Rifrazioni

di Quella Della Pasta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diamante ***
Capitolo 2: *** Sipario ***
Capitolo 3: *** Modestia ***
Capitolo 4: *** Saggezza ***
Capitolo 5: *** Salute ***



Capitolo 1
*** Diamante ***


prompt: Diamante
protagonista: ispettore capo James Japp; il resto della cumpa di Poirot che fa una comparsa
.



 

L’ispettore capo di Scotland Yard, tecnicamente, guadagna leggermente di più dei suoi agenti sottoposti. Quindi, vi chiederete, perché il nostro protagonista ha ancora dei (più che ragionevoli) dubbi a riguardo, e si aggira avanti e indietro sul marciapiede del banco dei pegni meno illegale di tutta Londra, neanche dovesse fare un appostamento d’emergenza?

Be’, vedete, la signora Japp è una donna moderna, come tutte le donne londinesi, signore che la nobiltà se la portano nello sguardo e nella tenacia e nella fierezza d’esser inglesi – e, oh, James Japp, ispettore capo di Scotland Yard, la ama, la sua signora. Ma la signora Japp sa essere, in fondo in fondo, anche tenacemente tradizionalista. O non lo costringerebbe a quei terrificanti pranzi e cene di famiglia, con le rivoltanti barzellette di suo cognato e il mefitico pudding cucinato secondo ricetta di sua suocera buon’anima. Le pene che l’ispettore capo deve sopportare per amore, non son nulla davanti all’amore che prova per sua moglie. O a una chiamata d’emergenza per un omicidio nel cuore della notte, anche.

Nossignori, e signore: l’ispettore capo James Japp ama la sua signora, ma è anche un uomo, per quant’ella sia tenace, tenacemente pragmatico. In barba anche alle sue amicizie più strette (anche se, in quel caso, sarebbe più corretto dire baffi anziché barba…ma non stiamo a divagare). E se deve festeggiare il compleanno della signora Japp in modo appropriato, be’...sarà pure un marito devoto, James Japp, ma è anche un inglese. E un rappresentante dell’ordine. E, in quanto tale, segue due volte la buona, vecchia logica prima di ogni altro pensiero.

«Le faccia un regalo che vien dal cuore, mon ami», gli ha suggerito Poirot, davanti la sua pacata ma comunque profonda crisi di panico, avuta davanti un tè nello studio del suo amico fidato (e corretto con del buon whisky, per cortesia dell’irreprensibile e comprensivo Hastings, che Dio lo benedica). «Alle donne non piacciono gli spendaccioni, ma nemmeno chi è…comment dites-vous…di manica corta. Buon cielo, Japp, non si abbatta! Ciò che vien dal sentimento non potrà mai essere disdegnato!»

Tanta bella retorica, sì, ma ai fatti?

«Be’, ecco, non sono un esperto, ma…»

E quando iniziava così, il buon capitano Hastings – un pezzo di pane, davvero, uomini della miglior pasta Japp ne aveva incontrati davvero pochi, e tuttavia – era certo di incastrarsi in un panegirico contorto che ben di rado trovava una fine che fosse sensata.

«Ecco, io…ehm…be’, come sa, sospettavo che mia moglie – la mia futura moglie, cioè, all’epoca non eravamo ancora sposati (ovviamente!) – fosse un’assassina, e così, uhm, il mio corteggiamento è stato…come dire…poco ortodosso – ma! Ma l’anno scorso, per il suo compleanno, vede, l’ho portata in questo delizioso posto in riva al mare…che non ricordavo, però, fosse lo stesso luogo in cui venne implicata in quell’orrendo caso di omicidio – se lo ricorda? E, sì, insomma…non fu la mia miglior pensata, a dirla tutta…»

«Le faccia qualcosa di semplice», gli aveva suggerito la puntuale signorina Lemon – che Dio la benedica, che la benedicesse davvero! – placcandolo all’ingresso, con la scusa di porgergli il cappello che aveva dimenticato in salotto. «Da donna, le dirò…alla nostra età, i grandi gesti d’amore li consideriamo ormai alle spalle. Un mazzo di fiori inaspettato, o un pranzo cucinato da lei, ispettore, invece di far stare sua moglie ai fornelli anche nel suo compleanno…piccole accortezze, insomma, ma che, da donna, le dico…che fanno bene al cuore, già!»

Già. Accortezze. Piccole, semplici…ed economiche, soprattutto. Se non fosse che la signora Japp fosse allergica al polline. E che lui non sapesse cuocere un uovo al tegamino, neanche per errore.

Così, l’ispettore capo s’era risolto ad uscire dal tempio della saggezza situato in Whitehaven Mansions e a recarsi daccapo alla più modesta ma comunque dignitosa centrale di polizia di Scotland Yard, a chiedere aiuto a qualche agente messo di posta al parco, o al porto. Bravi ragazzi, loro, li aveva visti addestrarsi, crescere, qualcuno di loro perfino sposarsi e avere due mocciosi o tre. Ed erano sempre pronti a compiacerlo, gli ricordavano quei cuccioli di cane che vendevano a frotte nelle fattorie, puntando al cuore tenero dei genitori con figli esuberanti ma soprattutto ai loro portafogli. E quello di James Japp piangeva, neanche a dirlo, una miseria contegnosa.

È stato Collins, il ragazzo nuovo, a dargli la dritta. Faccia pulita e modi un po’ impacciati – sarebbe divenuto un ottimo cadetto, comunque, avrebbe dovuto presentarlo al capitano Hastings – ma gli aveva dato una risposta concreta. Il banco di pegni di Madison e Haig: onesti, per quanto potessero, mai una noia cogli agenti di pattuglia, mai una lamentela da parte dei clienti. E in vetrina avevano un angolino discreto di anelli impilati, fedi nuziali o semplici brillanti, tutti nelle loro custodie ad aspettare pazientemente le future padrone da far lusingare.

Va da dire, però, che in tutta la sua pragmaticità e il suo amore per la signora Japp, l’ispettore capo…come dire…non che ci sia qualcosa di male in questo, anzi, lo rende un uomo come tutti gli altri, coi suoi pregi e i suoi ragionevoli difetti…però, si vergognava. Ecco, sì. E non c’è niente di male nell’ammetterlo. Si vergognava di ricoprire un ruolo che altri guardavano come dal basso, con ammirazione e rispetto, e tuttavia andava in giro cogli stessi pantaloni e lo stesso cappotto da vent’anni – e mai l’avevano tradito, che Dio benedicesse pure il sarto che glieli aveva confezionati – e, per quanto riesca ad arrivare a fine mese e a permettersi il tetto che la sua piccola ma dignitosa famigliola aveva sulla testa, non può mai concedersi un giorno di mare a Brighton, né di portare la sua signora in quelle belle sale da tè coi lampadari e la gente in abito quasi da gala, anche se per l’assiduo rituale inglese delle cinque e di qualunque altra ora vogliano inventarsi. Si è sempre sentito in difetto, in qualche modo: cosa che, per carità, l’ha pure sempre spronato nel suo lavoro, e quando si è sempre ritrovato con la paga in mano, ha sempre potuto guardare quelle banconote stropicciate con un sorriso, e dirsi: ecco, me la sono guadagnata. Questo è per tutti quei cittadini onesti per cui ho fatto giustizia, per tutte le notti insonni che ho trascorso e i proiettili alla tempia che ho schivato.

E, per quanto donna moderna e tradizionalista insieme, la signora Japp avrebbe apprezzato anche lei, da donna, un anello con brillante, un sempiterno pegno d’amore da parte del suo amato marito, giusto?

Ma non da un rigattiere qualsiasi, s’era rimproverato Japp, e continua a farlo, senza mai decidersi a entrare in quel negozietto polveroso. Che ora, gli appare seppur ancora più buio, coi vetri sporchi di qualcosa di indefinito. Forse i suoi pregiudizi. O la sua inadeguatezza. Una donna, una moglie, una signora inglese, si merita un gioiello dignitoso, degno di lei, e non un cerchio d’ottone con un vetro inciso, passato di mano in mano e destinato ad arrugginirsi e rompersi al primo tocco distratto. Anche se l’agente Collins gli ha assicurato la bontà dei prodotti di quel banco di pegni.

Sospira, James Japp, da sotto i suoi baffi ben curati. Non gli serve controllare l’orologio per sapere che ora è, ma i gorgoglii del suo stomaco. Non sa se la sua signora ha cucinato il pranzo, o se non ne avrà voglia dato il giorno speciale che, probabilmente, le piacerebbe celebrare. Anche se non è più una ragazzina, e lui non è più il buffo ragazzotto di campagna che l’ha conquistata salvando il suo adorabile cappellino col fiocco da uno sfortunato volo in mare.

Però, per amore, certi sacrifici si fanno. Corretto, no?

L’ispettore capo avanza, deciso come nell’istante in cui mette piede avanti e pronuncia le parole di rito per effettuare un arresto – solo che adesso estrae la mano sinistra dalla tasca non per prendere il paio di manette regolamentare, ma per spingere la maniglia di una porta. Il campanello suona, e James Japp ha già ben in mente il suo obiettivo: quell’anello con diamante nell’angolo più in ombra della vetrina, sì, quello il cui cartellino segna un prezzo che va ben oltre la metà dei risparmi che avrebbe preferito spendere. Ma che cattura quell’unico raggio di luce che lo raggiunge, e illumina di mille e uno colori tutti gli altri gioielli in quella stessa vetrina. Proprio come fa sua moglie, nonostante le sue stramberie e nonostante il suo invadente parentado, nella vita grigia di tutti i giorni dell’ispettore capo James Japp.

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Capitolo 2
*** Sipario ***


prompt: Missione 1 (Spaziotempo) - 03. Futuro
protagonista: ispettore capo James Japp; Hercule Poirot e Ariadne Oliver in lontananza a bere il tè; capitano Arthur Hastings e miss Felicity Lemon in absentia (sigh)

 

Così cadono i potenti, fu tutto quello che venne da pensare all’ispettore capo Japp, in tre occasioni fin troppo ravvicinate per essere occorse in un unico mese d’inferno. Primo, durante il corteo di automobili, biciclette, qualunque cosa riuscisse a stare in piedi; di ragazzi e soldati con le uniformi stracciate, coi fogli di giornale freschi di stampa e le Union Jack sfilacciate e annerite a sventolare da mani coperte di fasciature e cerotti, quando non erano del tutto mancanti, tutti insieme a celebrare, sorridenti tra le macerie, che la guerra era finita, e questa volta per davvero.

La seconda volta che Japp ebbe quel pensiero, fu durante il funerale con tutti gli onori del suo capo – e la cerimonia di promozione a commissario per lui, nell’unica ala di Scotland Yard che si reggeva ancora in piedi.

La terza volta, fu durante quel pomeriggio. Una domenica insolitamente serena, quasi inopportuna: c’erano ancora tanti morti da seppellire, e ancora di più da ritrovare e riportare alle proprie famiglie – come per il capitano Hastings, ad esempio. E la bara della signorina Lemon non era stata sigillata e tumulata che da un giorno appena. Japp aveva avuto paura, non l’avrebbe negato, che il buon vecchio monsieur Poirot avrebbe ceduto, per la prima volta nella sua vita. Ma si era straordinariamente retto sul suo bastone da passeggio, impassibile e impeccabile ad entrambi i funerali.

E ora se ne stava in quel parco, nell’angolo dove erano riusciti a ripiantare qualche rosa e un po’ di violette, a prendere un tè con la sua vecchia – ed ulteriore sopravvissuta contro ogni pronostico – amica, la signorina Oliver, quella buffa scrittrice che Japp aveva incontrato durante un caso soltanto. Nessuno dei due, ricordava gli avesse detto Poirot, sperava di vedere un giorno in più al termine di quella follia, e s’era rassegnato, inaspettatamente mansueto, a fare anche la sua parte per il loro paese – poi Japp era stato mandato con le forze alleate, e tra il fango e il sangue non aveva avuto tempo di ripensare ai suoi vecchi amici, figurarsi sperare di ritrovarli ancora in vita. O di rivedere lui l’alba dopo la fine del conflitto, e di ritornare a casa sano e salvo, pur senza un braccio o entrambe le gambe. Alla fine, aveva perso soltanto un occhio, e l’udito da un orecchio. Era stato fortunato.

La signorina Lemon era rimasta schiacciata anche lei dalle macerie di quell’esplosione che aveva coinvolto l’ospedale dove stava prestando servizio da volontaria. Quanto a Hastings, era opinione comune che in Normandia aveva trovato la sua tomba. Poirot poteva anche aver accettato le loro perdite, ma Japp vedeva fin troppo bene, anche con l’unico occhio che gli era rimasto, tra le crepe del suo contegno dignitoso belga, quando Hercule si voltava di scatto e non trovava un Arthur Hastings da rabbonire o una Felicity Lemon da lodare.

E ora, prendeva quel dannato tè come nulla fosse, come se niente potesse mai scalfirlo. O non fosse accaduto niente, che era pure peggio, nell’opinione di Japp. Ma le tazzine erano ancora piene, i pasticcini e i sandwich rimasti intoccati; e più che parlare, Poirot e la Oliver fissavano il vuoto, restando in silenzio. Guardandoli da lontano, Japp non era riuscito a capirlo subito.

«Così cadono i potenti», mormorò tra sé, con un sincero dispiacere nel cuore. La grande guerra, quella definitiva, s’era conclusa, e i folli che ne avevano acceso la miccia avrebbero presto trovato anche loro la propria tomba, dritte nel culo dell’inferno. Non ci sarebbero mai più stati omicidi, e la gente si sarebbe stomacata persino di leggerli. Quale futuro poteva esserci, per i grandi investigatori? Che fine avrebbero trovato i romanzi che Ariadne Oliver  era stata costretta a tener chiusi nel cassetto, al cadere della prima bomba? Che ne sarebbe stato delle celluline grigie di Hercule Poirot, dopo esser state messe alla prova da così tanto orrore?

Japp non aveva una risposta. Non era Poirot, lui, non aveva l’intuito aguzzo, capace di prevedere il futuro – e quella guerra, francamente, lo aveva privato della voglia di immaginarne uno.

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Capitolo 3
*** Modestia ***


prompt: Modestia
protagonista: capitano Arthur Hastings, Hercule Poirot e la dabbenaggine di entrambi. <3 (E il povero Japp è soltanto nominato.)

 

«Poirot, è davvero sicuro? Oh, non che voglia mettere in dubbio la sua capacità di giudizio, non mi permetterei mai…tuttavia…è davvero sicuro di volere anche me alla cerimonia? Insomma, è un evento soltanto suo…è a lei, che le camere del Parlamento intendono insignire una medaglia al valore…cosa mai c’entrerei io, è una festa – e un’onorificenza soltanto sua!»

« Non, non, non, mon ami! » Poirot staccò gli occhi dal proprio riflesso nello specchio – e dalla sua amatissima spilla, che stava metodicamente appuntando alla giacca, quella coi bottoni perlati delle grandi occasioni – per rivolgergli un sorriso. «Lei mi è stato preziosissimo in tutti i miei casi, Hastings! Poirot sarebbe un ingrato, a tenerla fuori da una celebrazione che è anche sua!»

Hastings si grattò il collo, ancora un po’ confuso. «Ma ha sempre fatto tutto lei, con le sue celluline grigie…quel che ho fatto io, al contrario, è stato solamente starle tra i piedi…quando ho aiutato senza volerlo il colpevole, perso un indizio…o mi sono innamorato di una sospettata», aggiunse, un po’ mesto.

« Au contraire, Hastings!»

Poirot arricciò i baffi, mossa che il capitano Hastings riconobbe come il tipico annuncio di un suo rimprovero imminente. Me la sono cercata, si disse, preparandosi mentalmente a sentirsi dare dello stupido (e qualche altro francesismo, magari anche tradotto a suo beneficio – sia mai che l’eloquenza del signor Poirot si facesse fermare da delle mere barriere linguistiche!).

«Le devo forse ricordare il caso dell’imitatrice drogata, che invece non si drogava affatto, e che solo la sua osservazione acuta, degna di un vero inglese al servizio della milizia di sua maestà, mi ha permesso di aprire gli occhi su quel particolare vitale, a cui ero sempre stato cieco tutto il tempo? E se parla delle sue infatuazioni come una debolezza, bah! Riconosco che in tutti gli anni della nostra amicizia, l’ho vista commettere sciocchezze degne del peggior imbecille e frequentatore dei vostri pub, ma non è forse stato l’amore per sua moglie, e il suo per lei, a renderla più saggio e meno impulsivo? Suvvia, Hastings, non faccia il modesto: riconosco che è una qualità le ha sempre fatto un grande onore, ma – mon dieu, mon ami, non si sminuisca! Il suo ingegno, anche se non all’altezza delle celeberrime celluline grigie di Hercule Poirot, è una vera gemma, fra tutti i capitani e gli elementi del regio esercito d’Inghilterra! Ed ora», fece, recuperando con nonchalance il bastone da passeggio e la bombetta, come se quel discorso accorato fosse stato meno che mangiare un biscottino da tè – e Hastings non sapeva se sentirsi lusingato o ancora più confuso, sul serio – «sarà bene che ci sbrighiamo: Poirot non è mai stato in ritardo un solo giorno della sua vita, e non intende iniziare proprio da oggi, non in una così bella giornata!» Ridacchiò. «Mi domando che faccia farà l’ispettore Japp quando lo verrà a sapere…oh, sono certo che di onorificenze ne ha ricevute anche lui, e a ben ragione; ma sono piuttosto sicuro che gli manca ancora una medaglia al valore per aver risolto più di mille casi d’omicidio, furto e altri deplorevoli atti su suolo britannico!»

Con un sospiro, Hastings gli si accodò, ed uscirono insieme dall’appartamento.

Certo, a volte riconosceva lui stesso di essere per sua natura un individuo piuttosto ingenuo – e che il suo carissimo amico lo tenesse in una così grande considerazione, non poteva che riempirgli il cuore di gioia e gratitudine…ma – e di questo, Arthur Hastings ne sarebbe rimasto convinto fino alla fine dei suoi giorni – era sicuro, anzi, sicurissimo, anche senza aver viaggiato molto, che in tutto il mondo non esisteva un uomo così tanto per nulla modesto come il signor Poirot!

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Capitolo 4
*** Saggezza ***


prompt: Saggezza
protagonista: miss Felicity Lemon; e il resto della cumpa di Whitehaven Mansions sullo sfondo.


 

C'erano diversi tipi di saggezza, al mondo. E Felicity Lemon era tutt'altro che stupida, e dunque sapeva riconoscerle. E impiegarle, certamente. Che razza di segretaria sarebbe stata, altrimenti?

C'era la saggezza buona, un po' rozza ma decisamente comprovata dell'ispettore Japp, per esempio. Fatta di quel tipo di conoscenze che si provano sulla propria pelle, dopo anni ed anni di esperienze di vita, quel tipo di saggezza popolare che ha attecchito persino nella mente cristallina della signorina Lemon, nonostante l'educazione inglesissima che i suoi genitori vollero farle impartire dalla tata di famiglia.

C'era poi la saggezza istintiva, ingenua e decisamente a fortuna di esemplari quali il capitano Hastings – uomini del tutto in buona fede, ci mancherebbe altro, ma che, a detta di Felicity Lemon, erano ben capaci di causare più danni che altro. Per non parlare del fatto che una delle geniali intuizioni del buon capitano aveva rischiato di svuotare loro le tasche, e tutto per un gioielliere da cui neppure si recavano a far spese abituali.

La saggezza del signor Poirot era quella che miss Lemon sentiva decantare di più, tra conversazioni ufficiali e chiacchiere col postino e col lattaio. Una mente come un archivio, sempre pronta a scattare per afferrare ricordi utili, conoscenze riposte lì da anni e in dubbio di venir mai realmente usate, persino una parolina intercettata per caso fra l'arrosto del pranzo e il tè delle cinque. Una mente a strati, semplicemente geniale.

Ma non tutti erano dotati di un tale marchingegno. Compresa la signorina Lemon, con suo sommo dispiacere (e giusto un pizzico di fastidio: sarebbe stato immensamente più facile, in quel caso, gestire a mano i conti giornalieri, le fatture, le lettere da smistare e le faccende in generale). Per cui, da brava inglese, aveva fatto di necessità virtù e s'era dovuta, in una parola sola, adattare.

O meglio, aveva pagato quegli operai per farlo. Lei aveva preso le misure e deciso tutto il resto. Salire e scendere tutti quegli scatoloni per tutto il palazzo – uh! Non un'attività che si addice a una signora. E poi, c'era la tisana del signor Poirot da preparare.

Felicity Lemon, da brava segretaria, lavorava alacre e imparava in silenzio. Come l'ispettore capo Japp affrontava il problema che gli si parava davanti, per esempio, ricorrendo a un aiuto più in alto di lui quando la sua saggezza popolare s'arrestava. E dal capitano Hastings, Felicity Lemon aveva imparato a fidarsi del suo istinto. O comunque, di appuntarsi mentalmente le sue intuizioni per poi discernerle nel momento più opportuno. Da monsieur Poirot c'era sempre così tanto, poi, da imparare. Forse anche troppo.

Restava il fatto che un cervello come il suo, miss Lemon era conscia non l'avrebbe avuto mai. Ma era bravissima a scrivere a macchina, la più veloce del suo corso. E il suo senso dell'ordine era impeccabile. Perché non unire le due cose, quindi?

Il suo archivio fece il suo degno, trionfale ingresso nello studio del signor Poirot con una lode da parte sua e uno sguardo confuso, ma comunque d'approvazione, del capitano.

«La sua saggezza è incomparabile, mademoiselle Lemon! Col suo sistema, risalire a capo delle tracce anche più oscure sarà ancora più rapido, très facile!»

E Felicity Lemon, dal suo canto, era raggiante. Sarebbe risultato loro utile in brevissimo tempo, ne era certa. Certissima.

Anche se si sarebbe ben risparmiata dal rivelare che metà delle informazioni contenute lì dentro, provenivano dalle suddette chiacchiere col postino e col lattaio. Una brava segretaria è saggia abbastanza pure per decidere cos'è meglio tacere...

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Capitolo 5
*** Salute ***


prompt: Missione 2 (Birthstones) - 10. salute
protagonista: Hercule Poirot e la sua…contro-ipocondria, potremmo dire? Plus Ariadne Oliver che porta un po’ di sano caos nella cumpa di Whitehaven Mansions. <3


 

«Poirot non è malato!»

«No, certo che no...»

«Poirot non si ammala mai

«Be', c'è da dire che quella volta, sulla riviera...»

«L'eccezione che conferma la regola, signorina Lemon! E ora, se non le è di troppo dispiacere, mi porti la mia tisana!»

Hastings guardò la signorina Lemon svignarsela in cucina, nelle orecchie la tiritera appena attaccata dal suo amico su come gli fosse sempre bastato il suo infuso a ristabilirlo da quel che chiamava un lieve raffreddore, e non la conseguenza, secondo il più pragmatico capitano, di una cena in terrazza di ben dieci portate col circolino degli scrittori del mistero, il tutto all’aria fredda di una notte che aveva rilasciato un acquazzone come pochi al momento del ritorno a casa. E i tassì avevano impiegato il doppio, nel lasciarli fuori al gelo e all’acqua. Hastings s’era salvato perché non era stato invitato, e dunque era ben felice d’essere rimasto in casa, al calduccio, con un buon whisky e il suo programma preferito alla radio. Poirot, al contrario, aveva occhi gonfi e un naso rosso mica da ridere. Anzi, sì. Ma guai se Hastings avesse accennato il benché minimo sorriso…

«Oh, quante storie!»

La signorina Oliver entrò di prepotenza nella scena. Un’arguta energica inglese, la definì il capitano, in accordo col buon ispettore Japp. E con una predilezione per contrariare il loro carissimo amico, cosa di cui entrambi gliene erano segretamente grati.

La Oliver sbatté sulla scrivania di Poirot il suo sacchetto di mele verdi, neanche fossero il mucchio di foglie secchie raccolte metodicamente dai giardinieri del parco sotto casa, e mise le mani ai fianchi. «Tre di queste, al giorno. Tagliate a fette, in infusione col suo tè, come diavolo le pare. Le assicuro che funziona.»

«Resta solo un’evidentissima prova, madame Oliver…» Poirot si fermò per un ancor più evidentissimo starnuto. «…e cioè che Poirot non è malato

Tutto quel che bastò alla signorina Oliver fu di inarcare le sopracciglia. «Certo. E il mio detective svedese non è svedese.» Si mosse in direzione della cucina. «Quanto a lei, capitano», si rivolse poi a Hastings, «dopo dovremo fare una chiacchierata o due sull’organizzazione militare reale; sono bloccata giusto a metà dell’ultimo romanzo e tutto per colpa di un capitano che non sa quale dannato veicolo ha il rango per guidare, e ammazzare l’amante della sua terza moglie!».

«A sua disposizione», rispose Hastings, con un leggero cenno del capo. La Oliver sparì oltre la porta, la udirono da lontano attaccar bottone con miss Lemon, e Poirot rilasciò un ultimo sbuffo seccato, prima di starnutire per l’ennesima volta.

«Suvvia, amico mio!» Hastings, dall’alto del suo buon cuore, decise che era giunto il momento di prodigarsi in rassicurazioni. Se non altro, per calmare gli animi prima che la signorina Lemon tornasse nello studio, e lo trovasse ridotto a una trincea di guerra. «Non c’è nulla di male, in un po’ d’aiuto. O nell’ammettere che la propria salute, ogni tanto, ci lascia per strada…siamo uomini, dopotutto, non macchine!...»

« Hastings », e lì il capitano si fermò, perché il tono di voce in cui Poirot l’aveva appena chiamato per cognome, associato a un tremolìo dei suoi baffi, significava solo una cosa, e cioè: se ti azzardi a pronunciare un’altra parola ti manderò appeso ai più alti tribunali d’Inghilterra, e non ti lascerò nemmeno le scarpe. «Per l’ultima volta. Non sono malato. Ho soltanto una lieve infreddatura. Ed Hercule Poirot non è un uomo qualunque, è un belga ! La nostra tempra è leggendaria!»

Hastings non poté che rassegnarsi ad annuire. Se non altro, per ritrovarsi la testa sul collo ancora per un po’. Nonostante l’ennesimo starnuto di Poirot.

«La sua tisana», annunciò la signorina Lemon, melodiosa e serena. Hastings le invidiò la sua calma: quella sì, che era leggendaria…

Ariadne Oliver fece una capatina dalla porta, probabilmente per vedere come proseguiva lo spettacolo.

Poirot trasse due sorsi dal suo beverone, e con un sorrisone sotto i baffi impomatati, si rivolse di nuovo al suo pubblico. «Visto? Tutto passato. Poirot sa quali sono i rimedi migliori per la sua salute…» Se non fosse che venne interrotto da uno starnuto colossale, che gli mandò all’aria persino le carte che aveva sulla scrivania; per pura fortuna – ma avrebbe detto i suoi straordinari riflessi – non lasciò andare la tazza.

«Tre mele al giorno», disse la signorina Oliver all’orecchio di Hastings, con lo sguardo di chi ne aveva viste fin troppe così. «Io ve l’ho detto. Se poi volete tenervelo a borbottare per un altro mese, buona fortuna!»

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