Falling Snowflakes

di Cida
(/viewuser.php?uid=22415)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A game we have to win ***
Capitolo 2: *** Temptation ***
Capitolo 3: *** Prova a prendermi ***
Capitolo 4: *** In the Blood ***
Capitolo 5: *** (The world doesn't need another) Dream Girl ***
Capitolo 6: *** Mr. & Mrs. Frost ***



Capitolo 1
*** A game we have to win ***


A_game
Questa one-shot partecipa alla "Real Life Challenge" indetta da Ilminipony sul forum di EFP.
Dettagli in fondo.

Rating: Verde


    Se c’era una cosa che tutta la cittadina di J. sapeva era che l’energia scaturita dalla rivalità fra la giovane Elsa Bleket e il suo coetaneo Jackson Overland sarebbe stata in grado di sopperire al fabbisogno elettrico di una settimana intera.
J. non era molto grande ma neanche così piccola da non potersi permettere un istituto scolastico in cui ospitare i suoi bambini e ragazzi. Elsa e Jack si erano, così, incontrati per la prima volta fra i banchi della stessa classe e si erano bellamente ignorati come solo i bambini e le bambine piccoli sapevano fare, finché non si erano ritrovati, con gli scarpini ai piedi, a gareggiare sullo stesso campo di atletica.
Erano entrambi davvero bravi e, gara dopo gara, dove l'uno perdeva poi recuperava e così via in un circolo vizioso che li portava a migliorarsi ancora e ancora, senza che nemmeno se ne rendessero conto.
Vederli gareggiare era uno spettacolo: Jack era uno spirito libero, energico e frizzante mentre Elsa era precisa, metodica e si muoveva sulla pista con l'eleganza di una vera regina. C'era una cosa, però, che li accomunava, capace di rapire chiunque li guardasse: nei loro esercizi erano così leggiadri e rapidi che sembrava godessero dei favori del vento stesso.
Ogni gara era accesa, infiammata, dal loro spirito di competizione, il che era davvero buffo date le ondate di gelo che si riversavano addosso e il risultato finale non era mai scontato, almeno finché i loro fisici non avevano iniziato a crescere e il loro cambiamento era diventato, improvvisamente, un ostacolo troppo difficile da superare.
In soccorso dell'orgoglio ferito di Elsa, incredibilmente, era venuta la cittadina di J. stessa che ospitava, sì, un istituto scolastico ma non arrivava ad averne uno di grado superiore. Così, le loro strade si erano separate e le loro gare si erano concluse. Tuttavia, l'orgoglio in certi frangenti rischiava di rivelarsi più un limite che uno sprone: capace di saziare solo per un istante ma, poi, la fame tornava inesorabile e implacabile[1]. Quei frangenti, però, sia Elsa che Jack erano ancora ben lontani dal comprenderli, sebbene ne fossero già - loro malgrado - inesorabilmente risucchiati.
Complici studi e giri di amicizie diversi, i due ragazzi avevano cominciato a frequentarsi sempre meno e gli anni erano passati, li avevano visti laurearsi e, al momento, prendersi un meritato periodo di riposo prima di lanciarsi nel frenetico mondo del lavoro.


    Elsa uscì dalla porta e inspirò a fondo l’aria di J., l’aria di casa. Era arrivata il giorno precedente, dopo un lungo viaggio e tutto quello di cui aveva avuto bisogno era stato un bel sonno ristoratore e la compagnia e l’affetto della sua famiglia.
Come ad ogni suo ritorno, però, il giro di rito in solitaria non poteva mancare: era un piacere constatare come certe cose non cambiassero mai, dando quella giusta dose di sicurezza in contrapposizione alla curiosità che sapevano accendere quelle piccole novità come un nuovo negozio, ad esempio, o dei vicini trasferitisi da poco.
«Bleket?» una voce familiare, sebbene un poco diversa dall’ultima volta che l’aveva sentita, la fece voltare.
Il suo sguardo si accese non appena si rese conto di non essersi sbagliata «Overland…»
Il sorriso che si disegnò sulle le labbra di lui ebbe il potere di confonderla per un attimo «Allora è vero che sei tornata, ho saputo dei tuoi risultati eccellenti. Congratulazioni!»
«Grazie» si schermì un poco, presa in contropiede «A quanto pare le notizie volano qui, eh?»
Jack sghignazzò «Lo sai com’è fatta J., le notizie sono sempre sulla bocca di tutti, soprattutto quelle belle… o quelle piccanti»
Lei si trovò a ridere con lui, constatando come il ragazzo non fosse cambiato per nulla… se non che era diventato più alto, i lineamenti più marcati, il fisico più definito… perché cavolo stava pensando a quelle cose? «Tu, invece?» buttò lì, cercando un pretesto per evitare che l’imbarazzo si trasferisse sul suo viso «Temo di essere arrivata da troppo poco e non ho ancora ricevuto la mia giusta dose di pettegolezzi»
Il ragazzo scrollò le spalle «Anch’io sono finalmente libero dall’università e, visto che sono stato via a lungo, prima di scoprire cosa mi riserverà il futuro, ho preferito tornare a casa per un po’… come te, immagino»
Elsa annuì e lui pensò che non fosse cambiata poi granché: sempre di poche parole, riservata… bellissima. A ben guardarla, forse, in due o tre punti era decisamente cambiata
«Ti ho trovata!» la voce squillante della giovane Anna si intromise di forza fra i loro pensieri e due esili braccia circondarono il collo della maggiore delle sorelle «Ciao, Jack!» lo salutò con un rapido cenno del capo, per tornare subito a richiamare l’attenzione dell’altra «Ti stavo cercando, prima non sono riuscita a chiederti se volevi venire al pub di Oaken: Kristoff e i Reindeers suonano lì»
Elsa tremò: non che non amasse Kristoff e i suoi amici ma, talvolta, sapevano essere davvero chiassosi e invadenti e, cielo, non era psicologicamente pronta per affrontarli quella sera «Ti ringrazio Anna ma ecco, io, sì… avrei già un impegno…»
«Un impegno?» chiese quella sospettosa «E con chi?»
Lei si liberò dolcemente dalla sua presa e si spostò di un poco «Con lui» buttò lì, senza pensarci, disposta a tutto pur di cavarsi da quella rogna.
«Con me?» trasecolò il giovane ora al suo fianco, prima di beccarsi una gomitata secca nelle costole «Ouch… Sì, sì… con me, certo. Ci siamo incontrati e ci siamo detti, perché non rivangare un po’ di sana rivalità del passato?»
Il sorriso che si allargò sulle labbra di Anna aveva un che di inquietante «Allora va bene, ci vediamo più tardi a casa» le si avvicinò per baciarle una guancia come saluto ma, quando fu abbastanza vicina al suo orecchio, le sussurrò «Dove mi racconterai tutto!»
Quando si fu allontanata, Jackson – ignaro - sospirò «Dato che hai scampato il pericolo e, in effetti, io non ho niente da fare… che dici, andiamo al Luna Park?»
Elsa non era poi così sicura di averlo scampato quel pericolo, considerando lo sguardo di sua sorella acceso dall’eccitazione, non appena aveva pronunciato quelle due maledettissime parole: aveva la netta sensazione di essere appena saltata dalla padella alla brace. Impegnata nei suoi ragionamenti, comprese con un attimo di ritardo quel che lui le aveva appena detto. Alzò un sopracciglio divertita «E’ un invito?»
Lui si strinse nelle spalle «Abbiamo un finto appuntamento, tanto vale goderselo, no?» lo disse volutamente con un tono di sfida perché, lo sapeva, ciò avrebbe di molto alzato le possibilità a favore della risposta desiderata.
«D’accordo»
E infatti.



    Il Luna Park di J. non era molto grande e si presentava solo nel periodo delle vacanze estive. Contava fra le sue attrazioni ben poche giostre, un carretto dello zucchero filato che vendeva anche le mele candite, uno di bibite e pop-corn e alcuni stand di giochi di abilità in cui, con la giusta dose di bravura e fortuna, si potevano vincere i classici premi. Fra una pesca alle ochette e l'immancabile tiro a segno, svettava una grossa insegna luminosa: Derby Race.
I due, nella loro giovinezza, avevano speso fior di paghette a spingere palline in quelle buche gialle, blu e rosse, tutti intenti a far avanzare i loro fantini issati su cavalli meccanici tirati a lucido, in quella corsa concitata verso il traguardo.
Non appena arrivarono lì davanti, Jackson si voltò verso la ragazza al suo fianco – fino a quel momento chiusa in un silenzio imbarazzato - e trovò i suoi occhi accesi dalla stessa sensazione che, era certo, brillava anche nei propri. Si frugò nella tasca dei pantaloni e tirò fuori un dollaro sgualcito «In memoria dei vecchi tempi?»
Elsa sorrise e annuì. Si avvicinarono al banco di gioco e presero posto, rigorosamente il solito di sempre.
«Due gettoni, per favore»
Nell’attesa che anche gli altri partecipanti fossero pronti, lei ne approfittò per legarsi i lunghi capelli biondi in una morbida treccia, in modo che non la infastidissero durante la gara. Lo scoprì a fissarla e si imbarazzò «Sei pronto a perdere?»
Lui sgranò gli occhi, comprendendo di essere stato colto in flagrante ma, come lei, ci mise giusto mezzo secondo a ripararsi dietro ad una giusta dose di spocchia «Come sarebbe? Se è il migliore quello destinato a vincere, non ho nulla da temere»
Elsa roteò gli occhi al cielo, nello stesso momento in cui il padrone dell’attrazione invitava a prepararsi per la partenza «Staremo a vedere» sibilò fra i denti.
Il suono di una tromba diede il via alla gara, lanciarono.

    «Chi vincerà? Il ragazzo o la ragazza?»
I due si scambiarono uno sguardo di sfida, mentre le mani battevano frenetiche sul bancone per far scendere più velocemente la pallina. Ultimo lancio: cavallo bianco contro cavallo grigio, gli altri ormai persi lungo i verdi binari di plastica. *Swiss*, le sfere rotolarono sul piano di appoggio e oscillarono perfide fra i buchi dai bordi colorati, dondolarono e dondolarono ancora finché non caddero in quello designato: uno rosso, l’altro blu.
*Driiiiiiin*
L’assordante suono del campanello decretò la fine della corsa ed elesse il vincitore: il muso del cavallo bianco era rimasto un centimetro - di troppo - dietro a quello del cavallo grigio.
«Sì!» esultò Jack, mentre alzava entrambe le braccia al cielo, senza ritegno «Sono il re del mondo
Si voltò verso la sua sfidante e vi lesse in viso la stizza della sconfitta. Rapido portò una mano alla tasca dei pantaloni e ne estrasse il cellulare. Ancor prima che lei riuscisse a capire le sue intenzioni, lui le aveva già scattato una foto.
«Perché diamine l’hai fatto?» il suo nervosismo, se possibile, aumentò.
«La tua faccia…» sghignazzò l'altro impertinente «Me la voglio godere tutta
«Tu.Sei.Impossibile!» sentenziò gelida, prima di voltargli le spalle e allontanarsi.
Jackson scosse la testa e sbuffò: ovviamente l’avrebbe raggiunta ma, prima, c’era assolutamente un’altra cosa da fare.

    Quando avvertì la sua mano sulla spalla, ad Elsa la sconfitta bruciava ancora e non poco «Hai intenzione di continuare a prendermi in giro a lungo?»
Jack scosse la testa in segno di resa «Assolutamente no, sono qui per offrire un segno di pace» sorrise, rivelando quel che teneva nell’altra mano, fino a quel momento sapientemente nascosta dietro alla schiena.
«Non penserai di comprarmi con un pupazzet… oh, ma è troppo carino!» ogni proposito battagliero crollò di fronte a quella morbidissima salamandra di peluche azzurro, con due adorabili occhioni dolcissimi[2] «Questo non significa che sei perdonato…»
L’altro sogghignò divertito «Andiamo, vuoi dirmi che se avessi vinto tu non mi avresti tartassato da qui all’eternità?»
Finalmente anche lei tornò a sorridere «Può darsi…» concesse, dandogli un leggero colpo alla spalla con la propria, mentre stringeva al petto il dono appena ricevuto.
«Tutta questa tensione mi ha messo una gran sete, ci beviamo qualcosa per sugellare la tregua?»
Lei finse di pensarci su per un attimo «Perché no?»





    Elsa non beveva spesso: di certo non disdegnava una birra fresca per stemperare le afose temperature estive o un buon bicchiere di vino durante una cena al ristorante, ma da qui a dire che fosse una gran bevitrice ci passavano giusto quei quattro o cinque cocktail di mezzo. Perciò una volta finito quel liquido fresco, capace di andar giù subdolamente come la più innocente delle bevande, si era improvvisamente trovata con i pensieri rallentati, come ingrovigliati in un intruglio di melassa, e con le gote della stessa tonalità di quelle di un’adolescente alla prima cotta. Il fatto che il profumo di lui arrivasse - leggero e invitante - a solleticarle le narici, non c’entrava proprio niente di niente.
Improvvisamente la terra sotto ai suoi piedi cominciò a sembrare non più così stabile, perciò, decise di prendersi una pausa dalla loro passeggiata e ritrovò sicurezza posando le mani su un corrimano lì vicino. Lui si fermò al suo fianco, poco distante «Sai già dove andrai?» chiese tutto d’un tratto.
Elsa si stupì di quella nota malinconica che gli avvertì nella voce «No, ma l’ignoto non mi spaventa»
Jack sbuffò appena «Già… è una sfida, no? Perché dovrebbe?»
Lei sorrise e annuì, l’aveva capita perfettamente «E tu?»
Anche lui scosse il capo «No: certo, l’idea di allontanarmi definitivamente un po’ mi destabilizza ma, forse, J. è un posto troppo piccolo per tipi come noi»
Elsa sorrise di nuovo «Hai ragione ma ciò non significa che non possa rimanere il nostro posto sicuro in cui tornare»
«Hai altri posti sicuri?»
Forse per colpa dell’alcol, o forse perché non voleva capire, il significato nascosto in quelle parole le rimase oscuro «In che senso?»
Jack non la guardò più «Hai qualcuno che ti aspetta da qualche parte?»
Una domanda così diretta non se l’aspettava, avvampò «Assolutamente no…» rispose in tutta fretta, nell’imbarazzo più totale «Sei veramente uno stupido, Overland» borbottò sottovoce poi, guardandolo di sottecchi «In tutto questo tempo non ti sei mai accorto che a piacermi eri tu…» sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca che, di fatto, si era appena aperta contro la sua volontà.
La speranza che lui non l’avesse sentita s’infranse non appena incontrò uno scintillio di puro divertimento nel suo sguardo «Ah e così ti piacevo…» le disse, senza nemmeno cercare di trattenere quel sorriso sfacciato che gli era cresciuto sulle labbra. Si chinò quel tanto che bastava per portare il viso all’altezza di quello di lei e, poggiando il gomito sulla staccionata, adagiò il mento sulla propria mano «E sentiamo… ti piaccio ancora?»
Lei assottigliò gli occhi e inspirò col naso, gonfiando appena le guance risentita… oh, al diavolo: gli arpionò il colletto della camicia e lo attirò a sé. Quando le loro bocche si staccarono si riscoprì senza fiato, con un calore in corpo che niente aveva a che fare con quello che aveva appena bevuto «Tu che dici?» lo sfidò con lo sguardo.
Lo stupore sul viso di lui durò solo per un istante «Dico che non sono io l’unico stupido qui…» e, questa volta, non ebbe bisogno di lasciarsi trascinare per un unire di nuovo le labbra alle sue.




Ciao a tutti!
Riapprodo su questi lidi approfittando dell'ispirazione che i trope legati al mio segno zodiacale hanno saputo regalarmi, i quali prevedevano: fake dating, rivals to lovers  e drunken confessions.

Questa shot partecipa alla "Real Life Challenge" indetta da Ilminipony(Leila91) sul forum EFP che richiedeva di inserire un episodio di vita vissuta all'interno della storia. Ebbene sì, io amavo (e amo tuttora) alla follia questo giochino dei cavalli del Luna Park e nella mia vita credo di aver fornito al giostraio una buona parte di budget per i suoi acquisti (Il "Chi vincerà? Il ragazzo o la ragazza?" era una sua frase tipica). E, come dire, sono anche un tantinello competitiva quando c'è da mettersi in gioco ù_ù Ho anche provato sulla mia pelle cosa significa essere in quello status leggermente alterato in cui intimamente ragioni ancora lucidamente ma, di fatto, la bocca va per i fatti suoi e ti ritrovi a pensare "Ma cosa cavolo sto dicendo?". Come autosputtanarsi in tre, due, uno... XD
La challenge prevedeva, inoltre, l'utilizzo facoltativo di alcuni prompt tratti da citazioni e qui si sono praticamente inseriti da soli: il "Sono il re del mondo" di Titanic pronunciato dai Jack (uazuazuaz XD) e il "Me la voglio godere tutta" dal cartone animato Robin Hood.

Quando ho scritto della cittadina di J., lo ammetto, ho pensato al paese di Jelsa che si trova in Norvegia (!) (ditemi voi se non è un segno chiarissimo del destino) ma qui è stato trasformato in questa non meglio definita località americana. Si ringrazia infinitamente blackjessamine per avermi fatto entrare questo espediente nella testa con il paesino di B. della sua storia.

Come da specchietto, tutte le prossime AU (che non prevedano più capitoli) che mi verranno in mente su questi due adorabili ghiaccioli verranno inserite in questa raccolta.

Spero che questo inizio vi sia piaciuto: grazie per aver letto e grazie a chiunque vorrà perdere un pochino del suo tempo a farmi sapere cosa ne pensa.

Alla prossima
Cida


[1]  Tratto dalla canzone "Per Sempre" di Nina Zilli.
[2]  Sì, è il pupazzetto di Bruni (Più e più riferimenti ai rispettivi film di appartenenza sono sparsi per tutto il testo. Sapreste trovarli tutti?)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Temptation ***


Temptation
Questa one-shot partecipa alla "AU!Week" di M a k o. Prompt sviluppato: Angel/Demon!AU (in particolare GoodOmens!AU)

Rating: Giallo

 

    Il rombo di una moto in avvicinamento portò la ragazza, comodamente seduta al tavolino di un bar, ad alzare lo sguardo dalla sua tazza di tè fumante e posarlo su una naked dai colori arroganti che aveva appena parcheggiato a pochi passi da lei.
Soffiò leggermente sul liquido caldo e rivolse uno sguardo tagliente al pilota che, senza troppi complimenti, aveva preso posto sulla sedia accanto alla sua «Perché devi essere sempre così teatrale? Ti guardano tutti… potevi metterti un casco, almeno»
Il giovane si portò una mano a sistemare i capelli argentei scompigliati dal vento della corsa «Angelo, non dirmi che ti preoccupi per me?» celiò, scostandosi la bandana dal viso e mostrandole un sorriso sbieco. Non c’era bisogno di vedere i suoi occhi, al momento coperti da un paio di scuri occhiali da sole, per percepire l’ironia che li accendeva «E scusami se ti correggo ma non è me che stanno guardando» le regalò un sorriso più ampio che mise in mostra due canini sospettosamente più lunghi del normale «Vestita così hai appena condannato alla dannazione eterna i tre quarti degli uomini qui presenti» piegò appena il capo, come se fosse in ascolto di qualcosa «E anche alcune donne, a quanto pare»
Lei roteò gli occhi al cielo, quasi esasperata, ma non si poteva negare che l’altro avesse pienamente ragione: con quel tubino bianco che lasciava intravedere la schiena pallida, sotto ad un intricato pizzo dal motivo floreale, e i lunghi capelli biondi magistralmente raccolti in un’acconciatura alta, era senza ombra di dubbio una visione paradisiaca - letteralmente - ma in grado di innescare in chiunque la guardasse pensieri tutt’altro che puri.
«Vuoi ordinare o no?»
Lui sbuffò appena e alzò una mano per richiamare l’attenzione di una giovane cameriera «Un bicchiere di Chateu Mont-Redon»
«Mi dispiace, Signore, non lo abbiamo al bicchiere, solo a bottiglia…»
«L’intera bottiglia andrà benissimo»
«Sono solo le dieci e devi guidare…» lo riprese lei, quando l’altra era già abbastanza lontana.
Lui alzò le spalle con noncuranza «Miracolerò via gli effetti, non temere»
Quando la cameriera tornò con la bottiglia, lui aspettò che l’aprisse e confermò, con un cenno, il suo gradimento per l’assaggio che gli aveva appena offerto. Prima che potesse allontanarsi nuovamente, però, le sfiorò appena la mano «Ancora una cosa, cara…» il rossore sul viso di lei si acuì maggiormente quando lui si alzò e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Quella annuì imbarazzata e sparì veloce all’interno del locale.
Sentire uno sbuffo irritato gli causò l’insorgere di un nuovo sorriso «Che c’è Angelo, sei gelosa?»
L’altra arrossì appena «Assolutamente no…» bofonchiò risentita «Che cosa le hai detto?»
«Lo scoprirai presto…» la invitò a voltarsi con un cenno del capo, cosicché potesse vedere la ragazza tornare con un piccolo piattino su cui erano gradevolmente adagiati cinque cioccolatini di pregevole fattura.
Suo malgrado, gli occhi le si illuminarono davanti a quella vista invitante ma, orgogliosa com’era, la sua espressione divenne subito torva nell’incontrare l’ilarità sul volto del compagno «Tu sei un diavolo tentatore»
Lui ghignò «E’ proprio quello che sono, in effetti. Coraggio, perché non ne assaggi uno?»
Lei tentennò indecisa ma, incapace di resistere, allungò una mano dalle dita affusolate e ne morse uno, scoccando un’ulteriore occhiata infastidita allo sguardo tronfio dell’altro che non poteva vedere ma riusciva, senza ombra di dubbio, a sentire su di sé. Quando il cioccolato le si sciolse in bocca, però, la sua espressione non poté fare a meno di distendersi nuovamente e un mugolio di piacere le sfuggì dalle labbra.
Aveva ancora gli occhi chiusi quando avvertì la sedia dell’altro spostarsi e farsi più vicina. Alzò le palpebre e, questa volta, fu il suo turno di regalargli un’espressione ironica, ben consapevole dell’effetto che aveva appena avuto su di lui «Problemi, Demone?»
Lui abbassò appena le lenti per guardarla con i suoi occhi glaciali ma la pupilla felina che, di solito, li animava era ora pericolosamente riempita dall’eccitazione «Nessun problema» le rispose prima di andarle a sfiorare la bocca con le dita «Hai ancora un po’ di cioccolata qui, lascia che te la tolga» e si chinò, avvicinando pericolosamente le labbra alle sue.
«Siamo in un luogo pubblico» gli ricordò lei ma non si ritrasse.
Lui sorrise appena «Vorrà dire che dovrò aggiungere l’invidia alla lista dei peccati dei presenti» e unì la bocca alla sua.






Ciao!

Ritorno con questa piccola shot che in realtà ha visto la luce agli inizi di Maggio. Essendo molto corta non me la sono sentita, al tempo, di pubblicarla in solitaria ma direi che questa raccolta sia assolutamente il posto suo!
E' vero, Elsa e Jack in queste righe non vengono mai chiamati per nome ma spero siate riusciti a sentirli in queste righe come li ho sentiti io.
Non è stato facile decidere chi scegliere dei due per interpretare Aziraphale e Crowley perché, diciamolo, sia Elsa che Jack starebbero bene in entrambi i panni angelici e demoniaci ma, alla fine, considerando l'amore di Elsa per il cioccolato, trasformare lei in Aziraphale è venuto da sé ;)
L'aspetto di Jack è, per forza di cose, leggermente cambiato per renderlo più creatura delle tenebre; Elsa, invece, non ha avuto bisogno di modifiche per rendere il suo aspetto più angelico.
Finiranno tutte con un bacio? Non lo so, giuro che è un caso XD

Questa one-shot è dedicata a M a k o che, con i suoi promt per la AU!Week, mi aveva fatto partire l'ispirazione a schioppo e ha avuto il piacere - spero - di leggerla in anteprima. Il prompt prevedeva una Angel/Demon!AU ma, grazie alle fluffosissime storie di leila91 con Azi goduriosi, trasformarla in una GoodOmens!AU è stato quasi un obbligo, perciò, questa storia è dedicata anche a lei.

Al solito vi ringrazio per aver letto!

Alla prossima
Cida

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Prova a prendermi ***


Prova_a
Cat'sEye!AU - OcchiDiGatto!AU

Elsa è una giovane donna che di giorno gestisce un locale chiamato Ice Café, mentre di notte è una ladra che, supportata dalla geniale sorella Anna, ruba per scoprire quali segreti si celino dietro il loro triste passato.
Jackson, Jack, Overland è un brillante detective del distretto di polizia della città, ha una cotta non poi troppo segreta - probabilmente ricambiata - per la proprietaria del bar che è solito frequentare e ha un solo e unico scopo nella vita: catturare la ladra Snow Queen.

Rating: Arancione

    L’umore del detective Jackson, per gli amici Jack, Overland era livido, così come il suo occhio destro.
Aveva passato la notte praticamente in bianco sulle tracce della ladra che, da diverso tempo, stava facendo ammattire tutti i corpi di polizia del paese, lui compreso. Snow Queen era il suo nome e sembrava uscita direttamente da un romanzo o da uno di quei cartoni animati giapponesi dove il ladro - o le ladre - inviava un biglietto di sfida alle forze dell’ordine, mettendo con arroganza i riflettori su quello che sarebbe stato il suo prossimo colpo e, nonostante questo, riusciva sempre ad andare a segno e farla franca.
Nessuno l’aveva ancora ufficialmente avvistata per cui la sua identità era avvolta dal totale mistero, c’era anche chi era assolutamente convinto che, nonostante il nome, sotto quelle mentite spoglie ci fosse un uomo, forse perché pensavano, più o meno inconsciamente, che un essere umano di sesso femminile non avrebbe potuto mai essere così scaltro. Jackson, però, non era fra questi, il suo sesto senso gli suggeriva chiaramente che si trattasse di una giovane donna e quella figura minuta avvolta da capo a piedi in un’aderente tuta scura, che quella notte aveva inaspettatamente attirato la sua attenzione, non aveva che confermato i suoi sospetti. Peccato che l’inseguimento, scattato subito dopo, si era concluso con la più grande figura da pollo della sua carriera, grazie al quale si era guadagnato l’occhio pesto e le risate di scherno dei suoi agenti.
Per questo riservò uno sguardo tagliente alla porta a vetri che si era appena aperta docile al suo passaggio, consentendogli l’ingresso all’Ice Café, se non che la contrazione della guancia gli provocò una scarica di dolore che gli fece scappare un grugnito infastidito dalle labbra.
Dopo la caccia fallimentare era tornato a casa a lavarsi via l’onta del disonore e a cercare di recuperare alcune – poche – delle ore di sonno perdute ma, prima di tornare di nuovo al lavoro, aveva davvero bisogno di mettere qualcosa sotto ai denti e, sì, anche il solo passare qualche minuto con una persona in particolare non avrebbe di certo guastato. Quando la vide dietro al bancone, bellissima come sempre, improvvisamente si pentì della sua scelta, visto lo stato pietoso in cui si trovava, sembrava finito sotto…
«Ehi, Jack!» esordì una giovane ragazza dai capelli rossi, seduta ad uno dei tavolini, mentre finiva di riempire la sua tracolla «Snow Queen ti ha travolto con una schiaccia-sassi, per caso?»
Ecco, appunto.
«Anna…» la riprese la sorella, mentre finiva di asciugare un bicchiere «Non si prendono in giro i clien… oddio!» sgranò gli occhi non appena posò lo sguardo su di lui «Che cosa ti è successo?»
Jack trasalì «Infortunio sul lavoro…» buttò lì, arrossendo un poco «Colluttazioni, cose così…» di certo non le avrebbe detto che si era schiantato contro ad una porta a vetri come un fesso.
Elsa, perché questo era il nome della ragazza dietro al bancone del bar, sghignazzò appena, come se fosse consapevole che le stesse nascondendo qualcosa di imbarazzante di proposito «Anna…» disse inaspettatamente «Hai ancora qualche minuto prima delle lezioni, giusto?»
Quella annuì «Sì, Kristoff non passerà a prendermi prima di un quarto d’ora…»
L’altra liberò la spalla dai capelli raccolti in una morbida treccia che vi era appena scivolata sopra e si sfilò il grembiule «Allora bada un attimo tu ai clienti, per favore…»
«Agli ordini, capo» concesse la sorella minore, facendole un occhiolino carico più che mai di sottintesi eloquenti.
Elsa roteò gli occhi al cielo e si avvicinò al detective, prendendogli una mano con la sua «Coraggio, seguimi»
Jackson balbettò un imbarazzatissimo «D’accordo…» per ritrovarsi, poco dopo, seduto su di un piccolo sgabello del bagno sul retro.
«Chiudi gli occhi…» la sentì dire mentre gli dava le spalle, obbedì.
Ci fu un piccolo schiocco e il fruscio dei movimenti di lei che armeggiava con qualcosa «Se ti faccio male dimmelo…»
Annuì e cominciò ad avvertire il picchiettio di una spugnetta morbida sull’attaccatura del naso tumefatta, inevitabilmente tirò appena l’occhio per via del dolore. La vide sorridere dalle palpebre socchiuse «Faccio presto, te lo prometto…»
Fu assolutamente di parola.
«Allora? Che ne dici?»
Jack si guardò allo specchio, il livido sparito «Wow…» e non era dato sapere se lo disse perché era sinceramente ammirato dal suo lavoro o, più che altro, dal riflesso che lo specchio gli stava regalando.
Dovette fissarla un po’ più di quanto fosse consono perché Elsa arrossì un poco «Che c’è?»
«Niente…» scattò quello sull'attenti all'improvviso, altrettanto in imbarazzo «Grazie davvero… sembra proprio che non mi sia successo niente»
Lei alzò le spalle divertita «Figurati, è stato un piacere aiutarti… coraggio, andiamo di là che ti preparo la colazione, non ti rimane più molto tempo»
Lo anticipò per uscire da quella stanza che sembrava essersi ristretta misteriosamente, costringendoli a stare un po’ troppo vicini rispetto a quel che erano di solito. Prima che potesse farlo, però, lui la bloccò, riportando la mano nella sua «Posso offrirti una cena Sabato sera?»
Questo improvviso slancio di coraggio, da sempre nascosto dietro a sguardi e sorrisi fugaci, lasciò per un attimo entrambi perplessi.
Elsa fece scivolare impercettibilmente lo sguardo sulle loro mani unite e decise di rivestire l’imbarazzo con un bel cappotto d’ironia «E’ solo per ringraziarmi del trucco o vuole essere un vero appuntamento?» gli chiese, inarcando un sopracciglio. Sperò che il suo tono di voce fosse fermo quel tanto che bastava a nascondere il cuore che le rimbombava nel petto all’impazzata.
Ormai era decisamente tardi per fare marcia indietro «Ti darebbe fastidio se lo fosse?»
Questa volta fu il turno di lei di spazzare via ogni timore, ritornò verso di lui e gli posò la mano libera sulla spalla, alzandosi in punta di piedi per andare a lasciargli un leggero bacio sulla guancia «Decifri questo indizio detective e, sono certa, lo scoprirà»



    Il loro primo appuntamento era andato a gonfie vele. Inizialmente, il mangiare il sushi al nastro non era sembrata ad Elsa un'idea prettamente romantica ma, con l’andare della serata, si era dovuta ricredere perché l’essere seduti affiancati li aveva privati dell’imbarazzo di trovarsi occhi negli occhi, evitando che inopportuni silenzi calassero tra loro, riempiti dalla foga dell’accaparrarsi al più presto le loro pietanze preferite o il disperarsi quando un vicino gliele soffiava per un pelo. La necessità di toccarsi, poi, veniva magistralmente celata dalle sedie troppo vicine, per cui non era strano se le spalle si sfioravano per caso o se le mani scivolavano contemporaneamente verso il  contenitore della salsa e lo sporgersi per guardarsi negli occhi, regalarsi un sorriso, diventava qualcosa di voluto e non un’imbarazzante costrizione.
Dopo la cena avevano camminato a lungo e parlato senza freni, ritrovarsi con le mani allacciate una nell’altra era stata una conseguenza quasi annunciata, mentre gustavano una deliziosa crepe sul lungo mare e lui le impiastricciava bonariamente il naso con la copertura dell'impasto. 
Il bacio che si erano scambiati davanti alla porta di casa di lei era stata la giusta conclusione di una serata magica e Jack se n’era andato con un sorriso ebete stampato sulla faccia che si era presto tramutato in una vera e propria risata quando, dal nulla, tutte le luci del salone si erano accese, rivelando come Anna non stesse affatto dormendo ma stesse aspettando la sorella per farle il terzo grado. Prima di salire in macchina per tornarsene al suo appartamento, si era morso appena le labbra a ricercare il sapore di lei che sapeva di gloss e zucchero a velo. In cuor suo, sperò ardentemente che quell’appuntamento fosse solo il primo di una lunga serie.



    Il secondo appuntamento, però, finì con l'andare inesorabilmente in fumo perché Snow Queen aveva pensato bene di far coincidere quello che sarebbe stato il suo ennesimo colpo proprio con lo stesso giorno e Jackson era stato, per forza di cose, risucchiato dai suoi doveri di poliziotto. Al telefono con Elsa si era sentito mortificato e visto che nuovamente la ladra sembrava magicamente sparita, rendendo quella serata rovinata vana, era - al momento - anche molto arrabbiato.
A notte fonda, tutti gli agenti si erano ormai ritirati mentre lui era rimasto perché l’ennesima sconfitta gli bruciava talmente tanto che non era ancora riuscito ad allontanarsi da quel muro di cinta della villa residenziale da cui era stato appena sottratto un preziosissimo manufatto.
«Pare proprio che ce l’abbia con me, detective»
Una voce metallica alle sue spalle lo fece sobbalzare: seduta sul muretto, a pochi passi da lui, c’era proprio la ricercatissima Snow Queen. Come la prima volta in cui l’aveva vista di sfuggita, era completamente fasciata da una tuta nera aderente e l’unica cosa che spuntava dal cappuccio era un visore notturno che le copriva interamente gli occhi, vederle anche solo un lembo di pelle era impossibile. Sul fatto che fosse una donna, beh, non c’era più alcuna ombra di dubbio.
«Tu…» esordì preso completamente alla sprovvista « …sei sempre stata qui, non sei mai andata via»
La voce contraffatta gli inviò una leggera risata «Perché darsi tanta pena di scappare quando bastava aspettare che tutti se ne andassero?»
«I cani non ti hanno sentito…»
Lei saltò agilmente giù dal muro «Detective, non vorrà mica che le sveli tutti i miei trucchi, adesso»
Jackson strinse i denti «Perché mostrarti ora? Per sfottermi?»
Snow Queen si mosse in maniera deliberatamente lenta, sfrontata persino, girandogli attorno «Così mi offende: l’ho vista qui, tutto solo e abbattuto… probabilmente con i piani per la serata rovinati. Non so, magari ha dovuto dare buca alla sua ragazza… e mi sono sentita in colpa» gli passò un dito guantato sotto al mento.
Lui si ritrasse appena, facendo un paio di passi indietro e, quando le sue spalle sfiorarono il muro, si rese conto di essere finito nella sua trappola «E’ il mio lavoro, lei lo sa…»
La ladra sembrò quasi delusa «Ah, allora una ragazza c’è… che peccato»
Jack la vide avvicinarsi nuovamente: questa volta non si sarebbe fatto cogliere impreparato, l’avrebbe aspettata quel tanto che bastava per sfoderare la pistola e costringerla alla resa. Ancora un solo passo e avrebbe agito ma, prima di riuscire anche solo a portare la mano alla fondina, lei si era abbassata agile come un leopardo delle nevi e lo aveva colpito alle gambe, facendolo cadere.
Aveva chiuso gli occhi nel momento in cui la testa gli aveva sbattuto contro il muro e, quando li aveva riaperti, se l'era ritrovata praticamente addosso: le gambe allacciate al bacino, il seno fasciato dalla tuta attaccato al viso mentre, con le mani, gli costringeva le braccia verso l’alto.
«Non è per niente carino puntare armi contro ad una signora, non la facevo così maleducato, detective» lo rimproverò, mentre un quasi impercettibile bip testimoniava che avesse appena azionato qualche congegno. Ci fu come un leggero sbuffo e qualcosa di freddo avvolse i suoi polsi, incatenandoli ad un tubo lì vicino.
«Manette di ghiaccio?» chiese incredulo.
«Belle, vero?» gongolò quella, riportando il volto coperto all’altezza del suo «Mi domando cosa direbbe la sua ragazza se ci vedesse adesso… oh» disse, stringendo appena le cosce, aumentando il contatto fra i loro bacini già estremamente vicini «Sono sicura che questo non lo apprezzerebbe»
Jackson arrossì violentemente, per l’imbarazzo e la stizza di non riuscire a contenere i fremiti che quel corpo tonico – praticamente nudo - allacciato al suo gli faceva scorrere sotto alla pelle, andandosi a concentrare in un punto ben preciso «Questo non significa niente…»
Le labbra di Snow Queen si tirarono sotto alla maschera, quasi stizzite «Non sta a lei decidere…» gli diede un piccolo buffetto sul naso e si alzò, regalandogli ancora una volta una panoramica del suo corpo mozzafiato «Fra un paio d’ore si allenteranno…» lo avvisò, con un leggero cenno del capo verso le manette «E’ stato davvero un piacere, detective. Chissà se ci sarà una prossima volta…»
Jackson scalciò «Fermati, maledetta, fermati!» le urlò dietro, mentre cercava invano di liberarsi dalla sua prigione di ghiaccio, ma quella non si voltò più e sparì nell’oscurità della notte.



    Nonostante le ripetute scuse di Jack – e l’aver, con sapienza, deciso di tenere per sé l’incontro ravvicinato con Snow Queen - per via di quell'appuntamento mancato, Elsa era diventata improvvisamente fredda e scostante nei suoi confronti. Il giovane detective era ben presto  passato dal senso di colpa alla delusione per il fatto che lei sembrasse non comprendere i doveri che il suo mestiere comportava. Per cui dopo alcuni tentativi di ridistendere i rapporti miseramente falliti, aveva semplicemente smesso di provarci. Tuttavia, non si era precluso la possibilità di continuare a frequentare l’Ice Café, un po’ perché la speranza era l’ultima a morire e un po’ perché non capiva come mai avrebbe dovuto privarsi di andare in un posto che gli piaceva solo perché la sua proprietaria si ostinava a comportarsi da bambina dell’asilo e lui, al momento, aveva decisamente altro per la testa. I suoi ripetuti fallimenti nella cattura di quella ladra, ormai sulla bocca di tutti, gli avevano causato l’affiancamento di un altro detective proveniente dalla metropoli più vicina, fresco fresco di un bagno di gloria – di stampa e alti piani dell’ordine – per l’aver egregiamente concluso un caso davvero importante. Hans Westergaard era il suo nome e, con quegli attenti occhi verdi, sembrava sapere il fatto suo, forse anche troppo: infatti, anziché affiancarlo aveva – a tutti gli effetti – preso il suo posto, scavalcandolo e relegandolo a compiti che potevano essere tranquillamente svolti da semplici agenti. Il ruolo defilato che gli aveva appena assegnato, per quello che sarebbe stato l’ennesimo tentativo di cattura, ne era una prova più che lampante. Decisamente aveva avuto momenti migliori, su tutti i fronti.
Ben lontano dal farsi mettere i piedi in testa, però, si era portato a casa le copie delle diverse planimetrie dell’hotel di lusso che, da avviso, sarebbe stato il luogo del prossimo colpo. L’asta di quadri e gioielli si sarebbe tenuta nell’enorme e sontuoso salone del pianterreno, circondato dalla vigilanza privata a cui la polizia avrebbe dato man forte, era quindi improbabile che Snow Queen decidesse di agire sotto quelle luci sgargianti e gli occhi di centinaia di persone. No, molto probabilmente avrebbe agito nei magazzini, ad asta conclusa, prima che i nuovi proprietari potessero a tutti gli effetti accedere ai beni appena comprati. Quella stanza, tuttavia, era cieca su più lati e aveva solo una porta, mentre il ricambio d’aria era garantito da un innovativo processo di aerazione che precludeva ogni contatto con l’esterno. Il vecchio condotto era, invece, stato murato con due metri di cemento armato. Come diavolo avrebbe fatto ad entrare e, soprattutto, uscire da lì? Si sarebbe travestita? Non ne aveva idea. Stanco morto scivolò nel sonno direttamente sul tavolo della propria cucina, con solo una convinzione nella mente: non avrebbe agito come Hans si immaginava.  


    Per il corpo agile e allenato di Snow Queen, scivolare nei condotti di aerazione era un’azione quasi naturale.
Mentre saliva sempre un po’ più in su, le venne quasi da sorridere: fino a poco tempo prima, la messa in atto di quel piano pareva impossibile perché l’unico modo per poter accedere a quel magazzino – e alle sue opere – sembrava proprio il vecchio condotto murato. Raggiungerlo e aprirlo senza farsi scoprire, però, si era rivelata un’impresa infattibile e stavano quasi per rinunciarvi. Un aiuto inaspettato era, incredibilmente, arrivato proprio dal cambio di gerarchia avvenuto sul suo caso. Nonostante fosse sollevata - e dispiaciuta al tempo stesso - che il detective Overland fosse stato ufficialmente affiancato, e ufficiosamente rimosso, l’arrivo di Westergaard era stato per lei una manna dal cielo. Sebbene lo vedesse praticamente tutti i giorni e il loro rapporto fosse ben presto scivolato in qualcosa di più di una semplice amicizia, Jackson era sempre stato molto riservato sui dettagli di ciò che avrebbe messo in atto per contrastarla, rendendo di fatto ancora più eccitante l’idea di sfuggire ai suoi tentativi di cattura ma Hans, al contrario, era un vero e proprio pavone: pienamente sicuro nelle sue capacità - che, doveva ammettere, sembravano notevoli – non aveva disdegnato di lasciarsi andare a qualche confidenza di troppo, dopo un paio di drink ingollati assieme ad un’avvenente ragazza dai capelli corvini e sognanti occhi verdi, totalmente rapiti dal suo acume e dalla sua bellezza. Era proprio così che Anna, sapientemente travestita, era venuta a conoscenza di ciò che persino Jackson ignorava: la collana di diamanti che doveva recuperare ad ogni costo, non sarebbe mai tornata nel magazzino dopo l'asta, lì avrebbero portato una semplice imitazione per attirarla in trappola, mentre quella vera sarebbe stata custodita in una delle suite dell’ultimo piano, in attesa che il compratore andasse a reclamarla.
In quella stanza, beh, non c’erano condotti di aerazione bloccati: immettere del gas narcotico nell’aria condizionata era stato un gioco da ragazzi; sfilare la collana dal taschino di Westergaard che dormiva beato era stato quasi divertente; i ganci di ghiaccio con cui stava risalendo verso il tetto si sarebbero sciolti di lì a poco e non avrebbero lasciato alcuna traccia, ancora pochi metri e sarebbe uscita, pronta a fuggire.
Aprì la grata sopra alla sua testa, sicura di averla fatta franca ma non appena mise mano sul pavimento per scivolare fuori, una manetta scattò attorno al suo polso sinistro e si sentì issare di peso sul cemento del tetto.
«Snow Queen, ti dichiaro in arresto»
Era lui: Jackson. Lo stupore durò solo un istante, d’altra parte, se si era innamorata di lui – perché sì, lo amava – un motivo doveva pur esserci: era brillante, ok, anche irritante e talvolta sciocco ma possedeva un coraggio e una determinazione senza uguali, senza contare quell’incredibile potere che aveva di riuscire sempre a rallegrarle anche le giornate più buie. Quell’unico appuntamento che avevano avuto l’aveva fatta stare così bene che si era spaventata a morte: come avrebbero potuto stare insieme? Erano uno la nemesi dell’altra e il piano suo e di Anna veniva prima di tutto, anche dell’amore. Perciò, mandare tutto a rotoli le era sembrata la soluzione migliore, sebbene avesse fatto - e continuasse a fare - maledettamente male.
«Accidenti, detective…» cercò di ricomporsi «Questa volta mi ha proprio fregato»
«Come hai fatto a riaprire il condotto murato?» chiese lui ignaro e, per maggiore sicurezza, allacciò l’altra manetta al proprio di polso.
Lei rise «Suvvia, non mi faccia domande a cui sa già non otterrà risposta» si mosse appena e con la mano libera fece scattare qualcosa nella sua tuta che riavvolse velocemente il cavo a cui, fino ad un attimo prima, era appesa «Piuttosto, come ha fatto lei ad indovinare che sarei proprio uscita da qui?»
Jackson assottigliò gli occhi «Non muoverti» le intimò, senza soddisfare la sua curiosità.
Snow Queen aprì il palmo in segno di resa e sbuffò «Giustamente anche lei ha i suoi segreti, lo comprendo. Sa cos'altro mi domando, invece? E’ lei che ha preso me o sono io che ho preso lei?» e non appena finì di pronunciare quelle parole, si avventò su di lui, saltando dal parapetto. 
Jackson avrebbe voluto darle della pazza ma il senso di vuoto che s’impadronì del suo petto gli tolse tutto il fiato per farlo. Sentì le mani di lei che lo guidavano a sistemarsi nella posizione corretta: durò tutto una piccola manciata di secondi, giusto il tempo di percorrere in un lampo quella distanza che li separava dalla terrazza con piscina, venti metri più sotto. Scivolarono nell’acqua dritti come fusi, toccando il fondale con i piedi. L’impatto improvviso e l’acqua ghiacciata dall’aria della notte colsero il detective completamente impreparato: avvertì a malapena i tentativi di lei di trascinarlo verso la superficie – i loro polsi ancora allacciati – e scivolò nel buio dell’incoscienza.
Riaprì gli occhi solo grazie a delle spinte energiche di due mani sul petto, sputò l’acqua via dai polmoni senza ritegno. Neanche perse tempo a domandarsi come avesse potuto liberarsi dalle manette, l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era quel mento delicato che spuntava dal cappuccio ora leggermente rialzato e poi c’erano loro: quelle labbra sottili che gli avevano - molto probabilmente – appena eseguito una respirazione bocca a bocca salvandogli la vita e, chissà perché, prima di richiudere gli occhi, gli sembrò di avvertire sulla lingua il sapore dello zucchero a velo. 



    Il fatto di aver deliberatamente disobbedito agli ordini e di aver messo la sua stessa vita in pericolo era costato al detective Overland l’ufficiale estromissione dal caso e un lungo periodo di ferie forzate: da quel momento, Jack aveva smesso di frequentare l’Ice Café. Elsa lo aveva visto una volta soltanto: indaffarata com’era fra le ordinazioni mattutine, aveva alzato appena lo sguardo per via di quella costante sensazione di sentirsi osservata e lo aveva scorto fuori dalla vetrata, con un’espressione indecifrabile sul viso, mentre la fissava: non appena si era accorto di essere stato notato, aveva distolto lo sguardo e se n’era andato. Era vero, non si era presentata in ospedale quando l’avevano trattenuto un paio di giorni per assicurarsi che la caduta non avesse causato danni, soprattutto dato il quasi annegamento e la doppia perdita dei sensi, ma il fatto che Snow Queen lo avesse quasi ucciso – nonostante, poi, lo avesse anche salvato – aveva definitivamente aperto quella voragine di senso di colpa che la sua doppia vita aveva scavato pian piano.
Prima di inviargli un messaggio e chiedergli come stesse, si era bloccata, domandandosi per un attimo se lui avesse potuto riconoscerla ma, scuotendo il capo, si era detta che quell’eventualità era impossibile: visto lo shock era davvero improbabile che si ricordasse di quell’attimo in cui aveva aperto gli occhi prima di riscivolare nell’incoscienza e anche se così fosse stato, alla fin fine, che aveva visto? Giusto il suo mento per una piccola frazione di secondo.
Così aveva premuto invio e quel laconico Bene, che aveva ricevuto in risposta solo un paio di ore dopo, era stato un po’ come ricevere uno schiaffo in piena faccia, schiaffo che sentiva apertamente di meritare. 



    Anna stava lavorando al computer su quello che sarebbe stato il loro prossimo piano: nonostante le proteste di Elsa, al momento di sopra a concedersi un po’ di relax, sembrava non esserci alternativa al far entrare in azione anche la sorella minore, fino a quel momento geniale spalla e brillante supporto dalle retrovie. Dopotutto, bardate da Snow Queen, nessuno avrebbe mai potuto dire che sotto a quella tuta potessero esserci due persone diverse: già si pregustava la stampa in visibilio per il fatto che la famosa ladra sembrasse dotata anche del dono del teletrasporto. Certo, non avrebbero mai dovuto farsi vedere vicine, in quel caso quei centimetri di altezza che le differenziavano sarebbero stati più che mai rivelatori, ma lei sarebbe dovuta essere l’esca per distrarre gli inseguitori e permettere alla sorella di scappare, niente di più, niente di meno. Presa com’era dai suoi progetti, non sentì subito il campanello della porta, lo percepì solo quando suonò più insistente. Si portò gli occhiali da riposo sulla testa e mosse appena i lunghi capelli rossi dietro alle spalle: non aspettavano visite, prima di andare ad aprire abbassò con cura lo schermo del suo laptop.
Quando vide oltre lo spioncino e scoprì l’identità del loro inaspettato visitatore, ringraziò mentalmente quel riflesso automatico e aprì la porta «Ciao Jack, come mai qui?»
«Ciao…» la salutò lui senza prestarle troppa attenzione, lo sguardo attento in cerca di una certa chioma bionda «Dov’è tua sorella?»
Lei si spostò per farlo entrare, ignara di quel turbinio di pensieri che vorticava nella mente del giovane detective «E’ di sopra a fare il bagno, puoi aspettarla qui se vu… ehi!» gli urlò dietro quando lo vide prendere con decisione la via delle scale. Lo rincorse e lo superò decisa, impedendogli di proseguire «Hai capito cosa ho detto? Bagno, mia sorella nuda: non credo sarà contenta di vederti entr…»
«Anna» la interruppe lui, con un’espressione che non gli aveva mai visto riflessa negli occhi nocciola «Fammi passare… per favore» quasi sospirò, come se parlare gli costasse un immenso dolore.
E forse fu proprio per quello sguardo che la ragazza si spostò e non gli impedì di prendere il corridoio e sparire dietro l’angolo.
«Se poi ti uccide non dirmi che non ti avevo avvisato…» borbottò e, con un'alzata di spalle, tornò al piano di sotto. 



    Quando sentì la maniglia della porta girare, i riflessi di Elsa la portarono ad alzare la testa di scatto «Anna, che succed… Jack!»
Quasi sobbalzò nel vederlo sulla soglia: si portò immediatamente entrambe le braccia a coprire il petto, ringraziando mentalmente la schiuma che ancora non si era dissolta. Rossa in viso come non mai, un po’ per il calore e un po’ per l’imbarazzo, scivolò un pochino di più sotto il pelo dell’acqua per coprirsi meglio di quel che già era «Che diavolo ci fai qui? Come ti sei permesso di entrare?» lo rimproverò arrabbiata.
Lui la congelò con lo sguardo, non disse nulla e avanzò risoluto verso la vasca: si sedette sul bordo davanti alla sua espressione esterrefatta e, rapido, tuffò un mano verso il basso, dritta verso il suo petto, ancora coperto dalle braccia, incurante di bagnarsi completamente la manica della camicia.
Elsa chiuse gli occhi, umiliata, e li riaprì solo quando avvertì il proprio braccio sinistro – stretto nella morsa di lui – fuori dall’acqua.
Jackson strinse i denti: eccolo lì, quel segno roseo sul polso, prova inconfutabile di un taglio recente che si stava rimarginando. Si era più volte chiesto di come potesse essergli finito quel sangue sulla camicia bianca, il giorno che era caduto in quella maledetta piscina assieme a Snow Queen: lui non aveva tagli o escoriazione di alcun genere, perciò quella macchia rossa non poteva che essere stata lei a lasciarla, probabilmente ferita dall’acciaio delle manette, mentre cercava di liberarsi dal peso del suo corpo morto che aveva rischiato di farli annegare entrambi.
«Come te lo sei fatto questo?» sibilò.
C’erano infinite scuse che lei avrebbe potuto usare per giustificarsi – come l’essersi tagliata nel preparare un panino per il bar, o le verdure di una cena sua e di Anna – ma, ormai, non aveva più senso alcuno: Jack aveva capito. Puntò lo sguardo nel suo, orgogliosa nonostante la nudità «Lo sai…»
Il giovane detective quasi ringhiò «Perché?» le lasciò il braccio che ricadde mollemente nell’acqua «Perché non me l’hai detto?»
«E cosa dovevo dirti?» obiettò sarcastica «Ehi, sai quella ladra che ti sta facendo ammattire? Beh, sono io!»
«Sono lo zimbello della polizia, cazzo!» sbottò nuovamente, sempre più alterato «Mi hai anche quasi ucciso…»
«Io…» balbettò «Non volevo: nessuna delle due cose» chiarì «Non ti avrei mai lasciato morire, anche se questo avesse significato farmi catturare…»
La sincerità che avvertì in quelle parole ebbe lo strano potere di tranquillizzarlo «Perché rubi tutte quelle cose?»
Questa volta fu lei ad alterarsi «Io non rubo niente!» sbottò «Quelle cose sono nostre! Facevano tutte parte della collezione dei nostri genitori…»
«Vostre?»
Elsa annuì «Conosci la storia della famiglia Blekett?»
Certo che la conosceva, la notizia dell’affondamento del loro yatch era stata sulle prime pagine di tutti i giornali: l’intera famiglia reale del piccolo Stato autonomo di Arendelle distrutta, inghiottita dalle onde del mare, i corpi mai ritrovati… non era possibile «Voi non potete essere... quelle ragazze sono morte
«No, invece! Noi non eravamo sulla nave. Quell’affondamento non fu un incidente, i nostri genitori erano evidentemente di troppo e dovevano sparire. Noi ci siamo salvate solo perché un amico fidato ci ha permesso di fuggire, portandoci in un nuovo continente, nascondendoci dietro un nuovo cognome e regalandoci un’attività con cui poter vivere
in questa città» sospirò «Pensavamo di aver chiuso con il passato ma, dopo anni, abbiamo visto in vendita una statuetta appartenuta ai nostri genitori e da lì abbiamo compreso che qualcuno aveva disperso la loro collezione…» puntò gli occhi velati di lacrime dritti nei suoi «Riaverla indietro e scoprire chi si cela dietro a tutto questo è l’unico modo che abbiamo per arrivare alla verità»
Tutto, gli aveva mentito su tutto: Elsa non solo era Snow Queen, era anche - di fatto - la regina di un Paese disperso nel Nord Europa… chi diavolo aveva frequentato lui per tutto quel tempo? Di chi si era innamorato?
«Ero solo un mezzo per te? Cosa ha significato il nostro appuntamento e tutte quelle moine che mi hai fatto dietro alla maschera di Snow Queen?» le chiese, duro.
Avrebbe potuto rispondergli di sì e spezzargli il cuore una volta per tutte, sarebbe stato doloroso – certo – ma era sicura che poi lui avrebbe trovato il modo di andare avanti… su di lei, invece, non lo era altrettanto. Sospirò, Jack si meritava la verità anche se, probabilmente, avrebbe fatto male comunque «No…» sussurrò sul pelo dell’acqua che, ormai, aveva perso quasi tutto il suo calore. Attirò le gambe verso il petto, per proteggere quello che la schiuma ormai dissolta aveva smesso di coprire «Lo ammetto, provocandoti a quel modo come Snow Queen ho davvero esagerato ma la realtà è che quella sera che abbiamo passato assieme è stata così perfetta da farmi paura e … come potevano funzionare le cose tra noi con quello che ti stavo nascondendo? Come potevo chiederti di scegliere fra il tuo lavoro e me?»
«E, quindi, hai pensato bene di fare tutto tu: non solo mi hai messo da parte ma hai anche deciso per me…»
«Mi dispiace…» gli disse, sinceramente pentita.
Il giovane detective rimase muto per alcuni interminabili secondi, il suo respiro profondo era l’unico rumore percepibile nell’intera stanza.
Incapace di resistere oltre, Elsa ruppe il silenzio «Che vuoi fare adesso? Vuoi denunciarmi?»
Jackson aggrottò entrambe le sopracciglia stupito e poi lasciò andare un sonoro sospiro «C’è solo una cosa che voglio fare adesso…» e prima ancora che lei potesse comprendere le sue intenzioni, si buttò nella vasca completamente vestito: l’acqua fuoriuscì dai bordi, mentre le loro bocche si cercavano – e trovavano - con un’urgenza quasi bruciante.
Il fatto che Elsa fosse completamente nuda perse d’importanza, anzi, all’improvviso erano diventati gli abiti zuppi di Jackson ad essere di troppo. Liberarsene in quello spazio ristretto fu un’impresa piuttosto complicata che strappò ad entrambi più di un sorriso, tutte le tensioni di un attimo prima momentaneamente sepolte sotto a quella necessità di toccarsi e scoprirsi senza più maschere. Indubbiamente il loro domani li avrebbe accolti con ancora tante domande e decisioni da prendere ma quello era, appunto, il futuro e avrebbero avuto tutto il tempo per pensarci, poi.





Ciao a tutti!
Ho questo specchietto in caldo da nemmeno io so più quanto (sicuramente da ben prima che "La Notte del Lupo" vedesse la luce) eppure tabula rasa, non riuscivo a buttare giù due righe in merito e, inaspettatamente (forse complice anche la recente visione della serie Lupin), è venuta fuori adesso.
Lo ammetto, la mia idea iniziale era quella di costruirci sopra una mini-long, tuttavia, la mia ispirazione mi ha guidato verso questa one-shot che spero vivamente vi sia piaciuta.

Il finale è volutamente aperto per omaggiare il manga grazie a cui questa OS è nata, il quale si conclude con un finale dolce/amaro per Hitomi(Sheila) e Toshio(Matthew) che rimane in bilico ma fa presupporre come i due ragazzi, alla fine, riusciranno a stare insieme nonostante tutto.
Povero Jack, ha resistito anche troppo con Elsa nuda lì davanti XD
Invece, sono ragionevolemente sicura che Anna (che in questa storia prende le vesti della più piccola delle sorelle: Ai(Tati) e ha una piccola rivincita personale su Hans, ingannandolo lei per una volta) abbia deciso di chiamare Kristoff e farsi portare a prendere un gelato, visto come le cose al piano di sopra stessero andando per le lunghe XD
Al solito sapere che ne pensate mi renderebbe molto felice ^^
Grazie per aver letto!

Alla prossima
Cida

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** In the Blood ***


In the Blood
Questa one-shot è stata ispirata dalle meravigliose fan art di the.arctic.scarf su Instagram.
Le dinamiche del Mondo delle Creature, qui appena accennate, richiamano la serie "A Discovery of Witches".

Rating: Arancione

 

It is said that blood is thicker than water. It is what joins us, binds us, curses us.

Dark Shadows

    E’ leggermente intontita che la strega del ghiaccio si sveglia fra le lenzuola accaldate, intontita e soddisfatta. Non le serve nemmeno aprire gli occhi per comprendere che il suo compagno non è più accanto a lei: i segni che le ha lasciato sul corpo tirano appena, mentre piccoli rivoli secchi e scarlatti le macchiano ancora la pelle candida. Ne ha tre, uno per ogni volta in cui il culmine del piacere ha reso il suo sangue, ebbro di eccitazione, un richiamo impossibile da ignorare. Le ha marchiato il collo, un polso e l’inguine: quando i suoi denti affilati le hanno lacerato la carne non ha provato dolore, tutt’altro. Il solo ripensarci le provoca una fitta al bassoventre e stringe appena le cosce, più che mai decisa a non lasciarla andare. Rotola su se stessa, facendo leva sul materasso, per alzarsi e raggiungerlo, ovunque egli sia, e, magari, riprendere da dove si sono interrotti. Quando prova ad alzare la testa dal cuscino, però, un forte capogiro la fa sudare freddo e la gola le si riempie di saliva. Prima che la nausea diventi troppa da sopportare, due braccia fresche la sostengono e delicatamente la rifanno sdraiare.
«Non muoverti» le dice e nei suoi occhi dorati ci legge tutta la sua preoccupazione «Sei così pallida. Io…» quasi balbetta e, così, nella sua espressione ci legge anche un’altra cosa: senso di colpa «Ho davvero esagerato, scusami»
Lei ha ancora un brutto sapore in bocca ma l’istinto di rassicurarlo prende il sopravvento e non può fare a meno di sorridere «Pallida la sono sempre»
Le labbra di lui si piegano appena, contagiate da quell’ironia, ma il suo umore non cambia «Non così tanto…» le risponde, passandole una leggera carezza sul viso.
Non lo ha mai visto così e la cosa la destabilizza, ha davvero avuto così tanta paura? «Ehi, smettila di crucciarti, io ero qui con te, completamente conscia di quel che stava succedendo e per niente contraria. Sono pur sempre una strega potente, se avessi temuto per la mia vita, mi sarei difesa»
Questa volta la sua espressione si accende, furba e tentatrice mentre con un ghigno da predatore, che mette in risalto i suoi canini affilati, la sovrasta nuovamente «E sentiamo: come ti saresti difesa, strega? Mi avresti lanciato addosso un incantesimo?» il suo sorriso si allarga «Ho come il timore che tutti quei mugolii di piacere ne avrebbero drasticamente compromesso il risultato»
Le sue labbra non arrivano a destinazione ma si scontrano contro la mano di lei «Mio caro vampiro, qualcuno qui è un po’ troppo sicuro delle proprie doti amatorie» le gote le si tingono di rosso ma cedere all’imbarazzo è proprio l’ultima cosa che farà «Passami la vestaglia» gli ordina senza mezzi termini «Basterà un decotto delle mie erbe e tornerò più in forma di prima, sto già molto meglio» non è neanche una bugia così grossa quella che dice.
Lui sbuffa ma obbedisce e le passa la setosa stoffa viola che sta cercando. La guarda attentamente mentre si copre: un po’ perché distogliere lo sguardo da quel corpo nudo è un peccato mortale, un po’ perché non vuole perdersi neanche un minimo cenno di un eventuale cedimento. Quando si sposta i capelli biondi per allacciarla meglio sul seno, il movimento le lascia scoperto il collo candido, ancora deturpato dal segno del suo morso: la scintilla scarlatta, che gli accende lo sguardo, la caccia via scotendo appena la testa.
E’ quando la vede muoversi verso il bordo del letto, più che mai decisa a rimettersi in piedi, che istintivamente scatta, dimenticandosi per un attimo di quanto quel gesto potrebbe indisporla.
Infatti, non appena si sente sollevata verso il petto nudo di lui, sussurri incomprensibili le sfuggono dalle labbra e il gelo comincia a condensarsi sulle sue mani, pronte ad attaccare. Il potere, però, si dissolve non appena il suo sguardo mette a fuoco un nuovo particolare che, fino a quel momento, le è sfuggito: la caviglia, che spunta nuda dalla vestaglia, presenta i segni di un altro morso. Quando è successo?
E’ proprio mentre se lo domanda che il ricordo irrompe nella sua mente e le mostra l’immagine del suo amante su di lei, in lei, della sua mano che scende per invitarle la gamba a salire e posarsi sulla sua spalla. E’ quando lo sente affondare ancora di più che perde totalmente il controllo: i suoi denti le lacerano la pelle tenera e il sangue che scorre via amplifica talmente tanto il piacere che, in quell’attimo, tutto ciò che la propria mente e corpo desiderano è quello di darglielo tutto.
Si porta la mano al petto, scossa.
Lui si irrigidisce, ha capito «Elsa» la chiama «Quello lo avevi dimenticato, vero?»
Sì, è vero. Per quanto sia una strega magnificamente potente, per quell’interminabile, terribile e meraviglioso attimo è stata alla sua completa mercé: se solo lui avesse voluto, avrebbe potuto ucciderla e lei sarebbe stata ben felice di morire.
Il suo respiro accelerato risponde per lei e lui si premura di accompagnarla verso la cucina il più velocemente possibile: non è scappata dalle sue braccia ma è piuttosto sicuro che, in quel momento, non siano propriamente il luogo in cui è più desiderosa di stare. La adagia accanto al fornello, in modo che possa attingere dalla sua dispensa e prepararsi la pozione per rimettersi in sesto.
Le lascia il suo spazio, di cosa potrebbe seguirne non ne è sicuro.
Elsa sta zitta mentre le sue mani si muovono sapienti sul piano cottura di quell’appartamento che è uno dei loro rifugi segreti: neanche sua sorella sa dove si trova, celato da un incantesimo illusorio di rara complessità. Perché sì, i loro incontri sono proibiti: le razze che dominano il mondo delle creature, per legge, non dovrebbero mai mischiare il loro sangue e, per un terribile attimo, Elsa crede di averne compreso il motivo.
Di quel pensiero, però, se ne vergogna subito: non è più quello che crede da tempo, da quando Jack è entrato nella sua vita, per l’esattezza.
Le creature non sono poi così diverse dagli uomini con cui segretamente condividono l’esistenza. Com’è che dicono? L’abito non fa il monaco. Non basta essere una fata o una strega per essere una creatura di pura luce, così come essere un demone o un vampiro non ne fa di te una di pure tenebre.
Jack non si è mai spinto così oltre con lei: sebbene ogni tanto avverta il suo bisogno, non l’ha mai morsa al di fuori del sesso e anche quel passo ha richiesto tempo e la sua assoluta convinzione.
Quanto deve essersi trattenuto in passato? E, soprattutto, cosa lo tormenta così tanto adesso da fargli perdere il controllo a quel modo?
Beve un sorso del suo decotto e si sente subito meglio. Inspira a fondo prima di parlare «Che cosa c’è?» si volta e lo guarda negli occhi.
Lui è stupito, si è immaginato infiniti scenari diversi – molti dei quali lo vedevano ridotto ad un cumulo di ceneri fumanti – ma non quella semplice richiesta di spiegazioni che denota una fiducia che, in quel momento, sente di non meritare, non dopo quello che ha rischiato di fare.
Eppure c’è qualcosa che lo blocca nel raccontarle di quella sensazione che gli fa contorcere le viscere in una morsa gelata, perché quel dubbio che l’istinto gli fa provare è talmente terrificante che vorrebbe solo dimenticarlo, sotterrarlo sotto alla convinzione di essere in errore. Si porta una mano fra i capelli bianchi e li scompiglia ancora di più di quanto non abbia già fatto la nottata appena trascorsa con lei «Potrebbe non essere una cosa importante, non ancora almeno»
Si rende conto di aver dato la risposta sbagliata ancora prima di avvertire il cambio di temperatura nella stanza. E’ tornata nel pieno delle sue forze, la tazza è ormai vuota nelle sue mani: forse, la posa con un po’ troppo vigore «Non è importante?» gli fa eco, delusa «Credo che lo sia se rischia di uccidermi mentre facciamo l’amore»
Non è un’accusa ma un dato di fatto e l’ombra, che per un attimo gli spegne gli occhi, le fa comprendere di aver trovato subito la giusta leva: non lo vuole punire ma solo capire.
E’ con un leggero sbuffo che Jack cede «Sta tornando…» neanche sostiene il suo sguardo mentre sussurra quelle parole.
Elsa sa già a chi si riferisce ma non vuole crederci «Chi?»
«Lui…» dice soltanto e lei trema perché quella è l’eventualità più terribile che possa capitare, soprattutto dato ciò che il mondo delle creature ha già passato per colpa sua.
«Non è possibile: Pitch Black è stato sconfitto»
L’altro sogghigna appena «Sconfitto e rinchiuso, ma non ucciso» si porta una mano al petto tonico e stringe le dita, con un’intensità tale da ferirsi la pelle «Non dovrebbe essere altro che un ammasso di tessuti secchi ormai, eppure ho questa orribile sensazione che si stia rafforzando»
Pitch Black: uno dei vampiri più antichi, forse quanto il mondo stesso. L’unico di tutte le creature a non aver mai apertamente accettato la parità raggiunta fra le razze di questo nuovo millennio, convinto che i vampiri – e lui in particolare – siano gli unici degni di regnare su tutti gli altri.
Esiliato dal Grande Concilio, aveva lavorato nell’ombra, votando alla sua causa le creature più terribili e assetate di potere, perfino creandole se necessario, e aveva dato il via alla più grande guerra che il mondo magico avesse mai visto. Lei aveva solo diciotto anni a quel tempo e, così come tanti altri, in quello scontro aveva perso moltissimo.
Jack, invece…
«Io l’ho tradito…» anticipa i suoi pensieri «Ho come il timore che l’abbia presa sul personale: vorrà vendicarsi e lo farà in grande stile» ci prova a fare il solito irriverente di sempre ma la voce che gli esce incrinata non glielo permette come vorrebbe.
Elsa smette di tenere le distanze e gli si avvicina nuovamente, scostandogli la mano insanguinata dal petto e prendendola nelle sue «Non devi aver paura, il concilio ti deve moltissimo: ti proteggerà»
Lui del concilio non si fida, ci sono troppe facce che hanno condiviso le sue stesse fila, ma non lo dice. Si limita a fare un mezzo sorriso, sbuffando appena «Sei proprio sciocca a volte, sai…» la riprende bonariamente, passandole con dolcezza le dita libere su una guancia «Non è per me che ho timore. Uccidermi per lui sarebbe troppo poco, vorrà torturarmi, farmi soffrire, rimpiangere la vita eterna se necessario e ha un unico modo per farlo: prendersela con te»
Lei sorride «Siamo stati molto bravi a nasconderlo fino ad ora, no? Continueremo a farlo: se non saprà cosa ci lega, non potrà usarlo contro di noi»
Jack vorrebbe dirle che se è riuscito a tradirlo quella volta è solo perché era talmente sicuro della sua vittoria da non averne colto i segnali. Pitch Black è colui che l’ha creato, colui che ha preso quell’insignificante pastore che era e lo ha trasformato nel mostro che è, il loro legame non si può descrivere: nascondergli qualcosa di così importante non sarà affatto facile quando se lo troverà davanti, perché lo sa che quel momento arriverà, lo sente dentro, come una profezia destinata a compiersi.
Avverte la sua paura nel sangue che le scorre rapido sotto alla pelle ma quella determinazione che le legge nello sguardo non la vuole incrinare. Perciò tace ancora una volta e la stringe in un abbraccio, nasconde il volto nel suo collo – ora perfettamente guarito – e aspira a fondo il suo profumo, senza timore di diventarne schiavo. La sente sospirare e ricambiare la stretta: Elsa ha tutto da perdere nel difendere ciò che li lega. Se solo la scoprissero, il ruolo di matriarca del suo clan andrebbe a sua sorella Anna, per lui sarebbe disposta a rinunciare al prestigio, alla credibilità, al potere… a volte teme di non riuscire a comprenderne il motivo.
Pitch Black ha fatto di lui un vampiro, Elsa lo ha trasformato nell’eroe e, al tempo stesso, nel
traditore. Questa macchia se la porterà dietro per l’eternità, perché non importa quanto possa essere giusta la causa per cui l'ha fatto: chi tradisce non sarà mai più degno di fiducia. Quante sono le creature che lo guardano con disprezzo non appena volta loro le spalle? Troppe. Eppure in lui, lei ci crede. Jack non ha nulla da perdere, se non lei. Nascosti dai suoi setosi capelli biondi, gli occhi gli si tingono di rosso, di rabbia e convinzione: non permetterà a Pitch Black di toccarla, a costo di staccargli il cuore dal petto con le sue stesse mani.






Ciao!

Torno dopo mesi con questa shot. Sto passando un periodo davvero complicato, per cui ho accettato con grande gioia questo piccolo miracolo reso possibile dalle bellissime fanart di the.arctic.scarf con Jack vampiro e Elsa strega.
Non so bene che cosa ne sia uscito ma spero sia stato comunque di vostro gradimento.
Sexy-Vampire Jack mi ha anche incredibilmente spinto ad osare un po' di più sotto certi frangenti, non che abbia scritto chissà che cosa ma è effettivamente "molto" oltre i miei standard ù__ù
Ancora una volta butto carne al fuoco per poter scrivere qualcosa di più, sia un prima che un dopo addirittura, quindi chissà. Considerando che dalle prime OS scritte, "Seasons" ha visto la luce dopo ben quattro anni, direi che la speranza è l'ultima a morire (la mia eh, voi ovviamente siete liberi di decidere cosa farne della vostra).
Questo ritorno dopo un lungo periodo di silenzio lo vorrei dedicare a Padme83 perché, nonostante la mia crisi mistica, mi ha spronato a non lasciare andare le vibes che sexy Jack poteva regalare e, soprattutto, perché lei sa ♥

Grazie a tutti per aver letto!
Qualunque segno del vostro passaggio vorrete lasciarmi sarà ben accetto.

Alla prossima (che, anche se non so quando, spero ci sarà)
Cida


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** (The world doesn't need another) Dream Girl ***


DreamGirl
OnceUponATime!AU 
Rating: Giallo
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce più la penna

Tutto, aveva ghiacciato tutto.

    Piccola marionetta dai fili tirati, serrati, in una morsa maledetta: troppo bella, troppo speciale.
Ironicamente, a quel ballo in maschera le avevano messo addosso un costume con un magnifico paio d’ali, certo, come se volare via fosse stata un’opzione possibile.
Non c’era più suo padre, morto tragicamente troppo presto; non c’era più sua madre, morta di crepacuore quando a sua sorella era capitato quel terribile incidente, di cui lei stessa era responsabile.
Il mondo non aveva bisogno dei suoi sogni di ragazza, perciò li aveva presi, masticati e rigurgitati in una melma mefitica, che non dava conforto, al contrario, feriva con i suoi miasmi.
Era sola, relegata in quella che era sempre stata la sua casa, assieme ad un patrigno e fratellastri che odiava. Rimasta perché a detta di tutti era bellissima – e lo era, con quei fieri occhi azzurri e quei morbidi capelli biondi, così chiari da sembrare neve – e perché, beh, era destinata ad essere la vera regina, una preda così succulenta era quanto mai sciocco lasciarsela scappare.
Era stata vestita di bianco, come una sposa: il collo nudo, la pelle pallida esposta, offerta, come una vergine sacrificata alla sete di potere più bieca.
Quanti sguardi lascivi le si erano posati sul seno messo in risalto dal corsetto magistralmente allacciato per quel preciso proposito? Persino il suo volto era coperto, per ricordarle che quella sera lei non era nemmeno una persona ma un oggetto, mera moneta di scambio per piani che non le appartenevano.
Perché sì, il sovrano delle Isole del Sud aveva trovato in Elsa di Arendelle un vero tesoro e, come tale, andava gelosamente custodito, seppellito, in un matrimonio combinato, con un marito fantoccio, perfetto per una bambola da rigirare a piacimento come lei.
Quando aveva sposato sua madre Iduna, alla morte del re Agnarr, aveva trovato negli occhi della primogenita la fierezza di una vera sovrana. Per un attimo, aveva persino pensato di disfarsi di lei e tenere la minore, Anna, che con il suo animo romantico sarebbe stata più facile da irretire. Chissà, magari l’avrebbe addirittura convinta a sposare uno dei suoi fratellastri, il più giovane per esempio. Gli anni, però, tendevano a cambiare le persone e quello sarebbe stato un rischio che il nuovo re non poteva permettersi: lui e la sua famiglia sarebbero sempre stati gli ospiti, gli stranieri, la gente del Sud e il popolo non li avrebbe mai seguiti senza le redini del sangue della famiglia di Arendelle a tirarli. Lasciare quel regno agognato su cui era finalmente riuscito a mettere sopra le mani, tuttavia, non era fra le sue intenzioni.
Ed era allora che il destino gli aveva offerto il più grande dei doni: facendogli scoprire, in maniera del tutto inaspettata, il grande segreto che Elsa custodiva gelosamente. La ragazza poteva piegare al suo comando il ghiaccio e la neve, era dotata di una grande magia ma, con suo enorme piacere, ne era anche immensamente terrorizzata. Per questo non doveva che ringraziare il defunto Agnarr che aveva passato i suoi ultimi anni a privare la maggiore delle sue figlie di ogni contatto umano, finendo per farle credere seriamente di essere quel mostro crudele che – da bambina – aveva messo in serio pericolo la vita della sorellina. Quello che poteva essere un enorme ostacolo per i suoi piani si era trasformato, invece, in un fidato alleato. Era talmente spaventata che farle perdere il controllo era stato un gioco da ragazzi e, difatti, proprio di questo i suoi figli si erano occupati, tessendole una trappola in cui era scivolata senza sforzi, mettendola contro alla sua stessa sorella che ne aveva pagato lo scotto più caro. Iduna non era più riuscita nemmeno a guardare in faccia quella figlia colpevole e si era spenta pian piano, consumata dal suo stesso dolore. Lui non se n’era dispiaciuto, non l’aveva amata mai, ne era stato, anzi, interiormente rallegrato perché, con lei, anche l’ultima speranza di Elsa era svanita e trasformarla in quel meraviglioso sacco vuoto, che ora gli stava ritto al fianco, era stato ancora più facile. C’era una cosa, però, che con gli anni si era dimenticato e che, forse, non aveva del tutto compreso: nessun infuso, con cui lei accettava di farsi drogare giornalmente pur di reprimere quella parte che l’aveva trasformata in un’assassina, avrebbe potuto estinguere quella fierezza che ancora languiva sul fondo del suo sguardo liquido. E questo, Re Friederik delle Isole del Sud, lo avrebbe scoperto molto presto.
Sicuro di aver trovato il pretendente ideale, aveva pensato che un ballo sarebbe stato perfetto per sugellare il patto appena stipulato. Davanti alla mano che le era stata porta in segno d’invito, però, Elsa si era ritratta e aveva gentilmente declinato l’offerta. Il giovane futuro sposo era rimasto alquanto interdetto e questo non aveva fatto altro che aumentare il suo disappunto. La forza che mise nel stringerle il polso fu abilmente coperta da un’espressione cordiale, con cui decise di ricordarle che non era così che si trattava un ospite, a maggior ragione quello che sarebbe presto divenuto suo marito. A quella parola la ragazza aveva alzato lo sguardo su di lui, le sue labbra si erano mosse appena, sibilando un basta fra i denti stretti: ancor prima di percepire lo scrocchio dei cristalli di ghiaccio sulla sua pelle, il re aveva compreso che il disastro sarebbe stato imminente.

Tutto, aveva ghiacciato tutto. 

    La magia aveva abilmente divelto le redini della droga - fomentata dalla sua paura, dal suo odio, dalla sua rabbia – esplodendo in infinite e taglienti spade di ghiaccio che avevano letteralmente invaso la sala da ballo. Il sangue del re, il suo patrigno che ora la guardava con un misto di collera e paura, aveva macchiato il prezioso tappeto ai loro piedi: non c’era più musica ma solo grida, solo terrore.
Mostro!
Urlò qualcuno.
Strega!
Gli fece eco qualcun altro.
Elsa si portò le mani alle orecchie nel vano tentativo di respingere quelle parole, sicura che se non l’avesse fatto sarebbero riuscite a mandarla in mille pezzi. La disperazione, però, venne inaspettatamente in suo soccorso e le diede il coraggio di assecondare quell’impulso che covava dentro di lei già da lungo tempo: scappò.
Corse e corse ancora, mentre nuvole cariche di neve si addensavano sulla sua testa e cominciavano a riempire l’aria estiva con i loro fiocchi. Il cuore le morì in gola quando, incalzata dai suoi inseguitori, si scoprì braccata: non poteva tornare indietro e non poteva andare avanti, il suo cammino bloccato dalle placide acque dell’insenatura del fiordo.
Disperata, azzardò sfiorare la superficie scura con la suola di una delle scarpe e quella, incredibilmente, gelò. Non perse altro tempo prezioso e, passo dopo passo, corse via sulla superficie ghiacciata. Ma quanto ancora avrebbe potuto scappare a quel modo? Quanto ci avrebbero messo i suoi fratellastri a prendere i cavalli per piombarle addosso con un intero esercito? Ora che tutti sapevano, non avevano motivo di tenerla in vita, anzi, uccidendola sarebbero stati gli eroi e Friederik avrebbe finalmente ottenuto quello che voleva. Forse farsi uccidere sarebbe stata la soluzione più giusta, lei meritava di morire per quello che aveva fatto ad Anna, perché sì, lei un mostro terribile lo era per davvero. Eppure le gambe non accennavano a fermarsi, andavano avanti testarde in quella lotta per la sopravvivenza… se solo i tacchi non fossero stati così alti, il corsetto così stretto.
Caracollò senza fiato nel folto della foresta che, dal limitare dell’altra sponda, si estendeva a perdita d’occhio verso l’entroterra. Il gelo creava nuvole di vapore acqueo con il suo respiro spezzato, il petto le si alzava e abbassava ad una velocità allarmante e il rantolo che le usciva dalla gola ben faceva comprendere come i polmoni non riuscissero più a riempirsi di aria vitale. Incapace di trattenerle, alcune lacrime cominciarono a solcarle le guance, sfinita roteò appena gli occhi e le sembrò di scorgere delle torce in lontananza…
No… no, no, no…
Fu allora che si accorse di non essere sola: proprio accanto a lei, c’era una strana figura avvolta dall’oscurità.
«Sembra proprio voi siate nei guai, Fiocco di Neve»
Era troppo buio per scorgere il viso sotto al cappuccio, ma la voce che aveva parlato era quella divertita di un giovane uomo.
«Per favore…» rantolò «Aiutatemi…»
«Aiutarvi? Potrei farlo, certo…» celiò «Ma non sono incline al niente per niente, mia cara, nemmeno se a chiederlo è una graziosa ragazza come voi»
«Qualsiasi cosa…» implorò «Ma salvatemi, vi prego»
«Qualsiasi cosa, Fiocco di Neve?» anche nel buio lei fu certa di vedere un ghigno spuntare sulle sue labbra pallide «Ne siete sicura?»
«…» esalò con le sue ultime forze.
Gli occhi della misteriosa figura scintillarono appena nell’oscurità «Allora questo è il nostro patto, Elsa di Arendelle…»
Lei sgranò gli occhi, come poteva quello sconosciuto sapere il suo nome?
Il bagliore di una lama la distrasse da quel pensiero, riempiendola di paura. Un pugnale calò su di lei: il corsetto cedette lacerato e l’aria finalmente irruppe nei suoi polmoni, mentre un’imponente barriera di ghiaccio s’innalzava fra lei e i suoi inseguitori, il rumore degli zoccoli dei loro cavalli sempre più vicino.
Eppure lei non aveva fatto niente, ne era sicura…
«Non preoccupatevi, Fiocco di Neve…» le sussurrò lo sconosciuto, sfilandole la maschera dal viso «Ora a voi ci penso io…»
Quelle parole le risuonarono nella mente come una minaccia, facendola tremare ma, quando le dita di lui le sfiorarono la fronte per percorrerle l’intera lunghezza del naso, non riuscì più a tenere gli occhi aperti e scivolò nel buio dell’incoscienza. 

    Elsa si risvegliò fra morbide coperte, in quella che scoprì essere una stanza lussuosa. Si ritrovò stupita di non provare alcun dolore, quanto doveva aver dormito per non risentire più degli effetti della sua folle fuga? Al solo ripensarci avvertì la magia agitarsi dentro di lei, cercò di reprimerla concentrandosi sulla morbida seta viola che le faceva da camicia da notte… aspetta, che cosa? Lei indossava il vestito da ballo in quella foresta, qualcuno doveva averla… avvampò.
Fu allora che una lieve risata ruppe il silenzio della stanza «Non preoccupatevi» le disse la stessa voce dello straniero nel bosco «Non sono stato io a spogliarvi, o meglio, sì, l’ho fatto ma non con queste mani…» ridacchiò ancora «Vi giuro che i miei occhi non hanno visto niente di quello che non avrebbero dovuto»
Elsa riuscì, così, finalmente a vederlo: non aveva più un cappuccio a coprirgli il volto e non portava più un mantello. Tutto ciò che indossava – stivali, calzoni, camicia e panciotto – era completamente nero, il che faceva risultare ancora più pallida la sua carnagione. Aveva i capelli argentati e, quando la luce gli si rifletteva sul capo e sul viso, sembrava scintillare come se fosse ricoperto di infiniti cristalli di ghiaccio. Gli occhi erano azzurri, talmente chiari da sembrare liquidi e ora la guardavano curiosi e divertiti al tempo stesso. Sembrava giovane, forse anche più di lei, ma nella Foresta Incantata, lo sapeva, tutto poteva essere un’illusione. E, se le storie che aveva udito su di lui erano vere, di anni doveva averne più di trecento. «Voi siete Il Signore dell’Inverno, l’Oscuro»
«Risposta esatta, mia cara…» sospirò quello, portandosi le mani dietro alla schiena «Ma, come dire, mi sarei aspettato un pochino di riconoscenza in più da una principessa come voi»

Elsa arrossì piena di vergogna «Grazie per avermi salvata» concesse, riconoscente.
Lui mosse un paio di passi, sorridendo divertito «Oh no, non mi riferivo a quello... salvarvi non era un favore ma la mia parte del contratto» ghignò «Mi riferivo al fatto di avervi rimesso in sesto, così che possiate onorare la vostra»
«La mia?» chiese lei non capendo.
L'Oscuro ignorò la sua domanda «Vi piace qui?»
La ragazza aggrottò le sopracciglia, sempre più confusa «Credo di sì, forse non è come me lo sarei aspettato... »
«Un castello di ghiaccio magari?» sghignazzò «Un po' scomodo, non trovate?»
Lei si ritrovò contagiata dalla sua ironia «Forse...»
«Non che abbia ospiti, di solito, ma visto che dovrete rimanere qui per sempre è un bene che sia di vostro gradimento»
«Che avete detto?» 
tremò «Per sempre?»
L’Oscuro annuì «Io ho rispettato la mia parte dell’accordo: salvarvi dai vostri inseguitori e da qualsiasi piano avesse in serbo per voi il vostro patrigno. Ora è il vostro turno di pagare»
Elsa si ritrovò improvvisamente a corto di fiato, con la magia che già premeva per uscire, fomentata dal panico crescente. Incespicò con le coperte e si alzò
«Come avete potuto? Voi…» sibilò «Non erano questi i patti…»
«Ah, no?» le sorrise lui con fare ferino «Eppure in quella foresta avete detto di essere disposta a qualsiasi cosa pur di sottrarvi al vostro destino: la magia ha sempre un prezzo, mia cara. Ebbene, questo è il vostro»
«Ma così sarò solo in un’altra gabbia» esalò a fatica, mentre la paura le bloccava il respiro «Non è giusto»
«Giusto, Fiocco di Neve?» sghignazzò l’Oscuro divertito «Indovinate: la vita non è mai giusta. Dove vi hanno portato tutte le vostre speranze o quell’orgoglio che ancora brucia dentro ai vostri occhi? Qui, mia cara… non trovate anche voi sia stata solo una stupida perdita di tempo?»

«Voi siete un mostro!»
«Sì, mi chiamano anche così…» puntò gli occhi dritti nei suoi «Abbiamo molto in comune, non vi pare?»
«No…» balbettò quella, portandosi le mani al petto pronto a scoppiare «Lasciatemi andare!» quasi urlò, allargando le braccia: rilasciò un’ondata di potere che si trasformò in una scarica di pugnali di ghiaccio. L’Oscuro si mosse con una fluidità fuori dal comune e li schivò tutti, tranne uno che andò a lacerare la manica della sua bella camicia nera come la notte.
«Oh, no…» singhiozzò lei affranta, ancora una volta non era riuscita a contenersi «Mi dispiace…»
Quale punizione le sarebbe spettata adesso?
Le labbra di lui si socchiusero appena per uno stupore malamente celato: l’aveva appena fatta prigioniera e si dispiaceva per essersi difesa? Quanto mai doveva aver paura? «Fiocco di neve, credo che voi in prigione vi ci siate messa da sola molto tempo fa» piegò appena la testa di lato, seguendo con il suo sguardo quello di lei «E smettete di crucciarvi, è solo una camicia…» girò i tacchi e si mosse verso la porta «La cena è alla sette»
Elsa lo vide andare via senza aggiungere altro: non era impaurito, né incollerito, tantomeno sorpreso. Il suo respiro si regolarizzò.

    «Perché io?» gli chiese un giorno, rompendo improvvisamente uno di quei lunghi silenzi che erano soliti cadere fra loro.
Lui aveva distolto lo sguardo dalla finestra, privandosi dello spettacolo che l’Inverno appena portato sapeva regalare al di là del vetro «Perché voi, cosa?»
Elsa fece finta di credere alla sua confusione e sulle sue labbra si dipinse un lieve sorriso «Perché avete scelto me per farvi compagnia? Perché non una principessa, come dire, meno complicata?»
L’Oscuro ghignò appena «Magari vi ho scelta proprio per questo»
«Ma la mia magia è fuori controllo, non vi intimorisce?»
Questa volta il suono di una vera e propria risata rimbombò per tutta la stanza, facendola arrossire «Mia cara, ci vorranno ben più di qualche manciata di grandine e una spruzzata di neve per impensierirmi»

Poff!
Una palla di neve lo colpì in pieno viso. Il luccichio che gli accese gli occhi non fu facile da decifrare «Voi avete colpito me? Non si può dire che il coraggio vi man… ah» alzò un dito per bloccare quell’intenzione che le era lampante sul viso «Non oserete provarci di nuovo»
Elsa ricambiò il ghigno «Voi dite?»

Poff!
Questa volta fu lei ad essere colpita.
«Dico…» la sfidò l’Oscuro, omaggiandola con un irriverente inchino.
E fu così che l’Inverno arrivò anche dentro a quelle sale, imbiancando tutto l’androne e parte del primo piano.
Elsa schivò per un soffio l’ennesimo colpo del suo avversario, aveva il fiato corto e, per una volta, non era la paura a spezzarglielo ma la stanchezza che solo il puro divertimento sapeva portare. Non era così spensierata e felice dai tempi della sua infanzia, quando la sua magia non era ancora una maledizione ma puro stupore, per lei e per Anna… Anna… sgranò di colpo gli occhi, fermando senza preavviso la sua corsa e, proprio in quel momento, il panico s’impadronì del suo petto, bloccandole il respiro: fu così che scivolò.
Una mano che si strinse fulminea nella sua, però, le impedì di cadere da quelle scale ghiacciate su cui aveva appena intrapreso una rocambolesca fuga. La consapevolezza di aver stupidamente rischiato la vita l’aiutò a recuperare lucidità «G-grazie…» balbettò, sinceramente riconoscente.
L’Oscuro - sempre così irriverente, sempre così loquace – rimase in silenzio.
Lei si azzardò ad alzare gli occhi su di lui: era sconvolto, lo sguardo totalmente rapito dalle loro mani allacciate. Da quando era arrivata al castello, quella era la prima volta che si toccavano.
«Voi…» lo sentì dire, infine, con voce incerta «Voi non provate freddo?»
Elsa inarcò le sopracciglia confusa e, improvvisamente, comprese: la mano del Signore dell’Inverno doveva essere gelida così come la più oscura delle notti ma tutto quello che lei avvertiva sulla pelle era una piacevole frescura, niente di più «Il freddo non mi ha mai dato fastidio…»
L’altro sgranò gli occhi e lasciò la presa, come se quel contatto fosse diventato improvvisamente insopportabile. Mosse un braccio a far sparire ogni singolo passaggio delle loro magie che si erano battute e mescolate, poi si voltò e se ne andò senza più aggiungere una singola parola.

   

    Dapprima furono solo piccoli sussurri che andavano a solleticarle i sogni, per poi sparire nella consapevolezza della veglia. Fu quando cominciarono a tormentarle anche le giornate che cominciò ad esserne allarmata. Per quanto si sforzasse non riusciva mai a capire cosa dicessero esattamente ma una cosa le era perfettamente chiara: la stavano chiamando, attirandola come il canto di una sirena verso luoghi inesplorati. L’Oscuro non le aveva mai proibito di aggirarsi per il castello ma, solo da quando le voci avevano preso ad accenderle la curiosità, si era resa conto che c’era un’intera ala che non aveva mai avuto il desiderio di visitare, come se fino ad allora le fosse stata celata. Non era una sciocca, di sicuro c’era un qualche tipo d’incanto che, in un modo o nell'altro, non le permetteva di cadere in tentazione. Proprio per questo aspettò l'occasione giusta, assicurandosi di essere da sola per tutto il tempo necessario a soddisfare quell’impulso che le voci fomentavano giorno dopo giorno.
Quando si ritrovò davanti alla grande porta chiusa, le mani le tremarono un poco di paura ed eccitazione. Si fece coraggio e poggiò i palmi su entrambe le ante e quelle si aprirono docilmente, come se avessero riconosciuto il tocco della loro padrona.
Non appena entrò, la bocca le si schiuse per lo stupore: quella stanza era piena di oggetti di ogni tipo, come se l’Oscuro 
fosse – fra le altre cose – anche un inguaribile collezionista. C’erano, sì, gioielli ma anche cose dal nessun valore apparente, come un vecchissimo bastone da pastore ricurvo, ad esempio, e non mancavano quadri, o statue, neppure molte armi. Le voci si fecero più insistenti, Elsa fu costretta a girare il capo, seguendone la direzione e finalmente scoprì che cosa le emanava: su di un leggio, in un angolo remoto della stanza, vi era posato un pugnale. L’elsa di cuoio nero sembrava davvero molto vecchia, mentre la lama lunga e ondulata era incisa con intricati disegni, sembrava quasi che sopra ci fosse scritto qualcosa.
Si avvicinò, trattenendo il fiato «Jackson…» sussurrò a fior di labbra, l’acciaio brillò e le voci si fecero sempre più intense.
Allungò una mano per afferrarlo ma, prima di riuscire a farlo, il suo sguardo venne attirato da alcune ampolle su un tavolo lì vicino: il loro liquido verde, ben conosciuto – tanto odiato quanto amato al tempo stesso – la gelò sul posto.
Bastò un lieve fruscio alle sue spalle per farla scattare, le voci si gonfiarono nella sua mente fino a scoppiare in un silenzio assordante non appena le sue dita si serrarono attorno all’impugnatura.
«Come fate ad essere qui?» le chiese l’Oscuro guardingo, gli occhi fissi su ciò che aveva in mano.
«Perché?» gli rispose lei rabbiosa, puntandogli contro il pugnale «Che cosa mi celava questa parte del castello, un incantesimo? Qualcosa che ho infranto? Sono diventata degna della vostra fiducia, per caso? Curioso che sia successo proprio quando ho perso la mia in voi»
Lui parve non scomporsi, anzi, si avvicinò un poco «Fiocco di Neve, come pensate sia venuto a conoscenza della vostra situazione? Se non avessi accettato questo scambio con il vostro patrigno, voi sareste ancora con lui in questo momento. Capisco che adesso siate molto arrabbiata ma…»
Una scarica di ghiaccio gelò il pavimento ai suoi piedi, ad un soffio dalla punta dei suoi stivali.
«Non fate un altro passo…» gli intimò, rinsaldando la presa sul pugnale.
L’Oscuro vanificò gli effetti del suo potere con noncuranza ma non si mosse più «Non prendiamo decisioni affrettate, mia cara…» le disse, alzando le mani in segno di pace «Se mi uccideste adesso temo non riuscirei a dirvi una cosa che, sono ragionevolmente sicuro, vi interessi molto»
Lei puntò la lama verso il suo addome, allungando appena il braccio poteva quasi lambirgli la stoffa del panciotto con la punta «Che cosa?» gli chiese, assottigliando lo sguardo.
«Datemi il pugnale e ve lo dirò»
«Ditemelo e io valuterò se darvi il pugnale»
Sulle labbra dell’Oscuro comparve un sorriso di difficile interpretazione «Si dia il caso che il vostro patrigno vi abbia ingannato…» cedette «Voi non avete ucciso vostra sorella…»
«Io non ho uccis…» sussurrò quella incredula, mentre improvvise lacrime di commozione le appannavano la vista «Provatemelo» si ricompose subito.
L’altro lasciò scivolare una mano su un grosso specchio lì di fianco: la superficie si mosse appena, come acqua increspata dalla caduta di un sasso e un’immagine prese pian piano forma. Mostrava una giovane ragazza, dai vivaci occhi azzurri, aggirarsi fra le bancarelle di un mercato. Aveva i capelli rossi raccolti in un’acconciatura alta ma, nonostante ciò, la grande ciocca bianca che le partiva dalla tempia destra non veniva completamente celata. Era molto cresciuta rispetto a come la ricordava ma, senza ombra di dubbio, era…
«Anna!» esclamò incredula.
«Il pugnale…» reclamò il suo pagamento il Signore dell’Inverno.
La mano di Elsa tremò appena: gli si avvicinò ancora di mezzo passo, girando appena il polso in segno di resa ma, quando lui allungò la mano, voltò rapida la lama verso l’alto, dritta verso la sua gola «Dov’è?»
Questa volta lui non sorrise «Per quanto la vostra intraprendenza di solito mi diverta, Fiocco di Neve, state abusando un po’ troppo della mia gentilezza: un patto è un patto»
«Noi non avevamo nessun patto: io ho detto che avrei valutato se ridarvi o meno il pugnale e la mia risposta è no» rese la presa più ferrea e accostò la punta alla sua carne scintillante di ghiaccio «Non prendetemi per stupida, Jackson» lo ammonì, chiamandolo per nome «Non so bene perché ma il fatto che questo sia in mano mia vi spaventa e credo proprio che, al tempo stesso, ci sia qualcosa che vi impedisca di riprendervelo, altrimenti l’avreste già fatto: perciò no, non vi restituirò ciò che mi dà potere su di voi»
Lui piegò le labbra in un ghigno sfrontato «Fiocco di Neve, voi siete una sorpresa continua. Sentiamo, cosa potrebbe mai fare questo umile servo per la vostra deliziosa persona?»
Elsa drizzò il collo, avvicinandosi al suo viso, i nasi quasi a sfiorarsi «Insegnatemi»
Gli occhi di lui brillarono assieme alla lama del pugnale «Che cosa?»
«Insegnatemi a controllare la magia» ripeté risoluta «Così che non sia più un pericolo per gli altri, in modo da poter tornare da mia sorella e riprendermi il regno»
L’Oscuro si ritrovò, suo malgrado, a guardarla ammirato «Mi domando che fine abbia fatto quella ragazza divorata dalle paure che ho incontrato quella notte nella foresta»
«L’ho lasciata andare…»




Ciao a tutti!
Ebbene sì, sono tornata con un nuovo capitolo di questa raccolta. A quanto pare un po' di ferie hanno giovato alla mia mente sovraccarica e qualcosa dei mille progetti che mi frullano in testa è finalmente uscito.
Era un po' che volevo calare Jackson nei panni di The Dark One, da quando ho sentito Dream Girl di Idina Menzel
, per l'esettezza. La canzone, facente parte della colonna sonora del film Cinderella, ha prestato il titolo a questa shot e molto del suo testo è incluso in queste righe, sia nel personaggio di Elsa che in quello di Jack.
Al solito c'è del canon di Frozen, del canon di ROTG e, ovviamente, del canon di Once Upon a Time (in particolare ci sono più riferimenti all'episodio 1x12 - Skin Deep), sebbene, Jack nei panni del Signore Oscuro sia qui, al tempo stesso, anche il Signore dell'Inverno: già che è dotato di magia sarebbe stato un vero peccato privarlo proprio della sua.
Tutta la battaglia a palle di neve riprende gli avvenimenti di una mia precedente shot: "Di somme e palle di neve", per chi l'avesse già letta il senso di familiarità è assolutamente voluto, non so perché mi sentivo un po' nostalgica. Ci sono nascosti, in realtà, anche un altro paio di riferimenti ad altre mie storie.
Per quanto riguarda Friederik - mio personalissimo headcanon per il padre di Hans - ormai ci sono quasi affezionata a questo bel viscidone XD
E' in effetti la prima shot che scrivo in cui Elsa e Jack non sono amanti ma, di sicuro, la bella principessa ha già fatto breccia nel cuore del Signore Oscuro, però, converrete con me che per il bacio di vero amore ci sia ancora bisogno di tempo... ciò non implica che, magari, potrebbero stemperare la tensione in altri modi ù_ù
Alla prossima e buon anno (anche se è iniziato da un po')
Cida

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Mr. & Mrs. Frost ***


Mr&MrsFrost
Mr&MrsSmith!AU 
Rating: Arancione

P.S. Non è un errore di battitura ;)



    La casa sembra un campo di battaglia. Vasi, specchi e portafoto sono in frantumi e i loro cocci invadono i pavimenti. I comò sono divelti, i muri sfondati. La cucina è distrutta: l’anta del grande frigorifero sta su per miracolo. A ben guardare la casa non sembra, ma è un campo di battaglia.
Ilsa Frost si gira appena, mugolando di dolore: ha, probabilmente, una o più costole contuse. La testa le duole e fa fatica ad aprire l’occhio sinistro: da come le tira la fronte è, invece, certa di aver un bel taglio sul sopracciglio. L’ultima esplosione è la causa delle sue orecchie fischianti, che abbia una leggera commozione cerebrale?
Tutta colpa di quell’idiota di Jack Frost, suo marito.
Un rantolo lì vicino le ricorda della sua presenza. Alza lo sguardo, c’è una pistola accanto a lei. Non si ferma a ragionare neanche per mezzo secondo, fa leva sulle braccia e scatta. La raggiunge, arma il cane che non ha ancora finito di alzarsi, punta, si blocca: Jack è già in piedi, proprio di fronte a lei, e la tiene sotto tiro con un fucile.
Le punte delle loro armi quasi si sfiorano.
Come hanno fatto a ridursi così?
Ha i capelli castani arruffati e il sangue gli sporca il viso, così come i vestiti, di chi sia dei due non lo saprebbe dire. Ha il respiro affannato e non le toglie gli occhi di dosso neanche per sbattere le palpebre, in quel pericoloso gioco sul chi preme il grilletto per primo.
Dal canto suo, è tesa come una corda di violino, eppure il suo dito non si muove: perché?
E’ in quel momento che Jack - lo stesso Jack che ha colpito duro ma mai troppo a fondo - inspira, chiude gli occhi e abbassa il fucile.
«Non ci riesco. » Sussurra, c’è del dolore in quelle parole.
Ilsa stringe i denti. «No! » Quasi lo urla, muovendo la mano che impugna la pistola in una disperata incitazione. «Fallo! Spara! »
Le labbra di lui si piegano in un sorriso appena accennato. «Fallo tu, se vuoi… » Si arrende.
Dovrebbe davvero premerlo quel grilletto, maledizione: anni fatti di menzogne possono valere il rischio di far incazzare le rispettive agenzie? Certo che no, risparmiarsi a vicenda sarebbe una dichiarazione di guerra, sarebbe morte certa… e per cosa, poi?
Eppure non ci riesce: gli occhi le si riempiono di lacrime.
Jack scatta: è quello il momento in cui dovrebbe sparargli, invece non si oppone quando lui le strappa la pistola di mano e la lancia lontano.
Ha le labbra sulle sue ancor prima che riesca ad accorgersene: non lo allontana, anzi, si ritrova a ricambiarlo con una passione che non provava da tempo, seppellita com’era sotto coltri di bugie e silenzi.
Il bacio si fa più irruento, urgente, bruciante: gli affonda le dita fra i capelli e si lascia spingere contro ad un muro.
Jack quasi ringhia quando la innalza sul piano di un comò: le libera le labbra e, con uno strappo deciso, lacera la parte superiore del suo vestito, affondando il viso nella morbidezza dei suoi seni, messa in risalto dal balconcino che porta. Il fiato le muore in gola, quando sente la sua eccitazione premerle in mezzo alle gambe: inarca il busto, esponendo il più possibile quella pelle che freme per essere baciata, morsa, succhiata.
Lo fanno direttamente lì sopra, senza nemmeno finire di spogliarsi: l’orgasmo li travolge potente, risucchiando ogni energia rimasta.
Scivolano a terra con il fiato corto, l’una di fianco all’altro e, finalmente, i loro sguardi s’incrociano di nuovo.
Lui le regala un sorriso così genuino che le fa chiedere che diavolo fossero quelli che le ha rivolto negli ultimi anni.
Prima ancora che se ne renda conto, il braccio scatta e la mano lo schiaffeggia con un’intensità tale da fargli girare la testa.
Quando si rivolta verso di lei, Jack ha gli occhi sgranati per l’incredulità: non è arrabbiato ma, per lo più, curioso di scoprire il motivo di quel destro inaspettato.
Dare una spiegazione a quel gesto, però, è decisamente troppo difficile: opta per un rancore che si porta dietro da qualche giorno e che, di sicuro, un po’ lì dentro c’è stato. «Per avermi sparato, quella sera… » Accusa.
«Ti ho già detto che è stato un incidente. » Si difende l’altro. «Ti ricordo che hai fatto saltare l’ascensore dove pensavi che fossi. » Fa per alzarsi.
In un attimo gli è addosso e lo costringe di nuovo spalle al pavimento, bloccandolo col peso del suo bacino. «Non l’ho premuto io quel pulsante. » Confessa.
Lui forza la sua presa e la bacia ancora.
Forse, le energie non erano poi così esaurite.


    Quando riapre gli occhi, questa volta, è completamente nuda, nel tiepido calore del loro letto: il piano di sopra è stato per la maggior parte risparmiato dalla loro furia. Devono solo ringraziare il fato che ha voluto i loro vicini in vacanza: ben più di un poliziotto sarebbe già arrivato a bussare alla loro porta, altrimenti.
Il fatto di essere sola le provoca una sensazione a cui si rifiuta di dare un nome. Quanto ha dormito? Ore? Minuti?
Jack appare sulla porta proprio in quel momento, indossa solo un paio di boxer e ha un vassoio tra le mani. Sopra ci sono due bicchieri rotti con del succo d’arancia, una mela già tagliata e alcuni cracker.
Non riesce a fare a meno di sorridere. «Ciao, straniero. » Gli dice.
«Ciao, straniera. » Le risponde lui, ricambiando il suo sorriso. «Non si è salvato molto, temo. »
«Andrà bene. » Lo rassicura, indossando al volo una delle sue camicie bianche: chiude quel numero giusto di bottoni che la fa sentire più a suo agio. «Grazie. » Aggiunge, quando lo vede posare il vassoio sul materasso, proprio nel mezzo fra loro due.
«Prego. » Le dice lui, sporgendosi un poco per lasciarle un bacio sulla guancia. Le sfiora, poi, i capelli biondi e mossi con la punta delle dita. «Preferisco quando li porti sciolti. » Le fa presente, prima di appropriarsi di un pezzo di mela.
Ilsa finisce di bere il suo succo: un sorriso malizioso le piega le labbra. «Lo so… »
«Vuoi dire che li raccoglievi in quelle acconciature così rigide di proposito? » Il frutto rimane sospeso a metà, Jack è incredulo. «Perfida. »
«Sciocco. »
Ridono assieme.
«Sai… » Dice lei, rompendo un cracker con entrambe le mani. «Ho pensato ad un’infinità di possibili scenari del perché ci siamo così allontanati in questi anni, ma mai avrei pensato che fosse perché facessimo entrambi lo stesso lavoro. » Ne mangia un pezzo.
«Credevi avessi l’amante? »
Annuisce.
«Impossibile anche solo da pensare. »
«Meglio così. » Dice lei glaciale. «Altrimenti, a quest’ora, sarebbe morta. » Sentenzia.
Jack scoppia a ridere di gusto ma, poi, incrocia il suo sguardo: si gela. «Scherzi, vero? » La vede alzare le spalle ma senza dire niente. «Non scherzi. » Rabbrividisce. «E’ per questo che sei diventata così fredda con me? » Chiede. «Voglio dire, non lo facevamo da… » Ci pensa un po’ su. «Mesi? »
«Anche. » Ammette lei. «D’altra parte che mi tradissi non avevo prove ma sapevo con sicurezza che spesso mentivi e che mi stavi nascondendo qualcosa. »
«Oh, perché tu sei sempre stata un pozzo di sincerità, non è vero? » La rimbecca lui, ironico sia nel tono di voce che nell’espressione del viso.
Ilsa non si scompone. «Non ti ho mai mentito. »
«Bugiarda. »
Le viene naturale sbuffare. «Magari ho reso la verità più poetica, sì, omesso delle cose… » Non demorde. «Ma non ti ho mai detto il falso. »
Lui assottiglia gli occhi. «Converrai che la differenza è piuttosto sottile. »
«Però c’è. »
Le spalle di Jack si alzano e una mezza risata esce direttamente dalla sua gola. «L’ultima parola dev’essere sempre la tua, eh? »
«Sì. » Conferma lei, con un sorriso che le nasce spontaneo sulle labbra. «Adesso sono curiosa: » Continua. «Dov’eri quella volta che hai perso il nostro anniversario? »
«Parigi. » Afferma subito, sicuro. «Claude Frollo. »
Ilsa sgrana gli occhi. «Sei stato tu? » Sbotta. «L’avrei voluto io quel pazzo egomaniaco. »
Lui annuisce. «Convengo che se il suo assassino fosse stato una donna sarebbe stato sicuramente più d’impatto. » Si ferma un attimo a pensare. «E quella volta che pensavo non fossi a casa e sei apparsa come un fantasma in corridoio? »
Non le viene in mente subito. «Ah! » S’illumina, poi. «Tornavo dall’Africa: mi ha lasciato un elicottero direttamente sul tetto e sono entrata dalla finestra della soffitta. Avevo appena rimesso a posto la scala, quando mi hai vista. » Ridacchia. «Davvero non te ne sei accorto? »
Jack scuote il capo. «Ma certo! » Ricorda. «Nel pomeriggio stavamo testando i nuovi bazooka e mi sono scivolate le cuffie: ero quasi sordo quella sera. »
«Ecco perché mi hai ignorato tutto il tempo: non sentivi quello che dicevo! » Sospira, divertita. «Dio, trovavo il tuo atteggiamento insopportabile, hai rischiato seriamente che ti accoltellassi. »
«Oh, grazie. » Le risponde piccato. «Pensi davvero che lo avrei fatto di proposito? »
«Diciamo che non mi avrebbe stupito: sai essere estremamente irritante, quando ti ci metti. »
«In effetti, hai ragione. E’ che sei così rigida, a volte, che argh! » Le fa il verso di strozzarla con le mani. «Che ci facevi in Africa, piuttosto? »
«De Vil. »
«La trafficante di persone e animali? » Un fischio gli sfugge dalle labbra. «Wow! Gran bell’intervento quello. » Si congratula.
«Grazie. »
L’espressione di Jack muta, si fa più seria. «E’ vero che sei orfana? »
Lei annuisce. «Sì, ma ho una sorella minore. » Rivela. «Non la vedo da quando avevo otto anni. »
«Sai dove si trova? »
«Ho ritenuto fosse più saggio non saperlo. » Afferma, ma quella nota di dolore che le incupisce la voce è impossibile da non notare. «E tu? »
«Anche io avevo una sorella più piccola, ma l’ho persa, così come il resto della mia famiglia. »
E’ un istinto naturale quello che porta Ilsa a coprirgli una mano con la sua. «Mi dispiace. » Ed è davvero sincera quando lo dice.
Jack volta il palmo e stringe le dita alle sue. «Penso di averne appena trovata un’altra. »
Lei è incredula. «Abbiamo tentato di ammazzarci a vicenda un attimo fa! »
«Un attimo? » Le chiede di rimando, un sopracciglio inarcato.
Si ritrova così a pensare alle ultime ore e non può fare a meno di arrossire. «Scemo! » Lo riprende. «Sai cosa intendo. »
L’altro sorride bonario. «Chiamami scemo quanto vuoi. » Le fa presente. «E’ vero: la coppia che formiamo è una bomba pronta ad esplodere. Le nostre agenzie non saranno contente e, probabilmente, saremo morti entro pochi giorni ma, davvero, non c’è altro posto in cui vorrei stare se non con te. »
«Non sai quello che dici. » Innesca il suo meccanismo di difesa lei, ritirando la mano con uno scatto.
«Sì che lo so. » Lui non demorde. «La tua mira non fa così schifo: non mi hai preso nemmeno una volta. Vuoi farmi credere che sia stato un caso? » La interroga, ironico. «Ammetto, però, che hai un gancio micidiale. » Conclude, massaggiandosi il viso.
«Tu lo incassi bene. » Sorride, ma solo per un attimo. «Non può funzionare, lo abbiamo visto. »
«Non sono d’accordo. » Jack s’impunta. «Non ha più funzionato quando una montagna di bugie e non detti si è frapposta fra noi. Quello che c’è stato prima, però, non lo puoi negare. »
«Per favore. » Quasi lo implora, esasperata. «Non so neanche se Jack sia il tuo vero nome. »
«A questo rimediamo subito. » Si spinge in avanti e le si siede accanto, facendola sobbalzare sul materasso. «Jackson Overland. » Si presenta, tendendole una mano. «Jack per gli amici… o per chi tenta di uccidermi. E tu sei? » Chiede, sinceramente curioso.
Lei guarda quella mano tesa titubante: sospira, la afferra. «Piacere di conoscerti Jackson. » Punta lo sguardo nel suo quando lo dice, sorride. «Io sono Elsa, Elsa Bleket. »


Ciao a tutti!
Finalmente riesco a tornare dai miei due ghiaccioli preferiti.
Mi rendo conto che questa piccola OS sia al limite del fanservice ma avevo davvero bisogno di tornare da loro in questo 2024 e volevo farlo con leggerezza (seppur con una piccola punta di angst che non stona mai). Così, complice un recente rewatch del film da cui questa OS trae l'ambientazione, è nato questo piccolo divertisemment che spero vivamente abbia intrattenuto anche voi.
Questo piccolo scorcio riprende l'iconica scena della battaglia in casa o, almeno, la sua fine ma rimescola un po' di punti salienti del film (sia nelle dinamiche che nei dialoghi), condensandoli in questo punto.
Grazie per aver letto sino a qui. Come sempre, un qualsiasi segno del vostro passaggio mi renderà molto felice. <3
Alla prossima,
Cida

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3985530