Compilation di One shot

di NymeriaStark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Let It burn ~ Citizen soldier ***
Capitolo 2: *** World so cold ~ Three Days Grace ***
Capitolo 3: *** Thank you for hating me ~ Citizen soldier ***
Capitolo 4: *** Nothing to lose but you ~ Citizen Soldier ***
Capitolo 5: *** In pieces ~ Citizen Soldier ***
Capitolo 6: *** Over and over ~Three Days Grace ***
Capitolo 7: *** In my head ~ Mike Shinoda ***
Capitolo 8: *** Make hate to me ~Citizen Soldier ***
Capitolo 9: *** Scarecrow ~ Citizen soldier ***
Capitolo 10: *** Running away from myself ~ Citizen soldier ***
Capitolo 11: *** Kill my memory ~ Citizen soldier ***
Capitolo 12: *** Limit ~ Citizen soldier ***
Capitolo 13: *** If these scars could speak ~ Citizen soldier ***
Capitolo 14: *** Cenere ~ Lazza ***



Capitolo 1
*** Let It burn ~ Citizen soldier ***


Take my hand and look at me in the eye
There's still time left
Cut these chords, and kid, run for your life
Maybe you're broken, maybe you're shattered
With no reasons left to try
But you still have so much, so much worth saving
That you have left on the inside

Rio osservava con aria assente la scatola di medicinali poco distante. Era passato molto tempo dal suo incidente ma, nonostante le ferite si fossero ormai trasformate in cicatrici e non facessero più male, lo stesso non si poteva dire per la sua salute mentale. Continuava a fare incubi su quella notte e ogni volta si svegliava urlando, con le mani a coprirle il viso, nel disperato tentativo di proteggersi dalle fiamme.
Aveva cercato di fare finta di niente, di mostrare al mondo la ragazza forte e disinvolta che tutti si aspettavano fosse ma alla fine aveva ceduto. Era crollata, assalita da un attacco di panico così intenso da impedirle di respirare, piangeva disperata e tentava di urlare ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Iniziò a riprendersi solo quando il fratello la sollevò di peso e portata in cortile. La depose delicatamente sotto ad un albero e si sedette davanti a lei, non disse una parola, si limitò ad osservarla cercando di dissimulare la preoccupazione nel suo sguardo, in attesa che fosse lei ad iniziare.
"Reginald io..." Si interruppe, cosa poteva dirgli? Come poteva spiegargli quello che sentiva senza che si agitasse? Conosceva bene suo fratello e sapeva cosa aveva passato a causa sua, nonostante sapesse che non era di dipeso da lei, continuava a sentirsi in colpa per il male che gli aveva fatto, lo aveva lasciato solo e questo lo aveva trasformato in una creatura rancorosa e rabbiosa, profondamente diversa dal ricordo che aveva di lui. Deglutì, cercando di mandare giù il groppo che le ostruiva la gola.
"Mi dispiace... È stato imbarazzante, non posso credere di essere scoppiata in lacrime nel bel mezzo del corridoio... Ho regalato a tutta la scuola un'altra ragione per ridere di noi. Non dubito che la useranno come arma per farci del male..."
"Non dire assurdità Rio. Credi davvero che mi importi qualcosa di quello che pensano quegli idioti? Che si divertano pure a sputare sentenze a me non interessa affatto" si interruppe, soppesando la sua reazione. Si trovò davanti due occhi spenti, assenti, lei non era lì, la sua mente era da un'altra parte, doveva affrettarsi a riportarla indietro, per evitare che si facesse ancora più male.
"Ma è evidente che per te è importante, fai molto affidamento sull'opinione che hanno di te ma posso assicurarti che le persone che ti vogliono bene non smetteranno di farlo perché hai mostrato di poter essere fragile. Non posso parlare a nome di tutti ma ti garantisco che io non ti lascerò da sola, affronteremo insieme qualunque sfida ci si pari davanti e ne usciremo vittoriosi..." si bloccò, riflettendo attentamente sulle sue parole successive "ma per farlo ho bisogno che tu ti apra con me, non sarò in grado di aiutarti senza sapere cosa sta succedendo" Rio lo guardò per qualche istante, era così strano sentirlo parlare in quel modo, Reginald era sempre stato il tipo di persona che preferisce le azioni alle parole ma, ogni tanto, era in grado di supportarla in modi inaspettati, di dire esattamente ciò che aveva bisogno di sentire nel momento giusto e questa era una di quelle occasioni.
"Continuo a fare incubi sull'incidente. Rivedo le fiamme, ne sento il calore... Ho il terrore di duellare, so che è stupido, che non capiterà più che qualcuno abbia una carta così pericolosa ma è più forte di me.
Mi sto sforzando di tenere tutti a distanza, di lasciargli vedere solo ciò che desidero mostragli ma indossare la maschera della ragazza forte e imperturbabile sta diventando troppo difficile per me, non ci riesco più e ho paura..." Sentì le lacrime scendere copiose lungo le sue guance, si affrettò ad asciugarle con il dorso della mano. Reginald non commentò, non espresse alcun giudizio su quel che gli aveva appena detto, si limitò ad abbracciarla, facendole capire, con quel semplice gesto, che poteva contare su di lui. Lo sentì mormorare
"Andrà tutto bene" e cercò di convincersi che fosse vero, che esistesse un modo per sistemare tutto e tornare a stare come prima ma una parte di lei era tristemente consapevole che non fosse possibile, che qualcosa si era irrimediabilmente rotto e sarebbe stato impossibile da riparare.

I know you feel like you are worthless, that your day has come
The misery eats you alive until you come undone
You feel like there is nowhere left to call your home tonight
You are not alone, this is our time, and I am by your side
My friend, this is do or die

I giorni successivi a quello che Rio si ostinava a considerare "un piccolo imprevisto" furono i peggiori in assoluto. Smise quasi completamente di mangiare e si chiuse in sé stessa. Poteva percepire la rabbia del fratello, l'immensa frustrazione che provava all'idea di non poter fare nulla per aiutarla. Si detestava per ciò che gli stava facendo passare e quando, una sera in cui si sentiva particolarmente triste, lui le infilò un bigliettino sotto la porta con nome e indirizzo dello studio di uno psicologo si rese conto che sì, aveva bisogno del supporto di un professionista. Osservò amareggiata quel cartoncino, aveva sempre considerato la necessità di essere aiutati una debolezza, si era sforzata di fare sempre tutto da sola ma la vita aveva avuto altri piani, era stata un peso per Reginald, si era dovuto prendere cura di lei, pagarle le cure mediche e tutto mentre studiava, trovando occasionalmente qualche lavoretto part time per riuscire a sbarcare il lunario. Era tristemente consapevole che i soldi dell'eredità dei loro genitori erano stati ormai spesi nella loro quasi totalità e l'idea di dover pagare per passare un'ora a settimana con un perfetto estraneo che provava ad entrare nella sua testa non le piaceva affatto.
"Ma devi andarci, per Reginald ma, soprattutto, per te stessa. Ormai è chiaro che non riesci ad uscirne da sola, tanto vale fare un tentativo..."
Prese appuntamento per il giorno successivo, aspettare non l'aveva condotta da nessuna parte e, nonostante continuasse a considerarla una follia, cercò di autoconvincersi di aver fatto la scelta giusta.
Entrò titubante nello studio, un uomo dall'aria gioviale e due ridenti occhi verdi l'accolse con un sorriso.
"Rio Kastle, giusto?" le domandò tendendole la mano
"Sì..." Rispose, stringendola con incertezza. Il dottore le fece strada fino alla scrivania e le indicò una poltrona su cui sedersi. Si accomodò e osservò l'uomo che faceva altrettanto, sistemandosi di fronte a lei.
"Allora Rio, io sono il dottor Halpert, sono principalmente uno psicologo ma ho anche una laurea in psichiatria quindi, se lo ritenessi necessario, potrei prescriverti dei farmaci. Tu sarei d'accordo con l'idea di intraprendere una terapia di questo tipo o è una prospettiva che ti spaventa?"
"Io... Suppongo che vada bene"
"Non devi darmi la risposta che pensi voglia sentirmi dire, ricorda che questo è il tuo spazio e si parla della tua salute, è importante che dica quello che senti senza farti alcun tipo di scrupolo"
"D'accordo... Allora direi che non è una prospettiva che mi piace. Preferirei provarne ad uscire senza il bisogno di farmaci"
"È assolutamente comprensibile e legittimo" disse per poi iniziare a scrivere su un'agenda
"Dunque, direi che possiamo iniziare. Ti va di raccontarmi cosa ti ha spinta a venire qui?"
"Ho avuto un attacco di panico mentre ero a scuola ma già da prima avevo problemi a dormire. Facevo spesso incubi relativi ad un incidente che ho avuto tempo fa e... Beh... Alla fine non sono più riuscita a salvare le apparenze e sono crollata..." Lo osservò scrivere con crescente angoscia, terrorizzata all'idea che le sue più grandi fragilità fossero in quel quaderno, alla mercé di quell'uomo
"Hai parlato di un incidente come causa scatenante, te la senti di scendere un po' più nel dettaglio?"
"Sono rimasta coinvolta in un incendio e ho passato parecchio tempo in coma, in ospedale, non c'è molto altro da aggiungere..."
"È davvero terribile! Sono mortificato che tu abbia dovuto affrontare un trauma del genere.
Prima hanno parlato di "salvare le apparenze" questo mi lascia presupporre che tu tenga molto in considerazione il modo in cui ti vedono gli altri, da cosa credi che dipenda?"
"Non lo so... Forse, essendo stata assente così a lungo, ho sentito il bisogno di fare una buona prima impressione su tutti, di mostrare solo il lato migliore di me..."
"Esattamente, noto con piacere che hai delle capacità di autonalisi notevoli, è molto importante perché ti permette di individuare con precisione ciò che ti fa stare male e a lavorare in modo da permetterti di gestirlo e impedirgli di influenzare negativamente la tua vita" Rio annuì, incerta su come reagire a quell'informazione
"Hai delle persone a cui sei particolarmente legata? Magari qualcuno con cui hai parlato del momento difficile che stai attraversando?"
"Ho alcuni amici ma non sono ancora abbastanza in confidenza con loro per aprirmi riguardo alle mie condizioni attuali ma sì, c'è una persona con cui ne ho parlato, si tratta di mio fratello"
"Capisco, non è semplice fidarsi di persone che non si conoscono bene ma è importante che ti sia confrontata con tuo fratello. Che rapporto hai con lui?"
"Uhm... Beh... Direi perlopiù buono, ogni tanto litighiamo per ragioni stupide ma credo che sia normale. In più se non fosse stato per lui non credo che sarei qui oggi"
"Quindi l'idea della terapia è stata sua?"
"Non esattamente... Si è limitato a suggerirmela come ipotesi, non mi ha imposto nulla"
"Ti fidi molto del suo giudizio"
"Sì, si è preso cura di me per molto tempo e mi conosce meglio di chiunque altro" un sorriso si dipinse sul volto dell'uomo
"È molto bello che tu possa contare su di lui, è sempre d'aiuto avere a canto persone care in grado di supportarci nei nostri momenti peggiori.
Quella che ti sto per fare è una domanda che può sembrare stupida ma che, spesso, manda in crisi molti miei pazienti ed è "come stai?" Non ci sono risposte giuste o sbagliate, ti chiedo solo di evitare di dire "bene" o "male", sono assolutismi che non sono d'aiuto, ci sono sempre delle sfumature nel mezzo, ad esempio si può stare attraversando un momento particolarmente complesso ma sentirsi comunque energici o, viceversa, vivere un periodo all'apparenza felice ma non riuscire ad affrontarlo con la serenità necessaria per goderselo." Il medico notò l'espressione spaesata della ragazza e si affrettò ad aggiungere
"Scusami per la spiegazione contorta e intricata, a volte tendo a parlare troppo..."
"Non si preoccupi, ero solo un po' spaventata all'idea di non poter svicolare la domanda con un semplice "bene" o "male"...
Immagino che se dovessi descrivere come mi sento ora direi smarrita, terrorizzata ma, al contempo arrabbiata. Detesto trovarmi in questa situazione, dover chiedere aiuto per l'ennesima volta e sentirmi così fragile... Vorrei poter essere sempre forte, indistruttibile, percorrere la mia strada senza che le mie insicurezze mi frenino ma sembra che non sia possibile..."
"Rio, non dire così, sei una ragazza giovane, con tutta la vita davanti, avrai tutto il tempo di essere forte e raggiungere i tuoi obiettivi. Adesso hai bisogno di provare ciò che senti e sai perché?" La ragazza scosse leggermente la testa
"Per crescere. Se fosse tutto semplice, senza ostacoli, si finirebbe per non maturare mai. Diventeremmo creature vuote, insipide, che vivono per inerzia.
Il dolore che stai vivendo ora ti renderà ancora più resiliente e ti darà gli strumenti necessari ad affrontare le altre difficoltà che, inevitabilmente, ti attendono sul tuo percorso. Il fatto che tu sia qui e che sia riuscita ad aprirti su tutto questo è stato molto coraggioso, hai deciso di combattere questo malessere e io sono qui per darti gli strumenti necessari a farlo. Scusami se ho divagato di nuovo"
"Lo pensa davvero? Crede sul serio che questo periodo passerà, che sarò in grado di stare meglio?"
"Assolutamente sì" disse con un sorriso incoraggiante. Dopodiché il suo sguardo cadde sull'orologio che portava al polso
"Temo che, per oggi, il nostro tempo sia scaduto. Hai qualcos'altro di cui parlarmi prima di salutarci?"
"No, credo di aver detto tutto"
"Molto bene allora, ci vediamo la prossima settimana" disse, guidandola verso l'uscita.

Hey kid, can you hear me?
Don't you dare pull the trigger and throw it all away
You have every reason left to stay alive
All this hell you have lived and seen
Drown it all in gasoline
Then light a match, pull the pin
You are not who you've been
The past is just lessons learned
Light it up and let it burn

Sulla strada verso casa si sentiva diversa, un po' più leggera. Il peso opprimente che le gravava addosso le sembrava di colpo più gestibile.
Aprì la porta di ingresso e si trovò davanti il fratello. Si lasciò scappare un sorriso nel vedere la sua espressione interrogativa
"È andata bene" disse, prima che lui potesse chiederle qualsiasi cosa
"Oh, mi fa piacere" rispose, visibilmente sollevato
"Il dottore è un tipo un po' eccentrico ma mi sembra bravo nel suo lavoro. Ha parlato della possibilità di farmi prendere delle medicine ma gli ho detto che, almeno per il momento, preferirei evitare di farlo"
"Capisco. Ovviamente quella è una scelta che spetta a te, non potrebbe importela nemmeno se lo volesse"
"Lo so ma credo che, per chiedermi una cosa del genere, avesse già in mente l'idea di farmi prendere qualcosa..."
"Ritieni di averne bisogno?"
"No... ma non sono esattamente nelle condizioni ideali per valutare una prospettiva del genere... Tu cosa credi che sia meglio fare?"
"Io... non ne ho idea Rio. Vorrei solo vederti stare meglio e, se per farlo, fosse necessario intraprendere una terapia farmacologica, beh, immagino che potrei considerarlo un compromesso accettabile, non sei d'accordo?" Ci rifletté per qualche istante, in effetti, vista da quella prospettiva, l'idea di una cura non sembrava così folle.
"Sì, immagino che tu abbia ragione, grazie, avevo proprio bisogno di un secondo parere" disse. Gli diede un fugace abbraccio prima di salire di corsa in camera sua.
Chiamò subito il dottore, spiegandogli le ragioni per cui aveva cambiato idea così rapidamente. Lui si dimostrò comprensivo e le consigliò due farmaci che, a suo parere, sarebbero stati in grado di aiutarla. Le inviò le ricette in modo tale che potesse cominciare a prenderle sin da subito.
Iniziò la cura nei giorni successivi, tenendola monitorata. Sembrava andare tutto bene, si sentiva più energica e su di morale, ricominciò ad uscire e a mangiare, insomma stava bene. La situazione però non durò, dopo qualche mese di relativa serenità, fu assalita da un'angoscia ben peggiore di quella vissuta l'ultima volta. Non lo disse a nessuno, convinta che, com'era arrivata, sarebbe anche andata via ma non andò così.
Ogni giorno stava peggio,si sentiva impazzire e desiderava solo smettere di soffrire in quel modo. Non seppe quando iniziò a meditare l'idea di farla finita, forse c'era sempre stata ma aveva avuto la forza di guardare dall'altra parte, di ignorarla ma ora quel flacone di pillole sembrava chiamarla, promettendo quiete e serenità. Provò a resistere ma, come i marinai con il canto delle sirene, finì per lasciarsi tentare da quella prospettiva e fu trascinata a fondo.

Never thought that it would come to this
Who will save you?
Fading fast, now you are cancerous
I know you feel hopeless at the end of your rope now
The fear is eating you alive
So I'll be your reason, I'll be your shelter
I will not let you say goodbye
Have you no reason to forget your pain and swear you'll stay?
If you kiss it all goodbye, my friend, the world will be a darker place
I know you're scared to death, but this is not the time to hide
You were meant for so much more, won't let you leave this world behind
What will it take to survive?

Si risvegliò in un letto a lei estraneo, non riconosceva la stanza in cui si trovava né i volti che le passavano davanti.
"Dove sono?" Provò a chiedere ma dalle sue labbra uscì un suono indistinto. Una donna le si avvicinò e cercò di confortarla
"Si trova nel reparto psichiatrico dell'ospedale. Sa perché si trova qui?" Scossa lentamente la testa
"Ha tentato il suicidio ingerendo una dose eccessiva di psicofarmaci" la dolorosa consapevolezza di aver davvero compiuto quel gesto scellerato la travolse.
"No, non posso averlo fatto davvero. Ci ho pensato questo sì ma non lo desideravo davvero... Io non..." Ma per quanto si sforzasse di trovare una scappatoia, un modo per convincersi che era tutto un incubo, che nulla di ciò che la circondava era reale, sapeva come stavano le cose. Chiuse gli occhi, sperando che l'oblio giungesse, donandole un po' di sollievo.
Si risvegliò qualche minuto, ora o giorno dopo, non avrebbe saputo dirlo con esattezza. La stanza era la stessa dell'ultima volta, l'unica differenza era la presenza di una persona accanto al suo letto, cercò di metterla a fuoco ma le ci volle comunque qualche istante per riconoscerla. "Reginald!" Pensò, sollevata all'idea di vedere un volto amico. Il sollievo durò solo un momento, "gli ho fatto di nuovo male, e questa volta volontariamente... Sono una persona terribile, come mi è potuto saltare in mente? Sono così dannatamente stupida..."
"Rio... Sei sveglia" le parole del fratello la riscossero da quella spirale di pensieri
"Sì..." Sussurrò, incapace di guardarlo negli occhi. Sentì la mano di Reginald stringere la sua, c'era un che di disperato in quel gesto, il bisogno di accertarsi che fosse tutto vero, che fosse realmente tornata.
"Quanto ho dormito?"
"Un paio di giorni. Il tempo necessario al tuo corpo per smaltire... Quello che avevi preso" sapeva a cos'era dovuta quell'esitazione
"Non è stata colpa tua..."
"Sì invece! Se non ti avessi convinta a prendere quelle maledettissime pillole adesso non saresti qui... Sono stato davvero uno stupido a non capire, io..." Si bloccò, sopraffatto, Rio lo guardò con un'espressione triste dipinta sul viso. Vederlo così ferito e spaventato era terribile. Non riusciva nemmeno lontanamente ad immaginare cosa potesse essergli passato per la testa negli ultimi giorni.
"Mi dispiace... È stato un gesto stupido... Io non ricordo nemmeno di averlo fatto... Stavo guardando quelle dannate pasticche e poi... E poi c'è il vuoto..."
"Già... è il blackout di cui hanno parlato i dottori, hanno detto che è piuttosto comune in casi del genere"
"Scusami..."
"Smettila, non sono arrabbiato con te... Ho solo bisogno di un po' di tempo per elaborare quello che è successo..."
"Lo capisco..." Rimase in silenzio per qualche istante prima di fargli la domanda che aveva iniziato a ronzargli in testa già da un po'
"Quando potrò tornare a casa?"
"Non lo so, non sta a me deciderlo. Devono essere i medici della struttura ad attestare che ti sei ripresa del tutto"
"Oh... Quindi potrei dover rimanere qui per un po'..."
"Temo di sì"
Un infermiere entrò nella stanza annunciando che l'orario delle visite era terminato. Rio strinse con ancora più forza la mano del fratello
"Non andare via, ti prego..." I suoi occhi blu la guardarono, colmi di tristezza
"Lo hai sentito, non posso restare ma ripasserò più tardi, devi solo resistere per qualche ora" disse, cercando di rassicurarla
"Non voglio stare qui... E soprattutto non voglio farlo da sola..."
"Lo so Rio ma ho le mani legate e, sinceramente, credo che passare un po' di tempo qui potrebbe farti bene. È una struttura con un personale qualificato a prendersi cura di pazienti con problematiche simili alla tua e sono senz'altro più bravi di me a gestirle..." L'infermiere ripassò, invitando Reginald a lasciare la struttura. Lui le lasciò delicatamente la mano e, dopo averla salutata, lasciò la stanza. Le ore successive sembrarono infinite, parlò con diversi medici e altri pazienti della struttura cercarono di interagire con lei, senza successo. Rimase a letto fino all'ora di cena quando, finalmente sentì la porta di ingresso aprirsi. Rivedere il fratello la ripagò della giornata infernale appena trascorsa. Gli permisero di stare con lei durante la cena, si sforzò di mangiare tutto, ben conscia di quanto anche questo contasse nella valutazione dei medici.
Riuscì a vivere meglio il resto della serata, si stava suo malgrado ambientando in quel posto. Aveva deciso di impegnarsi sul serio per poter tornare a casa il prima possibile, andava ogni giorno a parlare con i medici, seguiva scrupolosamente la terapia che le avevano dato e si sforzava di comunicare con gli altri pazienti.
Dopo un paio di settimane le concessero di uscire per qualche ora, insieme al fratello.
Riconquistare quelle piccole libertà le diede una gioia che non provava da tempo.
Ci vollero circa tre mesi prima che i medici si ritenessero soddisfatti e la dimettessero. Tornare a casa fu strano, si era ormai abituata agli strani ritmi ospedalieri, a dormire con le luci costantemente accese a sentire rumori a qualsiasi ora del giorno, ad essere svegliata presto per un prelievo.
Nel giro di qualche giorno riuscì a riambientarsi e a riprendere una vita normale. Ricominciò ad andare a scuola e tornò in terapia dal dottor Halpert, si sentiva libera, finalmente in grado di affrontare le sue giornate senza crollare. Reginald le stette accanto tutto il tempo, credendo in lei e dandole la spinta necessaria a non arrendersi, gli era grata per ciò che aveva fatto, per il modo discreto e non giudicante con cui aveva gestito quella situazione delicata e complessa.
Ebbe altri momenti di crisi ma riuscì a superarli, aveva ancora paura ma era consapevole di essere in grado di affrontarla e non la spaventava più. Si era finalmente trasformata nella persona forte che aveva sempre desiderato essere e ci era riuscita accettando che, a volte, era necessario essere deboli, sentirsi sconfitti, toccare il fondo. Ciò che era importante era essere in grado di risollevarsi, di proseguire, nonostante tutto. Mise in pratica questa lezione ogni giorno e, finalmente, raggiunse la stabilità che aveva tanto a lungo sognato.

You will remember the day
You burned it all to the ground
I know you've heard this before
But you've gotta be strong now
This is not the end

Piccola postilla dell'autrice
I feel it everyday, it's all the same
It brings me down, but I'm the one to blame
I've tried everything to get away
So here I go again
Chasing you down again
Why do I do this?

Kite raggiunse il sito del duello, vi trovò Yuma, Astral, Tori, Shark, Rio e... Mizar, la persona che si aspettava di trovare, stava avendo la meglio sul suo amico ed era evidente che la situazione stesse precipitando. Prese il suo posto, ritrovandosi rinchiuso nel campo sferico Bariano con il biondo dominatore dei draghi. Sentiva Drago fotonico occhi galattici agitarsi, smanioso di combattere occhi tachionici. Gli era molto più semplice imputare al suo compagno la scelta di combattere quella battaglia, piuttosto che accettare il modo in cui Mizar lo faceva sentire.

It feels like everyday stays the same
It's dragging me down, and I can't pull away
So here I go again
Chasing you down again
Why do I do this?
Over and over, over and over
I fall for you
Over and over, over and over
I try not to
Over and over, over and over
You make me fall for you
Over and over, over and over
You don't even try

Iniziò a duellare, mettendo la potenza dei suoi sentimenti in ogni attacco, voleva vincere a tutti i costi, era un bisogno viscerale, che si era fatto strada dentro di lui e che stava mascherando i suoi reali intenti. Osservò i due draghi darsi battaglia, desiderosi di dimostrare chi tra loro fosse il più formidabile e potente. L'incredibile energia che sprigionarono fu sufficiente a destabilizzare il campo e a costringere Mizar alla fuga. Lo guardò andare via, lo sguardo furente che rendeva ancora più gelidi i suoi occhi azzurri, la folta chioma di capelli dorati che gli circondava il volto, dandogli un'aria fiera e indomabile, così simile a quella dei draghi, creature importantissime nella vita di entrambi. Sparì rapidamente com'era arrivato, lasciando dietro di sé una scia di devastazione. Kite non rimase, non ci riuscì, era attanagliato da dubbi e incertezze ma, soprattutto, si sentiva sopraffatto da una sensazione arcana e a lui estranea. Una sensazione che gli stava restituendo la passione per i duelli, persa anni prima a causa del gravoso ruolo di cacciatore di numeri che gli gravava sulle spalle. Quel Bariano era diverso dalla feccia che combatteva di solito, aveva un suo codice, una contorta morale che si ostinava a seguire. Era indubbiamente determinato a dimostrare di essere l'unico degno del titolo di padrone dei draghi. Per Kite però la posta in gioco stava diventando più alta, non gli era mai capitato prima di continuare a cercare spasmodicamente un suo rivale, nemmeno Yuma aveva acceso in lui un interesse tanto forte, eppure Mizar ci era riuscito, lo aveva legato a sé in un modo misterioso e incomprensibile, lasciandolo disorientato. Ovviamente non era pronto ad accettare i suoi sentimenti, né poteva permettersi di farlo. Conosceva il suo compito e Mizar era solo l'ennesimo nemico da abbattere, il resto non aveva importanza, d'altronde le sue emozioni non erano mai state prese in considerazione negli ultimi anni, sarebbe stato davvero sciocco iniziare a farlo proprio ora.

So many thoughts that I can't get out of my head
I try to live without you
Every time I do, I feel dead
I know what's best for me
But I want you instead
I'll keep on wasting all my time

La luna, quale luogo più ameno e misterioso poteva esistere per il loro confronto finale? Si era preparato a lungo a quel momento, sapeva di avere in mano le sorti della guerra contro i bariani, non poteva permettersi di perdere né tantomeno di lasciare che i suoi sentimenti confusi avessero la meglio sulla gelida logica e razionalità che lo avevano da sempre contraddistinto. Duellarono come solo due persone con il destino del loro mondo sulle spalle avrebbero potuto fare. Alla fine Kite ne uscì vittorioso ma i danni riportati da Orbital erano troppo ingenti per permettergli di salvarsi. La verità era che non gli importava, aveva adempiuto al suo compito e ora era pronto al meritato riposo, alla tanto agognata pace che non gli era stata concessa in vita.
Vide Mizar avvicinarsi, aveva gli occhi lucidi, sembravano due zaffiri puntellati di stelle. Vi leggeva un'emozione che, fino a qualche istante prima, era stata celata dietro un velo di rabbia e cieca dedizione.
"Lui è come me" si ritrovò a pensare con una punta di tristezza "costretto a combattere un'infinita guerra che non condurrà mai a una vera e propria vittoria, a perdere tutto ciò che aveva duramente conquistato. Per poi arrivare alla fine e farsi la stessa domanda che mi pongo io in questo momento: "Ne è valsa la pena?". " Era convinto che la risposta fosse un convinto e sonoro "no" ma poi la sua mente iniziò a vagare, a ricordare come, nonostante quel conflitto gli stesse togliendo ogni cosa gli avesse anche donato lui, Mizar. Il ragazzo che in quel momento lo stava stringendo tra le sue braccia, in un disperato tentativo di tenerlo ancorato al suo corpo, di impedire alla sua anima di compiere l'ultimo viaggio verso l'ignoto. Un sorriso amaro gli si dipinse sulle labbra, sapeva cosa avrebbe dovuto dire con il suo ultimo respiro, rivelargli ciò che provava era l'unica scelta possibile... ma non ci riuscì, finendo invece per spingerlo a raggiungere un destino simile al suo. Non era quello il suo intento e vedere la disperazione dipingersi negli occhi di Mizar, mentre sentiva le sue palpebre divenire sempre più pesanti, gli lasciò addosso un senso di amarezza difficilmente sormontabile. Fu solo quando, nei suoi ultimi attimi di lucidità, sentì il calore del suo viso accanto al suo collo che riuscì a trovare un po' di pace.
"Non sei riuscito a salvarlo ma non lo hai nemmeno perso... non ancora" fu questo il pensiero che lo accompagnò verso la fine, verso la meta di quell'interminabile e faticosissimo viaggio chiamato vita.
Mizar osservò per l'ultima volta il corpo di Kite, aveva un'espressione serena come se fosse riuscito a raggiungere un traguardo... o a trovare una risposta. Non aveva mai avuto il coraggio di concedersi di assecondare i suoi sentimenti per lui, nemmeno poco prima, nonostante sapesse che era la sua ultima occasione per farlo. Aveva trascorso buona parte della sua esistenza incapace di raggiungere la felicità, inizialmente aveva perso la sua famiglia poi Jinlon, il suo migliore amico, ed era stato trasformato da Don Thousand nella creatura piena di odio e vendicativa che era adesso. Kite era stato un piacevole contrattempo, una distrazione dalla straziante monotonia di sofferenza che era stata la sua vita. I duelli con lui avevano risvegliato una parte di sé che credeva persa per sempre, il lato umano che era convinto di essersi lasciato alle spalle. Per un po' lo aveva detestato per questo, tornare a provare emozioni e sentimenti così intensi era stato destabilizzante ma aveva ben presto imparato a trovarvi conforto, a rifugiarcisi per scaldarsi nei momenti in cui, nel mondo intorno a lui, sembrava esserci un eterno inverno. Ora che lui non c'era più era di nuovo il gelo a spadroneggiare, fu il suo desiderio di riavere quel tepore, no di riavere Kite, a spingerlo a compiere il passo successivo. Raggiunse Don Thousand e lo sfidò, sotto lo sguardo attonito di Nash, Yuma e Astral. Partì subito all'attacco, smanioso di chiudere in fretta il duello, e fu questo a causare la sua fine. Si era illuso di poter vincere, di riuscire ad ottenere il potere necessario a riaverlo con sé ma aveva fallito. Chiuse gli occhi, pronto ad accettare l'oblio eterno che lo attendeva ma fu sorpreso da una luce intensa, che ammantava di bianco il paesaggio circostante. Quindi era quello il limbo in cui avrebbe trascorso il suo illimitato futuro... non poté fare a meno di restarne deluso, si era aspettato la dannazione, una punizione perpetua per fare ammenda per i suoi innumerevole peccati, l'ennesima fonte di sofferenza nella valle di lacrime che era stato il suo passato. Si convinse che in fondo era meglio così, non meritava un futuro con Kite e, considerati i precedenti, più lontano lo avesse tenuto da sé più entrambi avrebbero avuto una speranza di salvezza. In fondo quello era l'inferno, doveva esserlo e in vita non avevano fatto altro che tormentarsi a vicenda, in un'eterna danza di sentimenti inespressi e paure nascosti sotto uno spesso strato di rabbia quindi quello che aveva era l'aspetto giusto, una vasta e vuota desolazione che lo avrebbe isolato dall'unica fonte di gioia che aveva avuto negli ultimi anni. Erano questi i pensieri in cui si era perso poco prima di accorgersi che il paesaggio intorno a lui stava mutando, come se stesse seguendo un desiderio recondito e inespresso che albergava nel suo cuore, lo vide, davanti a sé, inizialmente pallido ed evanescente, poi sempre più concreto e tangibile. Gli si avvicinò, con gli occhi sgranati e spauriti ma anche con una flebile speranza. Lo raggiunse, animato dalla smania di rivederlo, di potergli finalmente rivelare ciò che provava, e poi tutto svanì di nuovo. Si risvegliò sulla Terra, in forma umana, con ancora intatti i ricordi di quanto avvenuto poco prima. Corse alla disperata ricerca di Kite, doveva essere tornato, non era possibile che Yuma lo avesse lasciato indietro. Corse fino a non avere più fiato, fino a quando i suoi polmoni non lo costrinsero a fermarsi per recuperare le forze. Si sedette, ormai rassegnato all'idea che fosse tutto un incubo, uno interminabile che lo avrebbe accompagnato in un'infinità di notti insonni. Poi sentì una mano sulla sua spalla, scattò in piedi, pronto ad affrontare la nuova minaccia e se lo trovò davanti. Kite lo osservava con aria confusa, la sua reazione sembrava averlo destabilizzato. Cercò di recuperare una parvenza di compostezza prima di rivolgergli la parola.
"Ciao..." Bisbigliò con tono incerto, quasi come se si aspettasse di vederlo nuovamente dissolversi davanti ai suoi occhi.
"Ciao Mizar" gli rispose Kite con un sorriso divertito dipinto sulle labbra
"Stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma" disse, cercando, invano, di smorzare la tensione.
"Ti sembra il momento di scherzare?!?" Si ritrovò a gridare, sopraffatto dalla mole di emozioni che non avevano fatto altro che assalirlo dal loro ultimo duello
"Eri morto dannazione, ti ho visto spegnerti senza poter fare nulla e poi, quando pensavo che avrei potuto raggiungerti, sei sparito di nuovo... Io non so se tutto questo sia reale, se sono davvero tornato o se questo è solo un patetico tentativo della mia mente di regalarmi una chiusura, l'opportunità di dirti ciò che avrei voluto riferirti prima che finisse tutto... ma ormai non ha più importanza. Io... Provo qualcosa per te Kite, non so descriverlo con esattezza ma... ecco... sono felice di riaverti qui, a prescindere dal fatto che questa sia o meno un'illusione..." Ammutolì, sopraffatto dall'enormità di ciò che aveva appena detto. Osservò attentamente le sue reazioni, pronto ad essere schernito e rifiutato ma non successe, al contrario Kite gli si avvicinò, stringendolo a sé. Non riuscì a comprendere ciò che gli disse in seguito, la sua mente era altrove e nelle orecchie riusciva solo a sentire il battito incessante del suo cuore. Ricambiò la stretta, dapprima con incertezza e in seguito con disperata intensità. Gli ci volle qualche interminabile istante per realizzare che era tutto vero, non lo avrebbe perso di nuovo. Finalmente aveva l'opportunità che aveva così ardentemente desiderato e si ripromise di non sprecarla.
Passarono diversi mesi prima che entrambi realizzassero cosa provavano uno per l'altro, il profondo senso di disagio che nasceva in loro all'idea di parlare di sentimenti aveva messo un freno alla loro relazione ma, una volta superata questa infondata paura, furono in grado di costruire un legame indissolubile che li avrebbe accompagnati negli anni a venire.

Piccola postilla dell'autrice
Ciao a tutti/e, non sono solita scrivere outro o commenti per le mie storie, l'ho fatto per un po' per poi accantonare l'idea, che ho però deciso di adottare nuovamente per questa serie di one shot (immagino dipenda dal mio essere un'indecisa cronica ma chi può dirlo?).
Quella che vedete è la prima di una (lunga?) serie di one shot a tema zexal. Ho deciso di esplorare anche personaggi che di solito non ho considerato più di tanto, come Kite, Mizar e lo stesso Yuma.
Spero che questa idea possa piacervi e di poter creare delle storie interessanti.
Grazie per il vostro tempo, sentitevi liberi di lasciare un commento se vi va




Ciao a tutti/e, questa è stata senza ombra di dubbio la storia più difficile ma, al contempo, più soddisfacente da scrivere. Era da un po' che volevo creare una fic con Rio come protagonista, ho sempre trovato poco plausibile che, dopo ciò che aveva passato, lei andasse avanti con la sua vita come se nulla fosse. Ho quindi deciso di dare una mia versione, una sorta di "dietro le quinte" se vogliamo. C'è molto di me in questa storia, tanti dei demoni che, a differenza della protagonista, non sono ancora stata in grado di sconfiggere. Scrivere questo genere di fic è terapeutico per me e mi auguro possa esserlo anche leggerla per chi sta affrontando una situazione simile. Non siete soli e potete farcela, ricordatelo sempre 💜
Spero che possiate apprezzarla e valutare di lasciare una recensione.


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Capitolo 2
*** World so cold ~ Three Days Grace ***


I never thought I'd feel this
Guilty and broken down inside
Living with myself, nothing but lies
… I always thought I'd make it
But never knew I'd let it get so bad
Living with myself is all I have
… I feel numb
I can't come to life
I feel like I'm frozen in time
… Living in a world so cold, wasting away
Living in a shell with no soul, since you've gone away
Living in a world so cold, counting the days
Since you've gone away
You've gone away

Yuma osservò Astral svanire, impotente. Insieme a lui sentì sparire una parte di sé, un pezzo della sua anima che sapeva non avrebbe riavuto indietro. Pianse, senza freni, senza controllo, non gli importava di apparire debole, in quel momento si sentiva fragile, incapace di contenere le sue emozioni.
Le lacrime scendevano incontrollabilmente lungo le sue guance, mescolandosi con la pioggia. I suoi amici tentarono di confortarlo, di strapparlo da quel dolore straziante ma alla fine dovettero desistere.
Tornò a casa, silenzioso e mesto com'era stato solo dopo aver appreso della scomparsa del padre. Ignorò la cena e si chiuse in camera, si sentiva svuotato, privo dell'energia che lo aveva guidato e sostenuto fino a quel momento. Perdere Astral era stato un colpo devastante, inconsciamente aveva sempre saputo dell'esistenza di quel rischio, ogni volta che duellavano, in caso di sconfitta, sapeva che lui sarebbe svanito. Era però riuscito a ricacciarlo in un angolo della sua mente, ad impedire che lo condizionasse troppo ma, ora che era successo, l'enormità di quella perdita pesava su di lui come un macigno.
Tori, Bronk, Flip e Cathy passarono spesso a trovarlo, portavano ogni volta nuovi passatempi, cibi o qualsiasi cosa ritenessero potesse essere in grado di restituirgli il buonumore ma nulla sembrava funzionare. Continuò a vivere in quello stato di apatia per diverso tempo, incapace di affrontare la realtà, di accettare la sua morte.
Una sera, mentre si preparava a trascorrere l'ennesima notte insonne, sentì uno strano rumore provenire dalla sua finestra. Si avvicinò per controllarne l'origine e vide che si trattava di sassolini che venivano lanciati da un albero poco distante. Controllò con più attenzione e riuscì a scorgere Reginald, in equilibrio su uno dei rami. Si affrettò ad aprire, per lasciarlo entrare, preoccupato dalla posizione precaria in cui si trovava. Lo osservò fare il suo ingresso nella stanza, agile e silenzioso come un gatto, con la stessa serenità che avrebbe avuto se fosse salito dalle scale
"Shark... Che cosa ci fai qui? E soprattutto perché non hai bussato alla porta? Sarebbe stato più semplice non credi?" Lui scrollò le spalle come se non ci fosse poi chissà quale differenza tra le due opzioni.
"Sai perché sono qui. Non esci da settimane e, per quanto possa comprendere che la situazione non sia semplice, non puoi permetterti di rimanere in queste condizioni"
"Che cosa ti aspetti che faccia? Astral non c'è più, non posso semplicemente fingere che non sia mai esistito!" Disse, quasi gridando, sentendo gli occhi bruciargli, desiderosi di piangere
"Non pretendo che lo faccia ma, proprio per rispetto nei suoi confronti, dovresti cercare di riprenderti e proseguire la sua battaglia" Yuma lo guardò, smarrito, Reginald gli appariva innaturalmente calmo, non poté fare a meno di domandarsi se qualcosa lo stesse turbando.
"Io...non sono sicuro di esserne in grado..."
"Lo sei, te lo posso assicurare. Hai superato mille difficoltà per arrivare fin qui, ora sarà più complesso ma ce la puoi fare" poi dopo una breve esitazione aggiunse "io credo in te."
Yuma lo guardò, attonito, non era da Shark parlare in quel modo e, nonostante apprezzasse il suo sostegno, non poté fare a meno di preoccuparsi per lui
"Reginald, qualcosa non va?" Gli domandò. Gli occhi blu del ragazzo si incupirono per un istante
"Non ha importanza Yuma, devi pensare a riprenderti, il resto non conta" percepì un velo di tristezza in quelle parole, aveva ammesso candidamente di avere un problema ma si rifiutava di parlargliene.
"Forse, se mi dicessi di cosa si tratta, potremmo aiutarci a vicenda a superare quello che stiamo passando" un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra prima che gli rispondesse
"Sei incredibile, persino ora, a dispetto di quello che stai provando, continui a preoccuparti più per gli altri che per te stesso..." Sospirò "non è nulla di importante, te lo posso assicurare, sono qui solo per cercare di darti una mano ma è evidente che non sono tagliato per queste cose..." Lo osservò, attonito mentre estraeva il suo deck "Me la cavo meglio con i fatti che con le parole, che ne dici di un duello?" La richiesta lo spiazzò, da quando Astral era scomparso si era categoricamente rifiutato di duellare ma adesso era Shark a chiederglielo, uno dei suoi amici più stretti, la persona che, più di tutti, era in grado di comprendere ciò che stava passando.
"D'accordo..." Disse esitante, preparandosi allo scontro.
Durò più a lungo di quanto si aspettasse, sembrava quasi che Reginald stesse cercando di dilatare il più possibile quel momento, quasi come se temesse di non poterne avere altri... Fu Yuma a vincere ma non trasse alcuna gioia da quel trionfo.
"Shark..." Disse in un sussurro "grazie."
"Per cosa? So di non averti aiutato, è stato egoista da parte mia chiederti di sfidarmi... È evidente che non è ciò di cui hai bisogno in questo momento..." Si interruppe "ma era quello che serviva a me..." Pensò, smarrito.
"Yuma... So come ti senti in questo momento, hai l'impressione che il mondo ti stia crollando addosso, nulla è più in grado di farti provare emozioni, è tutto gelido e vuoto... E continui a vedere ovunque la persona che hai perso, a ricordare i momenti che hai trascorso con lei. I momenti felici diventano malinconici...tristi... E ti senti solo, sopraffatto e sconfitto, incapace di andare avanti... Ho avuto la fortuna di non perdere mia sorella ma ho comunque vissuto tutto questo, vederla in quel letto di ospedale ha sempre avuto il potere di devastarmi. Mi sentivo in colpa... Forse se fossi stato con lei avrei potuto proteggerla, avrei potuto evitare che soffrisse così tanto..." Yuma sentì la sua voce incrinarsi, era raro che Reginald si mostrasse vulnerabile ma era la prima volta in assoluto che gli parlava apertamente di ciò che aveva provato. Ogni sua parola risuonava così familiare... sembrava descrivere alla perfezione ciò che sentiva in quel momento. Tante persone avevano tentato di farlo stare meglio, gli avevano fatto discorsi banali e futili, riempito di parole vuote e di circostanza, senza lasciargli nulla ma con Shark era diverso. Lui aveva vissuto in prima persona il trauma della perdita, sia con i suoi genitori che con la sorella. È vero, lei era sopravvissuta e ora stava meglio ma era stata come morta per mesi, lasciando il fratello in un limbo di sofferenza.
"Come se ne esce?" Gli domandò, ormai al culmine della disperazione
"Non se ne esce mai...si impara a rendere il dolore tollerabile, ad impedirgli di condizionare la tua vita ma lui rimane lì, in agguato, pronto ad assalirti al primo segno di debolezza. Si cerca di controllarlo per evitare che sia lui a controllare noi..."

I'm too young (I'm too young)
To lose my soul
I'm too young (I'm too young)
To feel this old
So long (so long)
I'm left behind
I feel like I'm losing my mind
… Do you ever feel me?
Do you ever look deep down inside
Staring at your life, paralyzed?
… Living in a world so cold, wasting away
Living in a shell with no soul, since you've gone away
Living in a world so cold, counting the days
Since you've gone away
You've gone away
… From me

Rimasero in silenzio per un po', ad osservare le stelle fuori dalla finestra. Nessuno dei due sapeva come confortare l'altro, avevano fatto del proprio meglio, con i mezzi che avevano a disposizione, e ora non gli restava che sperare che le loro parole, i piccoli gesti, avessero avuto un effetto positivo sull'altro, che lo avessero strappato all'abisso in cui si trovava.
Ad un certo punto Shark si alzò
"Credo che sia meglio che vada, è tardi e Rio non ha la minima idea di dove sono"
"Aspetta" disse Yuma, sollevandosi di scatto. Non sapeva bene come ringraziarlo, avevano sempre avuto modi molto diversi di dimostrare la loro amicizia, ma in quel momento non aveva importanza. Gli si avvicinò e lo strinse a sé, percepì chiaramente il disagio dell'altro e il modo impacciato in cui gli appoggiò una mano sulla schiena e l'altra sulla testa. Non lo trattenne a lungo, sapeva che quello era un gesto di cui aveva bisogno lui e che non faceva bene ad entrambi "un po' come il duello di prima... Immagino che ora siamo pari..." Pensò, sorridendo per l'ironia della situazione.
"Grazie Shark, dico davvero"
"Figurati, ho l'impressione di non aver fatto granché ma spero davvero che tu possa stare meglio"
"Non hai intenzione di uscire di nuovo dalla finestra vero?"
"In realtà la mia idea era quella, in fondo è tardi, disturberei se usassi le scale" risero entrambi per l'assurdità di quella circostanza
"D'accordo ma cerca di non cadere, quell'albero è parecchio alto, rischi di farti male sul serio"
"Non preoccuparti, è pieno di appigli, non avrò problemi a scendere" lo osservò salire sul davanzale, raggiungere il ramo da cui era arrivato e percorrerlo agilmente fino al tronco. Rimase in lì per qualche istante, giusto il tempo di salutarlo con la mano, prima di sparire.
Nei giorni successivi Yuma ricominciò a mangiare e a interagire con i suoi amici, il loro splendido gesto di costruire una tomba per Astral lo toccò profondamente, rischiando di farlo ripiombare nel dolore. Riuscì a controllarlo, a impedire che prendesse il sopravvento ma c'erano ancora momenti in cui parlava con lui come se fosse ancora lì, sotto gli sguardi preoccupati della sua famiglia. Non era pronto ad accettare di averlo preso, non lo sarebbe mai stato e quando scoprì che esisteva un modo per raggiungerlo, un sistema per arrivare nel suo mondo e riportarlo indietro, vi affidò tutte le sue speranze. Non scordò mai quella fantomatica notte, quella in cui aveva avuto modo di avere una chiacchierata cuore a cuore con Shark, quella che gli aveva restituito la fiducia e l'energia necessarie ad andare avanti e a compiere l'impresa, agli occhi di tutti impossibile, di riavere con sé Astral.

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Capitolo 3
*** Thank you for hating me ~ Citizen soldier ***


I used to lose so much sleep over what you stole from me
But now the tables turned, I'm the lion, you're the sheep
You turned my vulnerability on me like a weapon (Oh oh)
But taking knives in the back really taught me a lesson

Thomas osservò con la solita apatia gli schermi presenti nella stanza del padre. Da quando era tornato in quella forma contorta e irriconoscibile chiamata Tron, passava decisamente troppo tempo a ridere davanti a vecchi cartoni animati. Aveva provato ad abituarsi a questa sua nuova versione ma non c'era riuscito. Quell'essere, che si rifiutava di chiamare padre, aveva imposto loro delle regole assurde e degli obiettivi assolutamente folli. Questo lo aveva portato a trasformarsi a diventare "IV" perché ormai era questo ciò che rappresentava, un numero, niente di più. Il suo nome scomparso, sepolto sotto un manto di ipocrisia e vergogna perché, per quanto cercasse di convincersi del contrario, non gli piaceva questa nuova versione di sé.
"III ho un compito molto speciale per te" disse Tron con un tono mellifluo che gli diede il voltastomaco
"Devi duellare contro Shark e fare in modo che abbia questa carta" lanciò al fratello minore la carta numero draghetto squalo. IV cercò di trattenersi, di evitare di immischiarsi in quella storia ma senza successo
"Che significa? Perché vuoi che l'abbia lui?"
"Questo non ti riguarda, lo scoprirai a tempo debito" un'altra delle sue risposte enigmatiche e criptiche... Uscì dalla stanza, furente, pronto a sfogare tutta la sua frustrazione su alcuni dei suoi ignari sostenitori. "Il suo speciale trattamento dei fan" era questo il nome che aveva dato a quella sadica pratica, distruggere chiunque nutrisse stima nei suoi confronti era un meccanismo che la sua mente aveva iniziato a mettere in atto da quando aveva smesso di essere Thomas. Da quando Tron lo aveva privato della sua identità, una parte di lui aveva iniziato a considerarsi indegna di amore e ammirazione, distruggendo ogni singolo rapporto umano intorno a sé. Uscì, pronto a dare il via alle danze, ad anestetizzare ancora una volta le sue emozioni in favore dell'oscurità che suo padre voleva avesse al posto del cuore.

I just wanna thank you
I just wanna thank you
For beating me down
For messing me up
For making me feel I'm not enough
For running your mouth
For showing no love
For setting me off like a loaded gun
Thank you for making me
Stronger than I thought I could ever be
Thank you for hating me

Un'altra vittoria, altre due vite distrutte. Osservò con un sorriso sadico i suoi avversari, erano stramazzati al suolo, feriti dalla ferocia dello scontro. Non gli importava, erano solo due patetici moscerini, due nullità che non costituivano di certo una minaccia per lui. Stava per andare via quando una moto sfrecciò a poca distanza da lui "Reginald" pensò, mentre dentro di sé sentiva agitarsi emozioni antiche, memorie di una vita passata ormai persa per sempre. Lo odiava per questo, detestava il suo essere l'unico ponte con l'umanità che aveva faticosamente sepolto nel corso degli ultimi anni. Vide arrivare III, attivò il gancio per duelli, costringendo Shark a sfidarlo. Dopodiché gli scoccò un'occhiata eloquente, spingendolo ad andare via. Non se lo fece ripetere due volte, attivò il suo emblema, dissolvendosi nel nulla.
Ricomparve in un vicolo di Heartland city, con ancora in bocca il sapore amaro dell'incontro con Reginald. Sapeva che avrebbe dovuto sfidarlo, era destino, ed era anche certo che lo avrebbe sconfitto, mettendo finalmente a tacere, una volta per tutte, i suoi sentimenti per lui. Avrebbe ucciso Thomas, seppellendolo sotto l'odio che si era convinto di provare per Shark, infliggendogli le stesse sofferenze che aveva patito negli ultimi anni. Un sorriso compiaciuto si dipinse sulle sue labbra, stava già pregustando la sua vittoria, immaginava il suo avversario a terra, implorare pietà mentre si accaniva brutalmente su di lui.
Tornò a casa, evitando accuratamente ogni contatto con il resto della sua famiglia, III era tornato, a quanto pare era riuscito a portare a termine la sua missione. Non se ne curò e andò in camera sua, per prepararsi all'importante sfida che lo attendeva.

I know you criticize to hidе how much you hate yourself
So herе's some money my friend, go get some help
I feel so sorry for you 'cause you're always gonna be alone (Oh oh)
The world will know my name not yours, you're my stepping stone (Oh oh)

Le sferzanti critiche del padre lo colpirono come fruste. Non era servito a nulla stare al suo gioco, seguire gli ordini, indipendentemente da quanto fossero terribili, lui continuava a non dargli fiducia, a considerarlo un incapace, un mero strumento nelle sue mani.
Avrebbe vinto quel duello, gli avrebbe dimostrato che si sbagliava, la sua mossa successiva fu l'inizio della fine. Equipaggiò la carta "corde del destino" al suo mostro, ora avrebbe avuto la possibilità di attaccare il suo avversario per un numero di volte pari al livello della carta mostro pescata. Si stava affidando alla fortuna e, almeno per il momento, la cosa sembrava aver pagato, Shark era a terra e continuava ad essere colpito, si aspettava che cedesse, arrendendosi alla sconfitta ma non andò così. Tron era intenzionato a farlo vincere ed era certo che lo avrebbe sconfitto, Reginald sembrava contrariato quanto lui dall'invadenza di quel bambino malefico. Lo contrastò, per un po', ma poi cedette al tetro fascino delle sue parole. Un'aura viola lo circondò, elevando di rango il suo mostro, lo osservò incredulo mentre distruggeva il suo mostro e, con esso, decretava la vittoria.
Aveva perso, come aveva previsto Tron, la sua scommessa si era ritorta contro di lui e il desiderio di vendetta del suo avversario era stato troppo potente per essere contrastato. Guardò Shark, con sguardo triste e smarrito, finalmente capiva, il velo di bugie che aveva calato davanti ai suoi occhi si era squarciato, lasciando finalmente entrare la luce.
"Non fare come me, ti prego. Non cedere alla rabbia, non lasciarti divorare dall'odio, ti trasformeranno in un essere vuoto come me. Una marionetta nelle mani di un folle burattinaio che desidera solo morte e distruzione".
Lo implorò di aiutarlo, di donare alla sua famiglia una nuova possibilità, l'occasione di tornare umani. L'intensità dei sentimenti che provava per lui era immensa, li sentiva ardere dentro di sé, dare nuova vita al suo cuore freddo e indurito. Voleva aiutarlo, lo desiderava con tutto sé stesso ma gli bastò guardarlo negli occhi per capire che era troppo tardi. Quello che aveva davanti non era più il Reginald che conosceva, ma una sua versione corrotta, pallida ombra e imitazione della persona meravigliosa che era un tempo.
Un sorriso triste gli si dipinse sulle labbra, sperò con tutto il cuore che Yuma riuscisse a salvarlo, a strapparlo dal tetro limbo in cui era precipitato. Dal canto suo era stanco, distrutto ma, finalmente, in pace, l'oscurità si era diradata e vedeva con chiarezza la strada che desiderava percorrere. Scomparve, per poi riapparire a casa sua, si accasciò stancamente sul letto, stremato e chiuse gli occhi, abbandonandosi ad un sonno sereno, presagio del futuro luminoso che aveva intenzione di costruire. Si sentiva rinato, finalmente libero dalla presenza opprimente del padre, se mai si fosse risvegliato avrebbe cercato Shark e trovato un modo per regalare anche a lui quella quiete. Il buio lo inghiottì, portando via con sé ogni traccia di coscienza.
Al suo ritorno Tron avrebbe trovato i suoi tre figli, privi di sensi nella loro stanza. Li osservò, consapevole che avrebbe dovuto disprezzarli per il loro fallimento, dopotutto erano diventati solo strumenti nelle sue mani, numeri, non più persone. In quel momento però c'era una piccola parte di sé che soffriva nel vedere quella scena, come se il vecchio Byron, padre amorevole e profondamente legato ai suoi figli, cercasse di riprendere il timone di quel nuovo involucro che sembrava essere in grado di provare solo odio e sete di vendetta. Cedette all'impulso di accarezzare quei visi, estranei ma familiari allo stesso tempo, memorie di un passato ormai lontano e a cui era impossibile tornare. Recuperò la sua compostezza, non poteva permettere a delle patetiche emozioni di ostacolarlo, il suo obiettivo restava lo stesso, sconfiggere Faker e fargliela pagare per tutto il male che gli aveva fatto. Le condizioni attuali dei suoi figli erano solo danni collaterali, insignificanti davanti alla grandezza del suo piano.
Lasciò la stanza e, con essa, l'ultima traccia di umanità che gli rimaneva, il solo legame rimastogli con chi era un tempo. Si preparò al passo successivo, prendere il controllo di Shark e utilizzarlo come pedina nel suo piano.
Seguì con interesse il suo duello con Yuma, convinto che avrebbe trionfato senza problemi ma, quando giunse il fatidico momento, quello in cui avrebbe dovuto utilizzare la carta che gli aveva dato, lo vide esitare, per poi compiere l'insensata scelta di perdere per salvare il suo amico.
Era furioso, anni di preparazione per arrivare a quella conclusione, ma non aveva importanza, ora toccava a lui scendere in campo e si sarebbe assicurato di sbarazzarsi una volta per tutte di quel fastidioso ragazzino.
Il duello con Yuma fu incredibilmente acceso e violento, era intenzionato a vincere ma, contrariamente alle sue aspettative, il suo avversario non sembrava voler cedere e, in un susseguirsi di, per lui incomprensibili, colpi di scena fu lui a trionfare. La sconfitta non bruciò come aveva pensato avrebbe fatto, al contrario gli fece provare un enorme sollievo. Qualcuno era stato in grado di fermare il mostro che era diventato, di riportare indietro l'anima di Byron. Liberò l'energia dei figli, sperando che, nonostante li avesse fatto soffrire terribilmente, sarebbero stati in grado di perdonarlo.

I'm moving on
I'm on the mend
Because living well is the best revenge
Forever changed
I'm born again
Because living well is the best revenge

Thomas si risvegliò da quello che gli parve un sonno eterno. Non ricordava molto degli ultimi giorni ma in testa aveva un chiodo fisso, trovare Reginald. Il duello contro di lui era scolpito nella sua mente, come anche l'oscurità che si era impadronita di lui.
Venne a sapere che Yuma lo aveva liberato, riconducendolo alla ragione, che suo padre era stato sconfitto ma soprattutto che, in uno slancio di umanità, aveva restituito a lui e ai suoi fratelli l'energia che gli aveva sottratto. Si appoggiò una mano sul petto, finalmente si sentiva libero, leggero, aveva finalmente l'opportunità di rimediare al male che aveva fatto e l'avrebbe sfruttata al meglio.

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Capitolo 4
*** Nothing to lose but you ~ Citizen Soldier ***


I stay up every night
I should've thought twice when I put our lives on the line
I'm a mess
You're the only hope that I hold inside
The self-destruction, the damage I've done
You're the reason I'm still alive

"Ti chiedi mai cosa abbia spinto i Bariani ad iniziare la guerra contro il mondo astrale?" La domanda lo colse alla sprovvista
"No... Insomma Astral ci ha spiegato che puntano a distruggere il suo pianeta, credo che, a prescindere dalla ragione per cui lo fanno, vadano fermati" l'espressione di Reginald si incupì, come se avesse dato la risposta sbagliata
"Anche se lo avessero fatto per salvare il proprio pianeta?"
"Cosa ti fa pensare che lo stiano facendo per questo motivo? Da quel che sappiamo il loro unico scopo è quello di annientare gli astrali, non sembra esserci altro che un profondo desiderio di distruzione" Shark non rispose e spostò il suo sguardo verso il cielo. C'era un che di malinconico nei suoi occhi e Thomas non riusciva a spiegarsi da cosa fosse causato.
"Come mai hai questo interesse improvviso per i nostri nemici? Mi pareva fossi il primo a desiderare di fermarli" non disse nulla, sembrava essersi perso nei suoi pensieri
"Reginald... Va tutto bene?" Gli chiese, confuso dal suo silenzio. Lui lo guardò per qualche istante e si sforzò di sorridergli
"Certo, è tutto a posto" disse, sentendo il peso di quell'ennesima bugia pesare come un macigno. Avrebbe voluto dirgli la verità, parlargli dei suoi sospetti e delle conseguenti paure ma non poteva farlo. Era evidente che Thomas avesse accettato come verità assoluta ciò che gli era stato detto da Astral e lo poteva capire. Era più semplice accettare le sue parole che domandarsi se non ci fosse di più dietro. Da quando aveva recuperato i suoi ricordi di Bariano e scoperto che il conflitto in corso era stato scatenato da ragioni ben più complesse di quelle riferite loro dall'astrale, aveva cercato ossessivamente un'alternativa alla guerra, una soluzione che potesse mettere d'accordo entrambi i mondi, ma senza successo. Faticava ad accettare l'idea di dover combattere contro i suoi amici ma, soprattutto, lo spaventava la prospettiva di dover fare del male a Thomas. Si erano riavvicinati da poco, ricostruendo il loro rapporto, si fidavano di nuovo l'uno dall'altro e, l'ultimo duello affrontato insieme, aveva ulteriormente rinsaldato la forte amicizia che li legava.
"Ma chi diavolo voglio prendere in giro? È decisamente qualcosa in più di un'amicizia..." Quel pensiero lo devastava perché era tristemente consapevole di ciò che li aspettava, di quanto a dura prova sarebbe stato messo il loro legame.
"Mi odierai Thomas, vorrai liberarti di me e chissà magari ci riuscirai anche, liberandomi dall'ingombrante responsabilità di leader dei Bariani..."
Cercò di tornare alla realtà, di vivere quegli ultimi istanti di quiete, gli ultimi momenti in compagnia di Four prima che il conflitto incombente tra i due mondi spazzasse via tutto quanto.
"Ti andrebbe di passare il resto della serata insieme? Non ho nulla di meglio da fare e non sono per niente stanco" disse, dissimulando quanto desiderasse una risposta positiva da parte sua
"Sì, certo" affermò, senza alcuna esitazione, nonostante fosse stato colto alla sprovvista dalla sua richiesta.
Si avviarono attraverso le vie della città, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa da fare
"Pensavo che avessi in mente un programma, non che avremmo girato senza meta per tutta la notte" disse, con un sorriso divertito dipinto sulle labbra
"E se il mio programma fosse proprio quello di farti girare a vuoto tutta la notte? Potrebbe essere un'idea divertente dopotutto. Il campione d'Asia Thomas Arclight che vaga per le vie della città in compagnia del suo acerrimo rivale, nonché ormai bandito da qualsiasi gara ufficiale, Reginald Kastle. Sono sicuro che, con queste premesse, qualche insignificante giornaletto di gossip riuscirebbe ad inventarsi un articolo da sbattere in prima pagina" lo disse con ironia ma Four ci percepì una punta di malinconia, come se quei ricordi fossero ancora in grado di ferirlo.
"Sì, immagino che potrebbero..." Disse, incupendosi. Non riusciva ancora ad accettare l'idea di avergli fatto così male. Una buona fetta dei traumi che era stato costretto a vivere erano dipesi da lui, lo aveva privato della possibilità di diventare un duellante professionista mentre era all'apice del suo successo e, cosa ben peggiore, aveva causato l'incidente in cui sua sorella era quasi morta. Si detestava per ciò che aveva fatto e, nonostante sapesse di essere cambiato, non poteva fare a meno di essere ciclicamente divorato dal senso di colpa.

And I lose it everyday inside of my head
I don't know if I'll be alright
I wanna leave it all behind
I've got nothing to lose
I've got nothing to lose but you
Nothing to lose but you
I know that I can't undo
The self-destruction, the damage I've done
I've got nothing to lose but you

"Thomas, stavo scherzando... Non metterti a rimuginare sul passato, è totalmente inutile"
"Scusami, hai ragione, cercherò di non pensarci..." Disse, senza troppa convinzione, percepiva lo sguardo di Reginald fisso su di lui, sembrava essere in grado di sondargli l'anima e la cosa lo spaventava. Si sentiva nudo davanti a lui, indifeso e vulnerabile e non gli piaceva affatto.
Lo conosceva fin troppo bene e capiva subito se era turbato, ci aveva messo un secondo ad accorgersi dell'effetto che le sue parole avevano avuto su di lui e gli ci volle poco di più per trovare un sistema per farlo stare meglio.
"Ti va di duellare?" Gli chiese
"Duellare? Adesso?"
"Sì, puoi immaginare che sia la stessa finale che abbiamo combattuto anni fa, con l'unica differenza che stavolta non ci sarà la mia squalifica a permetterti di vincere" disse, con un sorriso che Thomas non poté fare a meno di ricambiare.
"Solo a te sarebbe potuta venire in mente un'idea così contorta... Ma d'accordo accetto la sfida e ti assicuro che l'esito sarà lo stesso"
"Questo è tutto da vedere" rispose, preparandosi a duellare.

Take a step, I will follow
Til the end of the earth
You're the best and the worst
'Cause you know all my secrets
All my demons and you keep 'em in check

Si sfidarono in una piazzetta poco distante e, nel giro di poco, intorno a loro si radunò un gruppetto abbastanza nutrito di persone.
"Hai visto Thomas? È proprio come ai vecchi tempi, abbiamo anche il pubblico" disse Reginald divertito. Lui non rispose, era troppo coinvolto dal duello per pensare a ciò che aveva intorno.
Andarono avanti per diverso tempo, scambiandosi attacchi feroci, desiderosi di vincere. Alla fine fu Shark a trionfare ma non importò a nessuno dei due. Il vero significato di quello scontro andava ben oltre la semplice vittoria, per Four era una chiusura, un modo per tagliare i ponti con il passato e accettare, una volta per tutte, di non poterlo cambiare, di poter lavorare solo sul presente. Per Reginald era una sorta di addio, l'ultimo momento di vicinanza che poteva condividere con lui prima di doverlo combattere o, peggio, uccidere...
Cercò di togliersi dalla testa questi pensieri cupi prima di raggiungerlo e aiutarlo ad alzarsi
"È stata una bella sfida ma l'esito era abbastanza scontato"
"Ma davvero? Quindi ci hai messo così tanto a vincere per farmi contento?"
"Ovviamente, so che il tuo ego è molto fragile e che non avrebbe tollerato una sconfitta schiacciante, quindi ho deciso di impormi alcuni limiti per rendere la sfida più interessante" risero entrambi, intimamente contenti di aver condiviso quel momento.
"Beh, si è fatto tardi. Scusami se invece di fare qualcosa di divertente ti ho incastrato in un duello in memoria dei, non troppo bei, momenti andati"
"Oh, andiamo è stato divertente e poi mi ha fatto bene. Conoscendomi avrei passato tutta la serata sentendomi a disagio e rivedendo sprazzi di tutte le schifezze che ti ho fatto in passato..." Si fermò per poi aggiungere "ma questo lo sai già, non c'è bisogno che te lo dica"
"Non so di cosa tu stia parlando, avevo semplicemente voglia di dimostrarti, per l'ennesima volta, che come duellante sono decisamente più forte di te" rispose con un sorriso sornione
"Non mi sorprende che tu non voglia ammettere di averlo fatto per me. Lo capisco, da questo punto di vista siamo spaventosamente simili, nessuno dei due vuole esporsi e fare capire all'altro che ha bisogno di lui. È triste che la situazione sia questa, che ci sia questo perenne stallo, senza che che qualcuno si decida a fare il primo passo... Forse dovrei semplicemente smettere di girarci intorno e dirti direttamente ciò che provo per te, quanto sei importante e speciale, che non so cosa farei se dovessi perderti..." Lo guardò negli occhi mentre questi pensieri solcavano la sua mente, sperava che, come sempre, riuscisse a leggerli, li capisse senza che li esprimesse ma non andò così. Non sapeva se non li avesse compresi o se si avesse semplicemente finto di non vederli ma non aveva molta importanza. Avrebbe avuto altre occasioni per parlargli, per professargli il suo amore, quella sera si sarebbe accontentato della sua compagnia, di averlo vicino.
"Vuoi che ti accompagni a casa?" Gli domandò
"Non ce n'è bisogno ma se insisti..." Gli rispose, mantenendo il solito tono evasivo che contraddistingueva buona parte delle loro conversazioni.
Camminarono in silenzio, entrambi assorti nei propri pensieri, nessuno dei due sapeva che quella sarebbe stata l'ultima sera che avrebbero trascorso insieme prima che il conflitto tra mondo astrale e bariano li avvolgesse nelle sue spire, soffocando la loro speranza di un futuro insieme come un serpente fa con la sua preda.
Si salutarono e, dopo una breve esitazione, andarono entrambi per la loro strada. I ricordi di quella sera li avrebbero accompagnati anche nell'ultima battaglia, lasciandogli moltissime domande, che non avrebbero mai avuto risposta, su come sarebbero potute andare le cose se solo avessero avuto il coraggio di aprirsi l'uno con l'altro quella fantomatica notte.

And I lose it everyday inside of my head
I don't know if I'll be alright
'Cause if I didn't have you, I'd be better off dead
You're the reason I'm still alive
I've got nothing to lose but you

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Capitolo 5
*** In pieces ~ Citizen Soldier ***


I've never been this low
There's just no saving me now
But you see something inside me, I need to know
Why aren't you letting me drown

Reginald vagava per il cortile della scuola, dietro di lui i suoi unici "amici" lo seguivano come ombre. Vivevano di luce riflessa, come pianeti, incapaci di brillare. Era stanco, stanco di doverli sopportare ma, soprattutto, stanco di sentirsi così vuoto. Il mondo che lo circonda aveva perso ogni colore dall'incidente di Rio e non aveva ancora trovato un modo per andare avanti. Aveva iniziato a tormentare ragazzini indifesi, a sottrarre loro i deck, a vederli piangere disperati all'idea di aver perso ciò che avevano di più caro. Un po' li invidiava, avrebbe di gran lunga preferito perdere uno stupido mazzo di carte al vedere sua sorella in quelle condizioni. Gli sarebbe piaciuto essere in grado di versare qualche lacrima, di sentire anche solo una minima parte del dolore che sentiva di dover provare ma niente. Era furioso all'idea che quei mocciosi potessero andare avanti con le loro vite, senza alcuna preoccupazione, come se non fosse accaduto nulla. Perché era l'unico consapevole di quella tragedia, l'unico su cui gravava il peso del mondo.
Trovò il malcapitato del giorno e, come al solito, riportò una schiacciante vittoria. Quel che non si aspettava era che un suo amico venisse a sfidarlo, era la prima volta che capitava, nessuno era abbastanza coraggioso o sciocco da mettersi contro di lui.
Si presentò al luogo del loro appuntamento, convinto che non si sarebbe fatto vedere ma rimase piacevolmente deluso, il ragazzino era lì, pronto alla sfida. Iniziarono il duello e gli fu subito chiaro che quello che aveva di fronte era un principiante, privo di strategie, ma allora perché si era buttato a capofitto in una lotta che non poteva vincere? Non riusciva a spiegarselo e nemmeno gli importava. Voleva solo sbarazzarsi di lui, privarlo di quell'assurda determinazione, di quell'energia di cui blaterava tanto. Lo trovava irritante, ottimista all'inverosimile e incredibilmente sciocco. Ricordava ancora con quanto piacere avesse distrutto la sua chiave il giorno prima, vedere il suo sorriso incrinarsi, la rabbia emergere, ma nonostante lo avesse privato di ciò che aveva di più caro, era ancora lì in piedi.
Il duello iniziò a prendere una strana piega, fino a condurlo alla sconfitta. Come previsto i suoi due "amici" sparirono immediatamente, non gli importava affatto. Era convinto che sarebbe uscito devastato da quell'ennesimo fallimento ma non fu così. Continuava a sentire lo stesso vuoto di sempre, con la sola differenza che ad esso si era aggiunta anche l'onta della sconfitta. Nemmeno i duelli, che erano stati a lungo una valvola di sfogo, erano più in grado di dargli sollievo.
Si congedò, restituendo a quell'irritante ragazzino il deck pattuito e sparì tra i vicoli della città. Si ritrovò davanti a una sala giochi che sapeva essere luogo di ritrovo di una gang locale. Nessuno di loro fiatò quando lo videro entrare, sapeva cosa volevano da lui, un modo semplice di guadagnare, sfruttando le sue abilità di duellante, lasciò che lo facessero, tanto nulla aveva più senso.
Detestava ammetterlo ma sapeva perché era lì, la solitudine gli pesava molto più di quanto non desse a vedere, aveva bisogno di avere qualcuno accanto e, in quel momento, sapeva di non potersi permettersi di essere troppo selettivo.

Alone in pieces, you found me
Lying lifeless right here on the floor
Shattered to pieces, you found me
Am I someone that's worth saving anymore

Trascorse diverso tempo in quella dannata sala giochi, smise di frequentare la scuola e, con il tempo, anche di duellare. Non importò a nessuno, non si aspettava che andasse diversamente, era solo, come sempre e sapeva che la situazione non sarebbe cambiata ma, al contempo, sapeva anche che non sarebbe riuscito ad accettarla.
Poi arrivò lui, Yuma, quel dannato ragazzino lo aveva raggiunto anche lì. Gli chiese di duellare e lui gli rispose candidamente, dicendogli che non lo faceva più. Ricordava chiaramente la sua espressione delusa e si era convinto che, in quel modo, si sarebbe sbarazzato una volta per tutte di lui, si sbagliava. Non ci volle molto perché tornasse alla carica, provò a scappare, a seminarlo per i vicoli della città ma senza riuscirci.
"Si può sapere perché continui a seguirmi?!? Che cosa vuoi da me?"
"Che razza di domande sono? Lo faccio perché siamo amici, che ti piaccia o no attraverso i duelli si costruiscono dei legami ed è quello che è successo anche a noi" Reginald trattenne a stento una risata
"Amici? Noi? Non dire assurdità" Yuma ignorò le sue parole
"Duelliamo, metto in palio il mio ciondolo" disse, catturando la sua attenzione
"D'accordo, vorrà dire che combatterò questo ultimo duello prima di ritirarmi definitivamente" rispose, pregustando il momento in cui sarebbe stato finalmente in grado di dimostrare a quel moccioso chi era veramente, una persona che non meritava di avere legami, destinata a rimanere da sola, nell'oscurità.
Il duello non durò molto, Yuma fu sconfitto e Shark poté finalmente mettere le mani sul suo ciondolo. Se lo rigirò tra le mani per qualche istante prima di restituirglielo. Non gli importava più, tutta la rabbia che lo aveva pervaso nel corso di quel duello era completamente svanita, sostituita da quella che aveva tutta l'aria di essere un'emozione. Tornare a provare qualcosa dopo tutti quegli anni di buio era stato destabilizzante per lui, se n'era andato, chiarendo una volta per tutte a Yuma di lasciarlo perdere, di andare per la sua strada.
Quella sera gli capitò di origliare una conversazione tra i capi della gang, parlavano di un furto al museo della città, non si era mai lasciato coinvolgere in attività di quel tipo ma la confusione che provava in quel momento fu sufficiente a spingerlo ad acconsentire a quella follia.
Raggiunsero il museo a tarda notte, la luna splendeva nel cielo, dando alla piazza in cui si trovavano un'aria misteriosa e spettrale. Stavano per entrare nel museo quando si ritrovarono davanti Yuma.
"Che diavolo ci fa qui? Mi pareva di essere stato chiaro con lui..." Avrebbe voluto convincerlo ad andarsene ma al contempo desiderava che restasse, nessuno si era mai preso tanto a cuore la sua sorte. Tutti lo avevano sempre considerato un poco di buono, un teppista scontroso e lui era arrivato a convincersene, che senso aveva comportarsi in modo diverso se al resto del mondo bastava un'occhiata per odiarti? A nulla, quindi aveva abbracciato la sua vena violenta, si era trasformato nella creatura rabbiosa e vendicativa che avevano sempre visto in lui. Ma ora Yuma era lì e lo guardava con occhi diversi, sembrava in grado di osservare qualcosa di diverso, di vedere una parte di sé che era convinto fosse morta tempo prima.
Si schierò dalla sua parte, il duello si era appena trasformato in una sfida a coppie. Lottarono senza esclusione di colpi, fino a trovarsi in una situazione di palese svantaggio. Shark non ci mise molto a capire che c'era qualcosa che non andava, i suoi avversari stavano imbrogliando. La replica alle sue accuse fu sferzante, tagliente.
"Con che coraggio ci accusi di aver imbrogliato quando sei il primo a farlo? Hai barato persino durante un torneo, sbirciando il deck del tuo avversario. È un'infrazione molto grave, ti hanno bandito a vita dalle gare" Reginald non riuscì a controbattere, il peso di quei ricordi era ancora troppo per potergli permettere di rispondere. Fu Yuma a intervenire, prendendo le sue difese, non si prese gioco delle sue paure e insicurezze, disse anzi di comprenderle molto bene.
Lo scontro proseguì, i loro avversari sembravano averli messi con le spalle all'angolo ma, proprio quando pensavano che fosse finita, Shark utilizzò una magia che gli permise di donare al suo compagno una carta. Yuma non capì subito cosa farne ma, dopo un'attenta analisi, fu in grado di comprenderlo e vincere il duello.

In pieces, you found me
In pieces, somehow you believed
When vultures surround me
You came and got me off my knees

Quando tutto fu finito gli si avvicinò per restituirgli la carta, Reginald decise di lasciargliela, non sapeva bene perché lo avesse fatto ma sentiva che c'era una ragione, qualcosa di importante. Se ne andò con un sorriso dipinto sulle labbra e la consapevolezza che il legame che aveva iniziato a costruire con Yuma era profondamente diverso da quelli vuoti che aveva vissuto sino a quel momento. Sembrava che finalmente, dopo tutta quella solitudine, qualcuno fosse stato in grado di avvicinarsi, di sormontare le barriere che aveva creato intorno a sé e di restituire un po' di pace al suo animo tormentato.
Tornò a casa, sentendo finalmente un piacevole tepore dentro di sé, sapeva di non aver ancora sconfitto il demone che albergava dentro il suo petto ma, al contempo, sentiva di essere riuscito a limitarne i movimenti, a bloccarlo per un po'. Sorrise, assaporando quel nuovo legame, il rapporto che aveva iniziato a costruire con quello strano ragazzino. Non sapeva quanto sarebbe durato, probabile anche lui avrebbe trovato delle ragioni per abbandonarlo ma, almeno per il momento, voleva vivere nel presente e assaporare a pieno quei momenti piacevoli, senza pensare a quando sarebbero finiti.

Alone in pieces, you found me
I won't doubt my worth one moment more
Shattered to pieces, you showed me
I am someone that's worth saving, that's for sure
I am someone that's worth saving, that's for sure

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Capitolo 6
*** Over and over ~Three Days Grace ***


I feel it everyday, it's all the same
It brings me down, but I'm the one to blame
I've tried everything to get away
So here I go again
Chasing you down again
Why do I do this?

Kite raggiunse il sito del duello, vi trovò Yuma, Astral, Tori, Shark, Rio e... Mizar, la persona che si aspettava di trovare, stava avendo la meglio sul suo amico ed era evidente che la situazione stesse precipitando. Prese il suo posto, ritrovandosi rinchiuso nel campo sferico Bariano con il biondo dominatore dei draghi. Sentiva Drago fotonico occhi galattici agitarsi, smanioso di combattere occhi tachionici. Gli era molto più semplice imputare al suo compagno la scelta di combattere quella battaglia, piuttosto che accettare il modo in cui Mizar lo faceva sentire.

It feels like everyday stays the same
It's dragging me down, and I can't pull away
So here I go again
Chasing you down again
Why do I do this?
Over and over, over and over
I fall for you
Over and over, over and over
I try not to
Over and over, over and over
You make me fall for you
Over and over, over and over
You don't even try

Iniziò a duellare, mettendo la potenza dei suoi sentimenti in ogni attacco, voleva vincere a tutti i costi, era un bisogno viscerale, che si era fatto strada dentro di lui e che stava mascherando i suoi reali intenti. Osservò i due draghi darsi battaglia, desiderosi di dimostrare chi tra loro fosse il più formidabile e potente. L'incredibile energia che sprigionarono fu sufficiente a destabilizzare il campo e a costringere Mizar alla fuga. Lo guardò andare via, lo sguardo furente che rendeva ancora più gelidi i suoi occhi azzurri, la folta chioma di capelli dorati che gli circondava il volto, dandogli un'aria fiera e indomabile, così simile a quella dei draghi, creature importantissime nella vita di entrambi. Sparì rapidamente com'era arrivato, lasciando dietro di sé una scia di devastazione. Kite non rimase, non ci riuscì, era attanagliato da dubbi e incertezze ma, soprattutto, si sentiva sopraffatto da una sensazione arcana e a lui estranea. Una sensazione che gli stava restituendo la passione per i duelli, persa anni prima a causa del gravoso ruolo di cacciatore di numeri che gli gravava sulle spalle. Quel Bariano era diverso dalla feccia che combatteva di solito, aveva un suo codice, una contorta morale che si ostinava a seguire. Era indubbiamente determinato a dimostrare di essere l'unico degno del titolo di padrone dei draghi. Per Kite però la posta in gioco stava diventando più alta, non gli era mai capitato prima di continuare a cercare spasmodicamente un suo rivale, nemmeno Yuma aveva acceso in lui un interesse tanto forte, eppure Mizar ci era riuscito, lo aveva legato a sé in un modo misterioso e incomprensibile, lasciandolo disorientato. Ovviamente non era pronto ad accettare i suoi sentimenti, né poteva permettersi di farlo. Conosceva il suo compito e Mizar era solo l'ennesimo nemico da abbattere, il resto non aveva importanza, d'altronde le sue emozioni non erano mai state prese in considerazione negli ultimi anni, sarebbe stato davvero sciocco iniziare a farlo proprio ora.

So many thoughts that I can't get out of my head
I try to live without you
Every time I do, I feel dead
I know what's best for me
But I want you instead
I'll keep on wasting all my time

La luna, quale luogo più ameno e misterioso poteva esistere per il loro confronto finale? Si era preparato a lungo a quel momento, sapeva di avere in mano le sorti della guerra contro i bariani, non poteva permettersi di perdere né tantomeno di lasciare che i suoi sentimenti confusi avessero la meglio sulla gelida logica e razionalità che lo avevano da sempre contraddistinto. Duellarono come solo due persone con il destino del loro mondo sulle spalle avrebbero potuto fare. Alla fine Kite ne uscì vittorioso ma i danni riportati da Orbital erano troppo ingenti per permettergli di salvarsi. La verità era che non gli importava, aveva adempiuto al suo compito e ora era pronto al meritato riposo, alla tanto agognata pace che non gli era stata concessa in vita.
Vide Mizar avvicinarsi, aveva gli occhi lucidi, sembravano due zaffiri puntellati di stelle. Vi leggeva un'emozione che, fino a qualche istante prima, era stata celata dietro un velo di rabbia e cieca dedizione.
"Lui è come me" si ritrovò a pensare con una punta di tristezza "costretto a combattere un'infinita guerra che non condurrà mai a una vera e propria vittoria, a perdere tutto ciò che aveva duramente conquistato. Per poi arrivare alla fine e farsi la stessa domanda che mi pongo io in questo momento: "Ne è valsa la pena?". " Era convinto che la risposta fosse un convinto e sonoro "no" ma poi la sua mente iniziò a vagare, a ricordare come, nonostante quel conflitto gli stesse togliendo ogni cosa gli avesse anche donato lui, Mizar. Il ragazzo che in quel momento lo stava stringendo tra le sue braccia, in un disperato tentativo di tenerlo ancorato al suo corpo, di impedire alla sua anima di compiere l'ultimo viaggio verso l'ignoto. Un sorriso amaro gli si dipinse sulle labbra, sapeva cosa avrebbe dovuto dire con il suo ultimo respiro, rivelargli ciò che provava era l'unica scelta possibile... ma non ci riuscì, finendo invece per spingerlo a raggiungere un destino simile al suo. Non era quello il suo intento e vedere la disperazione dipingersi negli occhi di Mizar, mentre sentiva le sue palpebre divenire sempre più pesanti, gli lasciò addosso un senso di amarezza difficilmente sormontabile. Fu solo quando, nei suoi ultimi attimi di lucidità, sentì il calore del suo viso accanto al suo collo che riuscì a trovare un po' di pace.
"Non sei riuscito a salvarlo ma non lo hai nemmeno perso... non ancora" fu questo il pensiero che lo accompagnò verso la fine, verso la meta di quell'interminabile e faticosissimo viaggio chiamato vita.
Mizar osservò per l'ultima volta il corpo di Kite, aveva un'espressione serena come se fosse riuscito a raggiungere un traguardo... o a trovare una risposta. Non aveva mai avuto il coraggio di concedersi di assecondare i suoi sentimenti per lui, nemmeno poco prima, nonostante sapesse che era la sua ultima occasione per farlo. Aveva trascorso buona parte della sua esistenza incapace di raggiungere la felicità, inizialmente aveva perso la sua famiglia poi Jinlon, il suo migliore amico, ed era stato trasformato da Don Thousand nella creatura piena di odio e vendicativa che era adesso. Kite era stato un piacevole contrattempo, una distrazione dalla straziante monotonia di sofferenza che era stata la sua vita. I duelli con lui avevano risvegliato una parte di sé che credeva persa per sempre, il lato umano che era convinto di essersi lasciato alle spalle. Per un po' lo aveva detestato per questo, tornare a provare emozioni e sentimenti così intensi era stato destabilizzante ma aveva ben presto imparato a trovarvi conforto, a rifugiarcisi per scaldarsi nei momenti in cui, nel mondo intorno a lui, sembrava esserci un eterno inverno. Ora che lui non c'era più era di nuovo il gelo a spadroneggiare, fu il suo desiderio di riavere quel tepore, no di riavere Kite, a spingerlo a compiere il passo successivo. Raggiunse Don Thousand e lo sfidò, sotto lo sguardo attonito di Nash, Yuma e Astral. Partì subito all'attacco, smanioso di chiudere in fretta il duello, e fu questo a causare la sua fine. Si era illuso di poter vincere, di riuscire ad ottenere il potere necessario a riaverlo con sé ma aveva fallito. Chiuse gli occhi, pronto ad accettare l'oblio eterno che lo attendeva ma fu sorpreso da una luce intensa, che ammantava di bianco il paesaggio circostante. Quindi era quello il limbo in cui avrebbe trascorso il suo illimitato futuro... non poté fare a meno di restarne deluso, si era aspettato la dannazione, una punizione perpetua per fare ammenda per i suoi innumerevole peccati, l'ennesima fonte di sofferenza nella valle di lacrime che era stato il suo passato. Si convinse che in fondo era meglio così, non meritava un futuro con Kite e, considerati i precedenti, più lontano lo avesse tenuto da sé più entrambi avrebbero avuto una speranza di salvezza. In fondo quello era l'inferno, doveva esserlo e in vita non avevano fatto altro che tormentarsi a vicenda, in un'eterna danza di sentimenti inespressi e paure nascosti sotto uno spesso strato di rabbia quindi quello che aveva era l'aspetto giusto, una vasta e vuota desolazione che lo avrebbe isolato dall'unica fonte di gioia che aveva avuto negli ultimi anni. Erano questi i pensieri in cui si era perso poco prima di accorgersi che il paesaggio intorno a lui stava mutando, come se stesse seguendo un desiderio recondito e inespresso che albergava nel suo cuore, lo vide, davanti a sé, inizialmente pallido ed evanescente, poi sempre più concreto e tangibile. Gli si avvicinò, con gli occhi sgranati e spauriti ma anche con una flebile speranza. Lo raggiunse, animato dalla smania di rivederlo, di potergli finalmente rivelare ciò che provava, e poi tutto svanì di nuovo. Si risvegliò sulla Terra, in forma umana, con ancora intatti i ricordi di quanto avvenuto poco prima. Corse alla disperata ricerca di Kite, doveva essere tornato, non era possibile che Yuma lo avesse lasciato indietro. Corse fino a non avere più fiato, fino a quando i suoi polmoni non lo costrinsero a fermarsi per recuperare le forze. Si sedette, ormai rassegnato all'idea che fosse tutto un incubo, uno interminabile che lo avrebbe accompagnato in un'infinità di notti insonni. Poi sentì una mano sulla sua spalla, scattò in piedi, pronto ad affrontare la nuova minaccia e se lo trovò davanti. Kite lo osservava con aria confusa, la sua reazione sembrava averlo destabilizzato. Cercò di recuperare una parvenza di compostezza prima di rivolgergli la parola.
"Ciao..." Bisbigliò con tono incerto, quasi come se si aspettasse di vederlo nuovamente dissolversi davanti ai suoi occhi.
"Ciao Mizar" gli rispose Kite con un sorriso divertito dipinto sulle labbra
"Stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma" disse, cercando, invano, di smorzare la tensione.
"Ti sembra il momento di scherzare?!?" Si ritrovò a gridare, sopraffatto dalla mole di emozioni che non avevano fatto altro che assalirlo dal loro ultimo duello
"Eri morto dannazione, ti ho visto spegnerti senza poter fare nulla e poi, quando pensavo che avrei potuto raggiungerti, sei sparito di nuovo... Io non so se tutto questo sia reale, se sono davvero tornato o se questo è solo un patetico tentativo della mia mente di regalarmi una chiusura, l'opportunità di dirti ciò che avrei voluto riferirti prima che finisse tutto... ma ormai non ha più importanza. Io... Provo qualcosa per te Kite, non so descriverlo con esattezza ma... ecco... sono felice di riaverti qui, a prescindere dal fatto che questa sia o meno un'illusione..." Ammutolì, sopraffatto dall'enormità di ciò che aveva appena detto. Osservò attentamente le sue reazioni, pronto ad essere schernito e rifiutato ma non successe, al contrario Kite gli si avvicinò, stringendolo a sé. Non riuscì a comprendere ciò che gli disse in seguito, la sua mente era altrove e nelle orecchie riusciva solo a sentire il battito incessante del suo cuore. Ricambiò la stretta, dapprima con incertezza e in seguito con disperata intensità. Gli ci volle qualche interminabile istante per realizzare che era tutto vero, non lo avrebbe perso di nuovo. Finalmente aveva l'opportunità che aveva così ardentemente desiderato e si ripromise di non sprecarla.
Passarono diversi mesi prima che entrambi realizzassero cosa provavano uno per l'altro, il profondo senso di disagio che nasceva in loro all'idea di parlare di sentimenti aveva messo un freno alla loro relazione ma, una volta superata questa infondata paura, furono in grado di costruire un legame indissolubile che li avrebbe accompagnati negli anni a venire.

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Capitolo 7
*** In my head ~ Mike Shinoda ***


Reginald

Un litigio, era bastato questo a dare vita a una catena di eventi nefasti, culminati con l'incidente della sorella. Avevano nuovamente discusso, in seguito ad un'altra sconfitta di Rio, dopo uno dei tanti duelli combattuti per stabilire chi avesse ragione e chi torto. Si era lasciato sfuggire un commento sprezzante, guidato anche dalla rabbia e dall'adrenalina, e lei, anziché rispondergli allo stesso modo, aveva proferito un laconico

"Ti dimostrerò che ti sbagli" prima di voltarsi e sparire tra i vicoli della città. L'avrebbe rivista in ospedale, ricoperta di ustioni, a malapena cosciente.

Riuscì a mormorargli solo qualche parola prima di entrare in coma

"Promettimi che vincerai..."

Fece quella promessa senza avere idea di quanto lo avrebbe logorato, dell'immensa pressione a cui lo avrebbe sottoposto.

Raggiunse facilmente la finale e iniziò a tentare di autoconvincersi che ce l'avrebbe fatta, che non c'era nulla di cui preoccuparsi. E poi lo vide, sparpagliato per terra giaceva il deck del suo avversario. Cercò di trattenersi, di non cedere all'impellente bisogno di guardarlo, ma nella sua testa sentiva ancora la voce della sorella e un'altra, altrettanto familiare ma subdola, che lo convinse che quello era l'unico modo per vincere. Si avvicinò alle carte e iniziò a studiarle, nella speranza di metterle finalmente a tacere.

Thomas

Un ordine, semplice e diretto ricevuto da Tron, così era cominciato il suo calvario. Da quando Tron era tornato si era rifiutato di chiamarlo padre e, d'altro canto, anche lui aveva iniziato a considerarlo uno strumento, immeritevole persino di un nome e, dopo quanto accaduto, si sentiva quasi di dargli ragione.

"Usa questa carta nel duello contro quella ragazza" gli aveva detto con la sua solita irritante vocetta infantile, che contrastava con la perentorietà presente in quelle parole. Gli aveva obbedito, come sempre d'altronde, senza farsi domande, ma sentendo il familiare bruciore di stomaco causato dalla rabbia repressa.

Soffocò senza troppa fatica la vocetta della sua coscienza, o del suo istinto, difficile a dirsi, era troppo abituato a non ascoltarle per essere in grado di identificarne l'origine.

Duellò come aveva sempre fatto, quella ragazza era solo l'ennesimo ostacolo sul suo cammino ma, quando usò la carta datogli da Tron, si sentì investire dalla gravità di quanto aveva appena commesso. La ragazza era avvolta dalle fiamme e urlava, in preda al dolore. Rimase bloccato sul posto per qualche interminabile secondo, dopodiché si gettò nel fuoco, sperando di poterla salvare. Si allontanò di qualche isolato, coprendosi con un lembo strappato dalla sua camicia l'occhio ferito, chiamò meccanicamente i soccorsi e tornò a casa. Tron lo accolse con uno sguardo gelido e poche semplici parole

"Lo hai fatto?"

Si limitò ad annuire in risposta.

"Ottimo, a quanto pare sei meno inutile di quanto pensassi"

Quella frase fu solo l'ennesima pugnalata ricevuta in quella giornata. Continuò a sentirla ininterrottamente, ogni giorno, intervallata dalle terribili urla di quella ragazza.

Aveva commesso numerose nefandezze, per colui che una volta chiamava padre, ma sentiva di aver toccato il fondo, di non poter scendere più in basso di così. Si sbagliava.

Quando Tron gli spiegò approssimativamente il suo piano non poteva credere alle sue orecchie

"Cosa ti ha fatto quel ragazzo per meritare tutto questo?"

"Né più né meno di quello che hanno fatto i membri del tuo fan club per meritarsi il tuo trattamento speciale. Se non sbaglio anche lui ne fa parte, per te non dovrebbe essere difficile annientare anche lui."

Aveva ragione, non si era mai fatto scrupoli in passato, per quale motivo avrebbe dovuto iniziare ora?

Soppresse le voci nella sua testa, che tentavano di alimentare il suo senso di colpa, di riportarlo alla ragione ed eseguì nuovamente gli ordini, come un bravo soldato.

"Campione d'Asia", vincere quel titolo non gli diede alcuna soddisfazione. Per la prima volta nella sua vita avvertiva una profonda inquietudine e sentiva, più forte che mai, il peso delle sue azioni.

Da quel giorno le voci nella sua testa non lo abbandonarono più, rendendolo ancora più cinico, distaccato, a tratti crudele. Lo fece nella speranza di un riconoscimento mai ricevuto e nella speranza che, diventando ciò che le voci descrivevano, lo avrebbero finalmente lasciato in pace.

Reginald

Squalificato, nonostante in cuor suo sapesse sarebbe successo quella parola scavò una voragine dentro di lui.

Aveva fatto una promessa e non era stato in grado di mantenerla, e questo gli pesava più della sconfitta in sé.

"Hai fallito come persona e come duellante"

"Sei inutile"

"Non sei riuscito a proteggere tua sorella"

"Non hai mantenuto la tua promessa"

Queste parole risuonavano ciclicamente nella sua testa, creando una cacofonia di voci, ormai impossibili da zittire.

La sua reazione fu tuttavia differente, divenne freddo e distante, rifugiandosi in un angolo della sua mente inaccessibile a chiunque, e coprendo ogni emozione con un manto di rabbia

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Capitolo 8
*** Make hate to me ~Citizen Soldier ***


Reginald non era pienamente consapevole di come la sua storia con Thomas fosse iniziata. Sapeva solo di averlo odiato profondamente per anni, e di non aver ancora del tutto superato quel sentimento, ormai fin troppo radicato in lui per poterlo estirpare. Eppure, dopo l'ennesimo duello, si erano ritrovati ad andare a letto insieme. Non erano stati guidati dall'amore o da qualche altro nobile sentimento, si era trattato di puro e semplice sesso durante il quale, proprio come quando duellavano, ognuno cercava di imporsi sull'altro, rendendo l'atto primitivo e, a tratti, quasi brutale.

Il ricordo di quei momenti lo aveva accompagnato a lungo, come d'altronde avevano fatto i graffi sulla sua schiena. Si ripromise di non cascarci più, di non lasciare che quel vortice impazzito di emozioni e istinti primordiali avesse nuovamente la meglio su di lui, ma fallì. Ogni settimana si incontravano, spesso anche più di una volta, e, puntualmente, si dicevano che era l'ultima, che non sarebbe ricapitato, nonostante fossero entrambi ben consci di mentire a sé stessi.

Dopo l'ennesimo amplesso privo di dolcezza e parole, Reginald si azzardò a chiedere

"Thomas, che cosa sono io per te?" Lo vide irrigidirsi, come se gli avesse dato uno schiaffo e non fatto una semplice domanda.

"Perché dobbiamo per forza dare un nome a quello che c'è tra noi? È andato bene ad entrambi fino ad ora, non vedo ragioni per complicare la situazione"

"Con "complicare la situazione" intendi parlare di sentimenti? Perché ad essere sincero io vorrei capirci qualcosa, è tutto quasi surreale e non so se riuscirò a sopportare ancora tutto questo se non rispondi a quella domanda"

"D'accordo. Vuoi la verità? Non ho la più pallida idea di cosa ci sia tra noi, di certo non è amore, ma questo lo sapevi anche tu. Direi quasi sia stato l'odio e il rancore provato in questi anni ad avvicinarci" Reginald lo guardò sorpreso, era giunto alla stessa conclusione e non era convinto fosse positivo.

"Mi stai dicendo che abbiamo una relazione basata sull'odio... Non mi sembra una buona base su cui costruire un rapporto"

"Non abbiamo bisogno di costruirne uno, possiamo semplicemente continuare come abbiamo sempre fatto, godendoci il momento e non pensando troppo a cosa ci sia dietro"

"Quindi a te sta bene così?"

"Sì, e, ad essere sincero, ho avuto l'impressione che per te fosse lo stesso"

Reginald distolse lo sguardo, cercando di capire se fosse vero. In effetti non si era mai opposto e, anzi, era fatalmente attratto da lui, i momenti di intimità con Thomas erano gli unici in grado di farlo sentire vivo. C'era poco da dire, ormai era dipendenti da quei fugaci attimi e attendeva trepidante l'arrivo dell'incontro successivo.

"È così ma avrei preferito trovare un nome a tutto questo"

"Perché? Per sentirti meno in colpa? O sporco? O per avere una giustificazione alla tua attrazione per me? Se si tratta dell'ultima ti risparmio la fatica, sai bene che sono irresistibile" Reginald si lasciò sfuggire una risata

"Se con irresistibile intendi un colossale pallone gonfiato, egocentrico e vanitoso allora sì, posso darti ragione" Thomas sorrise a sua volta, era strano per lui parlare apertamente con Shark, avevano passato mesi limitandosi a rapporti occasionali, non aveva mai pensato che la situazione si sarebbe stabilizzata. In fondo però non aveva importanza, avevano stabilito che quella tra loro era mera attrazione fisica e avrebbero continuato ad essere liberi di vedere altre persone.

Andò tutto bene per un po' ma poi iniziarono a vedersi le prime crepe. Four aveva continuato a vedersi con diverse ragazze, sciacquette insignificanti di cui si dimenticava nel giro di qualche giorno. La stessa libertà era concessa a Reginald che però aveva scientemente deciso di non usufruirne. Questo creò un ulteriore squilibrio nella loro già impari relazione, portando a litigi continui e furibondi, che si concludevano in rapporti sessuali altrettanto violenti.

Erano passati da una situazione di calma apparente a una relazione tossica che tirava fuori il peggio di entrambi, eppure nessuno dei due riusciva a farne a meno. Era una sorta di droga adrenalinica, uno sfogo per l'odio e la rabbia che entrambi provavano.

Ci furono dei periodi di rottura, ma non durarono mai troppo a lungo, si trattava più che altro di timidi tentativi di distacco in seguito a discussioni particolarmente accese.

"Perché non riesco a fare a meno di lui? Continuo a detestarlo eppure sono sistematicamente qui, non riesco a sfuggirgli e sento che, nel profondo, non voglio nemmeno farlo. Allora perché dopo ogni volta sto così male? Per quale motivo sono così indissolubilmente legato a lui?"

La risposta era semplice ma nessuno dei due era riuscito a trovarla. Non si sopportavano ma, al contempo, erano in grado di capirsi come nessun altro. Si somigliavano più di quanto fossero disposti ad ammettere, si facevano del male ogni volta ma, al contempo, trovavano una sorta di contorto sollievo in quella dinamica malata. Erano come falene con una fiamma, irremendiabilme attratti l'uno dall'altro a dispetto del dolore che ciò provocava.

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Capitolo 9
*** Scarecrow ~ Citizen soldier ***


Da quando Tron era tornato Thomas aveva iniziato a sentirsi un estraneo nella sua stessa famiglia. Aveva provato a farsi andare a genio quella nuova versione di suo padre, così diversa dal Byron che aveva conosciuto, ma senza successo. Al contrario i suoi fratelli sembravano aggrapparsi all'inesistente speranza che, obbedendo a quel bimbo sadico, malvagio e vendicativo sarebbero riusciti a riavere indietro almeno parte del padre che conoscevano.

Chris e Michael, o meglio Five e Three - perché agli occhi di Tron erano semplici pedine immeritevoli di un nome - si erano abituati rapidamente alle nuove dinamiche e lo guardavano con occhi diversi. Era diventato la pecora nera della famiglia, in quanto incapace di eseguire gli ordini senza farsi domande o protestare. Questo lo portò a chiudersi in sé stesso, ad alienarsi completamente, a cercare inutilmente di riconquistare l'approvazione della sua famiglia. Arrivò ad alienarsi a tal punto da non provare più nulla, l'anedonia era diventata la sua più fedele compagna di viaggio e gli permetteva di avere un distacco sufficente ad impedirgli di essere coinvolto nelle terribili azioni che era costretto a compiere. Questo atteggiamento non fu però sufficiente, dovette annullarsi completamente e ricostruire sé stesso secondo le aspettative di Tron, diventando freddo, cinico e crudele, una marionetta nelle sue mani.

"Ironico">pensò, solitamente era lui ad essere il marionettista, questo ribaltamento di ruoli lo lasciava interdetto. Si ritrovò a cercare di ritrovare il controllo e, per farlo, iniziò ad affrontare i suoi fan, sconfiggendoli nel modo più subdolo possibile ma nemmeno vederli ai suoi piedi, terrorizzati, riusciva a donargli la pace a cui anelava.

In seguito Tron sviluppò un piano che ruotava intorno al suo "fan numero uno", un promettente duellante soprannominato Shark.

Four fu spinto a fare inconsapevolmente del male a sua sorella, per la prima volta da molto tempo sentì il vero sé stesso, sepolto in qualche recondito angolo della sua anima, urlare e cercare di tornare allo scoperto. Aveva soffocato anche quel rigurgito di coscienza ma non era comunque riuscito a liberarsi dall'angoscia che quell'evento aveva causato in lui.

In seguito arrivò il momento del duello finale dei Mondiali d'Asia. Andò tutto secondo i piani con la squalifica di Shark e la sua vittoria. La tappa finale era il Carnevale Mondiale di duelli. In quel piano era coinvolto anche suo fratello Three anche se, come di consueto, era all'oscuro di quale fosse il suo ruolo.

Guardò un istante lo sguardo carico d'odio e rabbia di Shark, vi vedeva uno specchio delle emozioni che aveva sepolto, aveva dinanzi un'anima affine alla sua e questo lo spingeva a detestarlo. Non poteva permettergli di liberare la parte di sé che aveva tanto faticosamente incatenato, quindi lo avrebbe annientato prima che potesse riuscirci, trascinandolo a fondo con lui. Se ne andò, pregustando il loro imminente duello.

Quando iniziò il piano di suo padre gli fu finalmente chiaro, anche quel ragazzo era destinato a diventare una pedina nelle mani di suo padre. Provò a convincerlo a concedere a lui l'onere di quella missione, per qualche strano motivo non voleva più che Shark avesse il suo stesso destino. Tron però non volle sentire ragione, asserendo che Reginald gli fosse superiore come duellante.

L'unico modo per dimostrargli che si sbagliava era vincere e per farlo non si sarebbe risparmiato. I suoi sforzi non furono però sufficienti, vide il suo avversario scivolare nella stessa rete in cui anche lui era imprigionato. Con le ultime forze provò ad avvisarlo del pericolo che correva ma non ce la fece, esattamente come non riuscì a ringraziarlo per averlo riportato indietro e fatto tornare in sé. Le energie iniziarono ad abbandonarlo, riuscì solo a teletrasportarsi a casa prima di perdere i sensi, poi il buio dell'incoscienza lo colse.

Passarono mesi e, dopo una dura lotta contro Don Thousand e i Bariani, la vita sembrò tornare alla normalità. Suo padre ridivenne il Byron che aveva sempre conosciuto ma, sebbene stesse facendo del suo meglio per perdonarlo, non riusciva ancora a lasciarsi alle spalle le sue azioni. Anche in questo caso non riusciva ad essere in sintonia con i suoi fratelli e con la loro gioia incondizionata.

C'era una sola persona con cui sentiva di poter condividere ciò che provava ed era Reginald. L'ultimo duello con lui gli aveva fatto capire quanto avesse sofferto per la sua decisione di schierarsi con i Bariani e, inevitabilmente, questo suo gesto aveva lasciato degli strascichi. A dispetto dei buoni propositi non era riuscito a ricostruire il suo rapporto con Yuma e gli altri, il senso di colpa gli impediva di lasciarsi il passato alle spalle e di perdonarsi, altro punto che Thomas sentiva di avere in comune con lui. Avevano iniziato a vedersi periodicamente, inizialmente parlavano di frivolezze ma, con il passare del tempo, iniziarono ad aprirsi di più.

"Thomas, ti capita mai di sentirti fuori posto da quando tutto è tornato alla normalità? Come se fossi presente fisicamente ma altrove con i pensieri"

"Sì, di continuo. Da quando mio padre è tornato sta facendo di tutto per ricucire il nostro rapporto, organizza pranzi e gite in famiglia ma mi sembra tutto surreale, quasi fasullo" rimasero in silenzio qualche istante prima di proseguire.

"Già, lo capisco, anche Yuma sta provando a fare tornare tutto come prima, non ha ancora capito che per me è impossibile dimenticare ciò che ho fatto" c'era un chiaro sottinteso in quella frase, da quando era tornato non avevano mai discusso del loro ultimo duello e questo aveva dato adito a dubbi e sofferenze in Reginald.

"Non devi darti la colpa per quel che è successo. Ti sei ritrovato a dover fare una scelta e non era semplice con la confusione che avevi in testa"

"So che non dovrei ma non riesco a farne a meno. Ricordo ancora lo spaesamento di avere ricordi di due vite distinte, di non sapere più chi fossi. Ho fatto l'unica scelta possibile ma è stato davvero complicato portarla avanti e tentare di lasciarvi alle spalle" Thomas lo capiva, comprendeva bene quel conflitto interiore, anche lui aveva dovuto annientare una parte di sé stesso e ora stava facendo molta fatica a recuperarla

"Capisco quello che provi, anche per me è ancora difficile scendere a patti con quello che ho fatto. Sto ancora provando a recuperare il vero me stesso ma la strada è lunga e ho paura di non farcela"

"Questo non succederà, non ti sei mai perso del tutto e so che, gradualmente, potrai ricostruirti e ricreare il legame con la tua famiglia. So che è difficile ma puoi contare sui tuoi fratelli, credo che stiano affrontando i tuoi stessi dubbi, anche se magari non vogliono ammetterlo"

"È possibile ma non riesco ancora a rapportarmi con loro come dovrei. Li sento lontani, o forse sono semplicemente io ad essere distante. Non credo potrei riuscire a fare questa conversazione con loro, non sarebbero in grado di capire, non fino in fondo" Reginald annuì, anche lui stava avendo problemi a rapportarsi con Rio, si sentiva in colpa per averla trascinata con lui nella guerra dei Bariani e non riusciva ancora a togliersi dalla mente l'immagine della sua morte.

"Ora è meglio che vada, mio padre ha organizzato un picnic non so dove, e anche se la prospettiva non mi entusiasma, non posso mancare" si salutarono e andarono ognuno per la sua strada. Avevano percorsi diversi da affrontare ma con difficoltà simili e la chiacchierata di quel giorno era stata in grado di restituire ad entrambi un po' di speranza per il futuro.

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Capitolo 10
*** Running away from myself ~ Citizen soldier ***


"Sono un Bariano..." Quella consapevolezza lo colpì come un fulmine a ciel sereno eppure, a ben pensarci c'erano stati diversi indizi, lo strano scenario di guerra in cui si era ritrovato e che gli aveva dato una sensazione di deja vu, lo stemma della sua famiglia (identico a quello della visione), gli strani poteri di sua sorella e il modo in cui Dumon sembrava conoscerlo.

Ora si ritrovava a dover compiere una scelta. "Dovrei restare fedele alla mia vita da umano e ai miei amici o tornare ad una vita che nemmeno ricordavo di avere, a capo dei Bariani, i nostri più grandi nemici..." Pensandola in questo modo la soluzione sembrava ovvia ma si sentiva in qualche modo responsabile per i bariani, quei ricordi, anche se ancora difficili da accettare, erano suoi, e questo significava che un intero pianeta faceva affidamento su di lui per sopravvivere. Dall'altra parte c'erano Yuma, Kite, Four e tutti gli amici che si era fatto negli ultimi mesi, persone che lo avevano salvato dall'oscurità in cui era piombato e a cui doveva molto.

Arrivò con fatica a una decisione, lasciando che il senso di responsabilità prevalesse su quello di colpa per aver abbandonato la sua nuova famiglia terrestre.

Tornato su Barian, dopo aver sconfitto Four, si ritrovò a fissare la desolazione di quel pianeta con sguardo assente.

"Nash, va tutto bene?" Chiese Dumon, non lo aveva sentito arrivare e questo era un chiaro segno di quanto fosse assorbito dai suoi pensieri. "Sì, stavo solo osservando Barian, non ricordavo fosse un pianeta così desolato e non posso fare a meno di pensare che, in parte, questa desolazione sia dovuta alla mia assenza" Dumon osservò Nash prima di rispondere, era l'amico che conosceva ma, al tempo stesso gli sembrava quasi un estraneo, era stato lontano molto a lungo e questo lo aveva cambiato, doveva ancora capire come però.

"Non è così, Barian ha avuto origine dal caos che il mondo astrale si è rifiutato di accettare, più questo aumenta più questo mondo diventa arido e desolato. Al tempo stesso però è proprio il caos a donare a Don Thousand e a noi i nostri poteri, è un prezzo alto da pagare ma, purtroppo è necessario per poter vincere la guerra contro il mondo astrale"

"Quindi essenzialmente questo posto è il risultato degli scarti del mondo astrale, che ora ha deciso di sbarazzarsi una volta per tutta di un problema causato da loro stessi"

"Esattamente, gli astrali hanno sempre considerato l'esistenza di questo pianeta una macchia sulla loro consueta perfezione ma ci hanno tollerati fin quando non abbiamo deciso di ribellarci alle loro imposizioni"

"È davvero terribile. Conoscendo Astral ho sempre sentito una sola versione della storia, quello dell'attacco immotivato da parte del mondo Bariano, non sapevo ci fosse tutto questo dietro" Dumon rimase in silenzio per qualche istante, contemplando la brulla distesa di terra davanti a sé, poi prese coraggio e gli fece la domanda che lo aveva tormentato sin dal suo ritorno.

"A proposito di questo, credi di poter continuare a combattere contro quelli che una volta erano i tuoi compagni? Ti vedo particolarmente provato dal tuo duello con Thomas ma, se vogliamo avere qualche speranza di vincere dovrai sconfiggere anche Yuma e Astral" lo sguardo di Nash si incupì

"È così, ho vissuto sulla Terra abbastanza a lungo da affezionarmi a quelle persone, sono stati miei compagni di viaggio molto a lungo e tradirli mi ha devastato, ma questo non significa che non sia fedele alla causa. Quando ho scelto di tornare qui l'ho fatto con la consapevolezza di dovermi lasciare quella vita alle spalle, di vederla solo come una parentesi conclusa e non ho cambiato idea. Ho solo bisogno di un po' di tempo per metabolizzare tutto, di cancellare ciò che Reginald o Shark è stato e tornare ad essere Nash al cento per cento." Dumon lo fissò interdetto, non si aspettava una risposta così sincera e diretta ma la apprezzò molto, vi vedeva dentro il Nash che conosceva e questo lo rassicurava sull'esito della loro missione.

"Per quanto mi riguarda non è cambiato nulla, per me sei e sarai sempre Nash, l'amico che ho imparato a conoscere e stimare. Prenditi il tempo che ti serve ma tieni a mente che non tutti gli altri imperatori avranno la mia stessa reazione, sei stato via a lungo e molte dinamiche sono cambiate ma sono convinto che riuscirai a convincere tutti della veridicità delle tue intenzioni" detto questo Dumon si allontanò, entrando nel palazzo poco distante.

Nash rimase ancora a lungo a scrutare l'orizzonte, quello che aveva detto a Dumon era vero solo in parte, infatti, nonostante si stesse sforzando, non riusciva a togliersi dalla mente i ricordi della sua vita sulla Terra, la felicità che gli avevano donato e la disperazione provata nel vedere i suoi amici dissolversi davanti a lui. Affrontare Thomas era stato terribilmente ostico, il modo in cui aveva tentato di fargli cambiare idea, di convincerlo a tornare sui suoi passi lo aveva messo in difficoltà più del duello in sé.

"Mi dispiace Four, non avevo scelta, era necessario che dimostrassi di essere determinato e di poterti affrontare senza remore. Non è stato così ma spero comunque sia stato sufficiente a far fidare i Bariani di me. Ho la responsabilità di un intero pianeta sulle spalle e non posso deludere chi conta su di me per condurli alla vittoria. Vincerò questa guerra, costo quel che costi, e poi troverò un modo per riportare te e gli altri indietro, te lo prometto"

Detto questo diede le spalle alla landa desolata dinanzi a sé e si recò verso la sala del trono, pronto a confrontarsi con i suoi nuovi compagni.

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Capitolo 11
*** Kill my memory ~ Citizen soldier ***


Thomas si svegliò e non fu sorpreso trovare l'altro lato del letto vuoto.

"Se n'è andato ma non posso dire che sia inaspettato, si comportava in modo strano da giorni" si alzò faticosamente e si incamminò verso il bagno. Vedere il suo riflesso lo lasciò interdetto

"Da quando non riesco ad avere una notte di sonno decente? Queste occhiaie non le avevo prima" pensò scrutando i segni violacei che gli contornavano gli occhi.

Prese il cellulare e digitò, senza pensare, il numero di Reginald, si fermò solo un istante prima di effettuare la chiamata

"Che sto facendo? Se avesse voluto parlarmi di cosa sta succedendo lo avrebbe già fatto, è inutile metterlo alle strette" ripose a fatica il telefono e decise di uscire per schiarirsi le idee. Non fece in tempo ad aprire la porta che si trovò davanti Shark

"Hey..." Disse con poca convinzione "posso entrare?" Thomas si scostò per agevolargli l'ingresso e lo scrutò incerto.

"Dove sei stato?"

"Sono tornato alla mia vecchia casa, c'era una questione che dovevo risolvere"

"E sei riuscito a farlo?" Lo vide limitarsi ad annuire

"Beh, avresti potuto dirmelo, ti avrei accompagnato volentieri, so quanto ti pesa tornare lì"

"Non ha importanza, era una cosa veloce e dovevo farla da solo"

"Riguarda lo stemma della tua famiglia?"

"Sì, è così"

"Qual è il problema?"

"Assomiglia a un simbolo che ho avuto modo di vedere in una visione, durante un duello"

"E non pensi di essertelo immaginato ricordando quello che hai visto da bambino?"

"Ne dubito, non lo vedevo da anni e non ne avevo memoria"

"Perché pensi che quella visione sia reale? Potrebbe essere stata un semplice trucco usato dal tuo avversario per avere la meglio su di te"

"È quello che pensavo anch'io ma ora non ne sono più sicuro..." Rimasero in silenzio per qualche istante, incerti su come proseguire la conversazione

"Ora cosa pensi di fare?"

"Non lo so ma una cosa è certa, quello che c'è tra di noi non può funzionare, devo prima capire chi sono realmente o non sarò in grado di gestire la nostra relazione"

"Potremmo capirlo insieme, ti starei vicino e sono disposto ad aspettare tutto il tempo di cui hai bisogno"

"Questo lo so ma non ho intenzione di chiederti di farlo. Per favore dimenticati di me e vai avanti Thomas, desidero che tu sia felice e con me non potresti mai esserlo"

"Ti sbagli, io penso piuttosto che sia tu ad avere paura di essere felice. Ogni volta che ne hai la possibilità scappi e non riesco a capire perché"

"È semplice, la gioia non è mai stata presente nella mia vita, si è sempre trattato di una fugace meteora, qualcosa che compare, ti illude e poi svanisce per poi ripetere il ciclo. Non ho intenzione di condannarti a questo inferno, hai ancora la possibilità di cavartela, di incontrare qualcun altro, non buttarla via per me, non ne vale la pena" con quelle parole si congedò e uscì, lasciandolo interdetto.

Fu solo dopo qualche mese che capì cosa avesse voluto dirgli, quando lo vide tornare sotto forma di Bariano gli fu tutto più chiaro.

"Da quanto lo sapevi?"

"Da quando ho visto quel maledetto stemma, ho provato a farti capire che dovevi lasciarmi perdere ma sei ancora qui e non capisco il perché"

"È molto semplice, ti amo e questo non cambierà in nessuna circostanza, non ho alcuna intenzione di dimenticarmi di te, né di andare avanti con qualcun altro "

"È una follia e lo sai, sei dalla parte degli Astrali, anche solo farti vedere con me ti espone a notevoli pericoli"

"Non mi interessa, per quanto mi riguarda sei ancora tu e non ho nessuna intenzione di tirarmi indietro"

"Perché non vuoi capire? Se mi intralcerai sarò costretto a ucciderti e non voglio farlo"

"Beh, temo che sarai costretto perché io non vado da nessuna parte" si guardarono per quello che parve un tempo interminabile.

"Non posso e non voglio farlo, per ora ti risparmierò ma non ci sarà una prossima volta. Quando ci incontreremo di nuovo dovremo duellare quindi vedi di non frapporti tra me e il mio obiettivo" svanì davanti ai suoi occhi, lasciandolo smarrito.

Lo aveva davvero perso per sempre? Essere un Bariano lo rendeva davvero al di fuori della sua portata? Credeva di no ma Reginald, o Nash come si faceva chiamare ora, era di tutt'altro avviso.

"Perché non mi hai ucciso subito? Mi avresti risparmiato tantissima sofferenza..."

"Io ho bisogno di te e il fatto che tu non lo capisca mi ferisce nel profondo. Sei importante Shark e non voglio perderti, troverò un modo per riportarti indietro te lo prometto".

Chiese a Chris di creargli una carta alza rango, sapeva che ne avrebbe avuto bisogno durante lo scontro imminente.

"Pensi davvero di poterlo salvare?"

"Non lo so ma devo almeno provarci non credi?"

"Continua a sembrarmi una follia e preferirei non lo facessi "

"Allora perché mi stai aiutando?"

"Perché vorrei ne uscissi vivo, sei mio fratello e tengo a te, non voglio perderti"

"Non mi perderai, non ho nessuna intenzione di morire"

"Allora non correre rischi inutili, confrontarti con Nash lo è, si tratta del più forte dei Bariani, che possibilità credi di avere?"

"Molto scarse ma non nulle e questo mi basta per fare un tentativo"

"Non riuscirò a farti cambiare idea vero?"

"No, ho preso la mia decisione" si guardarono un attimo, in silenzio, poi Chris gli allungò la carta richiesta, raccomandandosi di farne buon uso.

Thomas affrontò il duello al meglio delle sue capacità ma perse comunque, essere assalito costantemente dai ricordi del loro passato insieme non gli era stato senz'altro di aiuto. Aveva rivisto i momenti piacevoli, come i duelli insieme, le serate trascorsi abbracciati l'uno accanto all'altro, i lunghi baci e le dolci carezze. I suoi ricordi però erano funestati dal senso di colpa per le sofferenze che gli aveva causato.

"Ho fatto del male a tua sorella, ti ho fatto squalificare a vita dai tornei, ti ho torturato durante il duello al Carnevale Mondiale... Non si può dire che non ti abbia dato delle ragioni per odiarmi, posso capire perché tu voglia annientarmi, e lo accetto, non te ne farò una colpa" poi però vide la sue espressione, le lacrime che gli rigavano le guance, gli occhi annegati nel dolore. Lo vide tornare in forma umana, vulnerabile e ferito e si chiese cosa lo avesse spinto a farlo, per quale ragione superiore avesse nuovamente rinunciato alla felicità in favore della sofferenza.

"Non piangere Reginald, sapevamo che sarebbe andata così e ne sono felice, non avrei mai sopportato l'idea di perderti e ora so che non sarà così, che avrai la possibilità di raggiungere i tuoi obiettivi, qualunque essi siano"

"Non ho avuto scelta, il destino di un intero pianeta poggia sulle mie spalle, non posso permettermi di perdere ma nemmeno di perdere te..."

"Devi dimenticarmi, ricordi? Me lo hai detto anche tu prima di andartene, mi chiedevo perché volessi allontanarmi e adesso l'ho capito. Mi dispiace non averlo fatto prima, se avessi saputo la verità probabilmente sarei passato dalla tua parte. L'unica ragione che mi ha spinto ad aiutare Astral è stata la tua presenza, mi fidavo del tuo giudizio e pensavo la sua causa fosse buona ma non è così vero? O non avresti cambiato fazione" si interruppe di colpo, sentendo le forze svanire e abbandonarlo.

"Mi dispiace... Credo di non poter rimanere qui troppo a lungo..."

"Ti prego, non sparire, non so cosa potrei fare senza di te"

"Sopravviverai, devi solo uccidere il mio ricordo" disse per poi svanire per sempre. Reginald singhiozzò disperato, sopraffatto dal dolore

"Uccidere il tuo ricordo, non credo ci potrò mai riuscire " si alzò a fatica e si allontanò, andando incontro al suo destino.

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Capitolo 12
*** Limit ~ Citizen soldier ***


Da quando suo "padre" era tornato Thomas sentiva di essere diventato la pecora nera della famiglia. A differenza dei suoi fratelli non riusciva ad obbedire ciecamente ai suoi ordini, non senza provare un profondo senso di colpa. Con il tempo aveva imparato a mascherarlo, a silenziare la voce della sua coscienza, seppellendola sotto strati di cinismo e crudeltà.

Era arrivato a sfogare la sua frustrazione sui fan di una vita, persone innocenti e speranzose che si presentavano da lui con aspettative che venivano puntualmente disilluse. Vedere la luce nei loro occhi spegnersi e tramutarsi in disperazione gli dava la forza necessaria ad andare avanti e, al contempo, annientava gradualmente le ultime tracce di umanità presenti in lui.

Non aveva mai pensato di farla finita, non prima dell'incidente, ma vedere quella ragazza avvolta tra le fiamme, sentire le sue urla disperate e il modo in cui invocava il fratello avevano risvegliato qualcosa in lui, un rigurgito di coscienza che era tornato prepotentemente a farsi sentire. Dopo quell'evento e la successiva squalifica di Shark dai tornei era sicuro di essere arrivato al limite, di non poter più sopportare quella situazione. Nemmeno i duello con i suoi fan riuscivano più a placare la sua sofferenza e questo lo portò a prendere una decisione drastica.

"È meglio che la faccia finita, da quando è tornato Tron non sono stato altro che un dispensatore di sofferenza, ho distrutto le speranze dei miei fan, la carriera di Reginald, la vita di Rio. Non merito di continuare a esistere" fu con quei pensieri che prese un intero flacone di pillole e si sdraiò, aspettando che facessero effetto. Scivolò lentamente nell'incoscienza, accompagnato dalle voci di tutte le persone che aveva fatto soffrire. Si sentiva sopraffatto, distrutto ma, soprattutto, stanco. Perse i sensi e si ritrovò in un limbo oscuro, si chiese se fosse quella la morte, un vuoto infinito e nero che sovrasta i sensi e ti intrappola per l'eternità ma poi fu strappato da esso e si risvegliò in un letto di ospedale, circondato dai fratelli.

"Che cosa ti è saltato in mente?"

"È semplice, non sopportavo più di vivere così, mi sento un mostro e non riesco a convivere con me stesso"

"Non dovresti, stai solo eseguendo gli ordini di papà, esattamente come stiamo facendo noi. Devi smetterla di farti problemi e accettare che ora la nostra vita è questa"

"E se non volessi farlo?" Chiese a Chris in tono di sfida

"In tal caso Michael avrebbe potuto evitare di salvarti, non sei utile se non sei lucido e chiaramente in questo momento è così"

"Non sono mai stato tanto lucido in vita mia, non voglio andare avanti così, voglio farlo facendo le mie scelte e seguendo le mie regole, non lasciando che sia quel bambino demoniaco a farlo per me"

"Thomas, Chris sta solo cercando di aiutarti, nostro padre è profondamente deluso e c'è il rischio che ti escluda dai suoi progetti futuri"

"Tanto meglio, non voglio più macchiarmi di altre atrocità"

"Ma è importante che tu lo faccia, è per riavere Byron indietro, non è quello che vorresti anche tu?"

"Sì ma non è possibile o comunque non ne vale la pena. Voi non siete stati costretti a fare del male a una ragazza o a infrangere per sempre i sogni di suo fratello "

"Non mi sembrava questo fosse un problema per te, o ti sei già dimenticato del trattamento che riservi ai tuoi fan?"

"No, affatto, quello è stato un gretto metodo che ho usato per cercare di sopravvivere, non ha funzionato e ora ho anche quelle persone sulla coscienza"

"In ogni caso qui abbiamo finito, resterai ricoverato per un po', vedi di decidere cosa vuoi fare e di farlo in fretta" Chris gli scoccò un'ultima, gelida occhiata dopo di che uscì dalla stanza, seguito a ruota da Michael che, invece, gli parve molto meno convinto del fratello maggiore.

Reginald aveva raggiunto da un pezzo il suo limite, perdere i suoi genitori in teners età ed essere sballottato da una famiglia affidataria all'altra per tutta l'infanzia e adolescenza lo aveva lasciato profondamente segnato. Spesso era anche stato separato dalla sorella in quanto, la maggior parte delle persone, si prendeva la responsabilità di un solo bambino alla volta, indipendentemente dai suoi legami familiari. Era stato dura mantenere un rapporto con Rio ma, per fortuna, lei aveva trovato subito una famiglia amorevole e non era stata più spostata, lui aveva subito un trattamento diverso, finendo più volte da persone abusanti che lo avevano sottoposto a violenze di ogni genere. La sorella era sempre stata l'unico punto fermo della sua vita e, quando era stata ferita, la terra gli era crollata sotto i piedi, si era sentito perso e, non essere riuscito a mantenere l'ultima promessa che le aveva fatto lo aveva definitivamente spinto oltre il limite. Fu a quel punto che decise di farla finita, gli sembrava l'unica soluzione possibile. Sì procurò una pistola e si sparò, sperando di porre finalmente fine alle sue sofferenze ma, quando si risvegliò nel reparto psichiatrico dell'ospedale, capì di non essere riuscito nemmeno in questo semplice compito. Quando poi vide chi fosse il suo compagno di stanza sentì la rabbia montargli dentro.

"Che diavolo ci fai tu qui?"

"Lo stesso che ci fai tu, ho tentato di farla finita e ho fallito" si scrutarono in silenzio per qualche istante prima di proseguire.

"E perché mai avresti voluto farla finita? Hai una famiglia, uno scopo, sei anche il campione d'Asia più giovane di sempre, cosa ti manca esattamente?"

"Un padre, l'affetto dei miei fratelli, la mia vita di prima... Senti so che sei arrabbiato con me, ne hai tutte le ragioni ma, dato che dovremo stare qui per un po', dovremmo provare a coesistere"

"Coesistere? E come dovrei fare sentiamo? Come posso anche solo perdonarti per ciò che mi hai fatto?"

"Non ti sto chiedendo questo, ma solo di non odiarmi per la durata della nostra permanenza qui, d'altronde siamo sulla stessa barca"

"Già, su un relitto in procinto di affondare..." Pensò

"D'accordo, cercherò di tollerarti a patto che tu mi rivolga la parola il meno possibile "

"Andata" rispose Thomas con un sorriso tirato.

Qualche ora più tardi un medico passò a controllarli, per poi affidarli a due psicologi.

"Non ho bisogno di farmi psicanalizzare, grazie "

"È una fase necessaria del processo di cura, in vista delle dimissioni, più vi rifiuterete di collaborare più prolungherete la vostra permanenza qui"

"D'accordo, ho capito " Reginald si alzò faticosamente dal letto, ebbe un piccolo giramento di testa appena alzato, ultimo rimasuglio del proiettile che gli aveva attraversato il cranio lasciandolo miracolosamente in vita.

"Che cosa volete sapere?"

"Innanzitutto vorremmo ci parlassi della tua infanzia"

"L'ho passata in orfanotrofio e in diverse famiglie disfunzionali, ho subito abusi di ogni tipo e ho iniziato a detestare la mia vita. Può bastare come risposta?" La donna annuì, chiaramente turbata

"E che mi dici dell'ultimo periodo? Quello antecedente al ricovero?"

"Mia sorella è finita in coma in seguito a un grave incidente, io mi sono giocato la carriera di duellante e ora condivido la stanza con il responsabile di tutto questo"

"Ti cambierei stanza se possibile ma la struttura è particolarmente piena e non ci sono letti liberi"

"Non importa, posso sopportarlo"

Tornò in camera più frustrato di prima e con l'unica soddisfazione di sapere che ora era il turno di Thomas.

Nemmeno a lui furono risparmiate le domande sull'infanzia ma le risposte furono molto diverse.

"Ho avuto un'infanzia normalissima, con un padre e due fratelli amorevoli"

"Allora cosa è andato storto?"

"Nostro padre è sparito per anni e quando è tornato non era più lo stesso, anche Chris e Michael sono diversi, non li riconosco più "

"Però i suoi fratelli sembrano convinti di poter riportare tutto come prima"

"Sì, perché sono degli illusi, per me è già cambiato tutto, sono una persona molto differente da quella che vorrei"

"Ho scoperto che è finito in camera con un suo conoscente, che cosa è successo tra voi due?"

"Oh, niente di che, ho solo provocato un incidente che ha spedito sua sorella in coma e compromesso la sua carriera nel mondo dei duelli"

"Crede di poter ottenere il suo perdono?"

"No, non penso"

"E crede di meritarlo?"

"Assolutamente no, gli ho rovinato la vita è giusto che ce l'abbia con me"

"Ultima domanda, che cosa l'ha condotta qui?"

"Avevo superato la mia soglia di sopportazione e mandato giù un'intera scatola di tranquillanti, dopodiché mi sono svegliato qui"

Tornò in stanza frustrato dalla stupidità delle domande che gli erano state poste.

"Fammi indovinare, ti hanno chiesto della tua infanzia e cosa ti abbia spinto qui"

"Sì, è vero, non so chi abbia assunto quegli psicologi ma hanno fatto un lavoro davvero pessimo" Reginald sorrise, era la prima volta che glielo vedeva fare da quando erano rinchiusi lì.

"Già, temo però che ci toccherà avere altre conversazioni con loro se vogliamo sperare di uscire da qui"

"Oh, non ho fretta, quello che mi aspetta fuori è decisamente peggio di quello che c'è qui dentro" Shark lo scrutò a lungo, incapace di rispondergli.

"Già... Immagino tu abbia ragione"

Non si dissero più nulla per il resto della giornata, pranzarono in religioso silenzio e arrivarono alla sera nello stesso modo.

"Buonanotte" si azzardò a dire Reginald prima di prendere sonno

"Sogni d'oro" rispose Thomas ben conscio che difficilmente lo sarebbero stati.

Si svegliarono presto il mattino successivo ed effettuarono un prelievo di routine per poi rivedere gli psicologi del giorno prima. Questa volta però le domande furono meno pressanti e invadenti, concentrandosi più sulla loro esperienza nella struttura. Se la cavarono dicendo che andava tutto bene e che speravano di migliorare in fretta per poter tornare a casa.

Trascorsero mesi prima che anche solo l'idea delle loro dimissioni attraversasse la mente dei medici. In quel lasso di tempo avevano visto un variegato campionario di esseri umani, persone con disturbi psichiatrici, altre con profonda depressione, altre ancora con disturbi della personalità. Non era stato difficile integrarsi in quell'ambiente caotico e insolitamente pieno di vita. Era tutto molto diverso da quello che li attendeva fuori, una realtà separata e protetta che gli offriva rifugio dal mondo circostante. In quel lasso di tempo si erano molto avvicinati ed avevano iniziato a guardarsi con occhi diversi. Quella che era iniziata come una relazione travagliata si era evoluta in amicizia e, forse, in qualcosa di più. Condividere le loro più profonde paure e le loro sofferenze li aveva legati, abbattendo i muri di odio che entrambi avevano costruito.

"Mi dimetteranno tra una settimana" disse Reginald un giorno

"Ma è fantastico! Quando l'hai saputo?"

"Me lo hanno detto al colloquio di oggi, pare che io sia pronto per tornare nel mondo ma, in realtà, non sono affatto convinto di esserlo. Sto bene qui e so che è strano da dire ma vorrei trascorrerci più tempo"

"Ti capisco, anch'io avrei voluto uscire inizialmente ma ora questo posto mi sembra mille volte più accogliente di quello che mi aspetta fuori"

"Che cosa pensi di fare una volta uscito?"

"Non lo so ancora, penso che andrò a trovare mia sorella ma il resto è ancora nebuloso"

"Potremmo vederci fuori da qui, quando sarò uscito anch'io"

"Certo, non vedo perché no, sei decisamente meno detestabile di quanto pensassi "

"Ehm, grazie suppongo?" Risero entrambi, visibilmente sollevati da quella chiacchierata. Come previsto Reginald uscì una settimana dopo, lasciandolo da solo nella struttura. Quel mondo apparentemente idilliaco cambiò molto senza la sua presenza, trasformandosi in una prigione dorata. Fortunatamente gli fu concesso di uscire due settimane dopo, si vide prima con Reginald che con i suoi fratelli e la cosa non gli dispiacque affatto.

Passeggiarono per la città, uno accanto all'altro, raccontandosi cos'era successo nel periodo di tempo in cui non si erano visti.

"E così hai trovato lavoro?"

"Sì, come meccanico, riparo moto e, occasionalmente qualche auto"

"Ma è fantastico! E come ti trovi?"

"Per ora bene, gli orari sono abbastanza flessibili e mi piace poter essere a contatto con i motori. Senza contare che uno stipendio fa sempre comodo"

"Forse dovrei cercare anch'io qualcosa da fare, potrebbe darmi una buona scusa per stare lontano dalla mia famiglia"

"Li detesti così tanto?"

"No, non li odio affatto ma non riesci ad integrarmi tra di loro, mi sembra di essere un estraneo a casa mia e questo non mi piace"

"È comprensibile ma, nel tempo che sei stato ricoverato, potrebbe essere cambiato qualcosa, non credi?"

"In effetti sì ma non ci credo molto"

"Vuoi che venga con te a verificare? Nel caso in cui fosse tutto come prima potremmo sempre svignarcela"

"Ti ringrazio e sì, mi sembra un buon piano."

Come previsto da Thomas nulla era cambiato e la fuga fu la soluzione che scelsero di adottare.

"Mi dispiace sia tutto come prima, ero seriamente convinto che fosse cambiato qualcosa"

"Lo so, ci ho sperato anch'io ma alcune cose sono difficili da modificare. Ci vuole tempo e fatica e sembra che nessuno nella mia famiglia voglia investirli"

"Almeno ho te..." Pensò, senza però avere il coraggio di dirlo ad alta voce.

"Beh, per fortuna ci sono io a migliorarti la giornata" disse Reginald, senza sapere quanta verità si celasse in quelle parole.

"Ti ringrazio, ho proprio bisogno di un amico in questo momento, non credo di poter gestire da solo il mio rientro a casa"

"Non devi farlo, ci sono io, e, per quanto possibile, cercherò di aiutarti" Thomas sorrise, visibilmente sollevato.

Continuarono a camminare in silenzio, ormai non avevano più bisogno di parole per capirsi. C'era un unico argomento che non trattarono mai e fu quello dei sentimenti che provavano l'uno per l'altro, continuarono a incontrarsi, a trascorrere intere giornate insieme ma senza riuscire a confessarsi il proprio amore. Erano entrambi bloccati e non sapevano come uscire da quella situazione di stallo.

Ci volle un anno affinché Thomas si sentisse pronto a fare il primo passo.

"Reginald, stavo pensando, abbiamo trascorso un mucchio di tempo insieme ed è stato tutto piacevole e meraviglioso. Ho riflettuto a lungo su cosa significhi tutto questo per me e credo di essere giunto a una conclusione: io ti amo" quelle parole lasciarono Shark interdetto, era strano sentirgli dire quello che anche lui provava ad alta voce.

"Lo stesso vale per me" si limitò a dire, ancora incapace di dare voce ai suoi sentimenti. Rimasero uno accanto all'altro per il resto della serata, in silenzio perché, in fin dei conti, non c'era altro da aggiungere.

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Capitolo 13
*** If these scars could speak ~ Citizen soldier ***


Cicatrici, tutti ne abbiamo, chi di più evidenti, che magari gli deturpano il viso o magari una spalla e che di più nascoste, sul cuore o nell'animo.

#Thomas aveva imparato a convivere con la cicatrice sul suo occhio, la vedeva come un monito, un segno di quanto fosse stato disposto a spingersi oltre per suo padre. Il giorno dell'incidente qualcosa si era rotto per sempre in lui, trasformandolo nel fantoccio che era adesso, un essere vuoto guidato dalle mani di qualcun altro, una marionetta, come quelle che popolavano il suo deck.

"Carol, quand'è il mio prossimo trattamento speciale per i fan?"

"Tra un paio d'ore signore, c'è già una fila di ragazzini impazienti pronti ad affrontarla"

"Molto bene, allora perché farli aspettare ancora? Oggi mi sento generoso e gli concederò un po' di tempo in più"

"Come desidera signore"

Thomas scese, tra le urla di giubilo del suo pubblico

"Poveri idioti, se solo sapeste l'inferno a cui state per andare incontro non sareste così ansiosi di sfidarmi" si dipinse un sorriso sulla faccia e salutò tutte le persone radunate lì per lui.

"Allora, a chi concederò l'onore di sfidarmi?" Chiese, mentre osservava avidamente tutte le sue potenziali prede.

Scelse un ragazzino gracile e spaurito che si emozionò al punto di fargli capire di aver fatto la scelta giusta. Non ci mise molto ad avere la meglio su di lui e la sua espressione confusa e smarrita fu un balsamo per i suoi nervi tormentati. Si avvicinò al ragazzino e lo tirò su di peso, osservando le lacrime sgorgargli dagli occhi.

"Oh, andiamo, cosa ti aspettavi? Un autografo? Un abbraccio? Una vittoria immeritata? Mi dispiace ma tengo troppo si miei fan per mentire loro e illuderli di valere più di zero. Perché è questo che sei, un numero, un essere insignificante tra tanti altri che mi idolatra senza sapere nulla di me per il semplice fatto che non vale niente. A voi fan piace vivere di luce riflessa ma, per vostra fortuna, ci sono qui io pronto a riportarvi alla realtà" rientrò a casa, soddisfatto del suo trattamento

"Anche oggi ho svegliato un piccoletto insignificante, facendogli capire che non vale nulla. È così gratificante vedere la luce della speranza nei loro occhi spegnersi per sempre" sospirò,

"Che peccato poter riservare questo trattamento a pochi per volta, se fosse per me li affronterei tutti insieme"pensò, con un sorriso sadico dipinto sulle labbra e, quasi impercettibilmente, si sfiorò la cicatrice sull'occhio.

Reginald era abituato alle sue cicatrici, ci conviveva da così tanto tempo da aver quasi dimenticato la loro esistenza. Ne aveva una visibile sulla spalla, ricordo di un'infanzia felice e lontana che non sarebbe tornata mai più, e tante altre nascoste e più insidiose. La prima era collegata alla morte dei suoi genitori e al conseguente susseguirsi di famiglie affidatarie, sempre uguali, sempre tremende. Eppure ogni volta si illudeva "questa volta sarà diverso" ma non lo era mai, se non in peggio. L'ultima e più vasta riguardava la sorella, aveva rischiato di perderla tante, troppe volte e ora era terrorizzato che quella sarebbe stata l'ultima, che stavolta non se la sarebbe cavata. La prospettiva di perderla lo terrorizzava e, al tempo stesso, gli dava un contorto sollievo

"Se lei non ci fosse più non avrei più nulla di cui preoccuparmi" puntualmente si detestava per questo pensiero ma, per quanto cercasse di scacciarlo, era sempre lì, pronto a riemergere. Andò a visitare la sorella in ospedale, ormai non c'era più nemmeno bisogno di dire il suo nome, lo conoscevano, sapevano chi andava a visitare, gli fecero strada e lo lasciarono accanto a Rio, al suo corpo inerte che lo faceva soffrire così tanto.

Le cicatrici di Rio erano invisibili, nessuno le conosceva perché non permetteva ad alcuno di avvicinarvisi. Sapeva di essere un peso morto per il fratello, una discarica di sofferenza e malumore che lo aveva trascinato a fondo e lo teneva zavorrato lì, ad annegare. "Mi dispiace" pensava "vorrei tanto avere la forza necessaria a liberarti, a curarti, a ritrovare te stesso ma non ci riesco, non ne ho la forza e ho paura, paura di perderti per sempre in quegli abissi di disperazione in cui stai affogando". Provava ogni giorno a svegliarsi ma il coma la teneva stretta tra le sue spire, come un serpente affamato.

Yuma non avrebbe mai ammesso di avere una cicatrice ma la perdita dei genitori, e la successiva vita senza di loro, lo avevano lasciato ferito a fondo. Nessuno lo avrebbe mai detto, come poteva il dolce, gentile, positivo e spensierato Yuma essere infelice, non era possibile, era semplicemente assurdo. Eppure, dietro la maschera di finta allegria che si era costruito sentiva di cadere a pezzi, esausto, mantenere in piedi quello spettacolo era davvero faticoso, avrebbe voluto fare calare il sipario, rivelare a tutti la realtà dietro le quinte ma non poteva.

"Tu sei il loro punto ti riferimento, se crollassi lasceresti tutti con i loro demoni e questo non puoi permettertelo". Si era fatto carico dei problemi di tutti i suoi amici senza battere ciglio, trascinandoli via dal baratro in cui erano sprofondati anche a costo di essere lui stesso ad affondarvi. Era stanco di quella situazione ma non lo avrebbe mai ammesso, avrebbe continuato a lottare per sé stesso e per loro, senza guardarsi indietro.

Le cicatrici di Kite erano ben evidenti a tutti, sia sul suo corpo martoriato dall'energia fotonica che nel suo spirito, ormai annientato in favore della salvezza del fratello.

Era stanco di combattere, stanco di dover essere forte a tutti i costi, di dover privare un'infinità di persone della loro energia vitale. Ormai i loro visi si confondevano davanti ai suoi occhi, erano troppi per poterli ricordare, nonostante si fosse ripromesso di farlo.

"Spero che il vostro sacrificio porti alla salvezza di Hart, se dovesse rivelarsi vano non so come farei ad affrontare le atrocità che ho commesso" erano questi i pensieri che popolavano la sua mente, infestandola di dolore e senso di colpa, ma non si sarebbe arreso, avrebbe continuato a combattere e sarebbe riuscito a salvare suo fratello.

Le cicatrici di Tori e Bronk erano molto simili, entrambi innamorati, entrambi relegati al ruolo di semplici amici. Se solo si fossero parlati avrebbero condiviso quel peso, rendendolo più leggero per entrambi ma nessuno era a conoscenza del dolore dell'altro o, forse, gli era più facile ignorarlo e concentrarsi sul proprio.

Yuma era troppo ingenuo per percepire l'amore di Rio, la considerava una ragazza speciale, una grande amica ma niente di più e questo la devastava. Aveva provato più volte ad inviargli dei segnali, ma senza successo e questo non aveva fatto altro che fare dilagare sempre di più l'oscurità nel suo cuore.

Per Rio il discorso era diverso, nei rari periodi in cui era in salute era stata accanto a Bronk, aiutandolo in più occasioni, eppure non riusciva ad accorgersi dei suoi sentimenti, a vedere quel ragazzo goffo e impacciato come più di un semplice amico e questo lo feriva in profondità, rendendolo sempre più debole.

Cicatrici, tutti ne abbiamo, tutti le nascondiamo, ci vergognamo di esse o le ostentiamo, fieri di essere sopravvissuti alla ferita che le ha provocate. Ognuno le affronta a modo suo ma nessuno può separarsene, ci accompagneranno per tutta la vita che lo si voglia o meno.

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Capitolo 14
*** Cenere ~ Lazza ***


Cenere, era a questo che era ridotta la torta di compleanno che Rio aveva provato a preparare per il compleanno del fratello.

"Per fortuna esiste la pasticceria" pensò, mentre buttava l'impasto carbonizzato. Non era mai stata brava a cucinare, tra i due era sicuramente più bravo Reginald, ma questo non la scoraggiava affatto, anzi la spingeva a provare ogni volta a modificare la sua nomea di pessima cuoca.

"Per ora non mi è riuscito un granché bene ma, prima o poi, ce la farò" pensò mentre osservava per l'ultima volta quel che restava delle sue ore di lavoro.

"Addio torta, mi dispiace di averti bruciata" disse, richiudendo il bidone.

"Bene, ora devo riflettere su cosa fare. Posso prendere la torta in pasticceria ma devo organizzare qualcosa di grandioso per Reginald che gli faccia passare la voglia di prendermi in giro per il mio disastro." Riflettè per qualche istante per poi arrivare a una soluzione

"Il mare ovviamente, come ho fatto a non pensarci prima? E magari potrei invitare anche Thomas, forse potrebbe decidersi ad ammettere che gli piace mio fratello e smetterla con la sua corte silenziosa".

Prese il telefono e lo chiamò, la voce che gli rispose era impastata di sonno

"Rio? Ti sembra l'ora di chiamare?"

"Sta zitto e ascolta, sono sicuro che apprezzerai una volta che avrò finito di spiegarti" gli parlò del progetto spiaggia, soffermandosi sui chiari vantaggi di vedere suo fratello in costume, e vantandosi della splendida torta che era riuscita a preparare (nonostante sapesse benissimo che fine aveva fatto).

"Allora, ti ho convinto?"

"Può darsi ma continuo a non capire perché vuoi invitare anche me"

"Perché sei chiaramente innamorato di mio fratello e questa potrebbe essere un'occasione per confessargli i tuoi sentimenti. Pensaci bene, la spiaggia, il mare, il tramonto, il fatto di essere in costume e privi di inibizioni, potrebbe essere la tua occasione, non credi?" Il silenzio dall'altra parte le confermò i suoi sospetti

"Allora, hai intenzione di venire?"

"D'accordo, verrò ma non gongolare troppo"

"Gongolare? Io? Ma figuriamoci, mi divertirò a vedere i tuoi goffi tentativi di rimorchiare Reginald, sarà divertente" Thomas riattaccò, visibilmente seccato dall'atteggiamento della ragazza.

"Che permaloso, ho semplicemente detto la verità" dopodiché venne il turno del fratello che, per sua fortuna, si dimostrò molto più collaborativo, accettando subito la sua proposta.

La spiaggia non distava molto dalla loro casa e Rio notò con piacere che il fratello era già lì.

"Reginald,non dirmi che ti trovavi già in acqua quando ti ho chiamato"

"È così, stamattina c'era bel tempo e ho pensato di venire a farmi una nuotata"

"Sei davvero un pesce mancato" disse con un sorriso.

"Ti ho portato questa" esclamò porgendogli una torta

"Non l'hai fatta tu, cosa è andato storto?" Le domandò divertito.

La sorella parve rifletterci per qualche istante, poi rispose

"Me la sono scordata in forno, quando sono andata a controllare era ridotta a poco più di un mucchietto di cenere"

"Quindi hai di nuovo rischiato di mandare a fuoco la cucina? Chissà perché non ne sono sorpreso"

"Ahah, molto divertente, stava venendo bene, se il timer avesse funzionato a dovere ora staresti mangiando la mia deliziosa torta"

"In tal caso ricordami di ringraziare il timer una volta tornati a casa" Rio gli diede un leggero pugno sul braccio, piccata.

"Beh, le sorprese non sono finite, guarda chi sta arrivando" disse, indicando Thomas in lontananza

"Perché lo hai invitato?"

"Non farmi domande di cui conosci benissimo la risposta" il fratello arrossì mentre scrutava Four avvicinarsi a grandi passi alla spiaggia.

"Questa me la paghi" bisbigliò

"Oh, andiamo, ti ho fatto un favore, finalmente avrai l'occasione di confessargli i tuoi sentimenti in un ambiente a te familiare. Pensaci è l'occasione perfetta"

"Non dire assurdità, non succederà mai e poi io a lui non piaccio, non ho intenzione di farmi rifiutare come un'idiota"

"Quindi preferisci vivere per sempre con il dubbio?" Lui parve rifletterci ma non le rispose. Thomas intanto li aveva raggiunti, li salutò in modo impacciato per poi piantare sgraziatamente un ombrellone e sistemare alcuni asciugamani sotto di esso. I fratelli si guardarono allibiti, nessuno dei due immaginava sapesse farlo.

"Immagino abbia imparato per fare bella figura con Reginald, complimenti Four, ti sei guadagnato qualche punto"

Si sistemarono sotto l'ombrellone e iniziarono a spogliarsi, non senza qualche imbarazzo, il fratello era l'unico già pronto e Rio aveva percepito più di una volta lo sguardo di Thomas saettare sulla sua pelle nuda.

"Chi vuole fare un bagno?" Domandò ingenuamente Reginald

"Andiamo, siamo appena arrivati, non puoi aspettare un attimo?"

"Perché dovrei? Non ho intenzione di stare qui ad ustionarmi al sole come fai tu, preferisco di gran lunga l'acqua"

"Io verrei ma non so nuotare" disse Thomas imbarazzato

"Beh, questo non è un problema, posso insegnarti io" Thomas parve soppesare il suo terrore per l'acqua e la prospettiva di trascorrere del tempo da solo, a stretto contatto con Reginald.

"Va bene, sì, immagino si possa fare" Shark sorrise, avviandosi verso il mare

"Però, non male come primo approccio"

"Smettila, è già abbastanza imbarazzante senza i tuoi commenti inopportuni"

"Oh, ma dai, sarà divertente, senza contare che per imparare dovrai stargli molto vicino, in alcuni casi dovrà tenerti a galla e ti basterà fingere di affogare per rimediare una respirazione bocca a bocca, è perfetto non credi?"

"No, non credo, anche perché l'acqua mi terrorizza"

"Davvero? Beh, questo rende tutto ancora più interessante"

"Sei proprio sadica, lo sai?"

"Non sei il primo che me lo dice. Ora vai, mio fratello ti sta aspettando"

Thomas si avviò, esitante, ed entrò in acqua, la sensazione fu persino più spiacevole di quanto avesse immaginato ma vedere Reginald dinanzi a sé gli diede sicurezza. A differenza sua pareva perfettamente a suo agio e si muoveva agilmente nel mare calmo. Lo raggiunse con ampie ed eleganti bracciate e si posizionò dietro di lui. Four si sentì avvampare ma cercò di non darlo a vedere.

"Per prima cosa devi imparare a stare a galla, è semplice, devi sdraiarti a pancia in su, a pelo d'acqua e il mare farà il resto" Thomas ubbidì, superando la paura che gli stava attorcigliando le viscere e, dopo qualche tentativo fallimentare, anche grazie al supporto di Reginald, riuscì a rimanere a galla per qualche secondo. Questo parve bastare al suo insegnante che gli fece cambiare posizione. Provò a fargli fare qualche bracciata, sostenendolo passo passo. Quel contatto così intimo lo mise a disagio ma, al contempo, ne fu intimamente grato, non era mai riuscito a stargli così vicino al di fuori dell'acqua ma superare le sue paure si stava rivelando molto più remunerativo di quanto avesse pensato.

"Vieni, ti porto a vedere un bel posto" disse, prendendolo per mano e conducendolo al largo.

"Non so se posso farcela, ho paura del mare" disse imbarazzato.

"Non preoccuparti, ci sono io con te, non ti succederà nulla" quelle parole ebbero il potere di rassicurarlo e lo seguì, esitante. Raggiunsero un piccolo isolotto al largo, ricco di scogli e con una piccola grotta.

"Come conosci questo posto?"

"Ci vengo spesso, da solo, ad essere sincero è la prima volta che ci porto qualcun altro" Thomas si sentì onorato per quella confessione

"Ti ringrazio per avermelo mostrato, non avrei mai pensato di poter essere tranquillo in mezzo all'acqua"

"C'è un motivo per cui ti spaventa tanto?"

"Non che io ricordi ma mi hanno detto che, da bambino, sono caduto a testa in giù in piscina, non sapevo nuotare e, immagino, mi sia spaventato tantissimo. Credo che il trauma sia rimasto anche se il ricordo non c'è più"

"Capisco, beh, mi fa piacere vedere che stai affrontando le tue paure, non è da tutti sai"

"Già..." Rispose.

"Sarà meglio tornare indietro, non vorrei fare preoccupare Rio"

"Aspetta, prima c'è una cosa importante che devo dirti" pensò ma senza riuscire a pronunciare quelle parole ad alta voce.

"D'accordo, andiamo" si avviarono lentamente, Reginald gli stava alle spalle, aiutandolo ogni volta che ne aveva bisogno. Raggiunsero la spiaggia e Rio sembrò meravigliata di vederli già di ritorno.

"Allora, com'è andata la nuotata?"

"Bene" risposero entrambi.

"Io penso che tornerò in acqua per un altro po', non maltrattare troppo Thomas mentre non ci sono"

"Io? E quando mai lo avrei fatto?" Chiese con falsa innocenza.

Il fratello sorrise, prima di rituffarsi in mare.

"Allora, com'è andata davvero?"

"Vi ho visti sparire all'orizzonte, ti ha portato nel suo isolotto?"

"Sì"

"Non lo ha mai fatto con nessuno, è importante ti abbia condotto lì vuol dire che si fida di te" "Può darsi"

"A giudicare le tue risposte deduco che non sia andata come speravi"

"Non sono riuscito a dirgli quello che avrei voluto, ed era l'occasione perfetta"

"Può succedere, eri nervoso ed è normale che non ci sia riuscito"

"Lo so ma è comunque frustrante"

"Potresti farlo appena torna"

"Non credo, troverò un'altra occasione"

"Ne sei proprio sicuro?"

"Sì"

Reginald tornò poco dopo e Rio si allontanò con una scusa, lasciandoli soli.

"Allora, Rio mi ha detto che c'era qualcosa di cui dovevi parlarmi, qualcosa non va?" Thomas la detestò ma decise di cogliere l'occasione

"No, è tutto a posto. Avrei preferito dirtelo di quell'isolotto ma non ci sono riuscito... Ecco, ciò di cui volevo parlarti è che... Mi piaci e non come un amico, insomma io credo di amarti e..." Sì interruppe, attendendo la reazione di Reginald

"Anche tu mi piaci Thomas e sono sicuro di amarti, non sapevo che ricambiassi i miei sentimenti ma mi fa piacere sapere che è così" si avvicinarono, stringendosi in un abbraccio imbarazzato per poi scambiarsi un bacio fugace. Rio tornò poco dopo, soddisfatta della sua missione da Cupido.

Tornarono tutti a casa, felici di essere finalmente riusciti a rivelare i propri sentimenti.

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