Éméline Potter

di ame_vuiller003
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Hogwarts ***
Capitolo 3: *** Occlumanzia e metamorfosi ***
Capitolo 4: *** Il medaglione di Salazar Serpeverde ***
Capitolo 5: *** Marchio Nero e stranezze ***
Capitolo 6: *** Rivelazione ***
Capitolo 7: *** Funerali ***
Capitolo 8: *** 4 Privet Drive ***
Capitolo 9: *** Salvataggi ***
Capitolo 10: *** La Tana ***
Capitolo 11: *** Il matrimonio ***
Capitolo 12: *** Periferia londinese ***
Capitolo 13: *** Si torna a casa, più o meno ***
Capitolo 14: *** Elena Corvonero ***
Capitolo 15: *** Ricongiungimento ***
Capitolo 16: *** Vivi e morti ***
Capitolo 17: *** La foresta ***
Capitolo 18: *** La verità ***
Capitolo 19: *** La fine ***
Capitolo 20: *** Godric's Hollow ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era notte, e tutti a Privet Drive dormivano. Sul muretto del numero 4 però si vedeva l'ombra di una gatta.
Verso mezzanotte, all'angolo di Privet Drive, un lampione si spense. La gatta seduta sul muretto di drizzò immediatamente. Via via tutte i lampioni si spensero. Un uomo alto, con una lunga barba, dei lunghi capelli bianchi e una lunga tunica azzurra e blu scuro si avvicinò al numero 4 e disse
-Immaginavo che l'avrei trovata qui, professoressa MgGonagall.-
Allora la gatta si trasformò in una donna: alta anche lei, con i capelli grigi raccolti in uno chignon. -Buonasera professor Silente. Come faceva a sapere che ero io?-
-Suvvia professoressa, non ho mai visto un gatto seduto in una posizione così rigida-
-Sarebbe rigido anche lei se avesse passato tutto il giorno su un muretto... ma passiamo cose più serie: sono vere le voci, Albus? Si dice che... beh... che tu-sai-chi sia stato sconfitto.- sussurrò.
-Via, Minerva, dopo tutti questi anni non credi di poterlo chiamare con il suo vero nome? Tutte queste storie... lei-sa-chi, colui-che-non-deve-essere-nominato... una strega come lei non dovrebbe preoccuparsi di certe cose.- disse guardandola di sottecchi mentre alzava gli occhi verso il cielo notturno.
-Facile a dirsi, quando si è l'unico mago che egli... che Voldemort teme. Comunque, è vero o no?- domandò con insistenza la donna.
-Suppongo proprio che sia vero. Si festeggia ovunque questo grande evento, questa notte. Io stesso mentre venivo qui mi sono imbattuto in una decina di feste.-
La professoressa lo osservò a bocca aperta.
-Beh, ci si aspetterebbe che siano più cauti. Piogge di stelle cadenti, gufi che volano in stormi da una parte all'altra del paese... i babbani non sono stupidi, persino loro lo hanno notato! Ho sentito che lo dicevano ai loro telegiornali.- disse scuotendo la testa.
-Non si può dir loro nulla, dopotutto. Dopo più di dieci anni vissuti nel terrore, è del tutto normale che si voglia festeggiare questa ritrovata pace e serenità.- commentò l'uomo. Non dissero più nulla per qualche secondo.
-Ho... ho sentito strane voci in proposito a come Voldemort se ne è andato...- comincio l'insegnante. Albus Silente voltò lo sguardo verso la collega assumendo un espressione triste.
-Cosa?! Ma non è possibile, Albus! Io non ci ho creduto, non volevo crederci! Mi sembra impossibile che Lily e James siano.... insomma, siano.... e i due gemelli! Come è possibile che, dopo tutti gli scempi che ha commesso, tutti i maghi potenti che ha ucciso, sia stato sconfitto da due bambini di poco più di un anno?!- disse la professoressa trattenendo un singhiozzo.
-Lo so, lo so. Al momento possiamo solo fare congetture.- disse Albus Silente cingendole le spalle, e continuò -Ma la cosa migliore per ora è che i loro figli siano al sicuro, all'oscuro di tutto quello che riguarda il nostro mondo. Per questo motivo li lascerò dai babbani.- confessò alla fine.
-Cosa? Albus, non starai parlando di quei babbani. Solo la peggiore famiglia di babbani che io abbia mai visto! Harry e Éméline Potter a vivere con loro? È un insulto al loro nome, Silente! Diventeranno, sono già diventati!, famosi! Non ci sarà bambino nel nostro mondo che non conoscerà il loro nome!- disse la professoressa indicando il numero 4 alle sue spalle e osservando stralunata l'uomo al suo fianco.
-Sì, Minerva, esatto. E proprio per questo è necessario che loro crescano lontano da tutto questo. Inoltre, questi babbani sono gli unici parenti che hanno, ed è bene tenerli al sicuro. Ho scritto loro una lettera.- rispose Silente
-Non crederà di poter spiegare tutto questo in una lettera, Silente! E i piccoli? Dove sono?-
-Hagrid li porterà qui.-
-E a lei pare... saggio, affidare ad Hagrid una missione importante come questa?-
-Suvvia professoressa, affiderei ad Hagrid la mia stessa vita. Dovrebbe essere qua a momenti.-
Proprio in quel momento, rumore forte fece voltare velocemente i due professori. Una motocicletta volante si posò piano sulla strada alle loro spalle.
-Professor Silente, professoressa McGonagall.-
-Hagrid finalmente! Dove sono i bambini?- chiese Silente
-Loro ce li ho qui signore.- e detto questo sposto una coperta dove c'erano due bambini. Uno era profondamente addormentato. L'altra invece si guardava intorno incuriosita e con gli occhi ancora umidi per il pianto. Sulla fronte di ognuno dei due vi era un piccola cicatrice a forma di saetta, e si vedeva che era lì da poco. -È qui che...-
-Si.- disse Silente.
La bambina si portò una mano alla bocca e guardò la donna sopra di lei. Subito dopo allungò le braccia e toccò la barba di Albus Silente appena prima di mettersi a ridere. La Professoressa prese la bimba con un sorriso dolce e la fece addormentare, poi la consegnò a Silente, che aveva già preso l'altro bambino.
-Bene, vediamo di concludere.- detto questo posò i bambini sulla soglia del numero 4 di Privet Drive. Poi mise su di loro una piccola lettera indirizzata ai signori Dursley.
-Bene. Non c'è più bisogno che io rimanga. Arrivederci professore. Hagrid.- detto questo la professoressa si smaterializzò.
-Arrivederci professore.- Hagrid salì sulla moto e se ne andò. Ma Silente rimase ancora un po' a guardare quei piccoli fagotti che stava per lasciare nel pieno del mondo babbano, lontano da ogni forma di magia.
-Tuttavia, è a lei che bisognerà fare più attenzione in futuro. Buona fortuna Harry e Éméline Potter.-
E detto questo Silente se ne andò. Nella piccola stradina di Privet Drive ricompare la luce. Due manine si avvolse intorno ad una lettera indirizzata agli zii. Senza sapere che in qualche ora si sarebbero svegliati dalle urla di zia Petunia e senza sapere che avrebbero passato le successive settimane a farsi riempire di pizzicotti dal cugino.
Senza sapere di essere famosi, senza sapere che in tutto il mondo maghi e streghe si stavano riunendo per brindare a "Harry e Éméline Potter, i bambini che sono sopravvissuti."

***

Era tardi, più o meno verso le tre del mattino, quando sulla soglia del numero 4 di Privet Drive Éméline Potter si alzò a sedere e cominciò a fare dei piccoli versi, come a chiamare qualcuno. Dall'ombra, una figura di avvicinò e la prese in braccio. Riconoscendo l'abbraccio la piccola di strinse di più al petto della persona che l'aveva presa e si tranquillizzò.
-Shh, tranquilla, andrà tutto bene te lo prometto. Non permetterò che accada qualche cosa di brutto anche a te dopo questa notte. A costo di rimetterci la vita.- le diede un bacio sulla fronte e la depositò vicino al fratello.
-Buonanotte.- sussurrò prima di scomparire nella notte.

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Capitolo 2
*** Hogwarts ***


Erano passati 11 anni da quando Albus Silente e Minerva McGonagall avevano depositato sulla soglia del numero 4 Harry e Éméline Potter. Tra battibecchi e giganti che sfondano le porte, i gemelli avevano scoperto di essere dei maghi. Ma ancora non sapevano la loro storia, né sapevano realmente cosa fosse la magia. Era il 1° settembre e, quella mattina, avrebbero preso il loro primo espresso per Hogwarts. Emozionati, per un mese avevano fatto il conto alla rovescia che li separava da quell'importantissimo giorno su un vecchio pezzo di carta logora.
I Dursley, quella mattina, li avevano accompagnati e, cosa che sorprese non poco i due gemelli, Vernon si era offerto di portare loro i bagagli. Avevano percorso insieme tutta la stazione, poi si erano fermati davanti ai binari 9 e 10.
-Ah, eccoci arrivati. Binario 9, binario 10. Il vostro dovrebbe essere qui in mezzo da qualche parte, o no?- aveva detto sprezzante -Buona scuola.- aveva poi detto con un'espressione a metà tra il disgusto e la felicità di non averli attorno per ben dieci mesi. Harry ed Éméline avevano seguito con lo sguardo gli zii e il cugino allontanarsi ridendo a crepapelle.
Cosa avrebbero fatto ora, completamente da soli, in una stazione che non possedeva uno straccio di magia? Presero i loro biglietti e lessero:

da LONDRA a HOGWARTS,
biglietto valido per una corsa
Binario 9 3/4

-Cosa facciamo?- chiese Éméline guardando il gemello.
-Chiediamo informazioni.-
-Ci prenderanno per pazzi.-
-Hai altre idee?-
Éméline tacque e poi, insieme, si avvicinarono ad un controllore.
-Mi scusi...- cominciò Harry.
-Dimmi ragazzino.- disse senza particolare inflessione nella voce l'uomo mentre annotava qualcosa su un taccuino. Era un uomo piuttosto robusto e indossava una divisa blu scuro con un cappello buffo.
-Mi saprebbe dire dove si trova il binario 9 3/4?-
L'uomo alzò lo sguardo e fissò i due ragazzi. Si soffermò prima sui vestiti logori di Harry, poi sui capelli rossi accessi della bambina.
-Mi prendi in giro, ragazzino? Io non ho tempo da perdere qui, hai capito? Voi due fareste meglio a non farvi più vedere in giro, o chiamerò la sicurezza!- sbraitò prima di allontanarsi.
-Te l'avevo detto che ci avrebbe presi per pazzi.- disse rassegnata Éméline -E ora perderemo il treno, non abbiamo alternative valide.-
Harry non disse nulla. Erano stati presi per pazzi, il controllore non aveva creduto loro.
E chi avrebbe preso sul serio due ragazzini di undici anni che facevo una domanda tanto stramba?
Forse fu solo un caso, o probabilmente la fortuna aveva deciso di girare a loro favore dopo ben undici anni, ma proprio in quel momento sentirono una voce di fianco a loro dire:
-Forza! Il binario 9 e 3/4 è di qua!- a parlare era stata una donna non molto alta e un po' robusta, con dei riccioli rossi sulla testa e cinque giovani al seguito.
-Hai sentito Harry?- chiese Éméline.
Harry annuì e rimase fermo a guardarli mentre si avvicinavano ai binari 9 e 10, poco lontano dai due.
-Forza Percy, prima tu.- disse la donna a quello che intuirono essere il maggiore dei suoi figli. Percy, un ragazzo alto e magro con gli stessi capelli rossi della madre e dei fratelli si avvicinò, si mise di fronte al muro e corse verso di esso. I gemelli trattennero il fiato ma, appena prima di schiantarsi contro al muro, scomparve. Harry ed Éméline rimasero allibiti. Come era possibile?!
-Fred, tocca a te!- disse poi la madre rivolta al ragazzo a lei più vicino.
-Lui non è Fred! Io sono Fred!- rispose indignato il gemello.
-Parola mia. Insomma, e dici di essere nostra madre?- continuò l'altro.
-Oh scusami George!- rispose dispiaciuta la madre.
-Te l'ho fatta, io sono Fred!- disse scoppiando in una fragorosa risata il primo ragazzo, correndo poi verso il muro seguito a ruota dal fratello. Anche loro, come Percy, scomparvero. I gemelli si guardarono e poi avanzarono verso la donna.
-Mi scusi..- disse Éméline. La donna si girò immediatamente e le posò una mano sul braccio.
-Ci potrebbe dire come...-
-Come raggiungere il binario? Non vi preoccupate cari, anche Ron va ad Hogwarts per la prima volta!- disse allora sorridendo amorevolmente e facendo un cenno verso figlio. Abbracciata a lei c'era una bambina di circa dieci anni.
-Dovete correre dritti verso il muro. Andate in fretta se siete nervosi!- disse infine.
Éméline si fece avanti per prima. Era una cosa folle, assolutamente folle. Ma gli altri tre ragazzi non si erano spiaccicati contro la parete, giusto? Fece un respiro profondo e poi iniziò a correre. Appena prima di arrivare al muro chiuse gli occhi in attesa dell'impatto. Ma l'impatto non venne, e neanche il dolore a cui ella si era preparata. Quando riaprì gli occhi, davanti a lei c'era un lungo treno rosso e, straordinario, si trovava proprio al binario 9 e 3/4. Aspettò suo fratello prima di dirigersi verso il treno.
Caricarono i loro bauli e andarono a prendere posto nell'ultima carrozza.
Aspettarono che tutti salissero sul treno mentre dal finestrino osservavano le decine di persone intente ad abbracciare i figli e a fare loro le ultime raccomandazioni.
Non appena il treno partì, entrambi incollarono il naso al finestrino per osservare il meraviglioso panorama che si estendeva al di là del vetro.
Ad un certo punto il ragazzo con i capelli rossi e gli occhi azzurri che avevano conosciuto poco prima aprì la porta dello scompartimento.
-Posso venire qui? Il resto è tutto occupato.- chiese osservandoli.
-Certo vieni pure.- Risposero i gemelli in coro.
-Grazie! Io sono Ron, Ron Weasley- si presentò il ragazzo
-Ciao noi siamo Harry e Éméline, Harry e Éméline Potter.- si presentò Harry. Il ragazzo, Ron, rimase a bocca aperta.
-D-davvero? Voglio dire: ce l'avete veramente la... la.... la....- disse Ron
-La cosa?- chiesero i gemelli
Lui si guardò in torno...
-...cicatrice...- sussurrò
-Oh quella... si certo!- e detto questo Harry si tirò indietro la frangia nera per scoprire la cicatrice, mentre Éméline spostò una lunga ciocca di capelli rossi per metterla in vista.
-Wow!- disse Ron.
Il viaggio continuò tranquillamente e Éméline fece amicizia con una nata babbana di nome Hermione Granger. Era una ragazzina alta quasi quando lei, con i capelli bruni e crespi. Dopo qualche ora il treno cominciò a rallentare fino a fermarsi. Erano le 18:30. Éméline, Harry, Ron ed Hermione scesero dal treno e, appena messo piede a terra, sentirò Hagrid che, con il suo vocione, gridava:
-Primo anno! Primo anno da questa parte!-
Tutti i ragazzi del primo anno si stavano radunando intorno a lui. Quando furono arrivati tutti, Hagrid fece segno di seguirlo e li fece salire su delle barche. Harry e Ron salirono su una barca insieme ad altri due ragazzi mentre Éméline ed Hermione salirono con due gemelle. Una volta saliti tutti, le barche cominciarono a muoversi da sole. Appena apparve il castello in lontananza, a tutti loro mancò il fiato. Mai avevano visto qualche cosa di più bello: il castello era maestoso. Era la cosa più grande e meravigliosa che ognuno di loro avesse mai visto. Harry ed Éméline si guardarono affascinati. Il sentiero per arrivare ad Hogwarts passava lungo la scogliera e dava una vista mozzafiato su tutto ciò che era il paesaggio circostante, illuminato dalla luna.
Arrivati in cima, Hagrid disse loro di proseguire da soli. In cima alla scalinata trovarono una donna alta e magra con i capelli grigi raccolti in uno chignon e vestita con una lunga veste verde smeraldo.
-Buongiorno a tutti, io sono la professoressa MgGonagall e sono la vicepreside. Tra poco varcherete questa soglia e vi unirete ai vostri compagni per la cena. Prima però verrete smistati nelle vostre case. Esse sono: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Per tutto il tempo che passerete qui la vostra casa sarà la vostra famiglia, i vostri trionfi le faranno guadagnare punti mentre ogni mancanza delle regole gliene farà perdere. Alla fine dell'anno, alla casa con più punti verrà assegnata la Coppa delle Case. Seguitemi prego.- disse la professoressa. Si voltò e guidò gli studenti del primo anno nella Sala Grande. Questi erano estasiati: il soffitto era colmo di candele e sembrava che si vedesse il cielo.
-Il soffitto non è vero, è un incantesimo. È scritto in Storia di Hogwarts, io l'ho letto.- disse Hermione ad Éméline.
La Mcgonagall si fermò davanti al tavolo degli insegnati.
-Fermatevi qui. Quando chiamerò il vostro nome voi verrete su e vi siederete sullo sgabello. Io vi metterò il Cappello Parlante sulla testa e sarete smistati nelle vostre case. Quindi.. Hermione Granger.-
Hermione trattenne il respiro.
-Buona fortuna Hermione!- le sussurrò Éméline.
Hermione si sedette sullo sgabello e la professoressa le mise il cappello sulla testa. Passarono una decina di secondi e il cappello esclamò
-GRIFONDORO!- il tavolo di Grifondoro esplose in un fragoroso applauso.
La procedura si ripeté.
-Susan Ossas.-
-CORVONERO!-
-Hannah Habbott.-
-TASSOROSSO!-
-Draco Malfoy.-
-SERPEVERDE!-
Ron si girò verso Harry:
-Tutti i maghi cattivi erano Serpeverde.-
Vennero chiamati altri tre allievi e poi la professoressa esclamò.
-Ronald Wealsey.-
Ron si avvicinò cauto allo sgabello e si sedette. Neanche due secondi dopo, il cappello esclamò
-GRIFONDORO!-
Il giovane Grifondoro trasse un sospiro di sollievo prima di correre a sedersi al suo tavolo.
-Harry Potter.-
Nella sala scese un grande silenzio.
La Sala Grande si riempì di sussurri.
-Harry Potter?-
-Ma proprio quel Harry Potter?-
Harry si alzò e camminò insicuro verso lo sgabello, vi si sedette e aspettò che la Mggonagall gli mettesse il cappello sulla testa.
Difficile, molto difficile... sentì Harry nella sua testa, cosa che lo fece sussultare Coraggio da vendere vedo, e anche una testa niente male... ma dove ti colloco?
Harry si ritrovò a pensare in risposta alla voce del cappello
"Non Serpeverde, non Serpeverde!"
Non Serpeverde dici? Ne sei proprio sicuro? Potresti diventare grande sai... e Serpeverde ti aiuterebbe sulla via della grandezza non c'è dubbio... no?
"No, ti prego, ti prego"
Se ne sei così sicuro.. allora sarà meglio...
e Harry sentì il cappello gridare a tutta la sala
-GRIFONDORO!-
La Sala Grande esplose in un grade applauso, e i Grifondoro erano fuori di se dalla gioia. Harry andò a sedersi al tavolo di Grifondoro, di fronte ad Hermione e accanto a Ron. Si girò a guardare e in quel momento sentì la professoressa chiamare.
-Éméline Potter.-
Anche qui, come era successo prima, l'avanzata della giovane strega fu accompagnata da diversi sussurri provenienti da tutta la sala. Harry stava sperando con tutto sé stesso che fosse smistata con lui.
Éméline si sedette e la professoressa le posò il cappello parlante in testa. Come con Harry, una voce profonda parlò nella sua testa.
Sei molto più difficile di tuo fratello... mi trovo in grande difficoltà... grande coraggio e voglia di apprendere, molto dotata.. sono in grande dubbio temo.. Grifondoro o Corvonero?
Lo sguardo della bambina vagò sulla stanza e si fermò su suo fratello che la stava osservando in attesa. Una morsa di preoccupazione le strinse lo stomaco.
Harry? Tu vorresti stare con tuo fratello? Capisco...  ma saresti una Corvonero fantastica dopotutto... ho deciso!
E poi, dopo tre lunghi minuti, gridò a tutta la Sala Grande
-GRIFONDORO!-
Il tavolo di Grifondoro scoppiò in un grande applauso e Éméline raggiunse il fratello e si sedette vicino ad Hermione.
Un senso di leggerezza si era impossessato del suo petto, come se, per la prima volta, si trovasse davvero nel posto giusto per lei.
Si girò verso il tavolo degli insegnanti e per un secondo incrociò lo sguardo di un mago alto, con i capelli neri e una toga del medesimo colore. L'espressione sul suo volto era indecifrabile, ma nei suoi occhi le parve di scorgere un velo di tristezza e, ancora più nascosto, dell'orgoglio.
Finito lo smistamento, sul tavolo comparì di tutto e di più! C'era pollo, patate, verdure, budino... Harry e Éméline si guardarono e probabilmente pensarono la stessa cosa. Ora, per la prima volta in tutta la loro vita, si sentivano a casa.

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Capitolo 3
*** Occlumanzia e metamorfosi ***


-Valeriana, valeriana... eccola!- bisbigliò Éméline mentre cercava la radice per portare a termine la sua pozione. Era sempre stata meravigliosamente in gamba durante tutte le lezioni, ed era particolarmente portata per Pozioni. Éméline era ormai una giovane donna, magra e slanciata con lunghi riccioli rosso scuro che le arrivavano poco sotto metà schiena e di occhi di un verde acceso. Il fratello, che in comune con lei non aveva altro che gli occhi verde smeraldo, era leggermente più alto di lei (la differenza era quasi impercettibile) e sopra agli occhiali rotondi aveva una massa di capelli neri ingestibili. I loro anni ad Hogwarts si erano scoperti pieni di avventure che i due gemelli avevano superato, sempre insieme.
La cicatrice di Éméline pizzicò un attimo sulla sua fronte, e lei si strofinò la saetta con una mano. Poi, dopo aver tagliato le sue radici, tornò al suo calderone.
-Avete ancora due minuti!- disse il professor Lumacorno, il nuovo insegnante di Pozioni. Infatti, per la gioia di Severus Piton, quell'anno la cattedra era stata affidata da Silente all'amico di vecchia data Horace Lumacorno, e ciò significava che dopo lunghe battaglie, la cattedra di Difesa Contro Le Arti Oscure era finalmente stata assegnata ai suoi capelli unti. Lui ne era stato contento, anche se non lo aveva dato a vedere. Éméline terminò la sua pozione e si sistemò i capelli dietro le orecchie.
-E... stop! Ora vedremo chi avrà l'enorme onore di vincere una fiala di Fortuna Liquida!-
Éméline sposto lo sguardo sui suoi compagni di corso: Hermione aveva i capelli disordinati e guardava sconsolata il calderone, Ron guardava perso un punto davanti a sé, Seamus e Dean tentavano di raccogliere una strana melma verde che era uscita dal calderone del primo. Infine, Éméline si soffermò ad osservare il giovane Malfoy che non stava più nella pelle... quella era stata forse la prima lezione in cui si era davvero impegnato, voleva con tutto se stesso quella fialetta... chissà perché.
Il professore fece il giro di tutte le pozioni e,!arrivato a quella di Harry, rimase piacevolmente colpito.
-Potter, è perfetta! Finisco il giro, anche se immagino che abbiamo un vincitore!-
Hermione, che non era riuscita a terminarla, era diventata più rossa dei capelli di Éméline e Ron messi assieme.
La giovane rivolse uno guardo di ammirazione al fratello: che gli era successo? Da quando riusciva a fare una pozione?
Poi, Lumarco arrivò alla pozione di Éméline.
-Abbiamo due vincitori... è perfetta anche la tua, signorina Potter!-
-Harry ha finito la pozione prima di me professore, il premio spetta a lui.- disse Éméline, rispondendo alla muta domanda del professore e lasciando di stucco il fratello.
-Oh, beh... ottimo! Vieni su signor Potter, vieni su!-
Harry si avviò verso la cattedra per prendere la fialetta di Felix Felicis.
A lezione terminata Harry, Ron, Hermione e Éméline si diressero verso l'aula di Difesa Contro Le Arti Oscure. Piton era già dentro, e quando vide entrare le due ragazze, ripiegò in fretta quella che sembrava essere una lettera piena di grande indecisione, contando tutte cancellature che riuscirono ad intravedere. Le due streghe si sedettero al primo banco, dove stavano sempre mentre Harry e Ron si sedettero più indietro. La lezione di quel giorno verteva sulla Legilimanzia, a giudicare dalla scritta sulla lavagna. Ad Éméline piaceva terribilmente quell'argomento, soprattutto dopo le lezioni con Piton dell'anno precedente. Oltretutto era davvero abile. Al contrario, Harry avrebbe preferito sorbirsi 18 ore consecutive di Storia della Magia a prendere appunti (cosa che sarebbe stata un evento), soprattutto dopo l'inconveniente avvenuto l'anno prima con il Pensatoio dell'insegnante. Non aveva detto nulla a sua sorella, probabilmente lo avrebbe ucciso se lo avesse scoperto. A lei l'insegnante piaceva in un modo del tutto innaturale, tant'è che spesso era stata considerata fuori di testa dagli amici. Ma, anche se Éméline non lo aveva mai detto a nessuno, dal giorno in cui, dopo essere stata smistata, aveva incrociato il suo sguardo, Piton le aveva sempre suscitato un'insaziabile curiosità: sapeva che, sotto la maschera che aveva sempre su, Piton nascondeva emozioni e sentimenti che, da come era conosciuto, non gli si addicevano affatto. E da quel giorno, Éméline aveva sempre cercato di capire, anche solo in parte, che genere di cose nascondesse. L'anno prima era sicura di essere in una buona posizione, durante le lezioni di Occlumanzia, per poter scoprire qualcosa di più sul suo conto. E in effetti, c'era riuscita: durante una delle innumerevoli sere passate nell'ufficio di Severus Piton, essendo ormai esausta, aveva lanciato Protego ed era penetrata nella mente di Piton. Un ricordo era affiorato nella sua mente e aveva sentito Piton piangere, forse di dolore, accompagnato da qualcuno che tirava su con il naso. Tuttavia, nel momento in cui Éméline stava per scoprire la ragione di tutto quel dolore, Piton era riuscito a scacciarla. Si era complimentato con lei per il miglioramento e aveva sentenziato che per quella notte era abbastanza e l'aveva rimandata nella sua Sala Comune. Oltretutto, dalla parte dell'insegnante aveva sempre percepito la mancanza di quell'odio profondo che provava nei confronti del fratello: infatti, se con Harry era l'insegnante incubo di ogni alunno, con Éméline era sempre stato (per i suoi standard) gentile. Éméline attribuiva questa differenza al fatto che lei fosse la prima della classe in Pozioni, e anche quando Malfoy aveva cercato di sabotargliela al terzo anno lei era riuscita con successo a risolvere quel piccolo inconveniente.
-Quindi... chi sa dirmi a che tecnica si è soliti ricorrere quando si è difronte a qualcuno che usa contro di noi la Legilimanzia?-
Éméline e Malfoy alzarono immediatamente le mani.
-Malfoy.-
-Un incantesimo scudo.- disse tutto fiero.
-No Malfoy, per quanto un incantesimo scudo possa essere utile, se il mago è potente, è anche inutile provare. Potter.- disse lui osservandola, sapendo benissimo che avrebbe risposto correttamente.
-L'Occlumanzia signore.-
-Esatto.- Piton guardò infondo alla classe -Cinque punti in meno a Grifondoro, Weasley non presta attenzione.-
-Ora: l'Occlumanzia è la raffinata tecnica di saper chiudere la propria mente alle persone esterne a noi stessi. Molti furono i maghi che, negli anni 60-70-80 ricorsero a questa pratica per non essere tentati da Colui-che-non-deve-essere-nominato. Sebbene sia una tecnica particolarmente complicata, l'Occlumanzia può salvarvi la vita nelle situazioni più disperate: quando, ad esempio, dovete mantenere un segreto. Se la applicate correttamente, nessuno sarà in grado di scoprirlo. Tenete bene a mente che il modo migliore perché l'Occlumanzia funzioni è quello di ordinare e disciplinare la propria mente. Dovete pensare di chiuderla al vostro avversario. La formula per penetrare la mente è Legiliment. Oggi vi metterete a coppie e a vicenda tenterete di penetrare la mente dell'avversario, mentre l'altro tenterà di ostacolarvi. Potter e la signorina Potter qui davanti, vi voglio tenere d'occhio mentre ci provate. Malfoy con la signorina Parkinson. Weasley e la signorina Granger. Crabbe, Goyle in questo tipo di esercizio non dovete mandare a fuoco nessuno. Finnegan e Longbottom vi voglio vedere, lontani dall'angolo.-
Éméline guardò l'insegnante: perché aveva deciso di farli mettere proprio davanti a lui?
Piton si avvicinò ai due.
-Vediamo se con tua sorella, decisamente brava in questa tecnica, ti applichi come ti viene richiesto e non come vuoi tu Potter.- disse in un sussurro da cui trapelava un filo di rabbia. Éméline aveva un'espressione interrogativa. Piton si allontanò e diede loro ordine di cominciare.
-Legiliment!- urlò Harry, ma il suo incantesimo si rivelò completamente insignificante.
-Legiliment!- disse Éméline puntando la bacchetta verso Harry e immediatamente entrò nella sua mente.
Era un ricordo strano, c'era anche Harry. Si trovavano in riva al lago nero, ed Éméline vide suo padre farsi beffe di Piton. Poi, all'improvviso, una mano si allungò ad afferrare Harry per un braccio e a trascinarlo fuori dal ricordo e da quello che le sembrò essere a tutti gli effetti un Pensatoio. Di fronte a lei c'era Piton che guardava Harry fuori di sé.
Poi, di colpo, era di nuovo nella sua aula.
-Potter, stai bene?- Piton era inginocchiato accanto a lei, che era stesa per terra.
-Cosa... perché sono caduta?-
-Non saprei. Il signor Potter si è rivelato negato sotto tutti i punti di vista, dopo qualche secondo che eri nella sua mente, sei caduta. Ho impiegato un minuto e mezzo a interrompere il contatto. Sei sicura di stare bene Éméline?- l'ultima frase la sussurrò.
-Credo di sì. Grazie.-
La lezione terminò e tutti gli studenti si diressero a pranzo. Appena usciti dall'aula Éméline fece cenno a Hermione di andare con Ron e prese Harry per un braccio.
-Quindi è per questo che hai smesso di fare lezioni?- chiese lei con il viso rosso. Sentiva la rabbia salire dalla pancia e crescere.
-Come hai osato entrare nel suo Pensatoio e guardare il ricordo che era lì?! Non hai pensato che ci fosse una ragione se non voleva che lo vedessimo, Harry?!- continuò furibonda con un tono così basso che avrebbe terrorizzato anche il più temibile dei Mangiamorte.
-Io...-
-Tu niente, Harry James Potter! Che diritto avevi di guardare i suoi ricordi? Che diritto avevi di curiosare tra le sue cose?! Vattene.- sibilò poi.
Harry si allontanò spaventato. Mai in vita sua aveva visto sua sorella tanto arrabbiata.
-Dovresti essere più tollerante con lui.- disse una voce dietro di lei. Si girò e si trovò di fronte a Piton, che era appena uscito per dirigersi a pranzo. Le fece cenno di iniziare a camminare verso la Sala Grande.
-È stato molto scorretto da parte sua, mi dispiace.- sussurrò lei.
-Concordo, ma credo comunque che tu non te la debba prendere così tanto con lui. È pur sempre tuo fratello. Devi essere... cauta. Soprattutto con lui, soprattutto di questi tempi.- disse con il suo solito tono.
Éméline lo guardò con la coda dell'occhio senza capire. Cosa stava cercando di dire? Era una specie di messaggio tra le righe?
Per un po' nessuno dei due disse nulla, limitandosi a camminare fianco a fianco verso il banchetto che li attendeva in Sala Grande.
-Perché lei non mi odia? Detesta mio fratello. È perché vado meglio di lui a scuola?- chiese Éméline. Erano anni che voleva saperlo e, dopotutto, cosa aveva da perdere?
Piton esitò.
-Sei ovviamente più dotata di tuo fratello. E, obiettivamente, sei decisamente più rispettosa di lui. Per ora, fatti bastare queste motivazioni.- disse, per poi entrare nella Sala Grande lasciando Éméline sulla soglia. Le aveva messo ancora più curiosità di quanta già non ne avesse. Andò a sedersi vicino ai suoi amici ignorando il gemello.
-Cosa fate sto pomeriggio?- chiese Ron.
-Studio ovviamente, cosa che dovresti fare anche tu.- gli rispose Hermione
Éméline e Harry si guardarono, la prima ancora turbata e il secondo leggermente intimorito.
-Noi dobbiamo andare da lui.-
-Miseriaccia, me ne ero dimenticato! Beh, buona fortuna ragazzi.- disse Ron.
Durante il pranzo, i gemelli non parlarono molto. Hermione continuò a battibeccare con Ron. Ad un certo punto, più o meno dopo che i primi erano stati sostituiti dai secondi, Ginny aveva momentaneamente lasciato Dean per venire a dare man forte all'amica.
Solo quando anche i dolci furono spariti e il preside ebbe congedato tutti gli studenti, uscendo subito dopo, Éméline si girò verso il fratello.
-Faremmo meglio ad andare.- disse sorridendogli appena. Harry trasse un respiro profondo.
-Sì, credo tu abbia ragione.-
Hermione alzò lo sguardo e fece loro un cenno di saluto mentre vedeva i due alzarsi.
Arrivati davanti al Gargoyle di pietra si guardarono, consapevoli di avere un problema. La parola d'ordine quale era?
Ma non ci fu bisogno di preoccuparsi troppo che la statua, accortasi di loro, lasciò libero il passaggio, probabilmente, si dissero, su ordine di Silente. Salirono le scale con calma e fretta allo stesso tempo, tanto erano curiosi di sapere che cosa Albus Silente avesse in serbo per loro.
Quando entrarono, scorsero il preside seduto sulla sua poltrona intento ad accarezzare le piume della sua fenice. Éméline rimaneva sempre affascinata da Funny e dalla quantità immensa di libri presenti in quella stanza.
-Harry, Éméline. Accomodatevi.- disse Silente facendo loro segno di avvicinarsi.
-Come stanno andando le lezioni?-
Éméline sorrise.
-Abbastanza bene suppongo, ma lo sapremo solo dopo le prime valutazioni.-
L'uomo sorrise.
-Non che ci sia di che preoccuparsi. Spero comunque che vi stiate, come dire... godendo il tempo libero senza arrovellarvi troppo la mente nelle preoccupazioni.- continuò il preside osservando di sbieco i ragazzi.
-Nel limite del possibile ci proviamo, signore.- rispose Harry.
Silente annuì piano, poi si alzò e si avvicinò ad un armadio di vetro rotondo particolarmente bello contenente centinaia di piccole fiale.
-Vi starete chiedendo che cosa intendo fare con voi durante questi nostri incontri. È giusto che voi sappiate che credo di aver trovato un modo per aiutarvi a sconfiggere Voldemort. Ma credo che il modo migliore per aiutarvi sia quello di farvelo conoscere. E non parlo della persona che è ora, ma di come era prima che il potere e la paura lo rendessero ciò che è. Perciò, prima di cominciare, voglio che voi vediate con me alcuni ricordi che ho di Tom Riddle. Inizierò dal mostrarvi il giorno in cui lo conobbi.- e detto questo prese una fialetta e la rovesciò nel Pensatoio e vi si immerse, immediatamente seguito dai due ragazzi.

***

Qualche settimana dopo, accadde una cosa che davvero nessuno si sarebbe mai aspettato.
Erano circa le 18:00 quando Hermione entrò nel dormitorio correndo e si avvicinò ad Éméline, che era spiaggiata sul suo letto.
-Tu non immaginerai mai cosa ho scoperto!- disse su di giri all'amica.
-Che hai scoperto Hermione??- rispose allora lei curiosa mettendo da parte il libro che stava leggendo e tirandosi a sedere. Hermione si sedette con lei.
-Stavo guardando una libro, giù in biblioteca, e ho trovato una lista di tutti i Metamorfomagus più famosi.-
-E?- Éméline la incalzò
-Guarda qua cosa c'è scritto! Guendalina e Meredith la Guercia! Erano due gemelle, che erano accusate di stregoneria nel Medioevo e furono condannate al rogo. Guendalina si divertiva così tanto a lanciare l'incantesimo Fiammafredda e a farsi bruciare che cambiò aspetto ben 47 volte. Lo abbiamo fatto a Storia della Magia, ricordi?- le rispose Hermione mostrandole la pergamena con i nomi.
-Si, ma non capisco dove vuoi arrivare...- le disse incredula l'amica.
-Beh, stavo guardando più nello specifico la storia di queste sue, mi sembrava interessante fino a quando non mi sono imbattuta nel nome di un vecchio mago, Gilderoy Potter. Il libro diceva che questo mago avesse avuto due figli: Adeline e Albert Potter. E indovina con chi si sposò Albert? Con Guendalina la Guercia! Insieme ebbero tre figli: Jocelyn, Richard e Aeline. Richard ereditò le abilità materne, credo, visto che nelle varie foto dell'epoca aveva i capelli un po' più scuri a volte. Ho trovato delle loro foto, pare fossero molto ricchi.- le spiegò l'altra. Éméline rimase in silenzio per qualche secondo.
-Quindi... quindi significa che magari i mei nonni, o i miei figli potrebbero nascere con questa capacità?-
-Per quanto ne sappiamo Émé, anche tu ed Harry potreste. Avete vissuto per anni con i babbani, e sono certa che se uno di voi avesse avuto tali capacità, Silente non avrebbe mai permesso che queste di palesassero. Vi avrebbe fatto una specie di incantesimo.-
Le due ragazze si guardarono. Ed ebbero la stessa idea. Si alzarono e corsero a tutta velocità in biblioteca.
Rimasero lì fino alla fine della cena, nonostante i crampi allo stomaco, e scoprirono tutto ciò che dovevano sapere sulle abilità di un Metamorfomagus. Presero circa cinque libri, poi andarono a cena, anche se ormai rimanevano solo pochi ritardati come loro. Dopo aver mangiato corsero nella stanza delle Necessità.
-Bene. Qui dice che l'aspetto cambia a piacimento della strega o del mago. Bisogna solo pensare a come si vuole diventare, e il corpo fa il resto!- lesse euforica Hermione.
-Coraggio Émé, provaci!-
Éméline chiuse gli occhi e immaginò se stessa con i capelli neri come quelli di Harry. Niente. Ci riprovò cinque volte, e poi sentì Hermione emettere un urletto stridulo.
-O mio dio, o mio dio!! Éméline guardati, guardati!- e le mise uno specchio davanti. Quello che Éméline vide al posto del suo riflesso la lasciò a bocca aperta: i suoi capelli erano neri.
Con i capelli di quel colore si disse che assomigliava molto al fratello.
-O mio dio... io.. sono come Tonks. Posso cambiare il mio aspetto. O mio dio.- sussurrò mentre un sorriso le si apriva sulla labbra. Guardò Hermione e si abbracciarono, euforiche. Rimasero lì per delle ore, a sperimentare questo nuovo talento della giovane Potter.
-Che ore sono? Santo Cielo, è quasi mezzanotte! È meglio se ci muoviamo, se ci beccano ci uccidono.- disse dopo un po' Hermione. E, insieme ad Éméline corsero verso il loro dormitorio e si misero a letto. Quando Éméline si addormentò, sognò se stessa che cambiava aspetto, e Tonks che si trasformava con lei. Poi apparvero i suoi genitori che, con amore, le dicevano che era stata brava; e poi vedeva Meredith e Richard Potter, gli ultimi prima di lei ad avere questa particolare abilità.

 

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Capitolo 4
*** Il medaglione di Salazar Serpeverde ***


Il tempo passò in fretta tra lezioni, ricerche, verifiche, Quidditch e incontri privati con Silente.
In quei mesi Éméline aveva intrattenuto una lunga corrispondenza con Fred Weasley. Il ragazzo non le era mai stato indifferente, con quella sua capacità di far ridere chiunque, ma nell'ultimo periodo aveva trovato in lui un vero e proprio confidente.
Hermione e Ginny, dopo settimane, si erano finalmente confidate con l'amica, scoprendo di avere una cotta rispettivamente per Ron e Harry. Éméline era stata così felice che aveva deciso di andare a fare shopping a Hogsmead quel fine settimana.
Inoltre, insieme ad Hermione, Éméline aveva continuato a esercitarsi con le sue nuove abilità Sarà stato per il periodo turbolente che stavano vivendo, sarà stato perché era una giovane adolescente, Éméline aveva sempre più problemi a sfruttare a suo favore l'abilità di Metamorfomagus; così aveva deciso che la scelta più saggia era scrivere all'unica persona che avrebbe potuto aiutarla direttamente: Ninphadora Tonks.

Cara Tonks, aveva scritto una mattina,
è un sacco che non ti sento... come stai? Qui ad Hogwarts sta andando bene, anche se la cicatrice a volte mi sembra che esploda... Harry non ha più avuto nessuna visione della mente di Voldemort, ne sono molto felice. Spero che tu, Remus e il resto dell'ordine stiate bene, anche se immagino che avrete una valanga di lavoro. Ti ho scritto non solo per sapere come vi sta andando.. è un po' complicato spiegare come e perché, ma con l'aiuto di Hermione ho scoperto di essere come te: sono riuscita a cambiare il mio aspetto, i miei capelli sono diventati neri. Ci ho messo un po' ma alla fine ci sono riuscita (poi quando ci vediamo ti spiego meglio) ma ora non riesco più a fare nulla. Tu per caso hai qualche consiglio da darmi? Vorrei riuscire a trasformarmi di più, di questi tempi potrebbe ritornarmi utile.
Con affetto,
Éméline.

La risposta di Tonks non si era fatta attendere. Circa due giorni dopo, verso le 11:00 un gufo grigio era atterrato sul davanzale del dormitorio femminile di Grifondoro. La lettera diceva:

Ciao Éméline,
sono così felice che tu mi abbia scritto! Silente ci fa sapere come sta andando ad Hogwarts, migliori sempre di più! Neanche i tuoi erano così bravi, ed è tutto dire! Io sto bene e anche gli altri non si lamentano. Remus è un po' giù di corda per la luna piena imminente, ma per il resto stiamo bene. Non posso credere che tu sia una Metamorfomagus, è una notizia fantastica! Molte volte la nostra abilità può venire meno se si è sotto stress o molto preoccupati per qualche cosa. Quello che ti posso consigliare, è di berti una bella cioccolata calda con Hermione e Ginny, una bella serata tra amiche. Rilassati, pensa ad altro, e poi riprovaci, sono sicura che avrai successo!
Un abbraccio,
Tonks.

Quella stessa sera Éméline ci aveva provato: era andata con le sue amiche nella Stanza delle Necessità e aveva chiesto un bel post dove rilassarsi e dimenticarsi di tutti i problemi per un po'. Una volta aperta la porta, si erano ritrovate di fronte ad una piscina di acqua bollente, simile a quella presente nel bagno dei prefetti. Si erano cambiate e si erano rilassate parlando di gossip e nuotando in quella meravigliosa acqua calda fino a notte fonda.
Così, una volta chiusa nelle sue tende a baldacchino insieme ad Hermione, aveva chiuso gli occhi e si era concentrata: si immaginò con i capelli neri, la carnagione più scura come quella di suo padre, e gli occhi scuri. Quando aprì gli occhi, Hermione le disse che i capelli erano diventati di un marroncino un po' sbiadito e che gli occhi erano diventati neri. Con un sospiro, Éméline si era detta che aveva così tante cose per la testa che forse al momento le veniva impossibile.
Harry, con l'ausilio della Felix Felicis, era riuscito a strappare il vero ricordo a Horace Lumacorno. Appena lo aveva tenuto tra le mani era corso dalla sorella e insieme erano andati da Silente. Una volta entrati nel suo ufficio, avevano trovato Silente sveglio, immerso nei suoi più profondi pensieri. Una volta accortosi dei due, era saltato in piedi e avevano guardato il ricordo originale.
-È molto peggio di quanto io avessi immaginato...- aveva sussurrato una volta usciti dal Pensatoio.
-Tom Riddle non solo ebbe intenzione di creare un horcrux, ne creò addirittura sette. Ora, durante tutto l'anno scolastico, come immagino voi abbiate notato, ho dovuto assentarmi. Durante quelle assenze, ho cercato nei luoghi più significativi della vita del giovane Tom e credo di aver trovato il nascondiglio di un'horcrux. Tuttavia, non posso sperare di distruggerlo da solo questa volta. Mi occorre, se vorrete venire, il vostro aiuto.- aveva detto loro, ottenendo un'immediata risposta affermativa.
-Solo una domanda professore. Che cosa potrebbe essere un horcrux?- aveva chiesto  Harry
-Oh, qualunque cosa. Per esempio un anello, o un diario. Tutte queste cose devono comunque avere un profondo legame con Tom. Il diario era suo e l'anello apparteneva alla famiglia Gaunt, quella del nonno materno.
Aveva inoltre detto loro di farsi trovare alle 18:00 precise sulla torre di Astronomia quel venerdì e ora che i due ragazzi si stavano dirigendo verso la torre, Éméline era preoccupata.
-Andrà bene Harry?- sussurrò al fratello
-Hey, non ti preoccupare okay? Siamo insieme, e questa è la cosa più importante.- le disse lui con dolcezza cingendola con un braccio. Era raro che i due dessero manifestazioni d'affetto, ma quando accadeva, di solito si sentivano subito meglio. Ma quella volta, l'abbraccio di Harry non aiutò a migliorare l'umore di Éméline.
Ultimamente aveva notato che Malfoy era sempre più sfuggente e che Piton era in qualche modo diverso, come se fosse preoccupato, ma allo stesso tempo posseduto da una calma interiore. Lei aveva un pessimo presentimento su quella sera. Durante quei mesi, per indagare un po', spesso aveva preso il mantello di suo padre e aveva girato il castello, scoprendo diverse cose interessanti.
Primo, Draco Malfoy era un mangiamorte;
Secondo, Lord Voldemort gli aveva affidato chissà quale compito;
Terzo, Severus Piton aveva giurato di portarlo a termine qualora il ragazzo avesse fallito.
E lei non sapeva quale delle tre scoperte la spaventasse di più. Cercò di trovare una risposta ma si accorse che erano ormai giunti di fronte a Silente.
-Molto bene. Vi devo chiedere una cosa prima di partire: dovete fare qualsiasi cosa io vi dirò, sono stato chiaro? E con ciò intendo dire che se vi dico di nascondervi, voi vi nascondete; se vi dico di scappare, voi scappate; se vi dico di abbandonarmi e correre via, voi lo fate. Capito?- disse Silente serio.
I gemelli annuirono.
-Ottimo, afferrate le mie braccia.- disse porgendo entrambe le sue braccia.
-Professore... non ci si può materializzare o smaterializzare all'interno dei confini di Hogwarts, lo abbiamo studiato.-
-Sei un'ottima studentessa Éméline, ma essere me ha i suoi privilegi.- rispose il preside con una risata. Harry ed Éméline presero le braccia dell'insegnante e si smaterializzarono.
Riapparvero su una roccia in mezzo al mare. Tirava un gran vento ed era tutto buio. Istintivamente Éméline cercò la mano del fratello e la trovò e la strinse.
-Temo che dovremo nuotare fino alla scogliera ragazzi-
Si guardarono e poi si tuffarono. Éméline venne mandata sott'acqua a causa di un'onda.
-Émé!- gridò Harry
-Nuota Harry, fino a fino a riva! Ci penso io, sbrigati!- gli urlò Silente. I due raggiunsero la scogliera e si arrampicarono sulla spiaggia, dove sembrava esserci l'ingresso di una grotta. Silente si girò e con un rapido movimento della bacchetta Éméline apparve davanti a loro, mentre sputava acqua.
-Stai bene?- le disse Harry, inginocchiandosi al suo fianco.
-Io... io credo di sì.-
Dopo che Silente ebbe asciugato gli abiti di tutti e tre fece strada verso l'ingresso della grotta. Si fermarono davanti ad una parete di roccia.
-È qui dietro.- disse Silente, poi si fece un taglio sulla mano e fece cadere il suo sangue sul muro che crollò in una nuvola di fumo. Oltrepassarono le macerie trovandosi davanti ad un lago sotterraneo. Se non fosse stato per la tetra circostanza sarebbe stato bellissimo. Al centro del lago vi era una specie di piattaforma, con una colonnina al centro.
-Avremo bisogno di una barca per arrivare di la, non dobbiamo per alcun motivo toccare l'acqua. Harry, tireresti la corda? La mia mano non ci riesce e tua sorella deve ancora riprendere fiato.- disse Silente con tono dolce e Harry si avvicinò alla catena che era appena sbucata dall'acqua.
-Cosa ti turba così tanto Éméline?- sussurrò il preside, in modo che solo lei potesse sentire.
-Qualunque cosa c'è qui dentro, indebolirà chiunque voglia rubare l'Horcrux. Conoscendola non ci permetterà di fare nulla che possa ledere alla nostra salute, quindi lo farà lei. Sarà debole quando torneremo ad Hogwarts e allora, in quel momento, Draco Malfoy tenterà di ucciderla, ne sono quasi sicura. E sono altrettanto sicura che se lui non ci riuscirà interverrà Piton. Non lo può permettere professore.- sussurrò in fretta lei in risposta.
-Via via Éméline, ti preoccupi troppo. Ovviamente non farete nulla che possa ledere alla vostra saluta, e ad una giovane ragazza non fa certo bene preoccuparsi così tanto per delle semplici congetture. Oggi, sono certo, andrà tutto secondo i miei piani. Ma se proprio sei preoccupata, ricorda questo: Severus Piton non farà mai nulla se non su mio ordine. Okay?- Silente la guardò e lei annuì.
-Ottimo Harry. Coraggio, saliamo, e ricordate: non dovete neanche sfiorare l'acqua.- salirono e arrivarono fino alla piattaforma. Dopo esserci saliti videro più da vicino che cosa vi era al centro: si trattava infatti di una colonna alta poco più di un metro. In cima era concava, e al suo interno, immerso in un liquido, un medaglione con a fianco un calice di cristallo. Harry e Éméline lo guardarono.
-È questo?-
-Ne sono sicuro. Credo che l'unico modo per poter prendere il medaglione sia bere la pozione. Dovete farmela bere fino alla fine, fino all'ultima goccia. È probabile, quasi sicuro oserei dire, che io vi supplichi di smettere, potrei preferire la morte alla pozione. Ora, vi ordino di non dare ascolto a nessuna delle mie suppliche.- disse Silente prendendo in mano il calice di cristallo.  Silente agitò la testa, i suoi occhi erano chiusi. Harry si domandò se stesse soffrendo. Silente immerse, senza guardare, il calice nuovamente dentro il catino, lo riempì e bevve un'altra volta.
Nel silenzio, Silente bevve tre calici pieni della pozione. Allora, a metà del quarto calice, vacilò e cadde in avanti contro il catino. I suoi occhi erano ancora chiusi, il suo respiro pesante.
-Professor Silente?- disse con una voce forzata Harry. -Potete sentirmi?-
Silente non rispose. La sua faccia si stava contraendo come se fosse profondamente addormentato, ma stava sognando un sogno orribile. La presa sul calice si stava allentando; la pozione stava per cadere dal calice. Éméline si lanciò in avanti ed afferrò il calice di cristallo, rimettendolo diritto. -Professore, può sentirmi?- ripetè Harry, la sua voce echeggiava intorno la caverna. Si scambiò un rapido sguardo interrogativo con la sorella.
Silente ansimò ed allora parlò con in una voce che Harry ed Éméline non riconobbero, dato che non avevano sentito mai Silente spaventato come adesso.
-Non voglio... Non lo faccia...- Harry fissava la pallida faccia che conosceva cosi bene, dagli occhiali curvati a mezzaluna sul naso e non sapeva che cosa fare.
-... non mi piace... voglio che si fermi...- gemette Silente.
-Voi... non potete fermarvi, professore- disse Éméline. -Ci avete detto di continuare a darvi da bere, vi ricordate? Ci avete detto che dovevate continuare a bere. Quindi...-Odiandosi, provando repulsione per quello che stava facendo, Harry riportò il calice verso la bocca di Silente e lo capovolse, di modo che Silente potesse bere il resto della pozione.
-No...- gemette ancora l'uomo, poiché Harry abbassò il calice nuovamente dentro il catino e lo riempì. -Non voglio... Non voglio... Lasciami andare...-
-Va tutto bene, professore.- disse Éméline, la sua voce tremava. -Va tutto bene, siamo qui...-
-Fermatevi, fermatevi...- gemette Silente.
-Sì.. sì, mi fermo.- mentì Harry. Capovolse il contenuto del calice nella bocca aperta di Silente. Silente gridò; il rumore echeggiò per tutta la vasta caverna, attraverso la morta acqua nera.
-No no, no, no, non posso, io non posso, non lo faccio, non avverto...-
-Va tutto bene, professore, va tutto bene!-disse urlando Harry, le sue mani erano così agitate che riuscì a malapena a riempire il sesto calice di pozione; il catino ora era per metà vuoto. -Non le succederà nulla, stia tranquillo, non è reale, giuro che non è reale... prenda questo, ora, prenda questo...- Éméline si sedette di fianco all'uomo con gli occhi sbarrati dal terrore. Che cosa stava accadendo?
Ubbidientemente, Silente bevve, come se fosse un antidoto offerto da Harry, ma subito dopo averlo svuotato, si accasciò sulle ginocchia, agitandosi incontrollabilmente.
-E tutta colpa mia, è colpa mia- disse piangendo affermando la mano di Éméline. -Ti prego falli fermare, lo so ho sbagliato, oh ti prego falli fermare, non ancora...-
-Questo li fermerà, professore- disse Harry mentre guardava la mano dell'uomo sul braccio pallido della gemella. La sua voce era rotta mentre rovesciava il settimo calice di pozione nella bocca di Silente.
Silente cominciò a rannicchiarsi come se torturatori invisibili fossero su di lui; la sua mano flagellata quasi fece cadere il calice riempito dalle mani tremolanti di Harry mentre gemeva -Non fategli male, non fategli male, per favore, per favore, è colpa mia, fate del male a me...-
-Qui, beva questo, beva questo, andrà tutto a posto- disse disperatamente Harry ed ancora una volta Silente obbedì, aprendo la sua bocca proprio mentre manteneva gli occhi serrati e si agitava dalla testa ai piedi. Ed ora cadde in avanti, gridando ancora, martellando i suoi pugni sulla terra, mentre Harry riempiva il nono calice.
-Per favore, per favore, per favore, no... non quello, non quello, farò tutto...-
-Questa è quella giusta, professore, è quella giusta...-
Silente bevve come un bambino che moriva di sete, ma quando fini, urlò ancora come se il suo corpo stesse prendendo fuoco.
-Non ancora, per favore, non ancora....-
Éméline aveva le lacrime agli occhi, ma non sapeva se fossero causate dalla pietà che la vista del suo insegnate in quello stato le causava o dal terrore a cui le parole supplicanti di Silente la stavano portando.
Harry riempì il decimo calice di pozione e senti raschiare il fondo del catino.
-Ci siamo quasi, professore. Beva questo, beva...-
Éméline sostenne le spalle di Silente ed ancora, egli bevve tutto il contenuto del calice; ancora una volta era steso ai piedi di Harry che riempiva il calice mentre Silente ricominciò a gridare più angosciosamente che mai,
-Voglio morire! Desidero morire! Fallo fermare, fallo fermare, voglio morire!-
-Beva questo, professore. Beva questo...-
Silente cominciò a bere ma non aveva ancora finito che comincio a urlare -UCCIDIMI!- disse prendendo le spalle di Éméline che si sforzò di continuare a respirare normalmente mentre l'uomo la scuoteva.
-Questo... sarà l'ultimo!- disse affannosamente Harry mentre cercava di separarlo dalla sorella. -Questa è quella giusta. Sarà l'ultima...finirà tutto!-
Silente tracanno il calice, lo vuotò sino all'ultima goccia ed allora, con un rantolio, rotolo per terra sulla faccia. Éméline gridò e si coprì il volto con le mani.
-No!- gridò Harry, che si era alzato in piedi per riempire ancora il calice; invece fece cadere il calice nel catino, si è scagliò giù al lato di Silente e lo sollevò mentre. Gli occhiali di Silente erano storti, la sua bocca era aperta, i suoi occhi chiusi. -No.-disse Harry, agitando Silente, -no, non siete morto, avete detto che non era veleno, svegliatevi, svegliatevi... Rianima!- disse piangendo, la sua bacchetta era puntata verso il petto di Silente; ci fu un flash di luce rossa ma niente è accadde. -Rianima... signore... per favore...-
Le palpebre di Silentes tremolavano; Il cuore di Harry fece un salto,
-Signore, come state...?-
-Acqua.- gracchiò Silente. Éméline trasse un sospiro di sollievo.
-Acqua.- ansimò Harry. -Sì...- saltò in piedi e prese il calice che era caduto nel catino; vide chiaramente un medaglione d'oro arrotolato che giaceva li sotto.
-Aguamenti!- gridò, puntando la sua bacchetta sul calice. Il calice si riempì d'acqua limpida; Harry si mise in ginocchio al lato di Silente, alzò la sua testa e portò il calice sulle sue labbra... ma era vuoto. Silente gemette e cominciato ad ansimare. -Ma com'è possibile... aspetta... Aguamenti!- disse ancora Harry, indicando con la sua bacchetta il calice. Una volta ancora, per un secondo, dell'acqua limpida brillò all'interno di esso, ma mentre si avvicinava alla bocca di Silente, l'acqua sparì ancora.
-Signore, sto provando, sto provando!-
Harry disse disperatamente, ma non pensava che Silente potesse sentirlo; stava disperatamente provando a far apparire dell'acqua nel calice
-Aguamenti... Aguamenti... AGUAMENTI!-
Il calice si riempì e si svuotò ancora ed ancora. Ed ora la respirazione di Silente stava sbiadendosi.
-Deve essere un incantesimo Harry, non riusciremo a far apparire dell'acqua in quel calice.- pensò Éméline ad alta voce.
Il cervello di Harry era in preda al panico, ed Harry conosceva, istintivamente, che l'unico motivo per cui l'acqua svaniva era perchè Voldemort lo aveva progettato... Si scagliò sul bordo della roccia ed immerse il calice nel lago, portandolo su pieno sino al bordo di acqua ghiacciata che non spariva.
-Harry no!- cercò di fermarlo Éméline.
-Signore... qui!- urlò Harry, balzò in avanti, capovolse il contenuto sulla faccia di Silente.
Era il meglio che potesse fare visto che una mano bianca e scheletrica si era appena chiusa intorno al suo polso tirandolo lentamente verso l'acqua. Il vecchio parve risvegliarsi un po' da una specie di sogno.
-Harry!- urlò Éméline scattando in piedi mentre il fratello veniva tirato di colpo sott'acqua.
-La... bacchetta...- rantolò Silente. Éméline si gettò oltre il bordo delle pietre e cominciò ad osservare la superficie dell'acqua. Dov'era? Dov'era Harry?
-Éméline... bacchetta...- sussurrò di nuovo Silente.
-Éméline...-
Ci vollero tre tentativi per attirare l'attenzione della ragazza che si giro e lo raggiunse. Poi si abbassò a prendere la bacchetta e gliela passò. Immediatamente dalla sua punta ne scaturirono delle fiamme. Éméline non riusciva a prestare attenzione a ciò che stava avvenendo, troppo occupata a coprirsi gli occhi per proteggersi dal fuoco.
Poco dopo Harry riemerse.
-Harry!- disse Éméline tirandolo fuori dall'acqua e abbracciandolo.
-Sto bene. Via di qui, ora.- disse scosso.
Silente salì sulla barca seguito a ruota dai due giovani. Arrivati sulla spiaggia davanti alla grotta, Éméline fece apparire tre bicchieri di acqua. Lei ed Harry bevvero con foga il loro, e Silente bevve con una calma che sembrava quasi innaturale.
-Si sente bene?- chiesero
-Io.. si, dobbiamo tornare ad Hogwarts, immediatamente. Prendete le mie braccia.-
porse loro le braccia e si smaterializzarono.

 

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Capitolo 5
*** Marchio Nero e stranezze ***


Meno di un secondo dopo erano ritornanti ad ammirare il panorama dalla Torre di Astronomia. La luna si rifletteva sul Lago Nero, e in un primo momento i territori della scuola sembrarono loro immersi in un silenzio profondo, quasi surreale. Poi, all'improvviso, lo sentirono: un rumore di scoppi, come di incantesimi. Harry ed Éméline si guardarono perplessi. Il coprifuoco doveva essere già scattato da un po', possibile che gli studenti fossero ancora in giro? No, si dissero, la McGonagall non lo avrebbe mai permesso.
Ma se non erano gli studenti, cosa di cui erano ormai certi, che cosa stava succedendo?
-Severus, chiamatemi Severus.- rantolò Silente mentre si appoggiava alla ringhiera della Torre.
-No, lei deve andare in infermeria. Madame Pomfrey saprà sicuramente come curarla.- rispose Éméline ignorando la richiesta del vecchio.
-No... io ho bisogno di Severus. Lui è l'unico... lui può farmi stare meglio.- disse tossendo l'uomo.
-No, ora andiamo in infermeria. Si rimetterà, vedrà.- disse rassicurante Éméline mentre si passava un braccio di Silente sulle spalle e lo sorreggeva con un braccio intorno alla vita.
-No, Éméline.- disse Silente, la lucidità ormai quasi del tutto recuperata, -Vi ho portati con me alla condizione che avreste fatto tutto ciò che vi avrei domandato. Ebbene, ora vi chiedo: chiamate Severus. Andate, svegliatelo, fate tutto ciò che ritenete necessario, purché lo portiate da me.-
La voce del preside era dolce ma risoluta. Éméline lo lasciò andare e guardò rapidamente il fratello, poi insieme si lanciarono verso la tromba delle scale.
Una serratura scattò e loro si fermarono sul primo gradino mentre iniziavano a sentire dei passi salire frettolosamente.
Si girarono verso l'insegnante in attesa di ricevere nuove istruzioni.
-Presto, nascondetevi di sotto, e non fatevi vedere.- disse Silente.
I gemelli corsero il più piano e velocemente possibile e si nascosero in quello che era ormai diventato una specie di ripostiglio. Si incamminarono piano verso il centro, dove un grosso mappamondo di bronzo si incastrava tra quel piano e quello superiore lasciando una visuale più o meno buona di ciò che accadeva di sopra. Una figura vestita di nero passò dietro di loro sulle scale fino a giungere di fronte a Silente.
-Buonasera Draco.- disse calmo il preside.
-Chi altro c'è?- chiese il ragazzo guardando intorno con gli occhi sbarrati, come se avesse paura.- L'ho sentita parlare con qualcuno, non menta!- continuò tutto tremante.
-Parlavo da solo. Lo faccio spesso sai? Lo trovo dannatamente utile. Ti semplificherò le cose Draco.- disse Silente estraendo la bacchetta.
-Expelliarmus!- urlò Draco disarmando Silente.
-Molto abile.- disse l'uomo dopo un attimo di silenzio. -Tu non sei un assassino Draco.-
-Come sa cosa sono? Potrei sconvolgerla!- rispose il ragazzo tremando.
-Come per i svariati tentativi di assassinarmi quest'anno? La collana maledetta, la bottiglia di Idromele piena di veleno, non erano tentativi alla tua altezza, degni delle tue capacità... a volte, credo tu non ci abbia messo davvero te stesso sai?-
-Io sono stato scelto! Da lui!- disse Draco mentre, sempre tremando, si alzava la manica della camicia mettendo in mostra il Marchio Nero che risaltava in modo particolarmente sinistro sulla pelle diafana del giovane.. Poi continuò, con la voce tremante: -Come fa a non capire? Io devo farlo, devo ucciderla.. o lui ucciderà me!- disse, ora sull'orlo delle lacrime. Nascosti di sotto, Harry ed Éméline si guardarono e lui tirò fuori la bacchetta. Non avevano mai visto Draco Malfoy così debole.. così vulnerabile. Draco Malfoy stava per essere schiacciato e rovinato per sempre da una responsabilità troppo grande per lui. Anche se forse Silente non sapeva chi era davvero Draco, Éméline era certa di una cosa: lui non era abbastanza forte per uccidere una persona, e soprattutto non una persona come Albus Silente. In quel momento Éméline vide Malfoy per quello che era veramente: un giovane ragazzo che sotto all'arroganza e alla vanità non nascondeva altro che una profonda insicurezza che Lord Voldemort aveva sfruttato a suo favore. Éméline, nel guardare il suo coetaneo, provò un grande moto di compassione e pietà e si disse che, nonostante non avesse alcun ricordo dei suoi genitori, aveva avuto più figure genitoriali nella sua vita lei in confronto al giovane Malfoy, a partire dai Weasley, Sirius, Remus e Tonks...
Poi, improvvisamente, la serratura in fondo alla torre scattò nuovamente. Il rumore di diverse paia di piedi si fece strada su per le scale ed Éméline si accostò di più al fratello, spaventata: se quella sera, prima di partire, aveva avuto un pessimo presentimento sulla giornata, ora quel presentimento si stava facendo sempre più opprimente nel suo petto. Cosa stava succedendo? Cosa stava per succedere?
-Non sei solo.. come?- chiese Silente senza scomporsi.
-L'armadio svanitore nella Stanza delle Necessità. L'ho riparto.-
-Fammi indovinare, ce n'è uno uguale, un gemello, da Magie Sinistre?-
-Sì, formano un passaggio.-
Un gruppo di Mangiamorte con a capo Bellatrix Lestrange corse su per le scale e si fermò proprio alle spalle di Draco.
Harry strinse di più la sua bacchetta per frenare l'impulso di salire di sopra e strangolare la donna per quello che aveva fatto a Sirius. Ma, si disse, in quel momento aveva altri problemi, primo fa tutti assicurarsi che sua sorella uscisse illesa da quella situazione. Al piano di sopra stavano parlando, ma Éméline dal suo nascondiglio li sentiva come se fosse sott'acqua.
Aveva appena capito cosa aveva fatto Silente. Lui sapeva benissimo cosa stava per accadere e aveva voluto che loro rimanessero lì a guardarlo. A guardarlo mentre moriva. Per quale ragione aveva voluto costringerli ad assistere ad una cosa del genere? Non sarebbe stato più semplice dire loro di andare via, risparmiando loro per una volta il dolore di veder morire qualcun altro?
Poi, di colpo, una bacchetta puntata contro lei e suo fratello la riscosse.
Severus Piton era in piedi di fronte a loro. Guardò entrambi e poi, lentamente, si portò un dito alla bocca. Harry lo guardò sospettoso ma annuì, mentre Éméline rimase pietrificata ad osservarlo. Anche lui sapeva cosa stava per succedere? Se era così, era lì per impedire che ciò accadesse, vero?
Piton la guardò e con un solo sguardo capì che la giovane era terrorizzata. Diede le spalle ad Harry e poi si girò leggermente verso Éméline, in modo che il fratello non vedesse le parole sillabate dal mago "Stai tranquilla". Uscì dal loro nascondiglio e si diresse di sopra, dove Bellatrix stava incitando Draco a portare a compimento la missione per la quale aveva tanto sofferto.
Ma lui non era un assassino, proprio come gli aveva detto Silente, e fece l'unica cosa che in quel momento gli riuscì: incominciò ad abbassare la bacchetta.
-No.- disse la voce di Piton nell'oscurità. Quando Piton venne alla luce, sulla faccia di Draco era evidente quanto sollievo provasse nel vederlo. Lui si avvicinò a Silente, parandosi davanti a Draco. I due maghi si osservarono per un po', poi Silente abbassò velocemente il capo e scoccò una breve occhiata ai due ragazzi. Quando rialzò il capo, Silente fissava Piton dritto negli occhi.
-Severus, ti prego.- mai Harry ed Éméline si sarebbero immaginati di sentire Albus Silente supplicare. Si sarebbero immaginati molto più facilmente il ritorno dei loro genitori, cosa che nel profondo immaginavano spesso, rispetto al più grande mago di tutti i tempi che supplicava. Si guardarono allibiti e poi, quando guardarono di nuovo verso la scena sopra di loro, videro qualcosa che li ferì nel profondo, e che soprattutto fece perdere un battito ad Éméline. Piton aveva alzato la bacchetta verso Silente e in un rapido movimento aveva detto
-Avada Kedavra.-
Il raggio di luce verde aveva investito Silente in pieno, facendolo cadere dalla Torre di Astronomia.
In quel momento, Éméline si dimenticò come respirare. Mentre Bellatrix rideva e lanciava il Marchio Nero sopra alla Torre, Piton e gli altri Mangiamorte correvano giù per le scale trascinando Draco.
Harry aveva gli occhi sbarrati, ed Éméline aveva portato una mano contro una botte che conteneva chissà cosa dietro di lei, sperando che almeno quell'oggetto potesse sorreggerla.
Non provava niente. Lo shock che quello che aveva appena visto le aveva provocato aveva cancellato qualunque altra cosa, pensiero, sentimento e emozione. Ma Harry, lui era arrabbiato. Aveva perso i suoi genitori, poi aveva perso l'occasione di andare a vivere con Sirius. Poi Sirius era morto e con lui l'unico padre che Harry avesse mai avuto. E ora Silente, l'unica figura di riferimento che gli era davvero rimasta.
Piton. Era l'unico pensiero che aveva in testa in quel momento. Si girò e corse dietro ai Mangiamorte lasciando indietro la sorella. Éméline, il viso rigato da una lacrima solitaria, si lasciò cadere a terra, sconvolta. Come aveva fatto a non capirlo? Come aveva fatto a non capire, nel momento in cui Draco aveva esplicitamente detto che Voldemort lo aveva incaricato di uccidere il preside, che era quella la missione che Piton aveva giurato di portare a termine?
Seduta tra la polvere, immagini e ricordi di Silente le tornarono in mente. Ripercorse con la mente tutta la giornata appena trascorsa, tutti gli incontri avuti con il preside, in cerca di anche un solo misero particolare che potesse spiegarle quello che aveva appena visto.
Oh, ma perché Silente non l'aveva ascoltata, quella sera? Lei glielo aveva detto, lo aveva avvertito che avrebbero tentato di ucciderlo ma lui non le aveva dato ascolto, così disperatamente convinto che Piton fosse dalla sua parte, così convinto che Piton non avrebbe fatto altro che sottostare ai suoi ordini... Éméline spalancò gli occhi mentre un dubbio le si insinuava nella mente: e se quella supplica non fosse stata un invito a lasciarlo vivere, ma un invito a porre finalmente fine alle sue sofferenze? Era andata così? Silente e Piton erano d'accordo? Doveva scoprirlo, ma prima di tutto doveva fermare suo fratello dal fare qualcosa di stupido tipo farsi catturare. Corse senza fermarsi fino a quando non lo raggiunse nel Parco, mentre camminava dietro Piton.
-Piton!- lo sentì urlare. Vide il mago girarsi di scatto. Piton fece segno agli altri di andare avanti e poi andò incontro ad Harry.
-Harry, no! Harry, aspetta! Ascoltami!- disse Éméline correndo verso di lui, perfettamente consapevole che non l'avrebbe mai ascoltata. Poi Piton la guardò, puntò la bacchetta contro di lei e lei cadde. Scivolò e sbatté il braccio su una pietra. Un dolore lancinante la attraversò, e lei capì che qualcosa non andava. Tentò di alzarsi ignorando il dolore ma qualcosa la trattene a terra.
Sentì Harry gridare degli incantesimi e poi lo sentì urlare, con tutto l'odio che aveva in corpo
-Sectumsempra!-. Lo vide venire sbalzato indietro.
Piton era riuscito a pararlo. Girò la testa e vide l'uomo avvicinarsi a suo fratello.
-Come osi usare incantesimi che neanche comprendi? Come osi usare incantesimi di cui non riconosci la portata e l'utilità? Come osi usare i miei incantesimi contro di me? Sì, Potter, io sono il Principe Mezzosangue.- lo lasciò a terra, immobile, troppo scosso per fare qualunque cosa.
Piton si avvicinò a Éméline. Si inginocchiò accanto a lei e vide la sua faccia contratta in una smorfia di dolore. Guardò il braccio, vi puntò la bacchetta contro e sussurrò qualcosa. Il dolore cessò immediatamente.
Frugò nella sua tasca e ne dirò fuori una fialetta e un pezzo di pergamena. Mise tutto nella mano di Éméline e gliela strinse.
-Prendi il pensatoio nel mio studio, entraci con il mantello di tuo padre se necessario, Éméline. Guarda i ricordi, e leggi la lettera. Capirai tutto, te lo posso assicurare.- disse
-Lo spero professore. Per anni, tutti la detestavano e io la difendevo, ero convinta che lei nascondesse qualcosa, qualcosa che lo facesse soffrire terribilmente. E oggi Silente mi ha detto che lei non avrebbe mai fatto nulla se non fosse stato un suo ordine. Ma lei è uno di loro, neanche lo nega!, lo è sempre stato. Non riesco a capirla professore. Perché è gentile solo con me? Che cos'ho io di tanto diverso dagli altri? Glielo ha ordinato lui? Per potermi avvicinare più facilmente?- fece una pausa, -Mi creda: non ho mai sperato di sbagliarmi in vita mia.- chiese lei. E poi aggiunse
-Professore, perché piangeva nel suo ricordo, l'anno scorso?-
-Guarda i ricordi, Éméline, e ti giuro che capirai. Mi dispiace, mi dispiace di non essere mai stato alla tua altezza. Ti voglio bene. Harry non lo deve sapere.- Poi si chinò per darle un bacio sulla fronte e scappò sulla scia dei suoi compagni, lasciando Éméline più confusa che mai.

***

Quando arrivarono sotto alla Torre di Astronomia, tutta la scuola si era già radunata intorno al corpo di Silente. Harry ed Éméline si fecero strada tra le persone fino ad arrivare di fronte al cadavere. Éméline si fermò e Harry avanzò. Si inginocchiò e prese il medaglione vicino al corpo. Poi posò la mano sul suo cuore, anche se sapeva benissimo che non avrebbe trovato nessun segno di vita.
La professoressa MgGonagall, con le lacrime agli occhi per la perdita di quell'uomo che per lei era stata una guida e un amico, aveva tirato fuori la sua bacchetta e l'aveva puntata verso il cielo in segno di rispetto. Tutti la imitarono e Ginny si avvicinò piano ad Harry.
L'atmosfera ad Hogwarts non era mai stata così triste: decine, centinaia di bacchette erano puntate in alto, in segno di lutto e di rispetto verso la buon'anima che aveva appena lasciato la sua scuola, la sua casa.
-Coraggio- disse la MgGonagall in un sussurro dopo qualche minuto di silenzio. -Tornate tutti nei vostri dormitori.-
In una silenziosa processione, tutti gli studenti ubbidirono stringendosi un po' di più vicino agli amici, ai fratelli, ai compagni. Gli unici che non lo seguirono furono Harry, Éméline, Ron, Ginny ed Hermione. Insieme agli insegnanti che erano rimasti, si diressero in infermeria, dove Bill Weasley era stato portato dopo aver combattuto con un lupo mannaro.
Non appena aprirono alla porta, un forte odore di disinfettante penetrò le narici dei ragazzi. Camminarono senza proferire parola fino al letto del ragazzo.
Bill aveva la faccia completamente ferita da tagli profondi coperti da uno strano unguento giallo ocra e avvolti in bende. Le braccia e il petto erano piene di tagli e abrasioni. Accanto al letto, Fleur e la signora Weasley stavano piangendo. No, si disse Éméline, non sarebbe riuscita a stare lì ad osservare tutto quel dolore. Si voltò, decisa ad uscire e ad andare a vedere cosa le aveva lasciato Piton, quando appoggiato vicino ad una finestra scorse la figura di Fred. Con il cuore sollevato in modo anomalo a quella vista, la ragazza accelerò il passo verso il giovane e, quando questo si raddrizzò aprendo le braccia, lei si lasciò stringere. Gli passò le mani intorno alla vita e sospirò profondamente mentre Fred giocava piano con i suoi boccoli.
-Come ti senti?- le chiese piano senza lasciarla andare.
-Sono un paio d'ore che non provo alcun tipo di emozione, a dire il vero.- rispose lei.
-Tu stai bene?- chiese in seguito.
-Non ti preoccupare per me, sono tutto intero.- rispose Fred, consapevole che in quel momento la ragazza avesse bisogno di tutto tranne che di nuove preoccupazioni.
Rimasero abbracciati senza dire più nulla per qualche minuto, fino a quando non sentirono la porta aprirsi.
Remus e Tonks entrarono piano e si avvicinarono alla McGonagall.
-Sono rientrati tutti, non c'è più nessuno in giro.- disse Tonks mentre Remus si avvicinava ai signori Weasley.
Éméline si allontanò un poco da Fred e mosse qualche passo verso le due donne, qualche letto più in là.
-Bene, grazie. È stata una notte turbolenta, è necessario che almeno ci provino, a dormire. Per quanto difficile.- commento l'insegnante scuotendo appena la testa con sguardo triste.
Tonks annuì poi, da dietro la spalla della McGonagall, vide Éméline. Si congedò sottovoce dall'insegnante e poi camminò con occhi tristi verso la sua giovane amica fino a stringerla tra le braccia.
-Come stai?- le sussurrò piano.
-Non lo so neanche io.- rispose sinceramente Éméline. Tonks la strinse un po' di più.
-Dopo oggi, temo che dovremo lavorare un po' di più per riuscirci. Altro che seratina tra amiche, ti dovresti ubriacare.- disse Tonks abbronzando un sorriso e cercando alleggerire l'atmosfera.
-Guarda, è un'idea davvero allettante.- rispose lei passandosi una mano tra i capelli e sorridendo appena. Si sorprese di essere ancora in grado di farlo.
-Ci lavoreremo va bene?-
-Grazie, davvero. Sei la migliore.- le rispose grata stringendo un po' le labbra.
-Harry, Éméline, vorrei parlare un attimo con voi.- disse la MgGonagall in quel momento. Dal suo tono si capiva che non avrebbe accettato un no come risposta.
I due fratelli annuirono e la seguirono fuori, giù dalle scale, su per altre scalinate, fino ad arrivare davanti al conosciuto Gargoyle.
Arrivati nello studio del preside, che ora era della MgGonagall, si fermarono. Dopo un momento di silenzio, la preside si decise a parlare.
-Dovete sapere che voi significavate molto per lui. Ho bisogno di sapere che cosa stavate facendo con lui prima che.. beh, prima che accadesse.-
I due si guardarono, e poi Harry prese la parola.
-Mi dispiace, non glielo possiamo dire.-
-Silente è morto. Io devo saperlo Potter.- insistette l'insegnante, e entrambi i fratelli colsero il ritorno del cognome.
-Non possiamo, professoressa, mi dispiace. Il professor Silente voleva passarci delle informazioni prima che fosse troppo tardi. Ora, dobbiamo continuare quello che lui ha iniziato. Noi... noi agiamo per suo ordine, ma per ora non posso dirle altro.- le disse Éméline. La donna la fissò. Gli occhi verdi erano un misto di tristezza e rassegnazione, come se ormai si fosse arresa di fronte a chissà quale demone.
-Molto bene, se davvero agite per lui, non ho bisogno di altre garanzie. A momenti arriveranno gli altri insegnati, racconterete loro cosa avete visto. Poi, bisognerà decidere che cosa ne sarà della scuola.-
Nel giro di qualche minuto, gli insegnanti arrivarono. Éméline decise che Harry era troppo scosso per raccontare di nuovo cosa era successo. Prese la parola lei. Descrisse tutto nei più piccoli particolari, omettendo il fatto che Piton avesse detto loro di fare silenzio e di non intervenire. Quando ebbe finito, vi furono circa due minuti di completo silenzio.
-Piton? E Silente si fidava... lui aveva sempre detto che Piton era dalla nostra parte. E lo ha ucciso.- sussurrò Pomona Sprout.
-Non riesco a crederci neanche io, Pomona.- disse piano la McGonagall.
-Cosa ne sarà ora? Cosa facciamo con i ragazzi?- domandò la professoressa Sinistra, l'insegnante di Astronomia.
-Vanno mandati a casa, domani stesso. Me ne dolgo più di quanto vorrei ammettere, ma Hogwarts non è più un luogo sicuro per gli studenti.- mormorò la professoressa McGonagall.
-Cosa?- intervenne Éméline, attirando su di lei l'attenzione di tutti, -Non potete chiudere Hogwarts.-
-Non ci sono alternative, temo.- rispose la preside.
-Sì, invece! Non potete chiudere questo posto. Per gran parte degli studenti, e anche delle famiglie, questo luogo rappresenta una casa lontano da casa. È sempre stato un simbolo di speranza, sin da quando Voldemort è tornato. In questi anni Silente ha messo anima e corpo perché rimanesse aperta nonostante tutto quello che stava capitando, non può permettere che venga chiusa proprio ora che lui non può più impedirlo. Lo deve agli studenti, e lo deve anche a Silente.- continuò Éméline, -Se chiude la scuola, noi non avremo più una casa.- sussurrò poi alla fine, riferendosi a lei e a suo fratello, con le lacrime agli occhi.
Tutti gli insegnati la guardarono con un triste sorriso sul volto.
-Sono d'accordo con lei, Minerva. La scuola deve rimanere aperta, anche solo per uno studente che ancora desidera venire.- intervenne la professoressa Sprout.
-E, anche se deciderete di mandare a casa tutti quanti, dovreste aspettare dopo il suo funerale. Hanno il diritto di.. di..- disse Harry.
-Di dargli un ultimo saluto.- gli venne in soccorso la professoressa Sinistra, e il ragazzo annuì.
-Bene, allora faremo così: tutti i ragazzi verrano mandati a casa subito dopo il funerale fino al nuovo anno, a meno che qualcuno qui non sia contrario.- pronunciò la professoressa McGonagall, e nessuno parlò.
-Possiamo andare, professoressa?- chiese Éméline dopo qualche minuto.
-Sì, assolutamente. Il ministro sarà qui tra breve, vi invito a non farvi vedere da lui, o cercherà di sottoporvi ad un interrogatorio.- commentò la McGonagall congedandoli.
Harry tornò in infermeria mentre sua sorella di diresse nei sotterranei.

 

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Capitolo 6
*** Rivelazione ***


Éméline si diresse verso l'ufficio di Severus Piton ed entrò.
-Colloportus.- mormorò subito dopo puntando la bacchetta contro la porta. Con un rumore sordo, essa di sigillò.
Éméline si guardò intorno. L'ufficio era come se lo ricordava: sulle sei pareti, di cui tre erano piene di scaffali con barattoli di ogni sorta, erano fissati dei candelabri che illuminavano la stanza. Una scrivania e una sedia erano posti al centro. Sulla sua sinistra, un armadio sormontava austero gran parte della parete e sulla sua destra, uno scaffale pieno di libri testimoniava il desiderio di conoscenza dell'uomo che fino a quella sera aveva vissuto lì. Il Pensatoio di pietra era al suo posto nell'armadio. Quando la ragazza si avvicinò, come richiamato a lei da una mano invisibile, le ante si aprirono e l'ornato bacile d'argento volò tra le sue mani. Ella lo prese e lo trasportò sulla scrivania. Poi, passando una mano sulle dune incise sui bordi, lasciò che i ricordi scivolassero con calma al suo interno.
Fuggire nella testa di qualcun altro sarebbe stato un sollievo... nemmeno i pensieri di Piton potevano essere peggio dei suoi in quel momento.
Si mise la bacchetta in tasca e si immerse.

***

Cadde lunga distesa nella luce del sole, su un suolo tiepido. Quando si mise in piedi, scoprì che si trovava in un parco giochi quasi deserto. Un'enorme ciminiera dominava l'orizzonte. Due bambine si dondolavano sulle altalene e un ragazzino magro le osservava da dietro un gruppo di cespugli. Aveva i capelli neri troppo lunghi e abiti così male assortiti che sembrava fatto di proposito: jeans troppo corti, un cappotto logoro e troppo grande che avrebbe potuto appartenere a un adulto, una strana camicia simile a un grembiule.
Éméline si avvicinò al ragazzo. Piton non doveva avere più di nove o dieci anni, giallastro, piccolo, nervoso. Sul suo volto magro si leggeva chiaramente il desiderio con cui guardava la più piccola delle due bambine dondolare sempre più in alto, molto di più della sorella.
-Lily, non farlo!- strillò la maggiore.
Ma la bambina, arrivata nel punto più alto dell'arco, si lanciò a volo, quasi letteralmente a volo, si gettò verso il cielo con uno scoppio di risate e, invece di precipitare sull'asfalto del parco giochi, si librò nell'aria come una trapezista e vi indugiò troppo a lungo, e atterrò con troppa leggerezza.
-La mamma ti ha detto di non farlo!-
Petunia fermò l'altalena piantando i talloni dei sandali a terra con uno scricchiolio, poi balzò in piedi, le mani sui fianchi.
-La mamma ha detto che non puoi, Lily!-
-Ma non mi sono fatta niente- ribatté Lily, che ancora rideva. -Tunia, guarda. Guarda cosa so fare-
Petunia si guardò intorno. Il parco giochi era deserto a parte loro e, anche se le bambine non lo sapevano, Piton. Lily raccolse un fiore caduto dal cespuglio dietro il quale era nascosto Piton. Petunia si avvicinò, dibattuta
tra la curiosità e la disapprovazione. Lily aspettò che la sorella guardasse bene, poi tese la mano aperta. Il fiore apriva e chiudeva i petali come una bizzarra ostrica con molte valve.
-Smettila!- strillò Petunia.
-Mica ti fa del male- obiettò Lily, ma poi chiuse la mano sul bocciolo e lo gettò di nuovo a terra.
-Non è giusto- protestò Petunia, ma il suo sguardo aveva seguito la caduta del fiore a terra e vi indugiava.
-Come fai?- domandò, con un chiaro tono di desiderio.
-È ovvio, no?- Piton non riuscì più a trattenersi e balzò fuori dai cespugli. Petunia strillò e tornò di corsa alle altalene, ma Lily, per quanto allarmata, rimase dov'era. Piton parve pentirsi di essere uscito allo scoperto. Un cupo rossore invase le sue guance giallognole.
-Che cosa è ovvio?- chiese Lily.
Piton era agitato. Scoccò un'occhiata a Petunia che gironzolava vicino alle altalene, poi abbassò la voce e disse:
-Io so cosa sei-.
-Cioè?-
-Tu sei... sei una strega- sussurrò Piton.
Lei parve offesa.
-Non è una cosa carina da dire!-
Si voltò, il naso per aria, e si allontanò a grandi passi verso la sorella.
-No!- esclamò Piton. Ormai era paonazzo, e Éméline si chiese come mai non si toglieva quel cappotto, sproporzionato e ridicolo, a meno che non fosse per nascondere la camiciola di sotto. Saltellò dietro le bambine, come la caricatura di un pipistrello, o di se stesso da adulto.
Le sorelle lo osservarono, unite nel disprezzo, tutt'e due aggrappate a uno dei pali dell'altalena come se fosse la tana in una partita di chiapparello.
-Lo sei- insisté Piton. -Sei una strega. È un po' che ti tengo d'occhio. Ma non c'è niente di male. Anche mia mamma è una strega, e io sono un mago-.
La risata di Petunia fu come una doccia fredda.
-Un mago!- strillò, rinfrancata dopo lo spavento per l'improvvisa apparizione.
-Io so benissimo chi sei. Sei il figlio dei Piton! Abitano giù a Spinner's End, vicino al fiume- spiegò a Lily, e dal suo tono si capiva che trovava l'indirizzo poco raccomandabile.
-Perché ci stai spiando?-
-Non vi spio- rispose Piton, in pieno sole, accaldato, a disagio, con i capelli sporchi. -Non te, comunque-aggiunse sprezzante.
-Tu sei una Babbana-.
Anche se Petunia non capiva la parola, non poteva fraintendere il tono. -Lily, su, andiamo via!- esclamò. Lily obbedì immediatamente alla sorella e si allontanò, scrutando torva Piton. Lui le guardò attraversare il parco giochi, e Éméline, rimasa la sola a osservarlo, ne riconobbe l'amara delusione, capì che era da molto che aspettava quel momento e che era andato tutto storto...
La scena si dissolse e in un attimo si riformò. Adesso si trovava in un boschetto. Vide un fiume scintillare al sole che filtrava fra i tronchi. Gli alberi proiettavano sull'erba una pozza di fresca ombra verde. Due bambini erano seduti per terra a gambe incrociate, una di fronte all'altro. Piton si era tolto il cappotto; la sua strana camicia sembrava meno assurda in quella penombra.
-... e il Ministero può punirti se fai magie fuori dalla scuola, ti mandano delle lettere-.
-Ma io le ho fatte!-
-Noi siamo a posto. Non abbiamo ancora la bacchetta. Ti lasciano stare, quando sei un bambino e non puoi farci niente. Ma a undici anni- e annuì con aria d'importanza -cominciano a istruirti, e allora devi stare attento.-
Calò un breve silenzio. Lily raccolse un bastoncino e lo agitò, e lei capì che immaginava di vederne uscire una pioggia di scintille. Poi lo lasciò cadere, si sporse verso Piton e chiese:
-È vero, no? Non è uno scherzo? Petunia dice che mi racconti delle bugie. Dice che Hogwarts non esiste. È proprio vero?-
-È vero per noi- rispose Piton. -Non per lei. Ma noi riceveremo la lettera, io e te-.
-Sul serio?- mormorò Lily.
-Certo.- confermò Piton, e persino con i capelli tagliati male e i vestiti balordi era stranamente solenne, seduto davanti a lei, fiducioso nel proprio destino.
-E arriverà davvero con un gufo?- mormorò Lily.
-Di solito- rispose Piton. -Ma tu sei figlia di Babbani, quindi dovrà venire qualcuno della scuola a spiegarlo ai tuoi genitori.-
-È diverso se si è figli di Babbani?-
Piton esitò. I suoi occhi neri, colmi di entusiasmo nella penombra verdastra, si spostarono sul volto pallido, sui capelli rosso scuro di lei.
-No- dichiarò infine. -Non è diverso-.
-Meno male- sospirò Lily, tranquillizzata: era chiaro che prima era un po' preoccupata.
-Tu hai un sacco di magia- continuò Piton. -L'ho visto. Ti guardavo sempre...-
La sua voce si affievolì; Lily non stava ascoltando, ma si era distesa sul
terreno coperto di foglie e osservava la volta di rami sopra di loro. Lui la studiava con lo stesso desiderio di quando la spiava nel parco giochi.
-Come vanno le cose a casa tua?- gli chiese lei. Una piccola piega apparve fra gli occhi di Piton.
-Bene- rispose.
-Non litigano più?-
-Oh, sì, litigano- ribatté Piton. Raccolse un pugno di foglie e cominciò a strapparle, soprappensiero.
-Ma fra poco me ne andrò.-
-A tuo papà non piace la magia?-
-Non gli piace praticamente niente- rispose Piton.
-Severus-.
Un piccolo sorriso incurvò le labbra di Piton quando lei disse il suo nome. -Sì?-
-Parlami ancora dei Dissennatori-.
-Perché?-
-Se uso la magia fuori dalla scuola...-
-Non ti danno ai Dissennatori per questo! I Dissennatori sono per chi fa cose veramente brutte. Sono le guardie della prigione magica, Azkaban. Tu non puoi finire ad Azkaban, sei troppo...-
Arrossì di nuovo e strappò altre foglie. Poi un fruscio alle spalle di Éméline la costrinse a voltarsi: Petunia, nascosta dietro un albero, aveva perso l'equilibrio.
-Tunia!- esclamò Lily, sorpresa e lieta insieme. Ma Piton balzò in piedi.
-Chi è adesso che spia?- gridò. -Cosa vuoi?-
Petunia era senza fiato, spaventata per essere stata scoperta. Éméline vide che cercava qualcosa di perfido da dire.
-Che cos'è che hai addosso?- chiese infine, indicando il petto di Piton.
-La camicetta di tua mamma?-
Si udì un crac: un ramo sopra la testa di Petunia cadde. Lily urlò: il ramo
colpì sulla spalla Petunia, che barcollò all'indietro e scoppiò in lacrime. -Tunia!-
Ma la sorella stava scappando. Lily si voltò verso Piton.
-Sei stato tu?
-No-. Era insolente e spaventato insieme.
-Sì, invece!- Lei indietreggiò. -Sei stato tu! Le hai fatto male!-
-No... no, non sono stato io...-
Ma la bugia non convinse Lily: con un ultimo sguardo di fuoco corse via, dietro la sorella, e Piton rimase lì, desolato e confuso...
E la scena si riformò. Éméline si guardò intorno: Piton era davanti a lui, sul binario nove e tre quarti, un po' curvo, vicino a una donna magra, dal viso giallastro e acido, che gli assomigliava moltissimo. Piton fissava una famiglia di quattro persone poco lontano. Le due ragazze si erano lievemente allontanate dai genitori. Lily stava supplicando la sorella; e Éméline si avvicinò per ascoltare.
-... mi dispiace, Tunia, mi dispiace! Ascolta...- Le prese la mano e la strinse forte, anche se Petunia cercava di sottrarla.
-Forse quando sarò là... no, ascolta, Tunia! Forse quando sarò là riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare idea!-
-Io non... voglio... venirci!- esclamò Petunia, tirando la mano. -Tu credi che io voglia andare in uno stupido castello per imparare a essere una... una...-
I suoi occhi sbiaditi vagarono sul marciapiede, sui gatti che miagolavano tra le braccia dei proprietari, sui gufi che sbattevano le ali e gridavano l'uno all'altro dalle gabbie, sugli studenti, alcuni già nelle lunghe divise nere, che caricavano i bauli sul treno a vapore rosso o si salutavano con grida di gioia dopo un'estate di separazione.
-... credi che io voglia essere un... un mostro?-
Gli occhi di Lily si riempirono di lacrime e Petunia riuscì a liberare la mano.
-Io non sono un mostro- pianse. -È una cosa orribile da dire-.
-È là che stai andando- ribatté Petunia compiaciuta. -In una scuola speciale per mostri. Tu e quel Piton... due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla gente normale. Per la nostra sicurezza.-
Lily guardò i genitori, che contemplavano con sincero piacere tutto quello che succedeva attorno al binario. Poi si rivolse alla sorella e parlò con voce bassa e rabbiosa.
-Non pensavi che fosse una scuola per mostri quando hai scritto al Preside per supplicarlo di ammetterti.-
Petunia diventò paonazza.
-Supplicare? Io non l'ho supplicato!-
-Ho letto la sua risposta. Era molto gentile.-
-Non dovevi...- sussurrò Petunia. -Era una cosa personale... come hai potuto...?-
Lily si tradì rivolgendo un mezzo sguardo a Piton. Petunia boccheggiò.
-L'ha trovata quel ragazzo! Siete entrati di nascosto in camera mia!-
-No... non di nascosto...- adesso  Lily era sulla difensiva.
-Severus ha visto la busta e non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts, tutto qui! Dice che alle poste devono esserci dei maghi che lavorano in incognito per...-
-A quanto pare i maghi ficcano il naso dappertutto!- esclamò Petunia, pallida quanto era stata rossa poco prima. -Mostro!-E si precipitò dai genitori...
La scena sfumò di nuovo. Piton correva lungo il corridoio dell'Espresso per Hogwarts, che sferragliava attraverso la campagna. Si era già cambiato e indossava la divisa: la prima occasione per liberarsi di quegli orrendi abiti Babbani. Finalmente si fermò, fuori da uno scompartimento in cui alcuni ragazzi chiassosi stavano chiacchierando. Rannicchiata nell'angolo vicino alla finestra c'era Lily, il volto premuto contro il vetro.
Piton aprì la porta dello scompartimento e si sedette di fronte a lei. Lily gli gettò un'occhiata e poi tornò a guardare fuori. Aveva pianto.
-Non voglio parlare con te- mormorò con voce soffocata.
-Perché?-
-Tunia mi... mi odia. Perché abbiamo letto la lettera di Silente.-
-E allora?-
Lo guardò con profonda avversione.
-Allora è mia sorella!-
-È solo una...- Riuscì a trattenersi eLily, troppo impegnata ad asciugarsi gli occhi senza farsi notare, non lo sentì.
-Ma ci stiamo andando!- esclamò lui, incapace di trattenere la gioia.
-Ci siamo! Stiamo andando a Hogwarts!-
Lei annuì, stropicciandosi gli occhi, e quasi suo malgrado sorrise.
-Speriamo che tu sia una Serpeverde- continuò Piton, rinfrancato. -Serpeverde?-
Uno dei ragazzi nello scompartimento, che fino a quel momento non aveva mostrato alcun interesse per Lily o Piton, a quella parola si voltò, e Éméline, che si era concentrato sui due accanto al finestrino, riconobbe suo padre: smilzo, con i capelli neri come Piton, ma con quell'aria indefinibile di chi è stato molto curato, perfino adorato, di cui Piton era così vistosamente privo.
-Chi vuole diventare un Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu?!- chiese James al ragazzo mollemente abbandonato sul sedile di fronte al suo, e con un sorpresa Éméline si rese conto che era Sirius, che non sorrise.
-Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde-rispose.
-Oh, cavolo- commentò James. -E dire che mi sembravi a posto!- Sirius ghignò.
-Forse io andrò contro la tradizione. Dove vorresti finire, se potessi scegliere?-
James alzò una spada invisibile.
-'Grifondoro... culla dei coraggiosi di cuore!' Come mio padre.-
Piton fece un verso sprezzante. James si girò verso di lui.
-Qualcosa che non va?-
-No- rispose Piton, ma il suo lieve ghigno diceva il contrario. -Se preferisci i muscoli al cervello...-
-E tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due?- intervenne Sirius.
James scoppiò in una risata fragorosa. Lily si raddrizzò nel sedile, nervosa, e guardò prima James poi Sirius, disgustata.
-Andiamo, Severus, cerchiamo un altro scompartimento.-
-Ooooooooh...-
James e Sirius imitarono la sua voce altezzosa; James cercò di fare lo sgambetto a Piton.
-Ci si vede, Mocciosus!- gridò qualcuno quando la porta dello scompartimento si chiuse...
E la scena ancora una volta svanì...
Éméline era alle spalle di Piton, davanti ai tavoli delle Case, illuminati dalle candele, attorniati da volti rapiti. Poi la professoressa McGonagall chiamò: -Evans, Lily!-
Guardò sua madre camminare con le gambe incerte e sedersi sullo sgabello traballante. La professoressa McGonagall le mise in testa il Cappello Parlante e, un secondo dopo essersi posato sulla chioma rosso scuro, il Cappello gridò: -Grifondoro!-
Sentì Piton emettere un flebile gemito. Lily si tolse il Cappello, lo diede alla professoressa McGonagall, poi corse verso i Grifondoro esultanti, ma a metà strada si girò e rivolse a Piton un rapido sguardo e un sorrisino triste. Éméline vide Sirius farle posto sulla panca. Lei lo guardò, lo riconobbe, incrociò le braccia e gli voltò le spalle con decisione.
L'appello riprese. Éméline guardò suo padre, Lupin e Minus unirsi a Lily e Sirius al tavolo di Grifondoro. Infine, quando restava solo una dozzina di studenti da Smistare, la professoressa McGonagall chiamò Piton.
Éméline lo seguì allo sgabello e lo guardò mettersi in testa il Cappello.
-Serpeverde!- gridò il Cappello Parlante.
E Severus Piton andò dall'altro lato della Sala, lontano da Lily, dove i Serpeverde lo accolsero con grida di tripudio, dove Lucius Malfoy, con una spilla da prefetto che brillava sulla veste, gli diede una pacca sulla schiena e lo fece sedere accanto a sé...
E la scena mutò...
Lily e Piton passeggiavano nel cortile del castello, litigando. Éméline accelerò il passo per riuscire ad ascoltare. Quando li raggiunse si rese conto che erano molto più alti: erano passati alcuni anni dallo Smistamento.
-... credevo che fossimo amici!- si stava lamentando Piton. -Credevo di essere il tuo migliore amico!-
-Lo siamo, Sev, ma non mi piace la gente con cui vai in giro! Scusa, ma detesto Avery e Mulciber! Mulciber! Che cosa ci trovi in lui, Sev? Fa venire i brividi! Lo sai cos'ha cercato di fare a Mary Macdonald l'altro giorno?-
Lily raggiunse una colonna e vi si appoggiò, fissando il volto affilato e giallastro dell'amico.
-Non era niente- disse Piton. -Era solo uno scherzo...-
-Era Magia Oscura, e se pensi che sia uno scherzo...-
-E quello che fanno Potter e i suoi amichetti?-ribatté Piton. Arrossì, incapace di nascondere il risentimento.
-Cosa c'entra Potter?- chiese Lily.
-Escono di nascosto, di notte. Ha qualcosa di strano, quel Lupin. Dov'è che va sempre?-
-È malato- spiegò Lily. -Dicono che è malato...-
-Tutti i mesi con la luna piena?- domandò Piton.
-Conosco la tua teoria- replicò Lily, gelida. -Ma perché sei così fissato con loro? Che t'importa dove vanno di notte?-
-Sto solo cercando di farti capire che non sono meravigliosi come tutti pensano.-
L'intensità del suo sguardo la fece avvampare.
-Ma non usano Magia Oscura.- Lily abbassò la voce. -E tu sei un ingrato. Ho sentito cos'è successo l'altra notte. Ti sei infilato in quel tunnel vicino al Platano Picchiatore e James Potter ti ha salvato da quello che c'è là sotto, qualunque cosa sia...-
Il volto di Piton si contorse in una smorfia. Farfugliò: -Salvato? Salvato? Credi che abbia fatto l'eroe? Stava salvando se stesso e anche i suoi amici! Tu non... io non ti permetterò...-
-Permettermi? Permettermi?-
Gli occhi verde chiaro di Lily erano ridotti a due fessure. Piton fece subito marcia indietro.
-Non volevo dire... è solo che non voglio che ti prendano in giro... gli piaci, tu piaci a James Potter!- Sembrava che le parole gli venissero strappate contro la sua volontà. -E non è... tutti pensano... il Grande Campione di Quidditch...- L'amarezza e il disgusto lo rendevano incoerente, e le sopracciglia di Lily erano sempre più inarcate.
-So benissimo che James Potter è un arrogante- lo interruppe. -Non ho bisogno che me lo dica tu. Ma il modo di divertirsi di Mulciber e Avery è malvagio. Malvagio, Sev. Non capisco come fai a essere loro amico.-
Probabilmente Piton non aveva nemmeno sentito le sue critiche su Avery e Mulciber. Appena Lily aveva parlato male di James Potter, si era rilassato, e nel suo passo c'era una nuova baldanza...
La scena svanì...
Piton usciva dalla Sala Grande, dopo aver sostenuto l'esame di G.U.F.O. in Difesa contro le Arti Oscure, si allontanava dal castello e andava, soprappensiero, verso la betulla sotto la quale erano seduti James, Sirius, Lupin e Minus.
Éméline vide il ricordo che aveva visto nella mente di Harry e si avvicinò: vide il ricordo esattamente come lo aveva visto Harry e poi sentì una frase che non si sarebbe mai aspettata. Lily si era avvicinata per difendere Piton e lui...
-Non mi serve l'aiuto di una piccola schifosa Sanguemarcio!-
Lily era rimasta lì, e ad Éméline era venuto un colpo: come aveva osato chiamarla?
-Bene.- disse sua madre -Vorrà dire che la prossima volta non mi prenderò la briga di aiutarti.-
James Potter aveva di nuovo tirato fuori la bacchetta.
-Come l'hai chiamata?! Chiedile scusa! Chiedi scusa a Evans!- urlò
-No, non voglio le sue scuse se è obbligato. Ci si vede, Mocciosus.-
La scena cambiò...
-Mi dispiace.-
-Non mi interessa.-
-Mi dispiace!-
-Risparmia il fiato.-
Era notte. Lily, in vestaglia, era davanti al ritratto della Signora Grassa, a braccia incrociate, all'ingresso della Torre di Grifondoro.
-Sono uscita solo perché Mary mi ha detto che minacciavi di dormire qui.-
-L'avrei fatto. Non volevo chiamarti schifosa Sanguemarcio, mi è...-
-... scappato?- Non c'era pietà nel tono di Lily. -Troppo tardi. Ti ho giustificato per anni. Nessuno dei miei amici riesce a capire come mai ti rivolgo la parola. Tu e i tuoi cari Mangiamorte... vedi, non lo neghi nemmeno! Non neghi nemmeno quello che volete diventare! Non vedi l'ora di unirti a Tu-Sai-Chi, vero?-
Lui aprì la bocca, ma la richiuse senza aver parlato.
-Non posso più fingere. Tu hai scelto la tua strada, io la mia.-
-No... senti, io non volevo...-
-... chiamarmi schifosa Sanguemarcio? Ma chiami così tutti quelli come me, Severus. Perché io dovrei essere diversa?-
Piton stava per ribattere, ma con uno sguardo sprezzante lei si voltò e varcò il buco del ritratto... Il corridoio sparì, e la scena impiegò un po' più di tempo per ridefinirsi:
Éméline volò tra forme e colori mutevoli finché i dintorni si solidificarono di nuovo, e si ritrovò su una collina desolata, fredda e buia, col vento che sibilava tra i rami dei pochi alberi spogli. Piton adulto ansimava, voltandosi, la bacchetta stretta in mano, in attesa di qualcosa o qualcuno... la sua paura contagiò anche lei: pur sapendo di non correre alcun rischio, si guardò indietro, chiedendosi che cosa stesse aspettando Piton...
Poi nell'aria balenò una luce bianca accecante e frastagliata: la ragazza pensò a un fulmine, ma Piton cadde in ginocchio e la bacchetta gli scivolò di mano.
-Non mi uccida!-
-Non era mia intenzione.-
Il rumore della Materializzazione di Silente era stato coperto dall'ululato del vento tra i rami. Stava davanti a Piton, la veste svolazzante e il viso illuminato dal basso dalla luce della bacchetta.
-Allora, Severus? Che messaggio ha Lord Voldemort per me?-
-Nessun... nessun messaggio... sono qui per conto mio!-
Piton si tormentava le mani: sembrava un folle, con i capelli neri che gli sventolavano in faccia.
-Io... io vengo con un avvertimento... no, una richiesta... la prego...- Silente agitò la bacchetta. Foglie e rami continuarono ad agitarsi nella notte attorno a loro, ma dove loro due si fronteggiavano calò il silenzio.
-Quale richiesta potrebbe farmi un Mangiamorte?-
-La... la profezia... la predizione... la Trelawey...-
-Ah, sì- fece Silente. -Quanto hai riferito a Lord Voldemort?-
-Tutto... tutto quello che ho sentito!-rispose Piton. -È per questo... è per questo motivo... lui pensa che sia Lily Evans!-
-La profezia non parla di una donna- obiettò Silente, -ma di un bambino maschio nato alla fine di luglio...-
-Sa cosa voglio dire! Lui pensa che si tratti del figlio maschio che ha avuto, le darà la caccia... li ucciderà tutti...-
Piton tacque, continuando a guardare Silente.
-Li nasconda tutti- gracchiò infine. -La metta... li metta al sicuro. La prego.-
-E tu che cosa mi darai in cambio, Severus?-
-In... in cambio?- Piton guardò Silente a bocca aperta e Éméline si aspettava che protestasse, ma dopo un lungo istante rispose:
-Qualunque cosa.-
La cima della collina svanì e Éméline si ritrovò nello studio di Silente, e qualcosa o qualcuno esalava un lamento terribile, da animale ferito. Piton era chino in avanti su una sedia e Silente, in piedi accanto a lui, lo guardava cupo. Dopo qualche istante Piton alzò il viso: rispetto all'uomo sulla collina spazzata dal vento sembrava aver vissuto cento anni di dolore.
-Credevo... che lei... l'avrebbe... protetta...-
-Lei e James hanno riposto la loro fiducia nella persona sbagliata- osservò Silente.
-Più o meno come te, Severus. Non speravi che Lord Voldemort la risparmiasse?-
Piton respirava appena.
-Suo figlio è sopravvissuto. Entrambi i suoi figli sono sopravvissuti.- aggiunse Silente.
Con uno scatto della testa, Piton parve scacciar via una mosca molesta.
-Suo figlio è vivo. Ha i suoi occhi, esattamente i suoi occhi. Ricordi la forma e il colore degli occhi di Lily Evans, non è vero? E la bambina anche. Pensa a lei, Severus.-
-No!- urlò Piton. -Perduta... morta...-
-È rimorso, Severus?-
-Vorrei... vorrei essere morto io...-
-E a che cosa sarebbe servito, e a chi?- ribatté Silente, gelido. -Se amavi Lily Evans, se davvero l'amavi, allora la tua strada è tracciata.-
Piton sembrava guardarlo da dietro un velo di dolore e le parole di Silente impiegarono molto tempo a raggiungerlo.
-Cosa... cosa vuole dire?-
-Sai come e perché è morta. Fa' che non sia stato invano. Aiutami a proteggere i figli di Lily.-
-Non hanno bisogno di protezione. Il Signore Oscuro se n'è andato...-
-... il Signore Oscuro tornerà e Harry Potter sarà in enorme pericolo... e per quanto riguarda la piccola Éméline, lo devi a Lily e James. Sì, Severus, Lily mi ha detto sia l'oggetto sia la conclusione della vostra conversazione quella sera.- aggiunse dopo aver visto lo sguardo interrogativo di Piton. Dopo una lunga pausa, lentamente lui riprese il controllo di sé e del proprio respiro. Alla fine parlò:
-Molto bene. Molto bene. Ma non lo dica... non lo dica mai a nessuno, Silente! Deve restare fra noi! Non posso sopportare... soprattutto il figlio di Potter... voglio la sua parola!-
-Vuoi la mia parola, Severus, che non rivelerò mai la parte migliore di te?- Silente sospirò, guardando il volto feroce e addolorato di Piton. -Se proprio insisti...-
Lo studio si dissolse ma si riformò all'istante. Piton lo misurava a grandi passi davanti a Silente.
-... mediocre, arrogante come suo padre, ribelle a ogni regola, compiaciuto di scoprirsi famoso, avido di attenzione e impertinente...-
-Tu vedi quello che vuoi vedere, Severus- replicò Silente, senza alzare lo sguardo da Trasfigurazione Oggi. -Altri insegnanti mi dicono che è modesto, piacevole e dotato di un certo talento. Personalmente lo trovo un ottimo ragazzo. Mentre di lei cosa mi puoi dire?-
-Dotata, come sua madre. Ha talento, è evidente. E a volte mi chiedo come quei due possano essere nati dalle stesse persone.-
Silente girò una pagina e disse, sempre senza guardarlo:
-Tieni d'occhio Quirrel, d'accordo?-
Un vortice di colore, poi tutto si fece buio: Piton e Silente erano nella Sala d'Ingresso, un po' appartati, e gli ultimi tiratardi del Ballo del Ceppo sfilavano davanti a loro, diretti ai dormitori.
-Allora?- mormorò Silente.
-Anche il Marchio di Karkaroff sta diventando scuro. È terrorizzato, teme una vendetta; sai quanto ha collaborato col Ministero dopo la caduta del Signore Oscuro.- Piton guardò di sghembo il profilo irregolare di Silente. -Karkaroff vuole fuggire se il Marchio si accende.-
-Davvero?- sussurrò Silente, mentre Fleur Delacour e Roger Davies rientravano dal parco ridacchiando. -E tu sei tentato di fare lo stesso?-
-No- rispose Piton, gli occhi neri puntati su Fleur e Roger che si allontanavano. -Non sono così vigliacco.-
-No- convenne Silente. -Sei un uomo molto più coraggioso di Igor Karkaroff. Sai, a volte credo che lo Smistamento avvenga troppo presto...-
Si allontanò, lasciando Piton basito...
E Éméline si ritrovò di nuovo nello studio del Preside. Era notte e Silente era afflosciato su un bracciolo della poltrona simile a un trono dietro la scrivania, semisvenuto. La mano destra gli penzolava lungo il fianco, nera e bruciata. Piton borbottava incantesimi, puntando la bacchetta verso il polso ferito, mentre con la sinistra versava in gola a Silente un calice colmo di una densa pozione dorata. Dopo qualche istante, le palpebre di Silente tremarono e si aprirono.
-Perché- chiese Piton senza preamboli, -perché ti sei messo quell'anello? Contiene una maledizione, sono sicuro che lo sapevi. Perché ti sei azzardato anche solo a toccarlo?-
Sulla scrivania davanti a Silente c'era l'anello di Orvoloson Gaunt. Era spezzato; accanto, la spada di Grifondoro.
Silente fece una smorfia.
-Io... sono stato uno sciocco. Terribilmente tentato...-
-Tentato da cosa?-
Silente non rispose.
-È un miracolo che tu sia riuscito a tornare qui!- Piton era furibondo.
-Quell'anello conteneva una maledizione di straordinaria potenza e possiamo solo sperare di limitarne il danno; l'ho circoscritta a una sola mano, per il momento...-
Silente alzò la mano nera e inutile, e la osservò come fosse un'interessante rarità.
-Ottimo lavoro, Severus. Quanto tempo credi che mi resti?-
Il tono di Silente era tranquillissimo; sembrava che si informasse sulle previsioni meteo. Piton esitò, poi rispose: -Non lo so. Forse un anno. Non c'è modo di bloccare per sempre un incantesimo del genere. Si diffonderà, alla fine, è il tipo di maledizione che si rafforza col tempo.-
Silente sorrise. La notizia che aveva meno di un anno di vita sembrava una faccenda di scarsissimo o nessun interesse.
-Sono fortunato, molto fortunato, ad avere te, Severus.-
-Se solo mi avessi mandato a chiamare prima, forse avrei potuto fare di più, guadagnare più tempo!- esclamò Piton, furioso. Guardò l'anello spezzato e la spada.
-Credevi che spezzando l'anello avresti infranto la maledizione?-
-Qualcosa del genere... deliravo, non c'è dubbio...- rispose Silente, anche se Éméline sapeva benissimo quale era la vera ragione. Con uno sforzo, si raddrizzò nella poltrona. -Be', insomma, questo rende le cose molto più semplici.-
Piton parve decisamente perplesso. Silente sorrise.
-Mi riferisco ai progetti di Lord Voldemort su di me. Il suo piano di farmi uccidere da quel povero giovane Malfoy.-
Piton si sedette sulla sedia che i due fratelli avevano occupato tanto spesso, al di
là della scrivania, di fronte a Silente. Éméline capì che voleva parlare ancora della mano maledetta del Preside, ma quest'ultimo la alzò in un garbato rifiuto di discuterne oltre. Accigliato, Piton osservò:
-Il Signore Oscuro non si aspetta che Draco ci riesca. È solo una punizione per i recenti insuccessi di Lucius. Una lenta tortura per i genitori di Draco, che lo guarderanno fallire e pagare per questo.-
-In breve, il ragazzo ha sul capo una sentenza di morte sicura quanto la mia- commentò Silente. -Ora, suppongo che il naturale erede del compito, quando Draco avrà fallito, debba essere tu.-
Una breve pausa.
-Credo che questo sia il piano del Signore Oscuro.-
-Lord Voldemort prevede un momento nel prossimo futuro in cui non avrà bisogno di una spia a Hogwarts?-
-Lui è convinto che presto la scuola sarà nelle sue mani, sì.-
-E se effettivamente vi cade- proseguì Silente, quasi come se fosse un dettaglio di scarsa rilevanza, -ho la tua parola che farai tutto ciò che è in tuo potere per proteggere gli studenti di Hogwarts?-
Piton rispose con un rigido cenno di assenso.
-Bene. Allora. La tua priorità è scoprire cosa sta facendo Draco. Un ragazzino spaventato è un pericolo per sé e per gli altri. Offrigli il tuo aiuto e la tua guida, dovrebbe accettare, tu gli piaci...-
-... molto meno da quando suo padre non è più nelle grazie del Signore Oscuro. Draco attribuisce la colpa a me, crede che io abbia usurpato la posizione di Lucius.-
-Comunque devi tentare. Sono meno preoccupato per me stesso che per le vittime accidentali dei piani che potrebbe architettare il ragazzo. In definitiva, c'è una sola cosa da fare, se vogliamo salvarlo dall'ira di Lord Voldemort.-
Piton inarcò le sopracciglia e chiese, in tono sardonico:
-Vuoi lasciare che ti uccida?-
-Certo che no. Devi uccidermi tu.-
Calò un lungo silenzio, interrotto solo da uno strano ticchettio. Fanny la fenice stava becchettando un osso di seppia.
-Vuoi che lo faccia subito?- chiese Piton, ironico. -O hai bisogno di qualche istante per comporre il tuo epitaffio?-
-Oh, non ancora- sorrise Silente. -Oserei dire che il momento giusto si rivelerà a tempo debito. Considerando quanto è successo stanotte- e indicò la propria mano raggrinzita, -possiamo essere certi che accadrà entro un anno.-
-Se non ti importa di morire- insisté Piton con durezza, -perché non lasci che sia Draco a ucciderti?-
-L'anima di quel ragazzo non è ancora così guastata- spiegò Silente. -Non voglio che si spezzi per colpa mia.-
-E la mia anima, Silente? La mia?-
-Tu solo sai se evitare a un vecchio sofferenza e umiliazione sarà un danno per la tua anima.-replicò Silente. -Ti chiedo questo grandissimo favore, Severus, perché la mia morte si avvicina, quanto è certo che i Cannoni di Chudley quest'anno finiranno ultimi in classifica. Ti dirò che preferisco una dipartita rapida e indolore all'operazione lunga e cruenta che risulterebbe se, per esempio, se ne occupasse Fenrir Greyback... ho sentito che Voldemort l'ha reclutato. O la cara Bellatrix, a cui piace giocare col cibo prima di mangiarlo.-
Il suo tono era leggero ma i suoi occhi azzurri trafiggevano Piton come spesso avevano fatto con i ragazzi, come se vedessero l'anima di cui stavano discutendo. Infine Piton annuì di nuovo.
Silente parve soddisfatto.
-Grazie, Severus...-
L'ufficio scomparve. Piton e Silente passeggiavano insieme nel parco deserto del castello, al crepuscolo.
-Che cosa fate tu e i Potter, tutte quelle sere che vi rinchiudete insieme?- chiese all'improvviso Piton. Silente sembrava stanco.
-Perché? Non vorrai infliggergli altre punizioni, Piton? Tra poco il ragazzo passerà più tempo in castigo che fuori.-
-È tutto suo padre...-
-Nell'aspetto, forse, ma la sua natura profonda è più simile a quella di sua madre. Trascorro del tempo con Harry e Éméline perché ho faccende di cui devo parlare con loro, informazioni che devo passare loro prima che sia troppo tardi.-
-Informazioni.- ripeté Piton. -Ti fidi di lui... e non di me.-
-Non è questione di fiducia. Come entrambi sappiamo, ho pochissimo tempo. È fondamentale che trasmetta ai gemelli abbastanza indicazioni perché possano fare quello che devono.-
-E perché io non posso avere le stesse indicazioni?-
-Preferisco non affidare tutti i miei segreti a una sola persona, soprattutto non a una che trascorre tanto tempo accanto a Lord Voldemort.-
-Lo faccio su tuo ordine!-
-E lo fai molto bene. Non credere che sottovaluti il pericolo costante a cui ti esponi, Severus. Passare a Voldemort quelle che sembrano informazioni preziose nascondendo l'essenziale è un compito che non affiderei a nessun altro che a te.-
-Eppure confidi molto di più a un ragazzo incapace in Occlumanzia, la cui magia è mediocre e che ha un legame diretto con la mente del Signore Oscuro!-
-Voldemort teme quel legame- ribatté Silente. -Non molto tempo fa ha avuto un piccolo assaggio di cosa significa per lui condividere la mente di Harry. Un dolore che non aveva mai provato. Non cercherà ancora di possedere Harry, ne sono certo. Non in quel modo.-
-Non capisco.-
-L'anima di Lord Voldemort, mutilata com'è, non sopporta un contatto stretto con un'anima come quella di Harry. Come una lingua sull'acciaio ghiacciato, come la carne nel fuoco...-
-Anime? Stavamo parlando di menti!-
-Nel caso di Harry e Lord Voldemort, parlare di una è parlare dell'altra.- Silente si guardò intorno per controllare che fossero soli. Erano ormai vicini alla Foresta Proibita, ma non c'era nessuno.
-Dopo che mi avrai ucciso, Severus...-
-Tu rifiuti di dirmi tutto, ma ti aspetti da me quel favore da nulla!- sibilò Piton, e il volto scarno si accese di una rabbia palpabile. -Dai molto per scontato, Silente! Forse ho cambiato idea!-
-Mi hai dato la tua parola, Severus. E già che stiamo parlando dei favori che mi devi, mi pareva che tu avessi promesso di tenere d'occhio il tuo giovane amico Serpeverde...-
Piton era furente, astioso. Silente sospirò.
-Vieni nel mio studio stanotte, Severus, alle undici, e non ti lamenterai più che non ho fiducia in te...-
Erano di nuovo nello studio di Silente, le finestre buie, Fanny silenziosa, e Piton sedeva immobile mentre Silente parlava camminando attorno a lui.
-Harry non deve sapere, fino all'ultimo, finché non sarà necessario, altrimenti come potrebbe avere la forza di fare ciò che deve essere fatto?-
-Ma cosa devono fare?-
-Questo resta fra me e loro. Adesso ascoltami bene, Severus. Verrà il momento, dopo la mia morte... non discutere, non interrompermi! Verrà il momento in cui Lord Voldemort temerà per la vita del suo serpente.-
-Nagini?- Piton era esterrefatto.
-Precisamente. Se Lord Voldemort cesserà di mandare Nagini a eseguire i suoi ordini, ma la terrà al sicuro accanto a sé, sotto protezione magica, allora credo che sarà bene dirlo a Harry.-
-Dirgli cosa?-
Silente trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.
-Dirgli che la notte che Lord Voldemort cercò di uccidere Harry, e di conseguenza Éméline, e Lily interpose la propria vita tra di loro come uno scudo, l'Anatema che Uccide gli rimbalzò addosso: due frammenti dell'anima di Voldemort furono violentemente separati e si agganciarono alle sole cose viventi rimaste nella casa che crollava. Parte di Lord Voldemort vive dentro ai gemelli, ed è questa che dà loro il potere di parlare con i serpenti e un legame con la mente di Voldemort che non hanno mai compreso. E finché quel frammento di anima, di cui Voldemort non sente la mancanza, resta aggrappato ai gemelli e da loro protetto, Lord Voldemort non può morire.-
A Éméline parve di osservare i due uomini dall'estremità di un lungo tunnel: erano lontanissimi e le loro voci echeggiavano in modo bizzarro nelle sue orecchie. Lo aveva sempre sospettato, ma aveva sperato così tanto di sbagliarsi.
-Quindi il ragazzo... entrambi devono morire?-chiese Piton, tranquillo.
-E deve ucciderli Voldemort in persona, Severus. Questo è fondamentale.-
Un altro lungo silenzio. Poi Piton riprese: -Credevo... in tutti questi anni... che li proteggessimo per lei. Per Lily. E Éméline... l'ho giurato ai suoi genitori, non lo permetterò.-
-Li abbiamo protetti perché era essenziale dar loro un'istruzione, crescerli, fargli mettere alla prova le proprie forze.- spiegò Silente, sempre a occhi chiusi. -Nel frattempo il legame tra i tre diventa sempre più forte, una crescita parassitica: a volte ho pensato che loro stessi lo sospettino. Se li conosco, avranno fatto di tutto perché, quando decideranno di andare incontro alla morte, questa sia davvero la fine di Voldemort. E, per quanto mi addolori dirlo, devi lasciare che lei muoia, Severus.-
Silente aprì gli occhi. Piton era sconvolto.
-Li hai tenuti in vita perché possano morire al momento giusto?-
-Non esserne stupito, Severus. Quanti uomini e donne hai visto morire?-
-Di recente, solo quelli che non sono riuscito a salvare- rispose Piton. Si alzò.
-Tu mi hai usato.-
-Sarebbe a dire?-
-Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te. Credevo che servisse a proteggere il figlio di Lily Potter. Era mio compito proteggere la bambina sin dalla più giovane età, ma ho protetto anche lui, per anni, quando vivevano con Petunia li ho tenuti d'occhio. Adesso mi dici che li hai allevati come delle bestie da macello...-
-Ma è commovente, Severus- osservò Silente, serio. -Ti sei affezionato al ragazzo, dopotutto?-
-A lui?- urlò Piton. -Expecto Patronum!-
Dalla punta della sua bacchetta affiorò la cerva d'argento: atterrò sul pavimento dell'ufficio, fece un balzo e si tuffò fuori dalla finestra. Silente la guardò volar via e quando il suo bagliore argenteo svanì si rivolse a Piton, con gli occhi pieni di lacrime.
-Dopo tutto questo tempo?-
-Sempre- rispose Piton.
E la scena cambiò.
Éméline era vicino a Silente e Piton sull'uscio di una casa. Suonarono al campanello.
-Arrivo!- disse una voce maschile da dentro.
Un uomo aprì la porta e immediatamente Éméline capì dove si trovavano: l'uomo che si era presentato era James Potter. Dovette ammettere che la somiglianza con Harry era incredibile.
-Papà...- sussurrò.
-Che cosa ci fa lui qui Silente?-
-Fammi entrare James, abbiamo pochissimo tempo.-
Con riluttanza si fece da parte e li condusse in salotto, dove una donna era seduta su un lungo divano e giocava con due bambini ridenti.
-Tesoro, abbiamo visite.-
Appena Lily si girò, il sorriso le si spense sulle labbra.
-Severus.-
-Ciao, Lily.-
-James, Lily, sono desolato di essere piombato qui con così poco preavviso, ma non c'è un solo minuto da perdere.- cominciò l'uomo, -Come sapete, poco tempo fa Sybilla ha fatto una profezia su colui che segnerà la fine di Voldemort. Severus è venuto di sua spontanea volontà da me, per avvisarvi. Lui pensa che sia Harry. Intende uccidervi. Tengo a precisare, che se non fosse per lui che, mettendo a rischio la sua vita, è venuto ad avvisarci, probabilmente voi sareste già tutti e quattro morti. Ho pensato a diversi luoghi, ma nessuno sarebbe sufficientemente protetto per voi e i bambini. Ritengo più opportuno un Incanto Fidelius sulla casa.-
Il ricordo cambiò sfumando le facce colme di terrore dei coniugi Potter.
Ora Éméline si trovava nel giardino con sua madre, Piton e lei e suo fratello di poco più di un anno.
-È stato un nobile gesto, Severus, te ne sono immensamente grata. Hai probabilmente salvato le loro vite.- disse Lily con un sorriso.
Dal tono di voce Éméline comprese che non era la prima volta che parlavano e che oramai si erano riappacificati.
-Ci ho pensato molto ultimamente, Severus... sono certa che tu sappia che appena sono rimasta incinta James ha chiesto a Sirius di essere il padrino di Harry... a me spettava la scelta del padrino o della madrina di mia figlia... ti prego, Severus, voglio che sia tu il padrino di Éméline.-
-I..io? Perché mai, Lily, dopo tutto quello che ti ho fatto, mi fai una richiesta del genere? L'ultima cosa che merito è un posto in questa famiglia.- disse Piton guardando prima i bambini e poi la donna.
-Hai detto a Silente i piani di Voldemort... hai salvato le nostre vita. E se mai dovesse andare male, so che non faresti mai del male a loro due. Ti prego Sev.- Piton abbozzò un sorrisetto nel sentire quel vecchio soprannome e rimase in silenzio per qualche minuto, pensieroso.
-Va bene. Sarò il suo padrino.- sussurrò.
Lily sorrise e gli diede in braccio la piccola Éméline.
La madre le sorrise mentre la bambina scoppiava a ridere.
La scena si dissolse di nuovo e questa volta Piton si trovava di fronte alla casa di Lily e James distrutta. Era terrorizzato. Con cautela entrò in casa: sorpassò il corpo morto di James e si avviò verso la camera dei gemelli.
-Lily?- chiamò con la voce che tremava.
Poi, appena entrato nella cameretta, le sue gambe cedettero: Lily era stesa sul pavimento, gli occhi spenti, e dietro di lei due bambini piangevano. Si sedette accanto al lettino e prese Lily nel suo abbraccio. Lacrime calde gli bagnavano il viso e un profondo dolore si stava aprendo nel petto dell'uomo. I gemelli tirarono su con i nasini. E, finalmente, Éméline capì quale era il ricordo che aveva visto nella mente di Piton durante la lezione di Occlumanzia. Piton l'aveva scacciata qualche secondo prima che lei scoprisse la verità.
La scena si dissolse e Éméline si ritrovò davanti al numero 4 di Privet Drive. Che cosa ci faceva lì?
Piton si era appena materializzato davanti alla casa dove i due fratelli stavano dormendo tranquillamente. Poi, di colpo, la piccola Éméline si tirò a sedere e arricciò il nasino, come faceva sempre prima di mettersi a piangere. Piton fece un salto avanti e la prese in braccio iniziando a cullarla. Riconoscendo l'abbraccio la piccola di strinse di più al petto del padrino e si tranquillizzò un poco, anche se continuava a agitare le manine e i piedini.
-Shh, tranquilla, andrà tutto bene te lo prometto. Non permetterò che accada qualche cosa di brutto anche a te dopo questa notte. A costo di rimetterci la mia vita.- le diede un bacio sulla fronte e la depositò vicino al fratello.
-Buonanotte.- sussurrò prima di scomparire nella notte.
Divenne tutto scuro.
Chissà da quanto tempo era dentro al Pensatoio, si disse. Poi all'improvviso si trovò vicino a Piton che, come tanti anni prima, stava nascosto dietro ad alcuni alberi mentre osservava due bambini giocare. Il maschio gli ricordava un po' lui da piccolo, con abiti troppo grossi e poco curato. La bambina invece, era uguale a sua madre. Indossava un vestitino rosso e aveva i lunghi capelli rossi legati in due lingue trecce malconce.
E poi Éméline era ad Hogwarts, subito dopo il suo smistamento, e si era appena girata a guardare Piton. Mai era stato così orgoglioso.
-Lily sarebbe orgogliosa di te, Éméline.- sussurrò quasi impercettibilmente.

***

E infine, si ritrovò in piedi nello studio di Piton. Tremante si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e, tentando di mettere ordine nella sua mente e di calmarsi, prese la lettera.

 

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Capitolo 7
*** Funerali ***


Prese in fretta la lettera di Piton e la aprì.

Cara Éméline,
immagino che tu sia sconvolta da quello che hai visto e che tu abbia decine di domande a cui non riesci a trovare risposta. Silente mi ha concesso di farti sapere tutto prima, Harry mi odierà con tutto se stesso ora, ma non potrei sopportare un tale odio da parte tua. Ora sai tutto, so che sapevi quello che sarebbe successo sta notte, l'ho capito nel momento in cui ti ho guardato negli occhi sulla Torre di Astronomia. Devi giurarmi che, qualunque cosa farai, sarai prudente. Ho già perso tua madre, non posso perdere anche te. Avrei dovuto crescerti, tua madre me lo aveva chiesto espressamente come ora tu ben sai, ma non ho potuto, Silente non voleva. Penso che tu ci sia rimasta male a sapere che io ero il tuo padrino. Dopo che avete avuto quel contatto con la sua mente l'anno scorso, ho cercato in tutti i modi di chiudere almeno la tua: con te era semplice, ti fidavi di me, non credevi fossi cattivo. Con tuo fratello era impossibile, e dopo che aveva visto il litigio con Lily e James, non potevo correre il rischio che scoprisse altro. Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. E mi rammarico sopratutto perché non hai mai saputo nulla di tutto ciò. Posso solo immaginare cosa significasse per te vedere Sirius ed Harry e pensare che non avresti mai avuto una figura genitoriale a tutti gli effetti. So che hai con Tonks e Remus un bellissimo rapporto, ma mi dispiace di non essere mai stato per te quello che tua madre mi aveva chiesto. Spero tu possa perdonarmi per tutto il dolore che ti ho fatto provare e per non essere mai stato alla tua altezza.
Spero ci rivedremo,
Ti voglio bene
Severus Piton.

Éméline rimase ferma lì, a fissare il pezzo di pergamena nella sua mano.
Deve averla scritta mentre scappavano, con un incantesimo; pensò lei. Si prese la testa tra le mani. Ora finalmente tutto le era chiaro: ecco perché Piton era sempre così arrabbiato con Harry, ecco perché non poteva odiare lei. Era il suo padrino, al mondo c'era davvero qualcuno a cui era sempre importato di lei. Éméline sorrise, e per la prima volta in vita sua sentì di aver sempre avuto qualcuno al suo fianco che non fosse Harry, anche se non lo sapeva. Lui li aveva sempre tenuto d'occhio, sin da bambini.
Fece apparire un bicchiere e mormorò
-Aguamenti.- poi bevve tutto. Ne aveva bisogno e, subito dopo averlo bevuto, si sentì più lucida.
Mise a posto il Pensatoio e prese i ricordi: doveva farli sparire e evitare che qualcuno li trovasse anche solo per caso. Si avvicinò alla porta e, prima di uscire, guardò per un ultima volta l'intero dell'ufficio. Poi, con un sorriso appena accennato e con la sensazione che sarebbe andato tutto bene, chiuse la porta e se ne andò.

***

Erano passati tre giorni dalla morte di Silente e quel pomeriggio si sarebbe svolto il funerale. Éméline era seduta in cima alla Torre di Astronomia e si godeva l'aria che le scompigliava i capelli. Il paesaggio intorno a lei era silenzioso, come quella notte. Guardò il lago e gli studenti che si erano radunati per godersi una mattinata di sole prima del funerale. Chissà se sarebbe mai riuscita a ritornare la ragazza spensierata che era sempre stata, chissà se sarebbero riusciti a vincere senza la guida di Silente.
Sospirò. Silente credeva nelle loro capacità, ci aveva creduto fino all'ultimo e per tutto l'anno scolastico aveva saputo che il tempo che aveva per impartire loro le ultime indicazioni e gli ultimi, importanti insegnamenti stava volgendo al termine.
Rimase ad osservare i territori di Hogwarts consapevole che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che li vedeva, poi sentì dei passi e si voltò. Quando vide chi era sorrise e ricominciò a guardare il panorama.
-Che ci fai qui?- le domandò Fred.
-Mi piace questo posto, ho ricordi molto particolari su questa torre... e non mi riferisco all'altra notte. E tu?- disse lei con tono calmo senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte.
-A dire il vero ti cercavo. Non sapevamo dove fossi..- rispose lui sedendosi accanto a lei.
-Già.. immagino che avrei dovuto dirlo a qualcuno. Ma ti ha mandato Hermione qui vero?-
Fred sorrise.
-Come lo sai?-
-È la mia migliore amica. E mi conosce abbastanza bene da sapere che mi piace stare qui.- disse con una risatina.
Restarono in silenzio per diversi minuti.
-Come stai?- le chiese Fred.
-Abbastanza bene in realtà... penso che Harry abbia avuto la peggio... è molto impulsivo, si lascia guidare principalmente dalle emozioni e spesso questo lo porta a combinare dei casini. Io, al contrario, cerco sempre una ragione razionale, voglio una spiegazione logica... e forse è per questo che non ho reagito come mio fratello. Non penso di potermelo permettere a dire il vero.-
Fred non disse nulla per un po'.
-Ognuno di noi reagisce alla perdita e al lutto in modo diverso. Silente significava molto per voi due, specialmente per Harry, ma ciò non vuol dire che tu non possa piangerlo a dovere. Puoi permetterti di stare male per qualcuno, sai?- disse avvicinandosi un po' di più e passandole cautamente un braccio intorno alle spalle.
-Lo so, però...- disse con gli occhi fissi sul lago.
-Però?-
-Silente è morto, Fred, ormai siamo definitivamente in guerra contro Voldemort.- disse voltandosi a guardarlo, -E alla fine, quando si dovrà combattere faccia a faccia, moriranno delle persone. Persone che conosciamo, a cui vogliamo bene, forse perfino qualcuno che..- ma si interruppe abbassando lo sguardo, insicura di quello che avrebbe potuto dire. -Quello che voglio dire è che non posso permettere che una morte mi distrugga così tanto perché da qui alla fine della guerra ne vedremo tantissime. E per quanto ne sappiamo, i prossimi a morire potrebbero essere i nostri migliori amici. Ormai chiunque sia vicino a noi è in pericolo, e non possiamo permetterci che voi veniate uccisi perché lui ci vuole morti.- disse con un filo di voce. Fred, una mano appoggiata sul suo braccio, la guardò senza capire.
-Cosa stai cercando di dirmi?- domandò con un filo di voce.
-Sto cercando di dire che sarebbe meglio per tutti che voi vi allontanaste da noi. Tu, la tua famiglia, Ginny, Hermione, l'Ordine... tutti quanti, Fred. Perché se dovessi morire, non riuscirei ad andare avanti.-
Fred scosse energicamente la testa.
-No, assolutamente no. Non potete vincere questa guerra da soli, è una follia. E sai bene che nessuno vi abbandonerà per una cosa del genere.-
Éméline girò la testa verso la torre e fece per replicare. Le mani di Fred le presero delicatamente il volto costringendola a guardarlo.
-No, Émé. Abbiamo sempre saputo che alla fine ci sarebbe stata una guerra vera e propria, sappiamo benissimo a che cosa andiamo incontro. Sappiamo che potremmo morire, che potremmo perdere le persone a noi più care... ma va bene così, a tutti noi va bene così, o ce ne saremmo già andati.- disse dolcemente guardando gli occhi lucidi di lei.
-Ho paura. Se voi, se tu, doveste morire, non saprei che cosa fare. Non abbiamo una famiglia, non più per lo meno. E se davvero vogliono chiudere la scuola, non avremo più neanche una casa.-
-So che hai paura. Ma avrete sempre una famiglia e una casa, confido che tu lo sappia.- le sussurrò lui abbracciandola. Sarebbero usciti vivi da quella guerra? E chi, tra tutti coloro che amavano e conoscevano, non ce l'avrebbe fatta?
-E come ti senti per Piton? Voglio dire... ti fidavi così tanto di lui, ti piaceva come insegnante.- chiese dopo un po' Fred mentre le accarezzava i capelli.
-Non so perché lui lo abbia fatto ma Silente si fidava di lui, pertanto mi fido anche io. E sì, so che sembra una pazzia visto che Piton lo ha ucciso ma credimi, non penso sia una persona cattiva. Non riesco ad odiarlo, Fred... non so perché. È più forte di me.- disse sciogliendo l'abbraccio e guardando gli occhi marroni del ragazzo.
-Che cosa succederà adesso?-
-Adesso dovremo portare a termine il compito che Silente ci ha affidato... non posso dirti cos'è Fred, non guardarmi con gli occhi dolci, non funzionerà.- disse lei con un triste sorriso sulle labbra.
-Mi basta, purché tu mi prometta di fare attenzione.-
Éméline sorrise davvero.
-Te lo prometto.-
Fred sorrise e si voltò a guardare oltre la ringhiera.
Il profumo di menta avvolgeva completamente Éméline che, in un moto di sconsideratezza, appoggiò la testa alla spalla del ragazzo. Avrebbe voluto baciarlo in quel momento. Ma sapeva di non poterlo fare. Lui avrebbe potuto utilizzare Fred per arrivare a lei e non poteva permetterlo... ma ne aveva bisogno, ed erano così vicini...
-Eccovi! Potevate lasciare un messaggio, vi abbiamo cercato ovunque!- disse la voce di Ron dietro di loro, mandando in frantumi ogni speranza dei due giovani.
-Trovati. Forza, scendiamo.-
E, con un po' di amarezza in bocca, si avviarono verso la Sala Grande.

***

In Sala Grande trovarono un'atmosfera
sommessa. Tutti indossavano vesti da cerimonia e nessuno sembrava avere molta fame. La professoressa Mcgonagall aveva lasciato vuota la poltrona simile a un trono al centro della tavola degli insegnanti. Anche la sedia di Hagrid era vuota: Éméline si disse che forse non era riuscito ad affrontare la
colazione; il posto di Piton, invece, era stato semplicemente occupato da Rufus Scrimgeour. I gemelli evitarono i suoi occhi giallastri che percorrevano la Sala; ebbero la spiacevole sensazione che stesse cercando proprio loro. Nel seguito di Scrimgeour notò i capelli rossi e gli occhiali cerchiati di corno di Percy Weasley. Ron non diede segno di averlo visto, ma trafisse la sua aringa affumicata con insolita ferocia. Alla tavola di Serpeverde, Tiger e Goyle borbottavano tra loro. Corpulenti com'erano, sembravano stranamente soli senza l'alta figura pallida di Malfoy che li strapazzava. Si chiese dove fosse in quel momento, e che cosa Voldemort lo stesse costringendo a fare sotto la minaccia di ucciderlo insieme ai genitori.
La professoressa Mcgonagall si era alzata e il mormorio funereo nella Sala cessò all'istante.
-È quasi ora- annunciò. -Per favore, seguite i direttori delle vostre Case nel parco. Grifondoro, dietro di me.-
Si misero in fila dietro le panche in un silenzio quasi perfetto. Scorsero Lumacorno in testa alla colonna di Serpeverde, con una magnifica
veste verde smeraldo ricamata d'argento. Non avevano mai visto la professoressa Sprout, direttrice dei Tassorosso, cosi pulita; sul suo cappello non c'era una sola toppa, e quando raggiunsero la Sala d'Ingresso trovarono Madama Pomfrey in piedi accanto a Gazza, lei avvolta in un pesante velo nero
che le arrivava alle ginocchia, lui in un antico completo con la cravatta,
sempre neri, e olezzanti di naftalina.
Come si scoprì uscendo sui gradini di pietra, erano diretti verso il lago. Il calore del sole accarezzò il loro viso, mentre seguivano in silenzio la professoressa Mggonagall fino al luogo in cui centinaia di sedie erano state
disposte in file ordinate. Al centro si apriva un corridoio: in fondo c'era una tavola di marmo, e tutte le sedie erano rivolte da quella parte. Era un magnifico giorno d'estate. Uno straordinario assortimento di persone aveva già preso posto: sciatti ed eleganti, vecchi e giovani. Non ne riconobbero la gran parte, ma alcuni sì, compresi i membri dell'Ordine della Fenice: Kingsley Shacklebolt, Malocchio Moody, Tonks dai capelli tornati miracolosamente di un accesissimo rosa, Remus Lupin, mano nella mano con lei, i signori Weasley, Bill sorretto da Fleur e seguito da Fred e George, che indossavano giacche di pelle di drago nera. Poi c'erano Madame Maxime, che occupava da sola due sedie e mezzo, Tom, il padrone del Paiolo Magico, Arabella Figg, la vicina Maganò di Harry ed Éméline, la villosa bassista del gruppo magico le Sorelle Stravagarie, Ernie Urto, autista del Nottetempo, Madama McClan del negozio di vestiti di Diagon Alley, e alcune persone che i gemelli conoscevano solo di vista, come il barista della Testa di Porco e la strega che spingeva il carrello dell'Espresso per Hogwarts. C'erano anche i fantasmi del castello, appena visibili alla splendente luce del sole, riconoscibili solo quando si muovevano, tremando evanescenti nell'aria luminosa.
Ron, Hermione, Éméline, Harry e Ginny si sedettero in una delle file che si trovavano più o meno a metà, dalla parte del lago.
Era una giornata molto bella. Sotto la superficie del lago arrivarono Sirene e ogni genere di creatura che abitava quelle acque. Solo due anni prima Harry ed Éméline avevano passato un'ora tra di loro. Silente aveva parlato con loro e per la prima volta i gemelli si chiesero dove avesse imparato quella lingua. E poi si resero conto che c'erano un sacco di cose che non sapevano di Silente, che non avrebbero mai sapute. Harry avrebbe voluto dirgli un sacco di cose. Mentre erano persi ognuno nei propri pensieri, videro Hagrid che avanzava, tra le braccia, il corpo di Silente corpetto da un telo viola. L'ometto vestito di nero seduto vicino al tavolo iniziò a parlare ma loro non lo sentirono. Captarono alcune parole "grande mago", "miglior preside di Hogwarts", ma non ci dettero peso. Éméline piangeva, così come Ron, Ginny e Hermione. Harry non voleva piangere ma poi, la verità lo colpì in modo così evidente tanto da fargli male, come se gli avessero tirato uno schiaffo dritto sulla faccia: Silente era andato, era morto, e non sarebbe tornato. Erano da soli e dovevano trovare tre Horcrux. Guardò leggermente sua sorella e quando i loro occhi smeraldo si incontrarono, capirono di avere gli stessi pensieri: quante persone? Quante persone avevano dato la loro vita per salvare quella dei due giovani Potter? Loro padre, loro madre, Sirius e ora Silente. Non rimaneva nessuno. Non avrebbero mai permesso che qualcuno si mettesse in mezzo di nuovo. Il dolore sarebbe stato troppo.
Mai come in quel momento Éméline si sentì da sola, abbandonata. Non aveva dei genitori da cui andare e Piton, a cui voleva così disperatamente parlare, non ci sarebbe più stato. Avrebbe continuato a proteggerli, ovviamente, ma non si sarebbero più neanche guardati, sarebbe stato troppo rischioso, ammesso che si sarebbero rincontrati.
Quando il funerale finì i gemelli si alzarono per andare a fare un giro intorno al lago.
-L'ho lasciata...- sussurrò Harry
-Hai fatto la cosa giusta per proteggerla Harry. Ci starà male, ma alla fine capirà. Ti ama e, quando la guerra sarà finita, sarà lì ad aspettarti.- disse lei con dolcezza. Harry le mise un braccio intorno alle spalle e lei gli cinse la vita.
-Però, siamo ancora insieme. E questo è l'importante.- disse al fratello.
-Hai ragione. E per quanto riguarda te, non ti lascerò mai.- si guardarono e si sorrisero.

 

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Capitolo 8
*** 4 Privet Drive ***


Due ore dopo il funerale, gli studenti erano stati fatti salire sull'Hogwarts Express ed erano stati mandati a casa. Con l'aiuto di alcuni membri dell'Ordine sia Harry che Éméline erano riusciti a tornare a casa dopo che, nonostante l'invio di una lettera per avvisarli che sarebbero tornati con qualche settimana d'anticipo, gli zii non si erano fatti vedere al binario.
Una volta tornati, per l'ultima volta, al numero 4 di Privet Drive, avevano chiesto ai Dursley di non uscire di casa per nessuna ragione, e nonostante le numerose lamentele, alla fine erano riusciti a convincerli.
E così, la loro routine quotidiana Babbana era ricominciata, sebbene non avessero molti compiti di fare. Ogni giorno cucinavano per i Dursley e aspettavano che lo zio Vernon tornasse dal lavoro per servire il pranzo, poi sparecchiavano e, stranamente, la zia lavava i piatti al posto di Éméline.
Era un sabato pomeriggio, e la zia, lo zio e Dudley si trovavano in salotto.
-Voi due! Scendete!!- urlò Vernon dal piano di sotto. I due giovani maghi si guardarono. Scesero le scale e si misero in centro alla sala.
-Ci ho pensato, e non ci andremo.- disse Vernon.
-Cosa?- rispose Éméline guardandolo, come se non capisse. A volte si chiedeva come quell'uomo potesse essere così stupido.
Éméline era sempre così calma e razionale e sapeva usare così bene la sua diplomazia che oramai Harry parlava solo più quando ci si riferiva direttamente a lui.
-Non ci andremo, via con i vostri. Ci ho pensato tutta la notte, e credo che voi non vogliate altro che prendervi la nostra casa.-
-Mi prendi in giro? Prenderci la vostra casa? E perché mai dovremmo? Per i bei ricordi felici che abbiamo grazie a voi? E poi, nel caso in cui ve ne foste dimenticati, Sirius ha lasciato ad Harry la sua, di casa. Possiamo tranquillamente vivere lì.-
-Voi sostenete che questo tale, Lord qualcosa...-
-...Voldemort, Lord Voldemort. E per la cronaca, come ti ho già ripetuto diverse volte, non è una teoria ma un dato di fatto.-
-Va bene, supponiamo che sia vero. Credevo esistesse un Ministero della Magia.-
-Infatti esiste.- disse lei sorpresa.
-E perché non ci possono proteggere loro? Dopotutto, siamo degli innocenti che hanno avuto la sfortuna di ritrovarsi in casa due ricercati.-
-Primo, noi non siamo dei ricercati. Secondo, l'Ordine crede che nel Ministero ci siano delle spie.-
-Allora voglio quel tizio, come si chiama? Quello che è venuto a dirci tutte quelle robacce.-
-Lui non può, è occupato a proteggere il vostro Primo Ministro.-
-Beh, io non ho nessuna intenzione di lasciare questa casa!-
Harry non ce la fece più ad ascoltare quell'insulso discorso di suo zio.
-Sei davvero così stupido come sembri?! Ma non capisci?! Se pensa che sappiate dove siamo o che noi teniamo a voi vi torturerà e arriverà ad uccidervi! Vi ucciderà proprio come ha ucciso i nostri genitori!-
Ci fu un breve silenzio e poi, inaspettatamente, Dudley prese la parola.
-Papà... papà io ci vado, con questi dell'Ordine.- disse e i gemelli seppero che il gioco era fatto. I Dursley non avrebbero mai permesso che il figlio andasse via da solo e sarebbero andati con lui.
-Bene, arriveranno tra poco.- e detto ciò salirono di sopra e si chiusero in camera loro.
La loro stanza non era molto grande: in effetti, era piuttosto piccola. Sulla destra c'era un armadio dove Harry e Éméline tenevano i loro pochi vestiti. Di fronte alla porta vi era una finestra e sotto ad essa una scrivania. A destra della scrivania, di fronte all'armadio, si trovava un letto a una piazza e mezza e ai suoi piedi i due bauli. Edvige era nella sua gabbia sulla scrivania insieme ai vecchi libri di testo.
Qualche giorno prima si erano messi a risistemare i loro bauli per la prima volta da quando li avevano riempiti all'età di 11 anni. Era stato un lavoraccio che aveva tenuto i due ragazzi occupati per tre ore. Si sedettero sul letto e guardarono la parete di fronte, dove era appeso lo stendardo di Grifondoro.
-Mi mancherà, sai?- disse Harry.
-Hogwarts? Già... sono passati troppo in fretta questi anni...-
-Sì... e ora, non ci torneremo più. Cambierà tutto. E in più, Dudley si sta dimostrando meno stupido del previsto.- disse facendo ridere la sorella.
-Non me lo sarei aspettata da lui.- concordò Éméline.
-La tua influenza avrà aiutato.-
Scoppiarono a ridere entrambi. Éméline posò la testa nell'incavo del collo del fratello.
-Ci ho pensato, Harry... credo che un Horcrux sia a Hogwarts.-
-Immagino di sì. Dopotutto, Hogwarts per lui valeva molto, proprio come per noi.-
-Sì... quello che voglio dire però è che... beh.. credo di doverci tornare.-
Harry si girò a guardarla e lei si spostò per vederlo meglio. I quattro occhi verdi si guardavano, due scioccati, due comprensivi.
-Tornare? Sei pazza?-
-No Harry... vedi.. ho un piano. E so che nessuno mi scoprirà.-
-Piano? Spiega.-
-Allora. L'anno scorso, con Hermione, ho scoperto una cosa folle. Davvero folle. Comunque, ho intenzione di dire il mio piano a una sola persona e andare a Hogwarts come ragazza del primo anno. Mi farò smistare e tutto il resto e, sapendo già tutto, avrò una valanga di tempo per cercare l'Horcrux.-
-Non ha senso, nessuno ti scambierebbe per una del primo anno!-
-Lo so Harry... cercherò di essere breve e chiara: Hermione ha scoperto che un Potter vissuto un fracco di anni fa si era sposato con una Metamorfomagus. Abbiamo pensato che sia papà, che noi, che i nostri ipotetici figli avrebbero potuto ereditare questa capacità. E poi, Hermione ha detto una cosa intelligente: noi viviamo con i babbani da tutta la vita, se avessimo ereditato queste capacità, Silente avrebbe fatto di tutto per nasconderle. Un blocco magico, qualcosa del genere. Beh, ci abbiamo lavorato, anche con l'aiuto di Tonks. E io ci sono riuscita. Guarda.-
I suoi capelli divennero neri come quelli di Harry. Lui non disse nulla, rimase solo lì a guardarla sconcertato. Poi sorrise e prese una ciocca di capelli neri tra le dita.
-Assomigli molto di più a me così, sembri davvero mia sorella.-
-L'ho pensato anche io la prima volta. E poi ho scritto a Tonks e lei mi ha aiutata... sai, non sono molto pratica.-
Sentirono qualcuno che bussava alla porta principale. D'istinto presero le bacchette e aprirono cautamente la porta della loro camera. Éméline ritornò rossa di capelli e seguì il fratello.
-Sono gli Auror.-
-Scendere voi due!- urlò la voce di zio Vernon dal piano di sotto e i gemelli scesero mettendo via le bacchette.
Vernon stava parlando con un uomo di circa 40/45 anni, alto, con i capelli castani e gli occhi marroni. Accanto a lui c'era una donna di circa 37 anni con i capelli neri e gli occhi azzurri.
-Bene, guideremo fino alla fine dell'isolato e poi ci smaterializziamo. Tutto chiaro? Oh, salve ragazzi.- disse la donna.
-Salve signora Raid, signor Skyuch.-
-Buon pomeriggio.- rispose l'uomo.
-Quindi, è chiaro il piano? Per quanto riguarda voi due c'è stato un cambio di programma. Vi spiegheranno meglio dopo.-
Dudley e Vernon aiutarono i due Auror a portare fuori i bagagli, lascando i ragazzi da soli. Si guardarono intorno: era strano, tutto quel silenzio. Niente zio che urlava, niente cugino che piangeva e niente zia che puliva.
Si diressero verso il salotto, e trovarono zia Petunia in piedi al centro. Era vestita con un abito a fiori, una giacchetta nera e delle scarpette nere. Nelle mani aveva una borsa, nera anch'essa.
Guardò i nipoti con uno sguardo strano.
-Ho vissuto qui per 25 anni... e ora mi chiedono di lasciare questa casa in cinque minuti.-
-È per la vostra sicurezza.- disse Éméline.
-Se dovessero arrivare, non oso immaginare che cosa faranno. Penseranno che, essendo nostri parenti, sappiate dove siamo. Vi uccideranno pur di scoprirlo.- aggiunse Harry.
Petunia Dursley si avvicinò a loro e sorrise tristemente.
-Pensate che non sappia di che cosa sono capaci? Sapere... non avete perso solo una madre, quella notte a Godric's Hollow. Io ho perso una sorella.- aveva le lacrime agli occhi.
Harry e Éméline non sapevano cosa dire. Non avevano mai pensato alla zia in quei termini, come una persona stretta nel lutto e nella perdita della sorella. Mai, in tutti gli anni in cui avevano condiviso un tetto, la donna aveva dato loro motivo di pensare una cosa del genere.
Con un sorriso triste e gli occhi velati di lacrime, Petunia aprì la borsa e ne tirò fuori un ciondolo, che spesso i due le avevano visto indossare, e una vecchia foto un po' rovinata su un lato.
Posò la borsa e aprì il ciondolo per mostrarlo ai due gemelli. All'interno vi era una foto: due bambine di circa 9 e 11 anni sorridevano all'obiettivo. La grande, con i lunghi capelli neri e il vestitino azzurro, teneva una mano sulle spalle della più piccola, con i capelli rossi legati un paio di trecce cucite e un vestito bianco con dei fiori, che le cingeva la vita con entrambe le braccia. Lo mise nelle mani di Éméline.
-Questa me la mandò il 31 luglio 1981.- disse mostrando la foto che aveva preso. Lily Potter stava sorridendo alla persona che teneva la fotocamera. Era seduta su un divano blu scuro insieme al marito e in braccio avevano due piccoli bambini. Il maschio stava giocando con i capelli della madre e la femmina era seduta tra i due genitori e rideva.
I due ragazzi erano rimasti senza parole.
-Tieni il ciondolo, Éméline. E anche la foto. Tenetevi tutto.-
Harry presa la foto ma Éméline la guardò.
-No. Il ciondolo è tuo. È giusto che lo tenga tu. È tutto ciò che ti rimane di lei.- le disse.
-Oh, Éméline, ti sbagli. Ne avete molto più bisogno voi di me. Io ho molte altre cose di vostra madre: ho tutta la nostra infanzia. Ne farete sicuramente un uso migliore di quello che potrei mai farne io. Voi non avete dei loro ricordi. Tenete queste cose, vi prego.- disse dolcemente spostando i capelli dietro alle spalle della nipote. Éméline chiuse la mano intorno a ciondolo.
-Grazie.- disse.
-Assomigliate a vostra madre più di quando avrei mai potuto immaginare. Mi mancherete.-
e detto questo uscì, lasciando la casa vuota.
E solo quando non si sentì più nulla, né la macchina né i vicini, Harry ed Éméline riuscirono a spostarsi dal salotto e a metabolizzare quello che era appena successo.

 

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Capitolo 9
*** Salvataggi ***


-Cavolo, ti ricordi? Qui Dudley ha vomitato dopo aver incontrato i Dissennatori!- disse Éméline indicando un punto sul tappeto del salotto. Risero entrambi al ricordo. Erano quasi stati espulsi e la casa era diventata uno zoo tanti erano stati i gufi che erano arrivati. La zia aveva quasi avuto una crisi isterica mentre lo zio sbraitava e inveiva contro qualsiasi cosa gli passasse per la testa.
Dopo che i Dursley avevano lasciato la casa, i gemelli avevano deciso di fare un ultimo giro per le varie stanze ripercorrendo le tappe più divertenti della loro vita lì.
Si avvicinarono al ripostiglio del sottoscala.
-Émé, guarda qui! Non mi ricordavo fosse così piccolo... non sapevamo neanche di essere dei maghi, non sapevamo di Voldemort né di mamma e papà... wow.-
Dentro, su una mensola, c'erano ancora alcuni loro vecchi giocattoli. Era straordinario come il tempo era passato velocemente. Sembrava ieri che, per il compleanno di Dudley, erano andati allo zoo. Avevano anche aizzato un Boa Costrictor contro il cugino. Erano stati attimi meravigliosi.
Improvvisamente, la porta si aprì. I gemelli corsero all'ingresso con le bacchette in mano.
-Ma voi siete pazzi? Ci avete fatto prendere un colpo!- disse Harry mentre metteva via la bacchetta a andava ad abbracciare il suo migliore amico. Con un sospiro di sollievo Éméline strinse forte Hermione e poi, camminando verso il salotto, fecero entrare tutti. Come mai erano così tanti?
Hagrid occupava metà della stanza da solo. Poi c'erano Bill e Fleur, Fred e George, Remus e Tonks, Ron e Hermione, Mundungus Fletcher, Malocchio Moody, Kingsley e Arthur.
-Perché siete così tanti?- chiese titubante Harry.
Malocchio prese la parola.
-C'è stato un cambio di programma Potter, siamo sorvegliati. Dobbiamo andare via di qui senza che nessuno lo sappia, pertanto useremo scope e Thestral.-
-E loro?- domandò Éméline indicando con la testa tutti gli altri e avvertendo le farfalle nello stomaco quando i suoi occhi incrociarono quelli di Fred.
Malocchio tirò fuori due fiaschette e le aprì.
-Credo che voi già conosciate questo particolare intruglio, vero?- disse con un sorrisetto maligno sul volto.
-No, assolutamente no.- disse Éméline prima ancora che Harry potesse capire che pozione fosse e, di conseguenza, come avevano intenzione di usarla. -Non vi trasformerete in noi. Un conto è decidere di venire a prenderci, un'altro è trasformarsi in noi due.-
-L'ho detto che l'avrebbero presa bene?- disse Hermione sarcastica da un punto imprecisato alla sinistra di Éméline.
-Qui siamo tutti maggiorenni tranne voi due, e pronti a rischiare. Quindi: i vostri capelli. Ora.-
-No, ragazzi. Diventare noi, sarete ancora più in pericolo di quando già non lo siate abitualmente!- disse Harry senza muoversi.
-Sì beh, non stiamo proprio morendo dalla voglia di trasformarci in voi due. Metti che poi qualcosa va storto e rimaniamo un tappo pelle e ossa, oppure una secchiona per il resto dei nostro giorni!- commentò George guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Éméline. Nessuno disse nulla, in attesa.
Harry rimase fermo sulle sue posizioni, non avrebbe mai acconsentito. Ma Éméline, all'improvviso, prese un po' dei suoi capelli e ne strappò alcuni al fratello.
-Ma sei matta?-
-È la seconda volta oggi che mi dai della matta e no, non lo sono. Sono tutti maggiorenni e possono usare la magia. Non ci vorrebbe nulla a prenderci un capello Harry.-
Poi mise i suoi capelli nella fiaschetta a sinistra e quelli di Harry in quella a destra.
-Bene, dividetevi. Per chi non ha mai bevuto questa roba, vi avviso. Sa di piscio di folletto.-
Tonks, Fleur, Hermione e Fred si misero dal lato di Éméline e a turno bevvero la pozione; mentre Ron, Mundungus, George e Bill bevvero quella di Harry.
Dopo qualche secondo, nella stanza c'erano cinque Éméline e cinque Harry.
-Ottimo. Dovete cambiarvi. Éméline e voi altre andate di là, Harry e voi quattro rimanete qui. I due veri gemelli viaggeranno con Hagrid, Tonks e Mundungus con me, Hermione e Ron con Kingsley, Fred e George con Remus e Fleur e Bill con Arthur. Tutto chiaro? Bene. Partiremo appena farà buio.-
Si cambiarono. Le ragazze avevano una camicetta dorata e dei pantaloni neri. Le scarpe erano bianche e sopra avevano una felpa nera. I ragazzi erano vestiti con dei pantaloni blu, una maglia azzurra e una felpa blu.
-Benissimo. Ognuno di noi andrà in una casa di uno dei membri dell'Ordine, prenderanno la passaporta e ci incontreremo tutti alla Tana. Chiaro? Bene, allora usciamo.-
Harry liberò Edvige. Si misero tutti in posizione. I gemelli era seduti sulla moto di Sirius. Éméline era in mezzo ad Hagrid e al fratello. Lui le prese la mano. Non avevano mai avuto tanta paura: c'erano circa ventimila cose che sarebbero potute andare storte. Si girarono a guardare gli altri: le loro facce esprimevano tutte paura.
-Partite!-
La moto tremò e Hagrid accelerò. Poi, come un aereo, decollarono e puntarono dritti verso il cielo scuro della notte, dovevano passare oltre le nuvole.
La notte era silenziosa e per un breve, intenso instante pensarono che sarebbe andato tutto bene. Ma poi, subito oltre la coltre di nubi, sembrò di essere piombati nel carnevale di Rio de Janeiro. Fatture volavano da tutte le parti e il cielo era pieno di colori che esplodevano come fuochi d'artificio.
Éméline abbassò il capo appena in tempo per evitare una fattura.
-Hagrid, dobbiamo aiutare gli altri!- urlò Harry
-Non posso, devo portarvi al sicuro, ordini di Malocchio!- urlò l'uomo in risposta.
-Pensiamo a difenderci quando...  giù!- una fattura passò a qualche centimetro da Harry.
Éméline si girò verso un Mangiamorte.
-Sectumsempra!-
Lo prese in pieno e lo fece cadere dalla scopa.
Lanciarono ogni tipo di incantesimo.
-Expelliarmus!-
-Stupeficium!-
-Bombarda!-
-Incendio!-
-Impedimenta!-
Poi, mentre Éméline era girata, vide il suo padrino. Piton era occupato a scagliare maledizioni contro chiunque, ma lei notò alcune fatture indirizzate contro i Mangiamorte. Sorrise. Alla fine, aveva continuato bene il suo doppio gioco. Piton si girò e incrociò il suo sguardo. Si guardarono per un po', poi lei gli sorrise. Severus Piton le accennò un breve sorriso e poi, con la scopa, si mise davanti ad Éméline e per poco non venne disarcionato.
-Imbecille! Non devi prendere me!- urlò all'altro Mangiamorte. Poi si girò verso di lei e disse una cosa che lei avvertì appena.
-Sopravvivi.-
Quando Harry si girò per combattere con la sorella, il mago era già andato via.
Sentirono che veniva lanciata una fattura stendente e poi Hagrid si accasciò sulla moto e loro iniziarono a perdere quota.
-Hagrid! HAGRID!-
-Guida Éméline, guida!-
-Ma io non so guidare!-
-Non me ne frega niente, qui ci ammazzano!-
-Non sarebbe una novità.- disse lei tentando di riprendere quota.
Stranamente, ci riuscì. Uscirono dalla battaglia e si diressero a Sud seguiti da due Mangiamorte.
Lanciavano sui due ragazzi maledizioni di ogni sorta, e diverse volte videro partire dei lampi verdi. Poi, dal nulla apparve Edvige. Arrivò a tutta velocità e attaccò il primo uomo.
Tornò indietro ma l'altro fu più veloce. Un lampo di luce verde investì in pieno Edvige, e lei precipitò.
-No, no! Edvige!- urlarono Éméline ed Harry. I Mangiamorte si fermarono: eccoli, erano loro quelli veri. Perché disperarsi tanto per la civetta altrimenti?
E così, era andata anche lei. Edvige, la bella civetta che avevano ricevuto come regalo da Hagrid il giorno del loro undicesimo compleanno, era appena morta per salvare la vita dei suoi giovani padroni. La loro unica compagna estiva, l'unica che non si era mai arrabbiata con nessuno di loro due. E poi lo sentirono. Un dolore fortissimo che fece loro pensare che le loro fronti stessero per esplodere. Si accasciarono sulla moto e poi, dal lato di Harry, videro due occhi rossi e un viso bianco come il latte. Voldemort.
Éméline era praticamente svenuta e il fratello non era messo molto meglio. Ma poi la bacchetta di Harry fece qualcosa di strano: da sola, si girò verso Voldemort e un lampo dorato scaturì dalla sua punta. L'oro si scontrò con il verde e il contatto andò avanti qualche minuto. Poi, così come era iniziato, cessò.
Hagrid si riprese con uno scossone non appena oltrepassarono la barriera che proteggeva la casa dei signori Tonks.
Caddero nell'erba e i gemelli ebbero solo il tempo di sentire la voce di una donna che urlava che erano precipitati nel giardino prima di svenire.

***

Quando si risvegliarono, erano sdraiati su quello che parve loro essere un divano. Sopra di loro la faccia di un uomo paffuto sorrideva.
-Andromeda, si sono svegliati.-
Una donna con un grembiule e che assomigliava moltissimo alla loro Tonks si avvicinò in tutta fretta.
-Finalmente, erano dieci minuti che cercavamo di farvi rinvenire. Come vi sentite?-
-Ho male alla testa.- disse Éméline.
-E ci credo, con la botta che avete dato.-
-Che è successo? Hagrid dov'è?- chiese Harry.
-Oh, lui sta bene. Ora è di là. Ted, va a chiamarlo. Siete precipitati nel giardino e avete perso i sensi. Hagrid ci ha raccontato cosa è successo. Alzatevi e bevete questo, vi sentirete meglio. Poi andiamo di là, la Passaporta partirà tra qualche minuto per portarvi alla Tana.-
I due gemelli bevvero uno strano liquido violaceo e immediatamente si sentirono bene, come se si fossero appena svegliati da un bel sonno privo di sogni. Hagrid raggiunse entrambi e Ted arrivò di corsa con una spazzola per i capelli rosa in mano.
-Presto, parte tra 15 secondi!-
Harry, Hagrid e Éméline la toccarono e pochi secondi dopo avvertirono uno strattone al livello dell'ombelico. Non videro più nulla per alcuni secondi e poi si ritrovarono nel giardino della famiglia Weasley.

 

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Capitolo 10
*** La Tana ***


La prima cosa che notarono era il forte odore di terra ed erba bagnata. Ci misero qualche secondo a realizzare di essere sdraiati per terra con la faccia spiaccicata nel giardino dei Weasley.
-Mamma! È arrivato qualcuno!!- gridò Ginny da dentro la casa, sicuramente per attirare l'attenzione della madre.
E infatti, un attimo dopo Molly Weasley corse fuori seguita dalla figlia.
Il suo volto era invecchiato dalla preoccupazione.
-Hagrid! Dove sono gli altri?-
-Cosa? Siamo i primi?- chiese Harry mentre aiutava la sorella a rimettersi in piedi.
Ginny si avvicinò a loro due.
-Fred, George e Remus dovrebbero già essere qui. Anche papà, Bill e Fleur. Voi dovevate essere i terzi, ma le loro Passaporte sono arrivate da sole.-
Hagrid si era alzato e si era rivolto alla signora Weasley.
-Ci stavano addosso sin dall'inizio Molly! Qualcuno gli deve aver detto che trasferivamo Harry e Éméline sta notte.-
-O Dio... beh, almeno voi state bene. Venite dentro, coraggio...- disse preoccupata facendo segno ai due gemelli di entrare. La signora Weasley si avvicinò al lavabo e riprese a lavare le verdure per la cena nonostante il tremore alle mani. Quattro dei suoi figli e suo marito non si sapeva che fine avessero fatto e, come se non bastasse, tutti i componenti dell'Ordine che oramai costituivano una vera e propria famiglia avrebbero potuto essere stati uccisi.
Incapaci di stare fermi, Harry camminava in cerchio intorno alla poltrona mentre Ginny asciugava i piatti come un automa. Éméline si avvicinò alla signora Weasley e incominciò ad affettare le carote e i peperoni e la donna non si curò neanche di provare a dire di lasciar stare.
Qualche minuto dopo, un sonoro pop attirò la loro attenzione.
Uscirono di corsa e videro Remus avanzare con la bacchetta puntata verso Harry.
-Sei matto? Cosa fai?- domandò Hagrid.
-Quale creatura c'era nell'angolo la prima volta che Harry Potter è entrato nel mio ufficio a Hogwarts?-
-Sei completamente fuori.- sussurrò Harry.
-Quale creatura!-
-Un.. un avvincino.-
Remus abbassò la bacchetta.
-Siamo stato traditi, dovevo controllare che fossi tu..- poi la puntò verso Éméline.
-Dopo quanti tentativi hai prodotto il tuo primo Patronus in forma completa?- chiese
-Dopo... quattro tentativi mi pare.-
Remus abbassò la bacchetta e fece segno che potevano andare dagli altri due. Éméline corse verso la sua controparte e le gettò le braccia al collo. Mentre si abbracciavano sentì la trasformazione sciogliersi.
-State bene?- domandò Éméline, il cuore che batteva forte come mai prima d'allora.
-Tutti interi, e voi?-
-Doloranti ma interi.-
Rinunciando a cercare di distrarsi affettando verdure e asciugando i piatti, tutti si sistemarono in giardino in attesa.
Dopo qualche minuto, in fondo al prato comparvero tre figure. Kingsley correva con la bacchetta puntata verso Remus e viceversa. Dietro di lui, Hermione e Ron si stavano ritrasformando.
Quando i gemelli videro venire loro incontro i loro migliori amici, corsero verso di loro abbracciandoli. Non gliene importava un dico secco che avrebbero potuto non essere loro, anzi, l'idea non li sfiorò neanche per un instante.
Quando tornarono da Remus e Kingsley, essi avevano già appurato di essere quelli che dicevano di essere.
Rientrarono in casa e poco a poco la stanza si riempì.
Bill entrò insieme ad Arthur e a Fleur.
Dopo un attimo di silenzio, Bill parlò.
-Malocchio è morto. L'ho visto cadere dalla scopa. Appena ha visto Voldemort, Mundungus si è smaterializzato.-
Rimasero in silenzio per quello che parvero loro essere delle ore. Éméline alzò lo sguardo su Fred, dall'altra parte della stanza.
Ora capisci cosa intendevo?, sembravano dire gli occhi della ragazza. Lui scosse la testa, come a volerle dire che era comunque una follia.
Non voglio che qualcun altro muoia per noi, cercò di fargli capire ancora lei con il linguaggio del corpo. Non voglio che tu muoia a causa mia, pensò poi, ma non lo disse.

***

Nonostante tutto quello che era successo e che sarebbe successo in un futuro non troppo lontano, alla Tana era tutti in fibrillazione. Dopotutto, il primogenito dei Weasley si sarebbe sposato nel giro di otto giorni con la bella Fleur Delacour.
Erano ormai giorni che la signora Weasley non faceva che sperimentare nuovi abbinamenti culinari e parlare di come i fiori sarebbero stati disposti all'interno del grande padiglione.
Arthur Weasley si teneva occupato il più possibile con il lavoro per non dover sopportare tutte le prove e le misurazioni a cui la moglie lo sottoponeva affinché il completo gli stessi perfettamente.
Fred e George cercavano costantemente di alleggerire la tensione di Bill e di risollevare il morale di Ginny che ancora non aveva superato la rottura con Harry. 
Infine, Remus, Tonks, Kingsley e Charlie, che era arrivato un paio di giorni prima, si intrattenevano in lunghe conversazioni che riguardavano, tra le tante cose, il futuro nuovo arrivo in casa Lupin.
Era mattina presto, più o meno intorno alle 8:30, quando Harry, Ron, Éméline e Hermione si ritrovarono in camera dei due ragazzi a parlare.
-Hermione, cosa stai facendo?- chiese Harry.
-Seleziono dei libri che potrebbero rivelarsi utili mentre cerchiamo gli Horcrux. Ho fatto un incantesimo di appello dopo il funerale di Silente e ho trovato una decina di libri sulla magia oscura. Ve lo assicuro, ho gli incubi su quei libri. E detto da me è preoccupante.-
Nel mentre che Hermione sceglieva i libri migliori e li faceva scivolare ad uno ad uno dentro una borsa decisamente troppo piccola per contenerli, Ron giocava in una partita a scacchi magici contro sé stesso. Harry era sdraiato sul suo letto mentre guardava le nuvole fuori dalla finestra della camera ed Éméline era appoggiata alla ringhiera del terrazzino mentre giocava assorta nei suoi pensieri con il medaglione della zia, facendo comunque attenzione a non sbattere la testa contro il tetto spiovente della casa.
-Harry, mi accompagni un secondo di sotto?- chiese Éméline dopo un po'. I due ragazzi la guardarono.
-Ehm... certo.-
Appena usciti Éméline si diresse verso il bagno e si chiude dentro con il fratello. Tirò giù il coperchio del water e si sedette.
-Che succede Émé?-
-Devo tornare a Hogwarts. Ho un piano, so che può funzionare. Lo dirò ad una sola persona. Te lo assicuro Harry.-
-Non se ne parla. Non ti manderò lì ora che non c'è più nessuno a proteggerti. Non posso. E se ti succede qualche cosa? Non posso permettere che ti succeda qualcosa. Non a te.-
Éméline avrebbe voluto dirgli che non era vero, che ad Hogwarts sarebbe stata più che protetta, che non le sarebbe successo nulla. Ma come lo avrebbe spiegato? E inoltre, non era Piton la persona che aveva intenzione di avvertire. Pertanto, come avrebbe potuto assicurare al fratello che tutto sarebbe filato liscio come l'olio? Semplicemente non poteva.
-È l'unico modo Harry, e tu lo sai. Quando arriverà il momento, avrai bisogno di venire a Hogwarts per prendere l'ultimo Horcrux. Sei in gamba, forse potresti trovare un modo per entrare nonostante tutti i controlli che ci saranno. Ma come sopravviverai? Ti cattureranno.-
Harry parve pensarci un po', poi chiuse gli occhi.
-Io... hai ragione, su questo non ci sono dubbi. Ma mandarti lì, in mezzo ai Mangiamorte, da sola... potrebbe succederti qualsiasi cosa, e non posso permettermi di perdere anche te.- sussurrò.
-Lo so, ho paura anche io. Ma, ora che Silente ha lasciato a noi tutto ciò che credeva potesse esserci utile, non c'è altro da fare se non provarle tutte per sconfiggerlo. E sento che questo è quello che devo fare io, Harry, lo capisci vero? Se venissi con voi, sarebbe troppo sospetto. Ho bisogno di sparire, scomparire nel nulla, e aspettare il momento opportuno per rivelarmi.- disse piano allungando una mano per prendere quella calda del fratello.
-Andrà tutto bene.- disse infine, più a sé stessa che al fratello. Harry annuì.
-Dovremmo dirlo agli altri...-
-E come lo spiegherai?-
-Non dirò loro dove vado, solo tu, io e l'altra persona lo sapremo. Mi importa solo che lo sappia tu, Harry.-
Il fratello annuì.
Rimasero a guardarsi per qualche secondo, dopo di che lei si alzò e insieme tornarono in camera. Hermione aveva finito di scegliere i libri e ora stava giocando con Grattastinchi e una piccola pallina gialla e Ron stava ancora giocando a scacchi.
I due gemelli si sedettero sul letto di Harry e si guardarono. Harry parlò per primo.
-C'è stato un cambio di programma... ecco.. lei non viene.-
-Come sarebbe a dire lei non viene?- chiese Hermione voltando di scatto la testa e lasciando che il gatto le prendesse la pallina. Grattastinchi la guardò contrariato quando lei non cercò di rubargliela.
-Significa che non verrò a cercare gli Horcrux con voi Hermione. Ho un piano per aiutarvi, ma non potrò venire con voi.- chiarì lei.
-E dove andrai? Come farai a nasconderti?- chiese Ron mentre, deconcentrato, muoveva l'alfiere bianco in C12 lasciando che il pedone di regina muovesse scacco matto al suo re.
-Non è importante dove andrò, è meglio che non lo sappiate nel caso in cui veniate catturati. E per quanto riguarda la seconda domanda... Ron, visto che sei l'unico a non saperlo, eccoti svelato l'oscuro segreto scoperto qualche mese fa. Sono una Metamorfomagus.-
Silenzio. Poi Ron, con il suo solito tono di voce da persona sveglia e intelligenze emise un verso gutturale simile ad un rutto, anche se in realtà era un semplice.
-Eh?-
-Già.-
Non dissero più nulla e, per distrarsi, tornarono ognuno alla propria attività, il silenzio che ancora regnava sulla casa rotto soltanto dalle imprecazioni di Ronald per aver perso contro sé stesso.

***

Era venerdì, e ciò voleva dire che mancava un solo giorno al matrimonio.
Éméline era seduta sotto all'albero nel cortile dei Weasley e nelle mani aveva il ciondolo regalatogli da sua zia. Continuava a guardare quella foto. Non poteva più negarlo: era davvero la copia di sua madre. Le faceva strano vedere sua zia così sorridente e felice. Si era resa conto che non avevano mai parlato di sua madre non perché sua zia la odiasse, cosa che era stata fatta loro credere, ma perché il dolore della perdita della sorella minore era ancora così vivo in lei che la sola vista dei due nipoti la faceva soffrire. Da quando l'aveva capito, Éméline aveva iniziato a provare un senso di pietà e di profonda comprensione verso la donna. Si chiese, guardando il ciondolo, che cosa avrebbe provato se le avessero chiesto di adottare contro la sua volontà i figli di suo fratello, che aveva sempre amato ma che l'aveva fatta sentire, non intenzionalmente, un essere mediocre per anni. Si disse che probabilmente anche a lei sarebbe andata giù difficilmente.
-Che cosa ti turba?- le chiese Tonks. Non si era accorta che l'aveva raggiunta fino a quando non le si era posta davanti. La donna si sedette e la guardò.
-Mia zia.- e poi raccontò tutta la storia.
-Sai, Éméline, a volte le persone ci sorprendono. Noi pensiamo siano meschine, a volte persino malvagie, e alla fine scopriamo che sono solo troppo deboli per sopportare un dolore così grande come la perdita di una persona cara. Non mi sorprende, da quello che mi hai detto in tutti questi anni, che lei avesse un comportamento ambiguo nei tuoi confronti: si è trovata di fronte sua sorella in miniatura a tutti gli effetti e ha dovuto crescerla. Ti odiava perché tu le riportavi alla mente la sorella defunta, ma allo stesso tempo non poteva farlo per lo stesso motivo. Però, ed è una cosa che in te ammiro molto, bisogna capire. Capire è il primo passo per accettare, e solo accettando si può guarire. L'unico modo per tua zia di guarire, è comprendere il perché di tutto questo. E credo che le servirà il tuo aiuto. Capisci cosa intendo?-
Éméline annuì.
Un po' come Piton con Harry, pensò.
-È quello il ciondolo?-
-Sì.- disse lei porgendoglielo.
Tonks lo guardò.
-Non ho mai conosciuto tua madre sai.. io ero ancora ad Hogwarts quando morirono. Ma se questa è lei, allora è davvero sorprendente la somiglianza tra voi due. Sarebbero molto fieri di voi, puoi starne certa.- disse con dolcezza facendola sorridere. Le persone si erano sempre sentire costrette a dire loro qualche parola di cordoglio sui loro genitori, ma questa volta Éméline non reagì con il solito sorriso di circostanza e il fastidio nello stomaco. Sentiva che le parole di Tonks erano sincere e la guardò riconoscente.
-Grazie, davvero. Spero che tu abbia ragione, ultimamene mi sembra solo di fare un casino dopo l'altro.-
Tonks la guardò di sottecchi.
-Fred?- chiese.
-Come lo sai?-
Tonks rise.
-Ti conosco da anni, Émé. E sono una donna. Certe cose non si possono celare agli occhi di una donna, soprattutto se questa passa le giornate con te. Ormai puoi considerami un po' con una amica, o una sorella maggiore se preferisci. Pensi davvero che non lo abbia notato?- le chiese guardandola con malizia. Éméline rise.
-No, cioè sì, cioè... ahh, non lo so. Spero solo che capisca che lo faccio solo perché voglio proteggerlo.-
Tonks ridacchiò, poi la guardò con un sorriso dolce e le passò un braccio intorno alle spalle.
-Sono certa che lo capirà. Forse non subito, ma prima o poi lo capirà.-
Éméline sorrise ancora mentre allungava la mano verso il prato e raccoglieva un fiore iniziando a girarselo tra le mani.
-Facciamo un po' di pratica?- domandò dopo un po'.
-Sono qui per questo no?-
Risero. Passarono tutto il pomeriggio a esercitarsi e a chiacchierare, fino a quando Molly non chiamò tutti per la cena.

 

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Capitolo 11
*** Il matrimonio ***



Alle tre del pomeriggio seguente Harry, Ron, Fred e George erano nell'orto fuori dall'enorme padiglione bianco in attesa degli invitati.
I quattro erano armati di piantine con la disposizione per accompagnare gli invitati ai loro posti. Una schiera di camerieri in bianco era arrivata un'ora prima, insieme a una banda in divisa dorata, e si erano seduti tutti quanti sotto un albero poco lontano; Harry vide levarsi da quel punto un alone azzurro di fumo di pipa. Dietro di lui, il tendone si apriva su file e file di fragili sedie dorate ai due lati di un lungo tappeto color porpora. Ai pali di sostegno erano intrecciati fiori bianchi e oro. Fred e George avevano fissato un enorme grappolo di palloncini anch'essi dorati sopra il punto preciso in cui Bill e Fleur sarebbero diventati marito e moglie. Fuori, farfalle e api volavano pigre sull'erba e sulle siepi.
-Quando mi sposo io, vi prego vestitevi come vi pare. Questo coso è terribile.- disse ad un tratto Fred. Dal nulla, una alla volta, figure dai colori vivaci cominciarono ad apparire al limitare del cortile. Nel giro di pochi minuti, una processione prese a serpeggiare attraverso il giardino diretta al padiglione. Fiori esotici e uccelli incantati fluttuavano sui cappelli delle streghe, sulle cravatte dei maghi brillavano gemme preziose; il chiacchiericcio eccitato divenne sempre più forte, soffocando il ronzio delle api man mano che la folla si avvicinava alla tenda.
-Oh, mi è sembrato di scorgere la delegazione delle cugine Veela. Vado ad accoglierle io, non disturbatevi.- disse George con un ghigno sul volto. Poi si allontanò e andò ad accogliere le ragazze per portarle ai loro posti.
Harry decise di accompagnare una vecchia coppia amica dei Weasley e Ron accompagnò un collega di suo padre.
Quando uscirono, una voce famigliare li salutò.
-Ohila! Come state ragazzi? Siete carini tutti in tiro.- disse Tonks, che per l'occasione era diventata bionda e indossava un abito blu scuro, a braccetto con Remus.
-Ciao, fa un caldo terribile. Beate voi che potete permettervi gli abiti corti.- disse Ron
-Con tutto quello che soffriamo tra mariti, ciclo, gravidanza, parto e educazione dei figli ci meritiamo qualcosa non trovi?- disse una voce roca dietro alla coppia. Fred fece segno ai due membri dell'Ordine di seguirlo. Dietro di loro apparve una strega bassa e robusta con un vestito verde acido.
-Zia Muriel!- disse Ron.
-Ciao Ronald. Hai i capelli troppo lunghi, tra poco di scambiavo per Ginevra. A proposito: dov'è William che lo voglio salutare?-
-Credo sia laggiù con Charlie.-
-Accompagnami a sedere, Ronald! Ho 103 anni, non posso mica stare in piedi! E tu ragazzo, pettinati quei capelli neri! Sembri uno scappato di casa.-
Ron si allontanò con la zia scoccando un'occhiata di scuse ad Harry.
E hai fatto conoscenza della zia Muriel, l'hanno descritta bene dai, si disse Harry.
Cinque minuti dopo i ragazzi erano di nuovo lì tutto insieme. Quando si girarono videro Hermione e Éméline venir loro incontro.
-Sei bellissima Hermione!- disse Ron.
-Sempre questo tono sorpreso...- disse lei con un sorriso. Hermione indossava uno svolazzante abito lilla e delle scarpe col tacco dello stesso colore. I capelli erano stati piastrati.
-Beh, vostra zia Muriel non approva i nostri abiti, Ron. Dice che sono troppo... come li ha definiti?-
-Antiestetici.- finì Hermione.
A parlare era stata Éméline. Harry non riusciva a dire una parola. Neanche al Ballo del Ceppo aveva visto sua sorella così bella.
Indossava un vestito molto stretto in vita e morbido sotto il corsetto di colore rosa antico metallizzato sopra al quale indossava un leggerissima veste rosa antico*. Le scarpe con il tacco erano aperte e legate da uno strano motivo dello stesso colore del vestito. Gli occhi erano truccati con del semplice mascara e un po' di matita. Infine aveva i capelli legati in una graziosa e semplice acconciatura che le lasciava scoperta il collo.
Tutti gli occhi dei ragazzi erano puntati sulle due giovani donne. Ron non riusciva a staccare gli occhi da Hermione e George, una volta tornato in sé, lanciò una veloce occhiata al gemello, ancora imbambolato nel guardare Éméline. Fred era sicuro al 100% di non aver mai visto nessuno così bello come lo era lei in quel momento.
-Sei... sei bellissima cavolo.- le disse Harry dando voce ai pensieri di Fred e facendola arrossire appena.
-Beh, grazie... è un po' che ci stavamo lavorando... sono felice che ti piaccia, Harry.- disse lanciando una breve occhiata ai gemelli Weasley.
Quando gli invitati furono tutti sistemati, entrarono anche loro. Si sedettero nelle prime file insieme alle famiglie degli sposi, e i Potter furono lusingati di essere stati accolti come membri ufficiali della famiglia Weasley.
Partì una musica soave dai palloncini dorati appesi vicino all'altare: dal fondo del tendone la signora Weasley apparve accompagnando Bill seguito dal fratello Charlie, il suo testimone. Quando Molly si sedette, tutti quanti si alzarono per vedere l'ingresso della sposa. Fleur era vestita con un semplice abito bianco e i capelli era raccolti in un bellissimo chignon che lasciava cadere alcune ciocche. Sembrava a tutti gli effetti una dea scesa sulla Terra.
La cerimonia si svolse piacevolmente, tanto che per un momento tutto riuscirono a dimenticarsi quello che stava succedendo.
Fred, che era seduto vicino ad Éméline, si accostò al suo orecchio.
-Sei bellissima.- sussurrò piano.
Éméline sentiva il fiato del ragazzo sul collo darle i brividi e trattenne il respiro.
-Grazie...- sussurrò a sua volta cercando di reprimere un sorriso e di non arrossire troppo.
Fred cercò il suo sguardo e poi sorrise appena.
Sostennero vicendevolmente lo sguardo, poi entrambi tornarono a prestare attenzione alla cerimonia.
Harry le sorrise e le toccò leggermente il gomito con il suo.
-Dovresti provarci con lui sai? Secondo me stareste bene insieme. E non sono l'unico a pensarlo. La settimana scorsa Remus e Tonks mi hanno dato ragione.- le sussurrò.
-Non credo tu sia il più indicato per dare consigli in amore sai, Harry?-
-Però ti piace?-
-Tu che dici?- sussurrò.
Il volto di Harry si aprì in un grande sorriso.
-Lo sapevo.- disse trionfante.
Ragazzi, pensò Éméline girando gli occhi ma sorridendo a sua volta al fratello.
La cerimonia durò un'ora circa e poi le sedie vennero sostituite da tavoli bianchi con le decorazioni dorate.
Éméline, Harry, Ron, Hermione e i gemelli erano stati messi nello stesso tavolo di Tonks e Ginny. Remus, Charlie, Arthur, Molly, i Delacour, Gabrielle e Hagrid erano nel tavolo accanto al loro.
Iniziarono a mangiare. Molly Weasley, aiutata da Apolline Delacour, si era davvero superata. Il cibo era squisito. Éméline era seduta tra Harry e Tonks.
-Come stai?- le chiese Tonks radiante.
-Ad alti e bassi, ma oggi sto alla grande. E riguardo a ieri... credo che andrà tutto bene, alla fine. Tu?-
-Menomale, se hai bisogno in ogni caso puoi venire a parlare con me, saresti sicuramente meno noiosa di Kingsley e se non altro mi sentirei meno inutile. A quanto pare pensano tutti che non debba fare nulla... non so più come spiegarlo che sono incinta e non invalida.- disse scuotendo la testa e infilandosi un boccone di tortino di zucchine e patate in bocca. Éméline rise.
Circa 40 minuti dopo, i tavoli erano spariti e al loro posto era comparsa una pista da ballo dorata che teneva tutto il tendone. Partì un valzer e gli sposi aprirono le danze seguiti a ruota dal signor Weasley con la madre di Fleur e dalla signora Weasley con il padre della sposa. Remus e Tonks si avvicinarono e piano piano incominciarono tutti a ballare.
Fred, dopo aver sussurrato qualcosa all'orecchio di un componente della band, si avvicinò ad Éméline.
-Ti va di ballare?- le chiese porgendole la mano. Lei sorrise prima di accettare e si lasciò condurre in pista. Ballarono un valzer e, subito dopo, un lento. La stanza si fece più buia, illuminata solo da piccole scintille dorate poste ai lati della Sala per creare un'atmosfera più romantica.
-C'è il tuo zampino, vero?-
Fred non rispose, limitandosi a sorridere e a stringersi di più alla ragazza. Éméline gli passò entrambe le braccia intorno al collo. Ballarono fissandosi negli occhi.
Giunti a metà del brano, Fred le strinse un po' di più la vita e parlò.
-Dammi una possibilità.- sussurrò piano all'orecchio di lei. Éméline sospirò.
-Fred...-
-Lo so, so che hai paura e che non ci vuoi mettere in pericolo. So che lo fai per me, l'ho capito.- sussurrò dolcemente, -Ma ti prego. Già che non sappiamo se sopravviveremo, vivila a pieno, Émé. Senza timore di cosa potrebbe accadere.-
Éméline si morse il labbro inferiore mentre osservava, nella penombra della sala, il profilo della bocca del ragazzo.
-Non posso permettermi di pensarla così, finirei per farmi ammazzare.- sussurrò scuotendo la testa.
Fred non disse nulla, lasciando che lei poggiasse la sua testa sulla sua spalla.
-E se fosse solo per una sera? Goditi la festa come se non ci fosse una guerra, solo per qualche ora.- sussurrò poi. Éméline non rispose subito. Se avesse lasciato posto a tutte le sue emozioni per qualche ora, poi sarebbe riuscita a rimetterle sottochiave per non essere troppo emotiva? Poteva permettersi un po' di spensieratezza con Fred e i suoi amici, per una sola sera? Sì, si disse, poteva.
-Va bene. Ma solo per una sera.- disse alzando un poco gli occhi verso di lui.
Fred sorrise rimanendo fermo per qualche secondo a guardala.
Poi con delicatezza infinita, si chinò quel tanto che bastava per catturare le labbra di Éméline in un bacio. Trattennero entrambi il respiro, beandosi di quel contatto tanto desiderato. Fred profuma inconfondibilmente di menta e le sue labbra avevano un sapore dolce, come di mela. Si separarono con un dolce sorriso sulle labbra e Fred posò la sua fronte su quella della ragazza. Avrebbe voluto dirle tante cose in quel momento, ma aveva paura di rovinarlo. Voleva ringraziarla per avergli dato una possibilità, voleva dirle che era dal Ballo del Ceppo che aspettava quel momento che fino ad allora aveva solo sognato nelle sue notti migliori. Ma non disse nulla, limitandosi a baciarle l'angolo della bocca e poi le labbra, consapevole che dalla mattina dopo non avrebbe più potuto farlo perché lei si sarebbe impegnata ad allontanarlo.
Vide Éméline sorridere, colma di felicità.
-Buon compleanno, Émé.- sussurrò impercettibilmente quando la canzone terminò. La sentì ridere e lasciargli un leggero bacio prima di allontanarsi verso i loro amici prendendolo per mano.
Mentre camminavano, con la coda dell'occhio Éméline vide qualcuno che la osservava. Voltò lo sguardo e incontrò quello amorevole di Tonks che le sorrideva. Aveva visto la scena: Éméline sorrise a sua volta mentre Tonks ammiccava nella sua direzione, segretamente felice che la sua giovane amica avesse approfittato dell'occasione.
La musica ricominciò ed Éméline si avvicinò a suo fratello. Harry le prese la mano guardando con fare interrogativo il sorriso radioso sulle labbra di Fred.
Iniziarono a ballare un valzer.
-Che succede? Sei dello stesso colore dei tuoi capelli.- le chiese mentre giravano.
-Beh... ecco... Fred mi ha baciata.-
-Cosa? Scherzi?-
-No..-
-E?-
Éméline lo guardò alzando un sopracciglio mentre terminavano di girare e si muovevano verso il centro della pista seguendo le altre coppie.
-E cosa?-
-Beh, ti è piaciuto?-
Éméline lo guardo interrogativa.
-Erano due anni che aspettavo che mi baciasse, però no, mi ha fatto proprio schifo.- commentò guardando Harry assumere un'espressione stupita.
-Sto scherzando, Harry, certo che mi è piaciuto!- disse ridendo alla faccia contrariata del fratello.
-Beh, sono felice per te. Ti meriti un po' di serenità.-
Si sorrisero.
-Ci meritiamo.- lo corresse la sorella.
Finito il ballo, Harry mise un braccio sulla spalla della sorella.
-Però, mi raccomando: voglio aspettare ancora un po' per diventare zio.- disse ridendo, sapendo che quell'osservazione avrebbe fatto infuriare la sorella.
-Perché voi maschi dovete sempre pensare così male?- chiese a metà tra l'indignazione e il divertimento.
In quel momento, qualcosa di grosso e argenteo arrivò dall'alto attraverso la tenda sulla pista. Aggraziata e lucente, la lince atterrò lieve in mezzo ai ballerini esterrefatti. Le teste si voltarono, i più vicini rimasero assurdamente paralizzati a metà della danza. Poi il Patronus parlò con la voce forte e fonda di Kingsley Shacklebolt.
Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando.
Rimasero tutti pietrificati qualche secondo, poi scoppiò il finimondo. Tutti correvano via e si smaterializzavano e Harry chiamò a se Ron e Hermione.
Abbracciò la sorella.
-Fa' attenzione, ti prego Harry.- disse lei.
-Anche tu, appena sarai dove devi andare, prova a farmelo sapere. Messaggio in codice.-
-Ti voglio bene, Harry.- sussurrò con gli occhi sbarrati dal terrore.
-Ti voglio bene anch'io Émé.-
Poi i tre ragazzi si smaterializzarono.
Appena dopo, cominciarono ad arrivare i Mangiamorte.
Fred parò un incantesimo diretto a lei.
-Scappa! SCAPPA!- le urlò buttandosi davanti a lei e guardandola con infinita preoccupazione negli occhi. Éméline aprì la bocca per dire qualcosa, ma Fred la circondò con le braccia e la spinse fuori dal padiglione.
-Accio zaino- disse mentre tentava di rimanere in piedi.
Lo zaino volò nelle sue mani e lei, guardando per un'ultima volta gli occhi bruni di Fred che si accertavano che fosse al sicuro, si smaterializzò.

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Capitolo 12
*** Periferia londinese ***


Éméline si materializzò a Londra, in periferia. Si trovava di fronte a un complesso di circa dodici case che in parte le ricordavano Privet Drive. Ogni casa aveva un posto auto e un giardino privato. Dall'altra parte della strada vi era un fiume e oltre la città di Londra vera e propria. Éméline sperò di aver fatto le ricerche correttamente. Si avvicinò all'unica casa da cui proveniva ancora una luce. Non vi erano macchine. Le tende erano tirate. Si avvicinò alla porta in mogano levigato e busso tre volte. Sentì dei rumori da dentro. Sicuramente la persona che viveva lì era andata a prendere la bacchetta. La porta si aprì di qualche centimetro e Éméline intravide degli occhi verdi. Si guardarono per qualche secondo, poi la donna aprì la porta e la tirò dentro. Le puntò la bacchetta contro.
-Secondo quale ordine mi hai confidato, durante il pranzo di Natale di qualche anno fa ad Hogwarts, di amare ordinare i tuoi libri?- chiese la donna.
-Secondo un ordine cromatico o, più spesso, per autore.- rispose lei. La donna abbassò la bacchetta e accese la luce del corridoio. Esso si apriva a destra sul salotto e sulla cucina e in fondo aveva una piccola scalinata che portava alle camere e al bagno. La donna era vestita con una lunga camicia da notte gialla e sopra aveva una vestaglia rossa. I capelli erano legati in una treccia morbida.
-Che cosa ci fai qui Éméline? E come facevi a sapere che mi avresti trovata in questa casa?- -Ho bisogno del suo aiuto, se vorrà darmelo. Sapevo che l'avrei trovata qui perché ho fatto delle ricerche negli ultimi mesi... speravo di aver fatto giusto.-
La donna le prese lo zaino e la accompagnò nel salotto. Era piccolo e confortevole e molto grazioso. Sulla destra di Éméline, vicino alla finestra, c'era una piccola poltrona bianca e un divano a due posti dello stesso colore. Sul muro vi era una graziosa libreria stracolma di libri e manuali vari. Di fronte al divano vi era un piccolo televisore e un camino. Separate da un gradino, sulla sinistra c'erano la cucina e la sala da pranzo. Le due donne si sedettero sul divano. La professoressa McGonagall guardò Éméline da capo a piedi.
-Eri al matrimonio di Bill Weasley? Che cosa è successo? Sembri sconvolta.-
-Il ministero è caduto, il ministro è morto. Mentre ballavamo il Patronus di Kingsley è atterrato in mezzo alla pista e ci ha detto questo. E poi ha aggiunto: stanno arrivando. Tempo dieci secondi e i Magiamorte hanno cominciato ad attaccarci. Harry, Ron e Hermione si sono smaterializzati, hanno delle cose da fare. Io avevo già in programma di venire qui ma contavo di avvisarla. Non ne ho avuto tempo, mi dispiace.-
-Non preoccuparti, l'importante è che stiate bene. Ti preparo una tisana e poi ti accompagno di sopra. Quando domani ti sveglierai ne parleremo meglio, okay?- Lei annuì.
Minerva McGonagall andò in cucina a preparare una tisana calda per la ragazza, poi puntò la bacchetta contro la tazza e mormorò un'incantesimo. L'avrebbe aiutata a dormire e a rilassarsi. Andò di là e la diede alla ragazza. -Dammi un momento, ti preparo la camera e ti cerco una camicia da notte per dormire. E tu bevi.- disse sorridendo incamminandosi verso le scale.
Dopo dieci minuti fu di ritorno.
-Bene cara, il bagno è infondo al corridoio. La camera in cui dormo io è di fronte alla tua, se hai bisogno. Vieni, ti accompagno di sopra.- Le prese lo zaino e l'aiutò a rialzarsi. Éméline si accorse solo in quel momento di quanto fosse stanca. Le emozioni di quella serata l'avevano distrutta, anche se probabilmente l'incantesimo sulla tisana aveva amplificato questa stanchezza. La McGonagall la accompagnò di sopra e le mostrò la sua camera. Era molto semplice, con un letto singolo vicino alla finestra, un armadio vicino alla porta e una scrivania. Sul letto, che aveva delle lenzuola bianche a fiori, c'erano una camicia da notte bianca e una vestaglia azzurra.
-Grazie mille, davvero.-
-Non scherzare. È un piacere avere un po' di compagnia di questi tempi. Inoltre, la mia casa è protetta da tutti coloro che non fanno parte dell'Ordine. Perdonami per prima, volevo essere sicura al 100%. Buonanotte Éméline, riposati. Ne hai bisogno.- disse sorridendo.
-Buonanotte anche lei professoressa.- La McGranitt chiuse la porta e tornò di sotto. Éméline, dopo essere andata in bagno per lavarsi, prese i vestiti che le aveva dato l'insegnante e si cambiò. Poi, si mise a letto e lasciò che la tisana facesse effetto, trascinandola in un sonno senza sogni.
 
***
 
Il mattino dopo si svegliò verso le 10:00 carica di energie. Si tirò a sedere e sbadigliò. Verso le cinque del mattino si era svegliata e, una volta riaddormentata, aveva sognato Fred, Harry e Tonks. Non stavano facendo nulla di particolare: stavano semplicemente seduti in un prato fiorito a godersi il calore di agosto. Passandosi una mano tra i capelli, Éméline guardò oltre il vetro della finestra. Fuori splendeva un bel sole. Anche quell'anno agosto era iniziato con un caldo afoso. Si alzò e andò verso la scrivania, poi prese una penna, dell'inchiostro, e due pergamene. La prima era indirizzata al fratello:

Caro Harry,
spero che tu stia bene. Ieri non abbiamo quasi avuto il tempo per salutarci. Io sono arrivata sana e salva a casa della persona di cui ti ho parlato e resterò qui da lei fino a quando non arriverà il momento di ripartire. Spero vivamente che Hermione tenga d'occhio te e Ron, altrimenti potreste farci uccidere. Ti prego di fare attenzione. Cerca di stare lontano dai guai e guardati le spalle Harry, mi raccomando. Non preoccuparti per me, io sto bene. Questa lettera te la manderò con un incantesimo, così sono certa che saprà trovarti. L'ho scritta con l'inchiostro invisibile e ne ho messa una boccetta nella tua borsa, se ti servisse.
Spero di vederti presto, Éméline.


La seconda era per Fred. Doveva assolutamente sapere se stavano tutti bene e, soprattutto, aveva bisogno di sapere che lui era sano e salvo, dopo aver rischiato la sua vita per proteggere quella della ragazza.

Caro Fred,
spero con tutto il mio cuore che tu e la tua famiglia stiate bene. Sono terribilmente dispiaciuta di come sia andato a finire il matrimonio di Bill e Fleur ma confido comunque che si siano goduti il loro attimo di spensieratezza. Volevo ringraziarti per avermi salvata, questa notte: probabilmente, ora non sarei più qui se non fosse stato per te. Hai messo a rischio la tua vita per permettermi di salvarmi, non lo dimenticherò mai. Grazie anche per avermi convinta a godermi la sera prima che fosse troppo tardi. Ci sono così tante cose che in questo momento vorrei dirti, ma non ho molti fogli di pergamena con me e non posso rischiare, se questa lettera dovesse sfortunatamente cadere in mani poco amiche, di metterti in pericolo. Spero di poterti presto rivedere, porta i miei saluti a tutti e i miei più sinceri auguri agli sposi,
con affetto
Éméline


Fece un gesto con la bacchetta e le due lettere sparirono. Rimise tutto a posto e andò a lavarsi. Da sotto proveniva un leggero profumo di Pancakes. Tornò in camera e si mise dei pantaloni a vita alta bianchi e una maglietta corta gialla che si era portata dietro. Aveva fatto allo zaino un incantesimo estensivo irriconoscibile e ci aveva sistemato dentro di tutto. Si infilò un paio di calze bianche e scese. La McGonagall, vestita con una veste verde, stava cucinando la colazione sorridendo.
-Buongiorno.- disse Éméline entrando e correndo ad aiutarla.
-Buongiorno a te cara. No, non ci pensare nemmeno! Sei mia ospite: siediti. Ora. Preferisci il latte o il the con i pancake? E con lo sciroppo, la marmellata o il cioccolato?- chiese. Éméline si sedette come le era stato ordinato e sorrise. Le ricordava un po' la signora Weasley la prima volta che erano andati da lei.
-Del latte... e con il cioccolato.- La donna prese una tazza piena di latte e portò il cioccolato a tavola. Prese la sua tazza di tè e si sedette di fronte ad Éméline. Iniziarono a mangiare. I pancakes erano squisiti e la giovane si guardò meglio intorno. Come il resto della casa, anche la cucina era molto semplice. Occupava tutta la parete della stanza e tutto a destra vi era il frigorifero. Tutta la cucina era nera, tranne il piano che era bianco. Anche il tavolo era semplice. Bianco anch'esso, con quattro sedie. Quando finirono di mangiare, Éméline puntò la bacchetta verso i piatti, le posate e le tazze e mormorò -Tergeo.- nel giro di un secondo erano diventate lucide. Con un gesto la McGonagall le fece andare al loro posto. Si sistemarono sul divano. La donna la guardò e le chiese.
-Di che cosa hai bisogno?- La ragazza indugiò qualche secondo. E se avesse rifiutato?
-Io.. ho bisogno di entrare a Hogwarts di nuovo. Pensavo di fingermi una del primo anno. Mi comporterei come una del primo anno: libri del primo anno, arrivo a scuola in barca, smistamento...-
La professoressa rimase in silenzio per un po', poi annui:
-Ti aiuterò. Anche se credo che sia una follia che tu torni a Hogwarts ora che è assediata dai Mangiamorte... e in più, c'è Piton come preside.-
Allora sono a posto, si disse Éméline.
-Ho bisogno di una lettera, per questo sono venuta da lei. Pensavo che.. beh.. avrebbe potuto fare in modo che io venissi Smistata nuovamente.-
-Per la lettera non è un problema. Per l'elenco dei ragazzi del primo anno dovrò andare ad Hogwarts.-
-Non la voglio mettere in pericolo...-
-Non lo farai. Sta tranquilla. Ho un piano. Concluderò tutto entro questa sera. La lettera te la scrivo io, le scrivo tutte io. Aspetta.- Si avvicinò di nuovo al tavolo e prese una piuma e una pergamena con lo stemma di Hogwarts.
-Come pensavi di chiamarti?- Éméline corse in camera e prese tutti i libri. Erano vecchi registri magici e, tra una pagina e l'altra di qualche manuale, alcune pagine di giornale stropicciate lasciano intravedere qualche immagine e parola.
-Mentre ero dai miei zii e dai Weasley ho fatto delle ricerche: c'è questa vecchia famiglia di maghi che nel 1789 si trasferì in Francia per prendere parte alla Rivoluzione. Rimasero lì fino al 1990. L'ultimo nipote di questa antica famiglia purosangue, Alfred White, scomparve in quell'anno insieme alla moglie Anne e ai figli Isabel, Beatrice e Iago. Beatrice era molto malata quando scomparvero e anche il fratello minore. Stando ai miei calcoli, Isabel dovrebbe avere più o meno 11 anni oggi. Ho trovato anche che, qualche anno fa, erano stati trovati i corpi senza vita di tutta la famiglia ma la primogenita non fu mai trovata.-
-Quindi potresti fingere di essere Isabel... può avere senso.. ma come spiegherai il fatto che hai ricevuto la lettera e che hai abbastanza soldi da poter comperare tutto il necessario?- -Così: immagino lei abbia sentito la notizia di quel vecchio eremita ucciso dai Mangiamorte qualche settimana fa. Beh... potrei sempre dire di aver vissuto con lui tutti questi anni. Lui mi aveva preso con sé dopo la morte della mia famiglia e mi aveva donato tutto quello che aveva.-
L'insegnante annuì e completò la lettera. Passarono tutta la mattinata a decidere il suo travestimento. Come la ragazza già sospettava, la donna era a conoscenza delle sue capacità. Dopo pranzo la professoressa partì e tornò circa quattro ore dopo affermando che era andato tutto bene. Trascorsero il resto della giornata a giocare a carte, fare incantesimi e a leggere. Éméline era felice. Minerva McGonagall l'aveva accolta in casa sua e con il suo aiuto sentiva che sarebbe andato tutto bene.
 
***

Sebbene, per la prima volta dopo anni, Éméline avesse ardentemente desiderato poter prolungare l'estate per qualche altro mese, i giorni passarono in fretta e ben presto agosto cominciò a lasciare posto a settembre. Circa una settimana dopo aver spedito le lettore al fratello e a Fred, Éméline ricevette una risposta dai due ragazzi:

Cara Éméline,
sono felice che tu stia bene, ero spaventato che ti fosse accaduto qualcosa. In ogni caso, Bill e Fleur sono felici di essere sposati e ti ringraziano. Mi è dispiaciuto molto che tu ed Harry ve ne siate andati così presto, Ginny ed Hermione avevano preparato una torta di compleanno per voi due. Avremo altre occasioni per farvela mangiare. Non ci sono stati feriti gravi, siamo tutti sufficientemente bravi negli incantesimi. Spero di poterti rivedere presto e assicurarmi con i miei occhi che tu stia bene. Non c'è alcun bisogno che mi ringrazi, sono io ad esserti riconoscente per avermi dato una possibilità, per quanto corta essa sia stata. Voglio che tu mi prometta che non ti preoccuperai per noi perché, anche se non saprei dire quando, so che ci rivedremo. E allora, in quell'occasione, dopo che lo avrete sconfitto, potrai dirmi tutto quello che desideri.
Mi mancherai.
Con amore,
Tuo, Fred.


Éméline aveva sorriso mentre il petto le si scaldava. Aveva desiderato che Fred avesse ragione e che davvero avrebbe potuto rivederlo sano e salvo, magari per abbandonarsi di nuovo tra le sue forti e rassicuranti braccia.

Cara Éméline,
noi tre stiamo tutti bene. Siamo andati per un po' a casa di Sirius in attesa di capire che cosa fare. Hermione mi dice di riferirti che farà in modo che io e Ron non facciamo cavolate per farci ammazzare o scoprire (voi due non cambierete mai). Tu fai attenzione. Manteniamoci in contatto come abbiamo deciso dopo aver letto il Testamento di Silente.
Ti voglio bene,
Harry


Con un sospiro, Éméline aveva rimpicciolito le lettere e le aveva nascoste nel medaglione di sua madre. Così facendo, le sembrava di avere accanto sia l'uno che l'altro. Mancavano due giorni alla sua partenza per Hogwarts. Quel pomeriggio sarebbe andata a Diagon Alley a comperare tutto il necessario per la scuola.
Éméline si trasformò: i suoi capelli divennero lisci e neri e i suoi occhi diventarono di un colore tra il blu e il verde acqua. Si mise una maglia grigia e dei pantaloni bianchi. Poi si infilò le scarpe grigie e si mise il mantello. Salutò l'insegnante e si smaterializzò. Ricomparve nel bagno del Paiolo Magico e poi si diresse a Diagon Alley. Comprò la divisa, i libri e una civetta che decise di chiamare Brooke. Infine, si diresse da Ollivander. Quando entrò era da sola. Ollivander comparve da dietro uno scaffale.
-Benvenuta, signorina...?-
-White. Isabel White.- Il mago le sorrise e andò a prendere subito una bacchetta.
-Legno di Cipresso, 8 pollici, nucleo di corde di cuore di drago, sufficientemente elastica...- La ragazza prese la bacchetta e la agitò. Il calamaio sopra alla scrivania esplose.
-No, direi di no. Proviamo con questa: legno di Salice, 9 pollici, nucleo di fenice, rigida.- La procedura si ripeté e questa volta ruppe un vecchio orologio.
-Mi scusi!-
-Oh, non ti preoccupare, capita a tutti.- disse lui sorridendo. Provarono altre tre bacchette e poi Ollivander ne prese un'altra.
-Legno di Salice, 14 pollici e 1/4, nucleo di crini di unicorno, elastica.-
Appena la prese, avvertì la stessa sensazione provata tanti anni prima. Le dita le diventarono calde e dalla punta della bacchetta uscirono delle scintille colorate.
-Ma è fantastico! Ottimo, ottimo. La dia a me che gliela impacchetto.-
Dopo aver acquistato tutto ritornò nella Londra babbana e con il Nottetempo riuscì a tornare a casa. Ma non a quella vera, per quella avrebbe dovuto aspettare ancora un giorno.

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Capitolo 13
*** Si torna a casa, più o meno ***


Era la mattina del 1 settembre e Isabel White era appena arrivata al binario che, come al solito, era affollato. Ma, a differenza degli altri anni, si respirava un'aria tesa non per via della trepidazione che accompagnava sempre gli studenti prima dell'inizio del nuovo anno. I genitori abbracciavano stretti i figli senza piangere dalla commozione nel vedere i loro bambini crescere e lasciare il nido famigliare, ma con gli occhi lucidi di preoccupazione e con le mani tremanti. Da quell'anno, l'istruzione alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts era diventato obbligatorio, con i Mangiamorte sia a scuola che al ministero. E nessuno osava opporsi.
Isabel sospirò mentre portava il suo baule verso la carrozza adibita ai bagagli.
I lucenti capelli neri le erano stati legati in una bella treccia cucita dalla McGonagall quella mattina prima che la ragazza salisse sul Nottetempo diretta in stazione.
-Ci vediamo dopo cara, fa attenzione.- le aveva detto con una nota di preoccupazione nella voce prima di smaterializzarsi, probabilmente ad Hogsmeade.
Tenne con sé solo lo zaino con la divisa dentro e si andò a sedere nello stesso scompartimento condiviso con Harry e Ron la prima volta.
Se proprio non poteva avere il fratello al suo fianco, allora avrebbe cercato il suo ricordo nei più piccoli dettagli della sua quotidianità.
Presto Londra lasciò posto a campagne verdi.
Isabel stava guardando fuori dal finestrino, quando l'aprirsi di una porta e una voce femminile la distrassero.
-Scusa, posso mettermi qui? Il treno è tutto occupato...-
Isabel si girò. Sulla soglia c'era una giovane ragazza con i capelli marroni e gli occhi azzurri.
Doveva essere una ragazza del primo anno, non l'aveva mai vista prima.
Le sorrise.
-Certo, accomodati pure! Come ti chiami?-
-Grazie. Io sono Gaia Walker, sono del primo anni, e tu?- disse tutto d'un fiato, ed Isabel ebbe l'impressione che quella bambina potesse essere piuttosto chiacchierona.
-Isabel White, anche io primo anno.-
Si sorrisero.
-Sono agitatissima! Secondo te come sarà lo Smistamento? E il cappello parlante?? Mio papà me ne ha parlato: lui è un mago, era in Corvonero. Mamma è una babbana. Spero di essere in Corvonero come tutta la mia famiglia da parte di papà.- disse tutta eccitata la ragazza. Isabel ridacchiò: la sua nuova amica era decisamente chiacchierona.
-Anche io sono agitata! I miei erano entrambi maghi, ma io sono stata cresciuta da uno zio. In ogni caso, spero Corvonero o Tassorosso... non mi sento abbastanza coraggiosa per essere smistata tra i Grifondoro, e i Serpeverde...- Isabel rabbrividì -... mi mettono i brividi.-
-Già, neanche io mi sento coraggiosa... mamma neanche voleva che venissi a scuola, ma papà le ha detto che non avevamo altra scelta che mandarmici.- sussurrò abbassando lo sguardo, -Ho incontrato alcuni Serpeverde mentre venivo qui. Erano in tre, ma due sembravano piuttosto stupidi. Il terzo, invece, sembrava sveglio, sicuramente il capo. Era alto, biondo platino... credo fosse un Malfoy.-
Isabel annuì.
-Ti hanno fatto qualcosa?- chiese mentre la guardava. Nonostante avesse visto Draco per quello che era veramente, una vittima, sapeva che davanti ai suoi amici l'orgoglio avrebbe sempre vinto.
Gaia si agitò sul sedile.
-Io...- disse, a disagio.
-Puoi fidarti di me, sai? Non ho amici con cui stare, quindi sei praticamente l'unica da cui potrei andare a raccontare qualcosa... non corri grandi pericoli.- le disse con un sorriso timido Isabel.
Gaia annuì titubante.
-Io ho qualche amico, ma sono babbani. Comunque, i due con la faccia da stupidi hanno iniziato a spingermi da una parte all'altra finché non sono caduta per terra. Poi, da uno scompartimento sono usciti un ragazzo in gilet e una ragazza con i capelli rossi e le lentiggini su tutta la faccia. Hanno iniziato a dire che doveva finirla, e Malfoy ha detto che dovevano stare zitti, che ora qui comandano loro... e poi la ragazza mi ha aiutata a rimettermi in piedi e mi ha detto di andare che ci avrebbero pensato loro, a quei bulli.- disse con gli occhi fissi all'orizzonte. Anche Isabel guardava fuori, l'immagine di Ginny che aiutava Gaia che le balenava nella mente. Le mancava così tanto... avrebbe voluto uscire di lì, annullare la trasformazione e buttarsi tra le braccia dell'amica. Ma non poteva farlo, o avrebbe rischiato di fare uccidere tutti quelli che erano su quel treno.
Osservò il profilo di Gaia: aveva il naso adunco, le sopracciglia brune folte ma curate e degli orecchini bianchi con la faccia di un cane.
-Mi dispiace...- cominciò Isabel, -E stavo pensando che, visto che qui nessuna delle due ha degli amici, potremmo diventare amiche noi due.-
Gaia si girò a guardarla e le sorrise calorosa.
-Oh, sì, ti prego! Così almeno potrò parlare con qualcuno!- disse felice.
Isabel sorrise a sua volta. Forse, con una amica al suo fianco, quei mesi sarebbero stati migliori di quanto si prospettava.
Sperò che fosse così.

***

Quando il treno cominciò a rallentare fino a fermarsi, entrambe le ragazze si erano già cambiate. Aprirono la porta dello scompartimento e si diressero fuori tenendosi per mano e con gli occhi bassi, sperando di evitare qualsiasi ragazzo di Serpeverde più grande. Alcuni ragazzi più grandi delle altre case si guardavano intorno sospettosi mentre aiutavano i più piccoli a scendere dal treno e ad avvicinarsi ad Hagrid che li chiamava a gran voce.
Per Isabel era come se fosse la prima volta. Le farfalle nello stomaco, il nervoso alle gambe. Le era mancata quella sensazione.
Seguirono Hagrid sulle barche e poi cominciarono a muoversi sul Lago.
-Non sporgetevi ed evitate di cadere in acqua, alla piovra gigante potrebbe non fare piacere. Sicuramente non farebbe piacere a voi.- disse ridendo in modo burbero Hagrid.
-Ha... ha detto piovra gigante?- chiese tremante un ragazzino con i capelli rossi seduto dietro Gaia ed Isabel.
-Tranquillo, non penso che ci farebbe del male.- disse in tono pragmatico Gaia, -Dopotutto, se fosse pericolosa non la terrebbero così vicino ad una scuola piena zeppa di ragazzi stupidi e spericolati, no?-
Isabel trattenne un sorriso, ma non fu sicura di riuscirci. La piovra non era pericolosa, era solo molto giocherellona, e questo i Grifondoro e i Tassorosso lo sapevano bene.
Quando finalmente le barche superarono le rocce lasciando libera la visuale verso la scuola, vi fu un "Ohhhh!" generale. Davanti a loro si stagliava un enorme castello con un sacco di torri e torrette. Dalla finestra si poteva vedere la Sala Grande illuminata e la luna rifletteva dolcemente la sua luce sulle acque.
-È fantastica.- sussurrò meravigliata Gaia alla sua destra.
-Lo è davvero.- disse lei di rimando, beandosi di quella visione. Finalmente era a casa.

***

Dieci minuti dopo stavano salendo la scalinata davanti al grande portone d'ingresso. Lì in piedi, stretta nella sua veste verde muschio, l'altera figura di Minerva McGonagall li attendeva.
-Eccoli qui, tutti sani e salvi.- brontolò Hagrid grattandosi la barba.
-Ottimo, da qui me ne occupo io.- disse in tono pragmatico voltandosi un poco verso l'uomo.
-Bene. Arrivederci professoressa, ragazzi.- disse prima di allontanarsi. Isabel tenne gli occhi fissi sulla sua schiena mentre lo osservava camminare verso la sua capanna.
Come mai non si dirigeva in Sala Grande? Probabilmente voleva stare il più lontano possibile dai Mangiamorte, o forse gli stessi non lo volevano intorno. D'altronde, non lo avevano mai apprezzato.
Con un piccolo sospiro rivolse nuovamente la sua attenzione all'insegnante. I loro sguardi si incontrarono di sfuggita, poi la donna prese la parola.
-Buonasera a tutti. Io sono la professoressa McGonagall, la vicepreside. Tra poco vi unirete ai vostri compagni, ma prima verrete smistati nelle vostre case. Esse sono: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Per tutto il tempo che trascorrerete ad Hogwarts, la vostra casa sarà la vostra famiglia: i vostri trionfi le faranno guadagnare punti, mentre ogni mancanza delle regole gliene farà perdere. Alla fine dell'anno verrà assegnata la Coppa delle Case alla casa con maggior punteggio. Ora vi accompagnerò nella Sala Grande, seguitemi.- disse addolcendo impercettibilmente la voce.
Si girò e cominciò a camminare verso l'entrata della Sala Grande. Appena arrivarono di fronte ai grandi portoni che li separavano dagli altri studenti, con le labbra strette la professoressa di voltò a guardare i suoi nuovi studenti.
-Un avvertimento, prima di entrare. Quest'anno le sanzioni disciplinari non sono più nelle mani dei capi delle case. In poche parole, se trasgredirete alle regole, spetterà ai professori Carrow decidere come punirvi. Ora voi non li conoscete ancora, vi verranno presentati durante il banchetto dal nostro preside e li conoscerete meglio durante la prima settimana di lezione. Perciò, tenete bene a mente: le loro punizioni non sono approvate dal corpo docenti, ma non ci è consentito opporci. Fate attenzione.- detto ciò, con un gesto della mano aprì la porta e, a testa alta, si diresse verso il fondo della sala.
Isabel e Gaia si scambiarono una veloce occhiata e Isabel si disse che, se la professoressa aveva ritenuto opportuno un avvertimento del genere, nessuno avrebbe voluto scoprire che genere di punizioni si erano inventati i due fratelli.
Quando entrarono nella stanza, tutti gli studenti del primo anno rimasero a bocca aperta. Tuttavia, se questa reazione era per tutti scatenata dall'immensità della sala, Isabel rimase stupita dalla perdita del calore che da sempre caratterizzava la scuola.
Si guardò intorno. Le tavolate erano silenziose rispetto agli altri anni, e il tavolo degli insegnati era particolarmente tetro. Sebbene le candele incantate bruciassero ancora sospese sopra le teste degli alunni per illuminare la stanza, la loro luce sembrava quasi raffreddarla ulteriormente. Il soffitto magico non mostrava le stelle ma solo grandi e neri nuvoloni.
Seguì gli studenti davanti a lei e si fermò insieme agli altri davanti allo sgabello.
-Molto bene. Quando chiamerò il vostro nome, voi vi siederete sullo sgabello, io vi metterò il Cappello Parlante sulla testa e sarete smistati nelle vostre case.- disse l'insegnante.
Isabel e Gaia si guardarono.
-Grey, Lucy.-
Una ragazzina con i capelli biondi legati in due codini si fece lentamente avanti. Si sedette e lasciò che il cappello le scivolasse in testa. Qualche secondo dopo...
-GRIFONDORO!-
Il secondo tavolo da destra applaudì la nuova arrivata.
-Johnson, Benedict.-
Un ragazzino magro con i capelli color cenere si sedette, e poco dopo..
-SERPEVERDE!-
Lo smistamento continuò.
-Brown, Geordie.-
-SERPEVERDE!-
-Hasdown, Lisa.-
-TASSOROSSO!-
-Beckendorf, Frederick.-
-GRIFONDORO.-
Vennero smistati altri cinque alunni. Booman e Ringström in Grifondoro; Green e Jordan in Tassorosso e Wallin in Corvonero.
Poi, la McGranitt disse.
-Walker, Gaia.-
Vicino a lei, Gaia si irrigidì tanto che lei dovette darle uno spintone per farla andare avanti. Il cappello le aveva appena sfiorato la testa quando esclamò
-CORVONERO!-
Gaia corse tutta sorridente al suo tavolo. Poi, la professoressa si irrigidì appena.
-White, Isabel.-
Isabel indugiò un secondo prima di fare un passo avanti. Immediatamente tutte le sue certezze erano state spazzate via. Le sembrava che fosse la prima volta. Si concentrò sul ciondolo caldo al contatto con la sua pelle che le aveva regalato sua zia. Non era riuscita a lasciarlo a casa, quando lo portava le sembrava di avere la sua famiglia più vicino.
Dall'agitazione neanche si accorse che si era seduta e che aveva in testa il Cappello Parlante.
Si riscosse non appena sentì la consueta vocina nella sua testa.
Isabel White? È così che ti fai chiamare ora, Éméline? Devo dire che ti sei costruita la tua identità molto bene. L'ho detto che saresti stata un'ottima Corvonero... hai delle ottime doti.. Immagino tu non voglia andare in Serpeverde, proprio come tempo fa non ci volle andare tua fratello...
E lei di rimando pensò
No... sarebbe pericoloso...
Come darti torto... vedo che hai una missione, molto pericolosa oserei dire... perché tornare qui?
Dovevo, per aiutare Harry. E poi, qui c'è Piton. Finché c'è lui, non mi può succedere nulla.
E poi, se fossimo spariti tutti e quattro sarebbe stato un po' troppo sospetto. Ron ha un'ottima scusante, diranno che è ammalato; Hermione ha modificato la memoria ai suoi genitori in modo che non ricordassero nulla della sua esistenza e ora sono in Australia; Harry si è letteralmente dato alla macchia... non potevo correre il rischio di andare con lui, è esattamente quello che ci si aspetterebbe.
Sono pienamente d'accordo mia cara. Tuttavia, ho una domanda: se sarà necessario, come comunicherete?
Non pensavo potesse farlo, ma Silente, tra le sue ultime volontà, ha voluto che Funny venisse affidata a me. Non compare molto spesso, per lo più se ne sta per i fatti suoi, ma sono certa che Silente me l'abbia lasciata perché sapeva, o sospettava, che mi sarei separata da mio fratello. Ha detto che me la lasciava "Nel caso avessi voluto compagnia". Farà in modo che entrambi troviamo, ogni giorno, una sua piuma. Se la troviamo, vuol dire che l'altro sta bene. Se non la troviamo...
Preferiva non pensarci. Avrebbero sempre trovato la piuma, si disse, non poteva andare diversamente. Il Cappello tacque per qualche secondo.
Spero che il vostro piano funzioni, Éméline, lo spero davvero... buona fortuna, e sii prudente., le sussurrò il cappello prima di esclamare, dopo quelle che parvero essere ore
-CORVONERO!-
Gaia sorrise raggiante e fece posto alla nuova amica sulla panca vicino a lei. Isabel si tolse il cappello consegnandolo alla professoressa e le si sedette accanto sorridente.
Quando lo smistamento finì, sul tavolo comparve ogni tipo di pietanza, come di consueto.
Durante la cena Isabel fece amicizia con un ragazzo rosso con gli occhi grigi di nome Ingmar Lee. Era un purosangue e aveva un fratello minore, Magnus, che sarebbe arrivato ad Hogwarts l'anno dopo. Chiacchierarono per tutta la cena del più e del meno.
Appena i dolci scomparvero, lasciando posto solo ai piatti sporchi, la McGonagall si alzò dicendo semplicemente:
-È ora di andare a dormire. I prefetti accompagnino i loro compagni nelle rispettive case.-
Tutta la scuola si alzò e Isabel vide tutti i suoi amici: Ginny, Neville, Seamus, Dean e Parvati stavano tornando nella Torre di Grifondoro. Isabel avrebbe tanto voluto andare da loro, ma sapeva di non poterlo fare.
Si inciampò ma una mano la prese appena in tempo.
-Fa attenzione, non penso che il pavimento sia molto buono, sai?- le disse dolcemente Luna.
-Scusami.- sussurrò Isabel guardandola con apprensione.
-Non ti preoccupare. Venite voi tre, Ingmar e Gaia, affrettatevi. Non vorrete rimanere indietro vero?- disse sorridendo e accompagnando i tre davanti alla loro Sala Comune.
-Per entrare bisogna rispondere alla domanda che pone la porta. Ora vi faccio vedere.-
Luna bussò e la Porta parlò.
-Viene prima il fuoco o la fenice?-
Luna ci pensò un po'.
-Non penso ci sia inizio in un cerchio...-
-Ben detto!-
Quando entrarono, rimasero a bocca aperta.
Davanti a loro, la Sala Comune di Corvonero si manifestava in tutta la sua bellezza: i pavimenti erano in legno bianco mentre le pareti di una calda tonalità di azzurro a metà tra il celeste e il blu notte. Al centro della stanza, una riproduzione del mappamondo che vi era sulla torre di astronomia spuntava dal pavimento. Grandi finestre alte diversi metri costeggiavano i muri della stanza. Il soffitto, incantato come quello della Sala Grande, illustrava in modo chiaro le costellazioni e il cielo notturno. Isabel si guardò intorno: un po' ovunque vi erano divani e poltrone blu notte. Sulla sua destra, un camino bianco era sormontato da un dipinto che ritraeva la costellazione dell'Orsa Maggiore.
-Wow.- sussurrò Gaia.
Luna sorrise osservandole.
-Se vi piace qui, aspettate di vedere il resto.- disse dolcemente guidandoli verso il fondo della sala che si apriva in un semicerchio vincevo contenente una piccola libreria che faceva da sfondo alla statua di Corinna Corvonero, di fianco alla quale si apriva una porta di legno non troppo grossa che, attraverso una scala, portava ad un'altra stanza. I tre ragazzini si guardarono meravigliati mentre salivano i pochi gradini e, se prima erano rimasti meravigliati, alla vista di ciò che gli si apriva davanti rimasero talmente estasiati da credere di essere appena arrivati nel loro paradiso personale. O almeno, questo era ciò che credeva Isabel.
La seconda stanza, che probabilmente rappresentava il centro della vita tra i Corvonero, era una biblioteca. Ma non una biblioteca normale come quella della scuola, molto più grande e spaziosa: le scaffalature erano bianche e ovunque vi erano tavoli e sedie che non attendevano altro che qualche studente avesse bisogno di loro. Delle scale pendevano vicino agli scaffali per permettere a tutti di arrivare ai libri posti più in alto. La stanza si inalzava per diversi metri e, lungo le pareti, tue enormi scale portavano ai dormitori.
-Oh mio Dio.- disse Ingmar.
Luna sorrise nel guardare le facce esterrefatte dei tre giovani Corvonero.
-Sono felice che la nostra sala comune vi piaccia. Se mai avrete bisogno di aiuto per i compiti, vi basterà aprire uno di questi libri. Ce ne sono a migliaia, di qualsiasi argomento. Ma per ora, limitatevi ad andare a dormire. Le scale a destra portano al dormitorio dei ragazzi, quelle a sinistra delle ragazze. Per quanto riguarda i bagni, quella porta per le ragazze, quella per i ragazzi.- disse con un sorriso indicando due porte chiuse ai due lati della stanza, dietro alle librerie. -Buonanotte.-
E, salutandoli velocemente con la mano, si incamminò su per la scala di sinistra.
Gaia, Isabel e Ingmar rimasero lì, i nasi all'insù, ad osservare il soffitto incantato. Quello era il posto ideale, si disse Isabel, per avviare delle ricerche di qualsiasi genere. Faceva decisamente al caso suo.
-Beh, io vado a vedere la mia camera. Ci vediamo domani?- chiese Ingmar guardandole un po' imbarazzato.
-Certo che sì! Oh, non vedo l'ora di vedere come sarà il mio letto. E le nostre compagne di stanza? Oh, sarà magnifico! A domani Ingmar.- disse saltellando Gaia, poi afferro Isabel per un braccio, -Viene, Isa, muoviti!-
Isabel salutò in fretta Ingmar con la mano e poi ognuno si diresse su per la propria scalinata. Davanti alle varie porte vi era il nome delle o degli occupanti. Isabel e Gaia non dovettero salire molto prima di trovare la loro porta. Dopotutto, erano al primo anno. Aprirono la prima porta e si ritrovarono in un'altra stanza circolare. Incastonati nei muri, cinque letti con dei soffici piumoni blu scuro erano sormontati da cinque finestre e cinque paia di tende. Accanto ad ogni cuscino, una scrivania in legno era sormontata da una piccola libreria. Al contrario, vicino ai piedi dei letti vi erano un armadio e una cassettiera. Al centro della stanza, un braciere caldo riscaldava l'ambiente. Isabel si avvicinò al letto ai cui piedi vi era il suo baule. Sulla sua scrivania, Brooke la guardava incuriosito.
-Ora ti lascio andare, non temere.- sussurrò piano, per non svegliata la bambina che già dormiva nel letto accanto al suo, a giudicare dal baldacchino chiuso. Aprì delicatamente la finestra e poi aprì la gabbia. Brooke uscì fuori, scomparendo nella notte.

 

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Capitolo 14
*** Elena Corvonero ***


-Ma ci pensate? Sono già passati tutti questi mesi! Tra sette settimane e quattro giorni abbiamo gli esami!- disse Gaia mentre raggiungevano in fretta e furia l'aula di Babbanologia insieme a Ingmar.
Fare aspettare la professoressa Carrow e farsi uccidere con la maledizione Cruciatus era più o meno la stessa cosa. Quella tipa incuteva timore.
Per non parlare del fratello!
Insegnava Arti Oscure e a quelli dell'ultimo anno erano state fatte imparare le maledizioni Imperius e Cruciatus. E la parte peggiore era che si esercitavano su quelli del primo anno. Madama Pomfrey aveva curato loro i lividi e tutto il resto ma il dolore non passava comunque.
Isabel non avrebbe mai dimenticato gli occhi di Malfoy che la torturavano.
Neville si era rifiutato e il giorno dopo non si era fatto vedere. A dire il vero, erano sei giorni che nessuno lo vedeva in giro.
In quel periodo la ragazza aveva portato avanti le sue ricerche. Aveva mandato una lettera a Harry tramite Funny per scoprire che cosa avevano fatto. Lui le aveva detto che gli horcrux che aveva trovato erano due: il medaglione di Serpeverde e la coppa di Tassorosso. Quindi, aggiungendoli al diario di Tom Riddle e all'anello dei Gaunt, faceva quattro. Poi c'era Nagini, il serpente. Harry sospettava fosse il quinto horcrux ma non potevano esserne sicuri. Poi c'erano i due fratelli. E ne mancava uno. Pensando a tutti gli horcrux la ragazza era arrivata alla conclusione che dovesse appartenere a Corvonero. Doveva essere un oggetto piccolo da nascondere, che non si sarebbe trovato facilmente e soprattutto che nessuno avrebbe cercato. Dopo diverse settimane passate a pensarci, ad Isabel era caduto l'occhio sulla statua di Corinna Corvonero nella sua sala comune. Avvicinandosi, in testa alla statua aveva visto un diadema e si era illuminata: era piccolo, facile da nascondere e nessuno lo aveva mai cercato visto che era "scomparso da secoli".
Ma come lo trovo?, si era chiesta Isabel.
E poi, l'idea: se quello apparteneva a Corinna Corvonero, allora doveva parlare con qualcuno che l'aveva conosciuta. E chi meglio di Elena Corvonero, fantasma della casa e la sua stessa figlia?
Così aveva deciso: tempo un paio di giorni per capire dove e quando; poi sarebbe andata da lei a parlarle.
-Cinque lettere!- disse Ingmar rispondendo a qualcosa che aveva detto Gaia ma che Isabel non aveva ascoltato, -Nelle ultime due settimane, mio fratello mi ha spedito cinque dannate lettere! Considerando che ha nove anni, si direbbe che ha altro a cui pensare. E invece mi scrive che hanno tagliato le unghie di Chuck!-
-Chuck?- chiese Isabel. Ingmar scosse la testa.
-Il nostro cane. Questa estate vi mando una sua foto.-
-Hai un cane? Figo!- disse Gaia, -È tutta la vita che cerco di convincere i miei a prenderne uno, ma loro mi hanno permesso di tenere solo quattro tartarughine.-
Continuarono a chiacchierare di Chuck, del fratello del bambino, delle quattro tartarughe di Gaia.
-Tutto bene, Isa? Sei più silenziosa del solito.- chiese Gaia dopo un po' voltandosi verso l'amica.
-Sì, non preoccuparti. Solo una cosa: questa sera non aspettatemi, devo fare una cosa.-
-Che cosa?- chiese Ingmar.
-Volevo chiedere alla McGonagall di spiegarmi una trasfigurazione del secondo anno, voglio anticipare il più possibile i G.U.F.O.-
-Tu sei matta.- rispose Ingmar scoppiando a ridere. La sua risata era altamente contagiosa, così in breve tempo si trovarono tutti e tre a ridere.
Manca poco, si disse Isabel, manca poco e dovrò dire loro addio.

***

Era sera e Isabel aveva appena finito di abbuffarsi di torta salata e budino in Sala Grande. Stava uscendo dalla stanza insieme ai suoi compagni Corvonero.
-Voi andate, io vado a fare quello allora.- disse ai suoi due amici.
-Va bene, ma fa attenzione a non farti beccare. Se i Carrow ti beccano non ti si rivede più.- la mise in guardia Gaia.
Isabel annuì. Aspettò che i due si allontanarono e si diresse nel cortile. Quel luogo piaceva molto a Elena, lo trovava rilassante. Anche a lei era sempre piaciuto, anche se il suo posto preferito era la Torre di Astronomia. Camminò il più piano possibile fino a quando davanti a lei non scorse l'edera rampicante sui portici che circondavano il cortile di Hogwarts. In centro, una figura argentata guardava le stelle.
Isabel le si avvicinò.
-Elena?- sussurrò. Il fantasma si girò a guardarla. In qualche occasione avevano parlato e si erano trovate molto in sintonia.
-Isabel White. Che cosa ci fai qui a quest'ora? È molto tardi.-
-Dovevo parlarti.-
Il volto della giovane assunse un'espressione confusa.
-Abbiamo parlato tante volte Isabel, perché proprio ora? Se ti dovessero trovare...-
-Lo so, ma ho bisogno di parlare con te lontano da orecchie indiscrete. Qui nessuno deve sapere nulla. Tu sai quale è il mio segreto?-
-Di quale dei tanti segreti che porti nel tuo cuore parli?-
Isabel la osservò, lasciando scorrere lo sguardo sulle iridi scure della donna, sui suoi zigomi alti, sulle labbra sottili e aggraziate.
-Quanti segreti sai di me?-
Elena sorrise, cosa alquanto rara.
-Vivi al castello da anni. Sei famosa tra i fantasmi quanto tra gli umani. È normale che tu abbia destato la mia curiosità.- disse in un sussurro appena percettibile guardandosi intorno.
-Come lo hai scoperto?- chiese Isabel sedendosi per terra, tra le siepi, così da non essere vista nel malaugurato caso in cui qualcuno di poco amico fosse passato di lì.
-Amo intrattenermi in conversazioni con gli interlocutori più improbabili... il Cappello Parlante ed io abbiamo stretto una lunga amicizia intellettuale, se così la si può chiamare. In ogni caso, non ne sono stata davvero sicura fino a questa sera. Mi aveva accennato che c'era qualcosa di, in qualche modo, speciale in te. Alcuni tuoi comportamenti non sono cambiati. Prima studiavi in biblioteca, ora nella nostra sala comune. Ma non sono tanti gli studenti che sottolineano i libri tenendo la lingua fuori e tre matite in una mano.- disse con un lieve sorriso facendo arrossire Isabel, -Comunque sia, perché mi cercavi?-
-Dovevo assolutamente chiederti una cosa: molti anni fa, suppongo che un ragazzo sia venuto qui proprio come me e ti abbia chiesto l'ubicazione esatta del Diadema di tua madre.-
La figura trasparente di Elena Corvonero si irrigidì, per quando un fantasma potesse farlo.
La sua espressione era furente e quando parlò, non usò il suo solito tono pacato, bensì uno che faceva intuire che fosse fuori di se.
-Come osi venire da me a chiedere una cosa simile? Ovviamente, Tom Riddle venne da me. Io come una sciocca risposi disonorando il nome stesso della nobile famiglia a cui appartengo. Lui lo ha profanato.-
-Lo so, Elena, e proprio per questo sono qui ora. Io voglio, devo, distruggerlo. Tu non vuoi che lui vinca vero?-
-Chi dotato di senno lo vorrebbe? Ma non posso dirti dove si trova.-
-Ti prego Elena. L'unico modo che ho per farla finita è trovarlo. Io devo farlo. Se non lo farò, perderemo la guerra. E allora avrai davvero disonorato il nome della tua famiglia. Tu sei saggia, come lo era tua madre. Hai sbagliato una volta e non sbaglierai di nuovo. Permettimi di fare la cosa giusta, Elena.-
Elena rimase ferma a fissarla e, a poco a poco, il suo sguardo si addolcì.
-Un po' tu me lo ricordo sai? In un certo gli somigli... ma va bene. Se davvero vuoi il diadema, allora di darò un indizio. Una frase, una sola: se lo chiedi, non lo saprai mai; ma se lo sai, devi solo chiedere.-
Isabel era congelata. Rimase in silenzio per qualche secondo prima di scattare come una molla.
-Grazie Elena, grazie mille!-
E corse su per le scale, diretta alla Stanza delle Necessità. Doveva essere lì, non c'era altro posto. Dov'era che chiunque si sentiva sicuro di abbandonare qualcosa, di dimenticarlo?Sfortunatamente, non sapeva ancora che cosa la attendeva. Infatti, appena arrivata nell'ala est del sesto piano, il quale forniva un accesso rapido al settimo e alla stanza, andò a sbattere contro qualche cosa. O meglio, qualcuno.
Qualcuno che puzzava di sigaro e idromele e che, mentre Isabel cadeva rovinosamente a terra, per poco non cadde dalle scale.
-Molto bene... chi abbiamo qui? Signorina White, da una Corvonero ci si aspetterebbe un comportamento più saggio. Andiamo dal preside, sono certa che sarà entusiasta di sapere come mai era fuori dal letto a quest'ora di notte.-
Isabel alzò lo sguardo e quello che si ritrovò davanti la fece rabbrividire. Alecto Carrow la fissava dall'alto. La donna la prese per la divisa e la tirò in piedi, poi abbassò gli occhi su qualche cosa che era caduta lì per terra.
-E questo cos'è? Che collana graziosa. Seguimi, ora.-
Isabel si sentì gelare il sangue nelle vene.
Il medaglione di sua zia.
Se lo avesse aperto, sarebbe stata scoperta e sarebbe stata la sua fine. Si incamminarono verso l'ufficio del Preside. Alecto l'aveva presa per la divisa, appena sotto al cappuccio, e la trascinava come un animale. Quando entrarono nella stanza, Isabel notò che Piton non aveva apportato modifiche.
Alla scrivania, il preside stava parlando con Amycus Carrow. Appena la porta si era aperta, entrambi avevano guardato chi aveva interrotto il loro incontro.
-Alecto!- disse Amycus sorpreso. Poi vide la ragazza che portava la sorella.
-White? Sei proprio una stupida.- disse poi ridendo.
Isabel evitò il suo sguardo, terrorizzata.
C'era Piton, vero, ma non sapeva nulla e non poteva certo aiutarla. Inoltre, la donna aveva ancora la collana. Venne portata davanti alla scrivania del Preside e per una frazione di secondo i due si scrutarono. Poi, Isabel abbassò gli occhi.
-Bene, signorina White, immagino lei sappia che non le è permesso girovagare nei corridoio dopo il coprifuoco. Immagino anche lei sia stata avvertita che le conseguenze per ogni mancato rispetto delle norme della scuola saranno severamente punite dai nostri responsabili della disciplina. Cos'è quello?- domandò osservando la mano di Alecto.
La donna alzò le spalle.
-È caduto alla ragazza quando l'ho trovata. Perché?-
-Dammelo.- ordinò, e dalla voce solitamente apatica trapelarono lievemente rabbia e incredulità.
I Carrow non diedero segno di averlo notato.
Non appena Severus Piton prese tra le mani l'oggetto, cominciò ad esaminarlo con attenzione.
Il cuore di Isabel le martellava contro il petto.
-Questo è tuo?- chiese sgarbatamente guardando la giovane che, pietrificata dallo sguardo freddo che le aveva rivolto l'uomo non mosse un muscolo.
-Il preside ti ha fatto una domanda, non rispondi? Doppia punizione per te, va bene.- disse perfido Amycus.
-Sì, le è caduto prima, come ho già detto.- rispose annoiata Alecto assaporando le punizioni che presto avrebbero dovuto sopportare le povere membra della fanciulla.
Piton non disse nulla. Rimase fermo ad osservare la bambina.
-La punisco io, questa volta.- disse poi, freddo come al solito, lasciando che il medaglione scivolasse nella sua tasca.
-Cosa?! Severus, noi siamo...-
-I responsabili della disciplina, lo so. E io il preside. Fino a prova contraria, voi fate quello che dico io. E io vi dico che conosco i modi più adeguati per punire una giovane strega. Saranno all'altezza delle vostre, non temete- disse.
-Voi due rimanete qui, avete di cosa discutere. White, tu vieni con me. Questa volta lasciate a me le punizioni Carrow, tenetevene fuori. Tu, muoviti.- ribadì.
Detto ciò uscì dall'ufficio e si diresse verso il settimo piano con la giovane ragazza alle calcagna. Arrivati davanti alla parete di pietra, entrarono nella stanza delle Necessità.
All'interno, c'erano un divanetto blu e delle poltrone beige con al centro un tavolino e un camino attaccato alla parete.
Piton aspettò che Isabel entrasse prima di chiudere la porta e vederla scomparire. Si girò e, con voce piatta, disse:
-Dove l'hai presa?-
-È solo un ciondolo, niente di più.-
-Non ti ho chiesto che cos'è, lo so benissimo da me visto che l'ho fatto fare io. Ti ho chiesto come lo hai avuto. E rispondi alla domanda.-
Isabel trasse un respiro profondo.
-C'è qualcuno che qui può sentirci? O scoprire che cosa facciamo o diciamo qui dentro?-
Piton la guardò interrogativo.
-No.-
-Bene. E rilassati, per favore.-
-Come osi dammi del tu? Sono un tuo superiore White.-
-Lo so, speravo solo di poter saltare alcuni convenevoli.-
L'uomo non sembrò comprendere all'inizio.
Isabel sorrise quando, qualche secondo dopo, vide Piton alzare la testa e cominciare a capire, e sciolse la trasformazione.
I lunghi riccioli rossi scuro le scivolarono dolcemente sulle spalle, gli occhi tornarono verde smeraldo e sulla sua fronte le ricomparve una piccola cicatrice a forma di saetta. Prese la bacchetta di Salice e la puntò contro i vestiti che indossava mormorando un leggero engorgio per allentarli. Si sentiva soffocare.
Piton probabilmente stava soffocando davvero.
-Mi prendi in giro?-
Lei scosse la testa.
-Éméline, sei completamente uscita di senno?! Questo castello brulica di Mangiamorte e tu, tu, vai in giro come se nulla fosse? Darebbero la loro vita pur di consegnarti al Signore Oscuro e tu vai dritta da loro?!- chiese scioccato in un sussurro.
Gli occhi di Piton osservavano avidi i tratti della ragazza. Per quanto non volesse ammetterlo, non vederla più in giro nei corridoi o alle lezioni lo aveva turbato molto. Gli mancava la presenza della figlioccia.
-Lo so. Ma dovevo tornare. L'unico modo per ucciderlo è distruggere tutti gli Horcrux che ha creato. Sono otto. E uno è qui, ad Hogwarts. Ero sicura fosse il Diadema perduto di Corinna Corvonero, per questo oggi non ero in dormitorio. Ero andata da Elena Corvonero, la Dama Grigia. Lei mi ha detto che il diadema era nella stanza delle Necessità e quando la Carrow mi ha trovata stavo correndo qui.-
Piton si lasciò cadere su una poltrona e fece segno ad Éméline di sedersi. Lei andò sul divano.
-E quindi sei tornata qui mentre tuo fratello è lì fuori a cercare quelli che mancano. Giusto?- disse sconsolato.
-Esatto. Io... volevo che lo sapessi. Quando Harry, Ron e Hermione arriveranno avranno bisogno di me per entrare ad Hogwarts. E, beh.. credevo giusto dirtelo, visto che tu a me hai detto tutto.-
Severus Piton sorrise.
-Chi altro lo sa? Oltre a tuo fratello e agli altri due.-
-La McGonagall, dopo che ci hanno attaccati al matrimonio di Bill e Fleur, sono andata da lei. Sono rimasta lì fino al primo settembre.-
-Bene, ne sono felice.- fece una piccola pausa in cui si soffermò a guardare il volto leggermente contratto della ragazza, gli occhi che non riuscivano a stare fermi, le mani che tamburellavano sulla ginocchia accavallate e i muscoli in tensione. -Come ti senti, Éméline?-
Éméline aveva tanto temuto quella domanda. Per mesi aveva ricacciato in fondo alla sua mente tutte le preoccupazioni che l'attanagliavano ogni volta che tentava di coricarsi. Erano mesi che non dormiva una notte serena, priva di incubi o di risvegli notturni.
Era terribilmente preoccupata per suo fratello, e in più aveva paura che qualcuno la scoprisse. Era spaventata che potesse succedere qualche cosa ai Weasley, oppure a Remus e Tonks o a qualunque altro membro dell'Ordine della Fenice.
Per di più, Funny quella mattina non aveva deposto alcuna piuma sul suo cuscino, e ciò significava che il fratello era in pericolo.
Aveva temuto quella domanda perché sapeva che, dopo aver nascosto così tanto quelle emozioni, se fosse tornata in sé non sarebbe riuscita a controllarsi. Non rispose subito.
-Io...- ma strinse le labbra. Non voleva piangere e al tempo stesso lo desiderava ardentemente. Voleva sfogarsi, ma si sarebbe mostrata debole. Piton la guardò e poi, cautamente, si sedette accanto a lei.
-Nessuno è immune alla paura, Éméline. Neanche tu. Solo uno sciocco in una situazione così non sarebbe terrorizzato. Non devi vergognarti di ammetterlo. Ma, per quanto possa aiutarti come cosa, Harry sta bene. Era a Villa Malfoy, ma è scappato e ora è al sicuro. Sicuramente in una casa di uno dell'Ordine, sotto Incanto Fidelius. Per lui non ti preoccupare, lo sto tenendo d'occhio.-
Éméline alzò lo sguardo su di lui con gli occhi lucidi. Lo stava facendo davvero?
Quella notizia le sciolse un macigno che le si era formato nel petto quella mattina e che, ogni minuto che passava, non aveva fatto altro che rafforzarsi. Una lacrima solitaria le rigò la guancia sinistra mentre si gettava tra le braccia del padrino abbracciandolo.
Piton la strinse in un abbraccio caldo, in cui lei riuscì finalmente a lasciarsi andare e a sentirsi al sicuro.
-Ti voglio bene.-
-Ti voglio bene anche io, Éméline.-
Pianse tutte le sue lacrime mentre il padrino le accarezzava i capelli, fino a quando non si addormentò. E anche quando finalmente riuscì ad abbandonarsi ad un sonno animato da incubi, Severus Piton continuò a stringerla a sé come avrebbe dovuto fare già innumerevoli volte in passato.
Rimase così per delle ore, cercando di calmare il sonno agitato della ragazza fino a quando, alla fine, non riuscì a scacciare anche l'ultimo mostro che infestava il suo sogno.

 

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Capitolo 15
*** Ricongiungimento ***


La mattina dopo, Isabel si svegliò con qualcuno che la scuoteva energicamente.
Ma cosa... penso Isabel, accorgendosi di essere di nuovo tornata la ragazza del primo anno.
Aprì piano gli occhi.
Gaia era sopra di lei e la chiamava a gran voce.
-Isabel! I Carrow ti cercano, alcuni Corvonero hanno sentito che vogliono darti una lezione come si deve! Dobbiamo nasconderti subito!!- stava urlando.
Isabel si tirò su di corsa. I Carrow la cercavano? Cosa diamine volevano ancora da lei? Ma soprattutto: che cosa ci faceva Gaia sopra di lei, e come diamine era arrivata nella sua camera?
Un biglietto le cascò di dosso.
Lo prese, stupita, e lo aprì: era una lettera di Piton.

Quando ti sveglierai me ne sarò già andato. Ti sei addormentata mentre ti abbracciavo sta notte e verso le quattro ti ho fatto un'incantesimo per farti tornare Isabel White. Ti ho portata io nel tuo letto, nella Torre di Corvonero.
Ho trovato quel luogo affascinante, lo trovo adatto a te.
In ogni caso, ieri non ho avuto occasione di dirti tutto quello che volevo. So che quando Harry arriverà scoppierà una guerra, e allora ci dovremo schierare. Io devo portare avanti la mia copertura fino alla fine per essere sicuro di salvarvi. So per certo che non ho possibilità di uscire vivo da questa battaglia, Voldemort mi ucciderà. Per questa ragione, ti chiedo di non provare a salvarmi quando arriverà il momento. So che ti chiedo tanto, Éméline, ma è fondamentale per la vostra riuscita che io muoia. Non preoccuparti per me, morirò con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che era in mio potere per salvarvi, e non chiederei altro.
Non ho potuto salvare tua madre, e non ho potuto crescerti e darti la felicità che ti spettava di diritto. Per questa ragione, ho fatto tutto ciò che potevo per darti la possibilità di sopravvivere e di vivere una vita felice.
Mentre ti scrivo questa lettera stai dormendo. Ti sei agitata per delle ore, ma adesso sorridi. Non so che cosa tu stia sognando, sei una brava occlumante. Sono molto orgoglioso di te, di tutti i progressi che hai fatto e che farai. Il medaglione è di nuovo al tuo collo, dove è giusto che stia. Per tutto il tempo che passerai qui, ti coprirò. Nessuno scoprirà chi sei.
Fa attenzione. Ti voglio bene,
SP.

Isabel sorrise. L'affetto per quell'uomo tanto odiato le scaldava il cuore.
-Isabel!- disse nuovamente Gaia.
-Arrivo, muoviamoci.- si alzò, accorgendosi solo in quel momento di indossare ancora la divisa, e si infilò la lettera in tasca. -Cercano me, so dove nascondermi. Tu devi restare qui, con Ingmar e tutti gli altri.-
Gaia rise, incredula.
-Stai scherzando, vero? Non posso rimanere qui mentre quel due pazzi cercano in tutti in modi di prenderti, Isa! Io vengo con te. Se restassi qui, oltretutto, se la prenderebbero con me. Penserebbero che so dove ti trovi. Probabilmente faranno solo qualche domanda a Ingmar, ma per il resto lo lasceranno in pace. Siamo io e te che giriamo sempre insieme, non puoi andartene e lasciarmi qui.- disse guardandola supplichevole.
Gaia aveva indubbiamente ragione. Erano amiche, e i Carrow certamente si erano accorti dell'affetto tra le due giovani ragazze. Isabel annuì.
-D'accordo. Ora, ascoltami: so come farci uscire di qui. Ma mi devi giurare che non mi chiederai come ho imparato questo incantesimo, sarebbe troppo lungo da spiegare. Promesso?-
-Promesso. Ma dove andremo?-
-Stanza delle Necessità. Aspetta.-
Puntò la bacchetta verso l'amica e disse.
-Desilludo.-
-Stanza delle cosa? E che hai fatto??-
-Aspetta, ora lo faccio anche a me e vedrai. Hai tutto quello che ci può servire?-
Gaia si osservò un secondo intorno: vestiti, spazzolini da denti, i libri scolastici...
-Si.-
-Ottimo.-
Puntò la bacchetta su se stessa e disse di nuovo:
-Desilludo.- il suo corpo si mimetizzò immediatamente con l'ambiente circostante.
Gaia la osservava a bocca aperta.
-Che cos'è?- domandò ammirata.
-Incantesimo di disillusione, ci fa diventare delle specie di camaleonti, così possiamo nasconderci alla luce del sole. Per diventare invisibili servirebbe un'incantesimo di dissimulazione ma non conosco la formula.-
-Tu sei la strega più intelligente che abbia mai conosciuto, Isabel.- disse Gaia con la bocca spalancata. Poi uscirono e corsero verso la Camera delle Necessità.
-Controlla che non arrivi nessuno.- bisbigliò Isabel all'amica che, annuendo, si mie di guardia mentre lei cominciava a camminare davanti al muro di pietra.
Mi occorre un luogo in cui nascondermi e non essere trovata dai Carrow, pensò. Camminò davanti al muro tre volte fino a quando una porta non si materializzò.
-Gaia, andiamo!- la prese per un braccio e la trascinò oltre la soglia. La porta scomparve alle loro spalle.
Davanti a loro, un cospicuo numero di ragazzi si era girato a osservarli.
Tra loro riconobbe praticamente tutti i Grifondoro di sesto e settimo anno, Luna Lovegood e altri Tassorosso e Corvonero più grandi. Non c'era neanche un Serpeverde, ovviamente.
Lei e Gaia erano le più piccole. Un ragazzo, Neville Longbottom, si avvicinò alle nuove arrivate con una grande sorriso stampato in faccia.
-Benvenute. Se siete qui, sapete già cosa fa quella stanza.- cominciò.
-In realtà lo sa solo lei, io non ci sto capendo nulla.- si intromise Gaia mentre anche l'ultimo briciolo dell'incantesimo di dissoluzione spariva. Neville ridacchiò.
-Beh, tutti noi ci troviamo nella Stanza delle Necessità. È una specie di stanza "fantasma" che compare solo nei momenti di bisogno, e solo se si chiede precisamente cosa si vuole. Può darti parecchie cose interessanti. Io sono stato il primo ad arrivare qui, poi Seamus mi ha raggiunto.- spiegò, e da dietro di lui un ragazzo, Seamus, si alzò da una branda per salutare. -Dovendo nasconderci dai Carrow non potevamo uscire, così abbiamo cominciato ad abitare qui. Abbiamo un passaggio segreto che finisce dritto ad Hogsmeade e da cui ci arriva il cibo.- qualcuno dietro di lui borbottò qualcosa di molto a simile a "cibo, se si può chiamare tale", -Dopo Seamus, diversi altri studenti hanno cominciato ad unirsi a noi. Ognuno di noi ha una sua branda, e laggiù in fondo ci sono i bagni. Se avete bisogno, basta chiedere.-
Isabel si guardò intorno. C'erano un sacco di amache e brande messe un po' dappertutto e con delle scale per raggiungerle. Inoltre, infondo alla stanza c'era un grosso quadro. In un angolo, una porta diceva "Bagni".
Al centro, davanti al quadro, c'erano dei divani e delle poltrone mentre appoggiati ai muri c'erano dei tavoli dove alcuni ragazzi studiavano (soprattutto Corvonero).
Sui divanetti riconobbe i suoi migliori amici: Luna, Ginny, Seamus, Dean e Neville erano tutti lì. Moriva dalla voglia di saltare nelle braccia di Ginny. Ma non poteva, non ancora. Mancava poco, ne era sicura.

***

Una sera, mentre mangiavano del porridge cucinato da Aberforth Silente capitarono sull'argomento "Potter".
-A Radio Potter hanno detto che Harry, Ron e Hermione sono insieme, ma di Éméline non se ne sa nulla.- disse Neville.
-Sinceramente, sono un po' preoccupata. Al matrimonio di mio fratello, quando ci hanno attaccato, Harry, Ron e Hermione si sono smaterializzati per conto loro prima di Éméline. Non so dove sia, però Fred mi ha detto che sta bene, che ha ricevuto una lettera. Ha anche detto che dopo quella lettera non si è più fatta sentire. È da agosto che non abbiamo loro notizie. A casa sono un po' tutti preoccupati per lei, chi più chi meno.- disse Ginny.
-Secondo voi torneranno ad Hogwarts?- chiese un ragazzo di Tassorosso in un sussurro.
Ginny e Luna annuirono.
-Secondo noi sì. Alla fine, Hogwarts è casa di Harry e Éméline da quando ci hanno messo piede. L'hanno sempre considerata così, visto che l'unica altra che avevano era quella degli zii, che erano cattivi con loro. Qualsiasi cosa stiano facendo, secondo me torneranno.- spiegò prevenente la Weasley.
-Beh... però sua sorella non è con lui. Voglio dire: senza offesa eh, ma senza sua sorella Harry Potter sarebbe già morto da tempo. Comunque, se non sono insieme come faranno a tornare qui, insieme?- disse Gaia, che era seduta vicino a Isabel. Se non fosse stata così impegnata a tenere segreta la sua identità, sarebbe arrossita.
-Hai ragione, io e Hermione lo diciamo sempre ma Harry si offende.- disse Ginny ridendo, e portando con se tutti gli altri. Le risate fecero loro bene. -Non so cosa abbiano intenzione di fare.- sussurrò Ginny abbassando lo sguardo, preoccupata -Spero solo che facciano attenzione.-
Luna le cinse le spalle sorridendo mesta.
-Conosciamo Harry e Éméline da anni, loro faranno attenzione. Forse rischieranno di farsi uccidere qualche volta come loro solito, ma alla fine scamperanno il pericolo e torneranno da noi, vedrai.- tentò di rassicurarla. Ginny sorrise e, poco convinta, annuì.

***

Passarono due settimane, settimane in cui, in un modo o nell'altro, si tentava di tenersi al pari con gli argomenti scolastici.
Ginny aiutava i più piccoli con i compiti di Incantesimi e Trasfigurazione, Luna con quelli di Pozioni e Arti Oscure che, insegnata da lei, era tornata ad essere prettamente Difesa contro le Arti Oscure e Neville con quelli di Erbologia e Storia della Magia. Avevano scelto di non seguire il programma di Babbanologia in quanto, in quella stanza, non c'era una singola persona che credesse che i Babbani erano inferiori ai maghi e, per questo, dovessero essere usati come schiavi.
Una sera di maggio, sdraiati sulle brande l sui divani davanti al quadro di Ariana, tutti stavano cercando di digerire la cena cucinata da Aberforth. Seamus stava per vomitare: erano giorni che non digeriva più nulla e stava collassando. Isabel non era messa molto meglio: aveva un mal di stomaco terribile. E gli altri ragazzi erano più o meno nella stessa situazione.
Ma la fame era la fame. E quello era pur sempre cibo. Isabel era sdraiata in modo scomposto sul divano di fronte al quadro, quando vide una figura avvicinarsi.
-Neville! Ariana!!- urlò, attirando l'attenzione dei compagni. Neville accorse.
-Ariana? Cosa ci fai qui?- domandò.
-Seguimi.- disse semplicemente il quadro della ragazza spostandosi per lasciar libera l'entrata al tunnel che collegava Hogwarts ad Hogsmeade.
Tutti gli altri si radunarono davanti al quadro e Ginny e Gaia si sedettero vicino a Isabel.
-Spero non sia altro cibo o starò male.- sussurrò a Ginny.
La ragazza annuì.
-Io penso che a momenti vomiterò... Seamus non sembra essere messo troppo meglio di noi.- le sussurrò Ginny in risposta. Entrambe di sporsero verso il ragazzo che, seduto per terra, si teneva le braccia intorno allo stomaco.
-Poverino.-
-Già.- convenne Ginny.
Rimasero tutti ad attendere per circa dieci minuti, poi Neville ritornò. Sembrava felice, a giudicare dal sorriso che gli incorniciava il volto.
-Hey ragazzi, c'è una sorpresa!- disse appoggiandosi alla parete del tunnel.
-Spero non altro cibo cucinato da Ab, sarebbe una sorpresa se lo digerissimo.- borbottò Seamus, la faccia che tendeva al verde.
Neville ridacchiò prima di saltare giù dal quadro e lasciare che "la sorpresa" venisse avanti. O meglio, venissero.
-Harry!- urlò Dean, e Ginny scattò in piedi.
Tutti gridarono, applaudirono e fischiarono. Isabel trasse finalmente un respiro di sollievo e, alla vista del fratello, si sentì leggera. Harry era la sua famiglia, lo era sempre stata. C'erano sempre stati loro due, i gemelli, contro il mondo. Quando erano dagli zii, quando erano a scuola, contro i bulli. E poi ad Hogwarts, erano sempre stati insieme, si erano sempre appoggiati. Non si erano mai separati e ora Isabel era più che determinata a fare in modo che quel ragazzo non si allontanasse più da lei per così tanto. Quei nove mesi erano stati il colpo di grazia per Isabel. Era stata l'ennesima prova che il destino aveva messo loro davanti. E loro l'avevano superata.
Persa nei suoi pensieri, non si era neanche accorta che gli altri avevano iniziato a parlare.
-...deve essere piccolo, e facile da nascondere. Credo che possa appartenere a Corvonero.- stava dicendo Harry.
-Il diadema perduto di Corinna Corvonero è piccolo.- disse Gaia.
-Si, ma è perduto.- rispose una ragazza del terzo anno di Corvonero, una tale Beatrice Wallin.
-Che cos'è un diadema?- chiese Ron.
-È una specie di corona, tipo una tiara.- disse Isabel.
-Beh, avrò bisogno di andare nella Sala Comune di Corvonero.-
Ginny si girò verso Gaia e Isabel.
-Gaia, Isabel, vi va di accompagnarlo? Siete le più piccole qui, e siete facili da nascondere.-
Le due annuirono.
-Un'ultima cosa. Avete visto Éméline?- chiese Harry.
-Éméline?- disse Neville.
-Sì, è qui ad Hogwarts, sotto false spoglie. Credo sia una del primo anno. Era il nostro piano. Noi saremmo andati lì fuori a fare quello che dovevamo fare e lei avrebbe fatto lo stesso dal cuore di Hogwarts. Oltretutto, avevamo bisogno di qualcuno dentro la scuola se le cose si fossero messe male. È qui dentro da settembre.- spiegò Harry.
La stanza si riempì di sussurri sorpresi. Che l'avessero incontrata nei corridoi?
Forse era stata una di quelle che aveva dovuto sorbirsi la maledizione Cruciatus... questo era meglio non dirlo ad Harry però.
-Andiamo, ti portiamo nella Torre di Corvonero. Come facciamo a non farci vedere? Isa, forse tu puoi rifare quell'incantesimo....- disse Gaia.
-A questo ci penso io.- la interruppe Harry, salvando senza saperlo l'identità segreta della sorella, che avrebbe poi dovuto spiegare come faceva a conoscere un'incantesimo di disillusione, che si impara al sesto anno.
Uscirono e Harry tirò fuori il Mantello dell'Invisibilità.
-Wow!- sussurrò Gaia. Harry lo mise su tutti e tre.
-Siamo al quinto piano, vieni dobbiamo andare a destra.- disse Isabel guardandosi intorno dopo essere usciti dal loro nascondiglio. Qualche minuto dopo arrivarono ai piedi di una lunga scala a chiocciola.
-Saliamo.-
Arrivati in cima, si trovarono davanti al classico batacchio di bronzo della casa di Corvonero.
Isabel bussò, e la porta parlò.
-Di cosa tratta la legge di Gamp?- domandò.
Isabel ovviamente conosceva la domanda, e forse avrebbe potuto far intuire a Harry la sua verità identità.
-Della Trasfigurazione degli Elementi.-
-Esatto, entrate pure.- rispose il batacchio di bronzo aprendosi.
Quando entrarono, Harry rimase meravigliato guardando la bellezza di quella stanza.
Si avvicinarono alla statua di Corinna Corvonero e la osservarono più da vicino.
Il volto della donna era rigido ed austero e guardava con sguardo attento su tutta la Sala.
Deve essere uno stimolo alle giovani menti, pensò Harry.
Sopra ai lunghi capelli raccolti in una elegante crocca sulla nuca, vi era una specie di tiara, molto simile a quella indossata da Fleur al suo matrimonio. Sopra, vi erano incise delle parole.
Il giovane scivolò fuori dal mantello e salì sul piedistallo per osservare più da vicino la scritta presente sul diadema.
-'Un ingegno smisurato per il mago è dono grato'.-
-E tu, razza di idiota, ne sei proprio privo.- disse una voce stridula.
Isabel e Gaia trattennero il fiato mentre Harry si voltava di scatto scivolando giù dal piedistallo sul pavimento.
La figura ingobbita di Alecto Carrow era in piedi davanti a lui e, nel momento in cui Harry alzò la bacchetta, la strega premette il tozzo indice sul teschio col serpente marchiato sul suo avambraccio.
In quell'istante, la cicatrice del ragazzo andò a fuoco e sebbene Isabel non avesse nulla in fronte e fosse una brava occlumante, riuscì a stento a rimanere in piedi. Vide il fratello accasciarsi a terra e in un rapido movimento, senza farsi vedere da Gaia, estrasse la bacchetta e la puntò verso Alecto, nascondendola alla vista dell'amica. Poi scagliò un incantesimo non verbale e quando l'incantesimo colpì la donna vi fu un lampo rosso.
Poi, Alecto Carrow cadde per terra e non si mosse più.
-O mio dio. È morta?- chiese Gaia.
-Non penso, ho letto che il colore della maledizione mortale è verde, quello era rosso.-
-Ma chi lo ha scagliato?- chiese di nuovo.
-Forse lui?-
Dal piano di sopra sentirono scendere tante paia di piedi, e capirono che i ragazzi si erano svegliati.
Harry si era ripreso.
-Isabel, Gaia, dove siete? Devo nascondermi.-
Le due si avvicinarono al ragazzo e lo nascosero. Lui era ancora seduto per terra e guardò Isabel con vago interesse. Riuscì a stento a trattenere il sollievo e la sorpresa quando sulla fronte della ragazzina vide la piccola cicatrice che caratterizzava i due gemelli. Sorrise sollevato prima di tirarsi in piedi e mettersi dietro alla sorella.
Intanto, dalle scale scesero diversi ragazzi, in camicie da notte e pigiami. Strilli acuti seguirono la sorpresa del ritrovamento della Mangiamorte. Un ragazzo coraggioso, che le due Corvonero riconobbero come il loro amico Ingmar, si fece avanti e la toccò.
-Forse è morta!- gridò felice.
Poi, qualcuno bussò alla porta e i Corvonero si ritrassero spaventati.
-Dove vanno a finire gli oggetti che Evanescono?- chiese con voce melodica la porta.
-Non lo so e non mi interessa. ALECTO! Se arriva e non li abbiamo, facciamo la fine dei Malfoy! Apri!- ma nessuno aprì la porta. Poi, un'altra voce, molto più famigliare e amata, risuonò dall'altra parte.
-Posso chiederle che cosa pensa di fare, professore? Vuole svegliare tutto il castello?- chiese Minerva McGonagall.
-Sto cercando di aprire questa maledetta porta. Chiami Flitwick! Deve aprirla subito!-
-Mi scusi, ma il professore non ha fatto aprire questa porta proprio su sua richiesta poco fa? Dovrebbe esserci sua sorella lì dentro, forse può aprirci lei.- disse severa la McGonagall.
-Non risponde, vecchia campana suonata! La apra, adesso!- urlò l'uomo.
-Se è questo quello che desidera.- disse la donna con estremo distacco, non curandosi dell'insulto appena ricevuto.
La porta parlò non appena la strega bussò.
-Dove vanno a finire gli oggetti che Evanescono?-
-Nel non-essere, ovvero nel tutto.- rispose calma. La porta si aprì lasciando libero accesso ai due. I pochi Corvonero rimasti si precipitarono nella grande biblioteca nascondendosi poi nei loro dormitori. Appena Amycus vide la sorella, urlò di rabbia e terrore.
-Che cosa è successo? Cosa diamine è successo?! Cosa dirà il Signore Oscuro? Non l'abbiamo preso e lei ci è rimasta secca!-
-È solo schiantata, si rimetterà in fretta.- osservò la donna spazientita esaminando il corpo inerme di Alecto.
-Col cavolo! Non dopo che si trova di fronte al Signore Oscuro! Lei lo ha chiamato, ho sentito il marchio che bruciava. Lui pensa che abbiamo i Potter!- strillò in risposta l'altro.
-'Abbiamo i Potter'? Cosa significa 'abbiamo i Potter'?- disse la McGonagall irrigidendosi appena. La donna passò lo sguardo su tutta la stanza. Sospettava forse che i gemelli si trovassero in quella stanza?
-Lui ci ha avvertito dicendo che forse quei due tentavano di entrare nella Torre di Corvonero, ma non so perché. E poi ha detto di avvisare se lo prendevamo.-
-Perché mai Éméline e Harry Potter dovremmo venire qui?! Loro appartengono alla mia casa!- disse, e nella voce, nascosto dall'incredulità e dalla rabbia, era chiaramente riconoscibile dell'orgoglio.
Amycus alzò le spalle.
-Ai ragazzi diamo la colpa. Si, facciamo così: diciamo che l'hanno costretta a chiamarlo e poi l'hanno schiantata. Tanto, due mocciosi in più o in meno che differenza fa?- disse, improvvisamente rilassato.
Minerva McGonagall aveva una faccia che faceva paura. Improvvisamente, era diventata bianca come la neve.
-Che differenza fa? CHE DIFFERENZA FA?! La differenza tra la verità e la menzogna, tra il coraggio e la codardia. In breve, qualcosa che lei e sua sorella non siete in grado di concepire. Ma io non le permetterò di rovinare questa scuola più di quanto non abbia già fatto!- sibilò, fuori di sé.
L'uomo si alzò e si avvicinò alla professoressa, così vicino che avrebbe potuto contarle tranquillamente le ciglia, se avesse avuto abbastanza cervello per fare una cosa tanto complicata. Quel tipo era più stupido dei Dursley messi insieme.
-A me non me ne frega niente di quello che dice lei, Minerva McGonagall. I suoi tempi sono finiti, ora i capi siamo noi e o fa quello che diciamo o la pagherà cara.-
Poi le sputò in faccia.
Isabel vide Harry fare uno scatto avanti, alzare la bacchetta e dire, molto tranquillamente
-Questo non lo dovevi fare.-
Un'attimo dopo, il Mangiamorte si stava contorcendo in preda ai dolori della maledizione Cruciatus.
-Sai, ora capisco cosa intendeva Bellatrix. Lo devi proprio volere.- disse a denti stretti, il sangue che pulsava nelle tempie.
-Potter!- sussurrò sconvolta la professoressa.
-Le ha sputato in faccia.-
-Oh, beh.. è molto... molto... cavalleresco da parte tua ma... Potter è una follia!-
Isabel si tolse il mantello rivelando lei e Gaia.
-White, Walker! Che cosa state facendo? Rischiate di farvi uccidere!- disse alle due, ma in realtà guardava solo Isabel. Poi, una Strilettera si materializzò davanti alla McGonagall. Lei la aprì, e la lettera parlò con la profonda voce di Piton.

Tutti i ragazzi e il corpo docenti nella Sala Grande tra 20 minuti. Non tollererò ritardi.

-Presto, Potter vieni con me. Voi due, nel vostro dormitorio. Flitwick arriverà a breve a svegliarvi. Fate attenzione. Potter, rimetti il mantello.-
Gaia e Isabel corsero verso le scale mentre Harry e la professoressa si dirigevano verso l'uscita. Tuttavia, mentre Gaia correva su, Isabel si girò.
-Aspetti! Qualcuno deve avvisare i ragazzi nella Camera delle Necessità.- disse, poi tornò vicino alla professoressa e allungò le mani alla ricerca del Mantello. Controllò che Gaia fosse via, poi sussurrò.
-Devi avvisare gli altri Harry. Ginny e tutti i Grifondoro del sesto e del settimo anno sono lì praticamente, tranne uno o due. Ci sono anche alcuni Corvonero e dei Tassorosso. Dovranno esserci tutti.-
Harry aprì il mantello in modo che la professoressa e Isabel lo vedessero. Poi guardò quest'ultima.
-Sei tu, vero?-
-Questi mesi non ti hanno reso più intelligente eh? Alecto Carrow aveva ragione, sei un idiota.- disse sorridendo appena.
-E lei...?- chiese, guardando la McGonagall.
-Da chi credi che sia stata tutta l'estate? Ora muovetevi, abbiamo un quarto d'ora.-
Poi corse di sopra, dove le sue compagne di stanza stavano parlando con Gaia.
-Isabel, che succede?- chiese Alice, una ragazza bionda con gli occhi ramati.
-E quando siete tornate? Erano settimane che non vi vedevamo!- aggiunse Mathilda. Lei aveva dei capelli castani chiari e gli occhi tra il verde e il marrone. Aveva una gemella, Anna, che non aveva ancora proferito parola.
-Siamo tornate ora. Harry Potter è qui, Piton ci convocherà tra 15 minuti nella Sala Grande. Ho paura che scoppierà la guerra sta notte.- rispose Isabel alle amiche. Questo bastò a far saltare in piedi Anna, che era ancora nel letto.
-Mettiamoci le divise.- disse in modo molto calmo Alice.
In quel momento, la porta di spalancò e entrò Flitwick.
-Ragazze, è un sollievo trovarvi sveglie. Presto, mettetevi le divise. Il preside ci vuole in Sala Grande.- disse con la sua vocina acuta.
-Professore, per quanto valga, credo che più o meno tutto il dormitorio sia sveglio. Hanno schiantato la professoressa Carrow poco fa, e ci hanno svegliati.- disse Alice, pratica.
-Ottimo, avete cinque minuti.-
E poi corse fuori, salendo le scale e andando a svegliare gli altri. Le cinque ragazze si vestirono. Si sistemarono la cravatta e poi scesero.
Cinque minuti dopo, tutta la Casa di Corvonero si trovava nella sala comune in divisa.
-Molto bene ragazzi. Come sapete, il preside ci ha convocati in Sala Grande. Ora ci metteremo in fila e marceremo insieme ai vostri compagni. Vi ricordo che si parte con il piede sinistro. Nella Sala Grande staremo a sinistra dei Grifondoro e dietro ai Serpeverde. Disponetevi per anni. Andiamo.-
Flitwick si mise davanti e poi il primo anno, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo lo seguirono.
Arrivati in Sala Grande, Isabel era vicino a Gaia e Ingmar.
Alla sua destra, tra i Grifondoro, vide Ginny e Harry.
La McGonagall la guardava. Sapeva che mancava poco. Flitwick invece sembrava tranquillo anche se, dopo tutti questi anni, Isabel aveva imparato a conoscerlo e avrebbe detto con sicurezza e in realtà era abbastanza preoccupato.
Piton iniziò a camminare tra le varie casate.
-Molti di voi si staranno chiedendo come mai io vi abbia convocati a quest'ora. È giunto alla mia attenzione che nella serata di oggi i gemelli Potter sono stati avvistati ad Hogsmead. Ora: se qualcuno, studente o docente, tentasse di aiutare i Potter egli verrà punito in maniera conseguente alla gravità della trasgressione; inoltre, chi fosse scoperto a essere a conoscenza di questi eventi e evitasse di farsi avanti verrà considerato come egualmente colpevole. Pertanto, se qualcuno qui fosse a conoscenza dei movimenti dei Potter sta sera, lo invito a fare un passo avanti. Adesso.-
Piton si trovava tra i Serpeverde e i Tassorosso, ma nessuno si fece avanti. Poi, Isabel richiamò l'attenzione di Ingmar e Gaia.
-Cosa c'è? Se ci becca ci fa fuori.- disse Ingmar in un sussurro.
-Scusatemi. Scusatemi per tutto, vi prego. Siete i migliori amici che mi sarebbero potuti capitare in una situazione come questa, mi avete fatto passare un'anno fantastico. Vi voglio bene.- sussurrò.
-Che stai dicendo? Non vorrai dirgli quello che sai vero?- chiese Gaia preoccupata, ma Isabel non rispose.
Guardò Piton, che sostenne il suo sguardo. Poi, l'uomo annuì impercettibilmente. Era il momento giusto. Isabel guardò il professor Flitwick, poi scambiò una rapida occhiata con la professoressa McGonagall, tanto per avvisarla che era il momento. Poi, fece un passo avanti.
-Cosa fai White?!- sussurrò Flitwick.
Isabel avanzò fino a trovarsi esattamente al centro delle quattro casate. Poi guardò Piton.
-Ebbene? Cosa hai da dire?- chiese.
Sentiva lo sguardo di tutti coloro che l'avevano conosciuta nei corridoi e di tutti i ragazzi incontrati nella Stanza delle Necessità. Sentiva i loro sguardi accusatori che dicevano che era solo una sporca spia perché, pur di salvarsi la pelle, aveva deciso di consegnare la loro unica speranza di vittoria.
Poi, cautamente, Isabel sorrise. Uno di quei sorrisi Malandrini, tipici di suo padre e dei suoi amici.
-Siete degli stupidi.- disse con tono sommesso.
-Come?- chiese Piton.
-Ho detto: siete degli stupidi. Non fate altro che cercare, senza accorgervi di avere tutto sotto il vostro naso. E di occasioni, ce ne sono state fin troppe.- ripeté a voce più alta. I suoi compagni si guardavano senza capire e Isabel si godette quel momento di sicurezza.
Piton rimase lì fermo, senza dire nulla, a guardarla. Annuì di nuovo, impercettibilmente e Isabel cominciò a scioglierle la trasformazione. Prima gli occhi tornarono verdi come quelli del fratello. Poi i capelli tornarono rosso scuro, seguito dalla cicatrice e in poco tempo riprese la sua altezza normale, dopo aver fatto un veloce incantesimo alla divisa.
-Sono sempre stata qui, sotto il vostro naso, e voi non vi siete mai accorti di nulla. Siete degli stupidi.- disse semplicemente scrollando le spalle, senza levarsi quel ghigno malandrino dalla faccia.
Poi, sentì dei passi dietro di sé e, se la sala non si era ancora ripresa dalla rivelazione, l'avvento di Harry Potter fece clamore. Ci furono sospiri di sollievo, di stupore.
Éméline si girò verso il fratello e guardò Gaia e Ingmar. La prima era euforica, glielo leggeva in volto. Ingmar, al contrario, era sconvolto.
Harry arrivò vicino alla sorella e le prese la mano. Aveva bisogno di un contatto con lei, dopo tutto quel tempo, e sebbene volesse solamente abbracciarla, si accontentò. Poi puntò gli occhi di Lily su Piton.
-Sembra che nonostante le sue esaustive strategie difensive, lei abbia ancora un problema di sicurezza preside, e temo che sia parecchio esteso.- la porta della Sala Grande si aprì, lasciando entrare l'Ordine della Fenice. C'erano Remus, Kingsley, i signori Weasley, Fred e George, Bill, Fleur, Ron e Hermione insieme ad un'altra dozzina di persone.
Harry riprese a parlare, la voce colma di disprezzo allo stato puro e rabbia.
-Come osa stare dove stava lui? Racconti come è andata quella notte, racconti come lo ha guardato negli occhi, un uomo che si fidava di lei e lei lo ha ucciso. Racconti!-
Poi, Piton estrasse la bacchetta e la puntò verso i gemelli. D'istinto, anche se sapeva che era tutta una farsa, Éméline si mise davanti a Harry e poi successe una cosa che non si sarebbero mai aspettati. Minerva McGonagall si mise davanti ai due ragazzi, facendo loro da scudo contro Severus Piton.
Éméline notò una piccola esitazione da parte del preside, poi la McGonagall attaccò. Dalla punta della sua bacchetta scaturirono delle fiamme che Piton riuscì prontamente a parare.
Andarono avanti per circa un minuto e poi Piton venne avvolto da una nuvola di fumo e uscì dalla finestra.
-È morto?!- chiese Éméline spaventata.
La McGonagall la guardò strana.
-No, aveva ancora la bacchetta a differenza di Silente. Inoltre, credo che il suo signore gli abbia insegnato qualche trucchetto.-
-Dobbiamo fare uscire tutti i ragazzi dal castello, nella Camera delle Necessità c'è un passaggio che porta alla Testa di Porco. Voldemort si sta preparando ad attaccare la scuola, non gli importerà chi si smaterializza da Hogsmead.- disse Éméline in tutta fretta.
-Bene. Ascoltate! Tutti i ragazzi minorenni, tutti, seguiranno i Prefetti nella Camera delle Necessità. Andrete alla Testa di Porco e poi, per dirlo in modo colloquiale, ve la darete a gambe come il nostro preside. I maghi maggiorenni possono scegliere se restare o andarsene. Sbrigatevi, abbiamo poco tempo! Quello che decidono di rimanere vengano con me, bisogna proteggere la scuola. Ci dobbiamo barricare dentro.-
Cinque secondi dopo, erano tutti diretti verso la Camera o verso la professoressa, in base a cosa avevano deciso.
-Cosa ti serve, Potter?-
-Tempo, quanto più riesce a darmene.- rispose Harry.
-Non ce n'è bisogno, Harry, so dove si trova!- gli disse Éméline prendendolo per un braccio, come a volerlo tirare via.
La McGonagall guardò la ragazza.
-Sarò breve Éméline: non ho rischiato la pelle per coprirti tutto l'anno per vederti morire adesso. Vi voglio vivi tutti e due domani sera. E immagino non mi vogliate vedere arrabbiata.- disse minacciosa, facendo sorridere i due ragazzi.
-Non si preoccupi.-
Poi corsero fuori. Dovevano andare nella Stanza delle Necessità.
La guerra era iniziata.

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Capitolo 16
*** Vivi e morti ***


La McGonagall uscì dalla Sala Grande insieme ai gemelli. Poi si fermò, estrasse la bacchetta e pronunciò:
-Piertotum Locomotor!-
Tutto intorno a loro le statue iniziarono a prendere vita. Alcune scendevano dai loro piedistalli, altre saltavano giù dalle pareti.
-Hogwarts è in pericolo, presidiate i confini, proteggeteci. Fate il vostro dovere per la nostra scuola!- urlò mentre le statue uscivano.
Harry ed Éméline si avvicinarono a Ron e Hermione.
-Ron ha avuto un'idea per poter distruggere l'Horcrux! È fantastica!- disse Hermione.
-Bene, prendete la mappa e fate quello che dovete fare. Quando avrete finito usatela per trovarci. Dobbiamo correre, sa che stiamo cercando e distruggendo gli Horcrux.- dissero i gemelli prima di andarsene e senza lasciare che i compagni replicassero.
Corsero a perdifiato fiato fino al settimo piano, in tempo per assicurarsi che tutti gli studenti fossero usciti.
Dalle finestre potevano vedere i professori che creavano una barriera magica. Molti studenti si erano messi in posizione, pronti a combattere.
Mentre aspettavamo che tutti uscissero, si abbracciarono. Fu un abbraccio sofferto, desiderato da entrambi. Non erano mai stati quei tipi di fratelli che si abbracciavano e baciavano ad ogni ora del giorno e della notte, sempre propensi al contatto fisico. Ma quella notte, entrambi più o meno consapevoli che la loro possibilità di morire era molto alta, quell'abbraccio scaldò loro il cuore.
Tutte le paure, tutte le insicurezze per un momento scomparvero.
-La prossima volta che mi fai prendere un'infarto come l'ultima volta che Funny mi ha dato due piume, giuro su Silente che ti uccido, Harry Potter.-
-Considerami avvisato. Anche tu mi sei mancata, Éméline.- disse ridendo e stringendo a sé la sorella.
Si sorrisero.
Dieci minuti dopo tutti erano usciti.
Quando entrarono nella stanza, però, si trovarono davanti Tonks e una vecchia signora che riconobbero come la nonna di Neville.
-Signora Longbottom! Tonks! Cosa ci fate qui?!-
-Beh, combattiamo naturalmente!- disse la vecchia.
-Tonks, ma non eri a casa con Teddy?- chiese Harry.
-Teddy? O MIO DIO! Hai partorito!!- urlò Éméline su di giri abbracciando la neo-mamma.
Tonks rise.
-Sì, ma non sopportavo di non sapere. Ora è con mia madre. Remus ha chiesto a Harry di essere il suo padrino.-
-È fantastico!- disse Éméline, sinceramente felice.
-E io voglio chiedere a te di essere la sua madrina. Vedi, se non sopravvivessimo a questa notte, beh... almeno sapremo che vivrà con qualcuno che potrà capirlo.- disse Tonks con un sorrisino triste. Il cuore di Éméline si strinse in una stretta dolora, incapace di immaginare Tonks morta.
-Io? Certo, Tonks! Sarebbe un onore. Ma non ce ne sarà bisogno, te lo assicuro.- disse sorridendo alla donna.
-Ho una foto.- e dirò fuori una piccola foto che ritraeva Tonks e Remus con un piccolo bambino in braccio che agitava i pugnetti. I capelli biondi, diventarono rossi, poi rosa, poi verdi. Era un bimbo paffuto, e Éméline pensò che assomigliasse molto a Remus nonostante fosse un metamorfomagus come la madre.
-È bellissimo, ma ora è meglio per tutti andare. Tonks, se vuoi ho visto Remus e Kingsley andare al quarto piano, lato ovest. Signora Longbottom, se vuole Neville è all'entrata insieme a Seamus Finnegan e alla McGonagall.- disse Éméline abbracciando stretta un'ultima volta la sua amica.
Quando uscirono, le due donne corsero una alle scale per salire e l'altra alle scale per scendere. Harry e Éméline si concentrarono, e davanti a loro apparve una porta scura, la attraversarono e si trovarono nella stanza in cui avevano nascosto il diario del Principe Mezzosangue.
-Io vado a destra, tu a sinistra.- disse Harry.
Éméline andò a sinistra come le era stato detto. Chissà quante persone avevano percorso i suoi stessi passi in tutti quei secoli. Era strano da pensare che prima di lei, decine di migliaia di maghi erano stati formati lì, avevano dormito nei loro letti, seduto sulle stesse sedie e nelle stesse aule, percorso quei corridoi.
Immersa nei suoi pensieri, Éméline urtò un tavolino facendo cadere qualche cosa. Si chinò e raccolse il libro malandato che era finito per terra. Lo riconobbe all'istante.
Pozioni avanzate
Così recitava il titolo. Era il manuale di pozioni di Severus Piton. Decise di tenerlo. Se quello che le aveva scritto il padrino era vero, non avrebbero più potuto parlare faccia a faccia. Sapeva che sarebbe morto, e voleva tenere ancora qualche cosa dell'uomo che aveva garantito a lei e a suo fratello la sopravvivenza per tutti quegli anni. Poco lontano trovò una borsa e lo infilò dentro.
-Émé! L'ho trovato!- urlò Harry da un punto imprecisato alla sua destra. Éméline si mosse verso la voce.
-Dove sei?-
-Di quà!-
Dopo un po' trovò il fratello. In mano stringeva il Diadema di Corvonero. Era esattamente come quello scolpito sulla statua nella Sala Comune.
-È bellissimo...- disse Éméline.
-Lo è... vieni, usciamo di qui.-
-Dove credete di andare, Potter?- disse una voce alle loro spalle. Si girarono di scatto e si trovarono davanti a tre persone. Malfoy avanzava spavaldo verso di loro seguito a ruota dai suoi due leccapiedi.
Alzarono tutti la bacchetta, ma erano in minoranza. Nonostante le ottime abilità di Éméline, non sarebbero riusciti a uscirne tanto facilmente. Per quando odiassero ammetterlo, Malfoy era bravo. Crabbe e Goyle non erano delle cime, ma in sette anni avevano comunque imparato qualcosa.
-Che cosa ci fate qui, Potter?-
-Potremmo farti la stessa domanda!- disse sprezzante Éméline.
-Tuo fratello ha qualcosa che mi appartiene, la rivorrei indietro.-
-Cosa c'è che non va in quella che hai, Malfoy?- chiese Harry.
-È di mia madre. È potente, ma non è la stessa cosa. È come se.. non mi capisse.-
Harry tacque. Poi disse:
-Perché non hai detto nulla? A Bellatrix. Sapevi che ero io. Eppure sei stato zitto.- chiese, ignorando lo sguardo interrogativo della sorella.
Draco non rispose, ma abbassò lo sguardo.
-Coraggio Draco, non fare lo sciocco. Fallo!- disse Crabbe, e a Éméline parve di ritornare indietro di un anno, quando Draco era stato incitato da sua zia.
Ma Goyle fu più veloce.
-Avada Kedavra!- urlò e Harry riuscì al pelo a evitare la maledizione. Prese la sorella per un polso e corse via. Corsero per circa un minuto, poi si fermarono a riprendere fiato. Éméline alzò lo sguardo.
-Ma che roba è?- chiese, osservando un riflesso rosso sulle tante pile di cianfrusaglie.
-Cosa... Corri, Éméline corri!- disse Harry.
-Harry cosa succede?!-
-Fuoco!-
Corsero a perdifiato, più veloce di quando scappavano da Dudley e dalla sua gang, ma il fuoco era ovunque.
Erano circondati. Éméline alzò la bacchetta e urlò -Aguamenti!-
Riuscì a evitare di essere arsa da una fiamma come un maiale arrosto. Harry era caduto.
-Éméline! Scope!!- disse passando una scopa alla sorella. Si librarono in volo e mentre uscivano videro Malfoy e Goyle. Si stavano arrampicando, il terrore dipinto sul volto, sempre più in alto sulle cataste di cianfrusaglie.
-Crabbe!- urlò Malfoy mentre cercava di tendere una mano verso il compagno che, arrampicandosi, aveva perso la presa.
-Ce la faccio, Draco!- gridò l'altro di rimando. Ma non ce la fece. La mano destra si aggrappò disperatamente alla prima sedia che trovò, poco più in alto di dove si trovava, e questa scivolò oltre il bordo della pila, trascinando il ragazzo con sé. Le ultime cose che si avvertirono furono lo straziante urlo di Crabbe mentre veniva avvolto e ucciso dalle sue stesse fiamme e gli inutili richiami dei suoi amici, ben consapevoli che la loro fine non sarebbe stata troppo diversa.
-Non possiamo lasciarli, Harry!- bisbigliò Éméline al ragazzo al suo fianco.
Il fratello annuì. Fecero dietrofront e andarono verso i due.
Il fuoco sfrigolava mentre bruciava pagine di vecchie libri, vestiti abbandonati, scatole, qualche gioiello forse. Éméline allungò la mano verso Malfoy e il fratello verso Goyle.
-Coraggio Malfoy!- gli urlò Éméline allungandosi verso di lui, -Afferra la mia mano!-
Sbilanciandosi più di quando avrebbe mai ritenuto possibile e con un grandissimo sforzo, riuscì a tirare Malfoy dietro di sé e a passarsi un suo braccio intorno alla vita.
Goyle si teneva stretto alla vita di Harry. Volarono rapidamente verso l'uscita.
Quando uscirono, si trovarono davanti Ron e Hermione con le braccia piene di denti di Basilisco.
-Distruggilo Éméline, ora!- la ragazza prese un dente e trafisse il diadema. Lei e Harry cedettero. Éméline non lo aveva mai avvertito. Era una sensazione strana, come una liberazione. Ron tirò un calcio all'oggetto lanciandolo dentro alla Camera che si chiuse appena dopo.
Draco e Goyle si alzarono e corsero via.
Ma prima, Draco guardò Éméline e le sussurrò un veloce "grazie".
I gemelli si guardarono. Sapevano che Voldemort aveva sentito che anche questa parte della sua anima era andata persa.
Fuori dalla finestra videro che nel frattempo la barriera creata dai professori era andata distrutta.
-Guarda... guarda dove si trova Harry. Lascialo entrare.- sussurrò Éméline senza fiato.
Harry chiuse gli occhi e lo vide.
Era su una collina, insieme a gran parte dei suoi fedeli seguaci.
Gli mancava il fiato.
-Vieni Nagini, bisogna tenerti al sicuro.- disse prima di smaterializzarsi alla Stamberga Strillante.
Insieme a lui c'era Lucius Malfoy.
-Mio s-signore.. Non s-sarebbe più
p-p-prudente sospenderò questo attacco, e c-cercare i ragazzi v-voi s-stesso?-
-Vuoi che lo annulli solo per vedere se tuo figlio è vivo, Malfoy. E no, non lo farò. Io non ho bisogno di cercare i ragazzi perché entro la fine di questa notte loro verranno da me. Lo capisci?!-
-S-si m-mio s-signore.-
-Chiamami Severus, Lucius. Ho bisogno di lui ora.-
-S-si mio signore.- sussurrò impaurito prima di uscire.
-Si trova nella Stamberga. Prendiamo il mantello e andiamo.-
Si alzarono, Éméline si tolse il mantello di Corvonero che indossava ancora sopra alla divisa e corse con il fratello e i due amici giù per le scale fini al primo piano senza incontrare ostacoli.
Arrivati qui, un mangiamorte ostacolò la loro discesa.
-Speraci, amico.- disse una voce alle spalle dei quattro ragazzi. George Weasley li osservò con un sorriso divertito in faccia. -Muovetevi!- urlò mentre schiantava l'uomo è faceva loro da scudo.
Per un momento, Éméline aveva pensato che fosse Fred. Ogni fibra del suo corpo aveva desiderato lanciarsi tra le braccia del ragazzo, prima di riconoscere che fosse il gemello sbagliato.
Continuarono a correre nel mezzo della battaglia, difendendosi meglio che riuscivano, fino a giungere nei giardini di Hogwarts.
Arrivati davanti al Platano Picchiatore si fermarono ansanti.
-Come... come facciamo a entrare?- chiese Ron con il respiro affannoso.
-Vedo... il punto... se solo avessimo... Grattastinchi...-
-Grattastinchi?- sibilò Hermione, piegata in due, con le mani al petto. -Sei un mago o cosa?-
-Ah... già... è vero...-
Ron si guardò in giro, poi puntò la bacchetta verso un bastoncino per terra e disse: -Wingardium Leviosa!-
Il rametto volò in alto, roteò nell'aria come se fosse stato colpito da una raffica di vento, poi schizzò contro il tronco attraverso i minacciosi rami rotanti del Platano. Colpì un punto vicino alle radici e subito l'albero cessò di contorcersi.
-Perfetto!- ansimò Hermione.
-Aspettate.-
Per un attimo, nel rumore sordo della battaglia, i gemelli esitarono. Voldemort voleva questo, voleva che loro andassero... stavano portando Ron e Hermione in una trappola?
Ma poi la realtà gli piombò addosso, crudele e banale: l'unica soluzione era uccidere il serpente, il serpente era con Voldemort, e Voldemort era alla fine di quel tunnel...
-Harry, ti seguiamo, dai, entra!- lo esortò Ron, spingendolo avanti.
Harry si infilò nel cunicolo di terra nascosto tra le radici dell'albero seguito subito dopo dalla sorella. Dovettero schiacciarsi molto più dell'ultima volta. Il passaggio aveva il soffitto basso: quattro anni prima l'avevano percorso piegati in due, adesso potevano solo strisciare. Harry avanzò per primo, con la bacchetta illuminata; si aspettava di trovare ostacoli da un momento all'altro, e invece niente. Procedettero in silenzio. Lo sguardo di Harry era fisso sul raggio oscillante della bacchetta che teneva in pugno.
Infine il cunicolo cominciò a salire e Harry vide una lama di luce. Hermione strattonò una caviglia a Éméline che fermò Harry.
-Il Mantello!- sussurrò.
Éméline tastò alle proprie spalle ed Hermione le infilò nella mano libera il fagotto di tessuto scivoloso. Vi si avvolse con difficoltà, poi lo avvolse intorno al fratello, che mormorò -Nox- per spegnere la bacchetta, e avanzarono carponi, più piano che potevano, tutti i sensi all'erta, temendo a ogni secondo che passava di essere scoperti, di sentire una fredda voce chiara, di vedere un lampo di luce verde.
Poi udì delle voci dalla stanza che era proprio davanti a loro, appena soffocate perché lo sbocco del tunnel era stato bloccato da quella che sembrava una vecchia cassa. Trattenendo il respiro, si avvicinarono all'apertura e spiarono dal piccolo spazio rimasto tra la cassa e la parete.
La stanza era poco illuminata, ma videro Nagini muoversi come una biscia sott'acqua, al sicuro in una luminosa bolla incantata, sospesa a mezz'aria. Videro il bordo di un tavolo e una mano bianca dalle lunghe dita che giocherellava con una bacchetta. Poi Piton parlò e il cuore di Harry mancò un colpo: era a pochi centimetri da lui.
-... mio Signore, la resistenza sta crollando...-
-... e il tuo aiuto non serve- ribatté Voldemort con la sua voce nitida e acuta. -Per quanto tu sia un abile mago, Piton, non credo che tu possa fare molta differenza, ormai. Ci siamo quasi... quasi.-
-Lasciatemi cercare i gemelli. Consentitemi di portarvi i Potter. So che posso trovarli, mio Signore. Vi prego.-
Piton passò davanti alla fessura e Harry si ritrasse portandosi dietro la sorella, lo sguardo fisso su Nagini, chiedendosi se esisteva un incantesimo in grado di penetrare la protezione che la circondava, ma non gli venne in mente nulla. Bastava fallire una volta e l'avrebbero scoperto...
Voldemort si alzò. Harry lo vide bene, gli occhi rossi, il volto piatto da serpente, il pallore che riluceva appena nella semioscurità.
-Ho un problema, Severus- mormorò Voldemort.
-Mio Signore?-
Voldemort alzò la Bacchetta di Sambuco, reggendola con delicatezza e precisione, come la bacchetta di un direttore d'orchestra.
-Perché con me non funziona, Severus?-
Nel silenzio, a Éméline parve di sentire il serpente sibilare: o era il sospiro di Voldemort che indugiava nell'aria?
-Mio... mio Signore- rispose Piton, senza espressione. -Non capisco. Voi... voi avete compiuto magie straordinarie con quella bacchetta.-
-No- obiettò Voldemort. -Ho compiuto le mie magie consuete. Io sono straordinario, ma questa bacchetta... no. Non ha mostrato le meraviglie che prometteva. Non avverto alcuna differenza tra questa bacchetta e quella
che mi procurai da Olivander tanti anni fa.-
Il tono di Voldemort era meditabondo, tranquillo, ma le cicatrici cominciarono a pulsare: il dolore gli attraversò la fronte e sentirono quel senso controllato di furia crescere dentro Voldemort.
-Nessuna differenza.- ribadì Voldemort.
Piton non parlò. Harry non lo vedeva in volto: si chiese se percepisse il pericolo, se stesse cercando le parole giuste per rassicurare il suo padrone. Ma Éméline sapeva che Piton aveva capito cosa sarebbe successo. Iniziò a tremare, non voleva assistere. Harry la guardò e le prese la mano.
Voldemort cominciò a muoversi per la stanza: lo persero di vista per qualche secondo, mentre passeggiava avanti e indietro, parlando con la stessa voce misurata, e il dolore e la rabbia crescevano in lui.
-Ho riflettuto a lungo e a fondo, Severus... sai perché ti ho richiamato dalla battaglia?-
Per un attimo Harry vide il profilo di Piton: i suoi occhi erano fissi sul serpente acciambellato nella gabbia incantata.
-No, mio Signore, ma vi supplico di lasciarmi tornare laggiù. Permettetemi di trovare i Potter.-
-Parli come Lucius. Nessuno di voi capisce i Potter quanto me. Non serve cercarli. I Potter verrano da me. Conosco la loro debolezza, vedi, il loro grande difetto. Non sopporteranno di vedere gli altri cadere attorno a loro, sapendo di esserne la causa. Vorranno porvi fine a ogni costo. Verranno.-
-Ma, mio Signore, potrebbero venire uccisi per errore da qualcun altro...-
-Ho dato istruzioni molto precise ai miei Mangiamorte. Catturare i Potter. Uccidere i loro amici, più ne abbattono, meglio è, ma non loro. Non lui.
-Ma è di te che desideravo parlare, Severus, non di Harry e Éméline Potter. Mi sei stato molto prezioso. Molto prezioso.-
-Il mio Signore sa che io desidero solo servirlo. Ma lasciatemi andare a cercare i ragazzi. Lasciate che ve li porti. So che posso...-
-Ho detto di no!- esclamò Voldemort voltandosi di nuovo, e i gemelli scorsero il luccichio rosso nei suoi occhi, e il fruscio del suo mantello fu come quello di un serpente; avvertirono l'impazienza del Signore Oscuro nelle cicatrici ardenti.
-La mia preoccupazione al momento, Severus, è che cosa accadrà quando finalmente incontrerò i due!-
-Mio Signore, non ci può essere questione...-
-... ma una questione c'è, Severus. C'è.-
Voldemort si arrestò e Harry lo vide con chiarezza: faceva scivolare tra le dita la Bacchetta di Sambuco e scrutava Piton.
-Perché entrambe le bacchette che ho usato hanno fallito quando le ho puntate contro i gemelli, o meglio, contro Harry Potter?-
-Io... io non sono in grado di rispondere, mio Signore.-
-Non sei in grado?-
La fitta di rabbia fu come un chiodo piantato nella testa di Harry: s'infilò il pugno in bocca per non urlare dal dolore. Chiuse gli occhi e di colpo fu Voldemort, che fissava il volto pallido di Piton.
Éméline anche stringeva i denti tanto forte da pensare e se li sarebbe rotti.
Mai, mai in tutta la sua vita, la cicatrice le aveva fatto così male. Si ripiegò su se stessa, con il braccio che non stringeva la mano di Harry ripiegato sotto il suo seno. Prese la prima cosa che le capitò tra i denti, probabilmente la manica del suo pullover, e strinse più forte che poté.
-La mia bacchetta di tasso ha sempre fatto tutto quello che le ho chiesto, Severus, tranne uccidere Harry e Éméline Potter. Due volte ha fallito. Sotto tortura, Olivander mi ha parlato dei nuclei gemelli, mi ha detto di cercarne un'altra. Il mio nemico alla fine è solo il ragazzo, la profezia parlava di lui ma c'è finita in mezzo anche quella mezzosangue della sorella. Riesce sempre a trovare una scappatoia. In ogni caso, ho fatto come mi era stato detto. L'ho fatto, ma quando la bacchetta di Lucius ha incrociato quella di Potter, si è spezzata.-
-Io... non so spiegarlo, mio Signore.-
Piton non guardava Voldemort. I suoi occhi scuri erano ancora fissi sul serpente avvolto nella sua bolla protettiva.
-Ho cercato una terza bacchetta, Severus. La Bacchetta di Sambuco, la Bacchetta del Destino, la Stecca della Morte. L'ho presa al suo precedente proprietario. L'ho presa dalla tomba di Silente.-
E in quel momento, fu in quel preciso istante, che Éméline capì improvvisamente dove voleva arrivare. Si impose di non tremare, inutilmente.
Questa volta Piton guardò Voldemort, e il suo viso era come una maschera mortuaria. Era bianco come il marmo e così immobile che quando parlò fu una sorpresa scoprire che c'era qualcuno di vivo dietro quegli occhi vuoti.
-Mio Signore... lasciatemi andare dai ragazzi...-
-Per tutta questa lunga notte, vicino ormai alla vittoria, sono rimasto qui- proseguì Voldemort, la voce poco più di un sussurro, -a riflettere, a chiedermi perché la Bacchetta di Sambuco si rifiuta di essere ciò che dovrebbe, di comportarsi come la leggenda dice che deve fare nelle mani del suo legittimo proprietario... e credo di avere la risposta.-
Piton non parlò.
-Forse la conosci già? Sei un uomo intelligente, dopotutto, Severus. Sei stato un servitore bravo e fedele, e mi dolgo di ciò che deve accadere.-
-Mio Signore...-
-La Bacchetta di Sambuco non può servirmi in modo adeguato, Severus, perché non sono io il suo vero padrone. La Bacchetta di Sambuco appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario. Tu hai ucciso Albus Silente. Finché tu vivi, Severus, la Bacchetta di Sambuco non può essere davvero mia.-
-Mio Signore!- protestò Piton, alzando la bacchetta.
-Non può essere altrimenti- concluse Voldemort. -Devo dominare la Bacchetta, Severus. Se domino la Bacchetta, finalmente dominerò i Potter e la mia opera sarà portata al termine. Tutti e quattro saranno di nuovo insieme, morti.-
Éméline guardò Piton: era rigido, aveva paura. Smise di stringere i suoi denti e si aggrappò con tutta la sua forza al braccio del fratello, premendo la testa contro la sua spalla.
Voldemort sferzò l'aria con la Bacchetta di Sambuco. Non accadde nulla a Piton, che per un attimo parve pensare di essere stato risparmiato; ma poi le intenzioni di Voldemort divennero chiare. La sfera del serpente rotolò nell'aria, e prima che Piton potesse far altro che urlare, gli aveva racchiuso testa e spalle, e Voldemort parlò in Serpentese.
-Uccidi.-
Si levò un grido terribile. Harry vide il volto di Piton perdere quel poco colore che aveva e gli occhi neri dilatarsi. Le zanne del serpente gli perforavano il collo e lui non riusciva a liberarsi dalla gabbia incantata; le ginocchia gli cedettero e cadde a terra.
Guardò sua sorella. Piangeva, doveva essere terrorizzata.
-Mi spiace.- commentò Voldemort, gelido.
Si voltò; non c'era tristezza in lui, nessun rimorso. Era tempo di lasciare quella stamberga e prendere in mano la situazione, con una bacchetta che ora avrebbe eseguito ogni suo ordine. La puntò verso la gabbia luminosa che teneva il serpente, facendola fluttuare in alto, via da Piton, che cadde disteso su un fianco, con il sangue che gli sgorgava dal collo. Voldemort uscì dalla stanza senza guardarsi indietro e l'enorme serpente lo seguì galleggiando nella sua sfera protettiva.
Nel tunnel, tornato in sé, Harry guardò la sua mano e quella di Éméline: si erano morsi a sangue le nocche per non urlare. Guardò dalla fessura tra la cassa e la parete e vide un piede avvolto in uno stivale nero tremare sul pavimento.
-Harry!- bisbigliò Hermione, ma lui aveva già puntato la bacchetta contro la cassa che gli bloccava la vista. La cassa si sollevò di un centimetro e si spostò silenziosamente di lato. Più piano che poterono, Harry e Éméline entrarono nella stanza. Harry non sapeva perché lo faceva, perché si stava avvicinando a Piton morente: non sapeva che cosa provava quando guardò il suo volto bianco e le dita che cercavano di tamponare la ferita insanguinata nel collo. Harry tolse il Mantello dell'Invisibilità facendone uscire prima se stesso e poi la sorella e guardò l'uomo che odiava: gli occhi neri dilatati si posarono su di lui e Piton cercò di parlare. Harry si chinò. Piton lo afferrò per il bavero e lo tirò a sé.
Un terribile gorgoglio, un rantolo uscì dalla sua gola.
-Prendi... Prendi...-
Qualcosa di diverso dal sangue colava da Piton. Era azzurro-argento, né liquido né gassoso, e usciva dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi; Harry capì che cos'era, ma non sapeva che fare... Hermione gli ficcò tra le mani una fiala, apparsa dal nulla. Con la bacchetta, Harry vi spinse dentro la sostanza argentea. Quando la fiala fu piena fino all'orlo, e in Piton sembrava che non ci fosse più sangue, la sua presa sui vestiti di Harry si allentò. Piton si girò verso Éméline, che nel frattempo si era inginocchiata accanto a lui e stava cercando di asciugarsi le lacrime.
-No..n.. pi...an...gere.- disse alzando la mano tremante e asciugandoli le lacrime
-Ora andrai da lei.- sussurrò piano e Piton annuì piano accennando un sorriso.
-Guar...da...mi.- sussurrò.
Gli occhi verdi incontrarono i neri, ma dopo un attimo qualcosa nel profondo di questi ultimi svanì, lasciandoli fissi e vuoti. La mano sulla guancia di Éméline crollò a terra, sul grembo di lei, e Piton non si mosse più.
Harry guardava la sorella. Ora andrai da lei. Che cosa voleva dire? Da lei chi? Poi si accorse che Éméline era distrutta, non l'aveva mai vista in quello stato. Anche se stava ancora continuando a guardare Piton, riusciva comunque a leggere il dolore che provava. Hermione le si avvicinò cautamente e le mise un braccio intorno alle spalle, poi Éméline disse qualcosa a voce così bassa che Harry non riuscì a capire. Hermione fece una faccia sconvolta e poi la abbracciò stretta, come se avesse paura che se l'avesse lasciata andare lei sarebbe crollata.
Rimasero lì per quelle che sembrarono ore, il silenzio che non veniva più rotto neanche dai singhiozzi di Éméline, le lacrime che scendevano silenziose.
All'improvviso una voce fredda e acuta parlò così vicino da farlo balzare in piedi, la fiala stretta in mano, convinto che Voldemort fosse tornato nella stanza. La sua voce riverberava dalle pareti e dal pavimento, e  capirono che stava parlando a tutta Hogwarts e dintorni, che gli abitanti di Hogsmeade e coloro che ancora combattevano dentro il castello l'avrebbero sentita chiaramente come se fosse stato accanto a loro, il suo respiro sul collo, mortalmente vicino.
-Avete combattuto valorosamente- diceva la voce acuta e fredda. -Lord Voldemort sa apprezzare il coraggio. Ma avete subito pesanti perdite. Se continuerete a resistermi, morirete tutti, uno per uno. Io non desidero che ciò accada. Ogni goccia di sangue magico versata è una perdita e uno spreco. Lord Voldemort è misericordioso. Ordino alle mie forze di ritirarsi, immediatamente. Avete un'ora. Disponete dei vostri morti con dignità. Curate i vostri feriti. Ora, Potter, mi rivolgo direttamente a voi. Voi avete consentito che i vostri amici morissero per voi piuttosto che affrontarmi di persona. Io vi aspetterò nella Foresta Proibita. Se entro un'ora non vi sarete consegnati a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry e Éméline Potter, e vi troverò e punirò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nascondervi a me. Un'ora.-
Ron e Hermione scossero il capo freneticamente, guardando Harry. Hermione strinse ancora di più l'amica, sussurrandole di stare tranquilla e di non ascoltarlo.
-Non ascoltarlo.- disse Ron.
-Andrà tutto bene- aggiunse Hermione, agitata. -Adesso... adesso torniamo al castello, se è andato nella Foresta dovremo pensare a un altro piano...-
Rivolsero uno sguardo al corpo di Piton, poi corsero verso l'entrata del cunicolo. Harry e Ron andarono per primo mentre Hermione insisteva per rimanere con Éméline. Harry raccolse il Mantello dell'Invisibilità, poi guardò Piton. Non sapeva che cosa provava, se non orrore per il modo in cui era stato ucciso e per il motivo... Tornarono indietro strisciando lungo il tunnel, senza parlare. Chissà se Ron e Hermione sentivano ancora Voldemort risuonare nella testa come lo sentiva lui. Non era sicuro che sua sorella lo avesse neanche sentito, sconvolta com'era.
Voi avete consentito che i vostri amici morissero per voi piuttosto che affrontarmi di persona. Io vi aspetterò nella Foresta Proibita... un'ora...
Piccoli fagotti erano sparsi sul prato davanti al castello. Doveva mancare poco più di un'ora all'alba, ma era ancora buio pesto. I quattro amici corsero verso i gradini di pietra. Il castello era immerso in un silenzio innaturale. Niente lampi, esplosioni, urla o strilli. Le lastre di pietra della Sala d'Ingresso erano macchiate di sangue. Pezzi di statue erano sparpagliati ovunque insieme a pezzi di marmo e schegge di legno. Parte della balconata era stata spazzata via.
-Dove sono tutti?- sussurrò Hermione.
Ron fece strada verso la Sala Grande. Éméline si era ripresa, più o meno. Hermione l'aveva lasciata appena fuori dal Platano Picchiatore e lei si era asciugata le lacrime, anche se si vedeva che stava male.
I tavoli delle Case erano spariti e la Sala era affollata. I sopravvissuti erano a gruppetti e si abbracciavano. Madame Pomfrey e un gruppo di volontari curavano i feriti sulla pedana in fondo. Tra questi c'era Fiorenzo; perdeva sangue dal fianco e tremava, disteso a terra, incapace di alzarsi.
I morti erano disposti in fila al centro della Sala.
-Io vado a vedere questi, Émé. Vieni.- disse Harry.
-Non ce n'è bisogno, io so già tutto. Ora tocca a te. Va', coraggio.-
Harry annuì prima di uscire, Hermione e Ron andarono dai Weasley.
Mentre avanzava, Éméline vide tanti corpi che non riconosceva sdraiati a terra. Vide Kingsley insieme ai Weasley. Tra i tanti capelli rossi vide Fred e George che abbracciavano Ginny. Trasse un sospiro di sollievo: loro almeno erano vivi. Poi vide una figura correrle incontro. Minerva McGonagall arrivò e, vedendo la sua faccia, Éméline capì che non era lì perché voleva accertarsi che stesse bene. La prese per le spalle, come a volerla sostenere da un duro colpo e poi la abbracciò. Éméline ricambiò l'abbraccio della donna. Poi, vide una cosa che non avrebbe mai voluto vedere. Oltre la spalla della McGonagall, capì perché la donna era venuta ad abbracciarla così in fretta da non lasciarle vedere gli altri morti. Remus e Tonks, pallidi e immobili, sembravano tranquilli, addormentati sotto il buio soffitto incantato.
La Sala Grande parve volar via, rimpicciolire, restringersi. Éméline indietreggiò fino a trovarsi con le spalle al muro, sciogliendosi dall'abbraccio della professoressa.
-Éméline...- sussurrò la McGonagall con una voce che esprimeva tutto il dolore, la pietà e la tristezza che provava. Non riusciva a respirare. Non ce la faceva a guardare gli altri cadaveri, a scoprire chi altri era morto per lei e Harry.
Rimase immobile, cercando il respiro che le mancava. Poi vide Hermione arrivare di corsa.
-Professoressa, sono felice che stia bene.- sussurrò mentre Éméline scivolava lentamente a terra.
-Anche io sono felice di vederti, signorina Granger. Credo sia meglio che tu stia con lei...-
-È stata una notte pesante... abbiamo appena visto morire il professor Piton... e lei non l'ha presa affatto bene. Anche Harry ne è rimasto colpito ma lei...-
-...è distrutta. Glielo si legge in faccia.- completò l'altra. Continuavano a sussurrare, come se temessero di interrompere un qualche rituale.
-Era il suo padrino.-
-Cosa?- chiese la McGonagall, la voce più alta di qualche ottava.
-Me lo ha detto prima, appena dopo la sua morte. Non so come lei facesse a saperlo, ma non ho voluto indagare. Non è in sé. E Remus e Tonks... erano come dei genitori e dei fratelli per lei.- disse infine, abbassandosi all'altezza di Éméline che stava piangendo di nuovo, silenziosamente, gli occhi spenti e vuoti come se lei si trovasse lì solo fisicamente.
-Viene Émé, andiamo fuori.- le disse l'amica aiutandola ad alzarsi e conducendola lontano da tutto quel dolore. Si sedettero sui gradini e Hermione guardò Éméline. Voleva distrarla almeno un po'.
-Sai... Ron mi ha baciata prima...-
Éméline girò la testa.
-Davvero??- sussurrò con voce apatica.
-Sì, e poco dopo ha urlato ad un Mangiamorte di stare lontano dalla sua ragazza. La sua ragazza. Ti rendi conto? Dopo sette anni che gli vado dietro, si è deciso a fare il primo passo!- disse, cercando di sembrare felice. Sapeva che Éméline, per come era fatta, sarebbe stata felice per lei. Erano migliori amiche da quando avevano undici anni.
-È sempre stato un'idiota.- disse l'altra ridendo appena.
-Grazie Hermione. Per prima. E per ora. So che cerchi di distrarmi, ti conosco troppo bene.- disse sorridendo.
Hermione ricambiò il sorriso.
-Beh, almeno ci sto riuscendo un po' no?-
-Riuscendo a fare cosa?- chiese Ron sedendosi vicino a Hermione.
-Lascia stare. Sei un completo idiota Ronald Bilius Weasley. Ci hai messo sette anni a capire che eravate innamorati. Idiota.- disse Éméline.
-Harry?- chiese Hermione.
-A vedere i ricordi di Piton.- rispose Éméline.
Poi posò la testa sulla spalla di Hermione.
-Siete i migliori amici che potessimo chiedere.-
Ron le sorrise prima di scompigliarle i capelli facendola protestare indignata. Continuarono a scherzare come dei bambini di cinque anni, e Éméline non si lasciò sopraffare dalla tristezza che le avvolgeva il cuore. Voleva godersi gli ultimi attimi di felicità prima della fine.

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Capitolo 17
*** La foresta ***


Harry ritornò circa venti minuti più tardi.
Hermione e Ron erano rientrati nella Sala Grande per aiutare.
Quando vide il fratello, per la prima volta Éméline capì a fondo il motivo per cui gli aveva taciuto tutto.
Harry era terrorizzato dall'idea di quello che stava per succedere.
Quando arrivò di fronte a lei la guardò. Rimasero a fissarsi per qualche secondo, poi Harry prese il vecchio mantello del padre.
-Finiamola come è iniziata.- disse Harry mettendo il mantello sulle spalle della sorella e infilandosi sotto poco dopo, -Insieme.-
Mentre scendevano le scale, la verità colpì Éméline forte come uno schiaffo. Stava per morire. Il cuore che le batteva forte nel petto, come a volersi attaccare alla vita ad ogni costo, aveva i minuti contati. Mentre avanzavano verso la morte, una piccola parte di loro sperava di vedere le persone amate, Ron, Hermione, Ginny e Fred, i Weasley o Luna, per poter dare loro un'ultimo saluto prima della loro dipartita. Ma avrebbero poi avuto la forza di fare ciò che andava fatto? Ne dubitavano.
Mentre scendevano gli ultimi gradini verso il portone, per poco non andarono a sbattere contro Neville. Stava trasportando un cadavere insieme a Oliver, l'ex capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro. Il corpo abbandonato sembrava piccolissimo tra di loro. I capelli biondi erano sporchi di terra e aveva gli occhi chiusi. Seppur minorenne, Colin Creevey doveva essere riuscito a sgattaiolare indietro mentre venivano scortati verso la Camera delle Necessità per essere evacuati.
-Sai che ti dico? Ce la faccio da solo, Neville. Riposati.- disse Oliver caricandosi il piccolo cadavere in spalla.
Scesero gli ultimi gradini e quando arrivarono nel parco, lo trovarono avvolto in un silenzio surreale, come se tutto intorno a loro trattenesse il respiro a cui loro erano così disperatamente attaccati. Poi, Harry decise tutto in un secondo, senza preoccuparsi di scambiare neanche uno sguardo con la gemella. Non avevano più bisogno neanche di quello per capirsi.
Ti tolse il mantello.
-Neville.-
Il ragazzo, che nel frattempo si era chinato su un'altro cadavere, sussultò.
-Cavolo Harry, mi hai spaventato a morte!- disse mentre Éméline si abbassava il mantello tanto per mostrare la testa.
-Dove state andando da soli?-
-Fa parte del piano, dobbiamo fare una cosa. Ascolta... Neville...-
-Ragazzi, non starete pensando di consegnarvi vero?!-
-No certo che no, ma dobbiamo fare una cosa, solo io e lei.- mentì con disinvoltura. -Ho bisogno che tu faccia una cosa. Ron e Hermione lo sanno già ma nel caso in cui loro non... in cui fossero occupati, ho bisogno che lo faccia qualcun altro.-
-Certo Harry.-
-Il serpente. È enorme, si chiama Nagini. Deve morire. Bisogna che qualcuno lo uccida. È fondamentale.-
-Uccidere il serpente. Chiaro. Lo farò. E Harry... noi continueremo a combattere, fino alla fine.-
-Lo so. Grazie.- poi si rimise il mantello e insieme alla sorelle si diresse fuori.
Mentre avanzavano per quel parco desolato, videro due figure chine su una ragazza che chiedeva della madre.
-Va tutto bene, stai tranquilla. Ora ti portiamo dentro.- disse una voce maschile, mentre una ragazza le accarezzava la testa.
-Io voglio andare a casa, non voglio più stare qui.-
-Lo so, andrà tutto bene vedrai.-
Solo quando si furono avvicinati di più riuscirono a capire chi erano.
Fred e Ginny erano chini su una ragazza di Tassorosso che qualche volta avevano incontrato nei corridoi.
Si fermarono di colpo. Provarono il profondo desiderio di urlare nella notte, volevano che Ginny e Fred sapessero che erano lì, che sapessero cosa dovevano fare. Volevano essere fermati, volevano che qualcuno impedisse loro di andare in quella foresta, volevano essere riportati a casa.
Ma loro erano a casa. Hogwarts, la bella Hogwarts. Quella scuola era stata la loro prima casa e la migliore che avessero mai conosciuto. Loro due, Voldemort, Piton. Tutti i ragazzi abbandonati tra quelle mura avevano trovato una casa e una famiglia per la prima volta.
Con uno sforzo enorme si costrinsero a continuare.
A Éméline parve che Fred avesse alzato lo sguardo quando si erano girati, come se avesse avvertito la sua presenza. Si rifiutò di girarsi a controllare. Sapeva che non sarebbe riuscita ad andarsene. Il ricordo del matrimonio era ancora così vivido nei suoi pensieri e nel suo cuore tanto da essere doloroso. Lei lo amava, lo amava da anni. Harry e Hermione erano stati gli unici due a cui lei lo aveva detto. E ora, dopo tutti gli anni passati a fantasticare su un futuro con lui, in cui vivevano in una bella casa con dei bambini dai capelli rossi e dagli occhi verdi o marroni che correvano in giro chiamandoli "mamma" e "papà", ora tutti questi sogni sembravano lontani, irraggiungibili. Lei non avrebbe avuto un futuro con Fred, non avrebbe avuto un futuro e basta.
Mentre camminavano verso la foresta, i suoi pensieri tornarono a sua zia Petunia. Le ricordava Piton: sempre lì a dimostrare un profondo odio nei loro confronti solo per nascondere meglio il dolore insopportabile che provavano. In quel momento avrebbe voluto averla lì con lei, sentirla mentre le accarezzava i capelli, o mentre le raccontava una storia come tante volte aveva fatto con Dudley.
La capanna di Hagrid apparve in lontananza. Niente luci accesse, niente Zanna che grattava contro la porta o che latrava per darti il benvenuto. Tutte quelle visite a Hagrid, Malfoy che dalla finestra aveva visto Norberto, tutti i tè presi il venerdì pomeriggio, Ron che vomitava lumache dopo aver cercato di affatturare Malfoy che aveva chiamato Hermione sanguemarcio, i biscotti bruciacchiati e duri come i sassi che quando li mangiavi pensavi che ci avresti ritrovato i denti conficcati dentro, i bruchi giganti che mangiavano le verdure della scuola, il faccione barbuto dell'amico. Non avrebbero più avuto nulla di tutto ciò.
Raggiunsero il limitare della foresta. Lungo tutto il confine c'erano i Dissennatori ma i due fratelli non avevano la forza di evocare un Patronus. Non riuscivano a controllare il loro tremito. Non era così facile morire. Per la prima volta, Éméline pensò a sua madre, a come era morta per salvare le persone che amava di più al mondo, i suoi figli. Era una morte nobile, morire al posto di una persona amata. Éméline desiderò avere qualcuno da proteggere. Fred, Hermione, il piccolo Ted. Chiunque le sarebbe andato bene, purché le desse la forza di andare avanti.
Ogni secondo che passava respirando, l'odore dell'erba, l'aria fresca tra i capelli, diventava un particolare prezioso: pensare che migliaia di persone avevano anni per godersi tutto quello, tempo che sembrava non passare mai, tempo da perdere. Anche loro erano stati così, bambini e ragazzi che non si fermavano ad apprezzare il calore del sole sulla pelle, il silenzio e la bellezza del paesaggio innevato. E ora che si rendevano conto delle meraviglie che la vita aveva da offrire, si aggrappavano disperatamente ad ogni singolo istante. Éméline vide il fratello tirare fuori un boccino d'oro. Il boccino che Silente gli aveva lasciato in eredità. La scritta incisa sopra era scritta con una calligrafia elegante.
Mi apro alla chiusura.
La chiusura. Si guardarono. Quella era la chiusura. La fine di un cerchio, il momento in cui si desidera che il tempo non passi più e quello che, come un bambino dispettoso, non fa che accelerare. Harry premette il metallo contro le labbra e sussurrò.
-Siamo pronti a morire.-
Il guscio dorato del boccino si aprì lasciando uscire qualcosa. Éméline estrasse la bacchetta di Salice e crini di unicorno e mormorò -Lumos.-
Alzò la mano tremante e prese la Pietra della Resurrezione. Era nera come l'ossidiana e al centro aveva una linea verticale a rappresentare la Bacchetta di Sambuco. Il triangolo del Mantello e il cerchio della Pietra lanciavano dei piccoli riflessi al contatto con la luce della bacchetta.
I gemelli capirono senza dover pensare. Non serviva riportarli indietro, perché loro stavano per raggiungerli. Non erano loro che andavano a prendere gli altri: erano gli altri che venivano da loro e che, accompagnandoli mano nella mano come una madre con suo figlio, li venivano a prendere.
Si presero per mano, tenendo la pietra tra i due palmi. Éméline penso a sua mamma, a suo papà. Voleva rivedere Piton, ma non sapeva se il fratello sarebbe stato d'accordo. Si limitò a pensare ai genitori, a Sirius, a Remus. Allo stesso modo, Harry pensò con tutto se stesso alle persone che avevano reso, anche se per pochi attimi, migliori le sue giornate buie. Riportò alla mente i volti dei suoi genitori, sorridenti nell'album delle fotografie di Hagrid, mentre tenevano in braccio i loro figli, ripensò a loro due mentre ballavano al loro matrimonio circondati dall'amore, lo stesso che aveva permesso a lui e alla sorella di salvarsi; ripensò a Remus, alla gioia con cui gli aveva comunicato di essere diventato padre, all'orgoglio che aveva letto nei suoi occhi quando avevano evocato il loro primo Patronus, alla solidarietà con cui, il giorno dell'anniversario della morte di Lily e James, lui aveva offerto loro una tazza di tè insieme, per non rimanere soli in un giorno triste come quello. E ripensò a Sirius, che nonostante tutto c'era sempre stato per lui, che si era comportato da padre con lui ed Éméline senza chiedere nulla in cambio, a lui che aveva resistito per dodici anni ad Azkaban con la consapevolezza di essere un estraneo per i figli dei suoi migliori amici, a lui che era fuggito e sopravvissuto nelle condizioni più terribili pur di vendicare Lily e James e tornare dai gemelli. Girarono la pietra nella mano per tre volte. Avvertirono la loro presenza prima ancora di aprire gli occhi. Non erano fantasmi, né persone in carne ed ossa. Erano più un ricordo, come il Tom Riddle uscito tanti anni prima dal vecchio diario.
Meno concreti delle persone che si erano lasciati alle spalle nel castello, ma molto di più dei fantasmi che ogni giorno giravano per Hogwarts. Tutti e quattro avanzavano verso di loro con un sorriso affettuoso sul volto.
La prima figura che guardarono fu quella del padre. James Potter camminava verso di loro con gli occhiali un po' storti sul naso come quelli del signor Weasley. Indossava gli abiti nei quali era morto ed era alto quanto Harry. La somiglianza tra i due era strabiliante.
Vicino a lui camminava Sirius, alto e bello, molto più giovane di come lo avevano conosciuto i gemelli. Avanzava con le mani in tasca, beandosi di essere di nuovo in quel posto, teatro di tante avventure con i suoi migliori amici.
Anche Remus era più giovane, meno trasandato, gli occhi erano più brillanti e i capelli più scuri. Anche lui sembrava felice di essere per un'ultima volta in quel posto tanto amato.
Il sorriso più grande però apparteneva alla madre. Lily Potter avanzava vicino al marito e, se la somiglianza tra Harry e suo padre era strabiliante, quella tra le due donne Potter era qualcosa di sensazionale. Era due gocce d'acqua, nonostante gli anni di differenza. I capelli rosso scuro, gli occhi verdi. Tutto in Éméline riportava a sua madre. Lily indossava gli abiti in cui era morta, come il marito. I suoi bellissimi occhi verdi si agitavano avidi sui volti dei figli, come se non si stancasse di guardarli.
Dal canto loro, i gemelli sarebbero rimasti lì a guardare la bellezza della madre fino alla vecchiaia. Ma non ci sarebbero arrivati.
-Siete stati molto coraggiosi.-
Loro non riuscirono a proferire parola.
-Ci siete quasi, ragazzi... siete molto vicini- disse James -Manca poco. Noi siamo... fieri di voi.-
-Fa male?- la domanda affiorò sulla labbra del giovane ragazzo prima che lui riuscisse a fermarle.
Sirius lo guardò.
-Morire? Niente affatto. È più veloce e più facile che addormentarsi.-
-E lui vorrà che sia rapido. Dopo tutti questi anni, vuole farla finita.- aggiunse Remus.
-Non volevamo che moriste. Nessuno si voi. Ci dispiace...- disse Éméline.
Poi volse lo sguardo verso il vecchio professore di Difesa Contro Le Arti Oscure, con sguardo supplichevole.
-Remus, avevi appena avuto un figlio...-
-Dispiace anche a me perché non lo vedrò mai crescere. Ma altri gli diranno perché suo padre e sua madre sono morti. Stavamo combattendo per un mondo in cui lui sarebbe cresciuto più felice. Spero che lo capirà, quando sarà arrivato il momento giusto.-
Un brezza leggera arrivò dal centro della foresta e scompigliò i loro capelli. Sapevano che nessuno di loro li avrebbe spinti, doveva essere una loro scelta. Rimasero lì ancora per un po', ad osservarsi, semplicemente ad osservarsi.
Guardarono la madre, e poi Éméline chiese:
-Stacci vicino.-
-Sempre.- rispose Lily. I due fratelli si girarono verso la foresta e iniziarono a camminare verso il punto da cui era arrivato il vento.
Éméline guardò al suo fianco, dove non c'era il fratello. Suo padre camminava accanto a lei, mentre sua madre stata dietro ai due gemelli, così vicina che sembrava quasi che loro potessero sentire un'antica traccia di calore. Sirius era vicino a Harry e Remus accanto a Lily. Il gelo dei Dissennatori li attraversò insieme ai loro compagni che agivano per loro come dei patroni. Insieme passarono tra gli alberi e si addentrarono nella foresta in cerca di Voldemort, anche se non sapevano dove fosse. I loro genitori, Sirius e Remus vicino a loro erano la loro forza e il loro coraggio, la ragione per cui riuscivano ancora a mettere un piede dopo l'altro. Erano stati invasi da una calma improvvisa, la loro mente sembrava essersi staccata dal corpo, gli arti che si muovevano come se loro non fossero a capo dei loro corpi ma fossero solo dei momentanei passeggeri di quel mezzo che in poco tempo avrebbero abbandonato per sempre. In quel momento, i morti accanto a loro erano molto più reali dei vivi che si erano lasciati alle spalle. Erano molto più vivi di Fred, Ginny, Ron e Hermione che ora sembravano essere dei lontani fantasmi del passato, ora che stavano velocemente scivolando verso la fine della loro vita.
Sentirono un rumore sordo e un sussurro e si arrestarono di colpo. I loro compagni fecero lo stesso. Si guardarono intorno e videro, poco più avanti, Yaxley e Dolohov che scrutavano il buio proprio dove c'erano loro.
-C'è qualcuno là. I Potter hanno un Mantello dell'Invisibilità. Possibile...?- chiese il primo.
-Quel pazzo di Hagrid ha liberato di tutto qui. I due Potter hanno avuto la loro ora, non si sono fatti vivi. Eppure lui era convinto che sarebbero venuti.. non sarà contento...-
-Meglio tornare e scoprire quale è il nuovo piano.- disse Yaxley prima di girarsi e riprendere a camminare. I gemelli li seguirono, sapendo che sarebbero stati condotti da lui. Guardarono di lato e suo padre fece loro un cenno di incoraggiamento. Poi guardarono la madre che sorrise loro amorevolmente.
Giunsero in una radura, quella che un tempo era stata abitata da Aragog e dalla sua colonia di aracnidi. Vi erano ancora diverse ragnatele sebbene non ci fosse l'ombra di ragni in giro. E menomale, perché Harry e Éméline avevano già abbastanza preoccupazioni senza aggiungere anche una colonia assassina. Un fuoco scoppiettava al centro, illuminando i Mangiamorte. Tutti i loro occhi erano fissi su Voldemort che, al centro, teneva gli occhi chiusi e la testa bassa, come se stesse pregando. Vide Lucius Malfoy spaventato e accanto a lui la moglie, Narcissa, gli occhi infossati pieni di ansia. Dietro a Voldemort, come un'illuminazione divina, galleggiava la luminosa gabbia incantata dell'enorme serpente, Nagini. Quando sentì arrivare Yaxley e Dolohov, Voldemort aprì gli occhi rossi.
-Nessuna traccia di loro, mio signore.- disse Yaxley. L'espressione di quel mostro non cambiò.
-Mio signore...- disse Bellatrix, alla sua destra. Tranne qualche traccia di sangue sul volto, era completamente illesa. Venne zittita dal suo signore con un rapido movimento della bacchetta e lei tacque.
-Credevo che sarebbero venuti. Mi aspettavo che venissero.-
Nessuno disse niente, spaventati tanto quanto i gemelli. Sentivano il cuore battere dolorosamente contro le costole, come a voler scappare da quei corpi che presto non sarebbero stati altro che gusci vuoti. Si tolsero il mantello e Harry lo infilò sotto alla veste insieme alla sua bacchetta e a quella di Éméline.
-A quanto pare mi... sbagliavo.- concluse Voldemort.
-No.-
Lo dissero più forte che poterono, mettendoci tutto il coraggio e la determinazione che rimanevano loro per non far trapelare il terrore che provavano. La pietra scivolò dalle loro mani e con la coda dell'occhio videro sparire i genitori, Sirius e Remus.
Trassero un respiro tremante prima di avanzare fino a davanti al fuoco. In quel momento, decisero, ci sarebbero stati solo loro e Voldemort, e nessun altro. Ma quell'illusione durò per poco. I giganti ruggirono, i Mangiamorte gridavano e ridevano. Voldemort, immobile, guardava i due ragazzi.
Poi, improvvisamente, qualcuno gridò.
-NO! HARRY, ÉMÉLINE NON FATELO!-
Si voltarono. Hagrid era stato legato ad un albero che tremò quando cercò di divincolarsi.
-NO, NO! MA CHE VI È SALTATO IN MENTE A VOI DUE!-
-TACI!- urlò un Mangiamorte zittendolo con un colpo di bacchetta.
Tutti ora erano immobili e le uniche cose che si muovevano erano le fiamme del fuoco e il serpente.
Non cercarono neanche di pensare a un modo per uccidere il serpente, sapevano che era protetto troppo bene e che se avessero provato a colpirlo cinquanta maledizioni li avrebbero colpiti all'istante.
Voldemort inclinò la testa di lato, come un bambino curioso.
-Harry e Éméline Potter.- sussurrò -I ragazzi che sono sopravvissuti, venuti a morire.-
Nessuno fiatò. Hagrid si divincolava e Bellatrix ansimava. La mente dei due giovani corse inspiegabilmente a Ginny e Fred, nel castello, al sicuro. Dovevano morire, così che nessuno sarebbe più morto. Voldemort alzò la Bacchetta. Guardando dentro quegli occhi, sperarono che finisse in fretta così da riuscire ancora a controllare il loro terrore. Videro la bocca di Voldemort muoversi e un lampo di luce verde, e tutto svanì.

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Capitolo 18
*** La verità ***


Era distesa a faccia in giù, ascoltando il silenzio. Era perfettamente sola. Nessuno la guardava. Non c'era nessun altro.
Non era del tutto sicura di esserci nemmeno lei.
Dopo molto tempo, o forse nessun tempo, capì che doveva esistere, doveva essere più che pensiero disincarnato, perché era distesa, certamente distesa su una superficie. Quindi possedeva il senso del tatto, e anche la cosa sulla quale giaceva esisteva.
Non appena fu giunta a questa conclusione, Éméline si rese conto di non indossare più la divisa di Corvonero. Si chiese se, così come era in grado di sentire, sarebbe riuscita a vedere. Aprendoli, scoprì di avere gli occhi.
Era circondata da una nebbiolina luminosa, diversa da ogni nebbia mai vista prima. Intorno a lei non c'erano cose nascoste dal vapore; era più come se il vapore non avesse ancora preso una forma definita. Il pavimento sul quale giaceva era bianco, né caldo né freddo, semplicemente un piatto, vuoto qualcosa sul quale stare.
Si mise a sedere. Il suo corpo sembrava intatto.
Poi un rumore lo raggiunse dal nulla che la circondava: i piccoli, morbidi colpi di qualcosa che sbatteva, si agitava e lottava. Era un rumore pietoso, ma anche un po' indecente. Ebbe la spiacevole sensazione di origliare qualcosa di nascosto, di vergognoso.
Aveva i capelli legati in un morbido chignon sulla nuca che lasciava cadere alcune ciocche di capelli ed indossava un vestito bianco stretto sulla parte superiore e molto morbido sotto che le arrivava fino alle ginocchia. Le ricordava un po' quello che aveva indossato il giorno del matrimonio.
Si guardò intorno. Si trovava in un'enorme Stanza delle Necessità? Più guardava, più c'era da vedere. Una grande cupola di vetro scintillava alta su di lei alla luce del sole. Forse era un palazzo. Tutto era ovattato e immobile, tranne che per quegli strani colpi, quei piagnucolii lì vicino, nella foschia...
Éméline si girò lentamente sul posto e ciò che la circondava parve inventarsi davanti ai suoi occhi. Un ampio spazio aperto, luminoso e pulito, una sala molto più grande della Sala Grande, con quel limpido soffitto di vetro a cupola. Era vuota. C'era solo lei, a parte...
Indietreggiò. Aveva individuato la cosa che faceva quei rumori. Aveva le sembianze di un bambino piccolo, nudo, rannicchiato a terra, la pelle ruvida e rossa, come scorticata, e giaceva sotto una sedia dove l'avevano abbandonato: non voluto, nascosto, si sforzava di respirare. Gli faceva paura. Nonostante fosse piccolo e fragile e ferito, non desiderava avvicinarsi. Tuttavia si mosse lentamente verso di lui, pronto a balzare indietro all'istante. Ben presto fu abbastanza vicina da toccarlo, ma non riusciva a farlo. Si sentì una stupida codarda. Avrebbe dovuto consolarlo, ma la disgustava.
-Non puoi fare niente per lui.-
Si voltò di scatto. Severus Piton le veniva incontro, svelto e diritto, con la sua solita veste nera.
-Éméline.- Spalancò le braccia. -Sei stata molto coraggiosa.-
Sbigottita, Éméline lo seguì, allontanandosi dal bambino scorticato che piagnucolava, verso due sedie che prima non aveva notato, non molto distanti sotto il soffitto alto e luminoso. Piton sedette su una e Éméline si lasciò cadere sull'altra, guardando il suo padrino in faccia. I capelli neri, gli occhi che sembravano ossidiana: tutto come lo ricordava. Eppure...
-Ma tu sei morto.- osservò Éméline.
-Oh, sì- rispose Piton in tono pratico.
-Allora... sono morta anch'io?-
-Ah- fece Piton, con un sorriso ancora più grande. -Questo è il problema, vero? Tutto sommato, mia cara, credo di no.- Si guardarono. L'uomo continuava a sorridere. -No?-
-No.- ripeté.
-Ma...- Éméline sollevò d'istinto la mano alla cicatrice a forma di saetta. Non c'era.
-Ma avrei dovuto morire... non mi sono difesa! Volevo che mi uccidesse! Lo volevamo tutti e due.-
-E questo deve aver fatto, credo, tutta la differenza.-
La felicità sprizzava da Piton come luce, cosa che era stranissima considerando che tipo di persona era stato in vita.
-Spiegati.- gli domandò .
-Ma tu sai già.- le rispose lui.
-Ho lasciato che mi uccidesse- cominciò. -Giusto?-
-Giusto- convenne Piton, annuendo. -Vai avanti.-
-Quindi la parte della sua anima che era in me...-
Piton annuì con ancora più entusiasmo, come ad incoraggiarla.
-... è morta?-
-Oh, sì!- esclamò. -Sì, l'ha distrutta. La tua anima è intera, e interamente tua, come quella di Harry.-
-Ma allora...-
Éméline si guardò alle spalle, dove la piccola creatura rattrappita tremava
sotto la sedia.
-Che cos'è quello?-
-Qualcosa che né tu né io possiamo aiutare.-
-Ma se Voldemort ha usato quella maledizione,- riprese lei, -e questa volta nessuno è morto per noi... come posso essere viva?-
-Secondo me lo sai. Pensaci. Ricorda che cos'ha fatto, nella sua ignoranza, nella sua avidità e nella sua ferocia.-
Éméline rifletté. Lasciò vagare lo sguardo. Se quello era davvero un palazzo, era strano, con brevi file di sedie e tratti di inferriate qua e là, e solo lei, Piton e la creatura rachitica sotto la sedia presenti. Poi la risposta le salì alle labbra da sola, prima che lei potesse comprenderla a pieno e prima che bela sua mente quel ricordo si formasse a pieno.
-Ha preso il nostro sangue.-
-Esatto!- esclamò Piton. -Ha preso il sangue di tuo fratello, che scorre anche dentro di te, per far rinascere il suo corpo! Il vostro sangue nelle sue vene, Éméline, la protezione di vostra madre dentro di voi e dentro di lui! Vi ha legato alla vita finché lui vive.-
-Noi viviamo... finché lui vive? Ma noi pensavamo... io pensavo che fosse il contrario! Pensavo che dovessimo morire tutti e tre! O è la stessa cosa?-
Fu distratta dal piagnucolio e dai colpi della creatura tormentata alle loro spalle e tornò a guardarla.
-Sei sicuro che non possiamo fare niente?-
-Niente.-
-Allora spiegami... il resto- disse Éméline, e Piton sorrise.
-Tu e tuo fratello eravate il settimo e l'ottavo Horcrux che non ha mai avuto l'intenzione di creare. La sua anima era così instabile che si spezzò quando commise quegli atti di ineffabile malvagità, l'assassinio dei tuoi genitori, il tentato omicidio di due bambini. Ma quello che fuggì da quella stanza era ancora meno di quello che credeva. Si lasciò dietro più del suo corpo. Lasciò parte di se stesso legata a voi, le vittime designate che erano sopravvissute. E la sua conoscenza è rimasta terribilmente lacunosa! Ciò che il Signore Oscuro non ritiene importante, non si dà la pena di comprenderlo. Di elfi domestici e storie per bambini, di amore, fedeltà e innocenza lui non sa e non capisce niente. Niente. Che tutti hanno un potere che va oltre il suo, oltre la portata di qualunque magia, è una verità che non ha mai afferrato. Ha preso il sangue di Harry convinto che l'avrebbe rafforzato. Ha accolto nel suo corpo una minuscola parte dell'incantesimo che tua madre aveva imposto su di voi quando morì per voi. Il suo corpo tiene vivo il sacrificio di Lily, e finché quell'incantesimo sopravvive, sopravvivere anche voi, e sopravvive l'ultima speranza di Voldemort per se stesso.-
Piton sorrise alla figlioccia, che lo fissò.
-E tu lo sapevi? L'hai... sempre saputo?-
-Silente lo supponeva. Ma non potevo rivelarvelo.- rispose addolcendo il tono di voce, e rimasero in silenzio per quella che parve un'eternità, mentre la creatura dietro di loro continuava a gemere e a tremare.
-C'è una cosa che non capisco.- riprese Éméline. -Perché la bacchetta di Harry ha spezzato quella che lui aveva preso in prestito?-
-Di questo non sono sicuro. Devi capire che voi e il Signore Oscuro avete viaggiato insieme in regni della magia finora ignoti e mai sperimentati. Ma credo che sia successa una cosa senza precedenti che nessun fabbricante di bacchette avrebbe mai potuto prevederla o spiegarla. Senza volerlo, come ora sai, lui raddoppiò il legame tra voi quando tornò ad assumere sembianze umane. Una parte della sua anima era ancora legata alla vostra e, pensando di rafforzarsi, accolse in sé una parte del sacrificio di vostra madre. Se solo fosse riuscito a comprendere il preciso, enorme potere di quel sacrificio, forse non avrebbe osato toccare il vostro sangue... ma se l'avesse compreso, non sarebbe quello che è e forse non avrebbe mai ucciso. Dopo aver assicurato questa doppia connessione, legato i vostri destini più saldamente di quanto dei maghi siano mai stati uniti nella storia, vi attaccò con una bacchetta che aveva lo stesso nucleo di quella di tuo fratello. E qui accadde qualcosa di molto strano, come sappiamo. I nuclei reagirono in un modo che Tom Riddle, il quale non sapeva dell'esistenza dei nuclei gemelli, non si aspettava. Quella notte si spaventò più di voi due, Éméline. Voi avevate accettato, addirittura abbracciato la possibilità della morte, cosa che Tom Riddle non è mai stato in grado di fare. Il vostro coraggio vinse, la bacchetta di Harry sconfisse la sua. E in quel momento, accadde qualcosa tra quelle bacchette, qualcosa che rifletteva la relazione tra i loro padroni. Penso che la bacchetta di tuo fratello abbia assorbito alcuni poteri e qualità di quella di Tom, come dire che conteneva un po' di Tom stesso. Perciò quando lui vi stava inseguendo, la sua bacchetta riconobbe un uomo che era insieme fratello e nemico mortale, e rigurgitò parte della sua stessa magia contro di lui, una magia molto più potente di quanto la bacchetta di Lucius avesse mai compiuto. La bacchetta di Harry ormai conteneva il potere del vostro enorme coraggio e dell'abilità mortifera di Voldemort: che speranze aveva quel povero bastoncino di Lucius Malfoy?-
Ci fu un breve silenzio.
-Secondo te dove siamo, Éméline?- chiese Piton.
-Non lo so.. mi ricorda la stazione di King's Cross, solo che è più pulita e senza treni.- rise
Poi guardò il padrino, tornado seria. Altre domande erano appena affiorate nella sua mente.
-Quando Silente ti ha chiesto di ucciderlo, voleva che la bacchetta di Sambuco diventasse tua?-
-Credo che fosse quella la sua intenzione, ma non è andata come sperava.- rispose Piton.
-No- convenne Emeline. -Quella parte non ha funzionato.-
La creatura dietro di loro si agitava e gemeva. La comprensione di quanto doveva succedere scese a poco a poco sulla ragazza, come neve che cade lenta e leggera.
-Devo tornare indietro, vero?-
-Dipende da te.-
-Posso scegliere?-
-Ah, certo.- Piton le sorrise. -Sei a King's Cross, no? Credo che se decidessi di non tornare, potresti... diciamo... prendere un treno.-
-E dove mi porterebbe?-
-Avanti.-
Di nuovo silenzio.
-Voldemort ha la Bacchetta di Sambuco.-
-Sì. Voldemort ha la Bacchetta di Sambuco.-
Éméline si sorprese a sentire quel nome uscire dalla bocca di Piton.
-Ma tu vuoi che io torni indietro?-
-Ritengo- le rispose. -che se tu scegliessi di tornare, ci sarebbe la possibilità che lui venga battuto per sempre. Non posso garantirlo. Ma so questo, Éméline: che se dovessi tornare qui tu e Harry avreste meno da temere di lui.-
Éméline guardò di nuovo la cosa scorticata che tremava e tossiva sotto la sedia lontana.
-Non provare pietà per i morti, Éméline. Provala per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore. Tornando, potresti fare in modo che meno anime vengano mutilate, meno famiglie distrutte. Se questo ti sembra uno scopo degno, allora per il momento diciamoci addio.-
Éméline annuì e sospirò. Lasciare quel luogo non era neanche lontanamente difficile quanto era stato entrare nella Foresta, ma lì c'era caldo, luce e pace, e sapeva di dover tornare al dolore e alla paura di altre perdite. Si alzò e Piton fece lo stesso, e per un lungo istante si guardarono. Poi Piton aprì le braccia e Éméline ci si fiondò dentro. Si abbracciarono per minuti che parvero interminabili.
-Ho ancora due domande.- disse Éméline.
-Harry? Dove si trova?-
-Immagino nello stesso posto in cui sei tu, ma con qualcun altro.-
-Ma se fosse qui lo vedrei, non trovi?-
Piton non rispose e si limitò ad accarezzarle i capelli.
-È vero? O sta succedendo dentro la mia testa?-
Piton sciolse l'abbraccio e le mise le mani sulle spalle, poi le sorrise e la sua voce risuonò alta e forte nelle orecchie di Éméline anche se la nebbiolina luminosa stava calando di nuovo e nascondeva la sua sagoma.
-Certo che sta succedendo dentro la tua testa, Éméline. Ma questo vorrebbe forse dire che non è vero? Ricordati questo: le persone che ci hanno amato non ci lasciano mai veramente. Ci potrai sempre trovare dentro di te. Quindi si, certo che è vero: hai trovato me dentro di te oggi. E magari ci rivedremo in qualche sogno in futuro.-
Severus Piton le sorrise, poi tutto si dissolse.

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Capitolo 19
*** La fine ***


Era di nuovo per terra a faccia in giù. L'odore della Foresta le riempiva le narici. Sentiva il suolo freddo e duro sotto la guancia e il nodo della cravatta che le premeva sul collo. Le faceva male ogni centimetro del corpo, e il punto in cui la maledizione l'aveva colpita era come il livido lasciato da un pugno di ferro. Non si mosse, ma rimase dov'era, con il braccio sinistro piegato a una strana angolatura.
Aprì leggermente gli occhi e incrociò lo sguardo di suo fratello.
Si erano aspettati di sentire urla di trionfo e giubilo per la loro morte, invece passi frettolosi, sussurri e mormorii preoccupati riempivano l'aria.
-Mio Signore... mio Signore...-
Era la voce di Bellatrix, e parlava come chi si rivolge a un amante. Éméline e Harry non osarono aprire gli occhi di nuovo ma lasciarono che gli altri sensi esplorassero la situazione. Harry sapeva che le loro bacchette erano ancora riposte sotto gli abiti perché le sentiva tra il petto e il suolo. Una lieve imbottitura dalle parti dello stomaco gli disse che anche il Mantello dell'Invisibilità era lì.
-Mio Signore...-
-Basta- replicò la voce di Voldemort.
Altri passi: varie persone indietreggiavano dallo stesso punto. Consumati dalla voglia di vedere che cosa stava succedendo e perché, aprirono gli occhi di un millimetro. Voldemort si stava alzando. Molti Mangiamorte si allontanavano da lui, tornando tra la folla che circondava la radura. Solo Bellatrix era rimasta inginocchiata accanto a lui.
Chiusero di nuovo gli occhi e considerarono ciò che avevano visto. I Mangiamorte si erano affollati attorno a Voldemort, che doveva essere caduto a terra. Era successo qualcosa quando aveva colpito i gemelli con la maledizione. Anche lui era crollato? Evidentemente sì. E tutti e tre erano rimasti privi di sensi per un po', e tutti e tre adesso erano tornati in sé...
-Mio Signore, permettetemi...-
-Non ho bisogno di aiuto- rispose Voldemort gelido, e pur non potendo vedere la scena, Harry immaginò Bellatrix che ritraeva la mano tesa per aiutarlo. -Quei due... sono morti?-
Nella radura il silenzio era totale. Nessuno si avvicinò ai gemelli, ma loro avvertirono i loro sguardi concentrati, che parevano schiacciarli ancora più forte a terra, e temettero che il movimento di un dito o di una palpebra potessero tradirli.
-Tu- fece Voldemort, e si udirono un'esplosione e un piccolo strillo di dolore. -Controlla. Dimmi se sono morti.-
Non sapevano a chi si era rivolto. Non potevano far altro che restare lì distesi, col cuore che martellava, traditore, e aspettare di essere esaminati, ma nello stesso tempo capivano, per quanto fosse di magra consolazione, che Voldemort non si azzardava ad avvicinarsi, sospettando che non tutto fosse andato secondo i piani...
Mani più delicate di quanto si aspettasse Éméline le toccarono la faccia, le aprirono una palpebra, le allentarono il nodo della cravatta sbottonandole uno o due bottino e s'insinuarono sotto la divisa fino al petto, a sentirle il cuore. Udì il respiro affannoso della donna, i suoi lunghi capelli gli solleticarono il viso. Sapeva che aveva sentito il battito regolare della vita contro le sue costole.
-Draco è vivo? È nel castello?-
Il sussurro era appena percettibile; le labbra di lei erano a un centimetro dal suo orecchio, il capo abbassato così che i lunghi capelli nascondessero il volto di Éméline ai presenti.
-Sì.- bisbigliò lei in risposta.
Sentì la mano di lei contrarsi e poi rilassarsi. Poi la mano fu ritratta. Narcissa Malfoy si rimise a sedere e infilò la mano sotto alla camicia di Harry. Poi si alzò.
-Morti!- annunciò.
E adesso urlarono, trionfanti, e pestarono i piedi, e attraverso le palpebre i due fratelli videro volare schizzi di luce rossa e d'argento per celebrare l'evento. Continuarono a fingersi morti e capirono. Narcissa sapeva che il solo modo per entrare a Hogwarts e trovare suo figlio era insieme all'esercito vittorioso.
Non le importava più che Voldemort trionfasse.
-Visto?- strillò Voldemort sopra il tumulto. -Harry Potter è morto per mano mia insieme a quella sanguemarcio di sua sorella e ora nessun uomo vivente può minacciarmi! Guardate! Crucio.-
Harry se l'era aspettato: sapeva che i loro corpi non sarebbero stati lasciati in pace sul terreno della Foresta, che dovevano essere umiliati per dimostrare la vittoria di Voldemort. Furono sollevato da terra e ebbero bisogno di tutta la loro forza di volontà per restare inerti, ma il dolore che si aspettavano non venne. Furono scagliati una, due, tre volte in aria: gli occhiali di Harry volarono via e lui sentì le bacchette scivolare un po' sotto gli abiti, ma restò molle e inanimato, e quando caddero giù per l'ultima volta per la radura risuonarono risate di scherno.
-Ora- proclamò Voldemort -andremo al castello e mostreremo a tutti che fine hanno fatto i loro eroi. Chi di voi trascina il corpo? No... un momento...-
Una nuova esplosione di risate e dopo qualche istante Harry e Éméline sentirono il suolo vibrare accanto a loro.
-Li porterai tu.- disse Voldemort. -Li si vedrà bene tra le tue braccia, no? Raccogli i tuoi piccoli amici, Hagrid. E gli occhiali... mettetegli gli occhiali... devono riconoscerli.-
Qualcuno sbatté con deliberata malagrazia gli occhiali in faccia ad Harry, ma le mani enormi che li sollevarono erano estremamente delicate. I gemelli sentirono le braccia di Hagrid tremare, scosse dai singhiozzi; grandi lacrime li bagnarono mentre Hagrid li cullava, ma loro non osavano far capire all'amico, con un movimento o con le parole, che non tutto era perduto.
-Muoviti- ordinò Voldemort, e Hagrid barcollò in avanti, aprendosi la strada fra gli alberi fitti, riattraversando la Foresta. I rami si impigliavano ai capelli e agli abiti di Harry e Éméline, che però rimasero immobili, gli occhi chiusi, e al buio, tra i Mangiamorte accalcati attorno a loro e Hagrid che singhiozzava disperato, nessuno guardò se una vena pulsava nel collo scoperto di Harry Potter o di sua sorella...
Due giganti seguivano i Mangiamorte; e con gli occhi chiusi sentirono gli alberi scricchiolare e cadere al loro passaggio; facevano tanto rumore che gli uccelli si alzarono in volo strillando e perfino le risate dei Mangiamorte furono coperte. Il corteo vittorioso continuò a marciare verso il terreno aperto e dopo un po' Éméline capì dalla penombra, percepibile anche attraverso le palpebre chiuse, che gli alberi cominciavano a diradarsi.
-CASSANDRO!-
Il ruggito inaspettato di Hagrid per poco non le fece aprire gli occhi. -Sei contento, eh, che non avete combattuto, branco di ronzini codardi che non siete altro? Siete contenti che Harry e Éméline Potter sono m-morti?-
Hagrid non riuscì a continuare, ma scoppiò di nuovo in lacrime. Harry si chiese quanti centauri assistessero al loro corteo; non osò aprire gli occhi per vedere. Alcuni Mangiamorte li insultarono. Poco dopo capirono dall'aria più fresca che avevano raggiunto il limitare della Foresta.
-Fermi.-
Hagrid doveva essere stato costretto a obbedire all'ordine di Voldemort, perché barcollò. Il gelo calò su di loro e Harry udì il respiro rauco dei Dissennatori che pattugliavano la cerchia esterna degli alberi. Ormai non potevano disturbarli. Il fatto stesso di essere sopravvissuti ardeva in loro, come un talismano contro quelle creature, come se il cervo e la cerva dei loro genitori fossero a guardia del cuore dei figli. Qualcuno passò loro accanto, e seppero che era Voldemort perché un attimo dopo parlò, la voce magicamente amplificata per diffondersi in tutto il parco, spaccando loro i timpani.
-Harry e Éméline Potter sono morti. Sono stati uccisi. Stavano fuggendo, per mettersi in salvo mentre voi davate la vita per loro. Vi portiamo i loro corpi a dimostrazione che i vostri eroi sono caduti. Abbiamo vinto la battaglia. Avete perso metà dei vostri combattenti. I miei Mangiamorte vi superano in numero e i Ragazzi Che Sono Sopravvissuti sono morti. La guerra deve finire. Chiunque continui a resistere, uomo, donna o bambino, verrà ucciso insieme a tutti i membri della sua famiglia. Uscite dal castello, ora, inginocchiatevi davanti a me e verrete risparmiati. I vostri genitori e i vostri figli, i vostri fratelli e sorelle vivranno e saranno perdonati, e vi unirete a me nel nuovo mondo che costruiremo insieme.-
Silenzio nel parco e dal castello. Voldemort era così vicino che i gemelli non osavano neanche respirare.
-Andiamo- ordinò Voldemort. Éméline sentì che si muoveva e Hagrid fu costretto a seguirlo. Aprì appena gli occhi e lo vide marciare davanti a loro, con l'enorme serpente Nagini sulle spalle, libero dalla gabbia incantata. Ma Harry non poteva estrarre la bacchetta nascosta sotto gli abiti senza farsi vedere dalla scorta di Mangiamorte nel buio che lentamente sbiadiva... Quando Hagrid aveva raccolto i due giovani da terra la testa di Éméline era andata finire sul collo del fratello e ora lei sentiva chiaramente il sangue che gli scorreva nella vene sbatterle contro l'orecchio. Harry mosse piano la mano, nascosta dai loro corpi agli occhi di Hagrid e dei Mangiamorte, e prese la mano di Éméline.
Éméline richiuse gli occhi. Sapeva che si stavano avvicinando al castello e tese le orecchie per captare, sopra le voci allegre dei Mangiamorte e i loro passi pesanti, segni di vita dall'interno.
-Fermi.-
I Mangiamorte si arrestarono: li udirono disporsi in fila di fronte al portone aperto della scuola. Anche attraverso le palpebre chiuse riuscirono a percepire la luce rossastra che pioveva loro addosso dall'ingresso. Attesero. Da un momento all'altro le persone per le quali avevano cercato di morire li avrebbero visti tra le braccia di Hagrid, apparentemente morti.
-NO!-
L'urlo fu ancora più terribile perché non avevano mai immaginato che la professoressa McGonagall potesse emettere un simile suono. Udirono un'altra donna ridere vicino a lui e capirono che Bellatrix si crogiolava nella disperazione della professoressa. Sbirciarono di nuovo per un solo istante e videro la soglia affollarsi: i sopravvissuti alla battaglia uscivano sui gradini a fronteggiare i vincitori e a vedere con i loro occhi che era vero, che i gemelli erano morti. Videro Voldemort, davanti a loro, accarezzare la testa di Nagini con un solo dito bianco. Richiusero gli occhi.
-No!-
-No!-
-Harry! Éméline!-
Le voci di Ron, Hermione e Ginny erano peggio di quella della McGonagall; non desideravano altro che gridare, rispondere, ma si costrinsero a restare in silenzio, e le loro urla furono come un segnale: la folla di sopravvissuti si scatenò, urlando ingiurie contro i Mangiamorte, finché...
-SILENZIO!- gridò Voldemort. Un colpo, un lampo di luce chiara, e il silenzio calò a forza su tutti loro. -È finita! Posali ai miei piedi, Hagrid, dov'è giusto che stiano!-
Harry e Éméline furono adagiati nell'erba.
-Visto?- disse Voldemort. Lo sentirono camminare avanti e indietro davanti al punto in cui erano stati deposti. -Harry e Éméline Potter sono morti! Lo capite adesso, illusi? Non sono mai stati altro che due ragazzi che contavano sul sacrificio degli altri!-
-Ti hanno sconfitto!- urlò Fred, la voce velata da tutta a rabbia e il dolore che in quel momento provava, e l'incantesimo si ruppe: i difensori di Hogwarts urlarono e urlarono di nuovo fino a quando una seconda esplosione più potente li zittì un'altra volta.
-Sono stati uccisi mentre cercavano di scappare di nascosto dal parco del castello- proseguì Voldemort, compiacendosi della menzogna, -uccisi mentre tentavano di mettersi in salvo...-
Ma s'interruppe: udirono un rumore di passi e un urlo, poi un altro colpo, un lampo di luce e un grugnito di dolore; aprirono gli occhi di una frazione infinitesima. Qualcuno si era allontanato dalla folla e si era scagliato su Voldemort; videro la sagoma afflosciarsi a terra, disarmata. Voldemort gettò via la bacchetta di chi l'aveva sfidato e rise.
-E chi è costui?- domandò, con il suo morbido sibilo di serpente. -Chi si è offerto volontario per dimostrare che cosa accade a coloro che continuano a combattere quando la battaglia è perduta?-
Bellatrix diede in una risata gioiosa.
-È Neville Longbottom, mio Signore! Il ragazzo che ha dato tanti grattacapi ai Carrow! Il figlio degli Auror, ricordate?-
-Ah, sì, ricordo.- mormorò Voldemort, guardando Neville che cercava di rialzarsi, disarmato e allo scoperto, nella terra di nessuno tra i sopravvissuti e i Mangiamorte. -Ma tu sei un Purosangue, vero, mio coraggioso ragazzo?- gli chiese, e Neville si alzò in piedi davanti a lui, le mani vuote chiuse a pugno.
-E allora?- rispose ad alta voce.
-Mostri spirito e ardimento, e discendi da una nobile stirpe. Sarai un Mangiamorte molto prezioso. Abbiamo bisogno di gente come te, Neville Longbottom.-
-Mi unirò a te quando l'inferno gelerà!- urlò Neville. Dalla folla si levò in risposta un boato che gli incantesimi tacitanti di Voldemort non riuscirono a domare.
-Molto bene- proseguì Voldemort, e Harry e Éméline avvertirono più pericolo in quella voce serica che nella più potente delle maledizioni. -Se questa è la tua scelta, Longbottom, torneremo al piano originale. L'hai voluto tu.- concluse con calma.
Attraverso gli occhi socchiusi, i gemelli videro Voldemort agitare la Bacchetta. Qualche istante dopo, da una delle finestre infrante del castello qualcosa di simile a un uccello deforme volò nella mezza luce e atterrò in mano a Voldemort. Lui scrollò l'oggetto muffito tenendolo per la punta e quello penzolò vuoto e lacero: era il Cappello Parlante.
-Non vi saranno altri Smistamenti alla scuola di Hogwarts- annunciò Voldemort. -Non vi saranno più Case. Lo stemma e i colori del mio nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti, non è vero, Neville?-
Puntò la Bacchetta contro Neville, che s'irrigidì, poi gli ficcò in testa il Cappello, che gli cadde sugli occhi. La folla davanti al castello fu percorsa da un fremito e come un sol uomo i Mangiamorte levarono le bacchette, per tenere a bada i combattenti di Hogwarts.
-Il nostro Neville ora dimostrerà che cosa accade a chiunque sia così sciocco da continuare a opporsi a me.- annunciò Voldemort, e con un guizzo della Bacchetta incendiò il Cappello Parlante.
L'alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco, immobilizzato. Non poterono sopportarlo: dovevano intervenire...
Poi accaddero molte cose contemporaneamente.
I gemelli si guardarono e capirono cosa dovevano fare. Dai confini del parco si alzò un frastuono: centinaia di persone varcavano le mura sciamando e correvano verso il castello, levando alte grida di guerra. Nello stesso momento, Grop arrivò a passi pesanti da dietro la scuola e chiamò: -HAGGER!-
Al suo grido risposero i ruggiti dei giganti di Voldemort, che caricarono Grop come elefanti, facendo tremare la terra. Poi un rumore di zoccoli, il vibrare degli archi, e una pioggia di frecce cadde sui Mangiamorte, che ruppero i ranghi, urlando sorpresi. Harry prese il Mantello dell'Invisibilità, se lo gettò addosso e coprì la sorella balzando in piedi.
E anche Neville si mosse: con un solo, rapido, fluido gesto si liberò dell'Incantesimo Petrificus; il Cappello in fiamme gli cadde dalla testa e lui ne estrasse qualcosa di argenteo, con l'impugnatura sfavillante di rubini...
Il sibilo della lama d'argento non si sentì sopra il ruggito della folla, il rimbombo dei giganti che cozzavano, la carica dei centauri, eppure attirò a sé gli sguardi di tutti. Con un solo colpo, Neville mozzò la testa dell'enorme serpente, che roteò alta nell'aria, scintillante nella luce che veniva dalla Sala d'Ingresso. La bocca di Voldemort si spalancò in un urlo di rabbia che nessuno riuscì a sentire, e il corpo del serpente cadde con un tonfo ai suoi piedi...
Nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità, Éméline scagliò un incantesimo Scudo tra Neville e Voldemort prima che quest'ultimo potesse alzare la Bacchetta. Poi, sopra le grida, i ruggiti, i colpi dei giganti, l'urlo di Hagrid risuonò più forte di tutto.
-DOVE SONO? DOVE SONO HARRY E ÉMÉLINE?-
Regnava il caos. I centauri scatenati stavano disperdendo i Mangiamorte, tutti cercavano di scappare dai piedi dei giganti, e sempre più vicini risuonavano i rinforzi arrivati da chissà dove; Harry vide enormi creature alate planare attorno alle teste dei giganti di Voldemort; i Thestral e Fierobecco l'Ippogrifo cercavano di cavar loro gli occhi mentre Grop li riempiva di pugni; tanto i difensori di Hogwarts quanto i Mangiamorte di Voldemort furono costretti a rientrare nel castello. Harry diede alla sorella la sua bacchetta e insieme a Éméline cominciò a scagliare  maledizioni contro tutti i Mangiamorte che passavano vicino a loro tramortendoli senza che sapessero chi o che cosa li aveva colpiti; i loro corpi venivano calpestati dalla folla in ritirata. Sempre nascosti sotto il Mantello dell'Invisibilità, furono costretti a entrare nella Sala d'Ingresso con gli altri: stavano cercando Voldemort e lo videro dall'altra parte dell'atrio che scagliava incantesimi a destra e a manca e intanto arretrava nella Sala Grande, senza smettere di urlare ordini ai suoi seguaci; Harry lanciò altri Sortilegi Scudo e salvò Seamus Finnigan e Hannah Abbott dalla sua furia; i due gli sfrecciarono davanti ed entrarono nella Sala Grande per prendere parte alla lotta che già vi divampava. La stessa cosa fece Éméline salvando la vita a Cho Chang e Dean Thomas. E ce n'erano altri, tanti altri che si lanciavano su per i gradini del castello: Charlie Weasley superò Horace Lumacomo, ancora con il suo pigiama color smeraldo. Erano tornati alla testa di parenti e amici di tutti gli studenti di Hogwarts rimasti a combattere, insieme ai negozianti e agli abitanti di Hogsmeade. I centauri Cassandro, Conan e Magorian galopparono nella Sala in un rombo di zoccoli, e dietro i gemelli la porta che conduceva alle cucine venne scardinata da un'esplosione.
Gli elfi domestici di Hogwarts sciamarono nella Sala d'Ingresso, urlando e brandendo trincianti e mannaie; al loro comando, col medaglione di Regulus Black che gli ballonzolava sul petto, c'era Kreacher, la voce da rana chiara e sonora anche sopra quel baccano. -Lottate! Lottate! Combattete per il mio padrone, difensore degli elfi domestici! Combattete il Signore Oscuro, nel nome del prode Regulus! Lottate!-
Menavano fendenti e pugnalate alle caviglie e agli stinchi dei Mangiamorte, i faccini animosi e cattivi, e i Mangiamorte ripiegavano, schiacciati dalla pura forza dei numeri, sopraffatti dagli incantesimi, strappandosi le frecce dalla carne, colpiti alle gambe dagli elfi, o semplicemente cercando di fuggire ma venivano inghiottiti dall'orda che avanzava.
Ma non era ancora finita: Harry sfrecciò tra i duellanti insieme alla sorella, oltrepassò i prigionieri che si divincolavano ed entrò nella Sala Grande. Voldemort era nel cuore della battaglia e colpiva tutto ciò che gli capitava a tiro. Harry non poteva mirare con precisione e cercò di avvicinarsi, ancora invisibile, ma la Sala Grande era sempre più affollata, poiché chiunque fosse in grado di camminare tentava di entrare.
Si girò verso Éméline.
-Devo essere io ad ucciderlo. Quando arriva il momento, lascia fare a me. Solo a me. Andrà tutto bene, te lo prometto.- le disse.
Éméline gli sorrise dolcemente.
-Lo so.-
Videro Yaxley gettato a terra da George e Lee Jordan, videro Dolohov cadere urlando per mano di Flitwick; videro Walden Macnair, scagliato attraverso la stanza da Hagrid, colpire la parete di pietra e cadere a terra svenuto. Videro Ron e Neville abbattere Fenrir Greyback, Aberforth schiantare Rookwood, Arthur e Percy atterrare O'Tusoe, e Lucius e Narcissa Malfoy correre nella folla, senza nemmeno provare a combattere, chiamando a gran voce il figlio.
Voldemort stava duellando con la McGonagall, Lumacorno e Kingsley insieme, e il suo volto era una maschera di freddo odio mentre i tre balzavano e si abbassavano attorno a lui, senza riuscire a finirlo... Anche Bellatrix continuava a combattere, a cinquanta metri da Voldemort, e come il suo padrone lottava contro tre avversari a un tempo: Hermione, Ginny e Luna ce la stavano mettendo tutta, ma Bellatrix le uguagliava, e l'attenzione di Harry fu distratta dalla maledizione mortale scagliata così vicina a Ginny che la mancò di un soffio...
Videro una figura bassa e robusta correre verso le tre ragazze.
-MIA FIGLIA NO, BASTARDA!-
Di corsa, la signora Weasley gettò via il mantello per avere libertà di movimento. Bellatrix si girò di scatto e scoppiò a ridere alla vista della sua nuova avversaria.
-FUORI DAI PIEDI!- urlò la signora Weasley alle tre ragazze, e con uno svolazzo della bacchetta cominciò a combattere. Harry e Éméline rimasero a guardare terrorizzati ed euforici la bacchetta di Molly Weasley fendere l'aria e vorticare, e il sorriso di Bellatrix Lestrange tremò prima di trasformarsi in un ringhio. Schizzi di luce volarono da entrambe le bacchette, il pavimento attorno alle due streghe era rovente e crivellato di buchi; entrambe combattevano per uccidere.
-No!- gridò la signora Weasley quando alcuni studenti accorsero in suo aiuto. -Indietro! INDIETRO! È mia!-
Centinaia di persone adesso erano allineate lungo le pareti e assistevano alle due battaglie: Voldemort contro i suoi tre avversari, Bellatrix contro Molly. E i due ragazzi, invisibili, erano combattuti: volevano attaccare ma anche proteggere, e temevano di colpire gli innocenti.
-Cosa sarà dei tuoi figli quando ti avrò ucciso? Cosa succederà quando la mamma sarà morta come Dora o il bel lupetto?- la canzonava sprezzante Bellatrix che sotto certi punti di vista faceva ancora più paura del suo signore.
Il riferimento a Tonks e Remus fu troppo.
-Tu... non... toccherai... mai... più... la... nostra... famiglia!- urlò la signora Weasley mentre Bellatrix rideva esaltata, la stessa risata impressa sul volto del cugino Sirius prima che lui cadesse oltre il velo.
La maledizione che Molly lanciò passò sotto il braccio di quella pazza colpendole in pieno il cuore. Il sorrise maligno di Bellatrix Lestrange si congelò, in una frazione di secondo capì cosa era successo poi cadde. Dalla folla si alzò un boato e Voldemort urlò. Sembrò che tutto si muovesse a rallentatore: la McGonagall, Kingsley e Lumacorno si contorsero a mezz'aria mentre la furia del Signore Oscuro per la morte della sua seguace migliore si riversava su una maledizione mortale verso Molly. Éméline puntò la sua bacchetta in mezzo si due e urlò:
-Protego!-
L'incantesimo scudo si allargò al centro della sala. Voldemort si guardò intorno in cerca di chi lo aveva evocato.
-Tu uccidilo, io proteggerò gli altri. Fa attenzione.- disse piano Éméline, -Io rimango dietro di te.- aggiunse poi.
Vide il fratello annuire e togliere il mantello che li copriva alla vista di tutti gli altri.
Vi furono urla di sorpresa, i Weasley, Hermione, gli insegnati e Kingsley avevano la faccia sollevata di chi, dopo essere stato immerso nell'acqua per troppo tempo, torna a galla e trae un profondo respiro che segna la differenza tra la vita e la morte. La folla cadde in un silenzio totale quando Voldemort e Harry si guardarono, iniziando a girare disegnando un cerchio perfetto, come un compasso. Éméline estese l'incantesimo scudo più che poté.
-Non voglio aiuto. Devo essere io, solo io, nessun altro.- disse Harry.
-Potter non voleva dire questo, vero? Non è così che ti comporti tu. Chi sceglierai oggi a farti da scudo?-
-Nessuno, non ci sono altri Horcrux, siamo solo io e te e basta. Nessuno può vivere se l'altro sopravvive, e uno di noi due sta per andarsene per sempre...-
-E credi che sarai tu vero? Il Ragazzo Che È Sopravvissuto, così poi potrò occuparmi anche di tua sorella e finalmente sarete tutti morti, come i vostri stupidi genitori.- lo schernì Voldemort.
-È stato un caso se, quella notte a Godric's Hollow, nostra madre morì per salvarci? Un caso che io abbia deciso di combattere in quel cimitero? Un caso che anche se io e lei non ci siamo difesi questa notte, siamo tornati qui a combattere senza morire?-
-Casi!- urlò Voldemort -Casi e fortuna, e il fatto che vi siete rannicchiati dietro gonne di uomini e donne più grandi di voi, lasciando che venissero uccisi al vostro posto.-
-Non ucciderai nessun altro questa notte, non lo farai mai più. Non capisci? Eravamo pronti a morire per impedirti di uccidere altre persone...-
-Ma non lo avete fatto!-
-...conta il fatto che fosse nostra intenzione. Abbiamo fatto quello che ha fatto nostra madre quella notte, per questo vinceremo. Non hai notato che nessun incantesimo funziona su di loro? Non puoi torturarli, non puoi fare niente. Non impari mai dai tuoi errori, Riddle, vero?-
-Tu osi...-
-Si, oso. Perché io so cose che tu non sai, Tom Riddle, io so molte cose importanti che tu non sai. Ne vuoi sentire qualcuna, prima di commettere un'altro grande errore?-
Voldemort non parlò ma continuò a muoversi in cerchio, e Éméline seppe che il fratello lo aveva in pugno, e che Voldemort, ipnotizzato, per il momento pendeva dalle sue labbra, trattenuto dalla vaghissima possibilità che Harry conoscesse davvero un ultimo segreto.
-È di nuovo l'amore?- ringhiò Voldemort, il volto da serpente contorto in una smorfia di scherno. -La soluzione preferita di Silente, l'amore, che a sentir lui vince la morte. Ma l'amore non gli ha impedito di cadere dalla Torre e andare in pezzi come una vecchia statuina di cera. L'amore non ha impedito a me di schiacciare quella Mezzosangue di vostra madre come uno scarafaggio, Potter... e pare che nessuno ti ami abbastanza da farsi avanti, questa volta, a prendersi la mia maledizione. Neanche tua sorella. Quindi che cosa ti impedirà di morire adesso, quando colpirò?-
-Una cosa sola.- rispose Harry, e ancora si fronteggiavano, assorti l'uno nell'altro, separati soltanto dall'ultimo segreto.
-Se non è l'amore che ti salverà, questa volta- insisté Voldemort, -devi credere di avere una magia che io non ho, o un'arma più potente della mia.-
-Credo entrambe le cose.- ribatté Harry, e vide la sorpresa balenare sul volto di serpe e dissiparsi all'istante; Voldemort scoppiò a ridere e il suono fu più spaventoso delle sue urla; folle e privo di gioia, echeggiò nella Sala silenziosa.
-Tu credi di conoscere più magie di me?- chiese. -Di me, di Lord Voldemort, che ha compiuto magie che Silente stesso non si era nemmeno sognato?-
-Oh, se l'era sognato eccome- rispose Harry, -ma lui ne sapeva più di te, abbastanza da non fare quello che hai fatto tu.-
-Vuoi dire che era un debole!- urlò Voldemort. -Troppo debole per osare, troppo debole per prendere ciò che avrebbe potuto essere suo e invece sarà mio!-
-No, era più intelligente di te. Era un mago migliore, un uomo migliore.-
-Io ho provocato la morte di Albus Silente!-
-È quello che credi. Ma ti sbagli.-
Éméline spinse la folla che li attorniava lungo le pareti e tutti respirarono come una sola.
-Silente è morto!- Voldemort sputò queste parole contro Harry come se gli potessero provocare un dolore insopportabile. -Il suo corpo marcisce nella tomba di marmo vicino a questo castello, io l'ho visto, Potter, e non tornerà!-
-Certo, Silente è morto- rispose Harry tranquillo, -ma non l'hai fatto uccidere tu. Ha scelto lui come morire, con mesi di anticipo, ha programmato tutto con l'uomo che credevi fosse il tuo servo.-
-Che sogno infantile è questo?- chiese Voldemort, ma ancora non colpì, e i suoi occhi rossi non si staccavano da Harry.
-Severus Piton non era dalla tua parte.- spiegò Éméline, interrompendo bruscamente il fratello. Nessuno, nessuno, poteva attribuire a quell'uomo un qualsiasi attributo negativo, neanche quello stolto di Tom Riddle. Lo avrebbe spiegato lei. -Piton era dalla parte di Silente dal momento in cui hai cominciato a dare la caccia a nostra madre. E non te ne sei mai accorto, per via della cosa che non puoi capire. Non hai mai visto Piton evocare un Patronus, vero?-
Voldemort non rispose ma puntò gli occhi rosso sangue in quelli verde smeraldo della ragazza.
-Il Patronus di Piton era una cerva- continuò lei, -come quello di nostra madre, perché lui l'ha amata per tutta la vita, da quando erano bambini. Avresti dovuto capirlo- aggiunse, vedendo le narici di Voldemort vibrare. -Ti aveva chiesto di risparmiarla, no?-
-La desiderava, tutto qui- lo schernì Voldemort, -ma quando lei morì, convenne che esistevano altre donne, di sangue più puro, più degne di lui...-
-Naturale che ti abbia detto questo, che cosa ti aspettavi? Che ti dicesse che era una spia e te la stava facendo sotto al naso senza che te ne accorgessi? Ma è stato la spia di Silente dal momento in cui la minacciasti e da allora ha lavorato contro di te! Silente stava già morendo quando Piton l'ha finito! E vuoi sapere perché Silente fosse così sicuro che non lo avrebbe mai tradito? Non per via di mia madre, ma per me. Perché quando Piton andò a dire a Silente di nasconderci, mia madre lo perdonò. E lo nominò mio padrino!- l'ultima frase l'aveva praticamente urlata, in modo che tutti la sentissero. Vide Harry girarsi a guardarla mentre non riusciva a credere a quello che aveva detto, vide tutta la stanza che si riempiva di sussurri.
-Non ha importanza!- strillò Voldemort. Aveva seguito ogni parola con attenzione rapita, ma ora scoppiò in una risata stridula e folle. -Non ha importanza se Piton fosse mio o di Silente, o quali insignificanti ostacoli abbiano cercato di mettere sul mio cammino! Io li ho schiacciati come ho schiacciato la vostra stupida madre sanguemarcio ragazzina, il presunto grande amore di Piton! Oh, ma tutto torna, e in modi che voi non comprendete! Silente stava cercando di tenere lontana da me la Bacchetta di Sambuco! Voleva che fosse Piton il vero padrone della Bacchetta! Ma io sono arrivato prima di voi... l'ho trovata prima di voi, ho capito la verità prima di voi. Ho ucciso Severus Piton tre ore fa e la Bacchetta di Sambuco, la Stecca della Morte, la Bacchetta del Destino è davvero mia! L'ultimo piano di Silente è andato storto, Harry Potter!-
-Sappiamo che l'hai ucciso tre ore fa. E visto che non te ne sei accorto ti dirò come lo so: eravamo lì. Tutti e due, proprio sotto al tuo naso, a vederti uccidere l'uomo sbagliato. È lì che Harry ha scoperto la verità su di lui. Io sapevo tutto da un anno.- disse Éméline.
-Sì, è vero, lo hai ucciso, come ha detto lei.- concesse Harry. -Hai ragione. Ma prima che tu provi a uccidermi, ti consiglio di pensare a quello che hai fatto... pensaci, e cerca in te un po' di rimorso, Riddle...-
-Che cosa?-
Di tutte le cose che Harry e Éméline gli avevano detto, più di ogni rivelazione o insulto, niente sorprese Voldemort come questa. Harry vide le sue pupille ridursi a fessure sottili, la pelle attorno agli occhi sbiancare.
-È la tua ultima possibilità- continuò Harry, -tutto ciò che ti resta... ho visto quello che sarai altrimenti... sii un uomo... cerca... cerca un po' di rimorso...-
-Tu osi...?- ripeté Voldemort.
-Sì, oso- rispose Harry, -perché l'ultimo piano di Silente non si è ritorto contro di me. Si è ritorto contro di te, Riddle.-
La mano di Voldemort tremò sulla Bacchetta di Sambuco e Harry strinse forte quella di Draco. Capì che era questione di secondi. Éméline trattenne il fiato.
-Quella bacchetta non funziona ancora bene perché hai assassinato la persona sbagliata. Severus Piton non è mai stato il vero padrone della Bacchetta di Sambuco. Non ha mai sconfitto Silente.-
-L'ha ucciso...-
-Non mi ascolti? Piton non ha mai sconfitto Silente! Hanno deciso insieme la sua morte! Silente voleva morire imbattuto, essere l'ultimo vero padrone della Bacchetta! Se tutto fosse andato come previsto, il potere della Bacchetta sarebbe morto con luì, perché non gli sarebbe mai stata vinta!-
-Ma allora, Potter, è come se Silente l'avesse consegnata a me!- la voce di Voldemort era intrisa di piacere malvagio. -Io ho rubato la Bacchetta dalla tomba del suo ultimo padrone! Io l'ho portata via contro il desiderio del suo ultimo padrone! Il suo potere è mio!-
-Ancora non capisci, Riddle? Possedere la Bacchetta non basta! Tenerla, usarla non la rende davvero tua. Non hai sentito Olivander? È la bacchetta che sceglie il mago... la Bacchetta di Sambuco ha riconosciuto un nuovo padrone prima della morte di Silente, qualcuno che non l'ha mai nemmeno sfiorata. Il nuovo padrone ha tolto la Bacchetta a Silente contro la sua volontà, senza mai capire cosa aveva fatto, o che la bacchetta più pericolosa del mondo gli aveva offerto la sua obbedienza...-
Il petto di Voldemort si alzò e si abbassò in fretta, e Harry avvertì la maledizione in arrivo, la sentì crescere dentro la bacchetta puntata contro il suo viso. Éméline strinse forte la sua bacchetta, pronta a intervenire in caso di bisogno.
-Il vero padrone della Bacchetta di Sambuco era Draco Malfoy.-
Una vacua sorpresa comparve per un attimo sul viso di Voldemort, poi sparì.
-Ma che importanza ha?- mormorò il Signore Oscuro. -Anche se tu avessi ragione, Potter, non farebbe alcuna differenza per te e per me. Non hai più la bacchetta di fenice: il nostro sarà un duello di pura abilità... e dopo che avrò ucciso te, potrò occuparmi di Draco Malfoy...-
-È troppo tardi- osservò Harry. -Hai perso l'occasione. Sono arrivato prima io. Ho battuto Draco settimane fa. Gli ho portato via questa.-
Harry agitò la bacchetta di biancospino e sentì gli sguardi di tutti i presenti su di essa. All'improvviso Éméline capì cosa sarebbe successo. Perché se lui aveva disarmato Draco allora voleva dire che...
-Quindi è tutto qui, capisci?- sussurrò Harry. -La bacchetta che hai in mano sa che il suo ultimo proprietario è stato Disarmato? Perché se lo sa... sono io il vero padrone della Bacchetta di Sambuco.-
Ci fu un breve momento in cui la tensione tra i due era quasi visibile. Éméline aveva paura per il fratello. Sapeva che non poteva morire, ma aveva paura. Sentì una mano cingerla per le spalle e quando si voltò vide la professoressa McGonagall che con gli occhi le diceva di stare tranquilla.
Harry udì la voce acuta strillare e urlò anche lui la sua speranza estrema verso il cielo, puntando la bacchetta di Draco e sperando che i suoi genitori stessero con lui per portargli fortuna come avevano fatto appena qualche ora prima.
-Avada Kedavra!-
-Expelliarmus!-
Un lampo verde e uno rosso si scontrarono esattamente al centro del cerchio immaginario che avevano disegnato.
Poi, improvvisamente, il lampo rosso divenne più luminoso.
-Coraggio Harry.- sussurrò Éméline con le mani davanti alla bocca, pregando.
Il lampo verde che scaturiva da Voldemort era sempre più piccolo e poi, improvvisamente, la bacchetta volò in alto, molto in alto, e Harry la prese al volo, come un boccino in una della tante partite giocate.
Voldemort cadde all'indietro, le braccia spalancate, le pupille a fessura degli occhi scarlatti che si giravano verso l'alto. Tom Riddle crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro. Voldemort era morto, ucciso dal rimbalzo della sua stessa maledizione.
Aspettarono qualche secondo, per vedere se si muoveva. Ma lui non si mosse, e con gli occhi vitrei rimase steso in mezzo alla Sala Grande.
Éméline si buttò tra le braccia di Harry e lo strinse a sé come non lo aveva mai stretto prima.
È finita, si disse Éméline.
-È andata, è morto. Ora è tutto okay.- le sussurrò Harry all'orecchio mentre la stringeva forte fra le braccia. Nonostante le emozioni della giornata, profumava leggermente di vaniglia. Nessuno aveva parlato, osato interrompere quel momento. Poi, la folla esplose. Tra il caos, non riuscirono a capire cosa stavano urlando i loro amici, o cosa stavano dicendo loro gli insegnanti. Passarono venti minuti a stringere mani, a abbracciare uomini e donne di tutti le età. Mentre Éméline abbracciava un'altra donna che non sapeva se conosceva o meno tra tutte quelle persone, poco lontano da lei scorse una figura alta con i capelli rossi e gli occhi di un caldo marrone che brillava nella luce del mattino. Fred. Gli sorrise abbassando gli occhi, e sentì il petto scaldarsi mentre le gote le si arrossavano. Il ragazzo camminò lentamente verso di lei, assaporando ogni centimetro che lo separava da Éméline.
Quando le arrivò di fronte le passò le braccia sulle spalle e posò la sua testa sui capelli rossi scuro della giovane. Rimasero in silenzio qualche secondo, godendosi la presenza l'uno dell'altra.
-La prossima volta che ti fingi morta, ti uccido io, chiaro?- le sussurrò ad un certo punto Fred cercando di non far trasparire il sollievo che aveva provato poco prima. Éméline rise.
-Chiarissimo.- disse stringendosi di più al ragazzo, inspirando e lasciando che il suo profumo di menta la travolgesse. Gli passò le braccia attorno al collo e lo strinse di nuovo a sé; non si sarebbe mai stancata di abbracciarlo.

***

Quando sua sorella lo raggiunse, Harry stava guardando fuori da una delle grandi finestre della Sala Grande.
-Ce l'hai fatta.- gli disse sorridendo.
Fuori era sorto un nuovo sole su Hogwarts, una nuova vita per tutti i maghi e le streghe, l'inizio di una nuova era.
-Ce l'abbiamo fatta, senza di te sarei morto quando a sette anni sono caduto dalle scale. Se non ci fossi stata tu ad attutire il colpo, mi sarei rotto l'osso del collo.-
Risero.
-Hai ragione, se non fosse stato per me saremmo stati finiti diversi anni fa.- disse scherzando.
-Non tirartela, Ne. Lo diremo a qualcuno?-
Éméline, che stava guardando fuori, si girò di scatto. Erano anni che non la chiamava in quel modo. Era stato il suo soprannome quando erano piccoli perché Harry non sapeva ancora dire il suo nome e la chiamava "Ne-eline". Da lì il soprannome. Aveva smesso di chiamarla in quel modo verso i sei/sette anni.
-Non lo so Harry... per ora, voglio tenere un po' per me l'unico vero ricordo di mamma e papà... non che non voglia dirlo ai nostri migliori amici però..-
-Sono d'accordo, neanche io voglio. Voglio godermi la loro presenza insieme a te ancora per un po'.. magari un giorno lo diremo agli altri.-
-Magari si.-
Si sorrisero.
Non sapevano quanto tempo sarebbe passato prima che le persone ricominciassero a cercare la loro presenza, a stringere loro le mani. Il fatto che bramassero un lungo riposo e la compagnia di pochi intimi non era passato per la mente di nessuno e, quello, era il primo momento in cui restavano soli dalla caduta di Lord Voldemort. Dovevano parlare con i famigliari delle vittime, stringere loro le mani, guardare le loro lacrime, ricevere i loro ringraziamenti, ascoltare le notizie che rimbalzavano da ogni dove col procedere del mattino: in tutto il paese quelli che erano stati colpiti da una Maledizione Imperius erano tornati in sé, i Mangiamorte fuggivano o venivano catturati, gli innocenti di Azkaban liberati, e Kinsgley Shacklebolt era stato nominato Ministro della Magia ad interim...
Qualcuno spostò il corpo di Voldemort in un'aula accanto alla Sala Grande, lontano dai corpi di Tonks, Lupin, Colin Canon e degli altri cinquanta che erano morti lottando contro di lui. La McGranitt risistemò i tavoli delle Case al loro posto, ma nessuno era più seduto nell'ordine giusto: erano tutti mescolati, insegnanti e allievi, fantasmi e genitori, centauri ed elfi domestici; Fiorenzo era disteso in un angolo a riprendersi, Grop guardava dentro la Sala da una finestra rotta e la gente lanciava cibo nella sua grande bocca ridente. Dopo un po' i gemelli, sfiniti, si ritrovarono seduti su una panca accanto a Luna.
-Se fossi in voi, vorrei un po' di tranquillità.- commentò lei.
-Mi piacerebbe.- ammise Éméline.
-Li distrarrò io.- suggerì Luna. -Voi usate il Mantello.-
E prima che i gemelli riuscissero a dire una parola gridò:
-Oooh, guardate, un Cannolo Balbuziente!- indicando fuori dalla finestra. Tutti quelli attorno si voltarono e Harry gettò il Mantello addosso a se stesso e alla sorella e, insieme, si alzarono.
Finalmente poterono camminare nella Sala senza essere intercettati. Videro Fred e Ginny due tavoli più in là, il primo mentre chiacchierava con il gemello e Lee Jordan e la seconda con la testa posata sulla spalla della madre: ci sarebbe stato tempo per parlare più tardi, ore e giorni e forse anni. Videro Neville, che mangiava con la spada di Grifondoro accanto al piatto, circondato da un manipolo di ammiratori. Passò fra i tavoli e videro i tre Malfoy, stretti come se non sapessero se star lì o no, ma nessuno vi faceva caso. Ovunque guardassero scorgeva famiglie riunite, poi finalmente videro i due che cercavano.
-Siamo noi.- mormorò Harry, accovacciandosi tra Ron e Hermione. -Venite?-
Si alzarono subito e insieme uscirono dalla Sala Grande. La scalinata di marmo era scheggiata, parte della balconata era sparita, e salendo incontrarono detriti e macchie di sangue.
Da qualche parte in lontananza sentirono Pix che sfrecciava nei corridoi intonando un canto di vittoria di propria composizione:
"Abbiam vinto, viva viva Potter, Vold è mort, con le ossa tutte rotte"
-Rende l'idea delle dimensioni tragiche dell'avvenimento, no?- commentò Ron, e spinse una porta per lasciar passare Harry, Éméline e Hermione.
La felicità sarebbe arrivata, pensò Harry, ma al momento era attutita dallo sfinimento, e il dolore per la perdita di Lupin e Tonks lo trapassava a intervalli regolari come una ferita fisica. Provava soprattutto uno straordinario sollievo e una gran voglia di dormire. Ma prima doveva, insieme a sua sorella, spiegare a Ron e a Hermione, che gli erano rimasti al fianco così a lungo e meritavano la verità. Faticosamente, narrarono ciò che avevano visto nel Pensatoio e ciò che era successo nella Foresta, omettendo il particolare della Pietra, e non avevano nemmeno cominciato a manifestare tutto il loro sconcerto quando finalmente arrivarono nel posto dove erano diretti, anche se nessuno di loro l'aveva nominato.
Il gargoyle che sorvegliava l'ingresso dello studio del Preside era stato abbattuto; era lì tutto storto, con l'aria un po' stordita, e Harry si chiese se sarebbe riuscito a riconoscere la parola d'ordine.
-Possiamo salire?- chiese Éméline.
-Fate pure.- gemette la statua.
Lo scavalcarono e montarono sulla scala a chiocciola di pietra che saliva
lentamente come una scala mobile. In cima, Harry aprì la porta.
Riuscì appena a scorgere il Pensatoio, ancora sulla scrivania dove l'aveva lasciato, e poi un fragore assordante li fece sobbalzare, pensare a maledizioni e Mangiamorte di ritorno, e alla rinascita di Voldemort...
Ma erano applausi. Dalle pareti, i Presidi di Hogwarts in piedi nei loro ritratti gli battevano le mani; agitavano i cappelli e in qualche caso le parrucche, si sporgevano dalle cornici per felicitarsi a vicenda, saltavano sulle poltrone; Dilys Derwent singhiozzava senza pudore, Dexter Fortebraccio sventolava il cornetto acustico; e Phineas Nigellus gridò con la sua voce acuta ed esile: -Vorrei rimarcare che la Casa di Serpeverde ha fatto la sua
parte! Che il nostro contributo non sia dimenticato!-
Ma i gemelli avevano occhi solo per l'uomo in piedi nel ritratto più grande,
proprio dietro la poltrona del Preside. Le lacrime cadevano dietro gli occhiali a mezzaluna per finire nella lunga barba d'argento, e l'orgoglio e la gratitudine che emanava colmarono Harry ed Éméline di un balsamo simile al canto della fenice.
Infine Harry alzò le mani e i ritratti caddero in un rispettoso silenzio, sorridendo e asciugandosi gli occhi, aspettando con trepidazione che parlasse. Lui tuttavia si rivolse a Silente e scelse le parole con grande attenzione, in modo che solo lui, Silente e sua sorella potessero comprendere. Sfinito com'era, con gli occhi gonfi e arrossati, doveva fare un ultimo sforzo, chiedere un ultimo consiglio.
-La cosa che era nascosta nel Boccino- esordì -ci è caduta nella Foresta.- si scambiò una significativa occhiata con la gemella, carica di parole non dette, che li portò ad un comune accordo, -Non sappiamo dove di preciso, ma non abbiamo intenzione di andare a cercarla. È d'accordo?-
-Miei cari ragazzi, lo sono.- rispose Silente, mentre gli altri ritratti mostravano confusione e curiosità. -Una saggia, coraggiosa decisione, ma è esattamente quello che mi aspettavo da voi due. Qualcun altro sa dove è caduta?-
-Nessuno.- assicurò Éméline, e Silente annuì soddisfatto.
-Però vorremmo tenere il regalo di Ignotus.- proseguì Harry, e Silente sorrise.
-Ma certo, ragazzi, è vostro per sempre, finché non lo lascerete a qualcuno!-
-E poi c'è questa.-
Harry mostrò la Bacchetta di Sambuco, e Éméline, Ron e Hermione la contemplarono con una venerazione che a Harry, pur confuso e sfinito, non piacque affatto.
-Non la voglio.- disse.
-Cosa?- esclamò Ron, -Sei pazzo?-
-Lo so che è potente,- continuò Harry stancamente. -ma mi trovavo meglio con la mia. Quindi...-
Frugò nella saccoccia che portava al collo e ne estrasse le due metà di agrifoglio ancora attaccate soltanto per un sottilissimo filo di piuma di fenice. Hermione aveva detto che non poteva essere riparata, che il danno era troppo grave. Lui sapeva solo che se non funzionava questo, non avrebbe funzionato nient'altro.
Posò la bacchetta spezzata sulla scrivania del Preside, la toccò appena con la punta della Bacchetta di Sambuco e mormorò: -Reparo.-
La sua bacchetta si saldò e dalla punta scaturirono scintille rosse. Harry capì che ce l'aveva fatta. Prese la bacchetta di agrifoglio e di fenice e sentì un improvviso calore alle dita, come se mano e bacchetta esultassero per essersi ritrovate.
-Rimetterò la Bacchetta di Sambuca- annunciò a Silente, che lo guardava con enorme affetto e ammirazione, -dov'era. Può restarci. Se morirò di morte naturale come Ignotus, il suo potere sarà infranto, vero? L'ultimo padrone non sarà mai stato sconfitto. E sarà la fine della storia.-
Silente annuì. Si scambiarono un sorriso.
-Ne sei sicuro?- chiese Ron. C'era una debolissima eco di desiderio nella sua voce mentre guardava la Bacchetta di Sambuco.
-Io sono d'accordo con Harry.- sussurrò Hermione.
-Anch'io.- convenne Éméline.
-Quella bacchetta procura più guai di quel che vale.- concluse Harry. Poi voltò le spalle ai dipinti. Pensava solo al letto a baldacchino che lo aspettava nella Torre di Grifondoro: chissà se Kreacher gli avrebbe portato un panino lassù. Éméline sarebbe sicuramente andato con lui, un po' perché non avevano alcuna intenzione di separarsi dopo essersi ritrovati dopo così tanto tempo, un po' perché provavano la profondità necessità di condividere quel momento così particolare, delicato e doloroso delle loro vite. -E sinceramente- aggiunse Éméline, -abbiamo passato abbastanza guai per una vita intera.-

***

Quando Éméline si risvegliò era quasi il tramonto. Dalle voci intuiva che non era più sola in dormitorio. Si tirò su a sedere: aveva dormito vestita sopra le coperte. Hermione dormiva beata nel suo letto, vicino a quello di Parvati.
Qualcuno corse giù per le scale.
Si alzò con calma e si sedette sul bordo del letto. Era il caso di scendere e vedere cosa stava succedendo? Forse sì.
Con uno sbadiglio si mise in piedi e si infilò le scarpe della divisa. Aprì la porta ed uscì. A correre erano state due ragazzine del primo o del secondo anno. Un'altra era seduta davanti alla porta del suo dormitorio. La riconobbe come una ragazza del terzo anno.
-Gabbe!- la chiamò mentre risaliva le scale a due a due.
-Ciao, Éméline.- la salutò la ragazzina, gli occhi neri colmi di ammirazione.
-State bene? Quando siete tornati? Ci sono altri minorenni?- chiese tutto d'un fiato.
-Oh sì, noi più piccoli stiamo tutti bene. Sono felice che tu sia viva, piuttosto. Comunque, siamo tornati circa un'ora fa, la McGonagall ci ha dato della roba da fare per aiutare a ripulire un po'... e sì, è arrivata tantissima gente, tra cui quelli che erano stati allontanati. Da qualche parte ci sono anche i tuoi amici, quelli di Corvonero.- rispose la ragazzina con la voce che tremava dall'emozione.
-Grazie mille, Gabbe, davvero!- la ringraziò riconoscente Éméline prima di correre giù per le scale. Doveva parlare con Gaia e Ingmar.
Il castello era, come già le aveva detto Gabbe, brulicante di gente. Sarebbero bastati pochi secondi perché qualcuno la notasse, e lei voleva passare inosservata.
Entrò rapidamente in un bagno mezzo crollato e ritornò Isabel. Gli unici che l'avrebbero notata sarebbero stati gli studenti di Corvonero, forse.
Percorse lentamente gran parte dei corridoi della scuola osservando le macerie e i danni causati dalla recente battaglia.
Le mura erano crepate, in alcuni punti enormi buchi facevano entrare più luce di quanta quei luoghi non ne avessero mai vista.
Improvvisamente, mentre si trovava in prossimità della scalinata che portava al piano terra, qualcuno le saltò addosso e l'abbracciò forte.
-Sei viva!- disse Gaia sollevata. Ingmar, dietro di lei, le guardava sorridendo.
A nessuno dei due giovani Corvonero importava di chi fosse o non fosse la persona che aveva di fronte: erano amici.
-Ti abbiamo cercata per ore, dicevano che eri viva ma nessuno sapeva dove fossi.- disse Ingmar.
-Scusatemi.- ridacchiò Isabel, -Ma eravamo davvero esausti, mi sono appena svegliata. Conoscendo mio fratello, dormirà fino a domani.-
Risero.
-Vi va di uscire un po'?- domandò dopo qualche secondo Isabel.
Gaia e Ingmar annuirono.
Scesero le scale in silenzio, l'uno vicino all'altro come avevano fatto per tutti i mesi passati a scuola insieme, con calma, tacendo domande troppo scomode o cercando di scacciare il dolore che piano piano tornava ad affiorare.
Il sole stava tramontando sui territori del castello tingendo tutto di rosso e oro, come se il cielo e il sole volessero omaggiare a loro modo il coraggio e la vittoria dei due giovani Grifondoro.
Era tutto perfetto intorno a lei. Alcune persone si godevano gli ultimi raggi di sole di quel 2 Maggio, e Isabel di godette l'aria tra i capelli e la presenza dei suoi due amici. Non avrebbe mai dimenticato la sensazione che aveva provato prima di morire, e in quel momento tutto per lei acquisiva una bellezza nuova, dagli alberi, al lago, ai colori.
Dopo un po', Ingmar la guardò.
-Ora cosa succederà? Voglio dire... è inutile continuare a fingere che tu non sia quella che sei... e sei una Grifondoro.-
-Lo so. Non fingerò. Ma in ogni caso, appartengo anche a Corvonero. Ho trovato una vera famiglia in quella Torre e in voi due quest'anno, alla pari che nella Torre di Grinfondoro. Ma non preoccuparti, passerò tutto il prossimo anno a tediarvi con i compiti e i ripassi per gli esami, se è questo che ti preoccupa.-
-Tornerai ad Hogwarts?! Pensavo volessi tornare a casa!- chiese Gaia sorpresa.
Isabel la guardò negli occhi e poi si girò verso il castello illuminato dagli ultimi raggi della sera. Vide la torre di Grifondoro e intravide quella di Corvonero. La torre dell'orologio osservava dall'alto tutti i territori del castello. Dal lago videro degli spruzzi uscire e scomparire immediatamente, sicuramente opera della Piovra Gigante. Sorrise.
-Ma io sono già a casa.- disse Isabel, poi prese sottobraccio i due amici, e continuò a camminare verso l'alba di una nuova era, di un nuovo, sconosciuto e splendido futuro.

 

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Capitolo 20
*** Godric's Hollow ***


Era il 24 dicembre alla Tana, e tutti si stavano preparando per la mezzanotte.
La base dell'albero di Natale, che occupava gran parte del salotto, era piena di pacchi di ogni forma e dimensione.
La casa era decorata con stelle, ghirlande, palline e vischio. Dei piccoli Babbi Natale incantati giravano per la casa gridando "Oh oh oh, Buon Natale!" a chiunque incontrassero.
Quella sera, per cena, oltre ai Potter e ai Weasley erano venuti Kingsley, i Lovegood, Andromeda e i Longbottom.
La cena era stata fantastica. Ginny, Hermione e Éméline avevano aiutato la signora Weasley con il cibo. Avevano mangiato fino a scoppiare e poi si erano tutti spostati in salotto a parlare.
Stavano parlando di Ted che due settimane prima aveva iniziato a ripetere di continuo piccole sillabe e cercava di chiamare Éméline dicendo ma.
Ora il piccolo si trovava tra le braccia di Éméline che, dopo il funerale di Remus e Tonks, aveva accettato di prenderlo con sé, anche se, visto che lei era tornata ad Hogwarts per prendere i M.A.G.O., stava sempre dalla nonna Andromeda.
Verso la fine di agosto la donna aveva annunciato ai gemelli di aver pensato a lungo alla possibilità di adottarli, ora che erano diventati una famiglia unica a tutti gli effetti, ed aveva domandato loro cosa ne pensassero. Meno di un mese dopo, Harry ed Éméline ebbero per la prima volta una madre a tutti gli effetti.
Éméline ed Hermione avevano ripreso la scuola insieme a Ginny per quello che si era rivelato l'anno più divertente della loro carriera scolastica, nonostante le ferite, ora che non avevano più nessuna vita da salvare o nessun pazzo narcisista da sconfiggere.
Harry e Ronald avevano intrapreso il loro corso da Auror, mentre Fred e George avevano iniziato a progettare l'apertura di una filiale dei Tiri Vispi Weasley ad Hogsmeade, per assicurare un po' di sane malefatte all'interno della scuola.
Bill e Fleur avevano trascorso i primi mesi del dopoguerra a Shell Cottage, la loro villa sulla spiaggia, dove avevano occupato il tempo decorando la cameretta per il futuro nuovo arrivo in casa Weasley, per poi spostarsi temporaneamente a Grimmaul Place, per assicurarsi un sostegno medico più rapido sia un maggior sostegno famigliare durante la gravidanza di Fleur.
Charlie era ripartito per la Romania il prima possibile promettendo di scrivere presto e di tornare a trovare Teddy.
Infine, i signori Weasley avevano accolto Andromeda a casa, sia per starle accanto nel dolore sia per aiutarla con il nipote.
Harry lanciò uno sguardo a quello che era ufficialmente diventato suo nipote. Dormiva tranquillo, succhiandosi la manina, i capelli di un rosa acceso.
Mancavano dieci minuti a mezzanotte.
Harry si alzò e andò in cucina, lanciando uno sguardo ad Hermione. La ragazza annuì. Éméline si alzò subito dopo, adagiando il piccolo tra le braccia di Fred, che era ormai diventato il suo ragazzo da sette mesi.
Raggiunse Harry. Indossava dei jeans e una camicia con un maglione alla Weasley sopra.
In mano aveva una giacca e un cappotto.
-Vieni. Voglio darti il mio regalo di Natale.-
-Ma Harry, mancano ancora dieci minuti. Non vorrai andare contro alla tradizione secolare dei Weasley, credo che Molly ti ucciderebbe.- disse sorridendo.
-Lo so, ma non riuscirà a prendermi. Allora, vieni?- disse ridendo.
-Come posso dire di no al regalo di mio fratello?- disse scherzando mentre Harry le metteva, da vero galantuomo, il cappotto grigio chiaro sul vestito blu notte che indossava. Aspettò che Harry si mettesse a sua volta la giacca e poi gli prese la mano. Harry girò su se stesso e si smaterializzarono.

***

Curiosa, Éméline aprì gli occhi. Erano mano nella mano in un vicolo innevato sotto un cielo blu scuro costellato di tante piccole stelle.
Da una parte e dall'altra della stradina c'erano villette con le finestre illuminate dalle decorazioni natalizie.
Poco più avanti, un bagliore di lampioni dorati indicava il centro del villaggio.
Éméline si guardò intorno senza lasciare la mano del fratello.
-Dove siamo, Harry?- chiese piano.
-A casa, Ne. Siamo a casa.-
Éméline lo guardò.
-Quando dici casa, intendi dire che...?-
Harry annuì con un sorriso tra il dolce e il malinconico.
-Casa. Casa con mamma e papà.- le disse.
Éméline si guardò intorno di nuovo, con il cuore che batteva secondo un'altra frequenza, una frequenza più antica, quasi ancestrale, che si prova solo quando dopo anni di lontananza ci si ricongiunge con il proprio luogo natio.
Harry le offrì il braccio e lei vi si appese, felice che il fratello la sorreggesse visto che non sapeva quanto sarebbe riuscita a stare in piedi con le scarpe col tacco blu che aveva ai piedi.
Sentì freddo e immaginò che le fosse entrata della neve nella scarpe. Fortunatamente, i capelli lasciati sciolti ad eccezione di alcune ciocche raccolte sulla nuca per lasciarsi scoperto il viso impedivano ai leggeri fiocchi che avevano incominciato a scendere di intrufolarsi sotto al suo bel cappotto grigio.
Proseguendo, si imbatterono in diverse villette tutte uguali. Per Éméline, che non era mai stata lì, ognuna di quelle case poteva essere quella in cui un tempo erano vissuti Lily e James Potter, le mura in cui loro erano nati e in cui avevano passato l'anno che, sebbene non se lo ricordassero, era forse stato il più bello della loro vita dopo quelli passati ad Hogwarts.
Éméline osservò i portoni, i tetti carichi di neve e i portici, nella speranza di ricordarsene qualcuno nonostante sapesse quanto quel desiderio fosse irrealizzabile: avevano poco più di un anno quando avevano lasciato quel posto per sempre. Improvvisamente, una domanda le raggiunse le labbra.
-Harry... l'Incanto Fidelius è finito quando sono morti? Noi... possiamo vedere la casa?- chiese al fratello, con la stessa voce timida di un bambino che chiede ai genitori i nomi di persone sconosciute.
-Si, Ne, possiamo.-
Il volto della ragazza si illuminò. Avrebbe visto casa sua, la casa della sua famiglia.
Improvvisamente il vicolo che stavano percorrendo curvò a sinistra e davanti a loro una piccola piazza, il cuore del villaggio, si illuminò. Al centro, illuminato, vi era un monumento ai Caduti parzialmente nascosto da un grosso albero di Natale. C'erano alcuni negozi, un ufficio postale, un pub e una chiesa le cui vetrate rilucevano come gioielli e da cui proveniva un canto sommesso.
Harry e Éméline tesero l'orecchio per carpirne le parole:

Oh sleep, sweet babe,
Though the snow is cold and deep around,
Just sleep, dear babe,
Through the wind's so keen and icy sound,
Oh hush, sweet babe,
There is nothing you should fear,
Just hush, dear babe,
For my love is always here.
And I will hold you, safe in my arms,
So no evil can touch you,
You can come to no harm.
Wake now, dear babe
Now the night is nearly through,
Wake now, sweet babe,
There's a world that's waiting here for you.

Era una melodia bellissima, quasi come una ninna nanna.
Avanzarono sulla neve più compatta, dura e scivolosa dopo che gli abitanti del villaggio avevano passato tutto il giorno a camminarci sopra.
Éméline ebbe per la prima volta paura. Era davvero sicura di voler vedere?
Harry, che conosceva la sorella in modo che nessun altro avrebbe mai potuto neanche lontanante comprende o immaginare, capì immediatamente cosa passava nella testa della ragazza. Le strinse la mano posata sul suo braccio.
-Non preoccuparti, non andiamo subito lì. C'è una cosa che voglio farti vedere prima.- le sussurrò.
Avanzarono ancora fino a quando Harry ruotò su se stesso di 180 gradi portandosi dietro la sorella.
Quello che vide la lasciò senza parole. Sentì gli occhi diventare umidi.
Appena lo avevano oltrepassato, il monumento ai Caduti si era trasformato. Invece di un obelisco coperto di nomi, c'era una statua che raffigurava quattro persone. un uomo alto spettinato e con gli occhiali stava cingendo con un braccio quella che doveva essere sua moglie, i capelli lunghi le ricadevano sulle spalle e un bellissimo sorriso le illuminava il viso. In braccio ai due adulti, due bambini che sorridevano felici tra le braccia dei due adulti. Éméline si avvicinò piano, ammirando ancora una volta la bellezza dei suoi genitori. Era così strano vedersi raffigurata in pietra, senza cicatrice e felice con una famiglia che l'amava. Erano davvero stati così, seppur per un breve lasso di tempo?
Rimasero lì diversi minuti, a guardare e sentendosi un po' più vicina alle loro origini, ora che aveva visto che cosa erano stati.
Quando Éméline decise che potevano continuare, si avvicinarono alla Chiesa. Più si avvicinavano, più il volume del canto aumentava. C'era una cancello all'entrata del cimitero. Harry lo aprì prima di guidare la sorella all'interno. Ai due lati del sentiero scivoloso che portava alla Chiesa, la neve era alta e intatta, perfetta. Passarono dietro all'edificio grazie ad alcuni piccoli sentieri che erano stati evidentemente fatti da coloro che erano andati dai loro cari defunti quel giorno.
Dietro alla Chiesa, fila dopo fila di pietre tombali emergevano da una coltre azzurro pallido colorata di rosso, oro e verde là dove la luce delle vetrate della Chiesa si rifletteva sulla neve. Passarono davanti ad una pietra nera. Éméline si fermò a leggere.
-Kendra Silente e la figlia Ariana. Dove si trova il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore.-
Osservò la tomba per qualche secondo, poi continuò a camminare. Mano a mano che si inoltravano nelle file, l'aria si faceva pesante e Éméline sentiva le gambe tremare. Erano così vicini... Harry la guardò e lei capì che mancava poco alla tomba di Lily e James. Annuì al fratello. Mentre avanzava verso un punto ben preciso in fondo a destra, Éméline avvertì la stessa, pressante, sensazione che aveva provato dopo la morte di Severus, un dolore non solo emotivo ma fisico. La lapide era a due fila da quella di Kendra e Ariana. Era in marmo bianco, come la tomba di Silente, motivo per cui era facile leggere le parole incise sopra che sembravano brillare nella notte. Non dovette abbassarsi per leggere:

James Potter, nato il 27 marzo 1960, morto il 31 ottobre 1981
Lily Potter, nata il 30 gennaio 1960, morta il 31 ottobre 1981
L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte.

Éméline lesse le parole piano, come se avesse un'unica possibilità di comprenderle. L'ultima, la lesse a voce alta.
-'L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte'... è una frase con un bel significato, non trovi?- chiese un un sussurro mentre una lacrima le scendeva solitaria su una guancia.
-Vivere oltre, dopo la morte. Già... ha un nel significato.- rispose Harry abbracciandola.
Lily e James Potter, ormai ossa e polvere, erano così vicini come non lo erano mai stati. Certo, la pietra aveva fatto in modo che loro rivedessero i loro genitori e che parlassero loro, ma non erano reali. Invece li, davanti a loro in quel cimitero, era proprio lì, un mucchio di ossa che un tempo era stata la loro famiglia.
-Secondo te lo sanno? Voglio dire.. loro sono qui, esattamente qui, davanti a noi. Lo sanno che i loro figli che sono vivi solo grazie al loro sacrificio ora sono qui, a un metro da loro?- sussurrò asciugandosi le lacrime. Harry non rispose subito.
-Secondo me si.- disse infine.
Éméline sciolse l'abbraccio e poi si abbassò quel tanto che bastava per avere la lapide esattamente di fronte agli occhi.
Alzò la bacchetta e la puntò contro.
-Orchideus.- sussurrò e un mazzo di fiori apparve esattamente davanti a lei. Vi erano delle rose rose e dei gigli.
-È molto bello.- le disse Harry, facendola sorridere.
Dopo qualche altro minuto, Éméline si girò e riprese il braccio del fratello.
-Andiamo?-
Harry la guidò fuori dal cimitero e in una strada alla loro destra. La messa sarebbe finita a breve.
Le ville alla loro destra e allo loro sinistra sembravano accompagnare i due fratelli. Ben presto riuscirono entrambi a osservare la loro destinazione.
Sempre sotto braccio con sua sorella, Harry guidò Éméline fino al cancello di quella che era stata la loro casa.
Quando arrivò di fronte alla casa, Éméline riusciva a vederla.
L'Incanto Fidelius era morto con Lily e James. La siepe si era inselvatichita nei 17 anni passati da quando Hagrid era venuto a prendere i due gemelli. Gran parte della casa era ancora in piedi, circondata dalla neve. La parte destra del piano superiore era in parte distrutta, dove anni prima Voldemort aveva ucciso Lily e tentato di uccidere i due bambini.
-Possiamo entrare secondo te?- chiese Éméline.
-È pur sempre casa nostra no? Penso di sì.- le rispose Harry. Appena Éméline posò la mano sul cancello, dal groviglio di rovi e erbacce era emerso un cartello che recitava, a lettere d'oro:

Qui, la notte del 31 ottobre 1981, persero la vita Lily e James Potter. I loro figli, Harry e Éméline sono gli unici maghi mai sopravvissuti alla Maledizione Mortale. La casa, invisibile ai Babbani, è stata lasciata intatta nel suo stato di rovina come monumento ai Potter e in ricordo della violenza che distrusse la loro famiglia.

Tutto intorno a quelle lettere incise con cura, maghi e streghe venuti in pellegrinaggio in quel luogo avevano aggiunto le loro scritte. Alcuni si erano limitati a firmare con inchiostro sempiterno, altri avevano inciso le loro iniziali sul legno, altri ancora aveva scritto vere e proprio frasi.
"Buona fortuna, ovunque voi siate" "Se leggete queste righe, ragazzi, noi siamo tutti con voi!" "Lunga vita a Harry e Éméline Potter"
I due fratelli sorrisero. Era bello sapere che nessuno avrebbe mai toccato quel luogo.
Harry e Éméline si fecero strada verso la casa e, puntando la bacchetta contro la neve, dissero:
-Fuocondro.-
Dalla punta della bacchetta si generò immediatamente calore e dopo qualche minuto la neve si era sciolta a creare un passaggio. Si avviarono verso la porta. Varcarono l'uscio.
Sulla loro sinistra vi era un passeggino, uno di quelli grandi, a due posti. Era ricoperto di ragnatele e negli anni si era rovinato, ma non importava. Di fronte a loro, sulla destra, vi era una scala che portava al piano superiore. Harry e Éméline presero le bacchette e sussurrarono entrambi
-Lumos.-
Seguirono il corridoio che svoltava a sinistra. Sulla loro sinistra vi erano due porte. Entrarono nella prima stanza, trovandosi davanti ad un piccolo salotto. Un televisore era posto sulla parete sinistra, di fronte ad un divano blu. Appena entrati, sulla destra, vi era un camino. Sopra al divano c'era un quadro raffigurante i Malandrini e Lily il giorno del matrimonio di Lily e James. Éméline storse il naso alla vista di Peter Pettingrew. Si guardarono ancora un po' in giro, poi uscirono. Prima di arrivare all'altra porta e entrare nella stanza successiva, si imbatterono in un quadro. Era diviso in cinque parti. Nella prima, vi era una foto di Lily con in braccio un fagotto blu e uno rosa, evidentemente appena tornati dall'ospedale in cui erano nati i bimbi. Nella seconda, c'erano Sirius con in braccio Harry e Remus con in braccio Éméline. Nella terza due bambini tutti sporchi di pappa stavano ridendo. La quarta e la quinta raffiguravano una i due fratelli con i genitori e l'altra i due fratelli con i Malandrini e Lily. Erano già piuttosto grandi e Harry notò la mancanza di Pettingrew. Che fossero le ultime settimane di vita dei Potter, in cui Peter era troppo occupato a stare con il suo Signore? Un odio profondo si impadronì di Harry, che andò avanti. Entrarono nella stanza successiva, ritrovandosi nella cucina. Sulla destra vi era la cucina, il forno e il frigo e sulla sinistra vi era un tavolo con quattro sedie e due seggioloni bianchi. Éméline sorrise al pensiero che anni prima lei era stata seduta su uno dei due e sua madre con amore le aveva dato da mangiare. Sul tavolo videro dei giocattoli sparsi.
Che avessero giocato lì con i genitori un'ultima volta prima di essere irrevocabilmente separati da loro?
Decisero di salire al piano di sopra.
Quando arrivarono in cima alla scalinata, videro immediatamente la parte di casa distrutta. Una parete era andata completamente in frantumi e dava una visuale aperta sulle vie di Godric's Hollow. Il pavimento era giallo e le pareti erano bianche con alcuni disegni e immagini. Su una parete, sopra a due lettini, vi erano due iniziali di legno: una H e una E. Per terra, le macerie si mischiavano con i giocattoli lasciati dai bambini.
Éméline si avvicinò a toccare la sua iniziale e quella che era stata il suo lettino. Lacrime di malinconia e desiderio rigavano le guance dei due ragazzi. Proseguirono. Mancavano due porte. Nella prima trovarono un bagno. In fondo, sotto alla finestra, vi era un fasciatoio con ancora un pacco di pannolini aperti. Gli spazzolini e gli accappatoi erano ancora al loro posto. Se non fosse stato per le macerie e la sporcizia, si sarebbe tranquillamente potuto affermare che quella casa era abitata. Uscirono e si avvicinarono all'ultima porta. La camera dei loro genitori. Quante notti avevano passato in quel letto con loro? Éméline aprì la porta.
Davanti a loro vi era il letto matrimoniale, ai lati del quale due comodini ospitavano alcuni averi dei due coniugi. Sul comodino più vicino alla porta, che doveva essere quello di Lily, vi erano un portagioie e dei libri. Su quello più vicino alla finestra invece, una foto di James e i Malandrini animata e una sveglia. Éméline si avvicinò al portagioie della madre e lo aprì. All'interno, tra i tanti gioielli, un bracciale d'oro bianco con alcuni diamanti incastonati rifletteva la luce della bacchetta. Lo prese in mano e lo osservò meglio. Le pietre non erano molto grandi. Éméline lo aveva già visto da qualche parte, ne era sicura. Ma dove?
Harry, le si avvicinò.
-È quello della foto del matrimonio!- sussurrò sorpreso. Éméline annuì. Ecco dove lo aveva visto. Era un bracciale semplice ma elegante, composto da una serie di piccoli diamanti e chiuso da un grazioso gancetto raffinato.
Harry posò la bacchetta sul letto e prese il bracciale dalle mani della sorella. Le alzò un braccio e poi le mise il bracciale. Éméline lo guardò.
-A loro non serve più. E questo bracciale era suo. È giusto che vada a te, io non metterei mai una cosa del genere.- sussurrò ridente e malinconico al medesimo tempo.
-Tu cosa prendi?- chiese Éméline.
-Ora vediamo, okay?-
Lei annuì. Si guardò intorno. Sulla parete che ora avevano alle spalle, quella della porta, c'era un armadio bianco. Di fronte al letto vi erano altre foto dei due fratelli e una piccola libreria piena zeppa di libri.
Guardarono meglio l'armadio. Aveva quattro ante, e esattamente al centro vi erano delle mensole in cui i coniugi Potter avevano riposto alcuni libri e, come Harry poté notare, un orologio. Si avvicinò e lo guardò meglio. Aveva la cintola di cuoio nero, e il quadrante in argento. Le lancette erano fini e poco decorate.
Éméline gli puntò la bacchetta contro e disse:
-Reparo.-
L'orologio vibrò appena nella mano di Harry e poi ricominciò a scandire il tempo. Sorrisero e Éméline aiutò Harry ad infilarselo.
Rimasero in quella casa per un'eternità. Si chiesero come sarebbe stato crescere lì, amati da due genitori. Mentre scendevano le scale immaginarono due bambini correre fuori e dentro mentre il padre cucinava e la madre rifaceva i loro letti.
Appoggiarono le loro schiene l'una contro l'altra e lasciarono la loro fantasia viaggiare in terre inesplorate e in altre esplorate fin troppe volte. Immaginarono un'infanzia spensierata, serate passate a guardare film tutti insieme sul divano, cene con Sirius e Remus tra risa e mangiare, nottate nel lettone. Immaginarono tutto quello che non avevano
mai avuto e che mai avrebbero potuto avere. Immaginarono quello che la cattiveria e la paura avevano portato viva a due neonati.
E poi si immaginarono adulti, con i loro figli vicini. Bambini dagli occhi verde smeraldo e dai capelli rossi e neri che correvano intorno a loro e si ripromisero una cosa. Anche se non sapevano come essere dei buoni genitori, avrebbero dato a Ted e ai loro figli tutto quello che loro non avevano mai avuto.
L'amore di una famiglia.

 

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Quell'anno l'estate era finita in anticipo lasciando spazio, nonostante il caldo afoso tipico di agosto, ai romantici colori autunnali.
Una bambina con un vestitino blu stava correndo nella stazione ferroviaria di King's Cross. Erano le 10:30 del primo settembre e, come di norma, tutti gli studenti di Hogwarts si stavano dirigendo verso il binario. La piccola Lily corse indietro e passò in mezzo alle due sorelle, che spingevano i loro carrelli, fino ad arrivare dai genitori. Gli occhi bruni guardarono quelli verde smeraldo della madre.
-Ci voglio andare anche io!- disse saltellando. Éméline rise e Fred le strinse di più la mano.
-Non temere Lily, manca poco e poi ci andrai anche tu.- disse sua sorella Emma. Era la più grande delle tre sorelle e aveva due anni in più di Aeline. Somigliava molto alla sorella più piccola, con i capelli rosso scuro della madre e gli occhi bruni del padre.
-Due anni, Emma, due! È tantissimo!- disse un po' piagnucolante. La sorella maggiore ridacchiò mentre passava in mezzo ad alcune vecchie signore ignorando l'"Attenta!" sussuratole dalla madre.
Arrivati davanti alla barriera che separava i binari babbani da quello magico, Fred si avvicinò a Lily e le prese la mano, poi Emma corse e sparì nella barriera magica. Éméline si avvicinò ad Aeline, rigida come una statua. Quando posò le mani vicino a quelle della figlia, due occhi verde smeraldo la guardarono.
-Insieme?-
-Insieme.-
Corsero verso il binario e poi sparirono. Quando uscirono dal muro, di fronte a loro vi era la locomotiva dell'Espresso per Hogwarts.
Dietro di loro comparvero anche Lily e Fred.
Emma stava aspettando poco più in là.
-Mamma, siete arrivati!- disse un ragazzo correndo verso di loro. Non appena Lily riconobbe la voce abbandonò la mano del padre e si gettò tra le braccia del fratello maggiore. Lo aveva sempre adorato.
-Teddy, dove sono gli altri?- chiese Éméline sorridendo amorevolmente davanti a quella scena.
-Sono tutti in fondo al treno, James e Albus litigano di nuovo.-
-Sai che novità.- commentò sarcastico Fred facendo ridere la moglie.
-Sappiamo di chi sono figli.- gli disse di rimando Éméline.
Si avviarono verso il fondo del treno, ma Aeline non si mosse.
-Aeli, tesoro, andiamo.- la chiamò il padre.
-Sì, io... io arrivo, vi raggiungo, voi andate pure.- rispose la bambina giocherellando con della vernice che si stava staccando dal carrello.
Fred e Éméline si guardarono.
-Va' avanti con gli altri, noi ti raggiungiamo.- gli sussurrò Éméline.
-D'accordo, a tra poco.-
Fred si allontanò con un leggero sorriso sulle labbra mentre Éméline si avvicinava alla figlia. Aeline, tutta rigida, si osservava i piedi. I capelli rossi chiaro come quelli di suo padre erano stati legati dalla madre in due trecce cucite che le ricadevano morbide sulla schiena. Éméline si abbassò quel tanto che bastava per avere il viso della bambina appena sopra al suo.
-Che succede, tesoro?- chiese dolcemente.
-E se non mi mettono in Grifondoro? E se poi non finisco con Emma?- chiese piano. Éméline sorrise. Le sue figlie, grazie al cielo, avevano ereditato tutte e tre il carattere materno. Ovviamente un po' di spirito malandrino ereditato dal padre e dal nonno era presente, ma la natura calma e riflessiva della madre e della nonna materna era predominante. Sin da bambine avevano sempre avuto un meraviglioso rapporto. Soprattutto Emma e Aeline erano sempre state inseparabili. Lily preferiva Ted, che con tutte le sue storie su Hogwarts e sulla magia l'aveva affascinata sin da bambina.
Ora che mancava così poco alla sua partenza però Aeline era irrequieta. Cosa sarebbe avvenuto una volta là, lontano dalla sua famiglia?
-A noi non importa in che casa verrai smistata, Aeli. Io ad esempio sono stata smistata in Grifondoro e in Corvonero, e in entrambe ho trovato una famiglia pronta ad accogliermi. Per quanto riguarda Emma, lei ci sarà sempre, anche se tu non dovessi essere in Grifondoro. Sei sua sorella, e questo non ha pari, credimi.-
Una veloce immagine di Harry balenò nella mente di Éméline, che non riuscì a reprime un piccolo sorriso. Quello che aveva detto alla figlia era vero: Emma ci sarebbe sempre stata per lei, come era stato negli ultimi undici anni.
-E se non finisco in Grifondoro?- chiese di nuovo Aeline guardando la madre.
-Ascoltami molto bene, Aeline.- disse dolcemente la madre accarezzandole il volto -Ogni casa ha i suoi pregi e i suoi difetti. I Grifondoro sono coraggiosi e leali, ma hanno un ego da paura e più di una volta ho rischiato di fare a pezzi tuo padre per questo. I Corvonero sono bravissimi, imparano tutto alla velocità della luce, ma a volte tendono ad essere un po' saccenti. I Tassorosso sono laboriosi e disponibili, ma talvolta troppo sinceri. I Serpeverde sono determinati e ambiziosi, anche se finiscono spesso per tirarsela un po'. Non c'è una casa migliore o una peggiore. A undici anni mi hanno assegnata a Grifondoro, ma quando ne aveva diciassette e ho rifatto lo smistamento sono finita in Corvonero. Se finissi in Tassorosso che problemi pensi ci sarebbero? Tuo fratello sarebbe lì, e sono certa che Teddy si prenderebbe cura di te.-
Per un attimo, nessuno disse nulla.
-E se finissi in Serpeverde?- chiese poi Aeline in un sussurro.
Éméline le sorrise e si chiese se fosse il caso di raccontarle nuovamente la storia... decise di sì.
-Tanto tempo fa, c'era un uomo, un Serpeverde, che ebbe più coraggio di tutti i Grifondoro che conosco messi insieme. Tua nonna gli aveva chiesto di diventare il mio padrino. Lui l'aveva amata sin dalla loro più tenera età, ma un giorno commise un errore che li separò per sempre.-
-Si unì a Voldemort?- chiese, trattenendo il fiato, Aeline. Per anni, la storia di Severus Piton era stato l'ultimo saluto prima di andare a letto, ma Éméline aveva sempre omesso dettagli fondamentali, troppo crudo per essere raccontati a delle bambine.
-Sì, e ascoltò una parte di una profezia che profetizzava l'avvento di un bambino maschio nato alla fine di Luglio che avrebbe avuto il potere di sconfiggere il Signore Oscuro.-
-Lo zio Harry?!-
-Esatto. Lui riferì tutto al suo signore ed egli pensò che si trattasse di tuo zio. Quando Severus Piton capì che Voldemort avrebbe dato la caccia ai tuoi nonni, implorò Silente di salvarli. Come sai, fecero il possibile ma non fu abbastanza. Dopo la morte di tua nonna Lily, Piton andò da Silente e incominciò a proteggere me e tuo zio a costo della sua stessa vita. Per anni fece il doppio gioco per l'Ordine della Fenice, fino a quando Voldemort non lo uccise, assetato di potere. E anche in punto di morte, ha cercato di dare a me e allo zio tutto il possibile per poter andare avanti e sconfiggerlo. E tutto questo, per amore di nostra madre. Se lui non avesse deciso di proteggere mio fratello e si fosse risparmiato a proteggere me come gli aveva chiesto tua nonna, ora non saremmo qui. Nessuno di noi sarebbe qui. Quindi, se dovessi finire in Serpeverde, ricordati di lui che, sebbene la sua casa non avesse una buona fama, è stato l'uomo più coraggioso che io abbia mai conosciuto.-
Éméline guardò la figlia. Aveva gli occhi verdi spalancati mentre ascoltava rapita la storia.
-È stato molto coraggioso.- disse alla madre. Lei le sorrise annuendo, cercando di ricacciare indietro la malinconia che improvvisamente le aveva accolto il cuore come un velo. Aeline fece un respiro profondo.
-Lascerò che il Cappello decida dove è meglio che io stia in base alle mie qualità. È giusto che sia così.-
-È una scelta molto saggia.- disse Éméline alzandosi e prendendo il suo carrello. Insieme, raggiunsero i cugini e il resto della famiglia. Harry stava parlando con Ron e Fred e quando la vide andò a salutarla. Ginny e Hermione stavano parlando con Albus e Rose per fare loro le ultime raccomandazioni prima della partenza. Lily Luna, la figlia di Ginny e Harry, stava animatamente discutendo con i cugini coetanei Lily e Hugo, il fratello minore di Rose. James e Emma stavano parlando con Teddy.
-Eccovi, dove eravate?- chiese Ginny.
-Oh, noi stavamo parlando un attimo di cose molto interessanti, vero tesoro?-
Aeline annuì sorridendo.
-Che cose interessanti?- chiese Ron, beccandosi una gomitata nello stomaco dalla moglie per il poco tatto mostrato verso la nipote. Scoppiarono tutti a ridere. Il treno fischiò. Éméline abbracciò Emma.
-Buon anno, scrivimi sta sera okay?- le disse.
-Sì, mamma. Ti voglio bene.-
-Anche io ti voglio bene.-
Poi Emma andò a salutare il padre. Éméline si sentì stringere forte e ricambiò l'abbraccio di Aeline.
-Grazie, mamma. Sei la mamma migliore del mondo.- disse stringendola forte mentre la madre le baciava i capelli.
-Ci vediamo a Natale, tesoro.-
Poi corse a salutare il padre e gli zii.
Éméline andò dall'ultimo dei suoi figli.
-Pronto per l'ultimo anno?-
-No. Mi mancherà un sacco.- le rispose Ted abbraciandola e dandole un bacio sulla guancia.
-Già, manca a tutti. Fa attenzione a Aeline, è preoccupatissima.-
-Tranquilla ma', durante il viaggio le faccio passare la preoccupazione.-
Éméline gli sorrise. Quel ragazzo era uguale a suo padre Remus. Tolta l'abilità di Metamorfomagus ereditata dalla madre ovviamente.
Tutti i ragazzi salirono sul treno e si affacciarono allo scompartimento. Lily era in punta di piedi e il padre la prese in braccio avvicinandola alle sorelle.
-Mi mancherete.-
-Ci mancherai anche tu Lils. Mi raccomando, non fare arrabbiare la mamma.- le disse Aeline ridendo.
-Senti chi parla! Mi scrivere? E mi manderete della foto??- chiese mentre il treno cominciava lentamente a muoversi.
-Sì! Vi vogliamo bene!- urlò Emma mentre il treno prendeva velocità.
Éméline si avvicinò al fratello che si era allontanato seguendo il treno. Il braccialetto di sua madre le risplendeva al polso.
Il braccio di Harry con l'orologio del padre era ancora alzato in segno di saluto.
-Staranno bene.- disse Éméline.
-Ne sono sicuro.- rispose il fratello.
Si guardarono sorridendo. Avevano mantenuto la promessa fatta a Godric's Hollow. Andava tutto bene.

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