Visitatore notturno

di Liberty89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Visitatore notturno ***
Capitolo 2: *** A tutto c'è rimedio ***



Capitolo 1
*** Visitatore notturno ***


Titolo: Visitatore notturno
Autore: Liberty89
Genere: Hurt/Comfort
Rating: Giallo
Personaggi: Aqua, Vanitas
Avvertimenti: Vigilantes!AU, One-shot
Note dell’autore: Storia scritta per la 4shipschallenge indetta dal gruppo fb Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction


Disclaimer: i personaggi di questa fic non mi appartengono e la fic non è stata scritta a scopo di lucro.



Visitatore notturno

Non si aspettava una visita, tanto meno alle tre di notte, ma in una città come quella non si poteva mai dare nulla per scontato.
Si avvolse le spalle nel cardigan e lasciò il caldo della sua camera da letto per dirigersi verso la porta d’ingresso. Proprio in quel momento, però, il suo ospite bussò ancora, dalla finestra del soggiorno, che vantava un davanzale di venti centimetri scarsi.
Aqua sbuffò e corse ad aprire la finestra. “Potresti anche usare la porta, sai?” Disse, guardando l’uomo cadere con ben poca della sua consueta grazia sul pavimento chiaro e smettere di muoversi. “Vanitas?”
Chiuse la finestra e tirò le tende scure per poi accovacciarsi al suo fianco. “Vanitas, cos’è successo? Dove sei ferito?”
Solo allora l’uomo parve sentirla e con dita tremanti aprì la visiera del casco, liberando il viso, aveva il respiro pesante. “Spalla sinistra.”
La donna lo aiutò ad alzarsi e il grado di preoccupazione nei suoi confronti crebbe a dismisura quando lo sentì appoggiarsi a lei con buona parte del proprio peso. Erano passati mesi dall’ultima volta che erano stati così vicini e Aqua si sentì travolgere dal forte profumo di Vanitas, usava ancora lo stesso dopobarba e nemmeno l’odore del sangue riusciva a macchiarlo.
Lo accompagnò al divano e accese la lampada posta nell’angolo vicino. Sgranò gli occhi, inorridita. C’era un coltello piantato nella spalla di Vanitas, ma nonostante fosse stato lasciato al suo posto, il sangue era traboccato lo stesso e la tuta nera mostrava una macchia bagnata molto più scura, che si estendeva fino al torace e a tutto il braccio. Con gesti rapidi, ma delicati, Aqua sfilò il casco dalla testa dell’altro, le ciocche nere erano ammosciate di sudore, e poi rimosse la maschera che gli copriva gli occhi, quei grandi occhi dorati che l’avevano affascinata anni addietro.
Vanitas era pallido, il fiato usciva in soffi pesanti dalle sue labbra esangui, e la sua fronte era fredda e sudata.
“Saresti dovuto andare in ospedale, perché hai perso tempo a venire qui?”
Abbandonato il cardigan, Aqua si alzò le maniche del pigiama fino ai gomiti e corse a prendere il kit di pronto soccorso che teneva sotto il lavandino della cucina.
Com’era previsto, l’uomo ridacchiò piano. “Potrei dirti che eri più vicina dell’ospedale o che era questione di identità segreta o altre stronzate… ma la verità… è che volevo vederti.”
Aqua si fermò un istante, sorpresa da quella confessione così sincera. Tuttavia, non vi badò e proseguì nel suo lavoro. Tagliò la tuta da motociclista e deglutì quando vide che il coltello era penetrato fino all’elsa. Non aveva un antidolorifico né un anestetico abbastanza forte in quel kit, dall’ultima volta non aveva più avuto tempo di fare scorta e non pensava che dopo la loro ultima discussione lui sarebbe tornato da lei.
“Fallo e basta.” Disse Vanitas, strappandosi il guanto destro con i denti. “So che non hai scorte… ma sei la sarta migliore che conosco.” Un ghigno abbellì il suo viso ormai cereo. “Farà male, ma non dovrò preoccuparmi dopo…”
“Sempre il solito masochista…” Sbuffò lei con un pizzico di divertimento. “Faresti meglio a mordere quel guanto.”

Vanitas non emise altro che brevi gemiti e soffi quasi rabbiosi per più di metà dell’operazione: spalancò al massimo gli occhi dorati quando Aqua estrasse il coltello con un movimento secco e per qualche istante non si sentì nient’altro che l’accartocciarsi del guanto di pelle tra i suoi denti, poi si abbandonò con la testa sul divano e si concentrò sul proprio respiro, finché il dolore non raggiunse un picco impossibile da sopportare e la sua vista si riempì di macchie nere.
Da parte sua, Aqua non aveva osato guardarlo in faccia. Aveva controllato che il coltello non fosse avvelenato e si era concentrata sul ripulire la ferita e poi ricucirla. Non erano stati intaccati parti vitali, ma guarire da quella cosa sarebbe stato comunque un calvario.
Anche spostare novanta chili di muscoli dal divano al letto sarebbe stata un’impresa non da poco, pensò Aqua una volta finito di avvolgere le bende dalla spalla fino all’avambraccio -aveva trovato anche uno squarcio da proiettile poco sopra il gomito- e decise che lo avrebbe lasciato lì, magari sdraiato e con una coperta calda addosso mentre si occupava di fargli una trasfusione, era rimasta una sola sacca nel congelatore.
Dopo aver tolto il resto della parte superiore della tuta, si abbassò a sfilargli gli stivali per poi stenderlo piano sul divano. Gli scostò la frangia ribelle dalla fronte e sorrise nel vederlo così pacifico nonostante il dolore che doveva aver provato. Prese la coperta di lana dalla poltrona lì vicino e la stese sul corpo di Vanitas, chinandosi un’ultima volta per rubargli un bacio a fior di labbra.

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Capitolo 2
*** A tutto c'è rimedio ***


Ritorno dopo un sacco di tempo con la seconda parte di questa breve storia, scritta per la challenge #domanièunaltrogiorno del gruppo fb Fondi di Caffè - Il tuo scrittoio multifandom, spero che vi piaccia ♥

Capitolo 2 - A tutto c'è rimedio

 

Aggiustò la coperta patchwork sul corpo del vigilante per coprirlo fino al collo. La ferita si era infettata nonostante le sue cure e il corpo di Vanitas era scosso dai tremiti della febbre. Il suo viso era pallido e sudato con le gote arrossate e il respiro sfuggiva in soffi dalle sue labbra secche.

Aqua sospirò, preoccupata e stanca, sfinita dalla notte di veglia passata accanto a quello che era stato il suo compagno, ma che ancora le faceva battere il cuore come una ragazzina al primo amore. Rimise lo straccio fresco sulla sua fronte e carezzò le ciocche scure, passando con delicatezza le unghie sul cuoio capelluto, sperando con quel gesto di aiutare l’uomo a rilassarsi almeno un po’.

Suonarono il campanello.

Assottigliando lo sguardo, Aqua si alzò dallo sgabello e presa la mazza da baseball nascosta sotto il divano, si avvicinò alla porta d’ingresso senza fare rumore. Guardò dallo spioncino e la tensione lasciò il suo corpo stanco.

Aprì la porta e sorrise ai due visitatori, nessuno di loro era cambiato. “Sora, Riku. È tanto che non ci vediamo.”

“Ciao Aqua.” Salutò Sora con un sorriso enorme. “Perdonami se-”

“Non preoccuparti. Entrate, è sul divano.” Spiegò per poi farsi da parte per permettere loro di oltrepassare la soglia del suo appartamento.

Richiusa a chiave la porta, la donna seguì la coppia in soggiorno e trovò Sora in ginocchio al capezzale del vigilante ferito, mentre Riku apriva la borsa che stava portando a tracolla per tirarne fuori tutto il necessario per una flebo.

Di nuovo, un sospiro di sollievo soffiò dalle labbra di Aqua. “Grazie per essere venuti. Io… non ho più scorte e non sapevo più cosa fare.”

Fu un attimo e si ritrovò stretta tra le braccia del ragazzo castano. “Grazie Aqua.” Disse piano. “Grazie per averlo aiutato.”

Dapprima sorpresa, l’espressione di Aqua si sciolse in un sorriso gentile e intenerito, quindi ricambiò l’abbraccio con una stretta altrettanto forte.

“Non c’è bisogno di ringraziarmi, lo sai.”

E sì, Sora sapeva. Sapeva perché nonostante il suo carattere all’apparenza ingenuo e infantile era il migliore del gruppo a decifrare emozioni e sentimenti senza che nessuno aprisse bocca. Era il suo dono speciale, non aveva superpoteri, era solo un essere umano, mortale come chiunque di loro, ma i suoi grandi occhi azzurri erano capaci di leggere le persone come libri aperti. E Sora sapeva benissimo che l’amore tra Aqua e suo fratello Vanitas era ancora vivo e forte come la fiamma di un falò.

Un colpo di tosse attirò l’attenzione di tutti e la voce rauca e debole dell’uomo ferito li richiamò tutti intorno al divano. “Sora?”

“Sono qui Vani.” Disse il ragazzo, prendendo la mano dell’altro tra le proprie.

Gli occhi dorati di Vanitas erano a malapena socchiusi e lucidi di febbre, era impossibile quindi capire quanto percepisse del mondo che gli stava intorno. Sembrò dare per scontato che la persona al proprio fianco fosse suo fratello e ricambiò la stretta delle sue mani con le poche forze accumulate con quel sonno appesantito dalla malattia.

“Ho sognato…” Mormorò con affanno. “Ho sognato Aqua… e il suo profumo…”

“Un bel sogno allora, neh?” Sora sorrise e si fece un poco da parte per far sì che Riku potesse collegare la flebo al braccio di Vanitas, che sembrò non accorgersi nemmeno della vicinanza dell’altro ragazzo.

Il vigilante borbottò un assenso. “Sono stato… così stupido…”

“Puoi sempre chiederle scusa, non credi?” Ribatté Sora, posando una mano fresca sulla guancia rovente del fratello.

Vanitas scosse il capo, liberò un mezzo singhiozzo e una lacrima scivolò lungo il suo viso. “Mi odia… l’ho persa…”

“Oh, Vani…” Sora si chinò sul volto del fratello per toccargli la fronte con la propria e nascondere le sue lacrime a Riku e Aqua. Tutti sapevano quanto in realtà fosse fragile il cuore di Vanitas, il vigilante sarcastico e terribile che manteneva l’ordine nelle strade più brutte della loro città, ma non voleva esporlo in questo modo alla vista dei compagni. “Andrà tutto bene, tutto si aggiusterà. Nulla è perso ed a ogni cosa c’è rimedio. Ricordi?”

L’altro uomo rispose con un filo di voce, stanco e ormai preda del contenuto della flebo. “A tutto c’è rimedio… tranne che alla morte.”

Sora annuì. “Esatto fratello. Ora dormi, quando ti sveglierai tutto sarà migliore.”

Con un assenso mormorato, il vigilante chiuse gli occhi e il suo respiro affannato rallentò in breve tempo, mentre il suo corpo e la sua mente cedevano al sonno indotto dai farmaci.

 

Quando tornò in piedi, Sora venne avvolto tra le braccia calde e sicure di Riku. Non c’era bisogno di parole tra loro, sapevano sempre cosa volevano trasmettere con i loro gesti e conoscevano entrambi il valore del silenzio, che spesso poteva comunicare mille volte meglio di un libro stampato. Qualcun altro però, aveva bisogno che lui parlasse. Si girò per affrontare la padrona di casa e il suo viso bagnato di lacrime.

“Non è troppo tardi, Aqua.” Esordì. “Da quando te ne sei andata, Vanitas non è più stato lo stesso. Il suo cuore è andato in frantumi, sapeva di averti ferita ed è rimasto in disparte per non coinvolgerti più nella nostra missione, ma…”

“Rimane a distanza, ma cerca sempre di darti un’occhiata quando rientri tardi dal lavoro.” Intervenne Riku con tono calmo. “Prova a pensare a cosa vedi nel tuo futuro, a cosa vuoi vederci.”

 

E Aqua ci pensò. Pensò a quello che voleva, a chi voleva al proprio fianco, cosa voleva trovare al rientro dal lavoro nel momento in cui apriva la porta di casa. Guardò a fondo in quel cassetto pieno di sogni e desideri, e ben custodita al suo interno trovò una di quelle palle di vetro con la neve, che emanava calore e amore, e al suo centro c’era Vanitas, un sorriso sghembo e la sigaretta tra le dita, ma un braccio aperto per lei, per stringerla a sé e non lasciarla andare mai.

Con gli occhi di nuovo bagnati di lacrime, Aqua si portò alle labbra la mano libera del vigilante e ne baciò le nocche, dicendosi che al mattino avrebbe iniziato a camminare verso quel futuro, perché a tutto c’era rimedio e nulla era perduto.

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