Brividi

di Neamh Moonstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Terza Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Brividi - Prima Parte


♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪


Come avevano fatto a ritrovarsi in quella situazione? 

Ah già, si disse Crowley - ancora raggomitolato a riccio sotto le coperte. Avevano provato a riappacificarsi e le cose gli erano sfuggite di mano. 


A dirla tutta, forse non era stata colpa loro. Guerra stava lacerando il mondo, graffiandolo con le sue unghie laccate di rosso e bevendo il sangue di milioni e milioni di vite innocenti. Erano tempi bui e freddi dove l'odio insensato e la paura la facevano da padroni, dove i proiettili e le bombe lasciavano solchi irreparabili nei cuori e nelle strade. Vite intere perse troppo presto e troppo brutalmente, lasciate alla mercé del Paradiso quando andava bene e dell'Inferno nella stragrande maggioranza dei casi. Era la seconda volta che un conflitto mangiava il mondo e la seconda volta che a Crowley veniva dato il merito di qualcosa con la quale non aveva niente a che fare.

Perciò era venuto automatico cercare conforto. Non importa se sei una creatura immortale, non importa se il massimo che può succederti se ti sparano è dover chiedere un corpo nuovo; emotivamente parlando è difficile andare oltre a gli orrori quando sei costretto a conviverci. Era una situazione particolare: il demone provava uno strano senso di agrodolce mentre vagava per le strade, osservando la miseria. Da un lato c'era la sua natura, oscura e sogghignante, che ridacchiava; dall'altro c'era un senso di odio e nausea verso la smania che gli umani avevano di uccidersi a vicenda. Non potevano farne a meno, accidenti a Caino.

Perciò, per Crowley non si trattava che di stringere i denti e andare avanti. Per l'angelo, però - come per qualsiasi angelo con la testa apposto, e lui era l'unico - doveva essere stata una vera e propria tortura. Chissà a quanti falò di opere letterarie aveva assistito, quante preghiere aveva ascoltato...

Non si vedevano da tempo. L'ultimo ricordo che avevano l'uno dell'altro erano una litigata e una richiesta che era andata un po' troppo oltre. Superata la fase di ego - che era durata un bel po' - Crowley aveva iniziato a sentirsi leggermente in colpa. Il pensiero lo aveva consumato al punto da infilarsi nei suoi sogni, rovinando così la possibilità di dormirci su e lasciar perdere. 

Non lo avrebbe ammesso mai, nemmeno sotto tortura, ma aveva sognato Aziraphale più spesso di quanto volesse. Perlopiù la sua testa lo aveva portato a immaginare scenari dove lo portava via con sé, volando via dalle autorità che impedivano loro di avvicinarsi, di aiutarsi come avrebbero voluto. Era imbarazzante, davvero.

Per questo era stato un sollievo vederlo in quella chiesa mentre cercava di svolgere il suo compito con la stessa ingenuità di sempre. Per questo era stato meraviglioso vedere il suo volto illuminarsi quando gli aveva restituito il borsone pieno di libri. Era stato come accendere un lume in quella notte infinita, fatta di distruzione e morte.

E quello sguardo celeste aveva continuato a posarsi su di lui come una carezza in mezzo alla violenza in cui erano sommersi. Dovette far finta di non vederlo, nonostante avesse una strana voglia di infilarcisi dentro - e per un po' ci riuscì. Ci riuscì per buona parte del tragitto in macchina che Aziraphale aveva accettato con un leggero e distratto: «Sì, grazie», detto con un tono di miele.

Il silenzio era calato, creando un'oasi di pace. Rimase solo il rombo della Bentley e lo scricchiolio delle ruote sopra le macerie, mentre Crowley si infilava per tragitti che senza le precauzioni miracolose del caso sarebbero stati troppo pericolosi.

    «Come stai?» Gli aveva chiesto Aziraphale ad un certo punto.

    Tenendo gli occhi fissi davanti a sé, fece spallucce: «Potrebbe andare peggio.»

    «Ti vedo un po'...» l'angelo si bloccò, cercando le parole giuste. «Spento, diciamo. Come se fosse cambiato qualcosa.»

    «Che vuoi farci, è la situazione.»

In risposta gli arrivò solo un leggero: "Mh", che sapeva tanto di: "Credimi, ne so qualcosa".

Crowley avrebbe voluto rigirare la domanda, ma rimase fisso a pensare se fosse effettivamente cambiato nel corso di quel lungo periodo. La verità era che l'unica differenza era stata l'assenza dell'angelo ora accanto a lui: una voragine nella sua esistenza fatta di ordini da eseguire, idee da far convalidare e complimenti che non si meritava.


    Quando arrivarono a destinazione, diede uno sguardo alla libreria alla sua destra. «Ti si addice» commentò con un sorrisetto.

    «Dovresti vederla all'interno.»

    «È un invito?»

    Aziraphale fece una leggera e morbida risata: «Offrirti qualcosa mi pare il minimo.»

E chi era lui per rifiutare? 

Scesero entrambi dalla vettura ed entrarono in quel luogo che tanto assomigliava ad un bunker tanta era la divina protezione che lo rendeva immune a gli orrori della guerra. 

    «Certo che ne hai salvati tanti di libri» disse il rosso togliendosi gli occhiali da sole e facendo saettare lo sguardo verso gli scaffali.

    «Non sai quanti» rispose l'altro posando il borsone e andando a recuperare due bicchieri e una bottiglia di vino. «Questa guerra è un attentato alla cultura.»

    «Giá. Immaginavo ti saresti fatto in quattro per questo.»

Si accomodarono l'uno davanti all'altro attorno ad un tavolino, iniziando a sorseggiare come se nulla stesse accadendo e si fossero incontrati solo per fare due chiacchiere.

    «Ammetto che ciò che è accaduto in chiesa è stato inaspettato e alquanto ridicolo,» rispose Aziraphale sbuffando. Poi indicò un punto imprecisato del pavimento davanti a sé: «Ti fa ancora male?»

    Crowley ci mise un attimo per capire che si stava riferendo alla sua entrata-barra-camminata sui carboni ardenti. «Nah,» rispose, con una mezza smorfia, «è già passato. E poi è stato divertente: avresti dovuto vedere la tua faccia.»

Fu così che iniziarono a raccontarsi tutto ciò che era accaduto loro negli ultimi tempi: dai piani mal riusciti, alle piccole conquiste, alle volte in cui avevano dovuto operare l'uno contro l'operato dell'altro senza mai vedersi, senza più incontrarsi. Ad ogni storia un sorso, ad ogni sorso la voglia di andare avanti a parlare come se l'Inferno, il Paradiso e Guerra non esistessero; come se l'universo fosse sparito e fossero rimasti loro due soli.

Crowley si alzò più volte per enfatizzare un concetto, allargando le braccia come se volesse abbracciare l'aria. Dal nulla si erano ritrovati a passeggiare tra gli scaffali, a mettere su musica classica, a cercare di connettere concetti sul divanetto sul retro. 

Le bottiglie erano diventate tre, i pensieri si erano fatti troppi, le parole avevano iniziato a rotolare ubriache fuori dalle loro bocche per andare a volteggiare nell'aria come se girasse loro la testa.

    «Sai, adesso ho capito» aveva affermato Aziraphale ad un certo punto, guardando il soffitto avvolto nella penombra.

Chissà come avevano deciso di andare di sopra, laddove nemmeno l'angelo metteva piede così spesso. 

    «Cosa? Che hai capito?» Gli aveva chiesto Crowley. Se ne stava sottosopra, le gambe sullo schienale di una poltrona accanto al letto dove l'altro era seduto, schiena alla parete.

    «Cos'è cambiato in te.»

    «Ah sì? Cos'è cambiato?»

    «I tuoi occhi,» affermò l'angelo corrugando la fronte. «Sai erano più luminosi prima.»

    Crowley alzò un po' la testa, confuso - il movimento creò un leggero giramento. «Prima?» 

    «Sì. C'era come una luce: adesso è sparita.»

    Il demone tornò ad accasciarsi con uno sbuffo: «Non è colpa mia. 'Sta guerra è una merda» affermò, guardando tristemente il suo bicchiere ora mezzo vuoto. «Dicono che è stata un'idea mia. Non è stata un'idea mia.»

    «Lo so, lo so» lo rassicurò Aziraphale con un mezzo sorriso. «Non ne saresti capace.»

    «Non è quello-» rimbeccò il rosso scostando una gamba e cercando di mettersi a sedere. Quando ci riuscì - e non fu facile - aveva già scordato quello che voleva dire.

    L'angelo cambiò discorso: «Sai, dovremmo ricomporci e tu dovresti tornare a casa.» 

    «Mh. Non ho voglia di tornare là fuori: non ti ho ancora chiesto scusa.»

    Il biondo inclinò la testa, facendo rimbalzare qualche ricciolo sulla sua fronte. «Di che parli?»

    «Sai, la cosa dell'acqua santa.»

    «Mh...» Fu la prima risposta, seguita da un ceruleo sguardo perso. «No, scusa tu. Sai, ho avuto paura per te e mi sa che ho esagerato con le parole». Detto ciò, svuotò il bicchiere.

    «Tu,» iniziò il demone alzandosi e andando involontariamente a finire sul letto accanto al biondo. «Tu hai sempre troppa paura, angelo.»

    Aziraphale parve rabbuiarsi: «Dici?»

    Crowley annuì solennemente: «Alla fine- alla fine vedrai che ci anneghi nella paura. Ci anneghi e non risali come-» si fermò a pensarci, gli occhi scoperti e immobili. «Come nel mare profondo.»

   L'altro gli diede due pacche sul ginocchio: «Mi sa che hai ragione.»

    «Sai- sai come la superi? Buttandoti. Facendo qualcosa che non faresti mai.»

    «Molto saggio da dire, caro». Poggiò il bicchiere sul comodino e lo guardò con lo stesso sguardo che aveva messo su dopo che aveva riavuto i suoi libri in mano. Dentro quelle pozze celesti c'erano un'infinità di "grazie", e il demone non avrebbe saputo come gestirli se fossero venuti fuori.

    Così si limitò a stringersi nelle spalle: «So essere di ispirazione quando voglio.»

Quella frase uscì fuori più stentata di quello che avrebbe dovuto, ma fece ridere Aziraphale e tanto bastava.

    «E qual'è una cosa che tu non faresti mai?» Chiese quest'ultimo posandosi un braccio sulla fronte.

    Con un fischio, Crowley rispose: «Da dove comincio?»

    «Dall'inizio, no?»

    I loro sguardi si concatenarono, e il rosso scosse la testa: «Mi odieresti.»

    «Cielo, e cosa te lo fa pensare?»

    «Fidati.»

    Aziraphale sbatté gli occhi un paio di volte, confuso: «Non ti odierei mai, non per davvero.»

    «E invece sì, sta' a vedere.»


Non avrebbe saputo dire quale strano meccanismo mentale l'avesse portato a fare quella cosa. Più tardi avrebbe dato la colpa all'alcool, alla situazione difficile, alla sua impulsiva spontaneità, sapendo che in realtà erano stati tutti i sentimenti sotterrati nel suo inconscio. Erano venuti fuori tutti di colpo, approfittando di quel momento di debolezza.

La sua mano libera aveva afferrato il bavero della camicia dell'angelo e la sua testa era scattata in avanti come solo quella di un serpente saprebbe fare. Le loro labbra si erano unite come due pezzi di puzzle fatti apposta per incastrarsi e il tocco gli aveva fatto salire uno strano brivido lungo la spina dorsale, come fosse stato colpito da un fulmine.

La parte ancora lucida di lui si aspettò di combattere contro un rifiuto che non venne mai, anzi: il bacio venne ricambiato con una dolcezza morbida, delicata, carica di affetto. Al primo ne seguirono altri: si unirono, si separarono, si riunirono per poi staccarsi e riprendersi ancora, ancora e ancora. Ogni tocco portava ad un evoluzione e presto si ritrovarono l'uno sopra l'altro, il bicchiere di Crowley dimenticato chissà dove, proprio come la realtà.


Come avevano fatto a ritrovarsi in quella situazione? Come avevano fatto le loro mani a scontrarsi indaffarate, prese nello sfilare giacche, sbottonare camicie, strappare cinture con foga? 

Come avevano fatto i loro corpi ad avvinghiarsi? Come avevano fatto le loro menti offuscate ad annegare nell'ebbrezza di quel gesto e di quei baci che si spostarono dalle labbra ai volti, dai volti al collo?

Non c'era risposta, non c'era soggetto: sembrava una fusione. C'erano solo loro e la prigione di lenzuola che presto si costruirono addosso, forse per nascondersi dal resto del mondo o forse per qualche strano ed arcano motivo.


Crowley smise di farsi domande. Affondò le dita in quei riccioli di neve, decise di lasciar perdere il resto e di crogiolarsi in quei baci appassionati fino al mattino. Sarebbe andato avanti per sempre ed oltre, stringendo a sé quella luminosa essenza inebriata che era ora sua - avrebbe sempre voluto che fosse sua ma non lo aveva mai ammesso.

Se ne sarebbero pentiti. Oh se ne sarebbero pentiti eccome.

Non era quello il modo di allontanare la paura, no. Avrebbe fatto di tutto per amare l'angelo, ma quello era troppo e lo sapeva. Lo sapeva benissimo, ma ormai non poteva fermarsi.

Amava troppo stringere quelle guance. Amava troppo circondare quei fianchi. Amava troppo tutto ciò.


E allora come aveva fatto a ritrovarsi in quella situazione? Solo, nudo, raggomitolato sotto le coperte, i brividi sia di freddo che superstiti dell'eccitazione, e la luce di un nebbioso mattino addosso?

Ah già, si disse, girando appena la testa verso il lato di letto vuoto accanto a lui.

Ad un certo punto Aziraphale se n'era andato.

Lo capì ripescando i ricordi confusi che ancora galleggiavano pigri sul mal di testa da sbornia, e arrivò alla conclusione che era tutta colpa sua.

Perché esprimere amore non era proprio nella sua natura. Lui sapeva solo reagire a tutto con esagerazione e violenza.


Avrebbe fatto di tutto per amare l'angelo, ma non poteva. Gli avrebbe rubato anche le stelle, una ad una, nel gesto più dolce e romantico di sempre. Ma quelle cose non riuscivano mai a sforare la sua anima scura e bruciata.

Si buttò un cuscino sulla faccia. Aziraphale non lo avrebbe mai perdonato: lo aveva praticamente tentato, alla fine. La tentazione nella sua forma più pura.

Il biondo glielo avrebbe detto molti anni dopo: "Vai troppo veloce". Ma Crowley lo capì da solo nel silenzio del momento.

Perché?

Perché sbagliava sempre?

    



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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Brividi - Seconda Parte


♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪•°♪


«Basta...» cercò di dire, ma la sua voce arrivò flebile alla gola, morendoci in mezzo. Socchiuse gli occhi in quell'ondata di piacere e dolore al tempo stesso: due emozioni che prima si abbracciavano e poi si picchiavano. Un po' come loro due, insomma.

Sentì quelle labbra sottili posarsi sul suo collo, un po' avide e desiderose, un po' gentili e cariche di affetto. Una parte di lui gli stava urlando di smetterla, strappando via le tenebre dell'ubriachezza e cercando di tirarlo verso una sponda sicura. Poteva sentire la sua candida e luminosa essenza venire progressivamente stretta nelle spire scure e vogliose di quella dell'altro. Non c'era via d'uscita ma, sotto sotto, non voleva trovarla.

Provò a scostarsi ancora un po' ma la verità era che adorava quell'affetto, quei tocchi, quei baci... Eppure aveva paura. Sapeva bene cosa stava succedendo e, per quanto inebriante fosse, era decisamente sbagliato: era il peccato per eccellenza. Era una via di fuga, una breccia di dolcezza in mezzo al mondo lacerato nel quale stava vivendo, e a quello avrebbe dato la colpa: alla voglia di affetto in un momento difficile.

Ma era affetto quello?


Se lo chiese il mattino dopo, risvegliandosi con un mal di testa che gli martellava le tempie, disturbato da un russare leggero che risuonava come l'eco di un urlo lanciato in una caverna.

Cosa c'era di affettuoso nei loro corpi nudi e abbarbicati l'uno sopra l'altro, continuamente rivoltati sotto le coperte sporche di vino rosso? Cosa c'era di affettuoso nei piccoli morsi che sentiva ancora vividi sulla pelle? Era affetto o lussuria ciò che si era celato in quei dorati occhi da vipera?

Tirandosi su con un sospiro, Aziraphale si rese conto che ormai poco importava: non si piange sul latte versato. Tutto ciò che poteva fare adesso era ricomporsi e sperare di essere meritevole di perdono. E così fece, rivestendosi con lentezza umana, spazzando via i postumi della sbornia con delicatezza, lo sguardo che viaggiava distratto sul volto dormiente dell'altro.

Non si sentiva proprio di svegliarlo e chiedergli di andarsene. Lo aveva notato subito: aveva visto la distruzione celata in quel fare sbarazzino, in quell'abito impeccabile, nelle parole tutto fuorché sobrie. Crowley era decisamente tutto il contrario di un angelo ma, nonostante quella situazione lo avesse steso come un pugile sul ring, era comunque accorso da lui per aiutarlo. Sapeva decisamente essere gentile, seppur non amasse ammetterlo o sentirselo dire - allontanando le lusinghe con parole aspre e sputate.

Salvare i suoi libri dall'esplosione: quello era l'affetto che l'angelo voleva. Ciò che era accaduto poi era stato un semplice momento di debolezza, nulla più... Giusto?

Non poteva restare a pensarci: aveva una guerra da contrastare, feriti da soccorrere, richieste d'aiuto da accogliere... Odiava scappare in quel modo e lasciare Crowley a sé stesso, ma qualcosa dentro di sé gli disse che avrebbe capito. Avrebbe lasciato un biglietto o due, sì: pareva decisamente una buona idea.

Mise da parte il senso di scombussolamento che ancora pervadeva parte delle sue membra e finì di rendersi perlomeno presentabile, come se in mezzo alla distruzione importasse qualcosa a qualcuno delle pieghe sulla sua giacca. Faceva freddo, si disse: aveva i brividi da quando si era svegliato. Ma era davvero del clima la colpa? Da un lato ringraziò l'alcool per aver reso il tutto più simile ad uno strano sogno, come se ciò potesse bastare a sotterrare la questione.


Coprì le spalle di Crowley con le coperte, evitando il più possibile di fissarsi su quel fisico ossuto e spigoloso che più volte aveva circondato il suo. Tornò al piano di sotto con due tazze bollenti in mano, pensando che almeno lì non avevano ridotto l'ambiente ad un ammasso di macchie e oggetti rivoltati sul pavimento.

Sorseggiando la sua cioccolata calda, posò l'altra su un tavolo in modo che fosse in bella vista e si prese due minuti per sé, avvolto nel silenzio. Si rese conto di una cosa che già aveva fatto breccia nella sua mente la sera prima, nel momento esatto in cui aveva avuto il borsone tra le mani. Si rese conto che, qualsiasi cosa ci fosse tra lui e Crowley, era uno strano e particolare tipo di amore.

Quando fosse nato, questo non lo sapeva e poco importava. C'era e, per quanto lo rendesse felice, ciò che si erano fatti durante la notte provava che era assolutamente, completamente, decisamente-

Sbagliato.

L'amore è sbagliato?

Il loro sì, si disse facendo scomparire la tazza ancora mezza piena. Aveva lo stomaco chiuso e tanta voglia di accendere la stufa, avvolgersi in un plaid, prendere un libro e cancellare il mondo.

Avrebbe pagato per andare lontano, in un luogo ad anni luce dal tempo, dalla Terra, dallo spazio, da tutto. Avrebbe urlato, strepitato, mentito pur di mettere un freno a tutto ciò. Forse avrebbe portato Crowley con sé, chissà.

Ma no, non poteva. Avrebbe potuto scrivere una bibliografia della sua lunga esistenza e chiamarla: "Vorrei ma non posso", pensò con un sorriso amaro e una mano già sulla porta d'ingresso. Quando uscì, il freddo, la solitudine e i sensi di colpa lo attanagliarono come le fauci di una bestia. I brividi ripresero a mordicchiarlo come quei canini di serpente avevano fatto durante la notte.

    «Smetti di pensarci,» si disse, iniziando a camminare nella nebbia. Forse avrebbero dovuto smettere di vedersi e dimenticare.

Sarebbe stato tutto più facile.


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“Tutto ciò di cui hai bisogno è amore. Ma un po' di cioccolata, ogni tanto, non fa male.”


Crowley rilesse quelle parole più volte, combattendo inutilmente contro un sorriso. Erano scritte ordinate, rotonde e ben ripiegate su un foglio accanto ad una tazza ancora bella calda al piano di sotto. 

Quando aveva finalmente trovato le forze di alzarsi dal letto stravolto, aveva notato un bigliettino del tutto simile sul comodino. Lo aveva spiegato con curiosità e aveva letto:

“Torno a lavoro. Fai con comodo ma non farti scoprire. Ti ho lasciato la colazione di sotto, se ti va. PS: sappi che non ti odio.”


Ecco, quello era il tipo di rapporto che Aziraphale adorava: quello fatto di piccoli piaceri, piccole intese, grandi favori fatti con il cuore. Tutte cose che lui non sapeva come maneggiare senza un libretto di istruzioni.

Si mise a sorseggiare mentre ripensava a quella notte: forse avrebbero dovuto far finta che nulla fosse accaduto, sarebbe stato più facile. Qualcosa gli disse che sarebbe andata così: avrebbero ipoteticamente scritto un tacito accordo e sarebbero andati avanti, fine.


“Sappi che non ti odio.”


"Ma non mi ami neanche, vero?" Avrebbe voluto chiedere. Quella domanda rimase incastrata tra l'aria intrisa di polvere e la sua mente, incapace di trovare risposta. La parte positiva di lui gli diceva che un giorno tutto sarebbe stato chiaro e conciso tra loro: senza piani ben congeniati, senza bugie, senza secoli di incomprensioni a dividerli. Utopico, impossibile, bellissimo.

Erano incompatibili: lui era un fuoco divoratore, l'angelo era fin troppo dolce e ingenuo per quel mondo assurdo. Se davvero doveva esserci qualcosa, dovevano imparare come non scontrarsi - senza usare contratti o collaborazioni comode di sorta, ma solo i loro fottutamente incasinati sentimenti.


Che cosa c'era tra loro? Si chiese Crowley con una mano tra i capelli e facendo un sospiro che si trasformò presto in uno sbuffo. Era amore quello? Non ne era più sicuro, anzi, non lo era mai stato. Lui non avrebbe dovuto provare quel genere di sentimento, esprimere amore non era proprio nella sua natura - si ripeté: gli era stato tolto eoni prima, quando aveva deciso di allontanarsi dal Paradiso.

E allora perché continuava a ponderarlo? Perché continuava a volerlo consumare in quel modo?

    «Perché sei uno stupido, ecco perché» si disse, decidendo di andare via da lì. Improvvisamente le pareti intrise di libri si erano fatte soffocanti.


Uscì e si infilò in macchina non sapendo da che parte andare. Dentro di lui c'era una sola destinazione di beige vestita, che lo richiamava con due amorevoli occhi azzurri.

“Sappi che non ti odio.”

Non poteva resistere: doveva raggiungerlo, parlargli, chiedergli se davvero tra loro poteva nascere qualcosa di così proibito. La risposta era molto probabilmente un: "no", ma Crowley amava il rischio (a volte) e per Aziraphale, beh.

Per Aziraphale avrebbe rischiato tutto. Come il perfetto idiota che era.


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Capitolo 3
*** Terza Parte ***


Brividi - Terza Parte


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Gemiti e macerie: solo questo popolava il mondo, ormai. E dove c'è Guerra, c'è Morte. Dove c'è Morte, c'è disperazione. E dove c'è disperazione, c'è un angelo.

Per questo Crowley non si stupì di trovarlo lì tra la polvere, la fuliggine e migliaia di piccole ma forti richieste d'aiuto. Era il suo lavoro, in fondo, e lo faceva bene quando voleva. 

Inchiodò in mezzo a quella strada che era difficile chiamare tale, dal momento che era divelta come se l'avessero afferrata e rigirata, riducendola in pezzi. Scese con la solida fluidità, sbattendo la portiera e facendo sì che i pochi curiosi guardassero da tutt'altra parte. Lui e la Bentley spiccavano come un chicco di caffè in mezzo alla farina; uniche due cose ancora intatte, ordinate e splendenti in mezzo allo schifo.

    Persino Aziraphale, ora fermo poco più in là - occhi incerti posati sul nuovo arrivato - sembrava essere parte integrante delle macerie; lui che era sempre ordinato come i paragrafi di un romanzo. «Che ci fai qui?» Chiese, iniziando a torturarsi le mani. «Non dovresti essere a lavoro?»

    Crowley decise di sorvolare su almeno cinque o sei delle possibili risposte che la sua instancabile mente aveva già formulato ("Sto facendo il mio lavoro: controllo quello che combini", "Il mio lavoro lo sto già facendo da un po': hai visto in mezzo a che razza di disastro ti trovi?", e cose del genere). Arrivò dritto al punto: «Vogliamo davvero far finta che non sia successo nulla?»

    «Non lo facciamo sempre?»

Vero. Era un modo come un altro di andare d'accordo quando si ha un patto come il loro: sorvolare sulle questioni frivole e non direttamente importanti.

    «Sì, lo facciamo riguardo ai miracoli stupidi. Quello che è successo stanotte va un po' oltre, non pensi?»

Lo disse con un tono frustrato, quasi arrabbiato. Non ce l'aveva con l'angelo, ovviamente: era tutta colpa sua e se l'era già ripetuto fino alla nausea. L'intera situazione però, soprattutto il ricordo persistente di quei momenti di reciproco piacere, lo stava pressando. Voleva capire se fosse stata questione di un attimo o se ci fosse di più. Voleva sapere se ciò che sentiva fosse effettivamente qualcosa e non solo la sua nascosta, morbosa e naturale voglia di consumare quell'aura candida e dorata. 

    «Vuoi che te lo dica a parole?» Disse Aziraphale, sospirando. «Non ti odio. Hai detto che ti avrei odiato e non è successo. Siamo nel bel mezzo di una situazione difficile e ne stiamo soffrendo ognuno a modo proprio. Forse ne avevamo bisogno, non lo metto in dubbio; l'abbiamo fatto, fine della questione.»

Crowley conosceva bene quel tono stizzito, quello che era ad un crocevia tra la frustrazione, la lamentela e il tentativo di canalizzare una situazione ovviamente sbagliata verso il bene. Forse si sarebbe dovuto accontentare e mettere a nanna la questione. Ma non era Caduto per accontentarsi di risposte spicce e questioni in sospeso, no. Se doveva commettere un'eresia innamorandosi follemente dell'essere che aveva davanti - anche se forse era troppo tardi per quello - allora si sarebbe spinto oltre tutti i limiti prestabiliti. Aveva bisogno di sapere, aveva bisogno di ricucire tutti gli strappi - anche microscopici - che si erano andati a creare nella loro relazione. Voleva mettere tutte le cose in chiaro.

Così prese Aziraphale per un polso, aspettandosi di doverlo tirare di forza. Ma non accadde.

    Lo trascinò in mezzo a ciò che rimaneva di case, strade e vite, passando oltre più corpi freddi e martoriati riversi a terra. Si rifugiò dietro ciò che rimaneva di un muro, come se quella mezza parete potesse essere uno scudo resistente tra loro e la guerra. «Se ne avessi avuto semplicemente "bisogno" lo avresti fatto controvoglia» disse, la voce ridotta ad un sussurro. «Tu fai sempre ciò che non vuoi controvoglia, oppure lo fai in modo ansioso e indeciso. Ieri invece hai combattuto contro l'istinto di scappare e smettere ciò che stavamo facendo per tutta la notte.»

Il silenzio calò e l'angelo smise di guardarlo. I suoi occhi azzurri si persero languidi su un mucchietto di macerie grigiastre, mentre le sue mani si strinsero e si riaprirono, indecise sul da farsi.

    «Non l'hai fatto per bisogno, vero?» Riprese Crowley, combattendo contro l'istinto di stringere quelle morbide braccia e tirarne fuori una risposta, un chiarimento. «Non lo hai fatto per farmi un piacere e-»

    «Sarà stato l'alcool allora, preferisci questa come risposta?» Lamentò Aziraphale, lo sguardo di nuovo fisso su di lui. Come stesse riuscendo a trattenere le lacrime, il demone non lo sapeva.

    «No! Non mi va bene! Perché so che non è del tutto vero e lo sai anche tu.»

Ci fu un altro momento in cui nessuno dei due seppe come ribaltare la situazione. In lontananza si sentivano solo i passi mesti e strisciati degli umani che scostavano travi e mattoni alla ricerca di un barlume di speranza.

Crowley si passò le mani sotto gli occhiali da sole, strofinandosi gli occhi e cercando di capire come evitare che lui e Aziraphale si allontanassero di nuovo a causa di una discussione. Avrebbe davvero preferito bersi un bel bicchiere di acqua santa, a quel punto.

    «Senti,» disse infine, fissandosi sulla figurina incerta e tremante dell'altro. «È stata colpa mia, va bene? Ti ho spinto io a farlo. Non avrei dovuto.»

Avrebbe dovuto scusarsi, ma la parola "scusa" non se la sentiva proprio di fare breccia nella sua anima scura. Inoltre, ci pensava già lo sguardo ora un po' più morbido di Aziraphale a rendere le cose difficili; non aveva proprio bisogno di problemi ulteriori.

    «Vuoi dimenticarti di ciò che è successo? Bene, nessun problema» continuò. «Faremo finta che non sia successo nulla. Sarà come se ti avessi portato a casa e fossi tornato come nulla fosse alla mia.»

L'altro prese lentamente a sorridere. Oh no, non l'avrebbe avuta vinta così facilmente.

    Crowley alzò un dito come a voler fermare il processo. «Ma solo se mi dirai perché hai, beh-»

"Fatto sesso con me" sarebbe risuonato peggio di una bomba nei timpani, così lasciò la frase in sospeso sapendo che Aziraphale avrebbe capito.

    Difatti, questi riprese ad aggrottare la fronte e a far volare le sue iridi azzurre in giro perché non si perdessero nel nero delle lenti del demone. «Cosa vuoi che ti dica? Ho fatto la cosa peggiore che si potesse pensare.»

    «No, sono stato io a fartela fare, mettitelo in testa. La vera domanda è: perché non sei stato a sentire la ragione e mi sei venuto dietro?»

    «Non posso rispondere. Sai che non posso, perché mi pressi tanto?»

Una lacrima scese stavolta. Rotolò giù da quelle guance candide e morbide come una valanga, andando a confondersi tra tutte quelle che la guerra aveva fatto riversare sul terreno martoriato, innaffiandolo così di dolore.

    «Non posso dirti quello che vorresti sentirti dire,» continuò Aziraphale, «hai mai pensato a quello che mi potrebbero fare se la cosa trapelasse?»

    «Se ci ho pensato?» Rimbeccò Crowley, stufo marcio di quel discorso che pareva ripetersi come un eco nelle loro esistenze. «È proprio perché ci ho pensato che abbiamo fatto un patto.»

    L'angelo scosse la testa: «In ogni caso, siamo andati troppo oltre, abbiamo decisamente esagerato. Sai che ho ragione, così come sai che sono impossibilitato dal Paradiso e non posso fare quello che vorrei. Pensavo ci fossi arrivato ormai...»

    Quelle ultime parole colpirono Crowley peggio di un proiettile. «Vivi in una prigione, angelo. Una prigione nella quale continui a tornare» ringhiò, non volendo. Perché non ce l'aveva con Aziraphale, ovviamente, ce l'aveva con la struttura stessa dell'universo. E quella non la puoi cambiare.

    «L'alternativa qual è, Crowley? Venire giù da te?»

Faceva male perché era vero. Ovviamente non c'erano molti posti dove andare quando facevi parte dell'alto dei Cieli, così come delle profondità della Terra. E la seconda possibilità appena proposta dall'angelo fece raggelare - metaforicamente, per quanto fosse un rettile - il sangue a Crowley. Anche solo immaginare che potesse Cadere per colpa sua gli provocava la nausea: non poteva permetterlo. Per quanto forte Aziraphale fosse nel suo credo e nelle sue convizioni, aveva ragione: finire all'Inferno era una conseguenza tangibile, palpabile e così reale da far paura.

    «Hai ragione» sibilò debolmente.

Che stupido era stato. Dimenticare direttamente tutto era una prospettiva così allettante adesso...

    «Mi dispiace tanto» sussurrò l'altro, passandosi le mani sotto gli occhi. «Vorrei tanto poterti stare vicino, davvero, ma così rischio solo di mandare tutto all'aria.»

    Crowley annuì: «E di cose all'aria ne finiscono fin troppe di questi tempi.»

Aziraphale sorrise, solo per un attimo però, perché ridere delle disgrazie non è bello.

    «E poi,» riprese il demone, «anche io vorrei poterti dire quello che provo senza, sai, fare quello che ho fatto. Sono i limiti e i difetti delle creature infernali, temo.»

    L'altro fece spallucce, sorridendo di nuovo - stavolta senza smettere, perché l'affetto è una cosa bella. «Hai molti meno difetti di qualsiasi altro tuo simile.»

    Crowley guardò altrove con una smorfia: «Piantala. Tu d'altra parte sei dannatamente difettoso.»

    «A giudicare dagli eventi recenti, temo tu abbia ragione.»

    «E la cosa ti dispiace?»

    «Più di quello che vorrei.»

Per un attimo tra di loro si creò una bolla di pace e sorrisi. Se solo fosse stato possibile smettere di vivere in quel finto odio, in quel veleno che facevano finta di sputarsi addosso, tutto sarebbe stato meglio. Se solo avessero potuto togliere le maschere che portavano davanti ai loro superiori ed essere solo ciò che erano quando rimanevano loro due soli. Crowley avrebbe potuto urlare al cielo quelle due semplici parole e farle piovere addosso ad Aziraphale perché le sentisse tutte. Che pensiero stupido, che utopia.

Lui non era capace di dire: "Ti amo". Non era fatto per quello, si ripeté per la milionesima volta.


     La bolla si ruppe. «Anche io.»


    Il rosso rialzò lo sguardo che, chissà quando e chissà come, aveva spedito altrove, verso il vuoto. «Come?»

    Aziraphale si mise nervosamente a giocherellare con le maniche della giacca. «So cosa vorresti sentirti dire e so cosa vorresti dire a tua volta, che poi è la stessa cosa. Perciò ti rispondo direttamente: anche io.»

    Crowley sbarrò la bocca e gli occhi allo stesso tempo, incredulo. «Davvero?»

    L'altro annuì: «Non esattamente come stanotte, ma sì.»

    «No, no, quello lo so. Solo: la cosa è reciproca?» Quella domanda si era letteralmente precipitata sulla sua lingua biforcuta.

Aziraphale annuì di nuovo, le guance ora più colorite.

Crowley dal canto suo sentì un vulcano esplodergli in petto. Il suo angelo lo amava. Non poteva dimostrarlo, né dirlo ad alta voce, ma lo amava.

    «Ora che lo sai,» riprese il biondo, l'ansia e l'imbarazzo palpabili sul suo volto, «cancelliamo questa nottata e andiamo avanti, va bene?»

    Il demone annuì lentamente e distrattamente. Quelle due parole sospese nell'aria danzavano attorno a lui e si ripetevano più forte di una sbornia, più forte della passione. «Certo, come vuoi» balbettò, inebriato da quella non esattamente conferma e dalla voglia di rubare ad Aziraphale l'intero firmamento, come già aveva immaginato di voler fare.

Era così su di giri che non si accorse della mano dell'angelo attorno alla sua, non subito. La strinse forte, improvvisamente impaurito perché non voleva; non voleva allontanarsi da quel muretto e tornare a fissare Guerra mentre uccideva, a fare ciò che l'Inferno gli chiedeva di fare, a vivere per chissà quanto ancora lontano dall'essere che amava e che lo amava a sua volta.

Improvvisamente, ora che la realtà era tornata nei suoi pensieri, aveva bisogno di sentire quelle parole. Voleva che esistessero e non fossero tacite, perché ciò che non viene detto si perde nelle pieghe del tempo. Non voleva più urlare "ti amo", voleva bensì che gli venisse urlato, buttato addosso come una zavorra. Voleva annegarci dentro, voleva stringere di nuovo quei fianchi morbidi e farli suoi, perché solo così aveva la certezza che quell'amore potesse esistere.

Il mondo divenne una serie di macchie confuse annegate nelle sue lacrime. Che stupido era: all'apparenza un demone tra tanti, magari con qualche idea migliore in più, dentro innamorato pazzo del nemico. Innamorato di colui che avrebbe dovuto uccidere.

Era così immerso nella sua tristezza che il bacio che venne lo colse di sorpresa. Lo assaporò tutto, premendo su quelle labbra soffici come se fossero la chiave per mettere fine a tutto il male che circondava la sua esistenza. Mise la mano libera sulla guancia di Aziraphale, sperando di non dovessi staccare mai. Sentì il nodo che si era formato nel suo stomaco sciogliersi, il buio dissiparsi e le sue paure evaporare.

Era un tocco così dolce, puro, genuino, sobrio, voluto. Non come quello che- quello che?

Ce n'erano stati altri? Probabilmente no. Probabilmente non ce ne sarebbero stati mai più. O forse sì. Magari sì.


    Si staccarono e Aziraphale si ricompose con un sorriso. «Senti, non facciamo passare troppo tempo stavolta. Ti va di vederci non appena tutto questo disastro sarà finito?»

    Crowley annuì. «Vedi di farlo finire presto, allora.»


Si lasciarono così: lentamente e un po' controvoglia. Il demone risalì in macchina e andò via con il sapore dolce di quel gesto ancora sfrigolante sulle sue labbra e i brividi che correvano eccitati per le membra, mandandolo in brodo di giuggiole.

Oh, quel "ti amo" non detto avrebbe continuato a far male per tanto tempo ancora; lo avrebbe portato a piangere e a rifugiarsi in tanti dei mali che il mondo gli metteva a disposizione. Ma ora come ora non importava.

Non vedeva l'ora che la guerra finisse. Non vedeva l'ora di rivedere l'amore della sua esistenza. 


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