Secret Santa's Kpop Edition

di _aivy_demi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Winter Falls. With you. ***
Capitolo 2: *** Just trust me ***



Capitolo 1
*** Winter Falls. With you. ***





Winter Falls.
With you.



 

Questa OS partecipa alla challenge Secret Santa’s Kpop Edition
del gruppo FB Kpop Fanfiction Italia.


Fandom: Kpop RPF – Stray Kids
Ship: Hyunlix – Hyunjin/Felix
Dono per Blyth Ackerman Mackenzie
Prompt:

Winter falls, the snow falls

Purer than anything.

Falls, I’ll try to erase everything about you

That still remains with me


Winter Falls – Stray Kids



 

 

Felix aveva un rapporto particolare con la neve: da una parte lo rilassavano il grigiore del cielo cupo, i suoni ovattati dal manto bianco che ricopriva ogni cosa rilucendo sotto ai lampioni e all’illuminazione notturna della città. Il senso di quiete dato dai fiocchi lenti che scivolavano dalle nubi in modo così conciliante e avvolgente lo rendeva sensibile, rilassato, sognante. Aveva passato buona parte delle ultime serate a soffermarsi sulla finestra del salone del dormitorio, concentrato esclusivamente sul mondo esterno. I capelli biondi a contatto con il vetro e gli occhi rivolti verso l’esterno, d’altra parte, mostravano l’immagine di  un’esistenza diversa, più libera.
Un universo in cui lui avrebbe potuto amare, correre sotto la neve…
«Felix?»
Dimenticare chi era.
«Felix, ci sei? Dobbiamo tornare in sala prove, dai!»
Crearsi un’altra vita con una miriade di amici, tempo libero, un diverso percorso di studi.
E un amore diverso da quello che provava per l’unica persona per cui non avrebbe dovuto provare nulla.
La neve lo faceva stare bene dalla prima volta in cui l’aveva incontrata in Corea, sentita, toccata, ammaliato dal suo cadere silente e gelida: rappresentava al meglio la sua stagione preferita ma bruciava così tanto dentro, così diversa dal luogo dove era nato, bruciava lasciando cicatrici dolorose e invisibili dal sapore di nostalgie lontane, scavando ancora ed estinguendosi solamente quando il danno ormai era fatto. Lì tutte le sensazioni positive scomparivano amplificando una tristezza mogia, silenziosa, divorante.
Aveva bisogno di quella stessa emozione, Felix, di quel contrasto così vivido e deformante, ne aveva bisogno per tornare coi piedi per terra.
Era un cantante, un ballerino, un professionista. Un idol, un modello, una figura sempre presente davanti alle telecamere.
Era tanto, ma era anche troppo.
Avrebbe lavorato ancora e ancora, continuando il proprio percorso, con la consapevolezza vivida di avere una personalità trascinante accanto che lo aiutava ad alleviare il peso sulla nuca e nelle tempie, il peso di essere Felix degli Stray Kids e non il ragazzino nato e cresciuto in Australia che amava la musica, ma che non avrebbe immaginato gli avrebbe tolto così tanto.


Hyunjin si avvicinò, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni di tuta blu, i capelli scuri a contrastare vividi sulla pelle chiara del viso: detestava ripetersi e aveva già chiamato Felix ben due volte. Spazientito picchiettò sul vetro della finestra, spaventando il collega che pareva essersi rintanato in una bolla spessa e trasparente.
«Ehi, sei qui…»
Il sorriso spento, incupito di lui abbassò di un tono la luminosità del mondo: Hyunjin seguì l’istinto e l’abbracciò, contrariato da cambi di umore repentini e imprevedibili.
«Cos-?» Il biondo si scansò appena quando sentì affondare il naso dell’altro in lui, sulla clavicola.
Non lui.
Brividi.
Freddo, certo, era colpa del freddo, si disse Hyunjin mentre sfregava il mento sulla sua spalla, mormorando di seguirlo. Non aveva abbandonato le sopracciglia aggrottate e le labbra strette in una smorfia sottilmente contrariata, ma si staccò velocemente prima di stringere Felix ancora più forte trascinandolo per il braccio, dimenticando il resto del mondo, il lavoro, le prove, gli altri, tutti.
Entrambi si mossero in direzione della porta d’ingresso, il primo recuperò il giaccone seguito a ruota dall’altro che lo guardava come non capisse alcunché.
Seguimi.


La notte di Seoul era gelida: l’inverno quell’anno si era impossessato di quella zona del mondo con entusiasmante trasporto, portando a nevicate importanti e anticipate, ammantando strade, palazzi, tetti. Il traffico ridotto a causa del maltempo rendeva la capitale stranamente immobile, silenziosa.
Era in un certo senso magica, tanto quanto il contatto della mano di Hyunjin con le dita calde di Felix: quest’ultimo represse un secondo brivido, nascondendo il mento all’interno del giubbotto bianco al riparo da una folata sferzante e crudele.
Eppure, era bello.
Così bello da fermarlo, portarlo a voltarsi e girare su se stesso ammirando i fiocchi che parevano danzargli attorno. Gli occhi brillavano sotto le luci dei lampioni, e le luminarie natalizie di case, terrazze e alberi lungo il viale creavano un caleidoscopico vortice di tonalità differenti e complementari.
Hyunjin era rapito dalla capigliatura chiara che piano si stava riempiendo di piccole stelle bianche. «Tutto bene?» Doveva accertarsene, se n’era accorto: il sorriso di Felix aveva sfumature dolorose, come se la felicità che era solito provare si adombrasse di colpo per qualche motivo che non conosceva.


Certo, ovvio, avrebbe voluto rispondere Felix.
Proprio per un cazzo, pareva invece la risposta migliore. La voce di Hyunjin lo aveva riportato nel presente, in una Terra dove stava sacrificando ciò che provava per ciò che doveva fare, per l’immagine, per i fan, per la sicurezza della propria vita privata e non solo della sua. Non andava affatto bene, avrebbe voluto stringere a sé il ragazzo e baciarlo, baciarlo ancora, riscaldare le labbra sulle sue e mischiare profumi, sapori, desideri creandone di nuovi e godendone in ogni istante. Si fermò, le folate di vento invernale si bloccarono con lui incorniciando Hyunjin in una posa statica, un quadro danzante di punti bianchi e luminosi con un dipinto perfetto al centro.
Ho bisogno di te, Jinie
Felix allungò il braccio nella sua direzione, senza muovere un passo. Ci provò, ancorato a terra dal peso della responsabilità.
Era tutto così perfetto, proprio come aveva sperato tante volte, sognato troppe, desiderato innumerevoli sere. La sua stagione preferita, la sua neve preferita, la sua persona preferita.
Perfetto da sembrare irreale.
E così doveva rimanere, perché era giusto, perché avrebbe dovuto cancellare ogni traccia di Hyunjin dalla mente, eliminare ciò che provava per lui da anni, accantonare ogni sentimento e sensazione che ricaricavano le sue giornate. Doveva, non per sé ma per loro.
Doveva e l’avrebbe fatto.
Proprio lì, esattamente in quel momento.
Sorrise amaro, sollevando ancora il capo verso un cielo che aveva un colore diverso: non disse nulla, la condensa era l’unica cosa che usciva dalle sue labbra. Faceva male, ma nessuno aveva mai detto sarebbe stato facile; avvertì calore sulle guance e giù fino al mento, accorgendosi troppo tardi di star piangendo.


Non era da Felix, si disse Hyunjin. Non era da lui starsene zitto immobile, quando i suoi occhi parlavano tanto, e volevano dire altre cose, troppe. Sentì l’impulso di gridare, strattonarlo, di portarlo a esternare ciò che lo stava sconvolgendo, perché era chiaro qualcosa lo stesse consumando da dentro. Azzerò le distanze con un paio di falcate, intirizzito dal freddo e dalla rabbia che stava reprimendo: vederlo così lo faceva imbestialire, il suo istinto di protezione gli sussurrava continuamente che Felix non meritava una sola di quelle emozioni dure e pallide. Si fermò a pochi centimetri dall’altro, sollevò gli indici e gli sfiorò le labbra percorrendo due linee immaginarie all’insù sfiorando l’epidermide, mimando con esse un sorriso radioso, lo stesso che stava dipingendo con i polpastrelli.
E che mancava.
Avvertì chiaramente la pelle umida di Felix, ed ecco perché le sue iridi scure parevano brillare più del solito… le lacrime velavano uno sguardo perso, impaurito, improvvisamente rotto.
Felix
Hyunjin non era neppure certo di aver pronunciato ad alta voce il suo nome.
Felix…
Il nome morì sulle loro labbra unite.


Il  mondo girava e girava, così come le emozioni di Felix.
Si era aggrappato forte al cappotto scuro dell’altro, per paura di cadere a terra e scoprire di stare vivendo un sogno, un’illusione da cui avrebbe potuto svegliarsi da un momento all’altro. Stringeva convulsamente, ricercando un contatto desiderato da tempo con una speranza nulla. I battiti accelerati del petto esplodevano nei timpani, il sangue fluiva sugli zigomi arrossandoli e mischiandosi alle lentiggini che decoravano il suo volto: un netto contrasto con il biancore della strada innevata, dove due sole paia di orme avevano lasciato un segno che andava via via affievolendosi.
Si era dimenticato pure di respirare, Felix. Le labbra a fuoco, le dita ora intrecciate con quelle di Hyunjin che le aveva cercate e finalmente trovate.
Il pensiero buio di star facendo qualcosa di enormemente sbagliato nei confronti dell’altro venne scacciato, annullato, sepolto da sospiri bollenti e avidi.
Non puoi, Felix.
Quanto era invasivo il suo stesso pensiero.
Devi eliminare ciò che hai di lui.
Cancellava le parole che si formavano nella mente nello stesso momento in cui esse apparivano, tentando di salvare quel momento, quelle sensazioni e di godersi i respiri di Hyunjin su di sé.
Non può finire bene, fermati.
Strinse le palpebre, resettò il pensiero, maledisse la propria coscienza e infilò le dita tra quei capelli scuri puntellati di luminose perle di ghiaccio.
Felix.
Ascoltami, ascoltati.
Blackout.


Hyunjin si staccò per respirare, la punta del naso arrossata, le labbra tremanti, affamate. Sollevò le palpebre perdendosi nel liquido di occhi colpevoli, e si sentiva colpevole lui stesso. Attese pochi secondi equivalenti a una eternità, un momento lucido dove potersi fermare, concludere tutto, voltarsi schiena contro schiena e far finta di nulla. Voleva forse trovare certezza in Felix, essere sicuro di star facendo la cosa giusta – o quella sbagliata – ma il sorriso imbarazzato dell’altro spazzò ogni esitazione. Immerse nuovamente il viso nel suo cercandone il calore, respirò sul suo respiro, racchiuse il suo volto con le mani a coppa scontrandosi e miscelandosi con brividi e aspettativa.
Giusto o sbagliato che fosse, non avrebbe voluto essere in nessun altro posto.
Lo baciò ancora e di nuovo mentre la neve scendeva e brillava sui vestiti e su di loro, inglobando ogni suono e ogni colore, stracciando ogni pensiero. Sentì Felix ridere sulla sua bocca, lo sentì esistere per ciò che stava accadendo, lo sentì tremare di freddo e di calore, e tanto bastava.
Felix era felice?
Lo sarebbe stato pure lui.
Felix se ne sarebbe pentito?
Se ne sarebbero pentiti assieme.
Tutto attorno cadeva, loro avevano trovato un punto fisso dove tentare un nuovo equilibrio.





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Auguri di cuore stellina, Ily Blyth.

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Capitolo 2
*** Just trust me ***





Just trust me



 

Questa OS partecipa alla challenge Secret Santa’s Kpop Edition
del gruppo FB Kpop Fanfiction Italia.


Fandom: Kpop RPF – BTS
Personaggi: Min Yoongi/Jung Hoseok
Dono per Cain Oswald Nashton
Prompt: A bacia le lacrime di B




 

 

Un altro giorno di ordinario stress.
Un altro giorno difficile.
Un altro giorno dove Hoseok aveva lasciato fuori dalla porta la quiete e la leggerezza per immergersi nuovamente nel lavoro: infruttuoso, anche stavolta, come quella precedente. Scaraventò la penna e il blocco per appunti contro il muro di fronte, mancando di poco il vetro della finestra chiusa dello studio.
Non ci stava riuscendo.
Un enorme blocco creativo nero come la pece stava maltrattando la sua ispirazione, e dei testi riportati sui fogli sparpagliati a terra restavano soltanto cancellature violente, tratti pesanti a tagliare ferocemente la carta con l’inchiostro. Non ci avrebbe rinunciato, certo, non era la prima volta che accadeva ma mantenere la calma in un momento simile lo stava portando all’esasperazione. Tentava ogni giorno ormai di nasconderla davanti agli altri sperando di mascherare con un intramontabile – falso – sorriso tutto ciò che stava avvertendo.
Rabbia verso se stesso.
Frustrazione nei confronti del lavoro.
Inadeguatezza verso le aspettative troppo alte che si era posto, sperando in un salto di qualità nel testo.
Una gioia, mai? Si chiese, alzandosi stancamente e massaggiandosi la schiena dolorante: le ore seduto chino sulla scrivania non aiutavano affatto, anzi avevano contribuito a riacutizzare un dolore lontano che tornava fin troppo spesso a trovarlo. Imprecò calpestando per sbaglio penna e fogli, ferendo con sé il proprio orgoglio. Calciò contro il nulla, percependo una seconda fitta più insistente. Rise amaro, forse isterico, prima di optare per una doccia rilassante e un caffè o due. Avrebbero aiutato a scacciare il nervosismo, e perché no, regalargli un po’ di serenità in più, cosa di cui aveva estremamente bisogno.
Illuso.
Niente era servito, l’acqua calda aveva contribuito a dare un sollievo soltanto temporaneo e il caffè a cui ormai s’era assuefatto pareva non giovare come avrebbe dovuto. Le sale e i corridoi del dormitorio ormai era svuotati da ogni dipendente, insegnante, anima viva.
Poco male.
Hoseok si lasciò cadere sul divano chiaro della saletta comune, stendendo le gambe fasciate da un corto pigiama colorato, proprio come era stato lui in giorni migliori, colorato e solare, contrariamente alle occhiaie che contornavano ora gli occhi scuri e all’epidermide spenta su cui svettava prepotente la tinta rossa dei capelli arruffati. I calzetti spaiati staccavano dal sofà, sicuramente più del pallore sul color crema del divano e pareva un contrasto talmente buffo che il ragazzo scoppiò a ridere, per poi spegnersi di nuovo e addormentarsi così, disordinatamente, senza tener conto dell’ora, del luogo e del proprio umore.


Yoongi sollevò le palpebre stancamente, valutando l’idea di alzarsi dal letto e attraversare la stanza per andare in bagno o restare al caldo ancora un po’ in attesa dell’inevitabile. Si prese un paio di secondi per rifletterci su, concentrandosi sulla camera immersa nel buio e sui pochi elementi che spiccavano timidamente dal nulla assoluto, pennellati da minimi punti luce provenienti dalle persiane abbassate della finestra. Sì, lottare con il mondo in piena notte non sarebbe stato facile, ma decise di fare lo sforzo immane di ricordarsi d’avere una vescica perfettamente funzionante e si issò per poi trascinarsi verso l’esterno. Si affacciò allo stipite, gli occhi semichiusi senza trovare il coraggio di azionare l’interruttore della luce, ciabattando poi verso la direzione impressa nella memoria delle gambe affidandosi a un istinto che pregava potesse accompagnarlo dalla parte giusta. Il pigiama grigio frusciava sonoramente, sfregando sotto alle suole e svolazzando attorno alle gambe magre, e il rumore lo seguì fino alla porta del bagno. A colpirlo fu però l’anomalo riflesso di una luce contro al muro opposto, in fondo al corridoio. Sapendo di potersene pentire decise di mandare al diavolo il riposo – avrebbe sicuramente trovato un modo per recuperare qualche ora di sonno il giorno dopo – e scoprire di cosa si trattasse. Perché in fondo sapeva che, a parte Hoseok, tutti gli altri erano già andati a letto. Soltanto l’amico sarebbe potuto essere in giro a quell’ora, visti i ritmi che s’era imposto personalmente in dure sessioni di lavoro nelle ultime due settimane.
Trattenne a stento una risata quando si affacciò alla saletta: ritrovarsi il collega steso malamente sul divano, parte del corpo afflosciata sul tappeto morbido, non aveva prezzo. Stava russando sonoramente Hoseok, la bocca schiusa, un equilibrio precario mantenuto a stento. Yoongi soppresse l’istinto di andare a recuperare il cellulare e scattargli una foto imbarazzante, quando avvicinandosi notò il volto cereo e i contorni scuri attorno alle palpebre chiuse: si ritrasse spegnendo la luce principale della stanza avvalendosi di un piccolo lume decorativo, e istintivamente gli si sedette accanto addormentandosi in una manciata di minuti scarsi.


Il tonfo riportò Hoseok alla realtà: prima ancora di spalancare gli occhi e comprendere un dove, come e quando confusi, riempì la stanza d’un paio di insulti particolarmente coloriti avvertendo un mugolio impastato in risposta. Si rizzò in piedi terrorizzato, senza una bussola, un sostegno, una direzione.
Dove cazzo sono?!
Quando sbatté la rotula contro lo spigolo del tavolinetto in plexiglass si morse il labbro tanto forte da imprecare mentalmente ancor peggio di prima, e capire solo in un secondo momento la situazione.
Dopo essersi rovesciato su Yoongi ancora comodamente addormentato sull’altro lato del sofà.
E a urlare furono in due.
«Ma chi cazzo sei!»
«Cosa diavolo fai?!»
«Aiut- aiuto!» Hoseok si sollevò inciampandosi sul tappeto per poi sedersi sul tavolino, strabuzzare gli occhi e comprendere: no, non stava dormendo. No, non era nello studio, e tanto meno in camera sua. E no, non era solo. Rise isterico capendo il contesto fin troppo tardi, sbattendo le mani sulla fronte con un gesto teatrale a nascondere il tremore delle dita, chiuse una sull’altra per lo spavento e lo stress di uno spaesamento tanto reale da creare tachicardia e fiato corto.
Yoongi si curvò in avanti, masticando sillabe poco chiare e galleggiando ancora in un limbo di ombre e sonno, dove l’unica luce era il volto di Hoseok coperto in parte: brillarono gocce disperate pima di essere strappate alla pelle con un colpo di palmo.
«Ehi…» Il ragazzo sfiorò il collega seduto di fronte, instabile e tremante. Quest’ultimo non si ritrasse e anzi rise, rise con gli occhi serrati e pianse.
Stupido. Sei solo uno stupido.
Rise ancora Hoseok, gli zigomi umidi, prima di rovesciare all’indietro il capo e aspettare la crisi passasse.
Crolli così, davanti a lui, come un bambino?
Sì.

Si sentì strattonare, maledicendo la sfiga nell’essere collassato in un posto del genere, e cedette. A pochi centimetri dal volto di Yoongi, cedette e nuove lacrime sgorgarono.


Yoongi serrò i palmi sul volto sconvolto, capendo fin troppo bene: ci era passato pure lui, come tutti gli altri. Scoppiare nei momenti meno opportuni, più improbabili, era una delle prerogative di quel lavoro pesante e allo stesso tempo meraviglioso, totalizzante, che portavano avanti lui e Hoseok tutti i giorni. Sapeva sarebbe accaduto, non immaginava certo proprio in quel frangente: in fondo l’amico non era nuovo a simili manifestazioni. Stavolta però non avrebbe ripetuto l’errore di quella precedente, avrebbe agito subito. Passò i polpastrelli sul suo volto, sfregandolo con poca grazia ma con convinzione.
«Sono qui.»
Hoseok pareva vedere ma non ascoltare.
Si avvicinò, la fronte a sfiorare la sua, aumentando appena il movimento del petto.
«Hobi, ascoltami, sono qui…» inspirò, «resta con me, sono qui.» Ed espirò, sussurrando le ultime sillabe, credendoci fino in fondo. «Fidati di me, andrà bene, ce la farai.»
Le ultime gocce roventi sfuggirono al controllo di chi stava combattendo dentro. Yoongi sfiorò con le labbra la pelle bruciata dall’insoddisfazione e dall’incapacità dell’amico di sfogarsi, parlare, aprirsi; avvertì sale, incertezze, dolore, e dopo si staccò.
Hoseok si accasciò su di lui, singhiozzando in silenzio, incurante di apparire forse patetico, forse debole. Si perse sulla maglietta ormai umida del pigiama dell’altro, solleticato dai suoi capelli scuri; si perse infine nel movimento quieto di un respiro non suo.


Hoseok dormì sereno quella notte, steso nuovamente sul divano a discapito di un letto integro in una camera vuota. Yoongi si accoccolò lì accanto, la mano poggiata sulla testa dell’altro: «la prossima volta, dillo subito che hai un problema.» Mugugnò. Avrebbe aiutato Hoseok, l’avrebbe protetto da se stesso, dalla realtà in cui vivevano, dalla carriera che avevano scelto… d’altronde lo considerava come un fratello con cui condividere tutto, un elemento fondamentale della propria esistenza e non tollerava vederlo soffrire così. Il loro non sarebbe mai stato un lavoro semplice, questo lo sapeva e ne portava ancora le cicatrici; promise dunque non di evitargli i mali del mondo, ma di dividerne il peso perché così avrebbe potuto vederlo sorridere di nuovo.









A Cain, con i migliori auguri per un anno sereno e pieno di ispirazione.

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