Arcane - Don't cry. You're perfect.

di MaxB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Because you're a Jinx (We will return like warriors, I swear) ***
Capitolo 2: *** Painful memories (I am the monster you created) ***
Capitolo 3: *** Family (Make me an offer, what will it be?) ***
Capitolo 4: *** First Gun (You're a snake, I can see it in your face) ***
Capitolo 5: *** The Eye of Zaun (Pull the trigger back, back) ***
Capitolo 6: *** Beautiful mind (I am sharper than a pack of hundred razor blades) ***
Capitolo 7: *** Join me (I told you not to play with the misfit toys) ***
Capitolo 8: *** Drowning (Hold the die, your turn to roll) ***
Capitolo 9: *** Don't look behind (Prove yourself, your spirit never dies!) ***
Capitolo 10: *** First fight (Hey, what you say, wanna find a place to play) ***
Capitolo 11: *** Loose Cannon (But once you turn, they hate us) ***
Capitolo 12: *** More space (When the world turns around, he holds me down for sure) ***
Capitolo 13: *** Not necessary (Come on, shoot faster, just a little bit of energy) ***
Capitolo 14: *** That's me (The devils coming after me) ***



Capitolo 1
*** Because you're a Jinx (We will return like warriors, I swear) ***


Piccola intro: ciao a tutti, e grazie per essere qui a tentare di leggere un mio capitolo. Come avevo anticipato nelle note, questa ff sarà di 14 capitoli incentrati su Silco e Jinx, con punti di vista alternati ma comprensibili, spero, e IC, spero. La loro è una tra le relazioni che mi hanno colpita di più in assoluto, e sì che di film, anime, manga e libri ne divoro parecchi.
Detto ciò, a inizio capitolo troverete il titolo della canzone che lo "ispira". Avete assoluta libertà, ma per me potrebbe essere interessante leggere ascoltando la colonna sonora stessa della serie. Su youtube trovate anche la "1 hour version", così avete la canzone in loop finché non finite il capitolo. Penso che la colonna sonora sia spettacolare quanto la serie stessa.
Ultimissima cosa: se volete, sul mio account instagram maxb.reader troverete l'aggiornamento della ff ogni volta che la pubblico, con la copertina creata per questa storia che contiene 10 secondi di traccia audio del capitolo. Se volete dare un'occhiata, o avete domande o altro, o volete chiacchierare ossessivamente di Jinx e Silco, volentieri.
La mia speranza, anzi, il mio sogno è che qualcuno mi dica: "Sai che potrebbe essere davvero così?". Almeno, ci spero.
Abbiate pazienza. Grazie mille e buona lettura.
(Ultimissima. La canzone scelta è ovviamente quella della fine dell'atto III, quando Silco e Jinx si trovano per la prima volta).


1. Because you're a Jinx (We will return like warriors, I swear)


Goodbye - Ramsey, track 03
 
Be still, 'cause I see smoke up ahead and I got steel in my hands
We will return like warriors, I swear, that we'll find glory up ahead
Tell me
 
Where is my home?
I don't recognize the faces anymore, no
Where is my friend?
The one I've known since I was only just a kid
I think it's time to say goodbye
Goodbye, goodbye
Goodbye, goodbye, woah
 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~ 

Silco perse la cognizione del tempo seduto sull’asfalto bagnato, sotto quella torrenziale pioggia bagnata, con una ragazzina bagnata tra le braccia. Eppure il fuoco continuava a bruciare alto, a divorare tutto. Il fuoco non temeva nessuno, spesso nemmeno l’acqua, sua acerrima nemica da tempi immemori. Ma il fuoco consumava, distruggeva con prepotenza… e alla fine si estingueva, più in fretta di quanto avesse bruciato. L’acqua lo sfiniva, l’acqua lo metteva alle strette. L’acqua vinceva, avvolgendolo nel suo abbraccio silente e insidioso.
Il fuoco bruciava come Vander. Ma l’acqua si infiltrava come lui, come Silco.
Alle orecchie gli arrivava solo il rumore dello sgocciolio della pioggia, dei singhiozzi della ragazzina, che continuava a stringerlo, e del fuoco che sembrava perdere terreno poco a poco. I suoi scagnozzi non gli mettevano fretta. Sapevano cos’era successo all’ultimo che aveva osato provarci.
E Silco non aveva fretta, mentre osservava il corpo dilaniato di Vander davanti a lui, e il luogo che era stato il suo quartier generale per anni che crollava a pezzi, lasciando solo cenere fradicia, poltiglia, sulla strada. Uccidere Vander era stato il suo obiettivo per anni, da quando il fratello lo aveva pugnalato alle spalle. Anzi, non alle spalle. Dritto in pieno viso. Le sue mani come coltelli serrati intorno alla gola.
Era stato il suo obiettivo, e la sua paura. Come gli aveva detto poche ore prima, aveva continuato a meritare il suo rispetto. E quel cancerogeno seme d’affetto che provava per lui non se n’era mai andato del tutto, piantato troppo in profondità dentro se stesso per poterlo estirpare alla radice. Si rifiutava di pensare che quell’affetto albergasse nel suo cuore, lo disgustava. Erano i sentimenti, spesso, a rendere vulnerabili le persone.
A renderle deboli com’era diventato debole l’imbattibile Vander.
A rendere così impensabile l’idea di un tradimento, e a renderlo così doloroso quando si verificava.
Perché alla fine dei conti avveniva sempre. Il tradimento. E bruciava come il suo occhio sinistro, un male che mangiava da dentro, come le tossine che gli deturpavano il volto.
Vander era morto.
Non c’era più nessuno a frapporsi fra lui e lo scopo della sua vita, lo stesso scopo che una volta aveva condiviso con Vander. Con quello che era stato suo fratello.
Non c’era più nessuno a mettersi in mezzo tra lui e la violenza brutale necessaria per il cambiamento. La violenza che in tanti temevano, che in pochi capivano, e che solo lui era in grado di eseguire.
Non c’era più nessuno a dividerlo dal suo scopo.
La ragazzina singhiozzò di nuovo contro di lui, seppellendo il viso nel suo petto.
Com’erano strani, i meccanismi difensivi di una persona. Era facile considerare nemico qualcuno, ma quando si rimaneva soli al mondo, abbandonati, era quasi naturale afferrare l’unica mano tesa nel buio. Non importava a chi appartenesse. Poteva essere la mano dello stesso nemico che aveva sterminato i propri amati, faceva poca differenza. Peggio del tradimento, peggiore del bisogno di vendetta, c’era la solitudine.
Poco importava che Silco avesse contribuito ad uccidere Vander, che quella ragazzina considerava un padre. Gli altri due ragazzi erano morti. E sua sorella l’aveva abbandonata.
Era sola. Completamente sola.
Una scena già vista. Un dolore già provato.
Vander lo aveva pugnalato, quasi strozzato. Sua sorella l’aveva schiaffeggiata.
Vander lo aveva lasciato solo, aveva cambiato rotta, abbandonato il loro ideale. Sua sorella se n’era andata.
Vander lo aveva tradito. Anche sua sorella, senza nemmeno voltarsi indietro.
Senza nemmeno preoccuparsi di lui. Non aveva la fama di benefattore, Silco. Semmai di carnefice. Spietato. Eppure la figlia di Vander non tornava indietro per salvare la sorella.
Quanti anni poteva avere la ragazzina che gli piangeva addosso? Non più di dieci. Otto? Nove? Non si era mai interessato dei bambini, non li aveva mai considerati.
Ne aveva uccisi alcuni.
Eppure… era come se ci fosse un legame, tra lui e quella bambina. Non era dovuto al fatto che era la figlia adottiva di Vander. Non sentiva un dovere di quel tipo.
Era più… un senso di comunione. Avevano vissuto entrambi l’abbandono. Il voltafaccia delle persone più fidate. Sapevano quanto male facesse.
Erano simili.
Silco ricordava il dolore di quando era scappato da Vander. Non quello fisico, non il bruciore del volto scarnificato, dell’inquinamento delle acque che lo mangiavano vivo, la gola gonfia e arrossata e livida per il soffocamento. No, il dolore che provava era dieci volte peggiore, gli martoriava l’animo, gli impediva di respirare e di ragionare.
Era un dolore fantasma, un dolore che non si sarebbe potuto curare. Una traccia indelebile che lasciava una ferita incapace di cicatrizzare.
Silco non si considerava buono. Era disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi. Era questo a renderlo forte. Ma non avrebbe mai augurato a nessuno di provare quel senso di vuoto, quella devastazione interiore.
Non ai nemici, a cui preferiva infliggere morti di ogni tipo, o torture, se poteva ottenere qualche informazione utile.
Di sicuro non a quella ragazzina… innocente.
Lui voleva di meglio per i vicoli. Per la Città Sotterranea.
Per la nazione di Zaun.
- Darren, vai a cercare il dottor Singed, da qualche parte sotto il crollo. Trovalo e portalo fuori se è ancora vivo. Altrimenti non mi interessa. E se è capace di ragionare, che visiti Sevika.
Con un grugnito d’assenso, Silco vide Darren sfilargli davanti con Sevika in braccio. Serviva il suo uomo più grosso per trasportare quel macigno di donna di Sevika, che incrociò il suo sguardo mentre spariva dentro l’edificio in fiamme.
Si rivolse poi al biondo senza cervello, estremamente obbediente: - Zantik, vai ad aiutarli.
Rimasti soli, con la ragazzina ancora immobile tra le sue braccia, Silco si rivolse a Mome. La donna con i capelli neri, anonima e piacevolmente silenziosa, una maga dei coltelli. Perfettamente in grado di fare piazza pulita da sola. – Mome, tu dirigiti al Last Drop. Fai che sia sgombro per il mio arrivo. E chiamami il responsabile delle aste, voglio solo lui lì dentro.
Come aveva detto: piacevolmente silenziosa. La donna se ne andò senza proferire parola, senza il rumore di un passo sull’asfalto. Ma Silco sapeva che avrebbe eseguito gli ordini. Come gli altri.
La paura induceva alla lealtà più dell’affetto.
Chiunque può tradire, quando non c’è nulla di concreto a legare due persone.
La paura invece perseguita, toglie il sonno, mozza il respiro, paralizza. Spinge a voler fare di più, a voler fare meglio, per essere apprezzati.
La legge del più forte. Silco non dubitava della lealtà dei suoi uomini, perché erano loro a fare il lavoro sporco per lui. Sapevano a cosa andava incontro chi si rivoltava, pertanto non si azzardavano nemmeno a pensarlo.
Silco accarezzò i capelli cerulei della ragazzina, prima di iniziare a muoversi, facendole capire che doveva spostarsi.
- Do-dove vai…? – balbettò, permettendogli però di mettersi in piedi.
Non le doveva alcuna spiegazione. Non le doveva nulla. Sarebbe stata una palla al piede.
Invece si chinò verso di lei, osservò i suoi occhi azzurri resi viola dal riflesso del fuoco sulle iridi, occhi ingenui e pieni di solitudine e speranza.
Le tese quella mano che nessuno aveva mai teso a lui.
- Vado a fare una commissione. Vuoi venire? O vieni con me, o resti qui, ma non tornerò una seconda volta.
Una mano non rimaneva tesa a lungo.
La ragazzina l’afferrò subito, alzandosi e seguendolo.
Non si staccò più dal suo braccio.
 
Silco andò a prelevare dei soldi da un nascondiglio sicuro di cui nessuno era a conoscenza. Fidarsi dei suoi uomini era un conto, essere stupidi un altro.
Allora perché ci aveva portato la ragazzina?
Soppesò il sacchetto di monete in una mano. Erano abbastanza. Si assicurò di non essere seguito e uscì dal rudere che apparteneva a lui, anche se nessuno lo sospettava. Una vecchia catapecchia abbandonata vicina al molo, vicina a dove si ergeva fino a poche ore prima il suo quartier generale. Il percorso per arrivarci era così tortuoso che anche i più solerti si sarebbero stufati di pedinarlo.
Non si diventava il capo di qualcosa se non si manteneva il cervello sempre all’erta, sempre pronto a pianificare, a progettare la prossima mossa e a tracciare il percorso da seguire. Le scorte di shimmer su cui il dottore aveva lavorato erano andate quasi tutte distrutte, forse senza il quasi. Ora che avevano trovato la miscela giusta, e che gli effetti collaterali erano stabili, il dottore ci avrebbe messo meno tempo a replicarla. Ma serviva spazio. Serviva tempo. E tempo e spazio spesi a vuoto non portavano denaro. La mancanza di denaro portava al fermo delle operazioni. Sarebbe stato un passo indietro nel programma.
Ecco perché doveva impadronirsi del Last Drop, avere una base operativa e una fonte di entrate. Quel bar non era una miniera d’oro, ma ci si poteva lavorare, cambiando un po’ di regole. Introducendo un po’ di permissivismo, parola che a quanto pare Vander sembrava evitare come la peste.
Perbenista del ca…
- Dove stiamo andando?
La ragazzina gli strinse ancora di più il braccio. Silco non pensava che una bimbetta potesse avere quella forza.
- Andiamo a casa, ragazzina.
 
Come previsto, il Last Drop era vuoto all’arrivo di Silco. La ragazzina si staccò appena prima di varcare la soglia del bar, come se avesse capito da sola ciò che doveva fare. L’immagine che doveva dare. Eppure esitò, sembrava terrorizzata. Si colpì una volta la testa sotto l’occhio inflessibile di Silco, mosse le labbra senza emettere un suono. Forse stava per crollare.
Silco non degnò di uno sguardo Mome. A lei andava bene. Sapeva che, quando Silco guardava qualcuno, non era di sicuro per tessere le sue lodi. Essere ignorati era una benedizione, un complimento.
Tirò fuori il sacchetto di monete e lo spinse contro la pancia dell’uomo che aveva detto a Mome di chiamare. Si sarebbe occupato lui della vendita del bar, una volta accertato il decesso del proprietario.
Be’, Silco gli aveva facilitato il compito. Probabilmente gli aveva dato anche troppi soldi, ma non voleva rogne.
L’uomo parve capire.
- Le porterò l’atto di compravendita domani.
Si dileguò.
Al suo posto, entrarono Sevika sorretta da Zantik e Darren con in braccio il dottore.
Silco non lasciò trasparire il sollievo alla vista del dottore vivo. Con mezzo viso carbonizzato, ma vivo. Lui sapeva meglio di chiunque altro che anche alle ferite peggiori si poteva sopravvivere. Non era… affezionato al dottore. A dire il vero, non si fidava nemmeno tanto di lui. Era un uomo di scienza, e in nome della scienza si potevano commettere tante atrocità quanto quelle perpetrate in nome della violenza. Gli scienziati erano fedeli alle loro scoperte, alle loro ricerche, al progresso. Erano come cani obbedienti finché il padrone dava loro carta bianca… ma rimanevano cani, e i cani spesso nascondevano la fame e i denti affilati.
Silco non era il tipo da fare moine, non chiese come stessero. Né loro se lo sarebbero aspettato.
- Il bar aprirà all’orario convenuto. Quando arriverà il barman mettetelo sotto torchio, non tollererò alcun tentativo di ribellione. Se recalcitra, trovatene un altro. Facciamo capire ai vicoli che chi comanda ora non è un debole che ha paura di ribellarsi e di agire.
I presenti annuirono e si misero all’opera: Mome e Zantik fecero un sopralluogo del bar, mentre Darren seguì Silco e la ragazzina al piano di sopra, con il dottore e Sevika.
Silco si infilò nella prima stanza che trovò: un ambiente spoglio con dei tavoloni vuoti, forse una sala che Vander usava per le riunioni. O per le bevute di qualche gruppo che chiedeva privacy.
- Mettetevi qua – ordinò, passando oltre.
Si fermò sbigottito quando vide che la ragazzina lo aveva preceduto e stava aprendo la porta della stanza successiva. Ci entrò come se sapesse cosa ci avrebbe trovato dentro. Come se fosse casa sua.
E lo era, si rese conto Silco.
La seguì all’interno. Era una stanza enorme con una vetrata intarsiata che di giorno avrebbe proiettato luce all’interno con la forza di due soli. Molto di classe. C’erano una scrivania e un letto. Doveva essere la camera di Vander. Un’altra porta laterale conduceva ad una stanza usata come armeria. Silco non riuscì a trattenere un sorriso che divenne una smorfia. Puoi togliere un uomo dai vicoli, ma non puoi togliere i vicoli dall’uomo. Vander aveva rinunciato alla violenza, a quella vita, vero? Eppure dormiva accanto alla sua vecchia personalità.
Quello sarebbe diventato il suo ufficio, decise. L’armeria, la sua camera da letto.
La bambina si arrampicò sul grande letto, si rannicchiò, strinse un cuscino.
Poi, docile come si era sdraiata, lo lanciò lontano e urlò, un urlo potete come Silco non ne aveva mai sentiti.
- Fa male, vero, ragazzina?
Lei si asciugò le lacrime e il naso con la manica, si girò verso di lui. Non era mai successo, nemmeno in tempi più sereni, tempi in cui tutto sembrava realizzabile con suo fratello di fianco, tempi di sogni da giovani e di clemenza, che si sentisse toccare tanto dallo sguardo di un bambino.
La ragazzina scosse la testa, assentì, ma non rispose. Si girò verso una cornice accanto al letto.
Silco la osservò accarezzare la foto sul comodino, una foto di Vander con altri cinque ragazzini, di cui una era lei, l’altra sua sorella. Gli altri due erano quelli che non erano mai scappati dal conservificio crollato, uno non l’aveva mai visto.
Non sapeva come interagire con una bambina, non era abituato a sentirsi a disagio. Però c’era una catena di comando, una gerarchia da rispettare, ed era meglio insegnarglielo subito. Sarebbe anche potuta rimanere casa sua, ma le regole erano cambiate, e doveva rendersene conto subito.
- Puoi restare, purché tu non mi dia fastidio e non intralci i miei piani. Immagino tu abbia una camera qui, no? Puoi tenertela, cibo ce ne sarà dato che è un bar. Alla fine basta questo per vivere, cibo e un tetto.
Era un’offerta più che generosa, soprattutto perché non le chiedeva nulla in cambio… soprattutto perché non le doveva nulla, eppure non la buttava per strada, abbandonata a se stessa.
Ma lei non rispose. Sembrava non averlo nemmeno sentito. Cominciava col piede sbagliato…
- Hai capito, ragazzina? – chiese, più aspramente di quanto intendesse.
Meglio così, tanto valeva che capisse subito.
Si girò verso di lui con gli occhi lucidi di lacrime e… determinati. Silco increspò la fronte, assottigliò l’unica palpebra che gli restava, mentre l’occhio malato rimaneva fisso su di lei, immobile. C’era una forza dentro di lei, un potere che chiedeva solo di esplodere. Era… pericolosa. Era un animale selvatico, che poteva rivoltarsi contro il proprio carceriere. Ma poteva anche diventare la più fidata delle bestie, se addomesticata.
Era lo sguardo di chi non si faceva mettere i piedi in testa e, fintanto che quella volontà non intralciava il suo cammino, Silco lo apprezzava.
- Non mi chiamo “ragazzina”.
Silco chiuse l’occhio, respirò. Le si avvicinò, svettando su di lei, guardandola dall’alto. Lei non parve minimamente intimidita. Non si piegava facilmente. Era una creatura ferita, ma non debole. Non inerme.
Si chinò fino ad essere alla sua stessa altezza.
- Come ti chiami, allora?
Parve esitare. – Pow-Powder.
Sarcasmo. – Pow-Powder?
La ragazzina raddrizzò la schiena. – Powder.
Bene. Che riprendesse il controllo. Che capisse chi era, chi voleva essere. Forse poteva tornargli utile. Di sicuro non gli sarebbe stato di nessuno aiuto una bambina piagnucolante in cerca di coccole. Non da lui, non era assolutamente concepibile.
- Sicura di voler tenere quel nome? È il nome della vita che hai appena perso, no? Il nome con cui ti chiamava tua sorella prima che ti abbandonasse.
La ragazzina si rabbuiò, si strinse i capelli, gemette. Si raggomitolò su se stessa, ondeggiando.
Instabile. Decisa, ma instabile.
- Non l’ho fatto apposta, volevo solo aiutare. Volevo solo… io… la mia bomba ha funzionato. Lei ha detto che avrebbe funzionato, ma non è stata felice. Lei…
Poi urlò, sdraiandosi e calciando l’aria. Silco si spostò appena in tempo, perplesso.
La bomba… Aveva causato lei l’esplosione? Quell’immensa distruzione, la morte della sua cavia e le ferite del dottore, il crollo del suo quartier generale, la perdita di quei due ragazzi… erano opera sua?
- Hai fatto esplodere tu il mio covo? Dove hai trovato una bomba del genere?
La ragazzina, Powder, si rimise a sedere, guardandolo terrorizzata. Si mise in piedi sul letto e lo abbracciò.
- Non mi cacciare. Ti prego, non mi lasciare.
Silco non rispose all’abbraccio, era troppo impegnato a ragionare. – La bomba. Dove l’hai presa?
- L’ho cre-creata io. Ha funzionato. Vi ha sempre creduto che avrebbe funzionato, ma non è stata felice! – gridò scostandosi, dandogli le spalle. – Che senso ha dirmi che avrebbe funzionato se poi mi abbandona nel momento in cui succede?! Io non porto sfortuna!!
Seguire i suoi ragionamenti era difficile. L’unica cosa chiara in tutto quel discorso era il fatto che quella bomba micidiale l’aveva creata lei.
- Quanti anni hai?
Powder si girò. Tirò su col naso. Divenne piccola. – Sette.
- Come hai imparato a fabbricare bombe? Chi ti ha insegnato?
Si strinse nelle spalle, quasi fosse timida. – Mi piace creare quel genere di cose. Non so menare come Vi, né sono grossa come Claggor, volevo aiutare a modo io.
- Hai inventato quella bomba senza un minimo di conoscenza della materia? – chiese ancora, sempre più stupefatto.
- Prima non avevano funzionato – rispose lei. Sembrava calmarsi mano a mano che parlava. – C’ero quasi, ma questa notte è stata la prima volta. Ha funzionato!
Rise saltando sul letto, all’improvviso giubilante. Poi si fermò.
- Io non porto sfortuna… - borbottò. – Io non sono Jinx!!*
Silco l’afferrò per il braccio, spaventandola. Non era sua intenzione.
- Cosa stai dicendo?
Powder deglutì. – Mylo mi diceva sempre che porto sfortuna. Le missioni andavano sempre male quando c’ero io. E… mia sorella mi ha detto… che sono Jinx, prima di…
Si afferrò di nuovo la testa con il braccio libero, poi liberò anche l’altro e se le strinse al petto, ricominciando a piangere.
- Io non porto sfortuna, io non porto sfortuna io…
- E se fosse sempre stato questo il tuo posto? – le domandò Silco, serafico. Doveva incanalare quell’instabilità, doveva plasmarla e definirla. Doveva trasformarla, renderla sfruttabile. – Se tu portassi sfortuna… ai nemici? Se fossi effettivamente Jinx? Potrebbe non essere una debolezza, ragazzina, ma un potere.
Powder lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Come se avesse capito una cosa importante.
- Porti scompiglio, porti caos. Distruzione. A me sembra un bene. Bisogna essere stupidi per non comprendere l’importanza di un diversivo, o di una bomba mirata. Potresti diventare l’incubo dei tuoi oppositori. A me il tuo sembra un potere, non una maledizione. Non una sfortuna.
La ragazzina gli si avvicinò, lo fissò negli occhi. Non si soffermò su quello malato, lo guardò proprio in viso, come se fosse capace di leggergli l’anima.
- Non… porto sfortuna?
- Solo se lo vuoi. Siamo noi a decidere per noi stessi, sempre. E tu? Vuoi lasciare che le parole di quella traditrice di tua sorella definiscano chi sei? Ti sminuiscano?
I suoi occhi si indurirono. Si focalizzarono.
Sembrava che avesse capito qual era il suo scopo, il suo posto nel mondo. Sembrava che avesse capito che non erano anime costrette a subire i colpi della vita.
Potevano tornare da guerrieri.
Potevano dire addio al passato. Era tempo di dire addio.
- No.
- Come ti chiami?
Una nuova identità. Un punto di inizio. La possibilità di tirare fuori del potenziale, di scoprire chi era veramente.
Un nuovo nome. Una bandiera, il punto di congiunzione tra il passato e il futuro.
Le ultime parole che le aveva detto Vi, un’ombra appartenente ormai al suo passato.
E ciò che sarebbe diventata in futuro.
Il tutto condensato in quell’unico istante. Nel presente.
La ragazzina abbracciò Silco, che di nuovo non si ritrasse al contatto. Nessuno lo toccava. Era un gesto intimo, un’azione che nessuno si sarebbe mai azzardato a tentare. Lui era il capo, lui era intoccabile. Però tra le braccia magrissime di quella bambina scoprì un tepore che non aveva mai sentito tra le braccia di nessuna donna. In nessuna stretta di mano tra uomini, per quanto fosse vantaggioso un accordo.
Sembrava… il riempimento di un vuoto. Qualcosa di incontaminato, da proteggere.
- Jinx. Io sono Jinx.
Silco la strinse a sé a sua volta, sapendo nel profondo, nello stesso luogo in cui aveva albergato l’affetto per Vander, che non l’avrebbe più lasciata.
Attirò a sé un’anima abbandonata come lui, trovando la guarigione di cui non sapeva di avere bisogno. E offrendola anche a lei.
Abbracciò per la prima volta sua figlia.
 
 
 
* “Because you’re a Jinx” in originale. “Perché porti sfortuna.” Le parole che Vi ha rivolto a Powder prima di allontanarsi, fine atto III.
Jinx: iettatura, persona che porta sfortuna, sfiga.
 

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Capitolo 2
*** Painful memories (I am the monster you created) ***


Ciao a tutti, e grazie per essere arrivati al capitolo due! Prende luogo pochi giorni dopo la fine dell'episodio/atto III.
Jinx e Silco imparano pian piano a conoscersi e interagire, mentre intanto l'instabilità di Jinx fa capolino, iniziando a renderla ciò che è davvero (e che io amo nonostante sia un personaggio malato e fuori di testa e, tecnicamente, anche cattivo). Preciso che i nomi che ho usato per gli scagnozzi di Silco me li sono inventati di sana pianta perché non li ho trovati da nessuna parte, sinceramente. La questione della stanza di Jinx invece verrà trattata meglio più avanti, man mano che lei e la sua personalità cresceranno.
Spero tanto che possa piacervi il capitolo^^ E grazie ancora se leggerete.
PS: la canzone di Sting e Ray Chen, quella che conclude la prima stagione, è fenomenale.

2. Painful memories (I am the monster you created)


What could have been - Sting ft Ray Chen, track 11
 
I am the monster you created
You ripped out all my parts
And worst of all, for me to live, I gotta kill the part of me that saw
That I needed you more
 
I hope you know we had everything
When you broke me and left these pieces
I want you to hurt like you hurt me today and
I want you to lose like I lose when I play What Could Have Been
Oh, What Could Have Been

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~ 
 
Odiava quella camera. La sua camera. Quella che aveva condiviso con sua sorella e con i fratelli adottivi.
Una volta avrebbe fatto carte false per avere più spazio. Non troppo, non le serviva la stanza intera. L’avrebbe condivisa con Vi, ma solo con lei. In due andava bene, in quattro si stava stretti.
Invece ce l’aveva tutta per sé da diversi giorni, e la cosa la tormentava. Le memorie la tormentavano. L’assenza, la mancanza, il vuoto in quegli angoli in cui avrebbe dovuto esserci Mylo che provava a scassinare qualcosa, o Claggor che mangiava cercando di non farsi vedere, o Vi che si allenava da sola o contro il muro.
Il silenzio l’assordava, soprattutto di notte. Quante volte si era lamentata del russare di Claggor o dei grugniti di Mylo? Però erano rumori che avrebbe rivoluto indietro. Rumori di vita. Anche di giorno non c’era mai silenzio, c’era sempre qualche scaramuccia, Vi che lanciava ordini, o Piccoletto, Ekko, che blaterava in continuazione di qualche novità o qualche informazione rubata da Benzo; o Vander, che scendeva a scambiare due chiacchiere, o portava loro qualcosa da mangiare o da bere quando non li vedeva per diverso tempo, per accertarsi che stessero bene e non si stessero nascondendo da lui per qualche malanno che non volevano confessargli.
Le pareva di impazzire. Non sopportava il silenzio, ma non sopportava nemmeno quando arrivava la sera e il locale si riempiva di rumori. Allora urlava, strepitava, certa che con la musica alta nessuno l’avrebbe sentita. Piangeva, si era anche strappata alcuni capelli nella foga, aveva scagliato lontano le sue bombe inutili e non funzionanti. Poi le aveva riassemblate. Distrutte di nuovo.
Sembrava che non sapesse fare altro che rovinare, cercare di rattoppare per poi rompere nuovamente. Era brava solo a disfare e causare danni.
E quello aveva fatto. Aveva scagliato contro il muro qualsiasi oggetto appartenuto a Vi, Mylo e Claggor. Tanto non sarebbe venuto nessuno a reclamarli. In fondo in fondo, era proprio quello il suo desiderio: che tornassero a sgridarla, a insultarla, a dirle che portava sfortuna. Non importava, se ciò avesse significato averli di nuovo lì.
Sentiva un ronzio nella testa, un fastidio che si accentuava quando era da sola. Socchiudeva gli occhi, ma quel fischio non se ne andava. Sembravano voci, lamenti, come quando il vento soffiava troppo forte contro le imposte creando una specie di urlo umanoide.
Alla fine, per terra rimasero solo pezzi smembrati di oggetti irriconoscibili. Nessun effetto personale degli ex coinquilini. Si erano salvati solo il grammofono e le sue cose, quelle che non aveva toccato e quelle che era andata a recuperare dal luogo dell’esplosione.
Pensavano che fosse crollato tutto, ma qualche mattone si ergeva ancora. C’era spazio nel punto in cui Silco aveva pugnalato Vander, non abitabile, ma aveva trovato degli oggetti interessanti, oltre ad aver ripescato il pupazzo di Vi, la sua valigetta e il resto.
Nessuno le aveva chiesto dove fosse stata. Nessuno era andato a vedere da dove provenisse tutto quel trambusto in quella stanza. Silco le lasciava molta libertà.
Silco. L’uomo che aveva ucciso la sua famiglia. Indirettamente. Direttamente, li aveva uccisi tutti lei.
Poco importava cosa avesse fatto lui: a lei non aveva arrecato alcun danno. Si assicurava che mangiasse, le aveva lasciato la stanza, le aveva detto che poteva continuare a considerare il Last Drop casa sua. Non le avrebbe chiesto nulla in cambio. Era stato… generoso. Clemente, anche.
L’aveva chiamata Jinx. Ma non come gli altri. Non come Mylo. Non come Vi. Da come l’aveva detto lui, era sembrato un complimento. Era come se… fosse un potere. Un’arma. Le era piaciuto quel nome pronunciato da lui. Una promessa, non un nome. Stava cercando di adattarsi ad esso, a non considerarsi più Powder, ma Jinx.
Non era facile. Soprattutto con quel silenzio. Con quel rumore.
Si scagliò contro i frammenti di metallo e altre parti non identificate di vecchi oggetti, come se potesse servire a qualcosa.
Poi capì. Quando si fermò, con il respiro affannoso che le rimbombava nelle orecchie, comprese.
Quel ronzio, quel fischio, come lo si voleva chiamare, quel sussurro di tempesta… erano voci. Che cercavano un corpo. Una bocca.
Prese in mano un pezzo di metallo liscio e squadrato. Andò al suo angolo di lavoro.
Prese la saldatrice.
 
Il giorno dopo fissò con occhi arrossati dal sonno la riproduzione quasi perfetta di Mylo, il pupazzo cicciottino di Claggor e il peluche di Vi. Per strada aveva recuperato anche gli occhiali di Claggor, che si adattavano perfettamente al viso del nuovo proprietario.
E finalmente le sentì, le voci.
I pupazzi le parlavano. I sussurri divennero parole. Poi frasi. Discorsi.
Condanne.
Jinx si inginocchiò. Mylo la fissava con odio. Claggor con rassegnazione. Il peluche era… depresso.
Ce l’avevano con lei. La incolpavano.
Jinx si prese la testa tra le mani, pianse, urlò.
Aveva creduto che sarebbe stato meglio risentire le loro voci. Ridare loro una forma. Riaverli indietro.
Invece non li voleva. Voleva che morissero del tutto. Erano già morti, sì, ma allora perché le loro anime le davano la caccia? Cosa volevano da lei? Non li aveva mica uccisi apposta!
- Volevo solo aiutare! – gridò loro. – Siete stati voi stupidi a lasciarmi indietro. Avete visto cos’ho fatto! IO VI HO AIUTATI!!
Tirò un calcio al divano, si fece male, quasi non lo sentì.
Non aveva dormito per tutta la notte, aveva lavorato ininterrottamente. Si sentiva le palpebre pesanti, gli occhi talmente gonfi di sonno e secchi che le sembrava di avere carta vetrata sotto pelle.
Si sentiva sola.
Aveva ricreato i suoi amici, i suoi fratelli, la sua famiglia, perché le tenessero compagnia. Ma loro si rifiutavano.
La condannavano.
- Sono Jinx, non Powder! Jinx! Smettetela!
Si sbatté la porta alle spalle. Era pomeriggio. Quando aveva mangiato l’ultima volta? Aveva fame?
Il bar avrebbe aperto a breve. Dietro il bancone c’era già il barman a lucidare i bicchieri. Il barman… un fedele amico di Vander, che si alternava a servire i clienti. Non se n’era andato, era rimasto a lavorare lì. Aveva barattato lealtà e onore con i soldi. Con la paga. Aveva una famiglia da mantenere, l’aveva sentito dire ad altri amici di Vander, fuori in strada. Il rimpianto e l’attaccamento ad un morto non retribuivano. Non poteva lasciarsi sfuggire quel lavoro.
Piccolo verme voltafaccia e arrivista. Era sempre stato gentile con lei, ma non gli avrebbe lasciato infangare la memoria di Vander. Gliel’avrebbe fatta pagare.
Non gliel’aveva forse promesso, Silco? L’avrebbero fatta pagare a tutti.
Esitò davanti al suo ufficio.
Aveva visto come poteva mutare il suo umore. Da soddisfatto, in una manciata di secondi poteva ordinare di pestare a sangue qualcuno oppure congratularsi per un lavoro ben eseguito. Sevika e il dottor Singed erano sopravvissuti. Menomati, segnati, ma erano vivi. Silco aveva già trovato un nuovo laboratorio per il dottore, gli aveva dato dei soldi come “incentivo” affinché si rimettesse subito al lavoro sullo shimmer. Il dottore era libero di portare avanti qualunque ricerca volesse, fintanto che lavorava per lui e ricreava quella droga dopante. Silco voleva metterla in commercio. Ci avrebbe ricavato parecchio, diceva. Le dipendenze fruttano sempre.
Con lei, comunque, non era ancora stato cattivo.
Bussò.
La sua voce profonda, da uomo grande come Vander, le disse di entrare.
- Ah, sei tu – l’accolse senza inflessione.
Sevika era accanto a lui. La squadrò con indifferenza, chiedendosi forse perché Silco non si fosse ancora sbarazzato di lei, una piccola nullità. Il braccio sinistro le era stato amputato. Dalla spalla spuntava un moncherino in via di guarigione che lei copriva con un mantello.
- Vai pure – la congedò Silco, continuando a controllare delle carte senza degnare Sevika di uno sguardo.
La donna la sfiorò uscendo, la guardò dall’alto. Non le piaceva. Non si piacevano.
Quando si fu richiusa la porta alle spalle, Silco parlò. – Non hai mangiato né ieri sera né oggi. Ci sono modi migliori per morire che lasciarsi andare alla fame. Ma nel tuo caso, mi sembra uno spreco.
Il suo stomaco traditore brontolò.
Dieci minuti dopo era seduta di fronte a Silco a trangugiare un bicchiere del suo succo preferito e un piatto fumante di carne.
Silco la osservava in silenzio. La studiava.
Prese poi uno strano oggetto cilindrico, anzi, due, e li assemblò. Si girò sulla sedia, dandole le spalle, occultandosi alla sua vista.
Lo sentì gemere, ributtare l’oggetto di nuovo separato sulla scrivania, stringere i pugni.
Lei continuò a mangiare.
L’ambiente era cambiato radicalmente nel giro di pochi giorni. Silco aveva trasformato la camera di Vander nel suo ufficio, comprensivo di divani in pelle per i ricevimenti, una solida scrivania, una sedia simile ad un trono e armadi pieni di scartoffie. Tappeti, anche. Sembrava molto più… professionale, rispetto a prima. Quella che prima era stata l’armeria, la stanza adiacente, era diventata la camera di Silco. Sobria, spartana, un letto matrimoniale, uno specchio, un armadio. Lì doveva dormirci, nulla più. Il luogo che più gli apparteneva era indubbiamente il suo ufficio.
Silco guardò fuori dalla grande vetrata mentre lei finiva di mangiare. Sembrava piacergli quella vista che dava sul centro, sui vicoli principali. Sul cuore della Città Sotterranea. Di Zaun, come la chiamava sempre lui.
- Ho molte cose importanti di cui occuparmi. Non posso badare ai tuoi pasti.
Silco si girò di nuovo verso di lei, lo sguardo affilato come un rasoio, la voce dura e inflessibile di chi è abituato a comandare.
- Vedi di mangiare come si deve da ora in poi. Cosa sei venuta a fare qui?
Lei non si lasciò intimidire dal suo tono. Accantonò il piatto. Sapeva che, se avesse voluto, l’avrebbe già sbattuta fuori. Per quanto contorta, quella domanda era una specie di incoraggiamento. Lui era interessato.
In sua presenza le risultava più facile pensare a se stessa come Jinx. Era come una pelle nuova che indossava solo con lui, ma che presto forse avrebbe potuto interiorizzare.
Jinx finì di bere, continuò a guardarlo. Silco non era l’unico a studiarla, in quella stanza.
- Non voglio più stare in quella camera.
Silco sollevò le sopracciglia, come se fosse sbalordito, in senso negativo, che lei fosse andata a disturbarlo per una simile inezia. L’espressione era annoiata. Jinx si chiese se simulasse appositamente le facce che faceva, per mostrare di avere il pieno di controllo di tutto e di essere al di sopra di chiunque, o se fosse davvero il suo carattere così.
- Conosci questo posto meglio di chiunque. Sceglitene un’altra.
- Non…
Jinx lo capì nel momento in cui aprì a bocca per dirglielo. Aveva sempre condiviso la stanza con qualcuno. Sempre. Mai aveva desiderato di averne una solo per sé. Per lei e la sorella, sempre. Uno dei suoi primi ricordi da bimba era la condivisione del letto, della camera, con Vi.
Lei la proteggeva dai mostri. Le diceva che con lei accanto non avrebbe avuto nulla da temere. Era vero, non le era mai successo nulla con Vi accanto. L’aveva sempre protetta.
Finché non se n’era andata.
Jinx era il mostro che lei aveva creato. Ciò che era rimasto dopo che aveva strappato tutte le sue parti, rompendola e lasciandone lì i pezzi.
- Non voglio stare sola. Mi… fa paura.
Silco sospirò, come se trovasse un peso doversi occupare di una ragazzina piagnucolante che aveva paura della solitudine. Dei suoi fantasmi.
- In questo piano non saresti sola. È un bar, per la miseria, è pieno di gente. Vuoi una camera accanto alla mia? Prenditela, ce ne sono due vuote.
Jinx lo scrutò con la testa chinata, come un cucciolo che teme di avvicinarsi ma vorrebbe tanto farlo. Appoggiò la testa sulla scrivania, lontana dal piatto.
Vander le preparava sempre il suo succo preferito quando la vedeva così.
Silco, invece, si strofinò la faccia. Di solito i cuccioli abbandonati si raccoglievano e si portavano a casa quando si era piccoli. Ed erano animali. Com’è che aveva deciso di adottare una bimbetta proprio lui, proprio a quell’età?
Poi vide i suoi occhi rossi.
- Da quanto non dormi?
Jinx nascose il viso. – Non lo so. Da un po’ – biascicò.
Era esausta.
Silco scosse la testa. – Non ho più appuntamenti per oggi, ma ho ancora del lavoro da fare. Se non mi stai tra i piedi e non mi disturbi, puoi metterti su quel divano. D’accordo?
Jinx si raddrizzò subito, come un giocattolo a cui fosse scattata la molla.
- Vado a prendere le mie cose.
Schizzò fuori dall’ufficio prima che Silco potesse ribattere. Strinse il pugno. Se lo vedevano con quella ragazzina che giocava lì potevano additarlo come un debole. Non aveva ancora diffuso lo shimmer, gli zauniti ancora non dipendevano da lui, non riconoscevano il suo potere, il suo governo, erano ancora arrabbiati e scossi per la morte del loro protettore. Di Vander. Gli stavano già facendo una statua non distante da lì, un monumento creato con gli scarti di quella città maleodorante.
Finché nessuno avesse visto come cedeva per Jinx, però, sarebbe andato tutto bene.
E lui non poteva ignorare lo sguardo di fiducia, di speranza e di paura nei suoi occhi limpidi di bambina. Si attaccavano a lui con gli arpioni, come se fosse un’àncora.
Era una bella sensazione.
Jinx tornò con un ammasso di ferraglia, un peluche e un pupazzo. E la cornice con la foto di Vander e degli altri che aveva portato via da lì quando Silco aveva iniziato a riarredare.
Silco sospirò di nuovo. – Vedi di portare via tutto entro domani mattina. Non è possibile che trovino qui quelle bambole.
Jinx strinse le labbra e annuì. Si sistemò sul divano, in silenzio.
Silco riprese le sue scartoffie. Tracciò segni sulla mappa di Zaun che stava completando, stesa sulla scrivania. Zaun, non la Città Sotterranea. Non l’ombra di Piltover, non il suo bidone dell’immondizia. Una nazione vera. L’avrebbe ripetuto finché la gente non si fosse dimenticata come la chiamava prima di lui. Cosa c’era, prima di lui.
Fatture, registro dei conti. Da quando aveva introdotto un po’ di permissivismo in quel bar, i profitti erano aumentati. Andava meglio del previsto. Il dottore era tornato al lavoro. Debole, rallentato, ma era cosciente, e aveva voluto subito cominciare a studiare una variante medicinale dello shimmer che sarebbe stata utile anche a lui. Tanto meglio, se aveva una motivazione lavorava con più impegno. Anche Sevika era operativa. L’aveva sorpreso. Non aveva voltato le spalle a Vander da molto, quando lo aveva salvato dall’esplosione al conservificio. Non se lo sarebbe aspettato da lei. Da nessuno, a dire il vero. In situazioni di morte imminente, la lealtà crollava, rimaneva solo un primordiale e incontrollato istinto di sopravvivenza.
Era ben consapevole del gesto di Sevika. Le doveva la vita. L’avrebbe ripagata adeguatamente, era indubbio.
I cani andavano tenuti al guinzaglio, ma quando si tirava troppo si rischiava che si rivoltassero. Ogni tanto bisognava dar loro un contentino, soprattutto a quelli più fedeli e promettenti.
Silco alzò lo sguardo su Jinx. L’aveva sentita bofonchiare a bassa voce fino a pochi minuti prima, muoversi discretamente, giocando. Ma da un po’ era in silenzio.
Dormiva sul divano, abbracciata ai suoi giocattoli.
Silco si appoggiò alla sedia, o poltrona, o trono, comunque la si volesse chiamare. In qualche modo contorto, la vista di Jinx al sicuro gli iniettava un’ondata di pace liquida nelle vene. Lo rilassava vederla tranquilla. Protetta.
Non conosceva l’origine di quelle sensazioni. Che fosse dovuto al fatto che lei, come sua sorella, era stata la figlia di Vander, a cui era ancora malauguratamente legato? No, non era possibile. Aveva voluto uccidere Vi e quegli altri due. Non c’entrava niente il sentimentalismo.
Era come se… sentisse che Jinx era speciale. Come se il suo arrivo, il loro incontro, avesse colmato un buco che Silco non sapeva di avere, dritto nel petto. Sapeva di dover essere accorto, di essere un funambolo che reggeva un’asta precaria su un filo fin troppo sottile e affilato. Se si fosse rammollito avrebbe perso tutto. Ma se si fosse dimostrato troppo duro con Jinx, sentiva che qualcosa di peggiore sarebbe accaduto a lui.
Si alzò, le andò vicino.
La foto di Vander e dei suoi amici. Un pupazzo cicciottino con degli occhiali. Il peluche di un coniglio. Una bambola gigante con dei capelli ingestibili, interamente fatta di metallo. I dettagli erano impressionanti.
Dove aveva trovato dei simili giocattoli?
Un sopralluogo nella sua vecchia camera gli fornì la risposta: li aveva creati lei. Di recente. Il pavimento era disseminato da resti di vecchi oggetti scomposti e riassemblati, alcuni abbandonati, altri incompleti. Silco si chinò per toccare una macchia di sangue su un pezzo di metallo. Si sporcò le dita. Era fresca. Li aveva costruiti prima di andare da lui. Non aveva dormito per quello.
Una mente geniale. In qualche modo lo aveva sempre saputo. Jinx era speciale.
Tornò da lei. Non si era mossa.
Gettò la testa indietro, chiuse l’occhio buono, riflettendo. Più del momento della morte di Vander, sentiva di essere arrivato ad una svolta epocale. Lì, in quell’istante, con quella ragazzina addormentata sul divano.
Riaprì l’occhio e osservò ciò che il sinistro aveva già captato. Un soffitto alto, con delle travi metalliche robuste. Un ampio spazio dritto sopra la sua testa.
Non le piaceva stare da sola, no?
Silco tornò alla scrivania, calcolò le spese e il tempo di esecuzione.
Era quasi mattino quando accusò la stanchezza. Jinx non si era mossa dal suo divano, placida in un sonno ristoratore e probabilmente senza sogni.
In qualche modo, gli sembrò sbagliata l’idea di alzarsi e andare a letto per qualche ora. Non con Jinx lì da sola. Era iniquo.
Andò a prenderle una coperta, gliela mise addosso. La vide rilassarsi nel sonno.
Silco si ritrovò a sorridere lievemente.
Stupido. Doveva essere la stanchezza.
Si rimise alla scrivania, avrebbe lavorato un altro po’.
Invece si addormentò lì, su quella sedia, in una posizione scomodissima. Eppure dormì bene.
Quella notte, per la prima volta, anche Silco non era solo.
 
Jinx non si fece vedere per tutto il giorno successivo.
La mattina Silco l’aveva svegliata dicendole che aveva delle riunioni a cui prendere parte, che i Baroni Chimici che gli avevano dato appoggio volevano essere ragguagliati, volevano essere sicuri che i soldi che avevano investito fruttassero.
Le aveva detto di tornare la sera, e intanto di raccattare la roba che voleva portare con sé.
- Perché? Dove mi mandi?
- Non ti mando da nessuna parte. Non volevi cambiare camera? La tua mi tornerà utile come privé, frutterà diversi soldi d’affitto.
- Trasloco? E dove?
- Te lo mostrerò a tempo debito. Ora vai. E fai colazione.
Aveva chiamato due o tre uomini nerboruti a cui si era sempre rivolto per qualche lavoretto di forza. Erano come dei tuttofare, all’occorrenza guardie e buttafuori, ma sapevano il fatto loro in quanto a costruzioni.
Aveva spiegato loro il progetto, nulla di complicato, solo qualche trave di legno sul soffitto, una specie di alcova. Poi lui era andato al meeting con i Baroni Chimici, incaricando Mome di pagarli all’uscita.
 
Quando tornò, Jinx era già nel suo ufficio, seduta sulla sua sedia. Avrebbe considerato quel gesto un affronto da parte di chiunque altro, ma non da lei. Stava armeggiando con qualcosa, ignara di aver occupato un posto che più che una poltrona era un simbolo.
Il bar aveva già aperto, l’odore di fumo e corpi nel salone era penetrante quanto quello delle strade, gli era rimasto addosso nonostante non si fosse trattenuto all’entrata. Aveva voglia di un sigaro, ma prima doveva parlarle.
Si tolse il soprabito.
 - Chi ti ha fatta entrare?
Jinx lo guardò con espressione inebetita. – Entrare dove? Qui? Nessuno. Sono scesa dal soffitto. C’è un’entrata nel sottotetto, ci andavo sempre con…
La sua voce si spense sulla fine, ricordando cose dolorose, tenere memorie che ormai sapevano solo di cenere.
Si riprese subito. – Cos’è quella cosa lassù? Non c’è mai stata, e nemmeno ieri c’era, ne sono sicura.
Silco piegò un angolo della bocca in un ghigno. – Camera tua può tornarmi utile per certi… affari. Sbaracca entro domani.
Jinx spalancò gli occhi. Sembrava sull’orlo del pianto.
- M-ma… camera mia… Allora dove andrò? Vuoi mandarmi via anche tu?!
In preda all’isteria, saltò oltre la scrivania con un’agilità insospettabile e gli si fiondò contro. Questa volta Silco non si fece cogliere di sorpresa: il suo slancio non lo buttò a terra. Rimase lì in piedi ad incassare quei piccoli pugni indolori da bambina.
Il suo era stato un tentativo di umorismo, una specie di sorpresa. Non si era reso conto che in Jinx la paura dell’abbandono offuscava persino la ragione. Ce l’aveva sotto gli occhi, la risposta, ma non l’aveva vista.
Le bloccò i polsi, l’allontanò per guardarla in volto.
- Hai detto che non vuoi stare sola – scandì, laconico. Poi indicò il soffitto. – Quella è la tua nuova camera. Comunicante con il mio ufficio, con me.
Jinx si bloccò all’istante, fissò il soffitto. Le lacrime continuavano a colare come se si fosse aperto un rubinetto. No, non aperto: rotto.
- Camera mia? Per me?
Silco stava per perdere la pazienza. – Di sicuro non per Darren.
Jinx sorrise, la tristezza scacciata via da una battuta che non voleva essere tale. Silco rimase impassibile, ma sentiva che il sorriso della ragazzina era pericoloso, contagioso.
Ed era pericoloso che lei passasse dal parossismo di un’emozione ad un’altra senza intervalli intermedi. Era come una batteria troppo carica, ogni tanto andava in cortocircuito.
Jinx lo abbracciò, liberandosi dalla sua stretta per avvinghiarsi a lui.
- Perché hai fatto questo per me?
Così poco abituato a quei contatti, Silco reagì al rallentatore come la prima volta che l’aveva vista. Sollevò le braccia lentamente, ricambiò l’abbraccio con impaccio, come se non sapesse bene come doveva mettere le mani.
- Ho idea che io e te possiamo esserci utili a vicenda.
Jinx annuì contro di lui. – Posso esserti utile. Sì!
Si staccò, osservò quello che fino a ieri erano le travi del soffitto e che invece erano diventate il pavimento della sua camera. Una camera tutta per lei. Ma non le faceva paura, con Silco così vicino. Tornò ad abbracciarlo. Non le importava se Silco era un nemico di Vander, se aveva contribuito all’uccisione della sua famiglia, se era un criminale.
Era buono con lei. Vedeva il buono in lei. La forza, non le stranezze.
- Glielo avevo detto, che potevo aiutare. Sapevo che potevo tornare utile. Invece non mi ha ascoltata.
- Lascia andare tua sorella. Lei non si è fatta tanti problemi a lasciar andare te.
Jinx annuì di nuovo, si asciugò il viso con la manica. Poi la spalmò sul panciotto di Silco, che trattenne a stento uno sbuffo.
- Vai a vedere com’è e portaci le tue cose. Devo davvero usare camera tua domani.
Come se le avesse fatto il regalo più bello della sua vita, Jinx si mise a saltellare. Silco si aspettava che uscisse per fare il giro fuori. Come aveva detto prima lei, nel sottotetto c’era davvero un’apertura, e quella sarebbe stata la sua entrata. Metterci una scala era fuori discussione, quello era il suo ufficio, non una sala giochi per bambini.
Invece Jinx si guardò intorno e, prima che lui potesse anche solo rendersene conto, si arrampicò fino alla soglia di camera sua.
Spalancò la bocca mentre lei si infilava nella camera, un piccolo ambiente con il soffitto basso.
Jinx la trovò perfetta.
Silco invece si rese conto che aveva più doti nascoste di quanto si aspettasse. Aveva scoperto da poco la sua età precisa, sette anni. Sette anni passati a star dietro alla sorella, una sorella che saltava di tetto in tetto e tirava più pugni di chiunque altro mentre lavorava per Vander.
Sua sorella se n’era andata lasciandogli in dotazione una ragazzina dotata di acume, a giudicare dalle bambole che aveva costruito, manualità, ingegno e atletismo.
Silco ghignò accendendosi un sigaro.
Sì, sarebbero davvero stati utili uno all’altra.
- Allora? Un po’ di gratitudine non guasta – disse, rivolto al soffitto.
Non ottenne risposta.
- Jinx?
Ancora silenzio.
- Jinx?! – urlò, preoccupato.
La porta si spalancò di colpo, facendolo trasalire. Si ricompose subito, maledicendosi per la debolezza mostrata con quello spavento.
Ma ad entrare fu solo Jinx, le braccia cariche di oggetti. Silco era basito.
- Sono io! – esclamò la ragazzina ridendo. – Jinx! – aggiunse, come per prendere confidenza con quel nome. Guardò il soffitto e poi gli oggetti. Le spalle si incurvarono. – Questi devo portarli su da fuori, non da qui.
Poco dopo Silco, con il sigaro acceso in mano da cui non aveva ancora fatto un tiro, la sentì muoversi sul soffitto.
Sì, decisamente quegli anni con la sorella le avevano fatto bene.
- Non c’è bisogno che ti dica che quando ricevo non devo essere disturbato, vero?
- No! – rispose lei, da qualche parte lì sopra.
Faceva più rumore di Darren ubriaco.
- Nessuno sa e deve sapere che sei lassù, chiaro?
- Certo! Non c’è la porta, ma so essere silenziosa come una scimmia ninja! Ehi, ma se io restassi qui e tu mi lanciassi gli oggetti da giù? Ho anche un grammofono bello grosso però, quello non credo che si possa lanciare.
Silco spense il sigaro ancora intatto, le mani sui fianchi.
Non ottenendo risposta, Jinx si sporse. – Non ti dà fastidio che io senta tutto quello dici da qui?
Silco alzò la testa, la solita espressione talmente seria da essere quasi disgustata dipinta in volto.
- Io confido nella lealtà dei miei uomini.
Solo la testa di Jinx spuntava dalle travi, ma a Silco sembrò di vederla gonfiare il petto d’orgoglio.
- Grazie per la camera.
Silco grugnì un assenso.
Qualcuno bussò, e la testa di Jinx sparì. Entrò Mome, silenziosa come al solito. Lanciò uno strano sguardo alle bambole di Jinx sul divano, poi tornò a fissare Silco.
Che però non parlò a lei, anche se la fissò con apatia.
Non importava cosa sarebbe potuto essere. Contava solo ciò che Jinx sarebbe potuta diventare con lui.
- Sono certo che saprai ripagarmi, un giorno.

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Capitolo 3
*** Family (Make me an offer, what will it be?) ***


Ciao a tutti! Eccoci al capitolo 3/14.
Spero che vi piaccia, mano a mano il rapporto "familiare" tra Jinx e Silco prende forma.
Ho deciso di mettere in corsivo le frasi tradotte dalla canzone usata come base. A me piacciono troppo, ognuna di esse ha qualcosa di intrinsecamente legato ad Arcane.
Spero che anche voi possiate condividere la visione che io dell'evoluzione di Jinx e Silco^^
Grazie a tutti per essere arrivati sin qui!


3. Family (Make me an offer, what will it be?)

Welcome to the playground - Bea Miller, track 01
 
Welcome to the playground, follow me
Tell me your nightmares and fantasies
Sink into the wasteland underneath
Stay for the night, I'll sell you a dream
 
Oh-oh, woah
Welcome to the playground
 
What brings you to the lost and found, dear?
Won't you pull up a seat?
Everybody got a price 'round here to play
Make me an offer, what will it be?
Oh, what will it be?
 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
 
Jinx era appena rientrata in camera sua dall’esterno quando vide la donna uscire dalla camera di Silco. Dalla camera, non dall’ufficio. Lui la seguì a ruota sistemandosi il foulard e lanciandole un’occhiata lasciva e soddisfatta mentre lei si accendeva una canna e gli faceva l’occhiolino prima di uscire.
Era giovane e bella.
Jinx sentì una bomba esploderle in gola. Soffocava. Silco lanciò un’occhiata al soffitto, ma non la vide. Era silenziosa e invisibile, era brava in quello.
Chi era quella tipa? La fidanzata di Silco?
Lui si sedette al suo posto, si passò una mano tra i capelli per riordinarli, si accese il sigaro. In pochi minuti di lettura dei rapporti perse il luccichio di soddisfazione che aveva negli occhi e tornò l’uomo di sempre.
Freddi occhi calcolatori.
Jinx avrebbe voluto far esplodere qualcosa. Non riuscì a trattenersi e, sentendo il fischio nelle orecchie di cui non si era liberata né cambiando stanza né costruendo le bambole, inciampò su una cassetta di residui metallici che potevano tornare utili, producendo un fracasso infernale.
Le voci.
Le voci… erano lì…
- Jinx?
La voce. Silco. Lui era reale, la sua voce era più forte di quella di chiunque altro. La aiutava a schiarirsi le idee. Questa volta si sporse in modo da essere vista da lui.
- Sono io.
Era diventato una specie di gioco, quello. Lui la chiamava, e lei rispondeva “sono io”, come se volesse rassicurare entrambi della sua identità. Come se ancora non sentisse suo quel nome, e volesse autoconvincersene.
A volte lo diceva solo perché ne era orgogliosa.
- Quando sei tornata?
- Ora.
- Dove sei stata?
Lei si strinse nelle spalle. – Qui e là. Ho fatto un giro.
Non gli disse che era dovuta scappare da camera sua perché le si era annerita la vista. Aveva cominciato a far fatica a respirare, come se l’aria si fosse improvvisamente rarefatta. Le era risuonate esplosioni nelle orecchie, le urla di sua sorella, lo schiaffo che le aveva dato. La sua furia. Il suo odio.
Aveva vagabondato senza meta finché, invece di infliggersi le scene agghiaccianti degli ultimi momenti in cui era stata insieme a Vi, del suo abbandono, aveva risentito la sua voce, dolce, carezzevole, quella che usava solo con lei.
“Ci riuscirai”, le diceva.
Allora si era raddrizzata, aveva preso dei respiri profondi.
E aveva rubato della roba utilissima e fichissima, ma non lo avrebbe mai detto a Silco. Aveva una giostra con de cavallini da far girare la testa. Camera sua sembrava l’incrocio tra il negozio di un rigattiere e l’officina di un meccanico, ma non aveva coinquilini che potessero lamentarsi o adulti che potessero salire a vedere e dirle di riordinare.
Quella roba era sua, quello spazio era suo, e faceva quello che voleva. Come calciare via i prototipi delle bombe che non funzionavano.
Si concentrò su Silco, sembrava quasi a disagio.
Invece si rimise a studiare le sue scartoffie noiose. – Non stare via troppo quando esci.
Jinx sentì scemare la tensione. Non sentiva più l’urgenza di far esplodere qualcosa.
A parte quella donna. Era un buon compromesso.
 
La seconda donna la vide quando stava per saltare giù da camera sua per cercare Silco. Riuscì a tornare dentro per un pelo, ma lui la vide con la coda dell’occhio.
Ebbe la conferma che quelle di Silco erano relazioni occasionali e non aveva una donna fissa quando lo beccò la terza volta. Stava decorando le travi del soffitto con i suoi pastelli, perché quell’ambiente era terribilmente monotono e austero e lei non l’aveva ancora rivendicato e marchiato.
La tipa, sempre bella, ma con la faccia da poco di buono senza cervello, se ne andò ancheggiando come se avesse un problema al bacino.
Jinx doveva essere sollevata all’idea che Silco non avesse una fidanzata, qualcuna con cui rimpiazzarla. Qualcuno più importante di lei nella sua scala affettiva. In realtà, quella scala comprendeva solo lei.
E Jinx voleva mantenere l’esclusiva.
Era passato quasi un anno da quando era andata a vivere lassù, a stretto contatto con Silco. Nessuno l’aveva mai beccata, era sempre stata silenziosa e obbediente. Silco aveva iniziato a parlarle spesso, le raccontava storie del suo passato, sogni del suo futuro. Sembrava che parlasse da solo, ma Jinx sapeva che parlava a lei. Le piaceva. La rendeva partecipe.
Si era resa conto subito che a lei parlava in modo diverso. Non era mieloso, quello mai, ma il timbro che usava con lei, e le cose che le diceva, erano diverse da tutto il resto. Ai sottoposti dava ordini, ogni parola era una minaccia implicita, ogni frase uno sparo. Si parlava di affari, di contratti, di ordini, di direttive, di organizzazione.
Era come se Silco fosse la legge, e non si discuteva con la legge. Non con la legge che si rispetta, almeno. Nessuno inoltre avrebbe mai scambiato due chiacchiere con la suddetta legge. O con un capo criminale. Eccetto Sevika, che a Jinx sembrava un po’ tocca, ma per qualche motivo Silco a lei permetteva di dire due parole in più. Solo due. Forse perché le faceva pena, privata del braccio per aver salvato la vita a lui. Silco era corretto, a modo suo.
Con Jinx però dialogava, parlava sul serio. E lei era gelosa di quel rapporto.
No, si disse. Non era gelosa. Di cosa avrebbe dovuto essere gelosa?
Le veniva da ridere.
La voglia di far esplodere qualcosa tornò.
Il disegno, doveva focalizzarsi sul disegno.
Era calma. Sapeva controllarsi. Tutto a posto.
Perse la presa sul pastello rosso, che cadde a terra, ai piedi di Silco.
Se lo avesse stretto un po’ più forte lo avrebbe spezzato, nonostante fosse quasi esaurito, usato fino all’osso.
Silco alzò gli occhi su di lei mentre la donna, lenta com’era lento Mylo a scassinare serrature, si chiudeva la porta alle spalle ignara della presenza di una terza persona nell’ufficio.
Silco sospirò raccogliendo il pastello. – Li usi parecchio, questi colori.
Jinx si sporse, incapace di discernere quale emozione stesse per prendere il sopravvento su di lei.
Si lasciò cadere di sotto, atterrando in piedi sulla scrivania e spargendo fogli ovunque. Silco non la sgridava quando metteva le scarpe sul divano o sul tavolo. Diventava una iena se qualcuno sporcava nel suo ufficio, ma con lei era tollerante.
- Non hai la fidanzata fissa?
La domanda parve prenderlo in contropiede. La fissava con quell’espressione sbigottita che a Jinx ricordava un po’ quella di un pesce: labbra dischiuse, un angolo arcuato come se provasse disgusto, l’occhio buono assottigliato come se cercasse di focalizzarsi su ciò che aveva davanti.
A Jinx in altre occasioni faceva ridere, ma non avrebbe mai osato farlo davvero.
Silco prese il sigaro dal portacenere di metallo grigio, poi lo rimise lì. Alzò la testa per fronteggiare Jinx, più alta di lui. La cosa lo disturbava.
- Scendi.
- Non ce l’hai? Neanche una famiglia?
Silco s’irrigidì.
- Perché queste domande tutto a un tratto?
Silco andò a sedersi di fronte a lei, massaggiandosi la fronte.
Jinx si strinse nelle spalle mentre si sedeva sul bordo della scrivania. – Ho visto tre donne che… uscivano da camera tua.
Silco sorrise, un sorriso sarcastico, freddo. – Solo tre? Pensavo fossi più attenta.
Jinx si sentì punta sul vivo.                                     
- E cosa pensi che vengano a fare quelle signore in camera mia?
Questa volta l’espressione di Jinx era un misto di offesa e disgusto. – Non sono una bamboccia, so tutto quello che c’è da sapere! Bleah!
Questa volta la risatina sbuffata di Silco sembrò un po’ più sincera.
Rimasero in silenzio, Jinx a fissarsi le scarpe che stavano diventando troppo piccole, Silco a osservare il bicchiere dorato vuoto sulla scrivania. Lo riempì con la bottiglia che teneva in un cassetto dopo aver allungato il pastello a Jinx.
- Non ce l’ho una famiglia – le disse.
Jinx prese con delicatezza il pastello, come se fosse un legame invisibile tra loro due.
Raccontami i tuoi incubi e le tue fantasie.
- Una volta la volevo. Quando ero… un sognatore ingenuo. Poi la vita ti fa aprire gli occhi, ti fa capire che spesso quello che desideri è stupido – concluse, quasi sputando la parola. Inchiodò Jinx con gli occhi, nero e azzurro, ipnotici come quelli di un serpente. – Dobbiamo stare attenti a quello che desideriamo, Jinx. A volte, sono quegli stessi desideri a condurci alla morte.
Jinx sobbalzò appena. – Ma tu non sei morto perché volevi una famiglia.
- No – ammise Silco, riappoggiandosi allo schienale. – Ma in un’occasione è morto il mio orgoglio, il che è anche peggio. In un’altra occasione, invece, ho rischiato davvero di morire.
- Che vuol dire?
Silco tornò a fissarla. – Sei una chiacchierona, lo sai?
Jinx si fece piccola. Ecco cosa intendeva: Silco con lei si apriva. Se quelle domande personali le avesse poste qualcun altro, probabilmente sarebbe già stato degradato o trascinato fuori. Era sicura che non dicesse quelle cose a quelle donnette che andavano in camera sua. Illuse.
Jinx sapeva che quello di Silco però non era un rimprovero.
- Mi ero… infatuato di una ragazza quando ero giovane. Poco più grande di te – spiegò, intrecciando le dita sull’addome. Sembrava perso in ricordi lontani. – Una sbandata bella grossa. Ero sciocco da ragazzo, un sognatore di Piltover, non di Zaun. Tendevo a convincermi che le cose sarebbero sempre andate per il meglio senza lottare, solo perché lo volevo. Comunque, questa ragazza mi sedusse, mi fece credere di contraccambiare. Finché non scoprì che voleva solo arrivare a Vander.
Silco buttò giù il bicchiere d’un fiato.
- Da quel giorno non mi sono più fidato delle donne. Costruire una famiglia significa affidarsi ciecamente a qualcuno, e da quel giorno non è più successo. Tranne che con Vander. Anche a Vander piaceva quella ragazza. Piaceva a tutti, del resto. L’avrei perdonato, se fosse andato con lei. La carne è debole, sai com’è. Ma sai cosa mi disse invece lui?
Jinx si sporse per ascoltare meglio, i gomiti appoggiati alle gambe, le mani a sorreggerle il mento. Le piaceva la voce di Silco. La voce che aveva quand’era con lei. Era meno autoritaria, più umana.
- Mi disse: ‘Non potrei mai andare con qualcuno che si è permesso di usare mio fratello, ingannarlo e umiliarlo. Può marcire, per me’. Era il mio eroe, la mia spalla, l’unico in cui riponessi una fiducia cieca e assoluta. Era mio fratello. E all’epoca era molto più… attivo e impulsivo di come lo hai conosciuto tu. Era spietato, a volte. In alcune occasioni fu un carnefice. Prima picchiava, poi faceva domande.
Jinx strinse gli occhi, scacciò il viso di sua sorella dalla mente. Zittì il fischio, i sussurri. Silco stava parlando, doveva ascoltarlo!
- Non mi interessava. Avevamo gli stessi obiettivi, gli stessi ideali, gli stessi progetti. Eravamo la mente e il braccio.
Silco tornò presente a se stesso. Aveva bisogno di un sigaro, ma non gli andava di fumarlo accanto a Jinx. Ad una bambina non faceva bene il fumo.
Si sporse verso di lei, perché capisse ciò che stava per dirle.
- Non me n’è mai fregato nulla di quella sciacquetta che mi aveva ingannato. Mi aveva aiutato ad aprire gli occhi. Mi aveva fatto capire che non ci si può fidare, soprattutto delle donne che millantano di amarti. Ma Vander… Vander e io eravamo fratelli, ci eravamo scelti. Eravamo due orfani che rubavano per campare, che vivevano di stenti, che combattevano fianco a fianco. Avremmo affidato la nostra vita all’altro senza indugi, senza fare domande, guidati da una fiducia e da una lealtà cieca. Finché anche Vander non mi ha aiutato a capire…
Silco si picchiettò la guancia sinistra, la pelle dilaniata, il nero che la cospargeva, l’occhio infetto, la fronte quasi bruciata da un male sottocutaneo e silenzioso.
Jinx inspirò bruscamente. – È stato Vander?!
Fammi un’offerta, quale sarà?
Silco ghignò con un angolo della bocca, ma era tutto fuorché divertito.
- Vander non era l’uomo che pensi che fosse. Perciò, la risposta alla tua domanda è no. Non ho una donna fissa, non ho una famiglia, e non la voglio, perché nessuna persona al mondo può assicurarti con certezza che la sua fedeltà sarà eterna. E se nessuno può darmi quel tipo di fedeltà, allora faccio da solo. Puoi star certa che un ideale non tradirà mai la tua fiducia. Ho un progetto, un obiettivo, siamo io e lui, e dato che lui non può proteggermi, sarò io a difenderlo con le unghie e con i denti. Con la violenza necessaria. Capisci cosa intendo dire, ragazzina?
Jinx deglutì, poi annuì.
Era contenta che Silco non avesse nessuno a cui teneva. Era egoista. O forse era meglio dire che avrebbe dovuto essere contenta che Silco non avesse nessuno. Ma non lo era. La solitudine che lei provava la rodeva da dentro, le mangiava il cervello. Silco era solo da molto più tempo di lei.
- Ho un informatore, tra le guardie di Piltover. Un uomo che ci tornerà molto utile in futuro. Ha visto tua sorella.
Jinx sollevò la testa, un gigantesco fiore di speranza le sbocciò nel cuore. Stava tornando a prenderla?
L’avrebbe perdonata. Certo. Sarebbero state di nuovo insieme! Magari anche con Silco. Non era così male, in fondo. Ma forse Vi avrebbe dato di matto. Sicuramente, anzi. Non importava, qualcosa avrebbero fatto.
Erano sorelle.
- Ti ha abbandonata, Jinx. Vi se n’è andata di proposito, me l’ha confermato lui. Non sa dove, ma nessuno la tratteneva, e lei si è data alla macchia. È partita.
Il fiore divenne vetro. Il vetro si frantumò. Schegge appuntite le squartarono il cuore.
Vi era libera. Vi se n’era andata pur sapendo che lei era viva, che era lì. Da sola.
Sua sorella.
Che stupida.
Non aveva forse detto a Silco che lei non era più sua sorella? Perché a volte se ne dimenticava? Era proprio una bambina che credeva ancora nelle favole.
Il vetro divenne arida cenere, su cui nulla poteva più ricrescere.
Sua sorella l’aveva resa Jinx. Era colpa sua. Tutta colpa sua, di ogni cosa. Se non l’avesse lasciata indietro le cose sarebbero andate diversamente. Era stata Vi a uccidere tutti.
Jinx scese dalla scrivania e gli si rannicchiò in braccio. Lui ormai aveva imparato, e l’abbracciò senza esitazioni. Cercò di non assumere un’espressione trionfante.
Vi se n’era andata, sì, così gli aveva detto Marcus, il suo nuovo… collaboratore. Se n’era andata… in carcere. E Marcus gli aveva assicurato che non sarebbe più tornata, dati i suoi crimini.
Era meglio che Jinx pensasse di essere rimasta sola, che Vi l’avesse abbandonata. Dalla forza della disperazione e dell’odio si poteva sempre trarre forza, diventare ciò che si era destinati ad essere. La speranza, invece, rendeva deboli e ciechi.
Jinx era sua, Silco lo capì in quel momento. E non avrebbe permesso a nessuno, specialmente al suo passato, o a qualcuno di indegno come sua sorella, di portargliela via.
In fondo, Vi ormai non era che un fantasma, e i fantasmi poteva tormentare qualcuno, ma non portarlo via.
- Di me puoi fidarti. Io non ti deluderò.
Silco inspirò l’essenza dei suoi capelli cerulei, che sapevano di sapone e infanzia rubata. Era strano che riuscissero a mantenere un sentore di profumo nonostante gli effluvi pestilenziali della città.
- Siamo solo tu e io, Jinx. Tutti gli altri ci tradiscono. La nostra lealtà appartiene a noi.
Lei annuì in silenzio.
Silco non desiderava da anni una famiglia, o una donna. Aveva abbandonato da tempo quell’illusione dorata.
Non si era reso conto però che una figlia poteva essere proprio quello che gli serviva.
- Siamo noi la famiglia, Jinx. Non ci serve altro. Tu sei mia figlia.
In risposta, Jinx si strinse ancora di più a lui, al sicuro, protetta, tra le mani sporche di sangue di quel dittatore carnefice e senza morale chiamato l’Industriale, l’Occhio di Zaun. Non le importava.
Benvenuta sul campo di gioco.
Seguimi.
C’era lui che zittiva i suoi incubi, che le diceva ciò di cui lei aveva bisogno senza che nemmeno se ne rendesse conto.
C’era lei, che poteva aiutarlo.
C’erano solo loro.
Lei e suo padre.

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Capitolo 4
*** First Gun (You're a snake, I can see it in your face) ***


Ciao a tutti! In questo capitolo emerge un pochino il dissidio Jinx-Sevika, che anche se non andrò ad approfondire nello specifico perché la ff è sul rapporto Jinx-Silco, emergerà in diversi capitoli.
Nel mentre, Jinx cresce così come l'affetto di Silco per lei e l'attaccamento un po' malato della ragazzina, nonchè il suo squilibrio mentale. Ma Jinx mi piace, stranamente, così. C'è anche un piccolo bonus finale.
Buona lettura!


4. First Gun (You're a snake, I can see it in your face)

Snakes - Pvris & Miyavi, track 09
 
Know you got my blood running
Turn the heat to six hundred
Wish I could knock your skull in
But I’m rising above it
Know you’ll crash it and burn it
God knows you didn’t earn it
My friend karma’s a bitch
She’s got some lessons you’ll learn ‘em
 
NOW WE'RE ENEMIES
 
You’re a snake, you’re a snake
I can see it in your face
 
Do you feel no shame?
Can’t you see my rage?

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
 
Jinx era felice.
Per la maggior parte del tempo.
Quando non sentiva le voci, quando non veniva divorata dal senso di colpa che si diffondeva come una metastasi o un’infezione fulminante, quando le sue invenzioni funzionavano più o meno decentemente facendole sentire di avere uno scopo e quando non vedeva le donne di Silco, era felice.
In effetti, non era la maggior parte del tempo, se si teneva conto che aveva spesso incubi in cui sognava Mylo, Claggor e persino Vander e sua sorella.
Ma Silco le voleva bene. Glielo aveva detto. L’aveva chiamata figlia. Quindi non era sola, ed era felice. Nessuno le voleva bene come Silco. O forse era meglio dire che nessuno, a parte Silco, le voleva bene. Non le importava, Silco era importante, e una persona importante ci teneva a lei. Di conseguenza, anche i suoi sottoposti dovevano tenerla in considerazione. Funzionava così, no?
Jinx si infilò i suoi occhiali da lavoro nuovi. Aveva finalmente trovato la giusta fessura da creare per mantenere la vista focalizzata così da riuscire a saldare alla perfezione i pezzi di quella nuova arma che stava dando alla luce. Era… grossa. Ma anche carina. Un po’ rosa.
Anche se il rosa non le piaceva. Era il colore di sua sorella. Lo odiava, per questo lo metteva un po’ ovunque. Aveva senso, no?
- Zitti! Ora vi saldo con la mia pistolona, così non mi disturbate più!
Mise in azione la saldatrice.
Ovviamente non funzionava, la sua magnifica arma. Non aveva mai visto una pistola in azione e, per quanta inventiva ed estro geniale avesse, come Silco sembrava pensare, non poteva creare una pistola che sparasse raffiche continue con centinaia di proiettili se non sapeva nemmeno come funzionava la più piccola delle armi. Ma ci sarebbe arrivata.
Silco aveva fiducia in lei.
Vi le aveva detto che ci sarebbe riuscita…
Silco contava su di lei.
Jinx spense la saldatrice e si tolse gli occhiali, lanciando un’occhiata sdegnosa a Mylo. – Bravo, abbassa la testa. Visto che meraviglia?
Sì, sembrava proprio un’arma terrificante.
Fuori.
Dentro, i meccanismi erano tutti sfasati e non funzionavano.
Si stiracchiò, facendo scrocchiare le braccia. Non importava, ce l’avrebbe fatta. Adorava quella mitragliatrice, ce l’avrebbe fatta a farla funzionare.
Si sporse da camera sua. Silco era di sotto, alla scrivania. Fece in tempo solo a vederlo togliersi quella specie di siringa cilindrica dall’occhio prima di sentirlo gemere e imprecare pesantemente. Si piegò in due. Prese dei respiri profondi, poi ripeté l’operazione. Questa volta lanciò la siringa sul tavolo, con poca forza per non romperla. Poi si terse la guancia con un fazzolettino, asciugandosi la lacrima violacea di shimmer che colava.
A Jinx piaceva quel colore, il colore dello shimmer. Era un colore vivo, divertente. Ma Silco le aveva categoricamente proibito di avvicinarsi ad esso. Proprio così aveva detto, “ti proibisco categoricamente”. Jinx aveva ripetuto le parole a Claggor, erano simpatiche. La facevano ridere. Ma Silco non aveva riso per nulla quando glielo aveva detto. Aveva iniziato a vendere quella roba, quella droga. Aveva visto le cifre sui suoi rapporti, lui aveva iniziato a non nasconderle nulla, mentre agli altri taceva tutto. Il semplice fatto che lei potesse origliare ogni suo discorso, essendo sopra di lui, dimostrava quanto si fidasse.
“Non come voi scemi che mi credevate un malaugurio”, pensò, incenerendo con lo sguardo Mylo e Claggor. Anzi, solo Mylo. Avrebbe voluto tirargli un pugno.
In ogni caso, Silco non le aveva mai “categoricamente proibito” nulla, a parte lo shimmer. Allora Jinx aveva capito che era davvero importante che lei obbedisse, in quel frangente. Non sempre lo ascoltava, ma Silco non la riprendeva quasi mai, al contrario dei suoi uomini. Però sapeva che se si fosse avvicinata allo shimmer, se lo avesse provato, se avesse cercato di capire perché la gente impazziva per esso, si sarebbe rovinato qualcosa. Si sarebbe rovinata lei. Si sarebbe rovinato il suo rapporto con Silco.
Non voleva deluderlo. E poi quella roba distruggeva il cervello, lo aveva visto. A lei il cervello serviva per creare armi micidiali, ah! Sarebbe stata lontana da quell’intruglio meravigliosamente viola.
Ma allora perché Silco lo usava? Era evidente che gli provocava un dolore lancinante. Raramente lo aveva visto usare quel coso di fronte ai sottoposti, sempre e solo in casi di estrema necessità, come se seguisse delle scadenze prestabilite che non poteva sgarrare. Quando accadeva, però, si girava sulla sedia, dando le spalle a tutti. Rimaneva zitto. Solo Jinx vedeva come stringeva i pugni, cercando di non piegarsi al dolore.
Perché lo faceva? Perché proprio nell’occhio?
Accantonò il suo piccolo, anzi, enorme giocattolino, più grande di lei, e si sedette sul bordo del pavimento a gambe incrociate.
Silco alzò lo sguardo in sua direzione. Stava per chiedergli spiegazioni, voleva sapere, quando bussarono alla porta. Jinx si ritrasse istintivamente, Silco distolse lo sguardo in una coreografia consolidata nota solo a loro. Erano complici.
Le piaceva essere sua complice.
Entrò Sevika. Era passato un anno da quando aveva perso il braccio per proteggere Silco e Jinx era stata accolta come una di loro. Per lo meno, accolta da Silco.
Sevika si era rimessa completamente, Silco la usava spesso per le sue missioni, la metteva in prima linea, specialmente quando si trattata di riscuotere pagamenti od occuparsi di altre questioni delicate. Sevika se la cavava bene, fin troppo bene, anche con un braccio solo. Il moncherino era nascosto sotto un mantello allacciato attorno al collo che, invece di coprire la schiena, le copriva la spalla sinistra.
Spalla sinistra, occhio sinistro. A quanto pareva, non erano i lati migliori di Silco e Sevika.
- Volevi vedermi, Signore?
Silco si alzò con calma dalla sedia, prese un sigaro e si diresse verso il divano di fianco alla porta. Nel passare, se lo fece accendere da Sevika. Anche se era piccola, Jinx aveva capito che quello era un gesto di cameratismo, una specie di dimostrazione di fiducia. Lui accettava che lei accendesse, lei riconosceva la sua inferiorità rispetto a lui, ma in un regime di consensuale e voluta collaborazione.
Silco andò a sistemarsi sul divano, incrociò le gambe. Jinx si sporse, si appostò su una trave di fronte all’apertura di camera sua, per poter vedere meglio. Di fianco a Silco, sul divano, c’era una specie di protuberanza nascosta da un lenzuolo. O una coperta. Uno straccio forse?
- Non mi frega di cos’è, state zitti – sibilò Jinx a voce quasi inudibile.
- Sei stata brava, in quest’anno. Da quando hai tradito Vander, non mi hai mai fatto preoccupare o credere che potessi tradire anche me.
Sevika non esitò. – Io tradisco solo i deboli, signore.
Silco incurvò appena le labbra, buttando fuori il fumo. – Lo avevo intuito. I forti si schierano con i forti, non è così? Tu, però, da quando ti sei ferita non sei più forte come prima.
“Da quando ti sei ferita”, non “da quando mi hai salvato la vita”. Silco era un maestro nell’arte oratoria, non diceva mai più del necessario, ogni sua parola era ponderata. Poteva smontare le tue certezze con una frase, o farti sentire invincibile quando avevi fatto un lavoro mediocre. Sapeva far leva sulle tue emozioni nella giusta quantità, come il miglior cuoco di Piltover: un pizzico di fiducia, duecento grammi di paura e un cucchiaio di riconoscenza. Non sapeva combattere, ma non ne aveva bisogno: le parole sanno ferire più delle pallottole, sono armi silenti che ti si insinuano nel cervello e rodono finché non ti pieghi al volere di chi te le ha bisbigliate.
Sevika lo sapeva, come sapeva che la forza risiedeva in quello, e non nei pugni. Perciò si era offerta di essere i suoi pugni, le sue lame. Ma di pugno, ora, ne aveva solo uno. Silco voleva metterla da parte?
- Ho sempre portato a termine ogni missione con successo, signore, con o senza braccio.
Di nuovo, Silco ghignò. – Lo so, non serve che ti giustifichi. Ho la situazione ben chiara in mente. Per questo ho una ricompensa per la tua fedeltà.
Con un movimento fluido, stringendo il sigaro tra i denti, scoprì cosa c’era di fianco a lui sul divano: lo scheletro di un braccio metallico. Un braccio grosso, un braccio che poteva benissimo essere quello di Sevika.
L’arte, il veleno delle parole: prima Silco le aveva infilato un tarlo nell’orecchio, quello di non essere abbastanza; aveva fatto leva sul suo punto più debole, lo aveva messo in risalto per poi ribaltare la situazione sia per mostrare la propria generosità che per gratificare Sevika.
Più che Occhio di Zaun, dovevano chiamarlo Lingua di Zaun.
- Signore? – chiese Sevika, chiaramente sconvolta.
- Provatelo. L’ho commissionato al Dottore, è da quando si è rimesso che ci lavora. Dovrebbe essere della misura giusta, in caso contrario lui lo aggiusterà quando andrai da lui per ritirare il resto del pacchetto. Quel braccio è potenziato con lo shimmer, una nuova variante progettata dal dottore per rendere le protesi più… adattabili al corpo. Sei troppo preziosa perché ti devasti il cervello con quella roba, ma questo non significa che non possa tornarti utile. Nulla è irrevocabile, però, non dimenticarlo.
Sevika deglutì, a metà tra il commosso e il terrorizzato.
Ecco che Silco le dava la carota come al mulo, “preziosa” aveva detto, e concludeva con la minaccia: “sei rimpiazzabile anche tu, quindi posso decidere quando voglio di farti una bella dose di shimmer in vena e sbarazzarmi di te”.
Non le importava. Non l’avrebbe deluso, non con quel braccio nuovo e potenziato. Moriva dalla voglia di provarlo, e Silco pareva averlo capito.
Le indicò la porta con il sigaro, soffiando di nuovo fuori il fumo.
- Vai a fartelo sistemare, il Dottore ti spiegherà come funziona, a me non interessa. Quando la mia seconda in comando tornerà qui voglio che sappia come usarlo al meglio.
Sevika si irrigidì. Quasi si inchinò.
Quasi. Silco aveva potere, ma lei aveva ancora un briciolo di dignità e indipendenza.
Seconda in comando. Il suo braccio destro. Anzi, il suo braccio sinistro: quello sì sarebbe stato indistruttibile.
- Grazie, Signore – mormorò afferrando il braccio meccanico.
Era pesante. Meglio, Sevika non avrebbe sopportato un arnese gracilino. Si sentiva come un cagnolino scodinzolante: alla fine le parole di Silco avevano avuto effetto, anche troppo. Se prima gli era leale, dopo quella specie di regalo, o contentino, avrebbe raddoppiato l’impegno con cui lavorava per lui.
Silco non ghignò mentre si rialzava, dandole le spalle per dirigersi alla scrivania. – La lealtà è spesso una moneta di scambio, anche se in pochi se ne rendono conto. Dimostrati leale sempre, e prima o poi verrai premiata. Ora va’, ho da fare.
Sevika si chiuse la porta alle spalle. Rimase bloccata in corridoio, con gli occhi lucidi, stringendosi al petto quell’arnese. Quante volte aveva sognato di riavere il suo braccio, in quell’anno? Quante volte si era maledetta per aver salvato Silco invece di se stessa?
In quel momento si maledisse per aver avuto quei pensieri non una, ma più volte. Proteggere Silco era stata la scelta migliore.
Chi voleva un braccio di carne e ossa quando poteva averne uno indistruttibile e che non sentiva dolore o fatica?
Ricacciò indietro le lacrime, si raddrizzò e si diresse al piano di sotto con il braccio bene in vista, tronfia come il gallo del pollaio.
Ecco cosa si otteneva a servire i forti.
 
Dentro l’ufficio, Silco alzò lo sguardo. Jinx era ancora acquattata sopra la trave, si vedeva solo l’ombra dei capelli sbucare.
- Che hai da fissare così?
Jinx si irrigidì. Voleva tornare in camera sua, ma ora che Silco l’aveva vista non poteva più scappare. Non voleva parlargli. Voleva distruggere qualcosa, voleva distruggere la sua stessa arma, poi riassemblarla e usarla per distruggere qualcosa. Qualcuno.
Sevika.
Ora siamo nemici.
Quella… energumena. Cosa voleva da Silco? Cosa voleva lui da lei?
Le stava sfuggendo la situazione di mano. Quella lì… quella serpe… sì, un serpente, silenzioso e insinuante… cosa voleva ottenere?
Jinx percepì le voci martellarla la testa, sentì lo sguardo di Mylo su di sé. “Te lo aveva detto” le diceva. Ma cosa le aveva detto, cosa?!
Sevika era una minaccia. Ecco cos’era. Le donne di Silco non erano pericolose. Lui si trastullava un po’ con loro e poi se ne dimenticava, il tempo di una distrazione. Ma Sevika… godeva della sua fiducia. Totale.
No, non totale.
Silco non poteva accordarle fiducia totale. Sarebbe stato stupido. E a lei, dava fiducia totale?
Preferiva Sevika a lei? Era così, vero?
Era…
- Jinx.
Gelosa. No, che stupidaggine. Gelosa di cosa?
- Jinx!
Come rispondendo ad un richiamo, Jinx si fiondò di sotto. Atterrò con grazia di fianco a Silco, che non si scompose. Era abituato a vederla piombare giù all’improvviso.
- Che hai?
- Hai fatto un regalo a Sevika. Perché?
Silco alzò le sopracciglia, sorpreso. Spense il sigaro, si allungò per prendere un sorso del suo vino preferito. Ne consumava uno al giorno, Jinx lo sapeva. Lo vedeva. Lo vedeva sempre, sapeva le sue abitudini, sapeva più cose di Sevika.
E allora perché lui…?
- Non le ho fatto un regalo. Quello, ragazzina, si chiama dare un croccantino a un cane.
Fu il turno di Jinx di aggrottare la fronte, mentre le voci nella sua testa si placavano. Le scaldava la pancia quella parola. Cane. Sevika era un cane.
Sei un serpente. Posso vedertelo in faccia.
- Se tiri troppo il guinzaglio, anche la bestiola più fedele finisce per ribellarsi al padrone. Sevika mi ha salvato la vita – ammise con Jinx. Con lei poteva sempre essere sincero. – Per far sì che me la salvi anche la prossima volta, che continui a credere nella causa, bisogna dimostrare che si può realizzare l’impossibile. Che si può sempre offrire di meglio rispetto a quello che offrivamo ieri. A Sevika i soldi non sarebbero importati. Dai loro quello che più sognano senza che nemmeno loro lo sappiano. Ricorda loro a chi devono la loro lealtà.
Jinx guardò il posacenere grigio, noioso. Silco aveva un ufficio noioso. Forse per quello era sempre accigliato. In ogni caso, le era piaciuto il suo discorso.
- Non era un regalo?
Silco sospirò. – No, Jinx. Non sono solito fare regali.
- Oh.
Delusione.
All’improvviso, l’attenzione di Jinx fu dirottata, le sue emozioni cambiarono completamente.
Sua sorella… Vi… le faceva dei regali ogni tanto. Le portava qualche oggettino che trovava interessante. Le diceva che l’aveva fatta pensare a lei, e glielo dava. Oggetti strani, cianfrusaglie o chincaglierie, ma a Powder non importava. A Jinx.
Quel che era.
Era il fatto che Vi pensasse a lei che le piaceva. Anche Vander ogni tanto portava loro qualcosa.
Da quanto non riceva un regalo?
Silco la squadrò, l’occhio nero che la scandagliava. A volte sembrava che avesse un laser incorporato, quell’occhio.
- Sei irrequieta. Cosa c’è?
- Niente – rispose lei, troppo in fretta.
Non avrebbe ingannato nemmeno quella scema di Sevika. Scema. Proprio scema.
Silco, però, non lo era. – Sei gelosa? Perché ho dato a Sevika uno strumento con cui servirmi ancora meglio? Devi imparare ad analizzare le situazioni, Jinx.
- Non sono gelosa.
Ma Silco non le credeva. – Non era un regalo. Non voglio bene a Sevika, ma mi è utile. Potresti imparare qualcosa da lei, da grande.
Lei ha delle lezioni che imparerai.
Sbagliato.
Jinx si sentì montare dentro una tale rabbia, una tale tristezza, che sentì le lacrime pungerle gli occhi.
Sono gentile ma posso diventare cattiva.
Silco se ne accorse, costernato.
- Devo diventare come Sevika? È questo che vuoi?
- Non ho detto questo. Non hai bisogno di diventare come lei per essere quello di cui ho bisogno.
Jinx sentì la marea scendere, lambirle i piedi, placida, ma pronta a rimontare.
- E di cosa hai bisogno?
- Di qualcuno di cui fidarmi. Di te. Tu vai bene così, non è necessario che ti tenga al guinzaglio. Dovresti esserne felice.
Lo era? Forse sì. Di lei si fidava, di Sevika no. Non tanto? Boh, comunque si fidava di più di lei. Non doveva ingraziarsela. Non aveva segreti con lei.
Sorrise timidamente.
Ma Silco vide ancora la tristezza nei suoi occhi, quello sguardo distante che aveva quando pensava alla sorella. Quella dannata sorella che ostacolava sempre il loro rapporto. Finché non si fosse disancorata dal passato, non avrebbe potuto diventare ciò che era destinata ad essere: la sua erede, la sua complice, la persona della cui fiducia avrebbe goduto incondizionatamente e a cui avrebbe dato totalmente la propria.
Jinx, però, era solo una bambina, Silco doveva ricordarlo.
Cercò di trattenere un sospiro mentre faceva il giro della scrivania e andava a sedersi al suo posto. Aprì un cassetto continuando a guardare Jinx, come se fosse una specie di sfida e chi abbassava lo sguardo per primo perdeva.
- I contentini sono una cosa, i regali sono un’altra. I regali si fanno senza motivo, Jinx. E io non ho motivo per farti un regalo.
L’aspettativa che Jinx non si era nemmeno resa conto di covare si sgonfiò come la carica esplosiva delle sue bombe quando non funzionavano.
Silco appoggiò sulla scrivania una pistola. Era di un colore strano, caldo, ramato-dorata.
Era la pistola di Silco.
- Questo è il mio regalo per te. So che stai lavorando ad un’arma tua. Forse carpendo i segreti di questa potrai capire cosa non va nel tuo progetto. Inoltre, è difettosa, forse puoi riuscire ad aggiustarmela. Se ce la farai, potrai tenertela.
Jinx si aprì nel primo vero sorriso che rivolse a Silco da quando l’aveva trovata. Da quando la sua vita era stata capovolta.
Silco le aveva fatto un regalo! E non un croccantino per cani come a quell’altra.
Una pistola!
Silco cercò in tutti i modi di non sorridere a sua volta di fronte all’entusiasmo di Jinx. Non l’aveva mai vista così felice, nemmeno quando le aveva fatto costruire la camera. Era la gioia di una bambina spensierata.
Era la gioia di Powder.
Poteva tollerarla, se le accendeva il viso di quella luce e quella felicità.
Silco non sapeva che si potesse essere contenti solo guardando l’euforia di un’altra persona, non gli era mai capitato.
Jinx saltò sulla scrivania e gli si gettò addosso. Era un’abitudine anche quella, ormai. A Silco pareva che le loro giornate fossero scandite da gesti abitudinari che creavano fra loro una strana complicità. Ne era diventato dipendente.
Le strinse una spalla. – Basta che non la usi qui dentro. Con la tua mira inesperta rischieresti di far esplodere qualcosa.
Jinx rise, saltellandogli sulle gambe. Silco trattenne un gemito di dolore. – Ma quale inesperta! Sono la miglior tiratrice del… be’, lo ero. Sta’ a vedere!
Jinx prese la mira, puntando un vaso sopra l’armadio che aveva di fronte.
- Jinx, ho detto di non…
Uno sparo.
Il vaso, e solo quello, cadde a terra in frantumi.
Jinx rise di nuovo.
Silco no.
Non poteva essere fortuna del principiante, quella. Era impossibile. Il centro era stato perfetto.
- Mira al cuscino. Sul divano. Voglio una pallottola al centro.
Sorridendo come se le avesse detto la cosa più bella del mondo, Jinx prese la mira e sparò.
Centro esatto. Preciso. Pulito.
Non commettere errori, hai una vista 20/20.
- Sai davvero mirare – commentò lui, suo malgrado ammirato.
Jinx lo guardò ridacchiando e soffiò del fumo invisibile dalla canna della pistola.
- Te lo avevo detto – lo prese in giro facendogli una smorfia. – Mia sorella mi avrebbe vietato di…
- Ma io non sono tua sorella – quasi ringhiò Silco. – Volevi una pistola?
Jinx, presa in contropiede dal suo scatto, tornò seria. Annuì.
- E allora goditela. È tua. Non avevo detto che era un regalo?
Jinx lo abbracciò di nuovo. – Grazie! È vero, ha un difetto quando scatta il grilletto e con il terzo sparo si è inceppata, ma la posso riparare. Mi metto al lavoro.
Rimasto all’improvviso solo, mentre Jinx si arrampicava in camera, Silco chiuse gli occhi a fessura. O meglio, l’occhio, quello ancora dotato di palpebra.
- Terzo sparo? – chiese, certo che Jinx avrebbe sentito.
Infatti, lei si sporse da sopra.
- Avevo mirato al pomello della porta.
Silco si massaggiò la faccia, cercando di dare sollievo alla guancia dilaniata dalle cicatrici.
- Non prendere di mira cose nel mio ufficio. Se la porta non si dovesse più chiudere chiunque potrebbe spiare o origliare. E sappiamo che solo una persona può farlo.
Lusingata, nonostante quello fosse un rimprovero, Jinx sorrise.
- Scusa!
Silco scosse la testa.
Quella cosa dei regali poteva avere i suoi vantaggi, se Jinx era così felice e solerte nel continuare i suoi lavori.
In più, avere una tiratrice scelta dritta sopra la testa era un salvavita assicurato.
Sì, gli altri si meritavano il premietto per buona condotta.
Jinx si meritava i regali per… perché sì.
(Perché il suo sorriso era il regalo più grande per Silco stesso).
 
 




Extra
Il secondo regalo di Silco erano stati dei nuovissimi pastelli fosforescenti in grado di scrivere ovunque.
Si ricordava del colore rosso quasi esaurito che a Jinx era caduto dal soffitto, pochi mesi prima, così aveva provveduto a farsene arrivare una fornitura. Nessuno aveva chiesto informazioni su quel carico così improbabile, e lui non ne aveva elargite.
I vantaggi di essere il capo.
Ancora più che vedere il suo sorriso, Silco voleva verificare che il sorriso di quando le aveva regalato la pistola non fosse un caso. Voleva la prova che Jinx apprezzava i regali. No, non i regali. I suoi regali.
Lo fece. Si mise a saltellare, elogiò le tonalità di ogni singolo pastello, e se ne tornò in camera esagitata per poterli provare tutti, ridendo istericamente.
Silco era quasi rimasto deluso dalla sua reazione. E il sorriso per cui aveva faticato tanto? Era ingiusto da parte sua mostrarglielo così poco.
Ma Jinx ripiombò di sotto dopo cinque minuti, piena di pastelli e fogli di progetti tra le mani.
- Con questi lavorerò un sacco meglio! Posso farlo qui?
Ammutolito, Silco annuì appena. Sembrava scostante, invece era solo ipnotizzato.
Jinx sorrideva.
Si sedette di fronte a lui e iniziò a “lavorare” canticchiando piano.
Quel rumore di fondo, i pastelli sparsi per tutta la scrivania, la distrazione, il rischio che qualcuno lo vedesse mentre una bambina colorava praticamente con lui gli avrebbero dato fastidio, se non si fosse trattato di Jinx.
Il sorriso era sempre lì, stampato e indelebile sulle sue labbra ancora infantili. Ogni tanto se le mordeva, sembrava che provasse un piacere quasi fisico a disegnare, ad esprimersi.
Silco ringraziò la sua totale concentrazione, che le impedì di alzare lo sguardo su di lui e vedere il suo mezzo sorriso.
Pieno di affetto, di adorazione. Quello non avrebbe potuto nasconderlo.
Silco si chiese se quello che stava provando era amore. Era del tutto diverso dal sentimento provato per quella donna, quella volta, quando si riteneva innamorato.
Era molto più caldo, avvolgente. Era puro, era come il cielo azzurro, una cosa da preservare e conservare. Solo una volta l’aveva visto a Zaun, e tra i suoi obiettivi c’era quello di far sì che tornasse a splendere sulla loro nazione, e non solo su Piltover.
Finché aveva il suo obiettivo chiaro in mente, e il sorriso di Jinx a motivarlo, sentiva che avrebbe potuto fare tutto ciò che si era prefisso e anche di più.
Lui di regali non ne aveva mai ricevuti, ma dubitava che potesse esserci qualcosa di meglio che farli a Jinx.
Si ricredette quella sera, quando Sevika e Mome se ne uscirono dal suo ufficio dopo aver ricevuto istruzioni per una nuova missione. Le due donne fissarono il suo posacenere, poi si fissarono tra di loro, prima di uscire.
Rimasto solo, Silco lo prese in mano: Jinx lo aveva riempito di disegni variopinti.
Non aveva forse pensato che il suo ufficio fosse noioso? Per lei, quello era il modo migliore per ravvivarlo un po’. Chissà, magari Silco sarebbe stato meno serioso con del colore in giro! La monotonia uccideva la creatività!
Silco non divenne meno serioso, non in apparenza. Ma il posacenere non venne spostato di un millimetro, così come la tazza con disegnata una faccia irritata che si trovò sul bordo della scrivania un giorno. Né tutti gli altri oggetti su cui Jinx mise le mani, e i pastelli.
Silco si rilassava quando li vedeva.
Si era sbagliato: c’era qualcosa di meglio di fare regali a Jinx.
Riceverli.

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Capitolo 5
*** The Eye of Zaun (Pull the trigger back, back) ***


Ed eccoci arrivati più o meno ad un terzo della raccolta! In questo capitolo, la storia dell'occhio di Silco. E un ulteriore avvicinamento di lui e Jinx. Quanto adorabili sono.
Per questo capitolo ho usato una canzone non inclusa nella soundtrack di Arcane: Bullet in a gun degli imagine Dragons, album Origins. Il perché è abbastanza ovvio: il titolo stesso (xD se si parla di pallottole e pistole, si parla di Jinx), per il significato, e perché gli ID hanno composto la canzone della sigla di Arcane, quindi se bisogna aggiungere una canzone, deve per forza essere loro (c'entra poco il fatto che siano praticamente la mia band preferita, eh...).
Come al solito, grazie a tutti quelli che leggeranno^^


5. The Eye of Zaun (Pull the trigger back, back)

Bullet in a gun - Imagine Dragons

 
To make a name you pay the price
You give your life no other way
The Devil's deal, it comes around
To wear the crown
Rise up from the ground.
 
I'm high then I'm low, low stop then
I go, go bipolar
Oh, oh yes then I'm no, no
My time will come
I promise that
Pull the trigger back, back.

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~

Jinx accese il grammofono in camera sua, sparando la musica a tutto volume. Ballò per la stanza stringendo la sua Zap! al petto, la sua pistola perfettamente funzionante e riparata. La sventolò sotto il naso di Mylo, la mostrò a Claggor e alla foto di Vander, e tappezzò una parete di Zap! Zap! Zap!.
Silco l’aveva portata ad un poligono di tiro con gli altri. Dopo averle visto sparare quelle tre pallottole qualche settimana prima aveva voluto metterla alla prova. –Vedere di cosa sei capace – aveva detto, quasi sorridendo.
Temendo che lei potesse sentirsi a disagio o che, se avesse sbagliato, gli altri iniziassero a prenderla in giro, aveva portato anche Sevika, Zantik, Mome e Darren. A Jinx aveva dato sia fastidio che piacere la loro presenza. Fastidio perché non aveva bisogno di un diversivo, a sparare poteva cavarsela benissimo da sola. Piacere perché poteva dimostrare a quei giganti utili solo a pestare che non era una pivella, come continuavano a considerarla. Qualcuno l’aveva persino rinominata “la cocca di Silco” prima che lui lo mettesse a tacere in un modo talmente esemplare che nessun altro si era azzardato ad affibbiarle qualche nomignolo.
In ogni caso, quel malato di Zantik aveva passato il tempo a leccare i suoi coltelli infilati in parti del corpo e tasche del tutto improbabili. Sia lei che Silco lo avevano guardato con un misto di perplessità e disgusto. Silco le aveva detto che era talmente stupido che non avrebbe nemmeno concepito l’idea di un tradimento, e sapeva obbedire bene. In più metteva gli altri a disagio, quindi era perfetto quando si trattata di andare a minacciare qualcuno o fare delle apparizioni in pubblico.
Sevika aveva piazzato bene qualche colpo, guardandola dall’alto come a volerla sfidare a fare meglio. Mome e Darren si erano impegnati solo per cercare di dimostrare qualcosa a Silco. Jinx aveva valutato che alla fine non erano così male come tiratori, nessuno di loro tre, ma la bravura era un’altra cosa.
Il mio tempo arriverà, lo prometto.
Così aveva preso la pistola del poligono, aveva guardato Silco, che aveva annuito con solennità, e aveva centrato in testa o al cuore tutte e dodici le sagome in nove secondi.
Sia i loro che gli altri tiratori erano ammutoliti, nessuno aveva più osato sparare o finire la frase iniziata. Il proprietario aveva fatto un mezzo ghigno, si era scrocchiato le nocche, le aveva fatto l’occhiolino e aveva tirato fuori l’artiglieria pesante: sagome in movimento su più livelli e più altezze.
Era decisamente più complicato rispetto al giochino che lei faceva con Mylo in sala giochi, con le pistole a pallini. Lui sì che era scarso. Aveva sentito la sua voce schernirla prima di scaricare una raffica di proiettili sulle sagome, che avevano tutte i capelli sparati, una fisionomia dinoccolata e gli occhi di Mylo, tutto in pastello fluorescente.
Ma ce li avevano, poi, gli occhi?
Aveva battuto il record del poligono con un solo tentativo.
Silco se n’era tornato a casa gongolando, fischiando persino!, mentre quegli altri lo seguivano con la coda tra le gambe e occhiate bieche rivolte a Jinx. Tutti tranne Zantik, impegnato a ciondolare con la lingua penzoloni. Jinx aveva cercato di non fare il dito medio e quelli scarsoni.
Tornati al Last Drop, Silco aveva cercato di tornare il solito capo insofferente e distaccato, ma un angolo della sua bocca era rimasto impercettibilmente sollevato. Aveva guardato fuori dalla gigantesca finestra mentre Jinx tornava in camera.
- Ottimo lavoro, oggi – le aveva detto chiaramente. – Scommetto che tua sorella non avrebbe mai sfruttato questo tuo potenziale.
Jinx si era richiusa in se stessa come ogni volta che Vi veniva nominata, ma Silco le dava le spalle. – Non voleva. Diceva che era pericoloso.
- Per te, o per gli altri? Vedi, Jinx, qui sta la differenza tra una persona forte e una debole. I forti sfruttano il potenziale che hanno, i deboli fingono di non vederlo per non doversi confrontare con esso. E tu hai del potenziale. Datti da fare con quella nuova arma.
Da quel giorno Jinx si era messa a lavorare incessantemente su Zap!, la pistola che le aveva regalato. Se voleva sperare di far funzionare la mitragliatrice, doveva prima capire il meccanismo di Zap!.
E ce l’aveva appena fatta!
Sparò tre colpi contro tre centri che aveva appena disegnato sul muro, centri perfetti. Ululò di gioia.
Lei era quello. Era la pallottola in attesa di essere sparata.
Premi, premi il grilletto.
Si sporse di sotto, sventolando la pistola.
- Guarda cosa sono riuscita ad aggiustare!! – urlò alla volta di Silco. – Ora potrò…
Ma la frase le morì sulle labbra quando vide l’espressione furiosa di Silco, lo shimmer che gli colava dall’occhio, le dita contratte come degli artigli.
- Ti sto chiamando da cinque minuti! – latrò. – CINQUE. MINUTI. Vuoi spegnere quell’accidenti di musica e smetterla di sparare in giro a caso?!
Spaventata, non da lui, ma dall’idea di averlo deluso, Jinx corse a spegnere il grammofono.
- Che hai da ridere? – borbottò alla volta di Mylo.
Si sporse nuovamente per osservare Silco, e lo vide cercare di nuovo di pungersi l’occhio con quella specie di siringa, senza risultati. Imprecò, la buttò sul tavolo e si deterse lo shimmer che colava.
Incerta se palesarsi o meno, Jinx esitò. Non era mai divertente stare vicino a Silco quando era di cattivo umore. Decise di tentare la sorte e si lasciò cadere di sotto.
Valutò il da farsi meditando sul fatto che Silco non sembrava infastidito quando lei gli faceva domande personali, cosa a cui tra l’altro era interessata, così gli chiese, sedendoglisi di fronte e prendendo la siringa cilindrica: – A cosa serve questo?
- Per il mio occhio – ringhiò lui.
Sì, era proprio di pessimo umore. Jinx prese un pastello e decise di aggiungere qualche altro dettaglio al posacenere.
- Questo l’ho capito, ma perché? Cosa ti fa?
Silco sospirò, tentando di calmarsi. – Impedisce al resto del mio corpo di diventare come la parte sinistra del mio viso. Impedisce alle tossine di continuare a divorarmi da dentro, le rallenta. Impedisce loro di diffondersi come un cancro e rendermi del tutto un mostro, fisicamente parlando.
Jinx mise giù i pastelli. – Com’è successo?
Silco sbuffò una risata che non era una risata. Si voltò verso di lei. – Chi è successo, vorrai dire? Vander, ecco cos’è successo. Te l’avevo già detto.
Jinx trattenne il fiato. Vander… il suo Vander. Il Vander che aveva salvato lei e Vi dal crescere per strada. Era vero, Silco glielo aveva già detto, ma ogni tanto se lo scordava. Era troppo impossibile per lei da pensare. In più, non aveva mai sentito la storia completa.
Silco quasi si divertì nel leggere l’incredulità sul suo viso. – Te l’ho detto che Vander non è sempre stato chi pensi che fosse. Ti dirò un’altra volta come siamo arrivati a questo. Per ora, ti basti sapere che ha tentato di affogarmi nel fiume che scorre dietro la città. Il fiume che scorre qui da Piltover, la bella Piltover, dove le sue acque sono filtrate e purificate, limpide. Non appena arrivano qui, si mescolano al mare, agli scoli delle fabbriche, ai rifiuti tossici gettati nella corrente per non accumularli altrove, alle perdite di gas e alle sostanze inquinanti delle produzioni dei Baroni Chimici. Non hai idea di cosa ci sia lì sotto, di quali esseri, una volta animali, popolino quelle acque, come fantasmi infestanti.
Jinx non lo aveva mai sentito parlare così tanto. Stava già per stufarsi, ma la storia la interessava.
- Non fare mai il bagno lì se hai una ferita aperta. Tienitene alla larga. In ogni caso, al caro vecchio Vander non bastava essere quasi riuscito a soffocarmi. No, voleva distruggermi. Mi ferì il viso, cercò più volte di ficcarmi quel coltellaccio da macellaio nella faccia. Riuscì solo a tagliarmi dalla fronte fin quasi alle labbra, recidendo le palpebre, infierendo anche sull’occhio. Non erano ferite profonde, ma bastavano perché le tossine, la sporcizia, l’inquinamento presenti in quella discarica di fiume mi penetrassero nelle ferite aperte, mescolandosi a tessuti, sangue, cellule e nervi. E poi, mi annegò nell’acqua putrida. O almeno tentò.
A Silco per un momento si tapparono le orecchie, i suoni si fecero ovattati, come quando si era trovato là sotto, accanto alla morte. A distanza di anni, non aveva mai rivissuto un’esperienza tanto agghiacciante né aveva provato una simile… pace. Aveva quasi ceduto, nell’abbraccio dell’acqua. Aveva quasi accettato il suo invito a diventare parte di essa, come le sostanze tossiche che già conteneva. Un nuovo abitante in più.
La storia degli opposti, come quando amiamo ciò che dovremmo odiare e troviamo pace in ciò che ci perseguita. Come quando temiamo il fuoco ma ci gettiamo tra le fiamme. O temiamo l’annegamento ma poi ci rendiamo conto che infine non è così male, e farla finita a volte può essere un sollievo, quando senti il tuo viso bruciare come se ci avessero versato dell’acido e le mani salde e forti di tuo fratello, che le ha sempre usate per proteggerti, che ad un certo punto stanno per farti fuori. Con insistenza. Con cognizione di causa.
Con intento omicida.
Per indossare la corona devi rialzarti da terra.
Silco si toccò la fronte bruciata e annerita, scese sulla guancia, toccò la cicatrice. Si toccò le labbra. Jinx lo osservava rapita, la cosa lo fece quasi sorridere. Era… interessante avere qualcuno a cui parlare così personalmente, apertamente. Non gli capitava dai tempi di Vander.
Riprese a parlare dopo essersi perso nei suoi pensieri. – Quell’esperienza mi lasciò cicatrici fisiche, ma soprattutto interne. Mi fece capire molto, e il dolore che mi causa quest’occhio mi ricorda che il bruciore di un tradimento è un qualcosa che non si spegnerà mai, che arde a fuoco lento e perpetuo. Il Dottore mi trovò un palliativo. Mi disse che le tossine e le sostanze chimiche ormai erano penetrate troppo a fondo, erano diventate parte del mio tessuto. Lui non avrebbe potuto fare nulla, se non rallentare l’avanzamento di quell’infezione. Così mi diede questa. Mi inietta una singola goccia di shimmer dalle proprietà curative dritta nel cuore della mutazione: la pupilla.
- Ti fa male?
Silco la guardò per un attimo, poi fissò il soffitto, meditabondo. – Immagina di doverti bucare l’occhio ogni giorno, Jinx. È un male necessario per la sopravvivenza, ma il male non è mai piacevole. All’inizio riuscivo a medicarmi di fronte agli altri. Ora non più. Non ho più la mano ferma, sono troppi anni che mi inietto quella sostanza e provo quelle fitte lancinanti.
Stava iniziando a vacillare. Erano ormai rare le volte in cui centrava la pupilla al primo colpo, doveva ripetere l’operazione almeno due o tre volte. Se non riusciva a beccare il punto giusto, l’iniezione non aveva effetto. Stupidamente una volta aveva ignorato le avvertenze del Dottore. Si era detto che era esagerato, che l’iniezione bastava farsela, non cambiava nulla se non era proprio al centro della pupilla.
Il giorno dopo si era svegliato e aveva notato che l’infezione si era espansa. Non di molto, ma quanto bastava perché lui se ne accorgesse. Non aveva più sgarrato, ma il dolore dovuto alla ripetizione quotidiana di quella tortura lo aveva reso incapace di eseguirla di fronte ad altri, come faceva all’inizio.
Era stata una dimostrazione di forza, bucarsi l’occhio davanti ad un pubblico senza vacillare.
Ora era solo una dimostrazione di debolezza, quando doveva stringere i denti, i pugni, tutto, pur di non piegarsi in due dal male.
- Ci vedi dall’occhio sinistro?
Silco tornò presente a se stesso. – Sì. Lo schifo che c’era in quelle acque mi ha bruciato la pelle attorno e mi ha mutato il colore dell’iride, del cristallino, di tutto. Colori complementari. Però ci vedo. La medicina del Dottore mi permette anche di non farlo seccare, dal momento che la palpebra è stata insalvabile.
Jinx rabbrividì. I colori dell’occhio di Silco le piacevano, ma non avrebbe mai voluto vivere un’esperienza simile.
Allungò la mano per toccare la siringa cilindrica. L’assemblò sotto lo sguardo vigile di Silco.
- Posso usarla io per te, se vuoi. Ho una buona mira.
Silco si irrigidì, preso in contropiede. Le diede le spalle perché non vedesse il suo turbamento.
Un conto era la fiducia, un conto era farsi bucare l’occhio da una ragazzina. In più quel giorno aveva già tentato due volte, se Jinx avesse sbagliato sarebbero state minimo quattro le iniezioni andate male. Aveva un limite di tolleranza al dolore che poteva infliggersi, e non voleva iniziare a tremare di fronte a Jinx. Lo shimmer gli entrava nei nervi oculari e si propagava, come una scossa. Ad un certo punto, se sottoposti ad una pressione costante, anche i nervi cedevano.
Strinse i pugni. Jinx era davvero la persona con la mira migliore che avesse mai conosciuto.
In più, si rese conto, non avrebbe affidato quell’incarico a nessun altro che a lei, se avesse dovuto. Non aveva voluto nemmeno il Dottore, la prima volta, per praticargli l’iniezione.
- Io ti posso aiutare.
Un bisbiglio incerto, quello di Jinx. L’ultima volta che aveva detto una cosa simile, nel silenzio della sua camera vuota, aveva dato inizio a quello che sarebbe stato inconsapevolmente il piano di sterminio della sua famiglia. Ma quel piano l'aveva anche condotta da Silco.
Si girò di nuovo verso di lei. – Procedi.
Jinx sembrava quasi contenta, come se fosse emozionante un incarico del genere. Si sedette sulla scrivania, proprio di fronte a lui, e provò ad appoggiargli la base del cilindro sulla pelle attorno all’occhio. Ma Silco era troppo rigido e lei era scomoda e senza luce.
- Girati di novanta gradi – gli ordinò.
Silco obbedì, poi si appoggiò allo schienale sospirando, la testa reclinata.
- Devi inocularla direttamente nella pupilla, Jinx. Una volta trovata la posizione migliore, premi la leva. Infila il pollice nell’anello per avere una presa più stabile e la visuale libera… così – la istruì mentre lei si sistemava.
Per chissà quale motivo, Silco si trovava a suo agio con Jinx così vicina. Se chiunque altro avesse violato in quella maniera il suo spazio personale, avrebbe tirato fuori la pistola o un coltello, silenzioso e letale. Ma la prossimità di Jinx era quasi catartica.
Silco osservò il suo viso attraverso le sbarre del cilindro, il modo in cui si mordeva le labbra, la sua espressione concentrata.
Jinx si rese conto che al centro esatto, contornata dall’iride corrosa e deforme, la pupilla aveva una leggera rientranza, una specie di buco quasi impercettibile. Era come se l’occhio non si fosse completamente rimarginato dopo la ferita da coltello, e rimanesse segnato.
Proprio mentre lei premeva il grilletto della siringa, Silco si chiese quando quella ragazzina fosse diventata così importante per lui, così degna di fiducia.
Al punto di affidarle quel compito.
Strinse i pugni, soffocò un gemito. Jinx si ritrasse, impaurita, ma Silco non ce l’aveva con lei. Lo sentiva anche lui, che il suo era stato un centro perfetto.
- Sei… molto più brava di me – concesse, mentre prendeva un fazzoletto per tergersi lo shimmer che colava.
Jinx sorrise, lusingata dal complimento. Lui incurvò l’angolo della bocca e mise via la siringa. – Ti va di assolvere tu questo compito d’ora in poi?
Era la prima volta che domandava qualcosa invece di ordinarlo. Era la prima volta che assegnava un incarico con l’intenzione di tenere qualcuno vicino.
- Dovrai venire da me ogni giorno, per farlo.
Jinx non si sarebbe dovuto allontanare troppo, per farlo. Sarebbe dovuta rimanere sempre nei paraggi. Vicino a lui.
Lei annuì energicamente, contenta. Silco le afferrò il polso prima che si allontanasse, per trattenerla. – Devi capire quanto questo sia importante, Jinx. Tu sei l’unica di cui mi possa fidare.
Jinx deglutì, sorpresa, poi quasi ghignò.
Nemmeno a Sevika avrebbe mai chiesto una cosa del genere.
Solo a lei.
- Lo farò.
Silco le lasciò il polso, si perse di nuovo nei pensieri. Jinx attese, aveva capito che avrebbe dovuto farlo.
- Sai, è per via di questo che mi chiamano l’Occhio di Zaun. Un titolo altisonante, ma rende bene il concetto. Chi, se non io, può vegliare su questa città, su questa nazione, e tenerla d’occhio? L’occhio è la mia maledizione, ma anche il mio marchio, la mia firma. E ne vado fiero.
Un marchio. Una firma.
Per farti un nome, devi pagare il prezzo.
- Anche io ne voglio uno.
Silco la guardò. – Di cosa?
- Di marchio. Anche io voglio essere riconoscibile ovunque. Quando gli altri vedono il tuo occhio pensano subito: “Quello è Silco, l’Occhio di Zaun”. Io voglio che vedano la mia firma e pensino: “Quella è Jinx, la miglior inventrice di armi conosciuta, la miglior tiratrice scelta, dovremmo avere paura!”.
Silco ghignò. Anche se per un attimo aveva temuto che Jinx volesse un occhio come il suo. Glielo avrebbe impedito, in quel caso. Ovviamente. Non c’era bisogno che lei si deturpasse volontariamente.
- Mettiti al lavoro allora. Un marchio non è un capriccio, è qualcosa che viene riconosciuto da tutti e ci vuole tempo perché ciò avvenga.
Jinx annuì, contenta di avere un altro progetto a cui lavorare. Si diresse subito in camera sua urlando un: - A domani, te lo medico io l’occhio!
- Mangia qualcosa! – le intimò Silco prima che lei riaccendesse il grammofono.
Sperava che l’avesse sentito, perché non aveva alcuna intenzione di andare di sopra né di torchiare come sempre il barista per chiedergli se Jinx si fosse presentata per mangiare.
Agli occhi di tutti, non erano argomenti di cui avrebbe dovuto interessarsi.
Agli occhi suoi, non gliene fregava niente di cosa pensavano gli altri.
 
Dopo due settimane Jinx osservò la sua opera con aria soddisfatta.
Sul tavolo di fronte a lei giacevano una pallottola incisa, un taccuino con le pagine tappezzate di schizzi, il prototipo di una bomba colorato con un pastello e vari altri oggetti recanti il suo simbolo. Il suo marchio, la sua firma.
Jinx alzò gli occhi e, per una volta senza udire alcuna voce, sorrise alla testa di scimmia dipinta sul muro che la guardava con un’aria totalmente schizzata.
Non lo avrebbe detto a Silco, sarebbe diventata così famosa che lui avrebbe sentito parlare dagli altri della sua scimmia. E quando lui si fosse mostrato impressionato dalle gesta di quella persona che si lasciava tutta quella desolazione alle spalle, lei avrebbe rivelato con nonchalance che era lei, quella persona.
Per il momento, doveva occuparsi delle tracce. Indizi. Avrebbe progettato una macchina in grado di incidere le pallottole che Silco si faceva arrivare con spedizioni settimanali. Non poteva mica avere delle pallottole mediocri come quelle degli altri! Nel frattempo, le avrebbe marchiate lei stessa, una pallottola con la testa di scimmia stilizzata alla volta.
Silco si sarebbe vantato di lei con chiunque. Sarebbe stato fiero.
Del resto, non era fiera anche lei della bomba-scimmia che aveva distrutto il conservificio sul molo?
La sua prima vera invenzione funzionante, e che risultato aveva ottenuto! Poco importava, in quel momento, di quali fossero state le perdite.
Sono in alto, poi sono in basso, basso. Mi fermo, allora, io vado, vado. Bipolare.
Chiunque avesse visto quel simbolo avrebbe perso tutto, com’era stato per lei. Voleva che chiunque lo vedesse provasse un terrore cieco, quello che provava lei quando il senso di abbandono che sentiva dilagava, lasciandola inerte.
Paura.
Distruzione.
Esplosioni.
Non significava quello, in fondo, essere Jinx?
 
 
 
 
 
Extra
Jinx si scostò mentre Silco si ripuliva la guancia, serrando la mascella per il dolore. Lei si rigirò la siringa tra le dita, giocandoci come se fosse la sua adorata Zap!.
Poi Silco prese una specie di contenitore e lo aprì, senza badare a lei. Jinx perse subito interesse nella siringa, che appoggiò al tavolo. Silco si arrabbiava se la maltrattava, diceva che non sarebbe stato possibile averne un’altra entro un giorno e lui avrebbe dovuto passare troppo tempo senza iniezione.
Dentro il contenitore c’era una specie di polvere bianco-rosata, e di fianco ce n’era una scura, nera. Nella parte superiore dello sportellino, uno specchietto. Silco prese un pezzo di stoffa ripiegato, come una salvietta, che intinse nella polvere e poi si passò sulla cicatrice.
Jinx lo guardò ad occhi sgranati. – Cosa fai?! – gli chiese, mentre vedeva sparire sotto la polvere la sua pelle annerita, le bruciature, tutti gli sfregi, fino a lasciare una pelle compatta e omocroma, senza difetti se non la cicatrice. Ma non appariva più così spaventosa.
Silco increspò le labbra, però non rispose, e continuò ad applicarsi la polvere sulla fronte.
- Una magia? – chiese allora Jinx, bisbigliando con complicità.
Silco si sarebbe messo a ridere se avesse avuto un po’ di senso dell’umorismo.
- È trucco.
- Un trucco di magia!
- Lascia stare la magia, è trucco e basta. Quello che si mette per migliorare il proprio aspetto.
Silco avrebbe voluto chiederle se sua sorella lo metteva, dato che era una ragazza, ma si astenne. Cercava di evitare di parlare di Vi quando non era strettamente necessario. Non gli piaceva il luogo, nella sua testa, in cui Jinx si rifugiava quando pensava con nostalgia alla sorella.
- Oh. E perché te lo metti?
Silco finì di applicarselo prima di guardarla. Sul suo viso dal colorito quasi perfettamente omogeneo, giusto leggermente più chiaro nella parte sinistra, l’occhio spiccava più che mai; un bulbo nero con una penetrante iride arancione.
Jinx dovette ammettere che così truccato era impossibile distogliere lo sguardo dall’occhio, risaltava su tutto, persino sulle cicatrici.
- Perché bisogna essere capaci di negoziare, ragazzina. E se le persone si concentrano sulle cose sbagliate, si distraggono, pensano ad altro, e un affare va in fumo. Bisogna spingerle a vedere ciò che devono vedere e occultare il superfluo.
Jinx si morse il labbro inferiore, interessata a quella polvere. – E quella nera a cosa serve?
Silco le lanciò un’occhiata penetrante, un sorriso maligno fece capolino da un angolo delle labbra. – A far sì che si concentrino su ciò che non c’è, ma che li persuade a fare ciò che vuoi. A volte bisogna assomigliare a dei mostri per ottenere quello che desideri. In certe occasioni, non bisogna occultare, ma esibire.
Jinx non aveva capito molto bene quest’ultima parte, ma si immaginò Silco con la pelle nera come l’occhio e dovette ammettere che forse era un po’ inquietante. Gli studiò il viso con attenzione, avvicinandosi, per capire come funzionasse il trucco.
Poi gli rubò la trousse dalle mani e si applicò il nero sulle palpebre, come lui. Chissà se poteva sembrare più grande o incutere paura, come Silco, con quella roba addosso.
Quando ebbe finito, si squadrò nello specchietto. Non le sembrava di essere diventata spaventosa.
- Ti sta bene – ammise Silco.
Non doveva starle bene, doveva terrorizzare gli altri!
Se non altro, almeno la faceva sembrare più grande. Ormai aveva dieci anni!
Poteva lavorarci, ma imparando a truccarsi avrebbe potuto fregare diverse persone, mentendo sulla sua età.
- Mi procuri un po’ di trucchi?
Fu così che con l’ordine successivo di armi, pallottole, derrate, ricambi e metalli da costruzione, Silco incluse anche una palette di ombretti, un rossetto scuro e una matita nera da occhi.
- Non una domanda – intimò Silco a Sevika quando lei scrutò l’ordine con aria scettica. Per lo meno, quella volta non c’erano pastelli in lista.
Silco aveva cercato di persuadere Jinx dal cominciare a truccarsi, perché non ne aveva bisogno. Aveva una pelle stupenda e degli occhi grandi e luminosi del colore del cielo d’estate, non aveva alcun bisogno di artefare la sua bellezza. Ma lei non aveva voluto sentire ragioni, usando la scusa che anche lui si truccava, e alla fine avevano trovato un compromesso: Jinx si sarebbe truccata solo occhi e labbra, non la pelle del viso, e in cambio Silco le avrebbe ordinato quello che voleva.
Quando Sevika uscì, Silco sospirò e si accese un sigaro.
Era diventato padre da neanche tre anni, e già gli sembrava che Jinx fosse cresciuta fin troppo. Truccarsi… Era già bella, ma non gli aveva dato ascolto. Ea così cocciuta e ostinata…
Si chiese come avesse fatto Vander con quattro ragazzini a cui badare. Jinx da sola gli dava il suo bel daffare.
Aspirò una boccata chiudendo l’occhio buono, lasciando che gli penetrasse nei polmoni e lo rilassasse.
Ripensò allo sguardo euforico di Jinx quando aveva ceduto alla sua richiesta, la sua gioia genuina. Scosse la testa, trattenendosi dal sorridere.
Chi se ne fregava di Vander e dei suoi marmocchi, lui non poteva chiedere di meglio, con Jinx.

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Capitolo 6
*** Beautiful mind (I am sharper than a pack of hundred razor blades) ***


Eeeeee ciao a tutti! Spero che il capitolo non sia troppo noioso o confusionario. Anche se, tecnicamente, se fosse confusionario sarebbe perfetto perché è una full immersion nella mente di Jinx in modalità: sto creando.
Infatti, in questo capitolo partorirà le bombe e la sua mitra adorata. Spero vi piaccia!


6. Beautiful mind (I am sharper than a pack of hundred razor blades)

Dynasties & Dystopia - Denzel Curry, Gizzle, Bren Joy, track 08
 
In this gothic underground city, we all sin
If I bring a couple rounds with me then we all win
I came back and brought the crown with me, the king's den
Break your Nexus and your neck 'cause
Everybody's on your head
I might, just might kick your butt
Go run amok then paint my nails
Never learned to raise my hand
Was too busy raising hell
Everything I know I am
You should go and save yourself

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~

Quel giorno si sentiva forte.
Viva.
In pace.
Quel giorno ce l’avrebbe fatta.
Avrebbe vinto.
Sarebbe riuscita.
Quel giorno non sentiva le voci.
Nessuno la importunava.
Nessuno la derideva.
Quel giorno mise il grammofono al massimo con la sua canzone preferita a tutto volume. Le faceva venire voglia di fare a pugni, di sparare agli uccelli fuori dalla finestra, di ballare, di urlare per l’adrenalina. La musica le rimbombava nella testa, riempiendola con le sue note e svuotandola del superfluo.
Non vedeva lo sguardo di Mylo, un giudice silenzioso che non la lasciava mai respirare. Sempre pronto ad attaccarla.
Non vedeva lo sguardo di Claggor, più defilato, incuriosito da ciò che stava facendo. Sempre pronto a difenderla.
Non aveva bisogno di essere difesa.
Non vedeva lo sguardo di Vander, la delusione nei suoi occhi mentre ripensava a quello che aveva fatto per lei. Sempre pronto ad offrirle un succo e una buona parola per tirarla su di morale.
Non vedeva lo sguardo di Vi, quando le accarezzava il viso, quando le tirava il ceffone. Sempre pronta ad amarla per ciò che era. O a disprezzarla prima di abbandonarla.
Jinx sorrideva, abbracciando tutto e tutti, all’apice dell’euforia.
Se Silco fosse salito da lei in quel momento avrebbe pensato che avesse fumato o bevuto qualcosa, ma almeno su quei punti Jinx gli obbediva. Quella roba le annebbiava il cervello e a lei il cervello serviva funzionante. Il suo cervello geniale. La sua mente bellissima.
Sì, aveva proprio una mente incredibile, si congratulò con se stessa. Anche lui glielo aveva fatto capire, anche se non così schiettamente.
In più, Silco non andava mai in camera sua. E quel giorno non c’era.
Era andato via un paio di giorni e Jinx si era ripromessa di finire il suo progetto per quando lui fosse tornato.
Così andò sul tetto, la musica talmente alta che la raggiungeva persino da lì. Sparò agli uccelli per tutta la mattina, allenandosi, concentrandosi. Sentiva Zap! tra le sue dita, la sua consistenza, la sua freddezza; percepiva i suoi meccanismi interni, le pallottole, l’esplosione che seguiva ogni pressione sul grilletto. Aguzzava l’udito per percepire un battito d’ali improvviso, teneva i muscoli caldi per allenare i riflessi e girarsi al momento giusto per colpire il volatile che aveva appena spiccato il volo. Era sudata. Era scattante, in forma. Ed era brava.
Era inebriante.
Si immedesimò nella pallottola.
Si immaginò come dovesse essere venire sparata fuori dalla canna ad una tale velocità, colpire cemento, carne, ossa, tendini, lacerare, lasciare un buco non trascurabile alle sue spalle. Un lavoro preciso e pulito.
E poi si figurò nell’esplosione, nello scoppio di energia, nel fuoco e nel metallo che si deformava, facendo diventare l’involucro stesso un’arma. Le bombe a chiodi erano le più infide, raramente uccidevano, ma trafiggevano il corpo talmente tanto malamente che si rischiava di perdere un arto, a volte. Le bombe classiche a combustione erano una grazia, una morte rapida e indolore.
Di solito.
Jinx si morse il labbro inferiore.
Le bombe. La bomba scimmia. Quella sì che aveva funzionato a dovere. Aveva fatto crollare un intero edificio!!
Si fece roteare Zap! in mano e poi la rimise al suo posto, al suo fianco, come una vera combattente. L’aveva aggiustata lei, era vero, ma non l’aveva creata da zero. Non le aveva dato vita.
Alla bomba-scimmia, invece, sì. Avrebbe lavorato su quella.
Tornò in camera a prendere appunti e composti esplosivi, insieme ai suoi occhialini. Non li aveva più modificati da quando aveva trovato la fessura perfetta per concentrarsi e acuire la vista.
Lavorò con il suono della canzone in loop che le dava la carica e le metteva fretta.
Cosa non aveva funzionato le volte precedenti?
Cosa aveva funzionato con la bomba scimmia? Quella aveva delle gemme, è vero, però…
C’era stata pressione. Una sollecitazione?
Mentre si leccava le labbra con impazienza, ritrovandosi la lingua sporca del viola del rossetto, Jinx si mise al lavoro. Matita, colpo di gomma, foglio strappato, foglio nuovo, matita, test, esplosione fallita, correzione della formula, balletto sulle note della canzone, pausa merenda, pausa meditazione mentre giocherellava con Zap! e un pezzo di metallo come se fossero due dirigibili di ultima generazione.
Poi si tirò su di scatto, con un’illuminazione.
Si immaginò la bomba come una bocca, un cilindro dotato di mascella. All’interno, i liquidi esplosivi disposti in modo da proteggere i cavi per la carica che avrebbe innescato la scintilla per la detonazione. Una mascella che, una volta che fosse scattata e si fosse chiusa, avrebbe addentato la carne altrui in un morso incendiario. Avrebbe tranciato la sicura, innescando l’esplosione.
Sì sì sì sì!! C’era, ne era certa.
A mezzanotte, come diversivo per non attirare troppo l’attenzione, fece partire i fuochi d’artificio.
Nessuno si rese conto che tra essi erano state lanciate in aria delle bombe perfettamente funzionanti con la testa di una scimmia.
 
Il giorno dopo dormì fino a tardi, esausta dopo il tanto e produttivo lavoro della notte prima. Era andata a dormire alle tre di mattina, dopo aver collaudato altre nove bombe che aveva appeso alle travi fuori dalla camera come un pericolosissimo carillon per adulti.
Alzando la testa, Silco avrebbe potuto vedere le bombe pendere dal soffitto, una decorazione originale che gli ricordasse sempre il successo che lei, Jinx, aveva conseguito.
Gliene lasciò anche una sulla scrivania, mentre le quattro rimanenti gliele infilò nel cassetto. Era generosa, Silco avrebbe potuto usarle a suo piacimento. Tutte ovviamente personalizzate e decorate per lui, in schizzi artistici blu e rosa che si incrociavano.
Blu e rosa, i colori di due sorelle le cui vite una volta erano state intrecciate.
Jinx scosse la testa per scacciare i pensieri. Non le importava di Vi, non le importava del buco che sentiva nel petto. Intimò a Mylo di tacere, poi gli puntò Zap! alla tempia per farlo tacere. Funzionò, non dovette sparare. Fifone.
E poi, blu e rosa stavano bene insieme.
Non vedeva l’ora di osservare dall’alto la faccia di Silco quando avesse trovato la bomba sulla scrivania. Sapeva che non era così stupido da innescarla da solo. In caso contrario, la sua morte non sarebbe ricaduta su di lei. Lei aveva messo la sicura, bisognava farla esplodere volontariamente quella bomba.
Più tardi ne avrebbe costruite altre, per il momento si sarebbe dedicata alla sua bambina, la sua mitragliatrice.
Riaccese il grammofono sbattendo i pugni sul tavolo sui cui poggiava, cantando e muovendosi a ritmo da dove ieri si era interrotta la canzone.
La paura non è mai un'opzione, quindi la morte non è una vera fobia
Sto battendo le probabilità

Aumentando ogni occasione come se avessi sconfitto gli dei
Odorava leggermente di fumo, sudore e metallo, ma si sarebbe lavata una volta concluse le sue opere. Si sgranchì le mani e le braccia e si mise al lavoro, continuando a canticchiare.
Smontò Zap!, scusandosi con lei per averla spogliata. Le parlò dolcemente durante il processo, per non attirarsi la sua ira. Zap! era sua amica.
Ne studiò i meccanismi interni cercando di rapportarli, migliorati, all’interno della mitragliatrice. Doveva sparare colpi a raffica, una decina al secondo, evitare il surriscaldamento del motore e capire come creare un grilletto solido ma non pesante. L’arma stessa non doveva essere pesante, perché lei non era così forte. Avrebbe dovuto portarla ovunque, meglio se a tracolla, e reggerla con sicurezza e facilità.
Jinx rise per la sfida.
Un disco rotante a tre canne, per imprimere anche rotazione alle pallottole e far raffreddare in automatico il meccanismo, come una ventola.
Uno canale inferiore per scaricare a terra i bossoli vuoti in modo fluido, per evitare inceppamenti.
Una maniglia superiore frontale per reggerla e avere una presa stabile, una leva più indietro che avrebbe funto da grilletto, facilmente manovrabile ma non troppo sensibile, per impedire che l’arma sparasse colpi accidentali.
Sarebbe stato divertente in effetti, ma lei avrebbe potuto essere una vittima come gli altri, e non ci teneva a finire i suoi giorni ammazzata dalla sua piccolina.
Colore? Rosa.
Il rosa di chi aveva reso lei stessa un’arma, di chi l’aveva resa Jinx.
Scosse la testa per scacciare gli scarabocchi allucinanti che da qualche tempo si manifestavano.
Alzò il volume della musica. Sentiva di poter riuscire a rifinire l’arma.
Doveva ritrovare la calma, la pace.
Sì, la pace.
Si distrasse un attimo per dare un’occhiata ai prototipi di bomba e alle bombe vere e proprie sparsi per terra. Non aveva mai ottenuto un simile risultato, era la prima volta che riusciva a creare qualcosa di funzionante e utile, senza tentennare, senza rivivere momenti sgradevoli e senza pensare alle conseguenze, o a cosa avrebbe detto…
Eccolo, il segreto.
Jinx era in pace con se stessa, in quel momento. Era in pace con Powder. Dentro di lei, nascosta e assopita da qualche parte, Powder stava esultando per quelle meravigliose armi nuove e brillanti, un ponte tra ciò che era stata e ciò che sarebbe diventata.
La verità era che, ormai, l’unica cosa che la accomunava a Powder era proprio la mente creativa.
Che fosse per aiutare Vi o Silco, inventare, creare armi era nella sua natura.
Sospinta da quei pensieri, Jinx continuò a lavorare.
- Ce l’ho fatta, Pow-Pow – bisbigliò sfinita prima di addormentarsi.
 
Il giorno dopo, si presentò da Silco per l’iniezione. Saltellava eccitata da un piede all’altro, così felice che gli saltò addosso mentre era seduto sulla sedia, prima che lui potesse concludere le sue domande.
- Com’è andata? E cosa sono tutte queste cianfrusaglie su… Jinx!
Jinx gli piazzò la siringa sull’occhio senza che quasi lui se ne rendesse conto, e nel giro di un secondo aveva già eseguito l’iniezione, separato e messo via lo strumento.
- Si può sapere cosa dia…
- Vieni con me al molo. Ti prego ti prego ti prego, non te ne pentirai, vieni con me al molo!
Silco strinse i pugni e cercò di non scrollarsela di dosso. Si era chiesto, durante quei due giorni, se tutte le volte in cui aveva pensato a lei indicavano che provava nostalgia, e si era sentito sollevato quando l’aveva vista atterrare lì da camera sua, ma Jinx era leggermente troppo sovreccitata per il suo ritorno. E per i suoi gusti.
- Ho capito, ho capito – ringhiò. – Ma devi dirmi per quale motivo. Non vengo al molo a fare una passeggiata, se è questo che stai pensando.
L’entusiasmo di Jinx si smorzò appena, nonostante l’offesa. – Non voglio fare una passeggiata!
- Ho un appuntamento con i Baroni Chimici tra dieci minuti. Per quanto voglia boicottarli, devi darmi un buon motivo perché io annulli l’incontro.
Jinx sorrise, un sorriso un po’ folle, ma Silco non se ne accorse.
- Devi venire con me al molo perché ci sono riuscita.
Basandosi solo sulle congetture che lo portavano a pensare che Jinx fosse un’inventrice geniale, prese il mantello e la seguì, lasciando solo due righe sulla scrivania per Sevika.
Stava ignorando i Baroni Chimici, i suoi finanziatori, i gestori della nuova produzione di shimmer, solo sulla base di una congettura.
E della fiducia che riponeva in una ragazzina.
(E nel suo affetto)
 
Silco rimase impressionato. Non aveva mai avuto tanto fiuto per le doti di qualcuno come per Jinx.
Le bombe funzionavano, e quanto bene funzionavano!
E la mitragliatrice…
Si erano diretti verso una zona abbandonata del molo, con Jinx che a intervalli di pochi minuti lo tirava per il braccio e saltellava. Nonostante portasse una valigetta e avesse a tracolla un involucro che sembrava pesante, non aveva accusato la fatica. Silco aveva iniziato a chiedersi se non fosse una perdita di tempo, altrimenti gli sarebbe toccato strigliarla per bene.
Jinx lo aveva fatto fermare poco lontano da un capannone abbandonato ma non pericolante. Aveva tirato fuori due bombe dalla valigetta che si era portata dietro, ma ne aveva scagliata solo una.
Silco aveva osservato la detonazione e poi le fiamme che avevano avvolto il capanno con l’occhio spalancato, incapace di registrare una simile potenza di fuoco scatenata da una bomba così piccola. Poi l’edificio era crollato, velocemente, fin troppo velocemente.
Jinx gli aveva sorriso. – Te ne ho messe alcune nel cassetto, nel caso dovessero servirti. Ma il meglio deve ancora venire.
Allora aveva preso l’involto voluminoso che si era appoggiata al fianco e aveva rivelato cosa si celasse sotto: la mitragliatrice di cui una volta gli aveva mostrato il prototipo. Silco non aveva capito quasi nulla di quegli schizzi mentre Jinx glieli spiegava con convinzione e competenza, come se lui fosse uno scolaretto e lei l’insegnante. In quel momento, Silco aveva capito i progetti di Jinx. In fondo, gli si erano materializzati sotto agli occhi, un’arma tridimensionale uscita direttamente dalla matita di una ragazzina.
Sembrava pesante, ma Jinx l’aveva sollevata senza problemi. Gambe divaricate per stabilizzarsi, lo aveva guardato con orgoglio. Poi aveva aperto il fuoco, scaricando una raffica di proiettili contro il pavimento in cemento di fronte alle macerie. Per terra erano rimasti i solchi delle pallottole.
- Ne avevo solo dieci, ma bastano per mostrare quanto forte è quest’arma! – aveva esclamato mettendosela a tracolla come una borsetta.
Silco riprese coscienza di sé in quel momento, dopo alcuni minuti di attonito silenzio e studio dell’ambiente.
Si chinò, prendendo i bossoli delle cartucce sparate. Erano quelle che produceva lui, quelle che si faceva arrivare settimanalmente. Non si chiese come Jinx ne fosse entrata in possesso, ma perché ci fosse inciso un volto scimmiesco stilizzato e sbozzato.
Si risollevò, lanciando e riprendendo i bossoli nella mano. Il suo sorriso orgoglioso andò a tenere compagnia a quello di Jinx.
- Ottimo lavoro, hai superato le mie aspettative.
- Non le mie! – gioì lei. – Sapevo di potercela fare!
Lei lo sapeva. Per una volta, non le importava che anche Vi ci avesse creduto.
- Li hai incisi tu questi? – chiese Silco indicando con un cenno della testa i bossoli.
- Sì, per differenziarli. Sono i miei.
- Da ora in poi lasciami sulla scrivania i quantitativi di pallottole che ti servono, te le farò arrivare io. Incise, così non dovrai perdere tempo. In quanto alle bombe, sarà meglio che te le produca tu, da sola. Non vorrei che mandando i progetti in fabbrica qualcuno li rubasse.
- Le bombe sono mie! – urlò lei, contrariata. – Posso produrmele da sola!
- È quello che ho detto.
Jinx ritrovò il sorriso.
- Solo l’intelletto del Dottore finora mi aveva colpito, ma data la tua giovane età e la tua fantasia creativa, non mi sorprenderei se fra qualche anno lo superassi. In più, lui è imprevedibile e segue una causa tutta sua, mentre tu…
“Con le tue armi, tu sei la mia arma”, concluse Silco.
Jinx rise, tirando un calcio ai bossoli. Voleva che si spargessero, che lanciassero il messaggio “Jinx è stata qui!”. Che lo sapessero tutti, quanto forte e pericolosa era. Così nessuno l’avrebbe più disturbata.
O abbandonata.
- Mi aspetto che tu metta le tue bombe a mia disposizione ogni qualvolta lo riterrò necessario. Per il resto, le tue armi sono tue, e nessuno te le toglierà. Con queste, sarai in grado di combattere da sola le tue battaglie. E diventerai più forte.
Silco le passò un braccio attorno alla schiena mentre si girava, indirizzandola verso casa, con valigetta e mitragliatrice a tracolla.
- E spero che tu ti renda conto che puoi fare meglio di così. Questo non è l’arrivo, Jinx. Questo è solo l’inizio.
 


 
 
Extra
Galvanizzata dalla vittoria conseguita, sia con se stessa che con Silco, Jinx passò la notte abbracciata alle bombe e alla mitragliatrice.
Non voleva dare un nome alle bombe, sarebbe stato impegnativo inventarne uno per ognuna, e non voleva nemmeno crearne uno unico: erano oggetti indipendenti e con una loro individualità!
La mitragliatrice, però…
Diede un’occhiata a Zap!, posata sul cuscino. – Non ti sto tradendo – le bisbigliò. – Tu sarai sempre la mia prima. Ma lei è la mia piccolina, la mia sorellina…
La sua sorellina.
Come lei un tempo era stata la sorellina bisognosa di cure e protezione di qualcun altro.
Se le cose fossero andate diversamente, Jinx sarebbe potuta diventare un’arma nelle mani di Vi. Ora, un’arma per le mani ce l’aveva lei. E l’avrebbe custodita e curata gelosamente.
Non dovette nemmeno pensare ad un nome, era talmente chiaro che l’aveva pronunciato nel sonno la sera prima, quando l’aveva creata.
- Buonanotte, Zap!. Buonanotte, Pow-Pow.

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Capitolo 7
*** Join me (I told you not to play with the misfit toys) ***


Eeeeee arriva Ekko. Lo sto rivalutando molto come personaggio, prima non gli avevo dato molto peso. Sarà perché ero troppo presa dai cattivi per notare i buoni. Speriamo che abbia più peso nella stagione 2, è un personaggio interessante.
E ora, una versione ipotetica di come potrebbe essere avvenuta la "rottura" con Powder.
Scusate il ritardo, ma ho avuto problemi con l'html^^"
Spero vi piaccia, buona lettura!

7. Join me (I told you not to play with the misfit toys)

Misfit Toys - Pusha T. & Mako, track 07


I declare war
On anybody standing in the way of what I dream for
How could you ignore
The ones that are voiceless, screams from the poor?

I can get you kidnapped
These kids ain't playin' with you, actin' like you live rap
And all those little mishaps
That only happen to you, misfits, I'm here to fix that (yeah)
Time to dig up your grave
Make you lower your voice
I told you not to play with the misfit toys
We running this gang
Getting sick of your noise
You stranded with a bad bunch of misfit toys
Rich get richer while the poor pickpocket

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~

Jinx girò per le strade di mattina presto. Le piaceva quel momento della giornata, quando la gente era troppo ubriaca o fumata o fatta per alzarsi dal letto. O per alzarsi dai vicoli in cui erano collassate prima di arrivare a casa. Sempre che ce l’avessero una casa. Jinx saltellò qui e là sorridendo, Zap! al fianco. Silco le aveva detto di non andare ancora in giro con Pow-Pow a tracolla, per il momento. Avrebbe attirato solo attenzione inutile, e lei sarebbe stata capace di difendersi anche solo con Zap!.
- Verrà il momento in cui riconosceranno la tua arma, e la sua sola vista li terrorizzerà. Ma non è ora, quel momento – le aveva detto.
Jinx si era trovata d’accordo con lui, non perché la proposta era stata ragionevole, ma perché Pow-Pow aveva bisogno di qualche altra modifica. Avrebbe esibito la sua piccolina solo quando fosse stata perfetta.
In più, a migliorarle l’umore, quella mattina stava bene. Nessun incubo, nessuna reminiscenza del passato. Silco era uscito presto e sarebbe tornato nel pomeriggio per l’iniezione. Per quell’ora, lei sarebbe dovuta tornare a casa. E non per ultimo, le strade erano cosparse da oggetti o rottami che la gente la sera prima si era lasciata sfuggire di tasca o di borsa, troppo distratta o persa per accorgersene.
Jinx raccattò quattro o cinque pezzi interessanti che infilò nel borsellino alla cintura, prima di tirare fuori di tasca una moneta e comprarsi una ciambella alla crema. Silco gliene lasciava sempre qualcuna nel suo ufficio, così poteva comprarsi quello che voleva se ne aveva bisogno. Le aveva detto che far girare l’economia era importante e bla, bla bla…
Stava cercando di non fare una smorfia di piacere mentre si leccava dal pollice la dolcezza della crema, quando si ritrovò faccia a faccia con un fantasma del passato. Qualcuno che pensava fosse morto, o ferito, o disperso. Qualcuno che una volta era piccolo, e invece ora la superava in altezza, anche se di poco. E in stazza. Un contrasto bianco-nero.
Ekko.
I capelli canuti e ricci erano legati all’indietro in piccole trecce che arrivavano appena alla nuca. Gli occhi scuri la fissavano, aperti e sbalorditi come quando erano solo bambini, mentre i denti candidi brillavano appena mentre lui si apriva in un sorriso timido e sorpreso.
- Powd…
Jinx gli saltò al collo, abbracciandolo e tenendolo stretto. Ekko, preso in contropiede, impiegò alcuni istanti prima di registrare cosa stesse succedendo e abbracciarla stretta. La strinse così forte che Jinx si mise a ridere, bofonchiando: - Così mi soffochi, Piccoletto.
Lui la lasciò andare ridendo. – Hai iniziato tu, Pow-Pow.
Quel nome, che non era il nome della sua mitragliatrice, ma il suo di una volta.
Jinx serrò gli occhi, ma era troppo tardi: aveva già iniziato a vedere i segni fosforescenti che ogni tanto le invadevano la testa. Vide il viso di Ekko, preoccupato, i suoi occhi sinceramente interessati che venivano coperti da bianche sbarre, poi un ghigno malefico sulle labbra, e infine lui che se ne andava, voltandosi.
Ma Ekko non l’abbandonò. Le posò una mano sulla spalla, costringendola a guardarlo. Le sorrise. E le diede un buffetto in fronte.
- Forse quei nomignoli non sono più appropriati, eh? Ne è passato di tempo da quando ci allenavamo a combattere.
Jinx si distrasse. Quel contatto caldo sulla pelle e il suo sorriso infantile le permisero di riprendere fiato. La vista le si schiarì, le voci si affievolirono.
Lui non era più il Piccoletto di una volta. Lei non era più Pow-Pow.
E lui era carino. Aveva le braccia scoperte, magre ma muscolose. I capelli bianchi gli avevano sempre donato, ma era l’espressione ad essere cambiata. Erano passati solo pochi anni, ma come avevano segnato lei, avevano segnato anche lui.
Jinx si rese conto con rammarico e vergogna di aver pensato poco a lui da quando…
Cosa ne era stato di lui, senza più Benzo, Vander, lei, Vi, Mylo e Claggor? Cosa aveva fatto? Com’era sopravvissuto? Lei aveva trovato rifugio, protezione e… una famiglia, tra le braccia di Silco. Ma lui?
Dubitava che avesse avuto la stessa fortuna. La gente aveva già troppi problemi e infime risorse per poter pensare di occuparsi di un’altra bocca da sfamare.
Lui invece sembrava essere rimasto bloccato al pensiero precedente, invece, con la bocca asciutta e gli occhi sgranati: anche lei era cambiata.
Ekko registrò la lunghezza dei suoi capelli, che non erano più stati tagliati da allora… Le arrivavano sopra il sedere, stretti in una grossa e pesante treccia blu. Le gambe magrissime che aveva sempre avuto si erano irrobustite, ammorbidite, i fianchi si erano allargati ed erano spuntate due nuove curve, piccole ma percettibili, che non c’erano mai state. Non si era messa il rossetto quella mattina, ma l’ombretto nero era sempre presente, e conferiva ai suoi grandi occhi blu un’intensità nuova.
Ekko si allontanò un po’, distogliendo lo sguardo. Ringraziò la sua pelle scura, che nascose il rossore che lo avrebbe altrimenti tradito.
Powder era più bella di quanto ricordasse. Aveva sempre avuto una cotta per lei, perché erano compagni di giochi e confidenti. Quante giornate avevano passato a provare mosse di combattimento? A sfuggire alle guardie di Piltover? Ad ammirare e imitare i più grandi, nascondendosi subito dietro Vi o Claggor quando venivano guardati male? A combinare guai che poi cercavano di insabbiare? A parlare del futuro?
Dov’erano finiti quei bambini? Erano ancora lì?
Mentre si squadravano, entrambi parvero porsi le stesse domande.
- Facciamo un giro? – propose Ekko.
Powder si accarezzò un braccio timidamente, poi annuì e lo seguì.
Camminarono in silenzio per un po’, tra i rumori sommessi di una città che si svegliava, delle attività che reclamavano clienti e fra le tracce di shimmer violacee che infestavano la città come scadenti cartelloni pubblicitari. Quando Ekko le vide, fece una smorfia.
- È tutto opera di Silco, sai? Tutta colpa sua – disse Ekko, rompendo il silenzio.
Non le chiese nemmeno di lei, partì con le informazioni che pensava potessero interessarle. Alla fine, il suo divenne quasi un ringhio, tra le sopracciglia si formò un cipiglio che Jinx non aveva mai visto sul viso del bambino sempre allegro che era stato. A quanto pareva, non era cambiata solo lei.
- La morte di Vander, di Mylo, di Claggor. Di Vi… Li ha uccisi tutti lui.
Jinx continuò a camminare, ma era rigida quanto una scopa, le sembrava di essere una criminale, si sentiva in colpa. Si sentiva una traditrice. Cercò di calmare il respiro, di evitare di impazzire. Portò una mano su Zap!.
- Li ha ammazzati, Vander perché gli stava tra i piedi, i ragazzi perché erano suoi alleati. Poi ha preso il controllo, ha inondato le strade di shimmer per tenere soggiogati i più deboli, e per spillargli quei pochi soldi che avevano. Soldi, o lavori sporchi che non avrebbe mai affidato ai suoi, lavori pericolosi dai quali quei poveracci non tornano mai.
Ekko scosse la testa, serrò la mascella. Jinx riuscì a mantenere il controllo concentrandosi sulla sua voce. Quella voce complice che l’aveva accompagnata durante l’infanzia, ma che era diversa ora. Era matura, era grande, ruvida, maschile.
- Non sai quanti amici di Vander ho visto vendersi per una fialetta di shimmer. Rivoltarsi uno contro l’altro. E sai qual è il peggio? Che a quel bastardo non bastava tenere sotto scacco la gente con la droga! Ha preso i loro figli, i figli di questa città, mettendoli a lavorare alla produzione di shimmer, sostenuto dai Baroni Chimici. Ostaggi celati sotto il nome di “lavoratori”. Hanno accettato tutti. Hanno accettato di vendere i loro figli al diavolo, perché avrebbero potuto produrre la droga di cui avevano bisogno.
Ekko tirò un pugno al muro di fianco a sé. Poi ne tirò un altro, e un altro ancora. Jinx lo osservò impassibile. Era diventato più bravo. Doveva aver preso parte a diverse scazzottate in quegli anni per muoversi così. Non era più il bambino imbranato e scoordinato con cui si allenava da piccola. Quello che mostrava sempre a tutti la lingua, i muscoli e delle mosse che in battaglia non avrebbero fatto altro che aiutare gli avversari, invece che ostacolarli.
Si fermò prima di distruggersi le nocche, il respiro erratico. Chiuse gli occhi, si terse il sudore con il polso. Poi si voltò verso di lei e le rivolse un sorriso triste. Cercò di concentrarsi sui suoi occhi anziché sulle sue labbra.
- Scusami, non ti ho nemmeno chiesto di te. Come te la sei passata in questi anni? Dove sei stata? Pensavo… pensavo che fossi morta. Ne ero convinto, diamine! – esclamò ridendo istericamente. – Non sai che sollievo vederti qui, viva, e non nelle fabbriche di Silco, o strafatta di shimmer. Ho tante novità da raccontarti, una svolta epocale. Ma prima dimmi, non voglio parlare solo io.
Jinx abbassò lo sguardo, si rimise a camminare.
Ekko interpretò il suo comportamento come disperazione. Quella che aveva provato lui quando aveva visto il cadavere di Vander in strada, quando aveva visto la gente provare lo shimmer per la prima volta, e i bambini venire sottratti alle case per andare a produrre la morte viola in fialette.
I ricchi diventano più ricchi mentre i poveri borseggiano.
Non capiva che il comportamento di Jinx era solo un tentativo di non esplodere. Il tentativo di non spezzarsi in due, dilaniata, mentre il suo cervello combatteva contro se stesso, mentre Powder voleva correre da lui e scappare insieme e Jinx voleva spararle in testa per farla tacere.
- Io sto bene – riuscì a dire, la voce flebile come quando da piccola rovinava qualche piano e Mylo le dava contro. – Non sono morta.
Ekko non rise di fronte a quei commenti ovvi. Non le mise nemmeno pressione. Si rese conto per la prima volta di che anni d’inferno dovesse aver passato Jinx. Sola, senza la sua famiglia, costretta ad arrabattarsi con quello che capitava sotto mano. Lui lo sapeva bene, che mondo era quello. Ci aveva vissuto dentro. Gli sembrava ancora così incredibile averla trovata, finalmente!
…Ma non incredibile quanto non averla trovata fino a quel momento. Pensava fosse morta, dato che Powder non sbucava fuori da nessuna parte. Però Ekko si rese conto che lei era viva, ed era strano non averla mai vista per strada o in qualche casolare abbandonato, come lui.
Si fermò in mezzo alla strada.
- Dove sei stata tutto questo tempo, Powder?
I vicoli erano grandi, ma non così grandi da non beccarsi nemmeno una volta in anni.
Jinx non riuscì a sostenere il suo sguardo, che si faceva sempre più affilato ad ogni secondo che passava. Ad ogni secondo di silenzio da parte sua.
- Un po’ di qua, un po’ di là. Nascosta.
Ekko non le credeva, non del tutto.
- Hai trovato qualcuno che…
- Una sala giochi! – lo interruppe Jinx, cercando di cambiare argomento. I suoi occhi però si illuminarono di autentico entusiasmo. Era da anni che non andava in una sala giochi. Non avrebbe avuto nessuno con cui giocare, dato che non aveva più amici della sua età. In nome dei vecchi tempi… - Entriamo!
Ekko si sentì trascinare per la mano, e non poté fare a meno di andarle dietro. Nonostante fosse appena mattina, la sala giochi era operativa. Era quasi vuota, a parte due o tre ragazzini emaciati che guardavano gli schermi incantati e qualche ubriaco che si era addormentato sulle console.
Ekko e Jinx adocchiarono subito uno dei vecchi giochi che facevano da piccoli, e poi un altro. Un’ondata di nostalgia travolse entrambi, così bastò uno sguardo d’intesa perché si dirigessero sorridendo verso la prima macchina che avevano individuato: una pedana da ballo. Con abbastanza gettoni, potevano giocare in due, contemporaneamente, premendo con i piedi le frecce in base alle indicazioni dello schermo, a ritmo di musica.
- Non ho molte monete con…
- Ci penso io – lo interruppe Jinx, dileguandosi.
Quando tornò, teneva tra le mani un piccolo contenitore ricolmo di gettoni. Si mordeva il labbro inferiore dalla gioia, gli occhi blu sembravano brillare secondo i battiti delle luci sugli schermi.
Ekko le afferrò il polso. – Non pensi che il proprietario ci beccherà subito, con tutti quei gettoni rubati?
Mi chiedo perché tu abbia una tasca piena di grana.
Jinx si accigliò. – Li ho pagati, non rubati! Il proprietario mi ha vista. Ora, scegli la canzone. Tu sai cosa mi piace.
Agli occhi di Ekko, Powder gli stava lanciando un’occhiata carica di malizia. Si allentò il colletto della maglia, accaldato. Era bastato, per distrarlo un’altra volta.
Giocarono per gran parte della giornata, dimenticandosi persino di pranzare, ripercorrendo la loro infanzia a colpi di armi giocattolo, gare di velocità e concorsi musicali, continuando a ridere ininterrottamente e provando nuovi macchinari avveniristici. In quelli più interessanti, Jinx faceva giocare Ekko da solo mentre lei cercava di studiare il funzionamento di quei meccanismi che sfuggivano alla sua comprensione.
- Hai ancora il pallino per le invenzioni? E per le bombe?
- Devi aver trovato un buon lavoro per avere tutti quei soldi.
- Stai in città o più lontana?
- Come te la sei cavata in questi anni?
- Dove hai imparato a combattere così bene?
- Come mai ora ti trucchi gli occhi? Ti prego, non dirmi che ora stai al bordello…
Ad ogni domanda, posta tra un gioco e l’altro, Jinx rispondeva a spizzichi e bocconi, trascinandolo sempre verso una nuova console per distrarlo.
Ma Ekko non era stupido, per quanto potesse sembrare tonto. Almeno, da piccolo. L’Ekko che Jinx doveva fronteggiare in quel momento era tutto fuorché tonto. La vita lo aveva costretto a crescere troppo in fretta.
Non poté arginare le sue domande per sempre. Non quando, dopo un’occhiata all’ora, Jinx si rese conto di dover rincasare assolutamente, ed Ekko vide la sua fretta.
- Ci si vede Ekko, devo andare. È stato divertente.
Ekko la seguì all’esterno, fregandosene dei pochi gettoni che l’amica gli aveva lasciato. E che in trenta secondi vennero prontamente rubati dagli altri avventori, decisamente più numerosi a quell’ora del pomeriggio.
- Dove stai andando?
Jinx si fermò. Non si voltò. – A casa.
- E dov’è questa casa, Powder?
Lei strizzò gli occhi, cercando di controllare l’ansia crescente che le montava dentro da quando Ekko aveva iniziato ad indagare su di lei. Era pronto a giudicarla, eh? Come tutti gli altri.
- In un posto in cui tu non puoi venire.
Ekko incassò il colpo senza mostrare il dolore che quella risposta gli aveva causato. – Io, invece, ho un posto in cui tu puoi venire. Un posto in cui ti troverai di sicuro meglio di… quanto tu stia ora. Un luogo sicuro, con gente sicura. Unisciti a me. Finalmente l’ho trovato, Powder. Un posto per quelli come noi. In cui possiamo star…
- Io non sono come voi! Io non sono come nessuno. E non ho bisogno di un posto dove stare. Sto bene dove sto ora. Alla prossima, forse.
- Podwer! – la chiamò Ekko, ferito e arrabbiato, afferrandole il polso.
Jinx liberò il braccio con stizza, incenerendolo con lo sguardo. – Io non mi chiamo più Powder! Smettila. Non siamo più i ragazzini che eravamo in passato. Oggi è stato divertente, ma ognuno ha la propria strada. Addio, Ekko.
Ekko non era il tipo che si rassegnava, però. Se si fosse rassegnato, non avrebbe mai trovato il luogo sicuro, il perfetto posto in cui vivere, in cui avrebbe voluto trascinare Powder. Se si fosse rassegnato, non sarebbe mai arrivato vivo fin lì. Sarebbe morto molti anni prima. Ekko non si rassegnava mai.
Tirò fuori il suo orologio, gli diede un’occhiata e poi lo rimise al suo posto in tasca, al sicuro. Aveva ancora tempo prima che gli altri si preoccupassero per il suo ritardo.
Così corse dietro all’amica, che era partita a razzo mescolandosi alla folla di traviati pronti a riprendere il proprio posto al bar, in una replica della sera prima, e di quella prima ancora.
Powder poteva anche essere diventata brava a combattere ed era molto più abile di quando era piccola, ma lui non era da meno. Non si sopravvive nei vicoli senza avere qualche asso nella manica e una notevole quantità di capacità ipersviluppate, tra cui quella di correre a perdifiato per non essere beccato, quella di pedinare, di rubare, di mimetizzarsi…
Fece appello ad ogni segreto che conosceva per seguire Powder senza che lei se ne accorgesse. La fece sentire al sicuro quando lui le era alle calcagna, si fece condurre dove voleva mentre lei pensava di averlo seminato.
Quando si trovò di fronte all’insegna del Last Drop, però, Ekko si chiese se sarebbe stato capace di proseguire oltre.
Il covo di Silco. Il covo del male.
Powder era in pericolo. Si era resa conto del rischio che correva a passare così vicino a quel postaccio, che un tempo era stato un baluardo per tutti, un faro nella tempesta, e ora era il cuore della corruzione di quella città?
Ma forse Powder non era diretta dentro lì. La vide infatti addentrarsi in un altro vicolo.
Ekko la seguì.
 
Jinx tirò un calcio al letto quando arrivò in camera. Scagliò lontano il pupazzo che le aveva dato Vi, fece una pernacchia a Claggor e ignorò completamente Mylo. Prese la foto che teneva sul comodino, quella di Vander e di tutti loro. Premette le unghie dei pollici così forte sul vetro da rischiare di romperlo. Tanto meglio, sarebbe andato in frantumi come lei.
Come se le fosse venuto in mente solo in quel momento, si sporse per guardare di sotto, nel panico. Silco ancora non c’era. Era arrivata in tempo.
Accarezzò Pow-Pow, in fase di revisione e miglioramento di alcuni difettucci, e si staccò Zap! dal fianco.
- Lui voleva portarmi in un posto sicuro – disse ridacchiando. – Bugiardo. Non esiste posto sicuro. Silco ha ragione.
Poi lanciò Zap! sul letto.
E si girò di scatto.
Sulla soglia di camera sua, sulla porta che dava sulla seconda entrata, quella segreta, di cui si serviva per entrare e uscire indisturbata da lì, si stagliava Ekko, gli occhi sgranati al punto che Jinx si chiese se non gli sarebbero saltati fuori dalle orbite.
Si chinò in posizione di difesa, come una pantera pronta ad attaccare, ed estrasse un proiettile dal borsellino che portava al fianco. Ma un proiettile senza pistola era come un’imbottitura senza stoffa contenitiva: inutile.
Ekko aveva il respiro erratico come se stesse per iperventilare. Non era il fiato grasso di uno sforzo fisico intenso e prolungato. No, Ekko aveva paura.
Poi, quando Jinx lo vide stringere i pugni, digrignare i denti e assottigliare gli occhi, la paura divenne odio. Come in un riflesso condizionato, un angolo della bocca di Jinx si sollevò in un sorrisetto di sfida.
Peccato che stesse morendo dentro, mentre l’ultima piccola parte intatta della sua infanzia, l’unica persona legata al suo passato, ancora ignara di quello che lei era diventata, realizzava che Powder era effettivamente morta.
Davanti a lui non aveva l’amica d’infanzia, ma Jinx.
La figlia di Silco.
Ekko registrò con troppa velocità e precisione tutti gli oggetti che la incriminavano: le armi, i segni di pastello, la testa di scimmia stilizzata dipinta ovunque. Si sporse verso l’apertura che dava di sotto, e scoprì che la visuale dava dritta sulla scrivania di Silco, su cui era presente la tazza colorata che Jinx gli aveva regalato, così come il mostriciattolo-mascella che lei gli aveva costruito come fermacarte. Vide le bombe, vuote all’interno, anche se lui non lo sapeva, che pendevano dal soffitto, e i disegni.
Ogni possibilità che lei fosse tenuta lì contro la sua volontà venne spazzata via.
Ekko si mosse talmente in fretta che Jinx se lo trovò ad un soffio dal viso prima di rendersene conto. La sovrastava, così l’unica cosa che poté fare fu alzare il mento. Una sfida.
- Tu lavori per lui. Tu… non posso crederci!
Ekko si infilò le mani tra i capelli, o almeno ci provò, dato che erano raccolti in trecce troppo strette.
- Li hai traditi. Ci hai traditi tutti. La loro memoria… Se fossero qui ti prenderebbero a calci in culo. Si staranno rivoltando nella tomba. Vander, Mylo, Claggor… Vi…
Jinx esplose. Avrebbe voluto esplodere davvero, ma lei non era una bomba, nelle vene aveva sangue, non liquido esplosivo. Lasciò che fosse la rabbia a dilagare, mentre la testa le scoppiava e quello che vedeva veniva sovrascritto dalle stilizzazioni fosforescenti dei mostri che abitavano nella sua mente.
- Vi cosa?! Vi mi ha abbandonata! Mi aveva detto di non partecipare alla missione perché non voleva perdermi, ma è stata la prima ad andarsene quando ho commesso un errore! Un solo errore! E aveva giurato di proteggermi e di stare sempre con me! BUGIARDA! Cosa ti aspettavi?!
- Di sicuro non che ti schierassi con Silco! Con l’uomo che li ha uccisi tutti! Il cadavere di Vander era ancora caldo quando ti sei fiondata tra le braccia del nemico, non è così? La tua debolezza mi fa schifo. Cosa ti ha offerto? Cosa ti ha dato per convincerti?
Jinx non sapeva se ridere o piangere per le congetture di Ekko. Cosa pensava che le avesse offerto Silco? Soldi? Un posto sicuro? Riparo? Un posto al suo fianco, sul trono?
Come avrebbe reagito quando avesse scoperto che Silco quelle cose non gliele aveva offerte, ma gliele aveva date volontariamente dopo che lei aveva riposto assoluta fiducia in lui? Cosa avrebbe pensato, quando gli avesse rivelato che era l’unica persona di cui Silco si fidasse?
Jinx afferrò la cornice e premette la pallottola dritta al centro della foto. Sentì il vetro incrinarsi.
- Mi ha dato quello che tutti gli altri mi hanno negato! Mi ha dato se stesso, mi ha accettata fin da subito!
- Stronzate! Nessuno ti ha mai negato nulla, Powder! Io non ti ho mai negato nulla! Ho passato anni a cercarti, a cercare te e Vi, nella speranza che foste ancora vive!
Il vetro della cornice si frantumò. Jinx lasciò cadere la pallottola, e alcuni pezzi di vetro centrali caddero con essa. Li schiacciò con la punta dello stivale, e usò le dita nude per togliere altri frammenti, allargando il buco. - Io non sono più Powder! Non sono più Powder da quando mi ha abbandonata!
Con una torsione, Jinx puntò l’indice insanguinato e ferito contro Mylo. – Non dargli ragione, razza di rottame!
Ekko le tolse la cornice dalle mani e la buttò sul letto. Per qualche arcano motivo, non si era sporcata di sangue. Poi afferrò Jinx per le spalle e la spinse al muro.
Un passo più vicino, e avrebbe potuto far aderire i loro corpi. Un passo più vicino, e avrebbe potuto baciarla. Tutto quello che aveva desiderato fare, senza nemmeno saperlo, fin da quando era piccolo.
Powder gli era sempre piaciuta. Ma era davvero Powder quella che stringeva tra le braccia?
- Non è troppo tardi, Powder. Puoi ancora…
- Mi chiamo JINX! Razza di imbecille, non me ne frega nulla del resto! Io sono Jinx e…
- Jinx!
Nella stanza piombò il silenzio.
Ekko la lasciò andare come se si fosse scottato.
Quel nome, pronunciato da quella voce, aveva sortito l’effetto di uno sparo.
Jinx corse al bordo della camera. – Sono qui!
Silco la fissava da sotto, le labbra schiuse e gli occhi spalancati, un’espressione ansiosa in volto. – Con chi stai parlando?
Jinx lanciò un’occhiata ad Ekko, immobile, quasi paralizzato. Poi tornò a guardare Silco. – Con nessuno.
Silco parve rilassarsi, le spalle si incurvarono. Sapeva bene che Jinx aveva l’abitudine di parlare con i suoi fantasmi. Non l’aveva mai giudicata. Mai. Si diresse al suo posto, prese in mano un plico di fogli che qualcuno gli aveva depositato sulla scrivania e le mostrò la siringa senza nemmeno guardarla.
Jinx arretrò di pochi passi, lo spazio necessario ad afferrare Zap!, guardando male Ekko. Pow-Pow era fuori uso e le sue bombe erano nascoste, Ekko non avrebbe fatto saltare in aria nessuno, a meno che non volesse morire anche lui.
Jinx andò da Silco, fece il giro della scrivania per trovarsi al suo fianco e gli prese la siringa cilindrica dalle dita. Con un movimento repentino, Silco mollò i fogli e le afferrò il polso. Si girò con la sedia verso di lei. – Che hai fatto alle dita?
Jinx sapeva di avere un pubblico, Silco no.
- Mi sono tagliata con dei vetri.
Silco fece una smorfia. Prese un fazzoletto e le pulì la mano, poi lo imbevve con dell’alcol puro che teneva nel cassetto e le disinfettò le dita ferite. Jinx sussultò, facendolo quasi sorridere.
- Sapevo che ti avrei trovata pronta, al mio ritorno. Ormai mi pare evidente. Io e te siamo gli unici di cui possiamo fidarci.
In un mix di rabbia, nostalgia, senso di colpa, affetto e lotta tra Powder e Jinx, le si inumidirono gli occhi. Silco, con una dolcezza che lei non si aspettava, le asciugò l’unica lacrima che sfuggì al suo controllo.
- Io e te siamo l’unica famiglia che avremo mai.
Jinx strinse la siringa tra le dita, poi si chinò su di lui, ad una distanza che chiunque avrebbe definito invasiva. Ma non Silco. Non con lei. Lui reclinò la testa, permettendole di fare ciò che doveva.
Strinse i pugni quando l’ago gli bucò l’occhio, ma non si mosse. Jinx era ancora sporta verso di lui. Usò lo stesso fazzoletto insanguinato con cui l’aveva curata per asciugare la traccia di shimmer che gli colava sulla guancia. Poi gli diede un bacio sullo stesso punto, prima di allontanarsi.
Silco annuì impercettibilmente, dimentico del dolore, e riprese i rapporti in mano alzandosi. La guardò dall’alto con un’espressione che chiunque avrebbe definito dura, imperturbabile, una maschera di ghiaccio. Ma nei suoi occhi c’era affetto. – Devo discutere alcuni numeri con Sevika. Ti ho preso due di quelle frittelle ai lamponi che fanno nella parte orientale, Thieram te le darà quando andrai a prendere la cena.
Jinx si mise a saltare, dimentica di tutto il casino che era diventata quella giornata. Dimentica del ragazzo dalla pelle scura e i capelli chiari che la fissava con disgusto e rassegnazione, che proprio in quel momento realizzava che la ragazzina che era stata sua amica non apparteneva più a lui, a loro, ma a Silco. Perché lei lo voleva.
Stava con Silco perché lo voleva eccome.
Come puoi ignorare coloro che sono senza voce, le urla dei poveri?
Ekko capì di averla persa, una consapevolezza che gli esplose nel cuore come una di quelle bombe che aveva visto usare a Silco per sedare una rivolta da nulla per le strade. Una bomba decorata con una scimmia fucsia.
Una bomba di Pow… di Jinx.
Entusiasta, Jinx si mise a canticchiare mentre saltellava: - Le adoro quelle!
- Lo so – rispose Silco prima di chiudersi la porta alle spalle.
All’improvviso di ottimo umore, Jinx si arrampicò in camera parlando da sola.
- Le frittelle al lampone! Quelle mi fanno impazzire, Zap!. Quanto sono buone! Te ne darei una se avessi la bocca, ma, ahimé non ce l’hai! – vaneggiò ridendo, una punta di isteria nella voce. – Anche a Pow-Pow ma voi non mangiate, quindi le mangerò io per…
Giunta sulla soglia della camera, Jinx si bloccò, ricordandosi (dopo averlo visto) che Ekko era ancora lì. Allora guardò con aria colpevole Zap!, la pistola che teneva in mano e con cui stava effettivamente parlando, e se la rimise al fianco.
Ekko la fissava con orrore. Tutto, ogni sentimento, persino la perplessità dell’averla beccata a parlare con la pistola con una vocina stridula e carezzevole, venne soppiantato dall’orrore.
Jinx riacquistò subito un atteggiamento strafottente, pronta a dare battaglia in caso di necessità.
- Tu hai una cotta per me, Piccoletto. L’hai sempre avuta – lo sfotté, deridendolo.
Sono stufo del tuo rumore.
Tra le altre cose, Ekko aveva scoperto che un presunto sentimento romantico poteva essere calpestato e spappolato come un fiore appena nato. Vulnerabile. – Io avevo una cotta… finché non hai cominciato a parlare con la pistola – ammise limpidamente, indicando Zap! nella sua mano, evidenziando la palese pazzia che si era impossessata di Jinx. La sua instabilità sotto tutti i punti di vista, non per ultimo quello mentale.
Jinx si strinse nelle spalle. - Sai, è stato divertente oggi, ma… non credo che si possa rifare. E credo anche che tu non abbia più nulla da fare qui.
Ekko strinse la mascella. – Lo credo che anche io. Divertiti, con i tuoi giocattoli disadattati, siete fatti apposta per stare insieme. Compreso Silco.
Jinx si accigliò. – Silco non è un giocattolo disadattato.
Ekko soffiò una risata dal naso, completamente priva di divertimento. Le diede le spalle. – Non so dire chi sia il giocattolo tra voi due, né chi sia il più disadattato. Ma una cosa la so: è tempo che vi scaviate la fossa. Non ci saranno sale giochi la prossima volta che ci incontreremo.
Jinx rise di gusto mentre Ekko veniva inghiottito dall’ombra del tramonto morente. Morente, come tutto in quella città marcia.
- Sentito, Zap!? ‘Non ci saranno sale giochi la prossima volta’ – ripeté Jinx, con vocetta stridula, facendo il verso. – Non capisce che la sala giochi è tutta la città, per me. Forza, andiamo a far esplodere qualcosa!
Calcandosi il cappuccio sulla testa, Ekko si confuse tra le ombre.
La mia gente ha bisogno di me accanto a loro.
Jinx non si era ancora resa conto che quel giorno aveva già fatto esplodere fin troppe cose, compresi un passato comune, la possibilità di redimersi… e il cuore di un ragazzo disilluso che si dirigeva verso un destino da salvatore.
Io dichiaro guerra a quelli che stanno sulla strada di ciò che sogno.
Ti sei arenata con un brutto mucchio di giocattoli disadattati.

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Capitolo 8
*** Drowning (Hold the die, your turn to roll) ***


Ma quanto bella è la colonna sonora di Arcane?! ç.ç L'ho ripetuto troppe volte e continuerò a ripeterlo. Woodkid poi è pazzesco.
Spero che il capitolo vi piaccia^^


8. Drowning (Hold the die, your turn to roll)

Guns for hire – Woodkid, track 06
 
Kiss your perfect day goodbye
Because the world is on fire
Tuck your innocence goodnight
You sold your friends like guns for hire
Go play with your blocks
And now you'll pay when these walls come tumbling down
Oh, they're tumbling down
 
Resting on a knife, you heavy souls
With all this weight buckling down on you now
Don't you drown and float away
Not a good time to lose control
Right as your marionettes cut their strings and run away

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~ 

C’erano cicatrici e cicatrici.
C’erano cicatrici esterne, come quella di Silco, che solcavano la pelle e marchiavano una persona.
C’erano cicatrici interne, nascoste, ma particolarmente dolorose e non avvertibili dall’esterno. Spesso, quelle cicatrici interne mordevano, come delle bestioline, lasciando la persona preda di dolori fantasma.
Erano le peggiori.
E a Jinx, l’incontro con Ekko ne aveva scavata una che non era ancora cicatrice, ma una ferita sanguinante e infetta.
Non sapeva come curarla.
Giochi con i tuoi blocchi finché non si rompono. E questi muri crollano.
Un paio di mesi dopo intervenne Silco, a medicargliela, curargliela e suturargliela. Ma non prima di averla allargata, cauterizzata con il fuoco e averci infilato dentro non un dito, ma un coltello.
Jinx riviveva in loop lo scambio di battute con Ekko. La loro intera giornata. Si erano divertiti. Erano tornati ad essere quelli che erano stati e non erano più, avevano finto che il tempo non fosse mai passato. Poi lui le aveva rivelato di aver avuto una cotta per lei, e lei si era sentita scaldare dentro involontariamente. Non aveva mai pensato ad Ekko in quel modo, ma era… galvanizzante sapere di piacere a qualcuno. O almeno, di essergli piaciuto.
Ma quello era il meno. Le parti di conversazione peggiori erano quelle in cui lui l’accusava di aver tradito tutti, di aver infangato la loro memoria, di essersi schierata con il nemico. Silco non era il nemico, non per lei. Silco era stato l’unico ad esserci. Forse, però, Ekko aveva ragione riguardo ai fantasmi. Forse le voci che sentiva, e gli sguardi di riprovazione che Mylo e talvolta anche Claggor le lanciavano erano davvero i loro sguardi, venuti a perseguitarla dalla tomba.
Che poi, l’avevano mai avuta una tomba?
A Jinx scoppiava la testa. Non era più riuscita a toccare Pow-Pow da quel giorno, non aveva più fabbricato bombe o cercato delle varianti. Le sembrava di essere tornata al tempo in cui la bomba Mouser non aveva funzionato e le aveva fatto perdere un’intera giornata di lavoro, o a quando aveva cercato di costruire Whisker, sapendo che anche quella non avrebbe mai avuto effetto.
Un senso di impotenza, di piccolezza, di inadeguatezza.
- Non sono debole – mormorò, buttandosi sul letto. In un moto d’ira, scagliò contro il muro il pupazzo di Vi. Gli fece male. Lei sapeva che gli aveva fatto male. Ben gli stava. Poi tornò a mormorare, contrita, pentita. – Forse lo sono. Forse sono inutile. Forse Silco si sbarazzerà di me, come gli altri. Come Vi.
Ridacchiò piangendo. – Del resto, perché non dovrebbe farlo?
Prese dalla sua valigetta accanto al letto il razzo fumogeno di segnalazione che Vi le aveva dato. Le aveva promesso che l’avrebbe trovata ovunque, con quello. Ma per trovare qualcuno, bisognava cercarlo. Bisognava volerlo. E Vi non aveva intenzione di trovarla. Aveva fatto l’opposto semmai: l’aveva volutamente persa.
- Jinx!
Scattò a sedere, asciugandosi le lacrime come se fossero la prova di un terribile crimine. Rimise a posto il razzo, poi si diresse verso il bordo della camera, sdraiata prona, facendo ciondolare un braccio e la testa di sotto. Silco se ne stava alla scrivania con il naso affilato puntato verso di lei e le mani intrecciate davanti al viso.
- Hai finito di modificare l’arma?
Jinx scosse la testa.
- Hai fabbricato quelle dieci bombe fumogene che mi servivano?
Negò di nuovo.
Silco sospirò. Gli era sembrato di sentire troppo silenzio in camera sua in quelle settimane. Niente rumore di saldatrice, niente odore di bruciato, niente musica, niente martelli. Cosa le stava succedendo?
- Jinx, mi serve che tu porti a termine quei compiti. L’ho chiesto a te per un motivo.
Mordendosi il labbro, Jinx distolse lo sguardo, voltandosi a pancia in su. Allungò un braccio come a toccare i disegni che aveva inciso sul soffitto, teschi e teste di scimmia, esplosioni colorate e fulmini seghettati. – Non ci riesco – ammise.
- Cosa vuol dire che non ci riesci? Ci sei riuscita fino a ieri!
- Non… - rispose lei, gemendo di frustrazione. – Non riesco a concentrarmi. Sono una traditrice? Non voglio essere una traditrice. Mia sorella lo era, ma io non voglio esserlo. Fa… fa male.
Silco si alzò e si diresse alla vetrata, guardando il movimento frenetico del formicaio umano all’esterno. – Il dolore fa parte della vita, ragazzina. L’importante è non lasciarsi sottomettere. Non lasciare che ci controlli. Elimina i tuoi dubbi, Jinx.
Jinx si innervosì e si mise seduta con le gambe penzoloni, fissando la sua schiena. – Come faccio ad eliminare i miei dubbi? Cosa vuol dire?
Silco sbuffò una risata dal naso, priva di divertimento. – Dubbi su chi sei. Su cosa hai fatto. Chiediti se ciò che fai è quello che vuoi tu, o quello che gli altri non vogliono. La cosa che conta, l’unica cosa che conta, è quello che tu vuoi. E quello che vuoi essere. Non devi avere dubbi al riguardo.
Pensare solo a ciò che voleva lei, cancellando tutto il resto, compreso il suo passato. Fosse stato facile!
- Io non…
Silco si girò e sbatté le mani sulla scrivania, scoccandole un’occhiataccia. – ‘Io non ci riesco’ non è contemplato. Noi siamo forti, tu sei forte, Jinx. Ma devi essere la prima a crederci. Non basta che ci creda io da solo.
Jinx raddrizzò la schiena, Silco cercò di non sorridere in trionfo. Non aveva la stazza di Vander, o i suoi pugni, ma nulla feriva o piegava più delle parole. E lui sapeva come usarle, le parole.
- Tu pensi che… io sia forte?
- L’ho sempre pensato.
Notando che però ancora non era convinta, Silco prese il mantello. – Vieni con me.
 
Silco la portò al molo, lontano dalle barche, lontano dai casolari, dai magazzini e dai ruderi, lontano dal mondo. La portò verso una riva sabbiosa che puzzava di pesce marcio e in cui si infrangevano sulla battigia più rifiuti che onde.
Jinx si strinse le braccia al petto. Aveva una maglia a maniche lunghe, ma soffiava un vento forte e la vista dell’acqua le faceva sempre venire freddo.
- Cosa ci facciamo qui?
- Ti racconto una storia.
Jinx lasciò cadere le braccia dallo sgomento udendo quella risposta. Corse per raggiungere Silco, che si era tolto gli stivali e il mantello e si stava addentrando in acqua. Forse non era pazza solo lei, in fondo.
- Ma non potevi raccontarmela a casa, con una bella tazza di cioccolata calda davanti? O un succo? Se è una punizione lo capisco, ma perché anche tu… no, no, nonono!
Silco l’aveva afferrata per il braccio mentre parlava, trascinandola in acqua con sé. Lo fece quasi ridere vederla dimenarsi in quel modo, cercando di scappare dalla carezza gelida dell’acqua. Avrebbe voluto dirle che, fra i due, quello decisamente più a disagio era lui, che i brividi e la pelle d’oca che aveva sulle braccia non erano per il freddo, ma per la paura, per il disgusto, per il dolore. Troppo dolore, troppi ricordi.
Il solo odore di quell’acqua, un odore chimico, putrido, gli faceva venire la nausea. Sembrava marchiare la pelle, lasciare una prova indelebile. A lui di sicuro l’aveva lasciata, mentre sangue, tossine e agenti chimici si mescolavano sottopelle.
- Certo che avrei potuto raccontartela a casa, ma non avrebbe sortito lo stesso effetto.
- E che… - si lamentò Jinx prima di starnutire. Silco la fece fermare quando l’acqua le arrivò alla vita. – Che effetto dovrebbe sortire, scusa?
- L’effetto di una morte scampata per un pelo. Di un tradimento. Devi provarlo sulla tua pelle, capire. Io so come ti senti. Come se stessi annegando. Senza ossigeno, ti dimeni impotente, cercando una via di fuga. Ma soffochi. E sai perché lo so?
Per un attimo, Jinx rimase zitta. Aveva capito che Silco non scherzava e forse stava per dirle qualcosa di importante.
- Sono quasi annegato in queste acque. Vander non era l’uomo che pensi che fosse. Lui è stato come un fratello per me, finché un giorno… mi ha voltato le spalle.
Ora aveva la completa attenzione di Jinx, Silco lo percepiva. Come poteva non essere allettante una storia di tradimento sull’uomo che aveva fatto parte della sua infanzia? Che lei e gli altri mocciosi avevano chiamato padre? Quel rammollito che aveva deciso di diventare il difensore dei deboli… nella maniera sbagliata.
- Io e Vander siamo cresciuti insieme. Eravamo fratelli, abbiamo combattuto, combattuto davvero, spalla a spalla, coprendoci la schiena a vicenda. Lui usava i pugni, io il cervello. Eravamo imbattibili. E condividevamo lo stesso sogno: quello di dare non solo ai vicoli, ma all’intera Città Sotterranea, alla nazione di Zaun, un futuro come quello di Piltover. Non volevamo più essere i bassifondi, dove rischiavi uno stupro, un accoltellamento o un furto appena mettevi piede in strada. Ci rendemmo presto conto che l’unico modo per raggiungere quell’obiettivo era diventare più forti degli altri. Più forti, più scaltri, più decisi, più tutto.
Silco fece una pausa ad effetto, osservando il volto di Jinx. Stretta tra le sue stesse braccia, infreddolita, la ragazzin… ragazza, ormai, lo osservava con gli occhi sgranati e pieni di interesse.
- E poi? – lo incalzò, quando il silenzio si protrasse troppo a lungo.
Silco incurvò un lato della bocca, sbuffando una risata dal naso. – Poi, mettemmo appunto un piano. Raggruppammo persone che la pensavano come noi, persone come volevano di meglio. Eravamo tanti, centinaia e centinaia. La città non aveva mai visto un esercito simile solcare le sue strade, animati dalle stesse intenzioni, guidati dalla stessa speranza, uniti da un unico desiderio. Eravamo tutti fratelli e sorelle, Jinx. Eravamo un popolo – esclamò, infervorato, avvicinandosi a lei impercettibilmente.
- Vander guidava l’esercito, io ero nelle retrovie per assicurarmi che l’ultima linea di difesa reggesse, nell’impossibile caso in cui le guardie di Piltover avessero la meglio.
Jinx gli si fece accanto, già immaginando cosa sarebbe accaduto dopo. Anche Vander le aveva raccontato quella storia, ma con un tono di voce del tutto diverso: non sognante come quello di Silco, ma amareggiato, pentito, colpevole. Quella notte erano morti i suoi genitori.
Almeno, pensò Jinx, Silco era rimasto fedele ai suoi piani. Aveva combattuto. Anche i suoi genitori avevano combattuto per qualcosa in cui credevano. Vander era… stato importante per lei, ma si era arreso. Silco no.
- Fu una strage. Solo Vander e poche altre decine di persone che scapparono sopravvissero. Vander non fuggì, invece. Rimase a combattere fino all’ultimo. Tornò dal ponte con due bambine macilente in braccio, le portò al sicuro, poi venne da me. Fu quella stessa notte, con le mani ancora pregne del sangue di decine di guardie, che cercò di annegarmi. Mi portò qui per parlarmi, per schiarirsi le idee, disse. Forse era vero, all’inizio. Parlammo. Poi perdemmo la calma. Io volevo riorganizzare le forze, attaccarli nuovamente quando meno se l’aspettavano, con delle nuove armi però. Dovevamo batterli in astuzia. Lui voleva mollare tutto.
Lancia un bacio d’addio al tuo giorno perfetto, perché il mondo è in fiamme.
Silco tirò un pugno all’acqua, furioso.
- Abbandonare il nostro sogno, la nostra missione, la nostra ragione di vita. Ti rendi conto?! E per cosa? Per una sconfitta? I piltoviani avevano vinto una battaglia, non la guerra. Quando si lotta, quando c’è una rivoluzione, versare sangue è necessario, lo sanno tutti. Cosa lo aveva spinto a rammollirsi così nel giro di poche ore? Mi disse che aveva visto troppo dolore, troppa devastazione quella notte. Che aveva contribuito in maniera irreversibile alla perdita di vite umane, da entrambi i fronti. Che per colpa sua ci sarebbero state vedove, vedovi, e orfani. Orfani ovunque, senza genitori, affetto e guida. Voleva stringere un accordo con le guardie di Piltover. Voleva vivere in pace, appendere i tirapugni al chiodo.
Dai la buonanotte alla tua innocenza. Hai venduto i tuoi amici come pistole a noleggio.
Silco emise un verso di scherno. – Io mi opposi. Certo che mi opposi. Cosa pensava, che avrei detto che era un’ottima idea, perché non ci avevamo pensato prima? No, gli dissi che era un codardo. Che non si otteneva nessun risultato senza sacrificio, e senza tentare più e più volte. Che bastava riorganizzarsi, contrattaccare. Urlammo talmente tanto che pensai che si sarebbe radunata una folla di spettatori sulla riva, attratta dal trambusto. Invece eravamo soli. Quando capì che non avrei cambiato idea, e che lo avrei ostacolato in ogni modo, pur di portare a termine il piano, Vander mi trascinò in acqua. Mi accoltellò. Cercò di annegarmi. Io riuscii solo, prima di perdere conoscenza, a rubargli il coltello dal fianco, e lo attaccai come potei. Gli ferii il braccio destro, una ferita non mortale, ma recisi qualche vena. Perse parecchio sangue, e da allora fu costretto a girare con il parabraccio per nascondere la cicatrice.
Non affogare e volare via. Non è un buon momento per perdere il controllo.
Silco sogghignò di nuovo, ripensando a qualcosa che non era affatto divertente. – Il resto lo sai. La storia del mio occhio te l’ho già raccontata. Vander coprì la sua cicatrice, ma non fu così clemente da lasciarmi una cicatrice in un punto che anche io potessi vanitosamente coprire. No, lui mi ha sfigurato. E io non sono nemmeno riuscito ad infilargli il coltello nello stomaco e rigirarlo, come avrei voluto. Come sono poi riuscito a fare diversi anni dopo.
Proprio come le tue marionette che tagliano i fili e scappano.
Jinx, ormai accanto a lui, si allungò per toccargli la cicatrice che gli solcava il viso, fino all’occhio e su, sulla fronte. Silco le regalò un minuscolo sorriso intriso di tristezza, premendosi la sua piccola mano contro la guancia.
- Non tutti sono quello che sembrano, Jinx. Queste acque non lo sono, macchiate anch’esse di corruzione. Le persone, soprattutto, non rivelano chi sono davvero finché non vengono sottoposte ad un forte stress. È a quella versione di loro che devi credere, non a quelle che si mostrano quando non ci sono pericoli, non alla maschera che portano. Ho visto uomini giurare amore eterno e protezione alle loro mogli, per poi scappare e lasciarle sole al minimo problema. E così genitori con i figli.
Silco lasciò cadere la sua mano, facendo vagare lo sguardo in lontananza.
- Queste persone non hanno coscienza. Non si guardano indietro pentendosi, e non possono cancellare le loro azioni. Quindi, - disse, voltandosi di nuovo verso di lei, - perché dovresti colpevolizzarti tu? Elimina i tuoi dubbi. Tu sei ciò che scegli di essere – le ripeté, come le aveva detto prima di portarla lì. – Tua sorella ti ha tradita. Lei è una traditrice, non tu. Tu non hai solo il diritto di prendere le tue decisioni di conseguenza, ma il dovere di farlo. C’è un mostro dentro ognuno di noi, Jinx. Ognuno. Non pensare che ci sia qualcuno di diverso, di più nobile, che ti terrebbe sempre al sicuro, al di là di me e te.
- Ma gli altri…
- Non si va da nessuna pensando agli altri, Jinx! – ringhiò Silco. – Devi pensare a te stessa, solo a te stessa, perché anche gli altri pensano a loro stessi, e nessuno si interessa a te. Nessuno.
Jinx chinò la testa, cercando di trattenere le lacrime.
E ora pagherai quando questi muri crolleranno.
Oh, stanno crollando.
Silco le sollevò gentilmente il mento con un dito. – Non devi curarti degli altri finché ci sono io. Io so quello che vali. Nient’altro importa. E ora, via a finire di produrmi quelle bomb…
Jinx si fiondò addosso a Silco, rischiando di fargli perdere l’equilibrio e precipitare entrambi in acqua. Dopo un attimo di sorpresa ed esitazione, Silco le posò le mani sulle spalle.
Jinx aveva capito.
- Tieni il dado, Jinx. È il tuo turno di tirare. Ora, andiamo a casa.
Jinx indugiò un attimo ancora, tirando su con il naso, prima di staccarsi da lui e dirigersi a riva. Silco la seguì. Come se le sue parole avessero cacciato via ogni ansietà e dolore, Jinx si mise quasi a saltellare mentre lui si allacciava gli stivali.
- Cioccolata!
Silco la guardò dal basso, scettico. – Cosa?
- Ti avevo detto che potevamo parlare anche a casa, di fronte alla cioccolata calda. Be’, ora stiamo andando a casa. Voglio la cioccolata calda!
Silco grugnì. – Ti sembro forse un cuoco? Fattela preparare da Thieram.
Jinx non si fece scoraggiare dal suo tono duro come al solito. Aveva ormai capito che, nei suoi confronti, quel tono nascondeva del vero affetto.
Quando si incamminarono infatti, e lei starnutì di nuovo, Silco le drappeggiò il suo mantello sulle spalle senza proferire parola.
Jinx se lo strinse addosso afferrandosi al suo braccio.
Quel gesto di premura la scaldò più di quanto avrebbe mai potuto fare una cioccolata calda.
 
 
 
 
 
 
Extra
Nonostante le proteste e le minacce, Jinx quella sera posò sulla scrivania di Silco una tazza di cioccolata calda. La sua tazza, per inciso, quella che lei gli aveva colorato e decorato. L’espressione accigliata della testa stilizzata sulla ceramica era perfettamente in sintonia con quella di Silco.
Non gliel’aveva decorata così a caso, in fondo.
Il giorno dopo, Jinx rimase a letto con la febbre, il naso rosso e colante.
- Te l’avevo detto che era meglio rimanere a casa! Ma tu noooo, andiamo a farci il bagno nelle acque gelide e fetide che ti hanno marchiato l’occhio. Non posso credere che... Eccì!
Delirante per la febbre, nemmeno Jinx era sicura di chi fosse il suo interlocutore, se le bambole, le armi o Silco stesso. Era davvero lui quello che si stagliava sulla porta d’ingresso, con le mani posate sui fianchi e un’espressione esasperata in volto?
Jinx non ne ebbe mai la conferma, dormì per quasi due giorni di fila.
Ma la tazza di cioccolata calda che si trovò sul comodino ogni sera non poteva essere arrivata lì grazie a Mylo, né a Pow-Pow.

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Capitolo 9
*** Don't look behind (Prove yourself, your spirit never dies!) ***


Ho visto così tante ff sul genere di questo capitolo che alla fine, invece di trovarle inverosimili, mi hanno fatta innamorare. E non potevo evitare di scriverci qualcosa sopra perché, diciamocelo, chi non vorrebbe i capelli di Jinx?
Spero che vi piaccia!


9. Don't look behind (Prove yourself, your spirit never dies!)

Warriors – Imagine Dragons, League of Legends 2014 World Championship

 
As a child you would wait
And watch from far away
But you always knew that you'd be the one
That work while they all play
In youth you'd lay
Awake at night and scheme
Of all the things that you would change
But it was just a dream!
Here we are, don't turn away now,
We are the warriors that built this town
Here we are, don't turn away now
We are the warriors that built this town
From dust.

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~ 

Jinx finì di appendere al soffitto l’ultima creazione e si allontanò per ammirare il lavoro. Fuori dalla stanza, attaccati alle travi che davano proprio sopra la scrivania di Silco, così come dentro camera sua, pendevano diversi modellini metallici. I suoi amici, le sue creazioni meglio riuscite e dipinte. Bombe senza innesco (non voleva mica farsi saltare in aria da sola!) e bambole dotate di mascelle metalliche, riproduzioni di Whiskers e Mouser.
Annuì con aria soddisfatta, poi si sedette sul letto e prese in mano la foto che apparteneva a Powder, a un’altra epoca. Non aveva più sostituito il vetro dopo la visita di Ekko. Non era possibile modificare il passato, quindi era giusto che nemmeno quella cornice fosse più toccata. Evitò di guardare la sorella, quel giorno era nostalgica, sì, ma non voleva cominciare a sentire le voci e a sovrapporre la realtà con i mostri a pastelli della sua mente. Invece guardò Vander, guardò Claggor, guardò Mylo, che anche da piccolo aveva la faccia da culo. Fece una boccaccia al Mylo versione ragazzo che aveva in camera, sistemato su un divanetto accanto al suo piano di lavoro. Cercò di non guardare Ekko.
Aveva perso anche quella parte della sua infanzia, quell’amico, già da diversi mesi, ma le sue parole a volte ancora la torturavano. Giocattolo disadattato. Così aveva detto. Parlava di lei, parlava di sé, di Silco? Jinx non lo ricordava, ma gli dava fastidio. Non erano belle parole. Lui cercava Podwer, non Jinx. Lui non capiva. Non come Silco.
Guardò infine se stessa, una ragazzina macilenta con i capelli blu corti e legati in una minuscola treccia. Era sempre Vi a farle le trecce da piccola. E a tagliarle i capelli. Li preferiva corti.
Jinx invece non sapeva come li preferisse. Non se l’era mai chiesto, con Vi che tagliava impunemente. In effetti, non se li tagliava da quando Vi… da quando lei…
Si diede una botta in testa, poi un’altra.
Basta pensarci, basta pensarci, basta pensarci.
Voleva mandarli via, cacciare via quelle voci. Mylo, Ekko. Fastidiosi. Inopportuni.
E poi Vi, che invece la incoraggiava.
Bugiarda.
Lei era quella che voleva sentire meno di tutti.
Gemette, soffocò un singhiozzo, poi scattò in piedi e afferrò le forbici. Ne studiò le lame affilate, che quasi brillavano sotto la tenue luce della lampada.
Voleva tagliare, voleva eliminare il suo passato, voleva tranciarlo come Vi faceva con i suoi capelli.
- Lei non mi ha mai chiesto come li volevo – borbottò, puntando la forbice contro Mylo. – Lei tagliava e basta, lei ordinava. Era proprio dispotica.
Sparò un colpo invisibile con la pistola-forbice, e sorrise quando vide la pallottola centrare Mylo tra gli occhi. Chissà se avrebbe taciuto, finalmente!
Ridacchiò. Cosa stava dicendo?
Ah sì, quella presuntuosa di sua sorella. Che faceva sempre quello che voleva.
Però Vi era stata anche… era stata anche… le aveva voluto bene.
Ruggendo il suo fastidio, Jinx si buttò di sotto, atterrando in piedi sulla scrivania di Silco. Anzi, sul rapporto che stava studiando.
Aveva mancato per un pelo il bicchiere che teneva nella mano sinistra, mentre la destra gli sorreggeva la testa, come se fosse stanco o annoiato. Non alzò nemmeno lo sguardo su di lei, le diede solo un colpetto sul piede che voleva che spostasse, così che potesse continuare a leggere.
Era quasi notte, la luce esterna stava scemando, così Jinx gli accese la lampada accanto a lei. Però non si spostò da lì.
- Cos’erano tutti quei mugugni? Cos’hai?
Silco era abituato a sentirla parlare da sola, o con i suoi amici, o ex amici, quel che era. Con i suoi mostri, anche. All’inizio si era preoccupato, ora non ci faceva nemmeno più caso, si era abituato. Aveva capito.
Lui capiva.
Jinx gettò la forbice ai suoi piedi, con abbastanza forza da conficcarla nel rapporto di Silco, e nel legno sottostante.
Cogliendo l’antifona, intuendo che non fosse uno dei soliti deliri di Jinx, Silco sollevò la testa. Si riappoggiò allo schienale della sedia, svuotò d’un solo sorso il bicchiere, e la fissò.
- Allora? – l’apostrofò.
Non la sgridò nemmeno per com’era piombata giù, o per essere ancora in piedi sulle sue carte. Ci aveva rinunciato.
E poi, con lei aveva una soglia di tolleranza incredibilmente elevata.
Jinx si sedette di peso lì dov’era, a gambe larghe, con i piedi sui braccioli della sedia di Silco e la forbice in mezzo.
Infilò un dito in una delle due impugnature a cerchio, la fece roteare un po’, come se fosse una piuma e non un oggetto contundente e potenzialmente letale, poi la porse a Silco tenendola per le lame.
Come un’offerta di pace.
- Voglio che mi tagli i capelli.
Se rimase sorpreso da quella richiesta, Silco non lo diede a vedere. Afferrò solo la forbice e aggrottò la fronte.
- Perché?
Jinx gettò la testa indietro, appoggiando le mani sulla scrivania e fissando il soffitto. – Voglio recidere. Voglio eliminare. Mia sorella lo faceva sempre.
Silco si sporse verso di lei, appoggiando i gomiti sulla scrivania e il mento sulle mani intrecciate. – Se si tratta di recidere il passato posso capire. Bisogna separarsi da cose inutili o che possono ostacolare. Ma se mi stai chiedendo di fare quello che faceva tua sorella perché ne senti la mancanza…
- No! – si affrettò a correggerlo Jinx, sporgendosi anche lei in avanti e appoggiando la fronte contro quella di Silco. Sospirò. – Non lo so. Lei me li tagliava perché diceva che i capelli lunghi erano ingombranti, un ostacolo in combattimento. Non li taglio da allora. Se lo facessi tu, potrebbe essere come un nuovo inizio, no? La nuova linea di partenza!
Silco non si scompose quando Jinx si agitò, gettando il pugno in aria con gioia. Fece scorrere gli occhi sul suo bel viso, sugli occhi azzurri come i capelli, su quei tratti ormai non più infantili. Jinx stava crescendo, stava cercando un suo posto nel mondo e un’armonia con il proprio corpo in cambiamento. Non era più magra come una volta, e aveva messo su qualche curva da ragazza. Silco trattenne a stento una smorfia rendendosi conto che forse avrebbe dovuto parlarle di certe cose. Gli ormoni e quelle robe lì. Dubitava che sua sorella gliene avesse parlato a sette anni, anche se spesso i bambini sapevano più del dovuto.
In ogni caso, non voleva trovarsela incinta da un giorno all’altro. Ipotesi improbabile, dato che avrebbe spezzato le gambe a chiunque le si fosse avvicinato, ma non impossibile. Anche se lei non sembrava molto interessata a quelle cose…
Si concentrò sui capelli. La folta treccia in cui li teneva legati le arrivava ormai sotto il sedere. Erano lunghi, molto lunghi.
- Un’argomentazione valida, ma non corretta. Non ho intenzione di tagliarti i capelli per segnare un nuovo inizio. Non hai bisogno di nuovi inizi. La lunghezza dei tuoi capelli rappresenta tutto il tuo inizio, la strada che hai fatto per arrivare sin qui. E non importa che non siano comodi per il combattimento, tu hai sempre trovato il tuo modo di combattere, e sono sicuro che possa includere dei capelli lunghi.
Jinx inclinò la testa, squadrandolo. Come se fosse lei quella che cercava di capire le motivazioni di Silco, e non viceversa.
Sapendo che avrebbe intuito lo stesso la verità, fu sincero. Con lei lo era sempre. – Hanno un colore meraviglioso – ammise, usando quel termine per la prima volta nella sua vita. Jinx trattenne il fiato. – Il colore del cielo che ho visto una volta sopra Piltover in una giornata di sole. Il colore del cielo che vorrei si intravedesse anche a Zaun, in futuro, quando questa nazione sarà governata come si deve e otterrà pari diritti. Recidere il cielo sarebbe un atto blasfemo
Proprio lui parlava di blasfemie, lui che non aveva religione e che corrompeva tutto ciò che c’era di buono in quella città.
- A me piacciono i tuoi capelli – concluse infine, schietto come non era mai stato. – Se proprio vuoi creare una sorta di divisione dal passato, dividili in due trecce.
Jinx rifletté sulla proposta. Due trecce, non una. Prese tra le mani quella che aveva, l’accarezzò. Silco le aveva detto che le piacevano i suoi capelli, il suo colore. Nessuno gliel’aveva mai detto.
Due.
Come lei e Silco, padre e figlia.
Come lei e Vi, due sorelle.
Come Powder e Jinx, il passato e il presente, che intrecciati formavano il futuro.
Silco la strappò dalle sue riflessioni. – Tu li vuoi lunghi o corti? Solo questo conta.
- Lunghi – rispose lei di getto.
Vi non glieli aveva mai fatti tenere lunghi. Lei aveva sempre desiderato farli crescere, invece. Le piaceva come si muovevano, le piaceva averli attorno, erano come una coperta.
Lei non doveva più obbedire a Vi.
Quando Silco vide l’espressione di Jinx cambiare, farsi decisa, si riappoggiò allo schienale e mise la forbice nel cassetto. – Non si può emulare un gesto appartenente al nostro passato per recidere il passato stesso. Bisogna fare qualcosa che non è mai stato fatto. O non farlo.
Jinx sorrise e batté le mani. – Da oggi porterò i capelli lunghi.
Silco non batté ciglio, anche se avrebbe voluto acidamente farle notare che i capelli lunghi non li aveva da quel giorno, ma da ormai tre o quattro anni.
Jinx si rimise in piedi, saltando sulla scrivania come se fosse un trampolino.
- Jinx! – sbottò questa volta Silco, redarguendola.
Lei però ridacchiò e si diresse verso il bagno. – Torno tra poco, aspettami eh!
Silco sospirò e scosse la testa, girandosi verso la vetrata. Con quel colore acquamarina, la finestra istoriata dava l’illusione che il cielo all’esterno avesse davvero un colore bluastro. Ma la realtà era ben diversa: il cielo di Zaun non aveva colore, perché proprio non si vedeva, oscurato com’era dalle nuvole di inquinamento dei fumi dei gas scarico e delle fabbriche.
I capelli di Jinx erano il suo pezzetto di cielo.
Si rimise al lavoro scuotendo la testa a quei pensieri così poco da lui.
Jinx si ripresentò un’ora dopo, sedendosi di nuovo sui fogli che lui stava studiando. Stava per dirle che la sua maleducazione e la sua abitudine di sedersi sopra il suo lavoro lo aveva davvero stancato, quando vide la cascata di capelli blu sciolti che piovve intorno alla sua figura.
Non poté impedirsi di sgranare gli occhi: non aveva mai visto Jinx con i capelli sciolti. Per di più, erano appena stati asciugati e pettinati dopo la doccia, e il loro intenso profumo pulito invase le narici di Silco come una droga. Avrebbe voluto che i vicoli avessero quel sentore, invece che la puzza di marcio e di piscio che l’ammorbava.
Dietro la cortina di capelli cerulei, Jinx lo osservava con un sorrisino timido. Così nascosta dai capelli, sembrava più piccola, una bambina, e Silco tornò indietro nel tempo, alla prima volta che l’aveva vista.
- Che c’è? – le chiese bruscamente, irritato con se stesso.
Erano solo dei capelli!
Jinx gli mostrò due elastici. – Mi aiuti a intrecciarli?
Silco sgranò di nuovo gli occhi. Erano poche le persone in grado di sorprenderlo così, e ancora meno quelle di fronte alle quali si permetteva di mostrare quelle reazioni trasparenti.
- Non so fare le trecce – sibilò.
Avrebbe potuto dirle che non ne aveva la minima intenzione, o trovare qualunque altre frase tagliente da dire, ma scelse le parole sbagliate. Quelle troppo sincere. Quelle che lasciavano intendere che glieli avrebbe intrecciati, se avesse saputo come fare.
Jinx lo capì, infatti sorrise e si passò le dita tra i capelli, separandoli in due cascate simmetriche. – Ti faccio vedere.
Nei minuti che seguirono, Silco si dimenticò di se stesso, del suo scopo, della sua impresa, del fatto che da un momento all’altro dalla sua porta sarebbe potuto entrare chiunque, da Sevika ai baroni chimici a Marcus, e trovarlo intento ad osservare con aria rapita una giovane che si intrecciava i capelli.
Se ne fregò.
E passò quei minuti in silenzio, a guardare le piccole e abili mani di Jinx intrecciarsi i capelli di fronte a lui, prima spiegandogli come fare, poi facendolo in silenzio, mormorando una melodia triste a bocca chiusa.
Silco si accese un sigaro. Cercava di non fumare in sua presenza per non rovinarle i polmoni con il fumo passivo, Jinx era ancora pura e innocente e non voleva che si macchiasse con qualche vizio, ma in quella circostanza ne aveva un bisogno estremo.
Era catartico vedere Jinx in pace con se stessa. In pace con lui.
Tirava fuori una parte di Silco di cui nemmeno lui conosceva l’esistenza.
L’animo di un padre innamorato della propria figlia.
Quando Jinx ebbe finito con una treccia e iniziò con l’altra, lui prese quella appena legata e se la rigirò tra le dita. Era morbida, lucente, profumata. Un fiume che scorreva verso il domani.
- Lascia che il tempo scorra, Jinx. Lascia che ti porti verso il futuro. Verso la guerriera che sei destinata ad essere, qualunque tu scelga di diventare. Dai prova di te stessa. Siamo i guerrieri che hanno costruito questa città dalla polvere. E non piegarti di fronte a nessuno, specialmente di fronte al passato.
Continuando a canticchiare, Jinx gli sorrise con riconoscenza e annuì.
- Non guardarti indietro. Sei tu, il futuro.
 
 
Perché questo sarà il lavoro del mio amore.

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Capitolo 10
*** First fight (Hey, what you say, wanna find a place to play) ***


La prima battaglia di Jinx!! Che sia andata davvero così? Mah. Di sicuro qualche casino lei l'avrà combinato xD
Buona lettura!


10. First fight (Hey, what you say, wanna find a place to play)

Dirty Little Animals – Bones UK, track 04

 
You wanna mess around?
They gonna take you down, down, down
Wanna slide and turn
Such a lovely way to burn, burn, burn
I never felt like this before
I think I might just want some more
I never felt like this before
I think I might just
Slide, shake your bones out if you wanna ride
Throw your head back, make you feel alive
The kind of bad that make you feel good, good
God, the kinda wrong that make you feel right
The little death that make you feel alive
The kinda shouldn't that mean that you should, should, should

 
 ~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
 
Jinx osservò e ascoltò tutto dal suo posto privilegiato. Il posto in cui godeva della piena fiducia si Silco.
Lui stava dando le ultime direttive per la missione del giorno dopo. Da quando a Piltover avevano inaugurato gli Hexgate, Silco sembrava ossessionato. Voleva assolutamente trovare il modo di sfruttarli, altrimenti sarebbero rimasti indietro anni luce, diceva. Non avrebbero più potuto raggiungere quei damerini di Piltover. A loro sarebbero rimasti solo gli scarti degli scarti, mentre i ricchi di sopra avrebbero continuato a distanziarli e nuotare nella ricchezza e nel prestigio.
Bla bla bla.
Jinx ormai imitava il suo labiale quando lo sentiva pronunciare quei discorsi. Infiammava sempre gli animi dei suoi uomini, sapeva come motivarli, ma lei li sentiva ogni santa volta ed era proprio stufa.
Così com’era stufa di starsene in disparte a creare armi. Che senso aveva creare qualcosa di incredibilmente potente, pericoloso ed esplosivo se poi non lo si poteva nemmeno adoperare? Ormai i difetti di Pow-Pow, Zap! e delle bombe erano stati completamente debellati, le sue armi erano state perfezionate, sublimate, avevano raggiunto la forma ideale, erano compiute.
Voleva usarle!
Le bombe, in particolar modo, si accumulavano in camera sua senza possibilità di sfogo. Le sue piccoline soffrivano. Silco gliene chiedeva a cadenza regolare, ma non così tante, e i suoi uomini avevano altri modi di combattere, diversi da quelli di Jinx, metodi che non includevano le bombe. A lei cosa fregava? Le bombe erano sue! E di Silco.
La missione del giorno successivo prevedeva di fare da scorta ad un carico di shimmer. Silco stava cercando di infiltrarsi nel sistema di trasporto piltoviano, fingendosi un facoltoso e onesto mercante zaunita. Con l’aiuto (e il pagamento di “incentivi”) a Marcus, c’era già riuscito un paio di volte, ma erano state consegne piccole. Quello scambio invece sarebbe stato bello grosso, un’intera nave stipata di barili di shimmer, la prova del nove. Si cominciava già a parlare di Silco come dell’“Industriale”, un nuovo soprannome dato dai piltoviani, ma anche i cittadini di Zaun avevano iniziato a chiamarlo così.
Occhio di Zaun, Industriale. Silco sapeva come farsi conoscere.
E sapeva come fare affari.
Al lavoro avrebbero preso parte Sevika, quel colosso di Darren e pochi altri, per non dare dell’occhio. Come se una donna gigante e un tipo che assomigliava più ad un toro che ad un uomo potessero passare inosservati. Silco però le aveva detto che il denaro aiutava tutti, anche quelli con la vista più acuta, a diventare improvvisamente ciechi o distratti, esattamente quello che sarebbe successo l’indomani.
Silco finì di dare i ragguagli, con poche parole concise e nessun incoraggiamento diretto. Anzi, lasciò intendere che il fallimento della missione avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per chi non fosse stato in grado di eseguire il proprio lavoro. Sevika e Darren se ne andarono rispettivamente come prima e secondo in comando.
Jinx quasi non attese la chiusura della porta per scendere. Non volendo far arrabbiare Silco, dato che in realtà voleva chiedergli un favore e voleva che lui cedesse, atterrò per terra, e si sedette sulla sedia di fronte a lui. Trepidante, si appoggio alla scrivania con i gomiti e lo guardò sorridendo, mordendosi il labbro.
Silco continuò a scrivere alzando appena lo sguardo per osservarla, e solo quando ebbe finito le rivolse l’attenzione.
Jinx non aspettò nemmeno che lui aprisse bocca. – Voglio partecipare, domani.
- No.
Un no categorico. Ma Jinx non gettava mai la spugna facilmente.
- Posso aiutare, posso contribuire! Le mie bombe sono più che testate, non sbagliano un colpo, lo sai anche tu e…
- La missione di domani prevede che manteniamo un profilo basso, Jinx. Le tue bombe, per quanto utili, non aiutano a mantenerlo.
- Sì invece, ho quelle fumogene! E quelle narcotizzanti! Hanno addormentato persino Darren che fa per tre uomini! Cosa c’è di più tranquillo di un bel sonnellino?
- No.
- Ma hai detto che le mie armi sono un ottimo contributo! Perché non posso aiutare?
- Perché non è questo il tuo ruolo. E non voglio che tu ti ferisca.
- Ma sono capace! E il dolore non mi fa paura, non sono una bambina! Non voglio fabbricare armi a vita, come il dottore, voglio anche usarle, voglio combattere con…
- Non sei pronta!
Quel commento la centrò come una pallottola dritta al cuore. O al cervello, dato che per un attimo fu incapace di pensare. Un accoltellamento avrebbe fatto meno male.
La testa le si riempì all’improvviso di voci, di ricordi, di parole simili che erano state pronunciate una vita prima da altre persone, ma che avevano tutte lo stesso sapore acre e lo stesso significato.
Lei era inutile. Lei portava sfortuna. Lei non era pronta, non era all’altezza.
Le tremavano le mani.
- Jinx…
- No – lo interruppe lei, gli occhi carichi di dolore e rabbia. – Non dirmi che non sono pronta quando sai che è una bugia. Dimmi che non vuoi farmi prendere parte ad una missione del genere, che non vuoi che incasini tutto, che non ti fidi, ma non mentirmi. Non. Mi. Mentire!
- Non ti sto mentendo. Non hai esperienza, non sei pronta per un lavoro di questa portata.
- Bugiardo. Ho preso parte a missioni più pericolose di questa e completamente disorganizzate quando avevo sette anni.
Ma quelle missioni erano finite con un buco nell’acqua. Letteralmente, dato che una volta aveva persino gettato il bottino di un’intera giornata nel fiume, perdendo il lavoro per cui Vi e gli altri avevano sparso sangue.
- Non voglio lasciarti andare, Jinx – ringhiò lui, esasperato e… impaurito.
Si era reso conto di essere raramente in grado di negarle qualcosa, ma non voleva assolutamente che la nuova richiesta di Jinx fosse una di quelle volte. Era pericoloso. Si sarebbe potuta ferire. Aveva passato quegli ultimi anni a forgiarla come una spada, a crescerla come una combattente, resiliente e tosta, capace di resistere agli urti più duri senza mai spezzarsi. Jinx era diventata una persona nuova grazie a lui, una persona che lui… amava. E voleva proteggere.
- Da queste missioni, anche quelle più semplici, torna sempre almeno un uomo ferito. Questioni di poco conto, non me ne frega nulla del loro stato, basta che non mandino tutto a monte, ma con te è diverso. Non posso lasciare che tu ti ferisca, o peggio.
Jinx lo guardò con una durezza che Silco non le aveva mai visto negli occhi. Quando notò che non rispondeva, sperando che avesse sotterrato l’ascia di guerra, le porse la siringa già assemblata.
Dopo un attimo di esitazione, Jinx si spostò per fargli l’iniezione. Quando ebbe finito non lo guardò nemmeno in viso, gli diede le spalle e si allontanò. Non le era ancora passata.
- Non sono più una bambina da proteggere – gli disse, rompendo finalmente il silenzio. Continuò a dargli la schiena. – Questo atteggiamento ti fa apparire debole.
E se ne andò in camera, lasciandolo solo con i suoi pensieri.
Lei ne aveva già abbastanza per entrambi, di pensieri che le facevano esplodere la testa.
 
Separati nella stessa stanza da un muro letterale e da uno invisibile, Jinx e Silco si immersero totalmente nei loro rimuginii.
In camera sua, Jinx sparò la musica al massimo prima di tirare un calcio al letto, guardare male Mylo e tapparsi le orecchie per non sentirlo parlare. Quel maledetto.
Nella mente le si affollavano le parole appena dette da Silco, che si sovrapponevano a quelle pronunciate anni prima da sua sorella, dai suoi amici.
- Non sei pronta – aveva detto Silco.
- Tu stavolta resti a guardare, Powder – aveva detto Vi.
- Voglio combattere, voglio aiutarti.
Sempre la stessa storia. Sempre la stessa risposta.
- Ma non sei pronta.
Lei era pronta! Lei era la più pronta di tutti! Avrebbe potuto far saltare in aria qualsiasi cosa con i carichi esplosivi che si portava dietro, e niente sopravviveva ad un’esplosione. Non rimanevano tracce. Era il salvavita di cui tutti avevano bisogno, un’assicurazione. Aveva una buona mira.
Era pronta!
E i pugni?
Anche per quelli era pronta. Le parole di Mylo, quello vero, non il pupazzo silenzioso ma infido, le rimbombavano nella testa a intervalli regolari. All’epoca era una bambina, era Powder, il nome che apparteneva ad una creatura che pensava che sarebbe sempre rimasta insieme a sua sorella, che nemmeno la morte le avrebbe potute superare.
- Tu non capisci, sei più grande, più grosso…!
- Allora resta con noi, incassa un pugno o due!
Per una volta, solo una, Mylo aveva avuto ragione. Il colpo più grande che avessero mai messo a segno, l’ultimo, era fallito miseramente per colpa sua. Ognuno aveva fatto la sua parte, avevano combattuto, e lei aveva mandato tutto a monte perché una sua bomba si era rivelata un fiasco; poi, temendo la violenza, aveva gettato in acqua la refurtiva.
Oltre ad essersele prese di santa ragione, i suoi amici avevano dato il massimo, combattendo con i denti pur di non essere sopraffatti.
E lei? Non aveva pensato a nulla di meglio che vanificare i loro sforzi.
Represse un urlo mordendosi una mano stretta a pugno, mentre con l’altra si picchiò in testa. Poi prese l’ultimo modellino che stava costruendo, un animaletto con il mascellone che voleva regalare a Silco, e lo tirò, lanciò e pestò finché non si ridusse al cumulo di metallo da cui lo aveva creato.
Si era allenata, da quel giorno. Era più forte con una pistola in mano, meglio ancora se con Pow-Pow, ma sapeva picchiare. Aveva osservato i combattimenti di strada, si era allenata contro i muri degli edifici abbandonati sul molo, tornando a casa con le nocche insanguinate e tumefatte. Aveva cominciato ad indossare dei guanti corti con le dita scoperte per nascondere le cicatrici. A Silco aveva detto che miglioravano la sua aderenza quanto lavorava il metallo.
Aveva imparato. Era migliorata. Era diventata brava.
Aveva iniziato a combattere per strada contro alcune bande di teppistelli, lontana dalla zona d’azione di Silco o dei suoi uomini. Non voleva che si sapesse che si allenava, voleva che fosse una sorpresa, una sorpresa che avrebbe tenuto in serbo per la prima missione. L’avrebbero osannata, ringraziata per averli salvati tutti, invece di accusarla di essere il motivo per cui ogni missione falliva.
Ma non avrebbe potuto dimostrare nulla se non fosse andata in missione!
Quei ragazzini nei vicoli più isolati li aveva battuti tutti. Si era portata dietro Zap! e aveva nascosto Pow-Pow nelle vicinanze per sicurezza, per tutelarsi nel caso in cui si fosse sopravvalutata e la situazione avesse volto a suo sfavore.
Non era mai successo. Non aveva mai nemmeno dovuto tirare fuori Zap!. Alla fine, aveva cominciato a lasciare Pow-Pow a casa.
Aveva sempre vinto, veloce com’era e con i riflessi pronti che si trovava.
Perché Silco non lo capiva?!
Jinx tirò un calcio anche a Mylo che continuava a sfotterla, poi si rintanò tremante sotto le coperte cercando di calmare i tremori.
Alla fine si addormentò, mentre il disco finiva e la musica si spegneva, spargendo ovunque solo un sordo ronzio.
 
Da parte sua, Silco meditava nella stessa maniera convulsa. La conversazione con Jinx lo aveva turbato più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Si era acceso un sigaro con rabbia, tirandone avidamente due respiri prima di riuscire a rilassare le spalle. Non aveva battuto ciglio quando Jinx aveva iniziato a sparare la sua musica assordante in quella che era, alla fin fine, la loro camera. Di solito non la tollerava per più di un’ora, e a volume notevolmente più contenuto, ma era così assorto da non far nemmeno caso a quel dettaglio spaccatimpani.
Si mise ad osservare la città che prendeva vita fuori dalla finestra, mentre gli zauniti si preparavano per la vita notturna, quella che preferivano. Oscuri come i pipistrelli.
Silco non aveva mai avuto paura, nemmeno quando Vander lo aveva quasi soffocato. Aveva provato tante emozioni quella volta, ma mai paura. Era troppo impegnato a credere fino alla fine che avrebbe trovato una via d’uscita per concentrarsi sul terrore della morte.
Eppure, in quel momento aveva paura, e non di una cosa sola. Aveva paura che il suo rapporto con Jinx si fosse incrinato. Aveva visto il suo viso mutare durante la conversazione, ferito da qualcosa di più profondo di un semplice diniego. Un dolore antico era riaffiorato, e gli antichi dolori erano sempre legati a sua sorella. Non voleva che associasse lui a quella traditrice, per nessun motivo. Aveva paura che Jinx partisse lo stesso. Era intelligente e scaltra, eccome se lo era. Non ci avrebbe messo tanto a trovare un modo per infiltrarsi. In quel caso, sarebbe stata ancora più in pericolo, se nessuno sapeva che lei era partecipe. Avrebbero potuto ferirla i suoi stessi uomini, temendo che fosse una traditrice. Infine, c’era proprio quella paura: che si ferisse.
Che morisse.
Aveva ragione Jinx, quell’atteggiamento lo faceva apparire debole. La paura lo faceva apparire debole. E anche l’attaccamento che aveva per lei. Se si fosse ostinato in quel modo a proteggerla, a contenerla, prima o poi lei sarebbe esplosa. E prima o poi qualcuno si sarebbe accorto dell’affetto innegabile che lo legava a lei. Avere un punto debole tanto esposto era come un invito ufficiale, per i suoi nemici. Perché di nemici ne aveva, nascosti nell’ombra, e col tempo sarebbero cresciuti. I suoi stessi sostenitori, i Baroni Chimici, erano già suoi rivali.
Nessuno si faceva scrupoli per raggiungere i propri scopi, e Jinx non era nemmeno più una bambina.
Silco chiuse l’occhio buono espirando lentamente il sigaro. Appoggiò la mano libera sul vetro freddo. Cercando di proteggerla, la stava mettendo in pericolo. E metteva in pericolo il suo stesso lavoro. Non poteva mostrarsi vulnerabile.
E trattenere Jinx in casa lo rendeva più debole di quanto lo sarebbe mai stato se avesse seppellito la paura e l’avesse mandata in missione.
Non si poteva impedire ad un uccello di volare.
Quando la musica si interruppe, e dal piano di sopra non giunse più alcun rumore, Silco quasi non ci fece caso. Recapitò un messaggio a Thieram.
Sevika era convocata nel suo ufficio non appena fosse tornata da qualunque giro stesse facendo.
 
Sevika bussò quando quasi albeggiava. Sapeva che non c’era orario che tenesse, quando Silco la convocava. Una volta si era presa una strigliata che ancora ricordava quando aveva atteso un paio d’ore per andare da lui perché era piena notte.
Così, nonostante l’ora impropria, Sevika andò da lui. Non lo trovò nel suo ufficio, così bussò nella camera adiacente. Da qualche parte nel soffitto giungeva un fischio prolungato, come un disco incantato.
- Signore?
Non ottenendo risposta, Sevika aprì lentamente la porta.
Silco stava dormendo, ma il suo occhio distrutto era fisso, sempre aperto. Sevika ne aveva viste tante, di brutte ferite, compresa la sua, eppure non aveva mai trovato nulla di più inquietante del viso di Silco quando dormiva. Con un occhio sempre aperto, era impossibile capire se stesse veramente dormendo o meno.
Poi lui aprì anche l’occhio buono.
Si mise a sedere come se non stesse nemmeno dormendo, mentre il lenzuolo scivolava rivelando il petto nudo. Scosse qualcosa, no, qualcuno di fianco a sé.
- È ora che tu vada – disse, imperturbabile.
La donna nel suo letto si stiracchiò come un gatto, con calma, prima di alzarsi, completamente nuda, e vestirsi senza la minima traccia di pudore. Anzi, ammiccò sia a Silco che a Sevika mentre la osservavano rimettersi i vestiti.
Tra tutte, lei era quella con il fisico, e la bocca, che Silco apprezzava di più. Era quella che sapeva meglio come aiutarlo a sfogarsi, ed era da anni che Silco non ne aveva bisogno come la sera prima.
Quando si richiuse la porta alle spalle, gli occhi di Silco persero ogni traccia di malizia.
- Voglio che ti porti dietro Jinx, oggi. Dovrà badare al carico.
Sevika si immobilizzò, incredula. – Signore? – chiese, pensando fosse uno scherzo.
Ma raramente Silco scherzava. E mai su una missione.
- Ti riterrò responsabile di lei, come lo sei del compito. È per questo che metto a carico qualcuno di un lavoro, perché altrimenti sarebbe l’anarchia. Ed è anche per questo che quella persona viene considerata responsabile dell’andamento della missione.
- La ragazzina? – chiese Sevika, basita, senza nemmeno ascoltarlo.
Lo sguardo di Silco si indurì. – Potrà esservi utile, e da qualche parte dovrà pur iniziare. Il lavoro di oggi è particolarmente semplice, perciò le sarà d’insegnamento.
- Signore, ma…
- Ovviamente – continuò Silco, lapidario, - se non te la sentissi di accettare un incarico tanto semplice, non mi ci vorrà niente ad assegnare questo impegno a qualcuno che sappia… gestirlo.
Ogni parola un’arma, una pausa una coltellata. Silco sapeva come mettere le persone con le spalle al muro semplicemente facendo vibrare le corde vocali.
La inchiodò con lo sguardo. – Hai qualcosa da dire?
Sevika strinse i pugni, gli occhi, i muscoli. Poi lo guardò, lasciando trasparire il fastidio, ma non azzardandosi a contrastarlo.
- No, signore.
Silco, al contrario, era una maschera di ghiaccio impenetrabile.
- Partirete all’orario fissato, sarà meglio che ti prepari. E spero che il tuo stare alzata tutta la notte non mini l’esito della missione.
Una minaccia velata. Sevika lo odiava per questo, ma era proprio per questo che lo rispettava e obbediva ciecamente. Lo sapevano entrambi.
Non c’era nessuno più in alto di Silco in quella città, in quel momento. E nessuno di cui apprezzasse di più gli ideali.
- Non accadrà.
 
Silco raggiunse la camera di Jinx dall’esterno. Quando vi mise piede dentro, capì da cosa fosse causato quel fischio continuo che sentiva dalla sera prima. Andò a spegnere il grammofono, poi accese una delle nude lampadine che Jinx aveva fatto appendere ovunque, alcune funzionanti altre no.
Si sedette accanto a lei sul letto, scuotendola più dolcemente di quanto avesse mai fatto con chiunque. All’epoca in cui lui e Vander si svegliavano a vicenda, erano pacche da uomini e strattoni quelli che si davano, se erano di buonumore. Se erano girati male, era anche peggio.
Jinx grugnì e si girò dall’altra parte. Silco le prese una treccia nella mano, accarezzandone i capelli serici.
- Dovresti prepararti. Sevika partirà tra un paio d’ore e non aspetta i ritardatari.
Jinx si raddrizzò subito, facendo leva sui gomiti. Girò verso di lui il viso su cui era rimasta impressa la piega del cuscino.
- Mi lasci andare?
- Una prova. Dall’andamento di oggi dipenderà i…
Jinx non lo lasciò finire e gli saltò al collo, stringendolo forte, riempiendo quel vuoto che si stava spalancando in lui come una voragine dalla sera precedente. Dandogli quel calore che nessun corpo di donna gli aveva mai trasmesso.
Silco la strinse a sé con un braccio, inspirando il profumo dei suoi capelli.
- Grazie, grazie, grazie! Non ti deluderò!
Veloce com’era scattata a sedere, Jinx si allontanò e cominciò a prendere bombe, armi, altre cose non identificate e a riporle in una valigetta quadrata. Aveva dormito con i vestiti del giorno prima, quindi non le servì nemmeno cambiarsi. Si legò un altro borsello in vita e attaccò munizioni e bombe in ogni cucitura e tasca in cui potevano attaccarsi. Silco la guardò cercando di reprimere l’ansia.
- Voglio che ascolti quello che Sevika ti dirà di fare. Dovrai badare al carico, nulla di pericoloso. Obbedisci, e potrei prendere in considerazione l’idea di mandarti in missione più spesso.
Jinx era raggiante, mentre si metteva Pow-Pow a tracolla. Silco non la vedeva così felice dal giorno in cui le aveva costruito la stanza sopra il suo ufficio, una vita prima.
Fece uno sforzo per non sorridere a sua volta.
- Jinx, hai capito? – abbaiò, perché capisse l’importanza di quello che stava dicendo.
- Sì! Capito, capo! Sono pronta! Ma prima vado a fare colazione.
Andandosene in giro così bardata doveva pesare il doppio e caracollava come un ubriaco.
- Mancano ancora un paio d’ore, la tua roba puoi riprendertela dopo.
Jinx parve rifletterci, poi si sbarazzò di tutte le bombe e se ne andò solo con Zap! e Pow-Pow. Prima di andare, però, tornò indietro per dare un bacio sulla guancia a Silco, ancora seduto sul suo letto.
Quando se ne andò, lui sentì la guancia esposta come se a baciarlo fossero state delle labbra di ghiaccio. Dentro di lui infuriavano sollievo e timore, ma tutto sommato ne valeva la pena, quando la vedeva felice.
 
Jinx si presentò a rapporto da Sevika puntuale. Le due si squadrarono come due animali con le corna che cercano di capire se è il caso di girare al largo o di battersi per la supremazia. Per quella volta, Jinx rinunciò.
- Jinx a rapporto – disse. – Silco mi ha già spiegato la missione. Io sono di guardia al carico.
Sevika fece una smorfia. – Odio avere ragazzini inesperti tra i piedi, quindi cerca di farti sentire e vedere il meno possibile. Alla prima rogna che mi piazzi, ti rispedisco a casa con un calcio in culo, sono stata chiara?
Jinx aggrottò la fronte, contrariata, ma non ribatté.
- E non stiamo andando in vacanza, non serve che ti porti la valigia dietro. Ti avverto, ragazzina, io non sopporto quanto Silco. Soprattutto, non te. Non credere che mi sia dimenticata che tu sei la ragazzina piagnucolosa che si nascondeva dietro le sottane di Vander.
Qualcuno chiamò Sevika in quel momento, e lo sguardo di Jinx mutò.
Nemmeno lei si era dimenticata di Sevika. Del suo voltafaccia. E del suo essere sempre un cane fedele, ma alla ricerca del padrone che offriva di meglio. Non aveva mai sopportato i “poppanti di Vander”, com’era solito chiamarli.
Nessun problema, la cosa era reciproca.
E, a giudicare dell’intenso e inquietante sguardo d’odio che Jinx le rivolse, aveva radici più profonde di quanto si sospettasse.
Piccoli sporchi animali, agli occhi di entrambe.
 
Jinx fu particolarmente silenziosa e obbediente per tutto il tragitto. Al contrario di quello che pensavano in molti, cioè che fosse tonta o imbranata, lei osservava. Analizzava.
E imparava. Aveva già capito chi andasse d’accordo con chi, e chi no. Erano in sei, lei compresa. Nessuno le badava, e questo le dava ampia libertà d’azione. Aveva lasciato la valigetta a casa alla fine. Se n’era separata a malincuore, dato che se l’era sempre portata dietro ad ogni missione. Ma proprio per quello, si era detta, doveva sbarazzarsene. Ogni altro incarico era andato male, con quella. Era una persona nuova.
Ed era già abbastanza attrezzata.
Sevika ogni tanto le lanciava delle occhiate di fuoco da sopra la spalla, ma non le diceva nulla, né in bene, né in male. Jinx lo prese come un buon segno. Doveva far bella impressione con Silco, fargli vedere che era forte, e che meritava la sua fiducia. Avrebbe gradito una scazzottata come si doveva per mostrare a tutti di che pasta era fatta, ma se quel lavoro fosse andato bene, era certa che ci sarebbero state altre occasioni per far vedere di cosa era capace.
Tutto andò liscio come l’olio. Lei controllò il carico mentre Sevika e gli altri corrompevano il doganiere che doveva dare il consenso affinché la nave utilizzasse l’Hexgate. E perché il carico fosse considerato pulito.
Era tutto fin troppo noioso, Jinx si mise a fare rotolare una bomba su uno dei barili di shimmer in attesa dell’ordine per tornare, quando accadde.
Un attacco. Dei tipi mascherati su overboard volanti mai visti prima.
- Firelight, distruggete tutto!
Una voce metallica e distorta. Jinx aveva già Zap! in mano.
Ehi, che ne dici, troviamo un posto per giocare?
Iniziò a sparare insieme agli altri, mentre quei… Firelight rovesciavano ovunque shimmer e ingaggiavano battaglie aeree impari. Jinx mise fuori uso due overboard prima di imbracciare Pow-Pow. Adrenalina pure le scorreva nelle vene, dolce come il miele, il cuore era un tamburo di guerra che la invitava a danzare.
Ti fa sentire più viva di quanto tu sia mai stata.
Era la prima volta che si sentiva così. Ne voleva ancora.
Si morse il labbro, sorridendo, pronta a fare fuoco. Uno di quei tipi però la fissò, più a lungo di quanto fosse appropriato, e le si scagliò contro. Jinx sparò appena dieci colpi, che si piazzarono tutti nel posto sbagliato: sei proiettili bucarono quattro barili, due si piazzarono ad un soffio dalla schiena di un loro compagno e gli altri due fecero scoppiare un incendio che Sevika si affrettò a spegnere perché non bruciasse tutto il carico. L’unica cosa che continuò a bruciare fu lo sguardo di furia che rivolse a Jinx.
Il tipo di male che ti fa sentire bene, bene.
Dio, lo sbagliato che ti fa sentire giusta.
All’undicesimo colpo, Pow-Pow finì per terra, mentre il tipo le dava un pugno. Jinx si rialzò in fretta, sputando e tergendosi il sangue dal naso. Si scambiarono qualche colpo, lei non se la cavava male ma il tizio aveva più esperienza ed era più forte.
- Tu sei più grande, più grosso…!
Il grido del passato risuonò nel suo cervello. Le voci tornarono, i mostri nella sua testa anche. Il tipo, o la tipa, quel Firelight insomma, aveva le corna, ghignava sotto la maschera. I demoni alle sue spalle gli davano forza. Jinx combatté urlando, mordendo, con tutta l’energia che aveva. Le ferirono l’avambraccio, quasi non lo sentì. Il naso forse era rotto, non le importava.
Perché moriresti lì sopra quando puoi vivere di sotto?
Continuò a combattere anche quando i suoi compagni avevano già sedato la rivolta. Rimaneva solo lei, avrebbe concluso in bellezza. Afferrò Zap! e la puntò alla tempia del suo aggressore, sorridendo. Per una volta, voleva fare fuoco con l’intento di uccidere. Voleva farlo fuori, quell’essere che la sfotteva.
Un colpo alla testa però la colse di sorpresa, e tutto si fece nero.
 
Jinx si svegliò con un forte mal di testa. Mise a fuoco il luogo in cui era, sentiva tutto ovattato. Era in camera sua. Era ancora vestita come quando era andata in missione…
La missione!
Tutto si fece più nitido, ogni traccia di sonno svanì.
Dal di sotto, la voce di Silco e Sevika le giunse finalmente chiara e forte.
- …bisogno di tramortirla così!
- Stava per far saltare in aria l’intera nave, signore, con noi dentro!
Sporgendosi dal bordo, Jinx vide Silco stringere i pugni, seduto dietro la scrivania come un re, per poi passarsi una mano tra i capelli per sistemarli.
Visto che Silco non rispondeva, Sevika continuò. – Stava per sparare in testa a uno dei nostri.
Jinx spalancò gli occhi. No, non era vero. Bugiarda. Sevika era una bugiarda.
- Nel marasma della battaglia ha cominciato a sparare colpi completamente a caso, abbiamo dovuto pagare il doganiere il doppio perché chiudesse un occhio su quel casino. E otto barili di shimmer sono andati persi.
Silco imprecò. – Non il tuo lavoro migliore, ma comprendo che hai delle… attenuanti. Questi… Firelight, come si chiamano, si sa chi siano? Cosa vogliano? Dal rapporto, mi sembravano troppo preparati per essere un gruppetto di teppisti disorganizzati. Hai delle attenuanti, ma lievi, Sevika. Era tuo compito assicurarti che non ci fossero minacce, non scaricare la colpa sugli altri. La prossima volta non dovrà ricapitare.
- Ma la ragazzina…
- Jinx era lì dietro mio espresso ordine – la interruppe, ringhiando. – Vuoi mettere in discussione anche questo, ora? Era la sua prima missione. Il fatto che non si sia fatta ammazzare è già tanto. A chiunque capita di perdere la testa.
Sevika, la vecchia, ingenua Sevika, che ancora non si era resa conto di cosa stesse covando dietro quel rapporto, fece il passo di troppo. – Signore, potrei dire che capisco il fatto che sta dando asilo ad un’orfana abbandonata da tutti, ma… non lo capisco affatto. In ogni caso, non è affar mio e…
- Difatti, non è affar tuo – dichiarò Silco, algido quanto i cubetti di ghiaccio che navigavano nel suo bicchiere vuoto.
Sevika decise di lasciar perdere. Non comprendeva per quale motivo Silco, tra tutti proprio Silco, proteggesse un pidocchio isterico come Jinx. Perché aveva creato delle armi, forse? Ma non erano i suoi uomini, non era lei, le sue armi?
- Anche se con qualche perdita, il carico è partito, e la fuga di notizie è stata bloccata. Il doppio del pattuito per corrompere quel doganiere è una spesa che possiamo affrontare, dato che gli introiti che avremo una volta che la nave sarà arrivata dai nostri acquirenti coprirà il costo di dieci volte. Sarebbero state dodici volte, se tutto fosse filato liscio.
Silco inchiodò gli occhi nei suoi, raddrizzando la schiena. – Fa’ sì che la prossima volta fili tutto liscio.
- E la ragazz…
- Jinx, avrà ciò che merita. E la prossima volta ci sarà anche lei. Ho da fare, ora.
Sevika provò un piacere perverso alle parole “ciò che merita”. Sotto l’occhio di Silco, tutti sgobbavano uguale. Non c’erano preferenze, non come sotto Vander. Non c’erano inutili protezionismi. I più deboli non venivano risparmiati solo perché ispiravano compassione.
In camera sua, Jinx indietreggiò quando Sevika uscì. Si morse le unghie, si strinse la testa tra le mani.
Aveva davvero puntato la pistola contro uno dei loro? No, lei stava per far fuori quel Firelight. Non era colpa sua. Sevika mentiva. Sevika…
- Jinx!
Per riflesso, Jinx si sporse perché Silco la vedesse, anche se l’unica cosa che avrebbe desiderato fare era scappare.
Lui la guardò con serietà, come al solito, l’occhio buono semichiuso come se fosse insofferente. – Vieni giù.
Jinx atterrò di fianco alla scrivania, temendo che lo avrebbe fatto arrabbiare ancora di più se fosse caduta sui suoi fogli.
- Posso spiegare…
- Sentiamo – le ordinò lui, facendo un cenno sul bordo di fronte a lui perché lei vi prendesse posto.
Jinx gli si sedette davanti prima di parlare. – Era un Firelight quello a cui stavo sparando, non uno dei nostri. Era…
- La versione di Sevika è stata confermata dagli altri. Stavi per sparare un colpo all’altra donna che c’era, oltre a te e a Sevika. È stato Darren a… neutralizzarti, prima che le sparassi. Pare che reggesse una torcia, se fosse caduta, sarebbe saltato in aria tutto.
Il respiro si mozzò in gola a Jinx. Non era vero. Di fronte a sé aveva avuto un mostro mascherato, un mostro con le corna e i denti di pastello e… e…
Ne era davvero sicura?
Silco la scrutava, in attesa di una risposta. – Io…
Silco prese di tasca un fazzoletto, ci rovesciò dentro i cubetti di ghiaccio. Poi lo premette sulla nuca di Jinx, che sussultò per il dolore, non per il freddo. Scostò le dita di Silco, e scoprì un bernoccolo di cui non conosceva nemmeno l’esistenza.
- Tienilo premuto – le ordinò Silco, prendendo un altro fazzoletto. Lo imbevve con una sostanza alcolica e lo premette contro l’avambraccio di Jinx, su cui campeggiava un taglio lungo ma non profondo. Lei gemette per il bruciore. – È normale fare… confusione, durante la prima missione.
Jinx sentì le lacrime salirle agli occhi. Cercò di non pensare a Vi, di non pensare al suo schiaffo quando l’aveva delusa.
Se non si fosse fatta prendere dall’ansia, se non fosse sclerata come al solito, non avrebbero perso otto barili di shimmer, non avrebbero dovuto pagare di più il doganiere, e Silco avrebbe guadagnato tutto, non solo una parte del carico. Allora perché le sue dita erano così gentili nel medicarle il braccio? Perché non si arrabbiava?
Due lacrime scapparono al suo controllo, e lei non poté nemmeno asciugarsele. Lo fece Silco per lei, lo sguardo tutto ad un tratto morbido.
- Sei stata brava. Mi hanno detto che hai fatto fuori tre di quei vandali.
- Ma ho anche perso… ho perso…
- Ti ho detto che sei stata brava. Le tue armi hanno funzionato?
Jinx annuì, incapace di parlare. Pow-Pow e Zap! non si erano inceppate come lei.
- La prossima volta andrà meglio – le disse, anche se il calore nei suoi occhi non contagiò affatto il suo tono di voce, che rimase distaccato e freddo.
Jinx lo guardò negli occhi, sporgendosi verso di lui. – Ci sarà una prossima volta?
- Se lo vorrai. Purché tu non ti faccia uccidere.
Jinx scosse la testa, poì si buttò in braccio suo, raggomitolandosi sulle sue gambe, la testa sul suo petto. Il cuore di Silco batteva velocissimo, forse l’aveva spaventato. La cosa la fece quasi ridere, dato che quella più terrorizzata lì era lei.
Ma Silco non era deluso. Le aveva detto che era stata brava.
- Non accadrà.
Quando sentì le sue mani callose, ma per qualche motivo sempre curate, accarezzarle la schiena, Jinx sorrise. Aveva finalmente trovato il suo posto. Il suo parcogiochi. E il guardiano che le lasciava campo libero, che di fronte ai suoi fallimenti chiudeva entrambi gli occhi.
Anzi, solo uno.
 

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Capitolo 11
*** Loose Cannon (But once you turn, they hate us) ***


11. Loose Cannon (But once you turn, they hate us)
 
Enemy – Imagine Dragons, track 05
 
Your words up on the wall as you're praying for my fall
And the laughter in the halls and the names that I've been called
I stack it in my mind and I'm waiting for the time
When I show you what it's like to be words spit in a mic
Tell you you're the greatest
But once you turn they hate us
Oh, the misery
Everybody wants to be my enemy
Spare the sympathy
Everybody wants to be
My enemy (look, look, look, look)
(Look out for yourself)

 
 ~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~

Era esplosa la bomba sbagliata.
E aveva pure prodotto un’esplosione più devastante del previsto. Jinx l’aveva considerata una vittoria, aveva guardato la deflagrazione mordendosi un labbro per il piacere. Tutto quel fuoco, quella distruzione, la cancellazione di ciò che era stato e ciò che sarebbe sorto in seguito dalle macerie. Quella sì che era magia.
Peccato che avrebbe dovuto gettare una bomba fumogena verso il nemico, per distrarlo, confonderlo e narcotizzarlo mentre i loro avanzavano. Certo, una bomba vera e propria aveva… neutralizzato i nemici in maniera più permanente. Si poteva dire così. Ma aveva fatto fuori anche due dei loro uomini, e per di più aveva allertato i nemici. Nel caso in cui Jinx avesse gettato davvero una bomba fumogena, invece, non si sarebbero accorti di nulla.
Jinx aveva fissato trucemente le due bombe, una rosa e una blu, sgridandole. – Vi siete scambiate, sciocchine. Lo scherzo è stato divertente, devo ammett…
- Non è stato divertente per nulla! – l’aveva aggredita Sevika, con del sangue non suo sulla guancia.
Si era arrabbiata talmente tanto che le narici erano diventate larghe come un dito. Jinx si era detta che il simbolo che stava bene a lei era un naso da maiale. Quando si era accorta che Jinx, oltre a non essere pentita, era pure distratta, Sevika l’aveva afferrata per il colletto, sollevandola da terra.
- Sono stufa delle tue bravate, ragazzina! Quando ci sei tu di mezzo va sempre storto qualcosa!
Jinx si era subito rabbuiata. Aveva sentito delle parole troppo simili a quelle in passato. Aveva fissato Sevika con odio. Mylo ogni tanto era simpatico. Sevika, mai. Prepotente.
- Questa volta farò un rapporto a Silco per cui dovrai pregare che non ti sbatta fuori a calci.
Non era successo. O almeno, non stava succedendo. Da camera sua, sdraiata a pancia in giù con solo gli occhi a sbirciare di sotto, Jinx non perdeva un colpo del litigio che stava avendo luogo nell’ufficio di Silco.
Sevika, Darren, persino Zantik!, si stavano lamentando di lei. Mome taceva, ma scuoteva la testa. C’erano altri due uomini che aggiungevano la loro voce al coro di dissenso generale.
Jinx qua, Jinx là, Jinx ha fatto questo, Jinx mi ha accoltellato, Jinx mi ha quasi fatto saltare la testa, Jinx, Jinx, Jinxjinxjinx.
Sembrava quasi una canzoncina, pensò lei.
Di solito, quando commetteva un errore dovuto ad un blocco mentale per il suo passato, si affliggeva, in un misto di rabbia, delusione e nostalgia. Si autopuniva perché non era in grado di lasciarsi tutto alle spalle e guardare avanti. Quella volta, però, l’errore era stato umano, aveva semplicemente scambiato i colori di due bombe. Tecnicamente, non aveva sbagliato nulla.
Sì, va be’, aveva invertito il fumo con una detonazione, ma se fosse stata più accorta sarebbe andato tutto perfettamente. E la missione era riuscita. I due idioti che erano morti erano strafatti di shimmer, avrebbero tirato le cuoia comunque.
Eppure, sentiva un punteruolo pungerle il petto. Non era stato un errore così grave, non si era bloccata, ma era stato comunque un disservizio. Un’imperfezione. E mai nessuno, specialmente quella volta, si dimostrava contento di averla intorno.
Eccetto Silco.
- Smettela di parlare tutti insieme – ordinò placidamente, come un padre amorevole con dei figli piccoli.
Tacquero tutti. Silco non era un padre amorevole, e spesso l’apatia nel suo tono di voce era l’anticamera di una rabbia devastante che aspettava solo di essere rilasciata.
In più, Silco era un attore. E l’attore sa quando è il momento di parlare, quando ha l’attenzione della platea.
- Jinx ha degli ordini diversi dai vostri. Non pensate che io lavori su un solo fronte.
- Con tutto il rispetto, signore, ma dubito che le azioni di oggi siano stati tuoi ordini. Non la vogliamo nella prossima missione.
Eccoli là, a tacere di fronte a lei e poi sparlare con Silco.
Ma una volta che ti volti ci odiano.
Silco lanciò un’occhiata di fuoco a Sevika, ignorandone la frecciatina. – Spero che tu non stia dando ordini a me, Sevika. Siete solo delle pedine, tutti. In caso contrario, ci sareste voi al posto mio. Deciderò di fare ciò che è meglio fare, tenendo conto dell’intera situazione, cosa che voi non avete sott’occhio.
Ma Sevika non era il genere di persona, o di sottoposto, che si lasciava scoraggiare da quei commenti. Non sarebbe mai potuta diventare il suo braccio destro, altrimenti. – Lasciarla venire in missione è infattibile. Controproducente. È più il tempo che passa con la testa per aria che concentrata sul lavoro, ha dei tic a volte incontrollabili, e il suo sguardo… sono certa che non sia affidab…
Silco batté il pugno sulla scrivania così forte da far sbattere i cubetti di ghiaccio dentro al bicchiere. L’ira gli deformava i tratti del viso più di quanto avessero mai fatto le sue cicatrici, mascherate dal trucco. L’occhio malato sembrava risplendere di una luce sanguigna che gli veniva da dentro.
- Se avete finito di fare i capricci come dei mocciosi di tre anni, vi consiglio di rimettervi al lavoro. Non vi pago per lamentarvi.
Vedendo la mal parata, gli astanti si alzarono, dirigendosi brontolando verso la porta.
- Vorrei solo ricordarvi cos’è successo all’ultimo di voi che ha osato mettere in discussione le mie direttive.
Non si udì più alcun suono finché la porta non si richiuse alle spalle degli uomini, muti. Potevano essere scontenti quanto volevano, non si sarebbero mai opposti al loro capo. Soprattutto, non mentre l’immagine del corpo impiccato del loro compagno che si era azzardato ad alzare troppo la voce con Silco era ancora vivida nella loro mente.
Silco svuotò d’un fiato il bicchiere e lo sbatté sul tavolo, alzandosi di scatto subito dopo.
- Non permetterti mai più di contraddirmi davanti a loro. Ricordati che chi può dare può anche togliere, Sevika.
La donna si portò la mano al braccio di metallo impiantato al posto di quello che aveva perso. Avrebbe rinunciato a quello sano, piuttosto che a quello che Silco le aveva dato come ricompensa. Chinò il capo, anche se i pugni stretti indicavano che non aveva sotterrato del tutto l’ascia di guerra.
- Perdonami, signore. Ma sai come la chiamano gli uomini? Mina vagante. È incontrollabile, imprevedibile, e siamo tutti tesi quando è nei paraggi, spaventati all’idea di beccarci una pallottola nella schiena mentre siamo girati.
- Capita di essere colpiti da una pallottola, in battaglia, Sevika. Altrimenti sarebbe un pic-nic.
- Non una pallottola sparata da fuoco amico.
- Jinx stava testando un tipo di bomba più potente, le aveva detto io di provarla in combattimento.
- Ma il tempismo che lei ha scelto è stato il peggiore possibile!
Silco rimase zitto, raccogliendo i pensieri. Sevika non gliene diede l’opportunità.
- Perché non la punisci mai? Perché non le impartisci quella disciplina che…
Silco scagliò il bicchiere contro il muro alle spalle di Sevika, mancandola per un pelo. Per un centimetro ben calcolato. Jinx non era l’unica ad avere buona mira.
- Come ho già detto, ma forse sei dura di comprendonio, non hai il quadro della situazione sotto mano. Jinx è più importante di quanto ognuno di voi potrebbe mai essere. È indispensabile. Non mi aspetto che voi lo capiate, ma mi aspetto che tu rispetti i miei ordini. Ciò che io faccio o non faccio con uno qualsiasi dei miei uomini, o con Jinx, non è affare di nessuno. Tantomeno tuo, Sevika.
- Signore…
- Ti conviene andare a fare il tuo lavoro, prima che decida di appiopparti Jinx ogni giorno perché impari cosa fa un secondo in comando. Nessuno è indispensabile, tutti sono sostituibili.
Le tue parole sui muri mentre preghi per la mia caduta.
Sevika ingoiò orgoglio, rabbia, ogni tipo di sentimento funesto che provava in quel momento. Le velate minacce di Silco non erano mai state così dirette e soprattutto così dirette al suo ruolo.
Anche se dubitava che potesse esserci qualcuno migliore di lei in circolazione, Sevika sapeva anche che Silco dava sempre seguito alle sue parole. Non ci avrebbe pensato due volte a sbarazzarsi di lei, se avesse trovato la cosa utile.
Chinò quasi impercettibilmente il capo e si girò, pestando le schegge di vetro del bicchiere mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Jinx sporse del tutto la testa fuori, facendo una smorfia alla porta dalla quale Sevika se n’era andata.
A quanto pareva, tutti volevano essere suoi nemici.
Ma lei era pronta.
Silco, invece, non era molto divertito. – Devi stare più attenta, Jinx.
Lei scese di sotto, facendo roteare una lunga treccia nella mano come una frusta. I capelli erano cresciuti ancora, e lei aveva preso l’abitudine di bloccare i punti più deboli delle trecce con dei bulloni. Silco non si lasciò distrarre dal movimento.
- Però la bomba ha funzionato.
Silco si massaggiò la fronte, guardandola dal basso della sua sedia. Era anche cresciuta d’altezza, ma rimaneva comunque la più bassa tra i suoi uomini.
- Non posso permettermi di perdere soldati ad ogni errore che commetti.
Jinx si rabbuiò e, capendo che Silco non era molto in vena di scherzare, quel giorno, si appoggiò col fianco alla scrivania, le braccia incrociate al petto.
- Mi impedirai di andare ancora in missione?
Silco non la guardò nemmeno. – Non ho detto questo. E tu, vuoi smettere di prendervi parte?
- Non ho detto questo – lo canzonò Jinx. Poi si fece di nuovo seria. – Mi hanno chiamata Mina Vagante.
Silco fece cadere il braccio, la fissò apertamente, infastidito. – E allora?
Jinx distolse lo sguardo. – Già, in effetti mi hanno appioppato nomi peggiori. Però non sto simpatica a nessuno.
Risparmia la simpatia.
Silco stava perdendo la pazienza, era evidente. – Non devi essere simpatica, Jinx. Devi essere ciò che loro temono. Ciò che tutti temono.
- Anche tu mi temi? Loro dicono che sono matta.
Lo sguardo di Silco finalmente si addolcì, e lei vi riconobbe l’affetto che lui riservava solo a lei. Si sedette sulla scrivania di fianco a lui, appoggiandogli la testa sulla spalla. Silco non la toccò, ma non la fece nemmeno spostare.
- Non ho nulla da temere da te. Gli altri possono dire quello che vogliono, loro non capiscono.
- Ma io sono diversa!
Silco le fece alzare il viso, le afferrò le gote con una mano avvicinandola a sé come se dovesse sgridarla. Il fuoco che gli ardeva negli occhi sembrava proprio di rabbia.
- Tu sei forte proprio perché sei diversa.
Le sue parole ebbero l’effetto di uno schiaffo. Rivisse quello schiaffo nella mente, datole dalla persona che amava di più al mondo. Rivisse le parole che un tempo quella persona le aveva rivolto, rassicuranti, intrise d’amore.
- Ciò che ti rende diversa ti rende forte.
Se anche Silco lo pensava, forse stava per tradirla. Anche lui l’avrebbe abbandonata. Strizzò gli occhi, cercando di scacciare le visioni nella sua mente. Le voci.
- Prima o poi compirò il gesto di troppo. Allora, anche tu mi volterai le spalle, come tutti. Anche tu mi…
Silco le strinse il viso fino a farle quasi male, sfiorò il suo naso con il proprio. – Tu sei perfetta, Jinx. Non ci sarà mai un motivo per cui io debba voltarti le spalle.
Jinx gli buttò le braccia al collo, inspirando il suo profumo maschile, un misto di fumo, alcol, colonia e la traccia dolciastra che lo shimmer gli lasciava sulla pelle. Era odore di casa, per lei.
Silco le accarezzò un braccio.
- Forse però hai bisogno di più spazio per collaudare le tue esplosioni.
A Jinx sfuggì una risatina. Tirò fuori la nuova bomba e gliel’agitò sotto il naso. Lui non si scompose.
- Avresti dovuto vedere! Era tutto un boom, e poi poww, e poi i lampioni hanno fatto fshiuuuuuu.
Silco si pulì uno schizzo di saliva che Jinx aveva sputacchiato mentre cercava di fargli capire la meravigliosa sinfonia di suoni che aveva prodotto la sua bomba nell’esplosione.
Poi annuì una volta, soddisfatto. – Bene. Raggio d’azione?
- Una volta e mezzo la deflagrazione di quelle classiche. Bel risultato, eh?
Silco sorrise leggermente, contagiato dal suo entusiasmo. Che dicessero quello che volevano, lui non avrebbe sgridato Jinx. Non ce n’era bisogno, non aveva mica sbagliato intenzionalmente.
- Sai, Jinx, le pallottole vaganti sono quelle che la gente teme di più. Dell’amicizia non c’è da fidarsi, ma il timore che la gente nutre per te non ti tradirà mai.
Lei roteò gli occhi. Gli stava parlando dell’esplosione incredibile che aveva scatenato, non ne voleva più sapere delle sue pillole di disciplina! Cercando di vedere la sua maschera crollare, tirò fuori un’altra bomba e…
Tolse la sicura.
Silco si agitò, terrorizzato, ma quello che gli esplose in faccia fu solo un innocuo fuoco d’artificio. La sua espressione divenne una maschera di ghiaccio infastidita.
Lei invece rise di gusto. – Per festeggiare la riuscita della nuova bomba!
- Non sganciarmi mai più una bomba sotto il naso, Jinx – l’ammonì lui, gelido, rimuovendosi della polvere esplosiva dal vestito.
Jinx trattenne a stento uno sbuffo, poi gli tese una mano.
Silco vi depose sopra la siringa per le iniezioni, sistemandosi nella corretta posizione.
- Dove lo dovrei trovare, il posto per le mie esplosioni? – chiese lei spingendo l’ago.
Silco gemette, un grido di dolore strozzato in gola, le mani deformate nel tentativo di artigliare qualcosa e strapparlo. Poi si calmò, posò la testa sulla gamba di Jinx.
- Qualcosa troveremo. Ora vai a lavorare sulla differenza tra una bomba fumogena e una esplosiva.
Jinx incassò con nonchalance la frecciatina. Non l’aveva nemmeno sgridata, poteva permettergli quell’osservazione in fin dei conti corretta. Era stato un suo errore lo scambio di bombe, e lui non si era arrabbiato.
- Sì papino – disse soavemente, a metà tra il serio e il faceto.
Silco grugnì mentre si accendeva il sigaro, tornando ad analizzare il rapporto di quella mattina. Nonostante lo sbaglio di Jinx, la missione era andata a gonfie vele.
E lei lo sapeva.
Così scese di sotto, nel club, facendosi roteare Zap! sull’indice. Rivolse uno sguardo compiaciuto a Sevika, che la fissava disgustata con l’aria di chi è pronto a strozzare qualcuno. Si sedette al bancone e schioccò le dita. Thieram smise di servire gli altri per portarle subito il suo bicchiere personale colmo di succo. Con la sua cannuccia.
Jinx ne sorbì un sorso voluttuosamente, senza staccare gli occhi da Sevika. Poi afferrò il bicchiere e si diresse di nuovo di sopra.
- Attenta, Sevika, una Mina Vagante colpisce dove meno te lo aspetti.
Attenta a te stessa.
Infuriata, la donna strinse il bicchiere così forte nel pugno da romperlo in mille pezzi.
Jinx sorrise e se ne andò, passando dall’ufficio di Silco per salire in camera. Lui la degnò appena di uno sguardo.
- Mangia qualcosa – le intimò, quando vide solo il succo nella sua mano.
Chi se ne fregava di Sevika, di Vi, di ciò che era stato, dei nomignoli. Silco le copriva le spalle e le aveva detto che gliele avrebbe coperte sempre.
Al contrario delle parole di chiunque, le sue erano vere, dal momento che ogni volta si dimostrava fedele ad esse.
Non sarò mai una santa… e lui la voleva proprio così.
Così Jinx corse a dargli un bacio prima di arrampicarsi di sopra, soddisfatta della giornata.
Silco nascose un sorriso con la mano.

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Capitolo 12
*** More space (When the world turns around, he holds me down for sure) ***


Capitolo 12!!! Ne mancano 2! Ed ecco la storia di come Jinx (secondo me ovviamente, nulla di canon) si sia ritrovata a vivere in quel burrone.

12. More space (When the world turns around, he holds me down for sure)

Our Love – Curtis Harding ft. Jazmine Sullivan, track 02

 
There's a girl in town and word's gone around she's just fine
So I don't worry my head 'cause I know her heart is tied to mine
The life that we live and the love that I give to her
Each day it grows more and more I'm sure, it shows
Well
 
Is a bubblin' fountain,
that flows into a sea,
deeper than any ocean,
for eternity.

 
 ~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
 
Un attimo prima stava fissando la sua nuova bomba, l’attimo dopo il soffitto di camera sua. Un soffitto che però non era sopra la sua testa, in cui doveva stare anche un po’ chinata per non sbattere la testa, com’era accaduto fin troppo spesso negli ultimi mesi. No, il soffitto era molto molto in alto, lontano.
E lei non era in piedi sul pavimento, ma sdraiata sul pavimento che era crollato sul pavimento di Silco.
Troppi pavimenti.
Oh, e aveva cinque pistole e due coltelli puntati addosso.
Silco era inorridito, sgomento, ma era l’unico che sembrava non ritenerla una minaccia concreta.
Coperta di polvere, con i capelli bianchi anziché blu, Jinx agitò in aria la sicura della bomba. – Ops…
Un’altra piccola detonazione fece crollare un’altra porzione di soppalco in testa a quel macigno di Darren, che non vacillò nemmeno sotto la pioggia di polvere, legno e detriti.
Non tossì neanche, a contrario degli altri.
Jinx fissò Silco, terrorizzata da lui e solo da lui. Dall’idea di averlo deluso. Sarebbe stata cacciata. E aveva rivelato il suo nascondiglio, rimasto occultato per tutti quegli anni.
Ma Silco non pareva avercela con lei. La scandagliava come un radar, alla ricerca di eventuali ferite. Quando non ne trovò, si riappoggiò allo schienale della sedia, imperturbabile. La polvere non lo aveva nemmeno raggiunto.
- E lei da dove sbuca? – chiese Sevika, rompendo il silenzio generale che si era posato sulla stanza come un sudario. – Stava origliando?
Jinx le tirò dietro il gancetto dell’ordigno. Sevika non batté ciglio, così le fece una boccaccia.
- Tutti fuori – le rispose Silco. - Voglio qualcuno qui tra un’ora per ripulire questo casino. Un minuto di ritardo, e vi faccio sistemare tutto con la lingua, finché il mio ufficio non tornerà lustro.
- Ma è stata Jin…
Silco bloccò lo slancio di un sottoposto con un’occhiata che l’avrebbe fatta fare sotto ad un bambino. – In caso contrario, vi imbottirò di shimmer finché non crepate. Andate.
La processione borbottante e malcontenta di uomini e donne si diede in fretta alla macchia, impaziente di trovare qualcuno che sbrigasse quel lavoro sporco in tempo per non doverlo fare loro con metodi non convenzionali. Le minacce di Silco, lo sapevano bene tutti quanti, venivano sempre applicate quando ce n’erano i presupposti.
Sevika lanciò un’occhiata disgustata e allo stesso tempo perplessa a Jinx quando la vide alzarsi e ripulirsi senza il minimo pudore, come se non fosse stata lei a far esplodere l’ufficio di Silco. Quest’ultimo si schiarì la voce in un palese sollecito, al che Sevika distolse lo sguardo e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. Non prima però di aver lanciato un’occhiata in alto, e aver visto il lungo ripiano di lavoro di Jinx ancora intatto. Fare due più due non fu difficile per lei, che comprese con la brutalità di uno sparo che aveva del tutto sottovalutato l’affezione di Silco per quella bamboccia.
Silco rilassò la schiena, fissando però con aria corrucciata e severa prima il buco sul soppalco, poi Jinx, che si era tolta le scarpe per farne uscire la polvere. Starnutiva a ripetizione.
- Pizzicaaaa – piagnucolò lei, perdendo per un attimo l’equilibrio con un piede in aria e il viso chinato per un altro starnuto. Tirò su col naso.
Silco sospirò. – Vieni qui – le ordinò, con un tono talmente ambiguo che avrebbe potuto essere un invito a dargli un abbraccio o ad andare da lui per essere impiccata.
Jinx saltellò fin da lui e Silco picchiettò il ripiano della scrivania di fronte a sé mentre si alzava per lasciarle spazio. Mentre lei si sedeva con una smorfia, più dolorante di quanto si fosse aspettata, lui le allungò un fazzoletto perché si ripulisse il viso. Quasi sorrise quando vide che anche le sue ciglia erano diventate bianche, e ormai l’unica cosa azzurro cielo che si notava erano i suoi occhi grandi e magnetici. Sul fondo, la paura dell’abbandono era sempre presente, bene in vista per chi sapeva coglierla. Per chi sapeva cosa si provasse, cosa significasse.
Silco le accarezzò fugacemente la testa mentre con un altro fazzoletto le puliva la gamba, su cui svettava un taglio profondo sotto il ginocchio. Le applicò poi un cerotto, di cui aveva una scorta nel cassetto, insieme alle bombe di Jinx e ad alcuni suoi pastelli. Aveva cominciato a tenere i cerotti lì da quando Jinx era andata in missione per la prima volta. Ogni volta che tornava aveva qualche taglietto o escoriazione che cercava di non fargli notare, ma lui li vedeva tutti. Si sentiva debole quando lui la curava, mentre Silco si sentiva potente. Sentiva di avere il controllo su di lei, sul loro legame. Sentiva che erano vicini, che erano uniti.
La verità era che Jinx stava crescendo, ormai era alle porte dell’adolescenza, e i giovani a quell’età diventavano… ribelli, irrequieti. In qualche modo, nel profondo, Silco temeva che Jinx si allontanasse, che pensasse di non avere più bisogno di lui. Ecco perché era accomodante, e perché cercava di rendersi indispensabile.
E dopotutto la pioggia cadrà anche su di noi.
Silco aveva smesso di odiarsi per il modo in cui si sentiva. Aveva smesso di recriminarsi per la debolezza che mostrava con lei, per lei. Perché quel sentimento d’affetto era la cosa più pura che avesse mai provato, e anche la sua anima nera e marcia aveva bisogno di una punta di luce per non perdersi del tutto.
Così le mise un cerotto sul taglio e, dopo aver visto che la ferita non veniva coperta del tutto, gliene applicò un altro perpendicolare. Una X.
Jinx sollevò la gamba per osservare quell’intreccio di cerotti. – Carino, sembra un bersaglio.
Lui non reagì, nemmeno una smorfia. Le lanciò solo un’occhiata fugace prima tornare a guardare la devastazione di fronte alla scrivania con le mani sui fianchi.
- Che è successo?
Jinx si rabbuiò. – Stavo sperimentando una nuova bomba. Una che si attacca ai vestiti. Fico, no? Però non è andata molto bene.
- Rispetto al solito, la detonazione è stata parecchio debole.
Sembrava una presa in giro, data la distruzione che giaceva proprio al centro dell’ufficio. Ma non lo era. Le bombe di Jinx erano potenti, l’esplosione di una sua bomba avrebbe dovuto come minimo far crollare l’intero ufficio. Invece era caduto solo il suo letto e una porzione di pavimento della sua stanza, a giudicare dal materasso che giaceva smembrato tra i detriti. Piume e rocce mescolati come amanti dannati.
- L’ho caricata poco. Era una prova. Non volevo farla esplodere in camera, ma la mascella della bomba si è attaccata alle coperte e quando le ganasce si chiudono la sicura si toglie.
Silco la guardò con la fronte aggrottata, perplesso. Faticava spesso a stare dietro alla mente geniale di Jinx, gli serviva qualche dimostrazione pratica prima di comprendere. Ma mai Jinx aveva fatto detonare una bomba in camera. Era un divieto categorico che lui non aveva nemmeno dovuto imporle, tanto era palese. Era la prima volta che Jinx commetteva un errore del genere, e il risultato era stato disastroso. Nel momento peggiore, oltretutto, in piena riunione con alcuni dei suoi uomini e Finn come rappresentante dei Baroni Chimici. Anche se cacciarlo fuori gli aveva causato una certa soddisfazione. Quel ragazzetto non gli piaceva per nulla, aveva l’arroganza che Silco aveva indossato come una maschera solo dopo essere riuscito a conquistare qualche risultato. Finn invece se l’era presa, quella boria, come un bambino viziato con un giocattolo altrui. Aveva capito subito che gli avrebbe dato dei problemi.
Jinx schioccò le dita di fronte al suo viso per riportarlo tra i vivi, e Silco sbatté l’unica palpebra che aveva. Non si era reso conto di essersi incantato.
Jinx teneva tra le mani un giocattolino che gli aveva dato mesi prima, una specie di testa di gufo con una mascella seghettata.
- Vedi? Queste nuove granate hanno la mandibola sporgente, non infossata come questa. Quando le lancio, dovrebbero chiudersi e attaccarsi ai vestiti. In questo modo, la sicura si stacca e la bomba esplode. Un morso mortale – ridacchiò, con aria un po’ folle. – Ma la spoletta può essere estratta anche manualmente come nelle bombe classiche. Quindi ha un doppio uso. Capito?
Sì. Ed era un’idea geniale. Ma non glielo disse. Un conto era essere consapevole di quell’amore platonico, un altro era farlo sapere anche a lei. Un minimo di controllo doveva esercitarlo.
- Per quale motivo l’hai lanciata sul tuo letto?
Jinx si grattò la testa, trovandosi con la mano bianca di polvere. Starnutì di nuovo.
- Ho sbagliato… - mormorò, contrita. Volevo uscire a testarla, la carica era poca in modo da non destare troppi sospetti per strada, ma… mi è caduta e la mascella si è chiusa…
Bugia. Lei odiava le bugie, ma non voleva dirgli che era stato Mylo a provocarla. Che aveva voluto scagliare la granata contro di lui per farlo tacere, perché non stava mai mai mai zitto (anche Vi lo diceva). Mylo si era impossessato della sua mente, ingrandendosi come un mostro dalle zanne affilate in accecanti tinte di pastello bianco. La bomba le era sfuggita di mano.
Un incidente, nulla di che.
Jinx si voltò a fissare il cuore di camera sua, che giaceva sul pavimento. Mylo non si era nemmeno schiantato. Aveva sempre fortuna, quello stupido. Sentì le lacrime pungerle gli occhi e sperò che Silco non lo notasse. Camera sua… le piaceva, camera sua.
Si alzò per andare a recuperare il pupazzo di Vi da sotto le macerie, il cuscino, che per qualche motivo era rimasto intatto, e altri attrezzi e oggetti che erano sopravvissuti più o meno bene alla deflagrazione.
Silco si massaggiò la fronte con le lunghe dita magre.
- Avevo già detto che hai bisogno di più spazio per i tuoi esperimenti.
Jinx si bloccò. Paventava il momento in cui Silco si sarebbe stufato di lei, dei suoi continui errori e fallimenti. Aveva incubi su di lui che le diceva che era ora che lei se ne andasse, e forse quel tanto temuto scenario stava per avverarsi.
- In più sbatti costantemente la testa. Sento i tonfi della tua nuca contro il soffitto, soprattutto quando sono con qualcuno e tu stai zitta per non farti sentire. Quello spazio era diventato troppo piccolo, forse hai solo accelerato il processo. Non è per forza un male.
Jinx sentì il macigno che aveva sullo stomaco crollarle fino ai piedi, ma non si reputava ancora del tutto al sicuro.
- Vuoi che me ne vada?
Silco la guardò con espressione perplessa e bocca dischiusa, come se Jinx avesse appena detto che voleva entrare in una di quelle associazioni monacali di Piltover.
- Andare dove?
Jinx si strinse nelle spalle. – Via? Lontana?
Silco sentì un brivido attraversargli la schiena. – Tu vuoi andartene lontana?
- No! – il quasi urlo di Jinx fece tornare la calma nel suo animo.
Mentre il mondo gira, lui mi tiene ferma di sicuro.
- Ti cercherò un posto nelle vicinanze. Non puoi prenderti una delle stanze qui accanto, non avresti comunque spazio d’azione.
Jinx sapeva che aveva ragione, ma per qualche motivo continuava a temere che volesse sbarazzarsi di lei.
- Mi dispiace per oggi.
- Non farlo. Tu stai bene, al resto si può trovare rimedio.
Jinx annuì e si rimise a raccattare le sue cose, ma quando diede le spalle a Silco sorrise.
Silco si rimise al lavoro con il cuore leggero, ragionando su dove potesse trovare un luogo di lavoro per Jinx che non fosse troppo vicino, né troppo lontano, dal Last Drop.
La osservò di sottecchi mentre scavava, silenziosa per una volta.
Forse avevano entrambi la stessa paura, rifletté. Forse si erano legati così tanto che il fantasma di un nuovo abbandono li perseguitava come uno spettro.
L’amore era una lama a doppio taglio, sì, ma…
Il nostro amore è una fontana spumeggiante che sfocia in un mare più profondo di qualsiasi oceano, per l’eternità.
 
Quando vennero due sgherri a proporsi di ripulire l’ufficio in cambio di shimmer, anche con la lingua se necessario, Jinx era già sparita. Aveva occupato temporaneamente una stanza lì di fianco, portandoci le sue cose, ma non aveva intenzione di sistemarle. Sapeva che sarebbe stata questione di pochi giorni prima di raccattare di nuovo tutto e andarsene.
Silco uscì dopo aver messo sotto chiave gli oggetti e i documenti più importanti. Lo shimmer comprava l’obbedienza, non l’onestà.
Si mise il soprabito e chiamò Sevika per andare con lei e fare un giro dei dintorni.
- Per controllare che tutto sia in ordine – le disse.
“Per cercare un posto per Jinx”, le tacque.
Sevika cercò di nascondere una smorfia a quella bugia. Avrebbe voluto chiedergli tante cose, ma non osava. A dire il vero, non sapeva nemmeno da dove partire.
Da quanto tempo la ragazzina viveva letteralmente sopra di lui?
Era ovvio che lui lo sapesse, ma… voleva che origliasse, come se Jinx fosse una sua spia, o era solo un dettaglio di cui non si curava?
Quanto spesso interagivano durante il giorno?
Di sicuro si spiegava come i due fossero così a loro agio l’uno con l’altra nonostante Jinx non fosse mai stata vista in sua compagnia, se non quando lui dava le direttive per un incarico.
E spiegava per quale motivo Silco fosse sempre disposto a difenderla.
Il rapporto tra quei due si era evoluto in una maniera che sfuggiva del tutto alla sua comprensione. E che le faceva paura.
Se Silco percepì le elucubrazioni di Sevika, cosa che di sicuro intuì perché la conosceva e non era stupido, non lo diede a vedere. Si concentrò invece sulla conformazione della sua città, di Zaun.
La Città Sotterranea.
Meritava quel nome non solo perché il terreno era più basso rispetto a quello di Piltover, ma anche per come si presentava: cunicoli, pertugi, fiumi e profondi crepacci a pochi passi di distanza. Potevi finire in acqua e poi affacciarti su un burrone senza nemmeno fare dieci passi.
E poi le miniere. Avevano sempre scavato in quella città, come se fossero davvero diventati i ratti che Piltover volevano far credere loro di essere.
Risultato? Profonde gole abbandonate che si aprivano sul nulla.
E fu proprio in una di quelle che trovò quello che faceva al caso suo.
- Signore? – lo interrogò Sevika quando vide che Silco aveva cambiato direzione, infilandosi in uno stretto passaggio che si perdeva nelle viscere della terra. Un sentiero stabile che si affacciava sul vuoto, un ponte di legno in buone condizioni, e di fronte a loro si aprì uno spettacolo ossimorico. Il terreno su cui poggiava tutta Zaun era sottile, pericolante, dava sul nulla, eppure reggeva. Da secoli.
In quella fessura di mondo da cui una caduta sarebbe stata parecchio lunga, oltre che fatale, l’uomo era comunque riuscito a mettere il suo zampino. Una trivella da scavi penzolava nel vuoto, ancora attaccata chissà come ai cavi di sostegno e alla roccia che non era più riuscita a sbriciolare. Con ogni probabilità, quel marchingegno lì ci era caduto. Non poteva aver scavato un tale precipizio, né in altezza né in lunghezza. No, era finito lì per caso, come Jinx era finita per caso nella sua vita.
Un posto che sembrava perfetto per delle esplosioni, ampio, profondo, lontano da orecchie indiscrete e convenientemente vicino al Last Drop. Spazio per vivere, per disegnare, per progettare.
- Portami qui i migliori costruttori che trovi in città, e due tecnici. Non farmi aspettare troppo – ordinò Silco a Sevika, che esitò appena.
Decise che era meglio darsi una mossa e non porre domande, saggiamente, così se ne andò.
Silco rimase a scrutare l’ambiente. Era vicino al Last Drop, sì, ma non così vicino com’era stata camera sua fino al giorno prima. Jinx si sarebbe sentita… abbandonata? Si sarebbe allontanata, o avrebbe pensato che lui voleva allontanarla?
Cercò di soffocare quelle stupide inquietudini mentre attendeva la manodopera. Lontananza o no, quel posto era perfetto.
 
L’ambiente fu pronto dopo tre giorni. Silco aveva minacciato gli uomini di appenderli lì come la trivella stessa e lasciarli a morire di fame se fosse successo qualcosa, se il macchinario avesse ceduto, o se ci fossero state delle complicazioni. Motivo per cui, sapendo che Silco non scherzava, i lavoratori avevano impiegato un giorno in più a mettere a punto quel posto.
Avevano un po’ creato e un po’ ricostruito l’impianto idraulico, per cui dalla vasca che Silco aveva ordinato di portare lì ora usciva acqua pulita per lavarsi. Acqua calda, grazie ai generatori della trivella. Era un gioiellino quel marchingegno, ancora nuovo nonostante fosse appeso lì inservibile da chissà quanto tempo. Gli estrattori che l’avevano perso dovevano aver buttato via un sacco di soldi.
Un po’ come quelli che aveva speso Silco. Ammodernare, mettere in sicurezza e provvedere a quel posto tutti i comfort era costato una piccola fortuna. Di fianco a lui, vicina quanto la sua ombra, Sevika aveva guardato con occhio critico e malcelato cinismo il lavoro che si era svolto, incredula.
- Signore, volete farne un nuovo quartier generale? – aveva chiesto, temendo la risposta.
Silco aveva fatto una smorfia, rispondendole semplicemente posando una bomba di Jinx sul bancone al centro della trivella, su cui spiccavano i cavi del collegamento elettrico.
Una muta risposta che aveva fatto inorridire Sevika, mentre Silco la osservava da sopra una spalla sfidandola con il solo occhio cattivo a mettere bocca in quella decisione.
Sevika aveva taciuto.
Ora la domanda era: a Jinx sarebbe piaciuto?
 
Così non mi preoccupo perché so che il suo cuore è legato al mio.
Jinx aveva urlato quando aveva visto quel posto. Aveva aperto e riempito la vasca, saltellando quando l’acqua calda le aveva scottato la mano, aveva acceso le luci, aveva saltato sul letto posto dall’altra parte del crepaccio, in una rientranza della roccia, come una piccola grotta. Aveva corso sulle ali della trivella, battendo i piedi per testarne l’impeccabile resistenza e stabilità. Aveva accarezzato il grammofono che Silco aveva fatto portare lì, aveva lanciato in aria la fornitura di pastelli nuovi, si era gettata sul divano. E poi gli era corsa incontro buttandoglisi addosso. Erano rovinati a terra, e Silco aveva imprecato per il dolore.
- Sei troppo grande per queste cose, Jinx! – la riprese con stizza, rialzandosi a fatica.
Ma Jinx non si era lasciata intimorire, e aveva continuato ad abbracciarlo saltellando.
- Davvero è tutto per me? Tutto tutto?
- Qui non puoi far crollare il soffitto – specificò lui, laconico.
Tono freddo quanto era caldo il suo stomaco, lì dove Jinx lo stringeva.
- Questa è la cosa più incredibile che abbia mai visto! Ed è tutta mia!
Fece un altro giro di corsa, mentre Silco la seguiva con più calma. Non soffriva di vertigini, ma attraversare le pale di quella trivella faceva venire il capogiro persino a lui.
- Qui potrai sperimentare quanto vuoi. Mi aspetto quanto prima quella nuova fornitura di bombe a cui accennavi.
Jinx si lanciò di sotto da un cavo a cui si era appesa come una scimmia. Inforcò i suoi occhiali da lavoro e accese la lampada posata sul bancone.
- Puoi contarci. Qui costruirò tante di quelle meraviglie che il tuo shimmer sembrerà una creazioncina scadente.
Silco incurvò appena le labbra. – È quello che mi aspetto.
Poi Jinx si fermò, si girò verso di lui. La luce gaudente che aveva splenduto fino a quel momento nei suoi occhi color cielo si spense come una candela.
- Non è molto vicino al Last Drop. Verrai a trovarmi spesso?
Silco deglutì prima di risponderle, cercando di tenere la voce ferma. – Le impalcature sopra il mio ufficio erano di metallo, non di legno. Hanno retto tutte. Potrai usarle quando vuoi per venire da me. Non cambierà nulla.
Jinx si rianimò, sorridendo estatica. – Quindi non mi stai cacciando, giusto? Posso venire quando voglio? Quanto voglio?
Silco sentì quella stupida preoccupazione scoppiare come un palloncino.
La vita che viviamo e l’amore che le do, ogni giorno cresce sempre di più, ne sono certo, si vede.
Non sarebbe stato qualche passo di distanza ad allontanarli.
- Voglio trovarti lì ogni volta che avrò bisogno di te – l’ammonì, come se la stesse minacciando.
E forse una minaccia lo era davvero. Non voleva che stesse troppo distante.
Le porse la siringa per l’iniezione, che Jinx afferrò sorridendo, accarezzandogli affettuosamente la mano.
- E non solo per questa – le disse, mettendo in chiaro che non era solo il loro appuntamento fisso per curargli l’occhio il motivo per cui la voleva lì.
- Verrò a disturbare spesso, allora – scherzò lei, spostando lo sgabello per farlo sedere.
- Non disturbi mai – ammise Silco in un bisbiglio che nemmeno Jinx udì.
 
 
 
 
 
Extra
Un mese dopo Jinx si trovava sulle travi sopra la testa di Silco, che stava finendo di parlare con Marcus. Fumava spesso il sigaro quando c’era lui, gli dava come un’aria da duro, si era resa conto Jinx. Quando fumava ostentava sicurezza, quella sicurezza e quel senso di potere di cui doveva sempre dare prova ai sottoposti. Lì o mangiavi o venivi mangiato, e Silco aveva un appetito inesauribile.
Quando se ne fu andato, Jinx attese con pazienza, legando tre bombe a dello spago resistente che poi fece scivolare in completo silenzio sopra la scrivania di Silco, su cui rimasero sospese a mezz’aria.
Dando le spalle alla porta e alla scrivania, senza nemmeno alzare lo sguardo, Silco disse: - Cosa mi porti oggi?
Aveva un’incredibile capacità di capire quando lei era nei paraggi. A volte Jinx se ne stava lì per ore, o solo per pochi minuti, ma quando Silco le parlava lei c’era sempre. Lui la sentiva.
Sapeva che c’era, e gli andava bene così.
Jinx si lanciò di sotto, entusiasta per la presentazione che stava per fare.
- Funzionano! – esclamò. – Funzionano tutte.
Silco girò sulla sedia, trovandosi faccia a faccia con gli ordigni.
La bomba fumogena rivisitata.
La bomba della piccola esplosione, o esplosione noiosa, come la chiamava Jinx.
La bomba mascella.
La prima era narcotizzante, la seconda era un diversivo, la terza era una bomba in tutti i sensi. Una bomba di bomba.
- Le ho testate tutte. Nessun inceppamento, nessuna controindicazione. Vuoi vederle in azione?
- No. Ne voglio cinque di ogni tipo.
Quella fiducia cieca, tra le altre cose, era ciò che più faceva emozionare Jinx. Certo, avrebbe voluto mostrargliele. Lei ne era orgogliosissima. Ma Silco si fidava del suo lavoro, al punto di accettare degli esplosivi a scatola chiusa.
- Hai finito di portare le tue cose di là? – le chiese Silco, come se “di là” fosse la camera accanto e non un burrone a cinque minuti di distanza.
- Tuuutto pronto. L’ho anche decorata. È la cosa più bella che abbia mai ricevuto. Vado a testare qualche altra bomba!!
Jinx alternava momenti di euforica iperattività ad attimi di depressione profonda, ma Silco non le faceva mai storie.
La voce di Jinx gli arrivò dopo due minuti dalle travi.
- Qual è la cosa più bella che tu abbia mai ricevuto? – gli chiese, un accenno di sorriso nella voce fin troppo curiosa.
Silco non sollevò gli occhi dalla lettera che stava scrivendo, imperterrito.
- Vai a produrre qualcosa, Jinx – la sgridò bonariamente, facendola ridacchiare.
“Tu”, avrebbe dovuto dirle.
Lei.
Il regalo più bello e inaspettato che avesse ricevuto.
Insieme al cassetto pieno di ordigni che riposavano tranquilli nella sua scrivania, tutti riportanti il suo marchio, la sua firma.

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Capitolo 13
*** Not necessary (Come on, shoot faster, just a little bit of energy) ***


Penultimo capitolo!! Non riesco a credere di aver quasi finito di postare. E per una volta, una raccolta già conclusa, con cui non sono in ritardo. WOW.
Il capitolo tratta un po' della canzone di Jinx, Get Jinxed, che è una BOMBA (scusate il gioco di parole). Creata prima di Arcane, incredibile come si adatti perfettamente a tutto ciò che Jinx rappresenta.
Spero che il capitolo vi piaccia!


13. Not necessary (Come on, shoot faster, just a little bit of energy)

Get Jinxed – League of Legends

 
Wanna join me?
Come and play
But I might shoot you in your face
Bombs and bullets will do the trick
What we need here is a little bit of panic
Do you ever wanna catch me?
Right now I'm feeling ignored
So can you try a little harder?
I'm really getting bored
Come on, shoot faster
Just a little bit of energy
I wanna try something fun right now
I guess some people call it anarchy
Let's blow this city to ashes
And see what Pow-Pow thinks
It's such pathetic neatness
But not for long 'cause it'll get jinxed

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
 
Jinx accese la musica a tutto volume, si spogliò, si sciolse le trecce e si immerse nella vasca calda e piena di bolle.
Fare il bagno la rilassava, la aiutava a liberarsi delle voci, dei pensieri, di qualsiasi cosa. Spesso la aiutava a trovare la soluzione a qualche problemino che riscontrava con le nuove invenzioni. Si insaponò i capelli, e con la schiuma ancora in testa si mise a giocare con una paperella di metallo che aveva costruito lei. Al posto del becco aveva una mascella letale con la quale si era tagliata diverse volte. Il sangue nell’acqua le dava fastidio, stingeva nel rosa.
Il rosa… odiava quel colore. O lo amava?
Sospirò, cercando di scacciare il pensiero. Si girò verso Mylo e gli fece il dito medio, prima di sciacquarsi i capelli. Si guardò il braccio destro e sorrise.
Il blu era il suo colore. E anche di Silco. Glielo aveva detto lui che…
- Jinx.
Parli del diavolo…
Silco se ne stava a pochi passi di distanza, vicino al grammofono, irritato. Odiava quando lei metteva la musica ad un volume così alto da non riuscire a sentirlo. Gli aveva dato fastidio quando la camera era sopra la sua, e gli dava fastidio anche ora che lei viveva isolata.
Be’, quello era il suo spazio e la musica l’avrebbe messa al volume che voleva. Ossia ad un passo dallo spaccare i timpani. Lo adorava.
- Sono ioooooo! – esclamò lei, felice, schizzandolo giocosamente con l’acqua.
Silco sembrava tutto fuorché divertito. La sua espressione sarebbe anche peggiorata, se l’acqua lo avesse colpito, ma fortunatamente per lui era troppo lontano e gli schizzi si fermarono ai suoi piedi.
- Ti avevo dato un appuntamento per oggi! Un’ora fa! Pensavo ti fosse successo qualcosa, non che ti fossi persa in un bagno!! – berciò lui, arrabbiatissimo.
Jinx si morse il labbro, leggermente contrita. Si era dimenticata in effetti del loro appuntamento. Le aveva chiesto di assistere ad una riunione con Marcus. Sospettava che lo sceriffo esitasse, che non avesse ancora capito come funzionavano le cose con lui, nonostante gli anni di collaborazione che avevano affrontato. Silco voleva che Jinx ascoltasse il loro discorso, e poi spiasse Marcus.
- Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, Jinx – le aveva detto.
La lealtà legata ai soldi è effimera. C’è sempre qualcuno che può offrire di più, e una moneta può svalutarsi.
Jinx era sinceramente dispiaciuta di essersi dimenticata l’appuntamento. Quell’incarico era un grande onore, sapeva che Silco lo avrebbe dato solo a lei, che aveva fiducia solo in lei per una questione così delicata.
Lo aveva deluso.
Si abbassò sotto il pelo dell’acqua, come per lasciare che le bolle la nascondessero alla sua vista.
- Mi dispiace – mormorò, vergognandosi.
Poi però scattò in piedi, uscì dalla vasca con i residui di sapone che ancora le colavano dal corpo e corse ad afferrare un asciugamano. Alle sue spalle, i capelli formavano uno strascico blu che Jinx si affrettò a raccogliere e ad avvolgersi attorno al collo come una sciarpa. Diede un’occhiata al divano su cui stazionava Mylo e gli fece una linguaccia. I suoi “bla, bla, bla” fosforescenti le mettevano sempre voglia di far esplodere qualcosa. Ciarlatano.
Silco distolse lo sguardo senza battere ciglio. Jinx non era molto pudica, aveva scoperto con il tempo. Non con lui, almeno. Come se fosse davvero suo padre, come se anche il suo corpo gli appartenesse. Solo una volta lui si era permesso di guardarla, per caprine la conformazione, se fosse in salute. Come ogni cosa che la riguardava, aveva pensato che fosse perfetta, anche fisicamente. Ma si costringeva a non guardare da alcuni anni, da quando Jinx era entrata nell’adolescenza, da quando il suo corpo aveva cominciato a cambiare, a diventare quello di una donna. Il seno le era cresciuto, le gambe di erano allungate, i fianchi si erano allargati. Silco non lo faceva per pudore, ma per rispetto. Perché, da donna, Jinx apparteneva solo a se stessa. Non più a lui. E non voleva varcare quel confine, non voleva violare ciò che stava diventando, anche se lei non ci faceva caso. Non sulla soglia dei sedici anni.
L’importate era che non si mostrasse nuda agli altri.
Quando gli passò davanti assottigliò l’occhio, poi lo spalancò, stupito. Aveva visto troppo blu con la visione periferica.
Lei aveva appena finito di avvolgersi l’asciugamano attorno al corpo quando Silco si voltò.
Aveva dei tatuaggi sul braccio destro. E sulla schiena.
- Jinx! – la chiamò, stupito.
Jinx lo interpretò come rabbia, perché sussultò e sembrò incurvarsi quando si voltò.
- Dei tatuaggi?! Quando li hai fatti?
Jinx sgranò gli occhi, si coprì il braccio di riflesso, come se così potesse nascondere ciò che aveva fatto un mese prima.
Era stato un colpo di testa, il suo. Stava camminando per le strade di Zaun prima dell’imbrunire, quando erano ancora relativamente vuote. La quiete prima della tempesta notturna di voci, corpi e fumi. Aveva visto un uomo uscire dall’atelier di un tatuatore con un meraviglioso intreccio nero sul braccio. Pura perfezione.
Jinx si era avventurata lì dentro come una falena catturata dalla luce.
- Vuoi un tatuaggio?
Jinx si era girata verso la fonte della voce. Un ragazzo, più o meno della sua età, stava pulendo gli attrezzi che probabilmente aveva appena usato. Era bello. Persino lei si era accorta di quanto lo fosse…
Si era morsa il labbro, sentendosi all’improvviso, per la prima volta, una normale adolescente nel pieno di una tempesta ormonale.
- Sì – aveva ammesso con sicurezza, come la sua fosse stata una scelta ponderata e non una decisione impulsiva.
Il ragazzo si era girato verso una stanza e aveva detto a qualcuno, probabilmente il suo capo, o un genitore, o chissà chi altro (magari parlava da solo anche lui): - Mi occupo io di lei, tu fai il resto.
Il ragazzo l’aveva condotta verso un’altra piccola stanza, lugubre, sporca e dall’apparenza pericolante come ogni cosa lì a Zaun. L’aveva fatta accomodare su un lettino consunto che forse non era mai stato nuovo, e Jinx aveva obbedito. Si era sentita libera, la mente era sgombra, nessun ricordo, nessuna voce, nulla. Era un momento solo per lei, quello.
Il ragazzo aveva preso uno sgabello e le si era seduto di fianco, infilandosi dei guanti. Jinx gli aveva fissato le labbra. Lui lo aveva notato e le aveva sorriso con malizia. – Cosa vuoi tatuarti? E dove?
Jinx si era guardata intorno. C’era una specie di pannello con delle stampe e delle foto, idee di cosa i clienti potessero volere e tatuaggi che erano davvero stati realizzati. Jinx non se n’era sentita colpita, non le dicevano nulla.
Aveva chiuso gli occhi.
La mente le si era riempita, come se avesse rotto volontariamente il muro di una diga. Ricordi. Speranze. Sogni. Dolore. Tutto si era riversato in lei, travolgendola.
Vi, che le consegnava il razzo segnalatore. Fumo.
Silco, che le accarezzava le trecce. Blu.
Vi, che le diceva che aveva un colore di occhi in cui avrebbe voluto nuotare. Blu.
Silco, che le diceva che i suoi capelli erano come il cielo che avrebbe voluto sopra Zaun. Nuvole.
Jinx spalancò gli occhi.
Il passato, il presente, il futuro.
Il dolore e la serenità.
Powder e Jinx.
Vi e Silco.
- Voglio delle nuvole. Blu.
Il ragazzo le aveva sorriso, e a Jinx era accelerato il battito cardiaco. Si era sentita persino avvampare.
- Dove? – le aveva chiesto lui, preparando gli attrezzi.
Jinx si guardò. Il braccio, la mano destra. Quello che usava per costruire le sue bombe. Il fumo di una bomba che saliva, saliva, saliva e raggiungeva il cielo blu. Anche un braccio si alzava. Ma per andare in alto, doveva prima partire dal basso.
- A destra. Sul fianco destro e poi sul braccio. Nuvole blu.
- Il blu ti si addirebbe – aveva concordato il ragazzo, avvicinandosi a lei con quello che sembrava uno strumento di tortura in mano. – Da dove partiamo?
Jinx aveva riflettuto. Era avvampata. Non aveva bisogno che glielo dicesse lui, sapeva di doversi spogliare. Ma non era timida.
Era forte. Era coraggiosa.
Puoi provare un po’ più forte? Mi sto davvero annoiando!
O almeno così si era detta. Si era tolta la maglia a maniche lunghe, dando le spalle al tatuatore, si era sdraiata prona, e si era abbassata pure la vita dei pantaloni. Il ragazzo non aveva battuto ciglio, anche se Jinx aveva visto che evitava il suo sguardo.
- Partiamo dal basso.
Ci era voluta tutta la sera ed era ormai notte fonda quando il ragazzo aveva finito. Ma a Zaun gli unici orari non lavorativi erano quelli della mattina. Infatti Jinx aveva udito molte voci, viavai di gente, mentre il ragazzo lavorava in silenzio, incontrando occasionalmente, intenzionalmente, il suo sguardo.
Aveva fatto male, ma lei era forte. Per una volta aveva ignorato la voce di Mylo che le diceva il contrario, aveva chiuso gli occhi per non vedere più i mostri color pastello che le chiedevano, sibilando, cosa ne avrebbe pensato Vi.
Non le importava cosa ne avrebbe pensato Vi. Lei non c’era più. Ma Silco c’era, e lui non avrebbe approvato. Aveva scelto appositamente quella parte del corpo perché era coperta. Braccio e fianco erano sempre nascosti, bastava stare attenti con Silco e lui non l’avrebbe mai scoperto. Non era una bugia, non era un inganno. Era solo… nulla. Era una cosa sua.
Ne aveva il diritto, no?
La tensione che aveva sentito inizialmente stando a petto nudo di fronte al ragazzo era via via scemata, così quando lui si era dedicato a tatuarle l’area attorno al seno ormai non c’era più la minima traccia di imbarazzo. Jinx si era rilassata, lasciandosi trascinare lontano dal ronzio dell’ago, così accogliente rispetto alle voci e ai bisbigli che era solita udire. Molto meglio.
Quando il ragazzo aveva finito le aveva permesso di specchiarsi, chiedendole cosa ne pensasse, se volesse altro o se ci fosse qualcosa da rifinire. Jinx si era osservata a lungo allo specchio. Le nuvole erano tante, ed erano bellissime. Non le avrebbe cambiate di una virgola. Sparivano sotto la cintura per poi risalirle sul fianco, sotto al seno, si allargavano sulla schiena, rigorosamente a destra, e poi sul braccio, fino al polso.
Erano meravigliose.
Erano dello stesso colore dei suoi capelli.
Erano il fumo segnalatore di sua sorella.
Erano il cielo di Silco.
Si era voltata verso il ragazzo, avvicinandoglisi con le mani dietro la schiena, senza più la minima traccia di pudore. Lui aveva sgranato gli occhi vedendola appropinquarsi con quello sguardo spiritato e il sorriso un po’ da pazza, ma non si era tirato indietro quando Jinx si era sollevata sulle punte per baciarlo.
L’aveva baciata a sua volta, tirandola a sé, premendole le mani sulla schiena. Jinx era rabbrividita e gli aveva infilato le mani tra i capelli.
Vuoi unirti a me? Vieni e gioca.
Aveva visto tante persone baciarsi, Jinx, e si era sempre chiesta cosa si provasse. Be’, era una cosa umida. Però il contatto delle loro lingue era… piacevole. Interessante. Le era piaciuto quando lui le aveva mordicchiato il labbro inferiore, così aveva sorriso e cercato di approfondire il bacio.
Si era staccata all’improvviso, poi, rimettendosi fulmineamente la maglia, che copriva ogni traccia d’inchiostro, e aveva abbracciato il ragazzo.
- Per il disturbo. Ciao!
Sorpreso, il tatuatore era rimasto immobile a guardarla andarsene. Non aveva ribattuto perché l’aveva vista posare un sacchetto di monete sul bancone all’uscita, ma quella distrazione gli fu fatale.
La bomba Esplosione di Colore, come la chiamava Jinx, gli era detonata sulla schiena, imbrattandolo dalla testa ai piedi e sporcando tutta la stanza.
Quello di cui abbiamo bisogno qui è un po’ più di panico.
Tanto Jinx non aveva intenzione di tornare. Era soddisfatta dei suoi nuovi tatuaggi, e aveva scoperto cosa significasse baciare qualcuno. Carino, sì, ma nulla di eclatante. L’eccitazione che le dava far esplodere le sue bombe non era assolutamente paragonabile alla tediosità di un bacio.
- Jinx, quando li hai fatti?!
La voce di Silco la riscosse dai suoi pensieri, riportandola coi piedi per terra. O meglio, coi piedi sulle eliche della trivella.
Si avvicinò, le prese il braccio per osservarlo. Inorridì quando vide che i tatuaggi sparivano sotto l’asciugamano, sul petto.
- Fin dove arrivano? – chiese poi, così sgomento da non riuscire nemmeno ad urlare.
- Hai detto che ti piaceva il colore dei miei capelli – si giustificò Jinx, senza rispondere alla sua domanda.
Silco la guardò negli occhi, prima di tornare a guardare le nuvole cerulee.
- Il cielo di Piltover. Di Zaun… - bofonchiò, sovrappensiero.
Jinx sciolse un lembo dell’asciugamano mostrandoli il fianco.
L’occhio buono di Silco si spalancò quanto quello malato.
- Pensavo ti piacesse… mi hai detto che ti piaceva il blu dei miei capelli… - balbettò Jinx, scusandosi. D’un tratto si sentiva vulnerabile, sentiva la pressione nelle orecchie, il sangue alla testa.
Quell’espressione… assomigliava a quella di Vi. Quando l’aveva lasciata.
Silco le accarezzò un po’ bruscamente il viso, cercando di distendere la fronte corrugata.
- Non dovevi marchiarti così solo per me.
Jinx annuì, strizzando gli occhi. Nella mente le balenarono tutti i “bla, bla, bla” di Mylo. Non sapeva dire altro, lui. – L’ho fatto anche per me. Mi piacciono.
Silco sospirò. – Sono belli. Ma avrei voluto che me parlassi.
- Temevo me lo impedissi.
Silco scosse la testa. – Sei libera di fare ciò che vuoi, Jinx. Solo che… sei perfetta così come sei. Non avevi bisogno di tatuaggi.
Jinx lo abbracciò di slancio, e Silco sentì l’asciugamano scivolarle del tutto di dosso.
A disagio, esterrefatto, non ricambiò la stretta perché temeva di toccare qualcosa che non doveva. Le appoggiò appena la mano sulla spalla, quella tatuata.
Jinx si era fatta un tatuaggio pensando a lui.
- Ti piacciono? – chiese lei, in cerca di approvazione.
Silco si rilassò nel suo abbraccio. – Sì. Ma vestiti. La gente rischia sempre di scoprirti quando origli e hai il raffreddore.
Dirle che non voleva che si raffreddasse sarebbe stato troppo. E lei era ancora nuda tra le sue braccia.
Per una volta, Jinx obbedì subito. Si riavvolse nell’asciugamano e si sedette davanti allo specchio, sullo sgabello della sua scrivania al centro della trivella.
Iniziò a pettinarsi i capelli.
- Non volevo nascondertelo. Ma avevo paura della tua reazione.
Silco sospirò. Era andato lì per sgridarla, e invece si trovava a doverla rassicurare dopo che lei aveva marchiato a vita la sua pelle. Non aveva nulla contro i tatuaggi, ma nemmeno li supportava. Erano un business, come ogni cosa, un business molto proficuo, effettivamente. Solo che Jinx non ne aveva bisogno.
- Non era necessario. Né che ti tatuassi, né che me lo nascondessi. Ma tra le due cose, la seconda è la peggiore. Devi essere onesta con me, Jinx.
Lei si strinse nelle spalle.
- Non mentirmi – lo supplicò, cambiando argomento.
A volte Silco faticava a stare dietro ai suoi ragionamenti. Non era bravo a consolare come lei avrebbe voluto, con moine e abbracci. Si era ammorbidito per lei, se ne rendeva terribilmente conto, ma non sarebbe diventato una chioccia per quel motivo. C’era un limite a quanto si potesse cambiare per qualcuno.
- E tu non nascondermi nulla che ti riguardi, allora. La fiducia, Jinx, è ammissione. È dialogo.
Jinx ruotò sullo sgabello, guardandolo con gli occhi blu spalancati dietro i capelli umidi e profumati. Sembrava ringiovanire quando aveva quell’espressione indifesa in volto, tornare all’età che aveva quando si erano visti per la prima volta. Tornare ad essere la bambina bisognosa di appoggio.
E Silco, suo malgrado, glielo avrebbe sempre dato, lo sapeva.
- Lo ammetto – disse, rompendo quello scambio di sguardi.
- Cosa?
Jinx tirò fuori due spazzole, impugnandole come fossero due pistole. Altro che tenera, ora negli occhi aveva una luce folle e un ghigno che non prometteva nulla di buono.
- Ammetto di aver bisogno di te. Tieni, spazzolami i capelli – ordinò, dividendosi la lunga chioma in due code e porgendogliene una. – Tu occupati di questi, io faccio gli altri.
Sì, era andato lì per sgridarla. Non aveva nessuno sul campo per seguire Marcus fino a casa sua, per spiare le sue abitudini. Nessuno di cui si fidasse totalmente, per essere precisi, perché Jinx si era persa in un bicchier d’acqua. Anzi, in una vasca.
Com’era finito a spazzolarle i capelli, ascoltandola raccontargli in maniera raffazzonata ed entusiastica di quello che aveva visto in città?
Jinx aveva una capacità di distrarsi così accentuata che seguire un discorso lungo per lei era impossibile, eppure era dotata del cervello più fine, intuitivo e geniale che Silco avesse mai visto.
E lui l’ascoltava perché gli piaceva il suono della sua voce e perché scopriva cose nuove ogni volta che apriva bocca. Cose nuove su di lei, sulle strade di Zaun, e anche su di sé.
Silco la pettinò con cura, le labbra tese in una linea sottile e rigida. Dentro, però, sorrideva.
- Finito – la informò, sistemandole con cura i capelli su una spalla. Dietro di lei, le scrutò i tatuaggi da vicino. Erano eseguiti bene.
Le donavano, in un certo senso.
Ma per lui, a Jinx qualsiasi cosa avrebbe donato.
Jinx batté le mani. – Grazie! E ora le trecce!
Silco si allontanò di un passo. Quello no, non poteva… - Ho da fare, Jinx. E anche tu avresti avuto da fare, se fossi stata puntuale.
Lei si voltò di nuovo verso di lui, con i capelli che la coprivano come un mantello. O una coperta. In ogni caso, molto più di quanto facesse l’asciugamano.
- Ma l’incarico è saltato e ora siamo qui! Quindi tanto vale fare questa cosa. Forza, aiutami! Se finisco presto potrei anche riuscire ad andare da Marcus com’era nei piani.
Silco trattenne a stento uno sbuffo, ma strinse i pugni. – Ormai non avrebbe più senso! Mi serviva monitorare le sue reazioni subito dopo il nostro incontro.
Jinx si mise a roteare sullo sgabello, usando le spazzole come delle navicelle volanti.
- Jinx! – la richiamò all’ordine Silco, togliendole le spazzole di mano e sbattendole sul bancone alle sue spalle.
Erano così vicini che si stavano praticamente abbracciando, i visi a pochi centimetri di distanza.
Jinx sorrise appena e gli baciò la guancia malata.
- Mi faccio perdonare subito, ho un nuovo carico di bombe, di quelle nuove, le Sparachiodi. Si chiamano Hedgehomb, geniale vero? Come hedgehog, riccio, perché chiunque sarà la vittima assomiglierà ad un porcospino di chiodi! Però te le do solo se mi aiuti con le trecce. Mi hai detto tu stesso che non dovremmo più dare importanza al passato, una volta che è passato.
Silco storse la bocca. Glielo aveva detto quando voleva che la smettesse di pensare a sua sorella, non quando mandava a monte i loro piani.
Ma con Jinx, in momenti come quelli, era impossibile ragionare. E in più le “bombe sparachiodi” (non le avrebbe mai chiamate Hedgehomb, i nomignoli erano esclusiva di Jinx), suonavano interessanti.
La cosa peggiore, però, era che Silco non pensava ci fosse qualcosa da perdonarle.
Sbuffando per farle capire quanto gli costasse tutto quello, afferrò una delle due ciocche che Jinx stava separando. Ottenne un sorriso riconoscente, un vero sorriso, quando iniziò ad intrecciarle i capelli come lei stessa gli aveva insegnato.
Passarono i successivi minuti, perché i capelli erano davvero lunghi, a fare trecce, immersi in un silenzio complice interrotto solo dal canticchiare sommesso di Jinx.
Forza, spara più in fretta! Solo un altro po’ di energia. Voglio provare qualcosa di divertente ora. Immagino che alcuni la chiamino a-nar-chia!
Silco strinse gli occhi a quelle parole. L’anarchia non era proprio un concetto che lui caldeggiasse, anzi. Anarchia era caos, era mancanza di rispetto per i superiori. Per lui.
Ma Jinx non sembrava interessata a sovvertire la gerarchia di Zaun, non in quel momento, e la sua voce era come una ninna nanna per Silco.
Così la lasciò fare, intrecciandole i capelli con la stessa cura e precisione con cui lei gli curava l’occhio ogni giorno.
Perché tra loro era un dare e un avere, e la cosa che preferivano, sorprendentemente, non era avere.
Era dare.
 
 
 
 
 
Extra
- Facciamo esplodere questa città della cenere, e vediamo cosa ne pensa Pow-Pow!
Silco aggrottò la fronte. – Dove hai sentito questa canzone?
Jinx si strinse nelle spalle. – L’ho scritta io. Ho preso la base, mi piaceva, e l’ho riscritta.
Silco, per una volta, non sapeva bene come affrontare l’argomento. – Spero tu non intenda dare seguito a ciò che canti.
Jinx lo guardò, confusa. – Partiamo dai graffi e facciamo esplodere il sole. Diavolo, non sono così fuori di testa! – esclamò. Poi si mise a ridere, facendo tirare un sospiro di sollievo a Silco. – Però ammetti che sarebbe fichissimo avere un’arma che rade al suolo città e fa esplodere il sole. Uno squalo mangia… energia. No, uno squalo distruttore. Sì! Sharky the Destroyer! Che ne dici?
Silco scosse la testa. – Se vuoi lavorarci, bene. Ma evita di usarla.
Jinx gli strizzò l’occhio. - Che divertimento c’è allora?
Silco le voltò le spalle e si allontanò. – Vestiti, ho un altro incarico per te.
Jinx scattò in piedi, approvò le trecce che si muovevano ad ogni suo gesto, e si vestì in fretta. Poi corse dietro a Silco, raggiungendolo all’uscita della sua gigantesca camera. Nel tragitto si mise a lavorare al nuovo progetto, pastelli alla cintura e blocco per appunti in mano.
Bombe e proiettili saranno il trucco!

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Capitolo 14
*** That's me (The devils coming after me) ***


Porca miseria ho finito. Non ci credo. E' la prima volta che riesco a concludere secondo la tabella di marcia una storia. Sono proprio felice. Per fortuna non come Jinx, quindi non farò esplodere nulla.
Quindi, ovviamente, ultimo capitolo!! Non ci resta che aspettare Arcane 2.
Grazie a tutti voi che avete letto <3


14. That's me (The devils coming after me)

When everyting went wrong – Fantastic Negrito, track 10
 
That's when everything went wrong
Now that's when everything went wrong
I lay down to die on the concrete floor (baby)
that's when everything went wrong
Ninety-nine ways that you're willing to die
Break your mama heart now she startin' to cry
Broken beer bottles that are starting to fly
know my time is coming soon
Seven-foot goon lined up in the room
Kickin' up dust in the shadow of doom
Temper start to flare, now they're starting to fume
I know my time is coming soon

 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~ 

Jinx agitò la bomboletta di spray, ammirando la sua opera mordendosi il labbro inferiore.
Niente pastelli quella volta, ci avrebbe messo troppo per disegnare il suo marchio a grandezza naturale. Alle sue spalle sentì arrivare i primi avventori della serata, pronti a bere e fumare. Ma soprattutto, percepì il loro disagio quando si accorsero del suo disegno, della sua scimmia. Della scritta “Jinx è stata qui”.
Giravano al largo.
Bravi, ecco cosa significava farsi riconoscere.
Quello era ufficialmente il primo giorno della sua vita da adulta. Anzi, da ragazza: non ci teneva mica ad essere un’adulta.
Quel pomeriggio aveva fatto esplodere una bomba-scimmia-fumogena in un negozio di abbigliamento scadente. Non aveva trovato nulla che facesse per lei. Nel secondo era andata meglio, aveva trovato un top nero e dei pantaloni a strisce rosa e viola assolutamente perfetti. Troppo lunghi però, così si era fatta dare dalla proprietaria, gentilmente (con Zap! puntata alla testa), una forbice e li aveva tranciati sotto il ginocchio. Aveva anche preso un paio di stivali nuovi superbelli ma troppo noiosi, e aveva passato il pomeriggio a Jinxizzarli cantando con la musica sparata al massimo. Mylo non aveva fiatato. Nessuna scritta o mostro pastello l’aveva importunata. Era andato tutto bene. A meraviglia.
Oh, e aveva piazzato una bomba di vernice nel secondo negozio di abbigliamento. La proprietaria si era lamentata quando era uscita senza pagare. Sì, be’, Silco le dava dei soldi, tanti, ma questo non significava che dovesse per forza usarli no? Soprattutto per pagare.
Ridacchiando, tirò un calcio alla bottiglia di spray quasi vuota e si aggirò per le strade ormai buie di Zaun girandosi una treccia in mano. Si soffiò via il ciuffo di capelli dagli occhi e sorrise, leccandosi le labbra, quando vide la sua destinazione di quella serata: il bar che faceva concorrenza al Last Drop.
Aveva un paio di stivali nuovi rinforzati in metallo, dei pantaloni fichissimi, un top libertino che adorava e i tatuaggi da mettere in mostra: era pronta per una sfilata. Niente Pow-Pow, Silco le impediva di portarla in giro quando non era in missione, ma Zap! era pronta e fremente, in caso di bisogno, sul suo fianco.
Dato che i vestiti vecchi non le andavano proprio più e che ormai Silco aveva scoperto i tatuaggi, non c’era più bisogno di coprirli. Un cambio look era proprio quello che le serviva. Era stanca di essere un’ombra di Powder, voleva essere l’esplosiva versione nuova di Jinx.
La Mina Vagante, come la chiamavano. Be’, che fosse una mina se n’era resa conto anche lei. A Silco non sembrava dare fastidio.
Mancava solo la parte vagante, e quella sera aveva intenzione di rimediare.
Ballando, facendosi trascinare dalla musica che trasudava dai muri di quel bar sconosciuto, Jinx si avvicinò alla sua preda come un animale ubriaco. Selvatico.
Imprevedibile.
Sono corsa davanti a un vicino seduto sul marciapiede.
Jinx spalancò le porte del bar. Nonostante la musica della band dal vivo, la cacofonia degli avventori e i rumori cristallini dei boccali e delle bottiglie, sembrò piombare il silenzio nella sala affollata quando tutti si accorsero di chi c’era sulla soglia.
Jinx ghignò.
Ecco quando tutto è andato storto.
Mise piede nel locale, ciondolando a ritmo di musica e dirigendosi verso il bancone. Troppe paia di occhi la seguivano, troppe mani erano allacciate alla cintura, alla fondina, o ai ganci per i coltelli, in attesa di un passo falso.
Ma non era il momento.
Non ancora.
So che il mio momento arriverà presto.
Mentre la band continuava a suonare, riacquistando lo slancio dopo l’iniziale sbigottimento, Jinx ordinò da bere. Una cosa leggera, praticamente un succo, ottenendo occhiate perplesse da quelli che le stavano vicino. Incurvò un angolo della bocca quando le venne servita la bevanda. Che avevano, sorpresi di scoprire che l’ombra di Silco non faceva uso di sostanze particolarmente forti? Sapevano che non aveva mai toccato una goccia, o un inalatore, di shimmer? Sapevano che era Silco stesso a premere perché non lo facesse, e perché non toccasse alcolici?
La voleva sobria, diceva.
La voleva sana, taceva.
A Jinx andava più che bene. Aveva visto che effetto aveva lo shimmer sugli altri, non era così stupida da voler provare quella roba devastante. Chi avrebbe pensato a Pow-Pow, a Zap! e alle sue piccole care bombe se lei si fosse strafatta inalando ciò che non doveva?
No, il cervello le serviva.
Anche Vi concordava su quello.
Jinx fece una smorfia e buttò giù il succo d’un sorso. Poi andò a ballare.
Ballò. E bevve un altro succo. E ballò.
Che noia.
Ormai nessuno faceva più caso a lei, si erano rilassati.
Avevano abbassato la guardia.
Ecco quando tutto è andato storto.
Un tipo la approcciò. Usò il tono sbagliato. Si fece troppo vicino. Jinx sorrise.
Gli puntò Zap! alla testa.
Il bar ammutolì.
L’umore comincia a infiammarsi, ora iniziano a fumare.
Il tizio alzò le mani, ma lo sguardo non era rassegnato. Lo sguardo era quello di chi sa di dover aspettare, di chi sa che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Di chi sa che una ragazzina si può sempre seguire.
Le diede le spalle.
Ora, ecco quando tutto è andato storto.
Jinx sparò.
E, anche senza musica, un boato di rumori esplose.
Spari. Vetri infranti. Risate. Urla di dolore.
Jinx rise in mezzo alla calca, unica persona a divertirsi.
Bottiglie di birra rotte che stanno cominciando a volare.
Jinx non era scema, si nascose, si acquattò dove sapeva che nessuno l’avrebbe trovata. Lontana dalla fiumana di gente che cercava di fuggire. Lontana dagli spari.
Attese che il bar si svuotasse, poi uscì dal suo nascondiglio. Non c’era più nessun in giro. Ridendo istericamente, con Zap! centrò l’insegna del bar posta sopra il bancone. Poi andò al juke-box, sopravvissuto per miracolo all’assalto, e inserì una moneta.
Ecco quando tutto è andato storto.
Uscì dal bar canticchiando sulle note della canzone un po’ country, suonando una chitarra immaginaria, facendo roteare Zap! tra le dita.
Diavolo, quella canzone spronava proprio a sparare!
Un colpo alla testa.
Jinx si sentì svenire.
Mi sdraio per morire sul suolo di cemento.
Un ghigno, il ghigno dell’amico del tipo a cui aveva sparato.
Sembrava uno scioglilingua, pensò mentre chiudeva gli occhi sul buio.
Il cielo però era bello, fumoso come sempre, sporco, non blu come i suoi capelli. Be’, del resto era notte.
Un riposino non le avrebbe fatto male.
Un colpo d’arma.
Le avevano sparato? Se proprio doveva morire, voleva che fosse con del piombo ficcato nella carne. Le sue amate pallottole.
Il ghigno del suo assalitore venne sostituito da una smorfia di dolore misto a stupore.
Il rumore di un corpo, del suo corpo, che cadeva.
E sopra di lei fece capolino il volto di un tipo che aveva visto lavorare per Silco.
Jinx chiuse gli occhi.
I diavoli vengono dietro di me.
 
Quando aprì gli occhi, era nell’ufficio di Silco. Sul divano, per la precisione.
Ecco quando tutto è andato storto.
Aveva un mal di testa allucinante. Era per quello che evitava le sbornie, ma a cosa serviva se si trovava lo stesso ridotta come uno straccio?
Silco sollevò appena lo sguardo su di lei, continuò a scrivere con foga su un foglio. Che accidenti, quanta rabbia si poteva riversare su una pagina? Neanche fosse stato sangue nemico da versare sul terreno.
Si mise a sedere facendo una smorfia. Prese un respiro profondo e si alzò, tenendosi le costole e barcollando. Forse aveva picchiato per terra più forte di quanto si fosse immaginata all’inizio. Si trascinò di fronte a Silco, e si lasciò cadere sgraziatamente sulla sedia.
Quando vide i pancake al cioccolato posati lì di fianco, con un bicchiere del suo succo, ci si avventò come un animale. Se era così affamata, doveva per forza essere stata priva di coscienza per moooolto.
- Mh… - grugnì, cercando il fiato per parlare mentre masticava. – Quanfo ho dormifo?
Silco si tolse una briciola di pancake masticato dalla manica senza battere ciglio, come se Jinx non avesse sputacchiato la colazione, come se non avesse nemmeno aperto bocca.
Alla fine, mise da parte la penna e il foglio, che piegò in tre e infilò in una busta. Allacciò le mani tra loro, puntando gli occhi su Jinx.
Ora, ecco quando tutto è andato storto.
Era arrabbiato. Nero.
Jinx continuò a masticare, la bocca così piena da renderle difficile la masticazione.
- Chi mi ha frofafo? – chiese.
Un’altra domanda, perché magari la prima non gli piaceva.
Silco pareva leggermente disgustato, ma Jinx dubitava che fosse disgustato da lei. Le fissava la fronte, forse aveva… ahi, sì, diavolo! Lì c’era decisamente una botta, ecco perché aveva così male.
Quando ormai pensava che Silco non avrebbe risposto nemmeno a quella domanda, eccolo che apriva bocca.
- Ti ha… trovata, se così vuoi definire quella sottospecie di salvataggio, uno dei miei. Ma era fuori servizio, e ha preteso un pagamento per la tua riconsegna. Da me, quello si chiama ricatto.
Jinx già intuiva. Sorbì il succo fissando Silco come se fosse in procinto di ascoltare la più deliziosa delle storie.
- Che gli hai fatto?
- L’ho accontentato. Voleva una dozzina di boccette di shimmer, le nuove distillazioni, quelle leggere. Ma devo aver confuso le consegne del Dottore. Pare non fossero così leggere come mi aveva chiesto. Ops.
Jinx sorrise. – Morto?
- Insieme ad altri sette che ha ucciso. Jinx, non hai fatto un buon lavoro ieri sera. Ti avevo…
- Ieri sera? Ma fuori è ancora scuro!
Silco batté lentamente l’unica palpebra che aveva, guardandola come se fosse ancora una bambina. – Difatti, di nuovo sera.
Jinx fischiò. – Mi ha stesa per bene quel tipo. L’altro, non quello che mi ha trovata.
Silco strinse i pugni, chiaro segno che stava esaurendo la pazienza.
- Ti avevo detto di stare alla larga da quel bar. Di mantenere un basso profilo per un po’. Dalla tua ultima esplosione, il mese scorso, le attività commerciali che abbiamo messo sotto osservazione…
- Cioè che stiamo spiando…
Silco non batté ciglio, continuando il suo discorso: - ...hanno alzato la guardia, e per le mie spie è più difficile reperire le informazioni che…
Jinx lo interruppe di nuovo, facendo le bolle con la cannuccia nel bicchiere di succo. Ridacchiando.
- Jinx! – esclamò Silco, battendo un pugno sulla scrivania.
Oh sì, era arrabbiato.
Jinx ridacchiò, lanciando in aria la cannuccia che tracciò un arco di schizzi di succo. – Ecco perché io ero lì. Le tue spie non ottengono informazioni, no? Eccomi. Jinx! Io sì che risolvo tutto.
Detto ciò, gli passò un foglietto su cui si era presa la briga di disegnare la sua consueta testa di scimmia. Silco, diffidente, non perse il contatto visivo con lei mentre apriva il foglietto.
Poi lesse, e aggrottò la fronte. Spalancò l’occhio buono. Tornò a fissarla.
- Jinx…
Lei sorrise, soddisfatta, e gli fece l’occhiolino. – Sono ioooooo!
- Dove hai preso queste informazioni?
- Al bar. Pensavo avessi capito ormai che come spia sono la numero uno! – cantilenò lei, tirando il ginocchio sulla sedia e appoggiandoci sopra un braccio.
- Già… - mormorò solo lui, le labbra incurvate in un impercettibile sorriso.
Ma non le avrebbe dato la soddisfazione di dirle che era eccezionale, che avrebbe dovuto affidare a lei quell’incarico fin da subito e che… anzi, lui non gliene aveva nemmeno parlato. Era lei che, come al solito, aveva origliato tutto. La sua spia migliore.
E la sua preferita.
Nessun complimento però, non quando gli faceva prendere simili spaventi. Svenuta per un giorno intero, ritrovata fuori da un bar losco persino per i suoi canoni, mezza svestita e con una brutta botta in testa. E lui di botte in testa ne aveva viste…
E a proposito di mezza svestita: - Cosa ti sei messa addosso?
- Oh? – mormorò lei, squadrandosi, come se non ricordasse che vestiti indossasse. – Oh, questi! Fichi vero? Il mio nuovo stile. Il viola mi dona. Che ne dici?
Silco fece una smorfia. – Dico che dovresti stare attenta ai malintenzionati. Sei troppo… esposta.
Jinx non parve cogliere l’antifona, né il tono paterno e preoccupato, quasi geloso, di Silco.
- Così si vedono i tatuaggi! Bello vero? Questo top è una bomba.
Silco lanciò una breve occhiata alle curve che si intravedevano al di sotto. Sarebbe stato meglio se nessuno l’avesse considerata una bomba. Sarebbe stato meglio che nessuno posasse gli occhi su di lei. Mai.
O ci avrebbe pensato lui a far capire a quel nessuno cos’era davvero una bomba.
Ne aveva il cassetto pieno.
- Allora? Non mi sta bene?
- Sì – concedette lui, svogliato.
Jinx era bellissima, ovvio che le stessero bene i vestiti che indossava.
Con uno dei suoi scatti fulminei (quella ragazza era davvero veloce), Silco se la ritrovò seduta di fronte, sulla scrivania, come al solito. Lei allungò il braccio, aprì la mano, in attesa. Non aveva mancato l’appuntamento di quel giorno.
Silco le diede la siringa, le permise di fargli l’iniezione. Cercò di non posare la fronte sulla punta dei suoi stivali nuovi, quando si chinò perché il dolore gli infiammava tutto il viso. Strinse i denti.
Quando si riprese, raddrizzandosi, vide che Jinx aveva ancora la mano protesa, ma vuota.
- Mi dai gli smalti? Me li avevi confiscati perché ti avevo macchiato il vestito, ricordi? Non pensavo che fosse impossibile lavare via lo smalto dai vestiti!
Silco sospirò, aprendo un cassetto. – Ricordo, ricordo. Vedi di stare più attenta.
- Stai attenta qui, occhio ai malintenzionati lì… andiamo. Non sono mica una bambina!
Silco non si meravigliò quando provò tristezza all’idea che in effetti no, Jinx non era una bambina. Non più.
- E allora non comportarti come tale – le disse invece, facendole un cenno con la mano perché si spostasse.
Cosa che lei fece, ma non come voleva lui. Invece di levarsi dalla scrivania, si sdraiò di schiena, allungando le gambe fino a posarle sullo schienale della sedia di Silco, di fianco alla sua testa. Poi aprì una boccetta di smalto blu e iniziò a passarselo sulle unghie canticchiando piano, come se non avesse un problema al mondo.
Blu e rosa, blu e rosa, blu e rosa. Colori legati.
Silco guardò con aria leggermente infastidita gli stivali borchiati e rinforzati posati vicino alla sua testa, così come Jinx, del tutto impenitente nonostante il guaio combinato.
Ma glielo perdonava.
Le perdonava tutto. E non solo perché era sua figlia…
Silco appoggiò la testa su una mano, riaprendo con l’altra il foglietto che Jinx gli aveva dato. Lei non sembrava nemmeno rendersi conto delle informazioni fondamentali che gli aveva passato. Ecco perché era lui il capo. Ma ecco perché lei aveva il diritto di essere considerata sua figlia.
Quella soffiata scritta palesemente da lei, contornata di superflui disegni a pastello, erano i risultati di un mese di spionaggio infruttuoso. Il tutto portato a termine in una sola serata.
Silco la osservò di nuovo mentre si passava lo smalto, rosa, sulle unghie ancora non trattate, scuotendo la mano per farle asciugare e continuando a canticchiare serena.
Sì, Jinx era sua figlia. L’amava come una figlia.
Era una debolezza, oppure un punto di forza?
Avrebbe sancito la sua vittoria, o la sua rovina?
Mentre la guardava, si rese conto che non gli interessava.
L’importante, la cosa fondamentale, era che rimanessero uniti, insieme, un solo fronte.
Ecco quando tutto è andato storto.
E sapeva che anche per Jinx era così.

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