DogghyAU

di bimbarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sulla strada ***
Capitolo 2: *** A Natale puoi ***
Capitolo 3: *** Le ragazze vogliono solo divertirsi ***
Capitolo 4: *** Test di personalità ***
Capitolo 5: *** Fairytales ***
Capitolo 6: *** Birth Day ***
Capitolo 7: *** Riflessi di smeraldo (prima parte) ***
Capitolo 8: *** Piccolo sole (seconda parte) ***
Capitolo 9: *** Perla di sangue (terza parte) ***



Capitolo 1
*** Sulla strada ***


La lussuosa auto nera percorreva le stradine in salita dei boschi della zona di Gunma in maniera sinuosa, fluida, silenziosa e veloce.

Il paesaggio fuori era un tripudio di verde che piano piano mirava a varie tonalità di giallo, di ocra, di arancio tenue, segno che l'estate stava finendo e l'autunno presto avrebbe fatto sentire la sua presenza morbida e umida.

All'uomo al suo interno, il potente Generale del Cani un tempo signore di tutto l'Ovest, quello spettacolo metteva sempre una certa nostalgia, nostalgia di un passato lontano, di tanti autunni passati insieme ad una donna amatissima e ormai morta da secoli, e per un momento chinò la testa non potendo sopportare che il mondo, le stagioni e l'avanzare del tempo stesso fossero andati avanti senza di lei, rischiando quasi di non vedere la ragazza ai bordi della strada che si mise a strillare con i pugni in aria, arrabbiatissima.

“Eeeeeeehi, il mio cappello!”

Qualcosa presumibilmente fatto di paglia andò a sbattere contro il vetro laterale della berlina nera, proprio dal suo lato, producendo quasi un sibilo di protesta per poi volare via dietro l'auto.

“Fermati,” ordinò all'autista.

“Stava andando troppo veloce per queste strade di montagne, e mi ha anche fatto volare via il mio cappello.”

Non aveva nemmeno fatto in tempo a scendere dall'auto che qualcuno che odorava di lupo lo investì, con una voce squillante come delle campanelle al vento.

“Si riferisce a questo, signorina?” le porse l'oggetto incriminato con un sorriso quasi provocatorio.

“Ma come ha fatto?” lo guardò confusa, per poi arricciare il grazioso nasino nella sua direzione.

“Un demone cane quindi,” prese il cappello, un largo modello di paglia con una spessa fascia a fiocco bianco attorno, della stessa tonalità del vestito leggero che indossava.

Una leggera brezza estiva li investì, minacciando di farlo volare nuovamente, ma con un gesto veloce il Generale lo tenne fermo sulla testina ramata della ragazza lupo.

Nel farlo le si avvicinò, molto più di quanto si fosse avvicinato ad un essere femminile negli ultimi settecento anni, e un qualcosa si smosse, qualcosa che aveva a che fare con il senso di protezione, di cavalleria, di cortesia gentile, capace di scaldare il cuore anche ad un daiyōkai come lui e ricordargli che il mondo non era il posto gelido in cui aveva vissuto dalla morte di Izayoi.

“Grazie,” arrossì visibilmente.

“Come mai è tutta sola in questa strada di montagna?” le chiese, non tanto per reale curiosità ma più che altro per spezzare quella sorta di bizzarra connessione che sentiva che si stava formando con quella che era a tutti gli effetti un'estranea incontrata per caso.

“Sto andando alla tenuta di un mio amico. Mi ha invitato per le vacanze estive, ma il bus non arriva fino a lì perciò devo sfacchinare per queste salite faticosissime.” Rise di una risata contagiosa, sbarazzina.

“Si trova per caso nel piccolo villaggio in cima a questa montagna?”

“Indovinato. Lei invece dove è diretto?”

Per un attimo il Generale pensò di mentire, quella ragazzina poteva rivelarsi pericolosa.

“Nella stessa direzione,” confermò invece. E neppure gli bastò. “Se vuole posso darle un passaggio.”

Forse era per via del biancore intenso del vestito, ma i suoi codini parevano ancora più rossi, come arancio bruciato.

“Lei è molto gentile. Accetto volentieri.”

Il viaggio in auto non iniziò nel migliore dei modi. Chissà come, lo spazio all'interno gli sembrava più piccolo rispetto a prima, l'odore di quella yōkai lupo gli stava provocando un'ondata di sensazioni strane, che non provava da tantissimo tempo, senza contare il fatto che la sua gonna, in quelle strade di montagna leggermente dissestate e piene di curve si alzava lasciando vedere spazi di pelle impossibili da ignorare.

Cominciò a chiedersi se non stesse immaginando cose assurde. Non sapeva nemmeno il suo nome, eppure se ne sentiva attratto. Se ne stava tranquilla guardando fuori dal finestrino eppure se ne sentiva attratto. Non aveva fatto niente per provocarlo eppure se ne sentiva attratto.

Da una parte avrebbe voluto buttarla fuori dall'auto e non vederla più, dall'altra avrebbe voluto sapere tutto di lei, ogni cosa che la riguardasse.

“Quest'auto è magnifica. Che lusso! E quanti comfort! Lei deve essere una persona molto ricca.”

Sbarrò gli occhi verdi mettendosi una mano davanti alla bocca. “Mi scusi, sono stata terribilmente maleducata.”

Subito ci tenne a rassicurarla con un cenno della mano, e fu ripagato da un sorriso gentile che gli scaldò il petto. Da quanto non si sentiva così bene, come se la vita valesse ancora la pena di essere vissuta?

“Siamo quasi arrivati al villaggio. Sa l'indirizzo della tenuta del suo amico?”

“Vediamo, dovrei averlo qui nella borsetta.” La osservò trafficare nella piccola pochette color latte. “Non lo trovo. Forse dovrò mandare un messaggio su Whatsapp al mio amico per confermarmelo.”

Improvvisamente mentre stavano affrontando una delle curve pericolose di quelle zone di montagna, spuntò un veicolo dalla parta opposta che invase in parte la loro carreggiata, e per evitarlo l'autista dovette ricorrere ad una manovra che li fece sbandare leggermente, con il risultato che la ragazza gli piombò quasi addosso, e per trattenerla le premette una mano sulla coscia calda e soda.

Fu una sensazione meravigliosa, tanto che dovette imporsi di staccarsi da lei, sperando di non averla offesa.

Per un lungo momento quel calore gli rimase intrappolato fra le dita, e quando scomparve la voglia di ritrovarlo divenne quasi un bisogno, una necessità.

Se quella ragazza non fosse scesa immediatamente dall'auto temeva che avrebbe commesso qualche sciocchezza.

“M-mi scusi, le sono piombata addosso. Le ho fatto male?”

Gli aveva fatto malissimo. Tutta quella storia gli stava facendo malissimo.

“Ma no, non deve preoccuparsi.”

Si era creata una strana alchimia tra loro ora che si erano toccati, come se l'aria stessa fosse diventata fluida, vischiosa, gli sembrava quasi di galleggiare.

Con orrore si accorse di quello che stava accadendo, il modo di notare ogni particolare di lei, le sopracciglia rossicce, gli occhi verdi come ombrosi prati bagnati, le labbra che luccicavano nell'oscurità dell'abitacolo.

Con sollievo notò le prime abitazioni del villaggio a cui erano diretti.

Tossicchiò. “Mi servirebbe quell'indirizzo.”

Perché si sentiva così perso? Voleva liberarsene, tornare alla sua tranquillità faticosamente raggiunta in secoli di solitudine, eppure il pensiero di non vederla più era, contro ogni ragionevolezza, insopportabile.

“Certo. L'ho trovato, ecco qui.”

Quando lo lesse fu quasi divertito di come gli suonasse famigliare. Solo dopo si rese conto di chi fosse l'amico di quella strana ragazza lupo.

“Credo che io e lei siamo andando nella stessa direzione. InuYasha, il suo amico se ho ragione, è mio figlio.” Era inutile tergiversare oltre.

Ormai pensare di scaricarla da qualche parte era impossibile, e non si stupì nemmeno più dell'ondata di sollievo che riempì al riguardo.

Passarono attraverso il vecchio villaggio molto velocemente. Le case erano tutte uguali, antiche, mansuete, semplici e per questo belle. Da quanto non ci tornava, nella vecchia proprietà di famiglia?

Da quanto sapeva tutto era pronto per suo arrivo, e ora avevano anche un ospite speciale. Sfigurare sarebbe stato intollerabile.

Chissà se le sarebbe piaciuto. Da quello che poteva notare non aveva preso male il fatto che avrebbero passato le vacanze insieme.

“InuYasha mi ha parlato un po' di lei, anche se non ce ne era bisogno. È il Generale, vero? Lo sa che è abbastanza famoso?”

Gli venne da ridere per il tono usato dalla ragazzina, sicuramente una della tribù Yōrō se doveva tirare ad indovinare, e solo allora si accorse che era uno stimolo, quello di ridere, che non sentiva chissà più da quando.

“Spero di esserlo in positivo almeno.” Aveva una voglia improvvisa di perdere la gelida compostezza dietro cui si era nascosto per secoli per assecondare un lato sbarazzino e frivolo che non aveva mai usato.

“Assolutamente si.” Annuì con tale foga da far traballare i codini. Si accorse, allora, di quanto fosse insolito quel colore, brillante, caldo, cangiante a seconda di come la ragazza muovesse la testa o dal tipo e quantità di luce che colpiva le lunghe ciocche.

Si chiese come fosse averle tra mani, passarci le dita in mezzo, catturare la loro brillantezza, quasi la mano gli si mosse, tanto che la tenne a freno con difficoltà. L'ultima cosa che voleva era che pensasse che fosse un vecchio pervertito che non sapeva tenere le mani a posto. Voleva che pensasse il meglio di lui.

“Sa che ha dei bellissimi capelli?” non poté comunque trattenersi dal confessarle.

Lei si afferrò uno dei codini cominciando a passarci le mani in mezzo, cosa che lo eccitò all'istante.

Non è che non avesse avuto erezioni in tutti quei secoli dopo la morte di sua moglie, ma non aveva mai soddisfatto quel tipo di istinti. Andare con altre donne sarebbe stato insopportabile.

Adesso invece era quasi sconvolto nelle viscere per quanto desiderasse una sorta di intimità con lei.

Doveva conoscerla, non importava se doveva rivoluzionare il mondo che si era costruito addosso dopo la morte della persona che aveva amato di più nella sua vita.

“Siamo quasi arrivati.”

No, non sarebbero state vacanze noiose.

Sarebbero state le vacanze migliori degli ultimi anni, ed improvvisamente si ritrovò impaziente di godere del sole, della quiete, e di condividere tutto questo con quella sconosciuta di cui non sapeva neppure il nome.

“Gli altri saranno già arrivati? Chissà come si sorprenderanno di vederci insieme.”

Lo disse dolcemente, come se le facesse piacere di essere con lui.

Questo fu qualcosa capace di scaldargli l'animo così tanto che anche se tra loro non fosse successo niente in futuro le sarebbe comunque stato per sempre grato.

“A proposito, io mi chiamo Ayame. Sono molto felice di conoscerla, finalmente."

 

 

 

Anche se sto vivendo un periodo abbastanza complicato nella mia vita personale, ci tenevo ad inaugurare una specie di raccolta sulla mia famiglia di cani preferita, saranno capitoli autoconclusivi che riguarderanno un po' tutti i personaggi e le coppie, e spero che a qualcuno di voi piaccia.

Mi dispiace di non aver risposto a recensioni e messaggi ultimamente, ma la vita è quella che è, no?

Ringrazio tutti quelli che la leggeranno, e che se vorranno lasceranno la loro opinione.

Un saluto

 

bimbarossa

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Capitolo 2
*** A Natale puoi ***


“Secondo voi funzionerà?”

“Se vuoi ci provo io a mettere la stella sulla punta, Kagome. Ecco fatto.”

Con un balzo agile da lupo, Ayame depose la grande decorazione rossa piena di brillantini sulla cima del grande abete che si ergeva nell'immenso salone della villa di InuYasha.

“Sono felice che il Generale abbia dato il suo consenso ad invitare tutti qui per Natale, c'è tantissimo spazio, le piscine, il cibo e il saké. Se ci fossero anche le belle ragazze direi di trovarmi in paradiso.”

Miroku sospirò ad occhi chiusi.

“E noi chi saremmo? Delle racchie?”

Rin si affrettò a togliere dalle mani tremanti di rabbia di Sango i pacchetti con dentro i regali.

“Ma no, Sango. Siete bellissime! Guardatevi, tutte quante in rosso sembrate tanti bei bocconcini.”

Ayame intanto pareva più intenta a cercare il padrone di casa piuttosto che ascoltare la lite tra i due fidanzati.

“Allora InuYasha, sei riuscito a dichiararti finalmente?”

“Abbassa la voce, scemo, o vuoi che Kagome ti senta?”

Il mezzodemone era diventato tutto rosso in faccia, tanto da far invidia alle mise delle ragazze.

“E comunque no,”sospirò internamente di disappunto, lui odiava quelle piccole cosucce da donne tipo esprimere i propri sentimenti, “come faccio a chiederle se si vuole mettere con me dopo essere stato per anni con sua cugina Kikyō? Se sono fortunato mi riderà in faccia, se non lo sono potrei rimediare qualche cazzotto.”

Miroku si limitò a dargli colpetti incoraggianti su una spalla. D'altronde che colpa ne aveva lui se il suo amico era stato tanto scemo da prendersi una cotta per la cugina della sua ex ragazza?

“Almeno provaci, ok? Oggi è Natale, e anche se io servo il sacro Buddha gli occidentali affermano che possono accadere strane magie in questa festa. Lanciati, almeno saprai il tuo destino.”

Irrequieto e con il bisogno di starsene cinque minuti in pace e in solitudine, InuYasha si diresse verso il terrazzo che dava sul giardino, in cerca di aria fresca.

Nel tripudio di luminarie da interni che infestavano tutte le porte della casa notò a malapena due figure in piedi nell'angolo più appartato, abbracciate, immerse nel buio rosso del patio incuranti di tutto come solo gli amanti sanno fare.

Ayame quasi era sollevata da terra tanto suo padre la sovrastava in altezza, ma non pareva curarsene tanto nel baciare con foga l'uomo dai lunghi capelli bianchi, anzi, a tratti scoppiavano a ridere entrambi per la fatica della ragazza lupo a stare sulla punta dei piedi, mentre il Generale le accarezzava i lunghi codini, scuri in quella luce scarlatta come sangue.

Quella scena quasi gli spezzò qualcosa dentro, ma non nel modo in cui se lo sarebbe aspettato.

Se persino suo padre, che aveva amato sua madre alla follia ed aveva sofferto l'inferno per tutti quei lunghi secoli era stato capace di lasciarsi quel dolore alle spalle e buttarsi di nuovo, allora chi era lui per non provarci?

Di sicuro non un codardo e un fifone.

Trovò Kagome vicino al grande albero, che fissava affascinata come una bambina quel tripudio di colori intermittenti e allegre, e le si avvicinò con una noncuranza come minimo sospetta.

“Non avrete esagerato con le decorazioni? Sono sorpreso che a mio padre, sobrio com'è, non sia venuto un colpo quando le ha viste.”

“Ma dai, non fare il burbero. È Natale, si deve essere eccessivi, e poi sono belle.” Kagome aveva un pacco in mano. “E non mi sembra che tuo padre si lamenti tanto. Ayame sa essere molto persuasiva.”

“Certo certo, ma sento da qui i lamenti del contatore elettrico. Questo cos'è?” borbottò come al suo solito.

“Ecco tieni, il tuo regalo.”

Con gli artigli di cui era dotato non gli ci volle parecchio per scartarlo.

“L'ho fatta fare per te da un'azienda che usa solo materiali ecologici. Da quando sei entrato nello staff di tuo padre mangi quasi sempre fuori, una scatola del bento ti sarà utile.” Sentiva gli occhi della ragazza puntati su di lui mentre si rigirava tra le mani il contenitore verde smaltato, con sul coperchio una mini Tessaiga fiera e sguainata. “Vedi di non sfoderarla contro quei vecchi testardi del concilio, tu perdi la pazienza in fretta.”

“Grazie Kagome. Ti prometto che la userò, non preoccuparti.” Non ebbe cuore di dirle che tutti loro avevano un ristorante privato extralusso dove magiare tra una riunione e l'altra e che Inu no Taisho aveva in dotazione il tavolo migliore.

“InuYasha, io starei aspettando il mio regalo. Spero che tu me lo abbia fatto.”

Vedendolo indeciso emise un lamento sconsolato. “Lascia perdere. Tanto lo so che tu non sei il tipo che pensa a queste cose.”

“Invece ti sbagli,” tirò fuori dalla tasca una piccola scatolina quadrata, senza fronzoli e non impacchettata.

“InuYasha, sei certo che sia per me?” Kagome si portò una mano al viso arrossato nel vedere il contenuto.

“Era di mia madre, uno dei pochi oggetti che mi sono rimasti di lei. È stato il primo regalo che mio padre le ha fatto per...per...ehm corteggiarla.”

La spilla era semplice, poco appariscente, ma si vedeva che doveva essere molto preziosa, anche ad un occhio inesperto come quello di Kagome.

“Quindi sei proprio sicuro sicuro di volermela dare?” glielo chiese di nuovo con una vocetta strana, traballante e al contempo decisa.

“Assolutamente sì.” Usò il suo tono più serio, quello che si usa quando si fanno e si ricevono delle promesse.

“Bene.” Il sorriso di Kagome avrebbe potuto illuminare la stanza più di tutte le lucine artificiali presenti. “Allora perché non me la metti?”

“Finalmente l'idiota si è deciso a farsi avanti. Kagome, se ti stanchi di lui sai a chi rivolgerti. Cosa ci troverete tu e Ayame in questi cagnacci puzzolenti devo ancora capirlo.” Koga si versò una dose generosa di saké per poi fiondarsi a flirtare con una loro compagna di liceo, Eri, e se ne InuYasha non fosse stato troppo occupato con le mani a infilare la spilla di Izayoi tra le ciocche scure della sua nuova ragazza, lo avrebbe pestato, quel lupo rognoso.

Ma perché tutti erano al corrente dei fatti suoi?

Persino Rin li osservava con occhi languidi, affermando che avrebbe tanto voluto essere al posto di Kagome. InuYasha era certo che suo fratello si sarebbe presto premurato di comprare spille ornamentali a palate.

“Anche tu ti sei sistemato, vedo.” Miroku, già mezzo ubriaco, dondolava contento su sé stesso. “Sapevo che ci saresti riuscito. A Natale può succedere di tutto, no?”

 

 

Questa è una fiction leggera, scritta sperando che abbiate passato un buon Natale e augurandovi un felice anno nuovo.

Ho solo un dettaglio da far notare, ovvero che il Generale è davvero altissimo, molto più di InuYasha e persino di Sesshōmaru, e quando mi sono immaginate la scena con Ayame, questa cosa mi ha fatto un po' di tenerezza tutto qui

Ancora buone feste

 

bimbarossa

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Capitolo 3
*** Le ragazze vogliono solo divertirsi ***


Scale fredde

La limousine parcheggiò silenziosa nel viale davanti l'enorme villa situata nella zona esclusiva appena fuori dalla capitale, e quasi immediatamente i tre uomini, in piedi sugli scalini ad aspettare da parecchi minuti, si riscossero dimenticando il freddo pungente e preparandosi allo spettacolo che sarebbe sicuramente avvenuto di lì a poco.

E infatti quando lo sportello si aprì, grasse risate e frasi stordite scoppiarono fuori come palloncini bucati, rompendo la calma e il freddo che aleggiavano sulla scena.

“Senti come starnazzano? Sembrano delle galline impazzite. Fratello, secondo te quanto avranno bevuto stavolta?”

Sesshōmaru alzò le spalle senza nemmeno togliere le mani dalle tasche, impassibile e glaciale più di quel primo giorno di gennaio.

“Ci stavate aspettando, vero?” Ayame barcollò non appena fuori dall'auto, tuttavia il Generale fu lesto a caricarsela sulle ampie spalle. “Che veri gentiluomini.”

Rin era già sparita, avvolta nelle pellicce soffici della mokomoko di suo fratello, così InuYasha fu il solo testimone -e Kagome avrebbe ringraziato per quello, il giorno dopo- delle prodezze canterine della sua ragazza, che con un microfono immaginario si mise a cantare per tutto il tragitto fino alla loro stanza.

 

 

 

Amnesia

 

“Non sono ubriaca, sono solo leggermente sbronza.”

“Certo ragazzina, certo.”

Il Generale non ci mise molto ad arrivare nei suoi appartamenti privati con il suo carico spompato e alticcio sulla spalla, i codini di un rosso quasi spento che dondolavano flosci e il vestito verde che odorava di fumo e takoyaki.

“In effetti si, abbiamo bevuto come spugne, ma ogni primo del mese è la serata tra ragazze. Dovevi vedere Sango come era messa.” Emise una risata stridula che fu più un guaito lupesco.

“Le ha mai detto nessuno, Generale, che è proprio bello?” Arrivata al letto, vi ci si era buttata con ancora le scarpe, due specie di smaltati trampoli color smeraldo. “Quella camicia azzurra le mette in risalto i pettorali in maniera quasi indecente.”

Lo accarezzò svogliatamente, il sonno che stava già avendo la meglio. “Potrebbe sposarmi, per piacere? Vorrei tanto sposarla.”

Dopo averle tolto le scarpe, si chinò gentilmente su di lei, soffiandole un bacio sulla fronte e rimboccandole le coperte.

“Lo siamo già, tesoro, da due anni.” Poi spense la luce e tornò a preparare la relazione per il concilio del giorno seguente.

 

 

Ugola d'oro

 

Girls just want to have fun...

“Vuoi piantarla di cantare?”

Ad InuYasha tra poco sarebbero esplosi i timpani, ma Kagome non pareva molto propensa a salvarlo dalla sua stessa verve alcolica.

“Ma quanti siete?! Vedo tre InuYasha, ih ih ih! Forse in questo modo potrei mettere in pratica una delle mie fantasie più peccaminose.”

Cercare di non arrossire e di non pensare a che tipo di fantasia si riferisse mentre la trasportava nelle loro stanze fu una delle cose più complesse della sua vita.

“Adesso quando ti ubriachi diventi persino una ragazzaccia, eh?!”

Perché quelle ogni volta che uscivano per la loro Serata tra Ragazze dovevano mettersi degli abiti così aderenti e corti?

“Ieri mentre aspettavamo il capodanno non ti lamentavi così tanto che in certi particolari momenti io la facessi la ragazzaccia, caro il mio InuYasha.”

Il vestito rosso le si alzò ancora di più mentre la costringeva quasi, a sdraiarsi.

“Si si, ma adesso calmati e dormi, o domani avrai un gran mal di testa. Intanto faccio preparare il succo di pomodoro e il caffè, tanto in cucina sono preparati alle vostre bisbocce del primo del mese.”

Sentì Kagome mugolare qualcosa in risposta, qualcosa che non avrebbe mai compreso ovviamente, per poi riprendere a canticchiare nel sonno come se avesse dovuto partecipare al karaoke di Kobe.

 

 

Sole e Luna

 

Rin sospirò di piacere quando l'asciugamano fresco le inumidì il volto congestionato.

“Sesshōmaru, posso chiederti una cosa?”

“Dimmi.”

“Non mi consideri una ragazza frivola e spregiudicata se vado in giro con le altre a fare baldoria? So che a te certi comportamenti non piacciono.”

Si piegò su di lei, la lunga chioma bianca come una sipario che li nascondeva dal resto del mondo.

“Non dire sciocchezze. Tu puoi fare ciò che vuoi, la mia opinione non cambierà per questo.”

Si permise quel tono gentile e dolce solo perché lei la mattina dopo se ne sarebbe dimenticata.

“Grazie,” sussurrò contro la sua mano che le accarezzava la guancia. “Sai che ogni cosa di te, persino la tua voce, mi ricorda la luna? Fredda, eppure piena di calore.”

Chinato su di lei come se quello scricciolo di umana possedesse la gravità del sole, si sentì piccolo per la prima volta in vita sua.

Dopotutto, cosa sarebbe mai potuta essere Rin, fasciata in quel suo abito di glitter dorati, se non il perno attorno a cui girava l'intera esistenza del Sommo Sessōhmaru?

 

 

 

 

Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno messo questa raccolta tra le seguite, e un grazie megagalattico a quelli che hanno lasciato la loro preziosa recensione.

Questo terzo capitolo è un po' un esperimento, una specie di miscuglio tra drabbles, flash-fic e one-shot breve, non so esattamente, però l'idea mi piaceva e l'ho inserita in questa raccolta senza tanti scrupoli, quindi tolleratela, ok?XD

Vorrei abbracciarvi tutti per il supporto che mi date, in particolare Niki92, che con la sua fanart ispirata alla mia fanficion “Non sapevo che tu fossi incinta” mi ha fatto iniziare l'anno nuovo nel migliore dei modi.

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Capitolo 4
*** Test di personalità ***


“Allora? Voi che risultato avete ottenuto?”

Sango si accorse da sola di avere la voce troppo stridula, ma non avrebbe svelato quello che le era uscito fuori, se le altre non avessero fatto lo stesso. Era troppo imbarazzante.

Un gobō. Ecco lei cos'era.

Potreste apparire spinose e pungenti alla prima occhiata, ma solo per nascondere il vostro animo delicato. Fate attenzione però, perché vi accompagnate molto spesso al maiale.

Non sapeva se essere offesa per Miroku o divertita per il fatto che in un certo senso quello stupido test non aveva tutti i torti.

Passò in rassegna i volti delle amiche. Rin era dubbiosa, Kagome imbarazzata, e la faccia di Ayame pareva quasi cianotica.

“Dobbiamo promettere che niente di tutto ciò uscirà da qui.”

“Certo, Ayame.”

“Ok, allora fate vedere tutti gli smartphone.”

Quattro display luminosi furono messi in mostra nella limousine buia.

“Non è giusto! I vostri sono accettabili. Il mio dice: siete da prendere con le pinze, anzi con il cucchiaino, rigorosamente a piccole dosi. Solo per pochi esperti e navigati, e per chi ha ancora il coraggio di osare.

Le altre tre non replicarono. Si, ad Ayame non era andata benissimo, tuttavia non era il caso di gioire, anzi.

Fortuna che avevano lo champagne, almeno quello, e potevano ubriacarsi e riderci su.

Forse.

 

“Generale, posso chiederle una cosa?”

Aveva cominciato a frequentare la ragazza lupo da qualche mese, pranzare assieme tra una seduta del concilio e l'altra, oppure cenare dopo le votazioni dei provvedimenti più complessi e stancanti che duravano fino a sera inoltrata.

Quindi magari era per la stanchezza che la vocetta di Ayame era così sottile e afflitta.

“Dimmi pure.”

“A lei piace il wasabi?”

“Ecco, direi di n-no.” Quella era l'ultima domanda che si sarebbe aspettato. “Non è esattamente un sapore a cui vorrei approcciarmi.”

“Ah.” Lo fissò come se le avesse arrecato un'offesa personale.

E doveva essere così, perché nelle settimane successive lo evitò come la peste, preferendo mangiare sempre al tavolo predisposto per la tribù Yōrō.

Un uomo meno interessato avrebbe fatto spallucce di quel cambiamento, ed uno meno intelligente e lungimirante si sarebbe arrovellato invece di indagare. Kagome da quel punto di vista lo assistette in maniera determinante.

Così ne approfittò, una sera in cui la trovò sola a cenare con pesce fresco alla griglia.

“Posso unirmi a te? Mi porti per favore un po' di salsa piccante, grazie,” ordinò al cameriere che si era precipitato da loro non appena si era seduto.

“Vedo che ha cambiato gusti.”

“La vita è imprevedibile.” Deglutì quella sostanza incendiaria per le sue narici sensibili, la ferita inferta tanti secoli prima da Ryūkotsusei improvvisamente diventata un graffietto in confronto. “Dopotutto non è così male.”

 

“Vediamo. Siete molto dolci e croccanti, a condizione che vicino a voi ci sia qualcuno dal sapore forte e deciso, altrimenti rischiate di risultare insipide. Attente alla ritenzione idrica. Ma che razza di test sulla personalità è questo!”

“Si chiama Scopri che ortaggio sei e chi ti vorrebbe mangiare.” Kagome emise un gridolino davanti allo specchio. “Secondo te soffro di ritenzione idrica? Vedi segni di cellulite da qualche parte?” Sembrava in preda al panico.

“Non mi dire che credi a queste sciocchezze?” InuYasha, steso sul letto della loro camera osservava annoiato lo schermo dello smartphone della sua ragazza.

“Forse è per come mi vesto.” Buttò in giro una caterva di magliette a tinta unita e gonne dalle sfumature pallide. “Il test ha ragione. Sono insipida come una zucchina lessa. E tu mi lascerai per una dallo sguardo tenebroso e che mi assomiglia anche.” Cominciò a piagnucolare.

A questo punto InuYasha decise che ne aveva abbastanza.

“Adesso piantala, ti concentri sulla parte sbagliata. Guarda.” Si avvicinò, il profumo di Kagome che pareva irresistibilmente davvero dolce e croccante. “Il tuo cazzo di test ti dice anche che vicino a te deve esserci qualcuno di forte e deciso. E chi è più forte e deciso di me?”

Il tono era uscito un po' spaccone, ma il sorriso che le fiorì in volto valse la pena di passare da uomo delle caverne per una volta.

“E va bene. Ho capito, sto esagerando. Però...che ne dici, hai voglia di mangiare zucchine per cena?”

A InuYasha non parve vero. “Dico che sono appena diventate il mio cibo preferito.”

 

Siete troppo, troppo tenere, persino nella vostra scorza da kabocha, se cotta bene, si possono affondare gli artigli. Fun fact: con tutti quei semi potreste essere molto prolifiche.

Rin, che stava smanettando con lo smartphone facendo pulizia di vecchi file, sorrise leggendo lo screenshot di quello sciocco test fatto tanti mesi prima, durante una serata di baldoria tra ragazze.

Chi lo sa, magari era davvero una creatura cedevole e delicata, e di sicura qualcuno avrebbe detto che una fragile umana come lei non sarebbe durata a lungo accanto al potente Sesshōmaru.

In quel momento un calcio deciso la colpì dritto sulla vescica, facendole temere di dover andare di nuovo in bagno.

In fondo adesso era davvero una zucca enorme.

Si abbracciò dolcemente il ventre, dove le due gemelle stavano in attesa, al buio dentro di lei, talmente in connessione con quella loro madre umana ancora da conoscere che con un semplice movimento dei loro piccoli piedini le stavano sicuramente dicendo di non soffermarsi su quei pensieri sciocchi.

“Tutto bene?”

Il suono della voce di Sesshōmaru arrivò alle orecchie di Rin paradossalmente dopo il calore della sua presenza da quanto le si era avvicinato velocemente. “Si, certo. È solo che le bambine oggi sono particolarmente agitate.”

“E questo è divertente?”

“Un po'. Perché?”

“Stavi sorridendo in un modo strano quando sono entrato. E lo stai facendo anche ora.”

“Ma no. Sono solo cose da donna incinta, non preoccuparti.”

Uno come Sesshōmaru non avrebbe mai capito.

Certe frivolezze potevano essere condivise solo tra ragazze ubriache di costoso champagne.

 

 

 

Vorrei ringraziare tutti quelli che seguono questa raccolta, che l'hanno recensita, messa tra le preferite, e che la leggono anche se a volte scrivo storie un po' becere e fatue come quest'ultima, perdonatemiXD
Grazie di cuore, davvero

bimbarossa

 

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Capitolo 5
*** Fairytales ***


Questa Flash partecipa al contest "Gara di Flash" indetto dal gruppo Facebook "Takahashi Fanfiction Italia"

Canzone prompt: “La fata” di Edoardo Bennato

 

 

 

 

 

 

Ed io avrò cura di te.

(“La cura” di Franco Battiato)

 

Cos'è una fata se non qualcuno che sa chi sei,

ti salva,

e veglia su di te con i suoi portenti?

 

 

 

 

Una medicina non può essere mai dolce

 

Centellinava la bevanda fumante con cura, Inu no Taishō, un sorso ogni duecento battiti di cuore.

Duecento come gli anni che erano passati dalla morte di Izayoi.

La ragazza sdraiata nel letto accanto a lui gli dava le spalle, i codini che colavano lungo la parte alta della schiena per poi ricadere come onde flosce e luminose sulla maglietta di un pallido viola shocking, l'unico indumento che Ayame portava addosso.

“Vuoi farlo ancora?” la sentì sussurrare.

Di sottecchi notò il suo seme del rapporto precedente che brillava al di sotto delle fessura delle natiche, tra le cosce chiuse.

“Naturalmente.” Ogni sorso che consumava sapeva sempre più di amaro. “Lascia solo che finisca di bere.”

 

 

 

La prima volta

 

 

“Sesshōmaru-sama, tutto bene?”

Nella luce del primo sole della giornata il demone del suo cuore pareva ancora più bianco, di un bianco quasi che feriva, il bianco di un essere di un altro mondo, intoccabile.

“Non dire sciocchezze. Comunque, hanno portato la colazione se vuoi mangiare.”

Con un sospiro nascosto, Rin pensò che Sesshōmaru fosse perfetto anche nel mentire.

Quella mattina, dopo essere stati insieme per la prima volta, si era illusa che le differenze e gli abissi tra di loro si riempissero, se proprio era impossibile farli sparire.

Ma in fondo la concreta, pratica Rin poteva capirlo, poteva superarlo.

Quanto doveva essere stata sconvolgente per lui quella notte? Quanto doveva aver sacrificato il Principe dei Demoni per scendere al compromesso di amare un'umana?

Non importa, si disse facendo spallucce all'interno sé stessa.

Ci avrebbe pensato lei a fare la magia per entrambi.

 

 

La fata ignorante

 

 

“Non ci ha messo molto a dimenticarti.”

La voce di Naraku trasudava dolcezza paralizzante, tanto che Kikyō si chiese se fosse quello il segreto dell'incantesimo che la stava imprigionando a quel balcone da quasi un lustro invece che le velate minacce di fargli del male.

Guardò in basso, nel giardino dei vicini. Nel giardino della villa di suo padre.

Sono qui, InuYasha. Non senti i miei occhi su di te? Non percepisci il mio sguardo sulla tua schiena? Come era possibile che non si chiedesse chi fosse la ragazza dai capelli scuri che stava alla finestra del palazzo di fronte ad osservarlo tutto il giorno?

“Quella Kagome ti somiglia.” Il maledetto le sistemò meglio Fuyōheki tra le mani ad incavo, in modo da proteggerlo. In modo da nasconderli. “Una nuova ragazza, tanti amici con cui passare i pomeriggi estivi, una famiglia potente e ricca. Il sentimento che professava nei tuoi confronti prima che ti rapissi non poteva reggere a tutto questo.”

Se avesse potuto parlare, avrebbe potuto smentire quelle idiozie.

Davvero sono solo spilli per ferirti, queste crudeltà che ti sussurra ogni giorno? In fondo guarda com'è felice senza di me, senza sapere dove mi trovo e che fine ho fatto.

Il loro era stato vero amore alla luce di considerazioni, assilli e paranoie lunghe cinque anni?

Fuyōheki brillò, e mai come in quel momento contagiava calore.


Grazie in anticipo a chiunque leggerà, apprezzerà e magari commenterà questa flash. Già vi adoro e vi meritate un grandissimo Smack!

 

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Capitolo 6
*** Birth Day ***


“Tesoro, posso chiederti una cosa?”

Ayame entrò nel suo ufficio di rappresentanza al primo piano dove teneva riunioni e briefing telematici proprio quando era appena terminato uno di questi con il primo ministro.

Gli si fiondò tra le braccia piena di allegria, aspettando l'immancabile carezza tra i codini luminosi che nella luce giallastra di quel caldissimo pomeriggio di fine settembre splendevano di un vibrante ed intenso rosso scuro.

“Chi è quel marmocchio che sta girovagando per il patio con quella buffa girandola?” domandò spensierata dopo un suo cenno di assenso.

La mano del Generale tra le ciocche morbide di Ayame si fermò bruscamente, e mai bloccarsi a quel modo gli fu difficile. Mai bloccarsi a quel modo gli fu facile, data la fitta di tensione allo stomaco che lo percorse.

Possibile che si stesse riferendo a...?

Scostò i fini tendaggi che davano sul giardino, dove tra i tanti invitati il piccolo Akuru scorrazzava curioso ed invisibile dietro agli oggetti più disparati.

“Tu non... tu non dovresti vederlo.”

Il tono titubante e leggermente allarmato la mise sul chi vive. “Come non dovrei vederlo?! Ma se è proprio lì, che sta adocchiando la mia crema solare!”

Improvvisamente cambiò espressione, facendosi furbetta, e scoccandogli un bacio sulla punta del naso trillò: “Ho capito tutto, deve essere una sorpresa per il mio compleanno oltre al regalo che mi hai fatto stamattina. Va bene, va bene, farò finta di non sapere niente!”

Con una piroetta ritornò nel patio a scartare i doni dei suoi amici, lasciandolo pensieroso e meditabondo, gli occhi fissi al calendario segnato con una scritta sbarazzina in rosso – 30 settembre, fatemi tutti gli auguri!”- eppure con i pensieri altrove, che giravano attorno ad un'ipotesi incredibile.

Solo agli appartenenti del suo clan il Custode del Mulino del Tempo aveva concesso il privilegio di rendere manifesta la sua presenza, solo quelli con il suo sangue nelle vene possedevano la capacità di vederlo, e questo poteva voler dire solo una cosa.

Adocchiò la giovane fidanzata, soffermandosi sulla pancia piatta resa luccicante e soda dal bikini verde, e quella fitta allo stomaco da fastidiosa divenne a poco a poco una sensazione di tutt'altro tipo. Una sensazione molto simile alla felicità.

Sì, Ayame avrebbe avuto la sua sorpresa di compleanno.

 

“Pa', sei sicuro che andrà tutto bene? Qui nessuno mi dice niente.”

La grande mano del Generale gli si appoggiò incoraggiante sulla spalla, fermando i tremiti che si era sforzato di nascondere per tutto il tempo da quando Kagome era stata ricoverata, quella mattina.

“Certo, ragazzo. Io ci sono già passato, due volte, e molto presto verrà il turno della terza, anche se questo non me lo sarei mai immaginato alla mia età. “ Inu no Yaishō si guardò in giro.

Medici, infermieri e personale medico erano tra i più qualificati per far nascere sua nipote, d'altronde quella era una clinica di lusso.

Ad InuYasha sfuggì un gemito tra lo sconsolato e il preoccupato. “Eppure Sango quando ha partorito le gemelle ci ha messo due giorni, e dopo sembrava uno zombie.”

Pensò a Kagome, a quanto in quel momento dovesse essere spaventata, dolorante, affaticata nel mettere al mondo la loro bambina.

“Forse dovrei entrare e stare con lei.”

“C'è un'equipe d'eccellenza ad aiutarla, senza contare la signora Higurashi. A volte, ragazzo mio, una persona in questi frangenti ha solo bisogno della propria madre. O del proprio padre.”

Gli occhi dorati del Generale, così simili ai suoi, luccicavano di una commozione fredda, solida -il massimo che avrebbe potuto mostrare un daiyōkai della sua stirpe- tuttavia non per questo meno esplicita, o incapace di confortarlo in quei lunghi attimi di sofferente sospensione, anzi.

La voragine di preoccupazione che aveva nelle viscere si fece meno profonda, meno tenebrosa, aiutato anche dalla venuta in massa dei suoi amici, di suo fratello e la sua famiglia, e la nuova moglie di suo padre.

“Kagome ha già partorito?”

Ayame per riflesso si toccò la pancia rotonda nel chiederlo.

Stava per dirle che no, Kagome non aveva ancora partorito quando qualcosa nell'aria cambiò, pizzicandogli il naso.

Un odore, un odore che fino a poco prima non esisteva e che ora non avrebbe dimenticato fino al suo ultimo giorno di vita.

“Congratulazioni.” Il Generale gli batté affettuosamente sulle scapole, mentre una porta si apriva e l'attempata ostetrica Kaede lo chiamava burbera, al contrario della signora Higurashi che gli sorrideva raggiante.

Una Kagome stanca ma radiosa lo accolse con un fagotto scuro tra le braccia, da cui spuntavano radi capelli di un nero bluastro, leggermente più chiari di quelli di sua madre.

“Vuoi tenerla?”

Non era preparato. Non era preparato a quanto fosse stata piccola, sua figlia, piccola e vulnerabile, da proteggere con le sue intere forze, nonostante il piglio spavaldo e canzonatorio che si ritrovava quello scricciolo.

Decisamente tutta sua padre.

“Benvenuta Moroha,” la strinse a sé ancora di più, e anche se il colore degli occhi non era il suo, lo sguardo che si scambiarono per la prima volta non fu meno intenso di quello passato poco prima tra lui e il Generale. “Sono tuo padre, e per te ci sarò sempre.”

 

Praticamente era stato costretto.

Sesshōmaru non si trattenne neanche, a non fulminare chiunque incontrasse nelle varie corsie.

“Ecco Sesshōmaru, quello è tuo fratello InuYasha.”

Come se ci fosse stato bisogno di indicarlo, il mostriciattolo avuto da quella umana; come se lui non lo avesse già annusato in mezzo a tutti gli altri marmocchi appena nati.

“Semmai il mio fratellastro.”

Lo sguardo che gli gettò suo padre fu tale che qualcosa, in fondo al suo animo – ma proprio in fondo- si contorse e vibrò.

“Vado a vedere come sta Izayoi. Tu potresti rimanere ancora un po' qui?”

Aveva scelta forse?

Rimasto solo, scrutò di nuovo l'essere chiamato InuYasha. Piccolo, sgraziato, con due orecchie bizzarre ed insolite, e un nauseante odore di mezzodemone. Avrebbe potuto spazzarlo via facilmente, usando solo il suo Dokkasō, e una parte di lui fu confortata da quel pensiero.

L'altra...beh, l'altra era deciso ad ignorarla fino alla morte.

Improvvisamente un trambusto lo distrasse da tutto quel cogitare frustrante.

“Presto, mettila in quella incubatrice.” Medici ed infermieri stavano intorno a qualcosa che gemeva alla stregua di un gatto moribondo. “Poverina, solo pochi giorni di vita e ha già perso i genitori e il fratello in quel terribile incidente ferroviario di stamattina. Adesso pensiamo noi a te, piccola Rin.”

Approfittando di un momento in cui la piccola era rimasta da sola, Sesshōmaru le si avvicinò, incuriosito più che dispiaciuto per quella umana sotto vetro di cui non sapeva niente.

Aveva delle piccole escoriazioni dovute sicuramente all'incidente, senza contare il tremore che scuoteva tutto il suo corpicino, eppure non piangeva, si limitava ad emettere deboli e traumatizzati miagolii insopportabili. Insopportabili perché toccavano la stessa identica corda dentro di lui scossa poco prima dalla faccia addolorata di suo padre.

Mezzodemoni e sopravvissuti.

Ostinate creature entrambe, esseri sfuggiti alla morte ed esseri che non sarebbero mai dovuti nascere, capaci pur tuttavia di indisporre il suo animo alle sue stesse fondamenta.

“Sesshōmaru, se vuoi adesso ti porto a casa.”

Quel minuscolo pallido riflesso di mutamento dovette aver raggiunto suo padre, il quale gli sorrise per la prima volta dopo anni, incurante del suo apparente fastidio verso simili manifestazioni di affetto.

“So che non è stato facile venire qui.” Lo prese per le spalle per guidarlo fuori, e Sesshōmaru faticò a non trasalire per quanto avesse bisogno che il tocco di suo padre si protraesse ancora. “Ma quello che nasce nelle difficoltà da i frutti migliori.”

 

 

 

 

Salve a tutti, dopo tanto tempo ritorno a scrivere della mia famiglia di cani preferitaXD

Piccola nota: nella terza parte dovete immaginarvi il Sesshōmaru di inizio manga, un po' stronzetto ed infantile

Per il resto, spero che questa breve serie di flash vi sia piaciutaXD

Baci,

 

 

bimbarossa

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Capitolo 7
*** Riflessi di smeraldo (prima parte) ***


“Non posso accettare questo regalo, amore mio. È veramente troppo costoso.”

Le braccia del Generale circondarono da dietro la vita di Ayame mentre questa si guardava allo specchio, i bagliori dello smeraldo al suo collo che si accordavano al lungo abito di seta confezionato apposta per quella serata di gala in una delle sartorie più rinomate di Tokyo.

“Ti calza benissimo, sembra fatto per te.”

“Avrei speso comunque un sacco di soldi.”

Una parte di lei tutta femminile era compiaciuta di quel dono, l'altra, quella che voleva mostrarsi umile e modesta stava facendo di tutto per non farlo vedere.

“Ho promesso che da ogni viaggio fuori dalla capitale sarei tornato con la prima cosa vista del colore dei tuoi occhi, e ho tutta l'intenzione di continuare ad onorare questa promessa.”

“Quindi appena arrivato sei incappato in una gioielleria di Parigi per caso?”

Lo sentì sorridere dolce contro la sua tempia. “Diciamo di sì.”

Imperterrito continuò nelle sue attenzioni, annusando l'attaccatura dei morbidi capelli rosso ruggine che tanto amava per deporvi piccoli baci a fior di labbra. “Vuoi per caso negarmi il piacere di viziarti con ogni mio mezzo?”

Ayame tremolò. Come faceva a ridurle il cuore in pappa solo bisbigliandole carinerie nell'orecchio?

“Non ti negherei mai nessun piacere.”

Si voltò per guardarlo negli occhi, ammiccando e strusciandosi contro il suo petto.

“Ayame, se continui così arriveremo tardi al ricevimento." Ma già le stava alzando lentamente il vestito, esponendo le lunghe gambe della ragazza alle sue grandi mani piene di desiderio.

“Hai ragione, dovremmo fermarci.”

“Sì, dovremmo.”

Nessuno dei due si fermò quella sera.

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Capitolo 8
*** Piccolo sole (seconda parte) ***


“Andiamo ragazzi, fate la pace!”

Jakotsu, stravaccato nel divano del bar frequentato dalla loro compagnia, sospirò teatralmente.

“In fondo è solo un anniversario.”

Sango si girò di scatto verso di lui inviperita. “Solo un anniversario?!”

Il ragazzo alzò le mani chiedendo pietà. “Effettivamente Miroku sei stato un mascalzone, e Sango dovrebbe buttarti fuori dal suo letto. Gli anniversari sono molto importanti.”

Miroku sospirò, vedendosi ormai abbandonato dal suo alleato alla propria sorte.

Perché non aveva comprato quella tormalina rosa che tanto era piaciuta alla sua Sanguccia per i loro due anni insieme invece del completino sexy su cui lui aveva fatto tante fantasie?

Una voce squillante interruppe i pensieri del bonzo.

“Ragazzi, eccovi! Sapevo di trovarvi qui! Vi ho portato l'invito per il mio compleanno.”

Rin brillava di gioia anche da lontano.

“Verremo sicuramente.” Jakotsu assottigliò gli occhi puntando al collo della ragazza. “Vedo però che qualcuno ha anticipato il suo regalo. Sesshōmaru, immagino?”

Ciocche nere come gaietto si aprirono per far intravedere un pendolo ambrato che brillava come un piccolo sole.

Rin arrossì visibilmente, per poi annuire.

“L'ho trovato in un pacchettino stamattina, è un ciondolo carinissimo. Sesshōmaru-sama è sempre così gentile.”

Miroku ridacchiò aspirando le ultime gocce di frullato alla fragola. Sì, Sesshōmaru era proprio qualcuno da definire gentile.

“Adesso vado a lezione di biologia. Vi aspetto tutti stasera alla festa.”

Corse via ridendo, spensierata così com'era arrivata.

“Secondo te Miroku, se ne sarà accorta?” Jakotsu ammiccò verso il bonzo.

“Non credo di aver capito a cosa vi riferite.” Sango per un attimo dimenticò di essere arrabbiata con il fidanzato. “Di cosa doveva accorgersi Rin?”

“Quello che lei crede essere un ciondolino da bancarella di bigiotteria è un topazio imperiale, una delle pietre più rare in circolazione.” Miroku che se ne intendeva aveva gli occhi che brillavano. Lui adorava i gioielli, e in generale tutto ciò che era costoso e luccicava. “Sesshōmaru non si smentisce mai, deve aver speso un patrimonio.”

“E poi hai visto la qualità dell'intaglio...”

“E i bagliori vermigli...”

“Diciamo che avrà speso più di cinquecentomila yen al carato...”

“Adesso basta, Miroku, E anche tu, Jakotsu. Siete dei materialisti senza speranza. Scommetto che Sesshōmaru lo ha comprato solo ed esclusivamente pensando a Rin.”

“Sicuramente,” annuirono in coro i due.

Dannato Sesshōmaru, pensò altresì il bonzo non appena Jakotsu gli lasciò soli.

Quella tormalina rosa non era come un topazio ma poteva già dire addio a due dei suoi stipendi.

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Capitolo 9
*** Perla di sangue (terza parte) ***


InuYasha chiuse lentamente e con tutta la cura possibile la conchiglia bivalve bianca, guardandola con affetto e tenerezza, sembrava un piccolo e delicato fiocco di neve quasi in pericolo nella sua grande mano artigliata.

Quella era una delle due cose rimaste di sua madre, tutto il resto se lo era preso il tempo.

Certo, staccarsene non sarebbe stato facile, ma voleva che lo avesse lei.

Anche se sua madre non gli aveva detto niente o tramandato istruzione di sorta lasciandogli quei pochi averi, era chiaro anche a uno come lui, che i sentimentalismi li evitava con tutto se stesso, di doverli custodire gelosamente o farne dono generosamente, magari a qualcuno di molto speciale.

E lei era speciale.

Lo era stata fin dal primo momento, anche se aveva fatto finta con ogni suo sforzo che non fosse così. Aveva conquistato il suo cuore, un cuore che l'amava nonostante tutto, di un amore solido, concreto eppure pieno di passione come una perla di sangue.

Aprì la conchiglia toccando leggermente e con una reverenza poche volte mostrata il contenuto vermiglio all'interno, cercando di ricordare ciò che non poteva essere ricordato.

Il sangue di suo padre.

Non lo aveva mai conosciuto, era morto il giorno stesso della sua nascita, e una parte di lui aveva sempre rifiutato di pensarci, di porsi troppe domande, di chiedersi che storia si fosse dipanata tra quel demone pieno di misteri e la sua giovane madre, cosa li avesse portati ad unirsi contro il mondo e dare alla luce un mezzodemone.

Eppure adesso se ci pensava bene la risposta a questa domanda pensava di conoscerla, ora che lei era nella sua esistenza.

Il bisogno di amare e di condividere la vita con un'altra persona. Il desiderio di creare una famiglia, dei figli e un focolare che splenda nelle buie notti di quei tempi difficili. La certezza di essere accolti nel calore delle braccia di qualcuno.

Mai in decenni di vita selvatica e brutale InuYasha si era potuto permettere di trovare queste cose degne, degne per lui che era un mezzosangue, degne per lui che era un giramondo e nomade di essere invece ambite, degne di essere difese con le unghie fino alla fine.

E lui le unghie le aveva molto affilate.

Silenzioso e meditabondo attraversò il villaggio di Musashi, i contadini che lavoravano, le donne che stendevano il bucato, i mocciosi che giocavano cantando.

Sperava che avrebbe accettato il suo dono. Che capisse il suo valore. Che percepisse il suo significato nonostante lo scarno aspetto.

Dalla collinetta dove si era improvvisamente fermato riusciva a vederla, i capelli scuri che si muovevano al sole, gli occhi gentili e lo sguardo amorevole.

Sì, lei era quella giusta.

 

 

 

Salve a tutt*, con questo pezzo ho voluto finire una trilogia di brevi racconti narrati attorno ad un prompt in comune, ovvero un dono, ma mentre per i primi due è stato facile scegliere le coppie, per questa ho deciso di lasciare la protagonista femminile ambigua, potrebbe essere Kikyo come potrebbe essere Kagome, decidete voi, l'alternativa è apertissima. Grazie di aver letto il piccolo progettino senza pretese che ho partorito. A presto!

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