Hunger For Pain

di vitt0ria_505
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Nightmare, cigarette and eyes - ***
Capitolo 2: *** - Door, night e red eyes - ***
Capitolo 3: *** - Arithmetic, a boy and a letter - ***
Capitolo 4: *** - Old, home and a wood - ***



Capitolo 1
*** - Nightmare, cigarette and eyes - ***


Alhena era stanca degli incubi.

 


 
 

Quasi ogni notte rivede quegli occhi rossi, ed era come avere Freddie Kruger ogni notte tra i piedi. Probabilmente aver lui tra i piedi sarebbe stato anche meno brutto, d'altronde, a differenza di quello, lui era solo un'invenzione cinematografica. Voleva avere solo le capacità per spegnere il cervello la notte. Voleva smettere di scappare dai suoi incubi, e dimenticare tutto. Non voleva più sentire sentire il vuoto nello stomaco, e le budella che si contorcevano.


 
 

Sotto di lei invece, sempre il solito tunnel scuro e infinito. Lo strapiombo ai suoi piedi è solo la bocca dell'inferno pronta ad inghiottirla se solo decidesse di varcarla. Se chiude gli occhi e trattiene il respiro abbastanza a lungo, finirebbe con lo stordirsi abbastanza, tanto dal dimenticare quello che è successo. Il sangue, il fumo, il buio e i corpi esanime e gli occhi rossi.


 
 

Sarebbe solo un lontano ricordo, assieme a quelle due pozze rosse. Che non vanno via e non lasciano scelta, non come dicono di fare, quantomeno.


 
 

Poi però la svegli inizia a suonare, costringendola a svegliarsi e abbandonare la dolce sensazione del sonno, per quanto odiasse dormire e sognsre, non lasciandole continuare la sua poetica, o patetica, dipende sempre dai punti di vista, autocommiserazione. Stronzate, non è la suoneria ad averla fermata dallo schianto, ma il suo essere così codarda.


 
 

Ma non può, glielo deve. E glielo ricorda l'odore, ne annusa la morte ogni giorno.


 
 

L'inferno la guarda dal basso, ormai. promettendomi il paradiso, finalmente. Ma adesso tutto è sbiadito e i suoi occhi si stanno per aprire.


 
 

Ma questo, ella crede dipenda dai punti di vista. E se in quel caso fosse, che mortepatetica.


 
 

Si, Alhena era stanca degli incubi.


 
 

Non entrava in quell'istituto da poco più di un anno, e non trovava più nulla di familiare in quel posto. La facciata era stata ridipinta, e al posto del giallo scolorito e trasandato, adesso vi era un grigio che sembrava staticizzare tutto. Le bandiere erano ancora presenti, ma più che un high school sembrava un carcere minorile a sè. Come con un flash, pensò che I suoi vecchi compagni si erano tutti diplomati, e l'ultima volta che li vide fu ai funerali. Era arrivata presto, d'altronde svegliandosi all'alba aveva il tempo materiale per fare tutto con la calma. 


 
 

Il sole ormai era alto nel cielo, stranamente limpido, ed era sicura che le lenti dei suoi occhiali si erano tinte di nero. Poi guardò velocemente l'orario nel telefono, aveva ancora il tempo di una sigaretta. Cacciò le mani dentro la tasca della tracolla e ne tirò fuori un accendino e il pacchetto rosso di sigarette, estraendone una e mettendola fra le labbra. Poi, con un movimento veloce, strofinò il dito sull'accendino, facendone fuoriuscire la fiamma, accese la sigaretta. Il cortile iniziò ad affollarsi di ragazzini e ragazzi di ogni età, ed era impossibile per gli altri notarla, nascosta dove era. Poco dopo la sigaretta si spense, e finalmente decise di incamminarsi verso l'ingresso. Mancavano pochi minuti al suono della campana, e si diresse velocemente verso l'ingresso, anche se una volta entrata si maledì mentalmente per non essere rimasta al suo posto. Si sentì bruciare dagli sguardi incessanti, concentrati su di lei. Si guardò attorno con la coda dell'occhio, camminando più lentamente, senza accorgersene, e se prima le urla e le risate sguaiate riempivano l'atmosfera, ora il silenzio era calato come un macigno su di esso. Non guardò nessuno in faccia, ma il clima che si era creato le dava a pensare, o immaginare, fosse stato per quello.


 
 

Si sentiva in profondo imbarazzo e in soggezione, così cercò in ogni modo di distaccarsi da quella situazione, iniziando a camminare sempre più velocemente, per poi rifugiarsi nel all'interno di quelle mura.



Sapeva perché la stavano fissando così insistentemente tutti, e la cosa peggiore era quella.



Chiuse la porta e lasciò andare la maniglia fredda e grigia, guardando con la fronte corrucciata, ancora dai vetri verso l'esterno. Non avevano smesso, l'avevano seguita con lo sguardo fin dentro la scuola.



Dopo aver lasciato andare la maniglia fece qualche passo indietro e facendo sfrecciare lo sguardo da una parte all'altra, cercando la segreteria.


 
 

Si era sentita un fenomeno da baraccone.


 
 

"Scusi, è lei la signorina O'Manor?" Una donna completamente vestita di azzurro, sbucò fuori dall'entrata di un gabbiotto di metallo richiamandola, attirando la sua attenzione.



I capelli rossi e raccolti creavano uno strano effetto visivo e un contrasto piuttosto singolare, alternato al colore dei suoi stessi vestiti. <> vi era scritto nel cartellino attaccato al suo tallieur.


 
 

"Si, salve" disse piano, avvicinandosi alla piccola struttura. Piccola, in confronto alla grandezza dell'istituto.


 
 

"Bene, l'aria stralunata dei nuovi alunni non mente mai. In ogni caso, ha fatto bene ad entrare prima, si avvicini pure" disse severa, varcando la porta, seguita da lei, che restò all'entrata, per non essere o sembrate invadente.


 
 

"Oh... beh, si" rispose annuendo, mentre la donna metteva le mani fra scartoffie e fogli impilati una sugli altri. Poi, prese un fascicolo della copertina blu e semplice, estraendone due fogli, che uní con una spillatrice tascabile nera.



Tutto lì dentro era familiare, ma era completamente cambiato tutto, e non ricordava neanche che in quel gabbiotto fosse stato collocato sempre lì.


 
 

"Prego, tenga" le porse l'oggetto, per poi puntare il dito su di esso.


 
 

"Quí ci sono i suoi orari, definitivi, con le aule. Dietro trova la piantina della scuola, so che l lei era già una nostra studentessa, ma con il restauro è cambiato tutto. Infondo, c'è il numero della nostra segreteria e della scuola. Ecco tutto, non si può sbagliare" continuò spostandosi.



"Buona giornata" la congedò con un formale sorriso.


 
 

Si rigirò i fogli fra le mani.


 
 

<<1° ora: Piano 1, aula E7>> lesse.


 
 

"Caccia al tesoro, fantastico" disse sussurrando e sospirando. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse, e voleva rifugiarsi in aula prima che la scena di poco prima in giardino si ripetesse, e stavolta all'interno della scuola.


 
 

Le prime due ore fu un fantasma, nessuno la notò nel suo posto infondo alla classe. O quasi, fatta eccezione per le presentazioni che dovette fare ai suoi nuovi professori. E adesso era finalmente sola, chiusa in un posto squallido come il bagno, ma sola. Doveva abituarsi di nuovo a quella routine,  sperava anche di non doversi abituare agli sguardi incessanti e indagatori dei ragazzi in quella scuola. Solo quando tirò lo sciacquone e uscì dal piccolo bagno si rese conto che nessuno le avesse detto quale armadietto avrebbe  occupato da quel giorno in poi. 


 
 

Il suo cellulare ben nascosto in una delle tasche laterali della sua felpa iniziò a vibrare, avvertendola dell'arrivo di un messaggio. Alhene si appoggiò al muro del corridoio deserto e che profumava di candeggina, rimettendosi su una spalla la tracolla nera e tirando fuori il cellulare. Il nome di Francis si era illuminato nel blocco schermo del telefono, e preoccupata fosse successo qualcosa, lo sbloccò in un secondo, lasciando che il contenuto del messaggi potesse esser letto dalle anteprime. 


 
 

<> due parole, quattordici sillabe, una frase di senso compiuto che le procurava rabbia. Sapeva sarebbe finita così, era stata avvertita più volte di non sperarci troppo, e aveva fatto di tutto affinché non venisse completamente cestinato. Ma era stata presa di sprovvista, tutto troppo velocemente. Anche l'ultimo pezzo di speranza acceso in lei adesso era completamente spento. Adesso non c'era più nulla che avesse potuto fare.


 
 

 

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Capitolo 2
*** - Door, night e red eyes - ***


Chiuse con forza la porta dietro di lei, lasciandosi dietro il primo giorno, pessimo, del suo ritorno a scuola, condito anche dall'ultima, ottima, notizia.

Ormai era pomeriggio inoltrato e in casa non ci sarebbe stato nessuno fino a tarda sera. Salì le scale a chiocciola velocemente, arrivando direttamente in camera sua. Afferrò il computer bianco sopra la scrivania, o ciò che aveva improvvisato in questa, e si gettò con esso sul suo letto. Le era mancato il suo caldo rifugio, ma che di notte la teneva sul filo del rasoio, in bilico tra il vuoto e la salvezza. Aveva capito come funzionava ormai, e gli ingranaggi della storia ormai li conosceva fin troppo bene. 

Eppure nessuno aveva indagato fino in fondo, piuttosto, era successo solo il contrario. Sapeva che nessuno le avrebbe creduto, nonostante tutto. Ricerche su ricerche non avevano portato a nulla, eppure non demordeva, e stava per dare il via alla sua solita sessione di investigazioni, che sarebbe finita sicuramente con ancora un buco nell'acqua. 

Tornava sempre sulle stesse pagine , cercando qualche dettaglio che avrebbe ribaltato la situazione. 

"Presunto incidente autostradale, la morte si porta via due dei nostri più onesti cittadini di Phoneix. Le tre vittime dentro la loro vettura percorrevano, il percorso boschivo presso il prestigioso quartiere di Monteal 8. A perdere la vita sono entrambi i coniugi O'Main, la coppia di astronomi. A restare indenne, è fortunatamente, invece la loro unica figlia, la diciassettenne Alhene O'Main (...)  Aspettando nuove notizie, noi del Daily on Phoneix rivolgiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia dei nostri cittadini"               -01/02/

Aveva perso il conto, di quante volte aveva letto quell'articolo. Era uscito pochi attimi dopo la notizia, ma non menzionava affatto gli altri componenti presenti nella scena dell'incidente. Nè in questo, nè in altri articoli. Eppure era strano. Eppure anche lei era lì.  Aveva provato con un approccio razionale, nella sua investigazione, ma non aveva ottenuto e trovato nulla.

Eppure conosceva il risultato fin dall'inizio. Non poteva applicare la razionalità in qualcosa che sapeva già inizialmente fosse tutto tranne che umano o razionale. Ma d'altronde, non poteva dare per certo nemmeno quell'ipotesi, anche se era sicura di aver visto e sapere tutto. Era anormale anche per lei pensare che un serpente e un lupo, di dimensioni fuori dal normale, avessero attaccato i suoi genitori, come se niente fosse.

Iniziò a digitare qualcosa, e poi la cancellò, indecisa se continuare o voler scoprire altro. Finalmente si decise, e scrisse sulla barra di ricerca la prima cosa che le passò per la testa. 

"Serpenti Di Grandi Dimensioni" fu un grande sacrificio, per lei, guardare e scorrere immagini di serpenti, da quel giorno la sua più grande fobia.

I risultati furono piuttosto deludenti, tranne per una specie chiamata "Tintaboa". Ma Google, una volta accesa la speranza, ci tenne a ricordarle di essere ormai estinto da sessanta milioni  di anni prima, e tra l'altro, in America Meridionale. 

"Bene, più lontano non si può" sussurrò, portandosi le mani in faccia, e si girò di lato, poggiando il computer nel letto, e accucciandosi a sè stessa. Aprì gli occhi solo per guardare l'orario,e notò che aveva passato più di due ore a cercare ininterrottamente. Le palpebre si fecero sempre più pesanti e senza accorgersene si addormentò. Non prima di aver guardato la foto sul sul comodino, ed essersi lasciata andare una lacrima.

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"Tesoro, ti sei divertita?" Le chiese Sua madre, o almeno, il suo ricordo. L'unica cosa bella di tornare indietro la notte era rivederla.
"Si, insomma. Dire divertirsi è dire tanto" rispose appoggiando la testa sul finestrino, che le faceva tremare e battere il viso su di esso ad ogni scossone.

Suo padre nel frattempo, al posto del passeggero, si teneva ritto sul posto e con il braccio destro afferrava la maniglia di sicurezza sul tettuccio dell'auto.

"Potresti guidare un po'più piano? Con te alla guida ho paura" affermò con gli occhi spalancati.

"Piano, più piano di così? Siamo in un tornante e cammino a cinquanta" disse girandosi verso di lui, canzonandolo.
Poi, accese la radio sporgendosi in avanti con fatica, data la cintura di sicurezza.
La sua mano appoggiata sul suo mento la teneva sveglia e dritta, mentre osservava lo spazio boschivo al suo lato. Si faceva sempre più fitto e buio, segno che stavano per uscire dal percorso secondario di montagna.

"Dai, su! Perché non va?" Sua madre disse affranta, mentre la radio continuava a non prendere il segnale.

"Direi che è il momento di tenere entrambe le manu sul volante.l, Ann"

Era incredibile come da lì, non si riuscisse a vedere nemmeno il cielo, ed era altrettanto incredibile come in una strada come quella non vi fosse nemmeno un lampione che illuminasse la strada. I fari dell'auto illuminavano il sentiero fangoso e umido reso tale dalla pioggia.

"Com'è andata Alhena? Fammi pensare a qualcos'altro, se guardo ancora un po' la strada e tua mamma guidare, potrebbe venirmi un attacco di panico" le chiese suo padre, mentre continuava a tenersi nella maniglia e si stringeva la cintura di sicurezza al petto, chiudendo gli occhi e pregando mentalmente.

Ogni sera tutto succede così velocemente.

I suoi occhi si stavano per chiudere, cullati dal movimento dell'auto e dalla musica ella radio, ma un rumore paralizza i tre e fa sussultare la ragazza  La macchina si ferma, la spia si accende.

"Ma che-" nemmeno il tempo di pronunciare più di due parole, che la donna di fronte a lei emette un urlo, e quasi non si accorgo che entrambe le portiere vengono violentemente spalancate dall'esterno, e assieme a loro i corpi dei due genitori volano e si trascinano ai piedi dell'auto. Piccoli e gemiti esanimi si diffondono nel silenzio, mentre la macchina si spegne e la luce viene completamente tolta.

"Mamma! Papà!" Urlò cercando di raggiungerli, le portiere posteriori erano bloccate, e con uno scatto si portò in avanti, scavalcando il sedile del passeggero davanti. Si gettò accanto a loro, piegandosi in due. Guardandoli con terrore, adesso l'unica a emettere qualche sospiro è lei, dopo essere rimasta in apnea. Li guardò, entrambi distesi per terra con la bocca e gli occhi spalancati, sentì la bocca asciutta. Le gambe si facevano molli e gli occhi si appannano, non emettono un rumore e non si muovono, non rispondono ai miei richiami. Le gambe non rispondevano ai suoi comandi. D'istinto, infilò la mano nella tasca della sua gonna, afferrando il cellulare e digitando il numero di emergenza.

"Aiuto, cazzo! Qualcuno mi sente?" la gola bruciava, come i suoi occhi che cercavano disperatamente qualche spiraglio di salvezza a cui aggrapparsi, mentre il cellulare non squilla.

"Salve, ha bisogno di aiuto?" una voce metallica risponde al cellulare.

"Mi aiuti la prego- urlò, asciugandomi le lacrime con la manica della mia giacca - sono ferma nel bel mezzo del sentiero all'inizio del bosco, i miei genitori...cazzo aiutatemi!" Il cellulare le vol8 via dal palmo della mano e così la chiamata s'interruppe, con tutte le sue sperò forze che qualcuno l'abbia sentita.

I rumori ricominciarono, più forti di prima, poi si placano, e qualcosa inizia a sgusciare fuori dal cespuglio al lato della strada, serpeggiando velocemente e puntando a lei in ginocchio. Un paio di squame di un verde scuro, misto al nero del buio sguazzano da una parte all'altra e si muovono repentine, mentre La paura la paralizza. Il corpo non risponde ai comandi, quei due occhi rossi la scrutano attentamente, cercando di prevedere ogni sua azione. Mentre lei resta ferma, lì.>>

 

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Capitolo 3
*** - Arithmetic, a boy and a letter - ***


Aritmetica in prima ora, è legale come cosa?

Eppure per sua grande sfortuna, il foglio davanti i suoi occhi parlava chiaro, così tra uno sbuffo e un sospiro, e tra le occhiate curiose e insistenti che le rivolgevano gli altri studenti, si diresse verso il gabbiotto del giorno prima. Aveva ancora qualche minuto libero.
Bussò qualche volta, la porta era chiusa e vide che l'interno era oscurato mentre si avvicinava con una mani sulla fronte, evitando la luce.

"Solitamente funziona l'inefficienza, in questa scuola"

Una voce maschile la raggiunse, e
Sentì qualcuno arrivare al suo fianco, ma non si voltò e continuò a cercare forme di vita, facendo guizzare lo sguardo da una parte all'altra.

"Si, insomma, me ne ero dimenticata. Pensavo fosse migliorata, la situazione intendo" si lasciò scappare, quando capì che non c'era davvero niente da fare e nessuno, si girò verso la persona accanto a lei. Era un ragazzo, e di questo se ne era accorta quando aveva aperto bocca. Si passò una mano tra i capelli corti e castani, mentre con l'altra teneva sottobraccio uno skateboard imbrattato.

"Ti serviva qualcosa?" Le chiese gentilmente.

"Con tutta onestà di qualcuno, la signora dai capelli rossi, di cui ho dimenticato il nome, a sua volta ha dimenticato di darmi delle informazioni"

"Scusa, posso?" Di rimando le chiese il ragazzo, mentre indicava il foglio che teneva in mano.
La ragazza annuì, e lo vide poggiare la tavola a quattro ruote a terra, alzata contro il muro, e prendere il foglio ed esaminarlo.

"Hai due opzioni: aspettare qui o provare a chiamare il numero della segreteria. Guarda, è proprio qua sotto. E personalmente, ti consiglio la seconda opzione." Proferì qualche secondo dopo aver letto il foglio.

"Il numero...me ne ero completamente dimenticata, ti ringrazio" disse sinceramente, aggiustandosi la lunga tracolla in spalla.

"Dovere. Sei nuova, giusto?" Le chiese riprendendo il suo skateboard.

"In teoria, in pratica no. Ero già iscritta qui, anni fa, ma sono stata bocciata e ho abbandonato"

"È stata una domanda idiota, in realtà, credo sia impossibile non conoscerti. Qua le voci girano velocemente, e qui sono ancora tutti in fermento" disse, guardando un ragazzino che mentre camminava teneva gli occhi fissi su di lei.

"Si, e questa cosa inizia a darmi parecchio sui nervi. Fanno sempre così?"  infilò entrambe le mani nella felpa nera, e si scostò dal muro bianco.

"Beh... Insomma, è perché in questo posto tu puoi tranquillamente essere considerata una leggenda. Immagino sia per questo."

Alzò un sopracciglio, confusa dal nome che il ragazzo le aveva appena affibbiato.

"Leggenda?"

"Si, scusa per l'appellativo, ma era per spiegare" disse e si voltò dall'altra parte, imbarazzato. "Comunque," continuò, prolungando la o nella parola "in che classe ti hanno messa?"

"5 H"

"Fantastico, ci conviene andare. Abbiamo aritmetica in prima ora, è legale?"
: Era un ragazzo, e di questo se ne era accorta quando aveva aperto bocca. Si passò una mano tra i capelli corti e castani, mentre con l'altra teneva sottobraccio uno skateboard imbrattato.

"Ti serviva qualcosa?" Le chiese gentilmente.

"Con tutta onestà, di qualcuno più che altro. Laa signora dai capelli rossi, di cui ho dimenticato il nome, a sua volta ha dimenticato di darmi delle informazioni"

"Scusa, posso?" Di rimando le chiese il ragazzo, mentre indicava il foglio che teneva in mano.
La ragazza annuì, e lo vide poggiare la tavola a quattro ruote a terra, alzata contro il muro, e prendere il foglio ed esaminarlo.

"Hai due opzioni: aspettare qui o provare a chiamare il numero della segreteria. Guarda, è proprio qua sotto. E personalmente, ti consiglio la seconda opzione." Proferì qualche secondo dopo aver letto il foglio.

"Il numero...me ne ero completamente dimenticata, ti ringrazio" disse sinceramente, aggiustandosi la lunga tracolla in spalla.

"Dovere. Sei nuova, giusto?" Le chiese riprendendo il suo skateboard.

"In teoria, in pratica no. Ero già iscritta qui, anni fa, ma sono stata bocciata e ho abbandonato"

"È stata una domanda idiota, in realtà, credo sia impossibile non conoscerti. Qua le voci girano velocemente, e qui sono ancora tutti in fermento" disse, guardando un ragazzino che mentre camminava teneva gli occhi fissi su di lei.

"Si, e questa cosa inizia a darmi parecchio sui nervi. Fanno sempre così?" infilò entrambe le mani nella felpa nera, e si scostò dal muro bianco.

"Beh... Insomma, è perché in questo posto tu puoi tranquillamente essere considerata una leggenda. Immagino sia per questo."

Alzò un sopracciglio, confusa dal nome che il ragazzo le aveva appena affibbiato.

"Leggenda?"

"Si, scusa per l'appellativo, ma era per spiegare" disse e si voltò dall'altra parte, imbarazzato. "Comunque," continuò, prolungando la o nella parola "in che classe ti hanno messa?"

"5 H"

"Fantastico, ci conviene andare. Abbiamo aritmetica in prima ora, è legale?
" E rise all stessa cosa che aveva pensato lei.

Il giorno dopo era riuscita ad ottenere finalmente una combinazione e un armadietto chiamando la direzione scolastica. Quasi si meraviglió del fatto che funzionasse davvero, come le aveva proposto il ragazzo che aveva conosciuto il giorno stesso. Per di più, un suo compagno di classe.

Era lo stesso armadietto che occupava negli scorsi anni, o così le avevano detto. Lei aveva rimosso completamente quel ricordo.

Due giorni dopo, invece, la situazione non era cambiata: quando passava gli occhi erano fissi su di lei, ma almeno adesso, per quanto fosse impossibile, ogni tanto se ne dimenticava. Ancora sue giorni Dopo, nessuno di azzardava a parlarle, eccezion fatta per il ragazzo che aveva incontrato davanti il gabbiotto, piuttosto la guardavano come fosse un alieno. Adesso riusciva a ricordarsi il tragitto per le sue aule e quello per il suo armadietto. Ubicato in uno dei corridoi più isolati, l'ultimo della sua fila, tra un estintore e un'altro armadietto. Mentre era di fronte ad un murales ancora incompleto, in cui veniva rappresentato e riproposto un disegno rupestre che probabilmente risaliva al periodo storico del paleolitico.

Così con un bicchiere di caffè si diresse verso di esso, pronta a svegliarsi del tutto con una grande dose di caffeina.

4...8...2...9...3

Girò velocemente la piccola manopola, seppur con attenzione, dato che provava a ricordarselo.
Lo scatto e l'armadietto verde che scattò e di aprì la fece esultare internamente.

Lo aprì e poggiò dentro di esso i libri che teneva nella sua grande tracolla nera r mentre stava per richiuderlo si bloccò.

Era per lo più vuoto, non aveva ancora provveduto ad occupare lo spazio, ma non si era accorta dalla busta nera stropicciata e bloccata tra i due spazi liberi all'interno dell'armadietto. Si guardò intorno, pensando a chi potesse avercelo messo lì dentro.

Le cadde per terra, ai suoi piedi, e prima di calarsi e raccoglierla, la guardò dall'alto, chiedendosi cosa fare ma soprattutto chi gliela avesse mandata.

Il suo sesto senso le urlava ai guai, la sua curiosità, invece, come una pettegola, le sussurrava  di aprirla.
Maledetta curiosità, arma di autodistruzione per l'uomo e per lei, che ne era la prova vivente.
Poi si wistemò e lasciò la tracolla a terra e la raccolse, abbassandosi fino a prenderla tra le mani.

I suoi polpastrelli erano sopra la carta liscia e poco spessa. Poi, lentamente, l'aprì, sigillata da un pezzo di nastro adesivo trasparente, ormai fattasi curiosa, ed estrasse il foglio bianco dentro. Si continuò a guardare ogni tanto intorno o dietro di sé, non sapendo nemmeno per cosa, quasi come fosse una paranoia, una cosa che nessuno avesse mai dovuto scoprire.
Ripose la busta nella tasca della felpa, mentre restò a guardare il foglio.

Era completamente bianco e vuoto, eccezion fatta per due frasi poste in alto alla sinistra del foglio.

"11.00/ bosco sul retro della scuola"
Sbatté qualche volta gli occhi, non capendo il perché di quel presunto messaggio. Eppure era chiaro cosa avesse dovuto fare o dove andare.

Velocemente ripose tutto dentro il suo armadietto, abbandonando la lettera là dentro e sperando di dimenticarsene.
Internamente malediceva la sua curiosità, e dopo essere rimasta qualche secondo davanti il suo armadietto, ingoiò il groppo alla gola, e mosse finalmente i primi passi indietro, andando nella direzione opposta, lasciandosi alle spalle il corridoio lungo e vuoto.

Entrò in classe, attirando su di sè tutti gli sguardi dei presenti, e solo in quel momento si rese conto di essere in ritardo. Balbettò velocemente delle scuse al rimprovero dell'insegnante di storia presente, prima di correre e sedersi in uno dei posti liberi alla fine della classe. 

Riuscì a capire l'argomento della giorno, e trafficò dentro la borsa, prendendo un foglio e una penna e iniziando a prendere appunti. Quest'anno era decisa a prendere il diploma e sparire dalla faccia di Phoneix. Un piccolo brusio le arrivò alle orecchie, e di scatto, si girò verso la fonte del rumore girandosi. Si ritrovò dietro di lei l'unica persona che da quando era arrivata in quella scuola, le avesse rivolto la parola. 

"Hey, scusa, avresti una penna in più? Mi è improvvisamente morta" le sussurrò, avvicinandosi a lei per quanto potesse, dato il banco e la che li separava. 

"Si, certo...prova questa" gli rispose gentilmente e porgendogli l'oggetto. Era stato gentile con lei dal primo giorno, e per quanto fosse diffidente, si sentì quasi in dovere di restituire il favore.

La ringraziò, facendo un cenno con la testa e sorridendole, poi abbassò gli occhi verso il foglio e continuando a scrivere, mentre lei si voltò verso la cattedra. Restò qualche secondo ferma, con le mani tra le gambe a riscardarle, poi di scatto si voltò verso di lui. 

"Comunque...io sono Aelhena" continuò, guardando fisso il pavimento, in imbarazzo. 

"Si, credo di saperlo" rispose ridacchiando, "piacere mio, io sono Peter, comunque" poi le tese la mano e la lasciò dritta di fronte a lui, aspettando che la ragazza l'afferrasse. Seppur fosse in quella scuola solo per recuperare gli anni persi, avere qualcuno con la quale scambiare ogni tanto una parola o due, non le dispiaceva. Ritornare in quella scuola era stato un declino, oltretutto era un ritorno alla società, dopo quasi due anni in una sottospecie di reclusione, nella quale non faceva nulla se non dormire di giorno e lavorare la sera. In cui Maya era l'unica persona con la quale, nonostante tutto, continuava a parlare.

Gli prese la mano, stringendola, e ricambiando il sorriso.

"Voi due là sotto, silenzio!" la loro discussione, ormai conclusa, venne interrotta dal professore, che con una mano sosteneva il libro e con l'altra teneva un gessetto bianco con la quale ogni tanto, scriveva e faceva stridere la lavagna nera.

Si guardarono un'ultima volta ridendo, poi, entrambi tornarono con la testa china ognuno sul proprio banco. Ognuno ascoltando la lezione, apparentemente. Nella testa di Aelhena compariva la frase scritta sulla busta che era stata lasciata nel suo armadietto, non sapendo cosa fare.

 Ormai, come da prassi e come ogni giorno, percorreva il vialetto di casa di ritorno da scuola. Sempre se poteva considerarla casa. Con God Am che le risuonava alle orecchie, calpestando i ciottoli e calciandoli ad ogni suo singolo passo. Mise la mano dentro la tasca posteriore della tracolla, prendendo il mazzo di chiavi e cercando quella con il segno giusto. Poi si tolse l'auricolare destro e inserì la chiave nella serratura, rigirandola tre volte in senso orario. Quando la porta fu aperta la prima cosa che vide fu Francis armeggiare e destreggiarsi davanti la cucina, e quando il cigolio fu ben udibile, la donna si girò verso di lei.

"Buongiorno Al!" la salutò sorridendo. La ragazza ricambiò il suo saluto e si avvicinò all'appendiabiti, poggiando in terra la borsa e togliendosi le sneakers.

"Vuoi una mano con il pranzo, Francis?" le chiese avvicinandosi a lei e poggiando le mani in avanti sul tavolo. 

"No, tranquilla tesoro. Tuo zio sta per arrivare, ed è già pronto, tanto. Puoi farmi solo il favore di chiamare Monroe? E' nella mansarda" le chiese mentre girava il cucchiaio nel grande pentolone sui fornelli. Annuì iniziando a salire le scale a lato della stanza, ma la voce del ragazzo che era stato appena nominato le interruppe, apparendo dalle scale, in tuta da ginnastica nera e bianca.

"Mi fischiavano le orecchie, così son venuto a controllare di persona che nessuno stesse parlando male di me..."

Le due si guardarono in faccia ridacchiando, mentre il ragazzo dai capelli ricci e folti le passava accanto toccandole e prendendo una ciocca dei suoi capelli neri, attorcigliandosela fra le dita. Prima che potesse continuare gli colpì leggermente la mano con uno schiaffetto. Lui ritrasse la mano, tenendola come se l'avesse gravemente ferito, con l'orgoglio ferito scritto sulla faccia. Lo ignorò e si andò a sedere nel piccolo divano rosso. A guardarla quella casa era una cozzaglia di cose e stili diversi, a partire dal frigorifero anni 70' blu e lucido. Ma era anche una cozzaglia di persone, in cui una non c'entrava nulla con l'altra, non si ci capiva nulla, ma la convivenza con loro non la disprezzava.

Se non fosse per loro sarebbe chiusa ancora nella sua stanza, nella sua casa, sempre sola e fuori dal mondo. Conviveva con loro, ma ogni tanto aveva bisogno di ritornare, in quella che lei chiamava e considerava la sua tana.

Francis e suo zio, Alex, che considerava più un amico per l'età, l'avevano quasi costretta a passare qualche giorno a settimana con loro, a loro dire per semplice piacere di averla tra i piedi, ma non riusciva a non immaginare altre intenzioni dovute all'effetto e alla compassione quasi, nei suoi confronti.
Coppietta giovane e innamorata, a volte vomitevolmente sdolcinata. Francis con i suoi modi gentili di fare e il suo temperamento, le era stata fin da subito simpatica. Pur non avendo con lei un legame familiare, si comportava da sorella maggiore, come Alex d'altronde, con la differenza di qualche anno di età.

Monroe invece era un'incognita. Lui c'era, ma non si sapeva il perché. C'era da sempre, letteralmente parlando. Spuntava ogni tanto quando sentiva l'odore del cibo appena cucinato e poi ritornava a farsi i fattacci suoi, tra CD e tutorial di iniziazione allo yoga con annesse posizioni.
Monroe invece era un'incognita. Lui c'era, ma non si sapeva il perché. C'era da sempre, letteralmente parlando. Spuntava ogni tanto quando sentiva l'odore del cibo appena cucinato e poi ritornava a farsi i fattacci suoi, tra CD e tutorial di iniziazione allo yoga con annesse posizioni.

Guardava da lontana quella scena, come se non ci fosse lei davanti.
Inserí la mano in cerca del telefono, non trovandolo ma sentendo solo la superficie liscia del foglio di quella mattina.
Sospirò, che aveva da perdere? Finalmente riuscí a ritrovare il suo cellulare e una volta accesso si ritrovò un paio di messaggi. Mittente? La sua amica, Maia.

Tutti messaggi in cui le chiedeva se fosse viva e in cui le raccontava come andavano i primi giorni a Londra. Si era diplomata un anno prima, mentre lei dopo l'incidente si faceva bocciare a ripetizione.
Aveva avuto l'occasione di mollare tutto e andare via da quella città pietosa.

Proprio in quell'istante, la vibrazione del cellulare la scosse, avvertendola di una nuova notifica.

"Sei un caso perso. Da cestinare. Visto? Se fossi lì e non ti avessi lasciata adesso mi sentirei in colpa. Sono sicura che non mi rispondi perché sei arrabbiata con me"

Lesse quel messaggio ridacchiando e poi si affrettò a digitare.

"Fidati, se non saresti andata via da questa città di merda di tua spontanea volontà ti ci avrei mandato a calci in culo. E non sono arrabbiata, è solo che Monroe sta spiando quello che scrivo e crede che io non me ne accorga"

Sentì sul suo collo il respiro del coinquilino e si girò verso di lui, fissandolo. Non se ne accorse subito, e un volta letto il messaggio che aveva mandato si ritrasse, guardandola e facendo finta di nulla, mentre si metteva una mano nella nuca e guardandola con la coda dell'occhio.

"Sono davvero arrabbiata. Come hanno potuto archiviare il caso senza aver prima investigato a sufficienza?" Francis uscì dalla cucina e nel frattempo si accendeva una sigaretta, noncurante di trovarsi in un salone senza posacenere. Il gelo Calò nella stanza, ma lei non lo dava a vedere.
Si sedette a gambe incrociate a terra, sopra il tappeto a forma di vinile. Se aveva imparato a conoscere Francis a sufficienza, sapeva perfettamente che amava stare seduta in terra.
"Caspita, il posacenere" sussurrò, e Alhena per non farla alzare le passò un bicchiere che riempì con la poca acqua che le era rimasta nella bottiglia, passandoglielo.

Francis non sapeva che la ragazza stava cercando delle prove da almeno un anno. Nessuno sapeva che quella notte lei aveva visto tutto.

"Si, farlo passare per incidente stradale è davvero una grande pagliacciata" le diede corda Monroe. E aveva ragione. Come potevano far passare per incidente automobilistico un panorama in cui la macchina era ferma, in centro di strada, e senza alcun graffio?

La tensione venne spezzata dal campanello che risuonò per la stanza.
"Non mi aspettate dopo cena, esco stasera e tornerò tardi" disse semplicemente, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre nella sua testa vagavano i possibili immaginari e scene di quello che sarebbe accaduto quella sera, non sapendo cosa aspettarsi.

"Allora la birra è mia!"

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Capitolo 4
*** - Old, home and a wood - ***


Aveva appena varcato la soglia di casa sua, uscendo anche dal piccolo cancello che si trovava di fronte il portone di metallo. Si avvicinava la notte, era stanca degli incubi.
Con la chiave più grande si apprestò a chiudere bene il cancello, ripromettendosi di passare qualche giorno dopo. Si sentiva quasi in colpa a passare alcune notti lontana da essa e dai suoi ricordi. Anche se la maggior parte dei giorni rimaneva disabitata, Alhena passava qualche ora a pulire e a sistemare la casa, come se forse ancora abitata da lei e dai suoi genitori. Ci stava facendo l'abitudine, ormai.
Ultimo sguardo alla casa, che invase i suoi pensieri di malinconia, e poi guardò l'orario sul cellulare. L'ora si avvicinava, e nella sua testa sembrava più che altro, si avvicinasse l'ora delle streghe. fece qualche passo indietro e si ritrovò sulla strada. Non c'era nessuno in quel suo quartiere, le poche macchine erano poste una dietro l'altra al canto dei marciapiedi. Alcune finestre erano illuminate, altre invece erano buie e fredde, rispecchiando perfettamente lo stereotipo di case disabitate. In altre parole, un quartiere, o quasi, fantasma.
Voleva sapere da chi o cosa le fosse stato recapitato quel biglietto. Aveva intenzione di andarci, subito. La scuola non distava molto da dove si trovava in quel momento, eppure le strade vuote la inquietavano, e per alleviare il suo senso di inquietudine, attivò un qualsiasi video sul suo cellulare, che implicasse qualcuno che parlava, e che più o meno le tenesse compagnia. Aveva pensato di entrare, e avanzare solo di qualche metro, nel bosco sul retro della scuola, e aspettare che succedesse qualcosa, o che venisse qualcuno. Non sarebbe uscita allo scoperto molto facilmente, non aveva molto da perdere, ma non era nemmeno una sprovveduta. Camminò per qualche metro, con un podcast in sottofondo, mentre con le mani infilate nella tasca davanti, che si attorcigliava tra le dita le cuffiette. L'ansia la stava divorando da morta, e assieme a lei anche la curiosità. Fortunatamente conosceva quella scuola come il palmo della sua mano, O almeno ciò che ricordava dell'esterno, grazie alle sue scappatelle adolescenziali. Riusciva ancora a vedere da lontano il piccolo cancello che confinava con lo spazio dedicato alla cabina elettrica esterna, ormai in disuso. Non sarebbe stato complicato riuscire, attraverso essa, ad entrare nel perimetro scolastico e inoltrarsi nel bosco. Camminò attenta a non farsi vedere da nessuno per un tempo che le parve infinito. Quasi le si mozzò il fiato per l'ansia.

Scostò il cancello arrugginito, evidentemente non veniva utilizzato da anni. Così, arrivò finalmente a destinazione, e si diresse verso l'entrata del bosco, sorpassando la grande struttura scolastica.

Cercò di far poco rumore, anche se i rami e le foglie secche e i rami sotto di lei scrocchiavano e procuravano un rumore piccolo ma ben udibile, ripetutamente. A ogni rumore, anche involontariamente procurato, si malediceva mentalmente. I suoi pian,i che comprendevano il basso profilo e il silenzio assoluto, stavano andando completamente a rotoli.

Più si avvicina e si inoltrava, più la puzza di bruciato le arrivava alle narici. E non molto lontano da lei, qualcosa nel terreno si tingeva di rosso, con una scintilla.

Si fermò, cercando di mettere a fuoco la luce rossa e arancione che, una volta ancora più vicina, era frastagliata.

Adesso che era ferma, e non si muoveva di un millimetro, i rumori provenivano dalla parte opposta.
Più guardava e più restava ferma in mezzo a quel bosco, più le tornava in mente lo scenario di quella notte, seppur ciò che si estendeva di fronte a lei non assomigliava affatto alla scena in cui si era trovata protagonista anni prima.
Piano piano, le sue ferite si stavano squarciando ancora sulla sua pelle. Sentiva le carni aprirsi e il liquido scarlatto fuoriuscire dalla candida epidermide. Ci pensò bene, era impossibile che nel suo corpo circolasse ancora del sangue. Quella notte era morta, e non immaginava altro che cenere nelle sue vene. Cenere, quello che sarebbe dovuta essere anche lei in quel momento.
Per un'attimo si immaginò lì, morta dentro quella macchina. Con la pelle deturpata e in putrefazione.

Senza accorgersene il suo respiro si fece irregolare e i suoi occhi iniziarono a Guizzare prima da una parte e poi dll'altra dell'immensa distesa di terreno. La pelle bruciava e le unghie scalfirono e solcarono la sua carne, in preda ad un spaventoso circolo di terrore, che la imprigionava a sé stessa. Il prurito sulla sua pelle le ricordava tanto gli insetti sulla carcassa di un animale morto. Le unghie, sottili di per sé, di spezzarono all'ennesimo strofinio, che lasciava sotto di sé e al suo passaggio i solchi rossi e dolorosi.

Non era vero che il tempo rimarginava le ferite. No, affatto. Aveva ragione quel tale alla stazione di polizia quella notte.
Il tempo non rimargina nulla, allontana e sbiadisce il ricordo, rende grigio il dolore, quasi come venisse allontanato dalla realtà. E non esiste solo nella sua testa. Più ricordava, più era il dolore a prendere i colori vividi della morte.
Era stata un'idiota.
Come poteva pensare di potercela fare da sola? Più se lo chiedeva e più vedeva nel vuoto dei cerchi rossi che erano riconducibili solo al suo più interno tormento.
Si appoggiò al tronco dell'albero più vicino e chiuse gli occhi. Respirare non aiutava. Bastava un secondo e smettere di respirare, trattenere il respiro, per dimenticare tutto e anche sé stessa. Eppure non riusciva a smettere di respirare, si chiese perché ne avesse così tanto bisogno, d'altronde era morta. E Non bastava. Era morta, e al posto delle viscere immaginava un agglomerato di formiche che divoravano la sua carcassa in putrefazione dall'interno; i suoi occhi in verità erano rivoltati all'indietro. Ma allora perché aveva così tanto bisogno di vita?

Oramai si era persa nel suo cervello, completamente, e non aveva più idea di come scappare dalla sua testa. Era una codarda, la via di fuga la conosceva benissimo. Questa era la verità.

Si era persa, in mezzo al nulla, tanto da non accorgersi delle voci che si facevano sempre più vicine, o alle torce che venivano puntate su di lei.

Prima di riaprire gli occhi sentì delle voci attorno a lei.

"Te lo avevo detto che non era una buona idea"
 

 

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