Presagio di un amore

di Xine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** I. ***
Capitolo 3: *** II. ***
Capitolo 4: *** III. ***
Capitolo 5: *** IV. ***
Capitolo 6: *** V. ***
Capitolo 7: *** VI. ***
Capitolo 8: *** VII. ***
Capitolo 9: *** VIII. ***
Capitolo 10: *** IX. ***
Capitolo 11: *** X. ***
Capitolo 12: *** XI. ***
Capitolo 13: *** XII. ***
Capitolo 14: *** XIII. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Prologo.
 

Una coppia di giovani innamorati sorrideva alla fotocamera: il ragazzo circondava con un braccio la fidanzata, una donna minuta dall’aria timida, e con l’altra mano faceva il segno della vittoria. 
Un sorriso le incurvò le labbra rosee.
Naruto aveva voluto a tutti i costi immortalare il loro ventisettesimo appuntamento, quello in cui, lo aveva scoperto solo più tardi, le avrebbe fatto la proposta.
Ricordava quel momento con estrema precisione: i suoni, gli odori, le parole. Le farfalle nello stomaco.  Era tutto perfetto, così perfetto che continuava a domandarsi se fosse realmente accaduto. Poi si osservava l’anulare sinistro, su cui riluceva un solitario con un piccolo diamante, e realizzava che sì, lo era. 
Sospirando, ripose ordinatamente la foto al suo posto e tornò in cucina, sollevando il coperchio dalla pentola per controllare a che punto fosse la zuppa di miso. Sorrise tristemente nel constatare che fosse pronta. D’altronde, seppur lo negasse, lo era già da diverso tempo. Spense il fuoco e preparò le porzioni con estrema cura, attenta a posizionare le foglioline decorative in maniera equidistante. Imbandì la lunga tavola rettangolare, già perfettamente apparecchiata per due, indugiando a lungo su dove posizionare la ciotola di riso, se accanto al salmone grigliato o alle verdure. 
Era sciocco, lo sapeva. Per Naruto non avrebbe fatto alcuna differenza, si sarebbe buttato a capofitto sulla cena biascicando il suo classico ‘è tutto squisito’, che aveva il potere di farle tremare il cuore.
Osservò l’orologio, seguendo per diverso tempo lo spostarsi ticchettante delle lancette. Erano ormai passate le nove, sarebbe potuto tornare da un momento all’altro. O almeno così aveva detto quella mattina, prima di lasciarla al sorgere del sole per raggiungere Kakashi in ufficio. 
Era orgogliosa di lui, della passione che lo animava nel percorrere la dura strada per diventare Hokage. Faceva del suo meglio per supportarlo, cercava di non dargli preoccupazioni, occupandosi completamente della casa, della spesa, degli imprevisti. Gli preparava il pranzo da consumare in ufficio, gli faceva trovare ogni mattina la felpa arancione ed i pantaloni neri perfettamente piegati, accanto alla pila riordinata di documenti su cui si addormentava immancabilmente la sera tardi, scordandosi di tornare a letto. 
A lei non pesava, la sua risata fragorosa ed il racconto dettagliato della giornata ad ora di cena la ripagavano di tutto. 
Eppure, da diverso tempo ormai, Naruto rincasava sempre più tardi. Così le giornate si erano fatte interminabili, la casa era divenuta troppo silenziosa e lei pressoché muta, trascinata come un fantasma dalla flebile speranza di sentire il calore del suo abbraccio, il fremito provocato dallo sguardo azzurro su di sé. 
E si odiava, Hinata Hyuga. 
Si odiava perchè avrebbe dovuto essere felice. Terribilmente, irrimediabilmente felice.
Si odiava perchè era riuscita ad avere tutto e, nonostante ciò, si sentiva sola. 


Sospirando, si poggiò contro il muro freddo alle sue spalle, chiudendo gli occhi infastidito. Riusciva a distinguere nettamente il rumore di passi, il tintinnio esasperante di stoviglie sbattute, qualche imprecazione malcelata. Dei singhiozzi.
Era stanco, stremato. Si sentiva soffocare. 
Eppure Sakura non gli chiedeva niente. Non il suo affetto, non le sue attenzioni. A lei bastava soltanto la sua presenza. 
Si passò l’unica mano tra i lunghi ciuffi corvini in un gesto nervoso, alzando gli occhi al cielo, buio e completamente privo di stelle. Unicamente la luna sembrava lottare per emergere, irradiando una fioca luce tra la coltre spessa delle nuvole grigie. 
Solo.
Voleva stare da solo.
E questo gli rendeva odioso - e difficile - esaudire il misero desiderio della ragazza. 
D’altronde Sakura era rimasta lì. Nonostante la guerra, nonostante il sangue sulle sue mani. Sakura era rimasta lì, ad aspettarlo a braccia aperte, piena di speranza, piena di vita. E lui, che non aveva niente da offrire in cambio, le aveva dato sè stesso, la sua presenza. 
Sakura era rimasta lì per lui, e lui era rimasto a Konoha perché lei glielo aveva chiesto.
Il rumore della porta finestra che si apriva sul balconcino, anticipò l’arrivo di Sakura. 
Non si voltò a guardarla, non ne aveva voglia. Conosceva alla perfezione la sua immagine di donna ferita. La sentì avvicinarsi silenziosamente, posizionandosi al suo fianco e poggiando la testa sulla sua spalla. 
“Vuoi… parlarne?” domandò incerta. 
Mi manca l’aria
Avrebbe voluto urlare, rompere quei ridicoli vasi appesi alla ringhiera. Ma non lo fece. Rimase immobile, muto. Con un vuoto nel petto e un dolore lancinante all’altezza dello stomaco. Come ogni volta. 
Quando le sue dita sottili cercarono le proprie, intrecciandosi con esse, la lasciò fare. Non aveva le forze per combattere, nè la voglia. E poi, era il minimo. 
Sasuke Uchiha era stanco. 
Era stanco di quella vita che non gli apparteneva, di quel Villaggio opprimente, di quegli occhi verdi che chiedevano di più.
Era stanco e voleva andarsene.
Era stanco e voleva stare da solo.




Carissimi,
rieccomi di nuovo con questo progetto senza tante aspettative. 
Spero intanto di catturare la vostra curiosità.

Un bacione 

Xine

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Capitolo 2
*** I. ***


I.

 

Hinata Hyuga osservò il soffitto.
Non avrebbe teso il braccio verso l’altro lato del grande letto matrimoniale nella speranza di trovare il corpo caldo e rassicurante di Naruto. Non quella mattina.
Sarebbe stato sciocco persino per un'inguaribile sognatrice come lei. 

 

“Hina-chan” 
Un respiro caldo si abbattè contro la pelle chiara delle sue spalle, lasciata scoperta dalle sottili spalline della camicia da notte. Mugugnò infastidita, finché una risata familiare non le fece aprire gli occhi di scatto.
"Naruto-kun?" 
Il biondo sorrise teneramente, accarezzandole la guancia con la mano fasciata. 
Hinata abbassò lo sguardo, incapace di trattenere un sorriso euforico, sollevato. Non voleva che notasse gli occhi lucidi non certo per il sonno, né il rossore che ogni volta la sua vicinanza provocava.
Sospirò contenta, finalmente capace di respirare di nuovo. I polmoni quasi facevano male per l'improvvisa quantità d'aria che il fidanzato aveva portato con sé.
Ad un tratto aggrottò le sopracciglia, sollevando il capo e guardandosi intorno. La stanza era completamente invasa dal buio, non una luce sembrava penetrare dalle sottili tende bianche. 
"Che ore sono?" 
"È presto" rispose lui, sistemandole dietro l'orecchio una ciocca di lunghi capelli scuri. 
Hinata lo osservò. Aveva l'aria stanca, gli occhi azzurri, cerchiati da prepotenti occhiaie violacee, sembravano velati da una patina lucida, e le spalle, così come la sua postura, erano rigide.
"Sei arrivato ora?" sussurrò, lasciando una lenta carezza sull'avambraccio abbronzato del ragazzo. 
"No" scosse il capo, afferrandole la mano e posandovi sopra un bacio leggero. 
"Non ti ho sentito tornare, mi dispiace" abbassò lo sguardo, mortificata.
"Lo so. Come pensi di essere arrivata al letto?" ridacchiò divertito. 
In effetti, ora che glielo faceva notare, ricordava di essersi adagiata sul divano nella speranza di rimanere sveglia fino al suo rientro. Doveva averla portata in braccio, come faceva ogni volta che poteva con una scusa improbabile.
"Potevi svegliarmi…" 
"Naa, eri così carina 'ttebayo" le pizzicò la guancia.
Hinata arrossì, facendolo scoppiare in una fragorosa risata. Quando  Naruto la tirò a sè, stringendola tra le sue braccia forti, chiuse gli occhi, rannicchiandosi contro il suo petto ed ascoltandone il battito regolare del cuore. 
Era felice, di nuovo. 
Come ogni volta bastava la sua presenza per cancellare tutti i dubbi. 
"Com'è andata la giornata?" 
"Kakashi-sensei e Baa-chan mi faranno detestare quel lavoro…" 
Hinata scosse il capo divertita. Come lui, sapeva che i due cercavano di assicurarsi che fosse pronto a diventare Hokage. I compiti di un leader erano innumerevoli, dalla burocrazia agli incarichi diplomatici, e, per quanto Naruto fosse animato da un'enorme forza di volontà, era necessario che facesse esperienza, che costruisse legami solidi con i suoi futuri collaboratori. 
"Andrà bene, Naruto-kun" sussurrò incoraggiante. 
Lo sentì annuire convinto ed il suo braccio strinse la presa su di lei, portandola più vicina. 
Rimasero in silenzio a lungo, beandosi della reciproca vicinanza. Il tepore dei corpi, il cuore colmo di felicità, l'amore, erano così forti, così intensi da rendere le palpebre pesanti e il respiro regolare. Incapace di trattenersi, sbadigliò coprendosi la bocca con la mano. 
"Hinata" 
"Mh?"
Dopo diverso tempo senza risposte, la ragazza si sollevò sugli avambracci voltandosi verso di lui. Aveva un’aria dispiaciuta e… colpevole.
“Stai bene?” gli domandò preoccupata.
I suoi occhi azzurri si fecero improvvisamente cupi ed un sospiro sfuggì dalle sue labbra.
“Si, non preoccuparti. Torna a dormire…” annuì accarezzandole il capo dolcemente.
“Naruto-kun” lo richiamò lei, per niente convinta.
“L’hai detto tu, Hina-chan. Andrà bene!” 
Forse fu il fatto che lo disse con quella sua voce piena di energia e di ottimismo, forse perché accompagnò le parole con il suo sorriso determinato, o forse ancora perché voleva disperatamente crederci anche lei, Hinata annuì convinta e si adagiò nuovamente sul letto.
Naruto, alle sue spalle, le circondò protettivo la vita con un braccio, affondando il viso tra i lunghi capelli indaco e respirandone a pieni polmoni il profumo fresco di gelsomino. 
Intrecciò le dita alle sue e sorrise chiudendo gli occhi, improvvisamente preda delle lusinghe di Morfeo. 
Stava ancora sorridendo quando con un ‘puff’, il calore alle sue spalle si dissolse.

 

Hinata sospirò, coprendosi il viso con il leggero lenzuolo. 
Naruto stava facendo i salti mortali per riuscire a realizzare il suo sogno e, al contempo, essere un buon fidanzato. Non era la prima volta che mandava un clone al suo posto perché ancora chiuso in ufficio a studiare o intrappolato in qualche cena diplomatica. 
Era giusto sentirsi così… sola? Come un oggetto dimenticato da tutti, come se la vita degli altri fosse andata avanti e la sua si fosse cristallizzata in un limbo. A volte le sembrava di correre verso Naruto fino a perdere il fiato, e, quando lo raggiungeva, magicamente si volatilizzava in un ‘puff’.
Scosse il capo e scostò il lenzuolo, arrendendosi all’idea di doversi alzare. Lasciò il letto e si rifugiò in bagno, immergendosi sotto il getto dell’acqua bollente nella speranza che lavasse via quella sensazione sgradevole che le impregnava le ossa: il senso di colpa.
Dopo diverso tempo chiuse il rubinetto ed uscì, avvolgendosi in un telo ed asciugandosi il corpo ed i capelli. Si pettinò e si vestì, poi andò in cucina e preparò la colazione per due. Era un’abitudine che non avrebbe mai perso. D’altronde qualche volta - tre - era capitato che Naruto rincasasse perchè dimentico di documenti o per una doccia veloce. 
Tuttavia non accadde niente nemmeno quel giorno.
Sospirando, guardò il piatto vuoto davanti a sè. Improvvisamente le era passato l’appetito. Una lacrima le rigò la guancia, ma ben presto fu cancellata dal gesto nervoso della sua mano. 
Cucinare. Pulire. Cucinare. Fare spesa. Pulire. Cucinare. Aspettare. 
Così Hinata Hyuga passava le ore, le giornate, trascinandosi qua e là, imprigionata in una routine da cui non era in grado di uscire indenne. Si teneva impegnata per non pensare al problema, tentando di ignorare la sensazione di perdere il controllo della propria vita. Era come se si fosse tuffata in un mare azzurro, cristallino, ma incredibilmente profondo. Lei non era capace di nuotare così bene da contrastare le correnti, lei le assecondava, ma ogni volta la portavano più lontana dalla riva. E non aveva le forze per tornare indietro, aveva paura. Ma stava zitta, perché avrebbe dovuto essere felice.
Finalmente venne sera, il momento che preferiva della giornata. Certo il sole si nascondeva lasciando spazio all’oscurità della notte, ma Naruto sarebbe tornato, portando con sé l'unica luce di cui davvero aveva bisogno. Quel giorno, però, non lo avrebbe aspettato a casa, poichè Ino aveva riunito il vecchio gruppo, cosa alquanto difficile negli ultimi tempi a causa dei numerosi impegni di tutti. D’altronde solo lei avrebbe potuto riuscirci: una minaccia qua e là, qualche occhio dolce ed il gioco era fatto. 
Hinata si guardò allo specchio: aveva indossato un abito grigio, con una sottile maglia bianca a maniche lunghe di sotto. Non le piaceva mettere in mostra troppa pelle. Il rapporto con il suo corpo era ancora piuttosto complicato, nonostante avesse imparato ad amarsi di più grazie a Naruto.
Fai sapere a Naruto che se prova a dare buca lo farò pentire amaramente di essere nato
Sospirò e scosse il capo, tentando di scacciare quella sensazione di vuoto che si faceva largo all’altezza del petto al solo pensiero del biondo. Lasciò la camera da letto e si fermò in cucina, afferrando la torta che aveva preparato nel pomeriggio e lasciando sul tavolo da pranzo un biglietto per Naruto, nel caso in cui tornasse. Era certa che tra i mille impegni avesse dimenticato la cena con gli amici. Uscì di casa percorrendo le vie del Villaggio nel più completo dei silenzi, in netto contrasto con il chiacchiericcio euforico proveniente dai locali. Un sorriso triste si allungò sulle sue labbra nel constatare che, a differenza della maggior parte dei suoi amici - e di Naruto - non sarebbe mai stata quel tipo di persona a cui piace la confusione.
“Yo, Hinata” 
Hinata si voltò nella direzione da cui proveniva la voce. Shikamaru Nara, con la solita espressione annoiata e le mani in tasca, le si fece incontro.
“Konbanwa, Shikamaru-kun” salutò educatamente con un lieve cenno del capo.
“Alla fine è riuscita a convincere anche te…”  il ragazzo scosse il capo, alludendo alla compagna di squadra con un mezzo sorriso.
Hinata annuì, sorridendo dolcemente. Proseguirono in silenzio per il resto del tragitto, camminando serenamente uno accanto all’altra, fino a quando Shikamaru toccò il tasto dolente.
“Naruto non viene?” 
I passi della ragazza si fermarono. I suoi occhi bianchi trovarono quelli neri del Nara fissi su di sè, incuriositi dalla brusca interruzione. 
“Arriverà più tardi” Hinata distolse lo sguardo ed abbassò il capo riprendendo a camminare.
Non era una bugia, era una speranza. La stessa che coltivava ogni sera.
Shikamaru fu sufficientemente intelligente da far cadere la conversazione, e di questo gli fu grata. Arrivarono a casa di Ino senza scambiarsi parole, suonando al campanello e salendo le scale una volta invitati ad entrare.  Sulla porta trovarono ad attenderli la biondissima padrona di casa con un sorriso abbagliante.
“Hina-chan! Che bello che sei venuta!” esclamò euforica Ino, tirandola in un abbraccio.
“Come se ci avessi lasciato molta scelta…” borbottò Shikamaru.
“Hai detto qualcosa?!” lo fulminò lei.
Il moro alzò gli occhi al cielo e la superò entrando in casa senza molte cerimonie. D’altronde ci era praticamente cresciuto a casa Yamanaka.
“Il solito rompiscatole!” scosse il capo Ino.
Hinata sorrise divertita, porgendo all’altra kunoichi la teglia che aveva tra le mani. 
“E’ una torta al cioccolato, Ino-chan” 
“La mia preferita! Grazie infinite! Vieni dentro, Hina-chan, mancavate solo voi!” si spostò di lato per farla passare.
La Hyuga entrò timidamente, venendo guidata dalla bionda all’interno di un luminoso salotto gremito di gente. 
“Hei! E’ arrivata Hinata!” urlò attirando l’attenzione di tutti.
Hinata arrossì, facendo a malapena in tempo a salutare con la mano prima di venire travolta dall’abbraccio di Kiba. Un volta liberatasi, scambiò due parole con Shino, complimentandosi con lui per l’incarico di insegnante all’Accademia da poco conferitogli, e chiacchierò con Tenten. Ben presto fu ora di cena ed il gruppo prese posto a tavola. Fu soltanto allora che notò la figura di Sasuke Uchiha, l’ex compagno di squadra di Naruto.  Stava seduto accanto a Sakura, con un’espressione vuota ed un bicchiere di sakè nell’unica mano. Non scambiò una parola con nessuno per l’intera serata, rispondendo a monosillabi alle richieste della rosa.
Sospirando guardò la porta, nella speranza che Naruto arrivasse. 
“Non preoccuparti, Hinata! Sono certa che verrà!” 
La voce di Sakura le fece distogliere lo sguardo dall’ingresso per portarlo su di lei. Sul suo viso riluceva un sorriso abbagliante e fiducioso. Si ritrovò ad annuire automaticamente, tentando di zittire la voce che gridava di non crederle.
In quell’istante Ino sgusciò accanto a lei, riempiendo il suo bicchiere di sakè. 
“Allora, Hina-chan, a che punto sono i preparativi per il matrimonio?” domandò la bionda. 
“Raccontaci tutto!” batté le mani entusiasta Sakura.
“Voglio sentire anch'io! Spostati Lee!” sgomitò Tenten, sporgendosi sul tavolo.
Hinata desiderò sparire. Parlare del matrimonio era come versare sale su una ferita aperta. 
Tentò di accontentarle, rispondendo vagamente alle domande e nascondendosi il più possibile dietro gli impegni incessanti del fidanzato. Fortunatamente, dopo diverso tempo, l’attenzione di Ino, e di conseguenza di tutti, si spostò sulla nuova fiamma di Kiba, reso alquanto loquace dall’alcol. 
Hinata ne approfittò per sgattaiolare sul balcone, chiudendosi la porta alle spalle. 
Improvvisamente il silenzio invase le orecchie, facendole fischiare per il brusco cambiamento. Si portò una mano alla testa, massaggiandosi le tempie nella speranza che il fastidio passasse il più velocemente possibile.
Era stanca delle domande di Ino, del sorriso incoraggiante di Sakura e del suo giustificare l’assenza di Naruto. D'altronde Sasuke era lì, accanto a lei, mentre Naruto l'aveva lasciata sola, ancora una volta. 
Era stanca, era arrabbiata, delusa. Ce l'aveva con sé stessa, poi con Naruto, poi di nuovo con sé stessa. 
Fuori era muta, ma dentro urlava. 
Strinse con forza tra le mani la ringhiera fredda, vedendo le nocche sbiancare pericolosamente. 
La portafinestra si aprì e si richiuse alle sue spalle. Avvertì dei passi lenti e cadenzati, e, incapace di associarli a quelli degli amici, sollevò lo sguardo per capire chi fosse. 
Una figura alta e longilinea, capelli corvini con lunghi ciuffi ribelli, impenetrabili occhi bicolore nero e viola, un'espressione indecifrabile. Sasuke Uchiha si appoggiò di spalle alla balaustra, non proferì parola, né la degnò d'uno sguardo. Se il balcone non fosse stato tanto piccolo avrebbe giurato che non l'avesse nemmeno vista. 
Hinata abbassò il capo, riportando gli occhi bianchi al contorno irregolare degli edifici di Konoha. Sperava ancora di vederlo arrivare. Dopo tutto era lì anche Sasuke, nonostante fosse evidente che non avrebbe voluto esserci. 
Non riuscì a trattenersi dal guardalo di nuovo, mentre un sorriso stanco si apriva sulle labbra rosee. Teneva lo sguardo fisso dinanzi a sè, apparentemente impassibile al mondo circostante. 
“Cosa?” 
La sua voce bassa, profonda, così lontana dal timbro caldo ed avvolgente di Naruto, palesò che la stava ignorando volontariamente.
Distolse lo sguardo imbarazzata, scuotendo il capo in segno di diniego.
Probabilmente avrebbe voluto stare da solo, proprio come lei. Si, perchè Hinata Hyuga desiderava, pregava, perchè Sasuke se ne andasse. La sua presenza era troppo da sopportare, era come un violento schiaffo in faccia.
Avrebbe potuto rientrare, ma l’idea di essere intrappolata nuovamente in un’euforia che non avrebbe condiviso le impediva di tornare sui suoi passi. Era stanca delle domande sul matrimonio, sull’assenza di Naruto. Era stanca di annuire alla sincera felicità di chi le sorrideva con tenerezza, come si fa davanti ad una bambina che la mattina di Natale ha visto il proprio desiderio esaudito.
Era strano: ogni giorno sperava di non essere lasciata sola, ed ora non desiderava altro. 
“Uchiha-san” 
Per la prima volta i suoi occhi magnetici si posarono su di lei. 
“Io… vorrei stare sola” 
Non appena pronunciò quelle parole si sentì terribilmente in colpa. Una morsa le attanagliò lo stomaco provocando una fitta dolorosa. 
Sasuke non rispose, né diede alcun segno di volersene andare.
Hinata si vergognò. Ultimamente non faceva altro, così pregna di pensieri egoistici e di ingratitudine. 
Si accucciò a terra con le spalle al muro, abbracciandosi le gambe e posando il lato sinistro del viso sulle ginocchia. Chiuse gli occhi sentendoli pizzicare, afferrando con le mani l’orlo della gonna dell’abito grigio per impedirsi di scoppiare a piangere.
Un'improvvisa ventata d’aria fresca si abbattè su di lei, provocandole i brividi. Si strinse tra le braccia, aspettandosi di sentire il rumore delle fronde degli alberi scosse dalla corrente. 
Silenzio.
Aggrottò le sopracciglia confusa, sbattendo le palpebre più volte e sollevando lo sguardo per capire se anche Sasuke avesse percepito quello strano spostamento d’aria. Sgranò gli occhi nell’accorgersi di essere rimasta sola.
Se ne era andato, alla fine. Come gli aveva chiesto.
Sorrise tristemente, nascondendo la testa tra le braccia. Pensava di sentirsi meglio, da sola.
Ma non successe.

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Capitolo 3
*** II. ***


 II.

 

La porta dell’ufficio si spalancò senza preavviso.
Un paio di occhi azzurri si sollevarono dai documenti sparsi sulla scrivania, posandosi stupiti su di lui.
“Sasuke?!” esclamò il biondo, piegando la testa di lato incuriosito.
“Devo parlarti”

 

“Mi hai lasciata lì, da sola!” 
Sasuke chiuse gli occhi stanco. Sakura non accennava a calmarsi, percorreva il piccolo salotto a grandi falcate, avanti e indietro, tenendo i pugni serrati nervosamente.
“Sei scomparso senza dire una parola!” continuò imperterrita, fermandosi davanti a lui.
Lo guardava con rabbia, sentimento che difficilmente gli riservava. Gli occhi verdi sembravano fuoco liquido, mentre il corpo era scosso da fremiti.
Vederla ridotta in quello stato a causa sua non gli fece alcun effetto, né dispiacere, né irritazione, né soddisfazione. Niente. Riusciva soltanto a pensare a quando avrebbe finalmente smesso di gridare.
Rimase in silenzio, non tanto perché non sapeva cosa dire, piuttosto perché temeva che se avesse parlato si sarebbe rotto quel filo sottile che stava tenendo insieme le loro patetiche esistenze.
Sakura prese posto sul divano, sistemandosi al suo fianco. Stringeva le mani sulle ginocchia con un tale impeto che le nocche si erano fatte bianche. La testa era bassa, così come lo sguardo, coperto dai corti ciuffi rosa. 
“Perchè sei andato via?” 
Se ne era andato perché era stanco di stare in mezzo a quelli che per lui erano sconosciuti, il ricordo sbiadito di un’infanzia alla quale non voleva tornare. Lui voleva soltanto andare avanti, non aveva niente a cui guardare con entusiasmo nel passato.
Se ne era andato perchè si sentiva soffocare, perchè si annoiava, perché la sua presenza non era gradita, ma solo la Hyuga aveva avuto il coraggio di dirglielo.
“Io… ti ho forse infastidito in qualche modo?” domandò Sakura, con gli occhi lucidi.
Sasuke scosse il capo, sorridendo ironico.
Era patetica. Continuava a volerlo tenere accanto a sé, negandosi la possibilità di essere felice davvero. Dipendeva da lui come un tossico dalla sua dose, senza accorgersi di avvicinarsi passo dopo passo ad una lenta condanna.
Si alzò in piedi, lasciando la stanza consapevole che l’avrebbe seguito.
“Sasuke?!” 
Infilò i calzari e si buttò il mantello sulle spalle, ignorando la presa tremante sulla stoffa scura.
“Sasuke, dove stai andando?” ripetè la rosa, con un tono che lasciava trapelare la paura di essere abbandonata. 
Non rispose. Semplicemente continuò a camminare, lasciandosi alle spalle Sakura e quell’appartamento. Balzò su un tetto, respirando dopo tanto tempo una boccata d’aria che finalmente pareva fresca, osservando i contorni ombrosi di un Villaggio che non riusciva a sentire proprio. 
Sasuke Uchiha aveva deciso: avrebbe lasciato Konoha quella sera stessa. Lo avrebbe fatto per Sakura, per sé stesso, perché quella vita era nociva e li avrebbe uccisi entrambi. 
Se ne sarebbe andato, ma non senza dirlo a Naruto. Aveva fatto troppo per riportarlo a casa, nutriva verso di lui rispetto, stima. Era il suo migliore amico, era suo fratello.
Si avviò verso casa del biondo, la luna a fargli da testimone e compagna di viaggio. Arrivò dinanzi all’edificio, era uno di quelli nuovi, costruiti dopo la guerra, con l’intonaco giallo ed il tetto piano. Osservò i campanelli per cercare di capire a quale piano abitasse Naruto. D’altronde, in più di un anno e mezzo, non era mai stato a casa sua.
N. Uzumaki - H. Hyuga
Non rimase sorpreso dell’accostamento bizzarro dei due nomi, il futuro matrimonio era sulla bocca di tutti. Specialmente quella di Sakura. 
Salì le scale, raggiungendo il terzo piano ed individuando la porta. Suonò il campanello, sentendone il suono stridulo risuonare nel silenzio del pianerottolo. Non passò molto tempo prima che la serratura scattasse, anticipando l’apertura della porta. Dietro di essa apparve la figura minuta di Hinata Hyuga, che sgranò gli occhi guardandosi intorno comprensibilmente agitata. Erano pur sempre le tre del mattino, un orario del tutto inusuale per le visite.
“Uchiha-san, va tutto bene?” esclamò preoccupata.
“Naruto?” 
“È successo qualcosa?!”
“Devo parlargli. È in casa o no?”
Il volto pallido della Hyuga sembrò adombrarsi tutto d’un tratto, facendo sì che assumesse un'aria spettrale. Abbassò il capo, stringendosi nella vestaglia lilla come a cercare di
infondersi calore. 

“No”
Sasuke rimase in silenzio, serrando irritato le labbra in una linea piatta. Si voltò senza proferire parola, deciso a trovare quell'idiota ovunque si nascondesse a quell’ora della notte.
"Uchiha-san!" 
Attese silenziosamente che la ragazza parlasse, senza nemmeno preoccuparsi di guardarla in viso.
"Vuoi… vuoi aspettarlo qui? Dovrebbe rientrare a momenti…" 
Sasuke piegò lievemente il capo di lato, soppesando l'offerta. Probabilmente accettare avrebbe significato ridurre le possibilità di dover inseguire Naruto chissadove o, peggio ancora, di dover tornare. Si girò e le si fece nuovamente incontro, vedendola accennare un sorriso di circostanza e farsi da parte in un muto invito ad entrare.
La superò senza tante cerimonie, non preoccupandosi nemmeno di ringraziarla dell’ospitalità. D’altronde non era lì per scambiare convenevoli, men che meno con lei. 
Una volta liberatosi dei calzari e del mantello, riposti ordinatamente da lei all’ingresso, la saguì all’interno dell'appartamento. Era piccolo, arredato con modestia ed estremamente ordinato. Non c’era un granello di polvere, né un cuscino sgualcito sul divano al centro del salotto, i mobili erano di legno scuro e la tappezzeria di colori neutri. Non aveva nulla a che vedere con il loro - di Sakura - appartamento, sommerso di libri e pergamene, tappezzato di colori vivaci e tessuti dalle fantasie spaiate. 
“Posso offrirti del tè?” 
Sasuke riportò l’attenzione su di lei, annuendo più per cortesia che per voglia della bevanda. La Hyuga non disse una parola, si limitò a rintanarsi in cucina lasciandolo solo. Si sorprese di quanto fosse silenziosa, così lontana dall’esuberanza di Naruto. Era difficile immaginarli insieme, così come lo era percepire la presenza del Dobe in quella casa.Si sarebbe aspettato disordine, scatole di ramen e cianfrusaglie varie. Se non fosse stato per le fotografie appese alle pareti raffiguranti la coppia, sarebbe parso un appartamento disabitato. 
Improvvisamente la sua attenzione fu catturata dalla vecchia foto del team sette, incorniciata e posata sulla credenza. Ricordava bene il momento in cui era stata scattata, Naruto riusciva a dargli ai nervi come nessun altro allora. 
“Il tè è pronto”  
Hinata lo raggiunse con un vassoio tra le mani. Lo posò delicatamente sul basso tavolino di fronte al divano, sistemando una tazza di porcellana davanti a lui prima di riempirla
con aggraziata precisione. Erano anni che non assisteva ad un’informale cerimonia del tè, probabilmente l’ultimo ricordo risaliva ai tempi in cui i suoi genitori erano ancora vivi e sua madre serviva magistralmente zie e cugini in visita. 

Afferrò bruscamente il manico della tazza, portandola alla bocca e prendendo un sorso. Si aspettava di sentire il liquido bruciare in gola, voleva sentirlo bruciare in gola per concentrarsi sul dolore e non sul sapore dolceamaro dei ricordi. Purtroppo il tè della Hyuga era perfetto persino nella temperatura e la cosa divertente, a suo avviso, era che uno come Naruto non lo avrebbe nemmeno notato. 
La fastidiosa sensazione di essere osservato gli fece sollevare lo sguardo verso la donna, che sobbalzò nascondendo il viso nella tazza di tè. 
“Quando tornerà Naruto?” 
Hinata si irrigidì improvvisamente, riponendo con mani tremanti la porcellana sul tavolo. Rimase in silenzio per diverso tempo, agitandosi nella vestaglia da notte e giocherellando nervosamente con le mani in grembo. 
“Lui… dipende” rispose con un fil di voce.
“Non lo sai” Sasuke scosse il capo incredulo, vedendola arrossire in preda alla vergogna. 
“N-non è così! E’ già molto tardi, dovrebbe essere qui a minuti e-”
Si alzò in piedi irritato, non intenzionato a sprecare altro tempo, recuperando il mantello ed indossando i calzari. Poi se ne andò.

 

"Ehi, va tutto bene?" 
Sasuke guardò il suo migliore amico. Era quasi l’alba ed ancora si trovava lì, rilegato dietro ad una scrivania a compilare documenti. Aveva l'aria stanca, esausta, eppure gli occhi azzurri si erano fatti profondamente seri. Era sempre così quando si trattava di lui: si preoccupava e si intestardiva a risolvere i problemi al suo posto. Non una volta aveva perso la speranza, né si era arreso. La cosa assurda era che quella stima, quell’affetto, lui nemmeno li meritava.
"Sasuke?" incalzò Naruto, alzandosi dalla sedia e raggiungendolo. 
Sospirando, decise di non dirgli niente, di tornare a casa e fingere che nulla fosse successo. Non sarebbe stato giusto procurargli anche quel tormento. Conoscendolo avrebbe capito, nonostante tutto lo avrebbe lasciato andare, prendendosi in carico il suo dolore e quello di Sakura, barcamenando tra l’ufficio e l’ospedale e scordandosi di tornare dalla Hyuga. 
Non gli avrebbe rovinato la vita, di nuovo. Non ora che stava per raggiungere il suo sogno.
“Si, va tutto bene” 
“Mi hai fatto venire un colpo ‘ttebayo!” Naruto sospirò sollevato, dandogli una pacca sulla spalla e riprendendo posto dietro la scrivania.
“Allora, cosa devi dirmi che non può aspettare nemmeno il sorgere del sole? Ma, soprattutto, come hai fatto a sfuggire a Sakura-chan?” continuò curioso.
Sasuke rimase in silenzio, riflettendo. 
Se ne sarebbe andato, era deciso. Tuttavia, lo avrebbe fatto gradualmente, accumulando in primis un po’ di denaro. Non che gli mancasse, s’intende. Una sola parola e Kakashi avrebbe sbloccato tutti i fondi del Clan Uchiha che gli spettavano per diritto. Ma onestamente non aveva il coraggio di toccare quei soldi intrisi di sangue. Non ancora, per lo meno. Voleva prima sentirsene degno.
“Voglio riprendere le missioni” 
“Mi sembra una buona idea! Cominci ad essere fuori allenamento…” commentò il biondo , squadrandolo da capo a piedi con un ghigno divertito.
Sasuke sospirò alzando gli occhi al cielo, evitando di rispondere a quella provocazione.
“No, dico sul serio. Scommetto che potrei batterti ad occhi chiusi!” 
Gli diede le spalle per nascondere il sorriso che prepotente si era fatto largo sul suo viso. Il bastardo lo conosceva bene. 
“Puoi provarci, Usuratonkachi” rispose, avvicinandosi alla porta.
Si preparò alla solita, vivace, replica, che tuttavia non arrivò. Aveva già afferrato la maniglia quando il tono insolitamente risoluto dell’Uzumaki lo fece fermare bruscamente. 
“Teme, ho un favore da chiederti” 
Sasuke si voltò verso di lui, invitandolo a proseguire con un cenno del capo.
“Si tratta di Hinata…” 
Istintivamente aggrottò le sopracciglia confuso. Era impossibile che volesse intavolare con lui quel tipo di discussione. Giusto?
“Ultimamente la sto trascurando e credo si senta sola. Io… ci sto provando, dico davvero! Ma Kakashi-sensei e Baa-chan, e tutto quello che c’è da imparare… non ci riesco. Hinata è fantastica, lei capisce sempre, non si lamenta mai, è un grande sostegno. Non voglio che soffra a causa mia” 
Naruto abbassò lo sguardo, fregandosi le mani tra loro nervosamente. Le parole gli uscivano come un fiume in piena e, solo allora, Sasuke fu in grado di comprendere i patetici incontri avuti con la Hyuga negli ultimi due giorni. 
“Potresti passare a controllarla, ogni tanto? Lo avrei chiesto a Sakura, ma è sempre così impegnata in ospedale, e lo stesso vale per Shino e Kiba!” 
Sasuke rimase perplesso. Non era certo la persona giusta a cui chiedere una cosa del genere, lo stesso Naruto sembrava esserne consapevole. Lui e la Hyuga non si erano pressochè mai parlati e, onestamente, avrebbe preferito che la situazione rimanesse invariata.
“Non vorrei dovertelo chiedere, credimi. Ma… tu sei a casa e così…”
Si sentì umiliato, era un uomo e un ninja inutile al punto tale che Naruto gli stava chiedendo di fare da babysitter alla sua patetica fidanzata. 
Come ti sei ridotto

 

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Capitolo 4
*** III. ***


III.

 

Quando aprì il portone di vetro del condominio, la prepotente luce del mattino l’accecò, costringendola a chiudere gli occhi. Si portò una mano a coprire la fronte, facendosi ombra e sbattendo le palpebre per abituarsi alla luce naturale. 
Era ridicola.
Si chiudeva in casa, nascondendosi da tutto e tutti per evitare di sentire il fastidioso chiacchiericcio che l'accompagnava sempre.
Non si vedono più insieme
Si dice che lui abbia un’altra!
Hiashi Hyuga osteggia le nozze
Non era facile convivere con quei mormorii, finivano sempre per insidiarsi viscidamente nella sua testa, tormentandola per giorni e rendendola consapevole di essere rimasta un’insicura cronica. 
Prese un bel respiro e, un piede dietro l’altro, iniziò a camminare per le vie di Konoha, gremite di gente e del frastuono tipico del mercato. Solitamente non ci avrebbe messo piede, poichè le probabilità di imbattersi in qualche spiacevole incontro aumentavano, ma quel giorno avrebbe fatto un’eccezione. Naruto era stato mandato in missione a Suna, ma il ritorno era fissato proprio per quel giorno. 
E in effetti il suo umore era nettamente migliore, forse anche per via del sole, così luminoso e caldo, che torreggiava sul Villaggio. I suoi raggi sulla pelle sembravano il preludio dell’abbraccio che nel giro di poche ore l’avrebbe stretta. 
Hinata si ritrovò a sorridere, stringendo al petto le borse che aveva portato con sè per riporvi la spesa. Prima di andare a far spesa decise però di far visita a Neji. Quando varcò le grandi cancellate, una folata d’aria fresca si insinuò tra le ampie pieghe della gonna, costringendola a tenerele mani su di essa in via preventiva. Raggiunse la lapide bianca, accompagnata dal venticello, sorridendo nel riconoscere in quell’evento atmosferico una sorta di bentornata. 
Si accucciò davanti alla tomba, accarezzando con la mano la pietra fredda.
Era mortificata. Il giorno precedente era stata una terribile egoista, aveva pianto confessando silenziosamente la propria infelicità. Aveva sfogato su Neji la sua insicurezza, senza nemmeno rendersi conto che era soltanto grazie a lui che poteva ancora vivere il suo sogno. 
“Mi dispiace, Nii-san” 
Non appena parlò si sentì meglio. Era certa che lui avrebbe capito, lo faceva sempre.
Rimase in silenzio per diverso tempo, ascoltando i rumori circostanti ad occhi chiusi. Il fruscio del vento tra le fronde, i passi sulla ghiaia dei visitatori, lo scorrere dell’acqua nella fontanella. 

“Ora devo andare, ho qualche commissione da fare. Sai, oggi Naruto-kun tornerà a casa!” 
Ripetendolo a voce alta sentì il calore irradiarsi nel petto, che quasi scoppiava di felicità. 
Era come se da lui dipendesse tutta sè stessa, il sorriso, la felicità. Era lui a fare buono e cattivo il tempo, a rendere calda una giornata di pioggia e fredda una mattina soleggiata.
Ti sembra giusto?
Scosse il capo, serrando le labbra con disappunto. Abbassò lo sguardo, sospirando sconfitta, poi lasciò un ultima carezza sulla lapide.
“Ci vediamo presto, Neji-nii” sussurrò, abbozzando un sorriso.
Hinata si allontanò dal cimitero lentamente, tentando di soffocare il dolore all’altezza dello stomaco. Si affrettò a fare la spesa, prestando poca attenzione allo spazio ed alle persone davanti a sé. 
D’un tratto ebbe come la sensazione di essere osservata. Si guardò intorno distrattamente, tentando di non dare nell’occhio. Raccolse la frutta e la verdura, sistemandole nelle borse che aveva portato con sé, poi imboccò la via di casa.  Mantenne alta la guardia, quella sensazione non voleva saperne di scomparire.
Avrebbe attivato il Byakugan se solo non fosse stata in mezzo alla strada, ma non voleva allarmare gli abitanti del Villaggio. La guerra aveva portato con sé uno stato d’ansia generalizzato.

Continuò a camminare, stringendo tra le mani i manici delle pesanti borse di carta contenenti la spesa. Era così intenta a cercare tracce di chakra che non vide arrivare un pallone da calcio che le colpì la caviglia, facendola inciampare in avanti. Si preparò all'impatto a terra, chiudendo gli occhi e tendendo in avanti le mani per attutire una caduta che, tuttavia, non arrivò.
“Hai dei pessimi riflessi” 
Una voce familiare le fece riaprire gli occhi. Sbattè più volte le palpebre, passando lo sguardo dalla mano pallida, stretta all’altezza del suo gomito, al viso inespressivo del suo proprietario. Sasuke Uchiha restituì lo sguardo, mollando la presa che le aveva evitato la caduta. Imbarazzata fece un passo indietro, abbassando il capo e sentendo le guance farsi rosse. 
Hai dei pessimi riflessi
Nessuno le parlava in quel modo da anni. Sembrava quasi di essere tornata bambina, quando suo padre e Neji le riservavano commenti di biasimo. Eppure l’Uchiha non aveva motivo per disprezzarla in quel modo, per lui non era un erede debole, né la causa della morte del padre. 
“Mi dispiace” 
Le stesse parole che aveva ripetuto per anni, fino all’esasperazione. Credeva di essere cresciuta, cambiata, credeva che diventata donna tutto sarebbe stato diverso. Anche Naruto la vedeva così, maldestra, debole?
Il cuore accelerò i battiti e le mani presero a tremare. Scosse il capo, cercando di scacciare il pensiero, ma non ebbe alcun successo. Si guardò intorno agitata, trattenendo l’impulso di scappare.
“Perdonami, Uchiha-san, devo tornare a casa” si scusò, prima di superarlo ed imboccare a passo veloce la strada di casa.
Non voleva essere scortese, ma sentiva il bisogno di rintanarsi nel loro appartamento, il nido d’amore che da sempre era in grado di rassicurarla, dove avrebbe potuto piangere, crogiolarsi nel dubbio. Dove avrebbe potuto calare la maschera ed essere infelice.
Improvvisamente una mano afferrò la borsa della spesa che teneva convulsamente con la sinistra. Si fermò e sollevò il capo ritrovando nuovamente Sasuke, impossessatosi del carico, che avanzò dandole le spalle. 
“Sbrigati” ordinò con voce perentoria.
Hinata rimase immobile, piegando il capo di lato incapace di comprendere il comportamento del ragazzo. Non che la gentilezza fosse qualcosa da guardare con sospetto, ma l’Uchiha non era rinomato per la cortesia, lo aveva dimostrato anche qualche notte prima, presentandosi a casa loro senza nemmeno scusarsi per l’orario inconsueto, pretendendo di vedere Naruto.
Eppure a casa di Ino, dietro alla sua scortese richiesta, l’aveva lasciata sola. Avrebbe potuto mandarla al diavolo, invitarla ad andarsene a sua volta, ma non lo aveva fatto. Lui aveva capito e basta, senza fare domande, né pretendere spiegazioni.
Lo guardò allontanarsi tenendo la borsa con l’unico braccio, così lo raggiunse senza dire una parola, lasciando che la scortasse fino a casa. Una volta arrivati rimasero uno di fronte all’altra, in silenzio, senza nemmeno guardarsi.
“Grazie di avermi accompagnata, Uchiha-san” 
“Hn”
Hinata tese timidamente la mano e lui le consegnò la sporta della spesa. Le aveva già voltato le spalle, quando avvertì il rumore di uno stomaco che reclamava cibo. Dapprima sgranò gli occhi sorpresa, come se un suono del genere non potesse provenire da uno come Sasuke Uchiha, poi una risata appena accennata le sfuggì dalle labbra.
“V-vorresti fermarti per p-pranzo?” 
Le parole uscirono senza che nemmeno se ne accorgesse. Si portò le mani alla bocca, come per verificare di aver parlato davvero, e,quando lui si fermò sui propri passi, ebbe la certezza di averlo fatto.
Non seppe spiegarsi il perché di quella proposta. Forse voleva ringraziarlo per la serata a casa di Ino, o forse per averla aiutata con la spesa. O forse voleva semplicemente essere cortese con il migliore amico del suo fidanzato.
Ti senti sola
Ignorò quel pensiero così ingiusto e sbagliato. Lei non era sola, aveva Naruto, la sua famiglia e i suoi amici. Ma essere soli e sentirsi soli non erano la stessa cosa.
Il rumore cadenzato di passi la portò a distogliere l’attenzione dai propri pensieri. Sasuke si era avvicinato e la stava guardando con il capo lievemente piegato di lato, in attesa di qualcosa. Aggrottò le sopracciglia cercando di capirne il comportamente, per poi accorgersi che la sua era una muta risposta affermativa. 
“Oh” 
Non fu in grado di trattenere un'esclamazione di incredulità, certa che la proposta cadesse nel nulla. Arrossì imbarazzata, voltandosi ed imboccando le scale con le borse della spesa tra le mani ed un sorriso sul viso. Era patetico che un po’ di compagnia riuscisse a renderla entusiasta come una bambina.
Arrivarono al piccolo appartamento, lasciando i calzari all’ingresso e riponendo i soprabiti sull’attaccapanni. Sasuke afferrò la spesa e la seguì in cucina, posando le sporte sul tavolo già apparecchiato per due. Soffermò lo sguardo sui piatti, facendola sentire come colta in flagrante. 
“Tengo sempre apparecchiato per due. N-naruto-kun potrebbe tornare in qualsiasi momento…” si giustificò agitando nervosamente le mani davanti a sé. 
Sasuke la guardò con un espressione indecifrabile, che a lei diede tuttavia l’impressione di essere di biasimo. Doveva trovarla patetica. 
E come dargli torto? 
Abbassò lo sguardo, serrando le labbra con forza. Iniziò a svuotare le borse, cogliendo l’occasione per allontanarsi dall’Uchiha e dalle sue silenziose - e taglienti - considerazioni. Lo ignorò a lungo, impiegando più tempo del necessario per riordinare, ma lui non emise un lamento.
Sospirò, in preda ai sensi di colpa. Lo aveva invitato ed ora non era in grado nemmeno di comportarsi da brava padrona di casa. Si bloccò con le mani a mezz’aria, nell’intento di riporre un pacchetto di riso su uno scaffale. 
Se Naruto avesse saputo di questa sua scortesia? Cosa avrebbe pensato di lei? La elogiava continuamente per il modo in cui si occupava della casa, se ne vantava persino con gli amici ogni volta che ne aveva l’occasione. Non si era mai sbilanciato sul suo essere una kunoichi, ora che ci pensava. In effetti non gli aveva dato modo di farlo. Agli esami di selezione, contro Pain, in guerra, le sue sole forze non erano mai state abbastanza. Certo, era migliorata notevolmente grazie all’allenamento con Neji, ma non era mai stata preziosa. A differenza di Sakura. 
Già, il primo amore di Naruto. Membro del team sette, allieva di Tsunade Senju, la kunoichi più forte dell’intero Villaggio e un ninja medico rispettato al pari della sua maestra, fidanzata dell’ambito Sasuke Uchiha. 
Istintivamente voltò il capo verso il corvino. Le dava le spalle ed era fermo dinanzi alla credenza, dove erano riposte le foto dei loro team. Era sempre stato un tipo silenzioso, difficile da avvicinare. Nell’impresa sembravano esserci riusciti soltanto Naruto e Sakura, gli unici degni delle sue attenzioni, del suo affetto, del suo amore.
“Mi stai fissando” 
Hinata sobbalzò, distogliendo lo sguardo imbarazzata, e, sollevandosi sulle punte dei piedi, ripose con fatica il riso sullo scaffale. Si avvicinò nervosa al frigo, estraendone gli onigiri preparati quella mattina, poi accese il fuoco sotto la pentola contenente la zuppa di miso. 
“Uchiha-san, preferisci il pesce crudo o grigliato?”
Tentò di ricomporsi, di suonare naturale, ma un orecchio attento avrebbe sicuramente riconosciuto il leggero tremolio della sua voce. E Sasuke Uchiha, che l’aveva colta a spiarlo senza nemmeno guardarla, sicuramente lo avrebbe notato.
“Crudo”
Annuì, mantenendo in capo basso sul tagliere su cui aveva riposto il trancio di tonno comprato quella mattina. Lo tagliò in fettine pressoché identiche, sistemandole su un vassoio rettangolare in bamboo in due file ordinate. Lo stesso fece con gli onigiri e le verdure grigliate. Portò il cibo in tavola, posizionandolo con la solita - maniacale - cura per i dettagli, dalla posizione all’impiattamento.
“E’ pronto” mormorò.
Senza attendere risposta si avvicinò ai fornelli, spegnendo il fuoco sotto la zuppa e afferrando delle ciotole di ceramica bianche dalla credenza. Stava per riempirle, quando lo scorrere dell’acqua del lavandino le fece spostare lo sguardo alla sua sinistra. Rimase immobile, con le labbra lievemente dischiuse per la sorpresa di vedere Sasuke sciacquarsi l’unica mano. 
“M-mi dispiace, n-non ti ho nemmeno mostrato il b-bagno” balbettò mortificata. 
L’Uchiha la ignorò, afferrando un canovaccio ed asciugandosi maldestramente, prima di superarla e raggiungere il tavolo.
Hinata sospirò. La sua stupida ricerca di compagnia si stava dimostrando una pessima idea. Riempì le ciotole di zuppa e con l’aiuto di un vassoio le portò a tavola. Sgranò gli occhi vedendo Sasuke occupare il posto del fidanzato e dovette mordersi la lingua per non chiedergli di spostarsi. Naruto sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro. 
Scosse il capo e si avvicinò al tavolo, posando il vassoio prima di allungare una ciotola di zuppa a Sasuke e posarne una al suo posto. Si sedette silenziosamente, congiungendo le mani al petto e chiudendo gli occhi in una veloce - e distratta - preghiera. 
Itadakimasu” esclamò, sorridendogli timidamente. 
Sasuke si limitò ad annuire ed afferrò le bacchette, portandosi nel piatto un onigiri. Passò diverso tempo ad osservarlo con diffidenza, poi lo portò alle labbra e gli diede un piccolo morso. Masticò a lungo e lentamente, facendola fremere in agitazione per paura che non lo trovasse appetitoso.  
“Mi stai fissando di nuovo” 
Hinata arrossì, abbassando lo sguardo e dedicandosi alla zuppa di miso. 
Non voleva essere scortese, voleva soltanto capire se era di suo gradimento in modo da prepare qualcosa di diverso in caso contrario. Non osò più guardarlo, terrorizzata di infastidirlo, ma si calmò non appena con la coda dell’occhio lo vide servirsi nuovamente. 
Il pranzo trascorse nel più completo dei silenzi, ma non le dispiacque. Era bello avere qualcuno nella stessa stanza. Non servivano poi tante parole, bastava la presenza. 
“E’ buono” commentò d’un tratto Sasuke, all’ennesimo onigiri.
“Grazie!” sorrise contenta Hinata.
Giocherellò per qualche istante con le mani in grembo, indecisa se tentare di intavolare o meno un discorso. 
“Li preparo spesso per i bambini dell’orfanotrofio” 
“Hn”
“E’ stato Naruto-kun ad avere l’idea dell’orfanotrofio, non voleva che altri bambini vivessero la sua stessa solitudine” 
Sasuke si irrigidì, serrando le labbra in una linea dritta. 
Hinata capì di avere toccato un tasto dolente, sentendosi terribilmente in colpa. Era una stupida.
“E’ in missione a Suna. Dovrebbe rientrare oggi” tentò di cambiare argomento. 
“Proprio come l’altra sera, giusto Hyuga?”
Sollevò lo sguardo pronta a ribattere, ma gli occhi ossidiana e viola le impedirono di pronunciare le innumerevoli e patetiche scuse che aveva imparato a ripetere da ormai troppo tempo. Sasuke afferrò un ultimo onigiri e, con un sorriso di scherno, si alzò da tavola e se ne andò. 
Hinata rimase immobile, sentendo il suono della porta che sbatteva nel chiudersi. Poi si alzò in piedi, scrollando le spalle e piazzandosi in viso un sorriso tirato. 
Naruto-kun sarebbe tornato e lei era felice. 
Niente avrebbe cambiato le cose.

 

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Capitolo 5
*** IV. ***


IV. 

 

Hinata osservò con dolcezza l’uomo di fronte a sé. 
Dormiva sereno, con un braccio sulla fronte e l’altro a penzoloni sul bordo del letto. Il leggero lenzuolo era intrecciato tra le gambe e lo copriva a malapena, lasciandolo esposto dal busto in su. La maglietta bianca a maniche corte metteva in risalto il colore dorato della pelle, luminoso quasi quanto la zazzera bionda e scompigliata. 
Allungò incerta la mano, lasciando una delicata carezza sul suo petto muscoloso. 
Era così contenta che fosse tornato che la sera prima quasi non credeva di averlo davanti agli occhi. Aveva atteso per l’intera giornata e, al calar del sole, si era arresa all’idea che probabilmente sarebbe rientrato l’indomani con calma. Ed invece era riuscito a sorprenderla, come faceva sempre. 
Stava preparando la cena, ripensando tristemente al fallimentare pranzo condiviso con l’Uchiha, quando due braccia toniche e rassicuranti l’avevano cinta da dietro facendola sobbalzare. Il cuore aveva perso un battito e le mani avevano iniziato a tremare in preda all’euforia. In men che non si dica si era tuffata nel suo abbraccio, nascondendo il viso nel suo petto ed inspirando a pieni polmoni l'inconfondibile profumo che lo caratterizzava. Naruto l’aveva stretta a sè, baciandola dolcemente, e lei si era persa in quei cristallini occhi azzurri. Erano rimasti abbracciati a lungo, ridacchiando come due ragazzini innamorati, fino a quando non si era resa conto di che ora fosse. Allora lo aveva invitato a farsi una doccia calda e a rilassarsi un po' in attesa della cena. Svolazzando di qua e di là, quasi senza toccare terra, aveva cucinato il suo piatto preferito, il ramen. Stranita dalla sua lunga assenza, aveva raggiunto il bagno. Le era scappato da ridere nel trovarlo sottosopra: un asciugamano appallottolato nel lavandino, vestiti sporchi a terra e pozze d'acqua ai piedi della doccia. Non riusciva ad arrabbiarsi, nonostante odiasse il disordine era troppo felice. Con il sorriso ancora sulle labbra lo aveva cercato in camera da letto e lo aveva trovato. Addormentato.
Normalmente avrebbe scosso il capo intenerita, avvicinandosi a lui e coprendolo con il lenzuolo. Ma quella sera era andata diversamente, quella sera gli occhi si erano fatti umidi e lo stomaco aveva preso a contorcersi dolorosamente. 
Si era arrabbiata. Irrazionalmente. Ingiustamente.
Si era arrabbiata perché era maledettamente frustrante, perché lo aveva aspettato così tanto, perchè non chiedeva niente, se non un briciolo del suo tempo.
Con le labbra e i pugni serrati aveva riordinato il bagno e, senza dire una parola, si era spostata in cucina dove aveva raccolto le stoviglie sulla tavola. Aveva guardato la pentola con il ramen e, presa dalla rabbia, lo aveva gettato nella spazzatura con stizza. Da lì la situazione era velocemente precipitata: aveva sbattuto i pugni sul legno del piano della cucina, soffocando un grido di frustrazione; poi, tutto d’un tratto, si era sentita in colpa, terribilmente in colpa. E allora il profondo senso di vergogna l’aveva schiaffeggiata con un’intensità tale da farle cedere le gambe. In ginocchio, priva di energie, svuotata di tutto, era scoppiata in lacrime. E più il tempo passava, più il pianto diventava singhiozzo, e più i singhiozzi la scuotevano, più li soffocava nella stoffa umida del canovaccio.
Dopo diverso tempo si era calmata. Si era rimessa in piedi ed aveva ripreso ad occuparsi della casa, come se niente fosse avvenuto. 
D’altronde i suoi sentimenti erano sbagliati. Avrebbe dovuto essere felice perchè Naruto era tornato, perché avrebbero potuto finalmente stare insieme il giorno successivo. 
“Mh” 
Un mugugno la distolse dai propri pensieri, costringendola a riportare l’attenzione alla figura addormentata al suo fianco.
Quando un paio di occhi azzurri raggiunsero i propri, distolse lo sguardo con la triste consapevolezza di non essere degna del suo amore, delle sue attenzioni. Si vergognava perché sapeva di essere sbagliata. 
“Buongiorno Hina-chan”
Naruto allungò il braccio fasciato nella sua direzione, sistemandole una ciocca di lunghi capelli scuri dietro l’orecchio.  
“Ben svegliato, Naruto-kun” sussurrò abbozzando un sorriso.
Il fruscio del lenzuolo anticipò un calore diffuso che l’avvolse scaldandone la pelle fredda e sciogliendo il gelo che aveva inasprito il suo cuore. Hinata gli cinse il collo con le braccia, aggrappandosi a lui con forza e trattenendo le lacrime. 
“Mi sei mancata” le sussurrò dolcemente all’orecchio.
“Mi sei mancato anche tu” 
Naruto sciolse leggermente la presa, allontanandosi il tanto che bastava per poterla guardare in viso. Aggrottò le sopracciglia confuso, prendendole il viso tra le mani ed accarezzando le guance con il pollice.
“Hei, va tutto bene?” le domandò preoccupato. 
Hinata rimase in silenzio, incerta se confidargli i propri sentimenti. Naruto avrebbe capito, lo faceva sempre. Ma non sarebbe stato giusto, si sarebbe addossato la colpa, quando l’unica a dover essere biasimata era lei. Era lei quella sbagliata.
Annuì con decisione, rifugiandosi nel suo abbraccio e nascondendo la testa nell’incavo del suo collo, cullata dal suo profumo.
“Mi dispiace per ieri sera. Ero così stanco…” si scusò Naruto, lasciandole un bacio sui profumati capelli indaco.
Hinata si strinse a lui, cercando di soffocare il senso di colpa. 
“Non importa, Naruto-kun”
“Scusami Prometto che mi farò perdonare!”
“Non è necessario, davvero. Io… lo capisco” 
Lo capiva davvero, Hinata. Eppure faticava ad accettarlo.
Naruto si allontanò da lei, prendendole le mani e guardandola con la tipica espressione determinata che lo caratterizzava in battaglia e nella vita. Gli occhi azzurri risplendevano irraggiati dalla luce emanata dal suo sorriso, e lei non poté far altro che ricambiare, completamente succube del suo calore.
“Hina-chan, vuoi uscire con me stasera?” 
Hinata arrossì, abbassando lo sguardo. Improvvisamente si risvegliarono le farfalle che albergavano nel suo stomaco, sempre più sopite e affaticate. Le sentì svolazzare con prepotenza, quasi facevano male. 
Lui l’amava e lei amava lui. Non contava nient’altro.
“M-mi piacerebbe molto, Naruto-kun” sorrise dolcemente.
“Hinata?” 
Sollevò il capo, pronta ad invitarlo a continuare, ma non fece in tempo. Le labbra di Naruto si posarono sulle sue, coinvolgendola in un bacio appassionato. Non seppe dire se furono per prime le sue mani, o quelle di Naruto, ma ben presto si trovarono stretti uno all’altra, infastiditi dagli strati di tessuto che impedivano il contatto della pelle. Fecero l’amore, beandosi del reciproco calore, godendo delle intime carezze fino ad unirsi e diventare uno. 
Ad ogni bacio di Naruto le ferite di Hinata si rimarginavano, e il cuore si faceva più leggero.
Tra le sue braccia, con il capo adagiato sul suo petto e la sua mano tra i capelli, si sentì nuovamente felice. Erano momenti come quelli a ricordarle che tutta quella solitudine ne valeva la pena.
“Hina-chan, sei mai stata a Suna?” domandò Naruto, di punto in bianco.
Scosse il capo, stringendosi a lui con il sorriso sulle labbra. 
“E’ molto bella, anche se fa davvero troppo caldo! Credo ti piacerebbe” 
“Ne sono certa”
“Gaara sta facendo un grande lavoro, il Villaggio si sta riprendendo dalla guerra ed è strabiliante il modo in cui stanno riformando il sistema. Sai, sono andato a visitare le scuole…”
Hinata lo ascoltò parlare a lungo. Non sembrava stancarsi mai, così pieno di entusiasmo e di determinazione. Sarebbe rimasta così per ore, a ridere delle sue sciocchezze e a domandare particolari di cui a nessun altro avrebbe importato.
Toc - toc
Naruto interruppe bruscamente il proprio racconto, guardandola con le sopracciglia aggrottate in confusione. Scosse il capo, incapace di rispondere alla sua perplessità. 
Non aspettava visite a quell’ora. Né in tutta la giornata, a dire il vero.
Toc - toc 
I colpi sulla porta si fecero più frequenti ed il biondo si alzò dal letto con aria scocciata. Recuperò i boxer neri, finiti ai piedi del letto, e li indossò, dirigendosi alla porta
“Giuro che se è il postino gli faccio ingoiare le lettere!” sbraitò inferocito, infilandosi una maglietta arancione.
Hinata scoppiò a ridere e si alzò a sua volta. Andò in bagno a darsi una veloce rinfrescata, si pettinò i capelli ed indossò la vestaglia lilla, prima di raggiungere il fidanzato, preoccupata dal tono irritato del suo ‘arrivo, ‘ttebayo’. Quando gli occhi opale si posarono sulla figura sulla soglia della porta, il sorriso si tramutò in un broncio di disappunto. 
“Teme?! Che diavolo ci fai qui?!” 
Non riuscì a vederlo, ma ebbe la certezza che sul viso abbronzato di Naruto l’espressione fosse decisamente diversa dalla propria. E anche quella di Sasuke, nonostante l’aria impassibile, sembrava più luminosa del solito.
“Non dirmi che ti sono mancato!” lo provocò il biondo, con voce divertita.
“No” 
“Beh? Cosa vuoi a quest’ora?” 
“Alleniamoci” 
Hinata smise di respirare. 
Vide il sorriso di Naruto farsi ancora più luminoso, mentre  fremeva, pronto ad accettare entusiasta. Poi, d’improvviso, aveva sgranato gli occhi e si era girato verso di lei, come se si fosse ricordato solo in quell’istante che esistesse. L’aveva guardata, cercandone l’approvazione, chiedendole silenziosamente il permesso di andare.  
Sembrava felice come non mai di passare finalmente del tempo con il suo migliore amico, come un bambino davanti alla proposta di un pomeriggio al luna-park. Non aveva mai quel luccichio negli occhi quando si trattava di lei. 
E allora annuì, abbozzando un sorriso tirato. 
Non lo sentì andarsi a cambiare, né salutarla con un bacio a fior di labbra. Non sentì nemmeno la sua promessa di tornare presto, sapeva che non lo avrebbe fatto. 
Rimase immobile a lungo, fissando il punto in cui era scomparso dalla sua visuale. Vuota, sola, delusa. Arrabbiata. Poi riprese ad occuparsi della casa come se niente fosse, aspettando che tornasse per ricominciare a vivere.  
Naruto era felice, bastava quello.



 

Toc - toc
Hinata si avvicinò alla porta e l’aprì. 
Non rimase affatto sorpresa di trovare dinanzi a sè la figura alta di Sasuke Uchiha, rigorosamente ammantato di nero. 
“Naruto?” le domandò.
Naruto non era in casa, non lo era mai. Eppure Sasuke non smetteva di passare a cercarlo, giorno dopo giorno, nella speranza di trovarlo e portarglielo via. Come aveva fatto la settimana prima. 
Hinata scosse il capo in segno di diniego, osservandolo voltarle le spalle ed andarsene senza dire una parola.
Lo detestava.
Lo detestava perché quel giorno Naruto non era tornato a casa. Aveva trascorso l'intera giornata ad allenarsi con lui e la sera - lo aveva scoperto il giorno seguente - avevano riunito il team sette da Ichiraku, come ai vecchi tempi.
Lo detestava perché, a differenza sua, non aveva mai fatto nulla per guadagnarsi l’affetto di Naruto. 
Lo detestava perché vederlo le ricordava che, se ci fosse stato, Naruto avrebbe scelto lui. Lo aveva già fatto e sarebbe sempre stato così. 
In un moto di rabbia lo seguì. Scese le scale quasi correndo, riuscendo a raggiungerlo ed afferrandogli il braccio per attirarne l’attenzione. 
Voleva aggredirlo, voleva sfogare su di lui la sua frustrazione. Voleva urlare di lasciarli in pace, che anche lei era degna del tempo di Naruto. Ma quando si voltò, quando i suoi occhi ossidiana e viola si posarono su di lei, così vuoti e tristi, allora capì. 
Sasuke Uchiha non aveva niente, nemmeno sé stesso. Orbitava intorno al sole, cercandone la luce, bramandone il calore. 
Sasuke Uchiha era solo, come lei. 
E nonostante la guardasse con fare irritato, nonostante avesse il potere di farla sentire inadeguata e tremendamente debole, Hinata gli sorrise.
“Ti andrebbe di fare colazione con me?”
Sasuke sollevò un sopracciglio con aria scettica, prima di stringere le labbra in una linea piatta e liberarsi malamente dalla sua presa sul braccio.
“Cosa vuoi? Il Dobe non trova forse abbastanza tempo per te?” la schernì con cattiveria.
Hinata sgranò gli occhi ed abbassò il capo in preda alla vergogna. 
Credeva di averlo nascosto bene, credeva che gli altri non sapessero. Le sovvenne la triste consapevolezza che la gente fingesse di non vedere, o evitasse di chiedere soltanto per educazione, per tatto. Ma non Sasuke Uchiha. A lui non importava dei suoi sentimenti, né di quelli di nessun altro.
“Cosa c’è, Hyuga? Ti senti sola?” 
Hinata sollevò lo sguardo.
“E tu? Tu ti senti solo, Uchiha-san?”
Notò la sua espressione farsi cupa, negli occhi bicolore intravide un guizzo di dolore, che ben presto si fece collera. Sasuke fece un passo verso di lei e, per un istante, ebbe paura che la colpisse con quell’unica mano che tremava impercettibilmente lungo il fianco. Ma non accadde. Semplicemente le voltò le spalle e se ne andò senza dire una parola, come ogni giorno.


 

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Capitolo 6
*** V. ***


V.

 

Sasuke osservò Kakashi con la mascella contratta per il fastidio. 
“Non guardarmi in quel modo! Sei stato tu a chiedere di riprendere le missioni…” lo rimproverò l’Hokage, scuotendo il capo con disappunto.
“Rango B e C?! Mi stai prendendo per il culo?”
“Siamo in tempo di pace, Sasuke. Non c’è molto altro…” 
“O forse non c’è altro per me?” 
Kakashi lo guardò attentamente, sospirando esasperato prima di sprofondare scompostamente sulla poltrona. Non poteva negare, il suo allievo era troppo intelligente per bersi le idiozie che avrebbe tranquillamente rifilato ad un altro.
Sasuke scosse il capo divertito, poi lasciò l’ufficio senza dire una parola, incurante dei richiami del suo ex sensei. 
Non aveva bisogno di sapere altro. Dopo un anno e mezzo di agonia, in quel maledetto villaggio ancora non si fidavano di lui. Nonostante avesse ingoiato bocconi amari, nonostante fosse relegato in una casa che non sentiva sua, con una donna che a malapena sopportava. Nonostante non ricordasse nemmeno la sensazione dell’adrenalina in corpo durante una battaglia.
Come diavolo lo avevano ridotto? Come si era lasciato ridurre?  Era un fottuto Uchiha ed era arrivato al punto di utilizzare lo Sharingan per spaventare dei fastidiosi ragazzini che ronzavano intorno al vecchio distretto.
Camminò a lungo, privo di una meta, preda di un conflitto tra l’andarsene in quell’istante o mantenere i buoni propositi per Naruto. Poteva sentire gli occhi diffidenti della gente su di sé, accompagnati dai mormorii dei più coraggiosi che continuavano ad apostrofarlo come traditore e assassino. 
Avevano ragione, lo era stato. Ma allora, per quanto se ne pentisse, quantomeno aveva uno scopo, aveva il potere. Quali erano le sue prospettive adesso? Una vita di missioni di rango
B e C e dei bambini rumorosi dai capelli rosa? 

Il solo pensiero di un Uchiha con colori sgargianti lo fece rabbrividire e lo indusse ad allungare la via di rientro a casa. Si concesse di cenare fuori, in una piccolo ristorante tradizionale, rimandando il più possibile l’inevitabile. La luna torreggiava sul cielo quandò aprì il portone del condominio. Sperava che a quell’ora Sakura fosse già addormentata,
distrutta dal lungo turno della giornata. Ma sapeva che le probabilità erano piuttosto scarse, riusciva sempre a trovare nuove energie per stare insieme a lui e fingere che la loro relazione fosse come quella di chiunque altro. L’avrebbe quasi ammirata se solo non fosse stata terribilmente masochista. 

Salì le scale e raggiunse la porta dell’interno 4A, che aprì silenziosamente. Le luci erano accese e poteva sentire in sottofondo il rumore di stoviglie che tintinnavano. 
“Sasuke, sei tu?” 
Sospirò frustrato, ignorando quella domanda a suo avviso insensata. Era entrato con le chiavi, chi altro avrebbe potuto essere?
Agganciò il mantello all’attaccapanni, accanto alla giacca verde e a quella sgargiante sciarpa rosa e rossa che detestava. Non fece in tempo a rifugiarsi in bagno, per evitare di fingersi parte di una patetica routine, che due braccia esili gli circondarono il collo e delle labbra morbide si posarono sul suo viso riempiendolo di baci. Le portò la mano alla spalla infastidito, stringendola leggermente, e lei capì il segnale perché si separò da lui, rossa in viso e con un sorriso luminoso.
“Ho una grande notizia! Ricordi del progetto di cui ti ho parlato?” 
No. Non ricordava niente, probabilmente non l’aveva nemmeno ascoltata. Tuttavia, né la sua inespressività, né il mancato assenso, sembrarono scoraggiare Sakura, i cui occhi verdi brillavano d’orgoglio.
“Abbiamo finalmente ottenuto i permessi per la clinica! Tra qualche settimana apriremo il centro di salute mentale per i bambini e Tsunade-sama vuole che sia io a dirigerlo!”  
Sasuke rimase in silenzio. 
Era contento per Sakura, si meritava quella promozione. Non c’era nessuno al suo livello, aveva persino superato la sua maestra. E il progetto era valido, avrebbe potuto aiutare gli orfani di guerra, impedire che la solitudine e gli orrori del passato si ripercuotessero su quelle anime innocenti, trasformandole in entità vibranti di rabbia e disperazione. Forse avrebbe evitato casi come il suo.
“Sai, sono un po’ preoccupata. Insomma ci sarà molto lavoro e le responsabilità sono tante”  continuò imperterrita. 
A lui non importava, era quasi un sollievo sapere che sarebbe stata lontana da casa più a lungo. 
“Credi… credi che ne sarò all’altezza?” 
Ed eccola lì, la sua perenne insicurezza. Sakura era una donna estremamente contraddittoria, tanto forte quanto fragile. O forse era lui a renderla così, pateticamente incapace di credere in sé stessa.
Spostò lo sguardo su di lei. Attendeva una sua risposta, come se da questa dipendesse la riuscita di un progetto che aveva messo in piedi da sola. Sospirando, strinse la mano sulla sua spalla in un muto assenso. Sul viso regolare di Sakura si aprì un sorriso luminoso, così carico d’amore che per un istante fu tentato di ritrarsi come scottato. 
“Sono felice!” la ragazza gli buttò le braccia al collo e lo baciò sulle labbra.
I baci di lei si spinsero oltre, posandosi sullo zigomo, sulla mascella, sul collo.
“Sono così felice, Sasuke!” ripeté, tra un bacio e l’altro.
Sasuke rimase immobile. D’altronde Sakura lo aveva aspettato per anni, Sakura lo accettava, nonostante non le desse nulla. E quando le sue mani si insinuarono sotto la maglia, facendola cadere a terra, quando la sua lingua lambì il collo, alternandosi al tocco delle labbra, fu quella consapevolezza ad impedirgli di allontanarla. Lasciò che continuasse perchè non aveva il coraggio di negarle quella piccola felicità. Non protestò, né si oppose nemmeno quando lo prese per mano, guidandolo in camera da letto, e lo spogliò lentamente, privandosi a sua volta dei vestiti. 
Era un vigliacco, Sasuke. Lo era sempre stato.
“Sasuke-kun”
Sentì le sue carezze sulle spalle, sul torace e sull’addome definito, e poi più giù, fino all’elastico dei boxer scuri. Cercò di concentrarsi su di lei, sulla sensazione del suo corpo asciutto ed atletico contro il proprio, sulle labbra che giocherellavano con il lobo dell’orecchio. Ma non accadde niente. 
E sembrò accorgersene anche Sakura, perchè tentò di intensificare il tocco sul suo membro che, tuttavia, non diede pressochè alcun segno di vita.
Frustrato, si allontanò da lei, sedendosi sul letto e passandosi la mano tra i capelli in un gesto nervoso. 
“M-mi dispiace. Mi sono fatta prendere dall’entusiasmo e-”
“Smettila!” 
Sakura sgranò gli occhi verdi, che in un secondo passarono dall’imbarazzo all’umiliazione. Abbassò il capo, lasciando che i corti capelli rosa nascondessero la smorfia di dolore, e si adagiò sul letto, coprendo il corpo nudo con il leggero lenzuolo giallo.
“Sono un po’ stanca… Buonanotte!” sussurrò prima di sistemarsi sul fianco, dandogli le spalle.
Sasuke si alzò in piedi, aprendo la portafinestra che dava sul balcone ed uscì, incurante di indossare soltanto l’intimo. Si avvicinò alla ringhiera, osservando la strada sottostante, ormai deserta e buia, afferrò il metallo freddo nella mano, stringendo al punto di fare sbiancare le nocche. Si piegò in avanti, posando la fronte sul braccio e chiudendo gli occhi.
Non funzionava. Niente.
Non funzionava la storia con Sakura, che finiva inevitabilmente per deludere ogni volta.
Non funzionava la vita al Villaggio, che lo opprimeva facendogli desiderare di fuggire, che lo denigrava rendendolo un ninja inutile.
Non funzionava lui, emotivamente e fisicamente. 
Ed era stanco, era stremato. Aveva promesso a sé stesso che avrebbe aspettato, per Naruto, per Sakura, perchè per una volta voleva essere lui a proteggere loro. Ma non ne poteva più, non ne aveva le forze. 
Si drizzò nuovamente in piedi, rientrando in camera e guardando la figura della ragazza avvolta nella coperta, immobile. Se l’avesse raggiunta a letto probabilmente avrebbe voluto riprovarci o, quanto meno, parlarne. E lui non ne aveva voglia.
Si rivestì, notando che Sakura si era improvvisamente alzata a sedere, mettendo fine alla farsa dell’addormentamento. 
“Dove vai?” gli domandò con voce incerta, una volta che aveva raggiunto la porta.
Poteva avvertirne lo sguardo deluso trafiggerlo fastidiosamente da parte a parte. 
“Fuori” 
Non si voltò a guardarla, uscì dalla stanza e poi di casa.
Aveva bisogno di fare due passi, di schiarirsi le idee. Aveva bisogno di respirare o era certo che sarebbe morto soffocato in quella stanza.  
Percorse le vie silenziose di Konoha, allontanandosi sempre di più dal centro. Un'insegna luminosa attirò la sua attenzione. Quella bottega sembrava l’unico negozio aperto a quell’ora, se si escludevano i locali e le taverne. Entrò senza nemmeno rendersene conto, guidato dai propri piedi, che lo fecero fermare esattamente davanti al banco degli alcolici. Afferrò alcune bottiglie a caso, senza guardare di cosa si trattasse né tanto meno quanto costassero. Non importava. Voleva soltanto dimenticare per un po’ di esistere. 
Stava per raggiungere la cassa quando qualcuno gli prese contro. Voltò il capo pronto ad incenerire con lo sguardo l’idiota, ma rimase immobile, per una volta incapace di nascondere la sorpresa.
“U-Uchiha-san?”
Hinata Hyuga lo fissò con gli occhi opale sgranati. Era ovvio che non si aspettasse di trovarlo lì, nemmeno lui lo faceva. Era notte fonda e per entrambi casa era piuttosto lontana. 
Spostò lo sguardo sui prodotti che stringeva convulsamente al petto, due vaschette di gelato al cioccolato, per poi riportarli su di lei, che abbassò il capo con aria colpevole.
Era patetica Hinata, come lui. E per un istante questa consapevolezza lo fece sentire meglio. 
“Mi dispiace averti preso contro. Buona serata” 
Hinata accennò un breve educato cenno di saluto, prima di superarlo e dirigersi alla cassa. 
Sasuke la seguì, doveva pur sempre pagare. Tuttavia, quando il cassiere le battè lo scontrino, posò le bottiglie sul rullo e si frugò in tasca recuperando qualche banconota e allungandola all’uomo prima che lei riuscisse ad estrarre il portafoglio dalla piccola tracolla.
“Tengo tutto?” chiese il cassiere.
Sasuke annuì, sotto lo sguardo confuso della Hyuga. Recuperò la borsina contenente le bottiglie e lasciò il supermercato senza dare spiegazioni.
Non era certo del perchè lo avesse fatto. Probabilmente voleva ricambiare il pranzo che gli aveva offerto, o forse scusarsi per come l’aveva apostrofata malamente diversi giorni prima. D’altronde non aveva che detto la verità, nonostante non lo avrebbe mai ammesso.
“Uchiha-san!” 
La voce di Hinata lo fece fermare. Sentì il rumore di passi aggraziati che gli si facevano incontro, poi alle sue spalle una presenza timida.
“Perchè lo hai fatto?” gli domandò in un sussurro.
Rimase in silenzio, incapace di darle una risposta. 
“N-non voglio farti pena…” 
Si voltò verso di lei, osservandola. Stringeva con forza i manici della borsa e  fissava terra con i lunghi capelli indaco sciolti sulle spalle.  
Era evidente che fosse penosa, così sola e depressa da doversi sfogare sul gelato in periferia, per paura di essere vista in quelle condizioni. Come lui. 
Per questo non infierì, perchè colpire lei significava colpire di riflesso sé stesso e quella sera non avrebbe potuto permetterselo.
“Torna a casa, Hyuga” le disse, riscontrando una nota -fastidiosa- di premura nella propria voce.
Hinata sorrise tristemente, scuotendo il capo in segno di diniego.
“Non ho voglia di tornare a casa” mormorò.
Annuì silenzioso, senza bisogno né voglia di domandarle il perchè. Ai suoi occhi era evidente: sarebbe stata sola, a casa, a crogiolarsi nella pesante assenza di Naruto.
“E tu?” gli chiese, guardandolo negli occhi.
“Nemmeno io” 
Sasuke non seppe esattamente dire cosa successe di lì a poco, semplicemente si ritrovarono ai campi di addestramento ai margini della foresta, seduti uno accanto all’altra con la schiena poggiata al grosso tronco di un albero. 
Lui affogava la frustrazione nel liquido ambrato che gli bruciava la gola, lei affondando il cucchiaio nel gelato.
Non dissero una parola per tutto il tempo. Lui non si lamentò del cerchio alla testa che gli aveva provocato tutto quell’alcol, e lei dell’aria fresca della notte estiva che le aveva fatto venire la pelle d’oca. Probabilmente fu quel silenzio, carico di una infelicità non detta e condivisa, che li fece rimanere lì fino all’alba.
Al sorgere del sole entrambi si alzarono in piedi e presero due direzioni diverse, ritornando alle proprie patetiche vite, come se nulla fosse accaduto.
Eppure, per un istante, Sasuke si sentì meglio.

 

 

 

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Capitolo 7
*** VI. ***


VI. 

 

Hinata Hyuga osservò l’orologio, segnava mezzanotte e tre quarti. 
Era sola, anche quella sera. Naruto non aveva tempo per lei, per loro. Naruto non si degnava nemmeno di tornare a casa, rinchiudendosi in ufficio e passando lì le proprie notti.
Nella sua mente si era persino arrivato ad insinuare il dubbio che potesse avere un’amante. Kami, si era completamente umiliata andando a controllare, infrangendo qualsiasi apparenza, superando la linea invalicabile della fiducia che aveva da sempre nutrito verso di lui.

 

Quando Hinata arrivò dinanzi alla torre dell’Hokage, i Jonin di guardia le riservarono uno sguardo confuso. 
“Buonasera. Devo vedere Naruto” spiegò imbarazzata.
La confusione nei loro occhi ben presto si tramutò in compassione. Non chiesero altro, semplicemente si fecero da parte e la lasciarono passare, augurandole una buona serata. 
Cercò di scacciare il pensiero di cosa avrebbero pensato - e detto - di lei, di loro, del fatto che Naruto non rientrasse a casa e che la sua fidanzata e futura moglie dovesse raggiungerlo a notte inoltrata in ufficio pur di vederlo. 
Cercò di non associare quegli sguardi alla compassione derivata dall’essere testimoni di un tradimento andatosi a consumare nel tempo, alle sue spalle.
Salì le scale scossa dai tremori, terrorizzata di scoprire ciò che avrebbe definitivamente sgretolato i cocci di una vita che teneva insieme a fatica. 
La torre era deserta e pressoché completamente al buio, fatta eccezione per il corridoio principale. Il silenzio faceva da padrone, aleggiava prepotente tra le pareti, interrotto soltanto dal rumore cadenzato dei suoi passi. 
Arrivò davanti alla porta dell’ufficio di Naruto, dal cui margine inferiore si intravedeva un fascio di luce. Nessun suono proveniva dalla stanza e questo, in parte, la tranquillizzò. Sebbene non l’avesse mai fatto in vita sua, nemmeno in casa propria, attivò il Byakugan per osservare quello che succedeva all’interno. Non appena individuò il corpo di Naruto - solo -, steso immobile sul divanetto dell’ufficio con dei documenti appoggiati sulla pancia, le vene attorno agli occhi sparirono. 
Aprì la porta e sgattaiolò dentro silenziosa, raggiungendo il ragazzo ed accovacciandosi davanti a lui. Stava dormendo profondamente, accennando un leggero russare. 
Si rimproverò per aver pensato male di lui e, preda dei sensi di colpa, iniziò a riordinare la stanza. Recuperò i documenti su di lui e li sistemò sul piccolo tavolo di fronte al divano, poi afferrò la felpa arancione, appoggiata malamente su una sedia, e gliela adagiò addosso coprendolo. Prima di uscire spense la luce, riservandogli un’ultima occhiata malinconica.

 

Scosse il capo amaramente. 
Una parte di lei, nonostante lo negasse, aveva sperato di trovarlo con un’altra. Certo le avrebbe spezzato il cuore, l’avrebbe dilaniata, ma avrebbe anche dato un senso alla sua infelicità, la stessa che non trovava alcuna motivazione plausibile. Sarebbe stato più logico - e meno doloroso - pensare che rimanesse lontano da casa perché tra le braccia di una donna, piuttosto che per un dovere che, a ben pensare, non aveva mai costretto nessuno, nemmeno l’Hokage stesso, a non rincasare dalla propria famiglia.
Come si era ridotta? Cosa era diventata?
Come poteva aver desiderato che ci fosse un’altra donna nel cuore di Naruto? Cos’era stato di quella ragazza che lo avrebbe seguito in capo al mondo, quella che aveva soffocato le lacrime per la morte di suo cugino per tenergli la mano e infondergli coraggio?
Si alzò nervosamente dal divano che l’aveva ospitata fino a quel momento, raggiunse l’ingresso dell’appartamento e si infilò una leggera giacca lilla sopra al vestito bianco. Afferrò la piccola tracolla e le chiavi, poi mise i sandali ed uscì di casa.
Camminò a lungo tra le strade buie di periferia, cercando il più possibile di non dare nell’occhio. Se l'avessero vista, sarebbe stata sulla bocca dell'intero Villaggio per giorni: la figlia di Hiashi Hyuga, nonché promessa sposa dell’eroe Naruto Uzumaki, si aggirava sospettosamente solitaria in una zona malfamata. Fortunatamente gli unici svegli a quell’ora sembravano essere i clienti delle taverne, tutti troppo ubriachi per potersi ricordare qualsiasi cosa al mattino.
Raggiunse l’unico minimarket aperto, un piccolo locale dall’insegna luminosa con una manciata di prodotti, per la maggior parte alcolici. Si addentò in una delle due corsie, mettendo nel piccolo cestino rosso una vaschetta di gelato al cioccolato, che ben presto fu raggiunta da tre bottiglie di sakè. Andò alla cassa e pagò in silenzio, sottraendosi imbarazzata allo sguardo incuriosito del cassiere.
Lasciò il locale ed imboccò una via laterale che la portò, diverso tempo dopo, ai margini della foresta, ai vecchi campi di addestramento. Si avvicinò ad un grosso albero,  accomodandosi ai suoi piedi con le spalle contro la corteccia ruvida e le gambe ben distese, e posò la borsa al suo fianco sinistro, estraendone una confezione di gelato e posizionadosela in grembo.
Sollevò lo sguardo verso il cielo stellato, perdendosi nel buio incantatore della notte. Non le faceva paura l’oscurità, sentiva di appartenerle, come la luna. E lo era, lei, un po’ luna: fedele, costante, silenziosa, paziente, destinata ad inseguire il sole per esserne inevitabilmente oscurata. Di giorno la luna non era altro che un pallido puntino, reso invisibile dalla luce abbagliante dei raggi solari. 
Un fruscio la distolse dai propri pensieri, informandola del suo arrivo.
Poco dopo la figura scura di Sasuke Uchiha si affiancò alla propria, accomodandosi alla sua destra. Hinata non disse niente, si limitò a porgergli le bottiglie che aveva acquistato, che lui afferrò nel più completo silenzio. Fu soltanto quando sentì saltare il tappo che le chiudeva, che si decise ad aprire la confezione di gelato, affondando il cucchiaio usa e getta nel cioccolato ormai sciolto. 
C’era un tacito accordo tra loro: a turno sarebbero andati al supermarket, in modo da non attirare l’attenzione, ed avrebbero aspettato l’un l’altra. In verità era lei ad aspettarlo, lui non si curava di quella piccola cortesia, solitamente la bottiglia era già aperta al suo arrivo.
Era così che nell’ultima settimana aveva passato le notti, accanto ad un uomo che non era il suo. Senza toccarsi, né parlare, senza domandarsi il perché. 
Era così che dimenticava l’assenza, scappando da quella casa che di giorno era rifugio e di notte tomba. Lì poteva essere patetica, poteva essere infastidita, delusa, amareggiata, arrabbiata. Poteva essere frustrata, stanca, sopraffatta, spaventata, egoista. Lì non era sbagliata.
Con lui accanto si sentiva meno sola. Perché lui era infelice quanto lei, nonostante nessuno dei due lo avesse mai ammesso.
Prese la confezione di gelato e la ripose nel sacchetto. Ad essere onesti non vi trovava più alcun beneficio, il sapore dolce del cioccolato lasciava un retrogusto amaro in bocca. 
Portò le gambe al petto, abbracciandole con un braccio e posando il mento sulle ginocchia. La mano libera correva pigramente tra i fili d’erba, il cui movimento era quasi ipnotico. 
Sentì una leggera pressione all’altezza del fianco e voltò il capo incuriosita, trovandovi un bottiglia di sakè chiusa. Sollevò lo sguardo alla ricerca di una spiegazione, ma gli occhi ossidiana e viola di Sasuke erano incatenati al manto stellato. 
Sentì le guance scaldarsi scioccamente, avendo la certezza che si fossero colorate di rosso, poi un sorriso - il più sincero da diverso tempo - si aprì sul suo viso pallido. 
Non era più abituata alle premure, di qualsiasi genere fossero. E probabilmente quel gesto non era nemmeno una premura, eppure le scaldò il cuore. Perché a Hinata bastava poco, a Hinata bastavano le briciole. Le raccoglieva e le custodiva gelosamente, nutrendosi di esse. 
Ma le briciole erano finite, il sacchetto era vuoto.
Allungò la mano ed afferrò la bottiglia, privandola del tappo, per poi portarsela alle labbra. Ne bevve un sorso ed immediatamente la gola bruciò, facendola tossicchiare. Non era abituata all’alcol, ma quella sensazione, quel fuoco che riscaldava le viscere, le ricordò di essere viva. 
Continuò a bere, un sorso dietro l’altro. Gli occhi lacrimavano eppure non poteva - non voleva - smettere. 
“Vacci piano, Hyuga” 
La voce di Sasuke fu in grado di fermarla. Era la prima volta che la sentiva dalla notte al negozietto in cui si erano incontrati per caso. Non ricordava che fosse così bassa, così profonda. Così… calma. 
Sorrise ancora, sentendo i muscoli facciali indolenziti per quella manifestazione di gioia che così di rado le addolciva i lineamenti. Sasuke si stava preoccupando, di nuovo.
“Grazie” gli sussurrò.
Lo vide girarsi verso di lei, con un sopracciglio sollevato ironicamente. 
“Sei… gentile a preoccuparti per me” aggiunse imbarazzata.
Sasuke scosse il capo, alzando gli occhi al cielo.
“Non mi importa di te. Cerco solo di evitare che mi vomiti addosso” 
Hinata si incupì immediatamente, pronta a serrare le labbra e crogiolarsi nella tristezza. Poi si ricordò che lì, con lui, non doveva.
“Non lo farò, Uchiha-san”
“Hn”
Si accoccolò meglio contro il tronco d’albero, rigirandosi la bottiglia tra le mani prima di riportarla alle labbra. Piano piano la testa si fece leggera e la lingua si sciolse, costringendola a parlare contro la propria volontà. Iniziò così un monologo infinito, fatto di piccole confessioni interrotte da qualche singhiozzo strozzato. 
“Kiba-kun ha trovato una ragazza, ma è un’amante dei gatti” 
“Hanabi-chan ha una cotta per Konohamaru-kun”
“Hic”
“Ino-chan sta cercando di convincere Sai-kun a sposarla”
Era semplice bere insieme a Sasuke. Non avrebbe dovuto preoccuparsi per lui, né tenergli i capelli o asciugargli le lacrime, o ancora invitarlo a non urlare, come invece faceva con i loro amici, con Naruto. Le sue guance non si erano colorate di rosso, i suoi occhi non erano lucidi, eppure la bottiglia che reggeva nell’unica mano era vuota. 
Lui ascoltava in silenzio, non commentava né la interrompeva. Poteva essere lei quella a perdere il controllo, le inibizioni, senza sentirsi giudicata o temere che rivelasse gli sciocchi segreti che custodiva gelosamente.
E forse fu per questa ragione, perché era certa che non l’avrebbe detto, che si ritrovò a chiudere gli occhi e serrare le mani in pugni, lasciandosi sfuggire le tre dolorose parole che la tormentavano da mesi.
“Non sono felice”

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Capitolo 8
*** VII. ***


VII.

 

Sasuke girò la chiave nella serratura, che scattò più rumorosamente di quanto non sperasse. Non fu necessario domandarsi se Sakura fosse o meno sveglia, la luce del piccolo salotto ne era una prova inconfutabile. Rimase immobile per alcuni istanti, tentato di girare i tacchi e tornare ai campi di addestramento, poi scosse il capo dandosi dell’idiota e si avviò al patibolo a testa alta.
“Dove sei stato?” 
La voce di Sakura risuonò fastidiosamente alta nella stanza, costringendolo a chiudere gli occhi e serrare le labbra in una lieve smorfia di dolore. La testa gli scoppiava. Quelle dannate bottiglie avevano fatto il loro dovere.
Un familiare profumo di ciliegio misto ad antisettico gli fece storcere il naso disgustato. La sentì avvicinarsi ed annusarlo intensamente.
“Hai bevuto di nuovo” 
Non rispose. Si passò le dita sulle tempie, sperando di alleviare quel cerchio alla testa che non faceva che aumentare. 
“Non so nemmeno quando è stata l’ultima notte che hai dormito a casa, Sasuke! Scompari e torni all’alba senza dire una parola!” gridò furiosa.
Sasuke la superò, diretto in camera da letto. 
Non aveva voglia di parlare con lei, di sentire le sue urla. Non aveva voglia di confessare di aver trovato un posto in cui finalmente riusciva a respirare, un ritaglio di pace. Era il suo rifugio, e se lei lo avesse saputo, non sarebbe più stato tale.
“Dove pensi di andare?!” Sakura gli afferrò il braccio stringendo con forza.
Si voltò di scatto verso di lei, piegando pericolosamente il capo di lato. Sakura non vacillò un istante, la sua presa aumentò e un leggero fremito di chakra si disperse nell’aria. 
“Sakura” l’avvisò a denti stretti.
“Voglio sapere dov’eri! Voglio sapere dove diavolo vai tutte le notti!” urlò con la voce rotta dal pianto.
“Lasciami” intimò furioso.
“Cosa sbaglio con te, Sasuke?! Dimmelo!” 
Tutto. Sakura sbagliava tutto senza davvero fare nulla. Perché la verità era una soltanto: non erano fatti per stare insieme. Lui ci aveva provato, continuava a provarci, ma non riusciva ad amarla come lei desiderava. 
“Io… sono preoccupata” sussurrò lasciando la presa, con il viso rigato di lacrime.
Sasuke abbassò la testa.
Capitava ogni volta. Lei urlava portandolo al limite, spingendolo a prendere l’irrevocabile decisione di andarsene, poi, così come s’era accesa, allo stesso modo si spegneva, preda dell’angoscia di vederlo scomparire ancora, e lo pregava silenziosamente di non lasciarla. E lui, che era un fottuto vigliacco, restava, consapevole della tossicità di quella relazione. 
Non sono felice
Le parole della Hyuga risuonarono prepotentemente nelle sue orecchie, facendolo sobbalzare. Credeva di essere sordo alle sue ridicole confessioni. Credeva che non lo toccassero, non voleva che lo toccassero.
“Sasuke?” 
Sakura sembrò accorgersi del suo smarrimento. Lo guardava preoccupata, dimentica della rabbia che l’aveva animata al suo rientro.
“Mi dispiace” 
Quelle scuse sorpresero entrambi. Sasuke per averle pronunciate, Sakura per esserne la destinataria. Non sapeva nemmeno per cosa si stava dispiacendo, se per sé stesso o per lei, se per averla fatta preoccupare. Se per farla tacere.
La ragazza boccheggiò per qualche istante, completamente disarmata, lasciando cadere ogni accusa. Sasuke colse l’opportunità per superarla e chiudersi in bagno, poggiando la schiena contro la porta e lasciandosi scivolare a terra.
Non sono felice
Si portò la mano tra i lunghi ciuffi corvini, scostandoli nervosamente dal viso, e sbatté la testa contro il legno della porta. Quella voce non accennava a lasciarlo in pace.
Non sono felice
Nemmeno lui dannazione! 
Non aveva più niente, nessuno. Non una famiglia, non un’ambizione, non il potere. Non aveva più nemmeno Naruto, così impegnato a realizzare il suo sogno da lasciare indietro tutto il resto, persino la Hyuga. C’erano soltanto Sakura e una vita mediocre. E a lui non bastava, a lui non sarebbe bastato mai.

 

“Buongiorno”
Due braccia toniche e familiari gli cinsero la vita, mentre un calore anomalo si diffondeva sulla schiena.
Da quella notte erano cambiate molte cose. Forse dettagli a cui nessuno avrebbe prestato attenzione, ma erano lì e non potevano essere ignorati. 
Sakura evitava accuratamente di menzionare le sue fughe notturne, che non erano mai cessate. Non aveva più nemmeno cercato approcci intimi. L’intimità ora tentava di trovarla nei piccoli momenti di quotidianità, come quello, in cui si illudeva che fossero una coppia normale. 
Lui, dal canto suo, si era rassegnato - codardamente - alla realtà.
Non sono felice
Non lo era da tempo, non ricordava neanche come fosse essere felici. Eppure se lo faceva andare bene perchè, in effetti, non pensava di meritare di esserlo. Non aspirava alla felicità perché era consapevole che non spettasse a quelli come lui, assassini, traditori. Non pretendeva neanche di trovare la pace, non più di quella di cui godeva nelle notti al campo di addestramento. La pace non era per chi aveva visto lo sterminio della propria famiglia, per chi aveva le mani sporche del sangue del suo sangue. 
Si era arreso alla vita, a Sakura, perchè era stanco di lottare, perchè, alla fine, era più facile così, era più giusto così: se lui non poteva essere felice, almeno uno dei due avrebbe dovuto esserlo. Si era arreso alla vita, all’infelicità, ma non a Konoha. Se ne sarebbe andato, prima o poi. Aspettava soltanto il momento più adatto. Forse quando Sakura avrebbe iniziato a lavorare alla nuova clinica il lavoro l’avrebbe tenuta occupata al punto di scordarsi di lui. Forse quando Naruto sarebbe diventato finalmente Hokage.
Una folata d’aria fresca si insinuò tra le pieghe della maglietta nera che indossava.
“Comincia a fare freddo” commentò Sakura, stringendosi a lui maggiormente.
“Hn” 
Non gli importava molto del clima, né di fare conversazione, ma aveva imparato che quel semplice monosillabo le cambiava l’umore. Era ridicolmente semplice rendere felice Sakura, le bastava così poco che a volte si domandava se davvero conoscesse la felicità. Ma quel poco a lui pesava come un macigno.
“Dovrei fare un po’ di spesa - mormorò lei, piantandogli un bacio sulla spalla - Ti andrebbe di venire con me?” 
Sasuke si voltò. 
Sakura lo guardava con un sorriso euforico, che tuttavia non arrivava agli occhi. Le due pozze verdi, infatti, rimanevano guardinghe, guizzavano nervose, pronte a ricevere quel diniego che gli pungeva sulla lingua. 
Accennò, invece, con il capo ad un assenso che la fece illuminare. Assecondarla significava evitare il suo sguardo mortificato, il senso di colpa. 
Notò che combatteva con sé stessa per non buttargli le braccia al collo e pretendere di più, preferendo allontanarsi e rientrare in casa con le guance imporporate. Assecondarla significava anche questo, darle un contentino che la spingeva a non chiedere di più.
Rimase sul balconcino ad osservare in silenzio i tetti di Konoha, fino a quando il brusio proveniente dalle strade non lo infastidì al punto di costringerlo a rientrare. Andò in bagno e si lavò la faccia, rimanendo a fissare il proprio riflesso allo specchio. Non lo faceva da tempo, ad essere onesti. Non era un tipo vanitoso, non gli importava granchè dell’apparenza. E ora che lo osservava bene, quell’uomo davanti a sé, con i capelli troppo lunghi, le occhiaie troppo marcate e l’espressione vuota, così simile a suo fratello, era una ragione ancora più valida per non rifarlo. 
“Sasuke, sei pronto?”
Scosse il capo e gettò con stizza l’asciugamano nel cesto della biancheria, poi uscì dal bagno e si cambiò velocemente. Stava indossando, non senza qualche difficoltà, un leggero maglioncino a collo alto, quando Sakura fece capolino dallo stipite della porta.
“Sei pronto?” ripeté senza mai posare lo sguardo sul moncone. 
Nonostante non l'avesse mai detto apertamente, sapeva quanto Sakura faticasse a rapportarsi alla sua disabilità. Non che le facesse paura, né le suscitasse disprezzo, più che altro non era certa di come avvicinarlo. E forse, a dirla tutta, neanche lo capiva e, di conseguenza, lo accettava.
Annuì superandola ed avviandosi all’ingresso. Sentì i passi veloci della ragazza raggiungerlo ed, insieme, uscirono di casa e poi dal palazzo. Fortunatamente la periferia non era così affollata come il centro, per cui non incontrarono molta gente fino a quando non raggiunsero la torre dell’Hokage. Non prestò molta attenzione al tragitto, né ai negozi in cui entravano ed uscivano, non si sarebbe neanche accorto di aver fatto spesa se non fosse stato per le due borse di carta che teneva in mano.
“Ti spiace se mi fermo a comprare alcune cose?” 
La voce di Sakura lo riportò alla realtà. Si voltò verso di lei, notando che gli sorrideva allegra, indicando la cartoleria. Annuì, seguendola silenziosamente all’interno dell’ennesimo negozio. La osservò muoversi tra uno scaffale e l’altro, procurandosi quantità industriali di pergamene, boccetti d’inchiostro e cartelline che, diceva, sarebbero tornate utili quando il lunedì seguente avrebbe finalmente iniziato a prestare servizio nella clinica. Tra una penna e un calamaio lo riempiva di informazioni sul progetto, dettagliando ogni attività che pensava di organizzare e lamentandosi loquacemente di qualche collaboratore - la Yamanaka principalmente - le cui idee divergevano dalle sue. Non che prestasse davvero attenzione a quello che diceva, ma trovava irritante il suo fare da maestrina. Gli ricordava l’insopportabile ragazzina di dodici anni che era stata.
“Sakura-chan!” 
La voce di Naruto risuonò all’interno del negozio facendo voltare parecchie teste. Sasuke alzò gli occhi al cielo esasperato. Non sarebbe stato in grado di sopportare lo shopping con Sakura e contemporaneamente quell’idiota del suo autoproclamatosi migliore amico.
“Che diavolo urli ba-”
La rosa non fece in tempo a finire di sbraitargli dietro, che Naruto l’abbracciò sollevandola da terra.
“Baa-chan mi ha detto dell’ospedale! Congratulazioni!” la tenne stretta con gli occhi azzurri colmi di gioia.
Sakura scoppiò a ridere, restituendo l’abbraccio. Non lo colpì come avrebbe fatto normalmente, né gli intimò di lasciarla. Era evidente che fosse felice come una bambina, così come lo era il biondo. D’altronde quella era la reazione che avrebbe meritato alla notizia, quella che non aveva - e non avrebbe mai - avuto da lui.
“Naruto?”
Sasuke distolse lo sguardo, posandolo sulla figura che silenziosa li aveva raggiunti: Hinata Hyuga. Non la vedeva dalla notte in cui aveva confessato di non essere felice e, a ben guardare, le cose non sembravano essere cambiate. Si nascondeva dietro le spalle del fidanzato, con le mani giunte tra loro in una presa tanto ferrea da fare sbiancare le nocche. I suoi placidi occhi opale erano intenti ad osservare con disagio l’intimità dell’abbraccio tra i due ex-compagni di squadra, così impegnati a parlottare fitto e litigare tra loro da essersi dimenticati della loro presenza. 
Al suo richiamo il biondo rimise Sakura a terra, mantenendo un braccio abbronzato sulle sue spalle. 
“Hina-chan! Sakura dirigerà la nuova clinica per bambini! Non è grandioso?” la informò sorridendo orgoglioso e completamente ignaro dei sentimenti della fidanzata.
Che idiota.
“Congratulazioni” Hinata accennò un sorriso rivolto al ninja dai capelli rosa.
“Grazie! Sarà una grande responsabilità, ma non riesco a fare a meno di essere elettrizzata!” confessò la rosa.
“Dovremmo andare a festeggiare!” esordì Naruto, attirando su di sé l'attenzione.
“Che ne dite? Potremmo andare a cena in quel ristorante che ha aperto da poco!” aggiunse.
“Ora?” gli domandò Sakura.
“Beh, sì! Non si possono rimandare i festeggiamenti per una cosa del genere!” le sorrise.
La rosa scoppiò in una risata cristallina, scuotendo il capo in un gesto forzatamente sconsolato.
Sasuke osservò i due ex compagni di squadra, così ridicolmente euforici uno in compagnia dell’altra, da domandarsi se non fosse quella la felicità che meritavano. 
Riportò lo sguardo sulla Hyuga, che continuava a sorridere apparentemente contenta, tradita dalle dita pallide che stringevano con forza l’orlo della maglietta bianca e dagli occhi chiari, fissi sul pavimento.
Non sono felice
Era ridicolmente evidente che non lo fosse. E lui nemmeno.

 

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Capitolo 9
*** VIII. ***


VIII.

Hinata osservò la figura al suo fianco. Naruto sembrava un bambino al luna-park. Gli occhi azzurri brillavano incuriositi mentre ammirava la nuova Konoha, così moderna e all'avanguardia, gustandosi un gelato che si stava inevitabilmente sciogliendo, sporcandogli le dita. 

“Wow è incredibile! Era una vita che non passeggiavo per Konoha” mormorò il biondo.
Annui silenziosa, distogliendo lo sguardo. Avrebbe voluto dirgli che nessuno gli aveva mai impedito di prendersi del tempo per farlo, ma non sarebbe stato da lei. Da lei ci si aspettava che annuisse e sorridesse, che accettasse senza pretese, che capisse. Ma lo era davvero, comprensiva? O forse evitava solo il conflitto? Non aveva mai discusso con Naruto, nè con nessun’altro ad essere onesti. E non perché non avesse proprie opinioni, anzi. Era però più facile tenerle per sé, evitare di esporsi a qualsiasi reazione imprevedibile.
Non con Sasuke. 
Quella consapevolezza le fece aggrottare le sopracciglia in confusione. Tuttavia era proprio così. Con l’Uchiha era facile essere sé stessi. Erano estranei e per questo non avevo aspettative l’uno sull’altra. Non si giudicavano, né si facevano domande perché semplicemente non era importante sapere. 
“Tutto bene, Hina-chan?” 
Hinata sollevò lo sguardo sul fidanzato, i cui occhi azzurri sembravano nascondere un velo di preoccupazione. Lo vide irrigidirsi, mentre il suo sorriso sbiadiva gradualmente.
“Si, stavo solo pensando alla cena” 
Naruto non parve convinto, così tentò di rassicurarlo con un sorriso abbozzato che sembrò funzionare, perchè le prese la mano e ripresero a camminare.
Non poté fare a meno di constatare come fosse cambiato da quella notte.

Hinata sgattaiolò silenziosamente in casa, posando la tracolla all’appendiabiti pronta a rifugiarsi sotto il getto caldo della doccia per tentare di sbarazzarsi dei tremendi postumi della sbronza e del ricordo indelebile dell’intima confessione appena fatta a Sasuke Uchiha. La testa le scoppiava e, ad essere sinceri, non era nemmeno tanto certa di non dover vomitare.
“Hina-chan! Sei tu!” 
La voce di Naruto la fece sobbalzare impreparata. Si voltò verso di lui in uno scatto repentino, rendendosi presto conto di aver commesso un grave errore. La stanza prese a vorticare con tale velocità, da costringerla ad aggrapparsi barcollando al mobiletto dell’ingresso.
Un paio di braccia forti l’avvolsero, stringendola con decisione.
“Hei! Stai bene?!” 
Il suo tono preoccupato la fece sorridere tristemente nel suo abbraccio. Gli cinse le braccia al collo e nascose il viso nel suo petto, respirando a pieni polmoni il suo caratteristico profumo. Quasi non lo ricordava più.
“Hinata”  
“Sto bene, Naruto-kun” annuì con più enfasi del necessario, separandosi da lui ed abbozzando un sorriso.
Le riservò uno sguardo scettico, che si acuì nel momento in cui un giramento di testa la fece indietreggiare, pericolosamente priva di equilibrio. In un secondo Naruto la prese in braccio e, senza dire una parola, la portò in soggiorno adagiandola sul divano.
Hinata si coprì il viso con le mani, stringendo occhi e bocca in una smorfia di fastidio. Sentì il posto accanto a sé soccombere sotto il peso del ragazzo.
“Hinata… hai bevuto?”
Il respiro le si mozzò in gola. Non trovò le forze - e il coraggio - di rispondergli. D’altronde non ce n’era alcun bisogno, lo dimostravano le guance rosse, gli occhi lucidi e la completa mancanza di equilibrio. Per non parlare dall'inconfondibile odore del suo alito.
“M-mi dispiace” 
Non fu necessario guardarlo per avvertirne la collera. 
“Sono le sei del mattino. Dove sei stata fino ad ora?” 
Non le aveva mai riservato quel tono tagliente prima di allora. E, a dire il vero, non trovava fosse giusto. Non era forse lo stesso comportamento che lui teneva ogni giorno? Non era forse lui quello che non rincasava mai, senza alcuna giustificazione? 
“Hinata, per favore, dimmi dove sei stata. Quando sono rientrato non c’eri e…” la voce gli si spezzò.
Hinata sollevò lo sguardo, trovando le pozze azzurre fisse su di sé. Poteva leggere negli occhi di Naruto l’angoscia e la preoccupazione che lo animavano, le stesse che l’avevano accompagnata notte dopo notte nel non vederlo rientrare. 
Si sentì orribile, mostruosa. Ebbe così disgusto di se stessa che non riuscì a trattenere l’ondata di nausea e, con le mani alla bocca, corse in bagno e vomitò. Ancora scossa dai tremori dello sforzo, scoppiò a piangere, posando la fronte sulla tavoletta del water. 
Quando la mano di Naruto si posò sul suo capo, il pianto si fece singhiozzo. 

Da allora Naruto la sera rientrava a casa e così anche ad ora di pranzo. Si era persino preso una giornata libera per stare insieme, per recuperare quell’appuntamento che le aveva promesso mesi prima. 
Era bello averlo a casa, per sé, eppure il suo cuore era fermo. Non sussultava più al suo tocco, né sentiva lo stomaco in subbuglio per le sue premure. A volte si riscopriva addirittura quasi infastidita. Forse perché sapeva che la sua presenza era dettata dal senso di colpa, forse perché la facilità con cui erano cambiate le cose era come uno schiaffo in faccia, la testimonianza che se avesse voluto il tempo lo avrebbe potuto trovare anche prima.
“Accidenti!”
L’imprecazione di Naruto la riportò alla realtà. Gli occhi opale si posarono su di lui, notando come la felpa arancione si fosse imbrattata di gelato. Teneva il cono stretto nella mano, mentre con l’altra si massaggiava la nuca imbarazzato. La guardava con aria colpevole, le guance rosse ed un piccolo broncio sulle labbra, ma anche come se da lei dipendesse il mondo.
Improvvisamente, in quella strada affollata rivide il suo Naruto,  il ragazzo romantico e pasticcione che l’aveva conquistata, e qualcosa si smosse in lei. Una piccola fiammella di speranza si accese, flebile, delicata. D’altronde era difficile che tutto quell’amore, che aveva coltivato per anni, scomparisse o venisse dimenticato in un così breve tempo. Forse avrebbero potuto ricominciare, avrebbero potuto essere felici di nuovo. Forse quello che mancava era soltanto il tempo. Probabilmente lei aveva subito le ripercussioni della solitudine e lui quelle dell’ambizione. Ma quello era Naruto, il suo Naruto, e se c’era una cosa che le aveva insegnato era di non arrendersi. E lei non lo avrebbe fatto, non quando lui era la cosa più importante della sua vita.
Non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in una risata liberatoria e, dopo tanto tempo, si sentì viva. Quando la risata cristallina del fidanzato si unì alla propria ed i loro occhi si ricongiunsero, seppe che anche lui aveva capito.
 “Hinata, mi dispiace! Sono un completo disastro” il tono di Naruto era così serio che fu immediatamente chiaro che non si riferisse soltanto alle macchie di gelato. 
Hinata gli sorrise dolcemente scuotendo il capo, vedendolo ricambiare il sorriso timidamente. Frugò nella borsa a tracolla alla ricerca di un fazzoletto e, dopo averlo recuperato, si avvicinò a lui. Una volta imbevuta la stoffa nella bottiglietta d’acqua, ripulì le macchie sulla sua felpa, sfregando delicatamente per rimuoverle.
“Ecco fatto!”
Non fece in tempo a sollevare lo sguardo che un tenero bacio si posò sulla sua guancia, che presto divenne rossa. Si portò le dita al punto esatto in cui le labbra di Naruto l’avevano toccata, sentendo gli occhi pizzicare al familiare calore che si spandeva all’altezza del cuore.
“Andiamo!” esclamò Naruto, prendendole la mano e trascinandola dietro di sé.
“Dove?” domandò curiosa, ancora sopraffatta dall’emozione.
“Ovunque! Voglio vantarmi un po’ della mia bellissima fidanzata!” le fece l’occhiolino addentando l’ultimo pezzo del cono.
Hinata abbassò lo sguardo, arrossendo di piacere e si coprì la bocca con la mano per nascondere la sciocca risatina che altrimenti le sarebbe sfuggita. Non era d’accordo sull’essere definita bellissima, ma le piacevano i suoi complimenti, l’avevano sempre fatta sentire una versione migliore di sé stessa. E poi Naruto li faceva con un entusiasmo tale per cui era pressoché impossibile non credergli.
Stavano camminando uno accanto all’altra, osservando le bancarelle, quando Naruto si fermò all’improvviso. Aggrottò le sopracciglia confusa sollevando lo sguardo verso di lui, intento a strizzare gli occhi verso la vetrina di un negozio. Gli occhi azzurri ben presto si sgranarono e poi un luccichio li animò mentre le labbra si distendevano nel più abbagliante dei sorrisi. 
“Naruto-kun?” 
La sua grande mano scivolò lontano dalla propria, portando via il familiare calore che pian piano andava irradiandosi dentro di lei. Prima ancora che potesse dire un’altra parola, lui si allontanò entrando nel negozio. Lo seguì incredula, incapace di comprenderne il comportamento fino a quando una risata gioiosa e squillante non le giunse all’orecchio spezzandole il cuore. Di nuovo.
Rimase immobile, a guardare da lontano il suo fidanzato che teneva tra le braccia la sua ex compagna di squadra, facendola girare su sé stessa e dedicandole parole d’elogio che non voleva davvero sentire. Si avvicinò a loro di soppiatto, continuando a fissarli a disagio, notando dolorosamente come nessuno si fosse accorto di lei.
“Naruto?” sussurrò palesando la sua presenza.
Lo vide posare Sakura a terra, voltandosi verso di lei senza tuttavia che il suo braccio le lasciasse le spalle.
Hina-chan! Sakura dirigerà la nuova clinica per bambini! Non è grandioso?” la informò con un sorriso orgoglioso che le costò un sussulto.
“Congratulazioni!” si ritrovò ad annuire, forzandosi a sorridere.
Non sentì nulla di quello che seguì, né le parole di Sakura, né tanto meno l’entusiasmante proposta del biondo di andare a cenare tutti insieme. Riuscì a malapena ad accorgersi della figura di Sasuke, seduto di fronte a lei ad un tavolo che non ricordava nemmeno di avere raggiunto. Era come estraniata dalla realtà, eppure dolorosamente consapevole di quanto accadesse davanti ai suoi occhi. 
Naruto e Sakura monopolizzavano la sua attenzione. E più guardava, più faticava a distogliere lo sguardo, più sentiva andare spegnendosi quella fioca speranza che aveva coltivato non più di un’ora prima.
Era come se fossero due corpi celesti sprigionanti una quantità esorbitante di energia. A differenza sua, Sakura non veniva sopraffatta dalla luce dell’Uzumaki, Sakura era capace di gestirla, di reindirizzarla e, talvolta, anche di contenerla. Sapeva quando assecondare le sue buffonate e quando, invece, smorzarle dietro minacciose occhiate.
Naruto non si era ingozzato come faceva di solito. Sakura gli aveva rifilato un pugno  la prima volta che aveva sbiascicato parole incomprensibili a bocca piena.
Non aveva fatto battute inopportune, nè si era messo in ridicolo. Non appena aveva tentato di infilarsi le bacchette nel naso per far ridere un gruppo di bambini, lo sguardo di fuoco di Sakura era stato sufficiente ad impedirglielo.
Non erano nemmeno stati assaliti dall’orda di ammiratori e ammiratrici fastidiosi che perseguitavano il biondo ad ogni movimento. Nessuno tentava di avvicinarlo con l’allieva di Tsunade accanto.
E, come se tutto ciò non fosse sufficiente a farla sentire terribilmente inadeguata, Sakura era capace di parlare con lui senza mai essere sottomessa, senza un balbettio o un rossore. La loro conversazione era scoppiettante, rispondevano colpo su colpo ad ogni battuta, con riferimenti a lei incomprensibili. Certo, erano compagni di squadra da sempre, si conoscevano meglio di chiunque altro e ne avevano passate tante insieme. Eppure lei non aveva quel rapporto con Kiba e Shino. 
Ad un certo punto aveva persino cercato lo sguardo di Sasuke nella speranza di trovare in lui la stessa inquietudine che l’animava, ma era rimasta amaramente delusa. Pareva così indifferente che, quando Sakura e Naruto avevano iniziato la sfida a chi beveva più sakè,  si era allontanato e non era più tornato.
“Ho vinto!” esclamò Naruto, con la voce leggermente impastata, sbattendo il bicchierino vuoto sul tavolo.
Da Sakura provenne un grugnito infastidito.
“Sono piuttosto bravo, vero Hina-chan?” il biondo le accarezzò con la mano un ginocchio, prima di chinarsi su di lei reclamando le sue labbra.
Imbarazzata - e infastidita - voltò lievemente il capo, in modo che il bacio si posasse sulla sua guancia. Non amava le manifestazioni d’affetto così esplicite in pubblico, men che meno in quel momento.
“Voglio la rivincita!” tuonò Sakura, afferrando la bottiglia semivuota e riempiendo nuovamente i bicchierini sul tavolo.
Naruto scoppiò a ridere e, in risposta, si arrotolò le maniche della felpa con gli occhi azzurri brillanti di determinazione.
“Hinata-chan, vuoi - hic - giocare?” singhiozzò Sakura, alzando la mano per ordinare altro sakè.
“No, grazie” scosse il capo.
“D’accordo! Allora stai - hic - a guardare come - hic - umilio questo baka!” la rosa sorrise arrogante.
“Fatti sotto, Sakura-chan!” 
Dopo una buona mezz’ora di gioco, Hinata decise di averne abbastanza. Si alzò da tavola e si rivolse ai due che stavano trangugiando simultaneamente l’ennesimo bicchiere.
“Vado in bagno” 
Naruto l’osservò, prima di annuire sorridente.
“Non metterci troppo Hina-chan! Devi esserci quando vincerò!” 
“Sta’ zitto!” 
“Ti stavo solo dando il tempo di raggiungermi!” 
“Come se fosse necessario!”
Scuotendo il capo con rassegnazione, la Hyuga si allontanò dal tavolo, sgusciando silenziosamente tra i tavoli e superando la porta della toilette diretta all’ingresso.  Aveva bisogno d’aria fresca. Tutta quella situazione non faceva che rendere evidente quanto fosse infelice, sentiva di essere sprofondata ancora in quel buco nero di cui credeva di aver visto la luce solo un paio d’ore prima. 
Si appoggiò al muro di mattoni, portandosi le mani al viso nel tentativo di frenare il pianto isterico che di lì a poco l’avrebbe scossa. Fortunatamente l’aria della notte, con la sua silenziosa carezza, riuscì a calmarla. 
“Mi chiedevo quanto avresti resistito”
Hinata sobbalzò, voltandosi alla propria sinistra. Non si era accorta, uscendo, della presenza dell’Uchiha. In effetti, se non avesse parlato, non lo avrebbe fatto comunque: era nascosto dove la luce del lampione non arrivava, tutt’uno con la notte nei suoi abiti perennemente neri. 
Boccheggiò per qualche istante, incerta se rispondere o meno. Non aveva idea di come comportarsi. Non lo vedeva dalla notte in cui aveva confessato il suo più terribile segreto e, ad essere onesti, si vergognava un po’. Sasuke era uno sconosciuto e, come se non bastasse, il migliore amico di Naruto. Rimase perciò in silenzio ad osservare la gente che usciva dal ristorante. La porta si apriva e si chiudeva portando con sè lo scampanellio dei furin e facendo riecheggiare nella strada le risate dei clienti. Una di queste, riconobbe, era quella di Naruto e le si spezzò il cuore per la consapevolezza di non essere mai stata capace di farlo ridere in quel modo.
“Uchiha-san, a te… non da fastidio?” 
Prima ancora che se ne accorgesse aveva già parlato, attirando su di sé l'attenzione del ragazzo, che la squadrò velocemente con aria di scherno,
prima di riportare lo sguardo dritto davanti a sé.

“Sono fatti così. Se vuoi rimanere sana di mente, devi accettarlo e basta Hyuga” 
La sua schiettezza, unita al tono di biasimo, la fece arrossire. Abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore mortificata. Doveva essere davvero sbagliata a vedere il marcio laddove non c’era. Sasuke era il fidanzato di Sakura e sembrava perfettamente a proprio agio con il loro rapporto, perché invece lei non faceva che mettere a confronto la loro relazione con quella che aveva davanti agli occhi? Perchè ogni volta che lo faceva aveva la sensazione che fosse una gara persa in partenza?
“Hai ragione. Perdonami.” si scusò sospirando, prima di allontanarsi dal muro per rientrare nel ristorante. 
“Hyuga” 
Si fermò con la mano sulla maniglia, tenendo aperta la porta d’ingresso del locale. Lo sentì avvicinarsi a lei, un passo dietro l’altro, fino a raggiungerla. 
“Porterò Sakura a casa” 
Così dicendo Sasuke la superò, scomparendo tra i tavoli. 
Hinata sorrise di quella forma di gentilezza inaspettata. Era un tipo strano Sasuke Uchiha. Un momento lo avresti giudicato come la persona più insensibile sulla faccia della terra, quello dopo ti sorprendeva con piccole accortezze. C’era stata quella volta al supermarket in cui le aveva offerto il gelato, e poi quando, ai campi di addestramento, le aveva ceduto una delle sue bottiglie di sakè. E ora di nuovo.
Rasserenata dal concludersi di quella fallimentare serata, raggiunse il tavolo che avevano occupato, davanti al quale Sasuke si era immobilizzato, oscurandole la visuale.
Incuriosita, allungò il collo per sbirciare oltre la sua spalla e, quando lo fece, boccheggiò impreparata. Il tavolo era pieno di bicchierini vuoti, alcuni dei quali rovesciati, e bottiglie di sakè, anch’esse rigorosamente vuote. Di esse ve n’era una a terra ridotta in frantumi ed un‘altra stretta nella mano sinistra di una Sakura addormentata scompostamente con la faccia sul tavolo. Naruto, dal canto suo, russava seduto a gambe aperte, con il braccio fasciato sulla pancia e un rivolo di bava che pendeva dalle labbra.
“Stai scherzando, cazzo!” 

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Capitolo 10
*** IX. ***


IX.

 

Sasuke aprì la porta del piccolo appartamento, squadrando da capo a piedi la figura minuta e discreta di Hinata Hyuga. Indossava il solito abito lilla a maniche lunghe, con i capelli indaco che scendevano a coprirle le spalle in netto contrasto con la pelle candida e gli occhi opale. Stringeva al petto quello che, a giudicare dal fiocco blu, aveva l’aria di essere un dono. 
“Buon pomeriggio Uchiha-san!” salutò educatamente, accennando un sorriso timido.
“Cosa vuoi, Hyuga?”
La vide sgranare gli occhi presa alla sprovvista, per poi fare un passo indietro e allungare le braccia verso di lui.
“Ti ho portato questo!”
Sasuke osservò con maggiore attenzione l’oggetto tra le sue mani, una sorta di stoffa rigida arrotolata su se stessa e trattenuta dal nastro. Era uno zerbino.
Riportò lo sguardo su di lei, che non si era azzardata a muoversi dalla posizione in cui era, e scosse il capo con un sorrisetto divertito. 
Alla fine lo aveva fatto davvero, proprio come aveva detto.

“Se vomiti sul letto…” ringhiò Sasuke adagiando sul materasso un Naruto completamente fuori di sé. 
“Non lo farà!” rispose per lui Hinata, intenta a coprire Sakura con il leggero lenzuolo, mentre quest’ultima nascondeva la testa sotto il cuscino.
Sasuke la guardò irritato, prima di abbandonare la stanza e dirigersi in cucina. Sapeva che lasciare quei due a briglia sciolta avrebbe comportato dei guai, ma sperava che la presenza della Hyuga fosse sufficiente a far mantenere ad entrambi un contegno. Ovviamente non aveva tenuto conto della sua incapacità ad opporsi a quell’idiota di Naruto. 
Era soltanto colpa sua e del suo - mancato - carattere, se si erano ritrovati a trascinare Naruto e Sakura all’appartamento che condivideva con quest’ultima, rallentati da innumerevoli pause dovute alla necessità dei due di vomitare. Era soltanto colpa sua se aveva dovuto buttare lo zerbino dell’ingresso, imbrattato da un gentile omaggio dell’Uzumaki.
Aprì il frigo, colmo di confezioni di cibo pronto e cartoni di latte. Sakura era un disastro in cucina e, a dire il vero, non era quasi mai a casa per via della prossima apertura della clinica.
“Uchiha-san” 
Ignorò la sua voce, afferrò il cartone di latte e lo portò al naso, per verificare dall’odore se fosse ancora buono. Una smorfia gli deturpò i lineamenti del viso e, senza bisogno di altre prove, vuotò il contenuto biancastro nel lavandino. 
“Uchiha-san, volevo solo ringraziarti per avermi permesso di portare Naruto qui”
Decise di non rispondere, di nuovo. Poi, invece, cambiò idea. Era pur sempre colpa sua se erano in quella situazione.
“Se fossi in grado di controllare quell’idiota del tuo fidanzato non sarebbe stato necessario!” 
“Naruto-kun non è un idiota!” 
Sasuke alzò gli occhi al cielo, esasperato dalla ridicola e insostenibile difesa. 
“E poi… si potrebbe dire lo stesso di te” 
Fu un borbottio appena percettibile, che alle sue orecchie però suonò chiaro e forte. La guardò sorpreso, incapace di credere di averla sentita insinuare un insulto. Non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto.
“E così credi che Sakura sia idiota…” la provocò.
“No! No, affatto!” gracchiò Hinata diventando paonazza ed agitando forsennatamente le mani davanti a sé.
“Eppure è questo che hai insinuato”
“Non volevo insultare Sakura-chan… io volevo solo…” si interruppe distogliendo lo sguardo da lui e mordendosi il labbro inferiore, come ad impedirsi di parlare.
“Volevi insultare me” concluse al suo posto con un ghigno ironico.
Hinata rimase in silenzio, abbassando il capo in segno di ammissione di colpa. 
Sasuke aspettò alcuni istanti, certo che si sarebbe scusata, ma non lo fece e per questo l’apprezzò. Tornò a rivolgere la propria attenzione alla cucina, afferrando un bicchiere dalla credenza e riempiendolo di acqua dal rubinetto, poi si voltò verso di lei, poggiandosi al bancone ed osservandola. Apparentemente non si era mossa, ma un occhio attento come il suo poteva facilmente notare gli sguardi di sottecchi che lanciava al recipiente nell'unica mano. Probabilmente era assetata e non aveva il coraggio di chiedere. Peggio per lei, era la giusta punizione per non avere carattere. 
"Uchiha-san, ti dispiacerebbe se rimanessi per la notte? Naruto-kun e Sakura-chan potrebbero avere bisogno di aiuto e non mi sentirei tranquilla a lasciarti da solo con loro"
"So gestirli meglio di te. Entrambi." rispose piccato.
"Non voglio risultare scortese, ma credo sia meglio che rimanga" gli occhi pallidi di Hinata saltarono dal moncone al suo viso, in un'allusione fin troppo esplicita. 
Per un momento rimase bloccato, incredulo che una donna insignificante come lei lo facesse sentire incapace. Nessuno era mai stato così diretto riguardo alla sua menomazione. Naruto tendeva a fare qualche battuta, Sakura evitava completamente di menzionarlo, persino Kakashi gli riservava qualche premura a riguardo. Invece Hinata Hyuga, che aveva paura della sua ombra e non aveva neanche il coraggio di opporsi a quell'imbecille del Dobe, si era azzardata a fargliela notare. 
La guardò per la prima volta incuriosito, cercando in lei il minimo segno di un emozione. Pensava di trovare compassione, pietà o biasimo in quegli occhi pallidi e potenti, che aveva sempre ritenuto inespressivi, ma non vi lesse nulla di tutto ciò. Aveva fatto una costatazione, aveva preso atto della mancanza del suo braccio e delle relative difficoltà di gestione, come se avesse assodato che i suoi capelli erano neri o che il suo occhio sinistro fosse portatore del Rinnegan.
Si sentì un po’ offeso forse, punto nell’orgoglio, ma anche - incredibilmente - meglio. Lei lo vedeva per davvero, per com’era: infelice, menomato, spezzato. E non le importava niente di lui, non voleva aggiustarlo, né capirlo. 
Senza ribattere, poggiò il bicchiere sul piano della cucina e la superò recandosi in un ripostiglio, dove recuperò un sottile futon, due cuscini e delle lenzuola. La raggiunse ed alzò gli occhi al cielo nel vederla sgranare gli occhi e prendere a gesticolare nervosamente.
“N-non è necessario! Posso dormire su una sedia o-” 
"Il futon non è per te, Hyuga” la interruppe bruscamente, posando sul tavolino del soggiorno il carico che trasportava.
Silenzioso stese a terra, accanto al divano, il sottile materassino, imprecando malamente consapevole del mal di schiena che ne sarebbe derivato la mattina seguente. Afferrò anche i cuscini ed il lenzuolo e li distribuì tra il futon e il divano rosso.
“Uchiha-san?” la voce della Hyuga suonò confusa.
“Starai sul divano” decretò prima di andare in bagno.
Si lavò faccia e denti, cambiandosi con la comoda tuta blu scuro che solitamente utilizzava per dormire. Controllò Naruto e Sakura, completamente addormentati ed apparentemente tranquilli, sperando che quell’assurda notte trascorresse senza ulteriori inghippi. Quando tornò in salotto, la Hyuga era inginocchiata in terra, intenta a sistemare il lenzuolo sul futon. 
“Cosa stai facendo?”
“Non voglio abusare della tua ospitalità. Dormirò a terra” gli sorrise educatamente, prima di coricarsi.
Sasuke serrò la mascella leggermente irritato. Quella ragazza continuava imperterrita a contraddirlo. Che si arrangiasse, comunque! Aveva cercato di essere educato, ma se lei era così stupida da voler passare la notte in bianco di sua spontanea volontà, che facesse pure!
Spense la luce e si mosse agilmente nel buio, raggiungendo il divano. Sgualcì il cuscino e si distese a pancia in su, prendendo a fissare il soffitto. Dalla Hyuga non proveniva alcun rumore, avrebbe potuto essere morta se solo l’alzarsi ed abbassarsi del torace non l’avesse tradita. Nel piccolo soggiornò calò un silenzio placido, avvolgente, ma sereno. Come quello dei campi di addestramento. Fu dopo una buona mezz’ora, quando le palpebre iniziavano a farsi pesanti, che la voce di Hinata lo raggiunse.
“Uchiha-san? Sei sveglio?”
“Hn”
“Mi dispiace tanto per lo zerbino” 
Un brivido gli corse lungo la spina dorsale al ricordo di Naruto che vomitava all’ingresso di casa, rovinando irreparabilmente l’orribile zerbino dalla scritta “benvenuti a casa”. Non aveva nemmeno provato a salvarlo, lo aveva preso e chiuso in un sacco del pattume imprecando malamente in contemplazione dell’omicidio. 
“Te ne comprerò uno nuovo!” si offrì dolcemente.
Sasuke si voltò su un fianco, dandole le spalle e mettendo fine alla conversazione.
“Buonanotte, Uchiha-san”


Sasuke si avvicinò a lei, prendendo con l’unica mano l’oggetto e, aiutandosi con i denti, rimosse il nastro che lo teneva avvolto su sé stesso. Lo zerbino aveva le setole grigio scuro ed era privo di qualsiasi scritta. Non somigliava affatto a quello di prima, probabilmente, a dire il vero, cozzava un po’ con l’arredamento e la personalità di Sakura.
“Potete cambiarlo se non vi piace!” si premurò di chiarire Hinata, sembrando leggergli il pensiero.
Lo sguardo ossidiana e viola scivolò dallo zerbino a lei. Aveva le guance leggermente rosse e teneva il capo abbassato, la frangetta nascondeva gli occhi, concentrati sul movimento nervoso delle mani all’altezza del ventre. Aspettava il suo verdetto in trepidante attesa, già rassegnata all’errore. Era evidente che quello zerbino fosse una richiesta di riconciliazione, nonchè un ringraziamento. Ed era altrettanto evidente che lo avesse scelto, così - scuro - serioso, perché era per lui, non per la casa, né per Sakura. Per lui. Dunque, quando in risposta posò ordinatamente lo zerbino davanti alla porta di ingresso, i suoi occhi opale trovarono i propri ed un sorriso le illuminò il viso. Annuì in muto ringraziamento, lasciando che tra loro calasse quel placido silenzio diventato ormai familiare. Non avevano niente da dire l’un l’altra, eppure sembravano capirsi.
“Devo andare. Ho promesso che sarei passata all’orfanotrofio per aiutare con la cena” sussurrò Hinata dopo alcuni istanti.
Sasuke annuì, incerto di come quella comunicazione potesse risultare rilevante per lui. Attese che se ne andasse, ma non dava segno di volerlo fare. Rimaneva immobile, con lo sguardo fisso a terra e le labbra strette in un broncio, come se volesse parlare. 
“C’è altro, Hyuga?” 
Hinata sobbalzò e sollevò di scatto il capo, mostrando gli occhi pallidi sgranati e messi in risalto dalla leggera sfumatura rosea assunta dal viso.
“Io… volevo soltanto…” si interruppe aggrottando le sopracciglia, evidentemente combattuta su come proseguire.
Sasuke piegò il capo di lato, cercando di nascondere dietro l’impassibilità dell’espressione una certa curiosità.
“Credo di doverti ringraziare per quella notte” sussurrò timidamente.
“Pensavo che lo zerbino servisse a quello scopo” 
Hinata scosse il capo, agitando le mani davanti a sé nervosamente.
“No! Non intendevo… io mi riferivo all’altra notte” 
Alludeva all’ultima volta che erano stati ai campi di addestramento, quella in cui si era ubriacata ed aveva confessato la sua infelicità. 
Improvvisamente un tremendo senso d’inquietudine lo assalì. C’era un tacito accordo tra di loro e pensava fosse chiaro che comprendesse l’assenza di menzione di qualsiasi cosa capitasse ai campi di addestramento. Non voleva i suoi ringraziamenti, non voleva niente da lei. Ed era per questo che aveva funzionato. Se lei ora parlava, se superava quel limite, tutto sarebbe finito. Quel poco di conforto e pace che avevano trovato uno nella presenza dell’altra sarebbe scomparso.
“Non mi interessa, Hyuga”
“Ma a me sì! Avresti potuto dirlo a qualcuno - si guardarono con la consapevolezza che quel qualcuno fosse Naruto - e non lo hai fatto…” 
“Non sono affari miei”
“Lo so” annuì, abbassando il capo con un sorriso di rassegnazione. Poi proseguì.
“Perdonami se ti ho disturbato. Buona giornata” si inchinò velocemente, voltandogli le spalle ed avanzando alcuni passi nel pianerottolo.
Sasuke rimase in silenzio ad osservarla allontanarsi, con un’indecifrabile sensazione all’altezza dello stomaco. A lui non importava niente di lei, eppure si accorse di volere che restasse
“Uchiha-san”
Si irrigidì nervoso, come se avesse il potere di leggergli la mente. Aspettò di vederla girarsi ed accompagnare con un sorriso imbarazzato qualsiasi cosa avesse in mente di dire. Ma non lo fece.
“Potresti passare qualche volta. Per un tè, magari” 
Non gli diede il tempo di rispondere, sempre che volesse farlo. Imboccò le scale e scomparve alla sua vista, lasciandolo sull’uscio di casa a tentare di dare un nome a quello che era appena successo. 
Fu così che lo trovò Sakura pochi minuti dopo.
“Ciao! Ho incontrato Hinata qui davanti. Mi ha detto che ci ha comprato uno zerbino nuovo” commentò dandogli un bacio sulla guancia, prima di osservare la pedana ai loro piedi.
“E’ così… serioso.- fece una smorfia disgustata - Ha accennato niente al poterlo cambiare?” domandò superandolo ed entrando in casa.
Sasuke guardò lo zerbino, poi chiuse la porta.
Era quasi ironico come Sakura si volesse sbarazzare dell’unica cosa che ricordava lui. 

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Capitolo 11
*** X. ***


 

X.

 

Hinata osservò il mazzo di fiori posato sul tavolo della cucina, una meravigliosa composizione di girasoli. Fiori di innegabile vitalità, i girasoli, il cui carattere fiero non ha bisogno di orpelli per essere aggraziato. Fiori che parlano di amore giovanile, entusiasmante e spensierato. Fiori che a Naruto avevano ricordato Sakura.
“Non ti prepari, Hina-chan?” 
Hinata portò lo sguardo sul ragazzo che era apparso alle sue spalle e, inevitabilmente, un sorriso malinconico le incurvò le labbra. Era bellissimo, Naruto. Lo era sempre stato per lei, ma nel crescere e farsi uomo era diventato ancor più evidente. Era bellissimo con la sua immancabile tuta arancione, così come lo era ora, con una camicia bianca ed eleganti pantaloni blu scuro. 
Non si era mai vestito così per lei, nemmeno ai loro appuntamenti più romantici. E fino ad allora non le aveva pesato, figuriamoci quanto potesse importarle cosa indossasse. Ma in quell’istante, nel trovarselo davanti ed avere l'assoluta certezza che per lei lo avesse fatto, beh, in quell’istante pesò come un macigno.
“Hinata?” Naruto le si avvicinò, accarezzandole dolcemente una spalla.
“Preferirei rimanere a casa, se non ti dispiace. Non mi sento molto bene...” 
Non voleva mentirgli e, a dire il vero, non lo stava facendo. Continuava ad avvertire come una stretta all’altezza dello stomaco dal momento in cui lui aveva rimesso piede a casa, in pieno orario lavorativo, per farsi una doccia e cambiarsi, dondolando orgogliosamente il mazzo di fiori davanti a sé. 
“Oh. Vuoi che rimanga con te?” 
Hinata cercò il suo sguardo. Sembrava preoccupato, ma ad essere onesti non le era poi così chiaro se lo fosse per lei o per l’idea di dover restare a casa.
Scosse il capo, sospirando esasperata. Ultimamente era così ingiusta con lui, specialmente quando di mezzo c’era Sakura. 
“Non preoccuparti, non è niente di grave” abbozzò un sorriso nel tentativo di convincerlo.
I suoi occhi azzurri l’osservarono per un po’, cercando qualche segno di incertezza. Apparentemente non sembrò trovarne, perchè ben presto le sopracciglia si distesero e la sua mano fasciata le si posò sul capo in una carezza - fraterna - affettuosa.
“D’accordo allora. Io vado, ci vediamo stasera!” 
Le labbra di Naruto le sfiorarono la guancia in un bacio frettoloso, poi afferrò il bouquet e si precipitò fuori di casa quasi saltellando. 
Hinata rimase sola, ancora una volta. Era stanca di aspettarlo, di caricare di aspettative mal riposte la loro relazione. Eppure non poteva far altro. Se si fosse concessa anche solo per un istante di mettere in discussione il suo amore per Naruto, se avesse ammesso che quello per cui ero pronta a morire in guerra era un sogno infantile, la sua vita sarebbe crollata in mille pezzi. Non avrebbe più saputo chi essere, da che ricordava era sempre stata la - povera - timida Hinata innamorata di Naruto. Ma, soprattutto, Neji sarebbe morto invano. 
Non era semplice fare i conti con l’infelicità, sapendo che qualcuno - suo cugino, suo fratello - si era sacrificato per regalarle un futuro di serenità e d’amore insieme a l’uomo che avrebbe protetto con la vita. 
E così preparò il pranzo per due, come sempre. Apparecchiò la tavola per due, come sempre. Ma, come sempre, mangiò sola. 
Non indugiò ulteriormente sui propri sentimenti, aveva imparato a zittirli e a convivere con il costante senso di vuoto all’altezza dello stomaco. Riordinò il tavolo e prese a sciacquare le stoviglie, canticchiando una malinconica melodia per svuotare la mente. 

Toc - toc

Hinata sobbalzò impreparata. Non aspettava visite, non lo faceva mai. Forse Naruto aveva dimenticato le chiavi? Le pareva alquanto improbabile. Non che non fosse il tipo da farlo, era capitato innumerevoli volte, ma in questo caso era difficile che rincasasse tanto presto. Sicuramente si sarebbe perso nei festeggiamenti, contento di ritrovare tutti gli amici di sempre e privo di qualsiasi motivo - lei compresa - per lasciare il fianco di Sakura.
Scosse il capo, posò il piatto che aveva intenzione di lavare nel lavandino e chiuse il rubinetto. Si asciugò le mani bagnate nel grembiule giallino che indossava ed andò alla porta, aprendola senza nemmeno osservare chi fosse dallo spioncino. 
Davanti a lei si palesò la figura alta ed imponente di Sasuke Uchiha.
Potresti passare qualche volta
Era stata lei ad invitarlo, ma non credeva realmente che potesse venire. Specialmente non quel giorno. 
Sollevò lo sguardo finchè non si congiunse con i suoi occhi ossidiana e viola, seminascosti dai lunghi ciuffi corvini, che l’ osservavano apparentemente privi di emozioni. Ma Hinata Hyuga quegli occhi li conosceva molto bene, erano gli stessi che vedeva ogni giorno riflessi allo specchio. Occhi speciali, potenti, ma al contempo vuoti, spenti. E si chiese se al mondo fosse così evidente, come lo era per lei in quell’esatto istante, che entrambi fossero persi, che entrambi esistessero senza vivere.
Non servì altro. 
Gli sorrise malinconica, facendosi da parte per farlo entrare, e lui non vacillò nemmeno per un secondo, la superò entrando nell'appartamento a grandi falcate. 
Hinata chiuse la porta e lo raggiunse in soggiorno, trovandolo intento ad osservare la foto sulla credenza, come aveva fatto quell’unica volta che era venuto. Gli si avvicinò con cautela, sistemandosi al suo fianco e lasciando che le spalle si sfiorassero appena. Posò a sua volta gli occhi sull’immagine incorniciata che ritraeva l’ex team sette, poi su quella dell’ex team otto. Era tutto così diverso a quei tempi, sorridevano come se niente potesse privarli della felicità, divorando la vita insaziabili.
“Quando abbiamo smesso di essere quei bambini?” 
Quando abbiamo smesso di essere felici?
Sasuke si allontanò senza emettere un suono, privandola di quel briciolo di calore che la sua vicinanza aveva portato senza che nemmeno se ne accorgesse.
Si voltò a guardarlo, scoprendolo a fissare il vuoto come in balia dei ricordi. Capì che la domanda doveva avere toccato un nervo scoperto e non fu difficile immaginare il perchè.
Non era più di una bambina allora, ma aveva un ricordo nitido del giorno dei funerali del Clan Uchiha. 

L’aria era fredda e pesante al cimitero di Konoha. Non un suono si avvertiva, solo l’opprimente silenzio della morte.
Hinata si nascose dietro il padre, tenendo nella piccola mano la stoffa scura del suo kimono. Non aveva capito granchè di quello che stava accadendo, nessuno si era preoccupato di informare i bambini di un fatto tanto atroce. L’unica cosa che sapeva era che in una notte un intero Clan era stato sterminato, e degli Uchiha rimanevano soltanto un assassino e un orfano. 
Sollevò per la prima volta lo sguardo da terra per osservare una figura vestita di nero, un bambino della sua età con capelli corvini e occhi ossidiana. Sasuke guardava la lapide dinanzi a lui, con le braccia rigide lungo i fianchi ed i pugni stretti. Non aveva versato una lacrima, né detto una parola.  Non c’era molto di quel suo compagno dell’accademia, presuntuoso e vivace, in quel bambino triste. Non che gli avesse mai parlato, ma osservando Naruto aveva avuto modo di studiarlo, era pur sempre il suo rivale.
D’un tratto un brivido la scosse. Lui aveva alzato lo sguardo e i loro occhi, così simili eppure diversi, si erano congiunti. Quelle sfere buie sembrarono riversare su di lei un disprezzo immotivato. Era un fuoco scuro quello che incendiava gli occhi di Sasuke Uchiha, ma non serviva il Byakugan per capire che dietro quell’ira si nascondesse soltanto un grande vuoto. 
Ricordava la terribile sensazione che aveva provato alla morte di sua madre, era un po’ come se le avessero strappato un organo. C’era un buco dentro di lei che non si era più colmato da allora, aveva semplicemente imparato a conviverci. 
Si nascose dietro suo padre, incerta se provare con un sorriso d’incoraggiamento o rimanere immobile. Combattè a lungo con sé stessa e infine si convinse ad esprimere, nel suo piccolo, il suo cordoglio, ma quando trovò il coraggio, lui aveva già riportato lo sguardo alla lapide ed i suoi occhi si erano fatti carminio. 

Hinata scosse il capo tristemente. Quel giorno si era ripromessa di fargli sapere che sarebbe stato meglio con il tempo, che il vuoto non doveva fargli paura perchè diventava parte di sé, come i suoi genitori. Avrebbe voluto rassicurarlo, perché nessuno lo aveva fatto con lei. Però non lo fece. Suo padre la portò via non appena il funerale finì, poi la vita riprese come se nulla fosse accaduto e lei non trovò più l’occasione - il coraggio - di avvicinarlo. Ma non dimenticò il suo proposito, d’altronde era il suo nindo. E così, di nascosto, iniziò a lasciare una camelia rosa sulla tomba dei coniugi Uchiha, tra i fiori bianchi, sperando che in quel modo Sasuke si sentisse meno solo. 
“Quel tè?”
Hinata sobbalzò ritornando alla realtà. Annuì imbarazzata, balbettando delle scuse ed invitandolo a seguirla in sala da pranzo.
“Accomodati” gli sorrise indicando il tavolo, prima di scomparire in cucina.
Mise sul fuoco il bollitore con l’acqua e preparò il servizio da tè di porcellana, con tanto di zuccheriera, disponendolo ordinatamente su un vassoio. Aveva preparato qualche biscotto d’avena la sera prima e, con Naruto fuori di casa, erano avanzati quasi tutti, così li ripose su un piattino. Dopo alcuni minuti l’acqua bollì e la versò nella teiera di porcellana da portata, in cui aveva predisposto una miscela di tè verde alla menta. Afferrò il pesante vassoio e lo portò in tavola, servendo prima Sasuke e poi sè stessa. Lo vide portarsi la tazza al naso e, in quell’istante, si rese conto di non avergli domandato le sue preferenze in fatto di infusi.
Stava già per alzarsi in piedi e rimettere a bollire altra acqua, quando lui le lanciò uno sguardo che non ammetteva repliche.
“Va bene. La menta mi piace”  le intimò, bevendo un sorso a conferma di quanto detto.
Hinata annuì e abbassò lo sguardo sorridendo timidamente. Si concentrò sul liquido ambrato, girando il cucchiaino all’interno della porcellana.
“Com’è stata l’inaugurazione?” 
Lo aveva domandato più per fare conversazione che per altro, quasi certa di sentirlo rispondere a monosillabi. E così, quando la sua voce risuonò tra le pareti della sala da pranzo, sollevò repentinamente il capo.
“Rumorosa”
Sgranò gli occhi fissandoli in quelli bicolore di lui, che le confermarono ciò che sospettava. Le sue parole nascondevano un significato più profondo, un significato che era certo avrebbe colto: rumorosi erano Sakura e Naruto. Rumorosa era la vita, la felicità. 
Hinata sorrise tristemente, portandosi la tazza alle labbra.
“Suppongo che il rumore non sia fatto per quelli come noi, Uchiha-san” sussurrò prima di bere un sorso di tè.
Sasuke non replicò, limitandosi a sorseggiare a sua volta la bevanda calda. Il silenzio durò a lungo, lasciandoli vicini eppure persi ciascuno nelle proprie considerazioni. Lei, ad esempio, pensava e ripensava a quando aveva cambiato opinione su Sasuke Uchiha, indecisa per giunta se si trattasse di un unico momento o se invece fosse stato frutto di un percorso lento. 
“Perchè?”
Hinata scosse il capo, ritornando alla realtà. Osservò il ragazzo che aveva appena parlato, con le sopracciglia aggrottate per la confusione. Lo vide alzare gli occhi al cielo con aria esasperata.
“Perché non è fatto per te - il rumore -?” Sasuke si poggiò allo schienale della sedia, piegando il capo di lato incuriosito..
“Oh” 
Si lasciò scappare un ridicolo gemito di sorpresa. Non si aspettava quella domanda, in verità non se ne aspettava nessuna. Forse perché non credeva che a qualcuno potesse importare la risposta, specialmente a lui. 
“Perchè… non lo merito, Uchiha-san”  abbassò il capo, sentendo un profondo senso di vergogna pervaderla.
Viveva il suo sogno più grande, lo stesso per cui avrebbe sacrificato la propria vita, lo stesso per cui Neji aveva sacrificato la sua vita, eppure non le bastava. Come poteva meritare di essere felice?
“Siamo in due, allora” 
La sua voce, così bassa e calma, funse da carezza. Si ritrovò a sorridere inconsciamente, con una sensazione di calore che andava irradiandosi sotto la pelle, come se improvvisamente qualcuno le avesse posato una confortante coperta sulle spalle. Si sentiva capita. 
“Uchiha-san?” 
“Hn”
“Credi che mi renda una persona orribile sentirmi meglio per questo?” 
Non ebbe il coraggio di alzare il capo, terrorizzata dal suo giudizio. Come poteva non risultare egoista nel giovare della disperazione di un altro, per il semplice desiderio di avvertire meno la schiacciante solitudine? 
“No”
Fu un suono deciso quello che provenne da Sasuke, un suono che la fece sobbalzare e poi sorridere grata.
Non si dissero altro, entrambi così portati al silenzio. Ma se era certa che il silenzio alzasse muri, che uccidesse lentamente, di recente - grazie a Sasuke - aveva ricordato che poteva essere anche confortante, sicuro. In fondo lo sapeva già, anche Neji non era un tipo di molte parole, eppure il tempo trascorso con lui aveva un valore inestimabile. Avrebbe rinunciato a tutto pur di passare un'ora insieme a suo cugino, seduti in veranda nel più placido dei silenzi. Il silenzio, in fin dei conti, non è mai muto.
Finirono il tè ed Hinata sparecchiò la tavola, riponendo le stoviglie nel lavandino ed iniziando a lavarle. Non sopportava il caos, la pulizia e l’ordine l’aiutavano a tenere la mente tranquilla, oltre che impegnata. Una volta concluso prese il canovaccio ed asciugò le stoviglie, per poi riporle nella credenza. Non poteva averne la certezza, ma aveva la sensazione che Sasuke avesse seguito con attenzione i suoi movimenti. Incuriosita voltò leggermente il capo, sbirciando da sopra la spalla. Lui non si preoccupò nemmeno di distogliere lo sguardo, continuò a fissarla con un'espressione indecifrabile.
“Qualcosa non va?” gli domandò, sforzandosi di concentrarsi sulla pulizia del bancone della cucina.
Sentì il rumore della sedia che si spostava e non ebbe bisogno di vederlo per sapere che si era alzato in piedi. 
“No” 
Hinata si fermò con la spugna a mezz’aria, percependo nella sua voce, solitamente calma, una leggera inflessione. Indecisa sul da farsi, rimase immobile. Non voleva insistere e risultare invadente, ma al contempo non voleva averlo in qualche modo infastidito. Prese coraggio e si girò a guardarlo, sperando di trovare in lui qualche tacita risposta. Aveva la mascella leggermente contratta e le labbra strette in una linea sottile.
“Devo andare” decretò prima di voltarle le spalle e lasciare la sala da pranzo.
Lo seguì irrequieta, tentando di ignorare il familiare senso di abbandono che si faceva strada in lei mentre Sasuke apriva la porta. 
Si fermò sulla soglia, evidentemente combattuto tra lo scomparire velocemente e il dire qualcosa. Ma Hinata si accorse di non potere aspettare, così tese il braccio ed afferrò nel pugno la stoffa del suo leggero maglioncino nero. Presto si rese conto che non sapeva davvero cosa dire. Avrebbe voluto domandargli se fosse arrabbiato, avrebbe voluto sapere cosa aveva sbagliato, avrebbe voluto che non se ne andasse anche lui, che promettesse di tornare. Tuttavia non erano nessuno l’uno per l’altra per pretendere qualsiasi cosa, solo due sconosciuti che condividevano la solitudine. E così ritrasse la mano, portandosela al petto come se si fosse bruciata. 
“Tornerò” 

 

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Capitolo 12
*** XI. ***


XI. 

 

Sasuke si avvicinò alla porta dell’ufficio di Naruto, alzando gli occhi al cielo infastidito. All’interno della stanza riusciva a percepire distintamente due chakra, quello potente dell’Uzumaki e quello tremulo di Sakura. Non perse tempo a bussare, d’altronde era stato convocato, ed aprì la porta. 
La kunoichi era seduta sulla sedia di fronte alla scrivania di legno, con il viso tra le mani e la schiena scossa dai singhiozzi. Inginocchiato di fronte a lei, Naruto lasciava carezze confortanti sulla sua coscia coperta dai pantaloni bianchi, osservandola con gli occhi azzurri velati di preoccupazione.
Qualsiasi uomo, un Uchiha specialmente, avrebbe poco apprezzato quella vicinanza. Ma l’unica cosa che quell’immagine suscitò in lui fu un certo divertimento. Era ridicolo come si ostinassero a non capire, fastidioso persino. Se solo Sakura avesse aperto gli occhi, lui sarebbe stato libero. 
Quando lo vide, il biondo gli riservò uno sguardo di rimprovero e si alzò in piedi nervoso, facendo sobbalzare la ragazza. 
“S-Sasuke-kun c-cosa fai qui?” balbettò la rosa, asciugandosi velocemente il viso ed abbozzando un sorriso. 
Sasuke non la degnò d'uno sguardo, né tantomeno di una risposta verbale. Accennò con il capo a Naruto che si affrettò a posarle una mano sulla spalla e sorriderle rassicurante.
“L’ho chiamato io! Ho bisogno di un parere su una missione” spiegò grattandosi il capo.
Sakura annuì in direzione del biondo, poi lo raggiunse, fermandoglisi esattamente davanti.
“Ho il turno di notte, non aspettarmi sveglio” mormorò cercando in lui un minimo riscontro.
Ad essere onesto non l’aspettava mai, che fosse giorno o notte. Sperava sempre che rincasasse il più tardi possibile per evitare di dover recitare un ruolo che non gli apparteneva. Ma lei non lo vedeva o, forse, non voleva vederlo. Lei preferiva fingere che tutto andasse bene, per poi infilarsi immancabilmente tra le braccia di Naruto a lamentare le sue mancanze. Patetica. E irritante.
Assentì con il capo, sperando di liquidare la faccenda velocemente. Stranamente fu accontentato, perché Sakura gli posò un bacio frettoloso sulla guancia e poi lasciò l’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. 
Non servì aspettare molto per sentire il rimprovero di Naruto.
“Devi smetterla di trattarla in quel modo!” sibilò arrabbiato.
Sasuke ignorandolo si avvicinò alla scrivania. Aveva iniziato a passare al vaglio i documenti sparsi sul tavolo, alla ricerca di qualche informazione relativa al motivo della sua convocazione, quando una mano gli si posò bruscamente sulla spalla.
“Sasuke” lo richiamò Naruto, stringendo la presa.
Si voltò incenerendolo con lo sguardo e scrollandosi di dosso la sua mano. 
“Non sei troppo vecchio per difenderla come se avesse ancora dodici anni?” lo sfidò l’Uchiha, facendoglisi a un palmo dal naso.
“Sakura è importante per me. Non voglio che tu le faccia del male!” gli occhi azzurri guizzarono risentiti.
“Non sto facendo niente!” ringhiò a denti stretti.  Non sopportava l’idea di doversi difendere, specialmente da Naruto.
“E allora perchè diavolo te ne sei andato dall’inaugurazione? Era il suo giorno, cazzo! Avresti dovuto essere lì, per lei!”
“C’eri già tu” scrollò le spalle indifferente.
“Non ero io che voleva. Sei il suo compagno, Sasuke, è questo che ci si aspetta da te…” la voce di Naruto si fece più calma, quasi carezzevole.
Sasuke strinse le labbra in una linea dritta. Lo feriva essere rimproverato da lui, il suo migliore amico. Credeva che lui, tra tutti, avrebbe capito. Era visibile ad occhio nudo che quella vita non gli appartenesse, che Konoha e Sakura non fossero fatte per lui, eppure gli chiedeva di sacrificarsi e restare, di fingere che andasse tutto bene. 
Per la prima volta si domandò se l’amicizia di Naruto fosse reale, se non avesse lottato per lui per il semplice motivo di averlo promesso a Sakura o per il suo stupido nindo.
“Sasuke-” 
"Perché mi hai chiamato?”
“Sasuke dovremmo parlarne. Io credo-”
“C’è altro o no?!”
Naruto lo guardò tristemente. Sospirò rassegnato per poi annuire ed avvicinarsi alla scrivania, aprendo una cartellina da cui estrasse un documento. Lo afferrò, leggendone velocemente il contenuto. Si trattava di un rapporto di missione riguardante un laboratorio sperimentale rinvenuto al confine con il Villaggio dell’Erba. Osservò attentamente le foto allegate e scosse la testa.
“Non è opera di Orochimaru, se è quello che vuoi sapere”
“Sei sicuro?” gli domandò.
Sasuke inarcò un sopracciglio ironico.
“D’accordo. Grazie” annuì il biondo, mettendosi a sedere.
Gettò il file sul tavolo, prima di avviarsi verso l’uscita. Per quanto lo riguardava non c’erano altri motivi per rimanere. 
“Sasuke, per favore, parlami. Cosa c’è che non va?” 
Si fermò davanti alla porta, dandogli le spalle. La voce dell’Uzumaki sembrava rotta dalla preoccupazione e sapeva che quell’idiota non era capace di fingere. Teneva a lui, era ovvio. 
Sospirò pronto a perdonarlo, sul punto quasi di confessare come tutto quanto stesse andando in pezzi. Era stato ingiusto mettere in dubbio la sua amicizia e un profondo senso di vergogna si insinuò in lui. Ma non durò a lungo, perchè Naruto rovinò tutto.
“Perchè le fai questo? Una fidanzata come Sakura sarebbe il sogno di chiunque, se tu-”
Una rabbia cieca montò dentro di lui. Scosse il capo incredulo ed afferrò con forza la maniglia della porta, certo che, se fosse rimasto un istante in più in quella stanza, avrebbe innescato l’ennesimo scontro con la persona più vicina ad un familiare che gli rimaneva. 
“E’ il tuo di sogno. Questa è la tua cazzo di idea di vita perfetta, non la mia!” 
Chiuse gli occhi e si teletrasportò, senza nemmeno pensare ad una reale destinazione. 
Per quanto gli volesse bene, Sakura sarebbe sempre venuta prima per Naruto. E se questo non avesse significato doversi immolare lui stesso alla causa, l’avrebbe anche accettato. Ma non voleva, né poteva, essere investito della responsabilità di rendere felice la donna che il suo migliore amico amava - perché era ovvio che lo facesse - sapendo che sarebbe stato un fallimento in partenza, che avrebbe deluso e ferito tutte le parti in gioco. 
Quando riaprì gli occhi si ritrovò in un luogo familiare, un pianerottolo dalle pareti bianche. Aggrottò le sopracciglia confuso. Era difficile capire perché si trovasse lì, dinanzi alla porta dell'appartamento di Hinata Hyuga. Ed era quasi irritante come la sua unica mano si fosse sollevata, animata da vita propria, ed avesse bussato tre colpi decisi. Una smorfia infastidita gli adombrò il volto, mentre ritirava il braccio stringendo i denti. Lui non aveva bisogno di nessuno, lui voleva stare da solo. 
Non ebbe il tempo di analizzare le azioni - insensate - del suo inconscio, perché ben presto avvertì il suono della serratura che scattava e Hinata fece capolino da dietro la porta.
“Uchiha-san?”  
Inizialmente sgranò gli occhi pallidi, poi, velocemente, la sorpresa lasciò spazio ad un sorriso spontaneo. Come se fosse felice di vederlo, come se lo stesse aspettando.
Rimase in silenzio, incapace di darle risposte sulla propria presenza. Lei l’osservò attentamente, piegando il capo di lato e lasciando che i lunghi capelli scuri le ricadessero sulla spalla. Il suo sorriso divenne un broncio preoccupato, tuttavia si fece da parte per lasciarlo passare, senza pretendere spiegazioni. 
Improvvisamente Sasuke seppe di essere nel posto giusto. Qualcosa si smosse all’altezza del petto ed il peso, che dimorava dentro di sé dalla visita all’ufficio di Naruto, si fece più leggero.
Entrò nell’appartamento, apprezzandone l’ordine e l’atmosfera calma. La sentì chiudere la porta alle sue spalle per poi superarlo, lasciandosi dietro una scia -
piacevole - di profumo al gelsomino. La seguì all’interno della sala da pranzo,  notando sul tavolo una serie di ingredienti. Presumibilmente stava per preparare un dolce, date le impressionanti quantità di zucchero in una ciotola. Istintivamente arricciò il naso disgustato.
“Sto facendo una torta per Yuzu-chan…” spiegò Hinata.
La guardò interrogativo, non avendo memoria di conoscere nessuno con quel nome. 
“Perdonami. Yuzu-chan è una bambina dell’orfanotrofio. Domani è il suo compleanno e così…” 
La vide abbassare il capo imbarazzata, iniziando a giocherellare con le dita nervosa. Non serviva un genio per capire a cosa fosse dovuto quel comportamento, la prima volta che l’aveva invitato per pranzo, alla menzione degli orfani, si era irrigidito e le cose erano precipitate velocemente. Nonostante gli anni era ancora un argomento delicato, riapriva ferite e portava a galla ricordi. Ma la Hyuga non era Sakura, lei non avrebbe voluto approfondire l’argomento, i suoi sentimenti. Ora lo sapeva.
“E’ una bella cosa” borbottò.
Hinata sollevò il capo di scatto, incapace di nascondere lo stupore al suo commento. Poi gli sorrise con gratitudine.
“Posso offrirti qualcosa? Un tè magari?” 
Annuì. Non aveva voglia di niente, a dire il vero, ma un té sembrava un buon motivo per restare. 
Il suo sorriso si ingrandì, rendendo visibili due fossette sulle guance piene ed arrossate. Non aveva mai notato quel dettaglio, così come il suo profumo. D’altronde non le aveva mai prestato particolare attenzione. 
Hinata si spostò nel cucinotto e, istintivamente, la seguì appoggiandosi allo stipite della porta per guardarla. Preparava il tè, posizionando le stoviglie sul vassoio senza emettere il benché minimo suono. I suoi movimenti erano precisi, sicuri, quasi contrastanti con la persona balbettante e tremula che dava a credere di essere. 
Tutto di lei era silenzioso, i suoi movimenti, il suo respiro, come se avesse paura di disturbare, come se cercasse di essere invisibile. 
La vide avvicinarsi alla credenza, che aprì alla ricerca di qualcosa, per poi sollevarsi in punta di piedi e tendere il braccio verso i ripiani più alti. Una smorfia apparve sul suo viso pallido, un misto tra imbarazzo, fastidio e sforzo. Senza pensare la raggiunse, posizionadosi alle sue spalle ed allungando l’unico braccio, che affiancò il suo, arrivando senza alcuna fatica alla mensola più alta. La sentì sobbalzare, poi i suoi occhi opale si spostarono su di lui sorpresi di trovarlo lì, mentre un imbarazzato rossore si diffondeva sulle sue guance.
“Cosa?” le domandò.
“L-la scatola d-di latta b-blu” balbettò, rimanendo immobile. 
Sasuke riportò lo sguardo alla credenza, individuando e recuperando facilmente il contenitore. Glielo porse e lei lo afferrò con entrambe le mani, stringendolo al petto. Non diede segno di volersi muovere, così concentrata a tenere gli occhi incollati al pavimento. 
Si accorse per la prima volta di quanto Hinata fosse bassa e minuta, così esile al centro del suo petto da sembrare ancora una bambina. Non gli arrivava nemmeno all’altezza delle spalle e, a differenza di Sakura, dava l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro. 
Il fischio della teiera lo distolse dalle proprie riflessioni. Fece un passo indietro, allontanandosi da lei e tornando in sala da pranzo, dove prese posto a tavola. Notò che rilassava le spalle e rilasciava il respiro che doveva aver trattenuto, riprendendo a muoversi aggraziata - ma non altrettanto sicura - nel cucinotto. Poco dopo servì il tè, una sola tazza, posandola davanti a lui.
"Per te niente, Hyuga?" 
"Se non ti dispiace io continuerei…" scosse il capo ed indicò i vari ingredienti posti sul tavolo. 
Sasuke annuì, riportando l’attenzione al liquido ambrato ed inspirandone il profumo. Il tè era alla menta, profumato e ben filtrato, non una fogliolina galleggiava nella tazza. Lo portò alle labbra e lo assaggiò, apprezzando il fatto che non fosse zuccherato. Il calore scivolò dalla gola allo stomaco, diffondendosi in tutto il corpo. Si sentì meglio, più leggero, come se quel tè e la silenziosa presenza della Hyuga avessero il potere di calmare il suo animo inquieto. 
Alzò lo sguardo e la trovò intenta a mescolare gli ingredienti, nascondendo un sorriso soddisfatto, probabilmente dovuto al proprio gradimento della bevanda. Non gli aveva ancora domandato perché fosse lì ed era quasi certo che non lo avrebbe fatto. Forse era per quello che era venuto, perché lei non avrebbe chiesto, né preteso. Hinata si sarebbe fatta da parte, silenziosa ma attenta, ed avrebbe capito.  O perché somigliava a sua madre con quei lunghi capelli scuri, la pelle pallida ed il grembiule giallo. E non era soltanto una questione di caratteristiche fisiche, erano anche le movenze aggraziate e la voce gentile che gliela ricordavano, il modo in cui armeggiava con destrezza in cucina e serviva magistralmente il tè. 
Si accorse di essere rimasto a fissarla a lungo, più di quanto sarebbe potuto sembrare opportuno, quando le sue guance divennero rosse.
"H-ho qualcosa che non va, Uchiha-san?" balbettò imbarazzata, cercando il suo sguardo.
Aveva sempre pensato che gli occhi degli Hyuga fossero inespressivi, impassibili e gelidi. Ma non i suoi. A Hinata Hyuga si leggeva tutto in faccia.
In quel momento la trovò bella. E la cosa lo spaventò.

 

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Capitolo 13
*** XII. ***


XII. 

 

Hinata osservò dinanzi a sè la natura incontaminata del parco di Konoha. Gli alberi iniziavano a tingersi di rosso e arancione, e i bambini, con le loro colorate giacchette dalle maniche lunghe, correvano in tutte le direzioni, dando vita a spirali arcobaleno. Un leggero venticello portò con sè un invitante odore di dango, proveniente, con tutta probabilità, dalla bancarella che costeggiava i cancelli d’ingresso. Normalmente, da rinomata golosa, non avrebbe resistito e si sarebbe concessa quel piccolo vezzo. Ma non quel giorno. Quel giorno qualsiasi cosa avrebbe avuto un retrogusto amaro.
Si era sempre ritenuta una kunoichi mediocre, certamente non alla pari delle sue coetanee. Sebbene fosse l’erede di uno dei più rinomati Clan del Villaggio, sebbene fosse portatrice di un letale kekkei genkai, per tutta la vita le era stato ricordato, da suo padre e dall’intera famiglia, di non essere abbastanza. Le persone che avevano sempre creduto in lei erano poche e si potevano contare sulla punta delle dita: i suoi compagni di squadra, Kurenai-sensei, e Naruto. 
Era a Naruto che doveva quella piccola spinta di sicurezza che l’aveva portata a sfidare l’odio di suo cugino Neji, senza arrendersi nemmeno davanti all’evidenza della sconfitta. Era a Naruto che doveva la sua riappacificazione con il cugino, il suo nindo. 
Lui, in qualche modo, l’aveva sempre vista. Come persona, come amica, come ninja. Poi, dopo anni di silenzio e cecità, finalmente come donna. 
Ora, però, tutto quello di cui era certa si stava lentamente sgretolando. Lui… non la vedeva più. E se prima aveva la fioca speranza di valere un po’ di più che come casalinga, dalla sera della sua partenza per l’ennesima missione diplomatica a Suna aveva perso anche quella.

 

“Sono così contento di rivedere Gaara!” 
Hinata scosse il capo divertita, contagiata dal suo entusiasmo, mentre piegava con maniacale cura gli indumenti da viaggio e li riponeva ordinatamente all’interno dello zaino.
“Verrà anche Shikamaru! - sghignazzò Naruto afferrando a casaccio calzini e boxer dal cassetto - Sembra proprio che non possa stare lontano dalla sua Temari!” 
Un sorriso le incurvò le labbra al pensiero di Shikamaru alle prese con la grintosa sorella del Kazekage. Kurenai-sensei le aveva confidato che, non appena ne aveva l’occasione, Shikamaru faceva in modo di prendere parte alle delegazioni inviate a Suna. Era un ragazzo discreto, ma la grandezza del suo sentimento era evidente agli occhi di tutti, specialmente nelle occasioni in cui al suo fianco compariva la kunoichi della Sabbia. Era felice per lui, per loro, la vita aveva tolto molto ad entrambi. Eppure non poteva fare a meno di sentirsi invidiosa di come la lontananza e gli impegni non riuscissero ad incrinare il loro rapporto. Lei e Naruto vivevano nello stesso villaggio, sotto lo stesso tetto, e non avrebbero potuto essere più distanti.
Una volta le era capitato di sentir dire da un’anziana donna Hyuga che l’assenza attenua le passioni mediocri e aumenta le grandi, come il vento spegne le candele e ravviva l’incendio*. Scosse il capo con rassegnazione. Avrebbe preferito non dover mai constatare la veridicità di quelle parole. Dentro di sé coltivava ancora la speranza che il loro non fosse un sentimento mediocre, ma soltanto un sentimento umano, soggetto alle fluttuazioni del tempo, della vita. Le cose sarebbero cambiate quando Naruto avrebbe assunto il ruolo di Hokage. Voleva crederci. Doveva crederci. 
“Finalmente un po’ di azione! Sono stanco di restare tutto il giorno seduto in ufficio!”  
Alzò lo sguardo verso di lui,  con consapevole amarezza.
Anche lei era stanca. Anche a lei mancava essere una kunoichi.  
Dal termine della guerra non aveva più preso parte ad alcuna missione, prima troppo occupata ad aiutare nella ricostruzione del Quartiere Hyuga, poi immersa nel volontariato tra l’ospedale e l’orfanotrofio. Quando il Villaggio aveva finalmente iniziato a rimettersi in sesto, Naruto l’aveva invitata ad uscire e ben presto suo padre, dopo un colloquio con Kakashi, le aveva suggerito, con ben poche alternative, di ritirarsi dalla vita ninja per evitare il pericolo che correva nella posizione di fidanzata dell’eroe della Grande Guerra, nonché futuro Hokage, e per assumere il ruolo di moglie e, un domani, madre.
Allora aveva accettato senza battere ciglio, così piena dell’amore di Naruto che nient’altro sembrava importare. Era certa che bastasse lui per essere felice. D’altronde non era fatta per essere una spietata assassina, odiava la violenza ed aveva ucciso il nemico solo quando strettamente necessario. Il più delle volte, per la verità, Shino o Kiba avevano terminato il lavoro per lei.  Ma le missioni di ricerca, o di scorta, persino le visite diplomatiche, beh quelle le piacevano. La facevano sentire utile, adeguata. E, in quel momento, ne aveva un bisogno disperato.
“Potrei riprendere a fare qualche missione” 
Nella stanza calò improvvisamente un silenzio teso.
Non avevano mai affrontato apertamente il discorso. Il suo abbandono delle vesti ninja era stato trattato come un fatto consolidato, che non richiedeva alcuna discussione. Fino a quel momento.
Dopo diversi istanti senza alcuna risposta da parte di Naruto, si decise a sollevare lo sguardo ed osservarlo. Si era fermato davanti all’armadio, il braccio fasciato teso a mezz’aria e le spalle rigide. Non riusciva a scorgerne il viso, ma era certa che se avesse potuto, avrebbe trovato quell’espressione seria che assumeva nelle cerimonie istituzionali.
“Hinata…”  
La sua voce carezzevole suonò come un primo campanello d’allarme. Ma aveva deciso. Non si sarebbe arresa, avrebbe lottato perchè aveva bisogno di fare qualcosa per sè stessa.
“Non farei niente di pericoloso! Le missioni di grado C vengono assegnate anche ai genin, cosa potrebbe mai succedere?” 
Il biondo sospirò rumorosamente, poi chiuse l’anta dell’armadio con disarmante lentezza e si voltò verso di lei. I suoi occhi azzurri erano velati di tristezza, man mano che le si faceva incontro poteva distinguere con maggior nitidezza la patina lucida che li adombrava. 
Sobbalzò leggermente quando le posò una mano sulla guancia e le fece un sorriso storto.  
“Hinata, so di chiederti molto-” 
“Starei attenta!” coprì la sua mano con la propria, stringendola piano in un gesto rassicurante.
“Non ne dubito, credimi…”  unì la fronte a quella di lei, chiudendo gli occhi in un’apparente riflessione.
“Io… ne ho bisogno, Naruto” 
Una fioca speranza aveva appena iniziato ad accendersi, quando Naruto si allontanò da lei, girandole le spalle. 
“Mi dispiace. Non posso permettertelo” scosse il capo.
“N-non puoi?!” lo guardò incredula.
“Non posso lasciartelo fare. Se ti capitasse qualcosa io…”  il biondo si passò una mano sugli occhi, come a voler cancellare una dolorosa immagine. 
“A Sakura lo avresti permesso” 
Non seppe nemmeno da dove fossero uscite quelle parole, ma certamente sembrarono colpirlo perché alzò la testa di scatto. Era ferito e sorpreso al contempo. Chiaramente non si aspettava un’osservazione così tagliente. Non da lei.
“Hinata...”
“Lo neghi?”
“Hinata-”
“Lo neghi si o no?!” 
Era la prima volta che alzava la voce con lui. Forse la prima volta che lo faceva nella sua vita, a dire il vero.
Naruto si zittì. Chinò la testa con aria colpevole e frappose tra loro un pesante silenzio.
"Perché a lei si?”
In mancanza di qualsiasi cenno di risposta, una vampata di rabbia le incendiò le viscere. Si avvicinò a lui a grandi falcate e lo afferrò per la maglia scuotendolo.
“Perchè a lei si?!” 
“Smettila” la pregò lui, cercando di calmarla e tirarla in un abbraccio.
“Rispondimi!” si dimenò nella sua presa.
“Hinata, basta! Calmati” 
“Voglio sapere perchè a lei lo avresti permesso!” urlò disperata, riuscendo a sciogliersi dal suo abbraccio.
“Perchè Sakura è diversa! Non ha bisogno di protezione!” sbottò esasperato.
Hinata si portò una mano al cuore, stringendo la stoffa leggera del vestito. Gli occhi pallidi si riempirono di dolorose lacrime, che, tuttavia, si impedì di piangere. Abbassò il capo con un sorriso spento, prima di voltargli le spalle e lasciare la stanza, incurante delle sue scuse sussurrate. 

 

Istintivamente la mano tornò al petto. 
Aveva sempre creduto - stupidamente - che il cuore si spezzasse con un suono deciso. Crac. Ma quel giorno scoprì che, invece, lo faceva in assoluto silenzio. Un silenzio così assordante da farti desiderare intensamente che un qualsiasi rumore ti distragga dal dolore. Un muto boato, così forte da far fischiare le orecchie e tremare il corpo.
Era ironico che a frantumarlo fosse stato proprio colui al quale lo aveva donato senza riserve, né timore.  
“Sei qui” 
Sobbalzò impreparata, voltandosi di scatto nella direzione da cui proveniva la voce. Sasuke, imponente e silenzioso, le riservò un'occhiata apparentemente distaccata. Una leggera ruga sulla fronte, tuttavia, ne tradiva l’irritazione. 
Aveva dimenticato che, come accadeva ormai ogni giorno, l’Uchiha sarebbe passato per l’ora del tè. Era un tipo abitudinario, si presentava sempre alla stessa ora - le diciassette - spaccando il secondo, e probabilmente la rottura di questa routine doveva averlo infastidito. 
“Mi dispiace, Uchiha-san” 
I suoi occhi ossidiana e viola la scrutarono intensamente, al punto tale da farle pensare che avessero il potere di scavare in profondità, troppo. Distolse lo sguardo, ricomponendosi sulla panchina e raccogliendo le mani in grembo. Con sua grande sorpresa, Sasuke prese posto accanto a lei. Non disse una parola, ma al suo cuore ferito il messaggio arrivò forte e chiaro: lui era lì.
C’era qualcosa tra loro, qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. Galleggiavano in una sorta di limbo tra l’essere meri conoscenti e l’essere amici. Troppo vicini per la prima ipotesi  e, al contempo, troppo distanti per la seconda. Era quasi come se fossero attratti uno all’altra dal desiderio di non essere soli nella propria solitudine, come se insieme potessero trovare un momento di pace in mezzo al caos calmo delle loro esistenze.
“Allora?” 
Hinata si voltò verso di lui lentamente. Sedeva composto, con lo sguardo fisso davanti a sé e l’unico braccio poggiato sullo schienale della panchina. 
“Cos’ha fatto stavolta?” 
Sakura è diversa! Non ha bisogno di protezione
Le mani si strinsero sulla stoffa dell’abito grigio, mentre il capo si abbassava per la vergogna e gli occhi riprendevano a pizzicare. Rimase in silenzio, mordendosi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Cercò di calmare il respiro, tentando di ricomporsi davanti a lui, volendo disperatamente evitare di risultare la patetica persona che tutti credevano che fosse, terrorizzata di deluderlo.
Non sembrò funzionare. Le lacrime le rigarono il viso e, prima di crollargli di fronte, prima di gravarlo di un altro dolore, un dolore non suo, scattò in piedi chinandosi in segno di saluto.
“P-perdonami Uchiha-san, h-ho scordato un im-impegno” 
Si allontanò da lui, dapprima a passo svelto, poi correndo, incurante di quello che la gente avrebbe mormorato. Voleva andare a casa, non aveva più la forza per tenere insieme i pezzi. 
Si mosse veloce e traballante tra le strade affollate del Villaggio, non agevolata dalla vista annebbiata dal pianto, ignorando la sincera preoccupazione di qualche ambulante. Arrivata a destinazione, aprì con mani tremanti il portone d’ingresso e fece per imboccare le scale, quando una presa decisa sul polso la trattenne. Non ebbe il tempo di sollevare lo sguardo e vedere in faccia l’autore di quel gesto. Nell’istante successivo si ritrovò premuta contro un petto solido, coperto da un leggero maglioncino nero che profumava di menta. 
Non servì altro per capire. 
“Uchiha-san” mormorò rigida, trattenendo il respiro e le lacrime.
Sasuke lasciò la presa sul polso, portando la mano all’altezza della sua nuca e facendo una lieve pressione per tirarla più vicino.
“Va bene, Hyuga. Piangi” 
E lei lo fece.
Un singhiozzo le scosse le spalle. Poi un'altro e un’altro ancora, fino a quando non rimase di lei che un pasticcio tremolante, saldamente aggrappato a lui come ad un'ancora di salvezza.
Così, in un pomeriggio di metà ottobre, l’abbraccio di Sasuke Uchiha impedì ad Hinta Hyuga di rompersi in mille pezzi.




*François de La Rochefoucauld


Carissime,
scusate l'assenza ma è stato davvero un periodo difficile per me. Cercherò di proseguire ma non so con che tempistiche, perdonatemi! Intanto vi ringrazio di cuore per le recensioni e la vostra fiducia. Siete meravigliose e vi sono immensamente grata del sostegno!
Vi abbraccio forte.

Xine

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Capitolo 14
*** XIII. ***


XIII.

 

Hinata si guardò intorno. La Torre dell’Hokage sembrava spaventosamente affollata quel giorno. Gruppi di Jonin, squadre di piccoli Chunin e persino alcuni ninja speciali della squadra ANBU, riempivano corridoi e sale d’attesa.
Si accomodò su una poltroncina rivestita di stoffa blu, ricambiando timidamente il sorriso di Shizune. Sistemò il vestito, lisciando le pieghe formatesi sulla gonna in un gesto nervoso.
Era tesa e impaurita, eppure non ricordava l’ultima volta che si era sentita così viva. 
E doveva tutto a Sasuke.

 

Quando si guardò allo specchio per poco non scoppiò nuovamente in lacrime. Aveva un aspetto terribile: occhi lucidi e arrossati, viso gonfio e capelli spettinati. D’altronde aveva pianto ininterrottamente per un tempo incredibilmente lungo.
Sospirando aprì il rubinetto e si sciacquò il volto con dell’acqua fredda, tamponandolo poi con il morbido asciugamano. Aprì il cassetto sotto il lavello, estraendone una spazzola, e si pettinò velocemente, sciogliendo i nodi che si erano formati all’altezza della nuca, là dove si erano aggrovigliate le dita di Sasuke mentre la stringeva a sé.
Non erano mai stati così vicini prima. Avevano condiviso silenzi e confessioni, ma c’era sempre stata una certa distanza emotiva e fisica a separarli. Una barriera che sentiva essersi completamente frantumata in quell’abbraccio.
La sua timidezza, unita alle rigide regole imposte dal Clan, l’avevano portata a limitare il più possibile qualsiasi contatto. Erano pochi gli abbracci che ricordava e, ad essere onesta, erano tutti un po’ impacciati. Aveva impiegato mesi ad abituarsi persino al tocco di Naruto e, qualche volta, capitava ancora che non fosse in grado di gestire la sua affettuosità senza sobbalzare o risultare goffa. Con Sasuke era stato naturale, si era aggrappata a lui senza vergogna, affondando la testa nel suo petto e lasciando che la sostenesse. Era una presa ferma la sua, trasmetteva sicurezza senza però soffocare.  Un po’ come il loro strano rapporto. Un po’ come lui, del resto. 
Riprese a spazzolare i lunghi capelli indaco in un gesto di conforto, poi, quando si sentì un po’ meglio, lasciò il bagno e raggiunse il soggiorno. Si accomodò sul divano, portando le ginocchia al petto e chiudendo gli occhi nella speranza di trovare un po’ di sollievo dall’emicrania. Appena lo fece, tuttavia, l’immagine esasperata di Naruto si palesò con dolorosa nitidezza.
Sakura è diversa! Non ha bisogno di protezione

Nascose la testa tra le gambe, avvertendo nuovamente il desiderio di piangere. Eppure credeva di avere esaurito le lacrime.
“Tieni” 
Sobbalzò impreparata. Credeva che se ne fosse andato una volta entrata nell’appartamento, ma vederlo lì sciolse un po’ il magone che le appesantiva il petto.
Voltò il capo lentamente, trovandosi davanti una tazza fumante trattenuta da una mano grande e callosa. Percorse con lo sguardo il braccio muscoloso, le spalle, poi la pelle chiara del collo, la mascella ben definita e gli zigomi alti, fino ad arrivare alle familiari sfere onice e viola.
Allungò le mani, afferrando la tazza. Le dita si sfiorarono più a lungo del necessario, mentre i loro occhi rimanevano fissi, indissolubilmente legati gli uni agli altri. Fu quando il cuore perse un battito che finalmente Hinata, stupita e un po’ imbarazzata, si decise a mettere fine al contatto.
“Grazie, Uchiha-san” sussurrò, sentendo le gote farsi rosse.
“Sasuke” la corresse, prendendo posto sul divano.
Si ritrovò a sorridere scioccamente, felice dell’intimità che Sasuke le stava concedendo attraverso l’uso del nome.
“Sasuke” ripetè. Suonava bene.
Nella sala calò un familiare silenzio che, insieme al tepore del tè e alla rinnovata vicinanza tra loro, ebbe il potere di allentare la tensione e distendere i nervi. 
Con la coda dell’occhio sbirciò il ragazzo. Stava seduto compostamente, con l’unica mano adagiata sul ginocchio e lo sguardo fisso davanti a sé. Non le avrebbe chiesto nulla, avrebbe aspettato che fosse lei a decidere se parlare o meno dell’accaduto. Era così tra loro: nessuna forzatura, nessun obbligo. Nessun giudizio. Solo il desiderio di essere ascoltati e capiti. 
“Volevo riprendere le missioni. Speravo… di poter essere più di una casalinga.”
“E non puoi?” 
Hinata scrollò le spalle e un sorriso triste si formò sulle sue labbra.
“A quanto pare non sono all’altezza. Non sono Sakura 
Si pentì di aver parlato con tale disprezzo non appena le parole lasciarono le labbra. Sakura non le meritava e nemmeno Sasuke.
“Mi dispiace. - abbassò il capo mortificata - Non avrei dovuto-”
“Nasconderti all’ombra di Sakura non ti porterà da nessuna parte, Hyuga. - Sasuke la interruppe - Se vuoi riprendere le missioni, fallo e basta!” 
La sua voce, così calma e al contempo severa, sferzò nell’aria come uno schiaffo ben assestato. 
“N-non è così semplice!” 
Le riservò in risposta uno sguardo ironico che la ferì. Non se lo aspettava, non da lui. Lui tra tutti avrebbe dovuto capire come certe cose fossero fuori dalla loro portata, come prendere in mano la propria vita o decidere per sé non fossero azioni banali, non per chi si è rassegnato da tempo. 
Stizzita si alzò in piedi e posò la tazza sul tavolino di fronte al divano.
“Si è fatto tardi. Sono molto stanca ora…” 
Sasuke si alzò a sua volta con un’espressione evidentemente irritata. Le voltò le spalle spalle senza dire una parola e fece per lasciare la stanza. Poi, dopo un ripensamento, ritornò sui suoi passi e l’affrontò.
“Sei patetica” sibilò ad un palmo dal suo viso.
“Allora siamo in due!” rispose lei prontamente, senza distogliere lo sguardo.
“Attenta Hyuga” 
“Se è facile come dici - tornare a vivere, riprendere le missioni… - perchè non lo hai fatto tu stesso Sasuke?” 
“Perchè io sarò sempre un dannato traditore!” sbottò.
Hinata si zittì. Lo guardò scuotere il capo frustrato e passarsi la mano tra i lunghi ciuffi corvini in un gesto nervoso.
“Per quelli come me non c’è niente, Hyuga. Ma tu hai ancora una possibilità. Non lasciare che te la portino via”

 

“Hinata-chan!” 
Scuotendo il capo si ridestò dai propri ricordi, volgendo lo sguardo su Shizune, che le sorrideva indicando con un cenno la porta aperta dell’ufficio dell’Hokage. 
Per un attimo la determinazione vacillò e la paura prese il sopravvento tenendola ancorata alla sedia. Chiuse gli occhi e trattenne il respiro.
Non era facile tentare di riprendere in mano la propria vita. Era un po’ come farsi strada nella confusione alla ricerca della propria voce. Richiedeva di allontanarsi dalle voci degli altri, le stesse a cui si aveva dato il potere di prevaricare per paura di decidere, o di deludere, o semplicemente per comodità. Richiedeva di ritrovare il silenzio ed imparare di nuovo ad ascoltare il proprio cuore.
E il suo, nonostante il tamburellare frenetico nel petto, parlava chiaro. Il suo urlava di provare.
“Hinata-chan?” 
Riaprì gli occhi e si alzò in piedi, raggiungendo la gentile donna dai capelli castani.
“Sono pronta, Shizune-san” 
Con determinazione entrò nella luminosa stanza, trovando il ninja dai capelli argento ad aspettarla, compostamente seduto dietro la scrivania. 
"Hinata, la tua visita mi ha sorpreso. Va tutto bene?" domandò il Sesto.
Annuì vigorosamente nella sua direzione. Nonostante i buoni propositi iniziali, tutto d’un tratto le si era seccata la bocca e la voce non dava segnale di voler uscire.
Kakashi, confondendo l’agitazione con la sua nota timidezza, le sorrise teneramente come si fa davanti a un cucciolo smarrito. Come si fa davanti a chi suscita compassione.
“Allora, cosa ti porta qui? Naruto ha forse dimenticato un documento importante a casa?”
“Io… “
Cercò disperatamente le parole che aveva provato e riprovato dinanzi allo specchio di casa, accorgendosi in preda al panico di non ricordarne mezza. Avrebbe voluto scappare e tornare a casa, il suo posto sicuro e, al contempo, la sua gabbia dorata. Avrebbe voluto arrendersi senza neanche provare, ma non poteva. Lo doveva a sè stessa. Lo doveva a Sasuke.
Chiuse gli occhi tentando di farsi forza e inspirò profondamente. Poi parlò.

“Sono venuta per chiedere di essere reintegrata come ninja attivo" 
L’espressione del ninja copia mutò velocemente dalla premura alla più austera serietà.  Rimase in silenzio per diverso tempo, nascondendo la parte inferiore del viso dietro le mani intrecciate in contemplazione.
"Cosa ti ha portato a cambiare idea?" esordì finalmente.
Avrebbe voluto dirgli la verità, che non era mai stata una sua idea, che suo padre e Naruto avevano deciso per lei. Ma non lo fece. Non sarebbe servito allo scopo. 
"Vorrei rendermi utile, Hokage-sama"
L’Hatake annuì, studiandola con minuziosa attenzione, cercando in lei qualsiasi indizio rivelatore. Hinata sostenne il suo sguardo, compensando l'apparente determinazione di esso con il frenetico movimento delle mani, rigorosamente congiunte - nascoste - dietro la schiena.
"Come potrai immaginare non posso accettare la tua richiesta senza prima parlarne con il Consiglio. La tua posizione è alquanto… - Kakashi si interruppe, valutando attentamente come proseguire - … delicata"
"Non intendo prendere parte a niente di pericoloso Hokage-sama” aggiunse nervosa. 
Il Sesto annuì per la seconda volta, lasciando, tuttavia, che sul volto stanco risultasse evidente l’improbabilità di una responso positivo. Era certa che di lì a poco l’avrebbe liquidata con un formale ‘ti farò sapere’, a cui sarebbe seguita una fredda lettera di rigetto dovuta all’assenza, per ironica casualità, di impieghi idonei. 
Abbassò il capo, sentendo le lacrime pizzicare per la bruciante consapevolezza del fallimento. Quanto meno ci aveva provato, no?
"Hinata, ti manderò-"
D’improvviso, si ritrovò davanti agli occhi lo sguardo rassegnato e triste dell’Uchiha.

Per quelli come me non c’è niente, Hyuga. Ma tu hai ancora una possibilità. 
Drizzò la schiena e sollevò il mento con rinnovata sicurezza. Forse la sua possibilià era lui.
“Uchiha-san verrebbe con me!”



 

Carissimi/e,
sono tornata! Lo so, vi ho lasciati in sospeso per un bel po' ma è stato un periodo particolarmente impegnativo a livello personale. Spero che possiate ancora aver voglia di leggere e farmi sapere cosa ne pensate. Per me è molto importante! E grazie a tutti per il supporto/affetto che mi avete dimostrato, anche attraverso messaggi privati. 
Vi abbraccio forte.

A presto

Xine

 

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