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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Winter Falls. With you. *** Capitolo 2: *** Just trust me ***
Felix aveva un rapporto
particolare con la neve: da una parte lo rilassavano il grigiore del cielo
cupo, i suoni ovattati dal manto bianco che ricopriva ogni cosa rilucendo sotto ai lampioni e all’illuminazione notturna
della città. Il senso di quiete dato dai fiocchi lenti che scivolavano dalle
nubi in modo così conciliante e avvolgente lo rendeva sensibile, rilassato,
sognante. Aveva passato buona parte delle ultime serate a soffermarsi sulla
finestra del salone del dormitorio, concentrato esclusivamente sul mondo
esterno. I capelli biondi a contatto con il vetro e gli occhi rivolti verso l’esterno,
d’altra parte, mostravano l’immagine diun’esistenza
diversa, più libera.
Un universo in cui lui avrebbe potuto amare, correre sotto la neve…
«Felix?»
Dimenticare chi era.
«Felix, ci sei? Dobbiamo tornare in sala prove, dai!»
Crearsi un’altra vita con una miriade di amici, tempo libero, un diverso
percorso di studi.
E un amore diverso da quello che provava per l’unica persona per cui non
avrebbe dovuto provare nulla.
La neve lo faceva stare bene dalla prima volta in cui l’aveva incontrata in
Corea, sentita, toccata, ammaliato dal suo cadere silente e gelida:
rappresentava al meglio la sua stagione preferita ma bruciava così tanto
dentro, così diversa dal luogo dove era nato, bruciava lasciando cicatrici
dolorose e invisibili dal sapore di nostalgie lontane, scavando ancora ed
estinguendosi solamente quando il danno ormai era fatto. Lì tutte le sensazioni
positive scomparivano amplificando una tristezza mogia, silenziosa, divorante.
Aveva bisogno di quella stessa emozione, Felix, di quel contrasto così vivido e
deformante, ne aveva bisogno per tornare coi piedi per terra.
Era un cantante, un ballerino, un professionista. Un idol, un modello, una
figura sempre presente davanti alle telecamere.
Era tanto, ma era anche troppo.
Avrebbe lavorato ancora e ancora, continuando il proprio percorso, con la
consapevolezza vivida di avere una personalità trascinante accanto che lo
aiutava ad alleviare il peso sulla nuca e nelle tempie, il peso di essere Felix
degli Stray Kids e non il ragazzino nato e cresciuto in Australia che amava la
musica, ma che non avrebbe immaginato gli avrebbe tolto così tanto.
Hyunjin si avvicinò, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni di tuta blu, i
capelli scuri a contrastare vividi sulla pelle chiara del viso: detestava
ripetersi e aveva già chiamato Felix ben due volte. Spazientito picchiettò sul
vetro della finestra, spaventando il collega che pareva essersi rintanato in
una bolla spessa e trasparente.
«Ehi, sei qui…»
Il sorriso spento, incupito di lui abbassò di un tono la luminosità del mondo:
Hyunjin seguì l’istinto e l’abbracciò, contrariato da cambi di umore repentini
e imprevedibili.
«Cos-?» Il biondo si scansò appena quando sentì affondare il naso dell’altro in
lui, sulla clavicola. Non lui.
Brividi.
Freddo, certo, era colpa del freddo, si disse Hyunjin mentre sfregava il mento
sulla sua spalla, mormorando di seguirlo. Non aveva abbandonato le sopracciglia
aggrottate e le labbra strette in una smorfia sottilmente contrariata, ma si
staccò velocemente prima di stringere Felix ancora più forte trascinandolo per
il braccio, dimenticando il resto del mondo, il lavoro, le prove, gli altri,
tutti.
Entrambi si mossero in direzione della porta d’ingresso, il primo recuperò il
giaccone seguito a ruota dall’altro che lo guardava come non capisse alcunché. Seguimi.
La notte di Seoul era gelida: l’inverno quell’anno si era impossessato di
quella zona del mondo con entusiasmante trasporto, portando a nevicate
importanti e anticipate, ammantando strade, palazzi, tetti. Il traffico ridotto
a causa del maltempo rendeva la capitale stranamente immobile, silenziosa.
Era in un certo senso magica, tanto quanto il contatto della mano di Hyunjin
con le dita calde di Felix: quest’ultimo represse un secondo brivido,
nascondendo il mento all’interno del giubbotto bianco al riparo da una folata
sferzante e crudele.
Eppure, era bello.
Così bello da fermarlo, portarlo a voltarsi e girare su se
stesso ammirando i fiocchi che parevano danzargli attorno. Gli occhi brillavano
sotto le luci dei lampioni, e le luminarie natalizie di case, terrazze e alberi
lungo il viale creavano un caleidoscopico vortice di tonalità differenti e
complementari.
Hyunjin era rapito dalla capigliatura chiara che piano si stava riempiendo di
piccole stelle bianche. «Tutto bene?» Doveva accertarsene, se n’era accorto: il
sorriso di Felix aveva sfumature dolorose, come se la felicità che era solito
provare si adombrasse di colpo per qualche motivo che non conosceva.
Certo, ovvio, avrebbe voluto rispondere Felix.
Proprio per un cazzo, pareva invece la risposta migliore. La voce di Hyunjin lo
aveva riportato nel presente, in una Terra dove stava sacrificando ciò che
provava per ciò che doveva fare, per l’immagine, per i fan, per la sicurezza
della propria vita privata e non solo della sua. Non andava affatto bene,
avrebbe voluto stringere a sé il ragazzo e baciarlo, baciarlo ancora,
riscaldare le labbra sulle sue e mischiare profumi, sapori, desideri creandone
di nuovi e godendone in ogni istante. Si fermò, le folate di vento invernale si
bloccarono con lui incorniciando Hyunjin in una posa statica, un quadro
danzante di punti bianchi e luminosi con un dipinto perfetto al centro. Ho bisogno di te, Jinie… Felix allungò il braccio nella sua direzione, senza muovere un passo. Ci
provò, ancorato a terra dal peso della responsabilità.
Era tutto così perfetto, proprio come aveva sperato tante volte, sognato
troppe, desiderato innumerevoli sere. La sua stagione preferita, la sua neve
preferita, la sua persona preferita.
Perfetto da sembrare irreale.
E così doveva rimanere, perché era giusto, perché avrebbe dovuto cancellare
ogni traccia di Hyunjin dalla mente, eliminare ciò che provava per lui da anni,
accantonare ogni sentimento e sensazione che ricaricavano le sue giornate.
Doveva, non per sé ma per loro.
Doveva e l’avrebbe fatto.
Proprio lì, esattamente in quel momento.
Sorrise amaro, sollevando ancora il capo verso un cielo che aveva un colore
diverso: non disse nulla, la condensa era l’unica cosa che usciva dalle sue labbra.
Faceva male, ma nessuno aveva mai detto sarebbe stato facile; avvertì calore
sulle guance e giù fino al mento, accorgendosi troppo tardi di star piangendo.
Non era da Felix, si disse Hyunjin. Non era da lui starsene zitto immobile,
quando i suoi occhi parlavano tanto, e volevano dire altre cose, troppe. Sentì
l’impulso di gridare, strattonarlo, di portarlo a esternare ciò che lo stava
sconvolgendo, perché era chiaro qualcosa lo stesse consumando da dentro. Azzerò
le distanze con un paio di falcate, intirizzito dal freddo e dalla rabbia che
stava reprimendo: vederlo così lo faceva imbestialire, il suo istinto di
protezione gli sussurrava continuamente che Felix non meritava una sola di
quelle emozioni dure e pallide. Si fermò a pochi centimetri dall’altro, sollevò
gli indici e gli sfiorò le labbra percorrendo due linee immaginarie all’insù
sfiorando l’epidermide, mimando con esse un sorriso radioso, lo stesso che
stava dipingendo con i polpastrelli.
E che mancava.
Avvertì chiaramente la pelle umida di Felix, ed ecco perché le sue iridi scure
parevano brillare più del solito… le lacrime velavano uno sguardo perso,
impaurito, improvvisamente rotto. Felix…
Hyunjin non era neppure certo di aver pronunciato ad alta voce il suo nome. Felix…
Il nome morì sulle loro labbra unite.
Ilmondo girava e girava, così come le
emozioni di Felix.
Si era aggrappato forte al cappotto scuro dell’altro, per paura di cadere a
terra e scoprire di stare vivendo un sogno, un’illusione da cui avrebbe potuto
svegliarsi da un momento all’altro. Stringeva convulsamente, ricercando un
contatto desiderato da tempo con una speranza nulla. I battiti accelerati del
petto esplodevano nei timpani, il sangue fluiva sugli zigomi arrossandoli e
mischiandosi alle lentiggini che decoravano il suo volto: un netto contrasto
con il biancore della strada innevata, dove due sole paia di orme avevano
lasciato un segno che andava via via affievolendosi.
Si era dimenticato pure di respirare, Felix. Le labbra a fuoco, le dita ora
intrecciate con quelle di Hyunjin che le aveva cercate e finalmente trovate.
Il pensiero buio di star facendo qualcosa di enormemente sbagliato nei
confronti dell’altro venne scacciato, annullato, sepolto da sospiri bollenti e
avidi. Non puoi, Felix. Quanto era invasivo il suo stesso pensiero. Devi eliminare ciò che hai di lui. Cancellava le parole che si formavano nella mente nello stesso momento in
cui esse apparivano, tentando di salvare quel momento, quelle sensazioni e di
godersi i respiri di Hyunjin su di sé.
Non può finire bene, fermati. Strinse le palpebre, resettò il pensiero, maledisse la propria coscienza e
infilò le dita tra quei capelli scuri puntellati di luminose perle di ghiaccio. Felix.
Ascoltami, ascoltati. Blackout.
Hyunjin si staccò per respirare, la punta del naso arrossata, le labbra
tremanti, affamate. Sollevò le palpebre perdendosi nel liquido di occhi
colpevoli, e si sentiva colpevole lui stesso. Attese pochi secondi equivalenti
a una eternità, un momento lucido dove potersi fermare, concludere tutto,
voltarsi schiena contro schiena e far finta di nulla. Voleva forse trovare
certezza in Felix, essere sicuro di star facendo la cosa giusta – o quella
sbagliata – ma il sorriso imbarazzato dell’altro spazzò ogni esitazione.
Immerse nuovamente il viso nel suo cercandone il calore, respirò sul suo
respiro, racchiuse il suo volto con le mani a coppa scontrandosi e miscelandosi
con brividi e aspettativa.
Giusto o sbagliato che fosse, non avrebbe voluto essere in nessun altro posto.
Lo baciò ancora e di nuovo mentre la neve scendeva e brillava sui vestiti e su
di loro, inglobando ogni suono e ogni colore, stracciando ogni pensiero. Sentì
Felix ridere sulla sua bocca, lo sentì esistere per ciò che stava accadendo, lo
sentì tremare di freddo e di calore, e tanto bastava.
Felix era felice?
Lo sarebbe stato pure lui.
Felix se ne sarebbe pentito?
Se ne sarebbero pentiti assieme.
Tutto attorno cadeva, loro avevano trovato un punto fisso dove tentare un nuovo
equilibrio.
Questa OS partecipa alla challenge Secret
Santa’s Kpop Edition
del gruppo FB Kpop Fanfiction Italia.
Fandom: Kpop RPF – BTS
Personaggi: Min Yoongi/Jung Hoseok
Dono per Cain Oswald Nashton
Prompt: A bacia le lacrime di B
Un altro giorno di ordinario
stress.
Un altro giorno difficile.
Un altro giorno dove Hoseok aveva lasciato fuori dalla porta la quiete e la
leggerezza per immergersi nuovamente nel lavoro: infruttuoso, anche stavolta,
come quella precedente. Scaraventò la penna e il blocco per appunti contro il
muro di fronte, mancando di poco il vetro della finestra chiusa dello studio.
Non ci stava riuscendo.
Un enorme blocco creativo nero come la pece stava maltrattando la sua
ispirazione, e dei testi riportati sui fogli sparpagliati a terra restavano
soltanto cancellature violente, tratti pesanti a tagliare ferocemente la carta
con l’inchiostro. Non ci avrebbe rinunciato, certo, non era la prima volta che
accadeva ma mantenere la calma in un momento simile lo stava portando all’esasperazione.
Tentava ogni giorno ormai di nasconderla davanti agli altri sperando di
mascherare con un intramontabile – falso – sorriso tutto ciò che stava
avvertendo.
Rabbia verso se stesso.
Frustrazione nei confronti del lavoro.
Inadeguatezza verso le aspettative troppo alte che si era posto, sperando in un
salto di qualità nel testo. Una gioia, mai? Si chiese, alzandosi stancamente e massaggiandosi la
schiena dolorante: le ore seduto chino sulla scrivania non aiutavano affatto, anzi
avevano contribuito a riacutizzare un dolore lontano che tornava fin troppo
spesso a trovarlo. Imprecò calpestando per sbaglio penna e fogli, ferendo con
sé il proprio orgoglio. Calciò contro il nulla, percependo una seconda fitta
più insistente. Rise amaro, forse isterico, prima di optare per una doccia
rilassante e un caffè o due. Avrebbero aiutato a scacciare il nervosismo, e
perché no, regalargli un po’ di serenità in più, cosa di cui aveva estremamente
bisogno.
Illuso.
Niente era servito, l’acqua calda aveva contribuito a dare un sollievo soltanto
temporaneo e il caffè a cui ormai s’era assuefatto pareva non giovare come
avrebbe dovuto. Le sale e i corridoi del dormitorio ormai era svuotati da ogni dipendente,
insegnante, anima viva. Poco male. Hoseok si lasciò cadere sul divano chiaro della saletta comune, stendendo
le gambe fasciate da un corto pigiama colorato, proprio come era stato lui in
giorni migliori, colorato e solare, contrariamente alle occhiaie che contornavano
ora gli occhi scuri e all’epidermide spenta su cui svettava prepotente la tinta
rossa dei capelli arruffati. I calzetti spaiati staccavano dal sofà,
sicuramente più del pallore sul color crema del divano e pareva un contrasto talmente
buffo che il ragazzo scoppiò a ridere, per poi spegnersi di nuovo e
addormentarsi così, disordinatamente, senza tener conto dell’ora, del luogo e
del proprio umore.
Yoongi sollevò le palpebre stancamente, valutando l’idea di alzarsi dal letto e
attraversare la stanza per andare in bagno o restare al caldo ancora un po’ in
attesa dell’inevitabile. Si prese un paio di secondi per rifletterci su,
concentrandosi sulla camera immersa nel buio e sui pochi elementi che
spiccavano timidamente dal nulla assoluto, pennellati da minimi punti luce
provenienti dalle persiane abbassate della finestra. Sì, lottare con il mondo
in piena notte non sarebbe stato facile, ma decise di fare lo sforzo immane di
ricordarsi d’avere una vescica perfettamente funzionante e si issò per poi
trascinarsi verso l’esterno. Si affacciò allo stipite, gli occhi semichiusi
senza trovare il coraggio di azionare l’interruttore della luce, ciabattando
poi verso la direzione impressa nella memoria delle gambe affidandosi a un istinto
che pregava potesse accompagnarlo dalla parte giusta. Il pigiama grigio frusciava
sonoramente, sfregando sotto alle suole e svolazzando attorno alle gambe magre,
e il rumore lo seguì fino alla porta del bagno. A colpirlo fu però l’anomalo
riflesso di una luce contro al muro opposto, in fondo al corridoio. Sapendo di
potersene pentire decise di mandare al diavolo il riposo – avrebbe sicuramente
trovato un modo per recuperare qualche ora di sonno il giorno dopo – e scoprire
di cosa si trattasse. Perché in fondo sapeva che, a parte Hoseok, tutti gli
altri erano già andati a letto. Soltanto l’amico sarebbe
potuto essere in giro a quell’ora, visti i ritmi che s’era imposto
personalmente in dure sessioni di lavoro nelle ultime due settimane.
Trattenne a stento una risata quando si affacciò alla saletta: ritrovarsi il
collega steso malamente sul divano, parte del corpo afflosciata sul tappeto
morbido, non aveva prezzo. Stava russando sonoramente Hoseok, la bocca schiusa,
un equilibrio precario mantenuto a stento. Yoongi soppresse l’istinto di andare
a recuperare il cellulare e scattargli una foto imbarazzante, quando
avvicinandosi notò il volto cereo e i contorni scuri attorno alle palpebre
chiuse: si ritrasse spegnendo la luce principale della stanza avvalendosi di un
piccolo lume decorativo, e istintivamente gli si sedette accanto
addormentandosi in una manciata di minuti scarsi.
Il tonfo riportò Hoseok alla realtà: prima ancora di spalancare gli occhi e
comprendere un dove, come e quando confusi, riempì la stanza d’un paio di
insulti particolarmente coloriti avvertendo un mugolio impastato in risposta.
Si rizzò in piedi terrorizzato, senza una bussola, un sostegno, una direzione. Dove cazzo sono?! Quando sbatté la rotula contro lo spigolo del tavolinetto in plexiglass si
morse il labbro tanto forte da imprecare mentalmente ancor peggio di prima, e
capire solo in un secondo momento la situazione.
Dopo essersi rovesciato su Yoongi ancora comodamente addormentato sull’altro
lato del sofà.
E a urlare furono in due.
«Ma chi cazzo sei!»
«Cosa diavolo fai?!»
«Aiut- aiuto!» Hoseok si sollevò inciampandosi sul
tappeto per poi sedersi sul tavolino, strabuzzare gli occhi e comprendere: no,
non stava dormendo. No, non era nello studio, e tanto meno in camera sua. E no,
non era solo. Rise isterico capendo il contesto fin troppo tardi, sbattendo le mani
sulla fronte con un gesto teatrale a nascondere il tremore delle dita, chiuse
una sull’altra per lo spavento e lo stress di uno spaesamento tanto reale da
creare tachicardia e fiato corto.
Yoongi si curvò in avanti, masticando sillabe poco chiare e galleggiando ancora
in un limbo di ombre e sonno, dove l’unica luce era il volto di Hoseok coperto in
parte: brillarono gocce disperate pima di essere strappate alla pelle con un colpo
di palmo.
«Ehi…» Il ragazzo sfiorò il collega seduto di fronte, instabile e tremante. Quest’ultimo
non si ritrasse e anzi rise, rise con gli occhi serrati e pianse. Stupido. Sei solo uno stupido. Rise ancora Hoseok, gli zigomi umidi, prima di rovesciare all’indietro il capo
e aspettare la crisi passasse. Crolli così, davanti a lui, come un bambino?
Sì.
Si sentì strattonare, maledicendo la sfiga nell’essere collassato in un posto
del genere, e cedette. A pochi centimetri dal volto di Yoongi, cedette e nuove
lacrime sgorgarono.
Yoongi serrò i palmi sul volto sconvolto, capendo fin troppo bene: ci era passato
pure lui, come tutti gli altri. Scoppiare nei momenti meno opportuni, più
improbabili, era una delle prerogative di quel lavoro pesante e allo stesso
tempo meraviglioso, totalizzante, che portavano avanti lui e Hoseok tutti i
giorni. Sapeva sarebbe accaduto, non immaginava certo proprio in quel frangente:
in fondo l’amico non era nuovo a simili manifestazioni. Stavolta però non
avrebbe ripetuto l’errore di quella precedente, avrebbe agito subito. Passò i
polpastrelli sul suo volto, sfregandolo con poca grazia ma con convinzione.
«Sono qui.»
Hoseok pareva vedere ma non ascoltare.
Si avvicinò, la fronte a sfiorare la sua, aumentando appena il movimento del
petto.
«Hobi, ascoltami, sono qui…» inspirò, «resta con me, sono qui.» Ed espirò,
sussurrando le ultime sillabe, credendoci fino in fondo. «Fidati di me, andrà
bene, ce la farai.»
Le ultime gocce roventi sfuggirono al controllo di chi stava combattendo dentro.
Yoongi sfiorò con le labbra la pelle bruciata dall’insoddisfazione e dall’incapacità
dell’amico di sfogarsi, parlare, aprirsi; avvertì sale, incertezze, dolore, e
dopo si staccò.
Hoseok si accasciò su di lui, singhiozzando in silenzio, incurante di apparire
forse patetico, forse debole. Si perse sulla maglietta ormai umida del pigiama
dell’altro, solleticato dai suoi capelli scuri; si perse infine nel movimento quieto
di un respiro non suo.
Hoseok dormì sereno quella notte, steso nuovamente sul divano a discapito di un
letto integro in una camera vuota. Yoongi si accoccolò lì accanto, la mano poggiata
sulla testa dell’altro: «la prossima volta, dillo subito che hai un problema.» Mugugnò.
Avrebbe aiutato Hoseok, l’avrebbe protetto da se stesso,
dalla realtà in cui vivevano, dalla carriera che avevano scelto… d’altronde lo
considerava come un fratello con cui condividere tutto, un elemento fondamentale
della propria esistenza e non tollerava vederlo soffrire così. Il loro non
sarebbe mai stato un lavoro semplice, questo lo sapeva e ne portava ancora le
cicatrici; promise dunque non di evitargli i mali del mondo, ma di dividerne il
peso perché così avrebbe potuto vederlo sorridere di nuovo.
A Cain, con i migliori auguri per un anno sereno e pieno
di ispirazione.