Love Hurts Sometimes

di FalbaLove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buio ***
Capitolo 2: *** Invidia ***
Capitolo 3: *** Regalo ***
Capitolo 4: *** Appuntamento al Buio ***
Capitolo 5: *** Proposito ***
Capitolo 6: *** Forse ***
Capitolo 7: *** Come nelle favole ***
Capitolo 8: *** Galanteria ***
Capitolo 9: *** Sconosciuti ***



Capitolo 1
*** Buio ***


Un’ennesima notte era calata sulle stanche macerie di Konoha. Il buio, che ne faceva da padrone, era avanzato silente impossessandosi di ogni cunicolo e strada. Ora, in un nero scuro quasi quanto la pece, solo la Luna sembrava resistere all’oscurità emanando una luce di un bianco brillante. Gli abitanti del Villaggio della Foglia, stremati, aveva cercato riparo dal gelo nei loro letti, coperti da spesse coperte. Una figura, in particolare, in un piccolo appartamentino dei palazzi residenziali, aveva trovato ristoro per il suo corpo estremamente martoriato su un logoro futon: la spessa trapunta gli solleticava il naso mentre il guanciale stava iniziando a riscaldarsi a contatto con le sue gote rosate.
Rock Lee sospirò lasciando che i suoi occhi, neri come la pece, si levassero in direzione dell’unica finestra presente: la Luna brillò nelle sue iridi. Si lasciò sfuggire un sospiro cercando di sistemarsi sul fianco, ma un mugolio flebile di dolore fuoriuscì dalle sue labbra strette. Ogni singolo muscolo del suo corpo si ribellava di fronte alla possibilità di cambiare posizione e le sue ferite, medicate non in maniera professionale, minacciavano di riaprirsi. Strinse le labbra con forza mentre il materasso si modellò sotto al peso del suo corpo: quel giorno, nonostante Sakura glielo avesse chiaramente vietato, si era allenato senza sosta ignorando le spesse bende che ricoprivano quasi ogni centimetro della sua epidermide. Il tono della Haruno era stato autoritario e irremovibile e la Bestia Verde era stata praticamente costretta a prometterle che per almeno una settimana sarebbe rimasto a riposo. In realtà le parole che le aveva rivolto erano state davvero sincere, forse dettate dalla meraviglia nel percepire che la preoccupazione e apprensione di Sakura erano genuine, ma le sue dita della mano sinistra si erano incrociate quasi autonomamente rendendo praticamente vane le sue promesse. E quindi, quella stessa mattina sul presto, aveva lasciato l’ospedale dirigendosi, senza neanche pensarci troppo, al campo dall’allenamento che per tanti, troppi anni aveva accolto il Team Gai. Un unico pensiero governava la sua mente: era troppo debole, doveva allenarsi per diventare più forte. E quindi, mentre veloci gocce di sudore scivolavano sulle sue tempie e i suoi muscoli si contraevano controvoglia ad ogni movimento, ben presto il Sole si era tinto di un arancione caldo e, prima che Rock Lee potesse rendersene conto, la Luna era rimasta l’unica spettatrice. Si era quindi trascinato nella sua abitazione, aveva cenato in fretta e furia e si era fatto una doccia veloce: il sangue scorreva ancora caldo nelle sue vene quando si era sfilato la tuta verde. E ora, neanche si ricordava di aver camminato dal bagno alla camera da letto, sembrava sentire per la prima volta dell’intera giornata la fatica e il dolore che scuotevano incessanti il suo corpo. Si lasciò sfuggire un secondo gemito, seguito da uno spasmo, quando permise al suo braccio destro di sottrarsi dal torpore che si era creato sotto le spesse coperte. La mano tastò a tentoni per alcuni secondi il pavimento prima che le sue dita si strinsero con forza attorno al freddo vetro di un bicchiere. L’acqua a contatto con le labbra lo fece rabbrividire, ma quando il suo capo ritornò a sfiorare il guanciale, si rese conto che il graffio sulla sua guancia destra aveva ripreso a sanguinare.
-Devo dormire- bisbigliò mentre i suoi occhi si fecero sempre più pesanti. I suoi polpastrelli sfiorarono con gentilezza la sua gota percependo un liquido caldo: il suo sangue, di un rosso vivo, brillò sulle sue dita illuminate dalla luce della Luna. Un brivido scosse con violenza il suo corpo mentre un ricordo, abbandonato, ma che aveva atteso silente nella sua mente, prese possesso dei suoi pensieri. Rock Lee scosse la testa con veemenza, quasi cercasse di scacciarlo: non gli avrebbe permesso di vincere, doveva liberare la mente e non pensare a niente. Chiuse gli occhi con forza mentre le sue dita afferrarono i lembi del lenzuolo chiudendosi a pugno. Il buio più totale lo avvolse completamente mentre il battito del suo cuore rimbombò, forte come un tamburo, nelle tempie. Immagini sfocate si fecero sempre più nitide nella sua mente, facendolo rabbrividire e turbare, e niente sembrava arrestare la loro corsa. I suoi occhi, chiusi con decisione, iniziarono a pizzicargli: non voleva ricordare, non voleva rivivere tutto quello che aveva già vissuto. Quello era il passato, tutto ciò era già successo. Il cuore sembrò come esplodergli mentre il sangue iniziò ad ardere nelle vene: le sue mani aumentare la presa sugli angoli di tessuto, quasi volessero aggrapparsi alla realtà. Poi, finalmente, tutto cambiò: lo scenario immaginario che lo circondava iniziò a svanire pian piano, a scomparire quasi non fosse mai esistito, e un senso di liberazione vibrò nel suo corpo. Il buio ritornò a fare da padrone nella sua mente e Rock Lee si dimenticò all’istante del puro terrore che fino a pochi secondi prima lo stava dilaniando.
Espirò mentre i suoi occhi si schiusero leggermente: il suo corpo, rigido, sembrava non essersi mosso. Incurvò un sopracciglio quasi sorpreso di vedere proprio davanti al suo viso la sua mano destra leggermente schiusa. Il sangue, che era fuoriuscito dal grosso squarcio sulla sua guancia, era colato leggermente dai suoi polpastrelli macchiandogli le dita. Incurvò le labbra notando solo in quell’istante che delle gocce, di un rosso vivo, scendevano veloci sulla sua mano fino a macchiare la manica del suo pigiama. Provò ad alzarsi, ma i suoi muscoli ignorarono i suoi ordini. Solo le sue dita si mossero armoniosamente nel buio mentre sempre più sangue, che sembrava avere origine dalla sua stessa pelle, continuò a cadere copioso celando sembra di più il rosa della sua epidermide. Provò a parlare, a muovere le labbra, ma le parole gli morirono in gola. Ad un certo punto si accorse che non era più sdraiato nel suo letto, ma era riverso a terra. Rocce spigolose e appuntite stavano graffiando le sue ginocchia mentre uno strano odore solleticò il suo naso. La sua mano, oramai completamente ricoperta di sangue, smise di muoversi e il ragazzo sembrò riacquistare il possesso del suo corpo. Un sorriso di sollievo si dipinse sulle sue labbra. Tentò di alzarsi, la contentezza era talmente tanta che il luogo estraneo dove si trovava non lo tangeva, ma qualcosa glielo impedì. Non era più colpa dei suoi muscoli, ma di oggetto esterno che ricadeva pesante sulle sue cosce ed era riverso sul suo petto. Ora entrambe le sue mani erano macchiate di sangue, questa volta molto più rosso e molto più caldo di quanto lo avesse percepito antecedentemente, e un senso di nausea creò una morsa nel suo petto. Cercò inutilmente di pulirsi sul tessuto delle sue ginocchia, ma le sue dita si strofinarono su qualcosa di strano. Dei sottilissimi fili marroni si attorcigliarono intorno alle sue mani, mischiandosi con il liquido rosso vermiglio. Le labbra si piegarono in una smorfia mentre il suo sguardo cercò di mettere a fuoco che cosa avesse appena toccato: sbatté con forza le palpebre domandandosi perché la sua vista fosse così annebbiata. Calde lacrime scivolarono veloci e silenti sulle sue guance lasciando la Bestia Verde interdetta. Il suo petto era scosso da forti singhiozzi e le ginocchia tremavano come foglie sostenendo appena il suo peso. Intorno a lui non vi era più silenzio, ma urla e grida gli rimbombarono nel cervello. Il dolore che provava in quel momento era diverso: i suoi muscoli gli dolevano, grossi squarci gli bruciavano eppure tutto ciò era niente in confronto alla strana sensazione che provava all’altezza del cuore. Un male soffocante quasi gli impediva di respirare, non avrebbe mai creduto che un essere umano sarebbe riuscito a sopportare un malessere tale senza morire. Si portò una mano al petto, per cercare di attenuare quel dolore lancinante, ma stranamente i suoi polpastrelli non toccarono mai i suoi pettorali fermandosi molto prima: sfiorò con cautela una superficie fredda, ma morbida al tatto. Tastò per alcuni secondi, cercando di capire che cosa fosse, troppo spaventato per abbassare lo sguardo. Le sue dita percorsero veloci dei lineamenti umani, estremamente familiari, e quando abbassò lo sguardo quasi esultò: la pelle diafana di Neji si rispecchiò nelle sue iridi nere come la pece mentre gli angoli delle sue labbra si alzarono autonomamente.
-Neji!- sussurrò felice di vedere finalmente una figura amica. L’eccitazione era talmente tanta che non badò neanche al freddo inumano che emanava il suo viso, né al pallore cadaverico che cozzava con il caldo castano dei suoi capelli. Il suo migliore amico, il suo rivale era lì con lui e non si trovava più solo.
-Neji!- esclamò una seconda volta, ancora carico di entusiasmo, ma improvvisamente gli occhi madreperla, che erano soliti giudicarlo con severità ogni qual volta che gli proponeva una sfida per chi fosse il migliore, si sovrapposero con quelli vuoti e spenti che aveva il volto tra le sue braccia. Il leggero sorriso accennato, che con il tempo aveva sempre più spesso visto sollevare gli angoli delle labbra del moro, non era presente e tutto di quel corpo sembrava estremamente... sbagliato.
-Neji- bisbigliò atterrito rendendosi conto che la vita sembrava aver completamente abbandonato lo Hyuga. Rigoli di sangue avevano smesso di scivolare dagli angoli della sua bocca e la fronte del ragazzo era di un bianco cadaverico. Il sigillo, che per tanto, troppo tempo il suo rivale aveva celato con vergogna, era scomparso regalando a Neji un aspetto quasi anonimo.
-Neji... ti prego, rispondimi- ma sapeva benissimo che non lo avrebbe mai fatto. Lo scosse con determinazione, ma il corpo esanime del ragazzo rimase freddo e molle.
No, non poteva essere, Neji non poteva essere morto: lui era il più forte del loro Team, lui era il Genio che era riuscito ad imparare le tecniche segrete del suo clan tramite la semplice osservazione, lui era il suo rivale che mai era riuscito a battere, lui era semplice il suo amico più caro. Le lacrime ripresero a scorrere copiose, ma a Rock Lee sembrò che non avessero mai smesso, mentre la battaglia che li circondava iniziò a risuonare con forza nella sua mente. Ma niente gli importava, le sue mani erano macchiate di sangue del suo migliore amico. Iniziò a strillare, urlare e chiamare quel nome che così tante volte aveva pronunciato. Continuò a pregarlo di resistere, che avrebbe chiamato qualcuno per farlo stare meglio, che non era troppo tardi: eppure, più pronunciava quelle frasi, più si rendeva conto di quanto fossero false di fronte agli occhi madreperla privi di vita. Era troppo tardi, Neji era morto e lui non aveva fatto niente per salvarlo. Si portò le mani al volto non facendo neanche caso all’odore nauseabondo del sangue: lui, Neji e Tenten avevano giurato che si sarebbero protetti le spalle a vicenda, avevano promesso che avrebbero dato la vita gli uni per gli altri. Ora quelle parole, che per lui avevano così tanto peso, gli sembravano una cantilena senza senso. Era stata tutta colpa sua se Neji era morto, l’aveva lasciato morire perché Rock Lee era troppo debole.
All’improvviso qualcosa di estraneo gli sfiorò le spalle, facendolo sussultare. Il suo corpo tremava come una foglia eppure smise all’istante. Gli occhi iniziarono a pizzicare e anche il dolore lancinante sembrò attenuarsi leggermente: si sentì come se respirasse per la prima volta, come se fosse rinato. Lasciò che i suoi occhi si schiudessero, senza paura, ma immediatamente perse un battito. Il volto di Neji non era cambiato di una virgola eppure ora gli sorrideva, un sorriso sereno, quasi allegro.
-Neji, sei vivo?- sussurrò domandandosi se la pelle del ragazzo non fosse sempre stata così pallida e se i rigoli di sangue non fossero delle semplici macchie. Il sangue gli si gelò nelle vene quando l’altro scosse la testa leggermente, senza smettere di sorrise.
-Sono morto, non lo vedi?- la voce era bassa e profonda, eppure così diversa da quella ricordava. I polpastrelli gelati dello Hyuga sfiorarono leggermente la mascella di Rock Lee, quasi volessero studiare i suoi lineamenti. Quel sorriso pacifico era estremamente sbagliato, eppure continuava ad essere un’ancora di salvezza per la Bestia Verde.
-E se sono morto è anche per colpa tua, Rock Lee. Tu mi hai lasciato morire, tu non hai fatto niente per salvarmi- il tono era incalzante e macchinoso, quasi come se ripetesse una semplice cantilena.
-Con quale coraggio osavi proclamarti il mio rivale? Tu come ninja non vali niente, sei sempre stato più debole di me e io ti ho sempre battuto. Non mi hai salvato, Rock Lee, ma la verità è che tu meritavi di morire, non io- le labbra sottili sembravano muoversi appena eppure urlava, a gran voce. Rock Lee annaspò, storse le labbra nell’inutile tentativo di parlare, ma neanche un flebile suono uscì: la consapevolezza che le parole pronunciate da Neji fossero vere gli fece più male di un kunai che squarciava la carne. Lui era un perdente, un fallito. Pensava davvero che con le sue insulse arti marziali sarebbe riuscito a fare la differenza in battaglia e a difendere i suoi amici?
Il sorriso di Neji si mosse veloce mentre la consapevolezza si fece strada nella mente della Bestia Verde: le labbra sottili dello Hyuga si contorsero con piacere assumendo la forma di un ghigno.
-Sei uno stupido scarafaggio, l’ho pensato la prima volta che ti ho incontrato. Ci è voluta la mia morte per fartelo capire- e, senza aggiungere altro, le mani del moro si mossero veloci chiudendosi all’altezza del collo di Rock Lee. Le dita fredde sfiorare la pelle della Bestia Verde stringendo con forza. Lui, però, non si mosse, né parlò: si limitò a specchiare i suoi occhi in quelli privi di vita dello Hyuga. Il fiato iniziò a venirgli meno mentre si sentì soffocare. Le sue mani si mossero veloci su quello di Neji, ma non per fermarlo, bensì si unirono alle sue. Meritava di morire, voleva morire. Osservò un’ultima volta gli occhi madreperla del suo migliore amico sentendosi onorato di vederli per un’ultima volta e poi il buio lo circondò.
-Rock Lee- una voce preoccupata risuonò come un ronzio nella sua mente. Per una decina di secondi tutto ritornò buio e silenzioso, ma ben presto la pace finì nuovamente.
-Rock Lee!-il suo nome rimbombò come un eco lontano, come se provenisse da un’altra stanza. Il ragazzo provò a seguirlo, ma il nero più oscuro lo circondava e neanche lui sapeva bene dove andare.
-Rock Lee- questa volta fu più attento e in lontananza individuò un flebile lampo di luce. Senza esitazione prese a correre verso il punto in cui l’aveva visto scomparire. Si sentiva perso, aveva paura.
-Rock Lee!- e finalmente la luce lo avvolse quasi come un abbraccio. Un secondo dopo, delle mani lo stavano scuotendo con forza mentre i suoi occhi presero a schiudersi leggermente. Le forme dei suoi mobili e della sua stanza si delinearono di fronte al suo sguardo e per un attimo si domandò se non fosse tutto un sogno. La mano, sudata e tremante, che si poggiò sulla sua guancia però lo strappò dai suoi pensieri.
-Finalmente ti sei svegliato- una figura era proprio a fianco a lui e lo stava fissando. Quegli occhi castani per un attimo divennero madreperla e un pallore cadaverico coprì la pelle abbronzata. Una espressione di puro terrore lo costrinse a sedersi all’istante cercando di indietreggiare: la figura priva di vita di Neji Hyuga sparì nello stesso istante in cui sbatté le palpebre.
-Lee, ti senti bene?- mormorò allarmata Tenten, ma il suo interlocutore non la udì minimamente. Con foga la Bestia Verde si guardò le mani trovandole ancora macchiate di sangue. La castana lo fissò rabbrividire di terrore mentre iniziò a balbettare qualcosa di incomprensibile. Subito afferrò un fazzoletto e lo passò tra le dita tremanti del ragazzo.
-Non è niente, Lee, è solo un po’ di sangue che hai perso dalla ferita sulla guancia- bisbigliò sentendosi impotente e spaventata di fronte a quel comportamento così assurdo del suo migliore amico. Lui rimase catatonico, ma si lasciò pulire le dita. Tenten fece del suo meglio per far sparire anche la più piccola goccia di sangue: i muscoli del ragazzo si fecero sempre più distesi e lei tirò un sospiro di sollievo.
-Ho fatto- affermò buttando il più lontano possibile il fazzoletto. Rock Lee ispezionò con attenzione le sue mani, come se cercasse di capire se quella fosse la realtà o meno.
-Stavi urlando nel sonno, Lee. È stato solo un incubo- le parole della maestra delle armi furono come un atteso risveglio per il cervello del ragazzo.
-Un incubo?- bisbigliò a labbra strette. La sua compagna di Team annuì con forza.
-Stai bene?- domandò accarezzandogli leggermente la spalla. Le labbra di Rock Lee si schiusero leggermente, ma non si mossero: lo sguardo della Bestia Verde si soffermò con attenzione sul volto della sua interlocutrice. Analizzò gli occhi castani che lo fissavano preoccupati e le labbra carnose chiuse con forza: si soffermò sul leggero taglio che aveva intorno alla bocca e al livido che spiccava sul collo abbronzato. Era la sua Tenten.
-No- si lasciò sfuggire mentre finalmente un enorme peso liberò il suo petto. L’immagine di Neji, morto e sanguinante, era ancora così nitida nella sua mente che ancora dubitava che quello fosse davvero il mondo reale. La ragazza non gli rispose, ma si limitò a ricercare la mano del suo migliore amico: le loro dita si intrecciarono quasi fosse un’abitudine e i muscoli del ragazzo si rilassarono istantaneamente.
-Ci sono qui io, Lee. Non sei solo- gli sussurrò mentre il suo solito sorriso si illuminò sul volto ambrato. Rock Lee ebbe finalmente la certezza che quella fosse la realtà e sorrise anche lui, ignorando gli occhi che sempre più insistentemente gli pizzicavano.
-Sdraiati- e il ragazzo fece ciò che la castana gli aveva ordinato, come un bambino con la sua mamma. Non fiatò mentre le calde coperte ritornarono ad avvolgere le sue membra e sorrise con ancora più gioia quando la sua migliore amica si mise a rimboccarle, in maniera poco materna e aggraziata, ma questo non gli importò affatto.
-Ora mettiti a riposare, sono solo le tre di notte- gli sussurrò incrociando le braccia al petto. Lui la studiò per ancora alcuni istanti, prima di annuire con veemenza. Questo gesto sembrò rasserenare Tenten che ammiccò compiaciuta: poi imitò il gesto del ragazzo di poco prima e la spalla calda della castana sfiorò leggermente quella di Rock Lee sotto le coperte.
-Spengo la luce- e il buio tornò a fare da sovrano nella camera della Bestia Verde. Le pupille dei due si abituarono per alcuni secondi a quella mancanza di luminosità mentre il silenzio più assoluto li circondò. Rock Lee percepì il corpo della ragazza girarsi sul fianco e rimase da solo a fissare il soffitto. I ricordi si fecero più chiari nella sua mente: era stata la castana che quella mattina era venuta a prenderlo all’ospedale e che aveva osservato in silenzio, senza intromettersi né fiatare, la Haruno ordinargli di non fare alcuno sforzo. Era stata lei che si era seduta su un ramo e lo aveva guardato allenarsi mentre le sue bende si inzuppavano del sangue che fuoriusciva dalle ferite riaperte. Era stata lei che, quando il sole stava scomparendo dietro alle montagne, lo aveva accompagnato a casa. Era stata lei che gli aveva preparato la cena e cambiato le bende: era sempre stata una frana con garze e cerotti, eppure aveva cercato di fare del suo meglio. Ed infine, era sempre stata lei che lo aveva accompagnato a letto distrutto per poi sdraiarsi accanto a lui. Tenten era sempre rimasta al suo fianco.
-Tenten?- bisbigliò non sicuro che la maestra delle armi fosse ancora sveglia. Lei emise un sospiro.
-Grazie- si lasciò sfuggire mentre calde lacrime iniziarono a scivolare veloci sulle sue guance. Non riuscì ad aggiungere altro che due braccia muscolose lo avvolsero nel buio stringendolo forte al petto. Il profumo agrumato della ragazza lo avvolse quasi come un abbraccio.
-Lee...- sussurrò lei senza sapere cosa dire. Non era mai stata brava con le parole, erano sempre bastate solo quelle della Bestia Verde, eppure desiderava dire anche solo la più piccola cosa per sollevare l’animo del suo migliore amico.
-Mi manca- e non ci fu bisogno di aggiungere altro perché Tenten sapeva benissimo di chi stesse parlando. Aumentò la stretta di quell’abbraccio, quasi cercasse di colmare le braccia muscolose del terzo componente del loro Team. Anche un semplice gesto non sarebbe più stato lo stesso, non dopo la sua morte.
-Anche a me- si lasciò sfuggire sentendosi egoista a condividere il suo dolore di fronte ad una persona che tanto, troppo stava soffrendo.
-Ma io ci sono ancora, Lee, e ti prometto che non ti lascerò mai- e Rock Lee seppe che poteva fidarsi delle parole della castana. Oramai il loro Team era stato distrutto, la morte di Neji aveva causato un buco nei loro cuori che mai si sarebbe rimarginato, ma dovevano andare avanti e provare a vivere. Ci avrebbero provato, insieme.

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Capitolo 2
*** Invidia ***


-Chiudi gli occhi e prova a concentrarti- la voce di Neji risuonò calma e ferma mentre tutto intorno a loro sembrò, per un secondo fermarsi. Boruto si portò le ginocchia al petto sistemandosi in maniera più comoda sulla roccia su cui era seduto: i suoi occhi, di un azzurro brillante, fissarono attenti sua sorella che, senza fiatare, fece ciò che loro zio le aveva ordinato.
-E ora cerca di far fluire il tuo chakra verso il viso- continuò l’uomo mantenendo la posizione di combattimento. Himawari, sotto gli occhi attenti dello Hyuga, inspirò in silenzio per alcuni secondi e istintivamente intorno agli angoli dei suoi occhi, sulle tempie e sulle guance si irradiarono le vene caratteristiche del grande potere degli Hyuga. Un sorriso, appena accennato, sfuggì dalle labbra strette di Neji svelando tutto l’orgoglio che in quel momento stava provando.
-Bravissima- disse Neji.
-Ora possiamo iniziare-
Boruto si morse con forza il labbro inferiore osservando quella scena dal bordo del campo di allenamento: uno strano sentimento, oscuro e corrosivo, si mosse veloce nel suo petto facendolo rabbrividire. Intanto, davanti a lui, due corpi dalla diversa statura iniziarono a muoversi rapidi e veloci. Una serie di colpi, che svelarono immediatamente quanto fosse forte la forza e il potere che si celavano in quel gracile corpicino della bambina di soli sette anni, vennero parati con facilità da Neji, ma le energie in Himawari non sembrarono venir meno.
Il primogenito di Hinata e Naruto assottigliò gli occhi cercando di mettere a fuoco ogni singolo movimento di sua sorella: per quanto si sforzasse di identificare anche solo un singolo attacco sferrato da Himawari in quelli che suo padre gli aveva insegnato, la verità era che a lui pareva che i due fossero bloccati in una danza mortale. Le mani si muovevano veloci, quasi difficili da individuare a occhi nudo, e sembravano colpire punti ben precisi sul corpo dell’avversario. Accigliato si grattò la testa cercando di imitare alcuni loro gesti, ma ogni suo muscolo non sembrava identificare quei gesti come familiari e si sentiva estremamente goffo ed imbranato. Sua sorella, invece, si muoveva leggiadra come una farfalla, cosa che ben celava la sua reale potenza. La verità era che, nonostante nelle sue vene scorresse una certa percentuale di sangue Hyuga, lui non sembrava esserlo a differenza di Himawari, come si poteva benissimo capire dai loro occhi. Le iridi azzurre del biondo brillarono di invidia osservando quelle sotto sforzo della Uzumaki: il colore del cielo più limpido sembrava aver abbandonato i suoi occhi e una tonalità molto più tenue, e decisamente più simile a quelle dell’uomo che aveva davanti, spiccava circondata da vene rigonfie. Il potere più segreto ed ammirato degli Hyuga, il Byakugan, ardeva potente nelle vene della bambina. Per i primi anni della sua vita era rimasto silente, ma ora, all’età di sette anni, il destino di Himawari sembrava già segnato: da quando aveva iniziato quei personalissimi allenamenti con loro zio, era stato chiaro a tutti che la bambina avrebbe seguito le orme del genio degli Hyuga, colui che era considerato un prodigio e che aveva appreso le tecniche più segrete mediante la semplice osservazione. Ma Neji Hyuga non era solo quello: era anche l’uomo che aveva sacrificato la sua vita per salvare i loro genitori durante la Grande Guerra, che era riuscito a scampare da una morte che molti avrebbero dato per certa e che rappresentava tutto ciò che Boruto avrebbe voluto essere. Per questo, osservando in disparte quell’allenamento, il piccolo Uzumaki non riusciva ad essere felice: una strana fitta non sembrava dargli pace mentre desiderava con tutto il cuore trovarsi lui al posto di Himawari. Perché, per quanto si sforzasse e ci provasse, i suoi occhi avrebbero continuato ostinati a rimanere blu e mai avrebbero assunto un colore più perlaceo. Era inutile piangere, urlare e pregare, ogni sua cellula avrebbe continuato a mostrare chiaramente che lui era un Uzumaki, non uno Hyuga.
Con questa consapevolezza che oramai lo accompagnava da molto tempo, il figlio di Hinata strinse con ancora più forza le ginocchia contro il petto: il suo sguardo venne rapito dal viso calmo e rilassato di Neji. Lo leggeva chiaramente da ogni espressione che aleggiava su quella pelle quasi diafana: suo zio era estremamente orgoglio di sua sorella e, per quanto cercasse di non darlo troppo a vedere, era palese che fosse fiero di lei. Una smorfia fece contrarre i segni caratteristici che segnavano le sue guance mentre una domanda, quasi spontanea, occupò la mente del biondo. Chissà se suo zio era orgoglioso anche di lui nonostante niente, se non una certa percentuale del suo sangue, lo collegava ad una delle famiglie più rinomate del Villaggio della Foglia.
Prima che il suo cervello potesse formulare anche solo una vaga risposta a quella dolorosa domanda, uno strano rumore fece mettere in allerta ogni muscolo del suo corpo. Le dita scorsero veloci sulla sua gamba avvicinandosi velocemente all’altezza della caviglia dove teneva un kunai. I polpastrelli non fecero neanche in tempo a sfiorare il freddo metallo dell’arma che una, praticamente identica, brillò colpita dai raggi del sole al di sotto della sua gola. Boruto percepì chiaramente la lama affilata sfiorare appena la sua pelle mentre il suo corpo rimase pietrificato dalla sorpresa.
-Troppo lento- mormorò una voce divertita a pochi centimetri dal suo orecchio, una gocciolina di sudore scivolò veloce sulle tempie fredde del ragazzino che digrignò con forza i denti. Il suo cervello stava ancora elaborando una strategia per allontanarsi da quella situazione pericolosa e potenzialmente mortale, che il kunai si allontanò spontaneamente da lui. Gli occhi di Boruto brillarono di sorpresa non riuscendo a capacitarsi del perché il misterioso nemico lo avesse lasciato andare, ma quando due familiari codini vennero riflessi nelle sue iridi, la sua espressione turbata lasciò posto ad una decisamente più felice.
-Tenten oba-san!-strillò il biondo riconoscendo nella figura appena arrivata quella della donna che, molti anni prima, era stata compagna di squadra di suo zio.
-Ciao Boruto- lo salutò lei sedendosi accanto a lui e permettendo alla sua mano di scompigliare quei capelli gialli come il sole.
-Dovresti cercare di allenare meglio i tuoi sensi di allerta- lo stuzzicò riponendo l’arma che, poco prima, aveva rivolto al bambino di nove anni.
-Se fossi stato un nemico, ti avrei fatto fuori in due secondi- continuò con tono allegro e frizzante. Si aspettava la solita risposta pronta del ragazzino, la stessa che molti anni prima aveva visto fuoriuscire dalla bocca di Naruto, ma questo non avvenne. Il viso di Boruto si scurì all’istante e le sue labbra sottili si piegarono in una strana smorfia.
-Da quanto hanno iniziato?- domandò lasciando che il suo sguardo, così simile a quello di un cerbiatto, si spostasse in direzione delle due uniche persone che stavano combattendo.
-Da una decina di minuti- bofonchiò il biondo ritornando a perdersi nei suoi pensieri. Tenten annuì in silenzio mentre percepiva chiaramente che qualcosa stava tormentando la mente del primogenito di una delle sue migliori amiche. La castana non si riteneva una persona particolarmente empatica, soprattutto se si trovava di fronte a dei bambini: a differenza delle sue migliore amiche, non aveva figli e non aveva una particolare simpatia per i ragazzini in generale. Eppure, con il tempo, aveva iniziato ad apprezzare i membri della nuova generazione e, nonostante continuasse ad odiare il pianto degli infanti e i capricci dei lattanti, doveva ammettere che le piaceva trascorrere del tempo con loro. Per questo trovava estremamente difficile ignorare la sofferenza che aleggiava in quel ragazzino che in tutto le ricordava uno dei suoi più grandi amici.
-A cosa stai pensando?- quella domanda, che sfuggì veloce dalle labbra carnose della castana, sorprese non poco Boruto. Tenten non era come le altre amiche di sua madre: la donna non lo aveva mai trattato come se fosse un bambino, ma si rivolgeva a lui diretta come se fosse un suo coetaneo. Per quanto fosse una cosa decisamente inusuale, all’Uzumaki questo piaceva: Tenten gli piaceva.
-A niente- mormorò a labbra strette ritornando ad osservare suo zio e sua sorella combattere. Un sorriso divertito si dipinse sul volto abbronzato della maestra delle armi.
-Sei un pessimo bugiardo- lo derise dandogli un leggero buffetto sul naso.
-Proprio come tuo padre- continuò, ma se ne pentì appena vide un alone di tristezza inondare gli occhi del ragazzino. Boruto sbuffò sonoramente incrociando le braccia al petto.
-Lo so benissimo che assomiglio a mio padre- rispose in maniera decisamente maleducata. Qualsiasi altro adulto lo avrebbe ripreso per questo suo tono, ma non Tenten. Il sorriso della donna non vacillò di fronte alle sue parole, ma gli angoli delle sue labbra si alzarono ancora di più. Poi, senza lasciare che il biondo potesse aggiungere anche solo un’altra parola, si chinò in avanti permettendo ai loro volti di fermarsi a pochi centimetri l’uno dall’altra. Un leggere rossore ravvivò le guance di Boruto, ma Tenten non parve neanche accorgersene: decisa afferrò tra le sue mani callose il viso paffuto del ragazzino e iniziò a studiarlo con attenzione.
-Sì, sei pressoché identico a lui- disse infine allontanandosi da lui.
-Però non c’è niente di male nell’esserlo, dopotutto Naruto non è solo il Settimo Hokage, ma anche il ninja più forte di tutto il Villaggio della Foglia-
-Ma io non voglio essere come lui!- urlò con forza Boruto alzandosi dalla roccia. Una espressione divertita venne accompagnata da uno strano luccichio nelle iridi marroni della castana. Lasciò che il suo sguardo studiasse per qualche secondo il corpo teso del figlio di Hinata prima di parlare.
-Ah, no?- sospirò mentre il biondo si chiese cosa ci fosse di così tanto divertente.
-No! Io voglio essere uno Hyuga e padroneggiare il Byakugan- si lasciò sfuggire dalle labbra. Immediatamente si rese conto di aver confessato questo suo desiderio così intimo e se ne pentì all’istante: si portò le mani alla bocca, come cercasse di riportare indietro ogni singola lettera pronunciata, ma oramai era troppo tardi.
-Quindi è questo il problema- disse la castana che aveva udito perfettamente. Boruto annuì leggermente mentre i suoi occhi si fecero sempre più lucidi: immaginava già che quella strana donna si sarebbe messa a ridere di fronte a quel suo stupido desiderio e che lo avrebbe detto a tutti, compreso a suo zio. Un senso di imbarazzo e vergogna scaldò il suo cuore mentre le labbra presero a sanguinare a causa dei denti affondati in esse. Istintivamente chiuse gli occhi preparandosi agli scherni parole e alle risate, ma invece non avvenne niente di tutto ciò che aveva immaginato. Qualcosa di morbido sfiorò la sua bocca mentre solo i rumori della battaglia di suo zio e di sua sorella continuarono a rompere il silenzio del campo d’allenamento.
-Posso capirti- la voce della castana era calma e priva di qualsiasi tono giudicante. Lentamente lasciò che i suoi occhi si schiudessero: il viso sereno della donna si riflesse nelle sue iridi mentre un fazzoletto in tessuto tornò ad accostarsi alle sue labbra.
-Non so se lo sai, ma i compagni di Team che mi vennero assegnati furono tuo zio e il padre di Metal Lee- Boruto annuì quasi impercettibilmente rapido dalle parole di Tenten. Lei gli sorrise dolcemente continuò ad asciugare il sangue che fuoriusciva dalla ferita sulle sue labbra.
-E quindi mi ritrovai a dovere affrontare da una parte un vero e proprio genio delle arti magiche e in possesso di una tecnica di combattimento formidabile ed ereditaria del suo clan, e dall’altra un vero e proprio asso nelle Arti Marziali. Io invece non avevo proprio niente di speciale, se non lo stupido desiderio di diventare forte come la Quinta Hokage- ricordò la ragazza ripotendo il fazzoletto sporco di sangue nella tasca del suo vestito dallo stile tipicamente orientale. Scrutò con attenzione il volto del biondo rilassarsi leggermente e se ne compiacque.
-Quindi posso capire il tuo desiderio di avere il Byakugan. Ma- si fermò un istante pensierosa.
-Immagino che non sia il mio stesso motivo a farti desiderare di avere la capacità innata degli Hyuga- Boruto scosse la testa debolmente. Le sue labbra morivano dalla voglia di confessarle gli oscuri segreti che scuotevano il suo cuore, ma il cervello gli intimava di tenere la bocca sigillata non ancora totalmente sicuro di potersi fidare dell’adulta che era seduta a pochi passi da lui. Eppure, Tenten era diversa dagli altri adulti che aveva incontrato nella sua vita, lo scambio di frasi avvenuto qualche secondo prima ne era la chiara prova, e poi la donna gli aveva fatto una confessione sincera. Sentiva, e forse voleva, fidarsi di lei.
-Io vorrei essere come mia sorella, vorrei potermi allenare con mio zio e renderlo fiero- confessò lasciandosi sfuggire un leggero rossore sulle guance. Il suo cuore prese a battere veloce non sapendo cosa aspettarsi come risposta dalla castana.
-Non hai bisogno del Byakugan per rendere tuo zio orgoglioso di te- disse schioccando le labbra come fosse una delle bambine che venivano nella sua classe. Le sopracciglia di Boruto si alzarono sorprese e la maestra delle armi si lasciò sfuggire un sorriso divertito.
-Lo so che preferiresti che queste parole provenissero dalle sue labbra, ma sappiamo entrambi com’è fatto tuo zio e quanto sia testardo ed estremamente orgoglioso a volte. Per questo sarò io a dirtelo: Boruto, tuo zio ti ama così per come sei. È fiero di te per quello che sei e so per certo che non ti cambierebbe per nessun altro nipote al mondo. È vero, ogni cosa di te ricorda tuo padre, ma tuo padre è lo stesso uomo che, nonostante lui non lo ammetterebbe mai, Neji ammira da quando lo sconfisse oramai una eternità di anni fa- un mormorio sorpreso fuoriuscì dalle labbra socchiuse di Boruto. Tenten annuì in silenzio godendosi il viso del bambino ritornare a riempirsi di gioia.
-Lo pensi davvero, Tenten oba-san?-
-Certo! Per tuo zio tu sei perfetto così come sei- concluse lei facendogli l’occhiolino. Boruto strinse con forza i pugni portandosi all’altezza del volto: non sapeva se avesse fatto bene a svelare quello che aveva detto, ma in quel momento si limitò a godersi il solito ed allegro sorriso ritornare a rallegrare il volto di quel ragazzino.
-Disturbiamo?- una voce calda e profonda fece sobbalzare entrambi. Erano così impegnati nelle loro conversazioni che non si erano resi conto di non essere più soli.
-Tenten oba-san!- esclamò la figura più minuta appena riconobbe la persona che parlava con suo fratello. Corse veloce nella sua direzione abbracciandola con foga. Tenten non riuscì a trattenere un sorriso.
-Boruto- il richiamo del suo nome risvegliò il primogenito di Hinata e Naruto che alzò lo sguardo in direzione di suo zio. L’uomo si chinò leggermente permettendo ai loro volti di essere alla stessa altezza.
-Mi chiedevo se ti andasse di allenarci solo io e te questo pomeriggio- continuò lo Hyuga mentre gli occhi azzurri come il cielo si fecero sempre più sgranati. Boruto fissò stupito Neji per alcuni secondi cercando di captare qualsiasi cosa che tradisse le parole di suo zio. Ma il volto del moro era rilassato e il giovane sapeva che ogni parola pronunciata da quelle labbra così sottili non era uno scherzo.
-Davvero?- bisbigliò mentre i sentimenti negativi che fino a pochi secondi prima aleggiavano nel suo petto svanirono all’istante.
-Davvero- rispose Neji annuendo leggermente. Un enorme sorriso venne riflesso negli occhi perlescenti dell’uomo.
-Mi farebbe molto piacere, Oji-san- rispose cercando di tenere a bada il tremolio delle sue labbra.
Tenten osservò con tenerezza quella scena sorridendo: il suo sguardo scivolò sul volto del suo compagno di squadra. Non riusciva proprio a capire come Boruto si fosse domandato anche solo per un secondo se suo zio fosse fiero di lui. Gli occhi perlacei di Neji, che nascondevano qualsiasi emozione o pensiero a qualsiasi persona, erano come un libro aperto per lei. L’amore che lo Hyuga provava nei confronti dei suoi nipoti era lampante ed era lo stesso che quei bambini provavano per lui: un sentimento caldo ed avvolgente scaldò immediatamente il suo petto. Immediatamente i suoi pensieri ritornarono indietro a quello che ancora considerava come il giorno più brutto della loro vita e si domandò cosa sarebbe successo se il sacrificio di Neji gli fosse costato la vita. Prima che la sua mente venisse rapita da quei pensieri negativi, una piccola mano si insinuò tra le sue dita: Himawari le risolve un dolce sorriso ricordandole che quella era la realtà. Anche lo Hyuga parve notare che qualcosa, anche se solo per un secondo, aveva scosso la mente della castana e lentamente si avvicinò alla roccia.
-Himawari, ti andrebbe di andare a raccogliere qualche fiore per Tenten?- immediatamente la figura minuta della bambina scattò in piedi entusiasta.
-Certo, oji-san!- strillò eccitata iniziando a correre in direzione degli alberi senza dare più retta a qualsiasi altra parola dello Hyuga.
-Boruto, potresti andare con lei e controllarla?- il biondo annuì complice e, mettendo le mani in tasca, seguì sua sorella. Neji fissò con attenzione le figure dei suoi nipoti allontanarsi e fermarsi nei pressi di una macchia verde.
-Smettila di fare lo zio apprensivo, non può succedergli niente- lo beccò l’unica figura rimasta oltre a lui. Il moro si lasciò sfuggire un sorriso divertito prima di sedersi accanto alla sua compagna di Team sulla roccia. Rimasero alcuni minuti in silenzio, lo stesso silenzio che aveva accompagnato molti dei momenti che da ragazzi avevano trascorso insieme, a fissare i due figli di Naruto ed Hinata. Poi, le labbra di Neji tornarono a schiudersi.
-Potrei sapere cosa vi siete detti?- Tenten schioccò la bocca divertita mentre un leggero venticello le scompigliò la frangetta.
-Ci stavi spiando per caso?- lo beccò sfiorando la spalla dell’uomo con la sua.
-No- rispose e la castana sapeva che era sincero.
-Quel ragazzino ti adora, Neji- confessò la castana lasciando, finalmente, che i loro sguardi si incontrassero. Le labbra dello Hyuga si strinsero con forza non aspettandosi di trovare così tanta malinconia in quelle iridi marroni.
-E a volte mi viene spontaneo pensare cosa sarebbe successo se quel giorno tu fossi morto- non serviva che specificasse quale fosse quello specifico giorno perché Neji sapeva benissimo a cosa lei si riferisse. Senza remora ricercò la mano della castana che strinse con delicatezza sperando che quel semplice contatto le facesse capire che lui era davvero lì davanti a lei, vivo.
-Non dovresti perché io quel giorno mi sono salvato ed ora sono qui, con te- sussurrò dolcemente. Scrutò con attenzione i muscoli della ragazza rilassarsi all’udire quelle parole mentre una lacrima, solitaria, scivolò veloce sulla sua guancia abbronzata. Gentilmente i suoi polpastrelli sfiorarono il volto della maestra delle armi che non si scostò: quel semplice contatto regalò un senso di pace ad entrambi.
-Come fai a dire sempre le parole giuste al momento giusto?- lo beccò lei facendogli una linguaccia e riportandoli, solo per un secondo, indietro nel tempo.
-Perché sono il genio degli Hyuga-
-Oltre ad essere estremamente modesto- lo sfidò Tenten incrociando le braccia al petto ed alzando un sopracciglio con fare divertito. Gli angoli delle labbra di Neji si alzarono involontariamente di fronte a quel comportamento così fanciullesco che stonava con la donna adulta che si trovava davanti: ma Tenten non era come tutte le altre donne. Lasciò che il suo sguardo, attento, si posasse per un secondo sulle figure dei suoi nipoti che, indaffarati, stavano ancora raccogliendo fiori. Poi, senza che Tenten se ne accorgesse, permise alle sue labbra di sfiorare dolcemente quelle della castana.
-Grazie per non essere morto- sospirò sulle sue labbra Tenten approfondendo il bacio.

 

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Capitolo 3
*** Regalo ***


Gli occhi color pece di Rock Lee sembravano brillare quel giorno di fine autunno: i suoi capelli, di un colore così simile a quello delle sue iridi e con un taglio che molti avrebbero giudicato improponibile, luccicarono colpiti dai raggi solari.
-Per me?- bisbigliò a labbra strette passandosi tra le dire rovinate e callose un pacchetto malamente incartato. La figura davanti a lui fece pendere il suo peso all'indietro sbilanciando il suo corpo.
-Certo- rispose non riuscendo a trattenere un sorriso radioso: un leggero venticello scompigliò i suoi castani capelli che erano imprigionati in una coda mal fatta. Rock Lee si prese ancora alcuni secondi per elaborare ogni informazione ricevuta prima di stringere con forza i pugni davanti al volto vibrante di entusiasmo.
-Sono così onorato di ricevere un regalo da te!- urlò sbracciandosi e attirando, come sempre, l'attenzione degli altri studenti che abbandonavano il cortile del liceo finita un'altra giornata di scuola.
-Piano Lee, così mi soffochi- mormorò Tenten mentre le braccia del ragazzo avvolsero il suo collo facendola traballare a causa del peso aggiuntivo.
-Il mio corpo freme di giovinezza e riconoscenza al solo sapere che hai pensato a me- continuò però il ragazzo aumentando, se possibile, i suoi urli mentre copiose lacrime iniziarono a scivolare veloci sulle sue gote. Tenten scosse la testa divertita riuscendosi finalmente a liberarsi dalle sue braccia.
-Lee, sei il mio migliore amico, è ovvio che pensi a te e poi è solo un pensiero per Natale. Non aspettarti niente di che- ma le sue parole sembrarono esser portate via veloci e inascoltate dal vento. I polpastrelli di Rock Lee scivolarono veloci sulla carta da regalo che avvolgeva il pacchetto, carta malamente tenuta insieme da una decina di pezzi di scotch che sembravano rendere lampante la scarsa manualità della ragazza. Quando finalmente l'oggetto venne rivelato gli occhi del suo migliore amico si spalancarono estasiati.
-È stupendo!- sussultò mentre le sue unghie rovinate si impigliavano nella lana ispida del maglione: una L, ricamata a caratteri cubitali, spiccava con il suo verde brillante e in netto contrasto con il filo dell'indumento che era di un marrone opaco.
-Ti piace davvero?- rispose la castana inarcando un sopracciglio e accartocciando le sue labbra: lo fece quasi inconsciamente, animata da un sentimento di insicurezza. L'entusiasmo del suo amico però non parve scemare e, prima che potesse aggiungere altro, il maglione di cachemire che avvolgeva le spalle allenate della bestia verde finì tra le braccia della sua migliore amica.
-È uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto, mio giovane fiore- continuò il ragazzo sfoggiando il nuovo indumento che riscaldava il suo petto e iniziando a saltellare pieno di entusiasmo. Finalmente un sorriso sincero animò le gote rosate della ragazza prima che le labbra screpolate di Rock Lee le sfiorassero dolcemente.
-Devo assolutamente farlo vedere al maestro Gai- e, prima che Tenten potesse anche solo sbattere le palpebre, la giovane figura della Bestia Verde stava già correndo in direzione dell'ingresso della scuola alla ricerca del loro insegnate di Ginnastica.
Tenten piegò la testa di lato permettendo a ciuffi dei suoi capelli di ricadere sui suoi zigomi mentre sentiva ancora le sue guance ardere: un peso, di fronte all'entusiasmo del suo migliore amico, finalmente parve abbandonare il suo cuore.
-Hn- un grugnito, molto più simile ad un rumore gutturale, attirò l'attenzione della ragazza che parve immediatamente ricordare della terza figura che, silente, aveva osservato tutta la scena. Lo sguardo allegro di Tenten si posò sulla pelle pallida del ragazzo che, impassibile, si trovava a pochi passi dai lei.
-Allora ci vediamo domani, Neji?- disse non permettendo al suo sorriso di perdere luminosità: uno sguardo parve posarsi con insistenza sulla sua figura, ma Tenten continuò a ignorarlo cercando di non lasciarsi catturare dal sentimento di inadeguatezza che solo quegli occhi sembravano provocarle.
Il suo interlocutore non rispose, ma la castana notò il suo petto iniziare ad alzarsi ed abbassarsi con più velocità: un sorrisetto, compiaciuto, le sfuggì dalle labbra carnose. Per sua fortuna lo Hyuga parve non accorgersene e, accennato un saluto con il capo, riprese la sua camminata in direzione del cancello dove una figura così simile a lui lo stava aspettando.
-Possiamo andare, fratello Neji?- bisbigliò a labbra strette Hinata mantenendo lo sguardo basso mentre le sue gote pallide erano in netto contrasto con il blu profondo dei suoi capelli. Il moro non le rispose, ma, silenzioso, iniziò a camminare verso la loro solita destinazione.
-Sei un idiota- una voce, acuta e dal tono riprovevole, si levò con forza a pochi passi dietro di loro. Hinata accennò a rallentare i suoi passi, ma le dita sicure dello Hyuga avvolsero il polso della cugina costringendola a riprendere il passo.
-Neji Hyuga, tu sei un completo idiota- tuonò questa volta con più forza la ragazza mentre le parole vennero pronunciate intaccate da un forte fiatone. Neji, all'udire quella frase, finalmente si bloccò.
-Si può sapere perché non ti sei fermato?- continuò completamente alterata la castana avvicinandosi a grandi passi verso di lui: Hinata fissò la scena leggermente allarmata.
-Non ti avevo sentito- mentì impassibile il più grande dei cugini Hyuga e finalmente le sue dita allentarono la presa sul polso della cugina. Tenten si fermò a pochi passi dal suo interlocutore con la frangetta impregnata di sudore e le labbra tirate: poi, prima che le sue labbra potessero schiudersi, un enorme sorriso tornò ad illuminare il suo incarnato abbronzato.
-Oltre ad essere un idiota, sei anche un orribile bugiardo- e Hinata fu sicura di scorgere gli angoli delle labbra di suo cugino alzarsi leggermente.
-Questo è per te, volevo farti prendere male e pensare che mi fossi scordata, ma il tuo orribile atteggiamento ha come sempre rovinato tutto- concluse tirando fuori dal suo zaino un pacchetto decisamente simile a quello che poco prima stringeva tra le mani il loro migliore amico.
-Buon Natale, Neji, idiota, Hyuga- sibilò mentre un leggero rossore si dipinse sulle guance del suo volto. E, prima che un sopracciglio dello Hyuga potesse anche solo alzarsi, la castana si era già rimessa lo zaino sulle spalle correndo veloce verso il loro liceo.
Hinata la osservò incuriosita prima che scomparisse dietro il cancello che poteva ancora vedere in lontananza, poi ritornò a fare cadere i suoi occhi perlati sul cugino: Neji era ancora fermo sul polso stringendo tra le dita il regalo. Poi, accuratamente e senza dire niente, iniziò a scartarlo celando perfettamente qualsiasi emozione sul suo viso impassibile: la Hyuga lo scrutò aprirlo con particolare cura, la stessa che sicuramente non era stata usata per incartare il dono nella carta da regalo. Una manciata di secondi dopo gli occhi attenti di Neji fissavano il maglione dalla spessa, rigida e pruriginosa lana con cui era stato fabbricato. Le labbra rosate di Hinata si strinsero in una espressione quasi mortificata osservando con apprensione il volto del cugino. Lei, più di qualsiasi altro, sapeva quanto il moro ci tenesse ai suoi vestiti ed al suo impeccabile abbigliamento. Stava per mormorare qualcosa quando, sorprendente, un sorriso sincero comparve sul volto pallido di Neji.
-Andiamo Hinata, torniamo a casa- pronunciò calmo mentre la sua imperturbabile espressione ritornò ad aleggiare sul suo viso. La Hyuga annuì impercettibilmente domandandosi se quella espressione di gioia fosse davvero comparsa o si fosse solo immaginata tutto. Ripresero, come abitudine, a camminare nel più completo silenzio affiancati: tra le braccia del moro, piegato con particolare cura, era riposto il maglione dalla fattura improbabile e dalla lana di scarsa qualità. Una etichetta sfuggiva dal colletto leggermente storto rivelando una scritta stampata.
"Made with love by Tenten"

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Capitolo 4
*** Appuntamento al Buio ***


-Così dopo essermi laureato in ingegneria informatica ho dovuto scegliere se accettare l’offerta di lavoro o iniziare un dottorando in Danimarca-
Tenten, all’udire quelle ennesime parole, si limitò nuovamente ad annuire, poco convinta, avvicinando la cannuccia alle sue labbra. Bevve un sorso di quella bevanda alcolica, non troppo per sostenere quella conversazione, mentre il suo interlocutore continuava a parlare senza sosta fregandosene delle poche attenzioni della donna. Distrattamente lasciò che i suoi occhi nocciola ricadessero sul display del suo cellulare constatando, con gioia, che finalmente quelle due ore eterne stavano per avere una fine.
-Che poi il mio sogno è sempre stato quello di viaggiare, ma lo stipendio era decisamente allettante- continuò il giovane dai capelli rossastri lasciandosi sfuggire una risata sguaiata. Tenten alzò leggermente i bordi delle sue labbra domandandosi come quel tipo fosse riuscito a portare avanti quella discussione interamente da solo. Possibile che avesse mascherare così abilmente la sua noia? Fortunatamente per lei il cellulare del suo interlocutore iniziò a squillare incessantemente mentre le sue labbra sottili si schiusero in una smorfia.
-Scusami un secondo- bofonchiò avvicinando il telefono all’orecchio ed alzandosi dalla sedia: la castana lo scrutò allontanarsi tra i tavolini di quel pub semi deserto: finalmente sola si lasciò sfuggire un sospiro annoiato mentre le sue dita si allungarono verso il suo cellulare. Irritata osservò che le era appena arrivato un messaggio.
“Allora? Come sta andando l’appuntamento?”
Un sopracciglio si alzò automaticamente sul viso della ragazza mentre lesse le poche parole inviatele da una delle sue migliori amiche, Ino Yamanaka.
“Ancora non ci credo che hai definito questo tizio come interessante...” digitò sbuffando e assaporando un altro sorso del suo cocktail. Accigliata osservò che la sua amica bionda stava impiegando alcuni secondi per risponderle.
“Effettivamente avrei dovuto aggiungere che è leggermente logorroico e narcisista, ma ti giuro che non è così male”
Tenten si lasciò sfuggire una risata divertita.
“Già, avresti dovuto”
“Ma così non saresti mai uscita con lui! Da quanto tempo che non uscivi con un uomo? Joshua non sarà il meglio in circolazione, ma è uno dei migliori amici di Sai e in più...” la castana sbuffò ricordando che tipo fosse il nuovo fidanzato della sua amica: effettivamente con un tipo così.... particolare era difficile ipotizzare che avesse amici normali.
“Ha un bellissimo sedere” concluse la bionda aggiungendo una faccina pervertita che avrebbe reso meglio l’idea delle sue parole. Tenten scosse la testa rassegnata sistemandosi la frangetta che le copriva la fronte.
“Ti ricordo che non abbiamo più sedici anni, un bel sedere non basta per farmi piacere un uomo” scrisse velocemente iniziando a sospettare che quella conversazione l’avrebbe portata verso argomenti che non avrebbe voluto affrontare.
“Infatti non deve mica diventare tuo marito, vi ho fatto uscire insieme per assicurarti una bella scopata”
-Scusami per l’assenza- la voce acuta del suo appuntamento la costrinse ad allontanare il suo sguardo dal display del cellulare mentre un leggero rossore si diffuse sulle sue gote.
-Tranquillo, nessun problema- gli rispose lei cercando di assumere una espressione neutrale e segnandosi che avrebbe ucciso personalmente la sua migliore amica il giorno dopo.
-Purtroppo c’è stato un problema in ufficio con i server e devo assolutamente andare a risolvere il guasto- si scusò lui grattandosi nervosamente la testa rossastra ed afferrando la giacca che aveva abbandonato sulla sedia. Tenten dovette sforzarsi per non lasciare trasparire la sua contentezza per quelle parole e si morse la lingua con forza.
-Oh, nessun problema- assicurò alzandosi per salutarlo. Lui le sorrise avvicinandosi leggermente a lei: la castana fissò a rallentatore il ragazzo chinarsi verso il suo viso mentre una smorfia tirata si dipinse sul suo volto.
-Mi ha fatto piacere conoscerti- sussurrò sempre più vicino al suo volto mentre le lentiggini che aveva sul naso si rifletterono nelle iridi della giovane. Tenten immediatamente lo evitò allungando, imbarazzata e mortificata, la mano verso il suo petto per bloccarlo.
-Anche per me- borbottò mentre una espressione delusa si dipinse sul viso del rosso. Poi, prima che uno dei due potesse dire qualcosa di assolutamente sbagliato ed imbarazzante, Tenten, ancora rossa in volto, lo osservò dirigersi verso l’uscita abbozzando un gesto di mano in segno di saluto.
-Cazzo- sospirò Tenten lasciandosi scivolare sulla sedia ed appoggiando i gomiti sul tavolo di legno: era stata decisamente una delle situazioni più spiacevoli della sua vita. Oltre che essere estremamente logorroico e narcisista la castana si appuntò che quel Joshua era anche un vero idiota. Si domandò come potesse essergli saltato in mente di baciarla dopo neanche due ore di conoscenza in cui lei aveva spicciato a mala pena due parole. A ventisette anni suonati non si aspettava di certo di imbattersi ancora in gente di così dubbio gusto e tutti i ringraziamenti doveva rivolgerli a Ino che aveva avuto quella bella idea di organizzare quell’appunto al buio in quel pub così squallido e soprattutto in un insignificante martedì sera. Delusa constatò che il suo bicchiere purtroppo era vuoto.
-Un Margarita, per favore- borbottò avvicinandosi al bancone e al barista che annuì impercettibilmente: annoiata si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione.
-Decisamente imbarazzante- una voce profonda venne accompagnata da una figura che si appoggiò al bancone imitando il gesto che la castana aveva fatto poco prima.
-Cosa?- mormorò guardando con la coda dell’occhio la nuova figura non totalmente convinta che si fosse rivolta a lei. L’uomo bevve veloce un sorso dal suo bicchiere mezzo pieno.
-Il modo in cui hai rifiutato quel ragazzo prima, è stato decisamente imbarazzante- ribatté nuovamente quasi imperturbato dell’irritazione che cresceva sul volto della giovane. Tenten si morse con forza la lingua domandandosi mentalmente cosa avesse fatto di male al mondo per meritarsi una serata come quella.
-Contenta che ti abbia intrattenuto- sibilò a denti stretti mimando un sorriso di cortesia prima che il barista interrompesse qualsiasi loro altra parola. La castana gli porse una banconota da cinque euro prima di far scorrere le sue dita sul bicchiere freddo e bagnato.
-Per me un altro di Bourbon- disse lo sconosciuto e nuovamente i due rimasero soli.
-Comunque hai fatto bene a rifiutarlo, sembrava un idiota- continuò con tono piatto, privo di qualsiasi emozione. Tenten sbuffò alzando gli occhi al cielo.
-Beh, se lo dici tu ci credo- tuonò avvicinando la cannuccia alle sue labbra scarlatte e bevendo un primo sorso che le rinfrescò la gola. Con la coda dell’occhio osservò la bocca dello sconosciuto alzarsi nei lati e le venne automatico domandarsi se quello fosse stato un sorriso.
-Io sono Neji- e gentilmente allungò una mano nella sua direzione rivelando finalmente il suo volto che prima la castana aveva potuto solo scrutare lateralmente. Gli occhi di Tenten guizzarono veloci ad analizzare con attenzione quello sconosciuto: doveva ammettere che era davvero un bel ragazzo con la sua pelle diafana e i lunghi capelli castani. Quello che però attirò immediatamente la sua attenzione furono le sue iridi chiare e di un colore che la ragazza non poteva definire.
-Tenten- sibilò ricambiando quel gesto di cortesia ancora dubbiosa sul perché si fosse fermata a parlare con quell’ennesimo caso umano. Lui le strinse la mano con decisione, ma fu lei a stroncare quel contatto.
-È stato un piacere fare la tua conoscenza- e, senza lasciare il tempo a quello sconosciuto di continuare la conversazione, si allontanò in direzione del tavolino su cui era stata precedentemente seduta. Stanca, e con i piedi doloranti a causa dei tacchi che non metteva mai, si accasciò sulla seggiolina in legno appoggiando il bicchiere sul tavolo. Lentamente estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans osservando che vi erano dei nuovi messaggi.
“Joshua ha appena chiamato Sai per dirgli che l’hai rifiutato malamente. Il tuo unico obiettivo era quello di fare sesso con lui!” Tenten non ebbe neanche il tempo di pensare a cosa rispondere che il suo cellulare vibrò nuovamente.
“E non ignorarmi, lo vedo che stai leggendo i miei messaggi” continuò la Yamanaka aggiungendo una serie di punti esclamativi e faccine che mettevano in dubbio la sua età adulta.
-Che palle- sussurrò irritata spegnendo il display del telefono ed allontanandolo da lei: portò le labbra al bicchiere per ricercare ristoro grazie all’alcool quando notò che l’aveva finito. Era talmente presa a leggere i messaggi della bionda che non aveva notato che aveva bevuto tutto il Margarita appena ordinato. Effettivamente, constatò, la sua testa iniziava a girare leggermente. Stava per alzarsi per ordinare qualcosa d’altro quando un bicchiere, traboccante e pieno di menta, venne posato davanti a lei.
-Ti ho portato un altro Margarita- disse la figura che si era appena avvicinata a lei e immediatamente Tenten riconobbe il disturbatore che l’aveva approcciata al bancone.
-Mi stai per caso pedinando?- tuonò allontanando il cocktail da lei e incrociando le braccia al petto. Il suo interlocutore però non mostrò alcun cambio di espressione.
-Se non lo vuoi basta dirlo- rispose semplicemente sedendosi davanti a lei: la castana si domandò chi gli avesse dato il permesso di sedersi al suo stesso tavolo.
-Potresti essere un serial killer ed aver messo della droga nella bibita che mi stai offrendo- rispose stizzita e nuovamente fu sicura di averlo visto sorridere.
-Potrei averlo fatto-
-Oppure ho solo voluto fare un gesto gentile- continuò sporgendosi in avanti e appoggiando i gomiti sul tavolo. Tenten serrò con forza le labbra lasciando che il suo sguardo scivolasse dalla bevanda al volto di Neji.
-Comunque sappi che pratico le arti marziali e che so benissimo difendermi, giusto per avvertirti nel caso volessi stuprarmi- sospirò avvicinando la cannuccia alla bocca e permettendo a quel liquido rinfrescante di scorrere veloce nella sua gola.
-Allora, ti capita spesso di importunare le ragazze nei pub di martedì sera?- Neji sorrise divertito iniziando a tamburellare sul tavolo.
-No, decisamente no- le rispose lui facendo aderire la sua schiena allo schienale della sedia.
-E tu invece fai spesso appuntamenti al buio?- Tenten si ritrovò a scuotere la testa prima ancora che il suo interlocutore avesse finito di parorlare.
-No, è stata una stupida idea di una delle mie migliori amiche. Secondo lei dovrei uscire di più e quindi ha ben deciso di farmi uscire con uno degli amici del suo ragazzo senza ovviamente avvertirmi di quanto fosse sgradevole. Ti credi che mi ha parlato per due ore intere del suo percorso universitario e della Danimarca?- tuonò alzando gli occhi al cielo e iniziando a raccontare per filo e per segno tutte le cose che quel Joshua le aveva detto in quelle due ore. Neji la ascoltò attentamente in silenzio annuendo con frequenza.
-E per finire Ino ha ammesso che quel ragazzo è un idiota e che il suo unico scopo era quello di assicurarmi una scopata per la serata. D’ora in poi mai più appuntamenti al buio- sbuffò lasciando che la sua frangia si scompigliasse.
-Sembra simpatica la tua amica- le rispose inespressivo lo Hyuga e per un attimo Tenten si domandò se non l’avesse annoiato con tutte quelle imprecazioni rivolte a ragazzo dai capelli rossi.
-Lo è quando non fa la stronza- rispose lasciandosi sfuggire un sorriso sincero facendo guizzare i suoi occhi sull’uomo che bevve un lungo sorso del suo drink.
-E tu invece cosa ci fai qui da solo?- sussurrò sperando che l’interesse di quel ragazzo non fosse scemato nei suoi confronti: mentalmente si maledì per averlo pensato.
-In realtà non sono da solo, sono qui con un paio di amici- sentenziò lasciando che il suo sguardo vagasse al di là dei locali in direzione di un gruppo di ragazzi che erano decisamente i più rumorosi del locale. Tenten li scrutò per alcuni istanti mentre quelli parlavano e chiacchieravano animatamente.
-Sembrano molto simpatici-
-Ed estremamente rumorosi- aggiunse il ragazzo inclinando la testa di lato constatando che i suoi amici avevano notato i loro due sguardi puntati su di loro. Senza reprimere un sorriso divertito Tenten li osservò iniziare a sbracciarsi e ad urlare qualcosa di incompressibile mentre gesti ammiccanti incitavano lo Hyuga a continuare la conversazione con la castana.
-E anche molto idioti- aggiunse Neji scoccando una occhiata tetra ai ragazzi che immediatamente si rimisero a sedere intimoriti.
-Comunque, penso che sia proprio giunto il momento che io vada, si sta decisamente facendo troppo tardi- sentenziò portandosi al grembo la sua borsetta e accennando un sorriso: il viso del ragazzo cambiò immediatamente d’espressione, cosa che non l’aveva visto fare per tutta la serata, e Tenten si domandò se non fosse per caso deluso dalle sue parole.
-È stato un piacere fare la tua conoscenza Neji...-
-Hyuga- aggiunse lui veloce e lei lo ringraziò con un sorriso sincero.
-Ah, e grazie anche per il drink di prima e per non averlo avvelenato- continuò alzandosi dalla sedia e appoggiando sulle spalle il suo giacchino di pelle. Lui si limitò a scrutarla con attenzione, cosa che fece arrossire leggermente la castana. Stava per allontanarsi accennando un saluto con la mano quando lui le afferrò con decisione il polso per un secondo bloccando la sua camminata.
-Mi chiamo Neji Hyuga, ho ventisette anni e lavoro nell’azienda di mio zio come contabile. Quelli laggiù sono, purtroppo, i miei migliori amici tra cui vi è il fidanzato di mia cugina- Tenten corrucciò la fronte non aspettandosi quell’insieme di informazioni non richieste.
-Ok, grazie per avermelo detto- disse abbozzando un sorriso imbarazzato mentre lui le lasciò il polso.
-Immagino che ora che non sono più uno sconosciuto io possa chiederti se ti andrebbe di uscire con me- continuò lui e immediatamente la gola della castana si fece secca. Lo fissò per alcuni secondi imbambolata come se le servisse tempo di metabolizzare le parole veloci e profonde che si era lasciato sfuggire il moro.
-Solo se mi prometti che non sei un idiota e che non ti piace la Danimarca- rispose facendogli un occhiolino mentre i muscoli tesi del viso del ragazzo si rilassarono all’udire quella risposta.
Forse quella sera avrebbe dovuto ringraziare Ino per averla costretta a partecipare a quell’appuntamento al buio con quell’idiota che, tra l’altro, non aveva neanche un sedere così bello, sicuramente non niente in confronto a quello del ragazzo dai lunghi capelli mori che aveva davanti a lei.

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Capitolo 5
*** Proposito ***


-Al nuovo anno!- esclamò Tenten, i suoi occhi marroni scintillarono di felicità. Il suo bicchiere, che stringeva nella mano destra, si alzò in alto sopra la testa: due uomini, dalle capigliature bizzarre, seduti sul terreno accanto a lei, imitarono il suo gesto accompagnandolo con esulti e grida di gioia. La quarta figura, anch'essa maschile, si limitò a muovere leggermente il calice contente il liquido ambrato prima di portarselo alle labbra. Tenten sorrise dolcemente osservando gli uomini della sua vita.
Un ennesimo anno stavo per volgere al termine e i tre membri più giovani dell'ormai ex Team Gai si stavano avvicinando a compiere venticinque anni: un anno come gli altri per la kunoichi, ma due delle sue migliori amiche, Ino e Sakura, sostenevano che sarebbe stato l'anno migliore della loro, ormai, vita adulta. Tenten ovviamente sapeva che questa era la solita solfa che rifilavano a sé stesse e a chiunque stesse loro intorno, ma alla castana non veniva neanche in mente come la sua esistenza potesse migliorare. Oramai era una Jonin affermata e la sua richiesta di diventare ANBU era sotto esamine del sesto Hokage, l'eterno rivale di Gai-sensei. Da quando quella maledetta guerra era finita, tutto sembrava andare per il meglio e in cuor suo Tenten sperava che sarebbe durato per sempre.
-Mio giovane fiore, vuoi dell'altro champagne?- domandò il suo sensei( nonostante non fosse più tale non riusciva a chiamarlo diversamente) porgendole la bottiglia di vino. La kunoichi annuì con enfasi mentre il suo calice ritornò ad essere pieno fino al bordo: divertita osservò il suo migliore amico che imitava il suo stesso gesto prima di essere raggelato da una semplice occhiata dell'uomo più in disparte. Sorrise dolcemente ripensando a quanto sembrassero oramai distanti momenti del genere: dopo la guerra erano stati nominati tutti Jonin e la loro squadra, come tutte le altre, si era sciolta. Tante lacrime e molto sangue furono versati in quel periodo buio di guerra, ma loro avevano mantenuto fede alla promessa. Avevano combattuto con onore e, cosa ancora più importante, erano sopravvissuti. Tenten non riusciva neanche ad immaginare il dolore che avrebbe attanagliato il suo cuore se avesse perso anche solo uno di loro, l'unica famiglia che possedeva. Una piccola lacrima, solitaria, sfuggì dai suoi occhi e percorse, veloce e silente, la sua guancia leggermente aranciata causa del trucco. Uno sguardo insistente si concentrò sulla sua figura mentre lei cercò malamente di asciugarsi il volto: ignorò, come tante altre volte aveva fatto, la figura che silente la scrutava e ritornò a riversare la sua più grande attenzione a Rock Lee e Gai-sensei. I due, animati da una musica lontana, si erano appena alzati dalla coperta che avevano steso sul terreno umido e avevano iniziando a ballare sereni. Una mano di Lee si tese con sicurezza davanti a lei, ma la castana, con gentilezza, scosse la testa preferendo godersi da lontano lo spettacolo piuttosto che farne parte. Senza riuscire a reprimere uno scintillio dalle sue iridi, appoggiò la schiena alla corteccia dell'albero che si trovava a pochi piedi da lei: una brezza scompigliò dolcemente la sua frangetta facendola rabbrividire.
Da quando la loro squadra era stata sciolta e le gambe del loro sensei irrimediabilmente danneggiate, erano stati costretti a prendere strade diverse con le loro vite. Le missioni insieme divennero sempre più rade, ma Tenten lottò con le unghie e con i denti per non farli scomparire dalla sua vita. Erano una famiglia, la sua famiglia, e lo sarebbero stati per sempre. Per questo era raggiante nell'essere riuscita a radunare i suoi uomini per l'ultimo dell'anno: avevano organizzato di riunirsi come tante volte avevano fatto in passato. Per questo ora si trovavano su una delle tante colline che avvolgevano il loro villaggio con una coperta e un cestino da picnic pieno di bottiglie e cibo da stuzzicare. I loro occhi, sempre più contornati da rughe, erano ben attenti a scrutare il cielo sereno ansiosi di osservare i consueti fuochi allo scoccare della mezzanotte.
Poco lontano da loro il villaggio era animato di voci e strepiti da festa, ma per quella sera loro avevano deciso di mettere in fermo la vita reale per immergersi nei ricordi.
-Ehi- mormorò alla seconda figura che, come lei, aveva rifiutato un po' meno educatamente l'invito di Lee. Neji, lo Hyuga che alla morte di Hiashi aveva preso in mano la casata, sollevò lo sguardo per incontrare il suo: il riflesso della castana illuminò le iridi chiare del giovane mentre le sue labbra si schiusero leggermente.
-Ehi- mormorò lui di rimando accennando un sorriso, cosa rara da vedere nel suo volto. Poi, impercettibilmente, le loro dita si sfiorarono causando una scossa in entrambi i corpi dei due ninja. Avevano iniziato a frequentarsi segretamente da... neanche Tenten ricordava da quando. Era successo dopo la guerra, quando i loro cuori sembravano irrimediabilmente rotti a differenza dei loro corpi. Avevano trovato un conforto nuovo l'uno nell'altro e ben presto le loro esistenze si erano legate ancora più indissolubilmente. Ovviamente oramai la loro storia era cosa nota nel villaggio, ma la riservatezza era ancora la prima regola nel loro rapporto.
-Ci siamo quasi- urlò eccitato Rock Lee correndo verso i suoi ex compagni di squadra e spingendo la carrozzina di quello che oramai era un padre per loro. I suoi occhi, di un nere pece, si soffermarono per un secondo sulle mani intrecciati dei suoi migliori amici prima di sorridere dolcemente..
-Manca un minuto, miei giovani allievi- esclamò l'uomo più anziano sfoderando un sorriso splendente.
-Ognuno di noi potrebbe fare un proposto per l'anno nuovo- tre paia di occhi erano puntati su di lei.
-Proposito dell'anno nuovo?- balbettò confuso Lee alzando le sopracciglia. Un leggero rossore macchiò le guance della kunoichi.
-Esatto, è una pratica occidentale. Allo scoccare della mezzanotte è usanza pensare a qualcosa che speriamo che si realizzi nell'anno nuovo- spiegò addolcendo lo sguardo e percependo l'entusiasmo crescere in due dei tre uomini che la circondavano. Lee balzò veloce come un razzo in piedi stringendo un pugno davanti a sé. Le sue labbra si schiusero, ma vennero precedute da una voce profonda.
-Questo sì che è una splendida idea!- esclamò soddisfatto Gai-sensei strizzandole un occhio. Poi, mettendo una mano sulla spalla del suo allievo preferito, si rabbuiò all'istante.
-Mancano una manciata di secondi prima che anche quest'anno volga al termine quindi, miei giovani allievi, pensate in fretta- concluse con una voce baritonale. Tenten sorrise annuendo leggermente, ma non riuscì a non notare lo sguardo concentrato del suo migliore amico. Le sue sopracciglia si muovevano veloci sul suo viso mentre le sue iridi scintillarono riflettendo le stelle presenti in cielo. Sembrava davvero concentrato, come se da quella sua scelta dipendesse la sopravvivenza umana, e Tenten non riuscì a trattenere una piccola risata. La figura alla sua destra invece era completamente l'opposto: Neji Hyuga, completamente rilassato e composto, aveva lasciato che i suoi occhi vagassero lontano mentre le sue labbra, leggermente socchiuse, riflettevano un sorriso sereno. Sentendosi osservato alzò un sopracciglio nella sua direzione, ma nuovamente la coppia venne interrotta.
-Gai-sensei, io...- ma Rock Lee non poté concludere la sua frase che il dito della castana si posò sulle sue labbra. Le sopracciglia del ragazzo si alzarono senza capire.
-Il proposito, Lee, deve rimanere un segreto se vuoi che si realizzi- lo ammonì Tenten mentre una espressione delusa si dipinse sul volto della bestia verde. Stava per ribattere qualcosa quando un braccio muscoloso avvolse il collo del giovane e Gai-sensei attirò a sé il suo allievo.
-Preparatevi per il conto alla rovescia-
Il silenzio finalmente avvolse le quattro figure mentre una arietta fresca fece svolazzare i bordi della coperta su cui erano adagiati. Tenten levò gli occhi al cielo terso e dai toni bluastri: Lee e Maito Gai imitarono il suo gesto con le teste ondeggianti rivolte verso l'alto in attesa dei fuochi d'artificio di mezzanotte.
Tenten percepì chiaramente un calore esterno riscaldare il suo braccio sinistro e la figura dello Hyuga si avvicinò ulteriormente alla sua.
-Dieci!- urlarono in coro i due uomini mentre lo stesso grido riecheggiò dal villaggio.
-Allora, cosa hai desiderato?- la voce roca venne accompagnata da un alito caldo che solleticò l'orecchio della castana vista la vicinanza. Tenten si sistemò più comoda contro la corteggia e contro lo Hyuga senza staccare gli occhi dalle stelle.
-È un segreto, non hai sentito ciò che ho detto?- mormorò a fior di labbra mentre i capelli di Neji iniziarono a farle un leggero solletico alla guancia destra.
-Nove!-
-Io odio i segreti- tuonò suadente quello che faceva ancora fatica a definire il suo fidanzato. Divertita scosse leggermente la testa.
-Lo so-
-Otto!-
La presa delle dita dello Hyuga tra le sue si fece più salda.
-Facciamo così. Te l'ho dico solo se tu mi dici cosa hai desiderato tu- commentò sapendo perfettamente che lo sguardo indagatore non aveva mai abbandonato il suo volto. Le labbra del ninja si piegarono leggermente verso l'alto vittoriose all'udire queste sue parole.
-Non ho desiderato niente, lo sai che non credo a queste cose-
Uno sbuffo insoddisfatto squarciò il momentaneo silenzio che era calato sul manto d'erba.
-Sette!-
-Sei proprio noioso- un luccichio malizioso animò gli occhi perlati dello Hyuga.
-Ora tocca a te dirmelo-
-Sei!-
-No, così non vale. Il patto era che io ti avrei svelato il mio solo se tu avessi fatto lo stesso. Non è colpa mia se sei Neji Hyuga- rispose semplicemente lei alzando le spalle.
-Cinque!-
-E com'è Neji Hyuga?- disse, con una traccia di umorismo nella sua voce. Tenten scoccò le labbra incrociando le braccia al petto.
-Quattro!-
-Rigido e freddo, ma che a volte sa essere proprio snervante- ribatté lei e per un secondo vide lo sguardo malizioso sul volto del fidanzato vacillare.
-Tre!-
-Ma che comunque- continuò facendo di nuovo combaciare la sua schiena con il tronco dell'albero.
-Due!-
-Rimane il mio Neji Hyuga- e non riuscì ad aggiungere altro che l'uomo aveva già chiuso la distanza tra loro. Le labbra morbide del moro vennero premute in modo casto sulle sue.
-Uno!-
-Ti amo- sussurrò con voce roca Neji mentre il suo profumo, aspro e deciso, si mischiò con quello fruttato e dolce della ragazza. Un luccichio illuminò le iridi scure di Tenten.
-Anch'io ti amo-
-Buon anno!- l'urlo carico di gioia che si sprigionò a pochi passi da loro li fece allontanare leggermente. Prima che Tenten potesse anche solo alzare lo sguardo in direzione del primo fuoco d'artificio, le sue spalle furono avvolte con affetto dal suo sensei che la abbracciò cercando, inutilmente, di reprimere dei singhiozzi. Accanto a lei Neji stava cercando inutilmente di evitare le umide labbra del suo migliore amico che, dopo essersi buttato su di lui, stava cercando di farle combaciare con la sua guancia.
-Buon anno- sussurrò dolcemente la castana facendo strisciare la sua mano, l'unica cosa libera da quella morsa di affetto e entusiasmo, verso il suo ragazzo. Le loro dita si incastrarono alla perfezione come tante volte era successo molto prima che i loro cuori e le loro menti realizzassero che non era solo l'amicizia che li legava.
-Buon anno... Lee, per cortesia, allontanati- disse il moro cercando, inutilmente, di allontanare il suo compagno di squadra mentre un turbinio di colori esplose nel cielo stellato. Tenten si lasciò sfuggire una risata mentre i botti si fecero sempre più forti e le tinte dei fuochi sempre più vivi. Il suo sguardo, però, era impegnato ad osservare qualcosa di molto più bello dello spettacolo offerto per quell'anno nuovo. I suoi occhi castani caddero sulle spalle tremanti dai singhiozzi del suo sensei che si era staccato dalla sua figura. Accanto a loro Lee stava ancora stringendo con tutte le sue forze il corpo di Neji che, oramai rassegnato, non sembrava più porre veti su quella dimostrazione d'affetto.
E in quel momento il cuore di Tenten si scaldò di un calore che fece vibrare ogni suo muscolo: lì, circondata dagli uomini della sua vita, si ritrovò a sorridere. Mentre una piccola lacrima, questa volta di felicità, percorse veloce la sua gota, espresse il suo proposito per il nuovo anno. Non desiderava come Ino e Sakura che questo fosse il suo anno perché era sicura che niente sarebbe potuto migliorare nella sua vita. Sperò, invece, di riuscire a mantenere la sua esistenza così come era perché per lei era perfetta così. E, mentre i botti risuonarono forti in cielo, pregò con tutto il cuore che il suo proposito si avverasse.

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Capitolo 6
*** Forse ***


Quella mattina Konoha si era svegliata priva dei caldi raggi del sole: grosse e spesse nubi sovrastavano il Villaggio della Foglia, cariche d’acqua e tuoni, e una pioggia incessante batteva sulla città da poco ricostruita. I poveri malcapitati, costretti ad abbandonare le loro abitazioni per iniziare un’altra giornata lavorativa, correvano perdifiato alla ricerca del riparo più vicino mentre i più fortunati si godevano il tepore delle loro case. Solo una persona spiccava in mezzo a tutto quel caos: la figura si muoveva lenta, ma sicura, noncurante delle pozzanghere che avvolgevano le sue scarpe e facendosi bastare come riparo un piccolo ombrello rosa. I suoi capelli corvini, inspiegabilmente ancora asciutti, le ricadevano ordinati sulla spalla sinistra creando un singolare contrasto con il colore dei suoi occhi. Due iridi bianchi, quasi più trasparenti dell’acqua, guardavano decisi davanti a lei mentre i suoi piedi si alternavano sicuri, quasi sapessero a memoria quale fosse la meta finale.
Poi, ad un certo punto, la figura si fermò. Si passò una mano sulla fronte perlata e lo sguardo sfuggì ad analizzare il paesaggio che la circondava. Le sue palpebre si mossero rapide mentre una espressione sorpresa si insinuò tra le sue guance rosate. La pioggia continuò a cadere incessante, sbattendo violenta sull’ombrello, e la sconosciuta si prese alcuni secondi per prendere coscienza di dove fosse, quasi sorpresa di essere già arrivata alla sua destinazione talmente era persa nei suoi pensieri. Un vento gelido si insinuò al di sotto dei suoi abiti pesanti facendola rabbrividire: superò senza fiatare una grossa cancellata e si incamminò in direzione di uno dei tanti sentieri costeggiati da un bellissimo prato verde. Il brusio della città iniziò a farsi sempre più debole e lontano mentre un clima di solennità si fece sovrano di quel luogo. Solo il frastuono delle gocce intaccò il rumore dei suoi passi: la ghiaia scricchiolò flebile sotto il suo peso. Tutto intorno a lei si fece ben presto familiare, di una familiarità malinconica, e quasi si stupì nel constatare che fosse l’unica presente in quel luogo desolato. Evidentemente quel terribile tempo aveva offuscato il dolore e la memoria di molti.
Percorse gli ultimi metri di fretta, quasi si fosse accorta solo il quel momento delle pozzanghere che avevano inzuppato il bordo dei suoi pantaloni. Poi, finalmente, la vide: leggermente isolata rispetto alle altre una piccola lapide spiccava in mezzo a tutto quel verde. Dei fiori, ancora freschi, erano ricurvi su loro stessi e provati dalle incessanti gocce che martoriavano i petali mentre solo una scritta, due semplici parole, spiccavano sul bianco granito. Era semplice, minimale, così come era il proprietario.
Hinata strinse con decisione il manico dell’ombrello tra le sue dita: quel momento della giornata, oramai diventato una abitudine, faceva ancora male come la prima volta quando calde lacrime le avevano offuscato la vista andando a bloccare la loro corsa sui suoi abiti neri. Si chinò leggermente permettendo alla pioggia di bagnarle le caviglie e al suo cappotto di strisciare sul fango. Dolcemente allungò le dita per sfiorare la targa in metallo: i suoi polpastrelli ripassarono tremanti le lettere incise.
Erano oramai passati sei mesi da quel giorno, quando Konoha capì che niente sarebbe mai stato come prima: la Grande Guerra era arrivata silente e inaspettata per molti. Sangue, lacrime e grida, questo era il poco che la Hyuga riusciva a ricordare. Ben presto le immagini di morte e distruzioni avevano iniziato a farsi sempre più offuscate e irreali nella sua mente, come se fosse stato tutto un semplice incubo, mentre la sua città natia fece i conti con la distruzione che avrebbe segnato per anni le generazioni presenti e future.
Avevano vinto, Madara era stato sconfitto, ma a che prezzo? Troppe vite erano state strappate dal mondo dei vivi mentre dei semplici ragazzini avevano per sempre perduto la loro innocenza.
Ne erano usciti vincitori? Hinata non ne era sicura. E la morte di Neji ne era la prova. Il genio degli Hyuga era stato un semplice uno che si era unito al conteggio delle vittime lasciando una ferita che mai si sarebbe rimarginata nei cuori di chi l’aveva amato. Aveva deciso di sacrificarsi, di dare la sua vita per proteggerla e per essere finalmente libero di prendere le sue decisioni. Forse il suo terribile futuro era stato segnato nello stesso istante in cui il terribile sigillo dello Hyuga era stato stampato sulla sua fronte.
Una solitaria lacrima salata si unì alle gocce dolci della pioggia. L’aveva odiata, aveva provato ad ucciderla e infine l’aveva amata come una sorella: Neji Hyuga era stata una semplice pedina per il destino beffardo. Era cresciuto con l’odio e la rabbia che gli corrodevano il cuore, un bambino che si era ritrovato in balia della cattiveria degli adulti, per poi conoscere cosa fosse l’amore. Ma era durato tutto troppo poco e la vita gli era stata strappata via troppo presto.
Le sue labbra si strinsero con forza mentre due occhi, così simili ai suoi, si delinearono nella sua mente: il ricordo del volto sanguinante brillava ancora reale nella sua mente e un senso di dolore ardeva nelle sue vene. Avrebbe mai smesso di fare così male? Avrebbe mai smesso quella frase nascosta nei meandri del suo cuore, talmente terribile che non aveva osato neanche confessare a Naruto che aveva provato a farsi carico del dolore che la dilaniava, di tormentare i suoi pensieri?
Scosse la testa con decisione e la frangetta si inzuppò con le gocce di sudore che impregnavano la sua fronte: no, non voleva che tutto ciò smettesse. Forse era la sua punizione per essere ancora nel mondo dei vivi, per appartenere ad una casata che aveva portato alla morte di troppe vite innocenti.
Ad un certo punto lo scrosciare incessante della pioggia non fu più l’unico rumore che udì: dei passi lenti, ma decisi la fecero leggermente sussultare. La ghiaia scricchiolò sotto il peso della figura appena arrivata. Hinata si chinò leggermente in un segno di rispetto di fronte alla lapide e le gocce le sfiorarono violentemente le guance unendosi alle lacrime. Lasciò che i suoi occhi si soffermassero un’ultima volta sulla bianca lapide prima di rialzarsi.
-Posso tornare più tardi- la voce della nuova venuta fu come un lampo che squarciò il cielo costringendo Hinata a ritornare nella realtà. Un leggero brivido percosse veloce la sua schiena mentre si domandò da quanto tempo non sentisse più quella voce.
-No, tranquilla- mormorò costringendo il suo sguardo a soffermarsi sulla sconosciuta. Le sue iridi percorsero veloci il corpo allenato, ma completamente zuppo di Tenten. I caratteristici panini della castana erano flosci a causa della violenza della pioggia e la sua pelle, estremamente abbronzata, sembrava ingrigita. Quando i loro occhi si specchiarono gli uni negli altri percepì un alone di dolore dipingersi in quelli marroni: sapeva bene che le sue iridi ricordavano troppo quelle del suo compagno di team scomparso.
-Stavo per andare via- concluse lasciando che gli angoli delle sue labbra si alzassero impercettibilmente in un dolce sorriso. Si incamminò mentre un vento gelido circondò le due figure.
-Hinata, aspetta- la Hyuga non fu completamente sicura di aver udito correttamente il suo nome fuoriuscire dalle labbra carnose della castana.
-Io...- nuovamente le parole furono portate via con violenza dal vento risultando solo un flebile suono per la ragazza. Hinata si fermò mentre le goccioline di pioggia ritornarono a battere forti sul suo ombrello. Le nuvole si fecero più spesse in cielo e tutto parve ancora più grigio. Udì il respiro della castana farsi più irregolare e l’indecisione nel muovere nuovamente le sue labbra. Non aveva bisogno di attivare il Byakugan o di guardarla, sapeva perfettamente che il sentimento oscuro che aleggiava nel suo cuore era presente anche in quello di Tenten. Erano unite dallo stesso dolore per la perdita della stessa persona amata, ma era stata proprio quella morte che le aveva allontanate irrimediabilmente. Qualcosa tra di loro si era rotto e quella era la prima volta che si ritrovavano entrambe sole dopo il suo funerale.
-Mi dispiace- bisbigliò a labbra strette Hinata. Perché la verità era che sapeva che Tenten la incolpava per la sua morte, ma non la biasimava: non c’era giorno in cui lei stessa non si desse la colpa per aver causato la morte di quel cugino tanto amato. E a lei andava bene così perché sapere che in un altro universo le cose sarebbero potute andare diversamente faceva sentire meglio la Maestra delle Armi: perché quel giorno Hinata aveva perso suo cugino, ma Tenten l’uomo che amava.
-Mi dispiace per tutto Tenten- continuò mentre calde lacrime iniziarono a scivolare silenziose sulle sue guance ardenti. Violenti singhiozzi iniziarono a scuotere brutalmente il suo petto. La castana non si mosse reprimendo l’istinto di avvicinarsi a quella figura con cui avrebbe condiviso i demoni per tutta la vita: perché ogni volta che incontrava il suo sguardo così simile a quello dell’uomo che aveva sempre amato si sentiva morire, perché non riusciva a non rivivere nella sua mente la scena in cui lui si era sacrificato per lei regalandole un futuro felice che a lei invece era stato strappato. Si sentiva egoista e insensibile ad accusarla per la sua morte, perché era stato lui a prendere quella decisione, ma nell’angolo più remoto della sua mente ancora si domandava se le cose non sarebbero potute andare diversamente, se un lieto fine ci sarebbe stato anche per loro in un altro universo.
Poi i singhiozzi si fecero via via sempre più flebili e il respiro di Hinata sempre più regolare. Il ricordo di un’amicizia sincera che le legava venne spazzato via con violenza dalla pioggia e il vento le avvolse con forze ricordando ad entrambe che con i se e i ma non avrebbero mai cambiato il passato. Ed era inutile che si ripetessero che domani sarebbe andata meglio perché non lo avrebbe fatto.
-Dispiace anche a me- confessò Tenten abbassando lo sguardo mortificata, insicura che queste fossero le parole più giuste da dire. Un debole sorriso andò in contrasto con gli occhi ancora lucidi di Hinata: riprese a camminare silenziosa, sicura che questa volta non sarebbe più stata fermata. Sarebbe tornata il giorno dopo e lo stesso avrebbe fatto Tenten, ma quella tomba sarebbe stata l’unica cosa che le avrebbe unite.

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Capitolo 7
*** Come nelle favole ***


-Allora bambini, mettetevi seduti- una voce chiara e limpida risuonò per tutta l'aula, pochi secondi dopo che la campanella della scuola aveva riportato la fine dell'intervallo.
Himawari, stringendo ancora tra le dita un pacchetto quasi finito di caramelle (regalo di suo padre e gelosamente nascosto da sua madre), prese posto sulla sedia. La donna, che aveva appena parlato, aspettò che tutti i bambini si fossero seduti al loro posto prima di allontanarsi dalla cattedra. La Uzumaki la osservò incuriosita dirigersi verso la sua borsa ed iniziare a cercare qualcosa dentro.
-Hima- il richiamo squillante del suo nome fece distrarre la bambina.
-Posso avere una caramella?- continuò la stessa voce. Himawari fece incontrare il suo sguardo con quello del bambino: il suo vicino di banco, Roroa, la stava fissando impaziente e con le gote arrossate.
-Certo- gli rispose dolcemente allungando verso di lui una manciata di coccodrilli gommosi dai colori più disparati. Le iridi del suo compagno di classe brillarono di fronte a quell'abbondanza.
-Grazie- bofonchiò portandosene tre alla bocca ed iniziando a gustarseli con foga. Himawari non fece in tempo a rispondere che la voce della maestra ritornò a sovrastare quella degli alunni.
-Oggi ho pensato di leggere con voi una poesia- parlò donna portandosi al petto un libro. Gli sguardi dei bambini di sette anni si concentrarono curiosi sulla copertina e un mormorio entusiasta si levò per la classe.
-Si tratta di una poesia- continuò l'insegnate dirigendosi verso la cattedra.
Himawari posò stanca il mento sulla mano: i suoi occhi, azzurri come il cielo più limpido, si soffermarono a fissare il grosso orologio che svettava sopra la lavagna. Nonostante i suoi pochi anni di vita, la secondogenita di Naruto Uzumaki aveva già imparato a leggere l'orario. Si intristì nel constatare che fossero solo le due e mezza e che quindi la fine delle lezioni era ancora lontana. I suoi piedi scalpitarono e dovette sedersi composta per non cadere dalla sedia.
Quello non era un giorno come tutti gli altri e la bambina lo aspettava da settimane: quel venerdì, infatti, i suoi genitori avevano acconsentito a farla dormire a casa di suo zio. Himawari stravedeva per suo zio, ma, a causa del lavoro dell'uomo, era da quasi un mese che non lo vedeva più. In realtà non sapeva benissimo di cosa si occupasse, dopotutto era ancora una bambina, ma aveva appreso che da qualche anno l'uomo era al comando dell'azienda di famiglia e che quindi era subentrato a suo nonno.
-E di cosa parla questa poesia?- la vocina stridula di Rin, una delle sue compagne di classe, la fece risvegliare dai suoi pensieri.
-Si tratta di una poesia d'amore. Il protagonista è un pettirosso che si innamora perdutamente di una colomba e...- ma immediata una mano frenetica iniziò a sventolare a destra e sinistra. La maestra schioccò le labbra scuotendo leggermente la testa.
-Cosa c'è, Ayumi?- sospirò la donna accigliandosi. La bambina, sentendosi chiamare in causa, abbassò immediatamente la mano portandosela al volto: rosicchiò le unghie delle dita mentre ogni suo centimetro del corpo fremeva.
-Maestra- sibilò
-Che cosa è l'amore?- continuò innocentemente mentre un certo rossore animò le sue gote. Quella domanda, pronunciata con una innocenza che solo un bambino poteva avere, sembrò cogliere di sorpresa l'insegnante. La donna allontanò una ciocca dal volto scrutando i volti incuriositi dei suoi alunni.
-Qualcuno vuole per caso rispondere alla domanda della vostra compagna?- ma improvvisamente i visi si fecero tutti più pensierosi.
Himawari schiuse le labbra leggermente aggrottando le sopracciglia: immediatamente nei suoi pensieri si dipinsero le figure dei suoi genitori. Sua madre e suo padre si amavano, ma sarebbe bastato questo per spiegare cosa fosse quello strano sentimento?
-È un sentimento- provo a rispondere e immediatamente tutti gli occhi vennero puntati sulla sua figura facendola arrossire. La maestra annuì vistosamente posando il libro sulla cattedra.
-I miei genitori si amano-
-Anche I miei- un vociare indefinito si levò per l'aula e quasi tutti i bambini vollero dire la propria.
-I miei genitori invece sono divorziati, questo vuol dire che non si amano?- sospirò sconsolato Roroa abbassando il volto contornato da riccioli dorati. Sul viso della donna si dipinse un sorriso dolce mentre si fece spazio tra i banchi: gentilmente accarezzò la spalla dell'alunno.
-Vedete bambini, l'amore è un sentimento che non può essere definito così facilmente. Esistono infatti diversi tipi di amore: c'è quello che lega mamma e papà, ma anche quello che i vostri genitori provano per voi e i vostri fratelli. Anche l'amicizia che vi unisce è una sfaccettatura dell'amore- una serie di bocche si schiusero incantate di fronte a quelle parole. La donna sorrise compiaciuta iniziando a girare per i banchi, seguita fedelmente dagli occhi dei suoi alunni.
-Io voglio molto bene al mio cane-
-Io invece voglio bene alla mia vicina di casa- aggiunse una seconda voce.
-Questi sono tutti degli esempi che possono farvi capire quante sono le diverse sfaccettature dell'amore. Tutti noi abbiamo delle persone o degli animali a cui teniamo e vogliamo bene, ma è davvero difficile dire cosa l'amore davvero sia. Dovete però ricordarvi che è una delle cose più belle della vita- le parole dell'insegnante scossero non poco le menti di quei bambini.
Himawari arricciò pensierosa il naso allontanando un ciuffo corvino e ribelle dalla sua fronte: immediatamente pensò ai suoi genitori. Ne era certa, teneva tantissimo a loro. Poi però le venne spontaneo pensare a suo fratello: nonostante a volte la facesse piangere e non la coinvolgesse nei giochi con i suoi amici, lei gli voleva davvero bene. Poi pensò a sua zia Hanabi, a suo nonno e a suo zio Neji e un rassicurante calore riscaldò il suo petto. Effettivamente, si ritrovò a pensare, era davvero difficile spiegare cosa fosse l'amore.
-Maestra?- la timida voce di Rin venne udita a mala pena dalla donna che ritornò a sedersi sulla sua sedia davanti alla cattedra.
-Cosa c'è Rin?- rispose prendendo tra le mani il libro che aveva abbandonato una decina di minuti prima.
-Lei per caso ama qualcuno?- improvvisamente, all’udire quella voce angelica e innocente, lo gote abbronzate dell’insegnate si colorarono di un rosso vivo. La bottiglia, che aveva appena accostato alle labbra, ricadde rovinosamente a terra. Una tosse soffocante la colpì e i bambini si guardarono l’uno con l’altro preoccupati.
-Sto bene- disse accorgendosi dell’allarmismo che aveva coinvolto i suoi allievi. Fece un profondo sospiro mentre il suo petto ritornò a muoversi in maniera regolare. Le sue guance, però, non accennarono ad abbandonare il rossore.
-Che ne dite se iniziassimo a leggere la poesia? Roroa, vuoi iniziare tu?-
 
 
Gli occhi di Himawari brillarono alla ricerca di una figura familiare in mezzo a quel marasma di genitori e parenti: la campanella che segnava la fine delle lezioni era risuonata già da una manciata di minuti e tutte le classi si erano riversate nel cortile. I suoi compagni pian piano l’avevano salutata dirigendosi verso chi li stava aspettando ed era rimasta solo più lei. Con il petto che sembrava scoppiarle, arricciò il naso cercando di reprimere l’espressione delusa che aleggiava sul suo visino. La mano che stringeva la sua aumentò la presa.
-Stai tranquilla Himawari, sono sicura che tuo zio arriverà presto- le disse dolcemente la maestra cercando di rassicurarla. Ma il cuore della bambina oramai batteva all’impazzata e mille pensieri affollavano la sua mente: e se non fosse venuto? No, si disse mentalmente, sarebbe arrivato, dopotutto glielo aveva promesso, e lei sapeva che suo zio manteneva sempre le sue promesse. Proprio in quel momento, tra i marasma di capigliature più disparate, una lunga e folta chioma venne individuata dalle sue iridi.
-Himawari, dove stai andando?- provò a fermarla l’insegnante, ma inutilmente: la Uzumaki accennò un saluto con la mano perdendosi tra tutti quegli sconosciuti. Corse come una forsennata facendosi spazio tra un milione di gambe mentre un sorriso, sincero, si dipinse tra quei segni caratteristici che spiccavano sulle guance degli Uzumaki. Un secondo dopo, si buttò con sicurezza tra due braccia muscolose.
-Zio!- ululò di gioia affossando il volto sulla camicia bianca ed impeccabile. L’adulto la avvolse con affetto.
-Sei venuto- mormorò respirando a pieno quel profumo aspro, ma deciso che troppo le era mancato.
-Te l’avevo promesso- disse il moro sollevandola da terra e permettendo ai loro sguardi di incontrarsi. L’espressione soddisfatta della bambina si rifletté perfettamente nelle iridi perlate dell’uomo.
-Mi sei mancato tantissimo- piagnucolò cercando di reprimere, inutilmente, delle lacrime che fecero capolinea dai suoi occhi. Tirò su con il naso mentre un sorriso sereno si dipinse sulla pelle diafana dell’uomo. Era decisamente inusuale vedere delle emozioni trasparire sul volto sempre imperturbabile dello Hyuga.
-Anche tu- confessò accarezzando dolcemente la guancia della nipote. Lei arricciò il naso mentre tornò a toccare con i piedi il terreno.
-Allora, che vuoi fare? Ho preso un permesso dal lavoro e pensavo che avremmo potuto trascorrere insieme il pomeriggio, sempre che ti vada- disse l’uomo togliendo lo zainetto dalle spalle della figlia di Hinata e appoggiandolo sulle sue. I colori e i disegni infantili stonavano in maniera stravagante con il suo completo di sartoria, ma non se ne preoccupò. Poi la mano della bambina scivolò nella sua e i due si incamminarono verso il cancello di uscita.
Neji osservò il volto di Himawari contorcersi animato dai pensieri: le sue sopracciglia si mossero veloci mostrando la guerra interna che si stava svolgendo nel petto.
-Ti andrebbe di disegnare insieme?- propose finalmente dopo una decina di minuti durante i quali avevano camminato in silenzio. Lo Hyuga alzò leggermente gli angoli della bocca di fronte a quella richiesta così innocente.
-Andata- rispose e la bambina, dalla contentezza, iniziò a saltellare allegramente.
-Ma che ne dici se prima passassimo da Starbucks?-
-A prendere un frullato?- gli occhi della corvina brillarono di eccitazione.
-A prendere il frullato- acconsentì lui.
Himawari strinse con ancora più forza la mano dello zio mentre attraversarono sulle strisce. I suoi piedi si muovevano veloci, cercando di seguire quelli decisamente più lunghi del cugino di sua madre, mentre ogni suo muscolo vibrava di felicità. Già pregustava il sapore dolciastro del caramello impastarle la bocca. In realtà sua madre non era a favore delle bevande che vendevano in quella catena di caffetterie e le aveva più volte negato di andarci (a lei e a suo padre che la portava lì di nascosto). E quindi da quel giorno, dopo una buona settimana di suppliche e facendo affidamento sull’adorazione che suo zio provava nei suoi confronti, era riuscita a convincerlo a portarla lì diventando con il tempo una specie di abitudine, un segreto che i due celavano (soprattutto a sua madre che altrimenti li avrebbe sgridati entrambi).
Attentamente la bambina si soffermò a guardare il volto di suo zio: l’uomo scrutava attento ogni angolo della strada e del marciapiede come se si aspettasse da un momento all’altro qualcosa di improvviso. I suoi occhi, di un perlaceo quasi trasparente, erano contornati da leggere occhiaie e la sua bocca leggermente schiusa. La bambina si concentrò a ricordare l’ultima volta che lo aveva visto e provò a mettere l’immagine attuale con quella passata a confronto: una espressione di soddisfazione animò le sue guance constatando che non era cambiato. Gli era mancato davvero tanto in quel mese e sapere che per lui era stato lo stesso le faceva toccare il cielo con un dito.
Improvvisamente le parole della maestra le tornarono in mente: leggermente aumentò la presa tra quelle dita fredde e l’uomo le sorrise dolcemente. Un sentimento caldo e avvolgente le riscaldò il petto: lei voleva davvero bene a suo zio ed era certa che anche lui ne volesse a lei. Questa considerazione però la fece per un attimo turbare. Immediatamente ripensò a suo padre, il secondo uomo più importante della sua vita: lui aveva lei e suo fratello, ma soprattutto la mamma che lo amava. Le sue labbra schioccarono leggermente: suo zio, invece, non aveva nessuno a parte loro. Si sforzò di ricordare se lo avesse mai visto con una donna. Pranzi della domenica, Pasque, Natali: niente, suo zio era sempre venuto solo. Un dubbio la costrinse a digrignare i denti. Il ricordo del sorriso innamorato che si scambiavano spesso i suoi genitori, le affettuose carezze che suo padre era solito posare sui capelli corvini della moglie e gli abbracci che sua madre gli riservava ogni volta che tornava dal lavoro balenarono nella sua mente. Lei desiderava con tutto il cuore la felicità di suo zio: lei voleva che ci fosse qualcuna che lo accogliesse ogni qual volta che tornava dal lavoro e che lo abbracciasse quando non si sentiva tanto bene.
-Himawari, siamo arrivati- la voce bassa, ma decisa del moro la costrinse a staccarsi da quei pensieri. Sbatté con forza le palpebre per qualche minuto mentre l’insegna del bar venne messa a fuoco. Non si era neanche resa conto che si fossero fermati.
-Tutto ok?- domandò leggermente apprensivo leggendo un certo sgomento sul volto della bambina. Lei annuì e vide i muscoli dell’uomo rilassarsi.
Appena misero piede dentro, un profumo di caffè avvolse i due nuovi avventori. Nonostante fossero le cinque passate, il locale era pieno di gente, anche se qualche tavolino era ancora vuoto.
-Stringimi forte la mano e cerca di seguirmi- la ammonì suo zio facendosi spazio tra quel marasma di gente. Per fortuna la coda alla cassa non era decisamente lunga e dopo neanche dieci minuti i due poterono ordinare.
-Andiamo a sederci?- la invitò Neji stringendo tra le dita le tazze bollenti appena ritirate. Lei annuì seguendolo.
-Ci possiamo mettere qui, zio?- domandò fermandosi accanto ad uno dei tavoli centrali del locale. Un sopracciglio dello Hyuga si inarcò: aveva previsto di sistemarsi in uno dei posti più vicini alla vetrata, e più lontani dalla gente, ma gli occhioni della nipote lo stavano pregando di accettare. Sbuffò non contendo di ritrovarsi in mezzo a tutto quel vociare, ma annuì leggermente. Sua nipote gli sorrise soddisfatta e si apprestò a sedersi sulla sedia girevole di un rosso sgargiante.
-Grazie- lo ringraziò osservando la cannuccia affossare all’interno del liquido biancastro. Analizzò attentamente il latte e caramello che aveva ordinato prima di accostare le sue labbra alla plastica: un gusto dolciastro e caldo solleticò le papille gustative della bambina che emise un gemito di entusiasmo. Neji rise divertito sorseggiando il suo caffè nero e senza zucchero.
-Mi raccomando, non una parola con tua madre- la bambina annuì con convinzione, ma prima che potesse aggiungere qualcosa, il cellulare di suo zio iniziò a squillare nel taschino della giacca. La fronte del moro si aggrottò mentre i suoi occhi lessero il nome appena comparso sul display.
-Himawari- il tono di voce era autoritario e serio e la Uzumaki smise di sorseggiare la sua bevanda.
-Questa è una chiamata di lavoro molto importante che non posso ignorare, tu mi prometti che non ti alzerai da questo tavolo mentre io sarò fuori a rispondere?- le sue iridi la osservarono con forza e serietà e per un attimo la corvina ne ebbe paura. Conosceva molto bene suo zio, sapeva quanto potesse risultare a volte un uomo freddo e autoritario, ma non lo era mai con lei. Himawari, capendo l’importanza della situazione, annuì con decisione. Il sorriso sereno ritornò a rallegrare la pelle diafana dello Hyuga.
-Farò in un secondo- e, senza aggiungere altro, si alzò dirigendosi verso l’uscita. La figlia di Naruto lo osservò per un attimo disperdersi tra la gente prima di sbucare da dietro la vetrata del locale sul marciapiede. Lo osservò accostare il telefono all’orecchio mentre i suoi muscoli facciali si fecero immediatamente più tesi.
Himawari accostò la cannuccia alle labbra: succhiò un ennesimo sorso mentre il dolce del caramello le solleticò la lingua. Nonostante tutto non aveva dimenticato i discorsi che avevano affollato la sua mente e una nuova consapevolezza prese possesso del suo cervello: ci avrebbe pensato lei a trovare qualcuno che avrebbe amato suo zio tanto quanto si amavano i suoi genitori. Le parole della maestra dopotutto erano state chiare: l’amore era una delle cose più belle della vita e lei voleva solo il meglio per suo zio. Per questo aveva chiesto di sedersi in quel tavolo e non vicino agli angoli come erano soliti fare. Intorno a lei vi erano un mucchio di donne che sembravano avere la stessa età di suo madre. Avrebbe trovato facilmente una fidanzata perfetta per suo zio e i due avrebbero vissuto felici e contenti, come nelle fiabe. Certo, questo implicava che avrebbe dovuto imparare a dividerlo con un’altra donna, ma avrebbe provato per vederlo felice. Il problema era che non aveva la più pallida idea di quale sarebbe stata perfetta per lui. Non sapeva che tipo di donna potesse piacergli, ma una cosa era certa: avrebbe dovuto essere bella come sua mamma.
Gli occhi della bambina iniziarono a vagare incuriositi per tutto il locale: la gente sembrava decisamente aumentata e lei si sentiva quasi soffocare immersa tra tutti quegli sconosciuti. Si accarezzò attentamente le tempie mentre quel frastuono iniziò a farle venire mal di testa. Ad un certo punto, per puro caso, una risata attirò la sua attenzione. Una donna, seduta nel tavolo a fianco, stava ridendo e parlando animatamente al telefono.
Himawari la scrutò con attenzione: la sconosciuta aveva due grandi occhi verdi e un rossetto rosso spiccava sulle sue labbra. Ciò che però attirò immediatamente la sua attenzione furono i capelli. La donna, infatti, portava un taglio molto corto, tenuto a bada da un cerchietto. Una smorfia si dipinse tra le sue guance paffute: una delle cose che più adorava di suo zio erano i morbidi e lunghi capelli mori che lui era solito tenere in una coda bassa. La sua fidanzata, quindi, non poteva averli corti e nella sua mentre si disegnò una lunga chioma.
-No, non va bene- sospirò a sé stessa mentre un primo indizio della fidanzata ideale si delineò nella sua mente. Scartò quindi la sconosciuta e si rimise composta. I suoi denti iniziarono a rosicchiare le unghie, già estremamente corte. Immediatamente pensò a suo zio: lui non era una persona molto loquace, preferiva i silenzi alle parole e, nonostante si comportasse spesso in maniera fredda e controllata, a lei riservava sempre sorrisi sinceri e gentili, cosa che la faceva sentire speciale. Una idea le balenò in testa facendola sobbalzare. Mentalmente si diede della stupida per non averci pensato prima: la donna perfetta per suo zio avrebbe dovuto avere un sincero e allegro sorriso. Annuì compiaciuta per questa considerazione e si concesse un altro sorso del suo latte.
Attentamente i suoi occhi ripresero a scrutare gli sconosciuti che la circondavano fino a quando non si soffermarono su due figure sedute in un tavolo lontano. Era due donne, una decisamente in là con l’età, mentre l’altra era invece una ragazza dai lunghi capelli corvini: si sporse sulla sedia per vederla meglio e quasi rischiò di cadere. Era perfetta ed era davvero bellissima, quasi quanto sua madre. La scrutò chiacchierare animatamente con l’altra persona per una manciata di minuti, ma non sorrise neanche una volta. Il naso della bambina si arricciò insoddisfatto: ora era la signora anziana che stava parlando e la donna si limitava ad annuire con vigore. Ad un certo punto però gli angoli della sua bocca si alzarono e una strana espressione si dipinse sul volto: Himawari corrugò la fronte di fronte a quello che sembrava tutto tranne un sorriso. Non era sincero, lo trovò decisamente falso e forzato, ma solo lei parve accorgersene. L’interlocutrice della donna, infatti, non ci fece affatto caso e continuò a parlare animatamente.
-Non va bene neanche lei- sbuffò Himawari tornando a risedersi composta.
Non pensava che la ricerca sarebbe stata così ardua. Certo, se avesse avuto più indizi su chi cercare il tutto sarebbe stato più semplice, ma così non era. Con forza richiuse gli occhi concentrandosi sulla figura dei suoi genitori: sua madre era molto bella con lunghi capelli corvini e un sorriso dolce e premuroso che la faceva sentire meglio anche quando vi erano i tuoni che la spaventavano tanto. Si sforzò di capire cos’altro piacesse tanto a suo padre di lei. I due avevano interessi decisamente diversi: sua madre preferiva trascorrere del tempo a casa a cucinare e a dipingere mentre suo padre preferiva passare il suo tempo libero all’aria aperta. Erano completamente all’opposto, ma vi era una cosa che li univa: una volta al mese uscivano un sabato sera per andare a mangiare al ristorante preferito di suo padre, dove assaporavano il loro piatto preferito, il ramen. Il proprietario del locale, Teuchi, una volta le aveva confessato che proprio sua madre aveva vinto il record del maggior numero di tazze di ramen mangiate in un’ora battendo miseramente il marito.
Un lampo di genio le fece brillare gli occhi: la fidanzata perfetta per suo zio avrebbe dovuto avere almeno un interesse in comune con lui. Il problema ora era capire quale. Suo zio trascorreva la maggior parte del suo tempo al lavoro e, nelle poche ore libere, veniva a casa loro a giocare con lei e Boruto. Vi era una cosa che però adorava fare, soprattutto dopo pranzo: leggere. Nel salotto dell'uomo infatti vi era una parete interamente occupata da una libreria piena di libri. Un sorriso soddisfatto svelò il buco in bocca che aveva da pochi giorni dopo aver perso il suo primo dente da latte. In realtà non sapeva quali fossero i generi preferiti dal cugino di sua madre, di solito leggeva libri estremamente spessi e pieni di parole che lei non capiva, ma non considerava questo un problema. Era talmente immersa nei suoi pensieri che non notò minimamente che il locale si era svuotato e il vociare si fece decisamente più basso. In effetti le tempie le dolevano meno, ma non ci poté pensare oltre poichè la porta si aprì e un vento freddo, di fine autunno, la fece rabbrividire. Una donna dalla lunga chioma rosso fuoco, che le ricadeva sulle spalle, entrò con passo svelto. Lo sguardo di Himawari si illuminò notando quanto fosse bella e ben vestita. Aveva un elegante completo, molto simile a quello che indossava suo zio, e delle scarpe nere con dei tacchi altissimi: eppure si muoveva leggiadra evitando le persone nel locale. La osservò dirigersi verso la cassa, ma purtroppo la perse di vista. La corvina si morse con forza il labbro, ma non si alzò: l’ordine di suo zio le risuonò in testa come un avvertimento. Non poteva disubbidire alle sue raccomandazioni, glielo aveva promesso, eppure quella sconosciuta sembrava perfetta e non poteva rischiare di farla andare via così. Un secondo dopo era in piedi e si diresse sprezzante a grandi passi in direzione del bancone: per sua fortuna la donna era lì, ad aspettare la sua ordinazione. La scrutò sorridere al cameriere che prese dalle sue mani lo scontrino prima di iniziare a preparare ciò che aveva ordinato. Un sussulto di gioia la fece vibrare osservando il sorriso gentile e cordiale che la sconosciuta riservò al ragazzo. Ora, rimaneva forse solo lo scoglio più difficile: sapere se le piacesse leggere. Intanto le dita della donna si avvolsero intorno alla tazza, ricolma di quello che sembrava un frullato di fragole, e ringraziò il cameriere. La vide scrutare la sala con attenzione: la paura la fece rabbrividire sperando che non decidesse di uscire dalla caffetteria. Mosse un passo, non sapendo neanche lei come comportarsi, quando il volto perfettamente truccato della sconosciuta si rilassò. A passo lento e sinuoso si diresse verso un tavolino vuoto, in uno degli angoli del locale. Himawari, reprimendo un urletto di gioia, la seguì cercando di non farsi vedere. La donna si sedette su una sedia appoggiando la bevanda e la sua borsa sull’altra sedia libera e iniziò a cercare qualcosa dentro di essa: un paio di secondi più tardi tirò fuori un libro dalla copertina rosa e lucida. Una esplosione di felicità fece saltare Himawari. Era lei, era perfetta: quella sarebbe stata la donna che avrebbe amato suo zio per sempre. Così, proprio come nei cartoni che lei tanto adorava, i due avrebbe vissuto per sempre felici e contenti. E innamorati, aggiunge mentalmente.
Non le sembrava ancora vero di essere finalmente riuscita nella sua impresa. Ora non restava che farli conoscere, ma lei era sicura che, appena si sarebbe visti, un colpo di fulmine si sarebbe instaurato tra i due. E così sarebbe stato l’inizio perfetto della storia perfetta. Con questa convinzione si diresse sicura verso il tavolo della donna: si sentiva carica ed euforica e le sembrava di camminare sulle nuvole. Era a pochi passi dalla sconosciuta quando si fermò all’istante. Una terza figura, che lei non aveva notato prima, fu più veloce e si accostò alla donna dalla folta capigliatura. Himawari osservò sbigottita il nuovo arrivato salutare cordialmente la rossa e un enorme sorriso, niente a che vedere con quello che poco prima aveva riservato al cameriere, illuminò il volto di entrambi. Poi, come neanche nei suoi peggiori incubi avrebbe potuto immaginare, l’uomo posò le labbra su quelle della donna prima di accomodarsi accanto a lei. Una fitta al cuore accompagnò la distruzione di tutti i progetti che la Uzumaki aveva già pianificato: la figura della donna, vestita in abito da sposa bianco, che sorrideva felice accanto a suo zio si cancellò e il volto dello sposo cambiò. Questa volta era il sorriso di quello sconosciuto che si rifletteva nelle iridi della rossa e che la stringeva verso l’altare. Le lacrime iniziarono a farsi sempre più insistenti e a farle bruciare gli occhi. Non poteva essere vero: la donna era perfetta per suo zio, era la sua anima gemella e non poteva baciare qualcun altro. Qualcosa, però, ruppe irrimediabilmente i suoi progetti: due anelli dorati, nel dito anulare sinistro, brillavano in entrambe le mani di cui due sconosciuti, gli stessi che aveva sempre visto in quelle dei suoi genitori. Quella donna, quindi, era già sposata e lo sposo non sarebbe mai potuto essere suo zio.
Questo era troppo da sopportare e calde lacrime iniziarono a scorrere veloci sulle guance paffute della corvina. Istintivamente iniziò a correre mentre forti singhiozzi le scossero violentemente le spalle: pensava di avercela fatta, di aver trovato l’anima gemella di suo zio ed invece quella era l’anima gemella di qualcun altro. Non fece in tempo a continuare questo pensiero che andò a sbattere contro qualcosa, o per meglio dire qualcuno. Senza neanche accorgersene ricadde pesantemente su terreno sbattendo violentemente la coscia sinistra. Una forte fitta la costrinse ad urlare mentre le lacrime smisero di rigare le sue gote.
-Oddio, stai bene?- il dolore era talmente forte che quelle parole risuonarono lontano e senza senso. Gli occhi erano ancora serrati con forza e lo spavento la stava facendo tremare con una foglia. Le sue labbra si schiusero, come per cercare di dire qualcosa, ma improvvisamente una mano calda le si posò sul braccio facendola riprendere.
-Himawari, ti senti bene?- il suo nome parve come risvegliarla. Con ancora il cuore in gola si sforzò di socchiudere le palpebre mentre tutto iniziò a farsi più nitido: individuò una serie di sconosciuti che, radunati in un cerchio attorno a lei, la fissavano preoccupati, ma nessuno di loro le era familiare. Per un attimo si chiese se non si fosse immaginata la figura che aveva pronunciato il suo nome.
-Himawari?- finalmente la bambina si rese conto che non era l’unica ad essere sul pavimento: due occhi castani, familiari, ma preoccupati, la stavano fissando con insistenza.
-Maestra- bisbigliò più scioccata di vedere quella figura, che aveva sempre visto a scuola, lì che per la caduta. La donna annuii e sospirò sollevata.
-Ti senti bene? Ti sei fatta male nella caduta?- le domandò e la bambina, ancora confusa, scosse debolmente il capo.
-Te la senti di alzarti?- e nuovamente si limitò ad annuire. Dolcemente le mani della donna si chiusero intorno ai gomiti della bambina e, attente a non usare troppo forza, la aiutarono ad alzarsi. Il dolore alla coscia era ancora talmente forte che le causò una smorfia di dolore, ma Himawari non si lamentò e, a fatica, ritornò ad appoggiare le piante dei piedi al terreno.
-Mi sono presa un bello spavento- confessò la maestra facendo combaciare i loro sguardi. Poi, prima che le labbra della Uzumaki potessero schiudersi, la avvolse tra le sue braccia: l’agrumato profumo dei capelli della maestra la avvolsero mentre la lunga chioma castana, che ricadeva sulle spalle della donna, le solleticò il naso. Si godette quel gesto così amorevole e materno senza fiatare mentre le lacrime, che minacciavano di scendere nuovamente copiose, vennero scacciate via con forza. In realtà non aveva mai notato come fossero morbidi e profumati i capelli della maestra.
-Himawari!- il suo nome, questa volta pronunciato da una voce decisamente più profonda ed allarmata, rimbombò per tutto il locale. La figura di suo zio si fece spazio con forza in mezzo alla folla, che iniziò a diradarsi da intorno alla bambina e all’insegnate.
-Stai bene? Sei caduta?- le domandò ansioso notando che sul pavimento era riversato del liquido e che i pantaloni della bambina erano completamente zuppi. Era talmente tanto preoccupato che non fece neanche caso alla figura accanto alla bambina.
-Sto bene zio, non preoccuparti- ma le sue parole non fecero scomparire l’espressione allarmata sul volto del moro, ma anzi, la fecero trasformare in una più dura.
-Mi hai molto deluso, Himawari. Ti avevo detto di non allontanarti dal tavolo e mi sono preoccupato quando non ti ho più visto- la sgridò. Un senso di vergogna assalì il petto della corvina che, mortificata, abbassò il capo. Non era mai stata sgridata in quel modo da suo zio e si sentiva un verme ad avergli disobbedito. Non voleva farlo stare male, ma non sapeva cosa dire. Per fortuna ci pensò qualcun altro a distendere il clima.
-Suvvia, non sia così duro con Himawari. L’importante è che sia sana e salva- disse con tono pacato la maestra rialzandosi dal terreno: un sopracciglio contrariato si incurvò sul volto di Neji mentre la sconosciuta fissò i suoi vestiti. La sua camicia era macchiata con un liquido nero e lo stesso valeva per i pantaloni da corsa che mal si abbinavano alla parte superiore. Una smorfia si dipinse sul volto dello Hyuga, ma la castana non ci fece caso. Raccolse i suoi lunghi capelli castani in una coda alta e si chinò a raccogliere il cellulare da terra.
-Giusto?- mormorò questa volta rivolta all’allieva. Un sorriso dolce e sincero venne riflesso nelle iridi azzurre della bambina che si sentì un po’ meglio.
-E lei chi sarebbe?- il tono, leggermente maleducato e freddo del moro, sovrastò il frastuono del locale. L’espressione allegra dell’insegnate però non scemò e anzi, venne rivolta questa volta all’altra figura adulta.
-Oh, mi scusi, che maleducata a non essermi presentata. Sono la maestra elementare di Himawari nonché la malcapitata che con cui si è accidentalmente scontrata mentre correva. Lei invece...- la donna si prese alcuni secondi per osservare con insistenza la figura di Neji senza un minimo di imbarazzo.
-Deve essere lo zio di Himawari-
-Esatto- rispose secco lo Hyuga non ricambiando il tono cordiale con cui parlava la donna. La piccola Uzumaki deglutì a fatica.
-E vorrei scusarmi per il comportamento di mio nipote- questa volta le parole che fuoriuscirono dalle labbra sottili di Neji erano decisamente più gentili e sincere. Allungò una mano davanti a lui e la maestra la strinse con gioia.
-Stia tranquillo, anche io ero distratta e non l’ho vista; quindi, diciamo che la colpa di entrambe- disse accompagnando queste sue parole da un occhiolino in direzione di Himawari che si lasciò sfuggire una risata divertita. Una occhiata di rimprovero di Neji, però, cancellò immediatamente qualsiasi segno di ironia dal volto della bambina. 
-Era immersa nella lettura e non stavo facendo caso a dove camminavo- continuò la castana chinandosi a raccogliere da terra l’oggetto precedentemente accennato. Una espressione sorpresa si dipinse sul volto di Himawari e questa volta anche su quello dello Hyuga. Gli occhi perlacei si soffermarono sulla copertina, leggermente bagnata.
-La maschera di Apollo?- quelle poche parole sfuggirono senza controllo dalle labbra del moro. La maestra lo fissò interrogativa.
-Sì, perché?- rispose mentre la corvina constatò che quello fosse il titolo del libro.
-È uno dei miei libri preferiti- spiegò Neji ritornando impassibile in volto. Himawari sgranò gli occhi dalla sorpresa: effettivamente la maestra spesso portava dei libri a scuola, come quello sulla poesia sull’amore di quel pomeriggio, e adorava farli leggere. Eppure, non aveva mai collegato che la sua insegnante amasse la lettura. Anche la donna rimase leggermente sorpresa dalla confessione dell’uomo e assottigliò gli occhi.
-Davvero? Beh, è anche il mio- sussurrò lasciando che le ultime goccioline cadessero dalle pagine ingiallite del libro. Himawari spostò il suo sguardo in direzione dello zio, ma rimase turbata da quello che vide: una espressione enigmatica animava la pelle diafana del moro e le sue labbra erano leggermente socchiuse. Il suo sguardo, però, era fisso sul volto della castana. La bambina era certa di non aver mai visto suo zio comportarsi così: di solito sapeva sempre cosa dire eppure, di fronte alla sua insegnante, sembrava quasi intimorito di aprire bocca quasi fosse affascinato. I suoi muscoli facciali si rilassarono mentre una idea si delineò nella sua testa.
-Le ricomprerò il drink- disse suo zio con decisione. La donna, che per tutto il tempo aveva ignorato, e non disdegnato, lo sguardo insistente dell’uomo sulla sua figura, smise di asciugare il libro e lasciò che un allegro sorriso si dipingesse sul suo volto.
-Oh, non c’è bisogno-
-Insisto, è stata mia nipote a farle cadere la bevanda- la maestra incrociò le braccia al petto divertita da tutta quella situazione. Poi, schioccò le labbra.
-Beh, non sarò certo io a dire di no ad una bevanda offerta- disse chinandosi a raccogliere la tazza in cartone oramai praticamente vuota. Suo zio osservò attentamente la bevanda riversa sul pavimento e che lambiva le sue scarpe di cuoio: gli angoli delle labbra si alzarono leggermente.
-Caffè nero?- disse e la castana annuì.
-E senza zucchero?- gli occhi di Himawari brillarono di fronte a quel semplice scambio di parole. Pendeva dalle labbra dei due adulti e scalpitava nel sentire quali sarebbero state le prossime parole a fuoriuscire.
-In realtà una bustina ce la metto sempre, la vita è già abbastanza amara, non crede?- una espressione divertita solleticò i muscoli facciali di Neji: quella sconosciuta aveva sempre la risposta pronta e questo... gli piaceva. Fece un leggero inchino, cosa che stuzzicò ulteriormente la donna, ma non si mosse.
-Glielo vado a prendere subito, signorina...?-
-Tenten, e la prego di usare solo il mio nome di battesimo. L’appellativo di signorina mi viene affibbiato solo più dal parroco del mio paese- rispose la donna soffiando via dal volto una ciocca fuoriuscita dalla sua acconciatura improvvisata. Suo zio annuii debolmente, lasciando che i loro sguardi si specchiassero l’uno nell’altro per ancora una manciata di secondi, prima di dirigersi verso il bancone. Himawari ne fu certa, sul viso di suo zio era apparso un accennato sorriso.
-Maestra?- domandò alla donna oramai rimaste sole. La castana, che aveva seguito con lo sguardo il moro e aveva una strana espressione difficile da decifrare, la fissò dolcemente.
-Aveva ragione lei, l’amore è una delle cose più belle al mondo- le bisbigliò all’orecchio mentre la figura di suo zio vestito da sposo ritornò a lampeggiare nella sua mente. Accanto a lui la chioma rossa sparì all’istante lasciando posto ad un viso su cui spiccavano due occhi marroni, come quelli di un cerbiatto. Forse la sua missione non era stata un fallimento totale.

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Capitolo 8
*** Galanteria ***


-Non eri tenuto a riportarmi a casa- le parole improvvise di Tenten spezzarono il più completo silenzio che aleggiava nel villaggio di Konoha. Solo la Luna, alta e luminosa in cielo, aveva osservato silente i due ragazzi camminare per le vie buie della città. Neji non rispose immediatamente e lasciò, per alcuni istanti, che solo il rumore della ghiaia calpestata dai loro piedi risuonasse nelle loro orecchie.
-Non ritengo che sia abbastanza sicuro per te camminare per Konoha dopo la mezzanotte- ribatté il ragazzo impassibile e mantenendo una camminata regole.
-Perché sono una ragazza?- mormorò confusa la castana alzando un sopracciglio.
-O forse perché ritieni che, nonostante io sia una Jonin, non sia abbastanza forte da poter combattere contro un malintenzionato?- questo suo commento le uscì con un tono irritato, cosa che non sfuggì allo Hyuga.
-Non è per questo- disse freddo e lasciando che i suoi occhi madreperla si perdessero nel cielo stellato. Tenten, all’udire quelle parole, si fermò all’istante.
-E allora qual è il motivo?- replicò infastidita e incrociando le braccia al seno. Il suo sguardo ricadde sul volto di Neji.
-Mi è stato insegnato sin da piccolo che riaccompagnare una donna è un gesto che ogni uomo dovrebbe fare, soprattutto se è buio- rispose ignorando completamente gli occhi indagatori della castana sul suo viso, occhi attenti ad ogni sua minima espressione.
-Un po’ maschilista come cosa- borbottò la castana, che colmata la sua curiosità, riprese a camminare verso la sua abitazione sempre più vicina. Il silenzio, nuovamente, calò tra i due.
-Bene- sbottò pochi metri dopo.
-Sono arrivata a casa sana e salva e, come immaginavo, nessun maniaco mi stava aspettando dietro l’angolo- bisbigliò divertita aprendo il cancello di casa. Neji alzò un sopracciglio infastidito dalla sua ilarità.
-Beh, magari il maniaco aveva previsto che come sempre mi avresti riaccompagnata a casa dopo gli allenamenti e ha ben deciso di aspettarmi dentro casa. Però a quel punto io dovrei cavarmela da sola e non so se riuscirei a farcela essendo solo una donna- continuò non badando affatto alla contrarietà dello Hyuga.
-Tenten, non è divertente- rispose lui con severità come un padre con una figlia, ma queste sue parole non fermarono l’espressione sorniona dipinta sul volto della ragazza.
 -Dillo Neji, sto aspettando- disse sempre più divertita fissandolo con decisione. Il ragazzo roteò gli occhi leggermente irritato da tutta quella sceneggiata.
-Non hai bisogno che nessuno ti protegga perché sei una Jonin molto abile- un sorriso soddisfatto e vittorioso si dipinse sul volto di Tenten. Neji serrò le labbra con forza come se questa recita della castana fosse qualcosa di troppo infantile per lui.
-E?- continuò la Jonin facendo un passo verso di lui in maniera tale che i loro corpi fossero a meno di un metro di distanza. Ma questa volta Neji non parve capire cos’altro lei avrebbe voluto che lui dicesse e permise, finalmente, ai suoi occhi chiari e quasi trasparenti di specchiarsi in quelli dolci e allegri della sua migliore amica.
-E se hai voglia di passare del tempo in più solo con me senza il Maestro Gai o Lee basta chiedermelo- mormorò con le gote leggermente arrossate. Poi, senza lasciare tempo di pensiero al giovane Hyuga, sfiorò con decisione la guancia pallida del ragazzo con le sue labbra.
-Buona notte Neji, ci vediamo domani- sussurrò con voce strozzata dall’imbarazzo correndo verso la sua abitazione e richiudendo con velocitò la porta dietro di lei. Neji osservò immobile i capelli castani scomparire dalla sua vista mentre, istantaneamente, sfiorò la guancia baciata. Solo la Luna, alta e fiera nel cielo, si beò del raro sorriso dolce che illuminò il viso dello Hyuga.

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Capitolo 9
*** Sconosciuti ***


Anche quel tardo pomeriggio Londra stava dimostrando che le voci sul suo terribile e uggioso clima non erano infondate: la pioggia cadeva veloce ed imperturbabile e le nuvole creavano una barriera impenetrabile per qualsiasi raggio del sole.
Due occhi, di un bianco brillante quasi trasparente, si riflettevano perfettamente sul finestrino posteriore. Le sue iridi si mossero veloci, quasi volesse analizzare ogni singolo dettaglio, mentre una voce entusiasta proveniva da poco lontano da lui, precisamente dal sedile del guidatore.
-Che ore sono?- chiese ad alta voce il guidatore privando lo Hyuga della concentrazione che stava riservando al paesaggio che li circondava. Un sonoro sospiro fuoriuscì spontaneo dalle sue labbra sottili, ma si perse senza essere udito dall’altra persona presente.
-Sono sempre le cinque, lo stesso orario che ti avevo detto due minuti fa- la risposta gli fuoriuscì acida e spigolosa, ma non intaccò minimamente l’allegria di Rock Lee.
-Oh, non essere così noioso, Neji!- lo beccò il ragazzo dagli occhi neri come la pece che si specchiarono in quelli completamente opposti del moro.
-E smettile di tenere il muso, lascia anche tu che la giovinezza scorra nelle tue vene! Oggi è un giorno speciale, dobbiamo festeggiare- esultò con un sorriso accecante in netto contrasto con la smorfia presente sulla pelle diafana. Un sopracciglio si inarcò leggermente sul viso tirato dello Hyuga che non si mosse. Rock Lee, come se li avesse letto nel pensiero, ritornò a riservare la sua più completa attenzione alla strada grigia e bagnata mentre un chiacchiericcio ritornò a muovere le sue labbra.
Neanche Neji riusciva a darsi una risposta su come, il suo migliore amico, fosse riuscito a convincerlo ad uscire quel pomeriggio. Era atterrato in Inghilterra, sua terra natia, da neanche due giorni e aveva trascorso quasi tutto il tempo con la sua famiglia: non vedeva suo zio e le sue cugine da Natale, quindi oramai da sei mesi, eppure quella mattina Rock Lee si era presentato alla sua porta con in mano una valigia e nell’altra le chiavi della macchina. Lo aveva bombardato con parole in merito ad una laura riguardante una certa Tenten, gli aveva accennato che dovevano assolutamente partire il prima possibile per la Cornovaglia ed infine, neanche si ricordava come, si era ritrovato a sedersi sul sedile dei passeggeri nella macchina sgangherata del suo migliore amico. Tutto questo oramai cinque ore prima.
-Non è meraviglioso?- tuonò il ragazzo dalla capigliatura nera come la pece alludendo al paesaggio verde che quella terra, nonostante l’acquazzone, stava offrendo loro. Neji si limitò ad emettere un flebile suono gutturale che bastò a rassicurare Rock Lee che lo stesse ascoltando ed infatti quello riprese a parlare. Erano entrati in Cornovaglia da una mezzoretta abbondante e questo significava che la loro meta era sempre più vicina.
Un sospiro appannò leggermente il finestrino. Lui non aveva la più pallida idea di chi fosse quella Tenten e non era certo che a quella ragazza sarebbe andata a genio la presenza di uno sconosciuto, la sua, in un giorno così importante come la fine degli studi. Aveva provato ad esporre questo pensiero all’amico, ma lui l’aveva liquidato con poche parole accennando al fatto che alla sconosciuta non sarebbe importato.
A esser sincero quella non era stata la prima volta che aveva Rock Lee gli aveva parlato di quella Tenten: da quando le strade dei due amici si erano divise, con Neji che era stato accettato in una prestigiosa università a New York e Rock Lee che aveva intrapreso la carriera di judoka professionista, la figura di quella ragazza era diventata una presenza fissa nella vita della Bestia Verde. Si erano conosciuti quasi per caso, Neji era certo che Rock Lee gli avesse accennato più e più volte del loro primo incontro, ma lui l’aveva ovviamente dimenticato, e l’amico non la smetteva di elogiarla e nel confessargli che non vedeva l’ora che loro due si incontrassero. Fortuitamente questo incontro non era mai avvenuto in quei sei anni poiché la giovane aveva deciso di abbandonare la carriera da professionista nelle arti marziali e si era iscritta ad una facoltà di lettere, da qualche parte in Inghilterra.
-Siamo arrivati!- trillò con uno squillo la voce allegra di Rock Lee e, ignorando qualsiasi cartello stradale, girò il volante per entrare all’interno di un enorme cancello. No, Neji si appuntò mentalmente, la pessima e spericolata guida del suo migliore amico non gli era per niente mancata in questi anni.
-Wow, Tenten mi aveva accennato che la sua Università era enorme, ma non pensavo fosse così!- continuò parcheggiando in uno dei tanti posti liberi del parcheggio dell’Università. Neji strinse le labbra con stizza, ma non fiatò: si limitò a prendere il cappotto nero che aveva abbondato molte ore prima mentre il guidatore, più veloce, aprì la sua portiera ed estrasse un ombrello. Nonostante gli innumerevoli chilometri percorsi, il brutto tempo sembrava averli seguiti.
-Su forza, andiamo! La cerimonia inizierà a breve!-
 
 
Neji dovette riconoscere che Rock Lee aveva ragione. L’architettura di quella Università era davvero invidiabile. Aveva sempre amato l’arte, ma, soprattutto spinto da suo zio, alla fine si era deciso ad intraprendere una strada diversa. Ora, laureato in Economia e Management Aziendale da più di tre anni, era in procinto di prendere in mano la direzione della filiale americana dell’azienda di suo zio. Aveva fatto e concluso la giusta gavetta che gli toccava, ma, come gli ripeteva sempre il fratello di suo padre, finalmente era giunto il momento di mostrare di che pasta fosse fatto.
I leggeri tacchi delle sue scarpe risuonarono con forza sulle pietruzze del grande cortile: incuriosito, e ristorato dal trovarsi finalmente da solo e in silenzio, lasciò che il suo sguardo ricadesse sulla grande statua che spiccava al centro. In realtà l’alto uomo, dalla capigliatura disordinata e il viso estremamente allungato, non li era per niente familiare e non aveva la più pallida idea di chi fosse. Forse, pensò, era il fondatore di quella Università, ma ogni suo dubbio venne spazzato via quando una targa d’oro, proprio ai piedi della statua, brillò nelle sue iridi.
-Alessandro Manzoni- lesse lasciandosi sfuggire quelle poche lettere dalle labbra strette. Una espressione dubbiosa animò le sue labbra mentre uno starnazzare, sempre più forte e vicino, squarciò via il silenzio del cortile.
Un gruppo di ragazzi, quasi tutti della sua età, fuoriuscì dall’edificio accompagnato da una serie di schiamazzi ed applausi: oramai, da più di un quarto d’ora, la pioggia aveva smesso di ricadere eppure lo Hyuga si ritrovò a desiderarla nuovamente, così almeno avrebbe fatto desistere quel gruppo di sconosciuti dall’infastidirlo con i loro semplici festeggiamenti.
Stringendo con forza le labbra e riacquistando la sua solita espressione neutrale, rifece cadere il suo sguardo sulla targhetta d’ottone. Nonostante fossero riportate la data di nascita e di morte di quell’uomo, non vi era alcun riferimento su chi fosse stato costui in vita.
-Alessandro Manzoni- un cipiglio si alzò automaticamente sulla sua pelle diafana all’udire quella voce estranea.
-Si tratta di uno degli scrittori italiani più talentuosi che sia mai esistito. La sua fantasia e la sua passione per la scrittura gli hanno fanno produrre centinaia di opere tra cui è impossibile non citare “I Promessi Sposi”- continuò la voce, femminile e divertita, mentre un serie di passi accompagnarono queste sue parole.
-Se posso essere onesta con lei le consiglierei di leggerlo: la storia di Renzo e Lucia è una delle mie preferite- e finalmente, sotto lo sguardo accigliato dello Hyuga, una figura estranea si mostrò. Ciò che però rapì immediatamente l’attenzione di Neji fu l’enorme sorriso, sincero e genuino, che spiccava su quella pelle abbronzata.
-Mi scusi se ho interrotto il suo flusso di pensieri, ma non è il primo che rimane incuriosito dalla statua del grande Alessandro Manzoni. Il Preside, dell’epoca in cui fecero erigere questa Università, era innamorato della letteratura italiana e dei suoi esponenti, ma non pensò neanche per un secondo che purtroppo qui in Inghilterra non è molto conosciuta e che per la maggior parte degli anglofoni il nome, Alessandro Manzoni, non risulta per niente famigliare- continuò la castana incrociando le braccia dietro la schiena e lasciando che la toga, di un bianco brillante, le ricadesse in maniera sgraziata sulle braccia. I suoi occhi, di un marrone caldo ma brillante, lo fissavano senza vergogna e per un attimo il vociare festoso per Neji si fece sempre più lontano.
-Comunque sono Tenten Ama mentre tu devi essere l’imbucato che ha assistito alla mia cerimonia di laurea senza neanche conoscermi- un leggero rossore, appena accennato, colorì le guance diafane dello Hyuga, cosa che non sfuggì alla sua interlocutrice: un sorriso furbo animò le sue gote aranciate.
-Sono io, piacere Neji Hyuga- la voce gli uscì estremamente tremante ed incerta e il moro si diede dello stupido per questo. Velocemente allungò la mano davanti al suo petto mentre un vento, freddo e gelato, scompigliò la frangetta della sua interlocutrice.
-E volevo anche scusarmi per aver preso parte a questo tuo evento così speciale senza avvertire- un guizzo animò le iridi color cioccolato della laureata. Impassibile fece scendere il suo sguardo sulla mano che ancora attendeva di essere stretta ed infine ritornò su quei due occhi così unici. Si inumidì leggermente le labbra e a Neji risultò completamente impossibile leggere sul viso abbronzato quali fossero i pensieri che animavano la sua mente.
-Accetto le sue scuse- mormorò facendo scivolare veloce la sua mano, calda, tra quella ghiacciata dello Hyuga.
-E comunque lo sapevo benissimo che sarebbe venuto. Rock Lee mi ha raccontato tutto di lei negli ultimi sei anni e devo ammettere che aspettavo impaziente il momento in cui l’avrei incontrata- gli angoli delle labbra di Neji si innalzarono involontariamente.
-Anche se non pensavo fosse di così bello aspetto- concluse mentre una espressione maliziosa si dipinse sul suo volto abbronzato. I muscoli in tensione dello Hyuga si rilassarono all’instante di fronte a quelle parole così sprezzanti ed inattese, ma le sue labbra non furono abbastanza veloci nel muoversi.
-Tenten, vieni che stiamo facendo le foto- una voce richiamò l’attenzione della castana mentre il suo sorriso divertito non scemò per neanche un istante. Si rimise in testa la corona d’alloro mentre dei boccoli appena accennati le ricaddero sulle spalle.
-Ora devo proprio lasciarla, signor Hyuga, ma spero che la prossima volta che si rincontreremo potremmo almeno darci del tu- e, in maniera poco femminile, si congedò con un leggere inchino prima di iniziare a correre in direzione dell’ingresso dell’Università. Neji la osservò completamente imbambolato incespicare sui tacchi mentre la toga sembrava solo di impaccio nella sua corsa fluida. Ad un certo punto, quando delle prime goccioline iniziarono nuovamente a cadere dal cielo, si fermò facendo guizzare veloce il suo sguardo sulla figura del moro.
-Dopo la cerimonia ho organizzato una festa qua vicino, Rock Lee conosce l’indirizzo, e spero vivamente di vederti- fece un primo passo, ma si bloccò nuovamente.
-Ah, e questa volta non hai bisogno di imbucarti-

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