Storie intorno al fuoco

di LorasWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa e indice ***
Capitolo 2: *** La rivolta dei demoni - Parte 1 ***
Capitolo 3: *** La rivolta dei demoni - Parte 2 ***
Capitolo 4: *** La rivolta dei demoni - Parte 3 ***
Capitolo 5: *** Come i nostri genitori ***
Capitolo 6: *** Il prediletto di Apollo - Parte 1 ***
Capitolo 7: *** Il prediletto di Apollo - Parte 2 ***
Capitolo 8: *** Il prediletto di Apollo - Parte 3 ***
Capitolo 9: *** Il prediletto di Apollo - Parte 4 ***
Capitolo 10: *** Il torto ad Eros - Parte 1 ***
Capitolo 11: *** Il torto ad Eros - Parte 2 ***
Capitolo 12: *** Il torto ad Eros - Parte 3 ***
Capitolo 13: *** Il torto ad Eros - Parte 4 ***
Capitolo 14: *** Moments - Parte 1 ***
Capitolo 15: *** Moments - Parte 2 ***
Capitolo 16: *** Moments - Parte 3 ***
Capitolo 17: *** Moments - Parte 4 ***
Capitolo 18: *** Moments - Parte 5 ***



Capitolo 1
*** Premessa e indice ***


ATTENZIONE: questa è una storia crossover con il mondo di Percy Jackson MA si può leggere anche senza conoscere minimamente il mondo letterario citato.
 
Ciao! Eccomi qui con una nuova serie di long e OS.
Come detto sopra, le storie che pubblicherò fanno parte del mondo creato dall’autore Rick Riordan ma non citerò né i suoi personaggi né la trama (se non per piccole citazioni che spiegherò). Quindi adesso vi spiego le basi così che si possano leggere senza problemi.
 
Il mondo di Percy Jackson è un mondo di semidei, i personaggi sono quindi metà umani e metà dèi e il loro genitore divino è uno del pantheon greco. Verranno citati sia dèi “famosi” come Zeus, Ade, Afrodite etc… sia dei minori come Nike, Eris etc…
-Esiste un “campo mezzosangue” che è più che altro un campeggio estivo dove questi semidei passano l’estate ad allenarsi e a ricevere missioni. Chi non ha una famiglia può anche vivere tutto l’anno al campo.
-Cose importanti da sapere del campo sono che è gestito dal “Signor D”, ovvero il dio Dionisio, e da Chirone, il centauro della mitologia. Inoltre c’è una profetessa di Apollo che è una semplice umana alla quale è stato dato questo potere, in questa storia sarà Yachi. Le sue profezie servono per le missioni (e in alcune delle mie storie ci saranno). Generalmente, inoltre, nelle missioni vengono sempre mandati in tre.
 -I ragazzi al campo vivono nelle “cabine”, ogni cabina è dedicata al genitore divino quindi tutti vivono con i propri fratellastri.
-Al campo e in generale anche fuori, i semidei non possono usare gli oggetti elettronici perché questi attirano i mostri. I mostri sono sempre quelli della mitologia. Io ho fatto sviare questa cosa a Suna con un “potere” che mi sono completamente inventata (e che vedrete poi nelle storie).
-I semidei possono o non possono avere poteri derivanti da quelli dei loro genitori divini (es. in Percy Jackson questo è figlio di Poseidone, di conseguenza controlla il mare e l’acqua), nella mia storia alcuni personaggi avranno anche dei poteri, diversi sono stati presi dal canon altri sono completamente inventati in base a ciò che mi serviva.
-Non tutti i ragazzi sanno sempre chi è il loro genitore divino, qualche volta possono intuirlo in base a quello che sanno fare, ma devono essere gli dei stessi a “riconoscerli” ufficialmente. Nelle mie storie infatti alcuni lo sanno fin da subito mentre altri dovranno scoprirlo in seguito.
-Infine, gli esseri umani non riescono a vedere il campo mezzosangue o i mostri, esiste la “foschia” che modifica nella loro mente ciò che stanno vedendo per renderlo normale.
 
Penso di aver detto tutto quello che c’era di importante da sapere, ma se nel leggere le storie non dovreste capire qualcosa non vi fate problemi a scrivermi.
 
Qui l’indice delle storie che verranno pubblicate e con quale ordine:
            -“La rivolta dei demoni” [long] [sakuatsu con accenni osasuna]
            -“Come i nostri genitori” [OS] [iwaoi]
            -“Il prediletto di Apollo” [long] [semishira con accenni ushiten]
            -“Il torto ad Eros” [long] [kuroken con accenni bokuaka]
      -“Moments” [raccolta di OS] [daisuga, tsukkiyama, yakulev, osasuna, tanakiyo, arankita, ushiten, bokuaka, matsuhana, kagehina]
 
Spero che vi possano piacere e potete tranquillamente leggere una storia invece di un’altra in base alle ship che più preferite, poiché non sono collegate tra di loro (e se dovessero essere collegate ci sarà l’avviso iniziale).
Pubblicherò ogni venerdì, vi lascio intanto il primo capitolo subito dopo questa lunga spiegazione.
Buona lettura!
Deh

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Capitolo 2
*** La rivolta dei demoni - Parte 1 ***


Storie intorno al fuoco
La rivolta dei demoni



Parte 1
-Io non ti sopporto più!- urlò Atsumu nel bel mezzo del bosco direttamente in faccia al suo gemello.
-Tu non mi sopporti più!?- rispose con lo stesso tono Osamu –Io non ce la faccio più a stare dietro i tuoi capricci!
-Non mi sembra di essere mai venuto a lamentarmi da te!
-Ti lamenti con me ogni singolo giorno!
-E tu non hai mai fatto nulla per aiutarmi! Che fratello di merda sei?
-Hai il coraggio di dire questo? Ti ricordo che sono io quello odiato in giro solo perché ho la tua stessa brutta faccia!
-Vaffanculo! Se ti da così tanto fastidio starmi vicino allora sparisci! Lasciami in pace!
-Sparisci tu!
Osamu gli diede le spalle e marciò via talmente incazzato da aver iniziato a borbottare cose da solo.
Atsumu si girò a sua volta e prese la direzione opposta, borbottando anche lui imprecazione tra sé.
Perché diavolo doveva avere un gemello? Perché aveva sempre dovuto vivere all’ombra di qualcun altro? Era ingiusto che la sua vita non fosse mai stata solo sua.
Passò il resto del pomeriggio a sfogare la sua rabbia con qualsiasi cosa che lo tenesse talmente impegnato da impedirgli di pensare: giocò una partita con i figli di Apollo facendosi malamente battere da Hinata, Lev e Shirabu, si allenò con l’arco evitando tutte le frecce vacanti di Bokuto che minacciavano involontariamente alla sua vita, aiutò Kita con i lavori ai campi dei figli di Demetra solo per poter sparlare ancora di più di quell’idiota di suo fratello.
La sera si sentì meglio, aveva detto a Osamu di sparire e lui non si era fatto vedere per il resto della giornata. Questo, unito al fatto che aveva sbollito la rabbia con tutte quelle attività, lo fecero sentire finalmente calmo.
Persino quando Suna lo raggiunse per chiedergli se avesse visto Osamu non si incazzò più del solito, rispose con qualche battuta sul fatto che “esisto anche io” e poi il castano riprese la ricerca del suo migliore amico altrove.
Solo quando scese la notte e tutti si ritirarono nelle proprie cabine, Atsumu iniziò a sentire una leggera ansia attanagliargli lo stomaco, perché Osamu non era nel suo letto.
Il biondo cercò di non pensarci, in fondo era stato lui stesso a dirgli di non farsi vedere, quindi era probabile che il gemello stesse dormendo nella foresta. Era una cosa che facevano spesso quando volevano rimanere soli, non era un problema farlo dato il loro potere e nessuno li aveva mai scoperti.
Si costrinse quindi a calmarsi e addormentarsi, cosa che comunque non riuscì a fare facilmente.
 
Fu svegliato dal rumore forte e persistente di qualcuno che bussava alla porta della sua cabina. Si lamentò mentre cercava di aprire gli occhi con la speranza che qualcun altro andasse ad aprire, ma dopo altri trenta secondi si rese conto che Osamu non era mai tornato e le loro due sorelle da parte di madre erano già uscite.
Toccò quindi ad Atsumu alzarsi e raggiungere la porta per far cessare quel rumore infernale.
-Atsumu- disse subito sollevato Hinata quando lo vide –c’è Chirone che ti sta cercando, devi correre alla Casa Grande, subito!
L’ansia tornò ad attanagliargli lo stomaco e, direttamente in pigiama, corse verso la destinazione citata.
In casa c’erano solo il centauro e Sunarin, quest’ultimo aveva il terrore nei suoi occhi, era un tipo di sguardo che Atsumu vedeva sempre nei semidei che tornavano da una missione con riscontri negativi.
-Che succede?- domandò guardingo.
Chirone chiese –Da quanto tempo non vedi Osamu?
Avrebbe potuto inventare una scusa per proteggere il proprio gemello, ma aveva subito capito che era una situazione delicata e si ritrovò a rispondere sincero –Da ieri dopo pranzo.
-Perché non hai detto nulla?
-Ah… noi… abbiamo discusso… ho immaginato mi stesse ignorando per questo- la preoccupazione gli impediva persino di pensare lucidamente –cosa sta succedendo?
-Rintaro ha avuto una visione.
Gli occhi del castano erano ancora spalancati e terrorizzati, vagamente lucidi. Le sue mani tremavano e la sua voce era meno di un sussurro mentre spiegava –Lui era stato rapito da dei demoni, loro lo tenevano in questa prigione e non poteva usare la sua magia. Li ho sentiti parlare, hanno detto che il suo sangue dovrebbe essere un buon sostituto di quello di Ecate ma che dovevano aspettare la luna piena.
Atsumu si sentì mancare e dovette appoggiare tutto il suo peso contro il muro per non cadere a terra.
Nessuno disse “potrebbe essere solo un sogno”, perché sapevano bene che non era così, non quando la visione l’aveva comunque avuta un figlio di Iride.
-Devo andare a salvarlo.
Chirone annuì all’affermazione di Atsumu e continuò –Vai da Yachi, speriamo che abbia una profezia per te. Dopo quello capiremo chi saranno gli altri due che verranno con te.
-Andrò io- disse subito Suna.
-Sai che non puoi- lo contraddisse il centauro.
-Ma non posso…
-Rintaro, non si discute. Servi qui altrimenti metteresti in pericolo tutti gli altri semidei in missione.
Atsumu non riuscì a sentire la protesta dell’altro ragazzo poiché la porta si chiuse alle sue spalle mentre correva per il campo alla ricerca dell’oracolo di Apollo.
Suna non solo era un raro figlio di Iride, ma aveva anche un potere enorme. Il ragazzo, infatti, riusciva a utilizzare i mezzi di comunicazione tecnologici senza attirare i mostri. Era stata una svolta per il campo e ogni semidio che partiva in missione portava sempre con sé un cellulare spento, usandolo per le emergenze e contattando direttamente il ragazzo al campo. Se Suna fosse andato con Atsumu, avrebbe messo in pericolo quelli che speravano di contattare il campo senza attirare i mostri.
Atsumu girò tantissimi luoghi prima di riuscire a trovare Yachi fuori dalla mensa a parlare con Shimizu, una figlia di Afrodite.
-Yachi- urlò sollevato correndole incontro –Hai una profezia per me?
Aveva afferrato la ragazza per le spalle e l’aveva strattonata urgentemente.
-Atsumu!- squittì la bionda, per poi diventare tutta rossa quando lo scrutò più a fondo –Sei in pigiama!
Ah già, Atsumu l’aveva dimenticato, ma a chi importava?
-Non è importante! Ho bisogno di una profezia adesso!
-Vi ho detto mille volte che non posso far…
Si bloccò di scatto, i suoi occhi si fecero verdi e la sua voce più profonda e diversa, Atsumu si allontanò mentre assisteva alla nascita della profezia che avrebbe deciso il futuro di suo fratello.
 
Il sangue della magia sarà versato
Quando la luna vi avrà abbagliato
Nascosto in una strada infinita sarà
Che solo il figlio dei morti troverà
Separarsi gli amici dovranno
O la morte al loro arrivo troveranno
 
-
 
Erano in macchina da un’ora e nessuno aveva ancora detto una parola da quando erano partiti.
Kita, il figlio di Demetra e capocabina della sua casa, era alla guida. Atsumu era seduto al suo fianco perso nei suoi pensieri, mentre nel sedile posteriore sedeva Sakusa Kiyoomi.
Da quando Yachi aveva rivelato la nuova profezia, i preparativi erano stati veloci.
Mentre Atsumu si vestiva e sceglieva le proprie armi, Chirone aveva analizzato la profezia e cercato di capire, più o meno, da dove partire.
“Il sangue della magia” doveva per forza riferirsi a Osamu, essendo un figlio di Ecate, ovvero la dea della magia, era stata la supposizione più plausibile. La luna piena era quella che faceva più luce, quindi avevano supposto che si riferisse a quello il secondo verso, aveva senso se si considerava che Ecate fosse anche la dea della luna crescente e che questa sarebbe stata piena solo tre giorni dopo.
Atsumu si era leggermente calmato a quella notizia, se i demoni avevano bisogno della luna piena, per ucciderlo c’era ancora tempo, non era troppo tardi.
Non sapevano nulla sulla “strada infinita” ma, se solo un figlio dei morti poteva scoprirla, non era stato difficile capire chi sarebbe stato uno dei suoi compagni di viaggio: l’unico figlio di Ade del campo, Sakusa Kiyoomi.
Non c’erano indizi su chi doveva essere il terzo e Kita si era subito proposto. Era stato lui a trovare i gemelli quando questi avevano cinque anni e stavano combattendo contro un mostro. Kita ne aveva sei e si stava dirigendo al campo mezzosangue. Li aveva aiutati e avevano fatto insieme quel viaggio lungo e pieno di mostri nel quale divennero una famiglia.
Suna disse loro che non ne era sicuro, ma credeva di aver visto uno scorcio dell’enorme scritta “Hollywood” all’interno della sua visione, quindi poteva essere un buon punto di partenza.
Sakusa aveva commentato –Non mi stupisce che i demoni abbiano una base lì, è proprio a Los Angeles che si trova l’ingresso per il regno di mio padre.
E così partirono, pronti a circa venti ore di macchina. Avrebbero impiegato solo due ore prendendo l’aereo, ma essendo che un figlio di Ade non poteva volare se non voleva rischiare di essere fulminato all’istante, quella era l’unica soluzione.
Passò un’altra mezz’ora di silenzio totale fino a quando, repentinio, Sakusa si spinse in avanti e afferrò il volante facendoli andare a tutta velocità fuori strada.
Atsumu urlò, Kita aprì bocca per chiedere cosa diavolo stesse facendo quando il punto dove si trovavano un attimo prima venne percorso da una raffica di vento talmente forte da far saltare in aria una parte di strada.
-Ci attaccano- borbottò Sakusa da sotto la sua mascherina mentre afferrava la propria spada e scendeva dalla macchina. Gli altri due lo seguirono a ruota e tutti e tre si prepararono alla battaglia.
In aria c’erano ben quattro arpie che, infuriate per aver mancato il bersaglio, si prepararono ad attaccarli con più rabbia di prima.
Una si lanciò su Atsumu che subito inforcò la sua balestra e si preparò a lanciare il colpo, riuscì a ferirle l’ala ma non a ucciderla, dovette quindi lanciarsi di lato per evitare un suo attacco.
Poco distante c’era Sakusa che ne stava combattendo una con la spada, non era decisamente l’arma migliore per qualcuno che stava a mezz’aria e, infatti, il figlio di Ade non faceva altro che imprecare –Odio così tanto le cose che volano!
Una terza arpia stava per attaccarlo alle spalle e Atsumu neanche rifletté quando ricaricò la propria balestra e colpì il mostro, centrandolo in pieno e uccidendolo prima che riuscisse a ferire Kiyoomi.
Questo lo fissò sorpreso per poi spalancare gli occhi atterrito.
Quella reazione, insieme all’urlo di Kita che chiamava il suo nome, fece capire ad Atsumu di doversi spostare all’istante e rotolò di lato prima di essere colpito dall’ala che non aveva ferito dell’arpia.
-Se ferisci un mostro senza ucciderlo- gli urlò Kita –non distrarti, perché quelli sono solo più incazzati con te!
-Per lui non sarà una grande novità che qualcuno ce l’abbia con lui!- urlò in risposta Sakusa.
-Che stronzi!- urlò invece Atsumu mentre parava un nuovo affondo –se lasceremo vivi questa battaglia sarà solo grazie a me!
-Mhmm- Kita rispose con fatica mentre con i suoi poteri cercava di trattenere un’arpia con le piante che aveva fatto crescere –non credo.
Sakusa si affrettò ad uccidere il mostro che Kita aveva intrappolato e poi fecero lo stesso con quello che fino a poco prima il corvino stava cercando di uccidere.
Rimase solo l’arpia ferita che si infuriava di più a ogni colpo che finiva a vuoto, Atsumu non era riuscito ad alzarsi e da quella posizione a terra era difficile usare le sue armi a distanza.
Gli altri due ragazzi rimasero a fissare il suo combattimento in attesa che la uccidesse e Atsumu si infurò, a quei due sembrava forse che stesse facendo un bel lavoro da solo?
Con faticà urlò –Avete intenzione di aiutarmi o continuerete a godervi lo spettacolo?
Kita incrociò le braccia –Non volevamo rubarti la scena.
Atsumu si rese conto che forse un po' se lo meritava, ma non ebbe bisogno di dire altro che Kita mosse le mani per imprigionare anche l’ultimo mostro con le sue radici.
Finalmente libero dal doversi difendere, Atsumu riuscì a recuperare uno dei coltelli da lancio alla sua cintura e pugnalare infine l’arpia ferita, uccidendola.
Quando Sakusa aveva fatto andare fuori strada la macchina erano troppo concentrati a capire chi li stesse attaccando per rendersi conto che questa aveva preso una fossa e si era spenta di botto. Si resero conto della situazione quando provarono a farla ripartire inutilmente.
Atsumu imprecò dando un calcio al mezzo, anche se sapeva che quello non l’avrebbe fatta di certo ripartire.
In lontananza si sentì il rumore di una macchina in avvicinamento e i tre decisero di comune accordo di nascondersi. La strada era mezza distrutta e insieme alla loro macchina tutto faceva presagire che avessero avuto un incidente, ma non avevano tempo da perdere con le domande e l’eventuale polizia, quindi recuperarono solo i loro zaini e iniziarono a correre.
Il resto della giornata fu caotico: non ebbero più incontri con altri mostri, ma il loro viaggio fu rallentato da ogni cosa. Dovettero camminare a piedi per due chilometri prima di incontrare un camionista che li facesse salire sul retro del proprio furgone, questo si fermò in un paesino sperduto e da qui dovettero aspettare l’unico autobus che li avrebbe portati alla città più vicina.
Arrivarono di sera e si informarono per i bus di linea che li avrebbero portati direttamente ad Hollywood: il primo a partire sarebbe stato alle nove del giorno dopo.
Atsumu non era felice di quell’idea, ma se proprio non potevano fare altro, tanto valeva riposarsi come si deve.
Trovarono un affittacamere lungo la strada, pagarono per tre camere e dopo una veloce buonanotte ognuno si chiuse nella propria stanza.
Atsumu era frustato, erano passate più di dodici ore da quando aveva ricevuto la notizia e ancora si trovava così lontano da Osamu.
Si sdraiò sul letto senza neanche togliersi i vestiti, urlò dentro il cuscino per attutire il rumore e, infine, si sciolse in un lungo pianto.
Se solo non gli avesse urlato quelle cose, se solo non si fossero divisi… era tutta colpa sua.
 
-
 
Come tutti i semidei, Sakusa aveva il sonno leggero e i suoi sensi erano sempre in allerta.
Era, inoltre, sempre stato abituato al silenzio assoluto, quindi al minimo suono si svegliava pronto all’azione.
Così fu anche quella sera.
C’era un motivo se quelle camere d’albergo costavano poco: la pulizia non era di certo il massimo. Il figlio di Ade aveva quindi sistemato il proprio cappotto sul copriletto e si era messo a dormire su questo. Aveva fatto una veloce doccia per poi rivestirsi del tutto, eccetto le scarpe, prima di mettersi a dormire.
Aveva la spada accanto e fu la prima cosa che afferrò quando, vigile, aprì gli occhi al rumore leggerissimo di passi nel corridoio esterno che collegava tutte le stanze.
Si avvicinò guardingo alla finestra e spostò di pochissimo la spessa tenda per controllare cosa ci fosse all’esterno. I suoi muscoli si rilassarono solo quando vide che era la figura di Atsumu che, velocemente, aveva lasciato la sua camera per raggiungere quella di Kita, nella quale fu accolto senza fare domande.
Le sue labbra si strinsero e il suo stomaco si contorse, si odiò per quella reazione, ma in che altro modo avrebbe dovuto reagire quando la sua cotta sgattaiolava alle tre di notte nella stanza di un altro ragazzo?
Potresti farti passare la cotta si rispose da solo e, sbuffando, tornò a sdraiarsi sul letto cercando di riprendere sonno.
Come aveva fatto quel rumoroso ed eccentrico figlio di Ecate a rubargli il cuore? Ovviamente con l’inganno.
La storia di Sakusa non era tra le più felici, non che i semidei potessero avere storie belle e spensierate, ma il figlio di Ade era sicuro che nessuno di loro avesse ucciso la propria madre all’età di due anni per un errore.
Il potere di Kiyoomi era enorme e spesso non riusciva a controllarlo: poteva evocare gli scheletri e fare in modo che questi lavorassero per lui, poteva concentrarsi e capire cosa ci fosse nel sottosuolo e, soprattutto, poteva uccidere con un semplice tocco.
Quando le emozioni gli sfuggivano dal proprio controllo, era quello che succedeva, ed era quello che era successo con sua madre. Kiyoomi fu salvato da suo padre, che recuperò il bambino dal corpo ormai freddo della donna e lo affidò a Chirone facendolo crescere al campo mezzosangue.
Tutti credevano che Sakusa fosse un misofobo, per questo indossava sempre mascherina e guanti e non voleva che la gente lo toccasse. Non era del tutto falso. Certo, odiava i germi un po' più della maggior parte delle persone, ma non per questo avrebbe rinunciato a qualsiasi contatto umano, se lo faceva era solo perché era terrorizzato di ucciderle per errore.
La sua vita era stata piena di solitudine e mai nessuno era riuscito ad avvicinarsi a lui come aveva infine fatto Atsumu Miya.
I gemelli avevano il potere di trasformarsi in volpi, era anche per questo che erano riusciti a sopravvivere per strada tutti quegli anni da soli prima di arrivare al campo.
Sakusa non sapeva questa cosa e quando un pomeriggio, mentre se ne stava da solo nella foresta, Atsumu gli si avvicinò in questa versione, il corvino decise che poteva provare ad accarezzare l’animale.
Ormai era diventato bravo a gestire il suo potere, ma aveva comunque il terrore di provare con un essere umano, non per questo però non poteva fare pratica con un animale. Ma soprattutto, aveva così tanto bisogno dell’affetto di qualcuno e, il rumore simile a delle fusa che la volpe stava emettendo, era la cosa che più gli si avvicinava.
Quella storia andò avanti per diversi mesi, Sakusa si affezionò così tanto all’animale da aspettare impaziente ogni singolo giorno solo l’orario in cui l’avrebbe visto. La magia venne, però, presto distrutta quando Sakusa si rese conto che quella volpe era un essere umano.
I pensieri angoscianti invasero la sua mente e l’unica cosa che riusciva a pensare era che avrebbe potuto ucciderlo.
Si sentì tradito e distutto da quella scoperta e quando i due furono soli Sakusa lo minacciò con la spada “Come hai potuto prendermi in giro in quel modo?”
“Omi, mi dispiace!” aveva risposto Atsumu con gli occhi lucidi “non volevo prenderti in giro! Ho pensato che era solo un buon modo per avvicinarti e poi tu non mi hai mandato via e… non era mai il momento giusto per dirtelo!”
“Non chiamarmi in quel modo! Noi non siamo amici! Non provare più ad avvicinarti a me!”
Quella discussione era avvenuta ormai più di un anno prima e da quel momento i due non si erano più scambiati una parola. Sakusa si rese conto troppo tardi di quello che aveva iniziato a provare per Atsumu, del suo modo di cercarlo con lo sguardo ogni volta che si trovavano a mensa o agli allenamenti, delle sue fantasie che gli facevano chiedere come sarebbe stato accarezzare la sua pelle priva di pelliccia.
Gli farei del male continuava sempre a ripetersi e quello bastava a troncare le proprie discussioni interne e qualsiasi idea stupida gli fosse venuta in mente.

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Capitolo 3
*** La rivolta dei demoni - Parte 2 ***


Parte 2
Sakusa era sicuro che qualcosa la mattina dopo sarebbe andata storta, ma evidentemente qualche dio li stava aiutando perché riuscirono a salire sull’autobus senza essere attaccati lungo il tragitto verso la fermata.
Il mezzo era abbastanza pieno ma trovarono verso il fondo tre posti vicini: erano paralleli e divisi solo dal passaggio al centro, due vicini e liberi mentre l’altro accanto a una ragazza che aveva già occupato il posto con il finestrino.
Sakusa sospirò, pronto a dover sopportare diverse ore di viaggio con una sconosciuta accanto, quando Kita lo precedette e si sedette accanto a lei.
Kiyoomi lo fissò confuso e, nonostante la sua mascherina, la sua faccia dovette essere molto espressiva perché il ragazzo dai capelli bianchi si ritrovò a spiegare –immagino tu non volessi stare accanto a sconosciuti.
Il corvino fu talmente stupito da quella premura nei suoi confronti da non riuscire a rispondere in alcun modo.
Atsumu lo incitò a camminare e poi, superandolo, prese il posto vicino al finestrino. Sakusa lo lasciò fare e in silenzio si sedette al suo fianco.
Aspettarono dieci minuti prima della partenza e anche quella fu svolta senza problemi. Il tragitto era calmo e tranquillo, le persone facevano diverse conversazioni ma a voce bassa per non disturbare gli altri e questo portava a un mormorio quasi rilassante che fece addormentare Atsumu nell’arco di mezzora.
Sakusa se ne accorse perché sentì qualcosa di pesante sulla sua spalla e, quando si voltò, notò con imbarazzo che era solo la testa ossigenata del figlio di Ecate.
Sapeva che avrebbe dovuto svegliarlo o spostarlo, ma era confortante e ci stava bene, inoltre non lo stava toccando direttamente perché c’erano i vestiti a dividerli, quindi si sentiva anche vagamente tranquillo per quanto riguardava il suo potere.
Non si rese conto subito che rimase a fissarlo per un tempo indefinito, il suo sguardo che vagava indisturbato su ogni dettaglio del suo viso, su tutte le somiglianze che aveva con la sua versione da volpe e su tutti quei particolari che lo rendevano unico.
Ad un certo punto sentì un brivido lungo la schiena e subito la sua mano corse alla spada: qualcuno lo stava fissando.
Si voltò lentamente e si rilassò solo quando si rese conto che questo era Kita.
La sua ansia tornò quando registrò appieno che era Kita.
Arrossì sotto la mascherina e si affrettò a mormorare –Dovrei svegliarlo.
Kita, sempre impassibile com’era, arricciò solo leggermente le sopracciglia –Ti da fastidio?- chiese poi.
Sakusa si chiese se quella fosse una domanda a trabochetto, indeciso su cosa rispondere decise di fare una domanda a propria volta –Non da fastidio a te?
Kita era poggiato con il gomito al bracciolo esterno e aveva un portamento elegante e per nulla stanco nonostante stessero viaggiando già da un paio di ore –Dovrebbe? Perché dici così?
-Pensavo che voi due…- lasciò sottintendere quello che pensava e fortunatamente Kita era abbastanza intelligente da capire cosa volesse dire.
Abbozzò il principio di un sorriso e spiegò –Non c’è nulla tra me e Atsumu, se è questo che ti preoccupa.
Sakusa spalancò gli occhi, poi ricordò –Ma ieri notte…
Kita decise a quel punto di spiegare meglio –Vedi… Quando hai sei anni e ti ritrovi a salvare due bambini più piccoli di te che non hanno mai avuto alcun tipo di legame o gentilezza da parte di nessuno, questi si legano a te indissolubilmente. E quando crescete insieme, con loro che vengono da te felici per mostrarti cosa hanno imparato o per lamentarsi dell’altro gemello perché sei il loro confidente… diventano la tua famiglia. Loro sono come… i miei fratellini. E non provi attrazione per i tuoi fratelli.
Sakusa non rispose, troppo concentrato a capire il significato di quelle parole e cosa questo comportava.
Kita domandò –Me l’hai chiesto per un motivo particolare?
La sua domanda sembrava innocente, ma Kiyoomi era convinto che il più grande lo stesse analizzando dalla testa ai piedi.
-N…- la sua risposta fu troncata sul nascere dall’autobus che frenava di botto e, di conseguenza, lui che sbatteva violentemente contro il retro del sedile di fronte.
 
-
 
Atsumu si trovava a mezzaria e sapeva di essere in un sogno, perché i due bambini che aveva di fronte erano la sua versione e quella di Osamu a quattro anni.
Pensava che quei ricordi fossero ormai dimenticati, era passato così tanto tempo ed era troppo piccolo perché rimanessero impressi nella sua mente. Ma quella visione era talmente nitida da farlo commuovere.
I loro vestiti erano sporchi, così come i loro capelli e le loro mani.
Fin dal momento in cui Ecate li aveva partoriti, loro padre aveva detto che non ne voleva avere nulla a che fare e li aveva abbandonati il loro primo giorno di vita.
Una dea non poteva di certo prendersi cura di due semidei, ma poteva aiutarli di tanto in tanto. Sopravvissero grazie a questo, ma soprattutto grazie al fatto che la loro magia si manifestava trasformandoli in delle volpi. Ed era enormemente più facile che un cucciolo di animale sopravvivesse a quella tenera età piuttosto che un essere umano.
Furono allattati da diversi gatti, che erano stati mandati sempre dalla madre, per poi iniziare a cacciare e sopravvivere per conto loro giorno dopo giorno.
Quel giorno in particolare avevano fame, non erano riusciuti a trovare nulla nel bosco da più di un giorno e avevano bisogno di nutrirsi.
Erano nascosti dietro un muretto basso e stavano fissando con la bava alla bocca dei dolci che un signore vendeva a una bancarella di una sagra del paese.
-Tu lo distrai e io prendo il mangiare- stava dicendo Atsumu al gemello.
Questo corrugò la fronte, infastidito, e controbatté –No, facciamo al contrario.
-No!
-Sì!

Quel siparietto continuò per un po', anche se l’Atsumu adulto sapeva bene che infine l’avrebbe avuta vinta Osamu, come sempre.
Fu così che quindi, qualche minuto dopo, Atsumu si avvicinò al venditore e iniziò a straparlare e a fare il buffone per distrarlo. Osamu, di soppiatto, iniziò a rubare il cibo.
L’Atsumu adulto avrebbe voluto urlargli di sbrigarsi, di correre via, perché sapeva bene che non avrebbero infine avuto nulla. Ma ovviamente quello era un ricordo e tutto veniva ripercorso uguale al passato.
Il venditore che si accorgeva di loro, lui che capiva che Atsumu era stato solo un fastidio per distrarlo e lo afferrava prima che potesse scappare via. Atsumu che lottava con tutte le sue forze, ma rimaneva pur sempre un bambino di quattro anni, ad un certo punto si trasformò anche in volpe ma l’umano non batté ciglio, il biondo si chiese cosa gli stesse mostrando la foschia.
L’uomo gli diede un manrovescio per farlo stare buono e Osamu lasciò cadere tutti i dolci che tanto desideravano e corse da loro. I suoi occhi erano puro fuoco mentre urlava –solo io posso picchiare mio fratello!- e mordeva l’uomo così forte da fargli uscire del sangue e allentare la presa su Atsumu. A quel punto poterono solo fuggire via continuando ad essere a stomaco vuoto.
Il ricordo svanì e dopo un attimo di vuoto totale, Atsumu si trovò catapultato in una visione. Quello era il presente perché c’era, davanti a lui, Osamu rannicchiato all’interno di una prigione. Atsumu urlò il suo nome, ma non aveva un corpo quindi non sentì nulla, nonostante questo Osamu alzò la testa come se sentisse che il suo gemello era lì.
Atsumu avrebbe voluto continuare a urlare, ma si costrinse a calmarsi e cercare di capire dove si trovasse Osamu.
La sua prigione era un quadrato con le sbarre di ferro ad ogni lato, poteva stare solo seduto al suo interno. Aveva delle strane manette ai polsi e il luogo era angusto. Illuminato dalle torce, non vi era alcuno spiraglio che mostrasse la luce del sole. Le pareti erano spoglie e di terra. Infine c’erano i demoni, tantissimi demoni che facevano le più svariate cose: dal prepare le armi ad arrostire la carne.
-È stanotte?- stava chiedendo uno di loro.
-No, domani- rispose un altro –non possiamo rischiare di sbagliare, ci libereremo dal potere di Ecate solo se ogni cosa va secondo i piani!
-Abbiamo capito qual è il luogo migliore dove farlo?
-Sì, noi…
Non riuscì a sentire più nulla, perché fu svegliato di botto.
 
Si svegliò nel modo peggiore perché sbatté forte contro qualcosa e poi cadde a terra.
Ci mise qualche secondo di troppo a ricordarsi che era in autobus e che si era addormentato sul sedile, immaginò che l’autista avesse frenato di botto, perché non c’erano altre spiegazioni al suo sbattere con violenza contro il sedile di fronte per poi cadere a terra nel piccolo spazio per i piedi.
-Cazzo!- la sua imprecazione si perse in mezzo alle urla delle altre persone.
Alzò lo sguardo dalla sua posizione scomoda e vide che Sakusa aveva tutti i muscoli tesi e stava guardando qualcosa di fronte a sé.
-Alzati- gli disse il corvino continuando a mantenere lo sguardo fisso su qualsiasi cosa avessero di fronte –ci hanno trovati.
Facile a dirsi, ma Atsumu era completamente incastrato. Sbuffò infastidito e infine decise di trasformarsi in una volpe per saltare nuovamente sul sedile e solo qui tornare umano.
A quel punto seguì lo sguardo del figlio di Ade e si congelò sul posto quando vide che l’autobus si era fermato perché la strada era stata invasa da tori. Probabilmente tutti i mortali vedevano dei semplici e normali tori, quello che però vedeva Atsumu erano i tori della Colchide, con la loro pelle in bronzo che scintillava al sole.
Inghiottì a vuoto e chiese a nessuno in particolare –Se avete un’abilità segreta di resistenza al fuoco, è decisamente il momento di dirlo.
Né Kita né Sakusa gli risposero, com’era ovvio. Quindi Atsumu continuò –Okay, piano B: scappiamo.
Sakusa reagì all’istante e con la propria spada ruppe l’enorme finestrino al lato di Atsumu, la gente iniziò a urlare ancora più forte ma non erano un loro problema inoltre, se sarebbero rimasti lì, li avrebbero messi in pericolo considerando che quei mostri erano arrivati solo per loro.
Si lanciarono tutti e tre fuori dal mezzo e iniziarono a correre: com’era ovvio i tori iniziarono a inseguirli.
Kita prese dei semi da uno dei tanti sacchetti che portava alla cintura e li lanciò dietro di lui, questi toccarono il terreno e si trasformarono subito in una barriera di rampicanti abbastanza spessi.
Ovviamente però non li avrebbe bloccati per sempre perché le piante erano di sicuro la cosa meno adatta a resistere al fuoco.
Atsumu urlò –Se arriviamo a quell’incrocio ho un’idea!
Corsero ancora e, quando il biondo si fermò esattamente al centro delle due strade, prese una freccia e la modificò con la magia in un metallo che potesse perforare il bronzo. Infine la scoccò dalla sua balestra e con precisione ne abbatté uno.
Sakusa commentò –Quindi immagino che alla fine stiamo ingaggiando battaglia.
Posò la propria spada, aprì le braccia e chiuse gli occhi per concentrarsi. Una crepa si aprì violentemente e da questa iniziarono ad uscire diversi scheletri che si mossero per attaccare il loro nemico.
Grande mossa quella di far combattere qualcuno fatto solo di ossa e che non poteva prendere fuoco.
Fu così che la battaglia andò avanti: Atsumu che usava le sue armi a distanza, Sakusa che evocava scheletri e Kita che bloccava la loro avanzata continuando a creare e rigenerare piante.
Era difficile e stancante, non solo perché i tori erano davvero tanti, ma anche perché erano circondati da mortali e dovevano proteggerli oltre che proteggere loro stessi. Questi non sembravano troppo spaventati e non intervennero in alcun modo. Atsumu si chiese per la milionesima volta cosa la foschia gli stesse facendo vedere. Forse uno spettacolo?
Quando anche l’ultimo mostro fu abbattuto, erano tutti stremati e distrutti. Sakusa cadde in ginocchio privo di forza, Atsumu aveva finito le proprie freccie e Kita era piegato sulle proprie ginocchia a riprendere fiato.
-Dobbiamo allontanarci da qui- disse infine il figlio di Demetra.
Così, arrancando, iniziarono a camminare lungo la strada per fare il resto del tragitto a piedi.
In lontananza Atsumu riusciva a vedere la scritta “Hollywood” e quello gli dava la forza per continuare ad andare avanti.
Camminarono relativamente in silenzio dopo aver preso dell’ambrosia per recuperare le energie. Sakusa stava evidentemente riflettendo su qualcosa perché a un certo punto chiese –Perché sei dovuto andare fino all’incrocio prima di combattere?
-I miei poteri aumentano negli incroci. So che sembra una cosa strana, ma Ecate è anche la dea degli incroci, quindi immagino che abbia senso in qualche modo.
-Tua madre è dea di troppe cose.
Atsumu sorrise, felice nel vedere che Kiyoomi stava intavolando una conversazione con lui facendo persino delle battute, rispose –Penso che ai figli di Apollo sia andata peggio.
-Non ne sarei tanto sicuro.
Sakusa indossava ancora la mascherina, ma Atsumu era sicuro che stesse sorridendo anche lui.
Kita interevenne –Stavi pensando a qualcosa in particolare quando hai chiesto degli incroci?
Atsumu saltò sul posto, era talmente preso da Sakusa da essersi dimenticato del terzo ragazzo.
-In realtà sì- rispose il corvino –immagino che anche Osamu sia molto più forte negli incroci.
Atsumu annuì.
-Quindi avrebbe senso che si trovi in una strada infinita, perché una strada del genere sarebbe…
-Priva di incroci!- Atsumu concluse la frase al suo posto nel momento in cui arrivò a quella conclusione a sua volta.
Poi corrugò la fronte e domandò incerto –Ma dove troviamo una strada infinita? Avremmo saputo se esistesse un posto del genere.
Kita riflettè ad alta voce –Se hai bisogno di qualcosa che al momento non esiste, cosa fai?
-Lo crei… ma resta sempre la questione su come hanno fatto a crearlo senza che nessuno se ne accorgesse.
-Forse è in un posto nascosto- riflettè a quel punto Sakusa.
Infine, sia il corvino che Kita si bloccarono di colpo e nello stesso istante si guardarono per dire insieme –è sottoterra!
Ogni tassello era al proprio posto: ecco perché nessuno si era accorto di nulla, ecco perché nella visione di Atsumu non c’era alcuna luce del sole ed ecco perché un figlio di Ade era l’unico a poterlo trovare.
Erano sempre più vicini ad Osamu, l’avrebbe di sicuro salvato.
Sto arrivando ‘Samu, resisti.
 
-
 
Era scesa la notte e i tre ragazzi si erano accampati sul monte Lee a pochi passi dalla “H” dell’enorme scritta “Hollywood”. Avevano mangiato in silenzio intorno a un piccolo fuoco e poi Atsumu si era addormentato.
Kita stava sistemando i semi che gli erano rimasti all’interno dei suoi sacchetti, mentre Sakusa era seduto a gambe incrociate, i palmi contro il terreno cercando di scoprire qualcosa gli potesse dire dove si trovassero i demoni e, di conseguenza, Osamu.
Era però stata una giornata stancante e aveva esaurito quasi tutte le sue energie evocando tutti quegli scheletri per combattere i tori della Colchide. Non era invincibile e il fatto che non riuscisse a sentire nulla ne era una prova.
-Dovresti riposarti- Kita fece eco ai suoi pensieri –riuscirai a trovarlo domani mattina, ne sono sicuro.
Sakusa annuì sapendo che l’altro aveva ragione, poi gli disse –Dovresti riposare anche tu.
Kita gli sorrise –Ho ancora delle cose da sistemare, farò quindi il primo turno di guardia. Tu dormi pure.
Kiyoomi dovette cedere e si stese sul proprio giaciglio accanto a quello di Atsumu. Stava per chiudere gli occhi e farsi trascinare nel mondo dei sogni anche lui, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Il fuoco illuminò l’angolo degli occhi del figlio di Ecate e dal leggero luccichio che procurò, Sakusa capì che stava piangendo. Il suo cuore si strinse e iniziò a chiamarlo per svegliarlo.
-Atsumu- disse con un tono non troppo basso –Atsumu svegliati, è solo un sogno.
Non funzionò, anzi, il biondo sembrò agitarsi ancora di più.
Senza pensarci quindi, Sakusa allungò una mano guantata e iniziò a scuoterlo chiamando nuovamente il suo nome.
Quello lo fece svegliare con un urlo, lo fissò con gli occhi sbarrati e si gettò su di lui per abbracciarlo, piangendo apertamente sulla sua felpa.
Sakusa strabuzzò gli occhi e iniziò a boccheggiare: un essere umano lo stava abbracciando. Atsumu lo stava abbracciando.
Il suo corpo tremava e, quando alzò lo sguardo, vide che Kita lo stava fissando con gli occhi sbarrati. Il più grande poi si attivò quando lesse qualcosa nel suo sguardo, probabilmente una richiesta di aiuto, perché subito si avvicinò loro allungando le mani e dicendo –Atsumu…
Sakusa avrebbe dovuto essergliene grato, giusto? Era quello che voleva… no? Ma prima che Kita riuscisse a staccargli l’altro di dosso, disse repentino –No!- stringendo poi le braccia intorno al corpo dell’altro, rispondendo finalmente a quell’abbraccio.
Kita strabuzzò ancora di più gli occhi e Sakusa non riuscì a descrivere come si sentisse in quel momento, balbettò imbarazzato –Va… Va bene, lascialo fare.
Lo pensava davvero, stava davvero bene con l’idea che Atsumu lo stesse abbracciando. Si cullava sul fatto che indossavano dei vestiti e che non erano a diretto contatto, ma soprattutto, sapeva di volerlo abbracciare perché voleva proteggerlo. E se il suo unico scopo era proteggerlo, non avrebbe potuto fargli del male.
-Lo troverò- gli promise in un sussurro al biondo –lo troverò e lo salveremo.
Atsumu si strinse di più a lui e quello era tutto ciò che contava.

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Capitolo 4
*** La rivolta dei demoni - Parte 3 ***


Parte 3
Il mattino seguente nessuno parlò di quello che era successo la sera prima.
Atsumu avrebbe voluto scusarsi con Sakusa per aver reagito in quel modo, ma quando l’altro ragazzo fece finta che non fosse successo nulla, immaginò che questo volesse solo dimenticare l’accaduto e quindi si comportò nello stesso modo.
Si svegliarono presto, fecero una veloce colazione e poi Sakusa si concentrò per trovare indizi sottoterra.
Ci mise mezz’ora, ma infine aprì gli occhi e disse serio –Ho trovato una scia.
Fu così che li portò a passo spedito lungo il monte fino ad arrivare a una caverna nascosta dalla vegetazione, ma che il figlio di Ade trovò a colpo sicuro.
Scesero al suo interno e da qui iniziarono a camminare lungo vari cunicoli sotterranei, alcuni abbastanza grandi da poterli percorrere a piedi, altri invece li costringevano ad andare avanti in ginocchio.
Passò il tempo, probabilmente anche diverse ore, ma non sapevano dirlo con certezza poiché privati dalla luce del sole. Perché nessuno di loro portava mai un orologio da polso? Atsumu si appuntò mentalmente di farlo alla prossima missione e sbatté contro la schiena di Sakusa quando questo si bloccò in mezzo alla galleria.
-Che succede?- domandò agitato che qualcosa fosse andata storta, con la paura che il figlio di Ade avesse perso le traccie di suo fratello.
Sakusa si voltò verso destra e con la torcia illuminò un buco con un diametro di circa 40 cm, poi mormorò –Sento che da qui arriveremo subito.
-È troppo piccolo- Kita disse l’ovvio, ma qualcuno doveva pur farlo.
-Non possiamo farlo saltare in aria in qualche modo, vero?- propose Atsumu sapendo già la risposta.
-Sì, se vuoi morire sotterrato da metri di terra.
-A meno che…- il biondo sussurrò mentre la sua mente sapeva già cosa avrebbe dovuto fare –Posso andare io se mi trasformo.
Si sfilò lo zaino ma, prima di riuscire a cambiare il suo aspetto, una mano gli bloccò ferrea il braccio nudo.
Atsumu si girò pronto ad affrontare le lamentele di Kita, ma poté solo strabuzzare gli occhi quando si accorse che non era stato il più grande a bloccarlo, ma Sakusa. Il figlio di Ade era senza guanti perché sarebbero stati solo un’interferenza con il suo potere e per la prima volta si trovarono pelle contro pelle.
Quando anche il corvino si rese conto di quello che aveva fatto, lo lasciò andare di scatto. Non per questo però si trattenne dal dire –non puoi andare da solo, è pericoloso.
Qualcosa di caldo si posò nel suo stomaco, era stranamente felice di quella premura, ma sapeva anche che era una cosa che doveva fare.
-Devo andare, sapete che devo farlo. Lo dice la profezia, altrimenti non arriveremo in tempo… ma farò attenzione. Neanche mi vedranno!
-Se non aspetti noi per ingaggiare battaglia- si intromise a quel punto Kita –non ti piaceranno le conseguenze.
Un brivido di terrore scese lungo la schiena del figlio di Ecate. Le punizioni di Kita erano sempre le peggiori, come quando aveva fatto pulire a lui e Osamu tutti i vestiti dell’intera cabina dei figli di Demetra. Non era stato per niente bello, non quando questi lavoravano ogni giorno ai campi.
-Non lo farò- promise –prenderò Osamu e ci nasconderemo!
Kita sospirò –Perché mi riesce difficile crederti?
Atsumu fece un occhiolino a entrambi, poi si trasformò e sparì dalla loro vista.
Il tunnel che stava percorrendo era probabilmente stato scavato da qualche animale, Atsumu pregò di non incontrarlo e iniziò a correre più veloce. In alcuni tratti era talmente stretto che persino lui faceva fatica a passare, inciampò diverse volte in alcune radici e dovette lottare con l’oscurità perenne.
Non seppe dire quanto tempo era passato quando riuscì finalmente a vedere una luce, accelerò il passo e solo quando fu a pochi metri dall’uscita fece con calma per cercare di capire la situazione.
Solo una volta arrivato allo spiraglio da cui vedeva la luce si accorse che era troppo piccolo, gli toccò quindi iniziare a scavare con i suoi artigli, fermandosi ogni qualvolta sentisse dei rumori troppo vicini. Riuscì ad aprire un buco abbastanza grande per il suo corpo trasformato, si guardò un po' intorno con circospezione e scoprì di trovarsi a terra, proprio nell’angolo tra il pavimento e la parete, Atsumu fu felice di questo perché era raro che la gente (o in quel caso dei demoni) guardassero in basso e quindi potessero scoprirlo. Ma era anche una sfortuna perché considerato troppo piccolo per essere definito un “incrocio”.
Il luogo gli fu subito familiare grazie alla sua visione e con lo sguardo andò immediatamente alla ricerca di suo fratello.
Si trovava ancora dentro la gabbia, l’unica differenza era il suo volto più sciupato. Atsumu immaginò che non gli avessero dato da mangiare, che senso aveva quando avrebbero dovuto sacrificarlo quella notte?
Considerando il suo amore per il cibo, Osamu non se la stava passando troppo bene.
Negli anni di vita al campo mezzosangue, i gemelli avevano iniziato ad allenare la loro magia e a capire fino a che punto potevano spingersi. Erano diventati sempre più potenti e Atsumu sapeva che, se si fosse impegnato, sarebbe riuscito a raggiungere il gemello senza essere visto da altri.
Non diventava invisibile, quello sarebbe stato troppo difficile. Ma riusciva quasi a schermare la sua presenza, a nascondersi e mimetizzarsi con il terreno per passare inosservato.
Ovviamente non avrebbe funzionato se si fosse messo a ballare nel bel mezzo della stanza, ma per avvicinarsi di soppiatto a suo fratello sì.
Osamu si accorse di lui quando era a metà strada, strabuzzò gli occhi sorpreso e Atsumu poteva giurare di aver visto un lampo di tenerezza e gratitudine nel suo sguardo.
Riuscì a raggiungerlo indisturbato e si mise subito nel lato della gabbia con la serratura, si accertò che dietro di lui non ci fosse nessuno che potesse vederlo e tornò umano.
Osamu gli diede le spalle per nascondere la figura del gemello con il suo corpo e per controllare che nessuno gli si avvicinasse, poi mormorò –Sei in ritardo.
Atsumu sbuffò mentre iniziava a muovere la serratura interna con la magia, non era tuttavia un lavoro semplice –Abbiamo avuto dei problemi lungo il percorso.
-Chi altro c’è? Rin?- quell’ultima domanda la chiese con un tono di voce strano, quasi speranzoso, un tono di voce che sfortunatamente Atsumu non aveva il tempo di decifrare in quel momento.
-Cosa avrebbe dovuto fare Sunarin? Distrarre i demoni con i suoi pettegolezzi?
Osamu si voltò solo per lanciargli uno sguardo assassino –Guarda che è molto più forte di te.
-Certo, certo.
Osamu decise di far cadere l’argomento, anche se il biondo sapeva che l’avrebbe riaperto al primo momento disponibile.
-Allora- mormorò dopo qualche secondo –qual è il piano?
Atsumu non rispose.
-‘Tsumu… hai un piano, vero?
-Il mio piano era raggiungerti, poi improvvisare.
-Questo non è un piano. Almeno hai portato del cibo?
-No. Sono sicuro che Kita e Omi avranno ideato un piano, dobbiamo solo aspettare che ci raggiungano.
-Omi?
-Sakusa- si corresse il biondo, poi specificò meglio –il figlio di Ade.
-Sparisco per due giorni e tu fai nuove amicizie? Com’è possibile?
-Vuoi stare zitto per un secondo e apprezzare solo il fatto che sia qui per te?
Osamu, forse per la prima volta nella sua vita, rimase davvero in silenzio alla richiesta del fratello. Quando Atsumu alzò lo sguardo sorpreso, vide il suo profilo e il piccolo accenno di sorriso che aveva in volto.
Un groppo gli salì in gola e si rese conto di quanto gli era mancato. Allungò una mano dentro la gabbia e gli strinse il braccio.
-Dai muoviti- la voce di Osamu era rotta, anche se tutti e due avrebbero ignorato quanto era stato commovente quel breve momento.
-Sono particolari le manette che hai?- domandò ad un certo punto Atsumu, una goccia di sudore gli stava scendendo lungo la fronte per la fatica di mantenere il suo camuffamento e far scattare la serratura.
-Mi impediscono di usare la magia, non so come se li siano riusciti a procurare, ma sono abbastanza intelligenti.
Atsumu sbuffò –Spero non troppo, sarà difficile prendere tempo altrimenti.
-Hanno trovato un oggetto sacro di mamma- continuò a spiegare il gemello –hanno scoperto che se questo viene bagnato del sangue di Ecate loro possono liberarsi dal suo comando. Non avevano modo di prendere ovviamnete il sangue di una dea, quindi hanno pensato che con uno di noi andasse bene. Però dicono che avrebbe funzionato solo durante la luna piena, quindi stavano aspettando. Da come si stanno preparando, immagino che non abbiamo molto tempo.
Atsumu si morse il labbro, si sforzò qualche altro secondo e poi riuscì finalmente a far scattare la serratura.
-Andiamo- l’aprì di scatto e afferrando suo fratello per un braccio iniziò a correre senza una direzione.
Ovviamente si accorsero di loro, era difficile non farlo quando la gabbia che dovevano sorvegliare era vuota, diedero l’allarme e alcuni dei demoni iniziarono a inseguirli.
Atsumu avrebbe potuto combatterli se solo avesse avuto le sue armi con sé, dovette quindi puntare sulla strategia e girandosi verso di loro li spiazzò guardandone uno direttamente negli occhi scuri e urlando –Mamma, aiutaci!
Tutti gli altri si voltarono verso questo povero malcapitato che era giustamente confuso, Atsumu aumentò la dose aggiungendo –Inceneriscili tutti! Avevi promesso che l’avresti fatto dopo che mi avresti fatto entrare!
Uno dei demoni urlò –Ecate ha preso possesso del corpo di uno di noi!
Poi tutti si gettarono sul povero demone che Atsumu aveva preso di mira. Il biondo non si sentì troppo in colpa.
Approfittando della confusione, i gemelli presero una direzione diversa e continuarono a correre. Atsumu vide uno spiraglio di roccia abbastanza alto per coprirli e si fiondò dietro.
-‘Tsumu- chiamò Osamu dopo essersi chinato accanto a lui –c’è un coltello lì a terra, se riesci a prenderlo potresti usarlo per provare a scassinare le mie manette.
Atsumu quindi si trasformò in volpe e corse fuori dal nascondiglio per afferrarlo con la bocca, tornato indietro iniziò il suo lavoro.
-Per Zeus- imprecò dopo qualche minuto –nei film lo fanno sembrare sempre così facile.
-Un figlio di Ermes l’avrebbe già fatto.
-Non so se hai notato, ma non siamo figli di Ermes.
-Neanche Rin, ma di sicuro l’avrebbe fatto prima di te.
Atsumu sapeva che sarebbe stato perseguitato per sempre da quella cosa. Era forse idiota? Non avrebbe dovuto mai insultare Sunarin davanti al suo vendicativo fratello.
La loro conversazione fu troncata quando si accorsere che il rumore della battaglia si fece più forte: non si stavano solo uccidendo tra di loro, qualcun altro era arrivato.
Atsumu si affrettò nel suo lavoro finché non venne afferrato con violenza da dietro e alzato a diversi centimetri da terra.
-Ecco dove vi nascondevate stupidi scarafaggi- urlò uno dei demoni.
Atsumu sentì Osamu urlare il suo nome, ma la sua unica preoccupazione in quel momento era respirare, cosa che gli stava venendo davvero difficile.
Si divincolò e iniziò a boccheggiare, in lontananza sentì la voce di Sakusa dire freddo –Non toccarlo!
Poi la presa si allentò fino a sparire del tutto mentre crollava a terra, del demone che l’aveva afferrato rimanevano solo le sue ossa. Non era difficile capire chi era stato a ridurlo in quel modo con un semplice tocco.
Atsumu tossì e prese grandi boccate d’aria, poi alzò lo sguardo lacrimoso sul corvino e gli sorrise –Grazie Omi.
Sakusa arrossì a quel soprannome, ma non disse nulla.
I loro sguardi rimasero incatenati fino a quando Osamu non si schiarì la gola e alzò i suoi polsi –Potete continuare dopo? Io aspetto ancora che qualcuno mi tolga questi.
Sakusa prese da terra il coltello che fino a poco prima stava usando Atsumu e lo mise a colpo sicuro nella serratura, due secondi dopo le manette si aprirono e caddero a terra.
Osamu lanciò uno sguardo ad Atsumu che voleva solo dire “Davvero tu non ci riuscivi!?”
Atsumu mise il broncio –Era stato allentato da me!
-Certo- risposero in coro gli altri due, poi si trovarono nuovamente nel bel mezzo della battaglia e non ci fu più bisogno di parlare.
Non era una guerra che potevano vincere, non contro tutti quei demoni, quindi attuarono l’unico piano disponibile: la ritirata.
Dovettero comunque combattere molto mentre li tenevano lontani e tornavano arrancando in superfice. Le varie battaglie, inoltre, stavano anche facendo crollare diverse parti e, per quanto da un lato potesse essere una cosa positiva, non volevano di certo morire in quel modo.
-Ci siamo!- annunciò a un certo punto Sakusa –gli ultimi metri e saremo in superficie.
Era notte, quindi non c’era alcuna luce a indicargli dove fosse il foro dal quale avevano iniziato la loro discesa, ma fortunatamente Sakusa serviva anche a questo.
Kita lanciò gli ultimi semi rimasti dietro di lui, dell’edera rampicante iniziò a fare una parete e a impedire che i demoni li seguissero, ovviamente questi non si davano per vinti e iniziarono a strappare le piante. Kita fu quindi il primo a tornare in superficie e da lì usare tutto il suo potere per tenere a bada i mostri.
Sakusa fu il secondo a salire e quando Atsumu si preparò a saltare, la terra sotto ai suoi piedi crollò e cadde per circa un metro.
A quel punto l’uscita era troppo alta perché facesse da solo, ma se uno degli altri due avesse allungato la mano, avrebbero potuto farcela.
Kita era troppo impegnato con il mantenere sempre vive le sue piante per farlo. Sakusa e Atsumu se ne resero conto quasi nello stesso momento e il corvino strabuzzò gli occhi agitato quando capì cosa avrebbe dovuto farlo.
Atsumu fissò serio suo fratello e gli disse –Trasformati.
Osamu obbedì e, una volta volpe, Atsumu lo prese in braccio e questo si sistemò nel retro del suo collo per lasciargli le braccia libere.
A quel punto il biondo alzò lo sguardo verso Kiyoomi e gli porse la mano, un sorriso dolce in volto mentre gli diceva –Mi fido di te, Omi. Puoi toccarmi, non mi farai del male.
Atsumu non avrebbe mai saputo se erano state le sue parole o la situazione disperata, ma Sakusa allungò la sue mani prive di guanti e fece lasciare ad Atsumu da quel buco.
Con un ultimo sforzo, infine, il figlio di Ade fece crollare tutta la terra seppellendo i demoni. Sapevano tutti che questo non sarebbe servito a ucciderli, ma potevano prendere tempo.
Tutti e quattro, completamente stremati, si sdraiarono sull’erba per riprendere fiato, non avevano neanche la forza di parlare, solo di respirare affannosamente.
Atsumu sentiva la mano, dove aveva avuto il contatto con Kiyoomi, ancora bruciare. Sorrise e si voltò a cercare il suo sguardo facendogli capire “Visto? Sono qui e sono vivo, sei stato così bravo.”
Sakusa arrossì a quello sguardo e girò la testa dall’altro lato.
Atsumu rise e fece lo stesso. Fissando il cielo seguì una nuvola che veniva spostata dal vento mostrando la brilantezza della luna piena, una luce così potente dopo aver camminato così tanto al buio nel sottosuolo che per un attimo fu accecato.
La luce però divenne sempre più forte e Atsumu ingoiò saliva a vuoto mentre chiamava con urgenza il suo gemello che era tornato umano.
-‘Samu… la vedi anche tu?
-Sì.
La luce della luna si trasformò nel corpo di una donna che si faceva sempre più vicina, la riconobbero all’istante ed entrambi allungarono una mano verso di lei, ma era solo una figura di luce e non riuscirono a toccare nulla.
-I miei bambini- disse Ecate con orgoglio –siete stati così bravi. Adesso ci penso io, voi potete riposare.
Sparì e Atsumu non si preoccupò più dei demoni nel sottosuolo, perché la loro mamma era arrivata per riportare l’ordine.
-È finita- si permise di sussurrare a quel punto.
-Dobbiamo ancora tornare al campo- gli fece presente Kita.
Il biondo rise –Prima però si dorme.
E nessuno, per una volta, ebbe nulla da ridire.
Quella notte dormì rannicchiato contro il fianco di Osamu, solo quello bastava per fargli dire che sarebbe andato tutto bene.
 
-
 
La sera successiva, al campo stavano festeggiando come ogni volta che i semidei tornavano vittoriosi da una missione. Erano tutti intorno al falò e Atsumu aveva preso parola raccontando in modo eroico le sue gesta dei giorni precedenti.
Più Sakusa lo ascoltava e più non poteva fare a meno di alzare gli occhi al cielo e di sorridere al tempo stesso.
-Ricordi anche tu una versione diversa, o sono solo io?- gli domandò Kita raggiungendolo e sedendosi al suo fianco, mantendendo comunque una certa distanza di rispetto nei suoi confronti.
Kiyoomi sbuffò –Non sei solo tu, ha proprio una faccia di bronzo mentre inventa cazzate.
Kita sorrise –Ti abituerai, sai quante cose inventa su Osamu?
-Immagino che non cambieranno mai.
-È proprio questo il bello.
Tornarono ad ascoltare ancora il racconto di Atsumu, fino a quando questo non arrivò alla battaglia finale e Osamu si intromise affermando ad alta voce che era sicuro non fosse andato in quel modo.
-Tu stai zitto!- lo rimproverò Atsumu –Non hai il diritto di parlare visto che non mi hai detto che stavi con Sunarin!
Sakusa tornò al ricordo di quel pomeriggio quando erano rientrati. Il primo a correre verso di loro era stato Suna Rintaro, aveva gli occhi lucidi mentre urlava il nome di Osamu, gli si gettava tra le braccia e lo baciava come se non ci fosse un domani. Atsumu era rimasto talmente scioccato da quella scena che Kita dovette intervenire e scuoterlo per farlo riprendere a camminare.
-Tutto il campo lo sapeva!- stava intanto rispondendo a tono Osamu –se sei troppo stupido per accorgertene non è colpa mia!
Fu così che iniziarono nuovamente a litigare e non erano passate neanche ventiquattrore da quando lo avevano salvato.
Kiyoomi fu distratto da quel siparietto da Kita che diceva tranquillo –Quindi, ti piace Atsumu.
Il corvino sussultò e la sua faccia divenne rossa, come poteva dire una cosa talmente grande in modo così pacato? E, soprattutto, cosa avrebbe dovuto rispondere?
-So che è così- rispose per lui il figlio di Demetra –è stato terribilmente evidente in questi giorni. Volevo solo dirti che Atsumu ne ha passate davvero tante nella sua vita, ha sofferto tanto e anche se cerca sempre di nasconderlo con l’ironia, è molto sensibile.
-Perché mi dici questo? Mi stai chiedendo di farmi da parte, in modo da non farlo soffrire a mia volta?
Sakusa sapeva che aveva senso come richiesta, era la più logica ed era quello che avrebbe fatto.
-Al contrario- rispose però Kita –ti sto chiedendo di dierglielo. Ne ha passate tante, merita di sapere che la sua cotta è ricambiata.
Cosa? In che senso? Che vuol dire che la sua cotta è ricambiata? Non posso piacere ad Atsumu, giusto? È impossibile!
Il suo cervello andò in cortocircuito e sperò di non avere un’espressione da idiota in volto.
Come se non bastasse, Atsumu decise che quello era il momento perfetto per raggiungerli e palesare la sua presenza dicendo –Di che parlate?
Sakusa sussultò nuovamente mentre Kita spostò il suo sguardo stoico sul nuovo arrivato –Nulla di che, Sakusa deve dirti qualcosa.
A quel punto si alzò e li lasciò da soli.
-Oh- gli occhi di Atsumu si illuminarono e si sedette nel posto lasciato libero dal ragazzo più grande –che devi dirmi?
Sakusa voleva che il terreno sotto i suoi piedi si aprisse per sprofondarvi dentro, dopo qualche istante da quel pensiero si rese conto che poteva davvero farlo, ma non sarebbe stata decisamente bella un’uscita di scena del genere, non di sicuro degna di un figlio di Ade potente come lui, quindi decise infine che avrebbe detto la verità e accettato le conseguenze.
-Mi piaci.
Atsumu strabuzzò gli occhi e le sue guance si fecero rosee, Kiyoomi pensò che fosse talmente bello da dover essere illegale.
Infine sorrise timido e abbassando lo sguardo rispose –Anche tu mi piaci. Sono felice che siamo amici.
Il corvino sbatté le palpebre, confuso, e si rese conto di essere stato frainteso, quindi sospirò e annunciò –Mi piaci come più di un amico.
Vide, secondo dopo secondo, il cambiamento sul volto del biondo. La sua faccia che si faceva sempre più rossa, i suoi occhi che diventavano lucidi e le sue labbra che tremavano mentre chiedeva –davvero?
-Davvero- rispose sincero e quella fu la parola che fece sgorgare le lacrime dai suoi occhi.
Sakusa si preoccupò e Atsumu si affrettò a dire –Scusami, sono solo felice.
Asciugò le uniche due lacrime che erano scese lungo la guancia e poi, sempre con un sorriso enorme in volto, annunciò –Quindi posso prenderti la mano?
Sakusa si irrigidì e il suo respiro accellerò, ma non ritirò la sua mano priva di guanto da dove era poggiata sulla propria gamba e Atsumu la prese come una risposta affermativa.
Gli si avvicinò piano e con circospezione, come si fa con gli animali selvatici per non spaventarli e, dopo un tempo che parve infinito, sfiorò le dita di Sakusa con le proprie.
Passaono i minuti dove, con tutta la pazienza che possedeva, Atsumu passò dal sfiorargli le dita al resto della mano, finendo per stringerlo in una presa leggera.
Kiyoomi stava tremando e ne era consapevole, ma non aveva provato neanche una volta a tirarsi indietro e quello doveva pur essere un enorme progresso, giusto?
-Non mi farai del male- sussurrò Atsumu accarezzandogli il dorso della mano con il pollice.
-Non puoi esserne sicuro.
-Sì invece- rispose questo senza alcun tipo di tentennamento –ne sono sicuro come sono sicuro che non dimenticherò di respirare in piena notte. Ho fiducia in te, so che non mi farai del male. L’ho saputo dal primo momento che mi hai preso tra le braccia nella versione da volpe.
Sakusa arrossì a quel ricordo e il biondo approfittò di quel momento di distrazione per spingersi in avanti e beccargli la bocca con la propria in un bacio talmente veloce da non potersi definire neanche tale.
Era comunque molto di più di quello che Kiyoomi avesse mai avuto nei suoi sedici anni, quindi si tirò indietro di scatto con gli occhi spalancati. Le loro mani erano ancora unite.
Atsumu rise nel suo modo adorabile, poi disse –dovremmo lavorare molto su questo, spero che non ti dispiaccia.

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Vi è piaciuta questa prima storia di tre parti? Io mi sono tanto divertita a idearla e scriverla quindi spero di sì!
Grazie per aver letto fin qui e non perdete l'aggiornamento della prossima settimana con la Iwaoi!
A presto e grazie!
Deh <3

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Capitolo 5
*** Come i nostri genitori ***


Storie intorno al fuoco
Come i nostri genitori
 
Era già il quinto viaggio di Oikawa verso il camerino con più vestiti in braccio di quelli che la cabina poteva effettivamente contenere. Ma al ragazzo non importava, doveva trovare l’abbinamento perfetto e che avrebbe lasciato a bocca aperta Iwaizumi per tutta la serata.
Oikawa non aveva alcuna intenzione di lasciare il centro commerciale fino a quando non avrebbe acquistato un completo unico nel suo genere.
Oikawa e Iwaizumi si erano conosciuti la loro prima estate al campo mezzosangue. Si trovarono insieme in un gioco di squadra e il tutto iniziò con Iwaizumi che lo insultava non troppo velatamente per la sua inutilità all’interno del gruppo. Tooru, tuttavia, gli fece capire ben presto quanto il ragazzo si stesse sbagliando utilizzando il suo potere.
Essendo figlio di Afrodite, Oikawa aveva il potere del carisma, ovvero riusciva a far lavorare e combattere meglio chiunque facesse squadra con lui o, semplicemente, si fidasse delle sue capacità. Tooru faceva in modo che il lavoro di squadra non fallisse mai: se c’erano due nemici da battere, i due ragazzi scelti nel compito non avevano bisogno di parlarsi per decidere chi prendeva chi, i loro corpi li indirizzavano da soli nelle due direzioni differenti.
Certo, era un potere davvero terribile quando si trovava a combattere da solo contro dei nemici, ma era anche per questo che Oikawa cercava di fare amicizia un po' con chiunque e di non restare mai troppo da solo.
Tornando con il pensiero al loro primo incontro, Iwaizumi l’aveva preso in giro per la sua inutilità, ma si era dovuto rimangiare tutto con grande rabbia quando avevano vinto solo grazie a lui. Più che altro aveva semplicemente ruggito le sue scuse prima di andare via. Quella scena aveva fatto ridere Oikawa e da quel momento, ogni volta che si trovava nelle vicinanze dell’altro, non poteva fare a meno di stuzzicarlo con qualche battuta o tocco molesto.
Senza rendersene conto divennero amici e, più crescevano, più i loro battibecchi divennero un flirt che era ormai evidente a chiunque.
Nell’inverno dei loro sedici anni, quando entrambi non si trovavano al campo, Iwaizumi lo contattò via lettera (Oikawa sapeva bene che non poteva farlo attraverso sms, ma urlò comunque eccitato su quanto fosse stato romantico) e gli propose un appuntamento.
Ed ecco perché Oikawa si trovava da ben cinque ore dentro il negozio più costoso e chic alla ricerca del completo perfetto per la sera successiva.
Si trovava davanti l’enorme specchio della sala camerini, indeciso su due camicie, quando sentì una voce femminile alle sue spalle.
-Quella verde, tesoro.
Oikawa si voltò di scatto, non troppo sorpreso tuttavia di trovare sua madre Afrodite seduta comodamente su una delle poltrone, con un calice di champagne in mano.
-Questa?- domandò Tooru alzando la mano destra, quella che teneva una camicia di un verde oliva.
Sua madre annuì compiaciuta –Stai uscendo con quel figlio di Ares, vero?
Tooru annuì mentre tornava a voltarsi verso lo specchio, poggiandosi la camicia sul corpo per capire bene il contrasto del colore dell’indumento con quello della sua pelle.
-Sono così fiera di te! Hai proprio buon gusto, quel ragazzo è tutto suo padre! Con quelle braccia così muscolose e quegli occhi che ti mettono a nudo semplicemente…
-Mamma!
Afrodite rise –capirai domani come mi sento ogni volta e, mi raccomando, metti la camicia verde!
 
Quando rientrarono nell’accampamento che avevano creato con le tende, erano sporchi e sudati ma soddisfatti della giornata appena trascorsa.
Il sole stava tramontando e avrebbero dovuto iniziare a preparare la cena per l’ultima notte che avrebbero passato in quel luogo, ma i piani di Iwaizumi erano altri.
Si diresse alla sua tenda e iniziò a preparare le sue cose.
-Che stai facendo?- domandò la voce potente di suo padre quando si accorse dei suoi movimenti.
Iwaizumi non sussultò né si preoccupò d’inventare una bugia –Torno a casa oggi, domani ho un impegno al quale non posso mancare.
Di tanto in tanto, quando sull’Olimpo non c’era nulla d’interessante da fare, Ares scendeva sulla terra e organizzava battute di caccia o cose simili con i suoi figli. Queste potevano durare due giorni come potevano durare un mese. Quella in particolare era durata una settimana e Hajime non ci vedeva nulla di male se tornava a casa un giorno prima.
Uno dei suoi fratelli, Yaku, rise e commentò –Va via perché ha un appuntamento, che cosa patetica!
Iwaizumi rispose a tono –non essere geloso Yakkun, sono sicuro che prima o poi Lev si accorgerà di te.
Ares intervenne prima che la discussione si scaldasse e domandò –Chi è così importante da farti rinunciare a una battuta di caccia con tuo padre!?
Hajime avrebbe voluto rispondere che erano a caccia da una settimana e che si stava perdendo solo una decina di ore, ma decise che non era saggio discutere con un dio (anche se questo dio era tuo padre) e si limitò a dire –Oikawa Tooru.
-Il figlio di Afrodite- specificò Yaku, volendolo aiutare nonostante il battibecco di prima.
Ares cambiò espressione e, mentre si sedeva su un tronco abbattuto, iniziò ad annuire comprensivo –quel ragazzo è tutto sua madre, non è vero? Anche per me è sempre stato impossibile dirle di no, lei ha quel fascino! Come potevo non andarci a letto? Ti conviene non farlo aspettare, la sua ira è la peggiore.
Un brivido di orrore gli scese lungo la schiena nell’immaginare suo padre e Afrodite che facevano l’amore. Ovviamente era una cosa che sapeva già considerando tutti i miti che ne parlavano, ma sentirlo dire dalla sua bocca era tutt’altra storia.
-Non sto uscendo con Afrodite, sto uscendo con suo figlio.
Ares rise fragorosamente –e pensi che ci sia differenza?
 
6 mesi dopo…
 
-Io non ce la posso fare!- Oikawa urlò esasperato mentre raggiungeva i suoi due amici, Makki e Mattsun, seduti sugli scalini della cabina di Ermes a parlottare di qualcosa.
-Cosa è successo adesso di così drammatico?- domandò Hanamaki con finta voce preoccupata e il sorrisetto degno dei figli di Ermes.
-Sì, ti prego, raccontaci tutto- Matsukawa, figlio di Dionisio, rincarò la dose.
Oikawa sapeva bene che i due lo stavano solo prendendo in giro, ma sapeva anche che erano i suoi migliori amici e gli unici con i quali poteva parlare di quell’argomento. Quindi li ignorò e si sedette in mezzo ai due (per quanto ci fosse davvero poco spazio) tornando a lementarsi.
-Iwa-chan è così sexy! Mi uccide ogni volta che si toglie la maglia e inizia ad allenarsi! Dovrebbe essere illegale! Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?
Il figlio di Ermes alzò un sopracciglio –Per “tutto questo” cosa intendi?
-Lo sai bene- rispose Tooru con un nuovo lamento –essere costretto a guardarlo ma non poterlo toccare!
-Nessuno vi impedisce di farlo, se siete troppo stupidi per mettervi insieme non è colpa nostra.
-Mattsun!- il tono di Oikawa, se possibile, si fece ancora più lamentoso –ve l’ho detto perché è stato impossibile metterci insieme!
Makki sbuffò vagamente divertito –Sì, ed è la motivazione più stupida che io abbia mai sentito!
Oikawa e Iwaizumi erano molto presi l’uno dall’altro ed erano davvero convinti che si sarebbero fidanzati durante il loro primo e unico appuntamento avvenuto l’inverno precedente.
L’uscita di per sé era stata eccezionale e neanche una volta erano stati attaccati da dei mostri, era quindi una vittoria su tutta la linea. Il problema era nato a fine serata: quando i due stavano per baciarsi e, poco prima che le loro labbra si toccassero, Oikawa si tirò indietro mormorando “non ce la faccio, adesso penserò solo ad Ares”.
Iwaizumi aveva sospirato di sollievo commentando a sua volta “grazie agli dei, credevo di essere solo io il problema che vedevo in te tua madre!”.
E fu così che, per colpa delle conversazioni che i due avevano avuto il giorno precedente con i loro genitori divini, ogni possibilità di avere una relazione era andata in fumo.
-Sai cosa?- Makki lo riportò alla realtà –Dovresti staccare la spina, perché non parti per una missione qualche giorno?
Oikawa sbuffò –Non ho una missione e non me ne posso inventare una, non funziona così.
-Mhmm- i due ragazzi si fissarono e sembrarono arrivare alla stessa conclusione nello stesso momento.
-C’è quella di Ushijima- disse Mattsun.
Il figlio di Ermes continuò –Sì, ha detto che parte oggi pomeriggio.
Tooru lo fissò sospettoso, poi chiese –Che tipo di missione?
-Una richiesta da sua madre. Sai quanto Nike si diverte a mandare i propri figli a vincere gare per lei. Non sarà nulla di troppo complesso e potresti riprendere aria per un po'.
Oikawa mise il broncio –Non voglio partire con Ushijima.
-Allora continua a morire dietro i pettorali scolpiti di un certo figlio di Ares.
-E va bene! Ci vado!
Mentre si allontanava per prepararsi e annunciare ai diretti interessati della sua partenza, non vide i suoi due amici che si scambiarono uno sguardo consapevole e quasi crudele.
 
Oikawa aveva ingoiato tutto il suo orgoglio e aveva deciso volontariamente di partire insieme a Ushijima Wakatoshi. Era masochista? Forse. Ma continuava a dirsi che era tutto per uno scopo più grande: stare lontano da Iwaizumi e rimettere a posto i suoi pensieri che avevano iniziato a prendere una brutta piega.
Oikawa era davvero convinto di quel piano… allora perché Hajime stava partendo con loro? Ma soprattutto, perché il ragazzo lo stava fissando con sguardo incazzato come se fosse stato Oikawa a rovinare il suo piano e non viceversa?
 
I tre ragazzi avevano fatto l'intero viaggio in taxi nel più assoluto dei silenzi. Per quanto poteva essere normale per persone come Iwaizumi o Ushijima, di sicuro non lo era per qualcuno come Tooru. Il figlio di Afrodite, tuttavia, non aveva aperto bocca solo per evitare che tutte le bestemmie che gli vorticavano nel cervello riuscissero a superare le sue labbra.
Scesero dal veicolo proprio di fronte uno degli ingressi del Central Park e iniziarono ad avviarsi al suo interno, con Ushijima in testa che indirizzava gli altri due.
Oikawa e Iwaizumi erano quasi due metri più indietro e fu solo a quel punto che i ragazzi iniziarono a discutere infuriati.
-Si può sapere che ci fai tu qui?- iniziò il discorso Hajime.
-Potrei chiederti la stessa cosa!
-Non provare a girarmi la domanda in quel modo! Tutti sanno quanto odi Ushiwaka, a che gioco stai giocando?
-Anche se lo odio non vuol dire che voglia vederlo morto! Sono qui perché il mio potere è estremamente utile per questa missione! Tu invece che diavolo vuoi!?
-Ma se sono io la persona più adatta a proteggerlo! Scommetto che neanche sai di che missione si tratta!
Oikawa gonfió le guance e strinse i pugni -Certo che lo so! E tu invece lo sai?
-Ovvio che sì!
La verità era che nessuno dei due ragazzi sapeva nulla di quello che Ushijima Wakatoshi era andato a fare nel bel mezzo di New York. La cosa, tuttavia, fu ben evidente a entrambi quando si bloccarono nel vedere cosa era stato allestito in una parte di prato del parco: c'erano tantissimi tavoli sparsi con una quantità infinita di hot dog sopra, palloncini, bevande, musica e molta gente che urlava e parlava.
Oikawa e Iwaizumi si bloccarono di colpo e, smettendo di fingere di conoscere la natura della loro missione, chiesero quasi all'unisono -è una gara di abbuffata?
Ushijima si voltó verso i due, non sembrava minimamente toccato dal loro tono incredulo e stranito -Sì.
-Perché diavolo la tua missione è partecipare a una gara di abbuffata di hot dog!?- la voce di Tooru era al limite dello stridulo.
-Non è una qualsiasi!- Ushijima sembrava confuso che gli altri due non capissero l'importanza della gara come lui -È quella che fanno al Central Park ed è la più importante! Mamma ci ha chiesto di partecipare e vincere in suo onore, così io e Bokuto ci siamo scontrati al campo e ho vinto io perché lui stava soffocando, quindi eccomi qui.
I due ragazzi rimasero in silenzio cercando di digerire tutte quelle informazioni e, soprattutto, l'idea più grande di dover far vincere Ushijima a un'abbuffata di hot dog.
Il silenzio si protrasse fino a quando non fu sempre il figlio di Nike a chiedere -Siete venuti qui senza saperlo? Guardate che non è una gita.
Quello fece riprendere gli altri due semidei. Iwaizumi alzò le maniche corte della sua maglia, arrotolandole sulle spalle, e sorridendo come prima di una battaglia annunciò -Vediamo di distruggerli tutti.
Oikawa non voleva essere da meno e, battendo le mani, disse a sua volta -Spero tu sia pronto a darmi piena fiducia così che possa rafforzare il tuo corpo e la tua mente, al diavolo tutti quegli omoni il doppio di te che sperano di vincere.
 
Prepararsi e, in seguito, partecipare alla gara non fu per niente facile.
Ushijima era convinto sempre di più, minuto dopo minuto, che se la sarebbe cavato molto meglio da solo. Non gli avevano permesso di portare Tendo perché “avrebbe potuto creare problemi tra i partecipanti con i suoi poteri da figlio di Eris”, ma nessuno gli aveva detto che i continui litigi di Iwaizumi e Oikawa sarebbero stati ancora peggio.
I due avevano iniziato una specie di gara silenziosa su chi fosse il più utile e questo, immancabilmente, aveva portato solo a più problemi che soluzioni.
Fortunatamente, quando la gara iniziò, i due sembravano aver trovato un equilibrio e Ushijima poté preoccuparsi solo della sua missione.
I due avevano smesso di litigare solo perché avevano deciso che avrebbero lavorato meglio da lontani, fu così che Tooru si trovò un posto  a sedere a terra sotto un albero. Era abbastanza lontano dalla gara da non avere la folla che lo calpestava, ma abbastanza vicino per permettere al suo potere di funzionare. Il figlio di Afrodite si era seduto a gambe incrociate, aveva chiuso gli occhi e aveva iniziato a far fluire il suo potere per rafforzare mente e corpo del figlio di Nike.
Iwaizumi invece era rimasto al suo fianco, lui aveva il compito di spronarlo, di controllare il tempo e gli avversari, capendo quando fargli prendere una pausa o dell’acqua. Non era stato preparato per quel compito, ma aveva spronato e urlato contro così tanti ragazzi al campo durante gli addestramenti che gli venne naturale.
Nonostante tutti quei preparativi, Ushijima riuscì ad arrivare solo secondo e, per quanto fosse comunque una vittoria, i due accompagnatori sapevano bene che un figlio di Nike non si sarebbe mai accontentato del secondo posto.
Fortunatamente però, Ushijima non era Bokuto, quindi nonostante avesse odiato quella medaglia d’argento, l’accetto e la prese abbastanza con filosofia, affermando che avrebbe fatto di meglio l’anno successivo.
Era pomeriggio inoltrato quando i tre percorsero la strada al contrario per tornare al campo. Fu mentre camminavano tra gli alberi che Tooru commentò –Non mi aspettavo questa tua reazione, non dovresti essere più incazzato? Una volta ho incontrato Nike e lei…
Non riuscì a finire la frase che Wakatoshi lo interruppe affermando –ma io non sono mia madre.
Oikawa e Iwaizumi si bloccarono di scatto e spalancarono gli occhi. Era stata una reazione involontaria ma necessaria.
Ushijima si fermò a sua volta e si voltò a guardarli, non capendo quale fosse il problema continuò a dire –non lo pensate anche voi? Voglio dire, tutti noi abbiamo tratti distintivi dei nostri genitori, ma non siamo loro.
Tooru iniziò a ridere istericamente. Perché gli stavano facendo un discorso del genere dopo tutto quel tempo? Era talmente semplice che gli sembrava assurdo.
-Ho detto qualcosa di stupido?- domandò il figlio di Nike, sempre più confuso da quella reazione.
-No- rispose Hajime –siamo solo noi quelli stupidi.
 
Quella sera, Hajime lasciò il falò in anticipo per cercare una persona in particolare.
Allo stesso tempo Oikawa stava solo aspettando che il figlio di Ares fosse solo per potergli fare un assalto.
Non fu una grande idea poiché, se già tutti i semidei avevano sempre i riflessi pronti, un figlio di Ares poteva essere molto peggio. Quindi, quando Tooru cercò di prenderlo da dietro, fu bloccato e afferrato violentemente dalla sua vittima per essere sbattuto contro la parete di una delle cabine.
-Ow, Iwa-chan- si lamentò Oikawa –sei un bruto!
Hajime lo lasciò andare all’istante con un lampo di scuse nello sguardo, ma a voce disse –sei tu quello idiota che mi attacca alle spalle!
Tooru sbuffò massaggiandosi il braccio, ma un piccolo sorriso era comparso sul suo volto.
-Sai che ho fatto finora?- cambiò argomento.
-Illuminami.
-Ho scritto una lista.
La sorpresa modificò l’espressione del figlio di Ares che non si trattenne dal chiedere velocemente –che lista?
-Ogni punto era una cosa differente tra te e tuo padre. L’avevo iniziata mentalmente in taxi e quando l’ho messa su carta sono arrivato a sei pagine. Avrei potuto continuare, ma sono giunto al punto di chiedermi cosa diavolo stessi facendo invece di venirti a cercare per reclamare quel bacio che non ci siamo mai dati.
Hajime rise passandosi entrambe le mani sui capelli, ma facendo comunque un passo in avanti per diminuire la distanza.
Tooru gonfiò le guance –Lo trovi divertente?
-Trovo divertente che sia dovuto intervenire Ushijima per farci capire una cosa tanto semplice.
-Ehy!- s’indispettì il figlio di Afrodite –Qui sto cercando di flirtare, non lo rendi facile se nomini quel…
Qualsiasi cosa di brutto stesse per dire sul loro compagno d’avventura, fu troncata dal bacio quasi violento che Hajime gli diede, afferrandogli il viso con entrambe le mani e spingendoselo contro.
Tooru rispose all’istante sciogliendosi contro il suo corpo. Si rese conto che aver atteso tutto quel tempo aveva solo migliorato il momento. Ma no, non avrebbe mai ringraziato Ushijima, forse Nike.
Alla fine quella era la sua più grande vittoria.


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n.a. Come avrete notato ho aggiornato con un giorno di anticipo perché domani non avrei avuto il tempo, ma la prossima settimana si torna al venerdì con il primo aggiornamento della minilong semishira e ushiten. Spero che questa OS iwaoi vi sia piaciuta, nata perché se quei due non si fanno problemi per cose stupide non sono felici! Inoltre, se ve lo state chiedendo, sì: la Matsuhana sapeva che Iwaizumi sarebbe partito con Ushijima e ha mandato Oikawa di proposito.
Alla prossima settimana con i nostri beniamini dello Shiratorizawa!
Deh

 

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Capitolo 6
*** Il prediletto di Apollo - Parte 1 ***


Storie intorno al fuoco
Il prediletto di Apollo



Parte 1
Shirabu era sempre stato considerato strano. Nessuno l'aveva mai direttamente bullizzato né verbalmente né fisicamente, ma il modo in cui facevano dei semplici commenti o quando facevano azioni senza neanche pensare era quello che più contava.
"Mi dispiace ma non puoi stare qui, siamo in squadra solo con i figli di Apollo."
"Sono un figlio di Apollo."
"Ah... Davvero?"
Shirabu non aveva alcuna caratteristica tipica dei suoi fratelli: non era solare, non era divertente, non era estroverso e non era amichevole. Non sapeva usare l'arco e non sapeva suonare. L'unica cosa in cui eccelleva era la medicina.
Nessuno avrebbe mai potuto dire che fosse un figlio del dio del sole, neanche lui stesso lo pensava. Ma quando un giorno, nel bel mezzo di una battaglia, si trovò a strappare dalla morte Ushijima Wakatoshi grazie al suo potere, il simbolo di Apollo s’illuminò sopra la sua testa.
A Shirabu non importava quello che pensavano gli altri, non gli era neanche mai importato di che dio sarebbe stato figlio, non era comunque qualcosa che poteva cambiare, quindi perché disperarsi?
Quel giorno arrivò al campo Apollo che, da quando era stato punito da Zeus e aveva dovuto passare un periodo da mortale, aveva iniziato a capire come si sentisse un essere umano, cosa provasse e quali fossero i suoi limiti. Si era affezionato a diverse persone ed era quello che, tra tutti gli dei, faceva più visita ai suoi figli.
La loro attenzione fu attirata durante il pranzo. Erano tutti in mensa quando Chirone annunciò che Apollo si trovava lì per chiedere a uno dei suoi figli di andare a un'importante missione per lui.
Subito Hinata si alzò e urlò eccitato -Posso andare io, papà? Non ti deluderò!
Apollo sorrise -So che non lo farai, ma questa missione è solo per uno di voi, perché il suo potere è indispensabile.
Shirabu non stava prestando ascolto alla conversazione, c'erano tantissimi suoi fratelli che erano migliori di lui e più adatti a missioni direttamente richieste da Apollo in persona, era più che certo quindi che non lo avrebbero chiamato.
Dovette ricredersi quando sentì suo padre dire -Kenjiro, vorrei che andassi tu.
Shirabu sentì il suo cuore accelerare e le sue guance colorarsi quando si rese conto che tutti gli occhi erano puntati su di lui.
-Io?- si ritrovò a chiedere -sei sicuro?
-Sì.
Non diede nuovi dettagli, non sul momento comunque e che altro poteva fare, Shirabu, se non accettare la richiesta di un dio?
 
-Ehy, capelli storti, che vuole paparino?
Da quando Shirabu aveva salvato la vita di Ushijima, Tendo era diventato suo amico. Il figlio di Apollo non aveva idea di come fosse successo, sapeva solo che da un giorno all'altro il rosso aveva iniziato a stargli accanto. Ovviamente non gli dava fastidio per la credenza comune che Tendo portasse a tensioni e spesso litigi tra persone (essendo figlio di Eris dea della discordia) anche perché Shirabu sapeva di essere abbastanza scontroso di suo per fare tutto il lavoro da solo; quello che gli dava fastidio era che il figlio di Apollo non voleva amici, soprattutto non voleva come amico il fidanzato della sua cotta, ma questo il rosso non sembrava capirlo. A diversi anni da quel giorno, Kenjiro aveva accettato passivamente la cosa e semplicemente gli rispondeva o accettava la sua compagnia quando era l'altro a cercarlo.
-Non ne ho idea- rispose infatti alla sua domanda mentre continuava a camminare verso la Casa Grande -sto andando adesso per capirlo.
-Vengo con te!
Neanche ci provò a fermarlo e lo lasciò camminare al suo fianco.
Arrivati alla Casa Grande, Chirone fissò Tendo per un secondo, poi sembrò decidere che sarebbe stato troppo stressante chiedergli perché fosse lì anche lui e lasciò correre. Raggiunsero Apollo e questo si rivolse subito a suo figlio -Conosci Semi? Il cantante?
Shirabu rimase in silenzio mentre cercava nella sua mente un momento in cui aveva sentito quel nome, ma era abbastanza sicuro di non conoscerlo.
Aveva aperto bocca per dirlo quando Tendo esclamò -Semi-Semi! Ovvio! Come si fa a non conoscerlo!?
-Esatto!- Apollo si animó -L'ultimo singolo che ha scritto? Tutta mia ispirazione!
-Ma è stupendo! La mia preferita però resta...
Avrebbero continuato a parlare se non fosse stato per Chirone che si schiariva la gola.
-Comunque- Apollo si ricompose tornando a rivolgersi al figlio -io non posso intervenire direttamente ma so che stanno tentando di ucciderlo. Devi andare da lui e salvarlo.
Questa era decisamente una delle richieste che Kenjiro non si sarebbe mai aspettato. Doveva fare da babysitter a un ragazzino ricco e probabilmente viziato? Non c'erano persone che facevano già questo di lavoro?
-Non credo di essere quello adatto.
-Sì invece, lo stanno avvelenano a poco a poco già da diversi giorni, l'unico che può salvarlo a questo punto è solo il tuo potere.
Shirabu sospirò, poi disse l'unica cosa che tutti si aspettavano da lui -Bene, immagino partirò questo stesso pomeriggio.
-Io e Ushiwaka verremo con te- annunciò a quel punto Tendo, tutti gli altri si voltarono verso di lui come a ricordarsi in quel momento che il ragazzo si trovava ancora lì.
-Perché dovresti?- domandò il figlio di Apollo sinceramente confuso dalla situazione.
-Perché siamo amici- rispose l'altro con il tono di chi stesse dicendo una cosa ovvia -e in missione si va sempre in tre per proteggersi a vicenda, no?- quella domanda la porse direttamente a Chirone.
Questo si trovò spaesato solo per un secondo, poi si affrettò a dire -sì, certo.
Le guance di Shirabu s'imporporarono, non si aspettava di certo quell'affetto.
Distolse lo sguardo e bonfocchió -Fate come volete.
 
Mentre si organizzavano per il viaggio, scoprirono facilmente (grazie a Suna ancor prima di Apollo) che Semi si trovava proprio a New York da quella mattina e che sarebbe rimasto in città per una settimana, dato che da programma aveva tre concerti da fare.
Per loro, quindi, sarebbe stato facile da raggiungere considerando che era meno di un’ora di macchina o, nel loro caso, di taxi.
Shirabu, tuttavia. non aveva considerato con chi si trovava in macchina e quindi quanto sarebbe diventato stressante un viaggio che poteva essere più che normale.
Tutto iniziò quando, mentre aspettavano la vettura, Tendo annunciò che per prepararsi al meglio aveva ascoltato tutte le canzoni che Semi avesse mai pubblicato. Ushijima, terribilmente serio, iniziò a sentirsi in colpa per non averlo fatto a sua volta, non perdonandosi il fatto di essere partito così impreparato, e a nulla valsero i commenti di Shirabu che faceva notare che nessuno aveva bisogno di conoscere le sue canzoni. Tendo, di conseguenza, per tutto il tragitto non fece altro che mettere a tutto volume ogni singola canzone del tipo che stavano andando a salvare.
Scesi finalmente dalla macchina, il figlio di Apollo non era più sicuro di voler salvare una persona che aveva iniziato a odiare involontariamente.
Il cantante alloggiava in un hotel di lusso. Non troppo grande ma che, grazie a questo, aveva potuto affittare nella sua totalità per avere più privacy e per garantire una stanza a chiunque dello staff. C’era, ovviamente, un sacco di sicurezza all’ingresso ma Apollo aveva già risolto questo problema consegnando loro, prima di partire, dei badge perfettamente funzionanti.
Una volta dentro non fu difficile trovare il cantante, poiché questo era nell’atrio principale insieme a buona parte del suo staff e stava facendo lo stronzo con tutti.
-è mai possibile che io abbia un concerto fra meno di ventiquattrore e nessuno riesce a farmi un fottutissimo rimedio per il mal di gola!? Abbiamo chiamato tutti i medici di questa città!?
Shirabu si rese conto che, se lo stavano avvelenando come aveva detto Apollo, allora era normale che nessun medico mortale potesse curargli il “mal di gola”, una chiara conseguenza del suo avvelenamento.
-Ehy- annunciò la loro presenza Tendo, attirando l’attenzione di tutti –ecco il tuo miracolo! Il piccolo Kenjiro è pronto a curarti!
Shirabu avrebbe preferito che non avesse utilizzato l’appellativo “piccolo”, ma lasciò correre. Soprattutto quando tutta la sua concentrazione fu rivolta a Semi, il quale lo fissò infastidito e incredulo e, con un tono abbastanza derisorio, rispose –come scusa? Mi prendete per il culo? Chi vi ha fatto entrare? Chi diavolo siete?
Kenjiro non sopportò quel tono altezzoso e, ancora più infastidito dell’altro, si mise dritto e rispose a tono –Sono un medico e se vuoi cantare al tuo stupido concerto domani, forse è meglio che mi dai ascolto.
-È una minaccia?
-È un’osservazione.
-Come fai ad essere un medico quando sei più piccolo di me? Dio, che perdita di tempo!- si voltò verso gli altri –chi ha chiamato questo bambino?
E mentre tutti i menbri dello staff scuotevano la testa e si guardavano intorno per capire chi li avesse ingaggiati, Ushijima si fece avanti e semplicemente disse –ci ha mandati Lester.
Quello fece la magia.
Semi strabuzzò gli occhi incredulo, iniziò a fissarli uno per uno cercando di capire se fosse tutto uno scherzo, infine si voltò e si diresse verso l’ascensore mentre decretava –Bene, venite nella mia stanza.
Apollo aveva detto loro di dire che era stato “Lester” a mandarli. Shirabu sapeva che quello era il nome che era stato dato al padre quando aveva vissuto da mortale, ma non sapeva che tipo di rapporti avesse avuto con il cantante, né gli interessava. L’unica cosa che il figlio di Apollo voleva fare era salvare il prima possibile quella testa di cazzo troppo piena di sé e tornare alla sua normale (si fa per dire) e tranquilla vita.
La “stanza” di Semi era più un appartamento. Shirabu era sicuro che fosse più grande della sua cabina e in quella vivevano davvero tanti ragazzi. Il luogo era diviso in altre cinque stanze con: due camere da letto, un bagno e due zone soggiorno, uno dei quali con una piccola cucina. A cosa gli serviva tutto quello spazio restava un grande mistero.
Il compito di Kenjiro era quello di curarlo, cosa che, grazie al suo potere, avveniva attraverso il semplice tocco delle sue mani sul corpo del paziente. Questo, tuttavia, non poteva essere fatto di fronte a un essere umano e, così, il figlio di Apollo doveva trovare delle soluzioni differenti.
Aveva portato dal campo delle erbe mediche e non, con le quali sapeva già avrebbe dovuto creare una “medicina” per depistare l’uso del suo potere. L’idea era di mettere insieme ingredienti da un sapore non troppo brutto e finire il tutto nel minore tempo possibile, ma dopo che Shirabu aveva visto quanto il ragazzo fosse stronzo e per vendicarsi del modo in cui aveva trattato loro e tutto il suo staff, decise che sarebbe stato giusto costringerlo a bere la bevanda più amara di tutta la sua vita.
-Tendo vieni in cucina, mi serve una mano per fare la medicina.
I due ragazzi si misero all’opera e il rosso, nonostante fosse quasi sempre divertito nel partecipare agli scherzi contro le altre persone, si ritrovò comunque a fare una faccia schifata davanti l’odore dell’intruglio, chiedendo poi –Non stai esagerando? Forse sei tu quello che vuole avvelenarlo.
Shirabu fece un sorrisetto un po' troppo cattivo –Sopravvivrà.
Qualche minuto dopo. Semi per poco non soffocò con la bevanda. Non si era aspettato un sapore talmente brutto e del liquido gli era arrivato nei polmoni, facendolo irrimediabilemente tossire.
Kenjiro sorrise internamente, mentre fuori fece finta di essere mortificato intanto che allungava una mano per massaggiargli la schiena, tutta una scusa al fine di avere il contatto fisico per poterlo curare davvero.
-È terribile- gracchiò il ragazzo con la voce ancora più roca di prima –non si può mettere dello zucchero?
-Mi dispiace- disse per nulla dispiaciuto –ma lo zuccherro eliminerebbe tutti gli effetti curativi.
Tendo alzò un sopracciglio a quella nuova bugia, lanciandogli uno sguardo che era un misto di ammirato e atterrito. Shirabu rispose con uno sguardo impassibile.
Il cantante dovette quindi bersi tutto il bicchiere tra smorfie e lamenti, contemporaneamente Shirabu curava tutto il suo malessere attraverso le proprie mani. Il ragazzo era messo peggio di quello che si era aspettato, ma nulla che non potesse curare.
-Ti senti meglio?- gli domandò infine.
Semi corrugò la fronte –ha un effetto istantaneo?
-Sì.
Il cantante corrugò ancora di più la fronte, poi aprì la bocca per cantare qualche nota e, quando riuscì a farlo senza problemi, strabuzzò gli occhi e lo fissò quasi estasiato –chi diavolo sei tu?
-Sono solo molto bravo nel mio lavoro, non c’è di che- rispose mentre già iniziava a sistemare la sua borsa, pronto ad andarsene.
-Ve ne andate? Non volete restare per il concerto di domani? È pure tardi, rimanete a cena con me come ringraziamento.
Shirabu era già pronto a rifiutare, ma Tendo e Ushijima accettarono più che felicemente e a quel punto fu impossibile dire di no.
La cena fu particolare per il figlio di Apollo. Aveva immaginato di dover sopportare nuovamente l’arroganza del cantante, ma questo sembrò trasformarsi.
Per prima cosa, non appena incontrò il proprio staff, si scusò con loro per le urla del pomeriggio e per il modo in cui li aveva trattati, disse loro che era nervoso e stressato per il suo malessere e, anche se questa non era una scusa, sperava che lo potessero perdonare.
Shirabu rimase stupito e sorpreso della cosa, soprattutto quando notò sempre di più quanto Semi li trattasse come suoi pari, come s’interessasse alla vita di ogni singola persona che lavorasse al suo seguito e come non sembrasse sforzarsi minimamente nel farlo.
Kenjiro finì addirittura con il divertirsi, ridendo piano per qualche scenetta e godendosi il cibo spettacolare. Ma ovviamente la sua rabbia e il suo stress non potevano abbandonarlo per così tanto tempo, infatti tornarono abbastanza velocemente quando Semi disse loro che potevano usare tre camere dell’hotel e Tendo esclamò, un po' troppo felice, che ne avrebbero prese solo due, poiché lui e Ushijima avrebbero dormito insieme.
 
Il concerto fu una rivelazione. Shirabu non l’avrebbe mai ammesso a nessuno, ma lo trovò fenomenale. Rimase incantato, ascoltando e guardando dal suo posto d’onore sotto il palco, dal modo di muoversi di Semi, dal suo modo di sorridere e dal suo modo d’incantare tutti. Ma soprattutto, si accorse di quanto fosse fenomenale la sua voce. Cosa che non aveva per niente compreso dall’ascolto delle sue canzoni in macchina con Tendo che gli cantava sopra a tutto volume.
Passate le due ore, i tre semidei furono accompagnati dietro le quinte per gli ultimi saluti prima che si separassero per sempre.
Semi stava ancora sorridendo esaltato dalla propria performance quando li raggiunse, aveva un asciugamano intorno al collo per tamponare il sudore e una bottiglietta d’acqua mezza piena in mano.
-Sei stato molto bravo- disse Ushijima con il suo solito tono stoico e serio.
-Fenomenale!- urlò Tendo.
Semi sorrise e li ringraziò entrambi, poi il suo sguardo si spostò su Shirabu. Questo arrossì distogliendo il proprio, l’altro voleva un complimento anche da lui? Perché avrebbe dovuto fare una cosa tanto imbarazzante?
Il castano, quindi, gonfiò le guance e decise di balbettare in fretta qualcosa solo per togliersi da quella situazione. Non sapeva neanche lui cosa avesse intenzione di dirgli e non lo scoprì mai.
Semi iniziò a tossire, prima leggermente poi sempre più forte. Arrivò a non riuscire a respirare abbastanza aria nei suoi polmoni e cadde in ginocchio.
Subito diverse persone si affrettarono a soccorrerlo, una di queste era lo stesso Shirabu.
Una volta che il figlio di Apollo gli poggiò una mano sulla schiena, si accorse con orrore che tutto il malessere che gli aveva curato la sera prima era tornato.
Attivò immediatamente il proprio potere per curarlo, ma era ancora abbastanza lucido per rendersi conto di non poter usare la magia in quel modo. Con la mano libera decise di spingergli la bottiglietta d’acqua che aveva in mano contro il viso, comandando –Bevi!
Il suo potere aveva iniziato a fare effetto perché Semi era riuscito a prendere fiato e anche per questo poté rispondergli incredulo –Ma è solo acqua!
-Tu bevi lo stesso!- impose con un tono che non ammetteva alcuna replica.
Qualche secondo dopo, l’attacco era passato e il suo staff si mise in moto per riportarlo in hotel senza far trapelare alcuna notizia ai paparazzi.
Tendo raggiunse Shirabu e commentò –Immagino che non ce ne andremo da qui tanto facilmente.
Ushijima, invece, si accorse dell’espressione seria e preoccupata di Kenjiro e domandò –Perché i tuoi poteri non hanno funzionato?
-Lo hanno fatto ieri, ma oggi era come se il mio intervento non ci fosse mai stato.
-E questo significa…
-Che qualcuno sta usando la magia per avvelenarlo. Questa missione è appena diventata più grande e difficile di quello che doveva essere.





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Nuova settimana, nuova storia!
Pubblico così tardi perché, sarò sincera, avevo dimenticato che fosse venerdì ahaha
Come avrete capito questa è una Semishira con molti accenni Ushiten, sarà divisa in 4 parti.
Per quanto riguarda il capitolo, la questione di Apollo che ha passato un periodo umano e del suo nome "Lester" sono vicende che si trovano nei libri  di Rick Riordan "Le sfide di Apollo". Inoltre in PJ non sono mai stati citati figli di Eris (non che io ricordi almeno), ma secondo me Tendo era perfetto così, quindi eccolo qui, avrete modo di conoscere meglio il suo potere nei prossimi capitoli. Specifico anche che Semi è umano e non ha idea che esistono gli dei e tutto quel mondo lì, sì Apollo dice che è un suo prediletto perché è stato lui stesso a sceglierlo, ma Semi non sa che questo è un dio o che magari quando gli viene l'ispirazione per una nuova canzone è stato il dio stesso a mandargliela (o qualsiasi altro modo in cui potrebbe aiutarlo).
Alla prossima settimana con il continuo e, al solito, se avete dubbi potete chiedere tranquillamente!
Deh
 

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Capitolo 7
*** Il prediletto di Apollo - Parte 2 ***


Parte 2
Senza rendersene conto, si trovarono coinvolti in una missione lunga e che non avevano programmato.
Semi non poteva essere lasciato solo, aveva bisogno che Kenjiro usasse i suoi poteri curativi su di lui almeno una volta al giorno, quindi i tre furono ingaggiati a tempo pieno all’interno dello staff del tour, rimanendo quella prima settimana a NY, per poi viaggiare nelle altre città.
Non erano pronti per una missione simile, non avevano le armi o l’equipaggiamente giusto, inoltre non avevano neanche un piano per capire chi stesse avvelenando il cantante giorno dopo giorno.
Tutto questo, unito al fatto che la vittima non conosceva il loro mondo, rendeva ogni cosa estremamente più difficile.
-Ho una domanda- disse Semi seduto al bancone della sua stanza d’albergo mentre fissava, non troppo felice, Kenjiro mettere degli ingredienti nel frullatore per unire il tutto.
Erano arrivati a Miami quella mattina e avevano finito di sistemarsi nelle proprie stanze qualche ora prima. Per quel giorno Semi non aveva impegni lavorativi e questo gli aveva permesso di rilassarsi. Certo, avrebbe dovuto rivedere la scaletta del concerto del giorno successivo, ma non si poteva avere tutto.
Kenjiro rimase in silenzio aspettando che l’altro continuasse, cosa che Semi fece con una smorfia quando il frullato verde e con una strana schiuma bianca per nulla appetibile gli fu presentato davanti.
-Perché mi curi con questi frullati di merda, ma quando ho una crisi mi dici solo di bere dell’acqua? Non ho del tutto capito come funzioni la cosa.
Kenjiro si bloccò in ansia. Non poteva di certo dire a un mortale che poteva usare la magia. Quindi aveva sempre usato dei frullati amari come le medicine. Era anche vero però che quando Semi aveva le sue crisi e lui interveniva repentinio gli faceva prendere il primo liquido che si trovava tra le mani. Era stupido, ma era sempre meglio di mettergli le mani sul corpo e curarlo dal nulla.
Non avendo una vera risposta da potergli dare, fece quello in cui era più bravo: lo stronzo.
-Non mi aspetto che tu capisca la grande scienza della medicina.
Semi ampliò il suo cipiglio –Questo è un colpo basso.
Kenjiro nascose il suo sorriso e lo curò in fretta mentre il ragazzo si faceva forza e beveva il frullato.
Finito il suo lavoro, il figlio di Apollo prese le proprie cose, pronto a lasciare quella stanza d’albergo, ma fu bloccato da Semi che gli chiese –Dove sono i tuoi due amici?
Il castano fece una smorfia e sventolò una mano in aria –Ho sentito Tendo blaterare di una gita romantica che voleva fare.
-Quindi sei da solo.
-Non mi dispiace.
-Immagino, ma… ti andrebbe di farmi compagnia? Potremo vedere un film o qualcosa di simile.
Shirabu alzò uno sguardo incerto su di lui, le sopracciglia corrugate e i pugni stretti. La sua mente stava ancora facendo la lista dei pro e dei contro di quella proposta quando, senza volerlo, si ritrovò a rispondere –Va bene.
Da quel giorno le cose cambiarono.
Shirabu non vedeva più Semi come l’obiettivo da salvare nella sua missione, ma lo vedeva come essere umano.
Senza volerlo si ritrovò ad affezionarsi a lui, a cogliere ogni particolare carino e dolce che il cantante faceva per gli altri, a trovare adorabili le sue sopracciglia corrugate quando pensava a una nuova canzone, ad ammirare la passione che metteva sul palco e la felicità che provava ogni volta che cantava. Iniziarono, soprattutto, a passare sempre più sere insieme a scherzare e prendere in giro i personaggi dei film che avevano iniziato a vedere.
 
Tre settimane dopo il loro arrivo, Kenjiro fu svegliato nel bel mezzo della notte da una ragazza dello staff in preda al panico perché Semi aveva iniziato a tossire sangue.
Il figlio di Apollo, di conseguenza, si alzò di scatto e si precipitò nella camera in questione, afferrando nel tragitto una scatola di mentine. Ne prese due e lasciò la scatola nella prima superficie disponibile, cacciò tutti via dalla camera di Semi e si sedette al suo fianco poggiandogli subito una mano sulla schiena.
L’angoscia lo invase quando si rese conto che stava peggiorando, inoltre sentiva di fare sempre più fatica nel curarlo. Chiunque lo stesse avvelenando diventava più forte di giorno in giorno.
Semi smise di tossire e Kenjiro gli mise le mentine in mano spacciandole per pillole, intimandogli di ingoiarle senza masticarle, poi gli fece bere l’acqua.
-Grazie- mormorò roco quando la sua crisi passò.
Shirabu si morse un labbro mentre abbassava lo sguardo, si sentiva in colpa perché non stava facendo nulla per lui, non lo stava davvero curando, stava solo rallentando un destino che sembrava impossibile fermare.
Semi andò in bagno a pulirsi e Shirabu avvertì lo staff che la crisi era passata e che bisognava cambiare le lenzuola.
Dieci minuti dopo tutti erano nuovamente andati via, con la sola eccezione del medico.
Il cantante rimase sorpreso nel vederlo ancora lì, seduto sul letto pulito, quando lasciò il bagno. Poi borbottò –Puoi tornare a dormire, sto bene adesso.
Shirabu si strinse nelle spalle e rispose –Ti controllerò per un po'.
Non era una domanda, quindi Semi non poté fare a meno di acconsentire e sdraiarsi.
Kenjiro immaginò che, dopo quello che aveva passato, si sarebbe addormentato stremato all’istante, ma così non fu perché il ragazzo iniziò a parlare.
-Quando hai deciso che saresti diventato medico?
Il più piccolo rimase leggermente spiazzato da quella domanda, soppesò bene le sue parole e decise di rispondere con la verità, semplicemente omettendo quello che non poteva dire.
-Non l’ho deciso. È stata una specie di… vocazione. Ho sempre saputo che l’avrei fatto.
Semi sembrò riflettere su quelle parole, poi annuì e mormorò –Immagino sia lo stesso per me, non ho mai deciso che sarei diventato un cantante, sapevo solo che farlo era l’unica cosa che volevo dalla vita.
Shirabu poggiò la guancia contro il palmo della mano e annuì, capendo da quelle parole perché suo padre l’avesse preso come protetto.
-Come conosci Lester?- gli chiese a bruciapelo Semi.
-Cosa?- balbettò in risposta, incapace di capire da dove avesse preso quel nome.
-La prima volta che siete venuti qui, Ushijima ha detto che vi mandava lui.
Kenjiro aveva dimenticato quel particolare, ma si rilassò e rispose –Diciamo che… è di famiglia. Tu, invece? Come lo conosci?
-È stato lui a farmi diventare famoso. Suonavo per strada ed è stato lui a trovarmi, mi ha detto di essere un discografico e mi ha portato, in soli pochi mesi, sulla vetta dell’America. Poi è sparito, ma tutto quello che ho lo devo a lui.
-Lo devi al tuo talento- lo contraddisse Kenjiro –lui ti ha dato solo i mezzi per farlo.
Semi arrossì a quelle parole, Shirabu fece lo stesso e distolse lo sguardo mentre borbottava –Lo conosco abbastanza bene, fidati se ti dico che non avrebbe sprecato neanche mezzo secondo con te se non avesse davvero creduto che meritavi questo successo.
Semi non rispose, ma mosse lentamente la sua mano per stringere quella libera del più piccolo.
Kenjiro rispose alla stretta.
Tuttavia, quando il cantante qualche secondo dopo sussurro –Ti andrebbe di rest…- il più piccolo saltò sul posto e scendendo dal letto disse frettolosamente –Torno a dormire, se dovessi nuovamente sentirti male fammi chiamare! Buonanotte.
Lasciò la stanza più veloce di quando scappava dai mostri e, solo una volta che fu al sicuro nella propria camera, si accasciò contro il muro chiedendosi perché diavolo il suo cuore stesse battendo in quel modo.
 
Nonostante i buoni propositi dei tre semidei, quattro giorni dopo la situazione esplose.
Da quando avevano iniziato a spostarsi tra le varie città per il tour, i mostri avevano sentito più facilmente il loro odore e più di una volta erano stati coinvolti in degli scontri.
Tuttavia, merito della foschia, nessuno si era mai accorto di nulla. O almeno, non fino a quel giorno.
-Stai bene, lì dentro?- Shirabu domandò diretto al cubicolo del bagno chiuso, dove all’interno si trovava Semi già da qualche minuto.
Si trovavano all’aeroporto di Miami in attesa del volo che li avrebbe portati nella nuova tappa del tour, quando Semi aveva annunciato che sarebbe andato al bagno.
Subito le sue guardie del corpo si erano alzate per accompagnarlo, ma il cantante li aveva liquidati affermando che non voleva attirare l’attenzione. Lo staff non sembrava molto d’accordo ma infine dovette accettare, solo però se Shirabu l’avesse accompagnato perché poteva sentirsi male in qualsiasi momento e non doveva rimanere solo.
-Sto bene, ho quasi finito- gli rispose la voce attutita del più grande.
Kenjiro si rilassò e si voltò verso i lavandini, scrutò il suo volto nello specchio e iniziò a chiedersi se non dovesse accorciare la frangetta, arrivando alla conclusione che probabilmente aveva bisogno di un taglio di capelli completo. Mentre continuava a pensare davanti lo specchio, un signore entrò all’interno dell’area comune dei bagni e Kenjiro fece un colpo di tosse per avvertire Semi che non erano più soli.
L’uomo si fermò al centro della stanza e iniziò a fissare Kenjiro senza battere ciglio.
Il figlio di Apollo se ne accorse per via del riflesso e si voltò lentamente, chiedendo con voce ferma –Ha bisogno di qualcosa?
Come risposta, l’uomo si trasformò in una donna e, prima che Shirabu potesse fargli presente che aveva sbagliato bagno, lo attaccò.
I riflessi da semidio furono l’unica cosa che gli impedirono di finire schiacciato tra il muro e la lama dello spirito femminile che aveva di fronte. Ma questo non gli aveva impedito di urlare, cosa che aveva indubbiamente attirato l’attenzione di Semi.
La mente del figlio di Apollo iniziò a correre veloce mentre faceva il punto della situazione nella sua mente: un mostro l’aveva trovato e lui non aveva neanche un’arma con sé per batterlo, Semi era con lui e sarebbe stato davvero difficile spiegargli la situazione in seguito. Entrambi i pensieri passarono in secondo piano quando si rese conto della natura del mostro: era un’Arai.
Shirabu non ne aveva mai combattuto una, ma aveva studiato bene quella tipologia. Le Arai erano spiriti femminili figli di Nyx e, se venivano uccise, lasciavano sul proprio assassino delle maledizioni che potevano essere sia fisiche che mentali. C’era una cosa sola che poteva fare per salvare entrambi: fuggire.
Non appena Semi, attirato dal rumore, lasciò il cubicolo incerto su cosa stesse succedendo, Shirabu lo prese per mano e iniziò a correre fuori intimandogli di non fermarsi.
Stavano scappando, correndo a zig zag tra la folla. Semi era confuso e stava urlando a Kenjiro di dirgli cosa diavolo stesse succedendo, chi fosse quella donna e cosa volesse da lui. Ma il medico non aveva neanche il tempo di parlare, figurarsi inventare una scusa plausibile!
Rimase in silenzio e semplicemente strinse di più la sua mano per spronarlo ad andare più veloce.
Doveva trovare Ushijima e Tendo, se quella Arai aveva trovato lui, era sicuro che le sue sorelle avessero trovato i suoi due amici. Iniziò a pensare velocemente: in quale luogo all’interno di un edificio super affollato poteva essere ingaggiata una battaglia senza che i comuni mortali se ne accorgessero?
Continuò a correre mentre si guardava intorno e, solo quando vide un uomo della sicurezza delimitare una delle sale affermando che non si poteva entrare per motivi di manutenzione, sapeva di aver trovato il posto giusto.
Cambiò bruscamente direzione e si diresse al suo interno, nessuno lo fermò e questo gli confermò che era tutto merito della foschia come aveva già immaginato.
-Shirabu! Dimmi che sta succedendo!
-Te lo spiego più tardi- promise il figlio di Apollo per evitare che continuasse a urlare –ora devo salvare i miei amici!
Quando raggiunse la sala, vide subito Tendo e Ushijima spalle contro spalle e con le armi in mano a fronteggiare altre tre Arai.
Shirabu urlò subito –Non uccidetele o sarete vittime di maledizioni!
Tendo rise –E come pensi di uscire da qui? Non c’è modo di scappare.
Ushijima intervenne –Le battaglie non si abbandonano, si vincono.
Kenjiro avrebbe tanto voluto bestemmiare contro Nike in quel momento, non lo fece perché si rese conto che Tendo aveva ragione, anche se avessero convinto Ushijima ad abbandonare la battaglia, sarebbe stato impossibile per loro scappare, non quando avrebbero dovuto attraversare tutto l’aeroporto affollato mettendo a rischio tutti quei mortali.
Una delle Arai attaccò e subito Ushijima li difese con la propria spada, togliò senza problemi uno dei suoi arti e Tendo intervenne repentinio, dandole il colpo di grazia. Subito, sul ventre del rosso, si aprirono degli squarci che lo costrinsero in ginocchio. Ushijima urlò il suo nome, ma il figlio di Eris lo rassicurò che stava bene e si rimise in piedi con fatica, poi disse –Tu feriscili, io li ucciderò, a Kenjiro verrà più facile curare solo me.
-Non puoi prenderti quattro maledizioni!- urlò il figlio di Apollo.
L’amico gli sorrise –Mi fido di te.
A quel punto ingaggiarono battaglia, con Ushijima che li difendeva e parava ogni affondo e Tendo che arrivava solo alla fine per dare al mostro il colpo di grazia. Più, però, le Arai sparivano e più il rosso stava male.
Shirabu si voltò verso Semi e per la prima volta si accorse effettivamente del suo stato: era pallido e stava sudando, le sue mani tremavano e i suoi occhi erano spalancati nella scena di battaglia che stava avendo luogo proprio di fronte a lui. Shirabu non aveva idea di quello che la foschia gli stesse facendo vedere, ma non doveva essere troppo distante dalla realtà.
Gli afferrò con urgenza il volto e lo costrinse a distogliere lo sguardo per portarlo sul suo, poi gli disse –Ascoltami, ho bisogno che tu sia concentrato! Ti spiegherò tutto, ma per adesso mi devi aiutare!
Semi lo fissò come se non lo vedesse davvero e Kenjiro, quasi nel panico, iniziò a scuoterlo senza delicatezza –Semi, per favore! Devi aiutarmi a salvare Tendo, hai capito!?
Quella volta il cantante sembrò capirlo, perché annuì piano e ingoiò a vuoto mentre tornava a guardarsi intorno.
Shirabu sapeva che non avrebbe potuto chiedergli una reazione migliore, non in quel momento, quindi si inginocchiò e iniziò a tirare fuori dal marsupio che aveva ai fianchi tutto quello che gli poteva servire.
Semi s’inginocchiò al suo fianco senza che gli fosse stato richiesto e Kenjiro si sentì meglio di sapere che stava davvero cercando di aiutarlo.
Gli mise una fiala in mano e gli disse con urgenza –Questi sono sali, quando sverrò dovrai mettermeli sotto il naso per farmi svegliare, non mi posso permettere di svenire fino a quando Tendo non sarà fuori pericolo, hai capito?- poi gli mise dei cubetti di ambrosia –e dammi questi da mangiare, non più di una alla volta, chiaro?
Semi annuì mentre stringeva i due oggetti tra le mani.
A quel punto tutte le Arai erano state sconfitte, quindi era tempo che Shirabu intervenisse.
Da quel momento il medico escluse il mondo esterno e si concentrò esclusivamente su quello che doveva fare. Tendo era pieno di ferite che normalmente Shirabu non ci avrebbe messo troppa fatica a curare, ma il fatto che fossero provocate da delle maledizioni rendeva il tutto estremamente più difficile.
Il figlio di Eris era accasciato su Ushijima che si era inginocchiato per trovargli una posizione comoda, Tendo aveva perso tanto di quel sangue da aver creato una piccola pozzanghera e il suo respiro era talmente flebile che avrebbe potuto smettere in qualsiasi momento.
Kenjiro poggiò le mani direttamente sulla sua pelle, chiuse gli occhi e iniziò a curarlo.
Svenne la prima volta. Rinvenne subito grazie ai sali che aveva dato a Semi e mangiò velocemente un cubetto d’ambrosia riprendendo a lavorare all’istante.
Svenne la seconda volta e quando rinvenne sentiva il suo corpo andare a fuoco, continuò a lavorare senza neanche pensare di staccare e, quando Semi gli fece presente che aveva iniziato a perdere sangue dal naso e dagli occhi, gli urlò contro che Tendo stava perdendo sangue da molte più parti.
Svenne una terza volta. Quando rinvenne, sentì distrattamente che Semi e Ushijima stavano litigando, il figlio di Nike aveva appena urlato che Tendo non era ancora fuori pericolo e Shirabu riprese da dove si era interrotto.
La quarta volta che svenne, nessuno lo fece rinvenire.

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Capitolo 8
*** Il prediletto di Apollo - Parte 3 ***


Parte 3
Quando Shirabu si svegliò, si sentiva bene e al sicuro.
Mormorò soddisfatto del letto comodo e delle lenzuola morbide, per poi aprire lentamente gli occhi. Riconobbe di essere in una camera d’albergo, dalla finestra entravano gli ultimi raggi di sole della giornata e sul comodino c’erano due cubetti di ambrosia.
Si mise a sedere e ne prese una, poi sussultò sul posto quando sentì la voce di Semi chiedergli –Come ti senti?
Si voltò e lo vide uscire dalla porta del bagno con solo i pantaloncini del pigiama e uno sguardo preoccupato in volto.
-Io sto bene- gli tornò in mente tutto quello che stava succedendo prima che svenisse e il suo sguardo si fece preoccupato, Semi se ne accorse e, prima che il più piccolo riuscisse a fargli qualche domanda, lo rassicurò –I tuoi amici stanno bene.
Shirabu rilasciò un sospiro di sollievo, poi chiese –Dove siamo?
-Siamo tornati nell’hotel di Miami, ho fatto posticipare le date future del tour, non è stato difficile richiederlo data la mia malattia che peggiora. In ogni caso non potevamo di certo prendere l’aereo con te e Tendo in quelle condizioni. Hai dormito per un giorno intero.
-Cazzo- Shirabu mormorò mentre si alzava di scatto e lo raggiungeva afferrandogli le braccia, subito si affrettò a curarlo, ma fu bloccato a metà.
Semi si tirò indietro con uno sguardo stranissimo e sbottò –Che diavolo stai facendo?
-Ti curo, come ho sempre fatto- ormai era inutile continuare a mentire, Semi aveva visto e nessuna bugia poteva spiegare quello che era successo in aeroporto. C’era un limite a ciò che la foschia poteva impedirgli di vedere e Shirabu che salvava un ragazzo ricoperto di sangue solo poggiandogli le mani sul petto superava quel limite.
-Tu… cosa sei?
Shirabu si morse un labbro frustato e deluso da quella domanda, poi mormorò –Potresti impazzire nel conoscere tutta la storia.
Semi rise, isterico, poi quasi urlò –Sto già impazzendo nel non sapere cosa diavolo ho visto ieri! Ho tutto il diritto di saperlo!
-Bene- sospirò infine –Te lo dirò.
Tornò a sedersi sul letto e gli fece segno di raggiungerlo, cosa che Semi fece dopo qualche secondo di raccoglimento.
Kenjiro gli porse la mano con il palmo verso l’alto, ma non invase il suo spazio in attesa che fosse lui a decidere se toccarlo o meno –Mentre ti racconto, ti lasci curare? Per favore?
Passò quasi un intero minuto prima che Semi accettasse di porgergli la sua mano, ma quando lo fece, Kenjiro riprese a curarlo lentamente, poi parlò con calma cercando le parole giuste.
-Conosci la mitologia greca?
-Vagamente.
-Gli dèi Greci esistono. Si sono evoluti nei secoli e la loro sede si è spostata dalla Grecia all’America. Di tanto in tanto, scendono sulla terra a divertirsi e qui potrebbero andare a letto con qualche umano. Da questo rapporto nascono dei semidei, io sono uno di loro.
Fece una pausa per fargli recepire tutto quello che già aveva detto, era una grande novità e sapeva che ci voleva tempo per digerirla.
-Semidei come Ercules della Disney?- domandò infine.
-Ercole come quello della mitologia, ma diciamo di sì. Alcuni di noi nascono con dei tratti distintivi o dei poteri ereditati dai nostri genitori divini. Mio padre è Apollo. Sai io… non sono bravo nel tiro con l’arco, non mi piace prendere il sole e non ci capisco nulla di musica, ma posso curare le persone. Io ti tocco e riesco a percepire come funziona il tuo intero corpo, quello che c’è di sbagliato al suo interno e come aggiustarlo.
Terminò di curarlo e si staccò lentamente, Semi stava fissando il vuoto e dopo diversi secondi si alzò e annunciò –Ho bisogno di restare solo.
Lasciò la stanza e Kenjiro lo lasciò andare, sapeva bene quanto l’altro avesse bisogno di raccogliere i suoi pensieri per mantenersi stabile mentalmente.
Il figlio di Apollo sospirò distrutto e si passò le mani sul viso, poi decise di andare a cercare i suoi amici.
Lo staff gli disse che Ushijima era sceso al ristorante per la cena e, al pensiero del cibo, lo stomaco di Shirabu brontolò. Si rese conto che non mangiava da un giorno intero e seguì il suo esempio.
Il ristorante era a buffet, così prese un piatto, fece la fila per il cibo che preferiva e infine cercò il suo amico.
Raggiunse il figlio di Nike al tavolo che si era scelto e gli si sedette al fianco.
-Sei sveglio!- constatò il più alto.
-Sì, sto bene- lo rassicurò afferrando le sue posate –Dov’è Tendo?
-Sta dormendo.
-Lui sta bene?
Ushijima annuì, masticò il boccone che aveva messo in bocca e, solo dopo aver ingoiato, annunciò –Ieri ho dovuto avvertire Chirone di quello che era successo e oggi è arrivato un gruppo di semidei. Ci hanno portato delle armi per una futura possibile battaglia, nuove scorte di ambrosia e nettare e una borsa di cose mediche che potrebbero servirti. Tra di loro c’era anche Kuro, il figlio di Dionisio. Una delle maledizioni di Tendo era mentale, ma è riuscito a curarlo del tutto, adesso sta dormendo per questo.
Shirabu annuì e sospirò di sollievo nel venire a conoscenza di tutte quelle nuove informazioni.
-Io ho dovuto dire la verità a Semi, era diventato troppo difficile mentire dopo quello che aveva visto.
Wakatoshi annuì –Hai fatto bene, è una persona forte, può sopportarlo. Sai, lui ti ha sostenuto tutto il tempo quando curavi Tendo, ti ha visto usare la magia ma non ha pensato neanche una volta di farti cadere a terra. Ti ha portato lui in braccio quando sei svenuto e non voleva che ti risvegliassi la terza volta perché era preoccupato per te. A proposito, mi scuso per quel momento, ma non ero ancora sicuro che Satori fosse fuori pericolo e non potevo rischiare di perderlo.
-Va bene- lo bloccò Shirabu –era quello che avevo chiesto di fare.
-Semi non ha fatto domande quando la battaglia si è conclusa, siamo tornati dal suo staff e gli ha detto risoluto che il viaggio era annullato, che si dovevano posticipare le date successive e che, al momento, l’unica cosa importante era trovare un medico che stabilizzasse te e Satori. Quando hanno voluto sapere cos’era successo, lui ha detto che era stato attaccato e che noi tre l’avevamo protetto. Evidentemente è una cosa che succede spesso alle persone famose, perché gli hanno creduto subito.
-Non sapevo si fosse comportato così- sussurrò Shirabu con le guance che gli andavano a fuoco. Aveva completamente abbandonato il suo piatto, perché il suo stomaco si era stretto talmente tanto che sarebbe stato impossibile far entrare nuovo cibo.
 
Il giorno successivo, i tre semidei s’incontrarono nella stanza di Shirabu per definire un piano che portasse una conclusione a quella missione che era durata fin troppo.
Ognuno aveva appena preso posto, quando Semi li raggiunse nella stanza e si sedette su una delle poltrone come se fosse stato invitato.
Shirabu lo fissò confuso, poi chiese tentennante –Ehm, che stai facendo?
-Niente più segreti, voglio essere coinvolto in tutto.
Shirabu lanciò uno sguardo strano agli altri, poi tornò a rivolgersi al cantante –Stai bene?
-Benissimo. Ho solo tante domande.
-Grande... vuoi iniziare da quelle?
Semi sembrò rifletterci, poi annuì e si rivolse agli altri due nella stanza –Anche voi siete figli di qualche Dio?
Ushijima rispose tranquillo –Mia madre è Nike, dea della vittoria. Non ho alcun potere.
Semi sembrò immagazzinare quelle informazioni, poi fissò Tendo. Questo rispose a sua volte –Mentre la mia mamma è Eris.
-Non credo di averla mai sentita- rispose il cantante dopo qualche secondo.
-Sarebbe stato strano il contrario, la mia mammina non è molto amata. Essere la dea della discordia non ti da molti privilegi.
-Capito. Seconda domanda- si voltò di nuovo verso Shirabu –perché hai strappato lui dalla morte, ma non riesci a farmi passare il mal di gola?
Tendo rise piano, Shirabu fece una smorfia –La nostra missione era quella di venire qui, curarti e andarcene. I miei poteri hanno sempre funzionato senza problemi. Quando mio padre mi ha dato la missione pensavo fosse un po' troppo semplice, ma ho ipotizzato che essendo tu uno dei suoi prediletti voleva fare le cose per bene. Tuttavia, troppo tardi abbiamo capito che ti stanno avvelenando e lo sta facendo qualcuno che ha accesso alla magia o a poteri divini. Per quanto io ti curi totalmente, il giorno dopo questa tornerà più forte di prima. Se non riusciamo a trovare chi sta facendo tutto questo, non potremo mai terminare la missione.
Questa volta Semi ci mise qualche secondo di più ad elaborare quelle parole, infine passò alla sua ultima domanda –Quindi… qual è il piano adesso?
Fu Tendo a rispondere –L’idea che portiamo avanti da qualche settimana è quella di utilizzare il mio potere per capire chi ti odia abbastanza da poterti fare questo. A proposito, essendo che mia madre è la dea della discordia, io ho la capacità di capire quando una persona prova dei sentimenti d’odio e di contrasto per un’altra persona, ma solo quando lo sta effettivamente facendo. Tipo, se il nostro Kenjiro dovesse odiare quella ragazza carina del tuo staff che ti gira sempre intorno, ma non stesse provando quell’odio nei suoi confronti in questo momento, io non lo capirei. Tutto chiaro?
Semi annuì mentre Shirabu arrossiva per quell’esempio un po' troppo vero.
-Quindi il nostro piano era questo, ma sarò franco con te: hai davvero tante persone che ti odiano e ti invidiano. È molto difficile lavorare per me in questa situazione.
Se Semi rimase stupito da quella dichiarazione, non lo diede a vedere. Il suo volto rimase impassibile, come consapevole di quella realtà, infine chiese –Quindi cosa suggerisci?
-Suggerisco quello che ho sempre fatto al campo, ogni volta che qualcuno avrà dei problemi con te io lo farò notare ad alta voce e, immancabilmente, inizierà una discussione. Da quella sono sicuro che riusciremo a portare all’esasperazione chi ti odia così tanto da volerti uccidere.
-Non possiamo farlo- s’intromise Shirabu con sguardo risoluto.
-Oh ti prego, saltiamo il finto buonismo- rispose a tono il rosso.
Kenjiro s’infuriò e rispose un po' troppo cattivo –Solo perché tu sei un pezzo di merda che si diverte nel vedere gli altri litigare, non significa che questo modo di agire sia l’unico che funzionerà!
Gli occhi di Tendo si assottigliarono e il suo tono si fece freddo mentre rispondeva -Non mi diverto a far litigare le persone.
Shirabu rise e questo fece esplodere del tutto Tendo.
Il ragazzo si alzò e iniziò a raccontare sempre con lo stesso tono -Lo sai perché vivo tutto l’anno al campo? Immagino di no. Ma tranquillo, non ho problemi a parlarne: vivo lì perché mio padre è in carcere, è stato arrestato quando avevo sette anni. Vuoi sapere il perché? Lui e la mia matrigna avevano sempre problemi. Lei s’infuriava con lui per tutto, ogni cosa che non le andava bene glielo faceva sapere urlando e criticandolo. Mio padre non le ha mai risposto, ma sapevo che si teneva tutto dentro, sentivo il suo odio che aumentava di giorno in giorno. Infine è esploso. Avevo solo sette anni e stavo tornando da scuola, ho trovato i poliziotti a casa, non mi hanno fatto vedere né mio padre né il corpo della mia matrigna, ma ricordo bene il sangue di lei che era schizzato sulle pareti e a terra. Sono stato portato via dagli assistenti sociali e dopo neanche tre giorni mia madre venne a prendermi, mi portò al campo mezzosangue e quella fu la mia nuova casa.
Shirabu era gelato sul suo posto, incapace di dire nulla mentre si rendeva conto di quanto fosse stato stronzo a dire delle cose che, a pensarci bene, neanche pensava realmente.
Tendo concluse -Sono intervenuto, al campo, ogni singola volta che sentivo qualcuno tenersi dentro quello che pensava, perché ogni volta la mia mente mi riportava a quello che provava mio padre e a dove questo l’aveva portato. E se questo mi rende uno stronzo, allora sì, sono un pezzo di merda.
Shirabu avrebbe voluto scusarsi, dirgli una qualsiasi cosa che lo bloccasse. Ma nulla lasciò la sua bocca prima che Tendo lasciasse la stanza.
Rimasti in tre, il primo a parlare fu Ushijima –Anche io credo che ci sia un modo differente da quello che ha detto Satori per trovare il colpevole, ma non sei stato molto carino a dirgli quelle parole, spero che ti scuserai con lui, è sensibile e ci tiene alla tua amicizia.
Detto questo lasciò la stanza pure lui, probabilmente alla ricerca del suo fidanzato.
Kenjiro sentì i suoi occhi farsi lucidi, nascose il volto tra le braccia e mormorò a se stesso –Sono io il pezzo di merda.
Sussultò quando sentì la mano di Semi posarsi sulla sua testa, per un attimo aveva dimenticato che il ragazzo si trovava ancora lì e si diede dell’idiota per essersi mostrato così debole.
-Sei solo umano… o almeno, per metà immagino. Quindi è normale fare errori simili, tutti hanno delle giornate “no”.
Shirabu non rispose, Semi continuò –Anche se forse un po' stronzo lo sei davvero. Mi curavi con la magia e mi facevi bere quei frullati disgustosi?
A quello il figlio di Apollo rise leggermente e, quando tirò su la testa, vide che anche l’altro stava sorridendo –La prima volta che ti ho visto stavi facendo lo stronzo con il tuo staff- spiegò meglio –volevo fartela pagare quindi ho realizzato quel frullato, poi ho dovuto solo mantenere su la farsa.
Semi alzò gli occhi al cielo, la sua mano non si era ancora spostata dalla testa dell’altro e continuava a muoversi per confortarlo.
Chiese –Vuoi andare a chiedergli scusa?
-Più tardi, so che per il momento non vorrà vedermi.
Il cantante annuì comprensivo, poi aggiunse –Allora ti va di raccontarmi un po' di più?
-Di cosa?
-Di te, del tuo mondo. Cos’era quella cosa che sono il prediletto di tuo padre?
Kenjiro arrossì, sapeva che era sbagliato farlo, che a fine missione non si sarebbero più visti e che quel legame che stavano formando avrebbe reso il tutto più difficile. Ma non poté far null’altro che annuire e rispondere –Va bene.
 
Quando Shirabu bussò alla porta della stanza di Tendo, fu Ushijima ad aprirgli.
Il medico aveva lasciato passare due ore di tempo, tempo che era servito sia per sbollire lui stesso tutta la rabbia e la frustazione degli avvenimenti di quei giorni, sia per (sperava) evitare che Tendo gli urlasse contro alla sua semplice visione.
Fissò il figlio di Nike e annunciò –Vorrei parlare con Tendo, in privato.
Questo annuì e disse che avrebbe fatto un giro, poi lasciò la stanza.
Shirabu trovò Tendo nella piccola terrazza personale della sua camera, era seduto su una sdraio a bere un bicchiere di the freddo. Sembrava tanto un riccone in vacanza che non aveva alcun pensiero nella sua vita.
-Sei venuto qui per compatire la mia triste storia?- gli domandò non appena lo sentì avvicinarsi.
-Sono venuto qui a scusarmi per averti urlato contro quelle cose cattive, non le pensavo davvero.
Tendo sorrise guardandolo –Come ho già detto, è sempre meglio dirle le cose invece di tenersi tutto dentro. Comunque non potrei mai avercela con te, mi hai salvato la vita quasi a discapito della tua.
-Accetta comunque le mie scuse.
-Stai tranquillo, piccolo Kenjiro, non smetteremo di essere amici per questo.
Il medico annuì mentre il peso che aveva sullo stomaco spariva. Era sicuro che a quel punto se ne sarebbe dovuto andare, ma Tendo lo bloccò chiedendogli di fargli compagnia.
Shirabu lo accontentò sedendosi sull’altra sdraio, quella che fino a qualche minuto prima doveva essere stata occupata da Ushijima.
-Sai perché mi sono tanto impuntato di essere tuo amico?- domandò dopo qualche secondo Satori.
Kenjiro alzò le spalle e rispose –Perché ho salvato la vita a Ushijima.
Tendo gli sorrise scuotendo la testa, poi lo corresse –Perché sei l’unico che non mi ha mai odiato per quello che sono, ma solo perché stavo con Ushijima.
Il corpo di Kenjiro si bloccò sul posto e il suo volto si fece cinereo mentre sussurrava –Tu sapevi della mia cotta?
Tendo rise –Non è difficile per me capire quando una persona ha dei sentimenti di odio verso un’altra, soprattutto quando quell’odio è rivolto verso di me. Inizialmente pensavo fossi come gli altri, poi mi sono reso conto che mi odiavi solo quando stavo con Wakatoshi, quando ci vedevi scherzare insieme o baciarci. La cosa mi ha colpito, così ho iniziato a parlare con te e, per quanto non volessi diventare mio amico, tu non mi odiavi.
Kenjiro non si era mai accorto di tutto quello che l’altro stava dicendo, ma più lo sentiva parlare e più si rendeva conto che era solo la pura verità.
-Mi ha colpito- continuò Tendo –non era una cosa alla quale ero abituato e volevo a tutti i costi diventare tuo amico. E forse hai ragione nel dire che sono una persona di merda, perché diventando amici ti ho costretto a vedere ogni giorno la tua cotta che amava un’altra persona.
-Non mi hai costretto- sussurrò Kenjiro –se non ti avessi voluto nella mia vita, non ti avrei accettato.
Si era sempre detto che aveva accettato la sua amicizia passivamente, che era troppo stancante mandarlo via e che non voleva amici. La verità, però, era esattamente quella che aveva appena pronunciato, semplicemente non l’aveva mai capito fino a quel giorno.
Tendo sghignazzò borbottando qualcosa sull’essere estremanente sdolcinato, poi concluse –Sono felice che ti sia infine passata.
Quella era una novità anche per Shirabu che, alzando un sopracciglio, lo fissò confuso e chiese –Come?
-La tua cotta per Wakatoshi. Insomma, è almeno due settimane che ci vedi baciarci e non sento più nulla provenire da te.
-Oh.
Tendo fece un sorrisetto curioso –Non ti sei accorto di aver fatto spazio nel tuo cuore per un certo cantante?
Kenjiro si alzò e si voltò, prima di lasciare la terrazza sbottò malinconico –Forse ho preso anche questo da Apollo: innamorarmi di persone con le quali non avrò alcuna speranza.
Si allontanò, ma prima che riuscisse a tornare all’interno, Tendo gli urlò dietro –Sono più che sicuro che anche lui abbia una cotta per te.
Kenjiro gli sorrise triste, infine concluse –ma è un mortale. Lui non fa parte del nostro mondo.

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Capitolo 9
*** Il prediletto di Apollo - Parte 4 ***


Parte 4
Una settimana dopo ancora, le cose precipitarono talmente in fretta che sarebbe stato difficile spiegare in modo chiaro come fosse successo.
Tra i tanti problemi, Semi aveva annullato il suo tour e, per evitare di dover spiegare tutto quello che stava passando alla stampa, si era ritirato nella sua enorme villa privata. Qui, insieme ai tre semidei, aveva passato le sue giornate a cercare delle risposte per la sua situazione.
Fu grazie a queste “vacanze” che la famiglia di Eita andò a trovarlo. La madre e la sorella più grande, Izzy, si presentarono senza neanche avvertire, ma Shirabu si rese conto che al cantante non importava. I suoi occhi erano luminosi mentre le abbracciava felice.
-Ehy fratellino!- lo salutò la ragazza –Sei talmente famoso da poterti permettere di abbandonare un tour nazionale così di punto in bianco?
Semi rise alla battuta e la raggiunse per stringerla in un forte abbraccio. Fu a quel punto che Tendo non riuscì a reprimere un gemito di dolore mentre si portava entrambe le mani alla testa.
-Che succede?- Shirabu lo raggiunse all’istante, pronto a curarlo.
-Sento il suo odio, è forte- rispose il rosso in un mormorio dolorante –è lei, lei vuole suo fratello morto.
-Sei sicuro?- domandò sconvolto Shirabu.
-Sì.
A quella sentenza, Ushijima intervenne all’istante per dividere con forza i due fratelli.
-Ma che diavolo…?- chiese confuso il cantante.
Shirabu si rivolse alla ragazza –Vuoi tuo fratello morto?
Il verso scioccato e sconvolto arrivò da Eita ma non dalla ragazza, la quale lo fissò impassibile e fredda mentre chiedeva –Chi diavolo sei tu? Il suo nuovo giocattolino?
Allo stesso tempo, la madre era spaventata e con una mano sul cuore chiese incerta –Chi sono queste persone?
-Sono dei pazzi- rispose Izzy –come potrei mai volere il mio caro e dolce fratellino morto?
Tendo rise –La tua mente pensa cose molto diverse- la sua voce si abbassò e si fece più seducente –perché non ci dici la verità? Tanto lo sappiamo già, ma sai che soddisfazione poterlo dire ad alta voce?
La ragazza si perse a fissare Tendo e sembrava quasi convinta dalle sue parole, tuttavia strinse le labbra e sorrise come a volerlo sfidare.
Il figlio di Eris sorrise a sua volta e continuò –Vedo che la tua volontà è molto forte se riesci a resistermi, ma perché non dire la verità? Ti renderà molto appagata poter urlare tutto quello che ti sei tenuta dentro, fidati di me.
Le labbra della ragazza si aprirono, sussurrò qualcosa che nessuno riuscì a sentire e solo a quel punto Semi interevenne in quella conversazione –Izzy? Digli che non è così, che non faresti mai una cosa del genere!
-Oh sta zitto, cazzo! Perché non sei ancora morto?- urlò infastidita e incazzata –Quell’uomo aveva detto che avrebbe funzionato subito! Perché sei ancora qui dopo tutto questo tempo?
La madre iniziò a urlare chiedendo cosa diavolo stesse succedendo, Semi cadde in ginocchio sconvolto e Izzy rise isterica –Cosa? Ho rovinato l’idea che avevi di me? Cristo, come hai fatto a non capire quanto ti odiassi? Eita di qua, Eita di là, sei quello che tutti preferiscono! Da quando sei nato, nessuno si è più ricordato della mia esistenza e più crescevi e più le cose peggioravano! Mi hai distrutto la vita! Come minimo dovresti morire in modo che possa vivere gli anni che mi restano come merito!
A quel punto i suoi occhi s’illuminarono di magia dorata e con un timbro di voce che non le apparteneva davvero, urlò –Marsia, dammi la tua forza!
La stanza si riempì di vento e un’inquietante musica di flauto si diffuse in tutto l’ambiente.
La madre di Semi, che aveva continuato a urlare fino a quel momento anche se nessuno le stava effettivamente dando ascolto, svenne e tutto quel fracasso non sembrò attirare nessuna delle persone che lavoravano per il cantante, almeno non si sarebbero dovuti occupare dei mortali.
-Chi diavolo è Marsia?- urlò Tendo per farsi sentire anche dagli altri.
Ushijima scosse la testa confuso quanto lui, Shirabu invece corrugò la fronte e cercò di ricordare. Era sicuro di aver già sentito quel nome e, soprattutto, era sicuro che c’entrasse suo padre.
Semi sembrava in preda al panico mentre, con voce rotta, chiedeva –Cosa… sta succedendo a mia sorella? Perché ha detto quelle cose?
Fu Shirabu a spiegare velocemente –Probabilmente tua sorella ha sempre provato dei sentimenti di gelosia nei tuoi confronti. Sono sicuro che non volesse davvero ucciderti, ma quando Marsia è entrato nella sua mente deve aver amplificato le sue emozioni fino all’esasperazione e l’ha utilizzata per avvelenarti.
-Ma…
Probabilmente il cantante aveva tantissime altre domande che gli vorticavano per la testa, dovette bloccarsi quando vide quello che stava succedendo a Izzy.
I lineamenti della ragazza vennero stravolti, come se il suo viso stesse cambiando. Quando parlò di nuovo, lo fece con una voce totalmente maschile, segno che era stata posseduta da uno spirito.
-Sono vittima degli dei tanto quanto voi! Dovremmo stare dalla stessa parte.
Tendo rise –Non siamo vittime degli dei.
-E intanto vi usano come bambole che mandano nelle missioni suicide per sistemare i loro casini.
Prima che qualcuno potesse intervenire per difendere i propri genitori, Kenjiro ricordò il mito di Marsia e urlò –Tu dovresti essere morto!
-Io sono morto e il tuo paparino non l’ha resa una cosa indolore. Ma il mio risentimento era più grande, sono anni che mi vendico di lui nel silenzio, non è il primo protetto di Apollo che prendo di mira, come credete siano morti Freddie Mercury o Michael Jackson?
-Una cosa un po' da codardi vendicarsi su un mortale solo perché non hai il coraggio di prendertela nuovamente con Apollo- Tendo rise –non trovate?
Il corpo di Izzy si voltò di scatto verso di lui, poi rise a sua volta –Credi che sia così stupido? Sono già stato battuto una volta, non ripeterò lo stesso errore. Apollo si è preso gioco di me, io mi divertirò a spese dei suoi prediletti e, se uno dei suoi figli ci andrà di mezzo, che ben venga.
Sia Ushijima che Tendo si misero davanti ai due ragazzi nello stesso momento.
Ushijima disse –Mia mamma non mi perdonerebbe mai se perdessi una battaglia simile.
Tendo aggiunse –Esatto, non posso di certo fare brutta figura con la mia futura suocera- poi si rivolse a Kenjiro –che poteri ha questa mezza scartina?
-Non ne sono sicuro- rispose il figlio di Apollo cercando di ricordare tutti i dettagli del mito –era un satiro e si definiva il maestro del flauto doppio, così ha sfidato mio padre in una gara. Quando Apollo ha vinto, l’ha scorticato appendendolo ad un albero.
Tendo iniziò a scuotere la testa con lo sguardo di chi stava per rimproverare un bambino per aver fatto una bravata –com’è che nessuno impara mai che una delle prime regole è quella di non sfidare gli dei?
-Quando vi ucciderò, non vi divertirete così tanto a prendervi gioco di me!
-Mi dispiace, ma come ha detto il mio fantastico ragazzo, saremo noi a vincere.
A quel punto, Semi si era ripreso dal suo shock iniziale e con disperazione urlò –Non fate del male a mia sorella!
La consapevolezza che il satiro stava utilizzando il corpo di un essere umano li colpì in pieno e, mentre Tendo bestemmiava poco velatamente, Ushijima commentò –Le cose si sono fatte un po' troppo complicate.
La battaglia che ne seguì fu complessa. Il satiro nel corpo di Izzy era nettamente inferiore a loro ma, quando dovevano combattere con lo svantaggio di non poter ferire il proprio avversario, non c’era un effettivo modo di poter vincere, a meno che…
-Immobilizzatelo!- urlò Shirabu ai suoi due amici e questi si adoperarono all’istante per cambiare le loro mosse.
Dovettero passare diversi minuti, ma infine riuscirono a bloccarlo al pavimento, trattenendo con la forza fisica e le armi.
Fu a quel punto che Shirabu corse da loro, si inginocchiò di fronte la testa e, prendendogliela tra le mani, iniziò a curarla.
Non era un qualcosa che avesse mai provato o sperimentato, gli era solo venuto in mente e, non avendo altre idee, poteva solo pregare che funzionasse.
Il satiro era un parassita all’interno di Izzy, ciò significava che se Shirabu avesse messo tutto se stesso nel curare il corpo della ragazza, sarebbe dovuto riuscire a mandarlo via.
La forza che lo spirito stava utilizzando per contrastarlo era talmente potente che Kenjiro dovette impiegare molta più energia di quella utilizzata per curare Tendo, urlava per mantenersi vigile e costante, ma erano soprattutto le scosse di dolore che il nemico gli inviava a non averlo fatto svenire neanche una volta.
Nonostante ciò, quando lo spirito fu finalmente scacciato dal corpo della mortale, Shirabu era talmente stordito che non riusciva a mettere a fuoco tutto quello che gli succedeva intorno.
Sentì il suono di un flauto che si diffondeva nell’aria, poi la voce di Semi che urlava incredulo “Lester!?” e, infine, quella tuonante di suo padre che affermava “non ti permetterò più di torturare i miei semidei con la tua orribile musica!”. Shirabu non era sicuro di quando Apollo li avesse raggiunti, avrebbe voluto commentare che si era perso la parte migliore della battaglia, ma tutto divenne nero e cadde in avanti prima ancora che una sillaba riuscisse a lasciare le sue labbra.
 
Quando Shirabu si svegliò, fu Tendo la prima persona che vide.
Il rosso gli sorrise e, come prima cosa, commentò –Tuo padre è davvero bravo ad arrivare alla fine delle battaglie e prendersi tutto il merito.
Shirabu fece una smorfia mentre si metteva seduto –Non lo sono forse tutti gli dei?
Tendo rise, poi il medico chiese –Cos’è successo?
-Dopo che sei riuscito a far uscire quel satiro dal corpo della sorella di Semi-Semi, lui ha provato ad attaccarci con la sua musica. Quando ha iniziato a farlo ho sentito la mente confusa e le gambe che cedevano. È stato a quel punto che è arrivato Apollo e l’ha sconfitto totalmente con non so quale dei suoi trucchi magici. In realtà sembrava più offeso per il fatto che Marsia avesse provato a suonarci la sua musica che a ucciderci.
Shirabu rise –Niente di nuovo neanche in questo.
-Già- il sorriso di Tendo si fece più triste mentre si alzava –Preparati, ci ha offerto un viaggio sul suo carro per tornare al campo, si parte a breve.
Il cuore di Kenjiro si strinse in una morsa, quindi era ufficialmente finita.
Tendo lasciò la stanza, ma prima di andarsene commentò –Semi è nella sua camera.
 
Shirabu non aveva nulla da sistemare, non aveva una valigia e il suo zaino era già pieno dei suoi pochi averi. Fu con questo in spalla che si diresse nella camera del cantante bussando piano alla sua porta.
Non ricevette alcuna risposta, ma questo non gli impedì di entrare comunque.
Semi era seduto sul letto, le mani incrociate davanti a sé e lo sguardo vacuo puntato verso l’enorme portafinestra.
Shirabu si sentì ancora più male a quella vista e, subito, lo raggiunse.
Gli si inginocchiò di fronte e gli afferrò le mani, sia per evitare che continuasse a tormentarsele, sia per capire se stesse ancora male, ma la sua maledizione era sparita.
Si sentì meglio nell’avere quella certezza: l’aveva salvato, era riuscito nella sua missione.
-Ehy- sussurrò.
Semi spostò il suo sguardo su di lui e i suoi occhi si fecero lucidi –Io… non ce la faccio- mormorò –tutto questo è troppo, non so come gestirlo.
-Lo so- rispose Kenjiro accarezzandogli i palmi delle mani con i pollici –ma andrà bene, tu stai bene. Andremo via dalla tua vita e tutto questo ti sembrerà solo un brutto sogno, potrai tornare a vivere come sempre nella più totale normalità.
Semi non rispose, il suo sguardo era strano e Kenjiro non volle neanche iniziare a pensare a cosa potesse significare.
Prima di pentirsene, si alzò e avvicinò il volto al suo. Gli diede un bacio in bocca talmente leggero da poter essere scambiato per un soffio di vento e sussurrò –Addio, Eita.
Lasciò la stanza prima che l’altro riuscisse a rispondere.
 
Il viaggio fino al campo fu breve e senza intoppi. Una volta arrivati alla collina dell’ingresso fu Tendo il primo a scendere dal veicolo e correre urlando –Ehy stronzette! Sono tornato!
Ushijima lo seguì a ruota mentre rimproverava il suo ragazzo, ricordandoglio il discorso che avevano fatto mille volte su quali fossero i soprannomi giusti da utilizzare.
Shirabu rimase solo con suo padre, lo ringraziò a nome di tutti per il passaggio e fece per seguire i suoi amici, ma Apollo lo bloccò dopo neanche due passi.
-Hai svolto egregiamente la missione che ti ho affidato. Cosa desideri come ricompensa?
Kenjiro non rispose, sul momento non gli veniva nulla in mente da poter chiedere a un dio.
Apollo continuò –Vuoi nuove conoscenze? La capacità di parlare in rima?
-Ti prego no- rispose all’istante.
-Ma qualcosa devi pur volere!
Kenjiro sospirò, poi un piccolo pensiero iniziò a farsi strada nella sua testa e chiese –Potresti… cancellare la memoria di Semi? Vorrei solo… che tutto il suo mondo tornasse alla normalità.
Apollo alzò le sopracciglia, sorpreso –Sei sicuro che sia quello che vuoi?
-Sono sicuro.
 
-
 
In inverno restava al campo mezzosangue solo chi non aveva una famiglia dove tornare. Shirabu era uno dei pochi fortunati che la possedeva. Sua madre aveva trovato un uomo che l’amava, che aveva accettato Kenjiro come se fosse suo figlio. Il ragazzo quindi, non solo aveva dei genitori che gli volevano bene, ma anche una sorellina, Mimi, di sei anni che lo considerava il suo eroe.
Quel freddo pomeriggio stava giocando con lei. Fuori nevicava ed era già buio, ma il calore del camino e delle decorazioni natalizie rendeva l’atmosfera calda e felice. La loro madre stava preparando la cena, mentre il suo patrigno cercava di riconfigurare il televisore quando alcuni dei canali erano magicamente scomparsi.
Fu proprio quest’ultimo ad andare alla porta d’ingresso quando suonarono.
Shirabu sentì distrattamente una voce, che era abbastanza sicuro di conoscere, chiedere –Salve, c’è Kenjiro?
E il suo patrigno rispondere –Sì, è qui. Ma vieni entra, ti sarai congelato a uscire con questo tempo.
Shirabu aveva corrugato la fronte, confuso su chi potesse cercarlo in casa propria, non che avesse propriamente degli amici.
La sua sorellina si alzò in fretta e, più curiosa di lui, corse a vedere chi fosse arrivato a fargli visita.
Shirabu la sentì urlare e, di corsa, si affrettò a raggiungerla in posizione d’attacco, convinto che fosse un mostro camuffato o qualcosa di simile.
Dovette, tuttavia, bloccarsi di scatto quando si rese conto di chi ci fosse sotto tutti quegli strati di giubbotto, sciarpa e cappello.
La bambina continuò a urlare mentre lo indicava –MA TU SEI IL CANTANTE!
Anche la madre era stata attirata dalle urla di Mimi e, quando capì la situazione, schiaffeggiò il dito teso della bambina e la rimproverò –Non si indicano le persone!
Semi rise nel vedere quella scena e Kenjiro si ricordò perché si era innamorato di lui. Arrossì a quel pensiero e sbottò –Che cosa ci fai qui!?
-Volevo vederti- rispose semplicemente Eita di fronte a tutta la sua famiglia. Kenjiro arrossì ancora di più e l’unica cosa sensata che si trovò a fare fu ragiungerlo, afferrarlo per una mano guantata e marciare verso la propria stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
Semi si guardò intorno, sorridendo intenerito mentre si soffermava su alcuni poster o peluche.
Shirabu continuò a fissarlo con gli occhi spalancati, poi balbettò –Tu… io… cosa sta succedendo?
-Ah vero- ricordò Semi portando lo sguardo su di lui mentre, con calma, iniziava a togliersi tutti quegli indumenti in più che, all’interno della casa riscaldata, non servivano –tu ancora credi che tuo padre mi abbia cancellato la memoria.
-Non l’ha fatto!?
-Voleva farlo, ma ha lasciato la scelta a me. È tornato nel mio appartamento dopo che ve ne siete andati e mi ha detto che quello era il tuo desiderio. Sarò sincero, era totalmente tentato di accettare e dimenticare tutto. Ma c’era una cosa che mi bloccava.
-Cosa?- sussurrò il castano mentre si staccava dalla porta e lo raggiungeva.
-Tu- rispose semplicemente il cantante, alzando una mano non più guantata e accarezzandogli il viso –non volevo dimenticare te né tutto quello che mi avevi fatto provare. A quel punto ho capito, non volevo una vita normale, volevo far parte della tua vita strana e piena di pericoli.
-Semi…
-Ho chiesto a tuo padre di darmi la vista. Lui ha alzato le spalle e ha affermato che togliermi la memoria o darmi la possibilità di vedere il vostro mondo non era tanto differente, quindi l’ha fatto.
-Cosa…- i suoi occhi erano lucidi e non sapeva che pensare.
-Ho passato questi mesi ad accettare e capire la mia scelta. Ho scoperto che mi veniva più facile accettare ogni cosa scrivendoci una canzone, ho pronto un intero album che parla di voi e la vostra avventura, che parla di me e di te. Ma soprattutto, ho passato questi mesi ad allenarmi. Non sono allo stesso livello di Tendo e Ushijima ancora, ma posso proteggerti e lo farò ogni volta che ce ne sarà bisogno.
Kenjiro rilasciò un singhiozzo e strinse entrambe le sue mani contro la felpa del ragazzo, poi chiese in un mormorio –Sei sicuro?
-Non sono mai stato così sicuro di amare qualcuno come lo faccio per te, Kenjiro.
-Anche io ti amo- singhiozzò il più piccolo prima di mettersi in punta di piedi e concedergli il suo primo vero bacio.
Semi sorrise sulle sue labbra e rispose con dolcezza.
Si allontanarono solo quando la porta della stanza fu aperta senza neanche bussare, Kenjiro si staccò dalla labbra del ragazzo ma nascose il volto contro il suo collo per evitare che, chiunque fosse, non vedesse il suo pianto e il suo imbarazzo.
Semi se lo strinse contro, cullandolo tra le sue braccia, mentre si voltava verso la porta e sorrideva a chiunque fosse entrato.
La madre di Kenjiro disse –Oh scusate, adesso vi lascio subito soli, volevo solo sapere se ti va di restare a cena.
Semi sorrise di più mentre rispondeva –Certo signora, se per voi va bene resterei volentieri.
Shirabu sentì sua madre approvare felice e poi chiudere di nuovo la porta. Semi tornò a voltarsi verso di lui e, dopo avergli lasciato un bacio in testa, gli sussurrò contro l’orecchio –Resto per cena ma, se per te va bene, vorrei restare per sempre.
 
 



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n.a. Salve! Sì, dovevo pubblicare ieri ma ho dimenticato che fosse venerdì quindi eccomi qui ora. Bene ma non benissimo ahah
Parlando del capitolo volevo fare alcune precisazioni: non ho voluto trattare il discorso di Semi e sua sorella nel dettaglio perché pensavo che fosse troppo delicato e si sarebbe allungata troppo la storia. Ho comunque descritto dell’odio che lei provava per lui. La mia idea (come ipotizza anche Shirabu a un certo punto) è che questo abbia attirato lo spirito di Marsia e che lui l’abbia convinta ad agire in quel modo. Probabilmente quindi, senza la sua influenza, Izzy (che a proposito, è un personaggio completamente inventato) non sarebbe arrivata a decidere di volerlo morto, alla fine chi non ha mai provato gelosia per il fratello minore o maggiore? Qui la cosa è stata portata al livello successivo ma per colpa del "mondo magico". Al lettore vorrei dare la facoltà di decidere cosa è successo dopo: Marsia è stato sconfitto ma sua sorella è viva e ci sono due opzioni per Semi: potrebbe averla allontanata dalla sua vita, come potrebbe averla portata ad un centro di riabilitazione (perché, insomma, è pur sempre stata posseduta) e qui pian piano stanno ricostruendo il loro rapporto. Non ero sicura di quale fosse la scelta giusta e non riuscivo a immaginarmi bene nessuna delle due cose, quindi ho preferito non scriverlo, dedicandomi semplicemente  a dare una fine alla storia di Semi e Shirabu.
Spero davvero che vi sia piaciuta e continuate a seguirmi che venerdì prossimo con il nuovo capitolo inizierà la kuroken!
Deh <3

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Capitolo 10
*** Il torto ad Eros - Parte 1 ***


Storie intorno al fuoco
Il torto ad Eros


Parte 1
Il sudore scendeva lungo la fronte di Kuro. Il suo sguardo era vigile e si muoveva in fretta mentre cercava di capire quale fosse il piano migliore per non morire. Infine, allungò la mano e fece la sua mossa.
Kenma, seduto sulla panca di fronte a lui, alzò l’angolo della bocca in un piccolissimo sorrisetto e annunciò –Scacco matto!- prima di fare la sua di mossa e vincere la partita.
-Ancora!- urlò Kuro infuriato mentre tornava a sistemare le sue pedine.
-Quando smetterai di farti umiliare in questo modo?- domandò la voce di Yamamoto da dietro di lui, lo raggiunse e si sedette al suo fianco nel tavolo da picnic vicino al lago che stavano utilizzando per giocare a scacchi –adesso a quante vittorie è Kenma?
Fu il ragazzino a rispondere mentre metteva in riga i suoi pezzi neri –Da quando abbiamo iniziato due anni fa, sono a centoquarantotto.
-Vedrai che riuscirò a vincerne una prima che arriverà a centocinquanta.
-Mi sembra di aver già sentito questa frase- Yamamoto rise mentre si concentrava interessato alla loro partita.
Era masochista da parte di Kuro voler giocare nel gioco di strategia per eccellenza con il figlio di Atena dotato del potere migliore tra tutti quelli della sua cabina? Probabilmente sì, soprattutto se si considerava che questo potere faceva in modo che la mente di Kenma riuscisse a calcolare tutte le possibili varianti di ogni problema che si trovava davanti per poi indirizzarlo verso la soluzione migliore. Quindi, avrebbe mai potuto vincere contro una mente del genere? Sicuramente no, ma questo non gli impediva di continuare a provarci.
Non era tanto una questione di principio o di orgoglio, come tutti credevano. Era semplicemente una cosa che Kuro faceva solo per Kenma, per quanto lui stesso si fosse interessato a quel gioco dopo tutte quelle partite. Il figlio di Atena aveva sempre amato i videogiochi, questi tuttavia attiravano i mostri e al campo non potevano essere utilizzati. Kenma aveva pertanto dovuto spostare la sua passione in giochi diversi e quelli da tavolo erano gli unici disponibili. Avevano imparato a giocare a scacchi insieme e non avevano mai smesso.
Kuro lo faceva per Kenma, perché è così che funziona quando due persone si amano. Ognuno si premurava di conoscere gli interessi dell’altro e condividerli. Come, infatti, Kenma giocava più spesso di quanto avrebbe voluto a pallavolo, tutto solo per il corvino.
Avevano fatto due mosse nella partita appena iniziata, prima che la voce di Lev, un figlio di Apollo, corresse verso di loro chiamando a gran voce il nome di Kenma.
-Kenmaaaa! Kenmaaaaaaa!
Il volto del figlio di Atena si accartocciò in una smorfia di puro fastidio e Kuro sorrise divertito, pronto a godersi tutta la scena.
Quando Lev fu abbastanza vicino, Kenma gli disse con voce tagliente –Potresti evitare di urlare di primo mattino?
Lev sbatté le palpebre e confuso esclamò –Ma sono le sei del pomeriggio!
Kuro alzò la mano per nascondere la sua risata, anche se si beccò comunque un’occhiataccia dal proprio ragazzo.
Questo poi sbuffò e chiese –Che cosa vuoi?
Lev tornò a illuminarsi ricordandosi quello per il quale li aveva raggiunti, stritolò Kenma in un enorme abbraccio e iniziò a urlare –Grazie mille! I tuoi consigli hanno funzionato! Yaku ha detto che uscirà con me!
-Ew, davvero?- persino Kenma sembrava sorpreso, probabilmente non pensando sul serio che le due frasi che aveva detto il giorno prima al figlio di Apollo, solo per far felice Hinata, avessero davvero funzionato.
Kuro s’intromise commentando –Forse ti stava solo prendendo in giro.
Lev si staccò da Kenma, offeso, e gonfiò le guance per rispondere a tono –Yaku non lo farebbe mai!
Kuro avrebbe voluto rispondere che il piccolo nano, essendo un figlio di Ares molto stronzo, era invece abbastanza probabile che l’avesse fatto. Non riuscì però a dirglielo perché il ragazzo andò via, quasi certamente ad annunciare a tutto il campo del suo nuovo appuntamento.
 
Quella sera si stavano divertendo intorno al falò, raccontando storie, cantando e festeggiando. Kuro stava ascoltando una conversazione di Daichi e Asahi, quando fu raggiunto dal suo ragazzo.
-Kuro- lo chiamò questo piano, arrivandogli alle spalle e aggrappandosi con due dita alla sua maglia arancione.
-Che succede, gattino?- domandò subito il corvino mentre si girava e se lo stringeva contro, dimenticando completamente gli altri due.
-Devi smetterla di distribuire il vino che fai! Devo ricordarti cos’è succeso l’ultima volta che Chirone l’ha scoperto?
Kuro rise –Non preoccuparti, a papà non è dispiaciuto e mi ha salvato.
-Il signor D è un po' troppo di parte- borbottò il mezzo biondo, anche se il suo volto aveva un mezzo sorriso a quel ricordo –Almeno dovresti evitare di dare il vino alle persone sbagliate. Sono stato molestato da Hinata e Bokuto per almeno tre minuti. Tre minuti Kuro, capisci?
Il figlio di Dionisio rise, gli baciò la testa e rispose –povero piccolo, dev’essere stato terribile.
Kenma gli diede un pugno leggero sullo stomaco –Non prendermi in giro, stronzo.
Kuro rise ancora di più.
Il momento fu interrotto dall’arrivo di Lev e Yaku, i due ragazzi erano mano nella mano e il figlio di Apollo disse indispettito –Visto che non mi stava prendendo in giro?
Kuro li fissò seriamente stupito, poi si rivolse a Yaku –Non riesco proprio a immaginarti mentre fai il romantico.
Quella che c’era tra lui e Yaku era una rivalità che andava avanti dalla prima estate che avevano passato al campo, non erano certi di come fosse iniziata, ma divertiva entrambi ed era anche un modo che li legava, nonostante non l’avrebbero mai ammesso, quindi non avevano mai smesso.
Yaku rispose a tono –Vedrai, diventeremo migliori anche di te e Kenma.
Kuro rise –Per favore! Nessuno potrebbe mai superare noi due! Io e Kenma siamo la coppia migliore del mondo! Quelli che tutti invidiano! Neanche Eros avrebbe mai potuto fare un lavoro così perfetto!
-Kuro- lo ammonì Kenma con voce bassa stringendogli la mano. Il figlio di Dionisio non seppe dire se lo stesse facendo perché i toni si stavano un po' troppo riscaldando o perché non era mai un bene citare direttamente gli dei. I miti gli avevano pur insegnato qualcosa. Ma a Kuro non importava. Il loro legame era forte, cosa avrebbero potuto fargli?
Qualche ora dopo stavano tutti tornando alle proprie cabine per la notte e, come ogni sera, Kuro stava accompagnando Kenma nella propria.
Il più piccolo era più silenzioso del solito e il suo sguardo era vacuo, come se stesse rincorrendo pensieri lontani.
-Ehy- Kuro sussurrò quando arrivarono di fronte l’ingresso della cabina dei figli di Atena –che hai?
-Non lo so- rispose il mezzo biondo sincero –ho un brutto presentimento.
Kuro rise –ti preoccupi troppo!
Kenma sospirò nascondendo il volto contro il suo petto –sei tu che mi fai preoccupare.
Il corvino gli lasciò un bacio tra i capelli –Stai tranquillo, pensa solo a riposarti che domani sarà una giornata impegnativa.
Il figlio di Atena alzò uno sguardo sospetto su di lui –Perché dici così?
-Perché domani sarà il giorno in cui vincerò una partita a scacchi!
Kenma rise borbottando –Idiota.
Stavano ufficialmente insieme da due anni e si conoscevano da ancora più tempo, ma Kuro si innamorava di nuovo ogni volta che lo vedeva sorridere in quel modo.
Si chinò a baciarlo dolce, prendendo il suo viso a coppa con entrambe le mani e accarezzandogli le sue guance morbidissime con i pollici. Era un bacio lento ma non per questo privo di passione.
Quando si staccò sussurrò –Buonanotte- direttamente sulle sue labbra.
-‘notte- rispose Kenma stordito e con le guance imporporate.
Dèi, quanto lo amava! Come poteva non farlo dopo che era passato tutto quel tempo e lui reagiva ancora in quel modo adorabile quando lo baciava?
Gli beccò nuovamente le labbra, per poi lasciarlo andare per dirigersi nella propria cabina. Durante il tragitto, come sempre, i suoi pensieri furono invasi dai ricordi che aveva con il suo ragazzo. Il suo piccolo, tenero e adorabile fidanzato.
Kuro l’aveva conosciuto quando aveva otto anni. Kenma si era trasferito insieme al padre in primavera nella casa accanto alla sua. I due ragazzini non si erano mai presentati e solo qualche rara volta incrociavano lo sguardo quando entrambi si trovavano in giardino a giocare, uno con la palla e uno con i videogiochi.
Passò solo una settimana prima che i due bambini si trovassero in mezzo a uno scontro.
Era pomeriggio e, avendo finito tutti i compiti per il giorno dopo, Kuro stava giocando nel suo giardino. Ebbe un brivido lungo la schiena e girandosi verso l’altra casa vide un gemini pronto ad attaccare alle spalle il bambino dal caschetto castano che stava giocando a un videogioco seduto sulle scale del proprio portico.
Il suo battito accellerò e urlò disperato –Spostati!
Kenma ebbe degli ottimi riflessi perché si lanciò immediatamente in avanti, evitando il colpo mortale da parte del mostro mezzo uomo e mezzo serpente.
Kuro trattenne il fiato quando si rese conto che, anche se aveva evitato il primo attacco, il bambino era troppo piccolo e magro per ingaggiare una vera battaglia, non ce l’avrebbe mai fatta.
Dovette ricredersi quando iniziò a schivare ogni singolo colpo. Certo, non attaccava perché non aveva modo di fare, ma almeno non veniva colpito.
Kuro era rimasto stupito dalla cosa, scoprendo solo in seguito che quello faceva parte del suo potere: vedere la traiettoria dei colpi degli avversari e avere tutto il tempo di schivarli e progettare un contrattacco.
Il corvino corse in casa urlando –Mamma! Mamma! Stanno attaccando il vicino di casa!
Si affrettò a cercare il pugnale in bronzo celeste che suo padre gli aveva regalato la prima estate che era stato al campo mezzosangue, per poi correre nuovamente fuori, pronto ad aiutare il bambino.
Sentì distrattamente sua madre seguirlo e chiedere a gran voce cosa diavolo stesse succedendo. Tutto quel fracasso aveva portato fuori di casa anche il padre del bambino, però entrambi gli adulti erano costretti dalla foschia a non vedere il mostro.
Fortunatamente il gemini era da solo e, nonostante fossero entrambi piccoli, riuscirono a ucciderlo abbastanza facilmente.
Una volta che il pericolo fu scampato, Kenma fu il primo a guardarlo per davvero chiedendogli –Tu lo vedevi?
-Sì! Sei un semidio anche tu?
Il bambino aveva annuito mentre entrambi i genitori si rendevano conto della situazione e iniziavano a parlare tra di loro.
-Chi è il tuo genitore divino?- domandò esaltato Kuro.
-Non lo so- rispose l’altro alzando le spalle.
-Il mio è Dionisio! Comunque non dovresti giocare con le cose elettroniche, attirano i mostri! L’hanno detto al campo!
-Campo? Quale campo?- quella domanda arrivò dal padre del piccolo Kenma.
-Il campo mezzosangue! È un posto per semidei, resta lì tutto l’anno chi non ha una famiglia, mentre quelli come me ci vanno solo in estate. Lì t’insegnano a usare i tuoi poteri e a uccidere i mostri! È divertente perché si fanno un sacco di giochi e ci sono tantissimi ragazzi come noi!
A quel punto la madre di Tetsuro decise di invitare i due vicini dentro casa, per spiegargli meglio tutta la situazione. Da quel giorno i due bambini diventarono inseparabili.
Un mese dopo, all’inizio dell’estate, Kuro portò Kenma al campo e qui il bambino non si staccò da lui fino a quando non furono costretti a dormire in cabine diverse.
Alla fine dell’estate Kenma fu riconosciuto come figlio di Atena dopo una vittoria schiacciante nella caccia alla bandiera, tutto merito del suo straordinario potere. Tutti i componenti della sua squadra lo stavano festeggiando quando sopra la testa del bambino comparve il simbolo della dea in questione.
Passato l’imbarazzo iniziale, per i due era stato facile diventare inseparabili. Facevano sempre coppia a ogni gioco o gara al campo. In inverno s’iscrissero nella stessa scuola e non importava se Kenma fosse un anno più piccolo, il pomeriggio si vedevano sempre l’uno a casa dell’altro per studiare insieme. Era stato facile diventare migliori amici. Era stato facile scambiarsi il loro primo bacio a stampo quando Kuro aveva tredici anni. Era stato facile, l’anno successivo, iniziare a parlare seriamente dei sentimenti e della possibilità di mettersi insieme. Era stato facile far andare avanti la relazione. Era stato facile dirgli “ti amo” ed erano state facili tutte le loro prime volte.
Era sempre stato tutto facile perché Kuro e Kenma erano destinati a stare insieme e nessuno avrebbe mai potuto mettersi in mezzo. Tetsuro era convinto di quell’affermazione. Non aveva però pensato che per un dio nulla era impossibile.






ATTENZIONE: dalla prossima settimana e fino alla fine di questa storia il giorno degli aggiornamenti cambierà e non sarà più il venerdì ma il mercoledì!

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Capitolo 11
*** Il torto ad Eros - Parte 2 ***


Ciao!
Come già anticipato dallo scorso capitolo, gli aggiornamenti di questa storia verranno pubblicati di mercoledì. Volevo inoltre informarvi che la Kuroken avrà 4 parti come la Semishira, ma che in particolare il prossimo (quindi il 3) sarà il più lungo di tutti perché non c'erano altri modi per dividere la storia.
Buona lettura e ci sentiamo alla prossima settimana con l'inizio della missione!
Deh
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Parte 2
Il giorno dopo, quando Kenma fu svegliato da Akaashi perché in ritardo come sempre per la colazione, non sentì nulla di diverso rispetto agli altri giorni.
Era una calda giornata estiva, ma non così calda da farlo sudare nel suo letto, si poteva considerare un enorme traguardo.
-Sono sveglio- farfugliò mentre si stiracchiava nel proprio letto all’interno della cabina silenziosa, visto che tutti erano già andati via.
-Va bene, io inizio ad avviarmi allora, c’è Kuro che ti aspetta qui fuori- lo informò il fratellastro da parte di mamma.
Kenma si alzò con calma, poi prese un cambio di vestiti e si diresse in bagno per lavarsi e cambiarsi. Non andò di fretta, ma non fece neanche le cose con la sua solita calma, Kuro avrebbe dovuto proprio apprezzare questi suoi accorgimenti che non lo avrebbero fatto aspettare più del dovuto.
Un quarto d’ora dopo che Akaashi l’aveva chiamato, Kenma fu finalmente pronto ad affrontare la giornata e lasciò la cabina di Atena, trovando Kuro seduto sui gradini di legno all’ingresso a ripararsi dal sole.
Non appena il suo ragazzo lo vide, il suo volto s’illuminò per un enorme sorriso e si alzò per raggiungerlo. Kenma arrossì per quella dimostrazione di sentimenti così evidente e si mise in punta di piedi per assecondarlo nel bacio del buongiorno, infine s’incamminarono insieme verso la mensa.
Fin qui andò tutto bene, le cose tuttavia cambiarono nel momento in cui Kenma fece due passi e sentì le sue energie venire meno. Cadde in ginocchio senza neanche rendersene conto e solo distrattamente sentì la voce di Kuro che urlava il suo nome, poiché tutta la sua preoccupazione era concentrata su un solo dettaglio: non riusciva a respirare.
Si strinse le mani alla gola, cercando di capire cosa gli stesse impedendo di prendere aria, ma non c’era nulla che lo stesse bloccando fisicamente.
Iniziò a boccheggiare, gli occhi spalancati mentre si dimenava.
Sentiva Kuro che continuava a urlare il suo nome, le sue mani che si sovrapponevano a quelle più piccole mentre con urgenza gli chiedeva cosa gli stesse succedendo. E se solo Kenma l’avesse saputo o avesse potuto, gli avrebbe risposto subito.
E poi, così com’era arrivato, tutto passò all’istante.
Kenma riuscì a respirare di botto talmente tanta aria che si trovò a tossire violentemente, strizzò gli occhi per scacciare le lacrime e solo quando fu abbastanza in forze da alzare lo sguardo si rese conto che Kuro non c’era più.
Non dovette guardarsi intorno per molto però, poiché il suo ragazzo stava tornando correndo seguito da altri ragazzi. Kenma immaginò che, non sapendo cosa stesse succedendo e cosa fare, fosse corso via per chiedere aiuto ad altri semidei.
Con le gambe ancora tremanti provò a mettersi in piedi e quando Kuro fu nuovamente abbastanza vicino da sentire la sua voce, aprì la bocca per dirgli che stava bene, che non sapeva cosa gli fosse successo ma che adesso stava bene.
Nessuna parola però riuscì a lasciare la sua bocca, perché il dolore si ripeté più intenso di prima e, mentre boccheggiava senza fiato, cadde a terra, la sua visione si fece scura e l’ultimo suo pensiero fu: sto morendo.
 
Kuro non era mai stato tanto preoccupato in vita sua come quel giorno. Neanche durante la sua prima battaglia con un mostro aveva avuto quell’ansia. Perché in quel caso poteva reagire, qui invece era completamente inutile mentre Kenma soffriva. Non sapeva neanche contro cosa stesse combattendo!
Kenma era stato portato nella cabina dei figli di Apollo e lì, quelli più portati per la medicina, lo stavano aiutando. Primo tra tutti era stato chiamato Shirabu Kenjiro, quel ragazzo non aveva nulla del comportamento tipico e solare dei figli del dio del sole, ma aveva la capacità di scansionare i corpi delle persone e curarli con la propria magia.
Kuro stava aspettando all’ingresso della cabina, vicino alla porta per non disturbare il lavoro di Shirabu, ma in modo che non togliesse gli occhi di dosso dal proprio ragazzo.
Questo era steso su uno dei letti dell’infermeria, i suoi occhi erano vigili e, mentre Kenjiro usava la sua magia su di lui, stava provando a dire –Sto bene, davvero…
-Non stavi bene quando ti abbiamo raggiunto- lo contraddisse Hinata al suo fianco.
Shirabu strinse le labbra in una linea sottile e, scostando infine le mani dal corpo del figlio di Atena, informò i presenti –Ha ragione, sta bene, io non sento niente.
-Ma com’è possibile!?- s’infervorò Kuro facendo un passo avanti –Stava soffocando! Non si reggeva in piedi! Come spieghi tutto questo!?
-Kuro- sussurrò Kenma allungando una mano verso di lui in una muta richiesta di raggiungerlo –non prendertela con lui.
Tetsuro sospirò sapendo che il suo ragazzo, come sempre, aveva ragione.
-Scusa- borbottò a nessuno in particolare –è stato solo…- sospirò senza bisogno di continuare.
Kenma gli sorrise rassicurante e Kuro infine lo raggiunse inseguendo quella mano tesa. Era così concentrato su di lui che il corvino vide benissimo il cambiamento repentino nel suo ragazzo.
Vide come da rilassato, il suo corpo divenne rigido. Come i suoi occhi si spalancarono e si riempirono di sangue. Come si incurvò in avanti mentre si stringeva le mani al petto e iniziava ad urlare in un modo che fece accopponare la pella a tutti i presenti.
-Spostati- Shirabu lo spinse indietro e prese nuovamente il suo posto accanto al paziente, le sue mani illuminate mentre usava la sua magia.
Kenma smise di urlare e Shirabu gli domandò –che è successo?
-Bruciava… bruciava tutto…
-Ora ha smesso?
Kenma annuì con un volto così stremato e distrutto che Kuro non poté fare a meno di raggiungerlo di nuovo, volendo solo stringerlo tra le braccia e promettergli che sarebbe andata bene.
Kenma tornò a urlare nonostante Shirabu avesse ancora attivo il suo potere. Questo alzò lo sguardo confuso su Tetsuro, poi urlò –Stai indietro!
Lo disse con un tono di voce così perentorio da essere indiscutibile. Tetsuro si ritrovò a fare tre passi indietro e Kenma smise di urlare.
Infine, Shirabu disse quello che stavano ormai pensando tutti –Sei tu. È la tua vicinanza che lo fa stare male.
 
Tetsuro non aveva mai visto suo padre guardarlo con quell’espressione così seria.
Si trovavano fuori dalla cabina dei figli di Apollo, Kuro era stato cacciato via quando avevano capito che era lui la causa di tutto quello, Kenma aveva provato a protestare ma era troppo debole per qualsiasi cosa. Altre persone erano state attirate da tutto quel trambusto e poi era arrivato Chirone, raggiunto in seguito da Dionisio. Il dio era entrato in infermeria per meno di venti secondi, poi era tornato fuori e adesso si trovava di fronte a Tetsuro con le braccia incrociate.
-Quella è una maledizione. Chi ha fatto incazzare?
Kuro s’infervorò –Kenma non farebbe mai incazzare nessuno fino a questo punto! Non è stupido!
Il signor D. alzò un sopracciglio –Allora sei stato tu? Hai detto qualcosa contro Afrodite? Sappiamo tutti quanto sia vendicativa.
-Non ho detto nulla contro di lei!
-Allora contro uno dei suoi figli?
Il corvino gelò sul posto, i suoi occhi si spalancarono e la conversazione innocente della sera prima gli tornò in mente.
Dionisio capì di aver centrato il punto dalla sua semplice reazione e sospirando domandò –Cosa hai detto?
-Ho solo detto la verità!- s’infuriò attirando l’attenzione dei ragazzi nelle vicinanze –Ho detto che io e Kenma siamo la coppia migliore del mondo e che neanche Eros avrebbe mai potuto fare un lavoro tanto perfetto!
-Mai insinuare di aver fatto qualcosa meglio di un dio- arrivò la voce di Chirone alle sue spalle facendolo sussultare –non puoi più avvicinarti a Kenma, non se vuoi tenerlo in vita.
-Andrò da Eros. Farò qualsiasi cosa per sistemare quello che ho fatto- fu una decisione presa d’istinto, una decisione che doveva essere fatta.
-C’è sempre un prezzo da pagare- lo mise in guardia Chirone –e le possibilità di vincere contro un dio sono basse.
-Non rinuncerò a Kenma.
E quello fu definitivo.
 
Quando Kenma si svegliò si sentiva bene. Si chiese che ore fossero e perché nessuno l’avesse ancora chiamato per la colazione. Poi però iniziò a guardarsi intorno e non riconobbe la cabina, infine vide Hinata di spalle che sistemava degli strumenti su un tavolino e, solo a quel punto, tutto quello che era successo quella mattina gli tornò in mente.
-Shoyo- chiamò con una voce molto più roca di quello che si aspettava.
Il rosso si girò di scatto con un sorriso –Kenma! Come stai?
-Sto bene- disse sincero.
Hinata annuì ma gli porse comunque un bicchiere –Chirone ha detto di farti bere del nettare in ogni caso.
Kenma ne prese un piccolissimo sorso per poi chiedere –Dov’è Kuro?
Il figlio di Apollo non rispose, abbassò lo sguardo e si morse un labbro.
Questo fece accelerare il battito cardiaco di Kenma e con urgenza chiese di nuovo –Shoyo? Che sta succedendo?- ricordava distrattamente gente che urlava, dei figli di Apollo che cacciavano fuori dalla cabina il suo ragazzo intimandogli di non avvicinarsi.
-Non puoi vederlo- sputò l’altro tutto d’un fiato.
-Cosa?
-Sei vittima di una maledizione! Se ti avvicini a lui stai male! Il signor D. ha detto che potresti morire!
-No… cosa… che stai…- Kenma stava andando in iperventilazione, il suo battito cardiaco che correva troppo veloce e il sudore che gli faceva attaccare i vestiti addosso –Dov’è Kuro? Dimmi dov’è!
A quel punto la sua voce era talmente disperata che Hinata non riuscì più a mentirgli o a nascondergli le cose, con lo sguardo basso si trovò a spiegare –Si sta preparando per partire in missione. Bokuto, il figlio di Nike, e tuo fratello Akaashi andranno con lui. Yachi ha già predetto una profezia… vuole cercare Eros.
Kenma si alzò dal letto talmente veloce che Hinata non riuscì a fare nulla per bloccarlo, perché quando se ne accorse l’altro era già fuori dalla porta.
Il figlio di Atena non avrebbe saputo dire per quanto tempo avesse corso per tutto il campo urlando a squarciagola il nome del suo fidanzato, quello che però avrebbe saputo descrivere alla perfezione fu lo sguardo di terrore che Kuro gli lanciò quando lo vide correre verso di lui.
-Non ti muovere!- gli urlò il corvino quando ormai Kenma era a soli pochi metri da lui.
Lo disse con un tono così autoritario che, involontariamente, Kenma gelò sul posto.
Il figlio di Dionisio aveva uno zaino in spalla e le armi allacciate alla cintura, dietro di lui anche Bokuto e Akaashi erano pronti per partire.
-Kuro…- sussurrò piano.
-Mi dispiace, gattino- mormorò l’altro abbastanza forte da farsi sentire nonostante la distanza –avevi ragione, hai sempre avuto ragione. Ho fatto una cazzata e non permetterò che tu soffra per questo. Sistemerò tutto, te lo prometto.
Gli occhi di Kenma si riempirono di lacrime, infine corse e annullò le distanze saltandogli addosso e unendo le loro labbra. Perché per quanto potesse stare male standogli vicino, sapeva che sarebbe stato ancora più male dovendosi tenere a distanza.
Fu un bacio brevissimo, il biondo riuscì a sentirne a stento il contatto prima che Kuro si tirasse indietro.
-Torna da me- pianse Kenma prima che l’altro dicesse qualcos’altro.
-Tornerò da te prima che riuscirai a sentire la mia mancanza- promise Kuro baciandogli la fronte.
Kenma non potè rispondere perché un attacco di tosse lo sconvolse, fu talmente violento che si accasciò a terra e, solo dopo aver visto la sua mano rossa, si accorse che stava sputando sangue.
Tuttavia, si sentì meglio abbastanza presto e quando alzò lo sguardo non si stupì di non trovare più Kuro al suo fianco. Il suo posto era stato preso da Akaashi che, con un fazzoletto, lo stava aiutando a ripulirsi.
-Promettimi che lo proteggerete- gli disse il biondo in un sussurro roco –Promettimi che gli impedirai di fare cazzate.
-Farò il possibile.
E quello era il massimo che Kenma poteva ricevere come risposta. Quando i tre infine partirono, Kenma si permise di piangere sfogando tutta la sua frustrazione. Perché dovevano essere puniti solo per la colpa di essere felici?
 
In volo arriveranno nella città assordante
E si perderanno in un gioco costante
Un segreto sarà rivelato
E un pagamento poi effettuato
La vittoria infine arriverà
Ma mai più lui ricorderà

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Capitolo 12
*** Il torto ad Eros - Parte 3 ***


Parte 3
Essendo un figlio di Atena, la gente supponeva sempre che Akaashi fosse una persona intelligente.
Certo, non si sbagliavano, ma quanto era intelligente e astuto prendersi una cotta per Bokuto Koutaro, il semidio più esasperante e difficile da gestire che avesse mai conosciuto?
La situazione diventava ancora più complessa quando Bokuto si trovava in compagnia del suo migliore amico: Kuro Tetsuro.
Decidere volontariamente di andare in missione con quei due non era di certo stata una delle idee più intelligenti da parte del figlio di Atena, ma che altro avrebbe dovuto fare?
Kuro non era in sé e quei due avevano bisogno di qualcuno che potesse gestire la situazione, ovvero qualcuno come lui. Senza contare che c’era in ballo la vita del suo fratellastro preferito: avrebbe fatto di tutto per aiutare Kenma.
E fu così che, dopo aver ascoltato la profezia da Yachi e dopo aver preparato i loro zaini e le armi, i tre ragazzi iniziarono a cercare l’unico al campo che sapeva sempre i fatti di tutti.
Suna Rintaro, figlio di Iride, era seduto sul bordo di una fontana e stava ridendo insieme a uno dei figli di Ecate, il gemello meno problematico di cui Akaashi non ricordava il nome, mentre entrambi leggevano qualcosa sullo schermo del cellulare del primo.
-Eccola qui la star!- esclamò il castano quando vide il gruppetto raggiungerlo, rivolgendosi direttamente a Kuro –Nei loro tabloid gli Dei hanno iniziato a parlare della maledizione che vi ha colpito! Afrodite è estasiata, ha commentato che non ne vedeva una fatta così bene da anni e con interesse seguirà tutta la vostra spedizione.
-Almeno abbiamo un aiuto divino- commentò Bokuto.
Akaashi storse la bocca –Non ne sarei sicuro, ai greci sono sempre piaciute le tragedie.
Kuro ignorò quello scambio di battute e s’intromise veloce nella conversazione –Dimmi che sai dove posso trovare Eros.
-Certo che lo so- rispose Suna offeso –credi che non sappia una cosa tanto facile?
-Dove si trova?
-Ultimamente si sta divertendo a Las Vegas, ha trovato un nuovo hobby nell’officiare matrimoni alle coppie ubriache, per poi distruggere il loro amore l’attimo dopo. Si gira un po' tutte le cappelle, quindi non ti saprei indicare una nello specifico.
Kuro fece una smorfia schifato, probabilmente trattenendosi dal dire qualche altra bestemmia contro il dio in questione.
Infine ringraziò velocemente il figlio di Iride e si diresse verso l’uscita del campo, con gli altri due che gli corsero dietro per mantenere il passo.
Akaashi stava riflettendo su quanto sarebbe stato arduo gestire una missione a Las Vegas, forse la città con più distrazioni degli interi Stati Uniti d’America, con Bokuto e Kuro. Era già terribilmente sconfortato dalla cosa quando Kenma li raggiunse urlando il nome di Kuro. I due si salutarono in un modo talmente straziante che tutto lo scoraggiamento di Akaashi scomparve: avrebbe sistemato quella situazione e l’avrebbe fatto per Kenma. Promise al biondo che avrebbe protetto il suo ragazzo e che gli avrebbe impedito di fare cazzate, con tutta l’intenzione di mantenere quella promessa. Partirono subito dopo, ma adesso era pronto mentalmente e fisicamente ad affrontare tutto quello che gli avrebbero mandato contro.
 
Due ore dopo la loro partenza, il gruppo si ritrovò a combattere contro un intero stormo di Uccelli del lago Stinfalo. Il tutto solo per colpa di Bokuto.
I ragazzi erano arrivati in aeroporto in taxi, avevano comprato i biglietti per Las Vegas e si erano seduti in sala d’attesa per aspettare l’inizio dell’imbarco che sarebbe avvenuto solo un’ora più tardi.
E se ogni semidio era per natura iperattivo, Bokuto lo era il doppio.
Il ragazzo non sarebbe mai potuto stare buono e calmo per un’intera ora seduto semplicemente in una di quelle scomode sedie di plastica e, solo dopo tre minuti, si alzò alla ricerca di qualcosa di nuovo da fare.
Akaashi sospirò afflitto, lanciò un veloce sguardo a Kuro, il quale però era semplicemente perso nei suoi pensieri con i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani, e decise che poteva caversela da solo, quindi seguì Bokuto per impedirgli di mettere a ferro e fuoco l’aeroporto.
Il ragazzo vagò un po', comprò un pacco enorme di patatine al bar e continuò a vagare. Akaashi aveva appena esalato un sospriro di sollievo per quella situazione abbastanza tranquilla quando Bokuto notò, attraverso le porte in vetro, che fuori c’era una bambina che aveva attirato diversi piccioni dando loro da mangiare delle briciole di pane.
Corse anche lui fuori e, sbriciolando le patatine nelle sue mani, iniziò a lanciarle in giro attirando ancora più uccelli dalla sua parte.
-Che stai facendo?- domandò Akaashi conoscendo già la risposta.
-Ne attirerò più di quella bambina!- rispose divertito dal suo nuovo passatempo.
Uno dei problemi di essere un figlio di Nike, era che Bokuto fosse attratto da qualsiasi cosa potesse trasformare in una sfida e portarlo alla conseguente vittoria.
Le partite a pallavolo, la caccia alla bandiera, l’arrampicata, le canoe, chi finiva prima di mangiare, chi raggiungeva prima la propria cabina… ogni cosa per il figlio di Nike era una sfida. Ma soprattutto, ogni sconfitta era grande motivo di depressione. Anche Ushijima Wakatoshi era figlio di Nike, ma lui non aveva gli stessi sbalzi d’umore di Bokuto.
Nessuno sapeva mai come farlo tornare normale, la gente aveva semplicemente deciso di lasciargli fare il suo corso e aspettare che gli passasse. Poi era arrivato Akaashi.
La prima volta che i due avevano parlato, avevano perso una partita di caccia alla bandiera e Bokuto si era nascosto dentro una grotta. Akaashi l’aveva raggiunto, gli aveva sussurrato qualche parola d’incoraggiamento e le cose si erano subito sistemate. Tutti gli altri ragazzi erano rimasti stupiti e increduli dalla cosa, ma da quel momento avevano iniziato a catalogarli come una coppia, non nel senso romantico del termine, ma semplicemente che avevano bisogno l’uno dell’altro per essere imbattibili.
Tornando al presente, Akaashi lo lasciò fare. Per quanto continuasse a stare in allerta, non vedeva nulla di male nel nutrire qualche piccione. Finchè questo avrebbe tenuto buono Koutaro sarebbe bastato. Le cose, tuttavia, si fecero un tantino più complesse quando, tra i normali piccioni, iniziarono ad arrivare anche gli uccelli del lago Stinfalo, probabilmente attratti dal loro odore.
-Bokuto- chiamò piano Akaashi facendo un passo indietro.
-Sì?
-Prendi la tua spada.
Il figlio di Nike non ebbe neanche il tempo di chiedere il perché o di fare una faccia stranita perché uno degli uccelli decise di attaccare proprio in quel momento.
Akaashi fu velocissimo nell’estrarre i suoi pugnali gemelli e fargli saltare la testa.
Ci fu un attimo di stallo e di completo silenzio, poi iniziò la battaglia.
 
Kuro aveva sempre voluto bene a Bokuto, era il suo migliore amico e questo non sarebbe mai cambiato. Ma c’erano certe volte in cui l’altro ragazzo lo portava a un’esasperazione tale da fargli chiedere perché diavolo fosse ancora suo amico. E quello era proprio uno di quei momenti.
Per colpa di Bokuto avevano dovuto ingaggiare battaglia contro un enorme stormo di piccioni-mostri e questo non solo aveva procurato ferite a ognuno di loro, ma aveva ritardato di due ore il volo che dovevano prendere.
Kuro aveva i nervi tesi nonostante fosse finalmente seduto nel suo posto sull’aereo. Gli dava persino fastidio l’hostess che spiegava le regole per la sicurezza, figurarsi Bokuto e Akaashi che amoreggiavano al suo fianco.
Di norma sarebbe stato felice per il suo amico, sapeva bene quanto fosse cotto di Akaashi da tempo e quello era uno degli attimi che l’altro poteva solo sperare. Ma in quel momento gli dava tutto fastidio e aveva voglia di urlargli contro “ma vi sembra il caso?”.
I due ragazzi in realtà non stavano facendo nulla di clamoroso, erano solo chini l’uno sull’altro, a parlare con voce troppo bassa perché Kuro riuscisse a sentirli, con Akaashi che con delicatezza gli curava il profondo taglio al braccio che il figlio di Nike si era procurato durante la battaglia, ma che erano riusciti a nascondere durante i controlli prima di salire sul velivolo.
La verità era che Kuro era geloso di loro due, era geloso perché ogni cosa che facevano gli ricordavano lui e Kenma, era geloso perché loro potevano avere quello che lui aveva perso. E prendersela con gli altri sembrava un buon modo per non incolpare se stesso per la cazzata che aveva fatto.
Il viaggio fu tranquillo e privo di altri attacchi dai piccioni-mostri che tutti e tre si aspettavano. Quando atterrarono, era sera e, zaino in spalla, iniziarono la ricerca del dio dell’amore.
Arrivarono in taxi al centro della città, non avevano idea da dove iniziare per cercarlo, ma quella sembrava una buona idea.
-Ehy- chiamò ad un certo punto Bokuto con gli occhi fissi in una direzione –Perché non proviamo a chiedere lì dentro? Sembra un posto grande, quindi forse ci possono dire dove sono tutti i posti in città dove la gente si sposa.
Kuro alzò le spalle e si diresse verso il casinò indicato dall’amico –Un posto vale l’altro, l’importante è iniziare.
Gli altri due non dissero nulla, quindi Tetsuro immaginò che fossero d’accordo con lui. Tutti e tre, così, varcarono le soglie del Lotus Hotel and Casinò.
 
Akaashi si stava divertendo. Aveva passato tutta la sua vita ad essere sempre quello intelligente e realistico del gruppo. Era sempre quello che diceva cosa era giusto fare o meno, quello che “rovinava il divertimento” e quello troppo responsabile. Quindi perché, per una volta, non poteva divertirsi e lasciare che fossero gli altri a prendere le giuste decisioni?
Una piccola parte del suo cervello si rendeva conto che quelli non erano i suoi veri pensieri, che c’era qualcosa di strano se aveva iniziato a pensare quelle cose. Ma i campanelli d’allarme non erano abbastanza forti per fargli comprendere la situazione e la sua mente tornò a bearsi nella foschia data dal divertimento di quel casinò.
Avevano delle carte con soldi illimitati all’interno e sarebbe stato uno spreco non usarle, giusto? Di conseguenza Akaashi si disse che non c’era nulla di male nel fare qualche partita, soprattutto quando immaginò che gli altri due stessero facendo lo stesso avendoli persi di vista.
Il figlio di Atena giocò a carte sfruttando tutta la sua intelligenza e, solo dopo ben dieci vittorie di fila, decise di alzarsi per sgranchirsi le gambe e cercare qualcosa da bere.
Si ritrovò al bancone del bar a sorseggiare un drink analcolico dal contenuto sconosciuto ma dal gusto decisamente ottimo, quando sentì le urla di vittoria di Bokuto che provenivano da una delle Roulette.
Finì il proprio drink e lo raggiunse curioso, si sistemò al suo fianco e, dando un’occhiata al tavolo da gioco, domandò –Stai vincendo?
-Akaashi!- Bokuto si voltò verso di lui con uno sguardo luminoso –che bello che sei qui! Resta con me, ti dedicherò ogni vittoria!
Come se fosse stata una profezia, la ruota si fermò e la pallina rimase bloccata nel numero e nel colore scelti dal figlio di Nike. Le sue urla si unirono a quelle del resto del tavolo che lo stavano acclamando e si stavano congratulando con lui.
Poi Bokuto gli mise un braccio intorno alle spalle e, euforico, gli diede un bacio a stampo prima di tornare a urlare nuove scommesse per il gioco.
Nessuno dei due ci fece troppo caso, era una cosa normale, entrambi lo volevano, quindi era giusto farlo. Normalmente sarebbero stati imbarazzati dalla cosa, Akaashi si sarebbe fatto milioni di complessi e Bokuto avrebbe borbottato delle scuse chiedendo poi se andava bene. Ne avrebbero parlato e sarebbe stato dolce e romantico. Ma nulla di questo accadde, perché le loro menti erano confuse, erano piene del bisogno di divertirsi e di fare qualsiasi cosa per continuare a rendere alta l’euforia del momento. Erano stregati e tutto quello non sarebbe mai dovuto accadere.
 
Kuro alzò il braccio esultando quando nella macchinetta che aveva di fronte si bloccarono le tre immagini del dollaro uno accanto all’altro a simboleggiare la sua vittoria che, sottoforma di gettoni, iniziò a cadere nell’apposita sacca in basso.
Vincere era proprio una bella sensazione e in un lampo pensò di doverlo raccontare a Kenma.
Il suo sorriso scomparve e gelò sul posto quando ricordò… Kenma.
Iniziò a sudare freddo e si alzò di scatto alla ricerca di Akaashi e Bokuto. Da quanto tempo avevano messo in pausa la ricerca? Come avevano potuto pensare che divertirsi sarebbe stata una buona idea? Come aveva potuto dimenticarsi di Kenma?
C’era foschia nella sua mente, c’era qualcosa che premeva contro quel pensiero e cercava di farlo rilassare, di farglielo dimenticare di nuovo.
Kuro non ci mise molto a capire che dentro quel casinò tutti erano stregati, costretti a divertirsi e dimenticarsi della vita che avevano nel mondo esterno. Era faticoso combattere quella nebbia, ma l’amore che provava verso Kenma era più forte di tutto il resto, solo grazie a questo riuscì a mantenere la mente concentrata mentre cercava gli altri due suoi amici.
Più perdeva tempo e più Kuro s’innervosiva. Che fine avevano fatto? Perché continuavano a fargli perdere tutto quel tempo?
La sua rabbia esplose quando li trovò a baciarsi su un divanetto, li raggiunse a passa svelto e li fece staccare con un rumore disgustoso.
-Vi sembra il caso?- ruggì talmente forte da sovrastare la musica e il chiacchiericcio, ma attirando comunque solo la loro attenzione.
-Stiamo festeggiando! Rilassati un po'…- gli rispose Bokuto con un sorriso ebete sul volto.
Tetsuro finì tutta la sua pazienza e afferrandolo per il bavero della maglia era pronto a iniziare una rissa –Rilassarmi? Mi prendi per il culo!? Siamo qui per salvare Kenma e se voi avete scambiato questo viaggio per una vacanza romantica, allora potete anche smettere di rivolgermi la parola!
Kuro era talmente incazzato che aveva già il pugno pronto e sapeva che l’avrebbe usato per qualsiasi risposta avesse dato il suo amico. Questo però strabuzzò gli occhi in contemporanea ad Akaashi, nello stesso momento sembrarono ricordarsi della situazione e sussurrarono con lo stesso tono basso e pentito il nome di Kenma.
Quella fu l’unica cosa che fece calmare Kuro, quel posto era stregato e lui stesso era una vittima, come poteva prendersela con i suoi amici per questo?
-Dobbiamo andare via da qui- sussurrò piano lasciando andare il suo amico.
Akaashi si guardò intorno con sospetto –non sarà facile.
E non lo fu per niente, dovettero lottare sia con i gestori del casinò sia con il loro potere che continuava a confondergli la mente.
Quando finalmente lasciarono il luogo era ancora notte e le strade erano ancora gremite di persone.
Stavano riprendendo fiato quando Bokuto commentò –meno male che non abbiamo perso troppo tempo lì dentro!
-Mi sembra strano, perché ricordo che abbiamo dormito a un certo punto- rispose Akaashi guardandosi intorno, per poi concentrarsi su qualcosa e mormorare –cazzo.
Kuro seguì il suo sguardo e vide questo enorme cartello luminoso che, tra le tante cose, recitava l’ora e la data del giorno.
Sì, era ancora notte, ma la data era di otto giorni nel futuro rispetto a quando erano arrivati. Avevano perso e buttato più di una settimana dentro quel casinò senza fare assolutamente nulla.
La rabbia di Kuro tornò a fiorire e si trasformò in risolutezza ed estremo bisogno di trovare Eros e prenderlo a pugni fino a quando non avrebbe fatto stare bene il suo fidanzato.
 
Il giro delle cappelle in piena notte fu lungo e sfiancante. Trovare quella dove “lavorava” Eros fu più difficile di quello che si aspettavano.
Senza contare che Akaashi e Bokuto, una volta che la nebbia aveva lasciato la loro mente, avevano iniziato a comportarsi in modo strano e timido, rendendosi conto dei baci che si erano scambiati ma non potendone parlare al momento. Divenne soprattutto molto strana la situazione quando arrivarono in una cappella che faceva conoscere l’officiante solo dopo che la coppia che si doveva sposare si era preparata, quindi i due dovettero fingere di essere una coppia e di volersi sposare.
O forse… stavano già insieme? Non era tuttavia una domanda che avrebbe avuto risposta in quel momento e, per il bene della missione e della sanità mentale di Kuro, nessuno commentò nulla e fecero finta che fosse tutto nella norma.
In un’altra cappella Bokuto interruppe un matrimonio già in corso e doversi liberare della donna ubriaca che aveva iniziato a picchiarlo fu più difficile di combattere i mostri che avevano trovato lungo il tragitto.
In un’altra ancora Kuro dovette distrarre la donna che prendeva le presenze mentre Akaashi strisciava dentro e controllava se a officiare fosse un dio o meno, tutto questo perché c’era una lunga fila davanti a loro e non avevano tempo di aspettare.
Altre situazioni del genere continuarono a capitare per buona parte della notte e, solo verso le quattro del mattino, trovarono finalmente quello che stavano cercando.
Nel momento esatto in cui entrarono nella cappella capirono che si trattava di Eros.
L’uomo era bello, più bello di qualsiasi modello o attore Kuro avesse mai visto. Aveva un sorriso crudele in volto, era seduto su una comoda poltrona con il mento poggiato sulla propria mano e lo stava guardando direttamente negli occhi.
-Ti stavo aspettando- commentò ampliando il suo sorriso –ma immagino non sia una questione molto importante per te se ci hai messo tutto questo tempo.
Kuro digrignò i denti e strinse i pugni –Siamo stati trattenuti.
-Carino da parte tua preoccuparti dei tuoi amici. O almeno, quelli che tu definisci così ma… pensi che lo siano davvero? Ti hanno fatto perdere tutto quel tempo solo perché avevano bisogno di dare sfogo alle loro pulsioni fisiche.
-Non è vero!- Bokuto urlò infervorandosi –È stato il casinò a trattenerci! Noi non l’avremmo mai fatto!
Eros sorrise ancora di più e si voltò a fissare il figlio di Nike commentando distrattamente –Ah sì, immagino che anche questo potrebbe essere vero. Come ti senti quindi ad aver baciato Akaashi Keiji solo perché è stata la magia di un casinò a fartelo fare? Uno schifo, vero? Non potrebbe mai nascere una storia d’amore così, non ci sono le basi, capisci? Forse posso fare un favore a tutti e tre e far innamorare Keiji di Tetsuro? Smetterebbero di soffrire in due.
Gli occhi di Bokuto si riempirono di fuoco e subito si mise di fronte ad Akaashi aprendo le braccia come a volerlo proteggere, con risolutezza poi pronunciò –Non ti permetterò di toccarlo!
Eros rise –E vuoi davvero fermarmi con il tuo corpo? Oh sì, bella mossa per impedire a un dio di fare qualcosa.
Akaashi mise una mano sulla spalla di Bokuto per frenare la sua risposta e s’intromise nella discussione –So che non puoi farlo. Ho studiato i tuoi poteri e so che non puoi far innamorare due persone se queste non provano già dei sentimenti l’uno per l’altro. So anche che sai sempre di chi è innamorata una persona. Quindi sappiamo bene entrambi che le tue sono minacce vane, perché sono innamorato di Bokuto.
Koutaro sussultò e si voltò verso il ragazzo più piccolo con gli occhi sbarrati –Tu… cosa?
Akaashi si sciolse e con le guance rosse sussurrò nuovamente –Sono innamorato di te.
E mentre i suoi due amici continuavano a confessarsi il loro amore non troppo segreto, Kuro si rese conto che il volto di Eros si faceva sempre più incazzato e infastidito. Aveva imparato a sue spese che non bisognava mai fare in modo che un dio ti prendesse in antipatia, quindi cercò di tornare al centro dell’interesse.
-Sono qui per chiederti perdono- urlò riportando l’attenzione di tutti su di lui.
Fece un passo avanti e ingoiando tutto il suo orgoglio s’inginocchiò, prostandosi completamente ai suoi piedi.
-Ho sbagliato. Non avrei mai dovuto dire quella frase. Sono qui in ginocchio a chiedere la tua misericordia. Ti supplico, rimuovi la maledizione che hai lanciato su Kenma.
-Non penso che lo farò.
Kuro non riusciva a vedere il volto del dio da quella posizione, ma dal suo tono di voce si capiva benissimo che era completamente annoiato e per nulla toccato da quella scena.
-Ti imploro- riprovò con la voce spezzata dalle lacrime che si erano formate nei suoi occhi –Non punire lui, non ha fatto nulla, non merita di soffrire in questo modo. Per favore… Ti prego…
-Mhmm… Cosa sei disposto a fare per lui?
Tetsuro alzò la testa di scatto, quella domanda era come un piccolo barlume di speranza e lui ci si sarebbe aggrappato con tutto se stesso –Ogni cosa- rispose all’istante senza aver bisogno di pensarci.
-E cosa sei disposto a perdere?
-Tutto.
Eros lo scrutò con uno sguardo freddo e serio, infine diede la sua sentenza –Molto bene, distruggerò la maledizione e potrete di nuovo stare insieme. In cambio voglio la cosa più preziosa che hai: i tuoi ricordi con lui.
Il cuore di Kuro perse un battito. I suoi ricordi con Kenma.
Metà della sua vita era piena sola di ricordi con Kenma. Come avrebbe potuto voler dimenticare il modo in cui lo amava? O come si sentiva a stringerlo tra le braccia? Oppure la voce del suo gattino mentre gemeva il suo nome? Come poteva voler dimenticare ogni singola cosa volontariamente?
Stava per rifiutare, per dire che era un prezzo troppo grande. Si bloccò quando l’immagine di Kenma che stava male a causa sua gli invase la mente, di lui che urlava piegato dal dolore, di lui che sputava sangue e che piangeva mentre gli chiedeva di tornare da lui.
Ed era solo Kenma. Lui valeva qualsiasi prezzo.
-Va bene- mormorò sconfitto mentre Bokuto iniziava a urlare qualcosa che il corvino non riuscì a capire –accetto lo scambio.
Mi dispiace Kenma si scusò mentalmente non potrò tornare da te come ti avevo promesso, ma starai bene. Ti amo.

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Capitolo 13
*** Il torto ad Eros - Parte 4 ***


Parte 4
Per tutto il viaggio di ritorno, nel quale riuscirono a evitare i mostri prima ancora di essere costretti a ingaggiare battaglia, Bokuto non fece altro che scrutarlo in modo strano e inquietante.
-Devi dirmi qualcosa?- esplose infine Kuro mentre attraversavano l’America in aereo.
Bokuto ebbe la decenza di sentirsi imbarazzato, ma nulla gli impedì di chiedergli nel modo più indelicato possibile –Quindi come funziona? Non ricordi nulla di Kenma? Ma lo ami ancora?
-Kou- lo ammonì il suo nuovo (forse) ragazzo –credo che sia più complicato di un sì o un no come risposta.
Kuro rifletté a quelle parole e sincero e confuso rispose –Io… non lo so.
-Ma Eros ha detto che ti avrebbe tolto i ricordi, non i sentimenti!- era come se Bokuto l’avesse presa come una questione personale.
-Kou…- intervenne di nuovo Akaashi –come puoi avere dei sentimenti per qualcuno che non conosci? Devono… ricominciare.
Bokuto piagnucolò qualcosa d’incomprensibile e i due iniziarono a parlare tra di loro, con un tono di voce basso, non che Kuro fosse comunque interessato a intromettersi nella discussione. Poiché la sua mente aveva iniziato ad elaborare velocemente le nuove informazioni.
Kuro sapeva che amava un ragazzo, lo sapeva perché ricordava di aver fatto quel viaggio per salvare la sua relazione, quindi doveva essere più che importante. Quello che non ricordava era il suddetto Kenma. Qual’era il suo volto? Cosa aveva di tanto speciale per averlo fatto innamorare? Come si erano conosciuti? Lui chi era?
Kuro sentiva che gli mancava qualcosa. Ma non capiva cosa. Come quando entrava in una stanza dimenticandosi cosa era andato a fare. La frustazione era la stessa e aumentava quando si rendeva conto che non poteva tornargli in mente, poiché quei ricordi erano persi per sempre.
Non seppe dire per quanto tempo si perse in quei pensieri, quello che sapeva però era che ad un certo punto Bokuto interruppe la sua conversazione privata con Akaashi e gli disse risoluto –Se tu non te lo ricordi, ti racconteremo noi di Kenma!
E fu così che il resto del viaggio fu pieno di racconti sparsi su questo famigerato ragazzo.
Diverse ore dopo arrivarono finalmente al campo, era il tramonto e in molti li accolsero visto che si trovavano in giro a concludere gli ultimi allenamenti o a sistemare i vari strumenti usati durante la giornata. Quello che, tuttavia, attirò l’attenzione di Kuro fu un piccolo ragazzino con le punte dei capelli colorate di biondo che correva verso di lui urlando il suo nome.
Il cuore di Kuro fece un salto, anche se il proprietario non avrebbe saputo dire a cosa fosse dovuto.
Quando il ragazzo fu abbastanza vicino, gli saltò addosso con una tale forza che entrambi finirono a terra, il ragazzo più piccolo però non sembrava preoccuparsene mentre lo stringeva come se ne valesse della sua vita.
-Ti posso toccare!- stava ridendo felice con il volto nascosto contro il suo collo –hai distrutto la maledizione e sei tornato da me! Ti amo così tanto!
Si fece indietro e i suoi occhi luminosi e dorati trafissero Tetsuro.
Dèi, è così carino!
Era talmente preso da quello che immaginava fosse Kenma, che si rese conto troppo tardi che si era avvicinato per baciarlo. Il corvino, leggermente nel panico, lo spinse via all’ultimo e questo lo fissò con uno sguardo tradito e confuso, ancora seduto sopra il suo petto ma a distanza di sicurezza dal suo volto.
-Ah, io…- come doveva spiegarglielo?
Akaashi intervenne –Kenma…- il ragazzino alzò di scatto lo sguardo sul proprio fratellastro e gli chiese silenziosamente di continuare, cosa che l’altro fece subito –Kuro ha convinto Eros a spezzare la maledizione ma ha dovuto pagare con i suoi ricordi di te.
-Cosa? In che senso?- la sua voce era incredula mentre il suo sguardo si spostava urgentemente su Tetsuro. Questo vide come i suoi occhi si fecero immediatamente lucidi e la sua voce spezzata mentre chiedeva –Tu… non ti ricordi di me?
Kuro avrebbe voluto allungare la mano e accarezzarlo per confortarlo, tuttavia non lo fece perché sapeva che non sarebbe stato giusto. Il ragazzo che gli era seduto in grembo provava degli evidenti sentimenti verso di lui, fare quel gesto l’avrebbe illuso ancora di più, perché a Kuro faceva tenerezza e pena, come quando vedi un bambino piangere per strada perché si è perso e ti avvicini per fare di tutto per aiutarlo.
-Mi dispiace- fu l’unica cosa che riuscì a sussurrare.
-No…- Kenma biascicò mentre iniziava a piangere, incespicò all’indietro e cadde –Non puoi… no…
Si rialzò a fatica e corse via velocemente, ignorando chiunque chiamò il suo nome.
Kuro si sentì inquieto per il resto della serata, fece rapporto a Chirone e a suo padre sulla missione, inoltre si unì al falò e contribuì intervenendo nella storia del viaggio che Bokuto raccontò, ciò nonostante la sua mente non faceva altro che pensare a quello che era successo, agli occhi pieni di lacrime di Kenma e al suo bisogno quasi fisico di correre a cercarlo per assicurarsi che stesse bene.
Per colpa di quei pensieri faticò ad addormentarsi e, quando ci riuscì facendo vincere la stanchezza, era davvero tardi.
 
Fu svegliato da una mano che gli bloccava la bocca e gli impediva di urlare.
Aprì gli occhi di scatto pronto a combattere, ma si calmò subito quando vide che era solo Kenma, in piedi accanto al suo letto. L’indice della sua mano libera era portato alla bocca, in un muto segno di fare silenzio.
Kuro annuì per far capire che aveva compreso e, solo a quel punto, il ragazzino lo lasciò andare, facendogli segno di seguirlo fuori dalla cabina.
Guardandosi intorno, Kuro notò che tutti i suoi fratelli stavano ancora dormendo, ecco perché doveva fare piano, e quando si chiuse la porta alle spalle e vide che erano solo spuntati i primi raggi di sole dell’alba, capì anche perché nessuno fosse ancora sveglio.
Kenma sembrava imbarazzato da quello che aveva fatto, era curvo su se stesso con le mani in tasca e le sue guance erano spolverate di rosa. Nonostante quel colore, tuttavia, era difficile non notare le sue enormi occhiaie e, preoccupato, Kuro non si trattenne dal dirgli –Non hai dormito!?
-Non molto- rispose il biondo dopo un secondo di sorpresa –ma non è un problema, ci sono abituato.
Kuro corrugò la fronte –immagino che mi facessi preoccupare parecchio.
Kenma lo fissò ancora più sorpreso, poi semplicemente sorrise. Tetsuro si trovò a pensare che era facile parlare con lui, come se lo conoscesse da sempre.
È così, gli ricordo una piccola vocina.
-Volevo scusarmi per ieri- Kenma cambiò argomento –ho reagito in modo… imbarazzante.
-Hai reagito in modo normale- lo contraddisse Kuro –non era un’informazione facile da digerire. Insomma…- le sue guance si fecero rosse e distolse lo sguardo mentre continuava –immagino che avrei reagito allo stesso modo se fosse stato il contrario, deve essere difficile quando… ami una persona.
Kenma lo stava scrutando con uno sguardo indecifrabile, così intenso che gli fece scendere un brivido lungo la schiena.
-Ti va di camminare un po'?- propose infine –ti ho svegliato a quest’ora per portarti in un posto.
E che altro poteva fare Tetsuro se non annuire e lasciargli la libertà di fare qualunque cosa volesse?
Camminarono lungo il campo illuminato dai primi raggi del sole ma ancora addormentato, Kenma lo portò fino alla spiaggia e da qui in una rientranza particolare. Era un luogo romantico e privato, l’alba accentuava tutto ciò molto di più. Kenma si sedette a terra e fece segno all’altro di raggiungerlo al suo fianco.
-Ti ricordi questo posto?- sussurrò piano il biondo come a non voler rompere la magia del posto. Si sistemò meglio per essergli quasi di fronte e poterlo guardare mentre parlava.
Kuro scosse piano la testa.
-L'estate dei tuoi quattordici anni, mi hai confessato qui il tuo amore. C'eravamo baciati l'anno prima, piccoli baci a stampo che per dei bambini sono delle cose enormi- rise piano -ma solo l'estate successiva ci siamo messi insieme ufficialmente. Tu sei venuto nella mia cabina all'alba, come ho fatto io oggi. Io odio svegliarmi presto, ma per te ho sempre fatto un'eccezione. Hai detto che non riuscivi a dormire perché non potevi smettere di pensarmi, quindi mi hai portato qui e con il volto rosso mi hai confessato i tuoi sentimenti. Mi hai detto che avevi visto tutti i film romantici che piacciono tante alle ragazzine, che avevi fatto una lista di quello che i protagonisti di quei film dicevano di provare e che erano le stesse cose che provavi per me. Mi hai detto di non essere sicuro di cosa fosse l'amore, ma che volevi imparare a conoscerlo insieme a me. Mi hai detto che non avresti mai potuto passare una bella giornata senza il mio buongiorno e che ti bastava la mia semplice vicinanza per capire che tutto sarebbe andato per il meglio.
Kuro si accorse di avere gli occhi lucidi solo quando sentì una lacrima solcare la sua guancia. Kenma gli sorrise dolce e allungò una mano per asciugargliela con delicatezza, poi continuò.
-Io mi sono innamorato di te giorno dopo giorno. Sei diventato indispensabile e non ho nessuna intenzione di perderti. Hai lottato per la nostra relazione, hai persino sfidato il dio dell'amore per farci stare insieme e io non sarò da meno. Ti racconterò ogni cosa e anche se non riavrai indietro i tuoi ricordi, nulla ci impedisce di crearne di nuovi. Possiamo riavere tutte le nostre prime volte... Ti farò innamorare di me giorno dopo giorno, esattamente come tu avevi fatto con me. Ti farò ricordare perché ne vale la pena, perché siamo destinati a stare insieme e perché ci amiamo. Non importa quando tempo ci vorrà, ti aspetterei anche una vita intera.
Kuro era inspiegabilmente attratto dal ragazzo che aveva di fronte, si sentiva vicinissimo a ottenere quello che aveva sempre cercato, ma impossibilitato ad averlo perché non aveva idea di come fare o cosa cercare.
Era forse amore a prima vista? Era l’eco della storia che c’era stata tra di loro? Cos’era tutto quello che stava provando?
Decise che non doveva pensarci, stava vivendo un momento bellissimo e non l’avrebbe rovinato con le sue paranoie mentali. Stabilì quindi di rispondere sinceramente con tutto quello che gli passava per la mente, nessun filtro.
-Non penso dovrai aspettare molto, non se continui a guardarmi con quegli occhi. Ti conosco principalmente dai racconti di Bokuto e Akaashi sull’aereo, ma più sto con te e più mi rendo conto di quanto tu sia bello, dolce, risoluto e altruista. Ogni minuto che passa mi rendo conto di un dettaglio che mi fa pensare "wow, come può questo ragazzino così speciale essere interessato a me?" e non... non capisco come possa essere la realtà.
-Sei tu quello speciale, non io.
Kuro rise -Dubito.
Kenma alzò l'angolo della bocca in un principio di sorriso -Non lo ricordi ma... c'è una cosa importante che devi assolutamente salvare nei tuoi ricordi sul nostro rapporto.
-Cioè?
-Che ho sempre vinto io le discussioni.
Risero piano entrambi e i loro volti si fecero più vicini.
Kenma continuava a guardarlo con quello sguardo che Kuro non avrebbe saputo tradurre a parole, ma che gli faceva torcere lo stomaco in un modo strano ma piacevole.
Si ritrovò a sussurrare -Ti sembra assurdo se ti dico che ho una terribile voglia di baciarti, anche se non so ancora qual è, tipo, il tuo colore preferito?
-Il rosso- rispose l'altro con lo stesso sussurro urgente, infine poggiò piano le labbra sulle sue, riuscendo ad avere quel bacio che il giorno prima gli era stato negato.
Quando si staccarono, la mente e lo stomaco di Kuro erano talmente in subbuglio da non riuscire a capire come si sentisse.
-Va bene?- domandò piano Kenma, scrutandolo mentre cercava di capire se avesse osato troppo.
-Non lo so- sussurrò sincero l’altro.
Kenma si tirò indietro, ma Tetsuro lo bloccò prendendogli la mano –ma è un bell’inizio.
Gli occhi di Kenma si fecero lucidi, ma il sorriso non era mai scomparso –è un nuovo inizio.





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n.a. Ciao! Spero che vi sia piaciuta (perché come ormai saprete ci tengo particolarmente alle mie kuroken ahah)
Questa long è conclusa ma ancora manca l'ultima parte della serie, dalla prossima settimana inizia "Moments" la raccolta di OS/flashfic su tutte quelle coppie/personaggi che hanno avuto ruoli marginali finora. Sarà composta da 5 parti totali, ogni parte avrà una o più storie (in base alla lunghezza). Quindi non smettete di seguire questa storia che ci risentiamo il prossimo mercoledì! Buona settimana a tutti!
Deh <3

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Capitolo 14
*** Moments - Parte 1 ***


Storie intorno al fuoco
Moments



Parte 1
  • Daichi x Suga
Se si poteva considerare vero l’amore a prima vista, Daichi e Suga avrebbero concordato con l’idea che era quello che era successo a loro due la prima volta che si erano visti.
Avevano dodici anni quando avevano incrociato il loro primo sguardo ed entrambi avrebbero giurato che era scattata qualcosa dentro di loro.
Fu facile iniziare a parlare, conoscersi e diventare migliori amici, inseparabili anno dopo anno.
Fino ai loro quindici anni, nessuno dei due conosceva ancora il proprio genitore divino. Daichi aveva un evidente comportamento da leader, ma questo non era abbastanza per poter fare azzardi sul suo genitore divino. Suga era più complesso, neanche lui aveva ancora ricevuto il suo evidente simbolo di appartenenza, ma il suo potere di evocare la pioggia aveva portato tutti a credere che fosse un figlio di Zeus.
I due ragazzi flirtavano apertamente l’uno con l’altro, ma sia per l’età, sia per la giornate piene sempre d’impegni, non era ancora mai successo nulla tra i due. Non che avessero fretta, non era qualcosa che gli pesava. Finché stavano insieme tutto il giorno, cosa cambiava rendere le cose ufficiali o meno?
Quell’estate, tuttavia, il loro mondo crollò nel momento in cui Daichi fu ufficialmente riconosciuto.
I due ragazzi erano in missione insieme ad Asahi, figlio di Eirene, e stavano combattendo contro un gruppo di Carnivorous Sheep quando il terreno sotto i piedi di Suga crollò.
Il ragazzo urlò mentre cadeva nel vuoto attirando, ovviamente, l’attenzione degli altri suoi compagni.
Daichi non ci pensò neanche mezzo secondo prima di lanciarsi per salvarlo. Lo afferrò a mezz’aria e lo strinse contro il suo petto.
Suga spalancò gli occhi quando si rese conto che erano fermi a mezz’aria e non stavano più cadendo, fissò il ragazzo che era a un palmo dal suo naso con sguardo incredulo e infine sbottò –sai volare?
Daichi sembrò accorgersi della situazione solo in quel momento, simbolo di chi stava usando il proprio potere senza neanche rendersene conto –Ah io… immagino di sì.
Atterrarono delicatamente e dopo qualche secondo Asahi li raggiunse correndo, con sguardo preoccupato. Si rilassò solo quando si rese conto che i due amici non avevano alcuna ferita, ma non poté fare a meno di notare il simbolo luminoso sopra la testa del castano.
-Quindi sei anche tu un figlio di Zeus!
-Cosa!?- mentre Daichi, sconvolto, cercava di vedere a sua volta il proprio simbolo, Suga si staccò tremante da lui e con occhi vacui si allontanò per vomitare tutto quello che aveva nello stomaco.
 
Da quel giorno i due smisero di parlare e, quando costretti dalle circostanze, si limitavano a brevi conversazioni tese e imbarazzanti.
Quanto si doveva essere deviati per avere una cotta per il proprio fratellastro? Era orribile e ripugnante e Suga non faceva altro che sentirsi uno schifo ogni giorno di più, poiché quei sentimenti che era sicuro di provare per l’altro, non volevano passare.
Passò un anno e, durante i loro sedici anni, fu finalmente riconosciuto anche lui dal proprio genitore divino.
Fu un momento strano e inaspettato: un attimo prima si stava svolgendo una partita di pallavolo e l’attimo dopo Suga si era incazzato talmente tanto che aveva iniziato a nevicare.
Non era mai successo, il ragazzo dai capelli chiari non era neanche sicuro di poterlo fare, quello che sapeva era che riusciva a far piovere, non nevicare.
Suga non stava neanche giocando, era insieme ad altre persone sugli spalti a vedere il torneo e, quando questo venne brevemente interrotto per il tiro violento che aveva colpito in pieno volto Daichi, Suga non era riuscito a non intervenire urlando al ragazzo che gli aveva fatto male di scusarsi. E quando questo si rifiutò di farlo, non riuscì più a controllare le sue emozioni.
Suga tornò in sé solo quando vide la neve cadere tutto intorno a lui, strabuzzò gli occhi e guardò da ogni parte, lasciando andare il ragazzo che aveva quasi aggredito prendendolo per il bavero della maglia arancione. Sentì inoltre i sussurri poco velati che si stavano diffondendo tutto intorno a lui. Uno in particolare lo colpì profondamnete:
-Demetra? Come può essere figlio di Demetra con quel potere?
-Che state dicendo?- domandò in preda al panico alla ricerca di una risposta chiara.
Hinata gli si avvicinò e fu il primo a rispondergli –Suga-san! I tuoi occhi sono diventati tutti luminosi e hai iniziato a far nevicare e subito sulla tua testa è spuntato il simbolo di Demetra! È lei tua madre!
-Non ha senso- sussurrò qualcun altro mentre buona parte dei ragazzi annuiva a quell’affermazione.
-Certo che ha senso- s’intromise Kenma Kozume, un figlio di Atena, che era lì solo per far compagnia a Hinata –è ovvio che una delle cose indispensabili per far crescere i campi sia l’acqua, senza pioggia non potrebbero vivere.
-E allora la neve?
Kenma alzò le spalle e rispose con un tono ovvio –è incazzato. E vi ricordo che l’ultima volta che Demetra si è incazzata perché le avevano rubato la figlia, ha creato l’inverno. In ogni caso, volete davvero mettere in dubbio il simbolo luminoso sopra la sua testa?
Quello concluse definitivamente la discussione e Suga venne accolto dai suoi nuovi fratelli con abbracci e diverse pacche sulle spalle.
Il ragazzo accettò tutto passivamente, ancora stordito per quella nuova rivelazione che cambiava ogni cosa.
Solo qualche ora dopo, mentre si trovava da solo nella sua nuova cabina a sistemare i propri effetti personali, fu raggiunto da Daichi che bussò piano sul legno della porta aperta.
-Ehy- sussurrò quando Suga si voltò a fissarlo.
-Ciao- sussurrò in risposta, arrossendo.
-Possiamo parlare?
Il figlio di Demetra annuì e lo raggiunse fuori, si misero sul retro della casa per avere un po' più privacy e Daichi non perse tempo a dire –Sono felice di non essere tuo fratello. Non ho mai smesso di sperare che le voci che giravano sul tuo genitore divino fossero false. Sarò sempre grato a Demetra per averti creato e per averci appena dato la certezza che sei suo figlio.
-Sono felice anche io.
Furono solo quattro parole. Avrebbe potuto dire molto di più, ma era finito il tempo di parlare ed era arrivato il momento di agire.
Si sporse in avanti e lo baciò, dolce e lento, ma che esprimeva tutto quello che sapevano bene che avevano provato per anni.
E, finalmente, il peso sul suo stomaco scomparve, perché adesso era giusto.

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Capitolo 15
*** Moments - Parte 2 ***


Parte 2
  • Tanaka x Shimizu
I figli di Afrodite erano sempre in mezzo ai pettegolezzi e di solito erano quelli che se la passavano peggio. Ma per Shimizu Kiyoko era proprio terribile.
Non era colpa sua se il suo potere faceva infatuare di lei tutti quelli che le stavano vicino. Aveva iniziato proprio per questo a essere fredda e a rifiutare qualsiasi tipo di gentilezza che le veniva offerta, non volendo illudere nessuno e non volendo creare false speranze.
Aveva avuto così tante confessioni d’amore che ormai aveva un modello standard da seguire per le risposte. Questo l’avrebbe fatta diventare ancora più stronza? Probabile. Ma che altro avrebbe dovuto fare?
“Mi piaci, vuoi uscire con me?”
“Perché ti piaccio?”
“Perché sei bella!”
“E poi?”
Non c’era mai una risposta.
Aveva avuto sia pretendenti insistenti, sia quelli che rispettavano il suo volere. Tra quelli insistenti ce n’era uno in particolare che non aveva mai perso la speranza e Shimizu si chiedeva come fosse possibile. Ormai tutti sapevano che quello che provavano per lei era solo dovuto al suo potere, quindi perché continuare a insistere su qualcosa che non esisteva?
Il ragazzo in questione era un figlio di Efesto e si chiamava Tanaka Ryunosuke. Era un anno più piccolo di lei e neanche si era accorta di aver passato così tanto tempo a fissarlo fino a quando arrivò alla conclusione che quasi sapeva più cose di lui che dei suoi amici intimi.
-Se è così insistente- le disse un giorno Yachi –magari c’è un altro motivo.
Shimizu sbuffò –Che altro motivo potrebbe mai esserci?
Yachi non disse nulla e la conversazione si spostò su un altro argomento, ma quella frase non lasciò la testa della ragazza per diverso tempo.
 
Quel giorno Tanaka si stava allenando con la spada contro un manichino di stoffa, fu a quel punto che la ragazza decise di raggiungerlo con la propria spada in mano –Perché non ti alleni con qualcuno che possa batterti?
Tanaka arrossì quando si rese conto di chi aveva davanti –Se per te va bene.
La ragazza partì all’attacco.
Erano bravi entrambi e si divertirono, potevano essere considerati alla pari fino a quando Tanaka non fu distratto dalla luce del sole che per un attimo si rifletté nell’arma della ragazza, inciampò e cadde  a terra, decretando il vincitore di quella sfida.
-Ah cavolo, sei davvero perfetta in tutto.
Lei accartocciò il viso e, infastidita, chiese –Perché ti piaccio?
-Perché sei bella- rispose come da manuale –e sei forte. Sei intelligente e gentile. Hai fatto un sacco di cose belle per i tuoi amici e ogni volta che c’è un problema nella tua cabina riesci subito a trovare la soluzione migliore.
Quello era nuovo, nessuno aveva mai elencato tutte quelle cose con una tale naturalezza. Nonostante ciò scacciò quei pensieri dalla testa e s’impuntò di credere che non voleva dire nulla.
Abbassò lo sguardo e posò la spada dandogli la possibilità di rimettersi in piedi, nel mentre che lo faceva sussurrò –Lo dici solo per via del mio potere.
-Non credo- rispose il fglio di Efesto abbastanza convinto.
-Insomma…- alzò una mano e imbarazzato iniziò a passarla tra i capelli cortissimi –sei tu quella che conosce meglio di tutti il tuo potere. E magari sì, adesso sto solo parlando per via di questo. Ma non credo che sia attivo anche quando non riesco a dormire perché ti penso troppo, o quando ti guardo da lontano e penso che mi basterebbe solo starti accanto per essere felice.
Shimizu non ricordava quando era stata l’ultima volta che il suo volto era diventato così rosso e il suo cuore aveva iniziato a battere in quel modo al di fuori di una battaglia.
-Tanaka… ti va di accompagnarmi alla prossima missione?
Il volto di Ryu s’illuminò come non l’aveva mai visto fare –Certo!
Non era tanto, non si poteva considerare neanche un appuntamento, ma era un inizio e le cose non potevano fare altro che migliorare. L’avrebbero fatta funzionare.

 
  • Tsukishima x Yamaguchi
-Non so cosa farei senza di te- mormorò Kei con gli occhi chiusi e per metà già addormentato –ti amo così tanto.
Yamaguchi sorrise dolce mentre gli accarezzava i capelli biondi, facendolo sistemare meglio contro il suo corpo. Adorava i momenti simili, quelli dove Tsukki era in procinto di addormentarsi e non c’erano più filtri tra la sua mente e la sua bocca. Semplicemente si trovava a dire tutto quello che di solito avrebbe tenuto per sé per imbarazzo.
Era l’orario subito dopo pranzo, l’orario dove nessuno aveva voglia di fare nulla se non riposarsi e rilassarsi lontano dal calore estivo. Era, infatti, per questo motivo che tutte le attività non iniziavano mai prima delle quattro del pomeriggio.
Kei e Tadashi si erano rifugiati nella foresta come quasi ogni giorno. I due ragazzi sapevano che erano iniziate a girare voci imbarazzanti su loro due, soprattutto da quando avevano confermato che erano fidanzati, ma non se n’erano preoccupati troppo, perché loro sapevano bene che non era la verità. Tutto quello che facevano era… dormire.
Yamaguchi era un figlio di Hypnos. Il ragazzo aveva sempre odiato esserlo: tutti gli altri erano fighi, erano figli di grandi divinità e avevano poteri incredibili. E poi c’era lui, figlio di un dio minore con il semplice potere di far addormentare le sue vittime.
Aveva sempre trovato il suo potere stupido e inutile, s’isolava per questo e aveva sempre cercato di nasconderlo. O almeno, tutto ciò accadde fino a quando non incontrò Tsukishima Kei.
Tsukki era un figlio di Ares e per quanto non apprezzasse più di tanto le lotte fisiche, non si tirava mai indietro in un litigio a parole. Insultava e denigrava la sua vittima fino a quando questa non andava via completamente sconfitta. Era così che i due erano diventati amici, quando Kei aveva salvato Tadashi dai bulli senza neanche alzare un dito su di loro.
Certo, vincere ogni singola discussione poteva essere il sogno di chiunque, ma per ogni cosa c’erano dei contro e quello di Tsukishima era il rumore nella sua mente. Non riusciva mai ad avere un attimo di pace, poiché nella sua testa continuavano a susseguirsi le varie discussioni, i vari modi in cui avrebbe potuto rispondere e, più s’innervosiva per la situazione, più il tutto peggiorava.
Il suo sonno era sempre agitato, non riusciva mai a dormire per tutta l’intera notte e questo continuava a peggiore ogni cosa.
Le cose cambiarono con l’arrivo di Yamaguchi.
Tadashi aveva sempre pensato che il suo potere fosse inutile e stupido, ma quel pensiero era ormai del passato. Non avrebbe più potuto pensare una cosa simile, non quando aveva il proprio ragazzo che gli dormiva beatamente tra le braccia solo grazie a questo potere.
Tadashi avrebbe passato intere ore a fissarlo e a ringraziare il proprio destino per avergli dato tutto quello, non avrebbe potuto chiedere nulla di diverso, era felice di averlo infine capito.
Magari il suo potere non era eccezionale come quello degli altri suoi amici, ma era utile per la persona che amava e questa era l’unica cosa che contava.

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Capitolo 16
*** Moments - Parte 3 ***


ATTENZIONE: le storie che seguono sono direttamente collegate alla iwaoi "Come i nostri genitori" e alla kuroken "Il torto a Eros", quindi sconsiglio di leggerle a chi non ha letto prima quei capitoli.





Parte 3
  • Matsukawa x Hanamaki
Makki e Mattsun sapevano benissimo che per la missione di Ushijima, quella che avevano consigliato a Oikawa per staccare la spina da Iwaizumi, sarebbe partito lo stesso Hajime.
Lo sapevano bene perché Iwaizumi, solo il giorno prima, era andato a lamentarsi con loro su quanto volesse prendere a pugni Oikawa perché continuava a sbattergli in faccia la sua bellezza.
Erano stati loro a consigliargli di partire con Ushijima per allontanarsi dal figlio di Afrodite, ma non avevano potuto trattenersi dal consigliare la stessa cosa a Oikawa quando si era ripetuta la medesima scena.
Dopo aver convinto il figlio di Afrodite, questo si alzò pronto a dirigersi alla Casa Grande per avvertire Chirone della sua scelta, così i due ragazzi rimasero nuovamente soli.
Makki fissò Tooru allontanarsi con un sorrisetto divertito e commentò all’amico al suo fianco –quanto scommetti che torneranno fidanzati?
-Non scommetto visto che pensiamo entrambi la stessa cosa.
Il figlio di Ermes rise e si voltò a fissare il castano –siamo davvero bravi in questo, chi sono i prossimi da far mettere insieme?
L’espressione di Mattsun non cambiò mentre, continuando a fissarlo negli occhi, domandò –Noi due?
Le guance di Hanamaki si spolverarono di rosa, ma il suo sorriso si fece più grande e rispose con una domanda –Perché non ci abbiamo mai pensato prima?
Il figlio di Dionisio alzò le spalle –Forse perché ci comportiamo già come una coppia.
-Buon punto. Va bene, allora lo rendiamo ufficiale?
Mattsun sorrise –A meno che tu non abbia il terrore di baciarmi perché ti ricordo mio padre…
Makki alzò gli occhi al cielo ridendo –Idiota…- borbottò prima di afferrarlo per la maglia arancione e spingerlo in avanti per baciarlo.
 
  • Akaashi x Bokuto
Akaashi mangiò velocemente la sua colazione quella mattina e, dopo aver ripulito il suo posto, si affrettò a raggiungere Bokuto al suo tavolo.
Il ragazzo sembrava ancora giù per gli avvenimenti della missione dalla quale erano tornati solo la sera prima, così il corvino si affrettò subito a provare a migliorargli l’umore.
-Hai visto?- domandò raggiungendolo –Né Kenma né Kuro sono a colazione, sono sicuro che sono insieme da qualche parte. Torneranno una coppia, vedrai.
Bokuto si voltò verso di lui ampliando il suo broncio –Non mi mentiresti mai, vero?
Akaashi sorrise –Promesso.
Questo sembrò risollevarlo definitivamente e Keiji si preparò per parlargli di quello che non l’aveva fatto dormire tutta la notte.
-Senti… possiamo parlare? In privato.
Bokuto annuì e insieme lasciarono la mensa, ancora abbastanza affollata, per cercare un posto dove avrebbero potuto parlare da soli.
-Riguardo a quello che è successo con Eros…
-Scusami- Bokuto bloccò la frase di Akaashi quasi sputando quelle scuse. Il ragazzo si stava torcendo le mani e aveva lo sguardo basso.
Da quando avevano avuto il discorso davanti al dio dell’amore, nessuno dei due poi aveva più aperto l’argomento. Quello che era successo con Kuro e Kenma era diventata la priorità e di comune accordo avevano deciso di aspettare: ma adesso era arrivato il momento e Bokuto ne era terrorizzato.
Keiji gli sorrise dolce, si trattenne dall’allungare una mano verso di lui e semplicemente sussurrò –Per cosa ti stai scusando?
-È stata colpa mia, sono stato io ad averti baciato dentro il casinò. Ero talmente euforico e non riuscivo a pensare lucidamente e tu… tu eri lì e volevo solo farlo. Ma non dovevo, perché avrei dovuto chiedertelo, non è giusto quello che ho fatto.
-Perché volevi farlo?
Bokuto alzò di scatto lo sguardo come se Akaashi avesse appena detto qualcosa di stupido, infine rispose –Perché sei fantastico, Akaashi. Tu sei perfetto. Chi non vorrebbe baciarti?
Dèi si ritrovò a pensare il figlio di Atena questo ragazzo vuole uccidermi.
-Kou… ero sincero quando ho detto ad Eros che sono innamorato di te. Sei tu quello perfetto, mi piaci da sempre, quindi… vuoi essere ufficialmente il mio ragazzo?
La reazione di Bokuto fu esuberante, come lo era tutto di lui. Non appena capì appieno quella domanda i suoi occhi s’illuminarono, il suo sorriso si fece abbagliante e urlò mentre lo stringeva tra le braccia e lo alzava da terra, inondando il suo volto di baci.
-Sì! Sì! Mille volte sì! Questa è la più grande vittoria di tutta la mia vita!
Akaashi capì che sì, quel ragazzo l’avrebbe davvero ucciso, ma finché era Bokuto gli avrebbe lasciato fare qualsiasi cosa. Di conseguenza, dove doveva firmare per vivere in quel modo il resto della vita?
 
  • Yaku x Lev
Ogni anno, quando al campo arrivavano nuovi semidei, Chirone li affidava ai più grandi per insegnargli tutto quello che avevano bisogno di conoscere.
Ai figli di Ares erano assegnate le nuove reclute per conoscere tutti i tipi di combattimento e le armi da utilizzare. Quello della cabina che si assumeva sempre la responsabilità di questo compito era Yaku, tanto che si era diffusa l’idea che fosse la “mamma” del gruppo.
E poi arrivò Lev, uno dei semidei più fastidiosi tra quelli che gli erano stati assegnanti e colui che stravolse la sua vita.
Questo era un completo idiota e non faceva altro che esasperare Yaku dalla mattina alla sera.
Il più grande era convinto di odiarlo, di non sopportare i suoi continui “yakkun” e le sue battute che non facevano ridere mai nessuno. Ne era davvero convinto fino a quando Lev non iniziò ad allontanarsi.
Erano passate due estati da quando Lev era arrivato al campo e il figlio di Apollo si era sempre di più avvicinato a Kenma, uno dei figli di Atena.
Yaku era incazzato della cosa? Beh, non l’avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso, ma era innegabile che il suo umore peggiorasse ogni qualvolta che li vedesse insieme.
Si sentiva abbandonato e lasciato indietro, come aveva potuto quel ragazzino illuderlo che fosse tutto il suo mondo per poi andarsene quando aveva trovato un nuovo amico?
Certo, doveva essere felice della cosa, di aver finalmente ritrovato la pace che tanto sognava… ma così non era stato.
Non aveva capito che il suo fastidio persisteva perché aveva una cotta per quel figlio di Apollo. La cosa gli fu chiara solo quando un giorno dell’estate successiva, nella quale a stento si erano scambiati dei brevi saluti, Lev lo raggiunse e iniziò a straparlare dei suoi sentimenti.
Gli disse che aveva una cotta per lui da anni, che non aveva idea di come avrebbe dovuto comportarsi perché Yaku smettesse di odiarlo, che non aveva neanche intenzione di dirgli tutto quello se non fosse stato per Kenma che l’aveva convinto a farlo. Continuò spiegandogli nel dettaglio tutto quello che provava quando lo vedeva, più tantissime altre smancerie romantiche che, se Yaku non avesse saputo la verità, avrebbe dato per scontato fosse un figlio di Afrodite.
E, solo quando la cosa si fece più che imbarazzante per tutti, Yaku bloccò il suo flusso di parole annunciando che sì, avrebbe iniziato una relazione con lui.

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Capitolo 17
*** Moments - Parte 4 ***


Parte 4
  • Suna x Osamu
Suna non aveva mai capito se la sua passione per i gossip fosse una diretta conseguenza dell’essere un figlio di Iride o semplicemente fosse una parte della sua personalità.
Qualunque fosse la risposta, tuttavia, non era così importante poiché il ragazzo avrebbe continuato a vivere spensierato e curioso dei fatti degli altri in ogni caso.
Suna conosceva informazioni su chiunque lì al campo, non era stato un lavoro facile entrarne a conoscenza, ma si poteva dire abbastanza soddisfatto della cosa.
Sapeva del luogo segreto di Kuro e Kenma, della cotta segreta di Akaashi, delle mutande con gli alieni fosforescenti che Oikawa amava indossare, delle frasi smielate che Tsukishima scriveva a Yamaguchi, della lista di cose stupide che Ushijima diceva al giorno e di tutte le volte che Hinata e Kageyama non capivano che l’altro stava flirtando con lui.
L’unica persona di cui Suna non aveva alcun tipo d’informazione, se non quelle rilasciate dal gemello sulle parti di vita uguali, era Osamu Miya.
La cosa lo faceva infuriare a tal punto che un giorno, mentre camminava lungo il campo per dirigersi a mensa, lo vide da solo e non poté bloccarsi dal raggiungerlo e sbottare –Perché diavolo non puoi essere più simile a tuo fratello!?
Osamu si bloccò sul posto e lo fissò con uno sguardo frastornato –Hai sbagliato persona? La gente dice sempre il contrario.
Suna poggiò le mani sui propri fianchi e alzò gli occhi al cielo ancora più infastidito –No, sto parlando proprio con te, Miya Osamu. Di tuo fratello ho un sacco di materiale imbarazzante per ricattarlo, ma tu! Di te non so nulla! Ti sembra normale questa cosa? Mi fa esasperare!
Un lampo d’interesse passò sul volto di Osamu –Hai materiale di ricatto per ‘Tsumu?
-Ovvio che sì! Ma non ci provare neanche a volerlo proteggere, non rinuncerò mai alle mie informazioni.
Osamu rise –Proteggerlo? Scherzi? Di colpo sei diventato molto interessante… come hai detto che ti chiami?
-Rintaro.
-Bene Rin, hai delle informazioni che m’interessano parecchio. Ci vediamo oggi pomeriggio al lago, porta da mangiare. Chissà, magari ci guadagni anche tu scoprendo le cose per le quali eri tanto interessato.
Suna corrugò la fronte, totalmente stranito dalla svolta che gli eventi avevano preso –è una specie di appuntamento?
Osamu alzò le spalle, l’espressione del suo volto che non fu modificata di una virgola –Perché no?
Mentre lo guaradava allontanarsi, Suna si ritrovò a riflettere che in pochi secondi la sua giornata era diventata molto più interessante di quello che aveva pensato.
Se Osamu se la fosse giocata bene, Suna avrebbe anche potuto rivelargli il luogo dove Atsumu in versione volpe e Sakusa Kiyoomi passavano i loro pomeriggi ad amoreggiare. Certo, era un’informazione enorme e doveva guadagnarsela.
Infine Rintaro, a discapito di quello che aveva deciso di rivelare, scoprì abbastanza presto che Osamu Miya riusciva a prendersi tutto quello che voleva, tuttavia scoprì anche che non gli dispiaceva per niente.
 
  • Kita (x Aran)
Fin da quando poteva ricordare, Kita aveva sempre saputo che sua madre era la dea Demetra.
La sua vita era sempre stata tranquilla nella casa in campagna nella quale viveva con la nonna. Era stata lei a crescerlo, lei a insegnarli tutto quello che c’era da sapere sul giardinaggio e sempre lei a raccontargli i miti greci come favole della buonanotte.
Ma come ogni cosa bella, non avrebbe potuto durare a lungo e Kita lo scoprì alla tenera età di sei anni.
Furono attaccati da un mostro, la loro casa andò a fuoco e sua nonna morì. Solo da adoloscente si rese conto che si salvò da quel disastro solo perché probabilmente sua madre gli diede un aiuto divino.
Scappò e seguì le indicazioni per arrivare al campo mezzosangue di cui sua nonna non aveva mai smesso di raccontargli. Fu un viaggio lungo e faticoso, con poco cibo e non privo di combattimenti. Ma fu anche il viaggio che lo portò a conoscere la sua nuova famiglia, che gli fece prendere sotto la sua ala protettiva i gemelli Miya.
Kita li adorava, si era affezionato a loro e al loro modo di esprimere l’amore che provavano l’uno nei confronti dell’altro senza mai dirlo ad alta voce. Ammirava la loro unione e come fossero collegati senza neanche rendersene conto.
Nonostante fossero più piccoli di solo un anno, Kita iniziò a considerarli senza problemi i suoi “fratellini”. Ma più crescevano e più l’albino si rendeva conto che più come un fratello i due l’avevano iniziato a considerare una “mamma”.
 
“Ti rendi conto? Era l’ultimo pezzo di torta che avevo nel piatto e Atsumu l’ha mangiato! Quale demone farebbe una cosa del genere!? Lo odio, non gli parlerò mai più!” uno dei tanti lamenti di Osamu.
 
“Quel pezzo di merda! Lo so che mi ha fatto cadere di proposito! Così adesso ho il polso slogato e non potrò partecipare alla partita di domani! Ah, ma se non posso giocare io non giocherà neanche lui!” questo era Atsumu.
 
“Quindi… ieri sono andato al lago con questo ragazzo e lui ha portato un sacco di cibo perché ha detto che non sapeva quale fosse il mio preferito e non voleva sbagliarsi. E Insomma… credo di essermi innamorato.” sempre Osamu.
 
“Omi è così dolce! Aaah, perché non si accorge di me? So che mi adora in versione volpe, non potrebbe comportarsi in quel modo anche nella mia versione umana!? Che devo fare? Dove sono i manuali per situazioni del genere!?” Atsumu.
 
Kita era diventato davvero bravo a gestirli, soprattutto quando i due erano talmente incazzati con l’altro gemello che non avevano neanche bisogno di una risposta. Erano lì per lamentarsi e tutto quello che Kita doveva fare, e che era molto bravo a fare, era semplicemente ascoltarli o far finta di farlo.
Fu durante i suoi sedici anni che si accorse, giorno dopo giorno, che i lamenti che i due gli rivolgevano si erano notevolmente ridotti. Con orgoglio immaginò che i due fossero cresciuti e avessero iniziato ad essere più maturi, smettendo di conseguenza di litigare per cose stupide.
La verità, tuttavia, lo colpì in pieno da un commento di Suna.
Si trovavano al falò serale e Osamu e Atsumu avevano iniziato a discutere. Kita aveva sospirato piano “eppure stavano andando così bene” e Suna l’aveva sentito.
Il figlio di Iride aveva riso e gli si era seduto accanto per poi spiegargli –guarda che non hanno smesso di litigare, semplicemente sono diventati amici di Aran e ora si lamentano anche con lui.
Kita corrugò la fronte –Cosa?
Suna indicò un ragazzo di colore dall’altro lato del fuoco, sembrava avere la sua età ma probabilmente era arrivato al campo da poco poiché Kita non si ricordava di lui.
Rintaro continuò –strano che non lo conosci, tutti dicono che siete la mamma e il papà dei due scapestrati.
-Mh- Kita non spostò gli occhi dall’altro ragazzo –allora immagino che debba andare lì a ringraziarlo per avermi alleggerito il lavoro.
Nei giorni a seguire fu facile per i due diventare intimi. Ma quella era un’altra storia.





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n.a. Buonpomeriggio!
La storia di Kita diciamo che è più per lui che per la ship, infatti Aran sta solo tra parentesi giusto perché tutti gli altri titoli erano con la ship. Non ho scritto di loro perché non ci riuscivo (non so neanche di chi rendere figlio Aran! Quindi potete deciderlo in base alle vostre preferenze), per me si sono avvicinati nel modo più naturale del mondo, ma lascio a libera interpretazione.
La prossima sarà l'ultima parte di questa storia, concluderò con la Ushiten e la Kegehina.
Alla prossima settimana!
Deh

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Capitolo 18
*** Moments - Parte 5 ***


Parte 5
  • Ushijima x Tendo
“Sei una persona cattiva”
“Solo i sadici si divertono nel vedere soffrire gli altri!”
“Che problemi hai?”
Ogni singola frase che da sempre la gente gli aveva rivolto era stata detta per farlo soffrire, ma come potevano accusarlo di essere una cattiva persona quando loro erano i primi a fare i bulli con lui?
Tendo li odiava tutti. Non era mica colpa sua se tutti loro erano figli di dei fighi e interessanti, mentre sua madre era Eris, dea della discordia. E soprattutto non era colpa sua se il suo potere gli faceva capire quando c’erano problemi tra due persone, quando una odiava l’altra ma fingeva di essere gentile ai suoi occhi.
Certo, poteva stare zitto e non intromettersi, ma aveva imparato bene che tenersi le cose dentro le avrebbe fatte esplodere nel modo peggiore.
Quel giorno era stato cacciato dalla squadra con cui stava partecipando alla caccia alla bandiera perché aveva fatto litigare due alleati, portando al fallimento del piano che avevano ideato.
Così Tendo, un bambino di dodici anni, si diresse verso la riva del lago e qui si sedette sulla spiaggia, le gambe rannicchiate al petto e la testa poggiata sulle ginocchia.
Era come in attesa, anche se non sapeva di cosa.
Rimase in quella posizione per delle ore, semplicemente fissando il sole che piano faceva il suo corso nel cielo.
I suoi arti avevano iniziato a fargli male per il troppo tempo nella stessa posizione quando sentì dei passi avvicinarsi. Era sempre Chirone che lo ragiungeva e gli faceva continuamente lo stesso discorso sul non isolarsi e sul provare a interagire con gli altri.
Sospirò preparandosi a quella nuova conversazione, ma quando si alzò e si voltò rimase sorpreso di scoprire che colui che si stava avvicinando non era il centauro, ma un altro bambino della sua età.
Tendo era abbastanza certo che era quello che tutti chiamavano Ushiwaka, ma non sapeva nulla di lui o del suo genitore divino.
Il bambino aveva una palla in mano e quando fu abbastanza vicino gli chiese –Vuoi giocare?
Tendo si aspettava tutto meno che quello, sbatté più volte le palpebre e ci mise troppo tempo prima di rispondere –Cosa?
Il bambino non si spazientì e, perfettamente tranquillo, propose nuovamente –Vuoi giocare a pallavolo con me?
-Io?
-Sì.
-Perché io?
-Perché sai giocare bene, ti ho visto. Sarebbe bello averti in squadra.
-Sei sicuro?
-Sì.
La sicurezza con cui lo disse fece nascere un nuovo calore nel petto di Tendo. Per la prima volta in vita sua si sentì davvero voluto da qualcuno.
Quello fu il giorno in cui il rosso trovò il suo primo amico.
 
Due anni dopo, i due ragazzi stavano palleggiando sulla spiaggia, il sole ormai quasi del tutto tramontato all’orizzonte.
-Ti ricordi quando mi hai chiesto di giocare a palla qui la prima volta che abbiamo parlato?- domandò Tendo perdendosi nel ricordo indelebile di quel momento.
Ushijima annuì stoico schiacciando forte la palla che gli aveva passato.
Tendo la murò prima che gli colpisse la faccia, ma non riuscì a bloccarla e questa rotolò verso l’acqua. Mentre correva a prenderla continuò a parlare –Quando l’hai fatto, tu… non conoscevi il mio potere, vero?
-Tutti conoscono il tuo potere. I bambini parlano.
-Allora perché sei voluto diventare mio amico?
-Non avrei dovuto?
Tendo raccolse la palla bagnata e, mentre la stringeva tra le mani, si voltò ad affrontarlo. Non aveva mai iniziato quell’argomento perché aveva sempre avuto paura dell’eventuale risposta, ma dopo due anni aveva sentito il bisogno di sapere.
-Faccio litigare le persone.
-È mai successo con me?
Tendo rise –sarebbe impossibile considerando che dici sempre quello che pensi in faccia a chiunque.
Ushijima annuì –quindi non è colpa tua, è colpa loro che nascondono la verità. E chi cerca di incolparti è solo un codardo che non sa prendersi le proprie responsabilità.
Quella fu la prima volta che Tendo pianse davanti a Ushijima, ma fu anche la prima volta che i due si scambiarono un breve bacio a stampo e, secondo Tendo, fu una completa vittoria.
 
  • Hinata x Kageyama
Non era una novità che Hinata fosse definito stupido. Non era un segreto che in classe prestava raramente attenzione per poi prendere voti bassi in quasi tutte le materie.
La situazione, tuttavia, era differente. Hinata non era stupido, semplicemente non aveva voglia di metterci impegno. Era dislessico e iperattivo, unito alla voglia di voler solo giocare a pallavolo erano un massacro per la sua istruzione.
Quello che il figlio di Apollo piuttosto non comprendeva proprio erano i sentimenti. O, più nel particolare, erano i sentimenti romantici che proprio non capiva. Ogni volta che credeva di aver imparato qualcosa, il giorno dopo veniva smentito in qualche modo.
Kenma stava sistemando i suoi pezzi nella scacchiera e Hinata avrebbe dovuto fare lo stesso con i propri, ma quello che stava facendo era solo riempiere il suo amico di domande.
-Quindi anche se ami Kuro, se ti fa incazzare sei arrabbiato con lui.
-Sì.
-Arrabbiato tipo che lo odi e vuoi prenderlo a pugni.
Kenma sospirò iniziando a sistemare i pezzi dell’altro –Sì.
-Ma se lo ami, come puoi odiarlo allo stesso tempo?
Un nuovo sbuffo –Non è che smetto di esserne innamorato, semplicemente è normale litigare in una coppia, tanto si trova sempre il modo di fare pace se si è davvero interessati.
Hinata annuì prendendo appunti nella sua mente, avrebbe tanto voluto avere un’agendina in quel momento, perché non ne aveva portata una?
-Quindi le due emozioni cos… come si dice?
-Coesistono, sì.
-Ma se…
Kenma era arrivato al limite, non lo lasciò terminare e sbottò –Sei innamorato di qualcuno?
Il figlio di Apollo divenne quasi dello stesso colore dei suoi capelli iniziando a balbettare –Cosa!? No! Certo che no! Che idea assurda!
 
-Sei un idiota! Un grandissimo idiota!- Hinata stava urlando a Kageyama nel bel mezzo del campo di pallavolo dopo che il più alto non gli aveva lanciato la palla nonostante fosse completamente smarcato –Sei fastidiosissimo! Ti odio così tanto!
Ed era proprio per l’odioso figlio di Nemesi che Hinata stava avendo frequenti crisi su quello che provava già da diversi mesi. Era sicuro di odiarlo ma c’erano così tanti “ma” che lo stavano facendo diventare pazzo.
Kageyama l’aveva afferrato per la maglia arancione e, come sempre, aveva iniziato a urlargli contro, rispondendogli per le rime –Eri smarcato solo perché non l’ho lanciata a te! Era ovvio che ti stessero controllando! Sei così stupido! Sono io che ti odio di più!
-No, non è vero.
Tendo, che per un qualche strano motivo stava giocando in squadra con i due, s’intromise tranquillo nella loro discussione affermando quelle quattro parole.
I due ragazzi si voltarono verso il figlio di Eris e con le fronti corrugare chiesero in contemporanea –Cosa?
Tendo alzò le spalle e li indicò entrambi –Nessuno odia l’altro, lo sentirei altrimenti. Ma non c’è alcun tipo di vero disaccordo tra voi due.
-Il tuo potere ha smesso di funzionare?- sbottò infastidito Kageyama.
Quasi nello stesso momento Hinata commentò –è impossibile, che altro dovrebbe esserci tra di noi?
Si fissarono e, per quanto entrambi potevano essere definiti stupidi, non fu difficile arrivare all’epifania più imbarazzante di tutta la loro vita.




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E con questo arriviamo alla fine di questa serie, spero vi siano piaciute tutte le storie e tutti i personaggi. Mi sono divertita davvero tanto a scriverla e non posso fare a meno di ringrazirvi di cuore per essere arrivati fino a qui!
Ovviamente continuerò a scrivere di Haikyuu quindi non smettete di seguirmi che ho già tante nuove storie pronte ;)
Grazie ancora e alla prossima!
Deh <3

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