Dopo la tempesta

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arriva il tifone ***
Capitolo 2: *** Una lunga serata insieme ***
Capitolo 3: *** A che gioco giochiamo? ***
Capitolo 4: *** Sussurri nel fragore ***



Capitolo 1
*** Arriva il tifone ***


Prendete l’ombrello che arriva la tempesta! :D
Ennesimo delirio sui nostri amori!
Buona lettura ^_^
Eleonora




Cap. - 1 Arriva il tifone
 
Da giorni non si faceva altro che parlare del tifone in arrivo su Tokyo e, chi più chi meno, era corso ai ripari. Nel palazzo di Ryo e Kaori non avevano potuto fare più di tanto, come invece nelle villette monofamiliari o nelle altre case, dove avevano sbarrato e inchiodato porte e finestre, perché avrebbero dovuto arrampicarsi sulla facciata e raggiungere dall’esterno le numerose aperture, e non era auspicabile una cosa del genere.
Confidavano di scampare i danni peggiori, visto che abitavano in un quartiere circondato da altre costruzioni, e quindi in un certo senso erano protetti dall’intemperie, anche quelle più aggressive.
 
I due sweeper erano stati impegnati in un caso fino alla sera precedente, ed erano riusciti a fare scorte per l’emergenza se non quel giorno stesso.
O meglio, Kaori, perché Ryo si era guardato bene dall’andare con lei e aveva preferito restarsene stravaccato sul divano, in casa.
Ma la leggera pioggia della mattina si era trasformata via via in un potente acquazzone che, ovvio, non dava segni di voler smettere: si era fatto improvvisamente buio, pur essendo primo pomeriggio, e ancora la ragazza non era rincasata.
 
Ryo già da un po’ passeggiava nervosamente per l’appartamento, borbottando fra sé che la socia era un’imprudente, una sconsiderata, che stava tardando e non era il caso di restarsene fuori con quel tempo. Era anche combattuto se andarla a cercare oppure no, ma lei aveva preso la sua Honda, quindi non era a piedi, ragionava.
E comunque, quando lei gli aveva elencato i giri che avrebbe dovuto fare, lui l’aveva ascoltata distrattamente, come sempre, e non aveva la benché minima idea di dove si fosse diretta.
Rintracciarla ricorrendo alle microspie contenute nei suoi bottoni gli sembrava esagerato: in fondo era solo andata a fare la spesa…
Che stesse arrivando un tifone era solo uno spiacevole di più.
 
Quando ormai si era deciso ad uscire per andarle incontro, ed aveva preso le chiavi della Mini e la sempiterna giacca chiara, la porta si spalancò di schianto e un rumore di borse appoggiate con forza sul pavimento, in un turbinio di schizzi d’acqua, e sbuffi stizzosi, gli annunciarono che la dolce socia era finalmente tornata.
 
Con un rapido gesto della mano, Ryo fece sparire le chiavi della macchina e gettò lontano la giacca: che Kaori non capisse quanto si fosse preoccupato per lei, e che stava per uscire a cercarla!
Però la tensione fin lì accumulata lo fece straparlare, e le si rivolse più acidamente del solito:
 
“Ti sembra questa l’ora di rincasare?”
 
“Ehi, tu!” scattò lei in risposta“Avrei fatto molto prima, se un certo signorino mi avesse accompagnato, invece di tenere al caldo il suo preziosissimo culo! E soprattutto non mi sarei bagnata fradicia, così” e fece l’atto di mostrarsi al socio, il quale si bloccò a mezzo e si rimangiò l’ennesimo rimbrotto.
Fu come essere colpiti da un fulmine di puro erotismo, perchéKaori, dopo aver deposto le borse della spesa, si era raddrizzata, in atto di sfida, con tanto di mani sui fianchi, e anche se non se ne rendeva minimamente conto, era l’immagine della sensualità fatta persona.
 
E Ryo deglutì a fatica.
 
Kaori, completamente inzuppata dalla pioggia, aveva tutti i vestiti appiccicati addosso, come una seconda pelle, che non lasciavano molto all’immaginazione.
La maglietta, dannazione, la maglietta…!
Era così aderente al busto e al seno, che ne esaltava le forme, tutte!
Fuggevolmente l’uomo si chiese per quale motivo la partner fosse andata in giro senza reggiseno, dato che ora si vedeva tutto!
Lo sweeper sapeva che non avrebbe dovuto indugiare con lo sguardo, che poi qualcosa di irreparabile sarebbe successo, ma come poteva stornare i suoi occhi, che erano come calamitati da quella visione, e soprattutto quando la socia stessa lo invitava a guardare???
 
“Allora? Visto che roba?” rincarò pericolosamente la dose la ragazza, nella sua inconsapevole, testarda innocenza, e completamente ignara della situazione potenzialmente imbarazzante in cui era finita; se se ne fosse accorta, sarebbe svenuta dalla vergogna, ma talmente era la confidenza con l’altro, e la mancanza di malizia, che imperterrita continuò a farsi rimirare.
 
Ryo stregato, ipnotizzato da quel seno velato, aveva perso totalmente l’uso della ragione e della parola, e navigava in un mare di pensieri e sogni vietati ai minori, in cui poteva semplicemente allungare anche solo una mano per saggiarne la consistenza, attraverso il tessuto bagnato, e sentirsi l’uomo più felice del mondo.
Con uno sforzo sovrumano, cercò si spostare gli occhi su altri lidi meno peccaminosi, e si costrinse ad alzare la mira, ma, risalendo dal seno, e passando dal collo sottile irrorato da irriverenti goccioline, e più su sul mento, e senza soffermarsi su quella bocca socchiusa a promettere il paradiso, il naso diritto, gli occhi lampeggianti, non poté non notare i capelli… i capelli raggruppati in piccole ciocche, gocciolanti, lucidi… un concentrato di sensualità che lo fecero sbandare pericolosamente.
 
“Ryo?” lo strappò dalle sue fantasie il richiamo insistente e lievemente minaccioso della socia “Almeno dammi una mano a portare dentro la spesa!”
 
“Eh? Ah, sì sì” balbettò a quel punto, come ridestato da un sogno; pur di fuggire da quella donna tentatrice, afferrò energicamente tutte le sporte in una sola volta, e con uno scatto felino corse in cucina.
Non sarebbe riuscito a restare neanche in minuto di più in sua presenza, davanti a quello spettacolo dei più sublimi, senza commettere una sciocchezza.
 
Kaori, stupita dalla sua solerzia, ridacchiò soddisfatta e gli gridò:
 
“Se ti riesce – ma ne dubito – sistema la spesa, che vado di sopra a togliermi questi vestiti fradici, e magari a farmi una doccia. Quando scendo preparo la cena, okay?”
 
“S-sì, Kaori-chan” balbettò il socio che, con l’intenzione di placare l’arsura che lo stava consumando, si era già attaccato alla bottiglia dell’acqua gelata e stava tracannando il prezioso liquido ignifugo, a spegnere l’incendio dei suoi sensi.
 
 
 
Quando poco dopo la ragazza lo raggiunse nuovamente, sembrava essere tornato tutto alla normalità: Ryo vivacchiava sul divano, suo habitat naturale quando era in casa e non dormiva o sparava di sotto al poligono, e non la degnò di uno sguardo, immerso nelle sue solite letture.
Lei, con un sospiro rassegnato si diresse in cucina, dove da brava massaia si dispose a preparare la cena, o un pranzo tardivo, visto che era ancora pomeriggio: entrambi avevano saltato il pasto centrale della giornata e quindi… perché no?
E visto che voleva in qualche modo stabilire un contatto con lui, alzando un poco la voce per farsi sentire gli disse:
 
“Speriamo che stavolta l’elettricità non salti” riferendosi alle possibili e quasi inevitabili conseguenze della tempesta che si stava avvicinando.
 
Ryo, dal canto suo, le rispose con un inintelligibile mugugno.
 
“Più che altro perché abbiamo il frigo e il congelatore pieno di roba. Ho fatto scorta oggi e non mi andrebbe di buttare tutto quel ben di dio” riprese Kaori, ma ancora lui non le rivolse che un mezzo grugnito di risposta.
 
La ragazza sbuffò leggermente.
 
“Hai capito? Tutto quel cibo andrebbe a male!” rincarò.
 
Alla parola cibo, il socio parve riaversi:
 
“E allora? Lo mangeremo prima che vada a male no?” propose con ovvietà disarmante.
 
“Ma sei matto? Sarà una tonnellata di roba!!!” esclamò Kaori.
 
“Eh, be’? Che ci vuole?” Fece spallucce lui.
 
“Certo, dimenticavo che tu sei una specie di tritaforaggi” borbottò a mezza voce. Poi, alzando il tono: “Be’, se dovesse succedere che andasse via l’elettricità, basterà non aprire lo sportello del frigorifero, così la temperatura si manterrà costante e il cibo non si rovinerà”.
 
“Co-cosa?” saltò su l’uomo, e mettendosi a sedere si protese sullo schienale del divano, allarmato come se gli avessero detto che il mondo stava per finire “Non aprire il frigorifero? Per ore??? Ma tu sei matta!” protestò con veemenza.
 
“Oh, senti Ryo…” iniziò la ragazza, ma si dovette interrompere perché, con un lampo improvviso, l’energia venne a mancare di colpo, e subito dopo si sentì il rumore inconfondibile di un vetro che va in frantumi e un “Aaahi” lamentoso da parte della stessa.
 
“Kaori!!! Che succede???” si udì la voce preoccupata di Ryo, che, incurante del buio, si precipitò in cucina.
 
Un secondo dopo la pietrina del suo accendino sfregò scintillando, e la fiamma improvvisa illuminò una Kaori pallida, che si stringeva una mano tinta di rosso, mentre un barattolo di vetro giaceva ai suoi piedi in mille pezzi.
 
“Sei ferita? Kaori, dimmi sei ferita?” Ryo sembrava in preda al panico, e con mano tremante si protese a toccare quelle della socia.
 
“Sono così sbadata” mormorava la ragazza in un atto di autoaccusa, continuando a guardarsi le mani lordate di liquido rosso, e poi decidendosi ad alzare lo sguardo sul socio “No-non è niente. Non è niente, davvero”.
 
“Fammi vedere!” le intimò con voce tremula, e quella reazione quasi sproporzionata stupì la ragazza che, alla luce incerta dell’accendino, lo fissò con attenzione.
Per un attimo restò imbambolata a guardarlo.
Ryo era spaventato, era preoccupato… per lei?
Un moto improvvisò le si agitò in fondo allo stomaco, e con voce più dolce gli disse:
 
“Davvero, non è niente…”
 
“Ma tu sanguini! Kaori sei ferita!” quasi urlò lo sweeper, sull’orlo della disperazione.
 
Kaori non sapeva come dirglielo.
 
“Ryo, Ryo… questo non è sangue” e poi dopo una pausa, allargando la mano insanguinata, così che lui potesse controllare “… è solo… pomodoro” e si strinse nelle spalle, vergognandosi un po’ per aver fatto preoccupare così tanto il partner per un po’ di salsa.
 
Lo sweeper trasecolò.
 
“Come? Cosa? Ma io ho sentito… il vetro che si rompeva… il tuo lamento… e poi tutto quel rosso!” le fece tenerezza, in tutto il suo innocente spaesamento, e temendo che si mutasse presto in rimprovero decise di usare la dolcezza, per una volta, anziché partire sulla difensiva.
Pertanto, con la mano pulita, gli afferrò quella che reggeva l’accendino, e avvicinandolo a sé gli disse:
 
“Guarda” con un tale tono di voce, morbido e suadente, che Ryo ne fu conquistato e rinunciò veramente a strepitare.
 
Lui avanzò di un passo, e fattosi più vicino poté controllare che era semplicissimo succo di pomodoro, mentre la ragazza roteava le dita affinché ne verificasse la consistenza.
Poi, sempre tenendolo per il polso, lo indusse ad abbassarsi e, tutti e due accovacciati, avvicinarono la fiamma al famoso barattolo di vetro, che cadendo aveva riversato il suo contenuto sul pavimento.
 
Ryo a quel punto lesse la marca, una ditta Italiana d’importazione, famosa per le salse di pomodoro, e si rasserenò.
 
Era talmente strano starsene così, al buio, accovacciati ai piedi dei mobili della cucina, che d’improvviso il silenzio calò sui due; Kaori non aveva smesso di reggere il braccio del socio per il polso e continuavano a fissarsi, incapaci di dirsi altro.
 
Kaori, dentro di sé, esultava per la reazione sproporzionata del socio, perché si era dimostrato così tanto allarmato credendola ferita e sofferente.
Sapeva che non doveva gioire della sua paura, ma era così bello scoprire che teneva a lei, che si fosse preoccupato e in quel modo.
Era anche riuscita a non farsi rimproverare per la propria sbadataggine, e lui non era finito nemmeno per prenderla in giro, ma ora erano lì, incapaci di fare altro se non guardarsi, come se tutto il mondo si fosse in qualche modo fermato e aspettasse la loro prossima mossa.
 
Anche Ryo era rimasto bloccato in quella assurda per quanto irrinunciabile posizione; quando aveva sentito il gridolino di Kaori, nel suo cervello era scattata come una molla, un campanello che indicava pericolo, ed era corso immediatamente da lei.
E quando l’aveva trovata impalata, con le mani inondate di rosso, unito al rumore di vetri infranti, prima ancora di verificare la sostanza che aveva impiastricciato quelle dolci manine, lui aveva creduto che quello fosse sangue, il sangue di Kaori.
Per poco non aveva perso la testa, e quel dannato buio improvviso, di certo la causa del fortuito ferimento, rischiarato provvidenzialmente ma parzialmente dal suo accendino, avevano reso difficile capire l’entità della cosa.
Non aveva dato retta più di tanto nemmeno alle parole della ragazza che, ne era certo, voleva solo tranquillizzarlo dicendogli che non era nulla.
Kaori era ferita, era sanguinante!
Perché lei sminuiva la faccenda?
E poi lei lo aveva preso per mano, dolcemente, lievemente…
Lo aveva guidato, e piano piano la verità si era dipinta davanti ai suoi occhi.
Il sollievo gli aveva fatto mancare il fiato, e quando si era reso conto di aver inscenato un dramma assurdo, e soprattutto di essersi dimostrato fragile, debole, preoccupato per lei, era ormai troppo tardi: si era scoperto irrimediabilmente.
Avrebbe voluto buttarla sul rimprovero, sullo sfottò, ma poi lei lo aveva guardato con occhi pieni di amore, di tenerezza, e si era sentito annientato.
Paralizzato.
 
Ed ora eccoli lì, davanti ad un barattolo di salsa italiana, rischiarati da una tenue fiammella, accovacciati nella loro cucina, ad aspettare… cosa?
 
Fino a quando gli occhi di Kaori iniziarono a brillare maliziosamente e, con uno scatto repentino, con il dito sporco di pomodoro, tracciò una linea rossa lungo il naso dello sweeper.
Lo stupore che lesse nello sguardo dell’altro, che quasi cadde all’indietro per la sorpresa, la fece scoppiare in una sonora risata.
 
“Ma-ma… sei una stupida!” esclamò Ryo ritraendosi impacciato, ma divertito.
 
Rimettendosi in piedi aiutò la socia a fare altrettanto, e finì per ridacchiare anche lui.
 
D’improvviso ritornò la luce, e i due si lasciarono sfuggire un: “Ohhhh!” di autentico sollievo.
 
“Bene socio, avevo pensato di cucinare degli spaghetti all’italiana, ma come vedi il barattolo si è rotto.”
 
“E non ne abbiamo un altro?” chiese lui sconfortato, poiché amava quel piatto e come lei glielo cucinava; adesso che glielo aveva detto ci aveva fatto la bocca, e gli dispiaceva rinunciarvi.
 
“Non saprei… prova a guardare lassù nell’ultimo piano della dispensa… sì, proprio lì… c’è? Benissimo! Allora stasera spaghetti!!!” finì per dire Kaori allegramente.
 
“Ottimo, socia. Se non ti dispiace rimango qui a controllare che tu abbia tutti gli ingredienti a portata di mano, e che non ti ferisca di nuovo” e le fece l’occhiolino.
 
“Allora prendi questo!” gli disse lanciandogli un grembiule “E non protestare! Questa è la divisa ufficiale della cucina, o così o niente!” concluse con finta severità, agitando il dito indice,ammonendolo.
 
“Agli ordini, grande chef!” rispose divertito lo sweeper, e per la prima volta Ryo aiutò la compagna in cucina.
 

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Capitolo 2
*** Una lunga serata insieme ***


E siamo già, si fa per dire, al capitolo 2.
Come proseguirà la serata, rintanati in casa, mentre fuori imperversa un tifone?
Grazie per le belle recensioni, vi adoro *__*
Eleonora





Cap. 2 Una lunga serata insieme
 
L’erogazione dell’energia elettrica resse ancora po’, nonostante il vento si fosse rinforzato di molto, e sollecitasse notevolmente i fili della luce in tensione.
Si sentiva chiaramente anche sibilare fra gli spifferi delle tapparelle, che i due sweeper avevano calato in tutte le finestre, unico riparo all’avanzare del tifone.
Da dentro la casa, ad intervalli irregolari, si udiva la pioggia scrosciare sui tetti e sulle strade deserte, o sferzare con forza le pareti dell’intero palazzo, investito su più fronti dalle raffiche di vento intrise di acqua.
 
Non era la prima volta che i City Hunter affrontavano questo fenomeno, peraltro affatto insolito in terra nipponica, e sapevano già come comportarsi.
Però soprattutto Kaori, ogni tanto, sentendo una sventata più forte, o un rombo particolarmente più marcato, quando aveva l’impressione che tutto lo stabile vibrasse e oscillasse peggio che con una scossa di terremoto, rabbrividiva.
Il tutto aveva un non so che di inquietante, ma si guardava bene dal confidarlo al socio, col rischio di essere presa come una mammoletta, una smidollata che non era degna di essere la compagna del grande Ryo Saeba.
 
In ogni caso, avendo cenato prima del solito, i due soci si ritrovarono con tanto tempo a disposizione ed era troppo presto per andare a dormire.
E se era scontato che Ryo non uscisse per locali, restava sempre il problema di come avrebbero passato la serata… insieme.
 
Ryo aveva riguadagnato il suo posto sul divano, che quasi recava ancora traccia della sua precedente seduta, e appoggiando i piedi sul tavolino basso davanti alla tv, si accomodò per sorbirsi la sua solita dose di idiozie televisive.
 
Kaori, raggiungendolo da dietro lo schienale, gli chiese, a mo’ di conferma:
 
“Tanto stasera non uscirai per i tuoi soliti giri, vero?”
 
“Con un tempo del genere anche i peggiori criminali se ne resteranno chiusi nelle loro tane puzzolenti.” rispose ghignando “Non ho nessuna intenzione di andarmene in giro per la città a badare a loro.”
 
E nemmeno a farlo apposta in quel momento, giù in strada, passò una macchina della polizia che, con l’altoparlante, intimava di restare chiusi in casa in vista dell’arrivo del tifone.
S’interruppero un attimo per prestare attenzione al ben noto ammonimento, poi ripresero la loro conversazione.
Fu Kaori a parlare:
 
“O forse hai deciso di restare a casa perché tanto anche i tuoi amati localini, stanotte, resteranno chiusi?” gli domandò Kaori guardandolo con sarcasmo.
 
A Ryo non restò che ammettere un “… Anche” colpevole, nonostante andare a donnine, per quella sera, fosse l’ultimo pensiero che gli passasse per la testa.
Aveva la scusa della tempesta in arrivo per rimanere in casa con Kaori, anche se non aveva programmi di sorta e né avrebbe fatto chissà cosa, con lei.
Gli bastava una tranquilla serata in famiglia – sì, perché loro due erano una famiglia! – e gli era sufficiente stare con lei, stuzzicarla, farla arrabbiare, bisticciare per il piacere di farlo, o anche parlare del più e del meno: non chiedeva nulla di più.
Doveva, però, mantenere la sua solita parvenza di scellerato gaudente, di donnaiolo incallito, e non le avrebbe mai confessato che, quella che si prospettava, per lui sarebbe stata di gran lunga, e a prescindere, la serata più bella da trascorrere in pace, accanto alla donna che amava.
Infatti, quando la sentì bofonchiare un “Mi pareva…”, gli si disegnò un mega sorriso divertito sul viso, che purtroppo Kaori non notò.
Ma tanto, anche se lei lo avesse visto, non avrebbe saputo dire perché lui sogghignasse in quel modo: Ryo era sempre così sarcastico, non c’era mai da stare tranquilli.
La ragazza non aveva capito che quella era una provocazione bella e buona, il solito pungolo per stuzzicarla, e lui si disse che la sua dolce e cara socia era una favola, ed era uno spasso prenderla in giro, perché cadeva sempre nei suoi tranelli.
 
Tuttavia la beatitudine durò poco perché Kaori, con uno scatto felino, scavalcò lo schienale del divano e si gettò sul televisore, per spegnerlo urlando un: “Arrrggggghh!” che fece saltare il compagno sul posto.
 
“Che-che ti prende? Sei impazzita?” gli gridò il socio allibito.
 
“È che stava passando l’ennesimo telegiornale, con l’ennesima edizione straordinaria, in cui non si parla d’altro del tifone in arrivo! Non li sopporto più, mi mettono più ansia loro che tutta la tempesta in arrivo!”
 
“E c’era bisogno di fare tutto ‘sto casino?”
 
“Certo, perché se ti avessi chiesto di cambiare canale, prima che tu lo avessi fatto, con la tua solita flemma e soprattutto con i tuoi mille lamenti, mi sarei già vista tutto il reportage, che mi avrebbe agitato enormemente!”
 
“Tu non sei normale!” sentenziò il partner fissandola, dopo che si era buttata a sedere scompostamente accanto a lui.
 
“Lo so!” gli rispose lei, guardandolo con aria maliziosa “Altrimenti come avrei potuto sopportati tutto questo tempo?”
 
“Puah!” sbuffò l’altro, sconfitto, per il momento; poi aggiunse subito dopo: “E sentiamo, cosa vorresti guardare stasera? Sarò magnanimo, lascio decidere a te!” disse socchiudendo gli occhi, con aria fintamente benevola.
 
“Veramente?” si animò la ragazza “Allora potremmo vedere…”
 
“Ah!” l’interruppe subito lui, alzando una mano stoppandola “Non se ne parla nemmeno!”
 
“Ma come? Non ho fatto neanche in tempo a dirlo e tu…”
 
“Perché già so che vuoi farmi vedere una di quelle commediole tutto miele e bacetti.”
 
“E cosa ne sai che volevo vedere proprio quello?” spalancò gli occhi incredula la ragazza.
 
“Lo so e basta!” pontificò l’uomo, con fare altezzoso.
 
“E comunque avevi detto che avrei potuto scegliere io! Così non vale. Dammi il telecomando!” e glielo strappò con violenza dalle mani.
 
“Tutto tranne quello. Ridammelo!” e fece l’atto di buttarsi su di lei per riprenderlo, ma nell’attimo stesso in cui lo afferrò, di colpo si spense tutto, televisore e luce elettrica.
 
“Uffff, questa non ci voleva!” sbottò Kaori.
 
“Toh, è andata via di nuovo la luce!” disse Ryo confermando l’ovvio “È tutta colpa tua!” aggiunse per farla ulteriormente arrabbiare.
 
“Idiota! Se non te ne fossi accorto, c’è un tifone in arrivo!” gli disse sferrandogli un lieve cazzotto “… e addio tv.”
 
“Meglio il buio totale, che un pericoloso aumento della glicemia.” ironizzò l’altro, riferendosi al tono melenso dei filmetti che tanto piacevano a Kaori.
 
Terminati anche gli ultimi lazzi, i due restarono in silenzio per un po’, in attesa che, come la volta scorsa, l’energia si decidesse a tornare; ma in risposta ebbero ulteriori violente raffiche di vento, seguite da roboanti rimbombi di tuoni.
Kaori rabbrividì, ma fu grata all’oscurità che la celava agli occhi del socio, perché non voleva apparirgli come una pappamolla impressionabile.
Eppure avrebbe tanto voluto rifugiarsi fra le sue braccia per sentirsi al sicuro, e non solo.
 
Piuttosto, con un sospiro, si rivolse a lui dicendogli:
 
“Prestami l’accendino, che vado a prendere le candele nel ripostiglio…”
 
“Tieni. Io ti aspetto qui.” le rispose Ryo.
 
“Già, mi aspetti qui, giusto perché i night sono chiusi…” non mancò di lanciargli un’ultima sottilissima frecciatina, a cui lui fece eco con una risata sincera.
 
In breve tempo Kaori disseminò la cucina e il soggiorno – il cuore della loro casa e, per il momento, gli unici ambienti che avrebbero usato – di candele e candeline, e Ryo si gustò la sua danza solitaria, in cui fiorivano luci e lucine, accese dalla creatura più magica e leggiadra che avesse mai avuto la fortuna d’incontrare.
Kaori infatti si destreggiava con le fiammelle e gli stoppini, e dove arrivava lei, arrivava la luce; l’uomo la osservava affascinato.
Quello che stava facendo per casa era un po’ il riflesso di ciò che aveva compiuto anche nella sua vita da balordo: portava la luce in mezzo al buio.
E con che grazia e attenzione proteggeva la fiamma appena accesa, riparandola con le sue manine delicate!
Se ne prendeva cura, finché non divampava vivida e sicura, e solo allora la lasciava andare.
Per uno strano gioco di sensazioni, era come se Ryo percepisse dentro di sé tutto il calore di ogni singola luce che Kaori accendeva, e ne traeva beneficio, una gioia senza nome che lo colmava di felicità.
 
Quando ritornò da lui reggeva con entrambe le mani una grossa candela, bassa e tozza, di quelle profumate per ambienti e, posandola delicatamente sul tavolinetto di vetro davanti al divano, osservò ridacchiando che certe candele sono una vera e propria fregatura, perché profumano solo da spente.
Risiedendosi sul divano e ripiegando le gambe sotto di sé, la ragazza si avvide dello sguardo dolce e sognante del socio, e per un attimo credette che fosse in qualche modo rivolto a lei, con quella stupida speranza che non l’abbandonava mai; ma poi si convinse che era solo un ingannevole gioco di luci e ombre, e che Ryo non la stava guardando in quel modo.
 
Si accoccolò meglio, e a quel punto si ricordò di avere ancora l’accendino di Ryo nella tasca davanti dei jeans, perché in quella posizione le stava facendo quasi male, premendole quasi sull’inguine; frugandovi dentro gli disse:
 
“Ah, ecco, il tuo accendino.” ed estrattolo, glielo porse.
 
Ryo l’afferrò e lo strinse brevemente nel palmo della mano: recava ancora il calore corporeo della giovane, era stato quasi a contatto con la sua pancia…
Fantasticò su come sarebbe stato bello se quella sua stessa mano fosse finita dentro la tasca a riprendersi l’accendino, o avesse vagato al di sotto della stoffa dei jeans e della fodera, a bearsi direttamente di quel calore, a saggiare la sua pelle liscia e perfetta, proprio lì ad un passo da…
 
“Allora?” l’interruppe nelle sue fantasticherie Kaori, facendolo quasi sobbalzare “Cosa facciamo?”
 
Avrebbe tanto voluto risponderle che, giusto un secondo prima che lei lo interrompesse, aveva già in mente delle belle cosine da fare insieme…
Ma non era il caso, pertanto si strinse nelle spalle e non disse nulla.
 
Kaori, muovendosi a disagio, segno che ciò che stava per chiedergli era per lei un argomento spinoso, gli domandò:
 
“Ehmmm, Ryo… visto che non puoi uscire…  e sei rimasto qui, con me… pensavo che potremmo fare quello che… cioè… Cosa fai quando vai nei tuoi locali?” finì per dire tutto d’un fiato, per poi aggiungere subito dopo: “Ovviamente togliendo sbavare per le donnine e magari spupazzartele…” e lo disse con una smorfia “… o ubriacarti… o entrambe le cose!” concluse con una leggera nota di scherno e rabbia repressa.
 
Ryo fu preso da un’ondata di tenerezza per la sua testolina rossa.
Evidentemente voleva in qualche modo replicare uno dei suoi divertimenti mondani, epurato delle sconcezze a cui, ovvio, non si sarebbe mai sottoposta.
Fare la parte della donnina allegra, manco a pensarci, e non solo perché lei stessa non avrebbe voluto, temendo oltretutto di essere pesantemente umiliata da lui, ma tanto nemmeno lui ce l’avrebbe vista.
Era come se, visto che Ryo era costretto a stare chiuso in casa con lei, e per giunta senza tv, lei volesse che si divertisse ugualmente, nemmeno fosse colpa sua.
 
Ma quanto amore sei capace di riversare su questo dannato bastardo che ti è capitato come socio, coinquilino e compagno di avventure?” si chiese lui.
 
Come poteva non amarla a sua volta?
Gli spuntò un sorriso strano all’angolo della bocca, e subito Kaori iniziò a sudare freddo, pentendosi della proposta che gli aveva appena fatto, immaginando in chissà quali turpi passatempi l’avrebbe trascinata; si affrettò a dire la prima cosa che le passò per la testa:
 
“Oh, io ho detto così, eh? Ed era solo per renderti il favore, visto che mi avevi accordato la scelta dei programmi tv. Ma se non vuoi, insomma non sei obbligato, cioè…”
 
“Sì può fare!” proruppe infine il socio, mozzandole sulla bocca le ultime parole senza senso che stava gettando fuori più o meno alla rinfusa.
 
“Sì può fare cosa?” chiese preoccupata la ragazza.
 
“Quando esco non vado solo a donnine, come dici tu, o mi ubriaco” e le fece l’occhiolino, che anziché rassicurarla la mise in uno stato di leggera agitazione “A volte vado anche nelle bische, più o meno clandestine, e gioco a carte; poker, preferibilmente.”
 
Kaori tirò un sospiro di sollievo.
Giocare a carte poteva andare, e quand’anche avessero giocato a soldi, che non avevano, erano pur sempre quelli della società e non ci sarebbero stati né vincitori né vinti.
Già stava pensando a dove avesse visto i mazzi di carte con tanto di fiches, l’ultima volta, quando lui la fece trasalire dicendo:
 
“Potremmo giocare a strip poker!” e di nuovo quel suo occhiolino malandrino le fece venire il batticuore.
 
Dalla padella nella brace.
 
Kaori avvampò, e del leggero fumo le uscì dalle orecchie: sembrava una caldaia a vapore.
Ryo se ne compiacque: era così divertente metterla in difficoltà, era quasi sicuro che non avrebbe accettato.
Pertanto rincarò con:
 
“Che c’è? Non ti va di giocare?”
 
“Ce-certo… è un passatempo come un altro.” rispose lei, cercando di darsi un contegno.
 
“Ma, hai capito, almeno, come si gioca?” la stuzzicò Ryo.
 
Kaori, punta sul vivo e infastidita dalla sua illazione, non ci stette a passare per la solita sprovveduta; inoltre non voleva dargli la soddisfazione di fargli capire che al solo pensiero di spogliarsi davanti a lui, qualora avesse perso la partita, se la faceva addosso.
 
“Che domande! E chi non lo sa?” gli rispose, piuttosto, sfoggiando una sicurezza così falsa che nemmeno un cieco ci sarebbe caduto.
 
Ryo pensò che sarebbe stato davvero un gioco da ragazzi batterla, visto che non sapeva mai bluffare, e ne stava dando magnificamente prova in quello stesso momento.
Sarebbe stato divertentissimo farle fare lo spogliarello, e già pregustava lo spettacolo che gli avrebbe offerto la sua fantastica e bellissima socia.
 
“Quindi? Cosa hai deciso?” la pungolò “Accetti?”
 
“Vado a prendere le carte!” gli rispose prontamente, e si alzò in fretta in piedi e corse a cercare l’occorrente.
 
A quel punto Ryo si fregò le mani soddisfatto con un sorriso da satiro: ci mancava che scodinzolasse con la sua codina da capretta e saltellasse su un paio di zoccoletti fessi.
 
La ragazza tornò poco dopo con il kit per giocare, con tanto di panno verde su cui adagiare le carte e le fiches, ma appoggiandole sul tavolo del soggiorno, gli disse:
 
“Prepara tu, che io devo prima fare una cosa.”
 
Afferrata una candela, scomparve al piano di sopra; ma Ryo era troppo eccitato dal gioco dentro il gioco che stavano per fare,e non ci fece troppo caso.
 
Dopo un po’, non vedendola tornare, e raffreddatisi gli ardori nell’attesa, preoccupato le gridò:
 
“Kaori? Tutto bene?”
 
Dal piano di sopra si udì un mezzo soffocato:
 
“Tutto benissimo, adesso arrivo!”
 
Un secondo dopo si vide scendere pesantemente e pericolosamente una Kaori infagottata con tutti i vestiti che aveva potuto infilarsi, uno sopra all’altro.
Sbuffava ad ogni scalino e sembrava un multicolore omino della Michelin.
 
“Ma-ma… come ti sei conciata?” chiese Ryo, sull’orlo di una fragorosa risata che gli stava premendo sulla bocca e che gli faceva vibrare la cassa toracica.
 
“Perché? Cosa c’è che non va? Ho detto che avrei giocato a strip poker, ma mica c’è scritto da nessuna parte quanti vestiti bisogna indossare?” affermò la sweeper, strizzandogli l’occhio, convinta di essere la più furba ragazza del Giappone.
 
E visto che il suo discorso non faceva una piega, la famosa risata non venne mai a galla, e morì nei recessi del ventre del socio deluso.
Così, se Ryo si era aspettato un eccitantissimo spogliarello della ragazza – perché tanto, per quanto lo riguardava, restare vestito o nudo non faceva nessuna differenza – dovette ammettere che, in questo modo, non c’era più gusto a giocare con lei.
Come minimo aveva indossato l’intero contenuto del suo armadio, e anzi, l’ultima t-shirt sospettava gli appartenesse, e per sperare di vederla se non nuda almeno in mutandine, avrebbero dovuto giocare tutta la notte e sperare di vincere… o ricorrere ad un mazzo di carte truccate che, maledizione, non aveva.
 
“Allora? Non ti va più di giocare?” lo dileggiò lei, e lo guardò sogghignando, nonostante avesse già la fronte lucida di sudore: era pur sempre la fine dell’estate ed era ancora caldo.
 
“Non vedo l’ora!”le rispose lui, cercando di mascherare il disappunto e la delusione “Te l’ho proposto io!”
 
“Bene, allora dai tu le carte” gli disse Kaori, sedendosi con difficoltà al tavolo apparecchiato per il poker e illuminato da una bassa candela al sandalo.
 
E i due soci cominciarono a giocare.
 
La prima partita la vinse Kaori, e Ryo dovette togliersi le pattine; poco male, anzi era di per sé strano che non fosse già scalzo.
E Kaori sogghignava e sudava.
La seconda partita la vinse di nuovo Kaori, e Ryo dovette togliersi la maglietta rossa; ma non era divertente spogliarsi, perché stava perdendo e ancora la socia sembrava un kebab di vestiti.
E Kaori sogghignava e sudava.
La terza partita fu più sofferta, e verso la fine sembrava che la vittoria sorridesse allo sweeper quando, inaspettatamente, Kaori mise giù una scala reale che sconfisse miseramente il full del socio, il quale fu costretto a sfilarsi anche i pantaloni della tuta.
E Kaori sogghignava e sudava.
E ora aveva un motivo in più per sudare, in quanto vedersi davanti il partner a torso nudo, con i muscoli che guizzavano ad ogni movimento, illuminati morbidamente da quella luce calda e invitante, le stava facendo perdere la concentrazione, e faceva una gran fatica a non pensare che, se avesse vinto anche la prossima manche, lui si sarebbe tolto i boxer.
La quarta partita gliela lasciò vincere e lui, esultante, batté le mani, rianimato: per Kaori il pericolo mutande era stato scongiurato, e lei si tolse con nonchalance una leggera sciarpetta che si era avvolta intorno al collo ormai fradicio di sudore.
Ma alla quinta partita Kaori non riuscì ad imbrogliare e vinse platealmente…
Ryo allora, in un impeto di disappunto, e deciso, senza troppo pensarci, a pagar pegno, scostò violentemente la seggiola esclamando:
 
“Eh, ma allora dillo!!! La prossima volta ti porto al casinò!”
 
E stava già mettendo mano all’elastico dei boxer quando Kaori, allarmata, gli gridò:
 
“Fermo lì!” bloccandolo sul fatto.
 
“Va-va… bene così. Fine partita, ho vinto e amen, ti abbuono… ti abbuono… insomma tieniti le mutande… per favore” finì in un sussurro.
 
A quel punto Ryo, che fino a quel momento aveva sbuffato in preda alla disdetta e al nervosismo, vedendo la reazione della pudica socia, riesumò la risata dell’inizio e vi si lasciò andare, piegato in due dal ridere.
 
“Idiota.” borbottò l’altra.
 
Quando l’idiota in questione si fu calmato, si risedette, incrociando le gambe una sull’altra, con un braccio mollemente appoggiato sullo schienale della seggiola, il corpo rilassato; si mise a fissarla con aria birichina.
 
“Be’? Cosa hai da guardare?” gli chiese acidamente la socia.
 
“Niente.” rispose lui.
 
Una nuova consapevolezza si era fatta lentamente strada in lui: Kaori stava certamente morendo di caldo sotto quella tonnellata di abiti che si era messa addosso per paura di spogliarsi, ma visto che aveva sempre vinto e Ryo era rimasto letteralmente in mutande, ora, per ovviare all’inconveniente, o riprendevano a giocare, o Kaori doveva comunque svestirsi.
Certo non sarebbe stato eccitante come un vero spogliarello, ma divertente, quello sì.
Perché di sicuro non ci sarebbe riuscita da sola e avrebbe dovuto chiedere il suo aiuto, ne era certo, ed era anche troppo orgogliosa per farlo.
E quindi Ryo attendeva.
E sapeva anche che la compagna non avrebbe retto a lungo, perché già da quando era arrivata era madida di sudore.
Sogghignò fra sé e sé.
Nell’appartamento la temperatura si era notevolmente alzata, non appena avevano chiuso tutte le finestre, quando aveva iniziato a piovere, e per fortuna lui era mezzo nudo!
Così com’era stava da dio, quasi ebbe compassione della socia, ma… no, voleva fargliela pagare per aver stravinto e non avergli offerto lo spettacolo che sperava.
 
“Allora? Che facciamo?” chiese Kaori, con un filo di nervosismo nella voce.
 
“Ah, non saprei…” rimase sul vago il partner, sempre stravaccato e con quel suo sguardo predatore e irriverente.
 
Quando fa così, con quella sua faccia da schiaffi…” pensò Kaori sull’orlo di una crisi di nervi.
 
“Vogliamo giocare ancora?” buttò lì lei, visto che poteva perdere finché volevano e almeno, così, si sarebbe alleggerita, anche se…
 
“Mmm, meglio di no…” rispose svogliatamente il socio “Non mi rimangono che le mutande come posta, e poi tu ti imbarazzi” e le fece l’occhiolino “e comunque io… sto bene così, senza far niente, con questo caldo…”
 
Ecco, lo sta facendo apposta, il cretino…” rimuginò la ragazza, prendendosi a sventolare con le carte a ventaglio.
 
“Non trovi che qui dentro sia caldo?” rincarò la dose l’uomo “Peccato non poter aprire le finestre… con questo caldo… non ti sembra?” E sospirò drammaticamente.
 
“Dai, ti concedo di rivestirti, puoi mettere i vestiti che avevi prima” propose Kaori pur di giocare di nuovo, con la speranza di togliersi quei dannati panni che si era messa addosso con tanta fatica.
 
“Dici?” fece lui fingendo di starci a pensare “Sai che non lo so? Veramente… E poi è così caldo… ed io sto così bene in mutande con questo caldo…”
 
“Ohhhh, avanti smettila!” gli gridò infine Kaori, spazientita “Sì è caldo, è caldissimo, ed io sto morendoooooooo!!!”
 
“E allora spogliati!” le rispose il socio senza scomporsi.
 
“Non ci riesco!” strepitò, sbuffando.
 
“In che senso?”
 
“Nel senso che non ci riesco da sola. Ti prego, aiutami!” si umiliò a chiedere la ragazza.
 
Per l’orgoglio ferito di Ryo questa resa era più che sufficiente, e ridacchiando si apprestò a lei.
 
“E brava la mia socia furbetta, che per paura di me e di farsi vedere nuda, ha preferito svaligiare il suo armadio, vero?” le disse, aiutandola a sfilare la prima maglietta che, sì, era proprio quella di Ryo.
 
“Stai zitto e fai presto, che non riesco nemmeno a respirare!”
 
“Uuuhhh, quanta fretta” le rispose un Ryo divertito, mentre le stava giusto facendo passare sopra la testa un’altra maglietta ormai sformata.
Poi, non appena il viso della giovane spuntò fuori dalla stoffa, lui le soffiò, ad un passo dalle labbra:
 
“Non era così che pensavo, un giorno, di spogliarti…”
 
Kaori, che fino a quel momento si era divincolata, impaziente di sbarazzarsi di quella corazza tessile che la stava quasi stritolando e la faceva sudare come se fosse all’inferno, si bloccò di colpo e lo fissò, occhi negli occhi, con ancora le braccia dritte sopra la testa.
Aveva veramente sentito ciò che aveva sentito?
 
D’un tratto non era più così urgente liberarsi da quella morsa informe, non contava più che fosse così tanto sudata che pure i capelli le si erano appiccicati sulla fronte… contava solo quello che le era parso di capire e lo sguardo con cui la stava fissando Ryo.
Fugacemente pensò che nemmeno lei si era mai immaginata di essere spogliata così da Ryo, un giorno.
Che buffo, avevano avuto la stessa idea!
E quasi le venne da sorridere…
Ma non era quello il momento, poiché continuavano a fissarsi, quasi i nasi a sfiorarsi, immobili sull’orlo dell’abisso, le bocche dischiuse, ansiose di baciare.
 
Il tempo parve fermarsi.
 
Poi un lampo, un tuono.
 
La luce fredda del soggiorno ritornò ad illuminare quella goffa parodia di un pagliaio che era diventata Kaori, e la magia si infranse.
E non ebbero neanche il tempo di abituarsi al forte chiarore, che gli aveva ferito la retina, che un secondo dopo l’oscurità era ripiombata su di loro, stordendoli leggermente.
Spaventati più da ciò che stavano per compiere, che da quegli improvvisi sbalzi di luce, si allontanarono di un passo, colpevoli; in breve si riadattarono alla penombra delle candele, ma tutto parve sfumare nel sogno.
Entrambi si ritrovarono a pensare che, forse, non era come si erano immaginati che stesse per succedere… che si erano sbagliati.
Ma poi il disagio pressante e reale che provava Kaori reclamò tutta la sua attenzione, e la ragazza riprese a sbuffare e a girarsi intorno impacciatamente, cercando di sfilarsi quei dannatissimi vestiti.
In generale si ripeteva sempre che non aveva nulla da mettersi e invece guarda lì, sembrava il mercatino ambulante dell’usato!
 
“Ryooo…” lo chiamò lamentosa.
 
“Sì, arrivo, eccomi.”
 
Solerte e cameratescamente il socio corse in suo aiuto, e faticosamente, maglia dopo maglia, riuscì a sfogliarla come un’infinita cipolla.
Stava quasi per toglierle l’ultimo top quando lei lo fermò appena in tempo; accortosi, ritrasse di scatto le mani e si allontanò ridacchiando a disagio:
 
“Scu-scusa, è che ormai avevo preso il via… e sai com’è” si giustificò
 
“No-non preoccuparti” rispose lei, lievemente in imbarazzo.
 
“Grazie…” mormorò alla fine, chiedendosi se fosse mai possibile che una cosa, nata per essere una specie di scherzo, una cretinata, potesse trasformarsi prima in una tortura, poi in un attimo di quasi follia e, infine, in una faccenda di complicata risoluzione.
 

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Capitolo 3
*** A che gioco giochiamo? ***


Finalmente sono riuscita a postare il capitolo 3 e solo adesso mi accorgo che è un po’ cortino, ma tutta la storia non è lunghissima e il prossimo sarà il capitolo finale.
Che dire se non GRAZIE a voi tutti che leggete e/o commentate??
Buona lettura
vi adoro *__*
Eleonora





Cap. 3  A che gioco giochiamo?
 
Non appena si fu liberata di quel bozzolo, Kaori corse in bagno a darsi una rinfrescata, mentre il socio si ributtava lungo sul divano con un lungo sospiro.
Cosa stavano per fare? si chiese.
E perché lui le aveva fatto quella battuta su come immaginava di spogliarla?
Perché era la verità: lui non era in grado di impedirsi di sognare Kaori e di farci cose.
E più erano peccaminose e proibite, più le fantasticherie gli venivano bene.
Però che voglia aveva avuto di baciarla seriamente, in quel momento!
E se non fosse tornata la luce a sorprenderli?
Come sarebbe andata a finire?
 
Con la testa nascosta sotto un cuscino, si chiedeva anche se, in quel preciso istante, non fosse, forse, meno pericoloso passeggiare per le strade di Shinjuku, con un tifone pronto a scaraventarti contro a qualche muro, o col pericolo di essere investito da un cartellone pubblicitario – e si augurò che fosse almeno quello della pubblicità di Victoria’s Secret, che se proprio doveva morire schiacciato, che fosse sotto una bella donna – piuttosto che rimanere chiuso in casa con la tentazione fatta persona.
Con Kaori.
Ma il rischio e il pericolo non erano il suo mestiere? si disse orgogliosamente.
Certo! si rispose.
Ma di fronte a Kaori era sempre più difficile non cedere.
Che poi… ne aveva ancora voglia di combatterla?
Di combattere contro quel sentimento che, potentemente, lei sapeva suscitargli e che lo riempiva di gioia e terrore?
In fondo, quel giorno alla radura era stato chiaro, come può essere chiaro un tipo come lui; però lei aveva capito: aveva compreso che lui le voleva bene, che sarebbe vissuto per proteggerla, per lei … per la donna che amava.
 
Sospirò.
 
Quando riemerse dai cuscini Kaori era appena ritornata, e con un telo di spugna si stava asciugando i corti capelli.
 
No, non farlo!” le indirizzò mentalmente lui, perché con i capelli bagnati era così dannatamente sexy!
 
Nemmeno lei avesse letto nei suoi pensieri esclamò:
 
“Ma che li asciugo a fare, è così caldo qui, che non ne ho bisogno”.
 
Poi, con un rapido movimento rotatorio del capo, Kaori si ributtò indietro un ciuffo di capelli, spandendo intorno a sé minuscole goccioline d’acqua, brillanti come diamanti.
Ma la scena, per una strana alchimia del momento, Ryo la vide come al rallentatore, e si ritrovò ad osservare la socia a bocca aperta.
L’unica cosa che riuscì a pensare fu:
 
Dio, quanto sei bella!
 
Ma un’altra potente, rombante sferzata di tempesta, fece tremare e oscillare il palazzo, e i due si bloccarono in ascolto: il tifone era già arrivato, o questi erano solo i prodromi?
C’erano state delle volte che i tanto attesi tifoni, alla fine avevano perso di potenza avvicinandosi alla costa, e per fortuna non avevano fatto i danni paventati.
A volte si erano risolti in violenti temporali, fortunali, o tempeste di più o meno forte intensità.
Tuttavia lì così, isolati, senza poter accedere ai notiziari tv – che tanto angosciavano Kaori e che però li avrebbero tenuti informati sull’andamento del tifone – non sapevano in che preciso momento dell’evento atmosferico si trovassero.
Avrebbero potuto cercare di captare qualche stazione radio, con un vecchio apparecchio a batterie, ma Ryo era quasi sicuro che, in quelle condizioni, la recezione sarebbe stata altamente disturbata o nulla.
Forse aveva ragione Kaori, era meglio non sapere; tanto ormai dove sarebbero potuti andare?
Di certo non in centro a passeggiare, o a prendere una boccata d’aria.
Domattina all’alba avrebbero controllato la situazione, e contato i danni.
 
Forse era il caso di sfruttare al meglio quella forzata permanenza fra le quattro mura domestiche, anche se a ben guardare non era poi così forzata, ed erano pur sempre a casa loro.
 
Che ore erano?
Ryo si diresse verso la parete di fondo del soggiorno e, recuperata una candela, cercò di illuminare l’orologio sulla parete: le 23,01.
 
“Ryo, che c’è?” chiese con un filo d’ansia la socia.
 
“Niente, ero solo andato a controllare l’orario” rispose l’uomo senza inflessioni particolari.
 
Kaori temeva che lui si annoiasse, lì da solo con lei: aveva sempre questo sentore di pochezza nei suoi confronti, di essere sempre troppo poco interessante, bella, divertente, simpatica, brillante, femminile.
Se invece avesse saputo di come lui si trovava bene con lei, in ogni suo aspetto; di come fosse piacevole quella strana serata casalinga!
Ma anni di sottile violenza psicologica avevano fiaccato la sua autostima, e la tenace Kaori doveva sempre nascondere la sua insicurezza e fragilità dietro il mal garbo, le sfuriate, la pungente ironia a volte, o la causticità di certe risposte.
 
“Vuoi andare a letto?” gli chiese, indecisa se sperare in un prolungamento di quella particolare serata a due, o in una più prosaica fine giornata, comunque lunga e stancante; ma la risposta che gli diede lui, la pungolò come una zanzara:
 
“È un invito, il tuo?” e la guardò sornione.
 
“Ma smettilaaaa!” rispose lei spazientita, chiedendosi al contempo che effetto avrebbe fatto a Ryo se lei gli avesse risposto, anche solo per scherzo – ma fino a che punto? – che sì, era un invito!
 
La scrivente crede che ad una risposta del genere, Ryo ci sarebbe rimasto secco, ma… non è delle mie convinzioni che stiamo parlando, quindi proseguiamo con la storia.
 
“Piuttosto, se non hai ancora sonno, ho un altro gioco da proporti” esordì la ragazza, mettendosi in posa da maestrina.
 
“Lo sai che sono abituato a fare le ore piccole, e solo perché sono chiuso in casa, non vuol dire che debba andare a letto con le galline! Anche se a volte ci sono certe gallinelle che…”
 
“Non pensi ad altro?” l’interruppe lei, spazientita.
 
“Eh eh eh eh, no” ridacchiò l’uomo che, ricordiamolo, era ancora in mutande dopo lo strip poker.
 
“Vedi di infilarti almeno i pantaloni, però!” gli ingiunse, infatti, la socia “Che per questo gioco, non servono appendici ingombranti” e lo fulminò con lo sguardo.
 
“Ricevuto” obbedì lo sweeper, e, mentre seduto sul bracciolo della poltrona s’infilava i calzoni della tuta, le chiese distrattamente:
 
“Che gioco è?”
 
Twister!”
 
Twist, cosa? Non sarà uno di quei giochi dove si balla, o cose del genere, spero!” protestò debolmente Ryo.
 
Ma Kaori, che era già mezza scomparsa nello sgabuzzino – a rovistare nelle cianfrusaglie ivi ammassate alla ricerca delle sue vecchie cose, quelle che si era portata dietro quando era andata ad abitare con lui – gli rispose scocciata:
 
“Ma no! È un gioco divertentissimo! Possibile che non ci abbia mai giocato almeno una volta, quando eri bambino?”
 
Non appena si rese conto della gaffe fatta, Kaori si bloccò e, voltandosi lentamente, lo guardò con aria colpevole e piena di vergogna:
 
“Scu-scusa, io non volevo… Perdonami”
 
“A parte che io da bambino avevo tutt’altre cose con cui giocare, ma non ci avrei giocato lo stesso, anche se avessi potuto” le rispose, senza dar peso al suo imbarazzo e alla sua apparente uscita infelice.
 
Forse non se ne era accorto nemmeno, o forse voleva dare alla sua socia l’opportunità di trarsi d’impaccio da quella situazione spinosa.
Non amava raccontare dei suoi trascorsi, e non voleva essere compatito, meno che meno da lei.
Ma non voleva nemmeno che lei si sentisse a disagio con lui, e con il suo passato ingombrante.
 
La ragazza, in qualche modo, afferrò al volo il suggerimento del socio e, ripresa la sua solita verve, trascinando fuori dallo stanzino una vecchia scatola polverosa, gli disse:
 
“Non fare tante storie, vedrai che è divertente. E poi ha pochissime e semplici regole, che anche uno come te può imparare”.
 
Uno come me?” le berciò dietro l’uomo, che quando ci si metteva sembrava più il bambino che non era mai stato, che l’adulto che era “Guarda che anche se ho perso a poker, qui farò faville. Hai mai sentito parlare della fortuna del principiante?” e le andò incontro dandosi delle arie.
 
“Vedremo” gli rispose la ragazza srotolando, con un movimento secco e deciso, il tappeto bianco con i bolli colorati, per terra “Vedremo, caro socio: la notte è giovane!”
 
Spiegategli le poche regole di base, a piedi nudi sul tappetino, fecero girare a turno la ruota che avrebbe decretato il colore da coprire e si misero giù a giocare.
Contrariamente a come aveva strepitato all’inizio, Ryo lo trovò subito divertente, e non smetteva più di ridere: era buffo vedere il suo enorme corpo massiccio contorcersi, con i muscoli del torace e della schiena in tensione, ed eseguire complicate rotazioni pur di raggiungere il bollo giusto.
Per Kaori era altrettanto facile, flessibile come un giunco, sembrava una contorsionista nata, e fino ad un certo punto la lotta fu alla pari.
Poi però, nell’impossibilità di avere altre mani o piedi, iniziarono i problemi.
 
Ryo, per raggiungere il suo colore, s’insinuò con il braccio destro attraverso il varco creato dal corpo della socia e il pavimento, e passando sfiorò inavvertitamente il seno della donna.
E fu come se si fosse scottato toccando il fuoco!
D’improvviso provò un’emozione così intensa, come non gliene aveva mai dato nemmeno la più soddisfacente palpatina intenzionale rifilata a chissà chi.
E l’aveva solo sfiorata!
Enormemente turbato, le chiese debolmente scusa, ma se era prevedibile ed inevitabile un contatto del genere – e infatti la socia non si preoccupò della cosa – per lui fu talmente sconvolgente che non smise più di pensarci, continuando a percepirne il calore, lì sul braccio con cui l’aveva toccata.
In un certo senso Ryo perse un po’ della sua innocenza, a giocare con quel gioco infantile ma divertente, e quando lei, sempre per raggiungere il suo colore, infilò la gamba attraverso quelle del partner, e la coscia nuda e levigata di lei andò a strusciarsi contro il suo inguine, lui per poco non perse la testa.
Di colpo realizzò che quel gioco era più pericoloso di una roulette russa, e più stuzzicante ed erotico di un banalissimo strip poker.
Si rianimò tutto e anzi, maliziosamente, si disse che da adesso in poi avrebbe giocato con tutt’altro animo, e che gli si offriva su un piatto d’argento la scusa per potersi strusciare alla sua bellissima partner, senza essere per questo preso a martellate.
 
Kaori, dal canto suo, aveva percepito benissimo il momento esatto in cui Ryo le aveva inavvertitamente toccato il seno, ma, proprio perché era un gioco, non si era arrabbiata né vergognata, anche se dentro di sé aveva sentito come una scossa, che si era propagata dal punto esatto di contatto attraverso tutto il corpo, fino a morire nel basso ventre, rendendola languida.
Che lo avesse nascosto alla perfezione, non sminuiva la potenza di quella sensazione.
E tutti quei contatti e strusciamenti, braccia e gambe intrecciate, le risvegliarono voglie mai sopite, e scacciò subito quel senso di colpevolezza che la spingeva a rifiutare i messaggi che le stava inviando il suo corpo.
Che lei desiderasse Ryo era un fatto assodato, e solo perché lui non era altrettanto attratto da lei, non cambiava le cose.
Se un gioco innocente come il Twister le permetteva di stare avvinghiata a lui, senza vergogna o imbarazzo, perché no?
Anche in quel momento Ryo era uno spettacolo: senza la maglietta, con i muscoli in bella vista, le braccia che sembravano tronchi intagliati, le gambe due pilastri ben saldi che terminavano in piedi altrettanto poderosi, con il viso rivolto al soffitto, i capelli neri spettinati che ondeggiavano dalla nuca in giù, era una specie di ragno sexy, si ritrovò a pensare la giovane ridacchiando.
Sarebbe bastato fargli il solletico in quale parte del corpo?
C’era l’imbarazzo della scelta, e lui sarebbe caduto e lei avrebbe vinto.
Ma Kaori, distratta dai suoi stessi pensieri, mise male il piede e scivolò pesantemente addosso al socio sbattendo il viso sul suo petto, e lui, pericolosamente in bilico e stupito da quella mossa repentina, perse l’equilibrio, cadendo sulla schiena trascinando Kaori sopra di sé.
 
“Ho vinto, ho vinto!” proruppe esultante la ragazza, a quel punto.
 
“Eh no, bella mia. Sei tu che mi sei caduta addosso” protestò lui.
 
“E allora? Non vorrai mica dire che con il mio esile peso ti ho fatto cadere???” gli domandò con aria di sfida, preparandosi alla prossima scaramuccia verbale.
 
“No, solo che hai fatto apposta a farmi perdere l’equilibrio”
 
“Ma sentilo! Se sei un armadio a quattro ante, come puoi pensare che un fuscello come la qui presente possa riuscire ad atterrarti?” e nel dirlo si tirò su a sedere, a cavalcioni della gamba sinistra dell’uomo, con tanto di mani sui fianchi.
 
“Piccola impertinente, adesso te lo faccio vedere io!” le rispose lui.
 
E, afferratala con entrambe le mani, la attirò a sé.
Approfittando del suo temporaneo sbigottimento, si mese d’impegno a farle il solletico in ogni parte del corpo.
 
“Sme- ahahahhaha, smet- ahhahaha -tila” protestava ridendo la giovane, fra le risate indotte da quel sadico.
 
“No, che non smetto” ripeteva ridendo anchelui.
 
“Ti preg-hahahahaha-o. Bastaaaaaa-haahhahaha” provava a dire Kaori con le lacrime agli occhi.
 
“Smetto solo se dici che hai fatto apposta a cadermi addosso!”
 
“Ma-ma- hahahahahha! Non è verooooo- ahhahahaha” articolava lei, divincolandosi sotto quella tortura che sembrava non dover finire mai.
 
“Dimmi che hai fatto apposta, se no continuo!” intimò lo sweeper.
 
“Okay! Ahhahaah, okay, hahahahah sì, sì ho fatto apposta-hahahahaha” mentì lei, pur di farlo smettere.
 
E lui, come promesso, terminò di farle il solletico.
Ma la ragazza, ansante, rimase distesa, sfinita, addosso al corpo dell’uomo, ancora scossa dagli ultimi rimasugli di risata.
 
Lui si prese del tempo per osservarla: era adorabile tutta spettinata, accaldata, con le guance in fiamme e solcate dalle lacrime.
E, prima ancora che si rendesse conto di ciò che stava per fare, allungò una mano ad asciugarle una guancia.
Kaori gli sorrise, e a lui parve di annegare in quegli occhi ridenti e così pieni di vita e amore.
 
“Kaori…” sussurrò.
 
Sbam!
 
Un rumore metallico assordante, li fece sobbalzare: fu come se d’improvviso si ricordassero della tempesta che stava infuriando là fuori.
Tesero le orecchie e sentirono ancora il clangore di qualcosa che sbatteva con forza, e che unito al rombo del vento e della pioggia scrosciante, sembrava far tremare tutto il palazzo.
 
Quasi all’unisono proruppero con:
 
“La porta della terrazza!”
 
Di malavoglia Ryo fece per rialzarsi, e altrettanto svogliatamente Kaori si fece da parte per permettergli di tirarsi su: la realtà delle cose li stava richiamando al dovere.
Non avrebbero potuto lasciare la porta a sbattere per tutta la notte, senza contare che l’acqua sarebbe entrata a fiotti, allagando magari i locali immediatamente sotto il tetto.
 
“Devo andare…” mormorò Ryo.
 
“Ce-certo” sospirò la ragazza, passandosi una mano fra i capelli e sistemandoseli in qualche modo.
Quindi aggiunse: “Copriti, mi raccomando!”
 
E l’uomo, che si stava già infilando la maglietta, le rispose: “Va bene mamma!” facendole la linguaccia.
 
Lei mormorò uno “Scemo”, ma gli sorrise con affetto.
 
Afferrata la torcia elettrica, Ryo scomparve su per le scale.
 

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Capitolo 4
*** Sussurri nel fragore ***


Dopo tante aspettative, ecco il quarto ed ultimo capitolo, spero che non vi dispiaccia il finale.
Buona lettura e ancora GRAZIE
Eleonora






Cap. 4 Sussurri nel fragore
 
Nonostante Ryo stette via pochi minuti, in quel breve lasso di tempo Kaori si sentì sola e abbandonata, e per la prima volta ebbe paura della tempesta che si stava svolgendo fuori da lì, che stava flagellando il suo quartiere e l’intera città di Tokyo.
D’improvviso le parve che quella notte non dovesse finire mai più, e si scoraggiò.
Pertanto raggiunse il divano, allontanò il tavolino di vetro, e si sedette in terra, con le spalle appoggiate alla seduta del sofà.
Prese tutti i cuscini e si costruì una sorta di riparo intorno a sé e, tirandosi una coperta sulla testa, piegò le ginocchia al petto e si mise lì, così, in preda all’angoscia.
Non le importava che Ryo la trovasse in quella posizione, magari l’avrebbe presa in giro perfino, ma lei aveva veramente paura del tifone, e nulla le avrebbe fatto cambiare idea.
 
Quando il socio ridiscese nell’appartamento, girando la torcia all’interno del soggiorno chiamò:
 
“Kaori? Kaori, ma dove sei?”
 
“Sono qui” rispose con un filo di voce.
 
“Qui dove?” chiese l’uomo, avanzando comunque in direzione della sua voce, mentre diceva: “Senti, io sono bagnato fradicio, vado di sopra, mi cambio e poi penso che andrò a dormire…”
 
“No, ti prego non farlo!” proruppe lei d’impulso, interrompendolo.
 
Ryo l’aveva trovata in quel preciso momento, e la stava illuminando con la torcia elettrica: era un fagotto quasi informe da cui spuntava appena il suo visino.
 
“Kaori, ma…?” le domandò quasi con un sussurro.
 
“Ti prego, Ryo, non andare in camera tua!” e lo guardò con aria implorante.
 
“Ma che stai dicendo?”
 
Ryo era troppo sconvolto dall’atteggiamento della socia per poter anche solo pensare di prenderla in giro: era veramente terrorizzata, e lui non si sentiva di infierire.
 
“Sto dicendo che la tempesta è nel pieno del suo vigore, lo sento, e non è bene stare vicino alle finestre… la tua camera ha le finestre proprio dietro il letto! Potrebbero esplodere e…”
 
“… ma non succederà… stai tranquilla” le disse, cercando di calmarla, e accovacciandosi alla sua altezza.
 
“Gli esperti consigliano di spostarsi al centro delle stanze… come ho fatto io. Questo è il luogo più sicuro di tutta la casa…” e gli rivolse uno sguardo da cerbiatta impaurita.
 
“In realtà sarebbe il poligono…” iniziò spiegandole “…che è un vero e proprio bunker, ma temo che con questo tempo potrebbe finire per allagarsi…” poi, vedendola così inquieta, aggiunse: “Però sì, forse hai ragione”.
 
Indeciso sul da farsi, prese a passarsi una mano fra i capelli intrisi d’acqua; se Kaori non voleva che andasse a dormire in camera sua, che almeno gli permettesse di asciugarsi in qualche modo, ma non sapeva come dirglielo.
Solo a quel punto Kaori si rese conto che, effettivamente, Ryo era bagnato fradicio, e gli disse:
 
“Che stupida che sono! È vero, sei completamente zuppo!!! Dai, vatti a cambiare… ma fai in fretta… e non sostare davanti alle finestre” lo pregò con apprensione.
 
“S-sì… va bene”.
 
 
 
Mentre si avviava verso la sua camera da letto, Ryo non faceva che pensare allo strano comportamento della socia, la quale, forse, non aveva tutti i torti.
Finché erano stati tutti presi a divertirsi avevano dimenticato la gravità della situazione; del resto erano anche soli in quell’enorme palazzo, ed essere due sweeper professionisti non li metteva necessariamente in salvo di fronte alla potenza della natura.
Soprattutto sentì nascere dentro di sé una voglia inestinguibile di starle accanto, di tranquillizzarla, di prendersi cura di lei, di passare la notte con la sua Kaori, anche solo a parlare, aspettando l’alba.
 
Si affrettò salendo a due a due gli scalini delle scale, e vuoi per la soggezione, vuoi per la fretta, non indugiò nella sua stanza e si cambiò in fretta.
Fuggevolmente guardò le finestre, protette semplicemente dalle tapparelle che vibravano come impazzite, e si chiese quanto avrebbero retto alla furia degli elementi.
Per un attimo pensò che, effettivamente, lui e Kaori erano veramente poca cosa nel caos dell’universo.
 
 
 
Quando ritornò in soggiorno notò subito che sul tavolinetto basso di vetro, accanto all’inesauribile candela al sandalo, c’era un enorme pacco di patatine fritte e una vaschetta di gelato bi-gusto.
Sorrise.
 
“Hai fatto scorta di viveri?” le chiese divertito.
 
“Quando è così mi prende la fame nervosa” rispose cupamente la ragazza.
 
“Piccola squaw, posso entrare nel tuo tipì?” domandò lui, riferendosi a quella specie di accampamento che aveva messo su la sua partner, la quale continuava a tenere la coperta sulla testa.
 
Kaori alzò gli occhi a guardarlo, da sotto in su, e gli sorrise felice, e facendogli cenno di accomodarsi, gli disse:
 
“Certo che sì! Prego, sei il benvenuto”.
 
Lui la raggiunse e le si sedette vicino, distendendo le lunghe gambe, che finirono sotto il tavolino; lei istintivamente spostò la coperta a coprire anche lui, e gli sussurrò:
 
“Hai ancora i capelli bagnati…” spostandogli un ciuffo dalla fronte, con la mano.
 
Ryo rimase senza fiato di fronte a quel gesto, e a quelle parole pronunciate con così tanto amore: mai si era sentito così amato e bisognoso di affetto come in quel momento; quasi si commosse.
E se la ragione gli suggeriva che una semplice coperta, al riparo di un divano, alla luce di una candela, non era che un rifugio per bambini che giocano al campeggio, il cuore invece gli gridava che lì dov’era, in quel preciso momento, era protetto da tutti i mali del mondo.
Nulla avrebbe potuto nuocergli, perché lì risiedeva tutta la sua forza e sicurezza; accanto a quella donna stupenda era l’uomo più forte e più debole di tutto l’universo, ed era proprio lì che voleva stare, era il luogo perfetto: nel cuore della sua stessa casa, accanto a Kaori.
Una strana gioia senza nome gli scaldò il cuore.
 
Il senso di benessere che stava provando lo indusse a rilassarsi, e con la schiena appoggiata al divano, socchiuse gli occhi sospirando; dopo un poco la socia gli sussurrò:
 
“Stai dormendo?”
 
“No, affatto. Mi sto rilassando e… ripenso a ben altri accampamenti…” lasciando la frase in sospeso.
 
Kaori si mosse a disagio e gli disse:
 
“A proposito, Ryo, volevo chiederti scusa per prima… quando ti ho preso in giro per il Twister… a volte dimentico il tuo…”
 
“…passato?” finì per lei “Non preoccuparti, non mi sono offeso, e fai bene a dimenticare… Vorrei tanto esserne capace anch’io…” concluse con voce atona, senza tradire emozione alcuna.
 
“…perdonami lo stesso” mormorò la ragazza.
 
Lui allora riaprì gli occhi e, voltandosi a guardarla, le sorrise dolcemente; quindi, spostando lo sguardo in un punto indefinibile davanti a sé, iniziò dicendo:
 
“Sai, in realtà ho dimenticato tanto anch’io… Nel bene e nel male non ricordo nulla dei miei genitori, e quindi non ne ho sentito la mancanza. Ero troppo piccolo per ricordare i loro volti, le loro voci, quali sensazioni provassi stando insieme a loro, e forse lo shock dell’incidente ha cancellato i pochi ricordi che avevo. Se non conosci una cosa, non puoi sentirne la mancanza quando la perdi, giusto?” chiese girandosi fugacemente a guardarla.
Lei si strinse nelle spalle, e quasi in un soffio gli disse:
 
“Mi dispiace…”
 
Era al colmo dei sensi di colpa per averlo indotto a riaprire vecchie ferite, che sicuramente facevano ancora male; ma lui, immaginando il suo stato d’animo, la rassicurò dicendo:
 
“Kaori, non devi dispiacerti, non è colpa tua; e anzi, io devo solo ringraziarti… per tutto quello che hai sempre fatto per me”.
 
Dopo una breve pausa riprese:
 
“Quando vivevo nella giungla, con i guerriglieri e con Kaibara, non c’era troppo spazio per i sentimentalismi, e l’affetto che mi dava lui, e l’affiatamento e il cameratismo che c’erano fra me, lui e gli altri, nonché quella specie di rispetto reciproco che ci univa, erano più che sufficienti, per tutto. Il nostro era un mondo popolato da uomini rudi e rare donne abbrutite, perlopiù contadine spaventate, o talmente disperate da vendersi per un tozzo di pane. Nei villaggi più grandi, o in qualche cittadina sulle grandi strade dei commerci, invece, potevi incontrare donne molto più disinibite, e diciamo così, più generose. Ma in generale, tutte queste presenze femminili non mi facevano certo rimpiangere di non avere una madre”.
 
Kaori trattenne il fiato, era una delle rarissime volte in cui Ryo si apriva tantissimo con lei e le raccontava la sua storia passata.
Taceva per rispetto ed era, al contempo, timorosa che una sua parola detta male potesse distoglierlo dai suoi racconti e farlo decidere di zittirsi.
Ryo continuò:
 
“In realtà nemmeno tutte le altre donne che ho incontrato poi, sia in America che quando sono tornato in Giappone, hanno mai suscitato in me un qualche bisogno filiale di avere anch’io una mamma, e di conseguenza non mi struggevo per la perdita della mia… Certo, dirai tu, quelle che vai cercando sembrano tutto tranne che madri!” e ridacchiò leggermente “…Però hai ragione” e si voltò a guardarla con occhi limpidi, che, malgrado fossero illuminati appena dal fioco chiarore della candela lontana, la ragazza riconobbe come sinceri.
E seppe che Ryo, nonostante la particolarità del momento, era profondamente sé stesso, senza finzioni.
 
Kaori si commosse e si strinse a lui, permettendosi di appoggiare la testa alla sua spalla, e l’uomo chinò la sua quasi a sfiorargliela.
Era convinta che Ryo le avesse detto tutto, ma si stupì quando riprese a parlare:
 
“Poi però è successa una cosa strana… In mezzo alla moltitudine di donne che ho conosciuto, ne ho trovata una che mi ha risvegliato quel desiderio, quel bisogno. Era così amorevole, così gentile, così premurosa, che subito mi sono chiesto che effetto avrebbe fatto essere l’oggetto delle sue attenzioni. E ho provato una sensazione particolare, per la prima volta, come uno struggimento, una nostalgia, e ho invidiato tuo fratello…”
 
Kaori sobbalzò leggermente e si voltò a guardarlo: i suoi occhi sgranati sembravano popolati di mille lucine brillanti, e il riflesso della fiamma della candela vi danzava dentro.
 
La ragazza riconobbe, dal tono della voce del socio, che si era andato via via abbassando, che stava sorridendo quando le disse:
 
“Solo con te ho provato quell’antico desiderio, in parte soddisfatto, perché quando passavo da voi ero sempre un ospite gradito. Però poi dopo, quando sei venuta ad abitare con me, io mi sono sentito coccolato, amato… e non ti ho mai nemmeno ringraziato per questo. Ho sempre preferito buttarla sullo scherzo, sminuire il tuo lavoro, le tue attenzioni disinteressate, perché mi terrorizzava ammettere che invece dipendevo da quelle, e da te che me le rivolgevi. Lo so, mi sono comportato sempre da stronzo, ma nessuno mi aveva mai insegnato che anche l’uomo più duro ha bisogno delle gentilezze di una donna affezionata, e che ammetterlo, e ancor di più essergliene grati, non fa di lui un debole”
 
“Oh, Ryo!” esclamò la ragazza, incapace di dire altro, con la testa piena delle sue parole e dei suoi mille pensieri.
 
“È troppo tardi, se grazie te lo dico ora?” le domandò lui appoggiandole una mano sulle ginocchia ripiegate, che ancora si ostinava a tenere attaccate al petto.
 
“No-no…” Kaori era così emozionata che non avrebbe saputo e potuto chiedere di più; aveva aspettato tutta la vita di poter sentire uscire dalla bocca di quello stupido ingrato parole di ringraziamento e apprezzamento, ed ora la sua confessione l’aveva annientata.
 
“Bene, allora. E visto che, a parte il tifone fuori, non si è verificato nessun ulteriore cataclisma nel momento esatto in cui ti ho detto grazie, vorrà dire che mi sforzerò di dirtelo più presto!” concluse Ryo, ridacchiando e alleggerendo in parte l’atmosfera cupa che si era venuta a creare, a cui la ragazza rispose dandogli una piccola spinta con la spalla e sorridendo a sua volta.
 
“Ti ho detto che non ho ricordi di mia madre” riprese l’uomo dopo una brevissima pausa, “ma ora, quando ci penso, vorrei tanto che ti assomigliasse”.
 
A quelle parole Kaori prese la mano di Ryo, quella che lui aveva appoggiato sul suo ginocchio, e gliela strinse forte.
Lo sweeper continuò, spiegando:
 
“Perché sei forte e anche dolce; gentile, ma una furia quando ti ci metti; testarda, generosa e molto altro ancora… E credo che se avessimo avuto una vita diversa e insieme, io e lei, avrebbe dovuto essere tutto questo per poter combattere con uno come me” e scoppiò in una risatina divertita.
 
“Io penso, invece, che fosse sicuramente una donna speciale” disse Kaori, “così come tuo padre, perché hanno messo al mondo uno come te” e insistette su questo punto. “E anche se non hanno avuto la fortuna di poterti veder crescere ed educare, sei venuto su comunque come un uomo giusto, buono… E queste cose non s’insegnano, ce le portiamo dentro dalla nascita e rimangono qui…” e gli posò la mano sul cuore “Fanno parte di noi”.
 
Ryo, turbato dalle parole della ragazza, ma col cuore colmo di commozione, avvicinò il viso alla testolina della partner e le depositò un bacio dolcissimo fra i capelli, molto più intenso di quello che le aveva dato quel lontanissimo giorno, di sopra, sulla loro terrazza, quando lei gli aveva trovato un compleanno.
Si attardò a respirare il suo inconfondibile profumo, poi lentamente si staccò e ritornò alla sua posizione, socchiudendo gli occhi.
Non si era mai aperto così tanto con lei, ma si sentiva stranamente bene, in pace con sé stesso e con il mondo intero.
Mentre fuori infuriava la tempesta, nel suo cuore, al contrario, c’era una dolce pace che lo colmava di gioia.
 
“Nemmeno io ricordo nulla dei miei genitori” sussurrò a quel punto Kaori, senza interrompere il flusso armonioso che aleggiava su di loro “A quanto mi dissero, mio padre mi rapì a mia madre che ero ancora piccolissima, e quando mi portarono dai Makimura non avevo un passato, vuoi per la tenera età, vuoi perché non c’era nessuno a raccontarmelo… intendo un parente qualsiasi, una nonna, una zia. E comunque, per come era il mio padre biologico, sarebbe stato meglio dimenticare… forse. Accanto ai Makimura però sono stata felice, Hideyuki era il mio eroe, il mio modello, stravedevo per lui e suo padre, nostro padre; mi amava come fossi realmente figlia sua: l’amore non mi mancava”.
 
Fece una piccola pausa, e si perse a rimembrare i momenti felici passati accanto a quelle persone fantastiche, e a pensare a quanto le mancassero, soprattutto suo fratello; riprese:
 
“Quando ho conosciuto Sayuri e ho capito che era mia sorella…”
 
“L’avevi capito?” l’interruppe Ryo, allarmato, poiché le aveva mentito, in qualche modo, sull’identità della donna, e non era stato in grado di dirle la verità nemmeno molto dopo.
Neanche del famoso anello che le aveva lasciato Hide le aveva ancora detto niente, e si ripromise che lo avrebbe fatto prestissimo, anche se la socia gli stava dimostrando di sapere molto di più di ciò che lui sospettava.
 
Kaori gli rispose prontamente:
 
“Sì, e poi certe cose, come dire, si sentono” e gli sorrise. Quindi riprese il discorso lasciato a metà: “Sayuri è una così brava persona, così bella che, mi sono detta, nostra madre doveva essere per forza come lei”
 
“È vero, Sayuri è molto bella e tu le somigli tantissimo” si lasciò scappare Ryo.
 
Era un complimento contorto, alla sua maniera, ma Kaori lo apprezzò e lo ringraziò.
 
Ricominciò dicendo:
 
“Dei nostri genitori non mi ha detto molto, anzi quasi nulla, ma, del resto, avrebbe dovuto ammettere apertamente che eravamo sorelle, e forse sperava di dirmelo in seguito, quando sarei partita con lei…”
 
“Se avevi capito tutto, allora perché sei rimasta?” si azzardò a chiedere l’uomo.
 
All’epoca Ryo aveva vissuto con sollievo la sua decisione di rimanere in Giappone, ma non si spingeva mai a considerare che, forse, la vera ragione per cui era restata era proprio lui.
Non si era fatto troppe domande, e gli era andata bene così, e anche se aveva sempre pensato che solo lontano da lui Kaori sarebbe stata al sicuro e felice, non se l’era sentita di rivelarle la verità su Sayuri, la sua vera ed unica sorella biologica.
 
“Strano che mi fai questa domanda…” gli disse lei con una nota maliziosa nella voce, che lo mise enormemente a disagio “Io avrò anche capito tutto ma tu invece…” e scoppiò in una risatina divertita al termine della quale gli chiese “Secondo te perché sono rimasta qui?”
 
Messo alle strette Ryo non seppe cosa dire, sperava o forse sapeva che lei non era voluta partire per stare con lui, ma non si sentiva pronto a dirlo apertamente; la ragazza gli venne incontro:
 
“Sono rimasta perché la mia vita è qui, a Tokyo, in Giappone. Dove sono nata e cresciuta, dove risiedono tutti i miei ricordi, belli e brutti, dove riposa mio fratello. Qui ho il mio lavoro, anche se tu hai sempre fatto di tutto per dissuadermi” e Ryo tossicchiò a disagio “ho i miei amici e… sì, ho anche te” ammise con coraggio, nonostante stesse arrossendo mentre lo diceva.
 
“Grazie…” le sussurrò allora l’uomo; si era impegnato a dirglielo più spesso e qui doveva valere molto di più.
 
A quel punto, le passò una mano dietro la schiena e la strinse leggermente a sé; Kaori appoggiò nuovamente la testa alla sua spalla e socchiuse gli occhi.
 
Quella sera avevano avuto un riavvicinamento impensabile fino a qualche ora prima, e lei non voleva sprecare nemmeno un secondo di quei magnifici momenti che stavano passando insieme.
E visto che c’erano, voleva andare in fondo all’argomento, confidargli una volta per tutte il perché della sua decisione, quindi aggiunse:
 
“Inoltre… nonostante con Sayuri io abbia effettivamente un legame di sangue, quando ci conoscemmo, lei non era altro che una perfetta sconosciuta, di cui non sapevo nulla, né lei sapeva niente di me. Quei pochi giorni passati insieme mi sono serviti a capire che persona amabile fosse, ad affezionarmi, ma sono stati comunque pochi per poter decidere, su due piedi, di lasciare tutto e ricominciare una nuova vita da zero accanto lei…”
 
“Capisco…” si limitò a commentare Ryo, sprofondato in quel tepore avvolgente che gli rendeva semplici tutte le cose, anche aprirle il cuore e affrontare argomenti restati tabù per così tanto tempo.
 
E anche Kaori, forte di quella rinnovata sicurezza, di quel senso di intima pace che stava sperimentando, dimentica della tempesta che, fuori dal loro appartamento, non faceva più così tanta paura, si azzardò a fargli una domanda che da parecchio tempo la tormentava.
In realtà all’epoca lei gliel’aveva posta ugualmente, ma la risposta che lui le aveva dato era stata così incompleta, quasi deludente, e poi aveva finito per fare lo stupido che… insomma, voleva sapere:
 
“Ryo, invece tu… lo so che te l’avevo chiesto anche quella volta, ma io non ho mai creduto fino in fondo a ciò che mi rispondesti allora… e adesso, sincerità per sincerità, mi piacerebbe che tu mi dicessi la verità…”
 
“Cosa vuoi sapere?” le chiese incuriosito, ma totalmente rilassato e sereno; anche lui voleva essere sincero come non lo era mai stato.
 
“Quando abbiamo avuto a che fare con il nonno, con tuo nonno, alla fine hai preferito fargli credere che non fossi tu il suo nipote disperso, eppure… eppure tantissimi indizi portavano a te…”
 
Kaori ricordava benissimo quel periodo, quando si era presentato quel signore benestante, che ricercava un nipote sopravvissuto ad un disastro aereo sui cieli dell’America Latina; che aveva bella pronta una nuova vita per Ryo, con tanto di promessa sposa, una casa, un posto in società e soprattutto soldi, sufficienti per non dover più lavorare nemmeno come sweeper.
Il nonno le aveva chiesto esplicitamente di farsi da parte, che se era vero che Kaori lo amava e voleva unicamente il suo bene, doveva lasciarlo andare, e lei… era stata disposta a farlo.
Ma poi Ryo, quasi a sorpresa, aveva disconosciuto tutto, aveva mandato all’aria ogni progetto del vegliardo, e nonostante il sollievo provato per la decisione presa dal socio, la ragazza sentiva che non era propriamente così come lui voleva farle credere.
Lo stesso Ryo sapeva quanto avesse sofferto la sua amata Kaori in quei giorni, e quanto avesse fatto per lui: sì le doveva la sincerità.
 
“Hai ragione… tutto portava a me: così tanti indizi che veramente avrei potuto essere io suo nipote. Ma quel bambino che lui vagheggiava non esisteva più… Io non avrei mai potuto cambiare vita da un giorno all’altro, rientrare nella società dalla porta principale, smettere di fare il mio mestiere, rinnegare il mio passato, godere dei beni di famiglia, sposarmi con chi voleva lui, assumermi obblighi e doveri che altri avevano stabilito per me. Tu sai che vivo delle mie regole, non amo i legami, se non quelli che scelgo da me… Avrei dovuto rinunciare a tutto… a tutto questo” e fece un ampio gesto con la mano “Avrei dovuto rinunciare anche…  a te”.
 
Ecco, l’aveva detto, stavolta chiaramente, perché allora le aveva fatto capire che lei era la sua unica famiglia, che insieme erano una famiglia, ma poi tanti altri avvenimenti si erano succeduti, e quante volte Kaori aveva avuto la sensazione che quelle fossero state solo vuote parole, che quella non fosse la verità.
Ma adesso non c’erano possibilità di fraintendimenti: lui le aveva detto chiaro e tondo che non aveva voluto rinunciare a lei, che se avesse riconosciuto il nonno come il suo parente più prossimo, nella sua nuova vita non ci sarebbe stato posto per Kaori, per Kaori Makimura.
 
“Ryo, non sai quanto tu mi stia rendendo felice in questo momento” disse lei, e gli si rannicchiò contro, cingendogli il collo con le braccia.
 
Occhi negli occhi, nel caos calmo della tempesta che infuriava fuori e dentro i loro cuori, seppero che era finito il tempo dei rimandi, di quell’assurdo gioco di maschere; che lì, in quel preciso momento, al sicuro nella loro casa, potevano essere finalmente sé stessi, fino in fondo.
 
Erano diventati grandi e non se ne erano accorti.
 
E così, con naturalezza, le labbra si avvicinarono, a cercarsi, pregustando già l’attimo in cui si sarebbero toccate, non più divise da uno stupido vetro.
Ma un secondo prima che ciò accadesse, con un breve guizzo fulmineo, ritornò all’improvviso la luce, accecandoli e stordendoli.
 
Ryo, allora, sbuffando, afferrò un cucchiaino dalla vaschetta del gelato, prese bene la mira e lo lanciò in direzione dell’interruttore della luce, facendo centro.
Nuovamente tornò il buio morbido e la penombra di poco prima, e riaccomodandosi accanto a Kaori, piegò il capo per tornare al riparo della coperta che ora la ragazza teneva tesa sopra la testa.
 
“Dove… eravamo rimasti?” le chiese lui con un sorriso, a metà fra il malizioso e l’imbarazzato.
 
Non ci fu bisogno che la ragazza gli rispondesse, perché istintivamente i loro visi si riavvicinarono e finalmente le bocche si trovarono.
 
Fu un bacio dolcissimo, emozionante, e se anche fu, all’inizio, un semplice sfiorarsi di labbra, ebbe il potere di frastornarli enormemente.
Poi Ryo si fece più audace, e di nuovo cercò un contatto, un altro bacio ancora, lento, esplorativo, a gustarsi la sensazione di farlo con Kaori.
E quando si staccò, stavolta fu il turno della giovane di cercarlo, e fatta scivolare la coperta sulle teste, sulle spalle, incurante, abbassò le braccia a cingergli il collo e la nuca, e con le dita prese ad accarezzargli i capelli.
 
E non ci fu più altro da dire o da pensare.
Finalmente liberi dai legacci con cui si erano imprigionati nel tempo, si lasciarono andare all’amore reciproco, alla gioiosa e curiosa voglia di assaggiarsi, scoprirsi, e riscoprirsi.
Di verificare se tutte le fantasie avute sull’altro, quando sognavano di baciarsi, di toccarsi, di stare insieme, fossero così come le avevano pensate oppure diverse.
E, ovviamente, furono decisamente migliori!
Entrambi non erano preparati a quell’esplosione di emozioni che gli provocava anche il più piccolo tocco, bacio, carezza, così vivi e reali, che niente avevano a che fare anche con la più fervida immaginazione.
Era come se non si fossero mai toccati, sfiorati, afferrati… era come se non si fossero mai conosciuti abbastanza; eppure ora era tutto così meravigliosamente semplice, naturale… che veniva tutto da sé.
 
Sapevano a cosa li avrebbe portati quella lunga teoria di baci, sospiri, mormorii: quegli approcci nuovi ma da sempre desiderati, temuti, bramati, ma ora più che mai si sentivano pronti.
Erano due adulti che si amavano, ed erano consapevoli che il desiderio così a lungo represso e frustrato, sarebbe esploso di lì a poco, rincorso dalla passione e dalla voluttà che incendiavano ogni più piccolo gesto; e non si sarebbero fermati per nulla al mondo, nemmeno se il tifone avesse scoperchiato il palazzo, e li avesse esposti al vento e alla pioggia della tempesta.
Avevano vissuto tutta la vita in attesa di quel preciso attimo perfetto, per quell’incontro che, ironia della sorte, si stava svolgendo proprio lì, nel centro della loro stessa casa; ma quale altro posto migliore?
 
Un’urgenza nuova li faceva fremere di aspettativa, i baci si stavano facendo sempre più audaci, insistenti, vogliosi, e chiedevano, chiedevano di andare oltre, di estinguere una sete e una fame senza speranza di essere soddisfatte.
 
Ryo aveva fatto adagiare Kaori sui cuscini raggruppati sul tappeto del pavimento, e lì, in quella specie di rifugio, si erano lentamente spogliati del superfluo.
Ed ora, eccitati dal contatto col corpo nudo dell’altro, erano sicuri di non aver mai provato una felicità più pura e più vera.
Fugacemente pensarono entrambi che, infine, era incredibilmente facile amarsi, che nemmeno tutti quegli anni di rifiuti e freni, erano riusciti a intaccare il bello e il buono della loro unione; che i loro corpi erano fatti per amare l’altro e neanche l’inesperienza di una, o la troppa sicurezza dell’altro, toglievano spontaneità o naturalezza a ciò che stavano vivendo.
Eppure, in mezzo a quel turbine di emozioni e sensazioni, ormai quasi dimentichi del tempo e dello spazio in cui stavano vivendo, come sospesi, Kaori fu attraversata da un dubbio che la fece rallentare, e Ryo, percependo che qualcosa fosse cambiato in lei, ansante si fermò, quasi preoccupato.
Temeva di essere stato troppo avventato, affrettato, di averla spinta oltre i suoi limiti.
Kaori gli prese il viso con entrambe le mani, e lo guardò negli occhi, dove si vedeva riflessa.
Fu sul punto di tacere, di lasciar perdere e non dar seguito a quello che tanto avrebbe voluto chiedergli, perché vedeva l’amore nello sguardo di Ryo, che la stava amando con tutto sé stesso, e si sentì invasa da una forte consapevolezza, mai provata prima.
Ma Ryo, che aveva deciso che fra loro due non dovevano esserci più segreti, e che voleva essere certo che Kaori fosse sicura di ciò che stavano per fare, l’interrogò con lo sguardo.
Lei allora seppe che avrebbe dovuto parlare e togliersi quel peso dal cuore che le stava rovinando la notte più bella della sua vita; si era manifestato inaspettatamente e subdolamente dopo il primo bacio, e subito aveva cercato di scacciarlo dalla mente, ma poi era cresciuto a mano a mano che erano andati avanti ed ora non poteva più tacere.
Pertanto si decise a parlare, e gli chiese:
 
“Ryo… cosa farai dopo la tempesta?”
 
E nonostante l’uomo fosse nel bel mezzo di una fantastica bufera emozionale, non ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni, capì subito cosa quella donna speciale gli stesse chiedendo, quindi rispose semplicemente:
 
“Dopo la tempesta, amore mio, continuerò ad amare solo te”.
 
E il mondo riprese a vorticare, nel turbine di mille sogni rimandati, nella confusione delle parole mai dette, nella calma dei sentimenti più antichi e forti, e finalmente quelle due anime gemelle si unirono, secondo le leggi della natura, secondo i dettami del cuore, e si fecero unico essere vivente, palpitante connubio di due semplici amanti perfetti.
 
 
 
 
 
Quando le prime luci dell’alba, timidamente, filtrarono dalle finestre oscurate, il tifone aveva già lasciato il posto ad un sole forte e splendente, in un cielo pulito e terso, ma un frammento di quella tempesta era ormai rimasto imprigionato nei cuori di Ryo e Kaori, pronto ad agitarsi ogni qual volta i loro sguardi si sarebbero incrociati.
Per sempre.


Ed eccoci alla fine di quest’altro mio delirio.
Grazie per la passione e l’interesse che avete dimostrato per la mia storiellina traboccante dolcezza – e speriamo che non sia stata troppo stucchevole -.
Grazie alle fedelissime che erano sempre in pole position, grazie a chi ha lavorato dietro le quinte alla mia ff, grazie a chi ha letto e commentato, a chi ha letto in silenzioso, a chi ha messo la storia fra le ricordate, preferite, seguite e anche a chi si ripromette di leggere prima o poi e non trova mai il tempo.
Grazie e basta!
Alla prossima, vostra affezionata Eleonora


 

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