Two sides of the same coin

di Giughi10
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La brina aveva coperto la piana, sotto una pallida luce grigia. Le bandiere, a mezz'asta, erano gonfiate dal vento gelido. Il sarto aveva adattato in fretta e furia una divisa per lui, di un opaco velluto nero, con lo stemma reale ricamato in azzurro sul petto: i decori lungo le maniche e il bordo erano stati tagliati e non vi era stato il tempo di ricamarli nuovamente. Lui trovava che fosse meglio così. Raggiunse gli altri scudieri nel giardino anteriore del castello. Il sottile strato ghiacciato scricchiolava sotto gli stivali in maniera sottilmente fastidiosa. Il maestro gli pose una mano sulla spalla prima di raggiungere i suoi commilitoni disposti in due ali ai lati del portone. Si stava svolgendo il funerale della regina ma al di là delle spesse mura di pietra non trapelava un suono. Una settimana prima si era diretta con la sua guardia alla sorgente di Ranel per pregare. Lungo la via del ritorno erano stati aggrediti dagli Yiga, che avevano sterminato tutti. Ricordava ancora il corvo a cui avevano legato quella lunga pergamena rossa, le giravolte che aveva elegantemente compiuto attorno alle torri, prima di appollaiarsi nella piccionaia. Era tornato agli allenamenti, fino a quando non aveva sentito la notizia girare velocemente di bocca in bocca. "Il re ha ordinato di andare subito a recuperare i corpi dei caduti. Preparate due carri e salite in sella." Si era sorpreso quando non era riuscito a piangere. La regina era morta, e con lei tutti gli uomini della sua guardia, compreso il comandante, suo padre. Il pianto lo aveva raggiunto solo nella camerata, nel silenzio soffocante della notte. Sollevò il viso ad osservare le nuvole che incupivano il cielo da un orizzonte all'altro. Il dolore non si era placato, le lacrime non erano state sufficienti. Strinse i pugni, ignorando quel fastidioso nodo alla gola. Non gli avevano permesso di vedere il suo corpo, solo il volto, prima di vestirlo per la sepoltura. Lo avevano lavato dalla terra e dal sangue, avevano cercato di ridare colore alla pelle cerea. Anche da morto suo padre esprimeva la stessa nobiltà che da vivo, ma senza il sorriso caloroso e disponibile. Le campane suonarono lugubri nel mattino immobile. Con la coda dell'occhio vide il popolo radunatosi al di là del cancello, prima che il portone venisse aperto. Si inginocchiò mentre il corteo funebre portava fuori la bara reale. Sapeva che da tempo i reali avevano deciso come sarebbero apparse le loro sepolture: nel marmo sarebbero state scolpite le piante e gli animali di ogni angolo di Hyrule, insieme alle genti che popolavano quei luoghi. Cercando di non farsi notare osservò le principessa serena decorare le cascate degli Zora, con cervi e cinghiali che spuntavano tra gli alberi e i bassi cespugli di fragole e lamponi. Fece appena in tempo ad abbassare nuovamente lo sguardo, prima che il sovrano si fermasse. "Link, mi dispiace per la tua perdita. Tuo padre era un uomo valoroso." Si inumidì di nascosto le labbra: "Maestà, il mio cuore piange per la nostra amata regina: mio padre è morto proteggendola, come era suo dovere. Spero solo di potervi servire con uguali fedeltà e sacrificio." Non aveva osato muoversi quando la mano del sovrano gli aveva scompigliato i capelli. "Mi dispiace, ragazzo." ripeté. Riprese a camminare: dietro di lui veniva la giovane principessa con la sua balia, i capi delle varie razze e tutta la corte. Non poté trattenersi dallo studiare la bambina: le tremava piano il labbro e gli occhi erano rossi e gonfi. Stringeva la mano della tutrice nelle proprie. 

La camera era avvolta dal crepitare del fuoco nel caminetto. Era seduta sul tappeto davanti alle fiamme, dando la schiena alla finestra chiusa. Sentì dei colpetti contro il vetro e sussultò spaventata. Dopo qualche secondo si ripeterono. Andò curiosa a sbirciare tra le tende. Esclamò spaventata quando vide un ragazzino inginocchiato sul davanzale: aprì senza nemmeno pensarci e il giovane balzò all'interno. Alla luce del fuoco ne notò i capelli biondi e la divisa da soldato. "Link, che ci fai qui? Sai che non dovresti fare certe cose, sono la tua principessa e-" Le stava porgendo un involto. "Ho saputo che non avete mangiato in questi giorni, così..." Prese il fagotto e, poggiatolo sulla scrivania, lo aprì. Immediatamente il corposo odore delle mele cotte la investì, unita al fragrante aroma dell'impasto. "Sei stato molto gentile." Nonostante il profumo e l'invitante colore dorato della crosta, non riuscì nemmeno a prenderla tra le mani. "Principessa, vi capisco. Anch'io non riesco a toccare cibo, ma mi faccio forza. So che mio padre sarebbe fiero di me se diventassi un cavaliere come lui e credo che anche la regina vorrebbe che voi foste coraggiosa e intelligente come lei!" Zelda accennò un sorriso nel vedere le orecchie dell'altro diventare completamente rosse. Le tremò il labbro inferiore e le si appannò la vista: "Credi davvero che la mia mamma vorrebbe questo?" Si ritrovò stretta a lui: "Lo credo davvero principessa. Vi prego, non piangete." "È così difficile..." Venne scossa da un singhiozzo e nascose il viso contro la sua spalla, asciugandovi le lacrime. Le sue dita le carezzarono lentamente i capelli, tenendola vicina. Quando si calmò rimase comunque in quell'abbraccio, prendendosi il tempo di respirare e riprendersi. Il suo stomaco la deluse prontamente, brontolando: il naso aveva nuovamente percepito l'aroma della torta. Imbarazzata si divise e vide che il ragazzo sorrideva complice. "Ti ordino di non dirlo a nessuno!" "Ai tuoi ordini, principessa." rispose cavallerescamente, facendo poi il gesto di cucirsi le labbra. Lei rise piano e si sedette alla scrivania. Si voltò verso di lui, che stava tornando alla finestra. "Te ne vai di già?" "Dovrei essere a dormire da molto, principessa." "Sì, anch'io in effetti." Le sorrise cordiale e le fece un buffo inchino: "Buonanotte principessa Zelda." "Buonanotte." Lo vide sparire oltre la finestra. Un sussurro: "Grazie, Link."



Note dell'autrice
Questo progetto è abbastanza vecchiotto e l'ho scritto nel corso di un bel po' di mesi, senza però che ci fosse un preciso progetto dietro. Quindi potrebbe risultare sconnesso e non essere il massimo. Spero comunque che possa piacere. Per qualsiasi parere, commentate pure. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Quell'inverno era stato particolarmente gelido, la neve morbida e leggera nel giro di una notte diventava solida e scivolosa come ghiaccio. Quando aveva finalmente iniziato a sciogliersi aveva reso le strade dei pantani di fango che si erano asciugati solo quando il sole aveva ricominciato a rafforzare il proprio calore. Gli alberi si erano riempiti di teneri germogli verdi, l'erba aveva ricominciato a spuntare sotto il terreno gelato insieme ai primi fiori. Zelda passeggiava sui bastioni, osservando i cavalieri uscire dal dormitorio per allenarsi. Quelli che pochi anni prima erano bambini ben presto sarebbero diventati adulti. Nei loro volti era visibile la gioia per la primavera, per l'aria fresca di rugiada che veniva gentilmente portata via dai raggi dorati. Presto sarebbero usciti dal castello per continuare l'addestramento nella natura selvaggia di Hyrule: avrebbero imparato a sopportare qualunque condizione meteorologica sfruttando ogni risorsa disponibile. Li invidiava terribilmente: aveva solo visitato la fonte della forza, nella valle di Nordakkala e la fonte del coraggio ad ovest del lago Hylia, nelle terre di Firone ma non si era mai potuta godere il viaggio come avrebbe desiderato. La scorta le impediva di fermarsi e parlare con i viandanti, per timore che potessero farle del male e sostare per osservare i luoghi che oltrepassavano era solo una infruttuosa perdita di tempo, oltre che pericolosa. Aveva comunque imparato ad apprezzare il meglio di quei viaggi: si era abituata alla fatica della cavalcata, alla scarsa compagnia e al paesaggio sfuggevole sotto i propri occhi. La sua attenzione venne richiamata dalle incitazioni dei cavalieri, riuniti in un ampio cerchio. All'interno due sfidanti si affrontavano con spade da addestramento e pesanti scudi di legno. "Che c'è, Link? Hai paura? Attaccami!" Il biondo aveva lo scudo alzato a coprire il busto, le ginocchia pronte a scattare per evitare i colpi dell'altro. Dal suo punto di vista privilegiato la principessa riusciva ad astrarre le dinamiche dell'incontro, ne osservava gli effetti e le cause come avrebbe fatto con il misterioso meccanismo dei Guardiani. Link allo stesso modo studiava il suo avversario con sguardo calcolatore, senza farsi distrarre dal vociare attorno a loro, dagli incoraggiamenti verso il compagno. Zelda aveva compreso all'istante perché i voti andassero a sfavore di Link: era più piccolo di almeno l'intera testa e ben più esile, i suoi movimenti erano visti come codardia in confronto alla spavalderia dell'altro. Bastava osservare attentamente però per rendersi conto che non era affatto così: le schivate erano estremamente precise, quei pochi centimetri per evitare il colpo, mentre lo scudo, tenuto nella destra, veniva sfruttato per ricevere gli urti e deviarli lontano dal bersaglio, disperdendone la violenza. "Smettila di giocare! Dicono che tu sia il miglior spadaccino del regno, dimostralo! Oppure sei un incapace come la principessa?" Il corpo di Link si irrigidì e non riuscì ad evitare al meglio un colpo al fianco sinistro, che lo fece crollare a terra. Si puntellò con la spada per rimettersi in ginocchio, lo scudo abbandonato nella polvere. L'avversario torreggiava su di lui, le braccia lungo i fianchi, i compagni che esultavano. Link lasciò cadere l'arma e poggiò la mano sinistra sul livido. Appena il ragazzo si voltò per accogliere i giubili, scattò in piedi e lo colpì al collo con il palmo aperto. Il dolore improvviso gli fece perdere il respiro, mentre il biondo gli afferrava un polso e lo torceva, portando poi il braccio dietro la sua schiena e facendo forza sulla spalla. Il corpo muscoloso che fino a qualche istante prima si ergeva eretto e fiero ora era costretto a piegarsi per evitare che il polso venisse rotto o la spalla slogata, il respiro ansimante. Era calato un silenzio pesante, dove si sentivano solo i lievi gemiti del ragazzo intrappolato. Link lentamente guidò il suo corpo, ruotandolo per accogliere la presa anziché respingerla e prendendo, stavolta gentilmente, il polso libero gli mostrò come liberarsi. Raccolse le proprie armi ed uscì dal cerchio, i ragazzi che gli facevano spazio. 

Si lasciò cadere distesa sul letto. Non era riuscita a togliersi dalla mente lo scontro di quella mattina, aveva continuato a ripercorrerne i passaggi, sviscerandoli. Non a caso Link era ritenuto il miglior spadaccino di Hyrule: aveva indubbiamente un corpo e una mente saldi, concentrati e reattivi. Si guardò le mani: "Perché lui riesce ad essere perfetto e io..." Sospirò, stringendosi e rannicchiandosi su un fianco. Si immergeva nelle fonti sacre da quando era una bambina e in tutti quegli anni non era riuscita a sentire alcuna energia spirituale dentro di sé. Nulla che potesse nemmeno somigliare al potere delle sacerdotesse della dea. A causa sua avevano dovuto iniziare a studiare piani alternativi per sconfiggere la Calamità, rinvenendo i Guardiani e i Colossi Sacri. Lei si era presa l'incarico di trovare quattro Campioni per guidare quelle enormi bestie meccaniche. Aveva pensato a lungo a chi scegliere e sicuramente non aveva dubbi su chi avrebbe custodito e pilotato l'errante Vah Naboris. Sorrise pensando ad Urbosa: quella donna era stata un rifugio sicuro per lei, un'isola protetta e felice, dove lei poteva essere solo Zelda, la sua adorata principessina. Lei era l'unica in cui non avesse mai sentito rimprovero nella voce o delusione nello sguardo, dalla matriarca delle Gerudo aveva ricevuto solo comprensione e amore. Avrebbe tanto desiderato parlarle, magari su una delle terrazze di Naboris mentre questo vagava nel deserto, la luce della luna che rendeva la sabbia d'argento. Ma non poteva permetterselo: doveva pregare e trovare il modo di risvegliare il potere della dea. Cercò di addormentarsi ma non ci riuscì. "Perché devo ancora pensare a lui? Non è già abbastanza l'umiliazione che provo senza paragonarmi a lui? So di essere incapace, non serve che ci sia anche lui a rivangare il concetto con la sua perfezione!" Zelda si mise a sedere: "Ma cosa sto pensando? Link fa solo il suo dovere, perché dovrei prendermela con lui?" Lo sapeva perfettamente che quei pensieri erano illogici, eppure non poteva trattenersi dal provare gelosia. Quel giorno di quasi dieci anni prima suo padre aveva rivolto le condoglianze a Link, solo a lui. Non a tutte le famiglie che avevano perso una persona cara. A lei aveva ordinato trattenere le lacrime perché non doveva mostrarsi debole, perché doveva essere un esempio per gli altri, lei una bambina di cinque anni. Solo a Link aveva mostrato dispiacere, solo a quel giovanissimo scudiero. Perché non aveva avuto una sola parola d'affetto per sua figlia? "Ah, mio padre. Sono certa che preferirebbe avere lui come figlio, non me. Sono solo capace di deluderlo, non sono l'erede che desidera. Invece Link è perfetto, da sempre. Lui non aveva gli occhi rossi, non piangeva, ha sopportato tutti gli allenamenti ed è diventato sempre più bravo, senza mai cadere! Io invece ho buttato anni della mia vita e non ho ottenuto nulla, se non lo scherno di tutti e l'odio di mio padre. Perché dovrei rimanere qui? Cosa mi trattiene? Un dovere che non riesco a rispettare in alcun modo? Anche se scoprissi di avere altre doti sarei considerata incapace. Meglio andarsene allora." Si alzò e si vestì, silenziosamente. Procedette in punta di piedi lungo i corridoi, nascosta nella penombra. Uscì nel cortile dove erano situate le stalle. Vi entrò e prese il proprio cavallo, carezzandolo sul muso. Dei passi dietro di lei la fecero sobbalzare mentre cercava di sistemare i finimenti sull'animale. "S-sei tu! Vattene via, non ti voglio qui." Il ragazzo si avvicinò e finì di sellare la giumenta, carezzandola poi sul muso. Si avviò ad un box vicino e prese un giovane stallone. Zelda notò che sulla sella il ragazzo stava allacciando delle borse. "Quindi vuoi venire con me?" Lui annuì. "Te lo ha chiesto mio padre?" Ricevette un cenno negativo. "Dovrei crederti?" Le sorrise divertito e si chinò. Prese da uno zaino degli stracci e li legò sotto gli zoccoli dei due animali. Quando li condusse fuori non fecero alcun rumore. Zelda lo seguì verso la porta di servizio da cui arrivavano i rifornimenti e montò in sella, tolta la stoffa. Link la guardò e diede un colpo di redini: iniziò a galoppare giù per l'altura, verso la piana. Venne affiancato prontamente dalla principessa. Il biancore lattiginoso della luna rendeva tutto immobile e quieto, si sentiva solo il vento muovere lentamente le fronde degli alberi e il fiume che convogliava lentamente nel mare. Zelda non si era mai sentita più libera: sentiva i muscoli resistenti della giumenta sotto di sé guizzare ad ogni falcata e la sua lunga criniera le frustava delicatamente le guance. Non si voltò nemmeno un istante verso il suo accompagnatore: quella notte esistevano solo lei e lo sconfinato mondo argentato. 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


L'alba li aveva accolti mentre trottavano lungo la prateria. Il cielo si schiariva nell'azzurro pallido, le nuvole tinte d'oro, nel primo canto degli uccellini. "Mi chiedo perché tu abbia voluto seguirmi. Mi credi tanto debole da non sapermi difendere?" Il ragazzo fece una serie di gesti imbarazzati con le mani, scuotendo il capo. "Non mentirmi, Link." Lo vide chinare il capo, mentre stringeva piano le redini. Lo stallone ebbe uno scarto brusco quando le tirò di lato. "Che fai?" Le indicò il castello. "No, non torno laggiù. Non fissarmi così, non sto bene in quel posto, perché dovrei tornare?" Link le indicò nuovamente il castello. "Sono io la principessa, non devo seguire la tua volontà." Riprese a trottare, il cavaliere si mise in mezzo con lo stallone: "Si può sapere che diavolo ti prende?! Parla!" Perché privarla così presto di quello sprazzo di libertà? Non poteva essere felice per più di qualche ora? "Principessa, abbiamo entrambi dei doveri." La sua voce era roca e articolava lentamente le parole per non balbettare. "Non mi importa dei doveri, delle regole! Non preferiresti anche tu vivere come una persona qualsiasi una volta tanto?" Annuì. "Bugiardo. Hai tutto ciò che qualcuno potrebbe desiderare: il rispetto e l'amore degli altri! Perché dovresti volerci rinunciare?" "Perché, principessa, ho pagato troppo caro tutto questo. Preferirei essere odiato da tutti ma poter vivere come voglio. Nessuno di noi due ha la vita che vorrebbe. Ma abbiamo dei doveri non solo verso noi stessi ma anche verso Hyrule, voi come principessa e futura regina, io come vostro cavaliere." Le si accostò. "Non sarà l'ultima volta che uscirete dal castello, principessa." "Io volevo scappare per vedere il mondo, Link. Volevo liberarmi da quella gabbia." "Sareste diventata una profuga, senza casa. Perché la gabbia sarebbe rimasta sempre lì ad aspettarvi. Invece tornando potrete affrontarla con coraggio e dignità." Si guardarono negli occhi. Si era aspettata tutt'altra reazione da parte di Link, temeva che l'avrebbe ripresa come faceva suo padre, con rabbia e delusione. Invece il suo tono era comprensivo e le sue parole erano state gentili, per quanto dure da accettare. "Facciamo colazione, intanto." Smontò e legò il cavallo ad un ramo vicino. Zelda lo imitò e lo osservò preparare un fuoco e una padella. Aveva con sé frutta fresca, delle uova e un pezzo di carne affumicata. Lo osservò rompere le uova nella padella, mescolarle con un piccolo mestolo e versarci cubetti di carne. Non avrebbe mai sospettato una tale bravura nella cucina da parte del cavaliere e lo osservava curiosa, seduta sul mantello che le aveva gentilmente steso davanti. Le sedette accanto e posò la padella vicino a loro, spargendo un poco di salgemma sulla frittata. "Appena si sarà raffreddata potremo mangiarla tranquillamente." "Con le mani?" La guardò, sorridendo furbamente alla sua espressione desiderosa. "Certo." Lo vide prendere una forma di pane fragrante e tagliarla a fette, mentre lei apriva un involto di formaggio poco stagionato, due mele ad arrostire su dei bastoncini. Zelda assaporava quell'atmosfera, quieta e rustica, così diversa da quanto era abituata. A quell'ora avrebbe ancora dormito, invece osservava serenamente il cielo diventare sempre più chiaro e limpido. Avrebbe ricevuto la colazione su un vassoio prima di vestirsi, in un servizio di porcellana e argento, mentre invece stava addentando pane e formaggio seduta su un prato, accanto ad un apprendista cavaliere. Sapeva che la mattina dopo tutto sarebbe stato come sempre, così si gustò quel cibo così semplice e genuino.

Il bosco dei Korogu era avvolto dalla nebbia e i cavalli nitrivano nervosi. Scesero di sella e si accamparono fuori dalla cerchia degli alberi. A sorte uno di loro dovette procedere lungo il sentiero e scomparire oltre il fumoso muro grigio. Non passò molto che corse fuori dal bosco, spaventato a morte. Le regole erano chiare: non poteva parlare della prova agli altri cavalieri, perché altrimenti non sarebbero stati alla pari nello svolgimento della stessa. Non era stato comunque rassicurante vederlo in quello stato. Link dovette aspettare appena un giorno prima che venisse estratto il suo nome dall'anfora. Sistemate le armi si inoltrò nella penombra. La nebbia era di un pallido color azzurrino e gli animali scappavano via al minimo rumore. Si sollevò un leggero vento, che piegò il fuoco di una torcia, oltre un piccolo arco in pietra. Procedendo vide che seguendo la fiamma aveva trovato un'altra torcia, mossa da una brezza differente. Non vi era più un sentiero tracciato da piedi umani, solo quelle torce e il vento soprannaturale che ne spostava la fiamma. Vedeva comparire lievi particelle azzurrine, che volteggiavano come minuscoli granelli di polvere in controluce, mentre con la coda dell'occhio notava veloci movimenti furtivi tra i cespugli. Non si spaventò, i Korogu erano creaturine timorose e inoffensive, piccoli spiriti dei boschi a cui non piaceva essere visti. Raggiunse un grande albero che aveva davanti a sé due torce che puntavano a sinistra. Pur andando avanti di qualche metro non notò nella nebbia la luce di una nuova indicazione fiammea. Tornò al grande albero, prese un ramo da terra e lo incendiò. Procedette lentamente, osservando come il vento modificava la direzione del fuoco. Percorse un passaggio lungo due pareti rocciose i cui bordi si perdevano nella nebbia, fino a quando, passando all'interno di un grande albero cavo, caduto chissà quanto tempo prima, non notò un Korogu svolazzare a qualche piede da terra con un ombrellino di foglie. Subito lo spiritello si nascose, come tanti altri all'avvicinarsi di Link. Si delineò davanti a lui una piazzola con al centro una spada conficcata nel terreno. "Giovane cavaliere, prima di poter prendere la spada dovrai dimostrare il tuo valore."

Erano passati due giorni, ma nessuno aveva avuto il coraggio di entrare nel bosco per sapere che fine avesse fatto Link. Qualcheduno girovagava per il campo, mordicchiandosi le unghie, altri giravano le braci del fuoco, fissandone la danza, alcuni chiacchieravano per non pensare a cosa poteva essere successo in quella foresta. "Non esiste un canto riguardo il cavaliere che brandisce la spada che esorcizza il male?" "Sì, però non ricordo come fa." "Beh, esistono comunque moltissimi racconti e leggende su di lui e la sacerdotessa della dea." "Racconta, su." "Tanto tempo fa, quando il Monte Morte eruttava lava talmente incandescente da essere candida come neve, i mostri imperversavano per Hyrule. Branchi di lynel galoppavano per le praterie, i grublin e i boblin si riunivano in vasti accampamenti e i fiumi erano percorsi dai lizalfos. Il più tremendo di tutti però era quella che oggi chiamiamo la Calamità Ganon. Questa era un concentrato di odio e violenza, che si manifestava sotto forma di un gigantesco cinghiale di tenebra. Però non era sempre stato crudele e sanguinario. Si dice infatti che la Calamità fosse solo il lato malvagio di un prescelto della dea del potere Din. Le tre dee però non avrebbe comunque permesso alla bestia di tiranneggiare ancora a lungo. Din non poteva distruggere il frutto di un proprio prescelto, così la dea della saggezza, Nayru, e la dea del coraggio, Farore, decisero di donare a propria volta il loro potere a due mortali. Questi diventarono la sacerdotessa capace di rinchiudere la Calamità e l'eroe con la spada che esorcizza il male. Questa lama venne forgiata dalla somma dea Hylia: scaldando il metallo con i baci delle sue labbra e raffreddandolo con le sue lacrime, temprò la spada della luce, l'arma che avrebbe spazzato via le tenebre. Vi fu così una tremenda battaglia, la Calamità venne sconfitta, ma non poteva essere distrutta: si era creato un nuovo equilibrio nel mondo, i tre prescelti. Così le dee decisero di rinchiudere la Calamità per mille anni e donarono ai due restanti la possibilità di reincarnarsi e vivere infinite vite, per poter fronteggiare qualunque male avesse minacciato il nostro bel regno." Il racconto chiama spontaneamente altre storie, così non vi fu silenzio finché il sole non ebbe quasi completato il suo pellegrinaggio nel cielo. Gli ultimi raggi penetravano le chiome degli alberi e lunghe ombre si proiettavano sul terreno. La sentinella al bordo del bosco lanciò un'imprecazione: Link era sbucato dalla nebbia all'improvviso, spaventandolo. Sulla schiena, nel fodero di pelle, riposava una spada.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


"Quando arriverà Link?" "Presto fratellino, insieme alla delegazione della principessa Zelda." "Evviva! Potrò giocare con lui!" Mipha gli sorrise, mentre stringeva preoccupata il tridente Scagliadiluce. Sapeva perfettamente il motivo di quella visita: volevano chiederle di diventare la custode di Vah Ruta, il gigantesco Colosso che riposava tra le cascate del loro regno. Le piaceva quella bestia di pietra e magia, dalle curve imponenti ma morbide. Ne poteva percepire la forza catalizzata dalla gentilezza, come l'acqua che leviga con pazienza i ciottoli dei fiumi. Aveva accettato da tempo il prezzo di quell'incarico, senza che nessuno potesse vedere quanto dolorosa la scelta fosse stata. "Sorellona? Tutto bene?" "Certo, Sidon. Stavo pensando a Link: mi è mancato tanto quanto a te, sai?" E solleticò gentilmente il piccolo sul collo, facendolo ridacchiare. Si chiese se il suo fratellino l'avrebbe mai perdonata.

Link riusciva a malapena a trattenere un sorriso. Il percorso verso la città degli Zora risaliva il placido sentiero del fiume e anche quando se ne distaccava si continuava a sentirne il gorgogliare leggero. I suoi piedi procedevano leggeri, appena davanti alla principessa. I suoi sensi non smettevano di catturare ogni possibile traccia di pericolo, ma il suo animo volava indietro di anni, quando sulle spalle di suo padre aveva visto per la prima volta quei luoghi. Ricordava il fascino delle costruzioni in lumiserite degli Zora: di giorno di un profondo grigio bluastro e di notte splendenti di una quieta luce azzurrina. Era rimasto in quel piccolo regno per poco meno di un anno e aveva imparato a conoscere la cultura di quel popolo così legato all'acqua. Ne apprezzava la calma che caratterizzava le loro vite, lunghe come lo è il tragitto di un fiume dal ghiacciaio al mare, aveva compreso il loro legame con la luna, il cui chiarore faceva rilucere i laghi, un'entità ciclica come le loro danze, sinuose piroette tra le onde. Ma ciò che lo aveva colpito di più era stata la sua mentore, la principessa Mipha. Il suo corpo minuto nascondeva nella grazia una forza d'animo impressionante: aveva sempre una parola gentile per chiunque fosse in difficoltà e si prodigava per risolvere i problemi di chi le si rivolgeva. Era rimasto affascinato dal sorriso che gli aveva rivolto fin dal primo momento, da come le sue braccia lo avessero sorretto mentre insegnava a nuotare sia a lui che al principino Sidon. Allungò appena il passo e vide le eleganti forme del ponte che conduceva al villaggio. Aspettò il resto del gruppo e osservò la meraviglia nel volto di Zelda. "Di notte, principessa, è ancora più bello. Lo vedrete." Pensò con gentilezza, mentre la seguiva sopra la struttura. Sulla sponda opposta, dove la città prendeva forma, li aspettava la famiglia reale: il gigantesco re Dorefan e i suoi due figli. Sorrise vedendo Sidon scalpitare, entusiasta e impaziente di giocare con Link e Mipha posargli una mano sulla spalla, trattenendolo con tenerezza.

"Sei diventato grandissimo! Come farò a giocare con te!" "Oh, ma posso ancora giocare con te, Sidon!" Lo afferrò per la vita e lo sollevò roteando, mentre il piccolo rideva. Link gli solleticò la pancia con il naso, facendolo dimenare come un pesciolino. "Ora andiamo a nuotare nel Bacino Idrico Orientale, d'accordo? Aspettiamo solo tua sorella, così andiamo tutti insieme." "Certo!" E sfoderò il suo enorme sorriso.  Non dovettero attendere molto, prima che Mipha li raggiungesse e si avviasse con loro. Mentre Sidon trotterellava davanti a loro, tuffandosi in qualche piccolo stagno, Link si rivolse alla ragazza: "Allora, come è andata?" "Oh, lo sai... Mi hanno fatto la proposta ma mio padre ha voluto lasciarmi del tempo per pensare." "Come se tu non lo avessi già fatto, giusto?" "Giusto. È la cosa migliore per tutti casomai... lo sai." "Lo so. E credo che tuo padre voglia solo proteggerti perché ti vuole bene." "Ne sono certa, ma anch'io devo proteggere qualcuno a cui tengo." Link rivolse un'occhiata al piccolo e sorrise. "Avremo comunque più tempo da passare insieme, noi tre." "Hai ragione, e faremo in modo di godercelo appieno!" Lo prese per mano e corse fino al bacino, dove si tuffò elegantemente. Sidon la seguì, raccogliendo le ginocchia al petto. Link si liberò delle armi, della tunica e degli stivali e si gettò in acqua. Il piccolo gli si sistemò sulle spalle e spronò il suo personale destriero marino a raggiungere la sorella, che sorrideva divertita qualche metro più in là. Raggiuntala Sidon si immerse e schizzò il giovane, ridendo. Link acciuffò in un goffo tuffo il piccolo: "Che birbante che sei! Ora ti mangio!" E aveva iniziato a soffiare contro il suo pancino, tenendolo saldamente quando cercò di liberarsi. "Ehi, solo io posso tormentare Sidon!" I due vennero colpiti da una lieve onda sollevata dalla principessa. Giocarono per buona parte della mattina: Mipha dimenticò brevemente tutti i pensieri che l'avevano tormentata fino a poco prima. 

Quella sera, dopo cena, Link seguì nuovamente Mipha al Bacino: si sedettero sul bordo della diga, osservando il panorama incantato sotto la luce della luna. "È così strano: sembri identico a quando eri un bambino ma allo stesso tempo sei totalmente diverso." "Mentre tu sei rimasta sempre la stessa, Mipha." "Sai che non parlo di questo. Oggi eri felice e ci siamo divertiti tantissimo, ma a cena eri così silenzioso e... e serio." "Questo è il prezzo che ho pagato per adempiere al mio destino." "Perdere le tue emozioni credi sia stato accettabile?" "Non le ho perse. Ma le devo controllare." "Non sempre." "Ma dovrei." "Per me è meglio che tu non lo faccia." "Mi deconcentrano e ho bisogno di essere sempre all'erta per poter proteggere la principessa e Hyrule." "Non dovresti mentirmi: quando lo fai la punta delle orecchie ti diventa rossa." Si toccò un orecchio e arrossì: "Non è tutta una bugia. Mi hanno addestrato così ma... Effettivamente il silenzio era necessario solo durante i combattimenti e le situazioni più pericolose, non anche per tutto il resto." La ragazza gli sfiorò una mano. "È difficile farsi degli amici quando... Quando sei il figlio di un generale, quando diventi il migliore spadaccino del regno per chissà quale talento innato e addirittura il cavaliere con la spada che esorcizza il male. Era molto più semplice farsi rispettare se agivo come volevano i miei titoli, ufficiali e non, che come loro pari. Anche se avrei tanto voluto che mi volessero bene, non solo che mi ammirassero." "Ti capisco." "Mipha, come?" La Zora si lasciò cadere indietro, scivolando in acqua e trascinando Link con sé. Lo portò al centro del lago, dove l'astro si rifletteva. "Caro Link, i miei sudditi sanno che il mio animo è caritatevole, ma molti hanno provato sulla loro pelle che era meglio non prendermi in giro. Tu hai fatto vedere solo il cavaliere, il guerriero. Dovresti far vedere loro il ragazzo che sa ridere e ballare, che canta improvvisando testi stupidi e che adora mangiare." "E se mi ritenessero fuori luogo? Non ho mai partecipato ai loro divertimenti, se iniziassi potrebbero anche considerarmi ipocrita." "Io credo che dovresti provare ad avvicinarti pian piano. Intanto cucina con loro sperimentando le ricette più folli, commenta se parlano di una qualche esperienza che avete condiviso, se iniziano a cantare proponiti per accennare qualche rima. Pian piano vedrai che andrà meglio." "Non so se ne sarò capace." Gli carezzò una guancia: "Sei capace di tutto, ne sono sicura." 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


"Cosa turba la mia dolce principessina?" Nella camera privata di Urbosa il freddo del deserto era mitigato da bracieri scoppiettanti, posizionati ai quattro angoli dell'ambiente. Urbosa sedeva a gambe incrociate davanti ad un basso tavolino, adagiata su dei cuscini variopinti e decorati da frange e ricami multicolori. Zelda le si accoccolò contro, lasciando che le forti braccia della donna la avvolgessero protettive. "La mia guardia del corpo. È insopportabile." "A me sembra un bravo ragazzo." "Non è questo il problema." Sospirò, mentre la matriarca iniziava a pettinarle con lentezza i capelli. Il gesto la calmò lievemente: prese un profondo respiro e ricominciò a parlare: "È il modo in cui mi guarda." "Davvero? Eppure non sembrava avere simili pensieri su di te." Zelda arrossì completamente: "Non intendevo in questo senso!" Un profondo respiro: "Mi osserva impassibile e in silenzio. Non è come con tutti gli altri, in cui riesco a leggere le emozioni che provano. E non mi stupirei se anche nel suo sguardo vedessi delusione e rassegnazione, invece non sembra provare alcun tipo di emozione. Perché anche quando mi disprezzano, mi stanno valutando nei loro pensieri. Per quello che ne so, per lui sono invisibile, senza alcuna importanza. Ed è peggio essere ignorati che odiati." "Hai mai provato a capire perché fosse così?" Zelda guardò Urbosa. "Quando sei arrivata ho usato un linguaggio molto formale, ho seguito le regole di cortesia dovute alla principessa ereditaria, mentre ora ti carezzo i capelli come fossi la mia bambina." La matriarca le toccò gentilmente la punta del naso. "Vieni con me, ti mostro cosa intendo."
Le mura della cittadella si affacciavano sul campo che le guardie reali avevano approntato per passare la notte. Stavano mangiando carne arrostita e guarnita con il miele, accompagnata da verdure stufate in un tegamino, seduti su tappeti tessuti a colori vivaci, attorno al fuoco che scoppiettava lievemente. Chi si era già saziato stava raccontando storie agli altri. Link saggiò una coscia di pollo con il dito e la prese, addentandola con gusto. Era tranquillamente sistemato a gambe incrociate, il sugo della carne che gli macchiava le dita, mentre ascoltava con curiosità i discorsi. "Link, non è la quarta coscia, quella?" Chiese ridendo il narratore. Link arrossì, provocando una risatina generale. "Chi poteva sospettare che un mingherlino come te apprezzasse così tanto il cibo? A saperlo ti avremmo invitato molto più spesso!" "Possiamo comunque farlo da ora in poi!" L'atmosfera era estremamente rilassata, informale. Zelda li osservava invidiosa. Sentì gli occhi diventare lucidi. Urbosa le avvolse le spalle e la riportò all'interno.

Ciò che le aveva mostrato Urbosa non era il ragazzo impassibile e dallo sguardo serio che le gelava involontariamente il sangue. Anche lui dunque aveva dei sentimenti, anche lui trovava felicità nella compagnia altrui. Perché con lei no? "Oh, principessina, purtroppo la gente non ti vede come tu ti vedi. Lo sai, purtroppo. Molti ti vedono incapace di usare il tuo potere, mentre tu sai benissimo di avere molte altre potenzialità. Tu ti vedi come una persona normale, lui ti vede come la sua principessa e il suo compito è difenderti, non già perché ti vede debole, ma perché ha l'ordine di farlo." "Quanto vorrei che si aprisse con me..." "Ma tu ti apri a lui, piccola mia?" Urbosa le indicò un piccolo alberello in vaso vicino al balcone. "Tutti i fiori di queste dune fioriscono per pochissimi giorni, ma sono meravigliosamente belli. Quella è una rosa del deserto. I suoi fiori sbocciano solo d'estate, quando il calore del sole è al suo picco, e quindi quando il deserto è più spietato. Sanno che non potranno resistere per più di qualche alba, ma aprono comunque i loro petali. Anche tu, piccina, devi trovare il coraggio di aprirti a lui, fosse anche per poco.  Tu lo vedi come il deserto che ti potrebbe distruggere, ma forse è l'oasi dove poter prosperare." Zelda osservò la donna. "Lo credi davvero?" "Non solo lo credo: sono certa che il discorso vale anche per lui: agisce come un animale selvatico, che si avvicina solo quando è certo di non venire ferito o di essere accettato." "Un... animale?" "Immaginatelo come un grosso cagnolone: devi ottenere la sua fiducia, prima che possa rivelarti tutta la sua dolcezza." Zelda si immaginò il volto di Link con un naso grosso, umido e nero e le orecchie dritte tra i capelli. Magari anche con una coda lunga e folta. Rise piano, insieme ad Urbosa.


Era seduta sul letto a leggere, le gambe incrociate sorreggevano il volume. Assorta nella lettura, il suo occhio percepì solo vagamente la figura vestita d'azzurro che era entrata. "La mia dolce e curiosa principessina." Aveva alzato di scatto lo sguardo, incredula. Riconobbe quegli occhi, quei capelli biondi e lucenti. Era lì, vitale come il sole di primavera, sorridente come se fosse appena tornata da un lungo viaggio per i luoghi più floridi di Hyrule. L'aveva abbracciata perché il terrore che fosse solo un fantasma la stava annientando. Nascose il viso nella sua spalla, piangendo di gioia. Chissà dove era stata tutti quegli anni, quante avventura aveva da raccontarle. Sicuramente aveva dato ordine alle guardie di non dire nulla per farle quella magnifica sorpresa. Non era morta, gli Yiga non l'avevano portata via! Probabilmente era stato tutto un malinteso e lei si era salvata! Forse era stato tutto un piano per far credere ai loro nemici che una delle più importanti pedine per la sconfitta di Ganon era andata perduta quando invece la dea Hylia l'aveva portata di nuovo a casa con uno dei suoi miracoli, attendendo tutti quegli anni per lasciare al re il tempo di scovare ogni traditore. Sua madre era ancora viva, bellissima come se non fosse passato un giorno di quel decennio, gli occhi saggi e brillanti. Si svegliò bruscamente mentre ancora sua madre la abbracciava, chiamandola per nome. Confusa, si guardò attorno, sperando: solo l'immobile luce grigia del sole prima dell'alba. Si lasciò cadere distesa e le lacrime la riportarono presto nel mondo del sogno. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


La soffocante aria calda del Monte Morte era stata sostituita dal venticello freddo del tramonto. Mentre gli altri stavano finendo di mangiare Link aveva preso un liuto da una delle selle. Si sedette a gambe incrociate, lo strumento in grembo. Non credeva che il ragazzo sapesse suonare e lo osservò curiosa mentre lo accordava. Iniziò a cantare, pizzicando con delicatezza le corde, di un grande veterano di guerra, il cui valore non avevano equali nell'intera Hyrule: il suo spadone era scolpito nella roccia più solida e nemmeno mille battaglie ne avevano anche solo scalfito la lama. Un grezzo blocco di granito grigio a cui nessuno poteva sperare di sopravvivere. "Ma non devi temer, perché il massiccio guerriero a difender verrà chi del bene farà." La voce di Link, lievemente roca, aveva improvvisato su un ritmo lento ma sostenuto. Un soldato, asciugatosi le labbra, aveva allungato la mano per prendere il liuto e aveva iniziato a strappare lievi accordi intervallati da brevi colpi sul legno dello strumento. Zelda osservò i quattro cavalieri ballare e cantare, stringendosi un polso. Link si fermò e la guardò. Sorrise e le porse la mano: accettò.

Si alzò di scatto dal giaciglio e portò la mano all'elsa della spada. I cavalli stavano scalpitando e nitrendo spaventati. Erano solo quattro. Link si avvicinò silenzioso e li calmò, per poi slegarli e portarli agli altri. "Montate e andate via." Il suo ordine sussurrato era perentorio. "Invece rimarremo." "Principessa, non è il momento di" Un feroce ringhio lo interruppe. Tra gli alberi brillò un paio di occhi sanguinari. "Correte via e non voltatevi! Potrebbero esserci altri mostri nei paraggi, proteggete la principessa." "Ma Link...!" "Andate!" La lama della spada rifletté la fioca luce della luna. Il centauro avanzò oltre le fronde, i muscoli massicci che fremevano nell'attesa dello slancio. Stringeva una mazza e uno scudo, sulla groppa erano assicurati la faretra e l'arco. Scalpitò, prima di lanciarsi contro il ragazzo. Scartò di lato, evitando un fendente, e si rivolse contro il suo avversario. Aveva distrutto i giacigli e i suoi zoccoli avevano sparso le ultime braci del focolare. Caricò furiosamente, i fianchi lucenti di sudore. Link schivò dal lato dello scudo. Il terrore gli irrigidì il corpo quando le pupille sottili come spilli si fissarono su di lui e la coscia bruciò: il bordo tagliente dello scudo aveva tagliato la carne come fosse stata burro e il sangue bagnava già il tessuto. L'odore ferroso raggiunse le narici del lynel: la lingua leccò il labbro superiore, smuovendo le vibrisse. Link saggiò la gamba ferita, che stava già diventando insensibile. Il sangue rendeva più scivoloso ed incerto ogni movimento. Il gigantesco centauro girò attorno alla sua preda, pregustando il sapore della sua carne. Link ne seguì i movimenti, la spada alzata a protezione del busto. Scorse i suoi compagni: i cavalli ormai avevano attraversato il fiume e attendevano sull'altra riva. Non ebbe tempo di reagire a quella scoperta che dovette evitare una freccia puntata al proprio capo. La bestia ruggì e si lanciò nuovamente. Cercò di aggrapparsi alla sua criniera ma venne violentemente sbalzato via con un colpo della mazza. Rotolò sul terreno e cercò di alzarsi nonostante il dolore al fianco che gli strozzava il fiato. Il lynel si era girato minaccioso verso il fiume. Lanciò la spada e riuscì a ferire ad una zampa il mostro, che lanciò un muggito di dolore e tornò a rivolgere gli occhi vermigli contro di lui.

"Si farà ammazzare e per cosa? Uno di noi potrebbe aiutarlo." "Ma ha detto che dobbiamo proteggere la principessa!" Il rumore viscido del legno che colpiva i muscoli caldi le provocò un brivido. "Merda! È caduto!" Non osava osservare la lotta. Sentiva gli ansimi rabbiosi della creatura a caccia, i suoi zoccoli che scavavano il terreno, lo schiocco delle sue mascelle. Alzò lo sguardo. Link si era alzato, il naso che iniziava a perdere sangue, macchiandogli il mento e il collo. La spada era finita a pochi centimetri di distanza dal predatore, che gli ruggiva contro. Il candore solido della lama si contrapponeva alla macchie viscide che scurivano gli steli d'erba. Il lynel si avvicinò velocemente a Link, la mazza alzata sopra la sua testa. La gamba ferita del ragazzo era malferma, sul fianco si stavano allargando chiazze nere. Quando il mostro abbassò l'arma si scansò gemendo di dolore, prima di afferrare la sua criniera. Si slanciò sulla sua groppa e conficcò un pugnale nella gola della bestia, oltre il pelo folto. Ululati di dolore scossero la foresta mentre il centauro sgroppava. Link affondò nuovamente la lama nel suo collo e gli tagliò la giugulare, che esplose in una fontana di schizzi rossi. Le zampe anteriori cedettero e la creatura si accasciò su un fianco, portando con sé Link.

Liberò la gamba dal peso che la schiacciava e fulminò i soldati con lo sguardo: "Idioti! Se vi dico di scappare un motivo ci sarà: potrebbero esserci mostri nei paraggi che verrebbero attratti dal sangue del lynel e dalle sue grida. Prendete le sue armi e rimontate in groppa: dobbiamo allontanarci il più in fretta possibile. Monterò con uno di voi a turno, per non affaticare eccessivamente i cavalli." Aveva raccolto la spada e la stava pulendo, la voce roca e ansimante non ammetteva repliche. Pur coperto di ferite e di sangue manteneva le stesse nobilità e fermezza che lo caratterizzavano. A Zelda ricordò il veterano dei Goron, Daruk: solido e affidabile, leale. Da piccola gli aveva chiesto perché il suo potere costituisse di un'egida, uno scudo impenetrabile, piuttosto che di un'arma, come i fulmini al comando di Urbosa. "Principessa, ho imparato che è più importante difendere chi amiamo che attaccare chi ci ferisce, roccia! Puoi anche essere il più forte, ma se non hai nessuno da difendere o a cui tornare, cosa ti rimane?" I ricordi continuarono a fluire mentre galoppavano, la luna di fronte a loro che si abbassava sempre di più. Aveva notato il Goron passare molto tempo con Link, scalando pareti rocciose o passeggiando per le zone più accessibili del monte Morte. Non le risultava difficile credere che quel gigante gentile avesse preso a cuore un bambino schivo e silenzioso. Si voltò ad osservare Link. Si teneva stretto alle cosce del cavallo, dietro il soldato. I suoi occhi cominciavano ad appannarsi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


"Principessa, da quanto siete qui?" Sussultò piano e si voltò verso il medico. "Non riuscivo a dormire. Ne ho approfittato per ricamare gli abiti dei Campioni. E vedere come stava." L'uomo si avvicinò al ragazzo che dormiva profondamente nel letto. "Non ha aperto occhio..." Sorrise teneramente al tono preoccupato della giovane. "Non temete, gli avevo dato una medicina proprio per farlo dormire, oltre al fatto che era decisamente esausto. Tra poco dovrebbe svegliarsi, comunque." "Le sue ferite?" "Il taglio alla coscia era abbastanza profondo, ma i bordi erano molto netti e miracolosamente non era infetta, insieme ad un paio di piccole ferite. Aveva qualche livido, il più ampio sul fianco. Per il resto, ha solo perso molto sangue. Se vi può rassicurare, il vostro cavaliere ha davvero una grande vitalità." Il viso di Link si contrasse leggermente e le ciglia bionde si aprirono lentamente. Si guardò confuso e assonnato attorno. Riconoscendo la principessa chinò rispettosamente il capo. "Principessa, permettetemi: posso chiedervi di andare a prendere qualcosa da mangiare per Link dalle cucine?" "Certo." Posò il drappo azzurro e oro in un cesto ai suoi piedi ed uscì dalla camera, socchiudendo la porta. "Glielo avete detto?" "Mi devi più di un favore, ragazzo."

Il vassoio portava una ciotola di yogurt con fragoline e mirtilli, un poco di miele ed una fetta di pane, insieme a del succo di mela appena spremuto, una leggera spuma sulla superficie. Entrò lentamente, senza far cigolare i cardini. Link si era seduto dandole la schiena e attraverso le fasciature poté vedere delle ampie chiazze violacee e ferite coagulate. L'uomo, chinatosi, stava medicando la coscia. "Dove posso appoggiare il vassoio?" "Oh, principessa! Poggiatelo sul tavolo, se non vi dispiace." Li guardò. Il ragazzo la stava studiando, il viso apparentemente calmo. Incrociò le braccia e guardò il medico. "Solo un taglio e qualche livido?" "P-Principessa, io n-non" "Mentire ad un reale viene considerato tradimento. Cosa dite a vostra discolpa?" "Gliel'ho chiesto io. Non volevo farvi preoccupare, principessa." "Ora posso sapere davvero come stai?" "Probabilmente ho una costola incrinata." "E quelle ferite sulla tua schiena?" "Graffi dovuti a delle rocce, quando sono stato colpito al fianco dal lynel o quando sono caduto da cavallo alle porte del castello, non vi saprei dire." Portò una mano alla fronte, sorreggendo la testa e chiudendo gli occhi. Lo vide irrigidirsi quando il medico strinse il bendaggio. Quando ebbe finito fece cenno all'uomo di lasciarli soli, mentre Link si risistemava dolorosamente sul letto. Era impallidito. "Perché rischiare a tal punto? Me la sarei cavata anche con un cavaliere di meno." "Con tutto il rispetto, principessa, se ve ne foste andati sarebbe andata meglio. Se dico una cosa è perché è importante: dovevate galoppare il più lontano possibile, anche fino al castello." "E tu?" "Me la sarei cavata. Non per nulla ci lasciano da soli per mesi nelle foreste. Avrei trovato delle erbe per curarmi o recuperato dei medicamenti dal campo, per poi tornare, a piedi o in groppa a qualche animale." "O forse saresti morto a causa del sangue perso." "Vi preoccupate troppo, principessa, non sono così fragile." "Scusatemi tanto, messere, se ho osato preoccuparmi." Sorrise divertito e scosse piano il capo. Gli posò il vassoio sulle gambe distese. Tornò al lavoro di cucito mentre il ragazzo mangiava in silenzio. 

"Avete intenzione di rimanere qui tutto il giorno?" "Non posso?" "Non ho mai detto questo. Ma sto bene e avrete altri doveri ben più importanti." "Non è vero che stai bene e i doveri possono aspettare. Se ti do fastidio dovresti trovare il coraggio di dirmelo, senza queste ambiguità." "Non mi date fastidio." "Allora non vedo perché dovrei andarmene. E smettila di fissarmi!" Link distolse educatamente lo sguardo. "Avete dunque scelto una sciarpa per Revali." "Sì, non rischierà di intralciare i suoi movimenti con l'arco." "Oh, capisco bene cosa intendete. Mi mandarono ad addestrarmi con lui." Ricambiò lo sguardo curioso della principessa e sorrise: "È bravo tanto quanto è grande il suo orgoglio, ma non è di animo cattivo. Sembra non tenere a niente e nessuno, ma ha un modo tutto suo per dimostrare affetto. Non mi insegnava nulla, mi sapeva solo rimproverare prima di mostrarmi quanto lui fosse magnifico. Faceva sempre in modo di mettersi in mostra, enfatizzando ogni movimento, oppure si faceva scoprire casualmente mentre faceva determinati esercizi. Da lui ho imparato che si possono scoprire molte cose anche solo osservando. Non parlo del saper trovare prede o riconoscere determinate tracce lasciate dai mostri: ognuno di noi ha un modo diverso di atteggiarsi o si comporta in un certo modo per una serie di motivi. Io ad esempio diffiderei di un viandante semplicemente a bordo della strada senza fare nulla, che si guarda attorno ogni tanto senza consultare una mappa o una bussola. Tornando al discorso, nonostante i guanti mi intralciassero ancora molto, migliorai velocemente. Spesso la gente ci aiuta in modi che non sospettiamo nemmeno." "Tu di certo non sei così tanto misterioso nel tuo aiuto, quanto cocciuto." "Siete ancora arrabbiata per quella storia?" "Come potrei non esserlo? Potevi morire." Le sorrise. "Voglio prendere un po' d'aria." "Non cambiare discorso." I suoi occhi diventarono seri, il sorriso sparì: "Potevo morire, sì. E allora? Il mio compito è proteggervi, l'ho giurato, anche a costo della mia vita. Questo vi causa problemi?" Non seppe cosa rispondere. "Ora usciamo in giardino, principessa. Un po' di aria fresca farà bene ad entrambi. E se rimango fermo troppo a lungo potrei ingrassare." "Questo è perché mangi troppe crostatine alla frutta." Ridacchiarono insieme.

Era strano vedere Link servirsi di una stampella. L'andatura zoppicante lo faceva assomigliare ad un cervo privato del suo palco. Richiamò alla mente il passo sicuro e fermo, che gli conferiva una maestosa regalità. Ora il suo viso ogni tanto lasciava trasparire le fitte di dolore. Mentre attraversavano i corridoi che portavano ai giardini notò come il suo volto si fosse pietrificato in una maschera quieta: cercava pure di limitare la zoppia. Un consigliere li incrociò e chiese al soldato come stesse. Zelda colse come i suoi muscoli si erano irrigiditi per evitare che tremassero, mentre la sua espressione celava ogni debolezza. Link lasciò cadere la pantomima solo quando entrarono nei giardini privati della famiglia reale, con un sospiro di sollievo. "Perché?" "Se mi vedessero debole e ferito, come potrebbero reagire?" "Per quanto potrai mentire?" Rise piano, amaramente: "È tutta la vita che mento, principessa. Ma ora godiamoci la bellezza di questi fiori, per favore." "C-Certo." 

Aveva rimuginato per giorni sulle parole di Link, mentre quest'ultimo si riprendeva e tornava ad assomigliare ad un lupo fiero e selvaggio piuttosto che ad un cagnolino malandato. Sempre di più il diverso atteggiamento di Link nella sfera privata e pubblica la lasciava basita su chi fosse davvero quel ragazzo. Era il dolce e spiritoso giovane che la guardava come una sorellina da proteggere nonostante i loro ben quattro mesi di differenza o il freddo e solitario soldato che vigilava su un'incapace ragazzina? Certo le aveva detto che era una farsa, e non aveva motivo di dubitare di quelle parole, ma non è pur sempre vero che ogni travestimento è, alla fine, un autoritratto? Lei stessa non aveva mentito su chi era, fingendo di essere come avrebbe voluto? "Cosa vi turba, principessa?" "Io... Io volevo fare un giro fuori dalle mura. Solo io e te." "Credete che vostro padre ce lo permetterà?" "Ne ho bisogno, non mi importa cosa dirà mio padre." "Glielo chiederemo, insieme." 

Zelda era rigida, al centro del cerchio di luce tratteggiato dal rosone alle spalle del trono. Link, inginocchiato alla sua destra, le dava una sicurezza che non credeva di poter avere, specie davanti a tante persone. Erano appena finite le udienze e gli ultimi richiedenti erano ancora nella sala. "Quindi vorresti perdere tempo per vedere delle rovine?" "Ma padre, potrebbero aiutarci a capire meglio il funzionamento dei Colossi e" "Dovresti concentrarti solo sui tuoi doveri, sulla preghiera, non su certe stupidaggini!" "Con tutto il rispetto, Maestà, non sono stupidaggini." "Osi dare torto alle mie parole, soldato?" Link si alzò in piedi e con un passò in avanti estrasse la spada. La sollevò in alto, con la luce del sole che veniva riflessi in raggi dorati che facevano risplendere i suoi capelli biondi, gli occhi duri come il diamante. "Allora parlerò come Eroe, e non come un qualunque soldato. Anch'io ho avuto bisogno della compagnia degli altri Campioni, della loro amicizia e della loro guida. Anch'io ho avuto bisogno ogni tanto di ricordarmi che sono solo un ragazzo, ho avuto bisogno di vivere come un ragazzo. Lasciate che vostra figlia abbia del tempo per se stessa, e non solo per compiti e doveri. Come ogni abitante del regno di Hyrule ha diritto ad avere." Si erano guardati negli occhi per lunghi istanti di silenzio. Un cenno di assenso e la spada tornò nel fodero. "Non temete, maestà, la proteggerò, come sempre." 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


La tempesta li aveva sorpresi mentre cavalcavano attraverso una profonda foresta. Le nuvole avevano oscurato i pochi raggi di sole che penetravano le chiome degli alberi, annunciate da un vento tagliente. Le gocce erano gelide in confronto al tiepido mattino primaverile e le foglie scosse dai turbini d'aria portavano ben poca protezione. Link, lasciando il sentiero, condusse la principessa ad una grotta circondata da folti rampicanti. Legò i cavalli e prese le bisacce dalle selle, conducendola poi all'interno. "Saremo all'asciutto per un po'." Osservò la principessa: i lunghi capelli ricadevano zuppi attorno agli abiti, appiccicati alla sua pelle. Tremava leggermente dal freddo. "Non possiamo tenere addosso i vestiti bagnati. Voi cambiatevi subito, principessa, io intanto cerco di accendere il fuoco." "Mica posso cambiarmi davanti a te!" esclamò lei arrossendo. Link sorrise e prese una delle corde di budello che assicurava all'arco. La tese tra due stalattiti e vi appese il largo mantello, creando un paravento. Zelda vi si nascose dietro con gli abiti asciutti e iniziò a slacciare la giacca e la tunica, in silenzio. Lo sentì mentre sistemava la fascina sul pavimento. Ascoltò le pietre focaie tintinnare tra di loro più volte prima che le fiamme scricchiolassero timidamente. Il lieve bagliore delle fiamme delineò l'ombra di Link oltre il mantello. Inizialmente cercò di ignorare i movimenti del giovane, concentrandosi sulle proprie mani e sui lacci, ma inevitabilmente ne studiò la sagoma. Si era alzato e si stava spogliando della camicia. Zelda finì di cambiarsi e appese i vestiti bagnati; ne approfittò per abbassare leggermente la corda. Link le dava la schiena, i capelli bagnati che venivano sfregati in un telo. Per il resto era nudo. Arrossendo fissò lo sguardo sul capo coperto. Sulle braccia cicatrici spiccavano bianche contro la pelle rosata. Osservò la schiena ricoperta di squarci, graffi e ferite e immaginò che il petto fosse nelle stesse condizioni. I muscoli si tendevano e rilassavano, senza difficoltà, senza memoria di battaglie e duelli. La sua mente immaginò ogni possibile dolore, i lividi che erano spariti da anni ma che a loro tempo avevano virato al viola bluastro, magari deformando la carne. Distolse lo sguardo dai glutei concentrandosi invece sulle gambe sode: anche loro portatrici di tanti sofferenti ricordi. Si rintanò dietro il paravento, producendo una leggera vibrazione della corda. Per quanti anni lo aveva creduto perfetto, invidiandolo e augurandogli di sentirsi come lei, inadatto e inutile. Quante cicatrici ora aveva potuto contare sul suo corpo? Il duello con il lynel di poco tempo prima era solo l'apice di una vita di allenamenti e sfide anche mortali. Mentre lei non sapeva fare altro che lamentarsi. Si rannicchiò, nascondendo il viso contro le gambe. "Zelda, perché piangi?" Si era avvicinato, la pelle martoriata coperta dagli abiti di cotone. Si era inginocchiato davanti a lei, guardandola con tenerezza. Non rispose, abbassando il capo. Il telo che aveva asciugato i capelli di Link le venne posato sul capo, le dita di lui che le massaggiavano la cute e la folta chioma dorata. "Scusami." Balbettò esitante. "Scusami se ti ho sempre trattato in un modo così stupido." La abbracciò, permettendole di nascondere le lacrime contro la sua spalla. "Credevo mi disprezzassi come tutti gli altri perché eri perfetto e invece io... Quanto sono stata idiota." "Zelda, disprezzavo gli altri, non certo te. Ti indirizzavano su strade non tue ed osavano criticarti se non riuscivi a seguire quella via. Per quanto io abbia un talento nella scherma, amo praticarla. Mentre tu eri costretta in spazi che non erano davvero tuoi. Avevi scoperto come accendere i guardiani e invece di farti continuare liberamente le tue ricerche ti hanno costretta a pregare e pregare." "Ma è il mio dovere e-" "Dovere o meno, è ingiusto sacrificare se stessi ad esso." Si asciugò gli occhi, rimanendo comunque nella sua stretta. "Le altre ci riuscivano. Perché io no?" "Non lo so, Zelda. Ricordo poco di loro, sono più che altro ombre che mi visitano nei sogni. So per certo una cosa sola: non sei inferiore a loro. Sei diversa e allo stesso tempo sei ognuna di loro. Come il pane: esiste in tante forme diverse, con ricette diverse, ma è sempre pane. Ognuno ha la propria ricetta con cui si-" il brontolio del suo stomaco interruppe bruscamente le sue parole, mentre Zelda ridacchiava, ancora stretta a lui. Lo guardò negli occhi: "Credo di aver capito cosa intendi, e anche che è ora di pranzo." Sorrise e Link annuì, mentre le orecchie diventavano rosse.

"Sembra che non voglia smettere più." Zelda posò il capo sulla spalla di Link mentre un tuono esplodeva in un rimbombo fragoroso. Link avvolse entrambi nel mantello. Il fuoco scoppiettava tranquillo diffondendo un lieve calore. "Link, se io non riuscissi a sprigionare il potere sacro cosa succederà a tutto questo?" "Probabilmente scomparirebbe in un oceano di dolore e morte, come accade per ogni disastro. Ma ogni temporale prima o poi finisce." "Rassicurante, davvero." "Scusami, ma una falsa verità sarebbe stata ancora peggiore, non credi?" Annuì piano e guardò fuori: "Non voglio che tutto questo scompaia per chissà quanto tempo." "Dobbiamo ancora visitare la sorgente di Ranel, forse lì riuscirai a risvegliare il tuo potere." Si voltò verso di lui: "Se non ci riuscissi?" "Guiderai comunque me e i Piloti se ci sarà una battaglia." "Non so nulla di tattica militare." "Credo che nemmeno i boblin le abbiano." Gonfiò le guance e lo colpì con un pugnetto alla spalla, facendolo ridacchiare. I loro occhi si incrociarono. Il cavaliere non vi vide solo le giade della sua Zelda, così uniche, ma anche lapislazzuli, agate, ametiste, bagliori suggeriti dal fuoco baluginante, le chiome tinte di sfumature ora candide ora caramello. "Link, sarai sempre al mio fianco?" Posò la fronte contro la sua, le dita affondate in quel metallo fuso. "Sempre, Zelda." Il rumore della tempesta scomparve nell'istante in cui si baciarono.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Aprì gli occhi e vide il soffitto del baldacchino. Le prime luci del sole penetravano la stoffa, colorandosi di una rassicurante sfumatura cobalto. I frammenti del sogno che aveva fatto si disperdevano tra le onde dei tendaggi, mentre il respiro calmava lentamente il battito del cuore. Un'apocalisse di raggi incandescenti, violenza e morte, tinta di rosso intenso. Correva disperata, la vista annebbiata dalle lacrime, coperta di fango e graffi. Veniva trascinata da un cavaliere che la teneva saldamente per il polso, tentando di salvarla da quella carneficina. La sua tunica bianca era lorda dello stesso sangue che rendeva appiccicose e viscide le proprie dita. E quelle del ragazzo. Sentì bussare e pochi istanti dopo una tenda del baldacchino venne aperta. "Buongiorno principessa. Avete dormito male? Avete un viso così pallido." La sua balia le sorrise piano, le rughe che seguivano come delicati veli i movimenti del viso. Era vestita di nero. Annuì piano, confusa. Il suo viso le sembrava più grande di quanto ricordasse, e meno segnato. Osservò il letto, anche quello enorme. "Oggi dovrete essere forte, e mi dispiace dirvi che non sarà facile." Nello specchio, quando si alzò, notò di essere tornata bambina. Un groppo le chiuse la gola: "Ma.... Ma la Calamità si era manifestata e.... E la stavamo combattendo. Cos'è successo?" "Sarà stato il vostro brutto sogno, principessa." Le strinse i nastri di raso che chiudevano il vestito di seta. Sottili ricami azzurri ritraevano sul bordo della gonna un manto di Principesse Serene, che decoravano anche le maniche e il corpetto. Le era piaciuto davvero molto e lo avrebbe indossato volentieri altre volte da giovane se non fosse stato legato al funerale di sua madre. Ma lei era una bambina, cosa stava pensando? Cercò di raccogliere i frammenti di quel sogno. Era stato così vivido fino a pochi minuti prima, perché ora le sfuggiva? Davvero quell'apocalisse era solo una proiezione delle sue paure e della sua tristezza? Si diede un pizzicotto sulla mano e sentì la puntura familiare del dolore. Dunque sì, era stato tutto uno strano incubo e ora era sveglia. Seguì l'anziana, mano nella mano. Tenne lo sguardo basso. Non poté evitare di pensare a sua madre. Il suo ricordo sembrava così lontano ora, ombre di sorrisi gentili offuscati. Non le era stato permesso di vederla, solo di lasciare alla balia un pegno che sarebbe stato adagiato nella tomba con lei. Quanto tempo fa era successo? Sembravano passati anni e invece era stato appena il giorno precedente: stupido incubo. Scrollò appena il capo e prese posto accanto a suo padre.

Sentiva lo stomaco chiuso. La tristezza era esplosa appena aveva potuto ritirarsi dal funerale. Aveva solo desiderio di dormire, a malapena beveva. Il freddo che la paralizzava, così familiare e già assaporato, non riusciva ad essere temperato nemmeno dal fuoco più vivace. Per fortuna era inverno e qualche piccolo spiffero era proprio la scusa migliore per sedersi vicino alle fiamme, sul tappeto, e lasciare che la mente vagasse attraverso la loro danza baluginante. Il sogno aveva continuato a tormentarla, di giorno e di notte. Una giovane Zora andava incontro alla morte sorridendo senza speranze. Le ali dell'arciere Rito venivano lacerate e lui crollava a terra. Il veterano Goron si teneva al suo spadone gigantesco, in ginocchio. La condottiera Gerudo era costretta spalle al muro, rannicchiata dietro lo scudo alla ricerca di nuove forze. Quel cavaliere, pallido e scarlatto, esalava respiri fievoli, tra le sue braccia. La lucentezza dei suoi occhi azzurri gocciolava via insieme al sangue. Sentì bussare alla finestra e trasalì, le immagini di morte che venivano restituite alle fiamme. Scostò le tende e vide quelle iridi di zaffiro attraverso il vetro. Gli aprì e lui entrò. Nel suo sogno mostrava più di diciassette anni, davanti a lei c'era un bambino: come lei del resto. L'odore della torta di mele ancora calda la raggiunse e quasi non crollò in ginocchio. Le aveva portato il suo sorriso e il dolce. Nuovamente, o no? La sua lingua aveva già mangiato molte volte la torta di mela, la crosta che si impregnava del dolce succo caramellato, eppure quella era diversa. Lo sapeva ancora prima di addentarla, di vederla: quella era la fetta che l'aveva fatta parlare con Link per la prima volta. Ma lui non disse nulla. Le porse imbarazzato il fagotto e sparì oltre il balconcino, agile come un gatto. Beh, mica si poteva aspettare che le cose andassero come nel suo sogno. 

Con il passare dei giorni l'incubo divenne sempre più offuscato. Solo ogni tanto tornava prepotentemente questo o l'altra scena, in contrasto con ciò che le accadeva nella vita reale. Sinceramente potevano anche essere solo aggiunte che la sua mente creava da sola. Non era possibile che un sogno fosse così dettagliato: nemmeno le sacerdotesse che potevano vedere strappi di futuro avevano chiari singoli eventi. Figurarsi lei, che non sentiva nemmeno una goccia di potere nelle proprie vene. Perché la Dea le avrebbe inviato una visione a tal punto espressiva se poi non rispondeva alle sue domande? L'aveva forse abbandonata perché non aveva capito a cosa si riferissero le immagini oniriche? Cosa potevano rappresentare se non un futuro catastrofico. Come avrebbe dovuto evitarlo? Non usando il potere dei Guardiani e dei Colossi? Ma da soli non avevano speranza di sconfiggere quella bestia di odio e terrore. Le tremarono le gambe al solo ricordo di quell'atrocità ed ebbe una vertigine. Era solo una bambina, perché la Dea non voleva aiutarla? 

Urbosa, che le era sempre stata al fianco anche nelle sue angosce più profonde negli anni era divenuta distante. Diceva che gli Yiga si rafforzavano nel suo deserto e che le moldenottere, le gigantesche imperatrici delle sabbie, diventavano più pericolose e numerose ogni giorno che passava, costringendola a continue e faticose cacce. Suo padre la evitava, e la corte imitava il sovrano. Quando percorreva i corridoi non si preoccupavano più di mascherare i loro pensieri: li esprimevano a voce bassa, bisbigliando accigliati all'orecchio del vicino o borbottando tra se stessi. Non aveva più nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo. La Dea non rispondeva ai suoi disperati richiami e la abbandonava nel silenzio del tempio. Le lacrime le gonfiavano gli occhi e allora andava a vedere gli allenamenti dei soldati, sperando che il sole le alleviasse le emicranie e che il clangore delle armi la distogliessero dall'angoscia che la macerava. Seguiva con lo sguardo soprattutto un cavaliere. Link del lupo possedeva la mente fredda e l'eleganza, del cervo la leggerezza e la rapidità di riflessi. Eppure lei ricordava anche altre sfaccettature, sapeva che c'erano. Non le aveva mai rivolto più di un viso inespressivo in tutti quegli anni e nonostante questo lei sapeva che il suo sorriso era il più sincero che potesse sperare di avere da qualcuno. Aveva visto le sue iridi ora accese di eccitazione come una gemma colpita dalla luce, ora fuse di desiderio come le acque di un fiume al disgelo. Sapeva di aver vissuto altre vite, ma non rammentava degli occhi degli altri. Erano quelli del giovane lupo freddo e distante che aveva davanti: lo sapeva dalla piega e dalla sfumatura dei suoi capelli dorati, dal profumo particolare della sua pelle, che ricordava il vento di montagna, dalle ferite che lei aveva visto solo come cicatrici. Ma dove aveva potuto notare quelle sfumature? Quando? Erano sempre stati divisi eppure la notte ricordava chiaramente di averlo abbracciato sotto la melodia di una pioggia primaverile. Doveva sperare che almeno quelle domande trovassero una risposta.

La fonte del monte Ranel era fredda e le dita le si stavano intorpidendo, mentre il sole si alzava al suo picco. Le preghiere non trovavano risposta, non sapeva nemmeno se venivano udite. Una goccia di sangue cadde nell'acqua: le unghie si erano conficcate nel dorso delle mani riunite in preghiera. Sentì la presa gelida dell'acqua abbandonare le sue caviglie per il tempo di un battito di ciglia. "Zelda!". Fruscio di metallo contro il cuoio e il fragore di due spade che cozzavano. Si voltò e vide l'impossibile: due Link si stavano affrontando, perfettamente identici. Era stata la sua voce a chiamarla. "Zelda, risvegliati, tutto ciò non è vero!" "Cosa sei, demonio? Una nuova trovata della Calamità per ferire la principessa?" La furia dei loro colpi non avrebbero risparmiato nessuno, ma come sconfiggere la propria ombra? "Zelda, sai che questo non è vero, che è un'immensa illusione!" Incrociò i suoi occhi: erano gli zaffiri che aveva imparato ad amare. Icore dorato stillò dalla ferita sulla sua spalla quando la lama penetrò: crollò in ginocchio. Il volto dell'avversario era trasfigurato in un sorriso di feroce goduria, il corpo emanava miasma di un malsano nero violaceo. Il suo piede premette sul filo della lama e questa arrivò a sfiorare il cuore. Un colpo di luce disintegrò il corpo del falso e Zelda corse dal suo amato, mentre il paesaggio idilliaco della fonte si distorceva attorno a loro in un'oscurità temporalesca, l'illusione dispersa da uno squarcio nel suo scenario teatrale. Si abbracciarono. "Non ho tanto tempo, è solo grazie a Farore che ho potuto incontrarti ancora." "Ha usato le mie paure per intrappolarmi." "No, per combatterti. Perché ci sei riuscita Zelda: lo stai tenendo sigillato nel castello e Hyrule per ora è salva." "Io... Credevo fosse tutto un sogno." Lo sguardo di Link si intristì: "Purtroppo è tutto vero e tra poco tornerò al mio sonno." Si strinsero con maggior forza. "Non so se ce la farò senza di te." "Zelda, non avere più paura: sei più forte di quanto pensi e ce la farai. Arriverò il prima possibile: te lo giuro." Si baciarono, prima che il buio li inghiottisse.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Nel silenzio del tramonto si sentivano i primi bubbolii dei gufi che sgranchivano le ali nell'aria fresca. E gli zoccoli di un cavallo contro il morbido sottobosco. Non ci volle molto per scorgere l'animale: aveva un meraviglioso manto bianco che risaltava anche nella penombra crescente. Quando fu abbastanza vicino gli fece un cenno: "Rimani pure con noi, la notte è pericolosa." Loko gli sussurrò piccato all'orecchio: "Non abbiamo abbastanza provviste per un altro uomo!" Lo allontanò con un gesto tranquillo. Il cavaliere li osservò da sotto il cappuccio per un lungo istante, per poi fermare l'animale. Smontò e si avvicinò, legando le redini ad un ramo vicino. Alla sella erano legate, oltre ad un arco e ad una faretra, varie borse e bisacce: slacciò una di esse e la posò delicatamente vicino al fuoco: "Non è da me approfittare dell'ospitalità altrui." Si era rivolto a Loko, la voce roca di chi non è abituato a parlare. Dal sacco si percepiva l'aromatico odore del formaggio stagionato e di carne sotto sale. Aprì titubante il sacco mentre lo sconosciuto rovistava nei bagagli: era effettivamente pieno di cibo come era sembrato al suo naso. L'avventuriero aveva recuperato anche delle uova e si era seduto. I vestiti Hylia che portava erano usurati. "Sei in viaggio da molto, eh?" Si morse appena il labbro superiore: "Diciamo di sì." Le sue dita ruppero agilmente le uova sulla padella ardente che gli aveva avvicinato. "Noi stiamo andando verso il dominio degli Zora: potremo tornare a vendere lì le nostre merci, ora che pare che la pioggia sia cessata." "L'ho sentito dire, sì." Aveva abbassato il cappuccio, i lunghi e arruffati capelli biondi che cadevano lungo il collo. "Viaggi da solo? Dove sei diretto?" Il silenzio del cavaliere venne coperto dallo sfrigolare del cibo e dallo scoppiettio del falò. "Barin, sei il solito impiccione." "Non ha fatto nulla di male, davvero. Sto andando verso il villaggio di Finterra." "Ah, siamo stati lì varie volte! Un luogo davvero sereno, nonostante tutto." Il cavaliere accettò la fetta di pane e formaggio che Loko gli porse. L'impasto grossolano si univa al formaggio e gli impastava gradevolmente la lingua. "Sei molto giovane, ragazzo. Non hai paura a viaggiare da solo con tutti i mostri che circolano?" "So difendermi e sono abituato ad essere solo quando viaggio." "Beato te, io senza questo burbero brontolone non saprei proprio come passare il tempo!" "Sembri davvero ben equipaggiato!" Loko aveva puntato una delle dita callose verso l'elsa della spada che aveva posato al proprio fianco: "È la prima volta che vedo un lavoro come quello per una spada. Dove l'hai trovata?" "Nella mia famiglia siamo sempre stati spadaccini e questa era un cimelio di famiglia." "I tuoi parenti allora avranno assistito alla Calamità, mi dispiace." Un'ombra velò gli occhi azzurri del ragazzo. Il boccone successivo fu come un macigno. "Scusami, non volevo farti ricordare nulla di spiacevole." Si asciugò gli occhi: "Non è nulla: molti di noi hanno perso qualcuno in quel disastro." La presa di Barin sulla sua spalla era salda ma paterna. Il viso dell'uomo esprimeva la rassicurante promessa di un abbraccio in caso di lacrime. "Ho sentito che gli altri Colossi oltre Vah Rutah si sono calmati: forse le cose miglioreranno." "Rispetto a ciò che è successo cento anni fa sarebbe difficile il contrario, ragazzo." Strinse piano un pugno: "Molti combatterono e perdettero la vita. Anche i Campioni si sono sacrificati." "E nonostante questo ogni mese la luna diventa rossa." "Come vi permettete di parlare così? Erano praticamente soli, i Guardiani e i Colossi in preda alla furia della Calamità. E nonostante questo i loro spiriti hanno continuato a lottare anche dopo la sconfitta, per impedire la totale apocalisse, e continueranno fino a quando non tornerà la pace." Loko strabuzzò gli occhi: "Cosa ne sai, ragazzino? Parli come se fossi stato lì." "Sono stato lì." Prese la spada e la sguainò. La lama affilata sembrava emettere un lieve bagliore. Sul piatto, vicino all'elsa, era inciso il simbolo sacro della Triforza. "Mi dispiace aver lasciato la mia adorata Hyrule e le sue genti a soffrire per tutto questo tempo. Mi sono risvegliato senza ricordi, solo con una voce che mi chiamava. Ho passato mesi a cercare i luoghi dei miei ricordi, perché non sapevo cosa fosse successo o chi fossi. Tutto ciò che mi avevano detto è che avrei dovuto fermare tutto questo. E così ho fatto. Ho calmato i Colossi mentre riottenevo la mia memoria, piangendo ora i lutti di un secolo fa. Ho conosciuto tante persone, ho visto una Hyrule distrutta ma ancora viva." "Fermo, fermo! Ti crediamo, ragazzo: la Spada Suprema è già una prova più che sufficiente." "N-non è per questo." L'abbraccio lo avvolse: "Non oso nemmeno immaginare come sia stato. Non angustiarti, ora: abbiamo del buon cibo e spero troverai la nostra compagnia quanto meno piacevole per questa sera." Il ragazzo strofinò appena il viso contro la spalla di Barin. "Come ti chiami, ragazzo?" "Link."

Il cielo stava volgendo verso un blu opaco quando si alzò silenziosamente dal giaciglio. Il fuoco era ridotto a poche braci. I due mercanti respiravano profondamente, Loko russava leggermente tra i baffoni castani. Raggiunse il destriero e gli porse una carota dalla bisaccia. "Meglio andare." bisbigliò, mentre lasciava delle carezze sul muso dell'animale. Gli montò in groppa e si avviò lungo il sentiero, al passo. Poteva esserci ancora qualche stalboblin nei paraggi ma presto il sole avrebbe strappato la possibilità di rinascere ai servi di Ganon. Ripensò a quella notte. Sicuramente gli sarebbe piaciuto rimanere e viaggiare con loro, per le stesse strade durante tutto il corso della propria vita. Tante altre volte aveva desiderato vivere come un ragazzo qualunque. Avrebbe vissuto a Finterra, dove avrebbe coltivato un orticello nel giardino della propria casa. I ritmi della natura sarebbero stati i suoi, con la calma dei germogli e il canto dei pettirossi e degli usignoli. Avrebbe conosciuto una ragazza e l'avrebbe amata, avrebbe costruito una famiglia con lei, osservando un tramonto dopo l'altro. Oppure avrebbe potuto essere un cantore vagabondo: un po' rozzo e inesperto, forse, ma con il fascino dell'errante che vede e sente tante storie, le raccoglie nel proprio intimo e le porge ad altri come fossero perle. Avrebbe potuto diventare un cercatore di tesori, esplorando i luoghi più reconditi del deserto Gerudo o delle montagne innevate di Hebra. Avrebbe potuto vivere di pesca nel villaggi sul mare, lasciando che il sole gli rendesse la pelle ambrata e che le maree dettassero i ritmi delle sue giornate. La Spada Suprema gli premeva contro la schiena, ricordandogli che erano solo ormai fugaci fantasie, sogni ad occhi aperti che gli avrebbero avvelenato il cuore e l'animo. Anche prima aveva desiderato di fuggire? Dovette ammettere di sì. Aveva sperato innumerevoli volte in una svolta del destino. Però poi si era sempre trattenuto. Il coraggio di suo padre, che aveva dato la vita per salvare una persona. I suoi compagni, che adesso aspettavano con i loro Colossi il momento decisivo, ancora ad osservare Hyrule quando la Dea avrebbe dovuto accoglierli tra le sue amorevoli braccia tempo prima. Zelda, che aveva lasciato in preda ad un'illusione terribile e che stava soffrendo da troppo. La sua memoria era come un arazzo stracciato. I brandelli erano stati affidati ai quattro venti e quando li ritrovava li scopriva diversi: rovinati dalle intemperie, con il ricamo parzialmente disfatto e i bordi sfilacciati. Molti erano distrutti, persi per sempre, ma ne aveva raccolti abbastanza da poter intuire l'antico disegno. Chiuse gli occhi lucidi e lanciò il cavallo al galoppo. Il vento asciugò le lacrime in un istante. 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


"Mi ricordo, Zelda." La casacca era macchiata di sangue fresco, come quel giorno di cent'anni prima. Però ora splendeva il sole.

"Tagliami i capelli." "Zelda, è l'alba..." "Tagliami i capelli. Oggi inizia una nuova Hyrule e ci sarà una nuova Zelda!" La guardò confuso, mentre lei si sedeva meglio sul suo ventre. "Ne sei certa?" "Non pretenderai che giri in lungo e in largo con questa massa che non fa altro che annodarsi e darmi fastidio." "Beh, scelta tua. Ma perché non chiedi al parrucchiere reale?" "Voglio che me li tagli tu." "Non so se sono capace..." "Devi solo tagliarli, quanto sarà difficile?" Link sbatté un paio di volte le palpebre: "Devo farlo con le forbici o con una spada?" "Stupido!" La risata del ragazzo le scaldò il cuore.

Il mezzogiorno lo trovò ancora accoccolato accanto al fuoco. Zelda lo pungolò col piede: "Alzati, Link." "Ma è così presto, Zelda!" "Ormai sei sveglio. Alzati, che pranziamo." "Come pranziamo?" "Non noti un po' troppa luce, caro?" Lo osservò mettersi seduto e stropicciarsi gli occhi, sbadigliando. "Ora capisco perché ho dovuto aspettare più di cento anni, pelandrone. Sono dovuta andare da sola fino al fiume per pescare qualcosa, quando qualcuno aveva detto che mi avrebbe insegnato." "Ma quindi ci sei riuscita?" "No, ovviamente. Perché tu eri troppo intento a dormire." "Potevi svegliarmi." Zelda gonfiò le guance: "E l'ho fatto." Scosse divertito il capo e si alzò. "Va bene, va bene. Ora ti mostro." La attirò a sé e le rubò un bacio.

La luna brillava candida sopra le guglie del castello, la sua luce polverosa filtrava tra le tende. Bussò piano alla sua porta. "Sai che non ti è permesso vedermi prima di domani!" "Oh, lo so, Zelda. Volevo solo sapere come stai." "Non riesco a dormire..." "Nemmeno io. Agitata?" "Molto." "Più o meno di quando abbiamo sconfitto la Calamità?" "Di più." Ridacchiò: "Esagerata!" "Non prendermi in giro!" "Non oserei mai." "Cretino." La sentì sospirare esasperata. "Come farò a sopportarti per tutta la vita?" "Mi ami troppo per non sopportarmi." Un lungo istante di silenzio. "Tu sei agitato?" "Da morire" fu il suo bisbiglio.

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