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di striscia_04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1: MING-GAT ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2: BESA ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3: YUYIN ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1: MING-GAT ***


Avvertì un tremendo bruciore alla schiena, nel lato destro all’altezza della spalla. Gli sembrava che la pelle gli stesse andando a fuoco e che le fiamme lo avessero scavato fin dentro le ossa, dilaniandogli il tessuto dei muscoli.
“Urgh!” gemette appena sollevata la testa: solo provare a muoversi gli procurava tremende fitte di dolore in tutto il corpo e la testa gli pulsava ritmicamente dandogli un tremendo fastidio. Peggio era, però, quell’insopportabile fischiare che gli martellava le orecchie ogni volta che l’aria attraversava i lobi e raggiungeva i timpani, - o quel che ne rimaneva. Quel dannato sibilo, misto al bruciore gli stava aumentando l’emicrania e soprattutto gli faceva bruciare anche gli occhi, che non erano ancora stati allagati da nuove lacrime, solo perché si era appena svegliato.
Provò l’irrefrenabile desiderio di ritornare a dormire, sentiva una tremenda stanchezza crescergli dentro e il dolore accentuava questo desiderio.
Avrebbe fatto di tutto per poterlo fermare!
Rigettò la faccia sul freddo e sporco pavimento, e il gelo lo cullò, mentre intorno a lui non si udiva alcun suono e la poca luce che riempiva quel luogo, ovunque si trovasse, gli procurava un’incredibile sensazione di pace.
Stava per chiudere le palpebre e ricadere schiavo del mondo dei sogni, quando un pensiero gli attraversò la mente.
La figura non ben definita di un grande animale dal corpo lungo e sinuoso, dai grandi occhi smeraldo e dalla pelle color ametista scuro, lo ridestò dal torpore.
Spalancò gli occhi ed iniziò a spostare freneticamente le pupille da un lato all’altro, alla disperata ricerca della familiare figura. Concentrandosi riuscì a adattare la vista all’oscurità perpetua, ma non scorse da nessuna parte l’oggetto della sua ricerca.
Si rese conto, invece, di essere circondato da due ampie pareti composte da mattoni grigiastri, si disse che anche alle sue spalle, -nonostante non riuscisse a ruotare la testa e non volesse in alcun modo compiere movimenti improvvisi a causa del dolore-, doveva esserci una terza parete identica alle altre due.
Ad attrarre la sua attenzione, però, fu l’ampia porta in legno dalla forma ad arco, che gli si stagliava davanti e su cui era posta, nella parte in cui iniziava il semicerchio, una piccola apertura suddivisa da sei sottili sbarre di ferro.
Rimase a fissarla intontito cercando di capire cosa ci facesse lì quella porta e soprattutto come ci fosse finito lui, rinchiuso in quel luogo ignoto.
Poi, come se gli si fosse accesa una lampadina sulla testa, i ricordi di quello che doveva essergli successo ore prima, gli tornò alla mente, ed iniziarono a guizzargli in testa come le palline di un flipper impazzito, aumentandogli il dolore.
Cercò di concentrarsi per potersi soffermare su un evento in particolare e quello che era iniziato come un film in cui le scene si spostavano a velocità assurda, senza dargli il tempo di vederle e comprenderle; si arrestò d’improvviso e tutto tornò chiaro.
Ricordò di aver affrontato insieme alla sua gilda l’alleanza composta dai membri delle gilde della luce, ricordò di come quei vermi fossero stati sconfitti con immensa facilità da lui e i suoi compagni, alla mente gli tornarono i ricordi del suo scontro con Titania, della rinascita di Gerard e del ritrovamento del Nirvana.
Quell’incantesimo così potente in grado di invertire il bene con il male, la luce con le tenebre, di far emergere il lato più oscuro e crudele degli esseri umani. Quella magia che per anni Oracion Seis aveva cercato di ottenere.
E finalmente c’erano riusciti!
Finalmente avrebbero potuto scagliare su quel dannato mondo tutta la sofferenza che avevano dovuto subire!
Avrebbero portato il caos e si sarebbero goduti la distruzione totale. Finalmente le carte in tavola si sarebbero mischiate!
A pagare per quello che gli era stato fatto da bambini sarebbero stati gli altri!
E chi sene importava se a subire le conseguenze di come il mondo li aveva ripudiati e tormentati sarebbero state persone innocenti…
Anzi, meglio così!
Non lo aveva certo chiesto lui di essere ridotto in schiavitù da bambino, ne aveva scordato il terrore e il male di quello che riteneva tutt’oggi il periodo peggiore della sua vita. In quella dannata torre aveva compreso come le persone non fossero altro che mostri, esseri ignobili, che godevano nel far soffrire i propri simili.
Di persone innocenti e veramente buone a questo mondo non ne esistevano!
Quindi era giusto che a subirne le conseguenze fossero persone sconosciute, persone che sicuramente nella loro vita non avrebbero mai fatto male ad una mosca, ma che comunque non si erano neanche mai impegnate per venire ad aiutarli.
Era giusto che morissero, magari uccidendosi tra se. I deboli soccombono di fronte ai forti, oppure sono costretti alla sottomissione.
Lui lo sapeva bene, lo aveva sperimentato sulla propria pelle, e si era subito stufato di esserlo. Sarebbe stato sempre il più forte e non avrebbe mai più provato quella sensazione di impotenza. Non avrebbe più temuto gli altri, ma anzi sarebbero stati loro a tremare di fronte al suo nome.
La gioia nata da quel pensiero scomparve subito dopo, sostituita dalla rabbia per aver ricordato quello che era successo successivamente.
Erano stati così vicini a vincere, così vicini a portare il caos, così vicini a distruggere la luce. Ma quel dannato mago dai capelli rosa appuntiti si era messo in mezzo!
Quel dannato scarto buono solo a lanciare fuoco a destra e a manca, quel dannato idiota, la cui testa era talmente vuota da riuscire perfino a superare la sua magia. Quel verme di un Dragon Slayer della vecchia generazione, che si ostinava ancora a credere all’esistenza dei draghi nonostante quelle creature dovessero essere estinte da secoli.
Insomma, quella dannata fata, che si era messa in mezzo, cercando di impedire che portassero avanti il loro piano e che, accompagnata dal suo fastidioso gatto volante, era riuscita nell’ardua impresa di batterlo. Ma ancora più umiliante era la constatazione di come fosse riuscito a sconfiggerlo: gli era bastato semplicemente un urlo!
Un urlo!
Lui, Cobra, uno dei maghi oscuri più potenti, membro della gilda di Oracion Seis, che insieme a Tartaros e Grimoire Heart formava l’alleanza Balam; era stato abbattuto da un semplice grido!
Certo, sapeva che le sue orecchie ultra-sviluppate erano anche molto sensibili e si maledì per non aver mai allenato quel punto debole o per non aver mai trovato una soluzione. Era stato troppo presuntuoso, troppo sicuro di se e per questo adesso si trovava in quella spiacevole situazione.
Ma se ne avesse avuto la possibilità sarebbe riuscito a togliere di mezzo quel dannato drago, c’era andato vicinissimo ad ucciderlo, se solo…
Il bruciore alla schiena tornò a farsi sentire più forte ed insistente di prima e il suo volto si contorse in una smorfia sofferente, mentre chiudeva gli occhi e digrignava i denti.
Non so che farmene di qualcuno che si fa sconfiggere da un membro di una gilda della luce!
Avvertì gli occhi pizzicargli e calde lacrime gli discesero lungo il viso inzuppandogli la maglietta e bagnando il pavimento.
Come aveva potuto fargli questo? Come aveva potuto ingannarlo per così tanto tempo?! Lui, che si vantava di poter sentire i cuori delle persone non si era reso conto che il suo capo, il suo Master, l’uomo che gli aveva salvato la vita e che gli aveva dato uno scopo, in realtà lo stava solo usando.
“B-Brain! L-lurido traditore!” ringhiò cercando di smettere di piangere, ma più ci provava e con maggiore insistenza le lacrime lottavano per uscire.
Non poteva rimanere indifferente di fronte a quanto accaduto: l’uomo che definiva un padre, il suo maestro, colui da cui aveva imparato tutto lo aveva pugnalato alle spalle! Letteralmente e simbolicamente.
Lo aveva usato finché gli aveva fatto comodo e quando si era rivelato non più utile ai suoi piani se n’era semplicemente sbarazzato.
Il pensiero gli ritornò all’ultima cosa che aveva visto prima di perdere i sensi: “Cubellios…” biascicò mentre l’immagine del grande serpente viola, dagli occhi verdi si faceva sempre più nitida nella sua testa.
Di nuovo fu scosso da una tremenda paura e subito si rimise a cercare l’animale in mezzo al buio, ma non vide nulla se non una stanza vuota e un letto, messo a pochi metri di distanza da dove era steso.
Devo trovarlo!”
Premette sulle punte delle dita, al punto che gli divennero bianche per lo sforzo. Facendo forza sulle mani tentò di sollevarsi, ma la schiena riprese a bruciargli e ricadde di peso sul terreno.
“D-Dannazione!”
Sentiva le forze abbandonarlo progressivamente e soprattutto non riusciva più ad avvertire distintamente la parte inferiore del suo corpo: era come intorpidita e un fastidioso formicolio gli aveva riempito le gambe.
Ingoiò un grumo di saliva e prese un respiro profondo, poi riprovò: tenendosi ancorato con le mani al terreno tentò di sollevare i piedi e riuscì ad appoggiare le ginocchia sul terreno, mettendosi a quattrozampe, ma assicurandosi di mantenere sempre dritta la schiena.
Quella posizione gli procurò un capogiro, ma si impegnò per ignorarlo e trascinandosi di peso con le mani riuscì ad arrivare davanti alla porta in legno.
Sollevò la testa e i suoi piccoli occhi color ametista si poggiarono sull’apertura.
Tremante strisciò il palmo sinistro contro l’ostacolo di legno, poi ci mise sopra anche l’altro e chiuse gli occhi. La schiena continuava ad inviargli ogni sorta di fitta, cercando in tutti i modi di convincerlo a sdraiarsi sul pavimento…
Spalancò le palpebre, premette con forza i palmi sul piano in legno e poi spiccò una specie di balzo.
Avvertì chiaramente la pelle lacerarsi sotto l’improvviso strattone, e il sangue prendere a colargli giù per la schiena; ma in quel momento la sua unica preoccupazione fu quella di afferrare con le mani le sbarre e riuscire a rimanere in piedi.
Le dita gli si avvinghiarono intorno ai piccoli e sottili cilindri di ferro, ma le gambe non ressero il peso di tutto il suo corpo e ricadde in ginocchio. Con forza strinse la presa e riuscì a non mollarla rimanendo aggrappato all’appoggio.
Strinse i denti e facendo forza sulle braccia si sollevò di peso, riuscendo finalmente a vedere cosa ci fosse al di là di quella porta.
Rimase deluso nel ritrovarsi davanti un altro portone nel muro esattamente identico a quello a cui era aggrappato lui, solo che ne stava vedendo la facciata esterna. Spostò lo sguardo e notò che sia a destra sia a sinistra si estendeva un lungo e angusto corridoio, illuminato qua e la da qualche torcia appesa al muro. Le pareti erano incavate da sfilze di porte tutte identiche, con sopra inciso un numero.
“Ti sei svegliato, finalmente!” esclamò una voce e subito avvertì un cerchio stringerglisi alla testa e le orecchie fischiare.
Spostò il capo dal lato destro, dove aveva sentito provenire la voce e si ritrovò davanti una rana dalla pelle liscia e squamosa di colore rosa. Sulla testa portava un buffo cappello nero, simile ad un fez, mentre il resto del suo vestiario era una tonaca dello stesso colore del copricapo, che lo copriva fino ai piedi.
Storse il naso e digrignò i denti alla vista della piccola croce egiziana la cui punta superiore era caratterizzata da un lungo e schiacciato cerchietto.
“Tu sei un membro del Consiglio!” esclamò furente, lanciando un’occhiataccia mortale al povero anfibio antropomorfo, che spaventato si fece indietro.
“Cosa ci faccio qui?!”
“Vedi di stare calmo, Cobra di Oracion Seis.” gli rispose un’altra persona e voltando la testa di lato il bruno si vide venire in contro una seconda rana. Questa presentava una colorazione verdognola della pelle, con qualche chiazza scura posta qua e là ai lati della testa. La sua uniforme era identica a quella del collega.
Ma il mago provò subito un insopportabile disgusto per il nuovo arrivato, dipeso forse da quello strano sorriso che aveva dipinto in volto e che non temeva di mostrare.
“Sei in arresto.” disse semplicemente il committente del Consiglio, ma il suo sorriso si accentuò, a quella costatazione, e il bruno fu certo di aver visto uno strano luccichio brillare in fondo ai suoi piccoli occhi da rettile.
“Dopo essere stati sconfitti dall’alleanza tu e i tuoi compagni siete stati deportati qui dentro.” continuò il rospo, godendosi l’incupirsi del volto del proprio interlocutore a quella constatazione.
“Finalmente il mondo è libero dalle vostre malefatte! Una piaga in meno a minacciare il corso della giustizia!”
“Tsk, me ne fotto della tua giustizia! E siete degli illusi se sperate di trattenerci qui per sempre! Usciremo di qui e vi massacreremo tutti!”
“Forse non ti è chiaro il concetto…” ghignò la rana e premendo un pulsante al lato della cella fece immettere nella stanza una potente scossa elettrica.
Il suo corpo venne invaso dall’elettricità e gli sembrò di morire bruciato sotto il peso della folgorazione.
“GUUUAAAAAHHHH!”
Non appena la scossa si arrestò cadde all’indietro con un tonfo sordo e rimase sul pavimento, mentre il suo petto si alzava e si abbassava in maniera irregolare. Tossì, ansimando con la bocca spalancata al punto che se ne poteva distinguere l’interno.
“Spero ti sia bastata la lezione.” disse il Consigliere, mentre il compagno si avvicinava alla gabbia per assicurarsi che il prigioniero fosse vivo.
“M-Me ne r-ricorderò, s-schifoso scarto. S-Sappi che te ne farò p-pentire.”
“Insisti!” tuonò il rospo e premette di nuovo il pulsante.
La stanza fu avvolta da un bagliore accecante e in tutti i sotterranei si levarono le grida di dolore dell’uomo. Quando anche la seconda scarica cessò, Cobra si mise a strisciare sul pavimento divincolandosi da un lato all’altro della stanza, tentando di far smettere il pulsare alla testa e il bruciore, che gli avvolgeva tutto il fisico.
“S-Si, t-te la farò p-pagare.” biascicò aggrappandosi con una mano alle lenzuola bianche del letto. Ma una terza scossa investì la stanza e questa volta gli sembrò che il suo corpo si sollevasse di peso a causa della pressione prodotta dall’elettricità.
Ricadde sul terreno, iniziando a sputare sangue mentre il fiato gli moriva in gola.
Il rospo avvicinò l’indice al pulsante e un brivido percorse la schiena dell’uomo al pensiero di subire di nuovo quella tortura, ma in suo aiuto giunse l’altra rana.
“Penso che possa bastare.” disse afferrando il braccio del collega e bloccandolo a pochi centimetri dal bottone.
“Ricorda che i superiori hanno detto che dobbiamo usarlo solo in casi di estrema necessità. Se scoprono quello che fai ai prigionieri rischi la sospensione.”
“Figurati, chi vuoi che vada a dirglielo. E se anche muore chi se ne importa, un lurido rifiuto in meno a questo mondo.”
Ma notando la decisione nello sguardo dell’altro comprese di doversi fermare e lanciata un’ultima occhiataccia al mago superò la cella e proseguì lungo il corridoio.
Quando non riuscì più ad avvertire i passi dei suoi aguzzini, Cobra distese i muscoli e si lasciò cadere sul pavimento, ansimando pesantemente.
Si portò una mano davanti al volto e si rese conto che stava tremando come una foglia: quel dannato membro del Consiglio gli ricordava terribilmente gli schiavisti della Torre del Paradiso. Ci si sarebbe trovato bene, anni prima, insieme a quelle carogne a torturare le persone.
E parlava tanto di giustizia?!
Il suo pensiero tornò al suo chiodo fisso e lo assalì un’angosciante sensazione di sconforto, si pentì di non aver chiesto a quei due notizie sul suo serpente. Adesso, chissà dov’era? Magari rinchiuso in un’altra gabbia. Oppure disperso chissà dove. O addirittura mort…
Scosse la testa, non doveva azzardarsi nemmeno a pensare una cosa simile! Cubellios stava bene! Era fuori da quella schifosa prigione, al sicuro.
Ma lui non c’era.
Per la prima volta da quando aveva dieci anni e lo aveva trovato nascosto dietro un paio di rocce, in quel dannato Inferno, il suo migliore amico non era con lui.
Avvertì un tremendo dolore al petto e si strinse la maglietta con una mano, mentre le lacrime riprendevano a sgorgare e gli inumidivano le guance.
Il suo migliore amico, il suo animale domestico, l’unico essere vivente che gli avesse mai mostrato un briciolo di amore era scomparso per sempre. Disperso chissà dove, in quel folle e odiato mondo esterno, mentre lui era di nuovo bloccato dentro una prigione.
Mai come in quel momento si era sentito solo al mondo.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva scappare. Non ne aveva le forze.
“Cubellios, la mia preghiera… io voglio sentire la tua voce! Io devo sentire la tua voce! Mi hai abbandonato! Te ne sei andato per sempre e io non ho neanche avuto la possibilità di dirti addio! Perdonami! Sing… sing…”
E nel silenzio e nel buio della prigione, rannicchiato in un angolo della cella, diede sfogo dopo anni a tutte le sue lacrime e pianse come quando era un bambino ed era rinchiuso in una gabbia identica a quella, con il timore costante della morte ad asfissiarlo.
Solo che questa volta non c’era un piccolo serpentello a conciliargli il sonno e a consolargli il pianto. E non ci sarebbe mai più stato per sette lunghi anni.


Nota d’autore: eccomi tornata, prima di quanto immaginassi, a scrivere su questo fandom. Finalmente mi è arrivata un briciolo d’ispirazione e mi sono buttata a scrivere su questa challenge, spero di riuscire a pubblicare qualcosa di decente.
Questo è il primo capitolo e ruota intorno alla parola indonesiana Ming-gat.
Ming-gat: andarsene per sempre senza dire addio.
Spero di essere riuscita a rappresentarne adeguatamente il significato.
Parlando invece della coppia, beh… che dire?
Non potevo non dedicare una raccolta a loro due, sono la mia OTP e purtroppo sono così tanto sottovalutati. Spero con questa mia fiction di riuscire a donargli un briciolo in più di attenzione, perché veramente ci sono pochissime storie su di loro, nonostante la loro storia sia una delle più intriganti e poetiche.
Grazie a chiunque recensirà e leggerà questo capitolo. (So che non è un granché, ma è il primo che scrivo su di loro e spero di migliorare andando avanti con la raccolta).
Un saluto da striscia_04.
 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2: BESA ***


Besa: promessa inviolabile, tener fede ad un giuramento mortale.

Sollevò la testa ispirando profondamente, mentre spostava lo sguardo dalla miriade di piatti riversi nel lavandino della mini-cucina sommersi dall’acqua insaponata.
Portatasi una mano alla fronte si scostò con il polso una ciocca di capelli, che le era scivolata davanti al volto e le premeva su un occhio provocandogli un fastidioso prurito.
Rimessi a posto i capelli al lato della faccia immerse le mani nel lavandino e afferrò la spugna, lasciata a galleggiare sul pelo dell’acqua. Strinse un piatto sollevandolo oltre il bordo e ci strofinò contro l’utensile di gomma in modo da eliminare le incrostature di cibo e le briciole, che erano rimaste incollate alla superficie liscia.
Sorrise pensando che proprio quel pomeriggio, qualche ora prima, si era tenuta la festa di compleanno della piccola Asuka e poiché Alzack e Bisca non avevano molti soldi e non sapevano dove celebrarla, il Master Macao aveva deciso di tenerla lì alla sede della gilda.
Inizialmente i genitori della bambina erano stati riluttanti ad accettare: i loro compagni erano sempre molto indaffarati a svolgere missioni per pagare i creditori e per riuscire a mantenersi, inoltre in quel periodo gli incarichi scarseggiavano.
I due maghi non volevano che per colpa della festa i loro familiari si ritrovassero anche questo mese a non riuscire a pagare l’affitto del loro appartamento o addirittura senza nulla da mettere sotto i denti.
Ma alla fine, vedendo tutto l’impegno che i loro amici avevano impiegato per addobbare a festa il modesto edificio, per comprare i cibi e le bevande, per cucinare la torta e per fare un regalo degno di questo nome alla loro figlioletta; si erano rassegnati e la cerimonia si era tenuta a Fairy Tail.
Per l’occasione erano stati invitati anche gli amichetti e i compagni di scuola della piccola e i maghi avevano messo tutto l’impegno possibile per mostrarsi al meglio di fronte agli ospiti e per non far sfigurare i neo genitori: Macao e Wakaba si erano pure trattenuti dal fare commenti indecenti sulle belle madri dei bambini, tutti si erano vestiti con i loro abiti migliori e avevano adottato un comportamento da veri gentiluomini, che però era risultato tutt’altro che naturale, oltre che imbarazzante e fuori luogo.
Perfino Romeo aveva preso parte ai festeggiamenti, mettendo da parte solo per quel giorno la sua tristezza ed impegnandosi per far divertire la sua sorellina e tutti i suoi amichetti con migliaia di forme e immagini create dalle fiamme arcobaleno. Ma anche in quel giorno di festa sul suo volto non si era scorta la minima ombra di un sorriso.
Da anni nessuno lo vedeva più ridere e scherzare, era sempre serio e immusonito, distaccato dal resto del mondo e dalla gilda. Sempre fermo al porto con lo sguardo fisso verso il mare, gli occhi abbassati e spenti, le sopracciglia incurvate e la bocca ormai diventata un perenne solco rivolto all’ingiù. A volte passava ore seduto su un tavolo senza nulla da fare e senza aprire bocca, poi si alzava e sconsolato si recava alla spiaggia… la sua faccia da anni non era altro che una maschera di frustrazione e dolore e lei sapeva che tutto questo era dovuto a ciò che era successo ai loro amici.
Ricordava bene quando sette anni prima lo aveva accompagnato al porto insieme a tutti i loro amici a salutare gli esaminandi diretti a Tenro e di come entrambi avessero gioito e salutato Natsu e gli altri, ignari che quella sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbero visti.
Quella nave non aveva mai fatto ritorno così come nessuno dei suoi passeggeri.
Anche lei, soprattutto i primi tempi soleva fermarsi al porto e guardare lo sconfinato pelago nella remota speranza di scorgere qualcosa giungere dall’orizzonte. Ma si era ormai rassegnata, sette anni erano passati e benché nel suo cuore vivesse ancora una misera speranza non riusciva più a fermarsi a riva: le faceva troppo male illudersi, anche solo per un istante, che sarebbero tornati, che sarebbe stato tutto come prima, che sette anni di angoscia e vergogna sarebbero scomparsi nel nulla quando i suoi amici avessero rimesso piede nella sede. Le faceva troppo male risvegliarsi da quel sogno e accettare la dura realtà; quindi, era meglio smetterla fin da subito invece di continuare a ferirsi da sola.
Sapeva che i suoi compagni non sarebbero tornati.
Sapeva che era inutile continuare ad ingannarsi come stavano facendo tutti quelli rimasti ad aspettarli, ma non riusciva a smettere di farlo, non riusciva ad accettare di non rivederli più, di non poterli più guardare sorridere o urlare o cantare o semplicemente fare a pugni, come era loro solito fare quando tornavano da una missione.
Non gli sembrava giusto che persone così buone, allegre, altruiste e gentili spirassero in quel modo. Non era giusto che i suoi amici, persone che purtroppo non aveva potuto conoscere fino in fondo, ma con cui era certa di aver stretto un solido legame sparissero per sempre senza lasciare traccia. Avevano tutta la vita davanti!
Lei era entrata nella gilda da pochi mesi quando il gruppo di candidati partì verso l’isola Tenro per sostenere l’esame di classe S, ma già allora tutti loro le erano entrati nel cuore e alla loro scomparsa avevano lasciato un buco nel suo animo e lei aveva pianto assieme ai superstiti fiumi di lacrime.
Non osava nemmeno immaginare cosa stessero provando gli altri maghi rimasti alla gilda e soprattutto cosa avessero provato nello scoprire, che gli individui con cui erano cresciuti fossero morti affogati in mezzo al mare. Per loro doveva essere stato uno shock immenso scoprire che i loro familiari, coloro che avevano amato e rispettato, che tutt’ora definivano il fiore all’occhiello di Fairy Tail non avrebbero mai fatto ritorno.
Comprendeva bene la sofferenza di Romeo, poiché lei stessa stava ancora combattendo contro il proprio dolore e il proprio smarrimento e per questo non riusciva a rimproverarlo quando nei momenti di frustrazione si accaniva contro il padre insultandolo in tutti i modi possibili, ne trovava mai il coraggio di raggiungerlo al porto e consolargli il pianto: cosa avrebbe potuto dirgli per alleviare il suo dolore? Come poteva sperare di farlo stare meglio se lei stessa si trovava ancora in quella condizione di non accettazione e sconforto? E poi c’era quell’altra questione alla quale prima doveva trovare rimedio e che ormai da anni l’assillava…
Scosse la testa ridestandosi da quel fiume di ricordi e sensazioni. Abbassò il capo tornando a concentrarsi sul suo lavoro: afferrò un altro piatto e lo lavò sotto l’acqua corrente eliminando con la spugna gli ultimi resti di sporco, poi passò ad un altro e via al successivo fin quando tutte le stoviglie non furono disposte in due colonne al lato del lavandino.
Prese lo straccio che teneva attaccato al manico del mobile e li asciugò uno ad uno, rimettendoli nella credenza.
Sbuffò e i lati della bocca si sollevarono in un genuino sorriso, mentre rimirava il suo lavoro portato a compimento: erano anni che non le capitavano così tanti piatti da lavare o persone da servire. Da anni era abituata a preparare il pranzo ad un massimo di dieci-undici individui e doveva ammettere che gli era mancata tutta quell’attività.
Non era mai stato stancante lavorare come cameriera in quel locale, anzi era gratificante e divertente poter servire i suoi amici, provava un incommensurabile piacere nel rendersi utile e poi adorava cucinare.
Anche se da quando Mirajane se n’era andata anche quell’attività aveva assunto un che di frustrante, era orribile dover entrare nella cucina sul retro per preparare i pasti e non vedere da nessuna parte la giovane donna sorridergli pronta ad aiutarla in ogni mansione. Ma si era dovuta accontentare e farsi forza, perché il resto degli uomini lì dentro sapevano a mala pena prepararsi un panino e più volte le avevano fatto notare che senza di lei o Laki sarebbero morti di fame.
Era felice di sapere quanto la sua presenza fosse indispensabile per loro, le riempiva il cuore di gioia sapere che dopo essere stata sola al mondo, per la maggior parte della sua vita intrappolata nel corpo di una viscida e disgustosa serpe ci fossero persone pronte ad amarla e a dargli una casa.
E tutto questo era solo merito del Master Makarov che l’aveva trovata ed era riuscito a sciogliere la maledizione permettendole di riacquistare le sue sembianze originali.
Il volto sorridente e spensierato di quel vecchio baffuto era stata la prima cosa che ricordava di aver visto, quando si era risvegliata nell’infermeria della gilda.
Le aveva fatto coraggio poggiandole una mano sulla spalla e le aveva chiesto di dirle come era diventata un serpente, ma lei non ne aveva la più pallida idea. Non ricordava nulla della sua vita precedente, solo il suo nome e il volto maligno di un uomo, oltre che la tremenda sensazione che aveva provato quando quell’individuo le aveva lanciato contro un raggio violaceo.
Rabbrividì al solo ricordo di come si fosse sentita in quel momento: era stato come se il suo corpicino venisse schiacciato in una pressa e si allungasse spezzando nel processo le ossa e le fibre muscolari, come se la testa le venisse spiaccicata sotto un macigno, mentre le braccia si attaccavano al resto del corpo sparendo e le gambe si ritirassero contraendo tutti i muscoli del suo corpo fino ad unificarsi in una lunga e disgustosa coda. Ma la parte peggiore era stato avvertire la lingua allungarsi e restringersi, mentre le sue corde vocali vibravano sotto il peso delle sue urla che ad ogni secondo assomigliavano sempre di più ad un fischio.
Era stata l’esperienza peggiore della sua vita e benché ne conservasse solo emozioni e sensazioni, solo il pensiero di essere stata un serpente la tormentava e la spaventava allo stesso tempo. Era ironico pensare che fin da piccola avesse sempre avuto timore di quegli animali e di come fosse finita per diventare una di loro.
Neanche adesso quella paura si era attenuata, anzi temeva la sola vista di una di quelle piccole creature striscianti, sia perché le ricordavano il suo passato, sia perché il Master le aveva riferito di stare il più lontana possibile dal veleno.
Makarov non si era soffermato a spiegarle i dettagli, ma dal modo in cui aveva incurvato le cespugliose sopracciglia arrivando a farsi comparire tre lunghe rughe sulla fronte, da come il suo labbro superiore si fosse arricciato all’indietro e dallo sguardo carico di preoccupazione che le aveva lanciato; aveva compreso che tutto ciò era legato alla maledizione e che la vicinanza con le tossine poteva avere qualche effetto collaterale sul suo corpo.
Solo il pensiero di rivivere quell’esperienza orribile le faceva tremare le budella: non voleva rischiare di tornare un animale privo di qualunque tipo di ragione e soprattutto non voleva smettere di parlare!
Per anni era certa di aver potuto emettere solo un flebile sibilo e se fosse stata in grado di parlare forse qualcuno prima del vecchio si sarebbe accorto di chi era veramente e l’avrebbe aiutata; questo era il suo più grande rammarico.
Finito di spolverarlo superò il bancone del bar diretta verso la bacheca delle missioni e afferrato lo spolverino si mise a scuotere le lunghe piume marroni contro i fogli degli incarichi.
“Ehi Kinana, non c’è bisogno che tu pulisca anche le richieste di lavoro.” le disse Nab sorridendole divertito.
“Lo so. E’ che ci sono talmente abituata che lo faccio senza accorgermene.” rispose lei, bloccando il braccio a mezz’aria per rivolgere un sorriso imbarazzato al suo compagno.
“Sei veramente una ragazza d’oro, magari al mondo ci fossero tante persone che come te si prodigano e faticano per aiutare gli altri.”
“Ma no, io non faccio nulla di che. Siete voi i maghi che vanno a lavorare e permettono alla gilda di rimanere aperta. Io al massimo posso solo spazzare, pulire e cucinare.”
“E ti sembra poco?!” esclamò una voce alle loro spalle facendoli sussultare.
Voltandosi i due si ritrovarono davanti Max, Kinana corrugò le sopracciglia aprendo leggermente la bocca alla vista dell’espressione imbufalita dipinta sul volto del mago della sabbia.
Quest’ultimo le ammiccò un saluto, poi spostò la testa verso l’altro uomo e gli lanciò un’occhiata glaciale, che scomparve sostituita da un sorriso genuino quando i suoi occhi si posizionarono nuovamente sulla figura sinuosa e attraente della cameriera.
“Tu fatichi quanto noi, se non ci fossi tu a prepararci da mangiare o a pulire tutto, questo posto sarebbe da un pezzo una discarica. Anche se non sai usare la magia sei rimasta qui con noi e soprattutto ti dai da fare a differenza di qualcuno di mia conoscenza!” esordì Max fissando di traverso Nab, che in tutta risposta strinse i denti e corrugò le sopracciglia andando ad abbassare le palpebre superiori, mentre i suoi occhi diventavano due piccole fessure.
“Se hai qualcosa da dirmi parla chiaramente!” tuonò il moro alzandosi dalla sedia e avvicinandosi minacciosamente verso l’altro uomo.
Ora che erano uno di fronte all’altro Kinana deglutì notando quanto Nab fosse non solo più muscoloso e massiccio di Max, ma anche più alto. Era vero che il mago della sabbia in quei sette anni era migliorato molto, ma la violetta temeva che la rabbia spingesse Nab a scatenarsi e l’ultima cosa che voleva vedere erano due dei suoi amici litigare.
“Dai ragazzi cercate di calmarvi…” provò ad intervenire, ma nessuno dei due le diede retta.
“Non vai mai a lavorare! Tutti qui dentro si spaccano la schiena dalla mattina alla sera, assaliti da tutti quei bastardi dei creditori al punto che Alzack e Bisca si vergognavano addirittura di farci celebrare la festa qui. Perfino Kinana che non sa usare la magia, non solo ha deciso di rimanere, ma ci mantiene tutti te compreso. Solo che mentre noi lavoriamo al punto da farci sanguinare le mani, tu te ne stai tutto il giorno lì a non fare nulla!”
“Non mi sembra che la cosa ti abbia mai dato fastidio prima di adesso, si può sapere qual è il vero motivo per cui ce l’hai con me?” chiese il corvino sollevando un sopracciglio, mentre la sua faccia era ancora una smorfia sospesa tra rabbia e stupore.
“Solo perché ti ho fatto il grande onore di non fartelo notare prima non significa che possa passarci sempre sopra! Anzi il mio non lamentarmi, così come quello degli altri avrebbe dovuto accrescere il tuo senso di responsabilità e farti comprendere che le cose non sono più come sette anni fa! Non c’è più una situazione tale per cui puoi anche non andare a lavorare! Ti rendi conto o no che siamo sul lastrico?! Che se non paghiamo tutto dovremmo dire addio anche a questo mulino e che non avremmo più una sede fisica?!”
“Certo che me ne rendo conto! Ma come credi che possa mantenere la gilda con queste cavolo di richieste da due soldi?”
“Credi che a me piaccia vedere come ci siamo ridotti? Ma stringo i denti e fatico, sopporto anche il lavoro più umiliante se mi permette di sopravvivere e soprattutto non mi lamento, come te, dalla mattina alla sera!”
“Ma se non fai altro che rimuginare da quando hai dovuto chiudere il tuo negozio?! Sono passati cinque anni e ancora ci assili con il tuo dramma, quando tutti noi abbiamo dovuto fare dei sacrifici!”
“Per me non è stato affatto facile rinunciare alla mia attività, ma l’ho fatto perché la gilda è più importante! Tu, invece, di sacrificare il tuo ego o la tua pigrizia non ci hai neanche pensato. E così, oltre alla gilda, dobbiamo mantenere anche un lavativo!”
“Lavativo a chi?! Ti ricordo che anche io ho speso tutti i miei soldi per permettere la perlustrazione in mare e che anche io mi sono ritrovato sul lastrico e comunque continuo a lottare per tirare avanti!”
“Mi chiedo proprio da dove tu li prenda i soldi, visto che stai tutto il giorno lì a sedere?”
“Nello stesso modo in cui li guadagni tu!”, “Ma per favore?! Se non fosse per noi altri che manteniamo la baracca saresti per strada a fare il barbone!”
“Se non ti piace avermi trai piedi perché non te ne vai?! Così magari te ne torni a gestire il tuo cavolo di negozio di souvenir!”
“Se qui c’è uno che dovrebbe andarsene quello sei tu! Che direbbero il Master e gli altri vedendoti poltrire tutto il giorno, ora che la gilda rischia di essere chiusa?!”
“Pensi di essere migliore di me?! Se davvero fossi stato un mago tanto abile le ultime edizioni del Palio le avremmo vinte, invece tre anni fa ti sei fatto battere al primo turno!”
“Ora non si sta parlando del Palio, ma di lavoro. Se non hai voglia di sgobbare allora levati dalle scatole, qui a Fairy Tail non abbiamo bisogno di uno come te!” gli urlò il mago dai capelli color arenaria.
Nab strabuzzò gli occhi, mentre le palpebre si dilatavano e la bocca si spalancava leggermente: non poteva credere che Max arrivasse a dirgli certe cose.
Digrignò i denti arricciando le labbra, mentre le sopracciglia gli diventavano due curve e al centro della fronte gli si formava una vena varicosa.
Afferrò il bavero della giacca del compagno e lo sollevò leggermente da terra, mentre tirava indietro il braccio libero. Di contro Max spostò le mani aperte ai lati del busto e Kinana vide formarglisi intorno al corpo un sottile strato di sabbia.
“Ragazzi, no!” urlò raggiungendo Nab e afferrandolo per il braccio libero, ma l’attacco era già iniziato e fini per trovarcisi nel mezzo anche lei.
Venne spinta indietro da una gomitata del più grande e perse l’equilibrio cadendo in terra, mentre gli altri due fecero partire i rispettivi attacchi: Nab cercò di colpire Max con un pugno imbrigliando lo spirito di un orso, ma Max si difese bloccando il pugno diretto verso la sua faccia con un muro di sabbia.
Stava per consumarsi il secondo attacco quando una voce urlò: “Fatela finita voi due!”, entrambi si paralizzarono con i bracci sospesi a mezz’aria e spostarono lo sguardo verso il centro della sala.
Qui stava in piedi Macao con i pugni contratti, la bocca spalancata in una smorfia, le sopracciglia stese a formare due linee oblique e gli occhi di fuoco fissi sui due litiganti.
A quella vista entrambi mollarono la presa e abbassarono la testa: “Cosa cavolo vi è saltato in mente?!” tuonò il Master di quarta generazione avvicinandosi ai due: “Non solo vi permettete tali insulti, ma coinvolgete nelle vostre risse anche chi non centra nulla.” disse indicando Kinana, che era ancora seduta a terra e si massaggiava il didietro.
“Ah… m-mi dispiace Kinana, ti assicuro che non era mia intenzione.” disse Nab guardando sconsolato la violetta prima di porgergli una mano per aiutarla ad alzarsi, che lei accettò volentieri.
“Non dovreste litigare.” disse semplicemente la barista esibendo un’espressione abbattuta, prima di superare i due e tornare dietro al bancone.
“Ha ragione!” tuonò Macao con le braccia incrociate e la furia dipinta in volto: a differenza della donna non sembrava per nulla convinto a far morire lì la questione.
“So benissimo che è dura per tutti…” esordì mentre abbassava lo sguardo e faceva ricadere gli arti sui fianchi: “Se proprio dovete dare la colpa a qualcuno datela a me! Ma per favore non continuate a logorarvi a questo modo, proprio ora che la situazione è dura dobbiamo rimanere uniti.”
“Hai ragione, Master.” disse Max guardando sconfortato il suo vecchio amico, per poi voltarsi verso Nab: “Mi dispiace. Non penso veramente quello che ho detto. Ero arrabbiato per motivi miei e me la sono presa con te.” disse porgendo la mano in segno di scusa al moro.
“Non fa niente, scusami tu se ho perso le staffe e ho cercato di colpirti. Non avevi tutti i torti a dire che sono un lavativo… ma prometto che domani andrò a lavorare!” rispose solenne l’energumeno sollevando la testa e il pugno, facendo scoppiare gli altri due in una fragorosa risata.
Kinana sorrise dietro il bancone alla vista dei tre ridenti e sereni, non poteva negare che il colpo di Nab le avesse fatto male, ma non gliene voleva per quello perché capiva che era solo arrabbiato e che le parole di Max lo avevano ferito in un nervo scoperto.
Era certa che la sua non fosse pigrizia perché quando Alzack e Bisca si erano assentati per qualche mese per badare ad Asuka a letto con la febbre lui era stato il primo ad andare al lavoro e non aveva fiatato, ignorando pure i commenti ironici degli altri e aveva continuato a lavorare fino a mettere su una discreta sommetta, era solo grazie a quel denaro e agli sforzi di tutti che il soffitto del mulino o gilda non era crollato durante la tempesta di qualche mese prima.
Quindi l’atteggiamento di Nab si poteva interpretare in tutti i modi tranne che con la pigrizia, lei credeva che si comportasse a quel modo solo per un senso di nostalgia, come una vecchia abitudine che lo legasse al passato e che apprezzava rianimare ogni tanto. Lo capiva bene, anche lei se si fosse trovata nella sua stessa situazione avrebbe fatto altrettanto.
Chissà come dev’essere stato bello crescere qui dentro? Magari fosse toccata anche a me questa fortuna.”
Non lo aveva mai ammesso di fronte a nessuno, ma aveva sempre invidiato gente come Elsa o Mira che in quel luogo c’erano entrate fin da piccole. Gli aveva sempre fatto uno strano effetto immaginarsi bambina, non più un serpente e circondata da tutti quei volti amici. A volte provava anche un po' di invidia nei confronti di Laki e di tutti gli altri e non poteva non sentirsi stringere un nodo allo stomaco al pensiero che di ventisette anni di vita ne ricordasse solo sette, e che quei sette fossero tutto furche felici.
Avrebbe pagato qualunque somma pur di conoscere qualcosa di più sul suo passato, su chi era stata da giovane, se aveva avuto persone che l’amavano.
Una era certa che ci fosse stata.
Non ricordava niente del periodo della sua metamorfosi se non quel suo fantomatico amico, che le aveva fatto un giuramento eterno.
Le aveva promesso che se un giorno si fossero separati lui sarebbe venuto a prenderla cavalcando una stella cadente. E tutto questo solo perché desiderava ardentemente sentire la sua voce.
Quando lo aveva riferito a Mira e Wakaba le erano parsi scettici e ora che era più matura di sette anni, lei stessa era diventata restia a credere ancora a quella strana storiella.
Ora che aveva visto quanto il destino potesse essere doloroso e ingiusto, ora che non era più un’ingenua ragazzina che credeva nelle favole, poteva dire di aver abbandonato per molto tempo quel desiderio.
Ma non era colpa sua!
Lei era stata veramente troppo impegnata ad aiutare i suoi amici alla gilda, ad affrontare il lutto, a lavorare e a mantenersi, che semplicemente la sua promessa era caduta in secondo piano.
Non l’aveva mai dimenticata! Solo che in quei sette anni aveva dovuto concentrarsi su obbiettivi più concreti e vicini.
Ma nel corso degli anni quella che per lei era una certezza si era tramutata in un qualcosa di imprecisato e forse ingannevole: non sapeva se questo suo amico esistesse veramente, se non fosse solo frutto della sua mente instabile a causa dei problemi di amnesia o di un qualche effetto illusorio derivante dalla maledizione. Non era certa che la sua testa non si fosse inventata tutta quell’assurda storia solo per colmare la solitudine e l’assenza di ricordi della vita da serpente.
E se anche il suo amico fosse esistito non era sicura che dopo sette anni la stesse ancora cercando, forse si era rassegnato, forse aveva compreso che cercare un serpente solo per udirne la voce era un’impresa impossibile. Forse anche quell’assurdo desiderio messo in bocca a quell’uomo era frutto delle sue fantasie mentali.
Ma se anche non fosse stato così, se anche quell’individuo fosse esistito per davvero, che speranze avevano di rivedersi dopo tutto quel tempo, che speranze poteva avere che la riconoscesse anche ora che non era più un animale.
No, tutto quello era assurdo e folle e lei doveva solo tirare un freno alle sue fantasie infantili, non poteva permettere che la ostacolassero durante il lavoro.
C’era stato un periodo della sua vita in cui aveva ardentemente desiderato di andarsene da Fairy Tail per cercare quella persona, in cui voleva solo sapere chi fosse e soprattutto conoscere il suo passato. A quel tempo gli era sembrato naturale lasciare la gilda visto quanto il numero di membri diminuisse radicalmente di giorno in giorno.
Si era pure detta che forse era meglio così, che se fosse rimasta sarebbe diventata un peso sulle spalle dei suoi benefattori. E il desiderio di partire si faceva sempre più grande dentro di lei.
Poi però Macao si era indebitato, gli era stata confiscata la sede, si erano dovuti trasferire in un remoto angolo fuori dalla città e si erano dovuti accontentare di alloggiare in un vecchio mulino.
Allora non ce l’aveva fatta a partire, vederli tutti abbattuti, distrutti dal dolore e pieni di rimorsi le aveva straziato il cuore e si era fatta coraggio decidendo di rimanere.
Con il tempo era addirittura arrivata a vergognarsi per quell’assurda idea che gli era venuta anni prima: non poteva aver veramente desiderato di lasciare Fairy Tail! Quella era la sua unica casa, l’unico posto che l’aveva accolta e le cui persone l’avevano salvata e si erano prese cura di lei. Andarsene gli era parso un atto di viltà e offesa nei confronti dei suoi salvatori e ancora oggi quando Jet e Droy o qualcun altro parlavano male di tutti quelli che li avevano abbandonati e che si erano arresi lasciando la gilda, lei si sentiva profondamente in colpa e tentava in tutti i modi di allontanarsi dalla conversazione.
Ma a frenarla non era stato solo il senso di responsabilità, anche la paura del mondo esterno era servita ad ancorarla a quelle mura e a non lasciarla mai andare. Poteva inventare mille scuse, ma non poteva ingannare se stessa, la verità era solo una: era terrorizzata dal mondo esterno!
Non sapeva usare la magia e non aveva alcun mezzo di difesa, inoltre aveva imparato quanto potesse essere pericolosa Earthland. Quindi aveva pensato bene di rimanere lì a Magnolia e di non muoversi.
C’era però un pensiero, anzi una voce che negli ultimi anni si era fatta sempre più intensa ed insistente e che continuava a tormentarla sia di giorno sia di notte.
Voglio sentire la tua voce!
Sobbalzò a quelle parole e prese a guardarsi intorno con circospezione, ma non vedendo nessuno di sospetto nei dintorni rilassò le spalle e fece scivolare le braccia lungo i fianchi.
Si parla del diavolo e spuntano le corna.” fu il suo primo pensiero una volta superato lo spavento, e un sorriso amaro le solcò il volto mentre chiudeva gli occhi e stringeva i denti per non scoppiare a piangere.
Perché quella dannata voce la tormentava tanto? Erano anni che per colpa di quel suono nella sua testa non riusciva più a chiudere occhio la notte.
Che fosse tutto frutto della sua fantasia? Che stesse impazzendo? Che magari riuscisse a sentirla solo lei perché era tutto frutto della sua immaginazione?
Non conosceva la risposta, ma di una cosa era sicura: colui che la chiamava sembrava, almeno dal tono che usava, l’anima più tormentata e allo stesso tempo gentile che avesse mai ascoltato.
E si sentiva riscaldare il petto al pensiero che tutta quella gentilezza e quel desiderio fossero rivolte a lei.
Ogni giorno si chiedeva se questa fantomatica persona fosse il suo vecchio amico che la stesse cercando e ogni giorno desiderava solo andarsene da quel luogo per rintracciarlo, ma ancora c’era la paura e il senso di colpa a frenarla e alla fine desisteva.
Provava un tremendo dolore al petto al pensiero che questa persona la stesse cercando ovunque e che lei fosse talmente egoista da non provare a fare altrettanto. Gli aveva fatto una promessa, aveva espresso un desiderio, fatto un giuramento nei suoi confronti, ma lei a sua volta era vincolata a fare di tutto perché ciò si realizzasse ed invece se ne stava lì, seduta dietro una panca a pulire posate o spazzare pavimenti, mentre sentiva che la vita si faceva ogni giorno più dura e insostenibile.
Se lei stava così non osava neanche immaginare cosa provasse il suo amico e come per colpa sua in quel momento stesse soffrendo. Ma anche lei soffriva e si interrogava su quale fosse la scelta migliore da fare, se continuare ad ignorare quella voce e vivere la sua vita il più sereno possibile, oppure gettarsi a capo fitto nella ricerca sperando di rivederlo.
Voglio sentire la tua voce.
Lo so, lo so. Ma non è colpa mia! Credimi, se potessimo liberamente comunicare ti direi subito dove mi trovo! Io voglio mantenere la mia parte di accordo, non voglio ferirti, non potrò continuare a vivere se per colpa della mia stupida paura e dei miei dubbi tu smettessi di cercarmi. Ti prego non lasciarmi, io voglio mantenere la mia parte di promessa a tutti i costi. Ti prego trovami!
Poteva solo fare questo: sperare che la trovasse e che non si arrendesse nel cercarla. Sapeva che per quell’individuo la loro promessa era di vitale importanza e proprio per questo si sentiva ancora più in colpa al pensiero di quanto lo stesse ferendo e quanto poco lo stesse aiutando.
“Che ti succede?”
Sobbalzò spalancando gli occhi e poggiando le iridi sulla familiare figura della sua migliore amica: “N-Niente” farfugliò presa alla sprovvista.
“Hai la faccia di un cane a cui si sono divertiti a dare tante legnate sul sedere.” rispose l’occhialuta fissandola con circospezione.
“Stavo solo pensando che quei due non dovrebbero litigare.” disse indicando Max e Nab che adesso se la ridevano come due amiconi intenti a denigrare le poche richieste di lavoro appese alla bacheca.
“Quell’idiota è proprio un immaturo.” bofonchiò la maga del Wood Make squadrando imbufalita il mago della sabbia, che sentendosi osservato si voltò solo per trovarsi gli occhi indemoniati dell’amica poggiati contro e quindi voltarsi immediatamente fingendo di non averla notata.
“Laki non è che in quella sfuriata di poco fa c’entri anche tu?” chiese Kinana squadrando l’amica con un sopracciglio alzato.
“Ma certo che no!” fece offesa la donna dai capelli color lavanda, spostando però lo sguardo di lato ed arricciando il labbro superiore.
“Laki…”
“E va bene. Abbiamo litigato! Sei contenta adesso?”
“No. Per quale motivo avete discusso?”
“Perché quello scemo non fa altro che portarsi a presso quella stupida scopa.”
“Sul serio? Solo per questo avete bisticciato?”
“E lo ritieni poco?! Oggi dovevamo uscire e appena mi presento melo vedo venire in contro con quella cosa!”
“Quindi è vero che vi state frequentando.”, “Usciamo solo insieme, non è nulla di serio o sancito da qualche vincolo contrattuale.”
“Pss… eh eh eh.”
“Che hai da ridere?”, “Niente, solo tu puoi dare una definizione così assurda di matrimonio.”
“Lascia perdere questo, il punto è che quando gli ho fatto notare che il terzo in comodo non era invitato, lui ha cominciato a lamentarsi, ho perso le staffe, ci siamo insultati e ha avuto la faccia tosta di dirmi che preferiva quella scopa a ME! Ti rendi conto?!”
“Beh, in effetti poteva risparmiarselo, ma io credo…”
“No, basta! L’ho perdonato fin troppo, questa storia finisce qui!”
“Andiamo non dire così, Max ci tiene a te e tu lo sai. Ti vuole molto bene e sono certa che tenga molto più a te che a quella scopa, perché non provate a fare pace?”
“Quello che deve scusarsi è lui, non certo io!”
“Va bene, però se credi che questa vostra strana relazione sia veramente importante metti da parte l’orgoglio e fai il primo passo.”
“Da quando sei così esperta di relazioni sentimentali?” chiese Laki indagatoria, mentre sul suo viso compariva un sorriso sinistro.
“Ma no non sono esperta. Semplicemente ti sto dando un consiglio perché so quanto ci tieni.”
“Grazie, ed è per questo che sei la mia migliore amica.”
“Figurati.”
“Ora tornando al discorso di prima… non credere che ci caschi nelle tue bugie, vuoi dirmi perché sei così triste? E’ successo qualcosa di brutto?”
“No, niente di grave, solo…”
“Solo…?”
“Stavo pensando al fatto che mi sento di troppo qui dentro. Insomma, tu e tutti gli altri siete sempre così indaffarati e avete un legame così forte con la gilda. Io in confronto sono qui da solo questi sette anni e mi sento, come spiegartelo…?”
“Un merluzzo fuor d’acqua?”
“Più o meno… vorrei rendermi più utile, magari imparare la magia, andare in missione, ma soprattutto vorrei… vorrei… sing… sing…”
“E-Ehi, K-Kinana! Perché piangi?”
“S-Scusa… sing… sing… è che non sono riuscita a trattenermi…” disse portandosi una mano sulla guancia per asciugare le lacrime.
“Posso sapere qual è il problema? Ti va di dirmelo?”
“Io… io… io vorrei lasciare la gilda!”
“Cosa?! Perché? Che succede? Hai dei problemi a livello finanziario? Possiamo aiutarti a pagarli o posso ospitarti nel mio appartamento a Fairy Hills.”
“No, non si tratta di soldi.”
“E allora perché vuoi andartene?” chiese Laki guardando sconsolata la compagna.
“Laki, è da anni che continuo a sentire questa voce nella mia testa, da quando sono tornata umana e ormai non riesco più a sopportare questa situazione. Mi sento in colpa perché questa persona continua ad implorarmi, vuole trovarmi. Magari è una persona legata al mio passato, ma io non riesco a ricordare nulla e mi sento in colpa al pensiero di quanto possa stare male a causa mia… sing… sing…”
“…Voglio andare a cercarla, trovarla e farmi raccontare del mio passato, ma ho paura!”
“Paura?”
“Ho paura di non trovarlo mai, che tutto questo si riveli solo una mia assurda fantasia, che magari non riesca mai a rintracciarlo, oppure che alla fine si rassegni a cercarmi. Magari se scoprisse che sono sempre stata un essere umano smetterebbe di volermi bene. E poi non so nulla su questa persona, non so chi sia veramente o dove si trovi, so solo che vuole sentire la mia voce, ma io non riesco a comunicare con lui.”
“Capisco, ma tutto questo cosa c’entra con il tuo desiderio di andartene?”
“H-Ho pensato che rimanendo qui non avrò mai sue notizie; quindi, volevo mettermi in viaggio ma non ci riesco: io non so nulla del mondo e soprattutto non posso abbandonarvi, dopo tutto quello che avete fatto per me! Mi sento un’egoista.”
Tacque guardando Laki di sottecchi troppo imbarazzata per poterlo fare apertamente, sul volto dell’amica era dipinta un’espressione indecifrabile e sembrava persa nelle sue riflessioni, al punto che dopo alcuni secondi la violetta iniziò a preoccuparsi che si sentisse male.
“Ah ah ah ah!” scoppiò a ridere la donna, facendo indietreggiare l’amica che spalancò gli occhi per la sorpresa.
“Ah ah ah! Kinana sei assurda!”
“Eh?”
“No, dico sul serio! Come ti vengono in mente certe trovate? Se tu sei un’egoista, il resto del mondo allora che cos’è?! Ah ah ah ah!” continuò a ridere l’occhialuta portandosi un dito sull’occhio sinistro per asciugarsi una lacrimuccia.
Poi il suo sguardo si fece serio, benché stesse ancora sfoggiando un piccolo sorriso: “Perché non me lo hai detto prima come ti sentivi?”
“Non ci sono riuscita, temevo di deluderti o che non mi avresti più rivolto la parola.”
“Sei proprio una sciocca.” gli rispose Laki: “Uffa, ma perché ho un’amica così tonta?! Senti è vero che siamo stati delusi e anche molto incavolati quando la maggior parte dei membri se n’è andata, e forse abbiamo sbagliato a criticarli… magari sono loro quelli che hanno ragione. Però anche se ci siamo sentiti traditi abbiamo accolto la loro decisione e l’abbiamo rispettata senza portargli alcun rancore. Non lo porteremo dicerto a te, se vuoi andartene.”
“Ma io non voglio veramente lasciare la gilda! Io amo questo posto è solo che…”
“Solo che vuoi saperne di più sul tuo passato. Lo capisco perfettamente e ti chiedo scusa per non aver capito quanto ti stavamo soffocando, ti prego perdonami.”
“Ma no Laki, non devi…”
“Io sono la tua migliore amica e dovrei starti vicina in questi momenti, ma nell’ultimo periodo ho pensato solo a me stessa e ti ho trascurato e di questo me ne dispiaccio moltissimo.”
“Laki, dico sul serio, non c’è bisogno che ti scusi, questo è solo un mio capriccio…”
“No che non lo è!” esclamò la violetta battendo le mani sul bancone in legno: “Conoscere il tuo passato è un tuo diritto e quindi ho deciso che ti aiuterò!”
“Dici sul serio?! No, aspetta! Non puoi lasciare la gilda, te lo ripeto questa storia non è nulla di grave, posso conviverci.”
“E io ti ripeto che ti aiuterò e non c’è nulla che tu possa fare o dire che mi farà cambiare idea! Inoltre, non dobbiamo per forza lasciare la gilda.”
“In che senso?”, “Nel senso, razza di zuccona melodrammatica, che non devi per forza andartene. Possiamo svolgere qualche incarico nelle città vicine e nel frattempo indagare.”
“Ma c’è troppo lavoro da fare. E siamo sommersi dai debiti, non voglio scomodare te e gli altri in una ricerca che potrebbe risultare inutile.”
“Purtroppo è vero; ultimamente siamo sommersi dal lavoro… ma facciamo così: ti prometto che una volta finito questo brutto periodo e ripagati tutti i debiti ci metteremo insieme a cercare questa persona e ti assicuro che la troveremo, dovessimo impiegarci anni!”
“Ma se fosse lui a smettere di cercarmi o se non gli piacessero le mie attuali sembianze o se addirittura non esistesse veramente?”
“Tu lo hai sentito giusto?”
“S-Si.”
“E allora basta questo! Io mi fido del tuo giudizio, so che se lo senti vuol dire che esiste e quindi lo troveremo! E per quanto riguarda i tuoi timori non preoccuparti sei una ragazza attraente e sei la persona più gentile e altruista che conosca, sono certa che appena scoprirà che sei un essere umano e che sei una ragazza tanto attraente farà salti di gioia. Ma se dovesse andare diversamente sappi che ci penserò io, lo ammazzerò e lo rinchiuderò in una delle mie bare e poi lo getterò in fondo al mare legato a dei pesi perché affondi meglio!” disse l’ultima frase in un tono che fece gelare il sangue alla sua migliore amica, mentre sul volto compariva un ghigno sadico e gli occhiali si illuminavano di una lugubre e sinistra luce.
"Eh eh... s-se lo dici tu…” farfugliò Kinana con la nuca impregnata da goccioline.
“Si, te lo prometto: lo troveremo!” ribadì il concetto la ragazza.
“G-Grazie Laki… sing… sei la migliore amica che qualcuno possa avere…” disse Kinana sporgendosi oltre il bancone e abbracciando l’amica.
“Ma figurati per così poco, se no a che servono gli amici?! A proposito, se mai rintracciassimo questa persona non mi sostituirai come migliore amica, vero? Sappi che sono pronta a combattere per questo titolo, che mi appartiene di diritto!” scherzò la quattrocchi facendo scoppiare a ridere la cameriera.
“Eh eh eh! Tranquilla, non ti sostituirò mai, entrambi avrete sempre un posto speciale nel mio cuore.”
 
Si lasciò cadere di peso sul letto beandosi della morbidezza delle coperte e del cuscino, mentre incrociava le braccia dietro la nuca.
Quel letto era molto morbido e comodo, sicuramente più di quell’insulsa brandina su cui era stato costretto a dormire quando era ancora intrappolato ad Era.
Ripensare a quel periodo gli fece storcere il naso e stringere i denti talmente forte che la mascella iniziò a fargli male.
Aveva trascorso sette anni della sua vita in quel postaccio di merda e una volta evaso non aveva avuto neanche la soddisfazione di farlo saltare in aria e ammazzare quel branco di rifiuti che ci vivevano. Non che gli importasse, adesso che era libero e immensamente più forte erano poche le cose che lo eccitavano o gli davano piacere.
La vita non gli era mai parsa così insipida e il mondo sembrava completamente grigio, a nutrire il suo animo erano rimasti solo il risentimento e il desiderio di vendetta. La sua intera esistenza ormai era focalizzata solo al raggiungimento di quell’obbiettivo e tutto il resto era passato in secondo piano.
Scostò il braccio sinistro da dietro la testa e si portò la mano sul volto, all’altezza dell’occhio sinistro. L’indice prese a strisciare lungo un sottile e ruvido solco che gli attraversava il bulbo destinato a rimanere chiuso per sempre.
Gli faceva uno strano effetto pensare di aver perso un occhio in quei sette anni e il ricordo del dolore provato quando la lama gli aveva attraversato il bulbo tranciando di netto la pupilla e l’iride, gli faceva salire un brivido lungo la schiena e un freddo pungente gli riempiva il corpo.
Più volte aveva palesato che la perdita dell’organo visivo non era un problema e che finché aveva l’udito non gli importava di perdere la vista, inoltre non era mai stato un tipo vanitoso. Coloro che crescono sopravvivendo per tutta la vita non possono provare il lusso del narcisismo.
Però doveva ammettere, almeno a se stesso, che gli dispiaceva non poter più vedere il mondo o comunque avere una visione periferica limitata, si c’erano le orecchie a compensare… ma non era la stessa cosa.
Istintivamente il suo pensiero si bloccò sul ricordo che per sette anni lo aveva tormentato: “Cubellios.
Poteva ripetersi per tutta la vita che aveva rinunciato a cercarlo, che non voleva più ascoltare la sua voce, che la sua promessa non aveva più senso di esistere perché lui se n’era andato e non sarebbe tornato mai più. Ma semplicemente, per quanto potesse provare a convincersi ripetendosi che i legami e l’amore rendevano deboli le persone e che lui liberandosi di ciò era diventato veramente forte; non riusciva comunque a darsi pace e ad arrendersi.
No, desiderava troppo rivederlo!
Adesso non gli importava più di ascoltare solo la sua voce, adesso voleva ritrovarlo e non perderlo mai più!
Si piantò una manata sulla fronte cercando di ricacciare indietro quei pensieri: “Stupido, falla finita con queste sciocchezze! Non mi serve rivederlo, anche se lo desidero più di ogni altra cosa… anzi proprio il rinunciare a questo desiderio mi ha reso più forte! Non cadrò di nuovo in tentazione! Non ho bisogno di niente e di nessuno, solo di me stesso! Ho ottenuto questa forza proprio grazie al sacrificio, ora l’unica cosa che conta è vendicarsi e poi tutti quanti pagheranno il prezzo di questa mia sofferenza!”
Si rigettò con la testa sul cuscino e chiuse gli occhi sperando di addormentarsi presto, ma prima di cadere preda del mondo dei sogni il suo ultimo pensiero, libero da qualunque imposizione e pregiudizio fu: “Una vita senza di te non ha senso di essere vissuta! Voglio sentire la tua voce! Ti prego è indispensabile per me!


Nota d’autore: eccomi qui con il capitolo due di questa raccolta! A chiunque mi stesse cercando dico che potete sospendere le spedizioni, perché sono qui! XD
Lasciando perdere le sciocchezze, posso dire che mi fa molto piacere tornare a scrivere perché l’ultima settimana è stata un tormento e con tutto quello che ho avuto da fare mi ritrovo ancora con questa raccolta da, praticamente, iniziare. Per adesso però vi lascio questo capitolo, spero di riuscire a postare il terzo in settimana. Inoltre, nonostante i miei molti impegni e questa raccolta che devo assolutamente portare a compimento, la mia testa acerrima nemica ha deciso di accendere la lampadina della creatività e mi assilla tutto il giorno con mille idee che per adesso non posso mettere per iscritto a causa del fattore tempo libero.
Ma tralasciando i miei deliri, che ritengo siano difficili da sopportare e quindi mi chiedo perché li stia scrivendo…
Parliamo del capitolo: mi è piaciuto molto scriverlo, perché ci tenevo a presentare degnamente il personaggio di Kinana, che purtroppo visto il suo ruolo di mera comparsa viene completamente sprecata dall’autore quando in realtà è un personaggio molto complesso a causa del suo oscuro passato e dei suoi problemi mnemonici.
Ringrazio infinitamente l’Anime che ha cercato di darle un po' di spazio nella saga filler della “Chiave del cielo stellato”, a mio avviso c’è riuscito alla grande, regalandomi uno dei miei momenti preferiti dell’intera serie.
Nonostante questo, però, il personaggio è tornato presto al suo misero ruolo e questo è uno dei motivi per cui ho voluto scrivere questa fiction, perché comunque Cobra compare e di lui si parla di più, mentre lei poverina è sempre messa in secondo piano.
Purtroppo, non avendo molto materiale su cui lavorare ho tentato di darle uno stampo caratteriale più fedele possibile all’originale e mi sembra di esserci riuscita. Parlando degli altri personaggi: io ho un debole per tutte le comparse della gilda e questo mio amore è nato proprio dopo la saga di Tenro quando il gruppo di protagonisti era scomparso e tutti questi poveretti erano ancora lì intenti a deprimersi e aspettarli, mentre venivano umiliati e molestati.
Per questo ho voluto mostrare un po' questo panorama drammatico e angoscioso e poi mi sono sempre chiesta se Nab fosse davvero andato a lavorare in tutto quel tempo o fosse rimasto quello di prima. A mio avviso è un po' un misto: da un lato resta il solito sfaticato, ma da quell’altro se la situazione lo richiede si dà molto da fare.
Tornando invece a Kinana, questa è la mia interpretazione di come abbia vissuto quel periodo tra la tristezza e l’angoscia, inoltre ho provato a dare una risposta al perché in tutti quegli anni non sia mai partita per cercare Cobra, perché se da un lato lui ci ha “rinunciato”, (e di questo tratterò tra poco) dall’altro lei non è che si sia mossa tanto per fare il primo passo, se non nell’ultimo periodo.
Parlando invece di Cobra ho sempre trovato triste il suo rinunciare alla propria promessa per diventare più forte, ma mi ha fatto venire anche il nervoso questa assurda contraddizione, perché va bene che ci rinunci, ma proprio per questo non è che puoi andare a giro e chiedere a destra e a manca se qualcuno sa qualcosa del tuo serpente. E poi se proprio ci tenevi lasciavi perdere la vendetta ora che eri libero e ti concentravi sul cercarlo.
Sfogo a parte questo è il secondo capitolo della raccolta e spero che piaccia, fatemelo sapere con una recensione. Un saluto a tutti i lettori e buona serata.
 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3: YUYIN ***


Yuyin: la sensazione del suono che resta in un orecchio dopo averlo ascoltato.

Se gli fosse stato chiesto di dare una definizione di angelo avrebbe risposto indicando semplicemente la figura celestiale seduta su quello sgabello con in mano un microfono, che proprio in quel momento si stava esibendo sul modesto palco acclamata da mille voci festanti.
Alle sue orecchie però giungevano solo gli splendidi suoni provenienti dalla sua bocca, che si apriva ritmicamente producendo la più bella melodia che avesse mai avuto il piacere di ascoltare.
Sì, quella ragazza non poteva che essere una creatura divina.
Non aveva ali bianche attaccate alla schiena, sulla sua testa non compariva alcuna aureola dorata, non indossava un indumento candido e puro; né tanto meno arrivava ad emanare una qualche luce ultraterrena in grado di risplendere anche nella notte più cupa e tenebrosa.
Per chiunque si fosse fermato ad osservarla sarebbe parsa come una comune donna, certo dal fisico slanciato e dai fianchi stretti, il seno prosperoso, le curve messe in risalto dal lungo vestito scollato color verde limone e la lunga gonna bianca.
Forse avrebbe potuto lodare il suo viso liscio dalla carnagione chiara, allungato e un po' spigoloso lungo il mento. Avrebbe potuto lusingare il suo bel nasino, i suoi occhioni color verde scuro, la sua bocca rosea dalle labbra sottili, i suoi capelli a caschetto color viola scuro, che in quel momento svolazzavano ricadendole al disopra delle spalle ogni volta che spostava la testa di lato.
Sicuramente qualunque osservatore esterno l’avrebbe etichettata come una bella ragazza, i più sconci avrebbero potuto fare qualche commento perverso sul suo fisico, altri avrebbero potuto semplicemente indicarla come una brava cantante e lodare la sua esibizione.
Ma per lui quella ragazza era l’incarnazione stessa della bontà e della bellezza.
In confronto tutte le altre donne che aveva conosciuto o che conosceva, perfino le sue amiche più strette o quelle che il resto del mondo esaltava come le più attraenti, per lui a confronto con lei diventavano insignificanti e la loro beltà sfioriva ed impallidiva di fronte alla sua.
Sarebbe potuto venire chiunque a fargli notare i difetti di quella donna, lui non lo avrebbe neanche preso in considerazione e sarebbe rimasto ad ammirarla o al massimo avrebbe picchiato lo scocciatore intimandogli di non azzardarsi mai più a dire o pensare certe cose.
Gli veniva quasi da ridere a rifletterci bene: lui, Cobra, uno degli ex maghi oscuri più potenti e spaventosi, ridotto a sbavare dietro ad una ragazza.
Fece ricadere la testa di lato, poggiando la guancia sul palmo della mano aperta verso l’alto, mentre il braccio si sistemava con il gomito posto sul bancone in legno. Chiuse gli occhi, anzi l’occhio, sospirando leggermente e contrasse i lobi delle orecchie in modo da udire meglio il suono.
Non poteva farci niente, sapeva di avere dipinta in volto un’espressione ebete, ma solo stare ad ascoltare quel suono lo trasformava in un docile cagnolino o in un cretino patentato a cui potevi chiedere di tutto, in quel momento avrebbe accolto a braccia aperte anche la richiesta più assurda o ridicola.
Perché adesso non si trovava più in uno squallido locale completamente ricolmo di ubriaconi intenti a ridere e bere, mentre altri idioti, che lui ben conosceva si divertivano a prendersi a pugni e calci, lanciando sedie, tavoli e boccali a destra e a manca. Ma tutto questo ormai non aveva alcuna importanza per lui, perché lei stava cantando e anche il suono più fastidioso e rumoroso si attenuava permettendole di continuare a decantare la sua melodia.
No, adesso intorno a lui non c’erano più le mura di una gilda o persone festanti, adesso lui si trovava in Paradiso e lei era l’angelo che ce lo aveva condotto e che lo allietava ripagandolo per tutte le sofferenze che aveva dovuto sopportare in terra.
Quanto sono fortunato.” pensò sospirando per la seconda volta all’udire il timbro della sua voce crescere in modo da intonare bene l’ultima strofa del ritornello.
In tutto questo non si accorse di una figura che furtiva e silenziosa gli si avvicinò e gli si mise a fianco.
“Canta molto bene, vero?” chiese,
“Si, è bravissima.”
“Quando vi metterete insieme potrai chiedergli di farlo sempre, adora cantare. Inoltre, potrebbe farlo anche al vostro matrimonio, non sarebbe bello?”
“Sarebbe un sogno…” rispose immaginandosi all’altare, con in dosso uno smoking nero e lei vestita in abito da sposa che si sedeva ad un tavolo e gli cantava una delle sue canzoni preferite, mentre intorno tutti i loro amici applaudivano contenti.
Poi l’immagine scomparve e la consapevolezza di quanto appena detto si fece strada nella sua mente… spalancò l’unico occhio buono, riducendo la pupilla ad una fessura e subito si staccò dalla panca in legno voltando la testa verso la persona alla quale aveva appena confidato uno dei suoi sogni più segreti.
Sbiancò e la mascella gli ricadde lasciando la bocca semi spalancata, quando si ritrovò davanti il volto sorridente di una bella donna dai lunghi capelli bianchi che lo guardava con dolcezza.
Ma quel sorriso così puro ed innocente nascondeva in realtà un terrificante demonio, che lui purtroppo, grazie alle sue passate visite, era stato in grado di conoscere e da cui aveva sempre tentato di stare lontano per paura che lo mettesse in imbarazzo.
Avvertì le guance surriscaldarsi e fu certo che i lati del suo viso avessero cambiato colore, ma sperò che grazie alla sua pelle abbronzata non si notasse molto.
La gioia e la serenità del sogno erano scomparse sostituite solo dal timore e dall’imbarazzo, al punto che anche la voce della cantante passò in secondo piano soppiantata dal pulsare della sua testa e soprattutto del suo cuore.
“Non devi vergognarti.” gli sorrise la donna alludendo al fatto che le sue guance avevano assunto un colorito più scuro.
“F-Fatti i cazzi tuoi.” biascicò il bruno discostandosi e portandosi al margine del proprio sgabello sperando in quel modo di sfuggire alle grinfie dell’interlocutrice.
“Non essere così freddo e distaccato, l’amore è una cosa meravigliosa e io sarei felice di organizzare il vostro matrimonio, Erik.
“Chi ti ha dato il permesso di chiamarmi così?!”
“Uhm, perché non posso? Kinana ti chiama sempre con il tuo vero nome.”
“Lei ha il permesso, tu no!” rispose acido l’uomo, digrignando i denti e storcendo il naso all’udire il proprio nome pronunciato da un’altra persona che non fosse un membro della sua gilda o la sua fidanzata.
“E’ che mi fa strano chiamarti Cobra, da proprio l’impressione di qualcuno di cattivo e adesso che quasi tutti sanno il tuo vero nome non ha senso continuare ad utilizzare quello finto.”
“Questo lo dici tu, quasi tutti i tuoi compagni mi chiamano a quel modo. Inoltre, è normale che suoni minaccioso visto che è questo lo scopo!”
“Si, ma così dai ancora l’idea di una persona cattiva e tu non lo sei più, gli altri potrebbero giudicarti male sentendo questo nome.”
“Che la pensino come gli pare, sono fatti loro! Figurati se mi frega qualcosa dell’opinione altrui. E poi non capisco perché ti dia così fastidio, tu non fai tutte queste storie quando la gente ti chiama DemonGirl. Non capisco perché devi assillare me se preferisco usare questo soprannome.”
“Sono sicura che se dicessi a Kinana che preferisci farti chiamare con il tuo nome in codice ci rimarrebbe male. Poverina, d’altronde lei ti ha sempre chiamato con quello vero.”
“Non ho detto che lo preferisco!”
“Oh!” esclamò Mira e il sorriso sul suo volto si fece più ampio, mentre sulla nuca dell’uomo si formavano delle goccioline all’udire cosa le stava passando per la testa.
“Quindi Kinana ha l’esclusiva e solo lei può chiamarti così?”
“Certo che no! Solo…”
“Solo che è molto più bello quando lo fa lei.” disse Mira e il solco sul suo volto crebbe facendo deglutire Cobra.
“Smettila con questi discorsi. Non hai clienti da servire, cibo da preparare o qualunque altra stupida mansione di tua competenza?”
“No, sono in pausa.”
Dannazione.”
“Ora, tornando alla questione iniziale…” disse l’albina, mentre mago fece un ulteriore passo indietro rischiando di cadere con il sedere sul pavimento.
“Non c’è nessuna questione di cui discutere.” si affrettò a rispondere, ma era troppo tardi: era caduto nelle grinfie della maga più forte, spaventosa e romantica di tutta Fairy Tail e non gli serviva il suo udito per comprendere che ormai era spacciato e che quella sarebbe stata la conversazione più imbarazzante di tutta la sua vita.
“Stavo pensando che il nome è un problema: cosa scrivo sulla torta nuziale Erik o Cobra, oppure tutti e due o metto uno tra parentesi, quale preferiresti usare?”
“So cosa stavi pensando e vorrei che non lo avessi detto, ma mettiamo subito in chiaro le cose: non ci sarà alcun matrimonio!”
“Certo, non adesso. Prima dovete frequentarvi per qualche anno, uscire insieme, divertirvi, assaporare il piacere della passione, poi ci sarà il matrimonio e i bambini…”
Alla parola passione Cobra avvertì le farfalle nello stomaco e il calore alla faccia aumentò. Per un attimo si immaginò di ritrovarsi in una camera da letto, con le serrande chiuse, una Bajour a dare un po' di luce alla stanza e un letto su cui era sdraiata Kinana completamente nuda, e poi lui le saltava addosso e tra la morbidezza delle coperte consumavano il loro amore…
Scosse la testa, mentre il suo volto era diventato completamente rosso e dalle orecchie gli uscivano due sbuffi di vapore.
“Tutto bene? Stavi pensando a qualcosa di poco casto?” gli chiese Mira con il solito sorriso angelico e gli occhi perennemente chiusi.
Ma anche questa sa leggere nella mente delle persone?” si chiese l’uomo, cercando di darsi un contegno e tornando a concentrarsi sul resto della conversazione il suo volto si incupì: “E poi cosa? I nipoti, i tris nipoti e i discendenti? Si vede proprio che non stai bene di testa.”
“Perché?”
“Come perché! Non credi di stare correndo un po' troppo? A malapena siamo fidanzati e tu già pensi a queste cose!”
“Mi porto avanti con il lavoro.”
“Ma quale lavoro?! Sei solo un’impicciona di prima categoria, mi chiedo perché sto ancora qui a discutere con te.” disse alzandosi dallo sgabello pronto ad allontanarsi il più possibile da quel luogo.
“E dai, non fare così!” lo afferrò Mira per un braccio trattenendolo a forza sul posto: “Cosa c’è di male nel sognare il futuro?”
“Che tu sogni il futuro degli altri senza che loro te ne diano il permesso.”
“Non mi sembra che ti sia dispiaciuta l’idea del matrimonio.”
“Te lo ripeto: fatti i cazzi tuoi!”
“E va bene… la smetto di infastidirti, ma solo se accetti di rispondere ad un’ultima domanda.”
“E perché dovrei?”, “Perché se non lo farai le domande diventeranno dieci e gli argomenti sempre più interessanti. Ti darò il tormento per tutto il tempo in cui starai qui, ovvero questi due giorni!” rispose Mira spalancando solo in quel momento gli occhi per mostrare un paio di gigantesche iridi color celeste scuro, al cui interno erano incastonate due pupille nere di forma sferica.
Il bruno rischiò di strozzarsi con la propria saliva, mentre faceva un passo indietro terrorizzato dal mutamento d’umore della donna.
L-Luxus ha ragione: quando si arrabbia è spaventosa!”
“E va bene.” disse sospirando mentre Mira tornava ridente: “Ma una sola domanda e poi farai finta di non aver sentito niente e te ne tornerai a lavorare, sono stato chiaro?”
“Cristallino. Ora passiamo alla domanda… Kinana ti piace di più nella sua forma umana o la preferivi quando era un serpente?”
“Cosa?! Che razza di domanda è?”
“Voglio sapere se ti piace più come Kinana o la preferivi quando era Cubellios.”
Il mago tacque completamente spiazzato da quella domanda, che neanche con la sua magia del suono aveva potuto ascoltare e quindi prevedere.
La verità era che non sapeva cosa rispondere. Non si era mai posto questo problema, d’altronde Kinana era Cubellios e con tutto quello che gli era successo nell’ultimo periodo tra il suo arresto, la fuga, la latitanza, la guerra con Alvarez e l’armistizio, solo ora dopo due anni aveva trovato il tempo per stare con lei.
Ma non si era mai posto il problema che non fosse più un serpente, in fondo il suo desiderio più grande era quello di ascoltare la sua voce, il fatto che si fosse rivelata essere un’umana era un di più, che mai avrebbe potuto sospettare e di cui in realtà non aveva mai avvertito il bisogno.
Fin da piccolo, quando l’aveva trovata il suo unico pensiero era stato quello di ascoltare la voce del suo serpente. Aveva affrontato ogni avversità, compiuto le azioni più ignobili, lottato con tutto se stesso per sopravvivere, solo per arrivare a rispettare la sua preghiera, il giuramento su cui si basava la sua esistenza.
Amava Cubellios; era stato il suo primo grande amico, un raggio di luce in quella vita fatta di tenebre, la speranza che lo aveva portato a combattere contro il mondo intero.
Sì, anche se il suo primario obbiettivo era stato quello di ascoltare la sua voce, non poteva negare di aver tenuto a quel serpente più di ogni altra cosa al mondo. In fondo quando era evaso ed era stata fondata Reborn Oracion Seis, il modo che gli aveva permesso di diventare più forte era stato proprio il rinunciare alla ricerca del suo amico.
Quello era e sarebbe sempre rimasto il suo più grande rimpianto.
Non solo si era ferito per se, continuando a logorarsi tra il desiderio e la restrizione; ma aveva abbandonato il suo migliore amico per sette anni e una volta evaso aveva ignorato la sua sofferenza e la sua tristezza concentrandosi solo sui suoi sogni egoistici.
Eppure, Cubellios non lo aveva più rivisto dall’incidente di Nirvana, per anni aveva sognato il loro rincontro, di poterlo rivedere, abbracciare, parlare, nutrirsi delle tossine che emanava dal suo corpo. A quel tempo il desiderio di sentire la sua voce era pure passato in secondo piano, sostituito dal semplice volerlo accanto. Si sarebbe accontentato anche solo di ritrovarlo uguale a come lo aveva lasciato, si sarebbe accontentato anche se non fosse mai riuscito a sentirlo parlare, perché quei sette anni di abbandono gli avevano fatto comprendere quanto effettivamente tenesse al suo serpente.
Il destino però si era divertito a giocargli un altro scherzo e adesso che ci rifletteva bene non sapeva se definirlo brutto o bello.
La sua mente viaggiò al ricordo di due anni prima, alla battaglia per l’Orologio dell’Infinito…
 
Giaceva esausto in quell’ampio cratere formatosi a seguito del suo schianto contro il terreno. Doveva riconoscere di aver fatto un bel volo, perché dalla poca visuale che aveva dalla sua postazione non riusciva a vedere neanche mezza parte di una delle catene che legavano l’Orologio al terreno.
Contrasse i muscoli delle braccia, ma esse non vollero saperne di muoversi.
In particolar modo il braccio destro, compresa la mano, gli faceva un male cane. Non era stata una buona idea provare a parare quell’attacco a palmo aperto.
“Dannata Titania, dove cavolo lo ha preso quel martello?” si chiese riflettendo sul fatto, che il magico cimelio era riuscito in qualche modo, a lui incomprensibile, ad indebolire la sua magia del Dragon Slayer e ad impedirgli di difendersi con quella del suono. Era stato come se una parte di lui venisse risucchiata e cancellata da quel colpo, eppure non aveva provato dolore sul momento, forse fastidio a causa della pressione e della spinta che gli avevano incrinato le ossa; ma il colpo magico in se non gli aveva fatto male, anzi quando quello strano martellone aveva iniziato ad assorbire una parte del suo potere magico si era sentito più sereno, come liberato da un malanno o da un grosso macigno.
Adesso che l’effetto benefico del colpo era svanito, però, avvertiva un tremendo bruciore all’arto e la testa gli pulsava, mentre tutto il resto del suo corpo compresa la schiena su cui era atterrato di peso gli stava inviando continue fitte di dolore.
“Che cretino, se non mi fossi distratto avrei vinto…” rifletté tra se, ma il pensiero gli ritornò all’ultima cosa che aveva udito avvicinarsi in lontananza e un misto di emozioni gli inondò l’animo riscaldandogli il petto.
Aveva chiaramente sentito la presenza di Cubellios. Dopo sette anni di assenza finalmente lo aveva udito di nuovo, anche se c’era qualcosa che non tornava…
Era certo che quello che aveva sentito fosse Cubellios, ma i movimenti del suo corpo, il suo respiro, l’energia magica emanata dal suo corpo erano differenti, come se si trattasse di un essere completamente diverso.
Chiuse l’occhio cercando di scacciare quei pensieri: era assurdo come fosse bastato il percepire in lontananza la presenza del suo amico per ridurlo ad una tale confusione!
Dov’era finita tutta la sua sicurezza, la sua certezza? Quella presunzione che lo aveva portato a deridere i maghi di Fairy Tail per il loro tenere tanto ai legami, alla famiglia e all’amore.
Dov’era finito il suo autocontrollo, che lo aveva accompagnato fino a quel momento imponendogli di rinunciare al suo desiderio, ricordandogli sempre che la forza e la supremazia erano le uniche cose di cui aveva bisogno.
Ma anche quella certezza era scomparsa nell’istante in cui aveva udito il suo amico giungere in lontananza. E un’altra emozione, mista alla gioia, gli aveva inondato il cuore.
Vergogna.
Ecco cosa aveva provato quando il pensiero di aver finalmente ritrovato il suo amico gli era giunto alla mente.
Cosa avrebbe pensato di lui, sapendo che lo aveva abbandonato per diventare più forte? Come avrebbe potuto guardarlo ancora in faccia dopo quello che aveva fatto e detto? Meritava ancora di poterlo incontrare quando aveva platealmente ammesso che non aveva più bisogno di lui?
No, era certo di non meritarsi una tale gioia.
Che se il destino, suo eterno nemico gli avesse voluto infliggere anche quest’ultimo tormento, lo avrebbe accettato a testa china perché consapevole di meritarselo.
Non aveva alcuna scusa per giustificare il suo comportamento: il dolore e la rabbia per il mondo questa volta non sarebbero serviti a nulla visto che Cubellios era l’unica cosa che rendesse la sua vita degna di essere vissuta. Neanche la vendetta sarebbe risultata sufficiente, anzi avrebbe solo dimostrato che razza di egoista fosse e avrebbe avvalorato le parole di Elsa Scarlet, che in quel momento non gli sembravano più così false e surreali.
Si chiese se non fosse meglio rimanere lì a morire, con le ferite riportate e senza cure immediate sarebbe potuta finire male, forse accelerare il processo non si sarebbe dimostrato tanto difficile.
In fondo, se si fosse tolto la vita da solo chi mai ne avrebbe avvertito la mancanza? I suoi compagni? Impossibile, ormai tutti loro erano talmente focalizzati sul proprio obbiettivo che erano giunti ad esternarsi e ad allontanarsi gli uni dagli altri, fino a perdere la propria identità.
Forse Sora… Angel si sarebbe rattristata per la sua dipartita, sempre che fosse ancora viva. Ma in fondo il loro era stato un rapporto puramente carnale, qualcosa di fisico e anche lì entrambi lo avevano fatto solo per disperazione e per sfuggire almeno un po' da tutto il dolore che stavano provando.
Anche con lei si era comportato da stronzo, rifiutandosi una notte di accompagnarla a letto solo per soddisfare un proprio capriccio personale, e da lì la loro “relazione” si era bruscamente interrotta ed entrambi si erano votati al raggiungimento del proprio scopo.
Già, la loro missione!
Un’assurdità, così come tutta la loro misera esistenza.
Uno scopo votato solo a ferire e uccidere gli altri per il gusto di fargli provare quello che loro avevano passato fin da piccoli, per dimostrare che non erano più quei bambini terrorizzati dal mondo.
Ma se almeno prima degli avvenimenti di Nirvana quest’obbiettivo poteva avere un senso, adesso che Oracion Seis era rinata risorgendo più forte e puntando nuovamente a portare il caos nel mondo, doveva ammettere che la strategia usata era fine a se stessa e che forse se anche oggi avessero trionfato, un domani molto probabilmente sarebbero stati sconfitti.
Digrignò i denti e storse il naso a quella constatazione: sette anni di fatiche e sacrifici per giungere ad essere battuti di nuovo da Fairy Tail.
Sarebbe tornato in galera, ma questa volta non gli importava, non si sentiva più in grado di gestire le avversità della vita, era come se si fosse completamente svuotato da ogni sorta di emozione ed ambizione. E se questo lo aveva aiutato fino adesso, ora che si ritrovava a terra, sconfitto ed impotente non poteva non constatare che facesse molto più male della sua prima sconfitta.
Che bello sarebbe stato morire adesso che la sua vita non aveva più alcun senso. Ma se davvero lo avesse fatto non avrebbe più potuto incontrare Cubellios…
“Meglio così. Non merito di rivederlo… e poi cosa gli direi?”
Si, forse era meglio non rivederlo affatto. Sicuramente avrebbe fatto meno male e sarebbe stato più semplice… non era in grado di sostenere il suo sguardo e di dirgli la verità. Non gli importava se il suo stesso cervello lo stava etichettando come codardo, avrebbe accettato pure di morire piuttosto che doverlo affrontare apertamente.
Sopraffatto da tutta quella valanga di pensieri ed emozioni, che ormai da anni non era più abituato a gestire, non si accorse di una persona che proprio in quel momento era arrivata al margine del cratere.
Poi avvertì il respiro ansante, affaticato da quella che doveva essere stata una lunga e faticosa corsa. Provò fastidio al dover udire i pensieri di quella persona, che si era permessa di interrompere quell’unico momento di quiete e tranquillità che era riuscito ad ottenere. In condizioni normali se ne sarebbe liberato facilmente, ma in quel momento non riusciva a muovere nemmeno un muscolo.
“So che ci sei.” disse acido senza dare nemmeno un’occhiata alla donna, sia perché non gli importava, sia perché non riusciva a sollevare la testa e spostare lo sguardo in alto verso il bordo della grande voragine.
Avvertì la figura chinarsi a sedere sul bordo di roccia e prendere a scivolare lentamente verso il basso.
“Cosa vuole da me?” si chiese cercando di ascoltare i suoi pensieri, ma non riuscì a udire nulla di significativo se non l’impegno che stava mettendo nel non cadere in terra mentre proseguiva la sua discesa.
Quando i suoi piedi toccarono terra la vide avvicinarsi e chinarsi su di lui, e finalmente fu in grado di squadrarla da capo a piedi.
Rimase sorpreso strabuzzando leggermente l’occhio quando si ritrovò davanti la figura di una giovane donna dai capelli viola. Sapeva già chi si sarebbe trovato davanti, ma non poté fare a meno di trattenere il fiato alla vista del suo volto impregnato di sudore e su cui era dipinta un’espressione malinconica. Le sue grandi iridi verdi erano impegnate ad esaminarlo da cima a fondo schizzando da un lato all’altro del suo corpo, con un misto di timore e preoccupazione.
Non riuscì a spiegarsi perché all’improvviso intorno a se facesse tanto caldo, ne perché gli desse un tale piacere guardare quella ragazza: ne aveva viste di più belle e poi non era proprio il momento di lasciarsi andare a sentimentalismi inutili.
Incurvò le sopracciglia, mentre la sua bocca diventava un solco rivolto verso il basso e il suo piccolo occhio viola tornava ad emanare una luce sinistra e aggressiva.
“Che cavolo mi prende? Non ho tempo da perdere con questa qui. Perché è venuta? Ha la più pallida idea di chi io sia? Se solo potessi muovermi…! D-Devo trovare Cubellios!”
Vide la giovane chinarsi al suo fianco poi avvertì la sua mano scivolargli dietro la nuca e sollevargli leggermente la testa, e quella fu la prima volta che sentì la sua voce: “Sei ferito! Hai bisogno di cure, c’è qualcosa che posso fare per aiutarti?”
“T-Toglimi le mani di dosso.” farfugliò infastidito da tutta quella premura non richiesta: gli faceva montare la bile in gola il pensiero che un’emerita sconosciuta arrivasse ad aiutarlo provando pietà per lui.
Lei lo ignorò avvicinando il volto al suo, e un moto di vertigini lo colse all’improvviso alla vista di quei capelli il cui colore gli ricordava tanto le scaglie viola del suo serpente, rimase ammaliato dai suoi grandi occhi verdi, erano forse un po' più scuri di quelli di Cubellios, ma per il resto erano identici.
“N-Non può essere…!” pensò al limite della sorpresa, continuando a fissare quel volto nella remota possibilità di scorgere altre somiglianze.
“Sei tu che mi hai chiamato? Sei tu che vuoi ascoltare la mia voce?”
Spalancò la palpebra, mentre l’occhio si riduceva ad una piccola fessura e la bocca si aprì leggermente.
Ora non aveva più alcun dubbio!
Non comprendeva come fosse possibile, ma quella ragazza era Cubellios! Quella ragazza era il suo serpente, il suo migliore amico, il suo animale domestico!
Fece appello alle ultime forze rimastegli e riuscì non solo a sollevarsi a sedere, ma a spingere indietro la donna e quasi gli cadde addosso. Fu solo grazie al tempestivo intervento delle proprie mani, che toccarono terra con i palmi e riuscirono a farsi forza e a reggere il peso di tutto il corpo, che non le cadde sopra.
Rimase immobile a fissare come pietrificato quella persona, incapace di credere fosse veramente il suo serpente, ma emanava lo stesso odore, aveva lo stesso battito cardiaco, lo stesso ritmico respiro, i capelli erano dello stesso colore delle squame di Cubellios e gli occhi erano identici a quelli del rettile, forse un po' più ovali e piccoli, ma comunque uguali.
E quella che aveva sentito poco fa era la sua voce? Davvero dopo anni era riuscito a sentirla?! E l’aveva pure trovata fastidiosa!
Si concentrò per recuperare mentalmente il suono appena udito e nel momento in cui il ricordo si fece più chiaro si sentì invadere da un piacere e una gioia mai provate prima.
Quella era la voce del suo serpente! L’unico suono che non era mai riuscito ad ascoltare nemmeno con la sua magia. E finalmente ce l’aveva fatta! Si rimangiava tutto quello che aveva pensato prima: quella era la voce più bella e armoniosa che avesse mai sentito! Quanto aveva dovuto penare…
Ma già il ricordo si stava sbiadendo e il desiderio di poterla udire di nuovo si faceva adesso insistente come non mai.
Chinò di nuovo la testa verso di lei: era leggermente agitata forse spaventata, ma se c’era qualcuno che in quel momento era in totale ansia quello era lui.
Col pelo dell’occhio vide la sua mano sollevarsi e percepì il suo palmo morbido toccarle una guancia, vide la sua espressione mutare da sorpresa a preoccupata, mentre la mano scivolava e risaliva lungo il lato del suo viso provocandogli un piacere immenso, gli ricordava quando Cubellios era solito strusciare la sua testa squamosa contro la sua faccia con l’unica eccezione che quella mano era più morbida e calda.
“Il tuo occhio.” bisbigliò d’un tratto facendolo sussultare.
Se prima era felice di aver sentito quel suono, l’esclamazione appena udita era servita solo a riportarlo alla realtà. Il momento magico che aveva sperato durasse in eterno si era infranto e nulla avrebbe potuto esentarlo dalla conversazione che si sarebbe tenuta tra poco.
Si scostò di dosso riuscendo a mettersi a sedere, mentre chinava la testa di lato incapace di guardarla in faccia: “L’ho perso anni fa, dovevo diventare più forte. Ma non è un problema finché ho l’udito.”
Prese un respiro profondo aspettandosi una sfilza di domande, senza però riuscire ad intuire cosa gli avrebbe potuto chiedere: il suo serpente se fosse stato in grado di lamentarsi cosa gli avrebbe detto? E quella era una ragazza! E se la sua esperienza con Angel gli aveva insegnato qualcosa, era che le donne si lamentano in ogni situazione possibile e si preoccupano sempre per tutto.
“Come ti chiami?” gli domandò lasciandolo di stucco.
“Come scusa?”, “Vorrei sapere come ti chiami. Puoi dirmi il tuo nome?”
“Non ricorda il mio nome? Ma come è possibile?! Che sia il suo modo di vendicarsi, che voglia far finta di non conoscermi?” pensò.
Poi però la sua mente si concentrò sull’ascoltare i suoi pensieri e si accorse di non riuscire a farlo liberamente, come se ci fosse un buco nella sua memoria che gli impediva di sentire le sue proiezioni mentali e i suoi ricordi.
“Questa sensazione… l’ho provata anche con Gerard! Ha perso la memoria?! Q-Quindi non si ricorda di me!”
Il panico lo assalì: come avrebbe fatto adesso a spiegargli ogni cosa? Del loro incontro, della loro crescita insieme, della loro amicizia e della sua preghiera non era rimasto nulla!
Quella donna era davvero Cubellios o era lui che disperato aveva finito per impazzire?
Ma bastò un semplice sguardo ricambiato da quello della violetta per far morire sul nascere quel timore.
“Erik. Mi chiamo Erik.”
“Erik?”
Quanto era bello il suo nome pronunciato da quella voce così soave e melodiosa. Per quanto tempo aveva atteso quel momento, versando lacrime, sangue e sudore, e finalmente era arrivato.
La sua voce o al massimo il ricordo della sua voce era stato l’unico spiraglio di piacere che aveva avuto una volta tornato in prigione. C’era tornato per lei in quel buco di fogna e sempre per tornare da lei era evaso e si era unito a Crime Soierce.
Ma con il tempo si era reso conto che non era più la sua voce l’unico motivo che lo spingeva a compiere l’impossibile o a lottare così tanto.
Si era reso conto che quella ragazza di nome Kinana non era più il suo serpente, che purtroppo Cubellios se n’era andato per sempre, forse neanche i ricordi delle loro esperienze passate le sarebbero tornate alla mente.
Ma non gliene fregava nulla, perché anche se il suo serpente se n’era andato, Kinana non lo aveva semplicemente sostituito, era diventata qualcosa di molto di più, qualcosa che era arrivato a vedere come diversa da una semplice amica.
Lo aveva capito dopo la sua evasione, quando durante il tempo libero era arrivato a riflettere sul fatto che il suo migliore amico si era trasformato in una ragazza molto carina. Inoltre, a far svanire ogni possibile dubbio ci aveva pensato il loro secondo incontro, avvenuto durante l’anno di scioglimento di Fairy Tail.
Si, lei non poteva più essere una sua semplice amica, ormai per lui era molto di più e non poteva farci nulla se al solo pensare a quanto fosse bella si sentisse le farfalle volteggiargli nello stomaco.
“Erik. Erik… ERIK!” il suono dolce armonioso prodotto dal ricordo fu sostituito da una voce più acuta e meno profonda, che gli fece drizzare un orecchio e spalancare l’occhio.
Scosse la testa e tornò a concentrarsi sulla figura di Mirajane che lo guardava sorpresa e forse un po' scocciata: “Allora vuoi rispondere?”
“Eh?”
“Preferisci Kinana in versione serpente o umana?”
“Che razza di domanda cretina.” borbottò infastidito ricordando solo in quel momento di dover ancora dare una risposta a quella diavolessa impicciona: “Kinana resta Kinana e mi piace in qualunque modo!” disse pentendosene subito dopo.
“Ehm…c-cioè, volevo dire…”
“Lo sapevo!” esclamò eccitata l’albina portandosi le mani giunte sotto al mento: “Non vedo l’ora di dirglielo.”
“Non ti azzardare neanche ad avvicinarti a lei con questo intento! Avevamo un accordo: io ti rispondevo e la conversazione rimaneva tra noi!”
“Uffa, non posso neanche dirlo a lei? Tanto sono certa che lo sa.”
“Non mi importa, guai a te se ti ci azzardi!”
“Allora posso dirlo a Cana?”
“Chi?”, “La mia amica laggiù in fondo.” gli rispose la cameriera indicando la bruna, che in quel momento si stava scolando un barile grande quanto lei e continuava a fare commenti perversi su Gray, che a suo dire si era divertito ad andare a passeggio con Juvia attaccata al braccio, suscitando l’imbarazzo del giovane e le follie mentali della turchina.
“Guarda preferisco tu lo dica a tutti, tranne che a lei.” gli rispose l’ex mago oscuro dopo aver analizzato il contenuto della mente dell’ubriacona, storcendo il labbro superiore per il disgusto e la vergogna.
“Posso dirlo a tutta la gilda?”, “Cos’è che non ti è chiaro nel concetto di faccende private?”
“Ma tanto prima o poi lo scopriranno tutti e…”
“Non mi importa! Ti ho detto di no ed è no!”
“Ma così ti assicuri di mettere le cose in chiaro e di allontanare possibili rivali. Voglio solo aiutarvi.”
“No, tu vuoi solo impicciarti! E comunque se qualcuno si azzarda anche solo a provarci da lontano mi assicurerò di disintegrarlo fino all’ultima cellula.”
“Sei proprio un bravo fidanzato.”
“Basta, avevi detto che dopo questa domanda saresti tornata a lavorare.”
“Oh, scusa mi sono dimenticata di avvertirti che il mio turno è finito circa un quarto d’ora fa.” gli sorrise Mira e l’uomo avvertì la terra aprirsi sotto i suoi piedi.
“Va bene, è affar tuo. Io adesso me ne vado.” e stava per alzarsi, quando Kinana gli si fece incontro.
“Ehi Erik, t-ti è piaciuta la canzone?” chiese imbarazzata la violetta.
“Se gli è piaciuta, non smetteva di sbavare.” rispose Mira facendo paralizzare l’uomo sul posto, mentre la faccia di Kinana diventava bordò.
“Vuoi farti gli affaracci tuoi?! Guarda… mi sa che Luxus ti sta cercando, perché non lo raggiungi?”
“Hai ragione, vi lascio un po' di intimità. Divertitevi.” sorrise ai due scuotendo la mano in segno di saluto, prima di superarli e sparire tra la folla seduta ai tavoli.
“S-Scusa per Mira-sama, l-lei è fatta così.”
“Potrebbe anche imparare a tacere qualche volta. Comunque, una cosa l’ha detta bene…”
“Stavi sbavando?” chiese Kinana scoppiando in una risatina,
“Eh! Certo che no! Al massimo mi stavo godendo la tua esibizione, a proposito sei bravissima.”
“Tu dici? Secondo me Mira-sama canta meglio.”
“Quella lì? Ma per piacere non c’è paragone, le sei di gran lunga superiore! E te lo dico da esperto.”
“Da esperto o da fidanzato?”
“C’è differenza?” gli chiese lui sorridendole, “Certo, non devi farti condizionare. Sii imparziale.”
“Ma sai, eri molto distante e con tutto il casino che fanno qui dentro è difficile sentire bene, perché non mi concedi un bis, così saprò risponderti meglio.”
“Ah, beh. Se è il mio fan numero uno a chiedermelo non posso che accettare.” sorrise la cameriera sedendosi sulle gambe dell’uomo e riprendendo a cantare.
L’unica cosa che ti distingue da Cubellios è il fatto che canti divinamente… e anche questo…” pensò guardando di sottecchi il petto della donna.
“Si, sono la persona più fortunata e felice del mondo.” farfugliò tra se e se guardando la sua fidanzata.


Nota d’autore: ecco il terzo capitolo della raccolta! Devo dire che questo capitolo si è scritto da solo, nel senso che non era così che lo avevo immaginato inizialmente, ma poi durante la stesura è venuto fuori questo. Spero di non essere uscita fuori tema e di aver rispettato ed interpretato correttamente il significato della parola.
Parlando della vicenda in se, dico subito che appena scoprì che Kinana come Mira si divertiva ad allietare i propri compagni di gilda cantando, mi dissi che se Cobra avesse avuto il piacere di sentirla cantare come minimo gli sarebbe venuto un colpo per la gioia. Insomma, per anni il suo unico desiderio era quello di ascoltare la sua voce e poi scopre che canta pure bene, non può che sentirsi in Paradiso.
Spero che il modo in cui ho descritto i sentimenti del personaggio non sfoci nell’OCC, ma non c’è alcun esempio di lui innamorato di Kinana; quindi, mi sono dovuta arrangiare per conto mio.
Ovviamente, parlando di amore Mirajane non poteva non essere presa in considerazione e come suo solito si assicura di rendere tutto il più imbarazzante possibile. All’inizio avevo preso in considerazione l’idea di far unire anche Cana alla discussione, poi l’ho bocciata perché sarebbe stato troppo crudele per Erik ritrovarsi a discutere con quelle due messe insieme.
Invece il flashback inizialmente doveva far parte di un altro capitolo, ma poi per quello mi è venuta in mente un’altra idea e visto che si allacciava al discorso generale e che è una delle mie scene preferite ho dovuto inserirla per forza.
Non so quando riuscirò a pubblicare il quarto capitolo, vedrò di trovare un po' di tempo libero. Fino ad allora vi lascio godere di questo e vi invito a dirmi cosa ne pensate.
Striscia_04
 

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