That Still Small Voice

di Niky_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO2 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1
 
Quella mattina il sole splendeva alto sulla ridente cittadina di Storybrooke, nel Maine.
Archibald Hopper, lo psicologo della città, camminava tranquillo lungo Main Street, godendosi l’usuale passeggiata in compagnia di Pongo, l’inseparabile amico a quattro zampe.
Quando giunse nella piazza principale, levò lo sguardo alla torre dell’orologio, simbolo della città. Le sue labbra si aprirono in un sorriso, quando la lancetta dei minuti si mosse in avanti con un lieve scatto. Ancora non riusciva a credere che dopo ventotto lunghi anni il tempo avesse ripreso a scorrere. La Salvatrice aveva spezzato il Sortilegio Oscuro, restituendo agli abitanti della Foresta Incantata i ricordi che erano stati loro sottratti. Il sigillo dietro cui le loro memorie erano state confinate era stato finalmente infranto e tutti, a Storybrooke, avevano potuto ricongiungersi con il loro vero Io. Il senso di incompletezza che li aveva tormentati per anni era svanito. Finalmente tutti sapevano chi erano realmente. I genitori avevano ritrovato i figli creduti persi, i fratelli avevano potuto riabbracciarsi e gli amanti erano stati riuniti. I negozi, la scuola, gli uffici e le botteghe erano stati riaperti con nuovo entusiasmo. L’allegro fischiettio dei nani risuonava ogni mattina per le strade cittadine mentre si recavano al lavoro, i pesanti picconi sulle spalle, ed il delicato profumo delle crostate appena sfornate d Granny si diffondeva nell’aria, spinto dalla leggera brezza autunnale.
Nonostante la contentezza generale, l’aver ritrovato la memoria aveva posto gli abitanti della città di fronte alla complicata questione di dover conciliare la loro vera identità con le persone in cui il sortilegio aveva loro trasformato. Dopo ventotto anni, non era facile venire a patti con un passato a lungo dimenticato e così diverso dal proprio presente. Per questa ragione, da quando l’oscuro incantesimo era stato spezzato, l’ufficio di Archie era sempre pieno. Ma a lui non dispiaceva. Aveva sempre amato essere il Grillo Parlante e nulla gli dava più gioia di poter aiutare il prossimo.
Lo psicologo abbassò lo sguardo su Pongo, e sorrise. «Che ne dici, Pongo, ti va una passeggiata nel bosco?»
Il dalmata lo guardò con i grandi occhi scuri ed abbaiò felice, agitando la lunga coda.
«E va bene» sorrise nuovamente Archie «Andiamo» Svoltò a destra, seguito a ruota dal cane, e si incamminò lungo la strada asfaltata che costeggiava la fitta boscaglia.
I due camminarono per una buona mezz’ora, osservando le cime maestose degli alberi e godendosi la piacevole frescura della foresta.
Gli uccelli cinguettavano allegramente tra le fitte fronde ed il venticello fresco portava con sé l’intenso profumo di resina degli abeti. All’ombra di un grosso cespuglio, Archie notò dei grandi funghi fare capolino tra l’erba incolta e i sassi, pronti per essere raccolti. Ad un tratto, i due scorsero uno scoiattolo: il piccolo roditore scese velocemente lungo un ramo e spiccò un balzo, superando agilmente la distanza che lo superava dall’albero vicino. Pongo prese ad abbaiare, ma un lieve richiamo da parte del padrone fu sufficiente perché si calmasse, e i due ripresero con calma la loro passeggiata. Gli alberi iniziarono presto a farsi più fitti, e la strada divenne più stretta e accidentata. In lontananza, Archie scorse il grande cartello verde che avvertiva i viaggiatori di aver raggiunto i confini della città; sulla sua superficie, a grosse lettere bianche, campeggiava la scritta “Benvenuti a Storybrooke”. Tale confine era stato ulteriormente marcato con una linea rossa, tracciata con della vernice spray direttamente sull’asfalto. Lo psicologo si fermò a qualche metro dalla linea, osservandola con apprensione. Nonostante il Sortilegio Oscuro fosse stato spezzato, una forza malvagia sembrava ancora imprigionare Storybrooke: coloro che oltrepassavano il confine della città venivano nuovamente colpiti dall’incantesimo, e dimenticavano ancora una volta la loro vera identità. «Andiamo, Pongo...» disse piano «Non è prudente stare qui...»
I due voltarono le spalle al confine, incamminandosi nuovamente verso il centro abitato. Questa volta, Archie non fece caso al cinguettio degli uccelli. Nella sua mente albergavano ora pensieri pieni di timore. Che cosa sarebbe successo se la Salvatrice, Biancaneve e il Principe non fossero riusciti a spezzare l’incantesimo? Sarebbero rimasti intrappolati in quel mondo per sempre, o sarebbero riusciti a tornare a casa, un giorno?
All’improvviso, Pongo si fermò. Rimase in piedi in mezzo alla strada, la coda ritta e le orecchie tese, fissando attentamente qualcosa tra gli alberi.
«Che cosa succede, bello?» domandò lo psicologo «Un altro scoiattolo?»
In quel momento, il dalmata iniziò a correre. Lo scatto con cui si mosse fu tanto rapido che il padrone non riuscì ad agguantare in tempo il guinzaglio, che gli scivolò dalle mani, trascinato dalla foga del cane.
«Pongo?» chiamò Archie, affrettando il passo per star dietro all’animale «Pongo – torna indietro!»
Pongo non si voltò neppure. Al contrario, si lanciò a testa bassa in mezzo agli alberi, e con poche falcate sparì in mezzo alla fitta vegetazione.
«PONGO!» esclamò l’uomo, mettendosi a correre a sua volta «Aspetta! Torna qui!» Abbassò il capo appena in tempo per evitare di essere colpito da un ramo d’abete più basso degli altri, e seguì il cane tra gli arbusti.
Dopo quello che parve un inseguimento interminabile, finalmente Pongo si fermò.
Lo psicologo lo raggiunse, ansimando. Si posò le mani sulle ginocchia e vi si accasciò sopra, respirando profondamente nel tentativo di riprendere fiato. Dopo qualche istante, sollevò il capo ed osservò il cane: Pongo era in piedi sotto un pino, la testa china, intento ad annusare furiosamente qualcosa di fronte a lui.
«Ehi, bello...» disse piano il dottor Hopper, avvicinandosi «Che cosa hai trovato?» Una volta riuscito a riagguantare il guinzaglio, più che mai deciso a non lasciare che Pongo fuggisse nuovamente, si decise a guardare oltre le possenti spalle dell’animale. Sussultò. «Ma – Cosa…?!»
Rannicchiata tra le grosse radici che sporgevano dal terreno, c’era una giovane ragazza. Aveva grandi occhi scuri e capelli castani mossi, lunghi fino alle spalle. Indossava una felpa nera ed un paio di jeans scuri, entrambi sporchi di terra e fango, come la suola delle scarpe da ginnastica rosse e bianche che portava ai piedi. Abbandonato a terra accanto a lei giaceva un piccolo zainetto viola. Il viso cosparso di piccole lentiggini era pallido, e la giovane aveva il respiro corto, come se avesse corso per molto tempo.
Archie la guardò, sbalordito. «E… E tu chi sei?»
Lei sollevò lo sguardo su di lui, rivolgendogli un’occhiata implorante.
«La prego...» sussurrò, con voce tremante «La prego, mi aiuti...»
 
*** ~ *** ~ ***
 
Lo psicologo aprì la porta a vetri e si spostò di lato per permettere alla ragazzina di entrare, avendo cura di tenere aperto l’uscio. «Ecco, entra, da questa parte»
La giovane varcò timidamente la soglia, lo zainetto tra le mani, e si guardò attorno. L’ufficio dello sceriffo era piccolo, ma tuttavia abbastanza spazioso da ospitare due scrivanie, una piccola reception, alcuni scaffali ed un appendiabiti. Due piccole celle quadrate facevano mostra di sé, completando l’arredamento con un cupo avvertimento.
Ad una delle scrivanie era seduto un uomo alto, con indosso una camicia azzurra, il cui colore si sposava perfettamente con quello degli occhi chiarissimi. Quando vide lo psicologo, le sue labbra si schiusero in un caldo sorriso. «Oh, buon giorno, Archie» lo salutò, alzandosi dalla sedia ed avvicinandosi.
«Buon giorno, David» rispose il dottore, stringendogli la mano «Mi dispiace disturbarti, ma ho davvero bisogno del tuo aiuto»
«Non c’è problema» assicurò gentile lo sceriffo, sorridendo nuovamente. Spostò la sua attenzione sulla ragazzina in piedi accanto ad Archie ed inarcò le sopracciglia, incuriosito. «E tu chi sei?» domandò in tono cordiale.
«Io… Mi chiamo Niky...» rispose lei timidamente.
«Niky, eh? È davvero un bel nome» approvò David. «Io sono David. David Nolan. Solo lo sceriffo della città» si presentò, porgendole la mano. «Beh, tecnicamente lo sceriffo sarebbe mia figlia, Emma, ma ti sarà giunta voce di quanto è successo...»
«Ah, temo di no, David. Niky… non è di queste parti...» si affrettò ad informarlo lo psicologo, rivolgendogli un’occhiata eloquente.
Lo sceriffo sbatté le palpebre, sorpreso, ma mantenne la sua compostezza. «Oh beh, questo… è davvero interessante… Beh, mmh, sedetevi, coraggio. Che cosa posso fare per voi?»
«Si tratta di Niky» esordì Archie, apprensivo «Credo si trovi nei guai»
Il giovane uomo annuì da dietro la scrivania, e fisso gli attenti occhi azzurri sull’amico, preparandosi a carpire ogni dettaglio dalla storia che egli stava per raccontare.
«Questa mattina sono uscito per la mia solita passeggiata con Pongo – ora è a casa di Granny, è stata così gentile da offrirsi di badare a lui fino al mio ritorno. Oh, ehm, sì, dicevo: passeggiavo con Pongo, quando all’improvviso è scappato. Ed è strano, perché non lo aveva mai fatto, prima d’ora. Ho pensato che avesse fiutato qualcosa, così l’ho seguito nel bosco. E lì ho trovato Niky...»
«E cosa ci facevi, tutta sola nel bosco?» volle sapere lo sceriffo.
«Ecco io… Stavo scappando...»
«Scappando?» le fecero eco i due uomini, colti alla sprovvista. Cogliendo le loro espressioni confuse, la ragazzina comprese di dover fornire loro maggiori dettagli.
«Qualche sera fa stavo tornando da scuola, e due tizi con un’auto grigia mi hanno fermata, e mi hanno chiesto indicazioni» Deglutì a fatica, poi proseguì: «Sono scesi dall’auto, e quando mi sono avvicinata mi hanno legata e mi hanno chiusa nel bagagliaio»
Gli occhi di David si spalancarono per lo shock, ed ogni traccia di colore scomparve dal volto dello psicologo.
«Ti hanno rapita?»
Lei strinse al petto lo zaino ed annuì, i capelli scuri spettinati che oscillavano pigramente ai lati del volto pallidissimo. «Ho gridato e cercato di chiamare aiuto, ma ho sono ripartiti subito» riferì, lo sguardo perso nei ricordi di quell’esperienza così spaventosa «Non so per quanto tempo abbiamo viaggiato. Ma deve essergli venuta fame, credo, perché ci siamo fermati a un distributore di benzina»
«È stato allora che sei riuscita a scappare?» domandò David, protendendosi verso di lei, sempre più coinvolto. Quando Niky annuì, nei suoi occhi apparve una scintilla di ammirazione. «E come hai fatto?»
«Beh… Eravamo abbastanza vicini alla foresta, ho pensato che se avessi corso abbastanza veloce avrei potuto nascondermi tra gli alberi… Ho chiesto di andare in bagno e mentre loro facevano la guardia alla porta, sono uscita dalla finestra e sono scappata. E poi ho iniziato a correre...» Si schiarì la voce, che aveva preso ad incrinarsi per l’emozione, e si strinse nelle spalle. «Quando si sono accorti di quello che era successo hanno iniziato ad inseguirmi, ma credo di averli seminati, correndo nel bosco. Ho pensato che se fossi andata avanti senza fermarmi, prima o poi avrei trovato qualcuno che potesse aiutarmi… Ma per fortuna, il dottor Hopper ha trovato me. E beh, conoscete il resto»
«Per fortuna, questa brutta avventura è finita per il meglio» sorride David dolcemente, cercando di rincuorarla «Ora sei al sicuro. Non preoccuparti, mi metterò subito al lavoro per rintracciare i tuoi genitori. Immagino saranno molto preoccupati»
Niky sollevò il capo «Oh, no, io… Non ho i genitori...»
I due uomini si scambiarono un’altra occhiata.
«Vivo in un orfanotrofio, a Boston»
«Oh...» fece David «Beh, certamente si staranno domandando tutti se tu stia bene. Mi metterò subito in contatto con la polizia di Boston, immagino abbiano denunciato la tua scomparsa… Sbrigate le formalità, potrai tornare a casa»
«La ringrazio» rispose la ragazzina «Non vedo l’ora di dimenticare questa storia»
«Sì, lo immagino...» sussurrò debolmente Archie. Quando osservò con maggiore attenzione la giovane, però, i suoi occhi si spalancarono. «Ma… tu stai sanguinando!»
Niky abbassò lo sguardo sul proprio braccio, dove una chiazza umidiccia si stava allargando, macchiando con un alone scuro la manica della felpa. «Oh, non è niente» si affrettò a rassicurarlo «Mi sono tagliata mentre correvo nel bosco»
«Sapevi di essere ferita e non hai detto niente?» domandò David, accigliato.
«È soltanto un taglietto» minimizzò la ragazzina.
«Non sembra proprio “solo un taglietto”» intervenne il dottor Hopper, guardandola preoccupato.
«Forza,» disse lo sceriffo Nolan, prendendole con cautela il braccio tra le mani «fammi dare un’occhiata»
Riluttante, la giovane sollevò piano la manica.
Lo psicologo sobbalzò: nella pelle chiara si era aperto un taglio profondo, dal quale usciva un grosso rivolo di sangue rosso scuro. «Accidenti!»
«Dobbiamo portarti in ospedale» sentenziò David, avvolgendole il braccio in un fazzoletto bianco.
«Vi accompagno» dichiarò il dottor Hopper, balzando in piedi. In men che non si dica aveva afferrato l’ombrello, e sembrava ansioso di scortare la ragazzina al Pronto Soccorso.
«Cosa? No!» sbottò lei, imbronciata. «Vi dico che è solo un graffio, non c’è alcun bisogno di correre in ospedale»
«Vorrà dire che ci andremo camminando» rispose lo sceriffo, sorridendo sornione all’espressione sul viso di lei. Si infilò la giacca di pelle marrone e le si avvicinò «So che a te sembra una ferita da nulla, ma se non la curiamo subito potrebbe infettarsi. E allora sì, che saranno dolori. Senza contare che dal momento in cui sei entrata nel mio ufficio, sei sotto la mia protezione. E in qualità di sceriffo, non posso permettere che ti accada qualcosa»
Niky roteò gli occhi con aria scocciata «Credevo che lo sceriffo fosse sua figlia...»
David sogghignò. «Bel tentativo»
«David ha ragione» intervenne Archie, voce della ragione «La tua salute è una priorità, in questo momento. Permettici di darti una mano»
La ragazzina fece scorrere lo sguardo da uno all’altro, interdetta. Alla fine, comprendendo di non avere alternative, si arrese. «E va bene… Andiamo»
Lo psicologo sorrise tra sé; era passato molto tempo da quando aveva avuto occasione di essere davvero il Grillo Parlante, ma a quanto pareva, non aveva perso il suo tocco.
I due uomini annuirono e il trio si avviò, lasciando l’ufficio dello sceriffo.
 
*** ~ *** ~ ***
 
David sbirciò tra le fessure delle veneziane bianche, cercando di vedere all’interno della stanza.
«Ancora niente?» domandò Archie, arrivando alle sue spalle.
Lo sceriffo scosse la testa. «Inizio a preoccuparmi. Perché ci mettono tanto?»
L’altro si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea… Ma sono sicuro che Niky stia bene» dichiarò, cercando di mascherare la preoccupazione nella sua voce «Il dottor Whale è in gamba, sono certo che farà un ottimo lavoro»
David annuì, ma l’espressione sul suo viso mostrava chiaramente che le parole del terapista non lo avevano affatto convinto.
In quel momento, la porta si aprì e dalla stanza emerse il dottor Whale, il fonendoscopio appoggiato sulle spalle e i capelli perfettamente in ordine, come sempre.
«Come sta?» domandò lo sceriffo, avvicinandosi, seguito dal dottor Hopper.
«Il taglio era profondo, ho dovuto metterle dei punti» spiegò il medico, osservando intensamente i due uomini «Ha perso un po’ di sangue, ma non è stato necessario fare alcuna trasfusione, i valori di ematocrito ed emoglobina sono nella norma» Si fece da parte per permettere loro di lanciare una rapida occhiata nella stanza, e proseguì: «La ferita stava iniziando ad infettarsi, le ho somministrato degli antibiotici. Sarà bene che li continui, almeno per qualche giorno. La terremo in osservazione per qualche ora, un po’ di riposo le farà bene» dichiarò, lanciando a sua volta uno sguardo alla ragazzina addormentata su uni dei letti in fondo alla stanza. «Che cosa le è capitato? Sembrava distrutta»
«Ha detto di essere stata rapita» spiegò David a bassa voce «È riuscita a scappare e si è nascosta nel bosco. Deve essersi ferita mentre fuggiva»
«Forse un ramo basso...» suggerì il dottore, pensieroso.
Archie fece un passo avanti «Si rimetterà, non è vero?»
Whale annuì. «Certamente. Qualche giorno di antibiotici, un po’ di riposo, e sarà come nuova»
Lo psicologo sorrise, traendo un lungo sospiro di sollievo.
«Bene, a questo punto non ci resta che sbrigare alcune formalità» dichiarò il medico. Aprì una cartelletta color ocra che qualcuno aveva preparato sul bancone, ed iniziò a sfogliare i documenti al suo interno. «Ho bisogno della firma di uno di voi per il ricovero. E me ne servirà un’altra al momento della dimissione»
«Ci penso io» si offrì David, prendendo la penna che il dottore aveva prontamente recuperato dal taschino del camice, e ora gli porgeva. Estrasse il foglio ed appoggiandosi al bordo rigido della cartelletta, appose la sua firma sulla riga designata. Una volta terminato, restituì il documento, sorridendo. «Ecco fatto»
Archie lanciò uno sguardo all’orologio a muro del reparto. «Oh, accipicchia, sono già le nove…» mormorò «Avrei dovuto aprire lo studio un’ora fa...»
«Va’ pure» intervenne David, sorridendo «Resterò io qui con lei.»
«In realtà -» si intromise il dottor Whale «Ritengo che possiate andare entrambi. Ho la sensazione che la ragazza dormirà per un bel pezzo, non c’è motivo per cui dobbiate rinunciare ai vostri impegni di lavoro. Se ci saranno novità, vi farò sapere»
I due uomini si scambiarono un’occhiata.
«Beh, d’accordo» accondiscese lo sceriffo «Se Whale dice che non c’è motivo di restare, forse faremmo meglio a fare come dice»
Archie annuì.
«Coraggio» disse piano David, posando una mano sulla spalla dello psicologo «Andiamo»
 
*** ~ *** ~ ***
 
David appese la giacca di pelle marrone all’appendiabiti in legno del suo ufficio, e si lasciò cadere sulla sedia. Il sole stava ormai tramontando dietro gli alberi della fitta foresta che circondava la città, e la luce rosso-arancio proiettava caldi riflessi sull’intonaco. Lo sceriffo sospirò; aveva appena concluso l’ultima ronda della giornata, e si sentiva davvero stanco. Quando aveva preso la decisione di sostituire Emma come sceriffo durante la sua assenza, non aveva immaginato che ricoprire quell’incarico avrebbe significato tanto lavoro. Lanciò uno sguardo all’orologio, e si grattò la testa, pensieroso. Erano passate diverse ore da quando lui e il dottor Hopper avevano lasciato l’ospedale, ma Whale non aveva ancora telefonato per aggiornarli sulle condizioni di Niky. David si domandò se non fosse il caso di recarsi nuovamente all’ospedale per controllare la situazione di persona. Poi, però, ci ripensò: il medico aveva promesso di riferire loro ogni novità, e non vi era motivo per dubitare che avrebbe tenuto fede alla parola data. Nonostante fosse un personaggio decisamente discutibile, il dottor Whale prendeva molto seriamente il suo lavoro. Di certo avrebbe chiamato.
Proprio in quell’istante, il telefono squillò. David sobbalzò, ma si affrettò a rispondere, avido di notizie. Si tuffò sul telefono ed agguantò la cornetta, che avvicinò all’orecchio con una rapidità strabiliante. «Pronto, Whale? Si è svegliata?» domandò preoccupato, premendo il ricevitore contro l’orecchio per non perdere nemmeno una parola. Stava per aggiungere altro, quando la persona dall’altro capo della linea parlò, ed un’espressione delusa si dipinse sul suo volto. «Ah… Ciao, Leroy…» Assunse una posizione comoda nella sedia, e si preparò a dare ascolto al nano. «No, non devi preoccuparti, sono certo che riuscirai a trovare il tuo piccone. Devi solo avere un po’ di pazienza… Sì, so che la pazienza non è il tuo forte. D’accordo, facciamo così: se entro domattina non sarà saltato fuori, affiggeremo dei manifesti per la città. In un modo o nell’altro, riusciremo a trovarlo»
In quel momento si udì un bip!, all’interno della cornetta.
«Scusa, Leroy» disse David «Ti richiamo più tardi, ho un avviso di chiamata» dichiarò, e chiuse la comunicazione prima che l’iracondo concittadino potesse ribattere. Con un sospiro rassegnato, lo sceriffo rispose alla telefonata. «Pronto?»
«Sceriffo Nolan, sono il dottor Whale» annunciò la voce dall’altra parte.
A quelle parole, David raddrizzò immediatamente la schiena, attento e scattante come soldato in attesa di ordini. «Che succede? Qualche novità?»
«Si è svegliata»
«E… E come sta? Mi dica di più!» incitò lo sceriffo, agitato.
«La ferita è pulita e guarirà molto presto» spiegò il dottore «Le sue condizioni sono stabili e i parametri vitali sono buoni. Direi che è pronta per tornare a casa»
«A casa?»
«Beh, bisognerà trovargliene una, almeno finché non sarà in grado di tornare a...» Si udì il fruscio di pagine che venivano girate «- a Boston» concluse Whale, richiudendo la cartella clinica.
A David si strinse il cuore al pensiero della giovane che correva nel bosco, spaventata ed infreddolita… Per un attimo, pensò di ospitarla a casa sua. Poi, però, ricordò che Niky non veniva dalla Foresta Incantata. Come avrebbe potuto spiegare il numero considerevole di personaggi delle favole che passavano ogni giorno da casa sua, sottoponendogli i problemi più svariati, dalla misteriosa sparizione del proprio piccone incantato alla bizzarra crescita di papaveri sulla testa dei propri familiari? No, non poteva correre il rischio che qualcuno scoprisse la verità su Storybrooke. Senza contare gli innumerevoli problemi che stavano sorgendo in città ultimamente. Come sceriffo, e soprattutto come Principe, aveva decisamente troppo da fare. Sospirò. Non sarebbe stata un’impresa facile, ma per nessuna ragione al mondo avrebbe negato il suo aiuto a chi era in difficoltà. «Ti ringrazio» disse sinceramente «Passerò a prenderla appena possibile»
Il medico si congedò e riattaccò, ponendo fine alla conversazione.
David posò la cornetta e si alzò in piedi. «E va bene, Niky,» disse tra sé e sé, «ora vediamo di trovarti un posto dove stare» Indossò la giacca, afferrò le chiavi del pick-up, estrasse il cellulare dalla tasca e compose un numero. «Pronto? Ciao» disse, mentre usciva dall’ufficio «Mi dispiace disturbarti, ma avrei bisogno di un favore...»
 
*** ~ *** ~ ***
 
Niky osservò con impazienza l’infermiera, mentre questa si accingeva a toglierle l’ago della flebo.
«Ecco fatto» annunciò la donna, assicurando al braccio della giovane un batuffolo di cotone con un pezzo di cerotto bianco. «Come va il braccio?»
La ragazzina lanciò un’occhiata alla fasciatura candida che le copriva la ferita, ed annuì. «Meglio, grazie» Fece ciondolare le gambe giù dal letto per qualche istante, poi sollevò nuovamente lo sguardo sull’infermiera. «Posso andare a casa, adesso?»
Lei annuì «Il dottor Whale ha soltanto bisogno che qualcuno firmi i documenti per la tua dimissione» Riordinò il carrello delle medicazioni, riponendo ogni cosa al suo posto, e proseguì: «Lo sceriffo Nolan sta venendo a prenderti. Non appena sarà arrivato, potrai tornare a casa»
«Ma… Non potrei firmarli da sola?»
«Purtroppo no» rispose la donna «Sei ancora minorenne. Prima che potesse aggiungere altro, qualcuno bussò alla porta della stanza. «Avanti»
David fece timidamente capolino nella stanza. «Buona sera. Sono venuto a prendere Niky» Quando i suoi occhi si posarono sulla ragazzina, le sue labbra si aprirono in un grande sorriso. «Come ti senti? Va un po’ meglio?»
Lei annuì «Sì, grazie»
In qual momento, il dottor Whale entrò nella stanza. «Ah, eccola qua, Sceriffo Nolan» Gli si avvicinò e gli porse un piccolo portfolio e una penna. «
Una firma qui, e Niky sarà libera di uscire»
David sorrise. Afferrò la penna, e firmò in fretta i documenti necessari.
Il medico annuì. «Bene, non vi trattengo oltre. Ti affido alle cure del nostro sceriffo» disse, rivolgendosi alla giovane «Ma fa attenzione che il braccio non ricominci a sanguinare. E se noti qualcosa di strano, non esitare a chiamarmi» l’ammonì, porgendole il proprio biglietto da visita.
Lei lo ringraziò, assicurò che si sarebbe presa cura di sé e che avrebbe ricordato di prendere l’intera scatola di antibiotici che le erano stati prescritti, e si fece scivolare il biglietto da visita nella tasca dei jeans. «La ringrazio»
Whale si congedò ed uscì dalla stanza, seguito dall’infermiera.
La ragazzina si infilò cautamente la felpa e rivolse a David uno sguardo incuriosito «Mi riporterà a Boston, ora?»
Lui scosse la testa. «Temo che sia ancora presto. Ma la buona notizia è che ti ho trovato un posto dove stare, almeno finché non sarò riuscito a mettermi in contatto con la polizia di Boston»
Niky saltò giù dal letto «Quale posto? Dove andiamo?»
David le fece l’occhiolino. «Lo vedrai»
 
*** ~ *** ~ ***
 
«Eccoci, siamo arrivati» annunciò David, parcheggiando il pick-up al lato della strada.
Niky sbirciò fuori dal finestrino e scrutò l’edificio di fronte a sé. Il suo sguardo si illuminò alla vista del portico bianco e dei fiori che adornavano il davanzale delle finestre. Sollevò gli occhi sull’insegna colorata, che lesse ad alta voce: «Granny’s Diner
Lo sceriffo annuì. «Vedrai, ti piacerà. Seguimi»
Lei raccolse lo zaino che aveva abbandonato sul pavimento del pick-up e si affrettò per tenere il passo, seguendolo all’interno del locale.
Quando aprirono la porta, una campanella d’ottone montata sullo stipite tintinnò, annunciando festosamente il loro arrivo.
Una ragazza alta e avvenente con indosso una camicetta bianca molto scollata e dei cortissimi pantaloncini rossi si avvicinò a loro. «Buonasera, David» salutò con un sorriso «E ciao anche a te» aggiunse, rivolgendosi a Niky.
«Buonasera, Ruby» rispose l’uomo «Stiamo cercando Granny. È in cucina?»
«Arrivo, arrivo...!» borbottò una voce all’improvviso, facendoli sobbalzare. Come richiamata dalle parole dello sceriffo, una donna bassa e rotondetta emerse dalla cucina, le guance arrossate a causa del calore dei fornelli. Aveva lunghi capelli grigi raccolti in uno chignon e portava un paio di occhialetti sulla punta del naso. Alla vista di David, si mise le mani sui fianchi. «Ah, eccoti. Ti stavo aspettando. È lei?» domandò, indicando con un cenno del capo la ragazzina timidamente nascosta dietro di lui.
Lo sceriffo annuì. «Granny, ti presento Niky»
«Hai l’aria stanca, ragazza mia» commentò la donna, osservando il suo viso pallido. Afferrò il bordo del lungo grembiule che indossava e prese ad asciugarsi le mani. «Un bagno caldo, una buona cena e una bella dormita, e sarai come nuova»
Niky arrossì. «Non vorrei disturbare...»
«Non preoccuparti. Questa è la tua chiave. La stanza è al primo piano. Sali le scale e gira a destra. Troverai tutto quello che ti serve» disse Granny.
«La ringrazio, davvero!»
La donna annuì. «Ho lasciato dei vestiti di Ruby sul letto, dovrebbero andarti bene. Quando ti sarai cambiata porta pure giù i tuoi abiti nella lavanderia, hanno davvero bisogno di essere messi in lavatrice»
Niky ringraziò tutti, salutò lo sceriffo e si avviò su per le scale, gli occhi curiosi che esploravano ogni dettaglio del bed & breakfast.
Granny la guardò sparire al piano di sopra. Quando fu certa che la ragazzina non potesse sentirla, si voltò verso David, e gli assestò una gomitata sul braccio. «Ma come ti salta in mente? Portare un’estranea nel mio bed & breakfast?»
Lo sceriffo sobbalzò. «Oh, andiamo, Granny. È stata rapita. Ha bisogno di un posto dove stare»
«Non viene dalla Foresta Incantata, Principe. Non è una di noi. Come possiamo sapere se possiamo fidarci di lei?»
«Credo che dovremo rischiare» rispose lui, stringendosi nelle spalle. «Ascolta, so che non sappiamo nulla di Niky, ma non è detto che sia cattiva. È molto più probabile che sia solo una ragazzina che ha bisogno del nostro aiuto. E cosa ne sarebbe stato di noi, della Foresta Incantata, di Storybrooke, se non ci fossimo sempre aiutati a vicenda?»
La donna sospirò. «Immagino tu abbia ragione… D’accordo, ci prenderemo cura di lei. Ma sappi che la terremo d’occhio. E la mia balestra non sbaglia un colpo» l’ammonì, concludendo la frase con un’alzata di sopracciglio estremamente eloquente.
Lo sceriffo annuì. «Ti ringrazio davvero»
 
*** ~ *** ~ ***
 
Niky si sedette sul letto con un sospiro soddisfatto. Granny aveva ragione, una volta fatto un bagno caldo e una buona cena, tutto sembrava avere un aspetto diverso. Perfino il suo viso, riflesso nello specchio del bagno, non aveva più molto del pallore che l’aveva accompagnata per giorni.
Si infilò sotto le coperte e rivolse uno sguardo fuori dalla finestra. L’orologio della torre segnò le 20:15.
«Storybrooke...»

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Capitolo 2
*** CAPITOLO2 ***


CAPITOLO 2

 

Quando Niky si svegliò, la mattina seguente, il sole era già alto nel cielo. Con un lieve borbottio la ragazza si rigirò nel letto e cercò con lo sguardo la sveglia, poggiata sopra al comodino: le dieci e un quarto.

“Accidenti” pensò, stropicciandosi gli occhi con le mani “Mi sento come se avessi dormito per secoli”. Evidentemente, gli avvenimenti degli ultimi giorni l’avevano stancata più di quanto non si fosse resa conto. Si stiracchiò e si tirò a sedere, abbandonandosi ad un lungo sbadiglio. Avrebbe preferito dormire ancora per qualche ora, ma sapeva di non poter restare. Era un ospite di passaggio, e nonostante la padrona del bed & breakfast avesse acconsentito a darle un riparo per la notte, Niky era consapevole che quell’ospitalità non sarebbe durata a lungo. Prima avrebbe tolto il disturbo, meglio sarebbe stato per tutti. Scese di sotto, e trovò i vestiti che Granny aveva lavato la sera prima, stirati e piegati. Li indossò velocemente, si aggiustò alla bell’e meglio i capelli castani, agguantò lo zainetto e scivolò fuori dal palazzo, passando per la porta sul retro.

 

*** ~ *** ~ ***

 

«David? Ti posso parlare?»

Lo sceriffo sollevò lo sguardo dal fascio di fogli poggiato sulla scrivania sul quale stava lavorando, ed inarcò le sopracciglia, sorpreso: non si era nemmeno accorto che qualcuno era entrato nel suo ufficio. «Ah, Archie. Ti chiedo perdono, non mi ero reso conto che fossi qui… Prego, accomodati»

Lo psicologo annuì e prese posto sulla sedia di legno.

«Allora, cosa posso fare per te?»

Il dottor Hopper si aggiustò gli occhiali sulla punta del naso «Ecco, io… Mi domandavo se avessi notizie di Niky» disse in tono incerto.

David sorrise «Sei preoccupato?»

«Beh, sì, un pochino» ammise l’altro, arrossendo un poco «Ha vissuto davvero una brutta avventura… Volevo accertarmi che stesse bene»

Lo sceriffo annuì, comprensivo. «Ma certo. Non temere, sta benissimo. Ha passato la notte da Granny, e se la conosco, si sarà assicurata che facesse una scorpacciata di cibo e che non le mancasse nulla. Non potrebbe essere in mani migliori»

Archie sorrise «Mi fa piacere sentirlo…» Rigirò un paio di volte il manico dell’ombrello nero tra le mani, poi sollevò nuovamente lo sguardo sullo sceriffo. «Mi domandavo, ehm, dal momento che la ragazza ha subito uno shock e che gli assistenti sociali ordineranno di certo una verifica con uno specialista per controllare che non abbia subito traumi… Forse potrebbe venire nel mio studio, più tardi… Credo che le farebbe bene parlare un po’ di quanto è successo»

Le labbra di David si aprirono in un sorriso «Mi sembra un’ottima idea»

Lo psicologo parve sollevato «D-davvero?»

Lo sceriffo Nolan annuì «Certo! La porterò nel tuo studio il prima possibile» promise.

Archie sorrise e si alzò in piedi. Porse la mano all’amico e la strinse forte. «Ti ringrazio molto, David»

L’altro sorrise caldamente. «Non c’è di che, Archie»

In quel momento, il telefono squillò. «Pronto?»

«David, sono Granny» esordì la voce dall’altra parte della linea.

«Oh, buon giorno, Granny» la salutò David con entusiasmo «Stavo giusto per chiamarti. Come sta la nostra -»

«David, abbiamo un problema»

«Un problema?» domandò lui, perplesso «Che genere di problema?»

Archie si sporse verso la scrivania e tese le orecchie, incuriosito, rivolgendo all’amico uno sguardo confuso.

«La forestiera» esordì Granny in tono greve «È sparita»

 

*** ~ *** ~ ***

 

Niky osservò l’ambiente circostante, guardinga. Si alzò in punta di piedi e scrutò la vegetazione strizzando gli occhi, cercando di vedere attraverso la fitta boscaglia.

«Vai da qualche parte?»

La ragazzina sussultò. Lo zainetto viola le scivolò dalla spalla, ma riuscì ad afferrarlo prima che toccasse terra. Si voltò di scatto, e scorse il pick-up dello sceriffo accostare a breve distanza da lei. Scosse la testa.

«Perché sei sparita a quel modo?» domandò David, sporgendosi fuori dal finestrino «Hai messo in agitazione Granny»

Lei si strinse nelle spalle «Stavo solo -»

«Cercando di lasciare Storybrooke» concluse con perspicacia lo sceriffo.

Niky abbassò lo sguardo, imbarazzata. Era stata colta con le mani nel sacco.

David scese dall’auto e le si avvicinò. «So che vorresti tornare a casa» disse dolcemente, infilando le mani nelle tasche dei jeans «Ma fino a quando non avremo risposta dalla polizia di Boston, non posso lasciare che tu te ne vada. E poi cosa faresti, se gli uomini che ti hanno rapita fossero ancora in circolazione?»

«So badare a me stessa» rispose lei, spavalda, fissando gli occhi scuri in quelli di lui.

David sorrise «Questo non lo metto in dubbio. Ma penso sia meglio cercare di stare lontani dai guai, piuttosto che andarseli a cercare. Non trovi?»

La giovane si strinse nelle spalle «Immagino di sì»

«Bene, ora che abbiamo sistemato la questione, che ne dici di fare un giro in macchina?»

Lei lo guardò, diffidente «Perché?»

Lo sceriffo aprì la portiera del guidatore «Voglio portarti in un posto»

Niky socchiuse le palpebre e girò attorno al pick-up, avvicinandosi al posto del passeggero. Non era certa se fidarsi o meno dell’uomo, ma dopotutto era stato lui a portarla in ospedale il giorno precedente e a permetterle poi di lasciarlo, firmando i documenti per la sua dimissione. Senza contare che l’ultima volta che lo aveva seguito, si era ritrovata a mangiare un hamburger gigante e una valanga di patatine fritte da Granny. Nonostante una parte di lei fosse in allarme, qualcosa le diceva che sarebbe andato tutto bene. Così annuì e si arrampicò nel pick-up, sedendosi sul sedile. «Andiamo» accondiscese, e si allacciò la cintura di sicurezza.

«Ottimo» disse l’uomo con un sorriso, mettendo in moto il veicolo «Vedrai, non te ne pentirai»

 

*** ~ *** ~ ***

 

David parcheggiò il pick-up sulla strada principale, di fronte alla vetrina di un negozio. «Eccoci» annunciò «Siamo arrivati»

La ragazzina scese dall’auto con un piccolo salto. Stava per domandare allo sceriffo cosa ci facessero in quel posto, quando notò un nome scritto a lettere dorate, in maiuscolo, sul vetro di una porta di fronte a lei.

DR ARCHIBALD HOPPER, M.D.

PHYCHIATRIST

«Ma… Questo è l’ufficio del dottor Hopper…» disse piano.

Lo sceriffo annuì e si incamminò verso la porta.

Niky fece un passo indietro. «Che cosa ci facciamo qui?»

«Il dottor Hopper è passato nel mio ufficio, questa mattina» la informò lui mentre chiudeva a chiave l’auto «Era preoccupato per te, voleva accertarsi che stessi bene»

La ragazzina si strinse nelle spalle. «Gentile da parte sua, ma non ce n’era alcun bisogno. Sto benissimo»

«Questo lo vedo, ma Archie pensa che possa farti bene fare una chiacchierata insieme a lui» spiegò David aprendo la porta a vetri e facendosi da parte per lasciarla passare.

Niky scosse la testa «Non ho bisogno di fare nessuna chiacchierata. Sto bene»

«Beh, allora vedilo come un favore personale»

Lei sbatté le palpebre e lo guardò, confusa.

«Parla con il dottor Hopper e cerca di liberarti di ogni paura o brutto ricordo che possa esserti rimasto dopo il tuo rapimento» disse lui in tono gentile «Fallo per me»

La giovane lo studiò per un istante, interdetta.

«Andiamo, si tratta solo di una seduta» la incitò David, bussando alla porta «Che male può farti?»

La porta dello studio si aprì. Archibald Hopper fece capolino sulla soglia, le labbra schiuse in un sorriso amichevole «Ah, David, eccoti qui» disse in tono cordiale. Si voltò verso la ragazzina, e il suo sorriso si allargò «Ciao, Niky»

Lei accennò un saluto con il capo «Buon giorno…»

David, in piedi accanto alla giovane, sorrise allo psicologo. «Bene, eccola qui. Ti ho portato Niky, come mi avevi chiesto»

«Ti ringrazio» rispose lui. Lasciò scivolare le mani nelle tasche dei pantaloni ed abbassò lo sguardo sulla ragazzina «Vuoi accomodarti?»

Lei non rispose. Lanciò un’occhiata incerta all’interno dello studio, per poi voltarsi verso lo sceriffo «Che cosa ci faccio qui? Non ho bisogno di una terapia, sto bene! Ho solo bisogno di tornare a casa!» dichiarò, lanciando ad entrambi uno sguardo accusatore.

Archie prese timidamente la parola «Beh, credo che dopo l’esperienza che hai vissuto, chiunque si sentirebbe un po’… Spaventato» Scambiò una rapida occhiata d’intesa con David, e proseguì «Forse parlarne potrebbe aiutarti a superarlo»

«Io non sono spaventata!» sbottò Niky in tono esasperato «E anche se lo fossi, so badare a me stessa. Non ho bisogno di uno strizzacervelli!»

«Niky, forse dovresti dare ascolto al Dottor Hopper» suggerì David in tono gentile «Insomma… Lui se ne intende, di queste cose. Vedrai che ti sentirai meglio. E poi,» proseguì con un sorriso «dovrai restare a Storybrooke per un po’, tanto vale trovare un modo per occupare il tempo che non sia tentare di scappare»

«Ah-ah-ah, divertente…» brontolò Niky, incrociando le braccia sul petto con aria imbronciata.

Lui ammiccò e sorrise nuovamente «Allora, che ne dici? Posso lasciarti qui per un po’?»

«Sì, come le pare…»

«Perfetto, allora» concluse David con un sorriso, fregandosi le mani. «Sarà meglio che torni al lavoro, è ora del giro di pattuglia»

«Prego, accomodati» intervenne il dottore, voltandosi verso la ragazza. Si fece da parte e la osservò entrare cautamente nello studio.

«Bene, ci vediamo dopo» disse lo sceriffo, congedandosi dai due. Prima di andarsene, tuttavia, si rivolse allo psicologo e sussurrò: «Buona fortuna»

Archie annuì, e chiuse la porta dello studio.

Niky si guardò attorno: l’ufficio era più grande di quanto non sembrasse dall’esterno. La prima cosa che notò fu che la stanza era piena di piante. Alcune, più grandi, erano state sistemate sul pavimento, mentre altre più piccole crescevano in vasetti colorati posti sopra i mobili e i piccoli tavolini. Il centro della stanza era occupato da due grandi divani di pelle marrone e da una poltrona girevole dello stesso colore, radunati attorno ad un lungo tavolino da caffè, sotto al quale giaceva un grande tappeto rosso scuro di forma rettangolare. In un angolo era stata sistemata un’alta scrivania di mogano, la cui superficie lucida era ricoperta da pile di documenti e cartelle color ocra, anch’esse stipate di documenti e scartoffie. A sinistra della scrivania vi erano un tavolino ospitante una macchina da scrivere e un largo caminetto scuro. A destra della scrivania, invece, erano stati sistemati un tavolo, naturalmente coperto di libri, un leggio che sorreggeva alcuni spartiti musicali, ed un clarinetto. Qua e là, appoggiate contro le pareti della stanza, erano state poste alte pile di libri, evidentemente troppo numerosi per essere sistemati nelle due librerie già stracolme. Sui muri erano state appese molte cornici, contenenti numerosi titoli di studio e riconoscimenti alla carriera.

La ragazzina sorrise. La stanza profumava di foglie, pagine di libri e pelle. «Che c’è dietro quella porta?» domandò ad un tratto, indicando con un cenno del capo l’uscita secondaria dello studio, una porta verde posta accanto al caminetto.

Archie si voltò per vedere a cosa stesse alludendo. «Oh, da quella parte c’è la cucina» spiegò, mentre recuperava una penna da uno dei cassetti della scrivania «L’appartamento che ho preso in affitto dal signor Gold è abbastanza spazioso, e sono riuscito a usare una delle stanze per allestire il mio studio»

«Sembra comodo» commentò lei in tono casuale, sperando di ritardare l’inizio della seduta. Forse, se lo avesse fatto parlare di altro abbastanza a lungo, lo psicologo avrebbe finito per dimenticare il motivo per cui era lì.

L’uomo fece una risatina «Di sicuro aiuta a non arrivare tardi al lavoro. Coraggio, siediti» disse poi, indicando i due divani con un ampio gesto del braccio «Mettiti comoda. Vuoi qualcosa da bere? Un bicchiere d’acqua, o qualcos’altro?»

Niky sospirò. Per un attimo si era illusa che il suo piano avrebbe potuto funzionare. Scosse la testa, e prese posto nel piccolo divano a due posti vicino alla porta, il più lontano possibile dallo psicologo. «No, grazie, sono a posto…»

Archie raddrizzò la schiena, assumendo una postura più professionale, e si schiarì la voce. Poi prese la penna ed un blocco di fogli dal tavolino e sollevò gli occhi azzurri sulla ragazza. «Ok, bene… Prima di cominciare, avrei bisogno di farti alcune domande. Per esempio, ehm, il tuo nome, cognome, data di nascita… Le tue generalità, insomma. Direi che per ora possono bastare»

Lei lo guardò, perplessa «“Bastare” per cosa?»

«Oh, beh, per compilare la tua cartella clinica» rispose lo psicologo, con un sorriso incerto.

Gli occhi di Niky si spalancarono. «Cartella clinica?» ripetè, basita «Non ho bisogno di una cartella clinica. Sono qui soltanto per fare un favore allo sceriffo Nolan. Non sono una sua paziente, quindi si risparmi pure la fatica di prendere appunti» Incrociò le braccia sul petto e si rannicchiò maggiormente nel divano di pelle, imbronciata.

«Ah, sì, capisco, ma vedi si tratta della procedura standard…» cercò di spiegare il dottore «E poi, se verrà aperto un caso per la tua scomparsa, la polizia vorrà avere tutta la documentazione possibile, e questo include una valutazione psicologica»

Niky si strinse nelle spalle «Se la vorranno, me ne farò fare una»

«Questo significherebbe sottoporti ad un’altra seduta» le fece notare Archie «Dato che sei qui, forse vale la pena approfittarne, non credi?»

La giovane si mordicchiò il labbro inferiore. Nonostante non avesse alcuna voglia di collaborare, dovette ammettere che l’uomo aveva ragione. «E va bene» si arrese infine «Che cosa vuole sapere?»

«Ecco, come dicevo, per iniziare mi servirebbe il tuo nome, cognome e data di nascita…»

Niky scosse la testa «Non ho un cognome, non uno vero, almeno. Ho solo quello che mi hanno dato in orfanotrofio»

Il dottore annuì, comprensivo «Va benissimo»

«In questo caso,» rispose lei «mi chiamo Wick. Niky Wick. Sono nata il 29 Febbraio. Ho tredici anni»

Archie annuì, annotando fedelmente le informazioni appena acquisite sul blocco degli appunti. Una volta terminato, tornò a rivolgere tutta la sua attenzione alla giovane «Molto bene. Ora che abbiamo concluso con le formalità, che cosa ne dici di parlarmi un po’ di quello che è successo l’altro giorno?»

«E perché?»

Lo psicologo la guardò, sbigottito.

Niky sbuffò. «Senta, le servivano i miei dati per la cartella clinica e ora ce li ha. Scriva che sto bene e saremo a posto»

«Beh, forse vorresti parlarmi di come ti senti… Un rapimento non è una cosa da poco»

Lei alzò gli occhi al cielo «E lei che ne sa?»

Archie decise di ignorare il tono provocatorio, e scosse la testa. «Niky, ascoltami: questo è un luogo sicuro. Nulla di quanto mi dirai uscirà da questo studio, a meno che tu non acconsenta» Inspirò profondamente e proseguì: «Puoi fidarti di me. So che sei spaventata, ma -»

«Io non sono spaventata!» sbottò la ragazza «Sarò pure una ragazzina, ma non sono affatto debole ed indifesa come pensate lei e il signor Nolan!» Scosse energicamente il capo, e si alzò in piedi «La seduta è finita»

Lo psicologo posò il blocco e la penna sul tavolino e sollevò una mano, come per cercare di fermarla. «I-io credo che se analizzassimo meglio quello che ti succede -» Scosse il capo con fermezza, certo della sue intuizione «Il tuo comportamento è chiaramente difensivo, e questo indica che qualcosa non va»

«Le dico io, cosa non va» rispose Niky, le cui guance iniziavano a colorirsi a causa dell’agitazione. Balzò in piedi e prese a camminare su e giù per la stanza, infuriata «Sono stata rapita e ho dovuto passare la notte nel bosco, da sola. Sono bloccata in una città che non conosco, e non posso tornare a casa» disse tutto d’un fiato, contando sulle dita ogni avversità elencata «Ed ora sono costretta a rimanere in uno studio, insieme ad uno sconosciuto che mi tempesta di domande sulla mia vita!»

Le ginocchia di Archie fremettero per la tentazione di alzarsi in piedi a sua volta. Ma resistette, imponendosi di rimanere seduto e mantenere con il proprio corpo una posizione che dimostrasse alla ragazza che stava ascoltando quello che lei aveva da dire. «Non sto cercando di metterti in difficoltà, tutt’altro. Voglio solo cercare di aiutarti»

«Ma io non ho bisogno di aiuto!» sibilò lei «Voglio solo tornare a casa!» Si strinse le braccia attorno al corpo, il respiro fattosi improvvisamente corto e pesante. «V-voglio – tornare – a casa…!» Si lasciò cadere sul divanetto di pelle, un’ombra scura sul viso pallido.

Un silenzio pesante cadde sullo studio.

Lo psicologo abbassò lo sguardo, indeciso sul da farsi. Alla fine si fece coraggio, e si alzò in piedi. «Ti va una tazza di tè? Bere qualcosa di caldo ti farà bene…»

Niky gli lanciò un’occhiata diffidente. Poi però, annuì. «Ok…»

Archie sorrise dolcemente «Torno subito» Aprì la porta verde all’interno dello studio, e sparì nella stanza attigua.

La ragazza rimase immobile, con le orecchie tese. Dalla cucina giunse il suono di un’anta che veniva aperta; ben presto si udì il tintinnare di due tazze, e lo scorrere dell’acqua. Niky non perse tempo: raggiunse la porta dello studio in punta di piedi, la aprì e scivolò silenziosamente nel corridoio. Dopo essersi accertata che il dottore non la stesse seguendo, sgattaiolò sul pianerottolo e scese le scale. Afferrò la maniglia del portoncino con un sorriso ed uscì in strada. L’aria fresca del mattino la investì con una folata, scompigliandole i capelli. La ragazza inspirò profondamente, lasciando che il fresco profumo dei pini la avvolgesse. Un sorriso si allargò sul suo viso. Finalmente libera! Senza smettere di sorridere, Niky si avviò per la sua strada, decisa a lasciare una volta per tutte la città. Ma appena ebbe voltato l’angolo –

«M-Ma cosa…?!»

Il dottor Hopper le rivolse un sorriso soddisfatto. «Eccoti qui. Il tè è pronto»

Lei sbatté le palpebre, la bocca spalancata per lo stupore «Ma… Come ha fatto a - ?»

Lui ridacchiò. «Diciamo che ho una certa esperienza, con cose del genere» rispose in tono affabile «Dovrai inventarti qualcosa di meglio, se vorrai prendermi per il naso»

Niky lo osservò con attenzione. Nonostante quello fosse un rimprovero, non vi era alcuna traccia di risentimento o rabbia nella sua voce. Al contrario, l’uomo sembrava quasi divertito. «Beh… Ok, lo ammetto, non è stato affatto male» dichiarò con un sospiro «Come ha capito che sarei scappata?»

«Sono uno psicologo» rispose Archie, stringendosi nelle spalle «Capire le persone è il mio lavoro»

Lei lo osservò per un istante, in silenzio. Per un secondo, ebbe la bizzarra sensazione che vi fosse in lui molto più di quello che appariva ad un primo sguardo.

«Allora…» esordì lo psicologo, distogliendola dai suoi pensieri «Che cosa ne dici di tornare dentro? Il tè finirà per raffreddarsi»

La giovane sospirò «E va bene…»

Archie sorrise, e i due si incamminarono insieme verso lo studio.

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