo polemica, e ha un bel culo. Gli piace.
A lui piacciono le femmine, sì.
Il problema è che non gli piacciono solo loro.
Forse lo sa da sempre, o forse solo da quando la ragazza con cui usciva ad agosto gli ha presentato suo fratello e Leone ha pensato che fosse bello, bellissimo. Ma non lo ha pensato come dovrebbe fare un maschio, con l’invidia che spinge a imitare gli atteggiamenti, i modi di dire e di fare, no.
Lo ha pensato con desiderio – lo stesso che avrebbe dovuto riservare alla ragazza che teneva per mano.
E – cosa ancora più grave – quello non è rimasto il pensiero di una notte d’estate.
Eppure, anche se da allora nelle sue fantasie compaiono uomini, le donne gli piacciono. Lo sa. Quando quella stessa ragazza si toglieva il reggiseno, lui finiva in paradiso.
Perciò, che diamine gli prende? Nella vita non si tiene il piede in due scarpe, bisogna scegliere. E se fosse…?
Sa come la pensa suo padre. Non osa immaginarne la reazione se solo sospettasse. Già lui è il figlio strano, che veste sempre di nero e ascolta musica d’altri tempi…
O magari la sua è una fase. Può capitare. Vero? Sì, sono solo pensieri in libertà di un liceale che ha troppo tempo da perdere, tempo che dovrebbe investire studiando. Lo aspetta la maturità, e poi il militare, e il concorso, e l’anno dopo ancora dovrà lavorare e tornare a studiare, e poi…
Il futuro si prospetta piuttosto impegnativo.
Se una parte di lui non vede l’ora di dimostrare il suo valore, un’altra non può nemmeno fermarsi a riprendere il fiato che alle volte lo abbandona. Figurarsi se può perdersi dietro altre sciocchezze.
Anche Elena, ora come ora, è una sciocchezza.
Anche se durante le assemblee tira fuori una grinta e una sete di giustizia che gli fanno correre più forte il cuore.
Elena non si preoccupa nemmeno di copiare latino e Leone ha 7, se continua così la bocciano. Il ragazzo scuote il capo ascoltando tentativi di traduzione che stanno facendo rivoltare Seneca nella tomba.
- Tutto il tempo che ci sta alle spalle appartiene alla morte.
È appena un sussurro, ma non cade nel vuoto.
- Sarai meno schiavo del futuro, se sarai padrone del presente.
È il bello di star seduti avanti: il pregiudizio è così positivo che i professori non si accorgono neanche se stai suggerendo la versione riga per riga.
- Tra un rinvio e l’altro, la vita passa. - 1
Elena strappa un 6- che, per la sua media, è un traguardo insperato.
Non solo: per ringraziarlo, ha convinto il compagno di banco a vedersi per un caffè.
E non potrebbe esserne più felice.
 
***
 
In classe si accorgono presto che dove c’è Leone c’è Elena, e viceversa.
Iniziano a circolare voci sul loro legame. I ragazzi invidiano Abbacchio che, zitto zitto, si fa la nuova – perché se la fa, è inutile che il diretto interessato neghi. Perché, poi? Si sa che Elena è una facile. Una volta è andata anche con quel ragazzo dell’altra sezione, dai, quello che prima stava con…
- Ah, sono andata pure con quello? Che agenda fitta che ho. -
Elena sbuffa, la fronte aggrottata. Oggi non le riesce in alcun modo di truccarsi.
- Gliel’ho detto, ma quel coglione non mi ha creduto. -
- E tu hai pensato bene di farci a botte. -
Leone si sbircia la mano destra. Per fortuna non si sta gonfiando troppo. Le ha date, cazzo se le ha date, ma qualcuna l’ha tirata male. Lezione utile per il futuro: anche quando si è provocati, mai perdere la lucidità.
- Ti ha chiamat… -
Non ha il tempo di terminare.
- Ricordi qualsiasi stronzata e dimentichi sempre che non ho bisogno di cavalieri che si ammazzano per il mio onore. -
- Scusa, ma che cazzo dovevo fare? -
- Ignorarlo. Non merita la nostra attenzione. -
Elena non capisce. Non accetta ci siano delle regole non scritte, diverse per maschi e per femmine, e che ciascuno sia tenuto a seguirle, pena l’esclusione. A Elena non frega di restar sola, ma lui quei pochi coetanei con cui va d’accordo non vuole perderli. Già deve nascondere loro tante cose…
Se sapessero che lui ed Elena sono solo amici penserebbero che è ricchione, e meno dà adito a voci meglio è. Potrebbe mentire, o magari limitarsi ad allusioni, ma la sua coscienza non tollera simile ipotesi. Non è la verità, e anche fosse, perché vantarsene? Stiamo parlando di una persona o un pezzo di carne?
E comunque, mica stanno insieme. Non è affar suo. Elena è libera di andare con chiunque voglia.
(Anche se il pensiero gli fa stringere i pugni.)
- No, Ele. Dicono cazzate. Non è giusto. -
- Tante cose non sono giuste a questo mondo. Tipo sprecare trentamila lire per un rossetto che mi sta di merda, – si volta di scatto verso l’amico, socchiude le palpebre mentre lo studia – Scommetto che invece a te sta bene. -
Non bisogna essere geni per intuire cosa le passa per la mente.
- Non ci pensare nemmeno. -
- Giusto, i maschietti non fanno certe cose, e poi i lividi vanno esibiti, – la ragazza alza gli occhi al cielo prima di ripuntarglieli addosso – Ma il mondo non è bianco e nero, te l’ho detto. Prima lo capisci, meglio stai. -
Elena sa, ovviamente. E, ovviamente, non ha fatto una piega. Elena ha ascoltato quieta, lo sguardo fisso sul volto sempre più pallido di un ragazzo che, un pomeriggio come tanti, ha iniziato a raccontarsi all’unica persona che si è rivelata davvero amica.
Dopo un momento di silenzio, in cui Leone ha temuto il peggio, Elena ha ricominciato a parlare. E ha detto cose bellissime, sì, condivisibili come sempre.
Il problema del discorso – dei discorsi – di Elena, però, sta nel loro essere tanto lineari quanto inapplicabili.
- Se ti piace qualcuno, tu come prima cosa ti chiedi cos’ha nelle mutande? Che domanda perversa, fattelo dire. Se una persona ti piace, ti piace chiunque sia, comunque sia. No? -
Sì, in teoria.
In pratica, Leone continua a sperare di risvegliarsi senza confusione.
In pratica, Leone continua a fallire. Continua, come al diciottesimo di un amico, a rimanere incantato davanti al sorriso di un ragazzo dagli occhi blu.
E continua a chiedersi se non sia una battaglia vana, se in fondo Elena non abbia ragione quando dice che deve smettere di lottare contro se stesso per delle sue caratteristiche. Preferisce la Formula1 al calcio, l’unica pizza che mangia è la Margherita e gli piacciono persone al di là del loro genere. Nessuna di queste cose è sbagliata, è fatto così e va bene – lui va bene.
Mentre parlava, Elena gli stringeva fortissimo le mani, una morsa da cui Leone non voleva liberarsi.
Quel pomeriggio avrebbe voluto farle un’altra confessione.
E ci ha provato, Dio quante volte ci ha provato, quel giorno e negli ultimi mesi. E ogni volta ci è quasi, lo sta per fare, ma si blocca sempre all’ultimo – per insicurezza, codardia, può chiamarla come vuole, è paura.
Paura che sia solo un inganno, paura di non piacerle più davvero dopo la rivelazione, al di là delle belle parole.
Elena, quando penso a una ragazza, penso a te.
- Non mi ha colpito in faccia. E finisco di campare se torno a casa truccato. -
- E tu stasera non ci tornare. -
- E dove vado? -
- Resta qui, no? -
La naturalezza con cui Elena lo dice spinge Leone a chiedersi se si sia resa davvero conto della proposta.
- Così poi è tuo padre ad ammazzarmi. -
- Macché, i miei tornano domani da Firenze. Siamo io e il gatto. E a lui stai simpatico. -
Che pessima idea, si rimprovera Leone. Col culo che ha, come minimo i genitori di Elena rientreranno all’improvviso.
E però, cede senza opporre resistenza.
La ragazza stessa pare incredula.
- Davvero? E posso davvero truccarti? -
- Solo stavolta. E se qualcuno lo scopre non ti rivolgo più parola. -
Una minaccia superflua. Elena – che è già schizzata in piedi con un urlo di giubilo e sta cercando alla rinfusa pennelli, ombretti, qualunque cosa utile alla sua nuova impresa – è sinonimo di fiducia.
- Allora, che facciamo? -
- Che ne so, sei tu l’esperta. -
- In realtà sei la prima persona che trucco. -
- Quindi ti devo pure fare da cavia. -
- Cretino, fidati di me. Sarai il mio capolavoro. -
Elena spiega ogni gesto che compie, ogni prodotto che usa. Leone si riscopre sinceramente interessato. Ma non è una novità – ogni volta che Elena apre bocca, finisce per pendere dalle sue labbra, si tratti di trucco o di rivoluzioni in qualche oscura regione del mondo.
Lei si sta divertendo un mondo, è palese. Il guizzo nel suo sguardo lo testimonia – Leone lo sa, Elena dedica solo a lui quel guizzo, solo con lui è luminosa, rilassata. Agli occhi di un terzo anche lui appare così quando sono assieme? In fondo – si ritrova a sorridere – conosce la risposta.
- Non si sorride. Non si distrae l’artista. -
- Perché, se sorrido ti distrai? -
Cazzo.
Elena tace un istante più del solito.
- Sì. -
È Leone a restare in silenzio, stavolta.
Elena segue con meticolosità il contorno delle labbra. È attenta, precisa, come sempre nei suoi interventi. Lo trucca come se ne andasse della sua stessa vita. Ha le ciglia lunghe, le più lunghe che Leone abbia mai visto. Non le ha mai notate davvero. Il suo profumo, invece, lo conosce bene – sa di buono, di pulito, qualcosa che le sue sigarette forti non riescono a coprire.
Gli trasmette sicurezza, tranquillità – quella che Leone ha provato un pomeriggio di pochi mesi fa dinanzi alle loro dita allacciate.
Pace.
È un profumo che cercherà sempre, ovunque la vita lo conduca.
Pensa ad altro, Leone, pensa che lunedì li chiamano entrambi in storia, che farebbero meglio a ripetere anziché stare così vicini.
Elena gli ha già messo il rossetto, ma fa un’altra passata. Glielo sistema col pollice sul labbro inferiore.
Pensare ad altro è vano.
- Finito. Allora, che ne pensi? -
Il tono di Elena suona diverso da prima.
Leone scruta il proprio riflesso. In tutta onestà, non è in grado di dare un giudizio. Il trucco è pesante, quasi non si riconosce nemmeno. Forse non è un male.
Incontra gli occhi della ragazza. Lei non distoglie lo sguardo – è ancora lì, il volto a un soffio dal suo.
Tutto a un tratto, Leone si sente stanco – stanco di vedersi in uno specchio, di chiedersi se le scene che la moviola della sua mente ha analizzato mille e più volte siano un inganno.
Vuole vedere nella realtà, qualunque essa sia, ovunque essa conduca.
Non sa cosa succederà, se farà una cazzata, se tra cinque minuti finiranno per baciarsi o per mandarsi a fanculo.
Ma stasera non è il risultato a importare – è la verità.
E, in questa ricerca, tirarsi indietro è fuori discussione.
- Mi piace come mi hai truccato. -
- Grazie, – la giovane fa per rimettere a posto qualcosa – Alla fine, questo rossetto sta davvero meglio a te che a me. -
La tensione che li dominava fino a un istante fa sembra essere svanita.
Sembra.
Questo trucco può essere un gioco, ma quello tra loro non lo è più.
Leone la blocca per un polso.
- Elena. -
Da dove viene tutto questo coraggio?
Lei non si scosta.
- Dimmi. -
Quanto possono pesare due semplici parole?
 
- Mi piaci. -
 
 
 
 

Il titolo della raccolta è un verso de "La terra, l'Emilia, la luna" de Le luci della centrale elettrica.
 
1: Seneca – Epistula ad Lucilium I
 
N.d.A.: Salve, bellezze!
Per esercitarmi (e magari anche sbloccarmi) ho iniziato una piccola raccolta Abba-centrica. Però solo il confronto porta a migliorare e l’idea di fondo, per quanto non espressa al meglio, mi piace troppo per lasciarla nei meandri del pc, perciò eccomi. Inizialmente si trattava un’unica storia divisa in momenti, ma sono grafomane e vi beccate tre racconti. Aggiornerò, impegni permettendo, sabato 22.01 circa.
Per tutti i motivi sopra menzionati, vi chiedo di dire la vostra; oltretutto, Elena è il secondo OC di cui scrivo e Mary Sue è sempre in agguato. Inoltre temo di aver fatto un minestrone di tematiche alle quali tengo molto e che approfondirò nel prosieguo. Insomma, siate onestə: ve ne sarò grata!
Mi trovate su Twitter, Tumblr e Ao3, dove pubblico le traduzioni; qui, invece, la playlist BruAbba.
Grazie per aver letto fin qui e a presto, spero! ♥♥♥
Euridice100
 
 
 
P.S.: vale sempre la stessa regola, NON SI RIPUBBLICANO LE STORIE ALTRUI SENZA PERMESSO E SENZA I DOVUTI CREDIT.

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Capitolo 2
*** II - Marco ***


T.W.: // depressione, attacchi di panico.
Ho cercato di essere quanto meno esplicita possibile, ma stavolta NON sono solo riferimenti, perciò se per voi sono argomenti trigger non proseguite la lettura.
 

 
Centro di gravità almeno momentanea
 
II – Marco
 


Quanto è orgoglioso il suo primo giorno di lavoro, Leone Abbacchio.
Stamani suo padre gli ha rinnovato i complimenti: neanche l’ultimogenito, nonostante le stranezze, ha disatteso le aspettative. Anche sua madre si è messa in piedi, anche se è in uno dei suoi periodi no. Gli ha sorriso, e quanto ne è stato felice Leone.
In questura, il mondo si divide quando passa lui. È il timore ingenerato da quel cognome, è il peso delle aspettative. Oggi, però, non se ne sente schiacciato. È arrivato fin qui, lo ha fatto solo con le sue forze – o almeno, questo si ripete quando riaffiorano i dubbi, soprattutto su questa prima sede a due passi da casa – e dimostrerà al mondo di che pasta è fatto.
Beati sogni di gloria.
Nell’arco di un’ora, Abbacchio si scontra con una realtà ben differente. Davvero si aspettava mandassero sul campo un novellino come lui? Lo hanno piazzato a riordinare faldoni con un collega poco più grande. A fine mattina gli dolgono le dita a furia di fare e disfare nodi. L’altro è silenzioso quanto lui. Non che sia un problema: non sono lì per fare pubbliche relazioni e Leone odia i convenevoli. Tuttavia, è pur sempre il primo giorno …
- Zucchero? -
Il giovane sobbalza. Le poche lettere rimbombano quasi aliene nello stanzone.
- Come, prego? -
- Zucchero? Vuoi zucchero nel caffè? -
Quando Abbacchio alza lo sguardo dall’incartamento, l’uomo ha in mano due bicchierini.
A fine turno, Leone torna a casa con un gran mal di testa.
Dopo due settimane, con un numero di telefono in più.
Dopo un mese, deve ammettere che Marco – è questo il suo nome 1 – come collega gli piace un sacco.
- Uhhh… Passioni proibite in questura? -
- Dio Santo, Ele, quanto sei cretina. -
Si sono lasciati bene, per quanto suoni un ossimoro. Tutto è filato liscio fino alla maturità. Poi è arrivato il tempo delle scelte, ed Elena che voleva convincerlo a iscriversi all’Università, a rimandare il militare e riflettere, valutare se la Polizia fosse la sua strada.
Parole che non lo hanno mai tentato, anzi: per Leone, sono state un attacco a lui, al suo sogno d’infanzia.
- Al sogno tuo o di tuo padre? -
- Per una volta mio padre non c’entra un cazzo. -
E la lontananza, gli impegni e gli ideali diversi che iniziano a mordere, i vent’anni.
Sarebbe finita anche senza questi problemi, concordano. La loro storia è stata importante, ma ha dato tutto ciò che poteva dare. Bisogna prenderne atto.
Si sono ripromessi di non perdersi di vista. Sul treno che lo riportava via da lei, Leone ha pensato che almeno alla fine si sono comportati come si deve – almeno stavolta hanno seguito alla lettera il copione obbligatorio in simili circostanze.
Non è mai stato così felice di ricredersi come quando, dopo qualche settimana, lei lo ha richiamato.
Elena, in effetti, gli manca. O forse, a mancargli è la sensazione che provava con lei. La libertà di essere totalmente Leone Abbacchio senza non dover strappare brandelli di sé per essere accettato.
Del resto, è stato anche grazie a lei se ha smesso di farsi la guerra da solo, se ha capito che – chiunque lo attragga, qualunque cosa gli piaccia, compreso il trucco che non è rimasto il gioco di una sera – il problema non è lui.
Leone Abbacchio sa benissimo chi è. Non è mai stato confuso.
Immagina cos’accadrebbe se queste cose si sapessero nell’ambiente che frequenta ora. Gli viene da ridere e morire assieme.
La realtà è che a Napoli non ha più nessuno. Ha perso i contatti coi vecchi amici e non ne ha altri. Ha, a voler essere generoso, conoscenti. La persona più vicina a un amico è, per l’appunto, Marco, con cui ogni tanto beve qualcosa dopo lavoro e che ora si è messo in testa di organizzare un’uscita a quattro con la sua ragazza e una sua cugina.
- Guarda che è proprio bella, ti piacerà. -
- E tu che ne sai dei miei gusti? -
- Tu sei tipo da brune. Ho indovinato, vero? -
Non hai indovinato niente.
E va bene così.
Anche perché Abbacchio non sa come la pensi su determinati argomenti l’unico collega con cui ha legato. Meglio non rischiare di rovinare tutto subito.
Ha già abbastanza problemi di suo.
Il lavoro, se n’è reso conto presto, non è come si aspettava, e non per mancanza di inseguimenti rocamboleschi o di indagini febbrili. È il sistema – è vedere i propri sforzi gettati all’aria tanto dai cittadini quanto dalle istituzioni stesse. Abbacchio ci crede, ci crede davvero, ma ha sempre più l’impressione di trovarsi nel mezzo di una guerra in cui il nemico è anche chi dovrebbe condividere la sua missione.
Una volta, s’illude di essersi sbagliato.
Cinque volte, inghiotte e va avanti.
Ma, dopo l’ennesima volta in cui ogni principio è dileggiato, il lavoro diventa sempre più faticoso.
- Bastano i soldi per avere ragione, – conviene Marco – Purtroppo è così. -
No. Non può, non deve essere così.
Ma è così.
Gli ordini dei superiori, le persone con cui interagisce, l’odore delle stanze e delle volanti… All’improvviso tutto ha l’assurdo potere di stancarlo. Esegue perché deve, perché qualcosa in lui ricorda il motivo per cui lo fa, ma quando esce di casa l’unico suo desiderio è rientrarvi, gettarsi sul letto e aspettare un riposo che non arriva.
È un ingranaggio travolto da un vortice, impegnato solo a mascherare il vuoto che lo mangia da dentro. Non sempre ci riesce, a giudicare dalle domande di Marco quando, sempre più spesso, declina gli inviti a vedere insieme la partita.
Non è buono neppure a fingere di comportarsi in maniera normale.
Il punto di rottura arriva davvero inaspettato?
Ormai, si chiede dinanzi a un’offerta indebita, che la mazzetta finisca nelle sue tasche o in quelle di un altro fa differenza? La sostanza non cambia: in fondo, continuerà a fare il suo dovere anche se stanotte si lascerà trascinare dalla corrente.
Se per una volta, una sola volta, non punterà i piedi…
Se ne pente nell’istante stesso in cui le dita si chiudono attorno alle banconote.
Da allora non conosce pace. Come può guardarsi allo specchio, indossare ancora la divisa che ha infangato? È diventato chi ha sempre odiato, chi ha sempre voluto combattere. Se ci pensa, gli si mozza il respiro. Il respiro, già – quello che gli manca sempre più spesso, anche dopo aver traslocato da quella casa finora sempre incolpata delle sue inquietudini.
Il respiro che, un pomeriggio, perde nel bel mezzo di un turno, alla vista di un uomo somigliante al suo corruttore. Non è lui, no – ma questo è un dettaglio da nulla.
Il calore che di colpo lo abbandona, il cuore che si ferma, accelera il ritmo, si blocca di nuovo, impazzisce – impazzisce, sì, come la sua mente, come lui che rivive quella scelta maledetta ancora una volta in un ciclo senza fine. Lo scopriranno, alla fine succede sempre, deve succedere perché è (era) il suo compito, perché lui è (era) uno dei buoni, cos’ha fatto, Dio Santo come gli è anche solo venuto in mente, perché…
Marco se ne accorge, ferma la volante.
- Dimmi dove abiti – no, non puoi lavorare così. Ti faccio sostituire – no, non dico la verità, tranquillo. Ci sono, sì – ci sono. -
Marco gli resta accanto finché l’onda passa.
 
***
 
Che figura di merda, si rimprovera Abbacchio stendendo il rossetto. Reagisce sempre in modo eccessivo. Un Ariete da manuale. Ma mostrare così le proprie debolezze… Come farà a guardare di nuovo in faccia Marco? E pensa davvero che non rivedrà mai più quel tipo? Beh, indovina: sono un delinquente e uno sbirro, le loro strade sono destinate a incrociarsi per forza. Ma, quando sarà, non dovrà scordare che è la parola di un criminale contro un poliziotto. A chi crederanno?
(Per quanto ancora sarai poliziotto?)
Le labbra sarebbero l’ultima cosa da truccare, ma in questo ha sempre fatto di testa sua, in spregio degli insegnamenti di Elena.
Elena, cui non risponde da due mesi. Lei lo cerca e lui non la richiama. Che stronzo.
Ma la conosce, intuirebbe subito che qualcosa non va. Non può caricarla di tutto questo.
Il rossetto gli è venuto perfetto al primo colpo. Col cazzo che lo rovinerà subito fumando.
Fa per prendere l’eyeliner quando il citofono suona. Resta per un attimo interdetto: non aspetta visite – né, malgrado si stia truccando, ha intenzione di uscire e incontrare gente. La tentazione di fingersi assente è forte, ma già prima ha ignorato per due volte il telefono. È raro che qualcuno lo cerchi con tanta insistenza, a meno che non sia successo qualcosa.
- Chi è? -
- Sono io, Marco. -
Porca puttana schifosa...
Abbacchio ha la prontezza di riflessi di strofinarsi una mano sulla bocca. Il risultato deve essere grottesco perché, dopo averlo salutato, la prima domanda del collega è: – Che hai in faccia? -
Ad Abbacchio viene in mente una sola scusa plausibile.
- È passata a salutarmi un’amica. -
Marco ridacchia.
- Un’amica che ti stampa il rossetto in bocca? -
Il nome sale alle labbra più veloce di ogni pensiero.
- Era Elena. -
- Aspetta – quell’Elena? -
Appena starà meglio, la richiamerà e le chiederà scusa.
Abbacchio annuisce appena.
- Ecco perché non rispondevi al telefono. Allora l’uscita a quattro salta? -
- Così pare. -
La casa riprecipita in un imbarazzante silenzio. Leone cerca di ricordare se abbia nascosto i trucchi. È un interrogativo serio, pari a perché Marco sia qui. Anche se in realtà può solo fingere di ignorare la risposta alla seconda domanda.
 - Fai scorta di alcool per la prossima festa? -
Lo sguardo di Abbacchio segue quello di Marco, si posa sul caos che regna ovunque. Di questi tempi, qualunque cosa lo aiuti a non pensare è benvenuta – sia una bottiglia, la palestra o il sesso.
Di tutta risposta, il giovane si tasta alla ricerca dell’accendino. Anche questo pacchetto, rammenta però, l’ha finito.
Non ha senso girarci attorno, giusto?
- Scusa per prima. -
Marco scuote il capo.
- Sono qui per questo. Non devi scusarti. Come va ora? -
- Per fortuna è successo in un momento tranquillo, – Abbacchio riflette ad alta voce – Che debole del cazzo. -
- Debole? – il più grande ripete perplesso.
- Beh, sì. Tu come definisci uno che reagisce in questo modo? -
Marco non ci pensa due volte.
- Lo definisco coglione, ma per le scemenze che spara. Stavi male, e credimi se dico che mi è spiaciuto vederti così e non poter fare nulla di concreto, ma non penso tu sia debole. Piuttosto, penso che devi riguardarti un po’, capire perché è successo…
Leone conosce la causa del suo malessere. Ma davvero – come può risolvere le cose? Denunciarsi non è un’opzione. Potrebbe prendere un volo per l’altra parte del mondo e cominciare una nuova vita sotto falso nome, ma non è cosa che si improvvisa.
- Ti è già capitato? -
- Sì. -
- Sei stato dal medico? – Abbacchio fa cenno di no – E che aspetti? -
- Sai che è complicato. Non mi fanno lavorare se scoprono che sto male. -
- Hai ragione. Ma non puoi nemmeno rovinarti così. Io ti copro, ma un altro? Prima o poi queste cose vengono fuori. -
Marco non può immaginare quanto le parole colpiscano nel segno.
In fondo, questi attacchi non sono una novità. Leone ha finto di ignorarli, li ha imputati allo stress dello studio, ai dubbi sulla sua sessualità, al distacco dall’unica persona che ne era a conoscenza. Avrebbe dovuto interrogarsi prima, lo sa. E lui per primo sa che è inutile cercare di annegare i suoi guai bevendo. Gli serve una soluzione – definitiva, provvisoria, qualsiasi soluzione – che lo aiuti a reggere ancora un po’ le macerie. Non gli serve qualcuno che ribadisca l’ovvio.
E questa conversazione non gli piace, non gli piace nemmeno un po’. Oggi si è messo fin troppo a nudo. Ma da una confidenza si passa a un’altra e, quando ce ne si rende conto, i segreti hanno smesso di essere tali già da un pezzo.
È meglio cambiare argomento.
- Com’è andata a lavoro? -
Marco capisce l’antifona. Non insiste.
- Dovevo darmi malato anch’io. Al rientro ho trovato un casino. -
- Perché? -
- Hanno portato a interrogare uno mischiato a Passione. Tutto nella norma, quando a un certo punto… puff! Il tizio è scomparso dalla Questura, neanche avesse i superpoteri. Si è volatilizzato, così! – l’uomo accompagna la frase a un sonoro schiocco di dita e Abbacchio aggrotta la fronte.
- I superpoteri. Ma per piacere, – sbuffa – Sarà stato immanicato con qualcuno che lo ha fatto scappare, – deglutisce per mandar via un improvviso nodo alla gola – Come si chiama questo? -
- Buccellati, Bucciarati, una cosa del genere. -
Abbacchio ci pensa su. No, il nome non gli dice niente.
- Vabbè. Allora menomale che domani facciamo notte. -
Marco s’incammina verso la porta, ma per un attimo lo guarda incerto.
- Te la senti di lavorare? -
La replica non si fa attendere.
- Certo. -
L’uomo annuisce, quasi più a se stesso che all’interlocutore, prima di augurargli la buonanotte e uscire.
Vicinanza.
È questo, Leone realizza all’improvviso, ciò che gli sta offrendo Marco. Marco non lo ha giudicato nemmeno per un istante. Gli ha dato consigli goffi, inutili, ma ora come a pomeriggio gli sta dimostrando la sua presenza.
E poi, a ruoli inversi, lui cos’avrebbe detto di tanto brillante? Un cazzo. Perché in questi casi, forse, non c’è davvero un cazzo da dire.
Marco è l’unico a preoccuparsi al punto da passare a trovarlo. È l’unico a tendergli la mano, a continuare a offrigli aiuto. E, le prime settimane, è stato lui a guidarlo nel nuovo mondo cui appartiene.
Marco avrebbe tutto il diritto di fregarsene, ma non lo fa.
Esiste una parola per riassumere tutto ciò. È amicizia.
Leone dovrebbe solo essergliene grato, non riversargli addosso l’astio che prova per se stesso. Di sicuro non può lasciarlo andare così, dopo aver troncato senza mezzi termini i discorsi pesanti senza nemmeno averlo…
- Marco? – l’interpellato si blocca e si volta – Grazie. -
È il commento più sincero che Abbacchio possa formulare.
L’uomo sorride.
- E di che? Vatti a sistemare i capelli, piuttosto. Sai quanto ci tengono a queste minchiate. -
Anche sul volto di Abbacchio compare il fantasma di un sorriso.
Quando richiude la porta, sospira.
Alla fine, aveva lasciato i trucchi in giro. Gli è andata bene. Rimette tutto a posto e si lava la faccia.
Le notti da solo sono lunghe. Ma la cosa non è sempre un male. Può raccogliere le idee in vista della telefonata che farà dopodomani dopo il turno.
In poco più di ventiquattr’ore non starà meglio, ma la chiamerà comunque. Non le racconterà i suoi guai, ma le chiederà scusa per essere una pessima persona e un amico persino peggiore.
Ventiquattr’ore e potrai mandarmi a fanculo, Ele.
 
 
INTERVENTO DURANTE FURTO, LADRO UCCIDE POLIZIOTTO
Napoli – Non si ferma la scia di sangue che macchia la città. A farne le pese stavolta…”
 
 
 
 
 
 
(In questa ff ho invecchiato di tre-quattro anni Abba&co per ritrovarmi con le tempistiche.)
 
 
N.d.A.: Ciao!
Innanzitutto, un grandissimo ringraziamento a chi ha letto, recensito e/o aggiunto a una lista quest’esperimento. Dopo mesi di blocco, è stata un’iniezione di fiducia!
L’ultimo aggiornamento slitta un pochino perché il FeBruAbba è alle porte e vorrei parteciparvi (anche se devo ancora decidere come), ma non temete, arriverà. ;) Nel frattempo, ditemi la vostra: commenti e consigli sono sempre benvenuti!
Sono su Twitter, Tumblr e Ao3, dove pubblico le traduzioni; qui, invece, la playlist BruAbba.
Grazie per aver letto e a presto, spero! ♥♥♥
Euridice100
 
 
 
P.S.: NON SI RIPUBBLICANO LE STORIE ALTRUI SENZA PERMESSO E SENZA I DOVUTI CREDIT.

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Capitolo 3
*** III - Bruno ***


T.W.: // riferimenti ad autolesionismo-tentato suicidio
 
 
Centro di gravità almeno momentanea
 
III – Bruno
 
I've got no place
buildin' you a rocket up to outer space
 
 
Passione saprà anche mimetizzarsi bene, ma i suoi rappresentanti hanno un certo gusto per la teatralità.
Raccattarlo in un vicolo, ripulirlo, fargli persino sostenere un colloquio con un Capo… Sbronzo com’era, sarebbe bastata una coltellata. Semplice, rapida, relativamente indolore.
Quest’attesa, invece… È beffarda, come beffarde sono state le parole di Polpo.
- La cosa più importante nello scegliere qualcuno è la fiducia. -
Tradotto: anche i delinquenti schifano n’omm’e merda come lui.
Ma, ancora una volta, può incolpare solo se stesso se si ritrova in questa situazione. Avrebbe potuto non dar corda allo sconosciuto. Non permettergli di parlare di assurdità. Non seguirlo. E invece, lo ha fatto.
Lo ha seguito perché pioveva, perché lo sconosciuto aveva un ombrello e gli ha porto una mano, perché ha pronunciato il suo nome – ed era tanto, tantissimo tempo che quelle lettere non erano accompagnate da smorfie di disgusto, e per un istante null’altro è importato, anche se lo portava alla morte, questo è stato tutto.
Lo ha fatto, e ora Abbacchio si ritrova a vegliare un accendino. Cosa succederebbe se lo spegnesse?
Lo fissa tanto a lungo che la fiamma si sdoppia.
Un cazzo. Non succederebbe un cazzo e nessuno lo scoprirebbe. E, in ogni caso, lui è un morto che cammina: presto Bucciarati – ha già sentito questo nome – tornerà e fine dei giochi.
- Se la fiamma si dovesse spegnere, vorrà dire che non sei degno di fiducia. -
Che stronzata. Tutta Napoli sa cos’è successo, cos’aspettarsi da lui.
Per una volta, Leone Abbacchio non deluderà le aspettative.
Pollice e indice sulla fiamma. Il buio. Un clic nel silenzio.
La fiammella torna a splendere.
Vaffanculo. Vaffanculo Passione, Polpo, Bucciarati. Vaffanculo tutti.
A brillare scarlatta è anche la punta di una freccia conficcata nella spalla di Abbacchio.
 
“I watch you fade
keepin' the lights on in this forsaken place”

 
Leone Abbacchio non voleva.
Non voleva essere un prescelto. Non voleva continuare a vivere.
Figurarsi se voleva uno Stand che sa di condanna. Moody Jazz non parla, ed è l’atteggiamento che lui stesso si è ripromesso di assumere d’ora in avanti. Chissà se Moody Jazz prova sentimenti. Abbacchio spera che almeno a lui sia risparmiato ciò da cui il suo Portatore, malgrado i propositi, non sempre sfugge.
Alle volte Abbacchio ancora non crede alla sua nuova, assurda realtà. Ma già il primo giorno Bucciarati gliene ha dato dimostrazione.
Quello stronzo gli ha letteralmente staccato una mano.
Abbacchio non ha mai bestemmiato tanto dal dolore.
Dopo aver ricucito il polso, sulla pelle è comparsa una cicatrice sottile. È quasi invisibile – lo stesso Abbacchio la scorge appena –, ma c’è.
Il segno del passaggio di Bruno Bucciarati.
Chissà per quale contrappasso il capo si ritrova a smembrare e unire. È riuscito a ricucire persino due metà agli antipodi, a creare una nuova figura.
Non più poliziotto, e non riesce a non esserlo; criminale, e non riesce a esserlo
No. Sta attribuendo a Bucciarati meriti che non ha. È stato Abbacchio stesso a plasmare quest’ibrido insensato quando ha accettato la mazzetta. O magari non esiste alcun artefice: forse in lui hanno sempre dimorato, sopiti, i germi di ciò che sarebbe stato.
Per capirlo, occorre riflettere, ragionare, voltarsi indietro.
E Leone lo fa. È la natura del suo potere – la sua natura. Le ore scivolano e lui analizza ogni dettaglio – lo studia, disseziona, il particolare diventa centrale. Regista e interprete di ogni scena, di due lettere diverse per illudersi di variare un destino.
Da quando è in Passione, ha scoperto così tante cose che potrebbe far tremare la città se solo parlasse.
Potrebbe. Dovrebbe.
In fondo, quella di Bucciarati è solo una finta: ama giocare al gatto e al topo coi nemici, sta facendo lo stesso anche con lui. E Fugo non è un bambino. Ha compiuto la sua scelta, ne accetti le conseguenze.
Leone ha tradito una volta. Lo farà ancora. Che differenza farebbe?
Fissa il soffitto.
Non cambierà nulla.
Non riporterà in vita Marco. Non verrà riabilitato. Non sarà riaccolto in famiglia. Per il mondo sarà sempre, ancora, un paria. Per ciò che ha fatto, per chi è, per ciò e per chi ama.
Prima lo capisce, meglio è.
Otterrebbe solo l’odio di Bucciarati.
Chissà cos’ha visto in lui uno come Bucciarati, che agisce sempre per un motivo. Abbacchio vorrebbe capire quale.
- Tu credi in me e io non posso credere in te? -
Risponderebbe così, ne è certo. Che stronzata. Ma tanto, Abbacchio non intende porre la domanda. Il piano del leader non si discute, si esegue.
E quest’indagine, deve ammetterlo, lo spaventa.
Bucciarati rappresenta tutto ciò che Abbacchio odia. Ma, per le assurdità della vita, è anche colui che gli sta restituendo uno scopo. Una ragione, sia pure sbagliata, per alzarsi dal letto la maggior parte delle mattine, per non annegare definitivamente nell’alcool, per non riprovare a. Colui che lo apprezza. Che – per la prima volta dopo tanto tempo – ascolta tutto, anche i silenzi, e non giudica.
Bruno è l’unico ad aver visto l’altro segno sul polso di Leone e a non aver fatto domande.
E lui, nonostante tutto, gliene è grato.
Bruno quella cicatrice non l’ha commentata, mai, ma l’ha baciata un’altra notte, in cui le cose da dirsi erano troppe e il coraggio per dirle ancora troppo poco.

                                                                                                                         
Little star
feels like you fell right on my head
 
 
Malgrado l’esperienza personale, Leone Abbacchio è stato a lungo convinto della preminenza dei legami di sangue su ogni tipo di rapporto.
Non aveva ancora fatto i conti con le cerniere che Bruno Bucciarati crea nei luoghi e tra gli esseri più diversi.
Dovevano essere colleghi – e Dio solo sa quanto fa male questa parola. Eppure eccoli, giorno dopo giorno, attorno al tavolo di un ristorante che è una copertura a mangiare, sfottersi, mordersi le unghie quando chi è in missione è in ritardo, litigare, far pace, volersi bene.
Non farti smuovere.
Da un giorno all’altro tutto finirà e a lui resteranno solo echi con un timer in fronte.
Ma sono dei ragazzini. Alcuni nemmeno maggiorenni. E anche chi i diciott’anni li ha festeggiati da più o meno tempo, trascina immaturità che affondano le proprie radici in cose innominabili.
Abbacchio non pone domande perché non vuole gliene siano poste. Ma non c’è bisogno di chiedere: prima o poi tutte le storie emergono. Napoli è una metropoli e forse proprio per questo, se sai dove cercare, trovi.
Alle volte non serve neppure cercare. Basta attendere per scoprire che, mentre un dodicenne sognava le vacanze, un coetaneo accoltellava gli aggressori di suo padre.
Abbacchio non chiede. Non gli pare opportuno. Anche se sa che riceverebbe risposta – il capo parla, parla tanto con lui, e lui in un qualche modo riesce a parlare col capo. Anche se i silenzi tra loro non creano mai imbarazzi.
Ma vuole sapere. Cos’amava quel ragazzino ritrovatosi di colpo all’inferno? Qual era la sua materia preferita? Cosa voleva diventare da grande?
Bruno Bucciarati resta ciò che Abbacchio odia. E diventa tante altre cose – per Leone e per il mondo. Nei suoi rioni dicono che sia giusto. Che sappia mantenere l’ordine con equità. La gente lo adora – vecchiette, scugnizzi, ragazze. È gentile, disponibile, conosce i problemi della tal famiglia, sa essere comprensivo.
Eppure Abbacchio ha assistito alla sua furia. Alla determinazione che lampeggia feroce nel suo sguardo. Al suo sadismo.
Come può la stessa persona avere tante sfaccettature, essere cento in una. Bruno tiene assieme anche le parti di sé con le sue cerniere? Alle volte, Leone ha l’impressione che Bucciarati riservi a se stesso cerniere non tanto resistenti quanto quelle che assicura al prossimo. Che le sue siano cerniere arrugginite. Allentate. Destinate prima o poi a incepparsi – e quel giorno Bruno si accascerà, si romperà in frammenti minuscoli, schegge che esploderanno al cielo e feriranno chiunque sia sulla loro traiettoria.
Sulla traiettoria di Bruno Bucciarati.
È questione di istanti. Quando sente il nome Paolo. Quando passa una famigliola felice. Quando viene a sapere di ragazzini già distrutti dalla droga. Lo sguardo gli si perde appena verso l’orizzonte, ma è un secondo – così rapido che magari è solo immaginazione.
- Quel giorno dovevamo andare a fare la spesa, a casa erano rimasti solo mele e fagioli. Sono andato avanti con quelli per una settimana – il tempo di prendere coraggio e chiedere aiuto. Ecco perché non li mangio più. -
Se Bruno si aprisse il petto, ne verrebbe fuori un bambino con un coltello insanguinato.
Quel bambino non è scomparso.
Il fumo della sigaretta si alza piano, descrive ampie volute nell’aria. Il vento gli accarezza i capelli – seta scura che gli incornicia il volto.
Se domani tutto finisse, a Leone Bruno mancherebbe più del lecito.
Non voglio che finisca, prega tra baci che non si trattengono e gemiti che si perdono.
Il tempo si ripiega su se stesso – tutto è più confuso, tutto più chiaro.
Ti prego – non facciamolo finire.

 
Gave you away to the wind

 
I ragazzi dicono che Abbacchio sia fortissimo e pazzo perché, qualunque azione gli si richieda, la porta a termine, a qualunque costo. Lui alza le spalle. Ha sempre avuto paura di deludere, Leone – sotto strati di cinismo si nasconde ancora un ragazzino che trema in una divisa scura.
C’è troppo sangue – perché c’è tanto sangue?
Anche Bucciarati è pazzo e non perde occasione di dimostrarlo. Una volta si è diviso in così tante parti che Abbacchio ha seriamente temuto non si sarebbe ricomposto.
Non farlo mai più, avrebbe voluto urlargli. Un solo errore e tu…
E io?
Leone non sa rispondere. Sa solo che non può e, soprattutto, non deve. Non deve cercare di proteggere Bruno, che si difende benissimo da solo e calcola ogni rischio. Non è uno sprovveduto. Non c’è bisogno di gettarsi in sua difesa per gratitudine o per riscattarsi per aver ucciso Marco o il rapporto con Elena.
Elena. Sono trascorsi anni dall’ultima volta che ha sentito la sua voce, ma non ha smesso di pensarla. Il nome è uno squarcio su esistenze che non saranno mai. Come sta? Dove la sta portando la vita? Elena ha saputo. Ci sono state altre chiamate perse, dopo. Poi Abbacchio ha buttato il telefono.
Non si è mai pentito di non averle risposto.
- Perché? Tu la vuoi vedere. Posso… -
- No. Deve stare alla larga da questo mondo. -
- Non correrebbe pericolo. -
- Lo so. Ma le voglio bene, e proprio per questo non posso incontrarla. -
Bucciarati riprende parola solo dopo qualche istante.
- Elena è fortunata, – non concede il tempo di chiedere perché – Com’è? -
- Una gran rompicoglioni. Ma in gamba, e divertente, e bella. Alta. Capelli scuri, – sente la bocca dello stomaco contrarsi – Occhi neri. -
Bruno si allunga verso di lui. Assaggia la bugia sul suo volto e Leone deve sforzarsi di restare immobile – di non voltarsi a conoscere la lingua di Bruno, di non riempire di segni la sua pelle e bersi tutti i gemiti di quella bocca.
Di non ammettere che voleva questa reazione.
Se solo sapesse tutte le cose che hanno fatto assieme nella sua testa…
Bruno si umetta le labbra. Un sorriso malizioso gli carezza la bocca.
- Non ha gli occhi neri. -
Quel giorno le guance di Leone restano di fuoco a lungo.
Ha un tipo ideale. Che c’è di male? Lo aveva già prima di conoscere Bucciarati. Elena e chi l’ha seguita lo dimostrano.
Sono altre le cose importanti.
Come il fatto che, da qualche tempo a questa parte, il mondo ha ripreso i suoi colori. Il caffè ha ricominciato ad avere sapore. Alle volte note di una chitarra a lungo dimenticata riempiono di nuovo l’aria.
C’è stato un momento, non tanto lontano, in cui Leone doveva ricorrere al dolore per dimostrarsi di essere ancora vivo.
Ora, però, si sente vivo quando è con Bruno.
E per questo ha paura.
C’è una sorta di schema: finora Leone ha distrutto chiunque gli abbia teso una mano. E non c’è due senza tre, recita il detto.
Lascia perdere.
Per lui, e anche per te.
Si sta ritagliando a fatica un equilibrio precarissimo. Non deve rinunciarvi per niente e nessuno. Ecco cosa gli consiglierebbero Elena e anche Bucciarati stesso.
Non era un’impressione: essere sensibili e crescere da soli in certi contesti crea un insieme letale e Bucciarati non fa eccezione. Sarà anche un leader nato, ma nella vita privata è il caos, tra il lavoro in cui si immerge fino a dimenticare se stesso, parecchio sesso occasionale e un ex che a volte ritorna e che lui riaccoglie sempre.
Una volta Abbacchio lo ha visto, questo ex dai capelli di grano e la sigaretta appesa all’angolo delle labbra come James Dean.
Gli è stato sul cazzo a prima vista.
Lascia perdere.
Ogni volta che intercetta lo sguardo di Bruno su di lui, Leone alza il capo. E quasi ogni volta Bruno gli lancia un minuscolo, segreto sorriso.
Leone è egoista. Non vuole rinunciare al calore di quel sorriso.
Più i mesi passano, più Leone si sveglia pensando che oggi quel ragazzo si occupa tanto degli altri – in fondo occuparsi degli altri è facile, molto più facile che occuparsi di se stessi – aprirà gli occhi e capirà lo sbaglio fatto tirandosi appresso un ex sbirro incapace come lui, uno che non può neanche usare nei combattimenti.
Non è successo ieri, forse non sta succedendo oggi, ma succederà domani, o dopodomani, o non sa quando, ma succederà.
È speranza. È timore. È certezza.
Cosa può fare, lui, nell’attesa? Nulla. Può solo impegnarsi al massimo, dimostrargli che vale qualcosa, anche solo briciole, perché il suo Stand non sarà letale o infallibile o qualunque altra cosa utile a una gang, ma può ricordare – e nessuno meglio di lui conosce lo splendore e il dolore di questo prodigio.
Ricordare fa paura. Ma ricordare salva – fa rivivere gli errori, illudere che non si ripetano.
Ricorderà tutto di lui.
La prima volta che ha sentito il suo nome, la prima volta che i confini tra loro si sono dissolti.
La prima volta che si è reso conto di amarlo.

 
Us against the world
just a couple sinners makin' fun of hell

 
Non doveva andare a finire così. Non doveva proprio cominciare, a dirla tutta.
Ma, tra tutte le cazzate combinate, forse questa è la più condonabile.
Bruno dopo gli chiede di andarsene. Ha i capelli arruffati e le labbra gonfie e Leone pensa di essere l’uomo più fortunato al mondo se per una, una volta nella vita, ha l’onore di questa visione.
- Ti accompagno. -
- Non c’è bisogno. -
Poche ore dopo lo rincontra a Libeccio. Ha i capelli sistemati.
Leone torna a casa tardi anche quella notte. E quella seguente. E quella dopo, e quella dopo ancora.
Non si ferma mai. Non chiede di fermarsi. Non può – potrà mai? – chiederglielo. Forse è un bene. Dormire insieme è l’anticamera della tragedia.
Del resto, non stanno insieme. Si vedono quando ne hanno voglia. Quando lavorano insieme fino a tardi. Quando per lavoro restano lontani qualche giorno di troppo. Alla fine non si conta più il tempo che trascorrono assieme. Ma non stanno insieme.
Ragioni di opportunità – appartengono allo stesso team.
Ragioni di logica – sono a malapena capaci di prendersi cura di se stessi, figurarsi di un altro. E una relazione richiede maturità, non tentativi maldestri di ricucirsi tagli e colmare vuoti.
Se lo dicono. Bruno lo dice. Anche se poi si abbandona a lui e resta ore a perdersi nelle linee della sua mano.
- Se succede di andare con un altro, non fa niente.
Monosillabi unica replica, sì, ok, mhm.
Bruno ribadisce, forse anche più volte del necessario.
- Leone – va bene comunque. -
Leone smette di rispondere
Quanto costano certi silenzi, Cristo.
Ok andare con un altro, ma non con il suo ex. Con lui è finita per sempre, dichiara Bruno, un’ombra tra parole pronunciate troppo in fretta.
Abbacchio non si illude nemmeno.
Fosse qualcun altro, non sprecherebbe energie. Il problema è che non si tratta di uno qualsiasi, si tratta di Bruno – è assurdo che una persona che ha creato una famiglia abbia tanta paura di legarsi, anche se lo vuole, è ciò che più brama al mondo, e Leone lo sa, lo vede dal modo in cui Bruno lo attira a sé, e di chi sono davvero sono le ansie che disinnesca coi baci, sono di Leone o sono le sue?
Bruno promette di non promettere, sfugge e ritorna – una nebulosa che non si lascia fotografare nemmeno dagli strumenti più potenti. Lo guarda dritto negli occhi e Leone ci crede – in quei momenti c’è Bruno, non Bucciarati, e Bruno è sincero, anche se scapperà di nuovo, anche se avrà di nuovo paura.
Alle volte Abbacchio si impone di non farsi domande. I Portatori di Stand si attraggono a vicenda, a quanto pare in più di un senso, ma loro sono abbastanza adulti da godersi il momento con razionalità. Perché di questo si tratta – di un momento. Passerà.
Che marea di stronzate.
Entrambi conoscono la verità che non si può nominare.
E Leone sa che, in un mondo che gli ha voltato le spalle, una notte di pioggia si è accesa una luce. È quella la fiamma, non un accendino, che vuole custodire. Anche a costo di scottarsi.
Il modo in cui tremano insieme.
Non voglio sia solo per distrarsi.
Le loro dita intrecciate.
Con te non è per non pensare.
Non finirà bene.
Questa fame di te – non sono l’unico a provarla.
Eppure non sarà lui a farla finire.
Sai di casa.
 
If I keep you here
I'll only be doing this for myself

 
Oggi Bucciarati è pallido come non mai. Finge naturalezza, ma il mare nei suoi occhi è inquieto. Siede, la schiena dolorosamente ritta, ogni gesto così rigido che sembra stia per spezzarsi. Gioca col cibo nel piatto, lo spezzetta, lo sposta con la forchetta.
Quando gli altri vanno a vedere il gatto che Narancia ha trovato e che vuole assolutamente portare a casa di Fugo, Leone si avvicina a Bruno.
- Ehi. Che succede? -
Il più giovane non risponde. Cincischia ancora il cibo finché la forchetta non gli scivola tra le dita, un tonfo sordo contro la ceramica. Non la recupera. Continua a fissare qualcosa che solo lui vede mentre fa per scostarsi la frangia dagli occhi.
- Ho perso un fermaglio, – mormora piano, quasi non volesse farsi sentire.
- Non lo hai perso, – il sottinteso è chiaro anche se l’interlocutore è su un altro pianeta, Bruno annuisce, più a se stesso che all’altro – Passi a prenderlo dopo? -
Bucciarati alza lo sguardo. Sembra preoccupato. Perché?
- Leone, – lo chiama per nome, come fa solo quando sono soli – Tu che fai se scopri che…
Abbacchio resterà per mesi col dubbio circa la scoperta. Perché, tutto a un tratto, la tensione che indurisce i lineamenti di Bruno lascia il posto a qualcosa di nuovo.
Consapevolezza?
- No – s’interrompe – È una cosa stupida. -
- Dimmela lo stesso. -
Lo sguardo di Bucciarati, ora che è tornato al presente, è strano. È come se vedesse Abbacchio per la prima volta – stasera e nella vita. A essere sinceri, in questo momento non è una sensazione piacevole.
Il leader scuote nuovamente la testa.
- No, credimi. Grazie, ma non è importante, – imprime alle parole una convinzione che non trasmette.
- Va bene, ma ora sono curioso. Cosa faccio se-
- Stasera devo lavorare, – Bruno tronca ogni tentativo di ultimare la frase. Si alza di scatto e si mette il cappotto, gli dà le spalle, già pronto a uscire – Non passo. -
Lo sussurra appena, ma Leone lo sente benissimo.
 
 
La mattina seguente, è Fugo a distribuire i compiti.
Bucciarati, riferisce, è fuori Napoli. Polpo in persona gli ha affidato un incarico importante. Starà via un paio di giorni, forse anche di più. Devono cavarsela da soli – ne sono capaci. Giusto?
Giusto.
Quella sera, spinto da un sesto senso, Leone passa sotto casa di Bruno.
Dalla tapparella ancora alzata filtra luce.
 
I know this thing is broken

 
Bucciarati si fa rivedere dopo una settimana, tranquillo e sereno.
Lo stesso non può dirsi di Abbacchio, che ha trascorso gli ultimi giorni a macerare in quello che il mondo chiama catastrofismo e lui preferisce definire realismo.
La missione è andata bene. Ovviamente non può dire molto, ma sono un ottimo team, si stanno facendo un nome – guarda che noi non abbiamo fatto niente, una volta tanto Mista fa un’osservazione sensata, ma Bucciarati sorride, no, non si rendono conto del loro potenziale e altre minchiate simili.
Ad Abbacchio viene una grandissima voglia di scheggiare un altro dente a Bucciarati. Onde evitare, esce a fumare la quinta sigaretta in due ore che è sveglio.
La sua non tanto beata solitudine ha vita breve.
- Ciao. Come stai? -
Uno sforzo titanico non reagire al suono della sua voce.
Che succede cosa non mi hai detto perché mi hai mentito.
- Bene. Tu? -
Quella luce non era un errore tu non faresti mai una cazzata simile era un messaggio ma perché.
Bucciarati sospira. Da una delle sue mille zip invisibili estrae un foglietto accuratamente piegato.
- Ho avuto un po’ di pensieri per la testa. -
- Immagino. Oltretutto a te non piace stare lontano da Napoli, – lo provoca. Bucciarati sa che lui sa, ne è certo. Ma deve sentirglielo ammettere.
Perché? Cosa cambia? Che pretese puoi muovere?
Nessuna. Nessuna. Nessuna.
- Abbacchio – non c’è stata nessuna missione. -
A Leone viene quasi da ridere, non sa se per il sollievo o perché è completamente andato.
- Lo so – decide di ignorare di essere stato chiamato per cognome anche se nel vicolo non c’è nessuno – Mi chiedo solo perché mentire. -
- Avevo bisogno di stare da solo. -
- Questo non risponde alla domanda. -
(Invece sì, Leone. perché tu puoi capire cos’ho scoperto e come mi sento, ci sei passato prima di me. Ma se parlo riapro le tue ferite e ti metto in pericolo.)
- Abbacchio.
Dì il mio nome siamo soli dì il mio nome.
- Devi sapere una cosa su Elena. -
Abbacchio quasi si strozza con il fumo.
- Cosa? – mormora quando riprende fiato.
Bucciarati alza le mani, ma per mille motivi diversi il gesto non tranquillizza affatto l’uomo.
- Tranquillo, sta bene. Volevo solo avvisarti che fino a domenica è in città, – prosegue noncurante dell’altrui perplessità – Magari ti fa piacere incontrarla. -
- Non intendo… -
- … Non intendi metterla in pericolo. Lo so. -
- E allora perché me lo dici? -
Bruno non risponde. Apre e chiude più volte la nota che ha tra le dita. La compostezza sfoggiata prima, Abbacchio già lo sapeva, era una farsa.
Leone ripete la domanda.
Bruno gli pianta gli occhi in volto e una frase di lama in petto.
- Stasera vedrò il mio ex. -
Il cervello di Leone Abbacchio dovrebbe essere oggetto di studi approfonditi. Perché è incredibile, prodigioso, assolutamente stupefacente che, dopo simile dichiarazione, esso riesca a pensare, persino a compiere collegamenti.
Pone un’altra domanda, l’unica che risuona legittima in qualche anfratto ancora speranzoso della sua mente.
- Lavorate assieme? -
- No. L’ho cercato io. -
Oggi in Passione non esiste team più inutile della Squadra Esecuzioni.
Un angolo delle labbra di Leone si piega.
- Finita per sempre, giusto? – ancora una volta, nessuna risposta. Per assurdo, è l’assenza di reazione a indispettirlo – Ma che cazzo domando a fare. Tu ti racconti le cose e ci credi. Anzi, peggio – ci ho creduto pure io. -
Il più giovane incrocia le braccia al petto, la fronte corrugata.
- Abbiamo subito messo in chiaro le cose. Te lo sto dicendo per correttezza, ma sai da sempre che mi ritengo libero. Devi farlo anche tu. -
Come se lui non volesse ritenersi libero, come se non avesse maledetto cento volte questo laccio al cuore.
- Ti rendi conto che non è semplice? -
Bruno si rabbuia.
- Perché? Perché non è semplice, perché fai così? Puoi avere chiunque, t-
Se ormai i veli sono caduti, perché mantenere questo – l’ultimo, il più estremo?
- Io non voglio chiunque. -
Una frase che assottiglia l’aria, rende difficile respirare.
Per la prima volta, Bruno scosta lo sguardo. Deglutisce.
- Non ti ho promesso niente. -
Almeno ora che è finita, lui sa.
Un’improvvisa, inopportuna ventata di orgoglio si accende nel petto di Abbacchio.
- Non ti ho chiesto niente. -
Bruno avvicina. Troppo vicino, ché Leone quasi teme – spera – che lo baci lì, all’aperto, dove non c’è anima viva, ma magari ci fosse una folla a testimoniare che loro sono, per sempre, per poco, ma ancora.
Bucciarati gli afferra una mano. Gli schiude a forza il pugno, vi lascia scivolare la nota.
- Il nuovo numero di Elena. Fa’ che vuoi. -

 
You and my guitar
I think you may be my only friend.
 
Il foglietto è finito nella spazzatura.
Moody Jazz potrebbe recuperare il numero in un istante. E forse Abbacchio dovrebbe permetterselo. Sarebbe il modo perfetto di mandare affanculo Bucciarati, come a quanto pare questi tanto desidera.
È una tentazione leggera – solletica la mente, ma non si sofferma. Il pensiero, semplicemente, non è. Vuole troppo bene a Elena per contattarla, ma se pure la sua codardia lo facessero cedere, incontrarla o usarla per vendicarsi sarebbero fuori discussione.
Stasera Bucciarati…
Abbacchio non ci vuole neanche pensare.
Ha sempre saputo come sarebbe finita. Ma anche per un una medaglia olimpica di pessimismo un conto è pensare che una cosa succeda, un conto vederla succedere.
Bruno non lo ha mai illuso, vero. È stato lui a costruirsi castelli in aria, a vedere cose che non evidentemente erano.
La sua è stata una reazione infantile. Avrebbe dovuto augurare buona serata e tornare a casa, rinchiudersi e non uscire per i successivi dieci giorni. Cosa che comunque è nei suoi programmi: come farà a lavorare con Bucciarati – il suo capo, porca puttana, il suo capo – dopo avergli fatto una piazzata da adolescente geloso?
Il suo capo. Il suo salvatore. Il suo migliore amico. Ci sono tanti modi diversi per descrivere Bruno Bucciarati, tutti corretti e tutti sbagliati. Ce n’è un altro, poi, che li include tutti, ma che a quanto pare vale solo per Leone, come del resto Bucciarati sottolineava con le parole.
E contraddiceva coi gesti.
Leone Abbacchio non è sorpreso da se stesso. Sa benissimo che, se non sta già bevendosi anche l’anima, è solo perché non ha ancora realizzato appieno. Quando – tra un’ora, un giorno o una settimana – si volterà e vedrà sul comodino un fermaglio dorato, capirà che l’ennesima stella della vita si è eclissata.
Amicizia, carriera, amore. Se istituissero un Nobel per i fallimenti, Abbacchio lo vincerebbe ogni anno.
Steso sul letto, carezza inconsciamente le due cicatrici sul polso. Si sofferma sulla più recente. Bruno ha fatto in modo di lasciare più di un memento di sé. Grazie, come se ce ne fosse bisogno.
Perso nelle sue elucubrazioni, Abbacchio non si rende conto subito che stanno bussando. Contempla l’idea di fingersi fuori casa: per esperienza intuisce l’identità del visitatore e stasera non è proprio dell’umore.
Ma, eccetto i colpi alla porta, c’è troppo silenzio. Narancia, Fugo e Mista si sarebbero fatti riconoscere già salendo le scale…
Lo coglie l’atroce sospetto che Bucciarati gli abbia mandato Elena.
Continuano a bussare. Se Elena sapesse che è lì, gli starebbe già urlando di uscire. E se non lo sapesse, non insisterebbe tanto. Bruno non va tanto per il sottile quando deve convincere qualcuno a fare qualcosa, ma non arriverebbe a minacciare lei, non fosse altro per correttezza nei confronti del sottoposto.
Restare lì non svelerà il mistero. Male che vada, sbatterà la porta in faccia al disturbatore. Tanto, peggio di così…
Non sono i suoi compagni di squadra – buon per loro.
Non è Elena – ma Leone non si sente sollevato.
Perché sulla porta di casa, c’è Bruno Bucciarati.
Sta tremando – e Leone vorrebbe fregarsene, sbattergli davvero la porta in faccia e lasciarlo lì, come Bruno (non) ha lasciato lui, a sbrogliarsi da solo dai problemi che ha voluto crearsi.
Vorrebbe voltare le spalle e non sbirciare, perché che Bruno lo segua o meno non è più affar suo, potrebbe ricadere nelle tenebre o rivedere le stelle, a lui non importerebbe.
Vorrebbe tante cose Leone, tante, ma di persone ne vuole una e una sola, la stessa che ha di fronte e ha gli occhi rossi ma non piange, Bruno non piange mai anche se dentro sta morendo, Leone dovrebbe saperlo, e Bruno lo guarda e parla, e Leone pensa che tutti gli anni che gli restano, siano uno o cento, li vuole trascorrere così, con questo sguardo azzurro addosso e questa voce nelle orecchie, e Leone può rivivere questo momento all’infinito, ma non sarà mai bello come ora, come Bruno che lo guarda negli occhi e trema, sì, ma è il suo corpo a tremare, non la sua voce.
- Non posso. Leone – non posso. -

 
Se il destino è scritto e nulla si può fare per sfuggirgli,
allora ogni cosa lo ha
– li ha –
condotti qui.
 

Leone Abbacchio è sveglio da poco. Dinanzi ai fornelli, fissa la caffettiera come se lo sguardo potesse accelerare l’uscita del caffè.
Prima che possa impedirselo, gli torna in mente la notte appena trascorsa.
Ha avuto cento volte la pelle di Bruno sotto le dita. Ma stavolta non ci sono state ombre.
Solo luce su luce.
Sospira. Rivivere certi momenti gli fa solo desiderare replicarli. E non c’è nulla di male, ok, ma prima bisogna parlare. Questa relazione non ha contorni chiari, ma se vogliono possono tracciarli insieme.
E se non vogliono…
Abbacchio si passa le mani sulle braccia per riscaldarsi. Quest’inverno sta facendo un freddo porco. E Bucciarati dorme mezzo nudo, ha scoperto stanotte.
Leone si concede un mezzo sorriso.
Anche Bruno vuole disegnare quei contorni. Lo ha dimostrato presentandosi da lui e non da altri.
Come evocato dal pensiero, Bruno compare.
- Ehi, – Abbacchio lo saluta – Il caffè è quasi pronto. -
Bruno annuisce dalla soglia della cucina. All’improvviso, si avvicina a grandi falcate e abbraccia Leone alle spalle. Lascia scivolare le braccia sotto la vecchia maglietta e lo stringe a sé – forte, più forte, come a sentire il battito del suo cuore.
Non ha più senso nascondere che ogni tocco, anche il più casuale, fa correre il sangue nelle vene.
Bruno riposa la testa contro la sua schiena e respira forte.
 
Nel silenzio, pronuncia due parole.
 
E l’inverno è solo un concetto.
 
I gave it all to see you shine again,
I hope it was worth it in the end.
 


Qui la colonna sonora (Elliot’s Song – Euphoria 02x08, di Dominic Fike, Zendaya e Labrinth)
 
 
 
 N.d.A.: …La mia intenzione era pubblicare il 25, ma dai, siamo lì.
Perdonate il ritardo nella conclusione della raccolta: tra gli impegni quotidiani e il clima generale, il tempo e l’ispirazione non sono dalla mia. Questo non è il mio miglior capitolo e le mie storie non brillano per originalità, ma spero comunque che vi facciano evadere per qualche minuto – e spero anche di non essere andata super OOC come temo. Mi raccomando, commentate senza pietà!
Ringrazio chi ha letto, recensito e/o aggiunto a una lista la raccolta. Il vostro sostegno non smetterà mai di stupirmi ed emozionarmi. Siete degli splendori, lo ripeterò oggi e sempre.
Una menzione speciale ad Atharaxis: alla fine ho fatto di testa mia, ma tu sai. Grazie di vero cuore e sempre abbasso/viva/abbasso l’ex dai capelli di grano.
Sono anche su Twitter, Tumblr e Ao3, dove pubblico le traduzioni; qui, invece, la playlist BruAbba, in continuo aggiornamento.
Grazie per aver letto fin qui e a presto, spero! ♥♥♥
Euridice100
 
 
 
P.S.: NON SI RIPUBBLICANO LE STORIE ALTRUI SENZA PERMESSO E SENZA I DOVUTI CREDIT.

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